Kate Beckett aveva appena preso tra le mani la sua tazza di caffè quando squillò il cellulare. Quella mattina sarebbe dovuta entrare a lavoro più tardi. Sarebbe. Prese un tovagliolino dal bancone della caffetteria e si fece passare una penna da uno degli ragazzi addetti ai caffè: 115 Fourth Avenue scrisse rapidamente e poi si fiondò fuori bevendo di corsa dalla tazza calda rischiando di ustionarsi la lingua. Salì veloce le scale fino al suo appartamento, prese distintivo, pistola e chiavi dell’auto per poi dirigersi nel luogo indicato.

Trovò i suoi colleghi Ryan ed Esposito già fuori dall’elegante palazzo. Chiunque abitasse lì dentro di certo non se la passava male e lo si poteva intuire anche dal via vai di persone che entravano ed uscivano non proprio felici di quella situazione: donne in eleganti tailleur con scarpe e borse che Kate pensò costassero più di metà anno del suo stipendio, uomini in eleganti completi di sartoria che parlavano di affari ai loro telefoni cellulari di ultima generazione, ragazzini che uscivano per andare a scuola nelle loro perfette divise di istituti privati.

- Cosa sapete? - chiese ai due

- Duplice omicidio, una coppia. Ethan e Lauren Austin. Lui cinquant’anni, avvocato, socio onorario di uno dei più importanti circoli di golf della città. Lei quarantotto anni, pediatra, molto attiva nella beneficenza e nel volontariato nelle case famiglia. Due stimati professionisti, sposati da quasi venti anni, senza figli. - Appena Ryan ebbe finito il suo resoconto da un taxi appena fermato lì vicino, Richard Castle scese di corsa e li raggiunse con un sorriso smagliante.

- Allora? Cosa mi sono perso? - Chiese Castle già entusiasta di visionare una nuova scena del crimine.

- Ancora nulla Castle! C’è la scientifica che sta analizzando la scena, stavamo per andare. Mi raccomando, stai dietro di noi, zitto, fermo e non toccare niente! - Anche se erano passati già diversi mesi dall’inizio della sua collaborazione con il distretto, Beckett ancora riusciva a mal digerire la presenza troppo spesso irritante dello scrittore, ma portarselo dietro era un ordine del suo capitano e non poteva fare altrimenti. Certo, non poteva negare che la sua presenza più di qualche volta era stata anche molto utile per arrivare alla soluzione dei casi e che lui sarebbe stato anche un uomo piacevole ed affascinante se non fosse stato per il suo ego infinito, quei comportamenti troppo spesso infantili e quella faccia da schiaffi con quel sorriso impertinente che però più di una volta avevano alleggerito la sua giornata e quel lavoro non certo facile, non sempre almeno. Era sempre in equilibrio tra il volergli sparare per la sua esuberanza che non riusciva a contenere e l’essergli grato per la ventata di freschezza che aveva portato alle sue giornate di lavoro, ma non glielo avrebbe mai detto. Quella mattina, comunque, lo avrebbe voluto uccidere, sarà che non aveva potuto bere come si doveva il suo caffè, quindi quella mattina già tutto sembrava andare per il verso sbagliato ed il suo sorriso eccitato davanti alla morte di due persone non riusciva a sostenerlo.

L’ascensore di ultima generazione era grande, aveva pareti a specchio, una pulsantiera touch ed un grande display che con delle frecce scorrevoli animate indicava la direzione ed il piano. Castle, dopo essersi specchiato a lungo, controllando che il suo ciuffo fosse in perfetto ordine pensò che avrebbe dovuto proporre all’amministratore del suo palazzo di cambiare il loro e mettere un ascensore moderno come quello.

Le porte appena si aprirono svelarono la vista dell’appartamento dei coniugi Austin proprio davanti a loro. Due agenti sulla porta si spostarono lasciandoli entrare. Mentre Ryan ed Esposito curiosavano in giro in cerca di qualcosa di interessante in quella casa dagli arredi eleganti e di pregio, Beckett seguita da Castle si diresse nella camera da letto, luogo dove si era consumato il delitto. I due coniugi erano ancora lì dove erano stati uccisi ognuno con un preciso colpo alla testa. Morti sul colpo, secondo Lanie che li aveva già esaminati e dato il via libera per portarli in laboratorio per maggiori accertamenti.

- Da quanto sono morti? - Chiese Beckett

- Tre ore più o meno. - Rispose la dottoressa.

- Chi li ha trovati? 

- Era l’alba, i vicini hanno sentito una rissa, delle grida e poi gli spari e ci hanno chiamato - Specificò un giovane agente.

- L’orario coincide con quello probabile del decesso. - puntualizzò Lanie. 

- Testimoni? - chiese ancora la Detective.

- No, nessuno. - L’agente scosse la testa mentre due uomini della scientifica caricavano i corpi in delle barelle per portarli via.

- Tesoro io vado a scoprire se ci possono dare qualche altra informazione. - la dottoressa Parish salutò la sua amica e poi seguì gli altri lasciando lì soli Castle e Beckett ad osservare quella stanza.

- Non sembrano esserci segni di lotta, ne che abbiamo portato via nulla. Guarda questo pendente, è un gioiello della Fabergè, vedi la forma ad uovo? È ispirato alle celebri uova d’oro e pietre preziose! È un pezzo bellissimo e molto pregiato, solo questo varrà almeno 10.000 dollari! Un ladro lo avrebbe preso di certo! - Beckett ascoltò la descrizione di Castle attentamente, certo anche un profano avrebbe preso quel pezzo che si vedeva essere sicuramente di grande valore.

- Come mai così esperto, Castle? - chiese la detective sarcastica

- La mia ex moglie, l’ultima, era molto amante dei gioielli e ha voluto uno di questi in regalo poco prima che ci lasciassimo.

- E tu le avrai detto di no, immagino.

- Gliel’ho comprato… - ammise lui. Kate scosse la testa lasciando calare qualche secondo di silenzio tra loro. Poi si voltò di scatto, era convinta di aver sentito un rumore provenire dall’armadio. Guardò Castle che annuì e gli fece segno di spostarsi e stare in silenzio sperando che una volta tanto le desse retta. Sfilò piano la pistola dalla fondina e si mise perpendicolare all’armadio. Con un gesto repentino aprì l’anta e puntò la pistola all’interno e quello che vide la lasciò senza parole. 

Una bambina era rannicchiata in un angolo, tremava e singhiozzava, coprendosi il viso con i lunghi capelli castani. Beckett mise subito via la pistola, avvicinandosi alla piccola che però cercava di allontanarsi ancora di più spingendosi contro la parete di legno, nascondendosi tra i vestiti appesi. Fu Castle, allora, ad avvicinarsi ed intrufolarsi nell’armadio con lei, chiedendo a Beckett con espliciti gesti di lasciarli soli. Lo accontentò andando verso la porta della stanza dove Esposito e Ryan la raggiunsero.

- Gli Austin avevano una bambina in affido. - Le disse l’ispanico. - Questo è il suo fascicolo, lo abbiamo trovato nello studio di Ethan. Si chiama Joy Johnson ed ha dieci anni. - Ryan le porse il fascicolo che Kate nemmeno aprì, preoccupata di quella situazione.

- Sì, l’abbiamo trovata. Si era chiusa nell’armadio. È molto spaventata. Castle sta provando a tirarla fuori da lì.

- Dobbiamo chiamare gli assistenti sociali. - Si preoccupò Esposito.

- Sì ma voglio vedere se riusciamo a parlare con lei. Potrebbe aver visto tutto ed essere testimone di quanto accaduto. - Javier annuì alle parole di Beckett e si diresse fuori per telefonare, mentre Kevin accompagnò Kate nella stanza della piccola. Kate controllò quei documenti e vide che Joy stava con gli Austin da meno di un anno, ma dovevano amarla molto. Nella sua camera non mancavano giochi e libri, le mensole erano piene di foto di loro tre insieme e l’armadio di bei vestiti. Su una scrivania c’era un puzzle appena iniziato e dei disegni, a terra lo zainetto della scuola. Sul letto c’era un piccolo orso di pezza color crema, Kate lo prese e tornò da Castle.

Lo scrittore nonostante la sua predisposizione con i bambini non aveva fatto molti progressi con lei. Si rifiutava di voler parlare ed uscire da lì. L’avrebbe potuta facilmente prendere e portare fuori ma non voleva intaccare per sempre la sua fiducia.

- Dai JJ usciamo da qui, ti porto a mangiare le crêpes più buone della città!

- Veramente? - Rick sentì per la prima volta la sua vocina tremante.

- Certo! Io mantengo sempre le promesse. Non so se saranno proprio le più buone buonissime, però sono buone buone ed anche a mia figlia piacciono tanto! Che dici, ci stai?

La piccola fece cenno di sì con la testa e piano uscì fuori, fu più complicato per lui ma alla fine ce la fece. Kate entrò e trovò Joy aggrappata alla gamba di Castle che si era messa tra lei e il punto dove erano stati uccisi gli Austin per non farle vedere la chiazza di sangue ancora presente a terra.

- Ehy ma allora ce l’hai fatta a far uscire Joy! - Esclamò Kate porgendole l’orsetto che la bimba prese timidamente - Vedi Castle, è una fortuna che siete quasi coetanei! 

Rick sbuffò prendendo in braccio la bambina ed uscendo da lì. La affidarono alle cure di Ryan mente Joy continuava con lo sguardo a seguire Castle che si era allontanato di poco con Beckett e la salutava con la mano.

- Dobbiamo andare al distretto. Gli assistenti sociali verranno lì a prenderla. - gli spiegò lei.

- No, dobbiamo andare a mangiare le crêpes. - Ribatté lui

- Cosa? No Castle, non se ne parla proprio.

- Beckett le ho promesso che se usciva da lì andavamo a mangiare le crêpes e non intendo infrangere la promessa.

- Ma Castle…

- Non si infrangono le promesse fatte ai bambini, se no non si fideranno più! - Era tremendamente serio in quel momento.

- Castle lo capisci che potrebbe essere l’unica testimone di quell’omicidio? Non puoi portarla in giro come vuoi! È sotto la responsabilità della polizia di New York fino a quando non vengono a prenderla gli assistenti sociali! 

- Vieni con noi. Tu sei la polizia di New York, no? 

Beckett in quel momento fece fatica a capire chi voleva veramente le crêpes se Castle o Joy.

- E va bene! Ma che sia una cosa veloce! - concesse la detective.

Joy non aveva più lasciato Rick. Per tutto il tragitto in auto, verso quel posto speciale che lui conosceva e che a Kate sembrava troppo lontano, era stata tutto in braccio a lui ed anche in quella caffetteria si era messa sulla panca vicino a lui, stringendogli il braccio. Convinse Kate a prendere anche lei delle crêpes e prima che dicesse di no, ne aveva già ordinate tre porzioni con due caffè ed una cioccolata. 

- È proprio bella la vostra bambina! - Esclamò una cameriera che si prese troppa ansia libertà.

- Sì, grazie, lo è! - Rispose Castle prontamente azzittendo Beckett che avrebbe cominciato con spiegazioni fuori luogo.

Beckett fu felice del caffè, che poté finalmente bere con tranquillità quella mattina. Mentre assaggiava le crêpes non finendola nemmeno una, Kate si fermò ad osservare la piccola che invece le mangiava con gusto. La cameriera aveva ragione, era veramente una bambina bellissima, anche se il suo sguardo e la sua espressione erano in netto contrasto con quel nome così luminoso che la trafisse. Non mise più fretta a Castle, lasciò che Joy mangiasse il sul dolce e finisse la sua cioccolata con calma, aiutata da Rick che si dimostrava veramente attento e premuroso con la bambina e poi si avviarono al distretto.

L’assistente sociale che si occupava del caso di Joy era fuori New York per accompagnare un altro bambino dalla sua nuova famiglia. L’istituto dove era stata fino a pochi mesi prima l’aveva già contattata ed aveva assicurato che sarebbe passata al distretto nel tardo pomeriggio per occuparsi personalmente della questione. Le vicende di Joy erano state piuttosto complicate e per tutti era meglio se ci fosse stata lei, una delle poche persone delle quali la bambina si fidava.

Rick faceva compagnia a Joy in una sala che Montgomery gli aveva messo a disposizione. Le avevano dato dei fogli e qualche pennarello ed evidenziatore recuperato dalle varie scrivanie e la piccola, dopo un po’ di titubanza iniziale, aveva cominciato a disegnare. Castle non era uno psicologo, ma si immaginava di vedere nei suoi disegni colori scuri e tratti cupi, invece la piccola cominciò a disegnare delle farfalle, tante farfalle colorate. Castle provava a parlare con lei, chiacchierando tanto, come al solito, ma Joy sembrava non interessata a parlare con lui, anche se era palese che apprezzasse la sua vicinanza, visto che si metteva sempre vicino a lui e non lo lasciava un attimo. L’unica cosa che diceva, sempre era “grazie” ogni volta che le veniva dato qualcosa, poteva essere la crêpes come un semplice foglio di carta o delle penne.

Kate entrò nella stanza facendo sussultare la bambina, si avvicinò a loro e con un gesto istintivo accarezzò i capelli di Joy mentre chiedeva a Castle se poteva uscire un attimo, doveva parlargli. 

- Fino a stasera l’assistente sociale che si occupa di Joy non può venire, è occupata fuori città ed io… ecco Castle… ti vorrei chiedere se puoi rimanere qui, visto che con te si trova meglio che con chiunque altro.

- Certo, Beckett, non devi nemmeno chiederlo. Allora io… uhm… vado a comprarle qualcosa, dei colori come si deve, per farle passare il tempo, voi poliziotti non siete molto riforniti!

- Ehm… già… Ah Castle… prendile un puzzle, ho visto che in camera ne stava facendo uno, magari le piacciono. 

Rick guardò Kate sorridendo stupito. Un puzzle, certo, era un’ottima idea. Tornò al distretto il più velocemente possibile, colori di vario tipo, album per disegnare ed un puzzle sulle farfalle, pensò che se le aveva disegnate, le piacessero. Joy non era mai rimasta sola, Kate si era seduta proprio dove prima stava lui e faceva la stessa cosa, provava a parlarle e la osservava disegnare.

- Ehy guarda cosa ti ha portato Castle! - Le disse Beckett indicando Rick con due buste piene di cose - Sai, lui ha un difetto, non riesce mai a capire bene la giusta misura delle cose. Voleva prenderti dei colori, ha saccheggiato una cartoleria intera!

Joy osservò Rick mettere tutto il contenuto delle buste sul tavolo e sorrise, era uno dei pochi sorrisi che aveva fatto. Beckett si alzò, lasciando il posto vicino a lei a lui e, oltre quelli di Joy, anche lei gli sussurrò un “Grazie”.

Kate li lasciò soli, alle prese con altri disegni e con il puzzle, appena fuori dalla stanza incrociò il capitano Montgomery

- Allora Beckett?

- La bambina non parla. Castle è quello che sembra essere entrato più in sintonia con lei, ma nemmeno con lui ha detto nulla.

- Sarà traumatizzata… Forse dovremmo chiamare uno psicologo, magari sarebbe più facile.

- L’assistente sociale che si occupa di lei ha detto di aspettare il suo arrivo. È rimasta molto sul vago, non so perché.

- La stavo osservando prima, mi fa molta tenerezza. - Sospirò il capitano che pensava alle sue figlie, più o meno della stessa età.

- Sì… leggevo il suo fascicolo, era da poco che stava con gli Austin ma credo gli fosse affezionata.

- Cosa si sa sull’omicidio? - Chiese Roy tornando a focalizzarsi sul caso, anche se in quella situazione non era facile

- Poco. Non c’è segno di scasso o di lotta e non è stato rubato nulla. Più che un omicidio sembra un’esecuzione, ma non sappiamo nulla dei casi di Ethan Austin, era un’avvocato penalista, dovremmo indagare sui suoi clienti, magari qualche causa persa di recente… La moglie era una pediatra, dubito che nel suo lavoro si possa trovare qualcosa.

- Continuate a cercare, Beckett, anche in chiave familiare. Contattate i parenti, se ne hanno.

Kate si era rimessa al lavoro. Ryan ed Esposito avevano già contattato i genitori di Lauren ed il padre ed il fratello di Ethan. A quanto risultava erano gli unici parenti in vita che avessero. Aaron e Elijah Austin sarebbero arrivati il prima possibile, i signori Gilbert, i genitori di Lauren, invece, vivevano a Chicago, la città originaria della famiglia e non avrebbero raggiunto New York prima del giorno successivo.

Castle passò davanti a loro con Joy addormentata in braccio, facendogli segno che l’avrebbe portata in sala relax. La mise sul divano ed abbassò le tende prima di uscire e lasciarla riposare.

- Era molto stanca e debole. - Disse Castle appena uscito.

- Le vado a prendere una coperta. - Kate si allontanò lasciando i tre uomini da soli.

- Ehy ci sai fare con i bambini Castle! - Esclamò Esposito.

- Se devi crescere una figlia da solo, devi imparare per forza. - Quello che i due detective videro in quel momento era un Castle molto più serio e meno scanzonato del solito.

- Già, sì, immagino di sì… - Tagliò corto Esposito mentre Beckett tornava con una delle coperte della polizia.

Entrò nella sala relax facendo attenzione a non fare rumore ed adagiò la coperta sulla bambina, cercando di coprirla nel migliore dei modi mentre sembrava dormisse tranquilla. Appena uscì andò a sbattere contro Castle che la osservava da fuori. Sobbalzò scontrandosi con lui che sorrise. Era evidente come Kate si imbarazzasse ad essere sorpresa in quei momenti nei quali si mostrava con la bambina più premurosa di quanto volesse apparire.

Castle mentre che lei riposava andò a prendere degli hamburger per tutti per pranzo, sperava dopo le crêpes di farla felice anche con hamburger e patatine, non c’era bambino che resisteva a quello. Quando tornò al distretto la trovò sveglia, seduta nella sua sedia vicino a Beckett che le faceva domande alla quale lei rispondeva per lo più solo muovendo la testa.

- Sai che mi piacerebbe di più sentire la tua voce? Secondo me è bellissima, come te. - Le disse infine la detective accarezzandole la mano con un dito. La piccola sorrise nascondendosi poi il volto dietro i capelli. Kate provò un forte senso di tenerezza per quella bimba che sembrava non abituata a ricevere complimenti ed attenzioni.

- Ehy Joy, guarda chi arriva laggiù! - Disse Esposito indicando Castle con il pranzo. Nel vederlo il viso di Joy si illuminò, scese dalla sedia e gli andò incontro, abbracciandolo.

- Quindi la possiamo annoverare come un’altra delle tue conquiste, scrittore? - Gli disse Kate prendendo le scatole con gli hamburger e lasciando che lui prendesse in braccio Joy.

Mangiò in braccio a Rick, dopo averlo ringraziato per l’hamburger. Joy mangiava con calma, come stesse assaporando ogni singolo boccone, così come aveva con le crêpes.

- Ma sai dirmi qualcos’altro oltre a “grazie” - Le chiese Rick sorridendo

- Sì. - Rispose lei decisa.

- Oh meno male! - Esclamò lui facendo ridere tutti, come se si fosse appena tolto un gran peso - E allora cosa mi dici?

- Vuoi fare il puzzle con me? - Glielo chiese quasi temendo un rifiuto.

- Certo che voglio fare il puzzle con te! Se no perché l’ho preso? Io adoro fare i puzzle, chiedilo a Beckett, mettere tutte le tessere al loro posto è una delle cose che mi piace di più! E sono anche bravissimo! - Fece l’occhiolino a Kate che sorrise accondiscendente.

- Gli piace tanto, ma Joy, credimi, non è bravissimo, si vanta solo tanto! Castle se c’è una cosa in cui è bravissimo è vantarsi! - La fece ridere e sentirono quella risata gioiosa che solo i bambini sanno avere e per un attimo a Rick sembrò anche di vedere i suoi occhi meno tristi. Era strano, dopo quello che aveva vissuto solo poche ore prima, ma quella risata spronò tutti a rimettersi a lavoro. Lo dovevano anche a lei. 

Aaron e Elijah Austin si presentarono al distretto poco dopo l’ora di pranzo. Non avevano avuto molto da dire, volevano solo sapere chi avesse ucciso il figlio e la nuora. Kate provò a dirgli se volevano incontrare Joy, ma entrambi declinarono. Quella bambina, dissero, non faceva parte della loro famiglia e loro erano sempre stati contrari alla sua adozione da parte di Ethan e Lauren. Rimasero tutti pietrificati da quelle dichiarazioni così dure, anche Montgomery che li aveva sentiti appena uscito dal suo ufficio e che li invitò ad andare e a lasciargli fare il loro lavoro. Se avesse potuto, avrebbe trovato un pretesto per arrestarli.

L’assistente sociale era arrivata che era quasi sera e Joy sembrava di nuovo stanca, ma appena la vide le corse incontro, come aveva fatto con Castle.

- Ciao Emily! - Esclamò la piccola vedendola.

- Ciao tesoro! Mi dispiace tantissimo per quello che è accaduto a Ethan e Lauren.

Joy alzò le spalle e sospirò, non era menefreghismo, sembrava piuttosto rassegnata.

- Come stai? Ti senti bene? - Le chiese vedendola affaticata.

- Oggi è stata spesso stanca, è normale? - Chiese Castle intromettendosi.

- Sì, per Joy è normale… - rispose allo scrittore - Più del solito? 

Emily scostò i capelli dal volto della piccola, che scosse la testa con decisione.

- Devo tornare in istituto, vero? - Chiese all’assistente sociale.

- Ti sto cercando un posto dove stavi prima, almeno già conosci l’ambiente e i ragazzi, che dici? - Le rispose Emily cerando di essere il più comprensiva possibile

- No, per favore! - La supplicò

- Perché Joy? È un bell’ambiente, uno dei migliori! - Si era piegata per parlare meglio con la piccola che però sembrava molto turbata.

- Ti prego Emily! Poi mi prenderanno tutti in giro… - Joy aveva le lacrime agli occhi mentre l’assistente sociale l’abbracciava. Rick aveva assistito inquieto a tutta la scena.

Kate aveva parlato con Emily che aveva acconsentito affinché la detective provasse a chiederle qualche cosa di quella mattina. Sembrò quasi chiedere il permesso a Castle prima di andare nell’altra stanza con Beckett e lui, prima che l’assistente sociale se ne andasse con loro fermò la donna.

- Le posso parlare? - Chiese Rick molto serio.

- Veramente dovrei essere presente… - Disse indicando Kate e Joy.

- Non si preoccupi, Beckett non farà nulla che possa turbare la bambina.

- Cosa vuole sapere? - Chiese quindi Emily chiudendo la porta alle sue spalle.

- Di Joy… mi parli di lei…

Joy aveva 10 anni ed era ancora una bambina. Non di quelle bambine che si vedono spesso in giro che giocano a fare le adulte, vestite con abiti che scimmiottavano i grandi, ispirate da madri o sorelle maggiori. Joy era una bambina e si comportava da tale. Non aveva mai avuto un cellulare, amava i pupazzi, i libri, matite e colori per disegnare e i puzzle. Tutte cose con cui poteva giocare da sola, pensò tristemente Castle.

Emily gli aveva detto che era sempre stata così, piuttosto taciturna e che difficilmente passava troppo tempo a giocare con gli altri, non perché fosse asociale, ma stava bene così. Certo la sua malattia non l’aveva molto aiutata, più di qualche volta era stata presa di mira da qualche bambino con frasi poco gentili e quelle prese in giro crudeli che solo i bambini sanno fare nel loro parlare senza filtri. Joy era un po’ più piccola della media della sua età, aveva una carnagione molto chiara ed era spesso debole e stanca, anche per questo preferiva stare da sola, perché si vergognava quando i suoi amici correvano in giardino e lei, dopo poco, non ce la faceva. Però amava l’altalena, era lì che si rifugiava guardando la vita degli altri bambini, che andavano e venivano e da lì sperava che un giorno qualcuno sarebbe venuto a prendere anche lei. L’assistente sociale gli aveva raccontato di come una volta un bambino le aveva detto che a lei non l’aveva voluta nessuno, nemmeno sua madre, perché era sbagliata e Rick si sentì morire guardando quella piccola al di là del vetro che Beckett cercava in tutti i modi di far parlare e farla uscire dal suo mutismo, inginocchiata davanti a lei per essere alla sua altezza, senza però riuscirsi. Joy, secondo Castle, era bellissima. La sua pelle color porcellana era racchiusa da lunghi capelli castani e quegli occhi verdi velati di tristezza nascondevano un mondo che andava scoperto. Non sapeva perché, ma quella piccola lo aveva conquistato subito, appena l’aveva vista aveva provato un naturale istinto di proteggerla.

I signori Austin erano stati il primo esempio di famiglia vera ed affetto sincero che lei aveva avuto, ma era durato tutto meno di un anno ed ora si ritrovava di nuovo da sola, ancora più traumatizzata di prima.

- Signor Castle, è sicuro? - Gli chiese l’assistente sociale al termine della loro chiacchierata.

- Certo, se Joy lo vuole la prenderò con me.

- È un impegno importante, se ne rende conto? - Lo mise ancora una volta davanti a quelle responsabilità che lo avrebbero atteso.

- Ho tutte le possibilità per garantire a quella bambina il futuro che merita. Non mi manca il tempo né il denaro per farla vivere come si deve e darle tutto l’affetto possibile.

- Non crede che dovrebbe parlarne con la sua famiglia? Con sua figlia, magari. Se deciderà di far entrare Joy nella sua vita, dovrebbe essere informata e vorremmo evitare alla piccola il trauma di un nuovo abbandono se le cose non andassero bene. La sua scelta è stata così d’impulso, capisce cosa voglio dire, è per il bene di Joy che è la prima cosa che devo tutelare.

Era un’obiezione sensata alla quale lui non aveva pensato. Gli chiese, anche se era tardi, se poteva aspettare il tempo perché Alexis lo raggiungesse e ne parlassero, ma era certo che sua figlia non si sarebbe opposta. La chiamò e le chiese di farsi accompagnare da Martha lì al distretto. La donna gli disse che per il momento era meglio se non andava da lei, evitando di creare altri legami che sarebbe stato più difficile recidere in caso di parere negativo di sua figlia. Rimase quindi chiuso in quella stanza ed osservava dal vetro Beckett mettersi le mani nei capelli, esasperata per non riuscire a scalfire il muro di quella piccola chiusa in se stessa e poi la vide fare qualcosa che non si aspettava, prendere Joy in braccio e sedersi dove prima era lei. La bambina continuò a non dire nulla, ma Beckett aveva smesso di chiederle qualsiasi cosa, la vide solo appoggiarsi alla detective e chiudere gli occhi. Avrebbe sempre negato fino alla fine che in quel momento si era realmente commosso.

Alexis abituata ai colpi di testa del padre arrivò con sua nonna al distretto pronta a fare una lavata di capo a quel genitore bambino che si metteva troppo spesso nei guai. Era già stata molte volte lì negli ultimi mesi e ormai conosceva bene sia il detective Beckett, il capitano Montgomery e gli altri.

- Tuo padre ti aspetta di là - le disse Roy appena entrata nel corridoio cercando con lo sguardo suo padre, ed indicò una stanza con le tende parzialmente abbassate. Poteva intravedere la figura di Castle e quella di una donna che parlavano in tutta tranquillità, si stupì di non riconoscere nella sagoma quella di Kate, che era molto più alta della donna vicino a sua padre, che poi vide più in là seduta con una bambina addormentata in braccio. Seguita da Martha entrò nella stanza dove si trovava Rick.

- Scusate io… ho interrotto qualcosa? - Chiese la giovane.

- Oh no Pumpkin! Vieni! Lei è Emily…

La donna salutò la ragazza e Martha, poi li lasciò soli. Castle spiegò tutto quello che era accaduto e la sua idea di voler prendere in affidamento Joy. Martha gli chiese più volte se ne fosse sicuro, di tutte le difficoltà che avrebbe affrontato mentre Alexis osservava la piccola tra le braccia di Kate che si era appena svegliata ed ora parlava con l’assistente sociale. Osservò il suo sguardo attento mentre parlava con la donna e la vide scendere quasi imbarazzata dalle gambe della detective che subito le lasciò il posto mettendosi dall’altra parte del muro ad osservare anche lei le due.

- Allora, Alexis, tu che ne dici? Lo so che è una cosa che non dovrebbe essere decisa su due piedi, ma… È una situazione improvvisa. Io non voglio farti pressioni, se tu non vorrai io non sarò arrabbiato, però mi piacerebbe veramente dare una famiglia a quella bimba e la possibilità di avere una vita più felice possibile.

La giovane Castle rimase ancora un po' a pensarci. Si sarebbe trovata una sorellina di dieci anni, lei che era sempre vissuta sola con suo padre, al massimo sua nonna. Pensò per un attimo che lui non sarebbe più stato solo per lei e sospirò sentendosi tremendamente egoista. Rick sembro leggere i pensieri di sua figlia, si portò dietro di lei e le poggiò le mani sulle spalle.

- Tu rimarrai sempre la mia piccola Al, questo non cambierà mai, né quello che noi facciamo insieme. Non ci sarà nulla di meno per te, solo la possibilità di avere qualcuno in più da includere nella nostra vita, a cui insegnare le nostre storie e i nostri giochi.

- Va bene papà. Pensi che le piaceremo? Cioè noi non siamo proprio una famiglia normale…

- Siamo splendidi per questo, no? - Sorrise Rick facendo ridere anche le due donne. 

- Ciao Joy… Lei è mia figlia, Alexis e lei è mia mamma, Martha. - Castle e le sue donne erano usciti dalla stanza ed erano andati dalla bambina. Con un cenno aveva fatto capire ad Emily che era tutto ok, ora doveva solo sentire il parere della piccola.

- Ciao! - disse Joy timidamente.

- Senti, ti piacerebbe venire a stare da noi invece che andare in istituto? Avrai una stanza tutta per te e nessuno ti prenderà in giro, te lo prometto.

- Per quanto tempo? -  Chiese lei seria.

- Anche per sempre se vuoi. - Le disse Castle sorridendo. Beckett ascoltò stupita le parole di Rick, non pensava che potesse fare un gesto del genere. Joy, invece non sembrava molto sicura e guardò Emily più di qualche volta in cerca di risposte e studiò anche Alexis e Martha che le sorridevano benevole.

- Tu lo sai che io sono malata? Non è che poi mi riporti indietro quando sto male? - lo disse senza tono di rimprovero, ma come a voler essere sicura che lui fosse consapevole. Rimasero tutti colpiti dal realismo di Joy.

- Non ti riporteremo indietro, Joy. - Intervenne Alexis, suscitando un moto di ammirazione in Castle per sua figlia. - Ti va intanto di farmi vedere il tuo puzzle? 

Alexis le porse la mano e Joy dopo aver ricevuto l’assenso da Emily la prese ed andò con Martha nella stanza dove aveva lasciato le sue cose.

- Cos’è questa storia che sta male? - chiese Kate

- Joy è malata dalla nascita. Una cosa genetica, piuttosto rara nel nostro paese, thalassemia, anche in una forma piuttosto grave. - Rispose Emily. 

- Cosa comporta questo? - Chiese ancora Beckett ripetendo le stesse domande fatte da Castle prima.

- Beh, come vedete è fisicamente un po' più piccolina dei bambini della sua età, ma è molto sveglia. Purtroppo si stanca con facilità, quindi non sempre riesce a partecipare ai giochi con i suoi coetanei. Deve seguire una dieta specifica e fare delle trasfusioni ogni mese, più o meno.

- È un bell’impegno Castle… - commentò Beckett, non voleva scoraggiarlo, ma era ancora molto colpita dal suo gesto.

- Sì, ma quella bambina merita una famiglia, qualcuno che non la abbandoni solo perché malata, come hanno fatto dalla nascita.

- No credo che i suoi genitori lo sapessero - intervenne Emily - La sua malattia si è palesata poco prima che compisse due anni. Era da un paio di mesi in affido ad una famiglia, ma quando hanno scoperto che era malata, non hanno più voluto adottarla e la hanno riportata in istituto. È stata in affido ancora una volta, per circa sei mesi, ma anche questa coppia non se l’è sentita di occuparsi di lei e delle sue cure. Fino agli Austin. Lauren sapeva tutto di Joy, l’aveva seguita da tempo, si era anche informata per delle cure sperimentali per la sua malattia, ma servivano i genitori biologici e noi non abbiamo nulla. L’ultima volta che ho parlato con lei mi ha detto che stava chiedendo ad un investigatore privato di cercare qualcosa partendo dal suo fascicolo, ma non so se lo ha fatto realmente.

Kate sembrò molto interessata a questa notizia. Se Lauren aveva chiamato un investigatore privato magari questo aveva smosso delle acque che non dovevano essere toccate. Poteva essere una pista. Dovevano tornare a casa degli Austin e vedere se trovavano qualcosa. Stava per dirlo anche a Castle, ma lui sembrava non curarsene, completamente rapito dalla visione di Alexis e Joy che giocavano insieme, sotto lo sguardo attento di Martha.

- Sembra che si piacciono, che ne pensi Beckett? - Le chiese senza staccare lo sguardo da loro.

- Penso che Alexis sarà la migliore sorella maggiore che Joy potesse avere. Almeno avrà un’adulto vicino! - lo punzecchiò là detective facendolo sorridere.

- Emily, pensi che potrei chiedere a Joy di prelevare un campione di DNA? Questa storia della ricerca dei suoi genitori naturali potrebbe essere una pista per scoprire chi ha ucciso gli Austin e se è qualcuno nei nostri archivi ci arriveremo prima che cercando questo ipotetico investigatore privato. - Nel frattempo si erano avvicinati anche Ryan ed Esposito, interessati all’idea di Kate.

- Sì, non ci sono problemi. - poi si rivolse a Castle - Noi dovremmo compilare dei moduli. Vuole proseguire?

- Sì certo. Cosa le serve?

Castle ed Emily si spostarono su una scrivania e la donna tirò fuori dalla borsa alcuni documenti e la cartellina di Joy.

- Ho capito bene Beckett? Castle vuole prendere in affidamento la bambina? - Chiese stupito Javier.

- Esatto Espo, ma questi sono affari che non ci riguardano, almeno non fino a quando non dovremo interrogare di nuovo Joy e ci servirà la sua autorizzazione. Tu e Kevin tornate all’appartamento di Lauren. Cercate qualsiasi cosa che possa ricondurre ad un investigatore privato.

- Potremmo andare anche al suo studio - propose Kevin.

- Sì, ma ora è tardi. Ora andate a casa, domattina andremo nel suo studio e nell’ospedale dove lavorava. Io adesso vado da lei, così manderò subito il campione alla scientifica. 

- Ehy ragazze, vi posso interrompere un attimo? - chiese Kate ad Alexis e Joy intente a comporre il puzzle.

- Ciao Kate! - la salutò la giovane Castle.

- Ciao Al, Joy vi state divertendo?

- Sì. Alexis ha detto che anche lei amava i puzzle come me!

- Anche io amavo i puzzle Joy! - Esclamò la detective accarezzandole i capelli mentre cercava di far combaciare due tessere che però non si incastravano insieme e Kate l’aiutò porgendogliene un’altra per completare quella parte. La piccola la ringraziò con un sorriso.

- Senti, ti va di fare una cosa per me? Dovrei esaminare il tuo DNA, ti va di aiutarmi per fare questo test? - Kate non sapeva proprio come dire tutto quello ad una bambina facendolo sembrare meno complicato.

- Mi farà male? - Chiese Joy preoccupata lasciando le tessere e guardando la detective.

- No piccola! Devo solo passare questo bastoncino nella tua bocca e nulla di più! - provò a rassicurarla.

Joy aprì timidamente la bocca e lasciò che Kate prendesse un campione del suo DNA.

- Visto? Nessun dolore, giusto? - Le sorrise la detective.

- Sì, giusto. - Le rispose la piccola.

- Ti lascio giocare con Alexis. - Le diede un bacio tra i capelli ed uscì dalla stanza mentre Martha la salutò accarezzandogli il braccio.

- Agente McGowan! - Beckett chiamò un agente seduto alla scrivania davanti a lei. - Porta questo campione alla scientifica. Mi raccomando, è della massima urgenza, è del caso degli Austin.

Il ragazzo prese la tubetto con dentro il bastoncino con il campione di Joy e andò subito via. Vide Emily che entrava da Joy e Alexis e Rick rimasto solo seduto alla sua scrivania.

- Allora Castle, ti piace stare al mio posto? - Chiese arrivando davanti a lui con le braccia incrociate. Lui vedendola si alzò di scatto preoccupato di essere ripreso, facendola ridere. - Ti concedo di stare lì, ma non ci fare l’abitudine!

La detective andò ad aggiungere nella loro lavagna il particolare del detective e delle indagini sui genitori di Joy, poi si sedette sul bordo della scrivania, osservando le poche prove che avevano raccolto.

- Cosa ne pensi Castle? - Gli chiese dopo un po’ di strano silenzio tra loro. Aveva bisogno di una delle sue idee, anche di quelle strambe, voleva sempre che lui non parlasse, ma quella situazione la metteva a disagio.

- Ho firmato i fogli, ho preso Joy in affidamento. - Le disse lui serio, disinteressandosi per una volta del caso. - Pensi che ho fatto bene?

- Hai dei dubbi su quello che hai fatto? Fino a poco fa ne eri entusiasta. - Kate fu stupita della sua domanda.

- Sono convinto, mi chiedo se sia veramente il meglio per lei. - Ammise.

- Penso che sia fortunata. - Beckett continuò a fissare la lavagna, si sentiva a disagio a fare certi discorsi con lui, così seri, così diversi dal solito.

- Lo pensi veramente? - Chiese stupito.

- Sì, Castle, lo penso veramente. - Gli disse guardandolo negli occhi, cercando di rassicurarlo. Era la prima volta che lo vedeva così insicuro e gli fece quasi tenerezza.

Castle uscito dal distretto fermò un taxi. Lui, Martha, Alexis e Joy salirono per andare al loft, mentre Emily li seguì con la sua auto. La piccola si guardava intorno curiosa ed attenta. Se ne stava ferma tra Alexis e Martha, cercando di non muoversi, preoccupata di disturbare. Il tassista prese una curva un po’ più veloce delle altre e Joy urtò Martha: immediatamente si scusò, ma l’attrice la prese sottobraccio avvicinandola di più a se, rassicurandola con un ampio sorriso che tutto andava bene. Joy annuì e si rilassò, mentre Alexis le prese la mano per cercare di farle sentire anche la sua vicinanza. Castle si voltò per un attimo a guardare quel quadretto, intimamente grato a sua madre e sua figlia per aver approvato la sua decisione.

Arrivati sotto al loft aspettarono Emily e poi insieme salirono fino all’ultimo piano. In ascensore Joy era rimasta in silenzio, vicina all’assistente sociale, quella donna era l’unica figura costante presente nella sua vita, l’unica della quale si fidasse o con la quale si sentisse al sicuro. Famiglie e genitori erano andati e venuti, Emily da quando si ricordava c’era sempre stata. Per questo Joy era diffidente ed aveva sempre paura di disturbare, perché era sempre accaduto qualcosa che l’aveva allontanata da ogni idea di famiglia che aveva avuto ed ora aveva paura ad affezionarsi ancora. Rick, Alexis e Martha erano simpatici, ma lei ormai era convinta che prima o poi anche tutto quello sarebbe finito.

Entrati dentro casa Joy studiò quel posto a bocca aperta. Era più grande di qualsiasi altra casa nella quale era mai stata ed era il più strano, pieno di cose curiose. Rick disse ad Alexis di portare Joy a farle fare un giro del loft e le due sparirono per qualche minuto.

- Signor Castle, domani sarebbe il caso che vada a parlare con il medico di Joy, così le potrà dire di più sulla sua malattia e come dovrà comportarsi. Come le dicevo, Joy dovrà seguire una dieta apposita, nulla di particolare, ma ci sono alcuni accorgimenti da seguire. Poi dovremmo anche andare alla scuola che frequentava Joy per informarli della novità. È un po’ distante da qui, ma credo che sia meglio per quest’anno non spostare la bambina.

- Certo, non è un problema. Domani va benissimo. Per la scuola faremo quello che è meglio fare, ma pensavo che per i prossimi giorni, vorrei tenere Joy a casa, per avere modo di farla ambientare e conoscerci meglio. - Rick rispose ad Emily del tutto disponibile a qualsiasi impegno.

- Certo, ma non si dimentichi che è bene che la bambina continui nella sua quotidianità. 

- Sicuramente. Solo un paio di giorni. - Precisò Rick che non voleva dare una brutta impressione all’assistente sociale.

- È solo un proforma, ma le dispiace se vediamo la camera dove starà Joy?

Rick la condusse al piano superiore spiegandole che nei prossimi giorni, avrebbe provveduto per trasformare quella che ora era solo la stanza nella migliore cameretta possibile per la bambina. Emily non si trattenne ancora a lungo, salutò Joy dicendole di chiamarla in qualsiasi momento se aveva bisogno di qualcosa, dandole appuntamento alla mattina successiva.

- Sei uno scrittore? - Chiese Joy a Castle una volta che Emily se ne era andata.

- Sì, sono uno scrittore. Te lo ha detto Alexis?

- No, ho visto lì i libri con il tuo nome scritto sopra. - Disse indicando lo studio.

- Complimenti, hai un ottimo spirito di osservazione! E cosa altro ai visto?

- Uhm… tanti libri, tanti videogiochi, ti piacciono i leoni c’è una foto grande nella tua camera! - Joy sembrava già più a suo agio.

- Che ne dite se mangiamo qualcosa? Cosa vorresti mangiare piccola? - Chiese Martha gioiosamente alla bambina.

- Joy, tu sai cosa puoi mangiare e cosa no? - Le chiese Castle gentilmente.

- Io vorrei tanto mangiare una pizza. - Disse la bambina esprimendo per la prima volta un vero desiderio da quella mattina.

- Ok, allora per questa sera prenderemo delle pizze. Poi domani parliamo bene con il dottore, ok?

Joy annuì sorridendo e Castle ordinò subito delle pizze per cena. Ingannarono l’attesa guardando la tv e Alexis trovò subito qualcosa che catturò l’attenzione della piccola facendole vedere alcuni episodi di Hannah Montana. Castle se lo dimenticava, ma la differenza di età tra sua figlia e Joy era di poco più di cinque anni, così si divertì nel sentirle commentare High School Musical, che era il film preferito di entrambe.

- Hai fatto un grande azzardo questa volta ragazzo, ma credo che potrebbe anche andare bene. - Gli disse Martha mentre andava ad aprire la porta al fattorino delle pizze. Rick sorrise, richiamando l’attenzione delle ragazze per comunicare che era pronta la cena. Joy aiutò Alexis a finire di apparecchiare, mentre quattro cartoni di pizza fumante erano già pronti in tavola. Sia Castle che Martha furono impressionati dall’educazione e dalla compostezza di quella bambina cresciuta di fatto senza genitori. Chiese solo timidamente a Rick se poteva aiutarla tagliandole in spicchi più piccoli la sua pizza, aiuto che non tardò ad arrivare, dividendo ancora una volta ogni trancio già fatto, mentre le raccontava di come anche ad Alexis faceva sempre la stessa cosa.

Joy mangiò solo qualche piccolo spicchio, poi la stanchezza di quella giornata stressante ebbe la meglio su di lei, resistette fino a quando anche gli altri non finirono di mangiare, poi chiese a Castle se poteva andare a dormire e lui, vedendola veramente distrutta, la prese in braccio accompagnandola al piano superiore. Le fece vedere la sua stanza, la prima alla fine delle scale, davanti a quella di Martha e subito dopo c’era quella di Alexis.

- Nei prossimi giorni andremo a scegliere dei mobili più adatti a te, che ne dici? - Le chiese mentre lei si sedeva sull’enorme letto matrimoniale.

- Grazie, ma va bene anche così.

- Oh no, hai bisogno di una camera tua con le tue cose!

- Lauren e Ethan mi avevano comprato delle cose.

- Domani chiediamo al detective Beckett se possiamo andarle a prendere, che ne dici?

- Ci farà andare nella mia vecchia casa?

- Se glielo dici tu, sono sicuro di sì.

Alexis entrò con in mano dei vestiti.

- Sono delle magliette di quando ero più piccola… Se vuoi per dormire puoi mettere queste. - Disse a Joy lasciandole gli abiti sul letto e poi augurandole la buonanotte, ricordandole che, se avesse avuto bisogno, sarebbe stata nella camera vicino.

Rick si propose di aiutarla a cambiarsi, ma Joy era molto autonoma e fece tutto da sola. L’accompagnò in bagno dove la piccola si lavò diligentemente i denti e poi tornò in camera dove la mise a letto. 

- Sei sicura che non vuoi che rimango qui con te? - Le chiese Rick stupito dal fatto che accettasse di rimanere sola in un posto sconosciuto dopo quella giornata traumatica.

- Sì. - Rispose sicura.

- Ok, allora rimango solo un po’ solo fino a quando non dormi, posso?

- Va bene. - Gli rispose mentre si adagiava in un angolino del letto sprofondando tra i cuscini. Rick le diede un bacio mentre abbassava la luce senza spegnerla del tutto, attendendo che si addormentasse.

- Di tutti i colpi di testa della tua vita, Richard, questo è sicuramente quello più sorprendente e azzardato! - Gli disse Martha con un bicchiere di Martini in mano appena il figlio fu sceso.

- Sì, lo penso anche io. - Ammise buttandosi sul divano rendendosi pienamente conto solo in quel momento della sua scelta avventata.

- Perché quella bambina, Richard? Ne hai visti tanti di piccoli in difficoltà anche durante le tue serate di beneficenza, perché proprio lei? - Chiese sua madre sedendosi vicino a lui.

- Non lo so. Joy… ha qualcosa di speciale. Mi ha conquistato subito, mamma.

- Sicuramente è una bambina molto in gamba e purtroppo si vede che non ha avuto un’infanzia spensierata come gli altri bambini. - Commentò amaramente l’attrice finendo il suo drink.

- Farò tutto il possibile perché le cose cambino, perché da ora in poi viva la vita migliore possibile.

Un urlo proveniente dal piano superiore fece scattare immediatamente in piedi Castle che salì velocemente le scale. La porta della camera di Joy era aperta e con lei c’era Alexis che cercava di calmarla. Rick diede un bacio a sua figlia, dicendole di non preoccuparsi e di tornare a dormire, prendendo poi tra le sue braccia Joy.

- Ehy JJ, cosa c’è che non va?

- Lauren e Ethan… dicevano di non fargli del male… - disse tra le lacrime la piccola.

- A chi lo dicevano Joy? - Chiese Rick

- A due persone quelle che poi… - i singhiozzi la interruppero e Rick la strinse di più a se. Joy si rannicchiò contro il suo petto.

- Va tutto bene ora piccola, qui non ti farà del male nessuno.

- Lauren e Ethan mi mancano. Io… gli volevo bene, erano buoni. 

- Certo che gliene volevi, Joy. Non ho mai pensato il contrario. Ti va di farmi un po’ di spazio qui nel letto con te? Così non dormo da solo questa notte? 

Non aspettò la sua risposta, si mise nel letto con la piccola, che subito lo abbracciò addormentandosi di nuovo poco dopo. Lui, invece, non riuscì a prendere sonno in fretta. Pensò a quello che gli aveva detto Joy, che poi avrebbe dovuto riferire a Beckett, non era molto, ma sapere che erano in due poteva già essere un indizio e forse la piccola avrebbe ricordato anche dell’altro. La sentì agitarsi più volte quella notte, ma fortunatamente non si svegliò più.

- Beckett, sei ancora qui?

Montgomery era appena uscito dal suo ufficio per andare a casa, era stato trattenuto fino a tardi per dei rapporti urgenti da controllare, quando vide Kate ancora piegata sulla sua scrivania ad esaminare quel poco che avevano sull’omicidio degli Austin.

- Sì Capitano, stavo controllando ancora le foto della scena del crimine.

- Scoperto qualcosa? - Le chiese voltando un paio di foto per guardarle meglio.

- Emily, l’assistente sociale che si occupa di Joy ha detto che Lauren Austin aveva assunto o voleva assumere un investigatore privato per scoprire chi sono i genitori biologici della bambina, per una cura sperimentale.

- Potrebbe essere una pista.

- Sì signore. Ho mandato Esposito e Ryan a controllare di nuovo l’appartamento ma non hanno trovato nulla. Domani andremo in ospedale ed allo studio dove lavorava.

- Certo. Fate fare anche un controllo sui loro conti bancari e dite alla scientifica che ha preso i loro computer di cercare qualcosa anche in questa direzione.

- Va bene capitano. - Rispose Kate senza guardarlo mentre fissava con insistenza la scheda di Joy.

- Cosa c’è che ti turba in questo caso, Beckett?

- Nulla, signore. È solo mi ricorda molto una vecchia storia che ho seguito prima di entrare alla omicidi.

- Pensi che siano collegate? - Roy si fidava molto dell’intuito di Kate e se qualcosa attirava così tanto l’attenzione doveva esserci un motivo.

- No, signore. Ci sono solo molte analogie, tutto qui.

- D’accordo, ma ora vai a casa Beckett e riposati. Tanto qui non c’è più niente che puoi fare per oggi e domani ti voglio fresca e riposata. - Montgomery le sorrise prima di andare via. Sapeva che la sua detective sarebbe rimasta lì ancora un po' ed in effetti Beckett fece proprio così.

Kate si decise a tornare a casa in quella calda sera di inizio estate, preferendo passeggiare un po’ per riordinare le idee. Tutto quello che era accaduto in quella giornata aveva riportato alla sua mente ricordi che di solito teneva ben chiusi a chiave. Prese il telefono e provò a chiamare Castle, anche se era già tardi, lui di solito era sempre sveglio a quell’ora. Voleva sapere come stavano andando le cose, come stava la bambina e come la sua famiglia aveva assorbito tutto quel turbinio di eventi. Alla fine era andato via quasi senza salutarla e solo in quel momento si rese conto che probabilmente la loro collaborazione forzata adesso sarebbe finita o quantomeno avrebbe avuto un taglio drastico. Rick doveva prendersi cura di Joy, una bambina che aveva bisogno di particolari attenzioni, non poteva certo passare tutto il giorno ad elaborare teorie con lei al distretto sui casi di omicidio. Pensò che in fondo le dispiaceva non averlo più tra i piedi, si era abituata a lui e alla fine doveva ammettere che era stato utile per risolvere molti casi, anche se non glielo avrebbe mai detto. 

Fece squillare il telefono a lungo, ma Castle non rispose. Forse quello era già un segno, pensò, scalciando un sassolino sul marciapiede di una strada deserta.

- Buongiorno Joy! Grazie di avermi fatto dormire con te questa notte!

La piccola si era appena svegliata, si stropicciava gli occhi stupita di trovarsi ancora abbracciata a Rick che la guardò sorridendole.

- Sei rimasto qui tutta la notte? - Le chiese per esserne certa.

- Sì, ti avevo detto che avevo bisogno di qualcuno che mi facesse compagnia per dormire ed Alexis ormai è troppo grande e non vuole più.

- Nemmeno io sono una bambina piccola. So perché lo hai fatto.

- Uhm? Perché l’ho fatto? - Gli chiese interessato al suo punto di vista.

- Perché ieri sera ero spaventata e piangevo. - Disse Joy sicura.

- Questa potrebbe essere una buona motivazione. Ti è dispiaciuto?

- No. È stato bello. Grazie.

- Quando vuoi Joy! - Rick si alzò, lasciandola sola nel lettone, ma la bambina subito si tirò su guardandolo attenta.

- Credo che tra poco dovrei andare a scuola. Mi accompagni tu?

- Oggi niente scuola, Joy. Dobbiamo andare dal tuo medico, mi deve spiegare un po’ di cose, poi dobbiamo passare a salutare la detective Beckett e chiederle se possiamo andare nella tua vecchia casa a prendere le tue cose, ricordi?

- È un problema se non vado a scuola? - Si informò preoccupata.

- No, JJ, vedrai che se per un paio di giorni salti la scuola non succede nulla, parlerò io con le tue insegnanti e se rimarrai indietro sono sicuro che Alexis ti aiuterà volentieri, lei è molto brava.

Rick scese a preparare la colazione dopo essere stato a salutare anche Alexis che si stava preparando per andare a scuola. Vide il suo cellulare sul tavolo della cucina e appena acceso il display notò due chiamate di Beckett della sera precedente e la richiamò immediatamente.

- Beckett! - Rispose la detective che probabilmente non aveva notato chi la stava chiamando.

- Ciao Detective, sono Castle, è successo qualcosa?

- Ciao Castle, no, nulla, volevo solo sapere come stavi… cioè, come stava Joy e come andavano le cose.

- Bene, solo ieri sera ha avuto degli incubi e sono rimasto a dormire con lei, per questo non ti ho risposto. - Si giustificò lui.

- Non ti preoccupare, Castle…

- Senti Beckett, ti dispiace se passiamo al distretto dopo? Io dovrei prendere delle cose per Joy a casa degli Austin e…

- Certo, Castle, vi accompagno io, sarà un piacere rivedere Joy.

- Non è solo questo. Ieri sera mi ha detto di aver visto due uomini a casa. Credo che lei abbia assistito all’omicidio di Ethan e Lauren e che ricordi di più di quello che ha detto.

- Sì, lo penso anche io.

- Non vorrei però farla sottoporre ad un interrogatorio al distretto, capisci cosa voglio dire? Non voglio che si stessi ancora di più.

- Sì, Castle. Ne parlo con Montgomery e vediamo cosa possiamo fare. A dopo allora.

- A dopo Beckett.

Castle aveva preparato una delle sue solite colazioni speciali. C’era tutto quello si poteva volere: uova, bacon, pane tostato, pancakes, muffin, biscotti, latte, tè cereali… non sapeva cosa mangiasse Joy alla mattina così aveva fatto di tutto, per non sbagliare.

- Quanti siamo a colazione oggi papà? - Chiese Alexis scendendo già pronta con il suo zaino.

- Direi quattro. - Rispose osservando la tavola.

- Ah, pensavo che avessi invitato tutto il palazzo. Joy sta scendendo ed anche la nonna.

Non fece in tempo a finire la frase che Martha con la nuova arrivata fecero capolino dalle scale. Si ritrovarono tutti e quattro a tavola insieme, Alexis con i suoi pancakes e Joy con una tazza di latte con i cereali che mangiavano sotto lo sguardo attento di Martha e Castle.

La scuola di Alexis era di strada e Rick con Joy la accompagnarono prima di andare all’ospedale che gli aveva indicato Emily. Conosceva quella struttura per fama, qualche tempo prima aveva anche partecipato ad un asta benefica per raccogliere fondi proprio per il reparto pediatrico, ma non ci aveva mai messo piede dentro. Vedere tanti bambini in condizioni estremamente serie fu un pugno allo stomaco ed istintivamente strinse più forte la manina di Joy percorrendo il corridoio con i tanti disegni alle pareti. Fu in pratica lei a condurlo proprio davanti lo studio del dottor Thompson, segno che ormai quella strada la conosceva bene. Aspettarono l’arrivo di Emily che poi convinse Joy ad andare nella sala giochi con gli altri piccoli ospiti mentre loro parlavano con il medico.

Lo studio del dottor Thompson era pieno di giocattoli di ogni tipo in ogni angolo, anche sulla sua grande scrivania di legno. Rick ed Emily si sedettero davanti al dottore che li salutò cordialmente.

- Molto piacere signor Castle, sono il dottor David Thompson, mi occupo di Joy da quando le è stata diagnosticata la sua malattia. - Si presentò il dottore stringendo con vigore la mano dello scrittore. - Immagino che se è qui con Emily è perché Joy adesso si trova da lei, mi ha accennato cosa è successo a Lauren, una vera tragedia.

- Già… Ho chiesto l’affidamento di Joy e già da ieri sera sta da me.

- Sa qualcosa della sua malattia?

- In realtà no, nulla.

- Joy soffre di una delle forme più gravi di Beta Talassemia. La cosa che spaventa di più che si deve occupare di bambini con questa patologia è il fatto che Joy ha bisogno di trasfusioni piuttosto frequentemente, una volta ogni venti giorni, circa, nel suo caso e queste spesso subito dopo portano a febbre o malesseri vari, ma si risolvono in modo relativamente veloce, il tempo che l’organismo si abitua alle sostanze immesse. È preoccupato signor Castle? - Il dottor Thompson si fermò, vedendo Rick molto colpito.

- No è solo che sto pensando a cosa deve passare Joy per questo.

- Joy è una bambina molto forte, raramente ne ho viste così piccole accettare la sua situazione come lei, oltretutto senza mai avere il supporto di una vera famiglia alle spalle. 

- Da cosa dipende la sua malattia? Si può fare qualcosa?

- È una malattia genetica caratterizzata da una minore quantità di emoglobina e di globuli rossi. Probabilmente i genitori non sapevano di essere portatori sani. Al momento esiste solo una terapia sperimentale, ma per effettuarla serve almeno uno dei genitori, Lauren non si dava pace per questo.

- Portatori sani senza saperlo… non si può essere così superficiali con la vita di un bambino! - scosse la testa Castle.

- Purtroppo da noi è una malattia piuttosto rara. Lei ha figli signor Castle? - Lo interruppe il dottore.

- Sì, una.

- Ha fatto il test per escludere che sia portatore sano anche lei?

- No ma…

- Lo aveva fatto sua moglie?

- Nemmeno - Ammise lui scuotendo la testa.

- Quindi è stato superficiale anche lei. - Non glielo disse con cattiveria, ma con un sorriso bonario. Rick, comunque, si sentì mortificato.

- Probabilmente sì. - Sospirò Castle, ma il medico fece finta di non sentirlo e tornò a parlare di Joy.

- Una persona che soffre della patologia di Joy nel corso della sua vita andrà incontro a maggiori probabilità di incorrere in altre disfunzioni che possono riguardare prevalentemente il cuore che è il più sollecitato, ma anche il fegato e la milza e molti nel corso degli anni possono sviluppare anche il diabete e problemi alle ossa. - Per Rick ogni parola era come una coltellata. Aveva intuito che era una situazione grave, ma non immaginava fino a quel punto. - Molte di queste sono diretta conseguenza delle tante trasfusioni e del sovraccarico di ferro che nell’organismo.

- Quindi la cosa che la fa sopravvivere è la stessa che la danneggia. - Concluse Castle amaramente.

- Sì, ma è le trasfusioni al momento sono l’unico mezzo per farla sopravvivere. L’aspettativa di vita dei pazienti colpiti da Beta Talassemia è molto aumentata negli ultimi anni. Oggi la maggior parte dei pazienti opportunamente trattati supera i cinquant’anni e solo fino a dieci anni fa, difficilmente superavano i trenta.

- Dovrebbe essere incoraggiante? - Disse Rick contrariato.

- Sì, perché la ricerca sta facendo molti passi avanti e Joy è ancora piccola. Magari tra qualche tempo potrà esserci una cura alternativa.

Nel resto della loro conversazione, il dottor Thompson spiegò a Rick quale era la dieta che doveva seguire Joy, prevalentemente doveva fare attenzione ai cibi ricchi di ferro e contenenti molti zuccheri, nulla di particolarmente complicato. Gli diede una tabella e gli consegnò anche una copia della scheda di Joy con segnate le date delle ultime trasfusioni ed i suoi valori, ricordandogli che sarebbero dovuti tornare la settimana successiva.

Emily e Rick uscirono da lì e si fermarono a vedere Joy e gli altri bambini giocare.

- Sempre sicuro signor Castle?

- Ancora più di prima. Solo che è difficile accettare che una bambina debba vivere tutto questo.

- Joy è molto forte. Lei ha accettato con grande serenità la sua condizione e non si piange mai addosso. Ogni volta che viene qui mi dice che lei è fortunata, non come gli altri bambini che stanno sempre qui, quelli con la mascherina. Poi si accorge che ogni tanto qualcuno non lo vede più ed allora capisce cosa gli è accaduto, perché difficilmente tornano a casa.

Joy salutò Emily fuori dall’ospedale, Rick si sentì ancora più protettivo verso quella bimba dopo aver parlato con il suo medico.

- Va tutto bene? - Le chiese quando furono soli in macchina.

- Io sì, tu? - Chiese a sua volta la bambina.

- Sì.

- Hai parlato con David. - Non era una domanda, Joy sapeva esattamente perché erano andati lì.

- Sì, esatto.

- Ti ha detto di me? - Era un po’ ansiosa di sapere come era andata la conversazione, ma Rick fece di tutto per rassicurarla.

- Sì, mi ha detto tutto.

- Vuoi sempre tenermi con te? - Erano in quei momenti che cadeva la sua maschera da piccola adulta per tornare quella che era, una bambina di dieci anni.

- Tu vuoi sempre stare con noi?

- Sì, non siete male. - Gli disse osservandolo mentre guidava, sollevata. Rick e la sua famiglia le piacevano molto, erano diversi da tutte le famiglie dove era stata, ma in senso positivo.

- Grazie. Adesso andiamo da Beckett così ci porta a prendere le tue cose, va bene?

Joy annuì e Rick continuò a guidare ostentando un sorriso che dentro non aveva dopo la chiacchierata di quella mattina in ospedale.

Appena scesi dall’auto Joy prese la mano di Rick. Prima di entrare al distretto si fermarono nella caffetteria all’angolo dove Castle prese un caffè per Beckett e poi ed insieme entrarono al distretto. La trovarono sola alla sua scrivania che li stava aspettando.

- Tieni, per te. I ragazzi? - Chiese Castle mentre le lasciava la tazza vicino ai fogli che stava leggendo.

- Grazie Castle. - Beckett prese il caffè ancora fumante e ne bevve subito un lungo sorso. Ne aveva proprio bisogno. - I ragazzi sono andati allo studio di Lauren a cercare delle informazioni.

- Ci sono novità?

- No, nessuna. Ma ora sarà meglio andare, non credo che Joy si diverta a stare qui con noi anche oggi.

- Non c’è problema detective Beckett. - Disse la piccola intromettendosi.

- Ehy, te l’ho detto anche ieri, chiamami solo Kate.

- Ok. Allora non c’è problema Kate. - La detective sorrise passandole una mano tra i capelli.

Kate tolse i sigilli dall’appartamento degli Austin e fece entrare Joy e Rick. Andarono diretti nella camera della piccola, mentre Beckett approfittò per cercare qualcosa nello studio, ma vide che Ryan ed Esposito avevano già portato via tutto. Curiosò in giro, per vedere se le fosse sfuggito qualcosa poi andò dai due che erano intenti a riempire una grande valigia trovata nell’armadio di Joy.

- Lì ci entrano tutte le mie cose, quelle che avevo prima… - Disse la bambina a Kate che li osservava notando che ora aveva molte più cose e non entrava tutte.

- Possiamo sempre tornare a prendere il resto tra qualche giorno. - Le propose Beckett e Joy annuì, andando poi su quello che era il suo letto e prendendo un vecchio peluche a forma di coniglietto.

- Questo non lo vuoi? - Le chiese Kate prendendone un altro più nuovo.

- Posso?

- Credo che sono i tuoi, no? Certo che puoi. - Le disse passandole l’orsacchiotto ed una bambola mentre Rick continuava a prendere i suoi vestiti dall’armadio e dai cassetti.

- Per oggi direi che abbiamo preso un bel po' di cose. Possiamo andare ragazze! - Disse Castle mostrando la valigia piena. 

- Devo prendere anche lo zaino con i libri per la scuola! - Esclamò Joy e Kate si offrì di aiutarla a prendere i suoi libri e di portare lo zaino mentre lei teneva strette le sue bambole e peluches.

Usciti dal palazzo, caricarono tutto nel portabagagli della Mercedes di Castle parcheggiata proprio davanti al portone.

- Noi dobbiamo andare a vedere delle cose per la camera di Joy, ti va di venire con noi Beckett?

- Dovrei tornare al distretto, in realtà.

- Dai detective, sono sicuro che troverai qualcosa di interessante anche venendo con noi!

Così Beckett accompagnò Castle e Joy in un negozio specializzato in mobili per ragazzi dove la bambina dovette vincere la sua timidezza scegliendo il modello che le piaceva di più. Alla fine era rimasta colpita da una piuttosto semplice, con i mobili bianchi e beige con le rifiniture lilla che aveva trovato la piena approvazione di Beckett, mentre Castle voleva convincerla ad osare di più, con colori più vivaci o disegni, ma lei trovava tutto quello che le proponeva lui troppo eccessivo.

Avevano dovuto spiegare a tutti gli impiegati con cui parlarono che non erano una coppia, e all’ennesima volta che Castle e Beckett ripeterono la stessa cosa ad una signora piuttosto svampita che doveva fargli scegliere le tonalità di colore, Joy rise nascondendosi la bocca dietro le mani, quando questa insistette dicendo che era strano, perché la bambina assomigliava molto ad entrambi. Alla fine rimasero d’accordo con il capo arredatore che sarebbero passati il giorno successivo al loft per prendere le misure precise della stanza e Castle insistette, facendo capire che non aveva problemi a pagare un extra, perché tutto venisse realizzato nel più breve tempo possibile. 

- Hai scelto veramente una bella camera, Joy! - Si complimentò Kate facendo sorridere la bambina.

- Veramente vuoi prendere una camera per me? E se poi non mi tieni più e quella che ho scelto non ti piace? - Chiese Joy a Castle appena fuori.

- Certo che mi piace quella che hai scelto tu! E poi erché non dovrei tenerti più? - Le domandò Rick. Joy scrollò le spalle.

- Perchè è sempre successo così.

- Questa volta sarà diverso, te lo prometto. - Provò quindi a rassicurarla.

- Joy, Castle ha molti difetti che non ci metterai molto a scoprire, ma sono sicura che lui sarà diverso dagli altri. - Beckett aveva ascoltato il loro scambio e provò anche lei a tranquillizzarla sulle intenzioni serie di Rick e non lo disse tanto per fare, ma era veramente convinta di quello che aveva detto alla bambina.

Arrivati al distretto Rick lasciò qualche minuto Joy con Esposito e Ryan per parlare solo con Beckett.

- Speravo che si creasse l’occasione per chiederle dei due che aveva visto, mi dispiace averti fatto perdere tempo. - Si scusò Castle.

- Lo avevo capito, nessun problema, un tentativo andava fatto.

- Senti, perché finito il lavoro non vieni a cena da noi al loft? Magari lì sarà più facile farle qualche domanda, che ne pensi?

- Mi stai invitando a cena Castle? - Lo schernì Beckett.

- Sì… no. Cioè sì, ma non in quel senso lì, quello che pensi tu! - Balbettò imbarazzato.

- Quale senso sto pensando io Castle? Io non pensavo in nessun senso, volevo solo avere la conferma che era un invito a cena! - Si prese gioco di lui.

- Questa me la paghi Beckett! - Le disse mentre la detective ancora sghignazzava.

- Cosa succede di divertente Kate? - Chiese Joy accompagnata da Ryan ed Esposito.

- Oh nulla piccola, è solo Castle che ha qualche problema con il senso delle frasi! - Beckett rise ancora e Joy la guardò perplessa, ma sorrise anche lei.

- Dai JJ, saluta Kevin e Javier! - Rick la invitò e lei lo fece subito.

- E Kate?

- Beckett verrà a cena da noi stasera.

- Sempre che a te faccia piacere, Joy! - Le chiese la detective.

- Certo, molto piacere! - Replicò la bambina.

Era passato anche Montgomery a salutare Castle e Joy, poi Beckett rimasta sola con Ryan ed Esposito si fece aggiornare su quanto scoperto quella mattina e c’era una succulenta novità.

- Analizzando i conti di Lauren abbiamo trovato un assegno incassato da Lewis Burns, un ex poliziotto che da qualche anno è diventato investigatore privato. - Le spiegò Ryan

- Ottimo, andate a cercare questo Burns e portatelo qui, con tutto il materiale che ha trovato su Joy ed il suo passato, se ha trovato qualcosa.

Burns arrivò con i due detective poche ore dopo. Si dimostrò gentile e collaborativo, cosa strana per la categoria degli investigatori privati, sempre molto restii a condividere informazioni. Non aveva scoperto molto su Joy. Era stato nell’ospedale dove era nata ma l’infermiera Margaret Johnson che si era occupata di lei dopo che era stata abbandonata dalla madre, non lavorava più lì e solo una sua collega aveva qualche vago ricordo di quella bambina, partorita da una ragazza madre, ma non gli seppe dire di più. Burns aveva poi cercato la Johnson, ma aveva scoperto che era morta qualche anno prima in un incidente stradale, quindi la sua ricerca era al punto di partenza. L’ex poliziotto era stato molto scrupoloso, fin troppo secondo Esposito, perché confessò che tramite un suo amico dell’immigrazione, aveva fatto confrontare il DNA di Joy con quello delle ragazze fermate entrate illegalmente nel paese ed anche con l’archivio della buoncostume, ma non c’era stato nessun riscontro.

- So che non avrei dovuto farlo, ma volevo veramente trovare i genitori di quella bambina, era per una giusta causa. - Si giustificò Burns

- Certo, come i 15.000 dollari che le ha dato la signora Austin, cosa erano, un acconto? - Lo incalzò Kate.

- Sì, altri 15.000 se avessi trovato almeno uno dei due genitori, però veramente, so che era questione di vita o di morte per Joy, o almeno così mi aveva detto la dottoressa Austin. Mi creda detective, le ho detto tutto quello che so. Sono stato dall’altra parte della barricata e so cosa pensa la polizia di noi investigatori privati.

Kate si fece lasciare tutti i resoconti delle sue indagini e poi lo aveva lasciato andare, ricordandogli di mantenersi a disposizione per ulteriori chiarimenti.

- Quindi sappiamo che la madre di Joy l’ha partorita in ospedale e poi l’ha lasciata lì per darla in adozione, che non era né un’immigrata clandestina né una prostituta, almeno non una di quelle schedate nel corso di questi dieci anni. - Ricapitolò Esposito.

- Già, Burns non ha detto nient’altro. - Sbuffò Kate sbattendo con fin troppo nervosismo i fascicoli di Burns sulla scrivania, facendo sussultare i suoi due colleghi.

- Se Burns ci ha detto la verità, non credo che quella dei genitori possa essere una strada che porterà da qualche parte - Sottolineò Ryan.

- Lo credo anche io… - ammise Beckett. - Controllate anche tutti i conti di Ethan Austin, i suoi clienti e le sue amicizie del circolo di golf. Qualsiasi cosa. Dobbiamo ricominciare da capo. Novità dalla scientifica?

- Manderanno tutto direttamente a Lanie per il confronto con i corpi.

- Bene, dai torniamo a lavoro. - Li esortò Kate.

Un fattorino dello studio legale dove lavorava Ethan aveva portato loro l’elenco degli ultimi clienti seguito dall’avvocato Austin, in particolar modo si dedicarono a studiare le ultime tre cause che aveva perso. Kate, inoltre, aveva ricevuto i signori Gilbert, i genitori di Lauren, ma anche loro non avevano idea di chi poteva odiare la loro figlia e suo marito al punto di ucciderli. Le chiesero di Joy dimostrandosi molto più interessati alla bambina dei parenti di Ethan e furono sollevati nel sapere che un collaboratore del distretto, così Beckett aveva descritto Castle, si era offerto di prenderla in affidamento. 

Uscì poi in fretta e furia per non fare tardi per la cena al loft da Rick, ed anche se si accorse di essere tremendamente in ritardo, si volle fermare in un negozio di giocattoli per prendere un regalo per Joy. Tra le tante bambole ultramoderne che facevano qualsiasi cosa, Kate ne scelse una molto semplice, di pezza, con lunghi capelli castani, occhi verdi ed un vestitino color lilla, le sembrava perfetta per Joy.

Quando arrivò al loft trovò Castle ancora impegnato ai fornelli mentre Alexis e Joy guardavano insieme la tv. Martha la strinse in un caloroso abbraccio, invitandola a raggiungere le ragazze mentre lei finiva di aiutare il figlio con la cena.

- Ciao Joy, ho preso una cosa per te! - le disse Kate dandole il pacchetto.

- Perché? Oggi non è il mio compleanno! Ancora mancano… 10 giorni! - Esclamò la bambina contandoli sulle dita.

- Beh, non sempre c’è un motivo per fare un regalo, ho visto questa bambola ed ho pensato a te, e credo che starà benissimo nella tua nuova cameretta… Guarda se ti piace!

- È bellissima Kate! Grazie! - disse Joy abbracciandola e dandole un bacio sulla guancia appena vista la bambola.

- Poi le dovrai dare un nome, mi raccomando scegline uno bello! - le disse la detective. Joy ci pensò un po' e poi sussurrò qualcosa nell’orecchio ad Alexis che annuì.

- Lily! La chiamerò Lily, ti piace?

- Sì è un bellissimo nome! - constatò la detective.

- Quale bellissimo nome? - chiese Rick che le aveva raggiunte.

- Lily per la mia bambola nuova che mi ha regalato Kate, ti piace? - Gli chiese Joy.

- Oh sì, è veramente un bel nome, e mi sembra proprio adatto alla tua bambola. Ora bellissime ragazze più e meno grandi, se volete venire a cena, lo chef ha appena finito di preparare tutto per voi!

- Sono compresa anche io tra le bellissime ragazze Castle? - Lo punzecchiò ancora Beckett.

- Non essere sciocca Katherine! Ovvio che sei compresa! - Disse Martha togliendo il figlio dall’imbarazzo. 

Mangiarono tutto quello che aveva preparato Rick, che aveva seguito scrupolosamente le indicazioni del dottor Thompson per la dieta di Joy, Martha come suo solito tenne tutti allegri con i suoi aneddoti che facevano ridere soprattutto la più piccola del gruppo, mentre Beckett si intratteneva con Alexis informandosi della scuola e di come andavano le cose: la ragazza fu molto contenta di poter chiacchierare un po' con Kate, soprattutto quando suo padre si allontanò per finire di preparare il dolce, uno strappo alla regola anche per Joy quella sera, e la figlia di Castle poté confidarsi con la detective chiedendole consiglio su un ragazzo che le piaceva.

Dopo che ebbero mangiato anche il dolce, Kate e Rick andarono con Joy, già provata da quella giornata molto piena, nella sua stanza e qui una volta soli, Kate decise di chiederle quello che da quando aveva parlato con Rick quella mattina voleva sapere, così si sedette sul bordo del letto vicino a lei, mentre Castle si era appoggiato dalla parte opposta.

- Senti Joy, tu sei una bambina molto sveglia ed io non voglio prenderti in giro o trattarti come una bimba piccola. Rick questa mattina mi ha detto che ti sei ricordata qualcosa di quello che è accaduto a Ethan e Lauren. Ti va di raccontarlo anche a me?

- Per questo mi hai portato la bambola? - Le chiese seria indicando la bambola di pezza che aveva messo nel letto vicino a lei.

- No, Joy. Te l’avrei portata comunque. Io spero solo che tu mi aiuti, perché così possiamo scoprire che cosa è successo a Ethan e Lauren… Castle mi hai detto che hai visto due persone.

- Sì. Erano due. Due uomini, ma non li ho visti. Ethan credo che li conoscesse, ma Lauren no, perché ripeteva “chi siete? Cosa volete”. Io però ero nascosta non li ho visti.

- Perchè ti sei nascosta Joy? Hai avuta paura?

- Ero in camera di Lauren perché voleva farmi una treccia, la stavo aspettando lì. Poi li ho sentiti urlare ed ho avuto paura. Ho sbagliato?

- No, Joy! Hai fatto benissimo, sei stata molto brava. - la rassicurò Kate facendole una carezza. - Perché dici che Ethan li conosceva?

- Ha detto che avevano già parlato e che lui era di parola. Poi il resto non ho capito, mi sono stretta le mani sulle orecchie per non sentire e poi… gli spari e le urla… - Joy tornò a piangere e Rick la abbracciò.

- Ok Joy, basta così. Sei stata bravissima, piccola, veramente, e molto coraggiosa.

Castle e Beckett si fecero un cenno di assenso. Rick aspettò che si fosse calmata e quando si fu addormentata uscì dalla sua stanza per parlare con Kate che lo aspettava nel corridoio. Andarono al piano inferiore dove Martha gli aveva già preparato due calici di vino rosso.

- Mi dispiace Castle, non volevo farla piangere. - Si scusò la detective sinceramente dispiaciuta.

- Credo fosse inevitabile, pensi che sia utile come testimonianza? 

- Sì. Ho parlato con Montgomery, e Joy ci ha detto cose molto interessanti.

- Già, credo che a questo punto bisogna scavare nella vita di Ethan e che la storia dei genitori biologici di Joy non c’entri nulla. - Castle ragionò ad alta voce, trovando pieno appoggio in Beckett che aveva avuto una conferma a quanto pensato nel pomeriggio. Lo aggiornò anche su Burns e su quello, poco, che aveva scoperto sul passato di Joy. Alla fine, dopo essersi confrontati sulle loro rispettive teorie, si salutarono e Castle le promise che appena Joy avrebbe ripreso la scuola, sarebbe tornato al distretto almeno la mattina. Con quella promessa Kate se ne tornò al suo appartamento con un sorriso abbozzato sulle labbra.

Beckett era arrivata al distretto da pochi minuti. Nella sala relax si stava facendo un caffè con la macchina regalata da Castle. Pensò che era bastato un gesto come quello per rendere le loro pause decisamente migliori, potendosi finalmente bere un caffè degno di quel nome. Stringeva la sua tazza blu tra le mani, assaporando la bevanda calda e pensando che quella che avrebbe dovuto affrontare da lì a poco sarebbe stata un’altra giornata estenuante fatta di noiose ricerche nel passato di Ethan Austin. Finì il caffè leccandosi un po' della schiuma che le era rimasta sulle labbra, pensando che comunque quello che preparava Castle era più buono, sarà stata l’abitudine, in quei mesi aveva già fatto centinaia di caffè per tutto il distretto, diventando il loro personale barista quando non c’erano casi particolarmente complicati da risolvere, o forse usava qualche ingrediente segreto che avrebbe dovuto farsi dire, prima o poi, anche se questo avrebbe voluto dire ammettere la superiorità dei suoi caffè seguita da quello che si immaginava già una pavoneggiarsi infinito da parte sua: forse l’ingrediente segreto poteva rimanere tale, quel caffè in fondo, andava bene anche così.

Kate aveva ancora il sapore di caffè tra le labbra e si era appena seduta alla sua scrivania quando sentì qualcuno pronunciare il suo nome.

- È lei la detective Katherine Beckett?

Davanti a lei un uomo elegantemente vestito sulla quarantina, che poggiò la sua ventiquattrore sul piano della scrivania prima ancora che lei potesse rispondere.

- Sì, sono io. Lei invece chi è? - Lo fissò dal basso in alto senza nemmeno alzarsi, decisamente infastidita da quel modo arrogante di porsi.

- Sono l’avvocato Benjamin Austin, rappresento Aaron e Elijah Austin.

- Parente?

- Sono il nipote di Aaron, ma questo non è importante. I miei clienti hanno saputo che ieri un uomo, probabilmente accompagnato da lei da come è stata descritta, con una bambina sono andati a casa di Ethan Austin e ne sono usciti con molti effetti che si trovavano nell’appartamento.

- Esatto. È il nuovo tutore di Joy e li ho accompagnati a prendere le sue cose. - rispose secca Beckett.

- Non capisco per quale motivo i miei clienti non possano entrare in possesso dell’appartamento ed invece a degli estranei è consentito entrare ed uscire da lì. - Beckett si alzò e girò intorno alla scrivania per trovarsi davanti all’uomo.

- Avvocato Austin, credo che lei conosca la definizione di “scena del crimine”, immagino, o almeno spero.

- Fa dell’ironia gratuita, detective?

- Le persone entrate nell’appartamento erano sotto la mia supervisione e non hanno contaminato in alcun modo la scena del crimine, nel caso servano ulteriori accertamenti. Le cose prese erano gli effetti personali della bambina: vestiti, giocattoli, libri per la scuola. 

L’avvocato Austin aprì la sua valigetta e ne tirò fuori un foglio che mise sulla scrivania di Beckett.

- Spero che la cosa non si debba ripetere, in ogni caso quella è una diffida a far entrare di nuovo in casa persone estranee e a portar via qualsiasi cosa senza la presenza mia e dei miei clienti. Non vorrei dover in futuro constatare che sono state sottratte delle cose che non erano di proprietà della signorina Joy Johnson che glielo ricordo non è in alcun modo imparentata con Ethan Austin e sua moglie, visto che le pratiche per l’adozione non sono mai state portate a termine e non ha alcun diritto su nulla di quello che era loro.

- Avvocato, sta forse accusando di qualcosa uno dei miei migliori detective? - Montgomery aveva assistito all’ultima parte della conversazione ed era infine intervenuto in difesa di Beckett.

- Lei è? - chiese sprezzante l’avvocato.

- Capitano Roy Montgomery. Se ha qualche cosa di cui lamentarsi dell’operato dei miei uomini venga pure nel mio ufficio. Comunque informi i suoi clienti che le indagini proseguiranno ancora, quindi non escludiamo ulteriori sopralluoghi da parte dei miei agenti sul posto, quindi dubito che possano rientrare in possesso dell’appartamento nei prossimi giorni. In ogni caso la porta del mio ufficio è sempre aperta per ulteriori chiarimenti.

Il capitano allungò la mano, un gesto eloquente per congedare l’uomo che la strinse controvoglia e dopo aver ripreso la valigetta e guardato Kate contrariato se ne andò.

- Grazie Signore. 

- E di cosa Beckett? Quei due li ho trovati odiosi dal primo momento che li ho visti ed il loro avvocato non mi pare migliore. Comunque ricordati che Joy è una testimone e Castle un collaboratore della Polizia di New York oltre ad essere adesso il tutore della mi ore. Magari avrete necessità di fare un nuovo sopralluogo per le indagini con la testimone e tu potresti trovare del materiale interessante da portare via per analizzarlo.

- Mi pare un’ottima versione dei fatti, Capitano! - sorrise Beckett - Ma Ryan ed Esposito?

- Ieri sera c’è stato un’omicidio a seguito di una rapina a pochi isolati da qui. Sapevo che eri da Castle per parlare con Joy e non ti ho fatta disturbare. Se la sono cavata bene anche da soli, ma hanno finito questa notte molto tardi, gli ho dato mezza giornata libera.

Beckett sorrise tra se e se mentre Montgomery tornava nel suo ufficio.  Aveva deciso di andare a fare un giro al circolo di golf di Ethan, per raccogliere qualche informazione e parlare con qualche dipendente e magari anche con qualche socio. Di giocatori a quell’ora della mattina ce ne erano ancora pochi, le avevano consigliato di aspettare almeno un’ora, solitamente poco prima di pranzo il posto si animava, non solo per chi andava a giocare, ma anche per i molti appuntamento di lavoro che si svolgevano nel ristorante e nella lounge annessa ai campi. Mentre era lì che raccoglieva le dichiarazioni della segretaria del circolo e di qualche maestro, attendendo l’arrivo di qualche socio, pensava che quella sarebbe stata una perfetta situazione nella quale avere Castle al suo fianco le sarebbe stato utile, lui sicuramente avrebbe notato qualche dettaglio interessante intrufolandosi anche dove non avrebbe dovuto come al solito. Si pentì di quel suo pensiero, erano anni che era con successo una delle più apprezzate detective della città, con la più alta percentuale di omicidi risolti, non poteva mettersi a rimpiangere l’aiuto di quello scrittore. Non resistette, comunque, a chiamarlo mentre tornava al distretto per aggiornarlo sia sulla sua visita al golf club, ma soprattutto sulla chiacchierata poco amichevole con l’avvocato della famiglia Austin. Castle la rassicurò di non preoccuparsi, avrebbe immediatamente parlato con il suo avvocato per sapere come muoversi, anche se anche lui approvò l’idea di Montgomery: se gli Austin avrebbero giocato sporco lo avrebbero fatto anche loro le aveva detto con quel suo tono un po' provocatorio. Rick poi la aggiornò sulla loro mattinata, era stato a parlare con la scuola di Joy ed avevano concordato che sarebbe tornata il lunedì successivo. Era già giovedì, avrebbe saltato solo un altro giorno e trascorso il week end in tranquillità, avendo modo di riprendersi un po'. Quello era stato il suo modo di dirle che lunedì sarebbe tornato anche lui al distretto e lei non riuscì a trattenersi nel chiedergli se effettivamente si sarebbero visti quel giorno, potendo cogliere una risposta oltremodo compiaciuta nel confermarglielo.

Tornata al distretto Beckett trovò Esposito e Ryan operativi che stavano leggendo attentamente il materiale che gli aveva consegnato lo studio legale dove lavorava Ethan.

- Beckett, ma a te non sembra strano che lo zio ed il cugino di Ethan hanno un’importante studio legale e lui invece che lavorare con loro era socio di uno studio concorrente? - Le chiese Ryan dopo che lei aveva riferito loro quando accaduto quella mattina ed avevano approfondito la situazione di quel Benjamin Austin.

- Non stento a credere che qualcuno preferisca lavorare con la concorrenza che con dei parenti del genere. - Osservò Kate. 

Le loro considerazioni furono interrotte da Lanie.

- Kate, la scientifica mi ha portato i risultati di tutti gli esami che hai chiesto di svolgere sul caso degli Austin. - enfatizzando quel tutti.

- Ci sono novità quindi?

- Sì e molto importanti. - disse seria la dottoressa.

- Dimmi Lanie! - la incalzò la detective.

- Non per telefono Kate. Sarà meglio che vieni subito qui in laboratorio.

- Ok arrivo.

- Ah Kate… vieni da sola.

- Lanie, ma va tutto bene? Stai bene? Mi devi dire dell’altro? - Si preoccupò Beckett sentendola piuttosto agitata.

- No, si tratta solo del caso. Ti aspetto. 

Kate non convinta delle parole dell’amica si precipitò da lei in laboratorio. Durante il tragitto pensò a tutte le cose che potevano averla turbata ma l’unica cosa della quale avevano parlato ultimamente era di quel tizio nuovo che frequentava, Bryan le sembrava che si chiamasse, uno che a lei non piaceva per niente anche se l’aveva visto solo una volta di sfuggita, ma era la classica persona che lei giudicava con uno sguardo. L’aveva anche messa in guardia poche sere prima quando erano uscite insieme, non si doveva fidare di lui ed ora già pensava a cosa le aveva potuto fare e a come lei avrebbe trovato il modo di fargli passare un brutto quarto d’ora. Non che Lanie non si sapesse difendere, ma non sapeva perché quel tizio la irritava molto.

Carica di questi pensieri e di come farla pagare a Bryan arrivò da Lanie.

- Ehy dottoressa ho fatto prima che ho potuto che succede? - le chiese Kate preoccupata.

- Tesoro, siediti. - Le rispose Lanie porgendole una sedia che la detective guardò perplessa e si sedette solo quando anche lei ne prese un’altra e fece altrettanto.

- Si tratta di Bryan? Cosa ti ha fatto Lanie? - la incalzò Kate.

- Chi? Cosa? No ragazza, frena! Bryan era un idiota, avevi ragione ma l’ho scaricato due sere fa. 

- E allora? Cosa è che ti turba? Al telefono avevi una voce ed anche ora hai una faccia che è tutta un programma! Non dirmi che è per il caso perché non ci credo!

- Sì, cioè no. In parte.

- Ti prego Lanie non fare come Castle! Vieni al sodo!

- Ok… Ecco, Kate… mi hanno portato i risultati di tutti i test che hai chiesto alla scientifica. Tutti, compreso quello sul DNA di Joy. Il database sul quale ho potuto confrontarlo è molto più ampio di quello usato dall’investigatore privato, non ci sono solo persone arrestate o fermate, ma chiunque sia stato schedato, per qualsiasi motivo, anche di lavoro.

- Hai trovato un riscontro? - Chiese Kate speranzosa. Non credeva che sarebbe servito per il caso, ma magari potevano avere una possibilità di dare un futuro migliore a Joy se avessero trovato almeno uno dei genitori.

- Sì, ho trovato un riscontro. Un parentela molto stretta.

- Sai chi è?

- Sì, Kate. Sei tu. Dall’esame del DNA di Joy risulta che tu sei sua madre.

Joy stava cominciando ad ambientarsi in quella famiglia sui generis come era quella di Castle. In quel week end aveva passato molto tempo con Alexis a guardare le loro serie tv preferite e poi la ragazza l’aveva aiutata a ripassare per la scuola che avrebbe ripreso quel lunedì per gli ultimi giorni prima delle vacanze: aveva delle verifiche importanti, aveva detto e voleva essere preparata. Joy era attenta e diligente, in questo a Rick ricordava molto sua figlia e gli piaceva osservarle studiare insieme alla scrivania nella cameretta di Alexis, dove Joy trascorreva molto tempo. Come gli aveva confidato lei stessa era la prima volta che si trovava in una famiglia dove c’era un’altra ragazza, solitamente chi l’aveva presa in affido erano tutte coppie sole senza figli, spesso avanti con l’età, come erano anche gli Austin. Con Rick, Alexis e Martha, invece, si divertiva, le piaceva ascoltare i racconti dell’attrice, felice di aver trovato un altra persona alla quale narrare le sue avventure nel mondo dello spettacolo e Joy rideva alle sue battute enfatizzate dai gesti plateali, le piaceva passare del tempo con Alexis che si prodigava molto nell’inserimento della bambina nella loro famiglia. Ma era Castle quello che cercava di starle vicino sempre, anche quando lei non si accorgeva, quando era con Martha o Alexis e la guardava da lontano. Erano passati pochi giorni, ma Joy era diventata già molto meno timida e si stava aprendo sempre più, iniziando a sentirsi parte di quella famiglia. Erano stati insieme ad Alexis al cinema e poi per la prima volta l’aveva portata a mangiare in un ristorante giapponese dove aveva provato senza troppo successo a mangiare con le bacchette, ma aveva chiesto a Rick se poteva portarle a casa per esercitarsi, così sarebbe stata più brava in futuro, facendo ridere tutti, anche la composta cameriera che gliene portò un paio nuove tutte per lei. Joy era una bambina che non dava mai nulla per scontato, nemmeno un semplice paio di bacchette di legno. Rick apprezzava molto il suo ringraziare sempre, per ogni minima cosa anche se questo, ogni volta, gli ricordava come per lei nulla fosse ovvio e dovuto e le spezzava il cuore non riuscire a donarle la spensieratezza dovuta, così quando quella domenica pomeriggio lo ringraziò con un bacio ed un abbraccio dopo che aveva passato molto tempo a giocare con lei, si sentì veramente ricompensato di tutto quello fatto in quei giorni e gli fece capire di essere sulla giusta strada. Poi c’era Alexis, che anche se tendeva a dimenticarlo per quanto era matura ancora era solo un’adolescente. Così ogni sera, dopo che Joy si era addormentata, andava in camera sua, cercando di passare un po' di tempo solo con lei, raccogliendo i suoi pensieri e le sue sensazioni su quello che stavano passando e scusandosi se non poteva essere presente con lei come avrebbe voluto, come prima. Quando stringeva Alexis gli sembrava di essere stato tremendamente egoista ad imporle la presenza di Joy nelle loro vite e si faceva più problemi di quanti non si facesse sua figlia, totalmente entusiasta di avere una “sorellina”. Per Castle, invece era diverso. Lui era uno totalizzante, era sempre stato tutto per sua figlia e non sapeva se era veramente in grado di dividere il suo tempo e le sue attenzioni tra Alexis e Joy. Non voleva trascurare sua figlia, non voleva che lei si sentisse scalzata nel suo cuore, ma allo stesso tempo non voleva che Joy si sentisse diversa, per lui da quando era entrata al loft era diventata un membro della sua famiglia, a tutti gli effetti.

Kate da quando era tornata a casa non era più uscita, era rimasta rintanata nel suo appartamento e nel suo passato. Si sentì di nuovo catapultata in quei giorni di fine giugno di dieci anni prima. Aveva ritrovato il diario di quei mesi, dove aveva annotato tutte le sue speranze e le sue illusioni, dove aveva sfogato il suo dolore e non era passato, era solo aumentato tanto quanto voleva nasconderlo e se ne rendeva conto solo in quel momento quando tutto era tornato a galla. Aveva ritrovato le casette che le aveva regalato la sua amica Kelly, con tutte le canzoni che le piacevano di più di quel periodo: Iris, Kiss the Rain, Truly Madly Deeply, I Don't Want to Miss a Thing, Bitter, Sweet Symphony, Secret Garden, My Heart Will Go On… era la colonna sonora di quegli anni, era la musica amava cantare spensierata, quella che quando ancora era troppo piccola per sentirla, faceva sentire alla sua bambina, appoggiando le cuffiette sulla pancia, quella che poi copriva il rumore del suo pianto. Si era data solo qualche settimana per riprendersi, poi prima della fine dell’estate aveva fatto richiesta per entrare in accademia. Superò brillantemente tutte le prove d’ingresso e l’addestramento. Dopo sei mesi da quando era entra era a tutti gli effetti un agente della polizia di New York, il suo modo per provare a dare agli altri quella giustizia che lei non aveva avuto per sua madre, per essere migliore di tutti quegli agenti e detective con i quali aveva parlato e che non le avevano mai detto nulla, che non avevano mai avuto alcun rispetto per il suo dolore e quello di suo padre. Aveva dato un taglio con quello che le era successo, con la sua vita di prima, con il sogno di diventare la prima donna Presidente della Corte suprema degli Stati Uniti, abbandonato Stanford definitivamente, la sua nuova vita era nella sua città, difendendo la sua gente. Aveva anche tagliato i suoi lunghi capelli castani e non li aveva più fatti ricrescere, perché così pensava di essere più autorevole, più maschile, in quel mondo ancora così difficile per una giovane ragazza anche se tosta e determinata come lei.

Aveva nascosto a tutti e prima di tutto a se stessa quanto accaduto in quella fine di giugno, perché così dimenticare ed andare avanti sarebbe stato più facile. Ma non era sempre stato così, perché ogni volta che incontrava una bimba che poteva avere l’età di Joy, di sua figlia, si chiedeva se fosse lei e lo aveva fatto anche quella volta, per poi scrollarsi il pensiero di dosso, senza riuscirci. 

Scoprire che quella bambina era sua figlia l’aveva devastata. Lei l’aveva lasciata per offrirle una vita migliore di quella che avrebbe potuto darle ed invece l’aveva solo condannata a dolore e solitudine. La tristezza nel suo sguardo, le sue parole, la torturavano continuamente, il ricordo di quando l’aveva presa in braccio e lei si era addormentata ora le bruciava dentro. Senza saperlo era stata la prima volta che aveva abbracciato sua figlia e forse era vero che c’era qualcosa che legava un figlio con sua madre che non poteva essere definito, perché le era venuto tutto così naturale e spontaneo che aveva sorpreso anche se stessa.

In quei giorni si era accoltellata l’anima pensando che era colpa sua se Joy aveva avuto quella vita, sballottata da una famiglia all’altra, da un rifiuto all’altro, se aveva dovuto convivere con quella malattia che la logorava lentamente, se non aveva potuto avere un’infanzia come tutti i bambini, se aveva dovuto scoprire troppo presto cosa era il dolore e vedere tutto il peggio della vita con i suoi occhi ancora da bambina, senza nessuno vicino che asciugava le sue lacrime o l’abbracciava quando ne aveva bisogno. Aveva combattuto ogni istante in quel fine settimana con la voglia di andare da Castle e di vederla con altri occhi, ma non trovò mai il coraggio, ed era troppo vigliacca per andare lì ed affrontarla.  

Il momento peggiore, però, fu quando Castle la chiamò, non lo faceva mai di solito se non era per qualcosa che riguardava direttamente un loro caso, così nel vedere il suo nome sul display fu allarmata ed emozionata allo stesso tempo. Le voleva solo confermare che sarebbe stato al distretto la mattina successiva, dopo aver accompagnato Joy a scuola. Si trovò a chiedergli precipitosamente come stesse, se si stava ambientando, per poi correggere il tiro chiedendogli se avesse ricordato qualcos’altro: la risposta fu negativa, ma francamente in quel momento le importava poco, era molto più interessata a sapere che stava bene con lui, ma non ne aveva dubbi, e pensò di sciogliersi quando Rick le disse che era lì davanti a lui e la stava salutando. Ricambiò, chiedendogli di darle un bacio da parte sua, proprio prima di attaccare, prima che Castle la salutasse con il suo solito “A Domani”. Un bacio. Uno dei tanti baci mancati in quei dieci anni, dieci anni che non avrebbe mai potuto recuperare in nessun modo.

Quel lunedì mattina, però, Kate non andò subito al distretto, non si sarebbe potuta concentrare e non avrebbe potuto lavorare a nessun caso, nemmeno a quello di Ethan e Lauren, perché la sua mente era altrove, sempre, da quando aveva parlato con Lanie.

- Ryan, sono Beckett. Sto andando a casa degli Austin. Devo controllare una cosa, un dubbio che mi è venuto in questi giorni.

- Vuoi che ti raggiungiamo lì?

- No, non c’è bisogno. Ci vediamo più tardi.

Non aveva solo un dubbio, ne aveva tanti, ma nessuno di questi riguardava il caso degli Austin. Proseguì in direzione contraria rispetto al distretto, fino ad arrivare a quel palazzo ormai ben noto. Il portiere la riconobbe e non ebbe nemmeno bisogno di mostrarle il distintivo.

- Il signor Austin ha detto di avvisarlo se sareste tornati, perché vuole essere presente se prendete qualcosa. - Riferì l’uomo aprendo il portone. Aveva così scoperto chi è che lo aveva avvisato.

- Dica al signor Austin che la polizia di New York non ha bisogno né della sua presenza né della sua autorizzazione per visionare la scena del crimine o prendere qualsiasi cosa ritenga necessaria durante le indagini di un omicidio. Gli faccia sapere che riavrà tutto ad indagini concluse e lo dica anche al suo avvocato, tanto mi pare di capire che le piace parlare molto. - Il suo tono fu tutt’altro che gentile e cortese, ma non voleva nemmeno esserlo. Era sicura che l’uomo avrebbe riferito tutto velocemente al padre o al fratello di Ethan, non sapeva a quale signor Austin si riferisse.

Salì in ascensore battendo nervosamente un piede a terra nell’attesa di arrivare al piano. Scostò il nastro davanti alla porta e poi entrò richiudendosi piano la porta alle spalle. In realtà un dubbio le era venuto sul serio, andò in camera di Ethan e Lauren, sorpassò l’area ancora segnata dove avevano trovato i corpi con il sangue ancora ben visibile a terra sul tappeto ed aprì l’armadio. Controllò le ante, accuratamente, si accovacciò provando a guardare nella direzione di dove erano stati uccisi gli Austin: anche se le ante non fossero state perfettamente chiuse, Joy non avrebbe potuto vedere nulla, solo sentire quello che si dicevano e se la sua parte di poliziotta ne era dispiaciuta, perché non avrebbe potuto fornire ulteriori informazioni, un’altra parte di se, adesso che gridava ancora più forte, ne era felice perché almeno si era risparmiata la vista di quello scempio. Avrebbe dovuto fare i conti con quella parte di lei, ora e sempre, quella parte che l’aveva portata lì, non per indagare, ma per avere risposte.

Lasciò quella stanza senza toccare nulla e si diresse nell’altra in quella vicina. C’era ancora tanto di lei lì. C’erano ancora molti suoi vestiti e sul letto ancora sfatto anche il suo pigiamino, quello che aveva tolto quella mattina. Era ripiegato vicino al cuscino con una cura ed un ordine fin troppo rigoroso per una bambina della sua età. In quel momento avrebbe dato qualsiasi cosa per tornare indietro e regalarle la spensieratezza che doveva avere nei suoi anni. Lo prese tra le mani e lo aprì, sorrise nel vedere i disegni delle principesse Disney. Sentì il profumo di sua figlia e fu solo la prima delle sensazioni che la invasero in quella stanza. Trovò quello che probabilmente doveva essere il suo diario segreto ed ebbe la tentazione di aprirlo e leggerlo. Pensò a quando aveva scoperto che lo aveva fatto anche sua madre e a come si era sentita tradita da lei in quel momento e le sembrò così strano trovarsi dalla parte opposta, ma lei non l’avrebbe potuta tradire più di quando non avesse già fatto dal momento in cui l’aveva messa al mondo. Ne accarezzò la copertina e poi non resistette, lo aprì ma lesse solo la prima pagina, dove con la sua calligrafia curata aveva scritto semplicemente “Diario di Joy”. Lo richiuse tenendo la mano ben premuta sopra, prendendosi un momento in cui chiuse gli occhi per assimilare tutto. In una delle mensole sulla scrivania trovò altri due diari come quello, chiusi con il loro piccolo lucchettino: era evidente che a Joy piacesse scrivere, stava aggiungendo piccole tessere al puzzle di quella che era Joy. Sorrise pensando a lei e alla sua passione per la scrittura finita nella casa di uno scrittore e si chiese se lui lo avesse già scoperto. Si muoveva tra quegli oggetti con il suo sguardo da detective ma il cuore che le diceva tutt’altro e quando frugando dentro ad un mobiletto trovò una scatola di cartone con le farfalle disegnate, i bordi consumati ed il suo nome scritto sopra non potè resistere alla tentazione di aprirla, ma nel vedere il suo contenuto sentì lo stomaco chiudersi ed il cuore smettere di battere per qualche istante prima di riprendere all’impazzata. Erano passati dieci anni dall’ultima volta che aveva visto quella tutina rosa. Era semplice, senza fiocchi o disegni. L’aveva comprata lei perché non sapeva cosa fare, non sapeva di cosa avrebbe avuto bisogno, perché sentiva che avrebbe dovuto darle qualcosa, per proteggerla pensava. Così l’aveva presa e l’aveva lasciata in ospedale sul suo letto prima di andarsene, perché non aveva avuto nemmeno il coraggio di darla all’infermiera. Si chiese se l’aveva mai indossata o solo se gliel’avevano data come unico ricordo. Sotto a quella c’erano i ricordi dei suoi dieci anni di vita, qualcosa che sicuramente all’inizio qualcuno aveva fatto e per lei e che poi aveva continuato da sola. C’erano un ciuccio ed un bavaglino, c’erano però soprattutto molte foto, molte più di quanto Kate pensasse di trovare e cominciavano da quando doveva aver avuto qualche mese e molte era da sola, altre in braccio a qualcuno ed erano state strappate o tagliate, tranne quelle con Emily. Ma ebbe tempo solo un attimo di chiedersi se le avesse tagliate lei o se lo avessero fatto perché non avesse traccia dei suoi precedenti affidatari o lei per non volerli ricordare: i suoi occhi poi furono catturati da quelli di quella bimba di pochi mesi, sorridente e ignara di tutto quello che era stato e che sarebbe stata in futuro. Non sapeva se era una suggestione del momento, ma era certa di rivedere nei suoi occhi i propri, passò velocemente tra una foto e l’altra vedendola crescere in quei minuti, ripercorrere dieci anni di vita, vedere quegli occhi intristirsi ed il sorriso spegnersi, diventare meno brillante, senza però sparire mai. Vide come i suoi capelli diventavano sempre più lunghi e ripensò a se stessa, quando era più piccola anche lei li portava così, orgogliosa dei suoi lunghi capelli castani, proprio come quelli di Joy. Rimise tutto nella scatola e nel poggiare sopra la tutina rosa non riuscì più a trattenere quel macigno che aveva nello stomaco e scoppiò a piangere in silenzio. 

Non si accorse dei rumori provenienti dall’ingresso fino a quando non sentì due voci sconosciute. Si asciugò in fretta le lacrime cercando di ricomporsi mentre estraeva e caricava la sua pistola.

- Fermi, NYPD! - Gridò prima ancora di vederli avanzando verso l’ingresso con la pistola spianata. La abbassò per un momento solo quando vide un uomo in divisa davanti a lei.

- Buongiorno detective! 

- Buongiorno, agente… - chiese non ricordandosi il nome dell’uomo né la sua faccia, forse era uno dei nuovi arrivati da altri distretti.

- Sullivan. Agente Sullivan!

- Cosa fate qui, agente Sullivan?

- Siamo qui per raccogliere delle prove.

- Prove? Quali prove? Chi vi ha mandato? 

Non fece in tempo a risponderle, perché Beckett cadde a terra colpita da una violenta botta. L’uomo dietro di lei dopo averla colpita con il calcio della pistola stava mirando dritto alla sua testa.

- Ehy Sam, cosa pensi di fare? - disse all’altro uomo quello che si era presentato come Agente Sullivan.

- La faccio fuori, cosa ti sembra?

- Lascia stare, abbiamo già troppi casini, andiamocene! L’hai trovata?

- No… - Sam stava mettendo via la pistola nella fondina, anche lui perfettamente vestito da agente.

- Il capo sarà furioso. 

- Ehy John, non è colpa mia, non doveva esserci tra i piedi la detective oggi! Adesso andiamo che non sopporto più questa roba addosso… ma dì un po', come ti è venuto in mente Sullivan? Te lo eri preparato?

- No, è il cognome di quella che mi porto a letto in questo periodo.

- Che bastardo che sei! - Rise Sam mentre uscivano dall’appartamento con Beckett ancora priva di sensi a terra che non si era accorta di nulla.

- Ehy Castle! Cosa ci fai qui? - gli chiese Esposito vedendolo arrivare con i suoi soliti due caffè in mano.

- Ragazzi, non avrete già dato via la mia sedia! - Esclamò sporgendosi per vedere oltre la scrivania di Beckett e trovò confortante vederla sempre lì. 

- Come vanno le cose con la bambina? - Ryan fece scivolare le ruote della sua sedia spostandosi dal monitor per salutare lo scrittore.

- Direi bene. Oggi ha ripreso la scuola per questi ultimi giorni. I suoi insegnanti avrebbero voluto lasciarla a casa ma lei è voluta tornare a tutti i costi.

- Castle ma come mai tutti le ragazzine che hai intorno sono più responsabili di te? - Rise Esposito.

- Ehy questa è una battuta da Beckett, ma a proposito, lei dov’è?

- Ha chiamato prima dicendo che andava all’appartamento degli Austin, doveva controllare una cosa alla quale aveva pensato nel week end. - Riferì l’ispanico.

- Sì, un’ora fa circa. - precisò Ryan.

- Ok. Allora io la raggiungo lì, così approfitto per prendere le altre cose di Joy. Non mi piace che torni lì.

- Ehy Castle e i caffè? - Chiese Javier indicando le tazze sulla scrivania di Beckett

- Prendeteli voi! - Rispose scrollando le spalle, ma non fece in tempo a finire di parlare che era già lì.

- Devo andare nell’appartamento degli Austin. - Disse Castle al portiere.

- In qualità di?

- Collaboratore della polizia di New York. 

Il vecchio gli aprì non molto contento bonficchiando qualcosa a proposito di come tutta la polizia di New York quel giorno era lì, che quello era un posto rispettabile e che non gli piaceva tutto quel via vai. Rick lo ascoltò appena mentre aspettava l’ascensore. Aveva visto la macchina di Beckett parcheggiata lì vicino, si aspettava di trovarla dentro a studiare la scena in silenzio da tutte le prospettive. Avrebbe sicuramente protestato della sua intrusione, ma era certo che in fondo non le dispiacesse poi tanto averlo tra i piedi, aveva imparato a conoscere lei ed il suo modo di punzecchiarlo e lui con lei stava volentieri al gioco.

Vide i sigilli strappati e la porta chiusa. Bussò più volte con vigore chiamandola.

- Beckett sono io aprimi! 

Nessuna risposta.

- Dai Beckett non ti disturberò, vado solo a prendere le cose di Joy. 

Ancora nulla. Si insospettì, era impossibile che non la sentisse, perché qualcuno da uno degli appartamenti vicino era uscito protestando ma lui se ne era fregato. La chiamò al cellulare, facendolo suonare a lungo e nel silenzio di quel palazzo sentì la sua suoneria provenire dall’interno. I suoi sospetti diventarono più forti e quando per l’ennesima volta non rispose né al telefono né alle sue chiamate a voce scese al piano terra per parlare con lo scorbutico portiere.

- Devo entrare nell’appartamento degli Austin, mi serve una copia delle chiavi! 

- Lei è della polizia?

- No cioè, sono un collaboratore.

- Allora mi dispiace, non gliele posso dare.

- La mia partner è là dentro e non mi risponde! Devo entrare! - disse Castle concitato.

- Ne è sicuro? Due poliziotti sono usciti poco fa, ma potevano anche essere tre, non c’ho fatto molto caso.

- Due poliziotti? 

- Sì hanno detto anche loro che dovevano fare un sopralluogo. Da questa mattina è un via vai. - borbottò ancora l’uomo.

Rick si allontanò da lui e chiamò al distretto. Raccontò concitato a Ryan quanto stava accadendo e lui disse che nessuno dal distretto era andato lì quel giorno tranne Beckett e di aspettarlo, sarebbero arrivati subito.

Castle, però, non aveva alcuna intenzione di aspettare.

- O mi da le chiavi o le butto giù la porta. - Urlò al portiere senza sapere nemmeno come avrebbe fatto in caso di risposta negativa. Lui non era uno che sapeva fare quelle cose, ma in un modo o in un altro l’avrebbe fatto. Per sua fortuna non ne ebbe bisogno, perché il portiere con fin troppa calma decise di accompagnarlo ed aprirgli la porta. 

Quando si precipitò dentro vide subito il corpo di Kate riverso a terra. Urlò al portiere di chiamare un ambulanza e si inginocchiò vicino a lei e notò che il sangue che vedeva non era frutto di uno sparo e si tranquillizzò. La voltò delicatamente e la chiamò ancora accarezzandole il viso.

- Ehy Beckett svegliati per favore… Beckett… ti prego svegliati…

- Castle… - Sussurrò aprendo gli occhi a fatica - dove sono? Perché sei qui?

- Dagli Austin… siamo nell’appartamento degli Austin! - Kate chiuse di nuovo gli occhi e Rick si spaventò. - Beckett! 

- Mi fa male la testa… - disse sofferente - … due uomini vestiti da poliziotto. Mi hanno aggredita come una pivella.

Provò a tirarsi su con il busto ma lo fece troppo velocemente e perse l’equilibrio e oscillò fino a quando non si fermò appoggiata al petto di Castle che istintivamente la strinse a se per un attimo, per poi lasciarla non appena si rese conto di quanto quel gesto era troppo. Troppo tutto. Però le disse di rimanere così.

- Stanno arrivando Ryan ed Esposito ed anche un ambulanza.

- Non c’è bisogno dell’ambulanza. Tra qualche minuto starò bene.  - Sospirò ancora.

- Facciamolo giudicare a loro, ok? Intanto rimani così, non ti muovere.

Fu stranamente accondiscendente ed aspettò con la testa poggiata sul petto di un Castle insolitamente silenzioso e gli occhi chiusi l’arrivo dei colleghi e dei paramedici. Lo scrittore prese il suo fazzoletto e lo poggiò sulla tempia ferita nella caduta della detective per tamponare il sangue che continuava ad uscire e si chiese se lei potesse sentire il battito accelerato del suo cuore per lo spavento che gli aveva appena fatto avere.

Ryan ed Esposito arrivarono contemporaneamente all’ambulanza. Appena Beckett sentì le voci degli amici nel corridoio si staccò da lui e per un attimo i loro sguardi si incrociarono imbarazzati.

- Grazie Castle. - Bisbigliò Kate tenendosi da sola adesso il fazzoletto sulla tempia e nel farlo sfiorò appena la mano di lui. Non erano mai stati tanto vicini e non era solo una questione fisica.

- Di niente Beckett. Io… - le avrebbe voluto dire che si era spaventato nel vederla a terra ma non fece in tempo. I due detective varcarono la soglia seguiti da due paramedici che obbligarono Kate a stendersi su una barella e ad andare in ospedale.

I tre la seguirono ed aspettarono fuori nel corridoio del pronto so corso il responso dei medici. Castle riferì loro le poche parole dette da Kate: due uomini vestiti da poliziotto l’avevano aggredita e stordita. Mentre attendevano un dottore videro uscire Beckett dal una stanza, si stava riallacciando un polsino della camicia ed aveva una vistosa benda sulla tempia.

- Allora? - Chiesero i tre in coro.

- Niente di che, solo una botta alla testa e qualche punto. - rispose indicando il cerotto.

- Quindi? - fu Castle a parlare.

- Torniamo al distretto dovrò fare rapporto, la mia auto?

- È qui, l’ha portata Kevin - disse Esposito.

- Detective, come le ho detto non può guidare adesso. Anzi non dovrebbe nemmeno andare a lavoro ma riposarsi. - Un medico era uscito dalla stessa stanza di Kate e l’aveva ripresa davanti a tutti mettendola in evidente imbarazzo.

- Ma dottore…

- Per favore Beckett, altrimenti la dovrò tenere sotto osservazione, non vorrei che la sua situazione peggiori. Non possiamo ancora dirlo con certezza, quindi si faccia accompagnare a casa, si riposi e domattina mi faccia sapere come va.

Si era offerto Castle di riaccompagnarla, così i due detective potevano tornare al distretto. Kate gli aveva descritto sommariamente la situazione che aveva affrontato ed anche l’uomo. Alla fine raggiunsero il compromesso che sarebbe tornata al dodicesimo solo per fare l’identikit dell’uomo con il quale aveva parlato prima che l’altro lo colpisse.

La memoria fotografica di Kate aiutò a fare il lavoro velocemente, ma come lei già sospettava, non esisteva nessun agente Sullivan. Lasciò quindi la sua auto al distretto e salì su quella di Castle, poco convinta a fare da passeggero mentre lui guidava.

- Mi posso fidare Castle? Non è che peggiori il mio trauma cranico? - scherzò allacciandosi la cintura di sicurezza.

- Sono un pilota perfetto Beckett! Lo scoprirai quando verrai a fare un giro sulla mia Ferrari!

- Hai una Ferrari? - chiese stupita

- Devo pur togliermelo qualche sfizio. Ora scommetto che sei tu a voler guidare la mia auto! - Rise Castle - Se mi farai guidare la macchina della polizia con le sirene accese ti farò guidare la mia Ferrari.

- Nei tuoi sogni Castle! - rispose lei seccata

- Uh peccato! Ti avrei visto bene alla guida: tacchi a spillo, giacchetto di pelle, pantaloni attillati.

- Castle, sono una detective, non una squillo! - lo zittì per qualche istante.

- Però ti vesti così! Cioè non da squillo, non è un abbigliamento da squillo… insomma tu stai bene vestita così. - si stava palesemente incartando da solo.

- Ok Castle, rilassati ho capito… Qui gira a destra.

Gli indicava la strada indirizzandolo verso casa sua.

- Questa mattina ho accompagnato Joy a scuola. Sta andando bene, sai? Più di quanto pensassi. È una bambina adorabile.

Kate sentì di nuovo quella morsa allo stomaco e riuscì solo a deglutire rumorosamente e poi annuì.

- Sì, lo è. Si vede… 

- Già… Siamo stati al cinema ed anche al ristorante giapponese. Le hanno regalato delle bacchette per esercitarsi ed era tutta felice. Mi stupisce come riesca ad essere così contenta anche delle piccole cose. È bello, non trovi.

- Sì bellissimo… - Kate sentì gli occhi pizzicare e li chiuse stringendoli con forza. Quando si fermò al semaforo Rick si voltò a guardarla e si preoccupò.

- Cosa c’è stai male? - le chiese allarmato.

- No va tutto bene, ma forse ha ragione il dottore è meglio se mi riposo un po'. 

Finì di dirgli la strada guidandolo fin sotto casa sua. Rick insistette per accompagnarla fino alla porta di casa, nonostante lei volesse andare da sola. 

- Ehy Beckett non ci sto mica provando! - provò a rassicurarla ottenendo solo il risultato di farla sorridere. 

L’appartamento di Beckett era molto più confusionario di quanto lui pensasse.

- Sai, credevo che tu fossi una metodica che tiene tutto assolutamente in modo preciso e schematico! - Esclamò Rick guardandosi intorno.

- Visto Castle? Riesco anche a sorprenderti!

- Eh già! Ehy ma… questi sono tutti i miei libri! - Disse entusiasta guardando la libreria e toccando con il dito le copertine. - E dell’ultimo di Storm ne hai due copie e se io te l’ho regalato quando ancora non era uscito vuol dire che tu lo avevi già ordinato! Beckett ti ho beccato tu sei sempre stata una mia fan!

- Non ti esaltare scrittore, potrei sempre aver cambiato idea dopo che ti ho conosciuto!

- Ma non lo hai fatto! - Lasciava trasparire la sua soddisfazione da tutti i pori. - Pensa, potrai dire di essere la musa del tuo scrittore preferito! A quante capita eh?

- Non. chiamarmi. Musa. - scandì Beckett

- Ok. - Rick fece silenzio per un attimo. - Però nei fatti lo sei in quanto persona che mi ispira a scrivere e a narrare le tue gesta romanzate in versione di…

- Castle, ok, stop. Basta.

Rick cominciò a girovagare per il piccolo, per i suoi standard, appartamento di Kate, frugando un po' ovunque.

- Castle mi stai facendo venire mal di testa più di quanto già non ho!

- Ma hai qualcosa da mangiare? Perché nel tuo frigo c’è l’eco! È solo il cimitero dei contenitori di polistirolo vuoti! - ne aprì uno dove c’erano gli avanzi di qualcosa di non sapeva quando. - No era meglio se fossero stati vuoti!

- Non ti preoccupare non morirò di fame. Non devi andare adesso? 

- Oh mmm sì già… tra un po' uscirà Joy da scuola ed è dall’altra parte… 

- Beh meglio che vai e non la fai aspettare.

- Sì, certo, meglio.

Rick stava per aprire la porta quando Kate lo richiamò.

- Castle! Salutami… salutami Joy. Ed anche Alexis, ovviamente.

- Certo, Beckett. Se vuoi domattina ti passo a prendere quando ho portato Joy a scuola, se stai bene.

- Non ti disturbare Castle, prenderò un taxi.

- Non è un disturbo. A domani, Beckett.

- Buona giornata, Castle.

Kate il giorno successivo era tornata normalmente al distretto. Era rimasta sveglia ben più di quanto consigliato dai medici. Di fatto non aveva chiuso occhio tutto il giorno e gran parte della notte. La sua mente era focalizzata su quanto accaduto nell’appartamento degli Austin ma non, come sarebbe stato normale per lei fino a qualche giorno prima, su quello che era accaduto con i due tizi grazie ai quali portava i segni in fronte, ma su quanto aveva visto nella camera di Joy. Si era tuffata senza rete di protezione nella vita di sua figlia e ne era uscita con segni ben più profondi di quelli visibili. L’aveva vista in pochi minuti ritornare quella bambina neonata di cui conservava un breve ma vivido ricordo nella sua mente e poi crescere fino ad essere quella ragazzina che aveva ritrovato da pochi giorni. Era stato tanto, era stato forse troppo anche per lei.

Castle come promesso era passata a prenderla scherzando sul fatto che finalmente poteva essere lui a farle da autista e parlandole per tutto il tempo che erano in auto di Joy, trovando similitudini con Alexis per la dedizione allo lo studio e per molti gusti simili su cosa guardare in tv, cantanti preferiti e molto altro ancora.

Kate ascoltava in silenzio rispondendo a monosillabi ai suoi racconti entusiastici. Era contenta che grazie a lui scopriva nuove cose di sua figlia ma allo stesso tempo tutto le sembrava solo dei colpi ben assestati alla sua emotività. Si ritrovò più volte sul punto di piangere quando Rick le raccontava di come fosse brava in inglese e le piacesse scrivere (lo aveva scoperto anche lui, quindi), non sopportasse la matematica, anche se si sforzava di fare del suo meglio. 

- Sai che anche a me non piaceva matematica ma ero bravo in inglese? - Le disse Castle tutto contento. - A te invece? Cosa piaceva di più?

- Non avevo preferenze. Più o meno tutto. - Tagliò corto Beckett, ma non era vero. Anche lei odiava matematica ed amava inglese, come la maggior parte degli studenti americani, pensò non era una gran similitudine.

- Uhm eri una secchiona allora! - La schernì

- No. Studiavo e basta. - La risposta fu più netta di quanto Kate volesse e Rick immaginasse. Era un discorso innocuo in fondo, non capì perché a Beckett non andasse di parlarne ma si adeguò, cambiando subito argomento.

- Vuoi che torniamo a fare un giro nel Golf Club nei prossimi giorni? Magari ti posso essere utile e scoprire qualcosa in più, che ne pensi?

- Che al momento non abbiamo motivo per tornare lì e che già l’altra volta non erano molto felici di avere la polizia tra i piedi, non penso saranno collaborativi.

- Con te no. Però magari con Richard Castle, nuovo socio del Club che ha bisogno di conoscere l’ambiente, sì! - disse tutto soddisfatto. 

- Sei socio? E da quando in quanti piace il golf, Castle? - chiese sorpresa.

- Uhm da un paio di giorni! Anche se non mi piace proprio, ma è utile, no? Così ho chiesto a Bob, il sindaco, di presentarmi ed hanno fatto uno strappo alla regola, facendomi entrare subito. Anzi, io avrei un appuntamento per oggi a pranzo con Bob ed alcuni suoi amici al circolo, però ho un problema…

- Sarebbe?

- Devo andare a prendere Joy a scuola e non so se tornerò in tempo e Martha è fuori città con delle amiche. Non è che ci potresti andare tu?

- Io? Castle io lavoro!

- Sì lo so! Ma ho già parlato con Montgomery, ha detto che è ok e in cambio mi ha solo chiesto se poteva diventare anche lui socio del Golf Club, così andremo insieme.

- Hai già organizzato tutto alle mie spalle quindi! - Era stata presa alla sprovvista. Non si aspettava di dover vedere Joy, non così presto, non da sola. 

- Non essere così drastica Beckett! 

Kate scosse la testa mentre lui era decisamente allegro. Il mal di testa le aumentò seguito da un profondo senso di nausea. 

Montgomery per sicurezza le chiese di evitare di andare sul campo per un paio di giorni, così a lei era toccato tutto il lavoro noioso arretrato, mentre Kevin e Javier erano andati fuori ad esaminare una scena del crimine. Guardava di tanto in tanto Castle pensierosa per quel che le aspettava, avrebbe voluto ancora più tempo per capire come comportarsi, per rimettere nel giusto ordine i suoi sentimenti. Non era del tutto certa che sarebbe stata capace di tenerli a bada, si trovava in una posizione del tutto nuova e non aveva ricevuto nessun addestramento per fronteggiarla.

Castle si era aggiornato su tutto quello che avevano scoperto in sua assenza, poco a dire il vero, le aveva preparato un ottimo caffè per il quale lo aveva ringraziato cercando di nascondere il suo nervosismo, ma lui non ci mise molto a capire che qualcosa non andava.

- Beckett, Joy è solo una bambina con la quale dovrai passare al massimo un paio d’ore, non un criminale incallito da tenere! - cercava di prenderla in giro, toccando inconsapevolmente tasti dolenti.

- Avrei preferito, sarei stata più a mio agio! - rispose sincera.

- Andiamo detective! Mica vorrai farmi credere di avere paura di una ragazzina di 10 anni! 

- Taci, Castle! - lo zittì e proprio in quel momento si presentò Montgomery in tenuta decisamente più informale, pronto per seguire Rick.

- Allora noi andiamo, mi raccomando Beckett non ti far mettere sotto da Joy!  - Kate scosse la testa mentre i due sparivano dietro le porte dell’ascensore. 

Aveva compilato gli ultimi rapporti poi era uscita, in anticipo, per andare alla scuola di Joy. Aveva ripreso la sua auto al distretto e si era diretta verso la casa degli Austin, la scuola di Joy non era molto distante da lì. Castle le aveva detto che aveva avvisato la preside che oggi sarebbe andata Beckett a prendere la bambina, ma era certa che anche senza avrebbe avuto i giusti argomenti per convincerli, pensò toccando il distintivo appuntato sulla cinta dei pantaloni.

Parcheggiò proprio davanti al cancello di uscita, ancora non c’era nessuno, ed aspettò pazientemente l’orario della fine delle lezioni, appoggiata alla sua auto, guardando la porta della scuola, cercando di non pensare a nulla. Si ritrovò ben presto circondata da altre auto e genitori e baby sitter che la guardavano con fin troppa attenzione. 

Quando i bambini cominciarono ad uscire Kate cercò tra quella moltitudine di piccoli urlanti e poi la vide incamminarsi piano verso l’uscita insieme ad altre due bambine, mentre un gruppetto di altri bambini che correvano le urtò senza scusarsi. Represse il suo istinto di andare a prendere quei ragazzini per insegnargli le buone maniere ed aspettò che arrivasse fuori con le sue amiche. Joy si guardò intorno cercando la figura ormai familiare di Castle ma non lo vide.

- Ciao Kate, Rick?

Joy se ne stava davanti a lei con le sue amiche che la stavano studiando. Ingoiò a vuoto senza riuscire subito a risponderle e fu preceduta dalla domanda di una delle due.

- È la tua nuova mamma? - Chiese a Joy una bambina bionda con gli occhi azzurri.

- No, lei è Kate, è della polizia, è amica di Rick. - Rispose Joy.

- Castle aveva un impegno con il capitano, farà un po' tardi, quindi ha mandato me a prenderti, ti dispiace? - Le chiese mentre prendeva dalle sue spalle quello zaino che le sembrava troppo pesante per lei.

- No, va bene. Grazie Kate.

- È un piacere Joy. - La osservò salutare le sue amiche e poi la invitò ad entrare in macchina. Se ne stava seduta composta osservando la strada. Kate si girava di tanto in tanto ad osservarla, cercando non sapeva nemmeno lei cosa tra i suoi lineamenti.

- Ti va se andiamo a mangiare qualcosa insieme? - Le chiese e la vide annuire timidamente. Cambiò strada, allontanandosi dalla direzione distretto, per andare in un quartiere per lei familiare che però non frequentava più molto spesso. Si fermò nel parcheggio antistante ad un piccolo ristorante familiare: era rimasto tutto più o meno uguale da come ricordava, tranne le insegne, rosse molto accese di sicuro cambiate da poco. Kate aprì la porta e un campanello tintinnò sopra le loro teste annunciando il loro arrivo. Il locale era più spazioso di quanto sembrasse dall’esterno, con i tavoli in legno scuro e le poltroncine con le rifiniture rosse, le tovagliette tutte ben allineate. Le si avvicinò un giovane ragazzo che le fece accomodare in un tavolo apparecchiato per quattro, portando via i coperti in eccesso. Lasciò loro i menu e Kate si fermò ad osservare Joy che leggeva attentamente il suo, assorta in quell’attività che sembrava richiederle particolare attenzione. 

- Signore, siete pronte per ordinare? - disse una voce gentile e gioviale che poi sussultò nel vedere il volto di Beckett. - Kate? Kate Beckett? Sei proprio tu?

- Ciao Mike, sì sono proprio io. - Rispose lei quasi imbarazzata mentre Joy osservava attenta la loro conversazione.

- Piccola Katie da quanto tempo era che non venivi più qui? Dieci anni forse? - Mike era un signore un po' avanti con gli anni, stretto nella sua camicia bianca e nei pantaloni neri, un cameriere di quelli vecchio stile, che era lì da sempre. 

- Anche un po' di più.

- Jim ogni tanto viene, si siede sempre a quel tavolo laggiù, ricordi? Dice che lo fa stare bene. Volete spostarvi anche voi?

- No, grazie Mike, va benissimo anche questo. - Disse Kate con uno sguardo malinconico verso il fondo della sala in un tavolo vuoto.

- Ehy Kate… mi dispiace per tua madre… quella sera… beh, è stato un brutto colpo per tutti. So che è passato tanto tempo però non ti avevo più visto e… l’ho detto anche a Jim…

- Grazie Mike. - cercò di tagliare il discorso Kate che un attimo prima che i suoi occhi si riempissero di lacrime focalizzò l’attenzione su quelli di Joy che la guardavano curiosi di capire cosa stesse accadendo. - Cosa ci consigli per mangiare? Io e la mia piccola… amica… siamo molto affamate!

- Beh, per te Katie, il solito se non hai cambiato gusti, polpette e purè! 

- Perfetto! - gli sorrise gentilmente.

- E alla tua piccola amica cosa portiamo?

- Anche a me polpette e purè! - Esclamò Joy, salvo poi guardare Kate con aria interrogativa. - Posso?

- Per oggi sì, poi lo dico io a Castle, non ti preoccupare.

- Bene! Due belle porzioni di polpette e purè per queste due splendide signorine! - Mike riprese e menù e trotterellò verso la cucina, tornando poco dopo con dell’acqua e del pane per poi lasciarle sole di nuovo.

- È bello qui. Sono tutti gentili anche con me. - disse Joy guardandosi intorno.

- Perché di solito non sono gentili con te? - Le chiese Kate seria.

- Non tanto. Dove mi portavano Lauren e Ethan secondo me guardavano un po' male i bambini. Nemmeno mi rivolgevano la parola. Erano tutti posti molto silenziosi.

- Sono contenta che qui ti piace. È un posto con tanti ricordi per me.

Le due rimasero in silenzio per un po'. A Kate piaceva osservare Joy guardarsi intorno e a Joy piaceva scoprire posti nuovi. Era naturalmente curiosa, come era lei alla sua età ed ebbe un brivido nel pensarlo.

Mike tornò con i loro piatti e entrambe iniziarono a mangiare. Kate sorrise nel vedere che Joy divideva a metà tutte le polpette prima di cominciare a mangiare, proprio come aveva fatto lei. Poi però aveva anche diviso ognuna in parti più piccole. La guardava mentre con ogni pezzo di carne raccoglieva un po' di purè e le intingeva nella salsa di arrosto che avevano messo in una ciotolina a parte.

- Kate posso chiederti una cosa?

- Certo, Joy, quello che vuoi.

- Perché non sei venuta più qui per tanto tempo? È un bel posto e le polpette sono buone!

Joy aveva tenuto quella domanda per gran parte del pranzo ed era veramente curiosa di sapere perché non era più stata lì. Kate non voleva turbarla con i suoi ricordi. Non voleva dirle che era lì che avrebbe dovuto dire ai suoi genitori di lei, di come era sicura che con il loro appoggio sarebbe riuscita a crescerla da sola, di come con suo padre aveva aspettato invano Johanna tutta la sera e poi quando erano tornati a casa avevano ricevuto la notizia che aveva cambiato la sua vita, non solo la sua. Non sapeva perché aveva scelto proprio quel posto. Forse perché era lì che voleva cominciasse tutto, dove tutto si era fermato, era dove sua madre la portava sempre che voleva portare sua figlia.

- Venivo qui a mangiare con i miei genitori tutte le settimane e nelle occasioni speciali. Poi da quando la mia mamma è morta non ci sono più venuta. Prendevo sempre le polpette con il purè, erano il mio piatto preferito. 

- È anche il mio piatto preferito! Abbiamo qualcosa in comune allora! - Esclamò Joy.

- Già piccola, abbiamo qualcosa in comune. - Le sorrise Kate concedendosi di farle una carezza.

- Perché oggi mi hai portato qui se non venivi da tanto tempo? - Le chiese ancora.

- Perché prima o poi bisogna voltare pagina, no? Che ne dici se ci prendiamo una fetta di torta adesso?

- Io non posso… - ammise Joy tristemente.

- Una piccola, ce la dividiamo, che ne dici? Qui fanno una torta alle carote buonissima, sai, la mia mamma ne prendeva sempre una fetta a metà con me, mi farebbe piacere dividerla con te. - Kate le allungò la mano e Joy la afferrò stringendola.

- Ok. Ma lo dici tu a Rick.

- Affare fatto!

Kate chiamò Mike che aveva già in mano il piattino con la torta con due forchettine, prime ancora che lo chiedesse. Lo mise tra di loro e lo mangiarono insieme, come Kate faceva con sua madre. Come madre e figlia.

Il pranzo era finito con le ultime briciole della torta di carote. Mike aveva insistito per non farle pagare il conto, un bentornata, le aveva detto, nella speranza che non facesse passare altri dieci anni prima di rimettere piede lì, altrimenti lui non ce lo avrebbe trovato. Gli promise che sarebbe tornata, presto.

Erano state fuori più di quanto avesse preventivato, ma quando tornò al distretto non c’era ombra né di Castle né di Montgomery.

- Il Capitano ha chiamato dicendo che tarderanno un po'- la avvertì Esposito mentre prendeva posto alla sua scrivania, facendo accomodare Joy nel posto che solitamente occupava Castle. La bambina tirò fuori un libro ed un quaderno e si appoggiò sulla scrivania di Kate che le fece spazio spostando la pila di fascicoli da finire di sistemare. Di tanto in tanto Beckett interrompeva il lavoro per osservarla mentre faceva i compiti in silenzio: le aveva detto che domani aveva una importante verifica di matematica e che doveva studiare. Si trovò a sbirciare più volte il suo quaderno, controllando i suoi esercizi, le venne quasi istintivo avvisarla di un errore e correggerlo insieme a lei. Ebbe un flash, rivedendosi al posto di Joy, sulla scrivania dello studio di Johanna che la aiutava a fare i compiti in quei giorni che dopo aver pranzato insieme la portava con se a lavoro e per lei, nonostante tutto, quello erano giorni speciali perché poteva passare più tempo con la sua mamma. Joy le sorrise ringraziandola, cancellò e corresse l’errore, mente Kate la accarezzò indugiando con la mano tra i suoi capelli, come faceva sua madre. La detective chiuse gli occhi mentre sensazioni presenti e passate lottavano dentro di lei per prendere il sopravvento. Fu così che Lanie le trovò entrando al distretto con una busta con dei referti.

- Hai visto dottoressa, oggi Beckett fa la baby sitter per Castle! - Esclamò Esposito.

Kate alzò la testa ed i suoi occhi incontrarono quelli dell’amica che fissava Beckett con un braccio appoggiato sulla spalliera della sedia di Joy ed il busto proteso verso di lei. Quando la bambina si rese conto di essere al centro dei loro discorsi anche lei alzò lo sguardo verso Lanie che ora le poteva vedere insieme, vicine, intente a guardarla: le espressioni erano diverse, curiosa quella di Joy, preoccupata quella di Kate, ma non c’era bisogno del test del DNA per notare la somiglianza: la bocca, il naso, gli occhi della stessa sfumatura di verde con quei riflessi nocciola. 

Beckett fulminò il collega ispanico con uno sguardo e subito si rimise a lavoro sul rapporto del caso di quella mattina.

- Ciao Joy! Finalmente ti conosco, io sono Lanie ed ho sentito tanto parlare di te! - la dottoressa si avvicinò lasciando una cartellina a Ryan.

-  Piacere mio. Chi è che parla di me? - Chiese la piccola senza accorgersi che Beckett in quel momento avrebbe smaterializzato Lanie.

- Castle, dolcezza! A proposito dov’è? - Si guardò intorno ma prima che potesse risponderle lo scrittore apparve dietro di lei.

- Mi cercavi dottoressa Parish? Nemmeno tu puoi resistere a lungo senza di me? - Disse Rick schernendola

- Finiscila Castle! Possiamo tutte resistere a lungo senza di te! 

- Dottoressa, così distruggi la mia autostima ed il mio ego! - disse lui con fare melodrammatico facendo ridere Joy. - E tu JJ? Anche tu resisti a lungo senza di me? 

- Uhm… sono stata bene con Kate, però sono anche felice che sei tornato.

- Dai rimetti tutto a posto così togliamo il disturbo e andiamo a casa così ti riposi un po'! Io intanto vi vado a preparare un caffè a tutti, Beckett mi accompagni?

Kate lo seguì nella sala relax, osservandolo mentre armeggiava con la macchina del caffè. Da quando lo aveva conosciuto per lei Castle era sempre stato il bambino mai cresciuto, l’irresponsabile ed invece ora in lui vedeva un padre attento, non solo per Alexis che aveva sempre considerato molto più matura di lui, ma anche per sua figlia. Era difficile dirlo ed ammetterlo, ma Castle si comportava da perfetto padre per Joy era sicura che lui non sarebbe stato come gli altri, che non l’avrebbe lasciata alle prime difficoltà che le avrebbe dato tutto quello di cui aveva bisogno e tra loro due quella che si sentiva in difetto era lei. Stava scoprendo una nuova parte di lui ed ammettere che le piaceva e che forse su di lui si era sbagliata in quel momento era difficile.

- Spero non sia stato un problema per te occuparti di lei. - le disse mentre le porgeva il suo caffè. 

- No, no, assolutamente. È stato un piacere, Joy è una bambina fantastica. Mi ha detto di dirti che abbiamo mangiato polpette e purè e che ci siamo divise una fetta di torta alle carote. La responsabilità è mia Castle. - Gli sorrise e lui fece altrettanto.

- Ok, Beckett, se è responsabilità tua sei perdonata! Senti, stavo pensando, visto che è il compleanno di Joy questo fine settimana, vorrei organizzare qualcosa per lei, magari invitando i suoi amici di scuola, ti andrebbe di venire?

- Io? È una cosa per bambini, io non so se…

- Sono sicuro che a Joy farebbe piacere e farebbe piacere anche a me. - le disse serio mentre lei si sentì troppo stretta in quella stanza con lui.

- Ok, farò il possibile, omicidi permettendo. - Prese una delle tazze che aveva appena fatto ed uscì fuori prima che lui  finisse le altre. Aveva bisogno di distanza da tutti. Diede il caffè a Lanie ed aspettò che Castle tornasse con gli altri due per Ryan ed Esposito.

- Sei pronta Joy? Dai saluta tutti ed andiamo! - La esortò lo scrittore prendendo il suo zaino. Così la bambina salutò per primi i due detective e la dottoressa ed infine Beckett.

- Grazie per il pranzo Kate.

- Grazie a te per la compagnia Joy. - le rispose piegandosi per essere alla sua altezza e la bambina la abbracciò dandole un bacio sulla guancia, cogliendola di sorpresa.

- A domani Beckett! - la salutò lo scrittore.

- Ciao Castle!

Lanie e Kate si guardarono in silenzio e poco dopo che Castle se ne fu andato anche lei tornò in laboratorio. Kate non si era ancora rimessa seduta che il suo cellulare vibrò. 

“Io e te, stasera, cena insieme. Non accetto un no”. Il messaggio di Lanie non ammetteva repliche, così Beckett rispose con un veloce e distratto “Ok”, ancora persa nell’abbraccio di sua figlia.

Kate aveva aperto la porta di casa lasciando entrare Lanie, si era poi buttata sul divano lasciando che lei facesse il resto, tra loro non c’era bisogno certo di formalità. Si erano accordate per una cena a casa di Kate, il modo più pratico per poter chiacchierare liberamente ed era esattamente quello per cui Lanie era lì, oltre che per magiare quelle pizze giganti e finire una bottiglia di vino che aveva preso andando lì.

Anche la spigliata dottoressa, però, si trovò in difficoltà ad affrontare l’argomento per cui era lì. La sua amica, più pensierosa e silenziosa del solito, aveva mangiato appena, con poca voglia uno spicchio di pizza, giocherellando con un pezzo di crosta sul vassoio.

- Come è andata oggi? - Le chiese infine Lanie facendosi coraggio.

- Bene. Cioè, sì… bene. L’ho portata a mangiare da Mike…

Lanie sapeva cosa voleva dire quel posto per lei, sapeva che lo evitava accuratamente, che era lì che aveva aspettato ore invano Johanna.

- Perché?

- Mi ci portava sempre mia madre… io… non lo so, avevo bisogno di un posto così, familiare… - Kate fece una pausa e bevve un sorso di vino. - Le piacciono le polpette con il purè, come a me… A quante persone piacciono al mondo, Lanie? Milioni? Eppure perché mi sembra così speciale questo?

- Perché è tua figlia, cerchi te stessa in lei e fattelo dire tesoro, vi assomigliate tantissimo. Avete lo stesso sguardo, ed anche la bocca è identica! 

- È tutto così strano… Fuori da scuola una sua amica le ha chiesto se ero la sua nuova mamma, mi sono sentita morire… Alcune volte ho avuto la tentazione di dirle tutto, di abbracciarla e chiederle scusa per quello che ho fatto… - Ammise Kate.

- Quando pensi di dirglielo? Kate, Joy è sveglia, lo deve sapere. È giusto per te e per lei. Poi potrebbe anche odiarti ma lo devi mettere in conto.

- Non so se sono pronta per questo. Io vorrei parlarne prima con Castle, ma non so come…

- Digli solo la verità.

- Che ho abbandonato mia figlia appena nata? Che non sono stata abbastanza forte da andarla a riprendere quando avrei voluto? Che grazie a me ha avuto una vita orribile?

- Ehy frena ragazza, che vuoi dire che avresti voluto riprenderla? 

- Avevo tre mesi per ripensarci. E un paio di giorni prima dello scadere dei tre mesi avevo guardato il calendario. Un colpo di testa. Sono tornata in ospedale e mi hanno detto a quale struttura era stata affidata, sono andata lì ma lei non c’era, era stata già data in affidamento ad una famiglia. I signori Collins, non dimenticherò mai quel nome. Volevano proprio una bambina appena nata… L’assistente sociale che allora si occupava di Joy mi ha chiesto se ero proprio sicura di rivolerla, perché lei ora aveva una famiglia, che ci dovevo pensare bene ed ho pensato che lei sarebbe stata più felice così… poi l’hanno portata indietro, come un giocattolo rotto, quando hanno scoperto che era malata… Se fossi stata solo più forte quel giorno…

Kate aveva gli occhi umidi e stava distruggendo un fazzoletto di carta che aveva tra le mani, riportare a galla quei momenti sommersi da dieci anni era un raschiarsi l’anima con lame affilate, ma era consapevole che sarebbe stato così e sarebbe stato sempre peggio, soprattutto quando la cosa sarebbe stata palese per tutti, perchè se c’era una cosa che aveva capito era che non c’era più possibilità di “se la cosa fosse stata palese”, ma solo di “quando”. Lanie appoggiò la propria mano sulle sue, un misero tentativo di darle conforto e di evitare che massacrasse ancora di più quel povero pezzo di carta.

- Non puoi fartene una colpa. Non potevi sapere cosa sarebbe accaduto. Hai scelto la cosa che pensavi fosse migliore per lei.

- Come potrò mai spiegarglielo, Lanie? 

- Non lo so, ma più passerà il tempo più sarà difficile. 

Kate sapeva che era vero, sapeva che sarebbe stato meglio dirlo subito, a Joy e Castle, prima che i rapporti diventassero più complicati, per provare a ricostruire un rapporto senza menzogne con sua figlia, ma la realtà era che Kate ne era spaventata perché non sapeva cosa fare. Avrebbe mai potuto dirle che era sua madre e lasciare che fosse Castle a prendersene cura? Avrebbe dovuto trovare un accordo con lui? Rivendicare i propri diritti? Lei non ne aveva, non aveva nessun diritto su Joy da quasi dieci anni. Voleva solo starle vicino, in qualsiasi modo le fosse permesso perché dopo quel giorno sapeva che per quanto sarebbe stato difficile, non l’avrebbe più potuta lasciare e se Joy l’avesse voluta solo come amica, avrebbe accettato quel ruolo, almeno per il momento.

Kate non aveva più visto Joy nei giorni successivi, si informava di lei da Castle, anche se non c’era mai bisogno, visto che era lui che parlava continuamente di lei e di come il rapporto tra Joy e Alexis fosse sempre migliore, sembrava la cosa che gli premeva di più. Voleva farle una sorpresa e non sapeva della sua festa di compleanno organizzata per quella domenica pomeriggio, con il suo fascino ed i suoi modi suadenti aveva convinto le sue insegnanti a dargli i contatti dei genitori di tutti i compagni di classe e convincere le madri a portare i loro pargoli ad una festa organizzata da Richard Castle non fu complicato. Aveva già pensato a tutto il resto, dal catering alla location fino agli animatori per i bambini, e naturalmente il casting per quest’ultimi era stato fatto da Martha che voleva assolutamente essere a conoscenza delle loro qualità da performer offrendosi di dare loro ripetizioni in caso non si sentissero all’altezza. Fu in quell’occasione che Castle le disse che forse avrebbe potuto aprire una scuola di recitazione mentre cercava delle parti adatte alla sua caratura d’attrice e Martha sembrò pensarci su seriamente, forse non era una cattiva idea… 

Joy stava per finire la scuola, erano gli ultimi giorni, poi sarebbe rimasta a casa per le vacanze estive e Castle aveva già comunicato a Montgomery e a Beckett che per questo le sue incursioni al distretto sarebbero state molto limitate, voleva occuparsi personalmente di Joy e per quanto sia Martha che Alexis si erano offerte di stare con lei e Joy stessa fosse molto indipendente, era lo stesso Rick a sentire il bisogno di stare vicino alla bimba e darle tutto il suo affetto e sostegno possibile. Kate fu molto turbata da questo. Sapeva che così le sarebbe stato difficile avere delle valide scuse per interessarsi a Joy ed anche per continuare a vedere Castle, quando poi quel giovedì le disse che il giorno successivo non sarebbe andato al distretto per portare Joy in ospedale per la sua trasfusione sentì come se le stessero togliendo l’ossigeno e inoltre Rick aggiunse che quello era il suo ultimo giorno lì: aveva consegnato quella mattina stessa la bozza definitiva del suo libro su Nikki Heat, l’alter ego di Kate Beckett. Gina e gli altri editor della sua casa editrice erano entusiasti del prodotto già dalle versioni precedenti e sicuri che sarebbe stato un successo.

“Magari va talmente bene che mi offrono un contratto per scrivere il seguito e dovrai sopportarmi di nuovo tra qualche mese!” Le aveva detto così prima di salutarla, rinnovandole l’appuntamento per quella domenica per la festa a sorpresa e Kate in cuor suo si trovò a sperare che quel libro che tanto aveva odiato all’inizio diventasse un vero Best Seller.

—

Rick procedeva nel corridoio dell’ospedale tenendo per mano Joy o forse era lei che teneva lui, visto che tra i due era il più agitato. Lei chiacchierava normalmente, della scuola appena conclusa e di come era convinta che erano andate bene tutte le ultime verifiche. Salutava le infermiere ed i piccoli pazienti che incontrava fino a quando non fu davanti a quella che era la stanza che gli avevano indicato all’entrata ma che lei conosceva già bene. C’erano altri due letti con altri due piccoli pazienti che già avevano iniziato il loro trattamento. Salutarono Joy ed anche le loro mamme fecero lo stesso con Rick, mentre lui con un sorriso tirato ricambiava i saluti: era a disagio, fortemente a disagio, non tollerava di vedere la sofferenza dei bambini e lì c’era troppa. Un’infermiera arrivò e preparò Joy che già le aveva porto il braccio per far inserire la flebo. Castle seguì tutte le operazioni in silenzio, anche quando l’infermiera gli spiegò che il tutto sarebbe durato un po' più di un paio d’ore.

- Stai bene Rick? - gli chiese Joy dopo che l’infermiera li aveva lasciati soli tirando la tenda che divideva il suo letto dagli altri per dargli un po' di privacy.

- Lo chiedi tu a me, JJ? - Le scostò i capelli dal volto cercando di sorriderle.

- Sei preoccupato, ti vedo. Ma non devi rimanere ci vediamo dopo.

- Certo che rimango. Non ti lascio sola. Cosa fai di solito in queste ore?

- Uhm… non lo so… penso, credo. 

- Possiamo pensare insieme allora. A cosa? - Avvicinò la sedia al suo letto e le prese la mano libera.

- Io penso a tutto quello che mi piacerebbe. 

- Ok, ti ascolto! Cosa ti piacerebbe fare?

- Ne diciamo una per uno? - Propose lei.

- Va bene, però comincia tu!

- Mi piacerebbe andare a Disneyworld e fare la foto con Ariel la Sirenetta dentro la conchiglia. L’estate scorsa l’ha fatta una mia compagna di classe, era bellissimo! - A Joy brillavano gli occhi e Rick pensò che quel desiderio non era poi difficile da realizzare, già pensava come e quando portarla.

- Mi piacerebbe nuotare con i delfini!

- Anche a me! Pensi che è una cosa che si possa fare? Non è pericoloso? - Gli chiese Joy.

- No! Anzi, ho anche trovato un posto dove si può fare, che ne dici, magari potremmo andarci io te e Alexis?

- Anche ad Alexis piacerebbe nuotare con i delfini?

- Non lo so, ma se non vuole può fare le foto a me e a te!

- Non sarà gelosa? Tu sei il suo papà - Si preoccupò Joy.

- Non ti preoccupare, Alexis non è gelosa. Ti vuole bene, come te ne voglio io e Martha. - Rick avrebbe voluto dirle altro, ma non sapeva se lei fosse pronta e nemmeno se lo era lui. Joy annuì fissando la tenda con disegnati vari palloncini colorati.

- Mi piacerebbe vedere tante farfalle volare intorno a me! - Riprese Joy.

- Mi piacerebbe avere una scimmia! - Continuò Rick.

- Bleah le scimmie sono dispettose! - Lo riprese lei.

- E tu che ne sai? - Chiese curioso.

- L’ho visto in tv. Fanno tanti dispetti e tirano i capelli.

- Ok, allora niente scimmie. Vorrei trasformare tutto il salotto di casa in un grande castello fatto con cuscini e lenzuola e passare la notte lì.

- Perché non lo fai? È casa tua!

- Alexis non vuole, dice che è da bambini… - Rispose Rick rammaricato.

- Sì lo è infatti. Tu però Rick sei un po' bambino!

- Ti dispiace Joy?

- No è divertente! Io poi vorrei andare a cavallo.

- Ed io andare nello spazio.

- Io vorrei un orso gigante di peluche da abbracciare.

- Io vorrei essere il tuo orso di peluche, se vuoi. - Le disse sorprendendola. Lei lo guardò un po' stupita.

- Non sei così peloso come l’orso di peluche, però!

- Già, è vero. Però al contrario degli orsi io gli abbracci li do anche. - Le accarezzò il volto e Joy sorrise. Era convinto che tra i suoi desideri ci sarebbero state cose come guarire o avere una famiglia, invece lei non aveva fatto parola di tutto questo e lui non sapeva come interpretarlo, se era solo voglia di spensieratezza della sua età, se non si sentisse abbastanza a suo agio ancora a parlarne con lui o quello che temeva di più, che fosse rassegnata. Passarono il resto del tempo a parlare di tutte le cose che avrebbero voluto fare, da incontrare Zac Efron ad avere le spade laser di Star Wars ma Joy non sapeva cosa fosse e dopo la lunga spiegazione di Rick fu dispiaciuta di dirgli che a lei proprio non piaceva tutta quella storia e Rick abbozzò in silenzio dicendo che le avrebbe fatto cambiare idea.

—

Kate aveva passato tutto quel venerdì mattina con la testa altrove, tanto da beccarsi anche un richiamo da Montgomery, cosa alquanto strana per lei. Javier e Kevin avevano fatto più di qualche battuta chiedendole se si fosse innamorata, ipotizzando che il nuovo detective arrivato da qualche giorno dalla narcotici, David Adams non si limitasse solo a farle gli occhi dolci. Lo sguardo che lei riservò loro, invece, fu tutt’altro che dolce tant’è che per il resto del giorno evitarono di commentare ancora, anche se quando lui era passato davanti alla sua scrivania, sorridendole e fissandola, non avevano risparmiato qualche risatina messa subito a tacere da un’altra occhiataccia di Beckett, che mentre stava andando via fermò anche lo stesso Adams prima che le rivolgesse la parola.

Aveva pensato tutto il giorno a Joy, a come stava, a quanto avesse voluto essere lì con lei e a quanto avrebbe dovuto esserci, quella mattina e tutte le altre mattine della sua vita. Uscì prima dal distretto e camminò per cercare ispirazione tra le vetrine su cosa regalarle per il compleanno ma non le venne in mente nulla che fosse abbastanza importante senza essere patetico o necessario di troppe spiegazioni che non poteva dare. 

Prese un caffè e si sedette sola in un parco, osservando alcune mamme con i loro bambini che si dividevano tra raccomandazioni, sorrisi e qualche sgridata. Si chiedeva lei cosa avrebbe fatto, che tipo di madre sarebbe stata. Certamente no come quella seduta nella panchina davanti a lei, super ansiosa che stava continuamente a dire al figlio di non fare questo o quello e nemmeno come quella poco distante che chiacchierava con le amiche non curandosi del bambino che la chiamava e gli diceva di aspettare.

- Mi scusi, è libero? - Una donna poco più grande di lei che teneva per mano una bambina di cinque o sei anni le chiedeva di potersi sedere vicino a lei. Spostò la borsa e la fece accomodare. La donna prese in braccio la bambina ed ascoltò tutti i suoi racconti, Kate sorrise alle storie fantasiose della piccola che poi andò di corsa verso lo scivolo poco lontano sotto lo sguardo attento della madre.

- Il suo qual è? - le chiese la donna osservando lo sguardo di Kate attenta sui bambini. Beckett si voltò senza capire.

- Mi scusi, credevo che stesse guardando suo figlio. - Si scusò la donna imbarazzata, ma Kate non lo era da meno.

- Oh no… io stavo solo finendo il caffè… La… la mia non è qui… È… con il papà - Non seppe nemmeno lei da dove le uscirono quelle parole.

- Ah capisco. Anche io mi sono separata, ma Lisa aveva solo due anni, non è stato traumatico per lei, adesso ne ha sei, la sua?

- Dieci… Dieci domani e… devo andare, non le ho ancora fatto il regalo. - Kate prese le sue cose e si alzò, salutando distrattamente la donna, presa da un senso di angoscia che non riusciva a tenere. Nel voltarsi a buttare la tazza di caffè ancora mezza piena vide che si era alzata ed aveva raggiunto la bambina e la stava spingendo sull’altalena. Pensò che forse sarebbe stata una madre così, che va sull’altalena insieme a sua figlia.

Kate era tornata indietro sui suoi passi, facendo la strada a ritroso verso il distretto. Quello che aveva visto, fatto e lei stessa detto al parco l’aveva stordita: per la prima volta si era vista in altre vesti, in altro modo, si era vista madre. Eppure non lo era, perché non aveva mai fatto nulla per definirsi tale oltre al mettere al mondo una figlia che non aveva mai curato, ma dentro di se stava crescendo una consapevolezza che la faceva sentire forte e la spaventava allo stesso tempo. Joy era sua figlia, non era più un pensiero astratto era qualcosa che aveva metabolizzato ed era dentro di lei. 

Arrivata a casa combattè il resto del pomeriggio contro la tentazione di chiamare Castle e chiedergli di Joy. Un lungo bagno, pensò, sarebbe stato il metodo migliore per provare a rilassarsi, ma fu inutile, ripercorreva ogni istante trascorso con Joy, da quando l’aveva vista nascosta nell’armadio a quell’abbraccio che le aveva regalato prima di andare a casa con Castle. Quel pensiero era una droga nella sua mente.

Aveva buttato l’accappatoio in un angolo della camera e stava cercando una t-shirt da mettersi, a New York faceva già molto caldo e prima o poi avrebbe dovuto cedere e far installare anche a casa l’aria condizionata: non aveva mai sofferto troppo il caldo, ma quei giorni era insofferente a tutto. Si guardò allo specchio, vide quel suo vecchio tatuaggio, poco sopra l’inguine, quella farfalla maori fatta a sedici anni come segno di ribellione, in un posto che se ci ripensava si chiedeva come aveva fatto a non prendersi qualche brutta malattia. Ricordò perfettamente la lunga ramanzina di sua madre quando lo scoprì e le sue urla che le avevano sicuramente sentite anche i vicini, i silenzi severi di suo padre che quella volta non aveva nessuna intenzione di giustificarla, non tanto per il tatuaggio, quando per la scelta scellerata di un posto non sicuro per la sua salute. Era comunque ben fatto e trovò strano che le piacesse ancora, nonostante fosse cambiata così tanto. Capì in quel momento cosa avrebbe regalato a Joy. Anche lei amava le farfalle, le aveva disegnate appena arrivata al distretto, non doveva essere un caso.

Infilò la prima maglietta presa nell’armadio e poi aprì il suo portagioie. In un sacchetto c’era una collanina di oro bianco dalla quale alla fine pendeva una farfallina con le ali traforate, simile a quella del suo tatuaggio. Ricordava esattamente da quando ce l’aveva, ricordava quando l’aveva vista in una vetrina e che tutte le volte che passava davanti la guardava. Ricordava quando Johanna le aveva dato quel sacchettino blu e lei fece scivolare sulla sua mano quel ciondolo. Ricordava gli occhi di sua madre che ridevano della sua espressione stupita e felice. Aveva anche lei poco più di dieci anni e l’aveva sempre portata al collo. Era quella che aveva fatto vedere al tatuatore quando aveva dovuto scegliere di corsa un disegno, era quella che non si era mai tolta fino a quando sua madre non era morta. Poi l’aveva chiusa lì, insieme a tutti i ricordi felici ed ora indossava sempre al collo il suo anello, per ricordarsi quello che in ogni caso non avrebbe mai potuto dimenticare. Joy non avrebbe mai saputo il significato di quel regalo, nessuno lo avrebbe mai saputo, ma per lei era importante che fosse sua figlia, ora, ad averla. 

Il suono del cellulare interruppe i suoi ricordi. Fece un respiro profondo, pronta a tornare al distretto, ma quando vide il numero il cuore sobbalzò ancora di più: era Castle. Perché la stava chiamando a quell’ora?

Rispose cercando di nascondere la sua agitazione, magari voleva solo confermarle l’orario per la domenica, perché doveva pensare al peggio? 

- Beckett!

- Ehy ciao sono io, sono Castle, ti disturbo? - Kate non voleva pensare sempre al peggio, ma la voce ed il modo di parlare di Rick non tranquillizzarono per niente.

- No, Castle figurati. Tutto bene?

- Sì, cioè no. Insomma… 

Lo sentì prendere un respiro ed il rumore di una porta che si chiudeva. Lei si sedette sul letto pronta ad ascoltarlo.

- Stamattina sono stato con Joy in ospedale per la sua trasfusione…

- È successo qualcosa a Joy? - Chiese allarmata.

- No, cioè un po' di febbre ma mi hanno detto che è normale dopo. L’ho appena messa a dormire. È che… mi sono sentito impotente e stupido. Lo so che ora dirai che sono sempre stupido ma… era lei che diceva a me di stare tranquillo, che non era nulla… e… scusami Beckett, ma avevo bisogno di parlare con qualcuno, se sono stupido puoi dirmelo.

- Questa volta non sei stupido Castle… - Faceva fatica a tenersi. Faceva un’enorme fatica a non fargli capire che il suo cuore si stava sgretolando ad ogni sua parola.

- Questa volta uhm? Vuol dire che di solito…

- Non ti approfittare del momento, Castle! Accontentati. Cosa altro è successo? - cercava di essere il più normale possibile.

- Ok… Per lei era tutto normale, era così abituata a quello che a me sembrava orribile ed ingiusto. Mi ha detto che se non me la sentivo potevo lasciarla sola. Che razza di persone possono lasciare sola una bambina in quel momento? Mi sono sentito inadeguato quando mi ha detto che lei di solito in quelle ore pensa a tutto quello che le piacerebbe fare e non ha detto nulla di impossibile, ma tutte cose normali per una della sua età.

- Ad esempio? - Chiese Kate asciugandosi gli occhi contenta solo che Castle dal telefono non potesse vederla. 

- Conoscere Zac Efron. - sorrise Rick

- Io non so nemmeno chi sia, vuol dire che sto invecchiando? - Gli domandò.

- No, solo che non hai una figlia tra i dieci ed i quindici anni! - Rise lui non sapendo che quelle parole erano una frustata sulla pelle viva per Kate. - E poi che vorrebbe andare a Disneyland, fare una foto con la Sirenetta, vedere tante farfalle, nuotare con i delfini… Vorrei realizzare tutte queste cose per lei, eppure sono sicuro che mi sentirei sempre di non fare abbastanza.

- Sono sicura che come al solito tu farai molto di più di quanto sia normale per chiunque. Ed in questo caso sarà solo un bene. - Gli disse Kate.

- Lo pensi veramente?

- Sì, tieni a bada il tuo ego e non farlo espandere oltre i confini nazionali, almeno.

- Uhm sì certo… Beckett… Grazie… per aver sopportato il mio sfogo. Non sapevo chi chiamare e… Beh, grazie.

- Quando vuoi Castle. Ah, fammi sapere come sta Joy e se ti serve una mano, non ti far problemi, chiamami pure. Non sono esperta con i bambini ma… Se hai bisogno…

- Grazie Beckett. Ci vediamo domenica pomeriggio?

- Certo. Non mancherei per niente al mondo.

- Ci conto Beckett, ed anche Joy sarà felice di rivederti.

- Anche io sono felice di rivedere lei.

- Anche me, detective? Ti sono mancato? - aveva già ritrovato il suo solito piglio irriverente.

- Non esagerare Castle!

- A domenica detective!

- Buonanotte scrittore.

—

Il compleanno vero di Joy era quel sabato, non la domenica. Ogni anno Kate aveva fatto finta di nulla, aggiungendo quella data alle altre nella sua personale blacklist e quel giorno in particolare fu decisamente grata della telefonata ricevuta all’alba per un caso di omicidio, un ex concorrente di un reality show del quale lei ignorava l’esistenza, trovato morto nella piscina di un hotel dove doveva pubblicizzare la sua nuova marca di abbigliamento. Dover fronteggiare stampa e ragazzine urlanti e piangenti che provavano ad intrufolarsi ovunque fu più difficile che capire che l’assassino era stato un altro ex concorrente dello stesso programma. Era quasi l’alba della domenica mattina quando scoprì che dietro a quel delitto c’era una storia di amore non corrisposto di un ragazzo per l’altro, gelosia per il successo ed altre sfumature che a lei sembravano tutte così banali per in omicidio, ma non era la prima volta che si ritrovava a pensarlo. Consegnato il sospettato alla penitenziaria e compilato gli ultimi rapporti andò a casa stremata ma felice di non aver avuto modo di pensare ed ora voleva solo dormire qualche ora e sprofondò vestita sul letto.

Aveva appena fatto in tempo a mettere la sveglia, ma non l’aveva nemmeno fatta suonare, si era svegliata prima, una doccia veloce e poi si era vestita per andare alla festa di Joy. 

Era in anticipo, di molto. Vide il portone del luogo che si apriva e si chiudeva, con vari ragazzi che entravano ed uscivano per sistemare gli ultimi dettagli: palloncini, nastri, scritte… Kate si avvicinò, ma fu bloccata all’ingresso da uno di questi.

- Mi dispiace signora, ma oggi c’è una festa privata. - le disse un ragazzo parandosi davanti alla porta.

- Sì, lo so… mi ha invitata Castle.

- Ah, mi scusi, ma ci aveva detto che gli ospiti sarebbero arrivati più tardi, però se vuole può portare il suo bambino all’interno, è già quasi tutto pronto. - il ragazzo aveva cambiato tono, diventando più conciliante.

- Ehm no, sono sola, sono un’amica di Castle.

- Ok, ok faccia come vuole allora io devo finire di sistemare - le disse mostrandole alcune decorazioni che aveva tra le mani.

Sorrise guardando l’interno. Era tutto perfettamente già decorato con due grandi tavoli pieni di dolci e tante altre schifezze che era certa Castle avrebbe adorato, un deejay stava sistemando i suoi dischi ed altre ragazze si aggiravano a controllare gli ultimi dettagli. Si sarebbe immaginata decorazioni sul rosa o il lilla, i colori che a Joy piacevano di più e delle decorazioni fiabesche con sirene, cavalli volanti o farfalle, invece si guardava intorno perplessa di trovarsi immersa in un ambiente che ricordava quello di un college, con una serie di armadietti alle pareti, delle panche di legno, poltroncine rosse e nere in un angolo ed un palco con dei microfoni.

- Bello eh? - le chiese una ragazza con ai piedi un paio di pattini che si era avvicinata per portarle un badge che le mise al collo.

- Sì… bello… - rispose perplessa.

- Festa a tema High School Musical. Uno dei nostri pezzi forti, ma organizzarlo in così poco tempo è stata un’impresa, ma il signor Castle ci teneva molto per sua figlia! Lei è una parente?

-Io… no, sono solo un’amica… - disse mentre guardava il badge dove in caratteri dorati c’era una vistosa scritta “Party di Joy” e poi sotto in nero “ospite”. Sorrise e si andò a sedere in una delle poltroncine mentre i ragazzi finivano gli ultimi ritocchi.

Quando cominciarono ad arrivare gli altri bambini con i loro genitori, nella sala era tutto perfetto. Alcuni andarono verso il piccolo campo da basket, altre ballavano sul palco vicino al deejay cantando tutte le canzoni a memoria, segno che dovevano essere quelle più in voga nel momento almeno in quella fascia di età. Alcuni genitori si erano seduti dove era lei, con intenti quasi subito bloccati di fare una conversazione di cui non aveva voglia e si cominciava a sentire a disagio mentre tutti sembravo divertirsi sorseggiando dei cocktail, solo per adulti, serviti da ragazzi che si muovevano veloci per la sala con i pattini. Quando cominciò a realizzare perché era lì le salì un profondo senso di inquietudine, soprattutto nel sentir parlare le altre madri dei propri figli, di nascite, baby shower e compleanni. 23 giugno 1999, quella data era scritta nel foglio che aveva firmato contro il parere dei medici, quando se ne era andata dall’ospedale, quando aveva parlato con quell’infermiera che aveva raccolto il suo suggerimento per il nome di sua figlia, quando l’aveva vista per la prima e credeva per l’ultima volta. Si sentì a disagio e pensò che lei, lì, non ci sarebbe mai dovuta essere, che non era il suo posto, che non lo meritava. Si era alzata decisa ad andarsene prima di dover affrontare tutto ed era già vicina all’uscita, quando la porta si aprì.

Joy era seduta sul sedile posteriore della macchina di Castle vicino ad Alexis. Rick le aveva detto che l’avrebbe portata in un bel posto per festeggiare quel giorno, ma lei non ne aveva molta voglia. Non aveva mai amato il suo compleanno ed in realtà non lo aveva mai festeggiato, a parte qualche piccola festa che aveva organizzato Emily quando aveva potuto. Non le piacevano i compleanni, nemmeno andare a quelli degli altri, le mettevano, anzi, tristezza, soprattutto quando vedeva al momento del taglio della torta i bambini con vicino i loro genitori spegnere le candeline, mentre lei lo aveva sempre fatto da sola. Era contenta solo perché riceveva qualche regalo, come a Natale. Rick però aveva tanto insistito e le dispiaceva dirgli di no ed anche Alexis sembrava felice “Vedrai che ti divertirai, papà sa sempre come festeggiare!” le aveva detto la giovane rossa e lei si immaginava quante feste bellissime aveva dovuto avere. Alexis sembrava sempre una ragazza felice agli occhi di Joy, che non aveva ancora mai avuto il coraggio di chiederle dove fosse la sua mamma, non ne parlava mai e si era convinta che forse era morta.

Due ragazzi li stavano aspettando davanti alla porta d’ingresso mentre i quattro stavano attraversando la strada, con Joy che teneva stretta la mano di Castle.

- Quindi tu sei Joy! - le disse uno dei due mettendole al collo un badge con dove oltre al suo nome spiccava la scritta “festeggiata”

- E questi sono per il papà, la sorella e la nonna! - disse il ragazzo con una naturalezza che colse tutti di sorpresa, Joy per prima, mentre Martha sembrava entusiasta con il suo gingillo di plastica al collo da esibire facendo segno “ok” al ragazzo senza essere vista. Era stata una sua idea quella, bisognava un po' forzare la mano, secondo lei, era tutto troppo formale.

Appena Joy entrò lo speaker richiamò l’attenzione di tutti e la piccola si guardò intorno stupita di vedere quell’ambiente e tutta quella gente. Mentre spostava il suo sguardo e non sapeva cosa guardare, se i compagni di scuola, le cose da mangiare, l’enorme scritta con il suo nome in fondo alla sala, il deejay che metteva la sua musica preferita e tutto il resto, vide Kate che si trovava a pochi passi da lei, bloccata nel suo ennesimo tentativo di fuga da quegli occhi uguali ai suoi, che come dieci anni prima la guardavano, la rapivano ma questa volta non avrebbe potuto scappare ancora da lei senza darle una spiegazione.

- Buon Compleanno, Joy! - Le disse Kate quando non potè ulteriormente evitare di parlare dopo quelli che erano stati interminabili istanti di silenzio che alla detective erano sembrati anni, dieci anni.

- Grazie ma… tutto questo… per me? - lo chiese a lei solo perché era la persona che le era davanti in quel momento, ma la voce di Castle la raggiunse alle spalle.

- Se qui non ci sono altre Joy che fanno il compleanno oggi, direi di sì, è per te. - Lo scrittore fece l’occhiolino a Kate che abbozzò un sorriso mentre la ragazzina di voltava per ringraziarlo con un sorriso, ma subito fu presa da uno degli animatori che trascinarono lei ed Alexis insieme agli altri. La festa era appena iniziata.

- Stavi andando via Beckett? Ti hanno chiamata dal distretto? - le chiese Castle mentre lei ancora stringeva la borsa. 

- Io no… perché?

- Beh mi sembravi una che se ne stava per andare… 

- No, solo volevo prendere un po' d’aria e… chiamarti… per dirti che eravamo tutti qui ad aspettarvi… - Cercò di salvarsi in extremis, sperando che Castle fosse abbastanza confuso dal controllare tutto per non accorgersi del suo imbarazzo. 

- Beh eccoci qua! Joy non era molto convinta ad uscire per festeggiare il suo compleanno, dice che non le piace, ma spero che questo sia diverso.

- È bellissimo, Castle. I bambini si stavano tutti già divertendo da matti! 

- Allora è perfetto!

Lo vide spostarsi per salutare quei genitori che richiamavano la sua attenzione, mentre Martha le si avvicinò salutandola con affetto.

- Avevo chiesto che per noi adulti ci fosse qualcosa di un po' più forte dei succhi di frutta, sai se hanno provveduto Katherine? 

- Oh sì quel ragazzo laggiù serve dei buonissimi cocktail Martha! - Le rispose indicando un giovane ammiccante dietro il bancone del bar mentre agitava uno shaker.

- Bene! Ma sembra che i cocktail non siano l’unica cosa buona che ha… Quanto vorrei avere la tua età ragazza mia… non sai come mi divertirei con quel fusto laggiù… e invece mi devo accontentare di fantasticare e di qualche ottimo cocktail… - Sospirò platealmente l’attrice andando a passo spedito verso l’angolo bar.

Beckett era rimasta sola al centro della stanza con lo sguardo calamitato verso Joy che era al centro dell’attenzione degli animatori e degli altri bambini. Cercava di leggere ogni sfumatura del suo volto, percependo da come spostava frequentemente lo sguardo a terra come si sentisse impreparata e imbarazzata, simulando un sorriso e finendo per mordersi il labbro inferiore. Kate sorrise pensando che nella stessa situazione era quello che faceva anche lei. Si accorse che guardandosi intorno Joy si trovò a fissarla e sperò che il sorriso che le regalò servisse a farla stare meglio e che avesse potuto leggere sulle sue labbra il “Divertiti!” che le aveva scandito: le aveva annuito o almeno a lei era sembrato così, prima che fosse trascinata sul palco con le altre compagne da una ragazza dello staff, mentre lei raggiunse di nuovo i divanetti dove Castle stava intrattenendo i suoi ospiti adulti e non fu stupita nel vederlo perfetto padrone della situazione mentre tutti ascoltavano affascinati chissà quale delle sue fantasiose storie.

- Ah ecco è lei… La detective Kate Beckett, la musa del mio prossimo libro! - Annunciò agli altri quando lei fu abbastanza vicina a loro perché potesse sentirlo e lei sentì il brusio dei commenti ed anche qualche sguardo invidioso di qualche madre che era certa avrebbero fatto carte false per essere la musa dello scrittore e non solo sul campo, ma essenzialmente in camera da letto da come se lo mangiavano con gli occhi. Lui, dal canto suo, non faceva nulla per scoraggiarle, con battute allusive, complimenti esagerati e i suoi soliti comportamenti sopra le righe, anche quando si sedette sul bracciolo della sua poltroncina e le passò una mano dietro la schiena, abbracciandola in un gesto fin troppo confidenziale per il loro rapporto.

- Però Richard, devo dire che tu e la tua partner siete proprio una bella coppia. - Disse una di queste che probabilmente aveva speso l’equivalente del suo ultimo anno di lavoro dal chirurgo plastico e che aveva scarpe e borsa più costose di tutto il suo guardaroba. Percepì più di qualche punta di sarcasmo nelle sue parole, mentre la squadrava nei suoi semplici jeans neri e camicia bianca. 

- Io glielo dico sempre, ma lei sembra non essere dello stesso parere! - replicò lui stuzzicandola e mettendola in quello stesso imbarazzo nel quale si era trovata Joy poco prima, mordendosi il labbro allo stesso modo. Avrebbe voluto rispondergli a tono, rimproverarlo come faceva di solito, ma lì si sentiva fortemente a disagio, in una posizione che non era la sua e lasciò correre, stupendolo mentre era in attesa di una sua replica che non arrivò e lo lasciò con un sorriso soddisfatto. 

Castle, Martha e Kate osservarono Joy giocare, cantare con le amiche, il tutto con Alexis che rimaneva sempre vicino alla piccola, aiutando gli animatori a fare ordine nella moltitudine di bambini scalmanati.

Li seguirono poi con lo sguardo andare verso il tavolo dove erano stati depositati tutti i regali con Joy che li guardava e poi si fermò a guardare Castle come per chiedere il permesso.

- Sono tutti per me? - Chiese ad Alexis che le sorrise divertita accarezzandole i capelli.

- Beh, se c’è qualcosa di bello lo puoi sempre condividere con me, che ne dici?

Così prese coraggio e cominciò a scartare i vari pacchetti che le passava uno dei ragazzi della festa annunciando prima da parte chi fosse il regalo. Kate osservò inorridita la scena pensando a quale disagio doveva provare Joy in quel momento, al posto suo, lei, si sarebbe voluta sotterrare, per fortuna quando lei era piccola tutto questo non andava di moda e se lo era risparmiato, ma era certa che sua madre non lo avrebbe mai fatto fare. Pensò che per il prossimo compleanno di Joy questa scena sicuramente non ci sarebbe stata, perché nemmeno lei lo avrebbe fatto mai fare, e dovette mettere un freno alla sua mente che andava più veloce di quanto doveva. Rick, invece sembrava molto divertito da tutto, ma Alexis dall’espressione che aveva rivolto a suo padre, era convinta fosse più sulla sua lunghezza d’onda. Joy aveva ricevuto vestiti, giochi ed anche uno smartphone regalato dalle sue amiche che l’avevano messa molto in imbarazzo, anche se si vedeva che era felice. 

Poi chiesero a tutti di spostarsi in un’altra parte della stanza e dopo che tutte le luci furono spente entrò una grande torta. Joy non era sola questa volta. Rick, Martha e Alexis erano vicino a lei, mentre spegneva le candeline ed il fotografo, che si era aggirato per tutto il tempo nella sala per fare le foto dell’evento, immortalava il momento. Anche Kate le scattò qualche foto con il suo telefono, era finalmente sorridente e felice e lo dimostrò ancora di più quando Rick la prese in braccio e lei si strinse a lui. Kate fotografò anche quel momento perché non potè fare a meno di pensare che fossero bellissimi. Entrambi. Prima di mangiare la torta fu poi il turno di fare le foto con  tutti gli altri piccoli ospiti che uno dopo l’altro andarono vicino a lei, tutti in posa da piccole star. Beckett osservò tutta la passerella con attenzione, cercando di capire dagli sguardi e dalle reazioni di Joy chi le stava più o meno simpatico. 

- Cosa guardi così attentamente Beckett? - le chiese Castle incuriosito.

- Vedi quel bambino lì, Liam? Credo che a Joy le piaccia. - Sorrise Kate indicando un bambino dagli occhi azzurri e i capelli castani.

- Come lo sai?

- Sono un detective, Castle! E poi non hai visto come ha evitato di guardarlo quando si è avvicinato e come si era sistemata la maglietta, prima che lui arrivasse? Quando le ha detto qualcosa lei si è morsa il labbro era imbarazzata è ovvio!

- Uhm… anche tu fai così con me a volte, quindi questo vuol dire che…

- Che se non stai zitto ti sparo, Castle. E per tutti questi bambini non sarebbe una bella scena da vedere!  - Lo mise a tacere prima che dicesse una parola di più. I suoi ragionamenti le si stavano ritorcendo contro.

I bambini avevano fatto tutti la foto con Joy, ma prima che portassero via la torta a forma di disco per tagliarla, Beckett si sentì chiamare.

- Kate, tu non la fai la foto con me? 

- Io? Certo, se vuoi… - La raggiunse con quei passi che le sembrarono pesantissimi e si mise al suo fianco, piegandosi per essere alla sua altezza e poi non resistette all’istinto di abbracciarla e darle un bacio, sussurrandole ancora una volta “buon compleanno” mentre indugiava più del dovuto tra i suoi capelli, ispirando il suo profumo, non accorgendosi del fotografo che continuava a scattare. 

La festa non era finita in quella lunga giornata di inizio estate. Da una porta in fondo alla sala si accedeva ad un grande giardino preso d’assalto dai bambini urlanti quando videro castelli gonfiabili, vasche con le palline colorate che avevano subito cominciato a tirarsi addosso ed altri giochi. La luce che entrava nella sala creava uno squarcio in quell’ambiente più scuro dove erano rimasti tutti i genitori intenti a chiacchierare e bere drink tra una tartina e l’altra. 

- Che dici, è venuta bene la festa? - Chiese Rick avvicinandosi a Kate che cercava di fare ordine nelle sue emozioni. 

- Oh sì penso che i bambini si stiano divertendo un mondo, si sentono le urla da qui!

- Bene… - Rick le sorrise compiaciuto, poi Kate vide la mano di lui avvicinarsi al suo volto e le dita passare sulla sua pelle, sfiorandole le labbra. Ebbe un brivido a quel contatto e non smise fissarlo mentre sentiva la pelle lambita da lui.

- Eri sporca di cioccolata, la torta, credo… - Giustificò il gesto impulsivo e prima che Beckett potesse rispondere tra loro era arrivata Alexis, per portarli via. Un tal Mike lo cercava, per la sorprese finale per Joy.

Kate avanzò verso il giardino, portandosi una mano lì dove Castle l’aveva appena sfiorata. Era così diverso o forse era lei che lo vedeva diversamente, che vedeva in lui qualcosa che non riusciva a notare, prima. Prima di vederlo con Joy, prima di vedere come si comportasse da padre premuroso con sua figlia e non sapeva se era solo questo, quel misto di gratitudine e ammirazione che aveva nel vederlo così, con lei. Si appoggiò allo stipite della porta, cercando con lo sguardo Joy tra i bambini che saltavano sui gonfiabili senza riuscire a vederla, uscì fuori e quando non la vide nemmeno impegnata con gli altri giochi sentì dentro di se come un campanello di allarme che allertò i suoi sensi e si guardò intorno muovendosi quasi di scatto fino a quando non la trovò, sola, seduta su una delle altalene in un angolo del giardino.

- Tutto bene Joy? - Le chiese sedendosi sull’altalena libera vicino a lei.

- Sì, Kate… grazie…

- Allora cosa c’è? Come mai qui da sola?

- Sono solo un po' stanca… io… 

- Lo so, non ti preoccupare… - le accarezzò la mano

che stringeva la catena. - Vuoi che chiamo Rick? Vuoi andare a casa?

- No! È bello che tutti sono qui e si divertono, no? - le chiese dondolandosi appena. 

- È la tua festa, dovresti essere felice tu. - Kate era ferma e la guardava mentre la bambina osservava gli altri giocare da lì.

- Sono felice. Io… È la prima volta che ho una festa così… 

- Ti è piaciuta?

- Sì anche se è…

- Esagerata? - Sorrise Kate

- Più o meno. Però a Rick piace fare tutto esagerato! Sai che quando mangia la panna la spruzza direttamente in bocca? Fa la bocca piena di panna e poi nemmeno riesce a parlare e si sporca tutto! - Disse mimando la bocca aperta di Castle quando mangia la panna. Risero entrambe.

- Sì Castle è esagerato in tutto. 

- Perché lo chiamo Castle e non Rick? - le chiese curiosa.

- Non lo so, lui mi chiama Beckett.

- Siete buffi. Però anche un po' carini. 

Joy si diede una spinta facendosi dondolare un po' più in alto sotto lo sguardo attento di Kate che la vedeva oscillare felice e fece lo stesso, poi entrambe si lasciarono piano piano fermare.

- Ti piace l’altalena a te, Kate? - le chiese Joy

- Molto, e a te?

- Sì, mi sembra di volare.

- Anche a me, Joy. Mi sembra di volare.

- Abbiamo tante cose in comune Kate, possiamo essere amiche, anche se io sono piccola, che dici?

- Certo, mi piacerebbe molto essere tua amica Joy. - la bambina le allungò la mano e Kate la prese, a sancire la loro nuova amicizia.

- Tu hai mai volato? Con l’aereo dico.

- Sì, l’ho fatto.

- E com’è? È bello come andare sull’altalena?

- No, andare sull’altalena è più bello. Volare con l’aereo è un po' tipo andare su un pullman o su un treno, ma più veloce.

- Io non sono mai andata sul treno e nemmeno sull’aereo. Mi piacerebbe una volta provare. Sai che l’altro giorno con Rick ho fatto un gioco, dicevamo quello che ci sarebbe piaciuto fare, ma questo mi ero dimenticata, sono troppe le cose che mi piacerebbe fare, credo.

- I desideri non sono mai troppi Joy, hai tutta la vita per realizzare tutto quello che vuoi, tutto. - Kate si era fatta seria, le sue parole erano scandite in modo chiaro, voleva che Joy credesse veramente che avrebbe potuto fare tutto quello che avrebbe voluto e lei in quel momento si promise che avrebbe fatto tutto per realizzare ogni suo desiderio. Guardandola, però, si accorse che si era rabbuiata.

- Cosa c’è? - Le chiese preoccupata che non si sentisse bene.

- È che non credo che tutto si possa realizzare. Sai, i desideri quelli più importanti non si dicono mai, se no non si realizzano, si tengono dentro e si spera forte forte. - le disse altrettanto seria.

- Certo, hai ragione. - le rispose accondiscendente.

- Kate, tu hai qualche desiderio grande grande che non dici a nessuno?

- Sì. Ne ho uno, grande grande. - La guardò sorridendo. Se solo avesse saputo quale era il suo sogno…

- Spero che si realizzi anche il tuo allora.

Rick era entrato in giardino insieme ad un uomo con una grande scritta dietro la maglia “Mike” era sicuramente il tipo che aveva la sorpresa di Joy ed infatti stava portando una grande scatola che sembrava un pacco regalo, con molta cura al centro del giardino. Castle chiamò Joy che scese correndo da lui mentre Beckett le camminava dietro più lentamente guardandola raggiante andare da Rick.

Mike chiese a tutti i bambini radunati intorno al pacco di allontanarsi di qualche passo e fare silenzio, poi anche loro fecero lo stesso, mettendosi dietro Joy. Kate raggiunse Castle.

- Stai a vedere adesso… - Disse lo scrittore alla detective.

- Cosa altro le hai regalato adesso? - Chiese Kate con aria di sfida.

- Uno dei suoi sogni. - disse lo scrittore compiaciuto. Mike diede gli ultimi consigli su come aprire il pacco ad una Joy sempre più perplessa e poi anche lui si allontanò.

Quando Joy tolse il coperchio della scatola volò fuori una farfalla e pochi istanti dopo fu letteralmente circondata da tante farfalle colorate che le svolazzavano intorno. Joy a bocca aperta e naso all’insù le guardava alzando le mani vedendole volare tra le sue braccia mentre girava su se stessa fino a quando non si dispersero nel cielo. Tutti erano entusiasti a guardare lo sciame di farfalle volare e Joy era senza parole. Rick si avvicinò a lei abbracciandola.

- Grazie. È stato bellissimo! - Gli disse Joy.

- Abbiamo tanti sogni da realizzare, dobbiamo cominciare subito, no?

Joy annuì felice mentre stringeva Rick e forse per la prima volta tra le sue braccia si sentiva veramente amata.

La giornata era stata lunga e Joy accusava tutta la stanchezza e le emozioni di quel giorno. I bambini ed i loro genitori erano andati tutti via, Martha aveva un appuntamento preso da tempo che non aveva potuto disdire e ad Alexis Rick aveva detto che poteva andare con i suoi amici e a dormire da Amanda e non preoccuparsi, se la sarebbe cavata con Joy anche da solo. Fuori ormai era scesa la notte e grande sala era piena dei resti della festa appena conclusa tra palloncini scoppiate, carta dei regali strappata, resti di cibo e bicchieri sparsi. Beckett si era offerta di rimanere con loro, mentre Rick completava le questioni amministrative: si era seduta in un divanetto con Joy che sbadigliava molto assonnata.

- Ti devo dare ancora il mio regalo. - Le disse Kate aprendo la borsa mentre la piccola si stropicciava gli occhi.

- Mi hai regalato la mia bambola, Lily, no?

- No… ho un regalo per oggi. - Tirò fuori dalla borsa un sacchettino e lo mise nella sua mano. - Dai, apri… spero che ti piaccia.

Joy annuì e sciolse il nodo facendo scivolare il contenuto sul piccolo palmo della mano.

- Per me? - Chiese stupita.

- Sì, per te.

- Sei sicura?

- Certo che sono sicura. Ti piace?

- È bellissimo… ma… sarà molto prezioso. - disse Joy seria guardando il ciondolo con la farfalla che pendeva dalla catenina. 

- Lo è, quanto la persona che lo riceve. - Kate la guardò negli occhi e la bambina fece lo stesso. Annuì ma non capì il significato delle parole di Kate.

- Me lo posso mettere? 

- Certo, è tuo.

L’aiutò ad indossarlo e quando vide la farfalla pendere dal suo collo, fece molta fatica a trattenere l’onda emotiva che la stava sopraffacendo. Ringraziò l’arrivo di Rick e Joy che corse da lui con le sue ultime forze facendogli vedere il regalo di Kate. Rick la prese in braccio e vide bene il bel ciondolo.

- Wow Joy è bellissimo! Hai ringraziato Beckett?

La bambina scosse il capo, così Rick si avvicinò a Kate per permettere a Joy di ringraziarla come si deve, con un bacio ed un abbraccio e per qualche momento furono tutti e tre molto, troppo vicini e Rick dovette trattenersi dal non abbracciare anche lui, con il braccio libero, la detective che stava accarezzando i capelli di Joy. Ebbe uno strano flash e quella scena gli sembrò che fosse molto più bella ed importante di un semplice saluto. 

Un paio di giorni dopo il compleanno di Joy, Rick, Alexis e l’ultima arrivata in casa Castle erano partiti. Due settimane negli Hamptons, nella casa al mare di Rick. Erano soliti trascorrere molto più tempo lì, ma erano molte le cose che dovevano far combaciare: Alexis sarebbe presto partita per un viaggio formativo a Londra organizzato dalla sua scuola ma soprattutto Rick doveva tener conto delle necessità di Joy, sarebbero così tornati il giorno prima del suo nuovo day hospital per la trasfusione.

Martha inizialmente avrebbe dovuto unirsi a loro, poi invece fu convinta dalle sue amiche ad una settimana di totale relax in un resort con annessa una meravigliosa spa, il modo migliore per ricaricare le energie e trovare la giusta concentrazione:  aveva appena ottenuto una parte per uno spettacolo teatrale, delle repliche estive che se avessero avuto successo sarebbero state inserite anche nel calendario invernale di alcuni importanti teatri del paese, un’ottima occasione per lei per ritornare ai vecchi fasti, così anche Rick insistette con sua madre perché andasse, lui se la sarebbe cavata alla grande con Alexis e Joy.

Martha e Alexis, prima di partire, avevano coinvolto Joy in una giornata di shopping sfrenato per sole donne, con la carta di credito di Castle, naturalmente, durante la quale l’attrice rivoluzionò completamente il guardaroba di Joy fortunatamente per la piccola, tenuta a freno da Alexis. Joy non era abituata a tutto quello, era stata solo un paio di volte, con Laureen a fare shopping, ma nulla che si avvicinasse a quello che stavano facendo in quel momento. Nonostante i continui inviti a scegliere cosa le piacesse, lei non osava guardare nulla, si limitava ad annuire ed a provare i vestiti e gli accessori che sceglievano per lei, non capendo bene nemmeno cosa dovesse farne di tutta quella roba, le sembrava per i suoi standard di averne già abbastanza. L’unica cosa che colpì la sua attenzione fu uno zainetto di tela bianco e rosa con delle stelle disegnate con gli strass e timidamente chiese se avrebbe potuto prenderlo, fu felice del sorriso che le regalò Martha.

- Finalmente ti sei decisa a scegliere qualcosa! Vedi, non è così terribile, almeno per noi, tanto paga Richard! 

Risero tutte e tre e Joy uscì felice con il suo zainetto in spalla, mentre tutto il resto chiese che fosse recapitato direttamente al loft, perché loro ancora non avevano finito il loro giro di compere.

- È tutta tua? - Joy lo chiese a Rick appena scesa dall’auto davanti alla sua villa negli Hamptons. Era la casa più grande che avesse mai visto, almeno la casa di una sola persona. La guardò bene da sinistra a destra pensando che era grande quasi quanto l’istituto dove era stata per molti anni, solo che lì ci abitavano in “tanti”. 

Rick annuì sorridendo.

- Ti piace?

- È… grande.

- Uhm sì lo è… - Le rispose guardando l’esterno della sua villa. Lo era, in effetti, era decisamente grande. Ma comprare quella casa lì era stato uno status symbol, quando aveva dato lì il primo party in piena estate con ospite gran parte dello star system che passava le vacanze lì, si era sentito finalmente arrivato, realizzato, importante. Ci aveva speso una fortuna in quella villa, ma ogni volta che la guardava pensava che sì, era uno scrittore di successo e ce l’aveva fatta. Ma sapeva che non era un discorso che Joy avrebbe capito e lo schiarirsi la voce di Alexis lo riportò tra loro.

- Andiamo? Sono sicuro che ti piacerà! 

La condusse subito al piano superiore, lasciando che scegliesse da sola la camera da letto che voleva. Per una sua scelta precisa, Castle aveva voluto che tutte avessero la vista sul mare ed il corridoio dava sul giardino.

- Quante sono? - Chiese Joy contando le porte.

- Sei… anzi, no, sette.

- Ci vieni spesso con tanta gente?

- No, a dire il vero no… Però se capita che qualche amico si vuole fermare, c’è posto per tutti!

Alla fine Joy scelse una camera vicino a quella di Rick che era l’ultima del corridoio sulla sinistra, mentre dall’altra parte, c’erano quelle di Martha e Alexis, più isolate. Erano arredate tutte più o meno alle stesso modo, con mobili chiari, rifiniture con materiali naturali e molte decorazioni in stile marino. Joy fu colpita da quella stanza per il grande quadro con le stelle marine proprio sopra il letto. Segnò il suo territorio poggiando sul cuscino la sua bambola, Lily, quella che le aveva regalato Kate, diventata presto sua compagna inseparabile.

- Vieni a vedere la vista, ti piacerà. - le propose Castle e Joy si sporse in punta di piedi sul davanzale ancora un po' alto per lei. 

- È il mare quello laggiù? - Chiese indicando la striscia azzurra dopo il prato verde.

- Sì, è il mare.

- È molto bello, è vero. Possiamo andarci un giorno? - Chiese timidamente.

- Certo, tutte le volte che vuoi! Cinque minuti e siamo lì. Ti piace il mare?

- Io… ci sono stata solo due volte, però era bello. Tranne la sabbia. È fastidiosa quando si appiccica addosso! - Disse con una smorfia per sottolineare il senso di fastidio. Castle rise in un primo momento poi tornò serio. Dava per scontate troppe cose con Joy, non pensando che per lei anche andare al mare era una conquista.

- Faremo in modo che la sabbia non sia fastidiosa. E poi possiamo sempre stare in piscina, se non ti va di stare in spiaggia.

- Hai anche una piscina? - Chiese stupita.

- Due in verità. Sono un po' megalomane.

- Cosa vuol dire megalomane?

- Che mi piacciono le cose fatte in grande.

- Uhm sì, me lo ha detto anche Kate! - Rise Joy.

- Ah così tu e Beckett parlate male di me alle mie spalle eh! Dovrò fare i conti con la detective quando torniamo a New York! 

Joy rise ancora per il suo tono finto arrabbiato. Poi lo seguì nel resto del giro della casa.

Alla fine la sabbia non era stata così nemica di Joy, anche grazie al gazebo all’inizio della spiaggia dove potevano riposarsi sui comodi lettini all’ombra.

Per Castle poi fu come tornare indietro nel tempo, insieme ad Alexis costruivano con Joy enormi castelli di sabbia che la piccola popolava con i suoi pupazzetti di gomma e per Rick ogni volta era una sfida inventare storie nuove. Si divertivano in mare con le due giovani che si coalizzavano contro di lui in gare di schizzi e Joy acquistava sempre maggiore familiarità con l’acqua nuotando sempre meglio con l’aiuto di Alexis, ma sembrava naturalmente portata per quell’elemento apprendendo con estrema facilità.

Alcune volte quando era troppo mosso si erano rifugiati in piscina e rilassati tra le bolle della vasca idromassaggio che Joy non amava molto, perché le faceva il solletico e preferiva stare nella piscina più grande, mentre lui e Alexis si godevano tutti quei getti d’acqua rilassanti.

Alternavano il mare o la piscina con gite nei vari paesini della costa, per prendere un gelato o cenare nei vari ristorantini. Quando tornavano a casa, poi, Joy crollava immediatamente, distrutta dalle giornate intense delle quali però non voleva perdersi nemmeno un istante. Spesso dopo che Joy era andata a dormire, quelli che erano i momenti che Castle dedicava ad Alexis, sempre in quel precario equilibrio di cercare di non far mancare mai la sua presenza alla figlia, anche se si occupava molto di più di Joy che richiedeva molte più attenzioni, anche solo per scoprire i suoi modi di essere, quello che le piaceva e quello che invece non le andava giù ed era un lavoro molto lungo, perché lei difficilmente protestava per qualcosa. Quando erano soli Rick e Alexis solitamente guardavano qualche film che piaceva ad entrambi e qualche volta avevano organizzato le loro battaglie con i lasertag. Fu proprio mentre erano immersi in una delle loro sfide nel buio della villa, che Joy rimase seduta sull’ultimo scalino ad osservarli e solo quando la tuta di Rick, colpita da Alexis si illuminò e la partita finì si accorsero di lei che rideva guardandoli vestiti così strani. Benché invitata da Alexis, si rifiutò di provare a giocare anche lei, quelle cose di fantascienza sembravano non piacerle poco, una sconfitta per Castle.

Rick era felice per come Alexis e Joy avevano legato. Era sempre preoccupato, però, per l’evolversi delle cose, temendo che a lungo andare Alexis avrebbe potuto risentire della presenza della bambina e che per ora la vedeva solo come una piacevole novità, temporanea. Sua figlia era grande e matura, ma questo pensiero lo tormentava: lei era stata il centro del suo mondo, l’unico vero punto fermo da quando era nata ed aveva paura che soffrisse il doverlo dividere con un altra persone che aveva bisogno di attenzioni quanto e più di lei e allo stesso tempo aveva bisogno di dare un senso di stabilità a Joy che non lo aveva mai avuto. Quei giorni aveva parlato un po' con loro del suo passato, ma mai direttamente. Aveva così raccontato della prima volta che era stata al mare, con Jack e Tina, che Castle capì essere l’altra coppia che li aveva in affidamento. Aveva parlato molto di lui, capendo che si era molto affezionata a quell’uomo che dai suoi racconti aveva passato molto tempo con lei, molto meno di Tina, che non citava quasi mai. Non si ricordava nulla della prima coppia che l’aveva avuta in affidamento ma di loro sì e gli si strinse il cuore quando Joy gli disse che non era potuta rimanere con loro perché si dovevano trasferire per lavoro in un posto dove non la potevano curare bene, lui sapeva la verità, sapeva che non era così e non era quello il motivo ed avrebbe volentieri spaccato la faccia a quell’idiota che aveva conquistato e poi spezzato il cuore di una bambina. Non capiva come qualcuno poteva non amarla e decidere di abbandonarla. Lui non lo avrebbe fatto mai.

Una chiamata di Meredith aveva interrotto la quiete di un tranquillo pomeriggio, era uno degli ultimi giorni che avrebbero trascorso negli Hamptons e Joy e Alexis erano in camera della giovane Castle, dove leggevano ognuna un libro. Alexis vedendo il nome sul display del telefono cambiò subito espressione, irrigidendosi e trovandosi anche in imbarazzo con Joy. Non avevano mai parlato di sua madre, forse lei dava per scontato che non ci fosse.

- Ciao mamma... - Rispose Alexis catturando con la coda dell’occhio lo scatto che fece Joy per guardarla, colta di sorpresa. Fu una telefonata breve, come sempre, nella quale Meredith voleva solo informare la figlia di una sua prossima apparizione in uno show televisivo e darle appuntamento ad un imprecisato giorno “più in là” quando sarebbe andata a New York. Alexis non le diede nemmeno importanza, sapeva benissimo che era una frase detta solo per circostanza, senza alcun valore, come molte di quelle della sua esagerata madre.

- Come mai la tua mamma non viene mai a trovarti? - Le chiese Joy veramente sorpresa. Lei non aveva una mamma né un papà, ma non capiva perché Alexis che ne aveva una non la andava mai a trovare ed era la prima volta che ne sentiva parlare.

- Vive lontano, a Los Angeles. Lavora lì.

- Ti ha lasciato con Rick?

- Sì, più o meno così. Avevo quattro anni. - disse Alexis facendo una smorfia.

- Oh, mi dispiace, deve essere stato brutto. - Continuò Joy poggiando la sua mano sul braccio di Alexis, che si voltò sorridendo alla bambina veramente dispiaciuta per lei.

- Non così brutto Joy. Stare con papà è una figata.

- Non ti manca tua mamma?

- Prima sì, un po'. Mi chiedevo perché mi aveva lasciato. Poi ho capito che lei non era adatta per fare la mamma, non come una mamma classica e va bene così.

- Forse nemmeno la mia mamma era adatta a fare la mamma allora. E nemmeno il mio papà. Non era come il tuo, è proprio forte Rick.

Quella chiacchierata aveva lasciato strascichi importanti in Alexis. Aveva aspettato che Joy fosse a letto e poi aveva raggiunto Rick nella sua stanza.

- Posso papà? - Chiese affacciandosi dalla porta.

- Ehy pumpkin vieni! - Chiuse il computer portatile e battè la mano sulla parte vuota del letto dove sua figlia si accomodò, lasciandosi abbracciare.

- Oggi mi ha chiamato Meredith e c’era anche Joy. Mi ha fatto delle domande…

- È stato un problema? - Chiese Castle allarmato.

- No… però mi ha detto che le dispiaceva per me, perché mia madre mi aveva lasciato. - Rick ascoltava attentamente la figlia raggomitolata contro il suo braccio che teneva stretto. - Capisci papà? Lei si dispiaceva per me? Ed io mi sono sentita così stupida per tutte le volte che mi sono lamentata. Io ho avuto tutto da te, papà.

- Avrei voluto darti molto di più Alexis. Ho provato a fare il massimo, ci provo ancora ed ora vorrei dare a Joy un po' di tutto questo. Ma tu rimani sempre la mia piccola.

- Sei il papà migliore del mondo, anche se a volte ti comporti come un bambino di nove anni!

- Ehy, non starai frequentando troppo Beckett ultimamente? Questo me lo dice sempre lei! - disse fingendo di mettere il muso.

- Si vede che Beckett da brava detective ti conosce bene!

E non montarti la testa per i complimenti!

- Nemmeno posso vantarmi un po’?

- No!

- Nemmeno un pochino? Poco poco! - fece segno con le dita.

- Ok, ma giusto un po’! 

- Grazie pumpkin! - le diede un pizzicotto sulla guancia.

- Posso rimanere a dormire con te? - gli chiese accomodandosi meglio. 

- Ma certo Al!

- Però non dirlo a nessuno papà!

- Sarà il primo argomento alla mia conferenza stampa per la presentazione del nuovo libro. “Sono Richard Castle e mia figlia mi chiede di dormire con me”.

- Lo vedi che ha ragione Beckett? Hai nove anni.

- Uhm… forse sì… A domani piccola.

- Notte papà.

Da quando Kate era andata via dalla festa di Joy sentiva dentro di se un mix di emozioni che la tormentavano. Era felice ogni volta che poteva passare del tempo con Joy, ma non era mai una felicità completa: era piena di rimorsi, rimpianti, di tutto quello che sarebbe dovuto essere e non era stato, per colpa sua. Era una felicità incompleta, perché non era sincera con lei, perché non poteva esserlo o non voleva, non lo aveva ancora capito. Perché ascoltare le parole di sua figlia ogni volta la faceva sentire ancora più meschina, perché sapeva che stava abusando della sua fiducia, mentendole, perché così era più facile avere un po' di quell’affetto del quale egoisticamente aveva bisogno e si sentiva per l’ennesima volta una persona ignobile che pensava prima a sè stessa poi a sua figlia.

Si portava stretto dentro di se il ricordo degli abbracci di Joy, del suo bacio, degli occhi splendenti nel prendere il suo regalo, delle sue confidenze, dell’andare insieme in altalena. Era stato tutto come sarebbe sempre dovuto essere, se ne rendeva conto solo adesso. 

Quando la chiamarono dal distretto quella notte non aveva ancora chiuso occhio. Le immagini di Joy continuavano ad alternarsi ai sensi di colpa e non era riuscita a dormire, come spesso le stava capitando, andando avanti a caffè. 

La scena del crimine era un camerino del Metropolitan Opera House ed il cadavere era quello di Theresa Fullerton, una delle più importanti mezzosoprano del panorama lirico. Proprio in quei giorni stava mettendo in scena la “Madama Butterfly” nel ruolo della protagonista Cio Cio San.

- Carotide e giugulare recise. Quella è l’arma del delitto. - Le disse Lanie indicando un pugnale giapponese in una busta che Kate prese osservandone il contenuto.

- È un tanto, un pugnale tradizionale che veniva usato per il jigai, l’antico rituale di suicidio delle donne. - Le disse Ryan.

- Sì è suicidata quindi? - Chiese Kate

- No, il taglio è stato praticato da sinistra verso destra, con estrema precisione e la Fullerton era mancina. - Le rispose Lanie mentre si alzava dal corpo togliendosi i guanti.

- Guarda Beckett, si può vedere anche da questo video di scena. La Fullerton qui interpreta Cio Cio San che proprio nel finale dell’opera si uccide allo stesso modo e vedi, il suo movimento naturale è con la mano sinistra. - Le disse Esposito mostrandole un video che andava sullo schermo della tv.

Beckett scosse la testa amaramente. Una cantante lirica uccisa nel suo camerino con le stesse modalità del personaggio che interpretava. Quel caso sarebbe piaciuto particolarmente a Castle. Già, Castle… doveva smettere di pensare a lui, ma la sua assenza su quella scena del crimine si faceva sentire. Le mancavano anche tutte le idiozie che avrebbe detto, le sue teorie assurde, la sua logica stramba, ma geniale doveva ammetterlo ed il suo aiuto qualche volta in quei mesi era stato determinante, non glielo aveva mai detto, non voleva gonfiare il suo ego o forse solamente non voleva ammetterlo a se stessa.

Si soffermò a guardare il corpo facendo attenzione a non avvicinarsi troppo per non contaminare la scena del crimine.

- Quei lacci alle gambe? - Chiese ancora la detective.

- Fanno sempre parte del rituale del jigai, per preservare l’onorabilità della donna, ma nella rappresentazione non ce n’è traccia. - La aggiornò Ryan.

- Dai segni sulla pelle posso dire che sono stati applicati post mortem. - Concluse Lanie.

- Quindi da qualcuno che conosceva non solo l’opera ma anche il rituale ed ha voluto riproporlo… - Osservò Kate. Parlò poi con i presenti ancora a teatro, solo un paio di inservienti, due tecnici del palco, il regista e l’agente della Fullerton che erano stati richiamati dalla polizia. L’omicidio era avvenuto circa quattro ore prima, un’ora dopo la fine dello spettacolo, ma nessuno sapeva dire altro. Per quella notte non avevano altro da fare lì e tornò ancora una volta a casa per riposarsi qualche ora, pensando che solo fino a poche settimane prima non avrebbe chiuso occhio continuando a pensare a quel delitto, quella sera, invece, uscita da lì, Joy tornò subito prepotente tra i suoi pensieri. Ormai era una priorità impossibile da scalzare.

La mattina dopo, mentre entrava al distretto con un pessimo caffè in mano preso in una caffetteria scelta solo perché c’era poca fila (ed ora che lo beveva capiva chiaramente perché, il caffè faceva schifo), Kate doveva reprimere il desiderio di chiamare Castle, di chiedergli di Joy, di raccontargli del caso, di sapere il suo punto di vista. Sola davanti alla lavagna sulla quale aveva già appuntato tutte le prove che avevano, si era accorta di come le mancasse confrontare le sue teorie con lui, le sue intuizioni, lui. Lo aveva pensato veramente, non volendo. Le mancava lui e non lo voleva ammettere, perché erano mesi che si sforzava di essere impassibile a lui. Lui che sembrava sapere tutto di lei, leggerla dentro, eppure non conosceva tutto quello che riguardava quella pagina della sua vita. 

Richard Castle era il suo scrittore preferito, da più di dieci anni. I suoi romanzi erano stati la sua compagnia preferita dopo la morte di sua madre, negli ultimi mesi di gravidanza. Aveva letto tutti i suoi libri, anche quelli più vecchi, quelli meno famosi (e meno belli), aveva appena cominciato la fortunata serie di Derrik Storm, ma lei adorava anche i romanzi degli inizi, quelli più acerbi, eppure nei suoi scritti trovava alcune sfumature di lui, adesso che lo aveva conosciuto. Non glielo aveva mai detto e nemmeno che aveva fatto qualche ora di fila per farsi autografare un libro, qualche anno prima, durante una presentazione in una libreria a New York, quando era imbarazzata a trovarselo davanti al punto che balbettò il sul nome che lui scrisse nella sua bella grafia nella pagina interna del frontespizio. Quello era l’unico libro che non aveva portato al distretto, che aveva tenuto gelosamente a casa, tra le sue cose più care. 

Quando il suo cellulare squillò rispose senza nemmeno far caso al numero.

- Beckett!

- Ciao detective, sono Castle. - Kate sbarrò gli occhi colta di sorpresa.

- Ciao Castle, va tutto bene? - La voce dello scrittore le era sembrata normale, ma quella sottile paura che non tutto andasse bene non la poteva controllare.

- Certo, tutto bene! Ho saputo che stanotte hai avuto un caso interessante, un peccato essermelo perso! 

- Cosa ne sai tu? - Chiese sorpresa.

- Un servizio al notiziario prima… si vedeva la targa dell’auto di Ryan ed Esposito. Sono tornati a fare dei sopralluoghi al teatro, vero?

- Ehm… sì… sì…

- Uff, peccato che è capitato proprio adesso che devo partire! - sbuffò lo scrittore.

- Parti? - Chiese allarmata la detective.

- Sì, porto le ragazze un paio di settimane negli Hamptons, al mare. Ho una casa lì, ho pensato che sia un bel modo per conoscerci un po' meglio.

- Beh, sì, mi pare un’ottima idea… Divertitevi allora, Castle!

- Ci puoi giurare Beckett! E tu mi raccomando, sbatti dentro tutti i cattivi. Ci sentiamo quando torno.

- Ok. Ah Castle, saluta Joy… e Alexis, ovviamente.

- Consideralo fatto detective!

Le erano sembrati tanti tre giorni senza avere sue notizie, ora per due settimane non avrebbe avuto modo o scusa per parlare con lui, per saper di Joy, né modo di vederli. Per un attimo si sentì mancare il respiro. Doveva prendere una decisione, avrebbe dovuto agire, lei era una donna d’azione, in fondo. Non poteva rimanere così, quelle due settimane erano il limite massimo che si era data per decidere cosa fare e come, anche se c’era ben poco da pensare, doveva solo prendere coraggio ed agire, parlare a Castle, innanzi tutto.

Dovette ringraziare quel caso dell’attrice uccisa che occupò gran parte delle sue giornate: credeva che non aveva mai dovuto parlare con tante persone informate dei fatti come in quell’occasione, praticamente tutta la compagnia più i tecnici e i dipendenti del teatro, ci aveva messo dei giorni interi nei quali aveva a mala pena avuto il tempo di riuscire a fermarsi per mangiare qualcosa, il tutto mentre le indagini andavano avanti troppo a rilento, aumentando la sua frustrazione ed il suo malumore già a livelli altissimi per tutt’altro motivo.

Quelle due settimane era passate più velocemente di quanto pensasse inizialmente. Era stato frustrante non trovare il colpevole e soprattutto non avere uno straccio di pista sulla quale indagare. Avevano provato a seguire la pista di un ammiratore ossessivo, le erano già capitati casi del genere, ma quello non era un assassino, solo uno stalker con disturbi mentali caduto in depressione dopo aver saputo della sua morte. Poi avevano indagato sul suo partner di scena, avevano avuto una relazione qualche anno prima, finita in modo burrascoso, ma anche lì nulla di fatto, aveva un alibi solidissimo per l’ora del delitto, era con gli altri colleghi ad una festa nell’hotel vicino al teatro. 

La compagnia, intanto, aveva ripreso le repliche. La nuova “prima” della Madama Butterfly sarebbe stata quella sera stessa con una nuova protagonista, Olga Volkova, la più grande mezzosoprano russa che aveva riscosso un grande successo proprio interpretando Cio Cio San pochi mesi prima ed il suo arrivo a New York per sostituire Theresa Fullerton aveva destato grande curiosità tra il pubblico e la critica. 

Proprio poche ore dopo la rappresentazione al Metropolitan Opera House, Kate, ancora al distretto a compilare rapporti perché se poteva stava meno tempo possibile a casa, fu chiamata al distretto: la voce di una donna in un inglese stentato le disse di recarsi subito all’hotel Westin a Time Square, camera 2131, ci sarebbe stato un omicidio da lì a poco.

Non era solita credere a queste cose, ma la musica di sottofondo, un pezzo della Madama Butterfly che ormai aveva imparato a riconoscere, le diceva che doveva approfondire la questione.

Esposito e Ryan erano già andati via, chiese ad una pattuglia di seguirla ed arrivò in breve tempo all’hotel. Non ci mise molto a convincere la reception che doveva andare immediatamente in quella camera e fu accompagnata dalla sicurezza dell’hotel fino alla suite indicata.

La porta era chiusa ma da fuori si sentiva la stessa musica che aveva sentito al telefono. Non aspettò che l’inserviente aprisse la porta, ma con un calcio ben assestato la divelse.

Le note di “Tu tu piccolo Iddio” atto finale della Madama Butterfly risuonavano nella stanza. Il corpo di una donna con indosso un kimono giaceva riverso spalle alla porta in una pozza di sangue. Vicino un uomo legato ed imbavagliato di agitava. Beckett non ci mise molto a riconoscerlo, era Oscar Brown il regista dell’opera. Un agente corse da lui per liberarlo, poi grazie al suo racconto fu tutto chiaro:  Ichi Tanaka, mezzosoprano giapponese in grande ascesa, era la cantante di riserva di Theresa Fullerton che aveva ucciso accecata dalla gelosia. Quando aveva saputo che non sarebbe stata lei la nuova protagonista ma la russa Volkova aveva capito che il sul gesto era stato inutile, così aveva chiamato lì Brown con una scusa, lo aveva drogato, imbavagliato e legato ed obbligato ad assistere al suo suicidio. Per lei il vero responsabile delle due morti era lui, con le sue scelte. Beckett finì che era quasi l’alba, avendo solo il tempo di buttarsi qualche ora ancora vestita sul letto.

Kate aveva dormito forse un paio d’ore prima di farsi una doccia, infilarsi degli abiti puliti e tornare al distretto. Si era concessa qualche minuto in più per prendere un caffè in un locale che lo facesse almeno decente altrimenti non avrebbe mai superato quella giornata.

- E così noi andiamo a casa e tu risolvi i casi, Beckett! - l’aveva accolta così Esposito sventolando il fascicolo del caso appena chiuso.

- La prossima volta di sveglio così vieni ad aiutarmi a scrivere i rapporti Espo, ti va? - rispose sarcastica.

- Tutto merito tuo Beckett! Va benissimo così! - le lanciò un’occhiata divertita mentre si dondolava sulla sedia.

China alla sua scrivania, sorseggiava distrattamente il caffè, migliore di quello dei giorni precedenti, ma non buono. Gli mancava qualcosa, non sapeva se fosse la miscela del caffè, la schiuma, o quella vaniglia che non era un granché. Forse era solo che non lo aveva portato Castle, ma non ci voleva, doveva, nemmeno pensare.

Non attirò la sua attenzione nemmeno il bip dell’ascensore arrivato al piano, in quel via vai continuo di gente lei adesso non aspettava nessuno.

- Ehy Castle! Cosa giri da queste parti? - Le parole di Esposito le fecero alzare gli occhi di scatto e lui era lì, con tre caffè in mano. Ne lasciò uno all’ispanico ed uno lo diede a Ryan. Credeva che l’ultimo fosse per lei ma solo quando lo vide bere si accorse che dietro di lui sbucava Joy con una tazza in mano che sembrava imbarazzata.

- Dai Joy, porta il caffè a Kate! - la incalzò Castle, mentre la piccola fissava la tazza sulla scrivania di Kate che avendo capito la sua titubanza si affrettò a buttarla via facendo schizzare il caffè rimasto ai lati del cestino. Calma, doveva stare calma.

Joy le si avvicinò dandole la tazza.

- Ciao piccola, come stai?

- Ciao Kate, bene, grazie.

- Ehy detective, ci teneva a portarti lei il caffè oggi!

- Scrittore, come mai da queste parti? - cercò di riprendere il suo solito tono.

- Mi ha chiamato Montgomery, vuole che lo accompagno di nuovo a quel circolo di golf.

- Indagini? - domandò Beckett perplessa.

- No, una visita di piacere. Vorrei diventare socio e chi meglio di Castle per introdurmi lì! - Rispose il capitano che li aveva appena raggiunti. - Allora Castle, andiamo?

- Porti anche Joy? - Chiese Beckett non riuscendo a trattenersi.

- No, ehm… può rimanere con te? Martha è ad una riunione per il nuovo spettacolo e Alexis fuori con i suoi amici per organizzare la partenza… So che ci terrebbe molto a raccontarti della nostra vacanza negli Hamptons! - Suggerì Castle.

- Ehm ma io ho del lavoro da…

- Prenditi la giornata libera, Kate! Queste due settimane non hai riposato un giorno! - Le ordinò Montgomery.

- Va bene, signore. Finisco questi rapporti e poi vado. - rispose un po' a disagio spostando lo sguardo ripetutamente tra il suo capitano, Castle e Joy. 

I due uomini se ne andarono gongolanti parlando fitto fitto e Kate lasciò che Joy si sedesse vicino a lei, si sentiva veramente osservata dalla bambina che studiava attentamente ogni suo gesto, soprattutto quando beveva il caffè.

- È buonissimo Joy, grazie. - le disse assaporando il gusto di quel caffè, veramente più buono di qualunque altro.

- Ti piacciono gli elefanti? - le chiese Joy mentre guardava tutti gli oggetti della sua scrivania, dove tra pratiche, fascicoli penne, evidenziatori e appunti c’erano varie statue di elefantini. Kate fu stupita dalla sua domanda, guardò le statuette, accarezzando il dorso di ciascuno di quella famiglia che si teneva per la coda.

- Erano di mia madre. - Sospirò

- Li tieni per ricordarti di lei? - chiese ancora la bambina e Kate annuì.

- Per averla vicina e ricordarmi perché faccio questo lavoro.

- Ti manca?

- Sì, anche se sono passati molti anni. - ammise Beckett poi fece un respiro cercando di sorridere a sua figlia, mentre chiudeva tutto, qualsiasi cosa fosse poteva aspettare. - Cosa vuoi fare Joy? Dove andiamo?

- Non lo so… - Disse scuotendo le spalle. 

- Ok, intanto andiamo via da qui! 

Salutarono Esposito e Ryan che non evitarono qualche battutina nei confronti di Beckett e di quel ruolo da baby sitter che secondo loro aveva accettato fin troppo di buon grado, ma quando Javier mentre che attendevano l’ascensore, vedendo che Kate aveva preso per mano Joy, passò vicino dicendo alla Detective “Ehy Beckett non ci prendere troppo gusto a fare la mammina, se no poi ne dovrai fare una tutta tua!”, Kate prima osservò Joy abbassare la testa, poi rivolse al collega uno sguardo così truce che gli cancellò subito il sorriso dalle labbra, facendogli balbettare qualche parola di scusa che lei nemmeno ascoltò, entrando nell’ascensore che nel frattempo era arrivato.

Andarono in un piccolo parco vicino al distretto, non c’era quasi nessuno quella mattina. Kate prese  per sè e Joy un succo d’arancia prima di entrare in un chioschetto vicino all’ingresso del parco. Camminarono nel vialetto fino ad una panchina vicino alle altalene e Joy chiese a Kate se poteva lasciare lì il suo succo mentre andava a giocare. La detective acconsentì sorridendole, osservandola mentre si dondolava lentamente. Le sembrava felice o almeno serena: non poteva offrirle di più in quel momento, sperò che fosse abbastanza. 

Su una panchina vicino a lei si sedette una donna con due bambini forse di qualche anno più piccoli di Joy e i due appena arrivati lanciarono letteralmente tutte le loro cose alla donna e corsero verso i giochi urlando, arrampicandosi più volte sugli scivoli tra schiamazzi. Kate lì osservò così rumorosi e pieni di vita e poi tornò a guardare Joy così tranquilla sulla sua altalena: non potè evitare di chiedersi se fosse solo per il suo carattere così calmo e tranquillo oppure fosse anche per la sua malattia o per tutto quello che aveva vissuto. Per colpa sua, non riusciva a smettere di ripeterselo. Mentre la osservava vide uno dei due bambini arrivare e salite sull’altalena vicino a lei, spingendosi a gran velocità e poi arrivare anche l’altro che guardava Joy impaziente, volendoci salire lui. Lo sentì gridarle di scendere, perché non era nemmeno capace ad andarci e la vide fermarsi e guardarlo: anche da lì Kate vide il volto di sua figlia contratto in una smorfia e poi successe tutto troppo velocemente, il bambino che le dava una spinta, Joy che cadeva e lei che era arrivata lì, vicino a lei bloccando il bambino e l’altalena prima che ci potesse salire. Se avesse potuto lo avrebbe ammanettato e gli avrebbe letto i suoi diritti, ma lo lasciò tra le sue proteste solo per chinarsi e controllare come stava Joy. Si era messa di fatto con il corpo tra il bambino, sua figlia e l’altalena. 

- Joy, come stai?

- Io… bene… fa solo un po' male qui… - Le disse indicando il ginocchio che si era un po' sbucciato. La tirò su prendendola in braccio e stava per andarsene quando sentì una donna urlarle contro.

- Come si permette di me mettere le mani addosso a mio figlio? Adesso chiamo la polizia e lei signora avrà dei guai!

La donna che era seduta nella panchina vicino a lei era arrivata proprio a fianco del bambino che insieme al fratello sghignazzava.

Kate senza lasciare Joy, con la mano libera prese il distintivo dalla tasca dei pantaloni sbattendolo in faccia alla donna.

- La polizia è già qui. Prima di urlare alle altre persone sarebbe meglio che insegni l’educazione ai suoi figli che evidentemente ne sono privi, come lei.

- Queste sono cose da ragazzi, succedono sempre! - disse la donna tentando di giustificarsi.

- Beh, faccia in modo che non accadano più prima che qualcuno denunci lei per il comportamento dei suoi figli.

Tenendo stretta a se Joy tornò alla panchina dove la mise seduta con estrema cautela osservando quella sbucciatura che si vedeva da sotto l’orlo del vestitino.

- Ti fa molto male? - Chiese preoccupata non sapendo cosa fare.

- No, solo un po'. Poi passa vero?

- Certo che passa. - Le sorrise tesa spostandole i capelli dal viso, poi prese nella borsa una salviettina e le pulì le mani sporche di terra.

- Grazie per avermi difesa. Ma veramente volevi arrestarli? - chiese stupita

- Uhm forse avrei potuto, sì… - Mentì Kate ma vide che Joy era molto interessata a quel discorso.

- Wow forte! - Esclamò Joy.

Kate controllò il ginocchio di sua figlia, era solo un po' sbucciato, nulla di grave.

- Credo che Castle mi ucciderà! Ti lascia con me qualche ora e ti faccio far male! - Sospirò Beckett mentre Joy finiva il suo succo.

- No! Rick ti vuole bene poi glielo dico io che tu mi hai difesa e non è colpa tua! - Le passò il bicchiere di succo vuoto e Kate lo mise insieme al suo e si allungò verso il cestino per buttarli. Fu colpita da quelle parole, più di tutto dal pensiero che Joy si era fatta che Castle le volesse bene: perché loro potevano dirsi quasi colleghi, forse, conoscenti, ma nulla di più. Castle le voleva bene, la cosa la rese non sapeva perché felice e pensò che in fondo anche lei voleva bene a lui, anche se di certo non glielo aveva mai detto.

Quando si era fatto troppo caldo andarono via da lì. Kate controllava Joy che camminava normalmente: era decisamente troppo ansiosa, era solo una sbucciatura, quante se ne era fatte lei giocando? Eppure ora era tutto diverso, ora aveva una prospettiva diversa nel guardare le cose, ora le vedeva da madre.

Andarono di nuovo nel ristorante di Mike, ordinando ancora una volta polpette e purè ed una fetta di torta di carote, da dividere. 

- Ti sei divertita al mare con Castle? - Le chiese Kate desiderosa di sapere più cose possibili da sua figlia e doveva ammetterlo, anche di Castle.

- Tanto! Alexis mi ha insegnato a nuotare bene! Ho fatto tanti bagni al mare e in piscina. Rick e Alexis stavano spesso in quella che fa le bolle ma a me facevano il solletico e preferivo l’altra, quella normale.

- Andavate in piscina? - Chiese Kate stupita.

- Nella piscina di Rick! È dietro il giardino, nascosta, così nessuno da fuori può vedere, Rick dice così.

- Ah Castle ha la casa con la piscina! - Esclamò Kate.

- Sì! Proprio sul mare! E poi è grandissima! Ha tante stanze, lui dice per i suoi amici, ha dato una stanza anche a me. Se ci vieni anche tu ci sarà una stanza anche per te!

Lei non era preparata a quei discorsi che facevano i bambini, senza tutte le sovrastrutture di loro adulti, senza farsi troppi problemi. Le sorrise imbarazzata e Joy andò avanti a raccontare.

- Facevamo tanti castelli di sabbia anche se io odio la sabbia allora era Rick quello che si sporcava di più. Poi inventava le storie e c’era sempre una principessa da salvare e alla fine lui la salvava. Alla sera spesso siamo stati a mangiare fuori in tanti posti diversi e mi ha fatto assaggiare tante cose strane, qualcuna buona altre meno.

- Cosa non ti è piaciuto?

- Quella cosa che si chiama con un nome strano, con il riso ed il pesce crudo. Bleah! - disse mimando il disgusto.

- Il sushi! - esclamò Kate divertita.

- Sì quello! Però ho mangiato la pizza buonissima ed anche la pasta. E poi il pollo fritto.

- Wow Joy buonissimo!

- Sì! - Esclamò lei. - Poi quando Rick scriveva io stavo con Alexis, mi ha prestato alcuni suoi libri da leggere e abbiamo giocato insieme e visto tanti film.

- Rick scriveva? - Chiese stupita Kate.

- Sì! Alexis dice che quando è così preso e scrive veloce veloce meglio lasciarlo stare. Così stavo con lei. Sai che Alexis ha una mamma che non vede mai? Non è strano che la ha lasciata sola? Cioè non sola sola, ma che la va a trovare solo ogni tanto?

- La mamma di Alexis è un po' particolare, è un’attrice, lavora lontano. 

- La conosci? - Chiese interessata.

- Sì l’ho vista un paio di volte.

- E com’è? 

- È bionda e divertente. Un po' esuberante.

- Esuberante? - Chiese Joy che non aveva capito bene.

- Sì, un po' strana…

- Uhm sì lo pensavo… - Rimase in silenzio per qualche istante, pensando ad Alexis e sua madre, poi i suoi occhi si accesero di nuovo. - Sai che Rick e Alexis giocavano con uno strano gioco luminoso? Poi quando si prendevano avevano una cosa addosso che si illuminava tutto. 

- Tu non ci giocavi? - Si informò Kate.

- No a me non piace, però li guardavo ed ho scoperto un segreto, te lo posso dire? Però tu non lo dire a nessuno! - Bisbigliò Joy.

- Promesso!

- Alexis vinceva sempre ma il credo che Rick la faceva vincere per farla contenta. Però ad Alexis non l’ho detto e nemmeno a Rick! - Continuò a bisbigliare la bambina.

- Allora rimarrà tra noi, non glielo diciamo. È un segreto tra me e te!

Joy annuì con gioia e finito il pranzo le due se ne andarono dal ristorante felici. Kate portò Joy a Central Park e fecero alcuni giri sulla giostra insieme e per la detective era tutto così naturale, così giusto che non poteva fare a meno di pensare “perché?”. Era una domanda che se ne portava dietro altre mille e non le bastava il sorriso di Joy per cancellare dalla sua mente quei dieci anni di vuoto. La vedeva voltarsi e sorriderle, poi la salutava e lei faceva altrettanto. Kate si rivedeva nel sorriso di Joy, ricordava quando era lei a voltarsi e salutare sua madre quando la portava lì nei pomeriggi liberi. La giostra era stata rifatta, i cavalli erano stati ristrutturati ma la magia rimaneva la stessa, così come i sorrisi dei bambini: solo lei si sentiva diversa, passata da un ruolo all’altro, senza che nessuno lo sapesse.

I loro giri furono interrotti da una telefonata: Castle era tornato a casa e voleva sapere se doveva passare a prendere lui Joy oppure se era Kate a riportarla da lui, guardò un attimo la bambina che la indicava con il dito con insistenza, così Kate gli disse che l’avrebbe portata lei al loft. Si concessero un’altra passeggiata, fino al laghetto per vedere le papere, poi andarono da Rick. In auto Kate potè notare come Joy cominciava ad accusare la giornata ed il suo sguardo si posò più volte su quel ginocchio sbucciato. “È solo un graffio, Kate! Ha dieci anni, è normale!” Si ripeteva. Già, era normale e forse lo era anche la paura che aveva provato, per la prima volta nella sua vita. Guidò lentamente, facendo un giro più lungo del normale, le piaceva vederla serena canticchiare in macchina le canzone passate alla radio e voleva godersi il più possibili quei momenti.

L’ascensore che portava all’ultimo piano del palazzo dove si trovava il loft di Castle, saliva lentamente. Kate guardava nervosa Joy dritta in piedi difronte a se, proprio al centro davanti alle porte. Joy uscì facendo un piccolo salto per sorpassare intercapedine tra l’ascensore ed il piano. Kate aveva notato che lo faceva sempre e la cosa la fece sorridere, si chiedeva se lo facesse per paura del vuoto o solo per divertimento. Persa nei suoi pensieri era rimasta ancora ferma tra le porte mentre Joy era già sul corridoio diretta a casa di Castle. 

- Non vieni? - Le chiese la piccola ferma a metà strada e Kate con un sorriso si mosse raggiungendola con due sole falcate. 

- Eccomi! - Disse quando le fu vicino, strappandole un cenno di approvazione.

- Kate… grazie per avermi difeso oggi. Non lo aveva mai fatto nessuno. Glielo dirò a Castle che non è colpa tua per questo. - Joy si indicò il ginocchio. 

- Lo farò sempre, Joy. - le rispose Kate dopo aver fatto un respiro profondo. La bambina avanzò ancora lasciandola indietro.

- Joy! - Kate la richiamò e lei si fermò, gli andò incontro e si piegò per essere alla sua altezza.

- Aspetta, ti devo dire una cosa… - La bambina la guardò stupita ma attenta. - Qualsiasi cosa accada da oggi in poi sappi che non sarai mai sola, ok? Che io e Castle ci saremo sempre per te, capito Joy? Perché Rick ti ha preso con se e sono sicura che lui non ti lascerà più e io… - Kate deglutì per riprendere fiato, le accarezzò il volto sorridente e le spostò i capelli, incantata a guardarla. Era decisamente la cosa migliore che avesse mai fatto nella vita, glielo doveva dire.

- Io e te siamo amiche! Per questo mi difendi! - La precedette sua figlia, facendole morire le parole in gola.

- Sì Joy. Siamo amiche, per questo ti sarò sempre vicina.

Joy annuì e le prese la mano conducendola letteralmente davanti casa di Castle. Kate suonò il campanello ed immediatamente la porta si aprì.

- Ah allora mi era sembrato bene di sentire le vostre voci nel corridoio! - Esclamò Rick abbracciando Joy.

- Cosa fai Castle, spii le persone che passano sul pianerottolo? È inquietante lo sai? - Lo schernì Beckett cercando di ricomporsi emotivamente. Lui, però non si scompose per niente e scrollò le spalle.

- Allora cosa avere fatto, vi siete divertite? - Chiese alle due.

- Sì siamo andate al parco sulle altalene ed io mi sono fatto questo! - Disse Joy mostrando il ginocchio - Ma non è colpa di Kate ma di un bambino che mi ha spinto e lei mi ha difeso. Poi ha litigato con la mamma del bambino e la voleva arrestare! Ha anche fatto vedere il distintivo! - raccontò la bambina tutta entusiasta mentre Kate imbarazzata corrugava la fronte e si mordeva un labbro.

- Wow Beckett! Con te è entusiasmante anche andare al parco! Ti metti ad arrestare anche le mamme dei bambini! - esclamò Rick divertito.

- Beh, qualcuno dovrebbe educare meglio i propri figli ed evitare che facciano i bulli. Comunque ho controllato, è solo una sbucciatura, l’abbiamo disinfettata prima.

- In realtà Kate era molto preoccupata, gliel’ho detto io che era solo una sbucciatura! - continuò Joy 

- Qui si scoprono gli altarini! Quindi tu sei quella preoccupata ed una bambina ti tranquillizza eh! - Ora fu Castle a giocarsi di lei, mentre Beckett guardò Joy sospirando e la bambina le fece un occhiolino divertita. 

- Dai Joy, di corsa a cambiarsi adesso! - gli disse Rick e lei poi si rivolse a Kate.

- Torno tra poco, mi aspetti?

- Io veramente non so… - Tergiversò Beckett.

- Certo che ti aspetta, dai JJ, che troverai la detective sempre qui!

- Ci sediamo? - Chiese Castle a Beckett mentre entrambi osservavano Joy salire le scale per il piano superiore.

- Mi fermo solo un attimo, Castle, non credo sia il caso.

- Uh dovrai aspettare Joy che si prepara, glielo hai promesso, mica vorrai farlo qui in piedi! Meglio di là con un buon bicchiere di vino! 

Prima che potesse rispondere era già andato in cucina e lo sentì armeggiare con bottiglia e bicchieri, tornando poco dopo con due calici di vino rosso.

- Allora, a parte l’inconveniente con il bambino teppista, tutto bene oggi? - Le chiese una volta che si erano accomodati sul divano agli angoli ben distanti.

- Sì, bene. Mi ha raccontato della vostra vacanza, di come vi divertivate in piscina e al mare, della tua casa enorme…

- Uhm tutto vero! Ci siamo divertiti molto ed Alexis con Joy è stata splendida.

- Non ne avevo dubbi, Castle, tua figlia è una ragazza eccezionale. 

- Non a caso è mia figlia! - Si pavoneggiò lui.

- Tieni a bada l’ego, Castle! Non pensare che sia merito tuo!

- Cosa vuoi dire detective, che è merito di Meredith? - Disse lui offeso.

- No! Solo che come in matematica, meno per meno fa più! 

- Colpito e affondato! - rispose mettendo il broncio e facendola sorridere.

- Però dai, un po' di merito tuo c’è, ma poco Castle, non ti montare la testa! - Rise Kate.

- Uff, vabbè mi accontento. - Poi Castle tornò serio - Domani devo portare Joy a fare la sua trasfusione. Non credo riuscirò mai a farci l’abitudine. 

Lo scrittore appoggiò il suo bicchiere sul tavolino davanti a loro e lo stesso fece Kate che si sfregò nervosamente le mani. 

- Vorrei poter fare qualcosa… - Il pensiero che Kate voleva tenere per se lo fece invece ad alta voce, strappando un sorrido a Rick.

- Beh, a meno che tu non sia la madre credo che tu non possa fare nulla, e quindi direi di no. - Rick riprese il bicchiere finendone il contenuto e poi lo poggiò di nuovo. - Comunque grazie, Joy con te sta molto bene ed io ne sono felice. Credo che abbia bisogno anche di un punto di riferimento femminile e Alexis è troppo piccola e Martha troppo adulta… 

Lo scrittore sorrise ancora, sporgendosi e poggiando una mano su quelle sempre più strette della detective che se ne stava a testa bassa a fissare la mano di lui sopra la sua, sentendosi meschina.

- Sai Beckett, a volte mi chiedo se ho fatto bene a prendere  Joy con me…

- Hai dei ripensamenti Castle? - Disse tirandosi su e nel mentre lui sorpreso dal tono fin troppi inquisitorio di lei ritrasse la mano.

- No, no… io voglio tenere Joy con me! Solo che pensavo se la mia decisione non sia egoistica. Prendendola con me le sto negando la possibilità di crescere in una famiglia normale, capisci che voglio dire? 

Questa volta fu Beckett ad avvicinarsi a lui e prendergli la mano in un gesto di eccessiva confidenza per loro.

- Tu non gli stai negando nulla, gli stai dando la possibilità di crescere in una famiglia eccezionale come la tua, e sono sicura le darai tutto quello di cui ha bisogno.

Rick strinse la mano di Kate, annuendo rassicurato da quelle parole che sentiva assolutamente sincere. Lui e Beckett si punzecchiavano spesso, lui a volte faceva a posta a farla innervosire e ci riusciva benissimo con i suoi modi esasperanti, ma sapeva che se lei gli diceva qualcosa era perché lo pensava veramente, Kate era stata sempre sincera con lui, da quando gli aveva inaspettatamente rivelato dei problemi di suo padre e dopo la morte di sua madre. Lei si era fidata di lui e non gli era stato indifferente quel suo gesto di fiducia. Rimasero così, in uno strano silenzio tenendosi per mano fino a quando non sentirono la voce di Joy richiamarli. Si lasciarono la mano, come se si fossero accorti in quel momento di tenere qualcosa di estremamente ustionante. 

Joy si mise a sedere sul divano tra di loro che avevano ritrovato le giuste distanze. Kate si stava per alzare ed andarsene quando Rick le chiese di aspettare ancora un po'. Prese un pacchetto che aveva lasciato sul tavolo e lo diede a Joy.

- Guarda cosa mi hanno portato oggi… - Le disse incoraggiandola a scartarlo e lei non si fece pregare, scoprendo all’interno un enorme quantità di foto. - … sono le foto del tuo compleanno. Ne ho chiesta una copia prima che facciano il tuo book. 

- Wow sono tantissime! - Esclamò Joy scorrendole velocemente mentre Kate si era avvicinata a lei per guardarle sopra la sua spalla.

- Sì e ci sono alcune molto belle! Guarda questa! E anche questa e questa! - Rick le indicò una foto dove c’erano lei e Alexis abbracciate, poi una dove era in mezzo alle sue amiche ed un’altra di lei con gli occhi chiusi in mezzo alle farfalle. Per la bambina fu come rivivere la stessa sensazione e il suo sorriso si illuminò poi riprese a guardare le foto più lentamente: c’erano alcune con Rick, Martha e Alexis, altre con i suoi amici mentre giocavano e cantava, con tutti i compagni con la torta e i regali. Poi ce n’era una che aveva attirato per motivi diversi l’attenzione di tutti: due primi piani, vicini e sorridenti, Joy e Kate che l’abbracciava. Per Beckett fu un vero colpo al cuore, Rick rimase di stucco nel vedere come gli occhi e la bocca delle due fossero così simili, con lo stesso sorriso, bellissimo. 

- Questa tienila tu! - disse Joy a Kate che prese la foto dalle mani della figlia quasi tremante.

- Perché? - Chiese stupita la detective.

- Non la vuoi? - si preoccupò la bambina.

- Oh sì io… ci terrei tantissimo. Grazie!

- Così anche tu hai qualcosa che ti ricorda di me. Io ho sempre questa, vedi? - Joy le mostrò sotto la maglietta del pigiama il ciondolo con la farfalla.

- Sai Beckett, non se lo è mai tolto! - Intervenne Castle riportandola indietro da una dimensione nella quale esistevano solo lei e sua figlia.

- Non è vero Rick. La toglievo quando andavamo al mare, perché nell’oceano la potevo perdere! - Lo riprese Joy.

- Certo, hai ragione. - si scusò lui.

- Castle mi meraviglio di te, devi essere preciso nel narrare i fatti, cosa fai, mi trascuri dettagli così importanti e determinanti nella spiegazione degli eventi? - Kate lo rimproverò enfatizzando il tono volutamente canzonatorio, facendo sorridere Joy e Rick stette nella parte fingendosi mortificato. Poi risero tutti e tre, fino a quando Beckett a malincuore si alzò: doveva andare via da lì, doveva mettere fine a quella giornata, a quella situazione che stava vivendo troppo normale per poterla accettare. Mise la foto con cura nella borsa, accarezzò ancora una volta i capelli di Joy prima di salutarli.

- Io adesso devo proprio andare… - disse ai due.

- Devi proprio? - Chiese Joy.

- Sì, piccola, devo proprio… - le rispose controvoglia, ogni volta era peggio, più difficile.

- Non puoi rimanere a cena con noi? Non ci sono nemmeno Martha e Alexis questa sera… Può Rick? - chiese voltandosi verso Castle.

- Se vuole certo che può, la detective Beckett è sempre la benvenuta qui! - Rispose a Joy guardando negli occhi Kate.

- Grazie Castle ma… ho già preso un impegno per questa sera… mi dispiace molto. - Mentì e si pentì di averlo fatto appena lesse la delusione negli occhi di Joy.

- Esci con il tuo fidanzato? - Le chiese Joy cogliendola di sorpresa. Beckett diventò improvvisamente rossa soprattutto nel sentire su di se gli occhi incuriositi di Castle che colse la palla al balzo.

- Già, Beckett, se devi uscire con il tuo ragazzo non vogliamo trattenerti oltre! 

Kate in qualsiasi altro momento gli avrebbe risposto a tono e sicuramente gli avrebbe tolto quel sorriso compiaciuto dalla bocca, tipico di chi sapeva che quel punto era suo, perché lei non gli avrebbe potuto rispondere come avrebbe voluto.

- No, nessun fidanzato! - Rispose alla bambina ignorando Castle.

- Non sarà mica il tuo ex? Quel rigido agente del FBI… come si chiamava? Ah sì Sorenson, quello con cui abbiamo lavorato qualche tempo fa!

- Io ci ho lavorato, Castle! Tu hai collaborato con me. - Lo fulminò con lo sguardo. Gliel’avrebbe fatta pagare, non sapeva nemmeno lei come e quando ma lo avrebbe fatto. - E comunque no, nemmeno con lui… mi vedo con un’amica per… il suo compleanno.

- La conosco? È carina? Puoi presentarmela in caso? - Continuò a punzecchiarla.

- È sposata, Castle! 

- Lo sono stato anche io, due volte, non è mica un problema né un ostacolo! È solo proforma! - Si stava divertendo a sue spese, esagerando con i discorsi stupidi che detestava sempre ma in quel momento in modo particolare perché fatti davanti a Joy che invece si divertiva un mondo, come Castle. Scosse la testa e si piegò per dare un bacio a Joy.

- Ci rivediamo prima che partiamo? - Le chiese la bambina.

- Partite di nuovo? - Chiese Kate perplessa.

- Sì torniamo negli Hamptons, solo io e Joy questa volta. Adesso si sta molto meglio che a New York e poi la piccola sirenetta vuole diventare ancora più brava a nuotare ed ha bisogno di tanta pratica in piscina e al mare! 

Kate li guardò entrambi annuendo dispiaciuta.

- Perché non ci vieni a trovare? Posto c’è per tutti, potrai rilassarti un po' e potrai anche fare finta che non esisto, tanto la casa è grande. 

- Castle, la tua presenza sarebbe ingombrante anche dentro la Casa Bianca! - Rise Kate. 

- Sì dai! Kate vieni con noi! - esclamò la piccola entusiasta dell’idea.

- Non posso Joy, devo lavorare. Non ho chiesto le ferie.

- Quindi vuol dire che se avessi le ferie verresti con noi? - Chiese Castle con lo sguardo furbo.

- No, Castle, non avendo le ferie non ho nemmeno valutato la possibilità. - Schivò la sua pericolosa domanda.

- Non vuoi venire al mare con me? - Chiese Joy dispiaciuta.

- Oh sì, mi piacerebbe molto venire con te, ma… il lavoro capisci Joy? Non posso… - Joy annuì, aveva capito, ma le dispiaceva.

- Beh, se ci ripensi, fammi sapere… - Concluse Rick quando erano già sulla porta. Kate annuì e poi andò con rapide falcate verso l’ascensore e via di lì velocemente. Era già in macchina quando si fermò ad un semaforo e compose velocemente un numero che sapeva a memoria.

- Lanie? Ci vediamo a cena? Ho bisogno di parlare, è tutto un casino… 

Lanie aveva raggiunto Kate nel suo appartamento: la dottoressa aveva ascoltato pazientemente il resoconto nervoso della detective, le sue ansie, la paura, il senso di inadeguatezza, le richieste di Joy e di Castle, le sue emozioni contrastanti.

- Non so cosa fare… non so veramente cosa fare… - disse Kate alla fine prendendosi la testa tra le mani davanti a quella pizza che aveva mangiato solo qualche boccone, ma tra la parte che mancava e quella tagliuzzata nel cartone, non ci voleva un occhio attento per capire che ne aveva mangiata veramente poca.

- Non farmi fare quella che dice “te l’avevo detto”, tesoro, però io in effetti te l’avevo detto: più tempo fai passare più sarà difficile e mi pare di capire non solo per Joy… il tuo scrittore…

- Non è il mio scrittore Lanie! - la interruppe Kate.

- Non ancora tesoro! Da come ne parli però sembra che ti piacerebbe molto che lo diventasse!

- Lanie, per favore! Sto parlando di Joy, è di lei che mi interessa adesso, non ho tempo né la testa per pensare a nient’altro!

- Ne sei proprio sicura ragazza? - Lanie la fissò e Kate non riuscì a sostenere il suo sguardo mordendosi il labbro imbarazzata. Vedere Castle fare fa padre a sua figlia non poteva negarlo, le provocava delle sensazioni strane, gli faceva conoscere sfaccettature di lui che non aveva mai visto o voluto vedere.

La serata era finita molto tardi con Lanie che le aveva ripetuto ancora di sbrigarsi a dire tutto e che attendere le avrebbe portato solo altri problemi, ma quando la dottoressa uscì da casa della sua amica era purtroppo fermamente convinta che i suoi discorsi erano stati inutili, Kate sembrava bloccata dalla paura di non riuscire poi ad avere nemmeno quel minimo contatto con Joy che questa situazione le garantiva e di stravolgere di nuovo il suo mondo mentre cercava di costruire con Castle una nuova quotidianità.

Avrebbe voluto andare negli Hamptons con loro, avrebbe voluto passare un paio di giorni con Joy senza pensieri, ma sapeva che non era una cosa conveniente, per nessuno e in più non stava bene che lei a casa di Castle mentre lui era solo. Un brivido la percorse al solo pensiero: lei e Castle soli nella stessa casa, o meglio villa, con Joy. No, non doveva pensarci. Non doveva pensare nulla, doveva rimanere focalizzata sulla realtà e trovare una via d’uscita. Aveva sentito ancora Castle per aggiornarsi su come stava Joy dopo la trasfusione e per fortuna aveva avuto una reazione migliore della volta precedente. Rick aveva provato ancora a convincerla ad andare, ma lei aveva mentito, dicendo che non le avevano dato nemmeno un giorno di ferie in quel periodo perché il distretto era sotto organico: in realtà non lo aveva nemmeno chiesto.

Rick e Joy erano partiti il giorno precedente e Castle le aveva subito mandato una foto di loro due al mare dicendole che non sapeva cosa si stava perdendo. Lo sapeva, invece, ed era molto più di quanto lui poteva immaginare. Guardò quella foto a lungo ed ogni tanto riprendeva il telefono per guardarla ancora. Erano così belli, tutti e due: era un pensiero che non aveva potuto fermare.

Era ancora soprappensiero quando Montgomery la raggiunse alla sua scrivania.

- Beckett, se avevi bisogno di qualche giorno di ferie potevi chiedermelo! - il tono era serio ma sul volto del capitano c’era un sorriso benevole.

- Come signore?

- Mi ha chiamato Castle, mi ha detto se potevo concederti almeno il week end libero. Ha molto insistito… - le fece un occhiolino.

- Ma…

- Prenditi tutta la settimana, così scali un po' di quelle ferie arretrate che ti porti dietro da tempo e che non so come fare per obbligarti a smaltirle.

- Ma… - Provò ancora a interromperlo.

- Beckett, è un ordine! - Le sorrise Montgomery.

- Sì signore… - Sospirò lei.

Avevano battibeccato a lungo al telefono, Beckett odiava quando Castle la scavalcava e si intrometteva nella sua vita. Odiava la sua sicurezza di riuscire sempre ad ottenere quello che voleva a modo suo, sfruttando la sua posizione e le sue amicizie. Lei non era così, lei rispettava le regole ed i ruoli. Era stato lui a chiamarla per cantare vittoria, doveva riconoscergli solo che aveva glissato sulla bugia che gli aveva raccontato, era troppo occupato a gongolare che ora non aveva più scuse e doveva raggiungerli, lo aveva già detto a Joy, non poteva deluderla. Ogni volta che faceva una di quelle battute, senza alcuna cattiveria, Kate si sentiva morire… se solo avesse saputo…

Kate aveva sempre pensato che i discorsi di Joy sulla casa negli Hamptons di Castle fossero esagerati e quando si trovò davanti all’entrata pensò di aver sbagliato indirizzo: non poteva essere quella, era immensa. Poi, mentre era ancora in macchina ed aveva appena slacciato la cintura di sicurezza, la porta si aprì ed uscirono Joy ed il padrone di Casa con un sorrido smagliante sul volto che lasciava trasparire tutta la sua soddisfazione e contentezza di vederla lì. Si accorse che anche lei stava sorridendo, più del solito.

Appena uscita salutò affettuosamente sua figlia e Rick con il cenno della mano.

- Cosa stai facendo Castle? - Chiese quando lo vide armeggiare con la sua auto.

- Prendo il tuo bagaglio.

- Posso farlo anche da sola! 

- Lo so, ma potresti anche fare la brava ospite e lasciarti aiutare! - Le rispose sollevando il piccolo trolley dal portabagagli e poi richiudendolo un po' troppo rumorosamente, guadagnandosi la seconda occhiataccia in pochi minuti, forse era un record anche per lui.

Joy la condusse per mano dentro casa e salirono le scale per il piano superiore, quello delle camere, come lo aveva rinominato la piccola.

- Va benissimo questa, Castle. - gli disse Kate dopo la prima stanza che le aveva mostrato. Era dalla parte opposta a dove si trovavano la sua e quella di Joy, vicino a quella ora vuota di Alexis.

- Sicura che non vuoi vedere le altre vuote? Così puoi scegliere.

- Non c’è bisogno, Castle, veramente. Questa è molto bella, grazie. 

Rick non insistette ancora, lasciò vicino all’ingresso della stanza la valigia di Kate e chiamò Joy per uscire da lì e lasciarle il tempo per sistemarsi. In realtà rimanere sola al momento era l’ultima cosa che Kate voleva, ma approfittò per rinfrescarsi e togliersi quegli abiti troppo da città per quel posto.

Aprì la finestra e fu invasa da un soffio di vento caldo: si vedeva il mare da lì, era poco sotto la collina dove si trovava la villa, oltre il giardino. Sentì in lontananza le risate cristalline di Joy e quelle più profonde di Castle, provò a sporsi per vedere ma quella parte era protetta da un’alta siepe e riuscì solo a sentirli. Richiuse facendo un profondo respiro, godendosi per un istante il fresco dell’aria condizionata che aveva riportato subito la temperatura della stanza a livelli più bassi tanto da procurarle un brivido, almeno lei volle dare la colpa a quello e non ai pensieri che stavano affollando la sua mente, correndo più di quanto doveva, più di quanto poteva.

Il vestito blu leggero sfiorava le lunghe gambe della detective. Aveva abbandonato i suoi tacchi per delle più comode e pratiche infradito e cercava di orientarsi nel giardino seguendo le voci di Rick e Joy. Alla fine li trovò, andando proprio dietro quelle alte siepi, dove nascosta da occhi indiscreti c’era la piscina, anzi, le piscine perché in un angolo sotto ad una tettoia di legno sulla quale si arrampicavano piante di fiori, c’era l’idromassaggio che non piaceva a Joy.

- Oh, scusami ma questa qui - disse Castle indicando Joy - era impaziente di entrare in acqua. Vedo però che ci hai trovato!

- Sono un detective, Castle, seguire le tracce è il mio lavoro! - Fece un occhiolino a Joy che nuotava intorno a Rick e rideva. Le piacevano i loro scambi di battute, li trovava divertenti.

- Che fai, ci raggiungi? L’acqua è caldissima! - Chiese ancora Rick mentre lei appoggiava le sue cose su una delle sdraio che erano ai lati. Kate annuì e dandogli le spalle cominciò a sbottonarsi il vestito, lasciandolo poi scivolare ai suoi piedi. Quando si voltò si sentì improvvisamente imbarazzata trovando lo sguardo di Castle fisso su di sé e i loro occhi si legarono per qualche istante, prima che lui sparisse sotto la superficie dell’acqua. Quando Rick riemerse, Kate era sulle scale che scendevano gradatamente nella piscina. L’acqua non era fredda, però nemmeno così calda come diceva lui, o forse era solo la reazione con la sua pelle troppo accaldata.

- Dai Kate vieni! - Le urlò Joy mentre di avvicinava nuotando verso di lei.

- Dai Beckett! Non avrai mica paura dell’acqua! - Rincarò la dose Castle schizzandola mentre stava procedendo piano prima di buttarsi, trovandosi però improvvisamente tutta bagnata, da rimanere senza fiato. 

- Questa me la paghi Castle! - Kate si buttò, tra le urla soddisfatte di Joy e Castle, mettendo in mostra un invidiabile stile nel nuotare, raggiungendo il bordo dalla parte opposta e poi tornando da loro.

- Non male detective! - Si complimentò Rick e lei riprese a nuotare seguita da Joy che però non riusciva a reggere il suo ritmo, così mentre Kate tornava indietro ancora una volta, si fermò e prese letteralmente tra le braccia la piccola che le andava incontro facendola roteare in acqua, ridendo insieme. Era tutto così naturale e così bello che si sentì investita da qualcosa che non riusciva nemmeno lei a capire cosa fosse. Per la prima volta dopo tanto tempo si sentiva libera di giocare e divertirsi, allontanando anche per un po’ il peso della verità che nascondeva. 

Joy e Castle ricominciarono la loro battaglia contro di lei, schizzandola così tanto che si rifugiò sott’acqua e poi nuotò fino ad arrivare alle spalle dello scrittore e prendendolo si sorpresa portò anche lui sott’acqua. Quando riemerse Joy rideva felice.

- Ma tu si può sapere da che parte stai? - Le chiede ridendo Beckett alla quale lei rispose alzando le spalle e riprendendo a nuotare. Quando Kate si voltò si accorse però che Rick non era ancora riemerso, anzi da quello che vedeva era ancora sott’acqua con gli occhi chiusi. Si tuffò immediatamente e lo tirò fuori prendendolo sotto le braccia e trascinandolo fino al bordo della piscina.

- Ehy Castle… non fare lo stupido… - Gli disse Kate senza urlare per non spaventare Joy mentre gli dava qualche schiaffetto sul volto, ma Rick sembrava abbandonato a se stesso. - Castle… dai andiamo… Castle!

Più lo chiamava e più non rispondeva, più Beckett aveva aumentato il tono della voce, non si era accorta che Joy era proprio dietro di lei e la guardava. Si chinò su di lui e come le avevano insegnato al corso di rianimazione, gli chiuse il naso per poi avvicinarsi e praticargli la respirazione bocca a bocca, ma quando riprese fiato e unì di nuovo la sua bocca con quella di lui, Rick era tutt’altro che incosciente, perché sentì le sue braccia bloccarla e rispondere al contatto con le sue labbra in modo tutt’altro che involontario. Kate rimase stordita, non sapeva se essere felice o detestarlo, non seppe nemmeno perché non si allontanò subito, ma prolungò quello che a tutti gli effetti era diventato un bacio, salvo poi rientrare in se ed allontanarlo bruscamente.

- Castle ma sei impazzito! - Gli urlò Kate mentre lui rideva evidentemente compiaciuto.

- Punto mio detective! Anche questa volta! - Si beffò di lei.

- Tu… tu… - Non riusciva nemmeno a finire la frase tanto si sentiva presa in giro. Aveva avuto paura, veramente tanta paura per lui e poi non poteva nemmeno negare a se stessa che quel bacio le era piaciuto. Troppo. Ecco perché era così arrabbiata. Perché non gli doveva piacere. Si voltò per non vedere il suo sorriso beffardo ma incontrò dietro di se lo sguardo terrorizzato di Joy che aveva assistito a tutta la scena.

- Ehy, Joy… Rick stava solo scherzando… va tutto bene… stavamo… stavamo solo giocando! - Provò a rassicurarla abbracciandola. Joy si lasciò prendere in braccio a filo d’acqua, appoggiandosi sulla spalla di Kate che le ripeteva che andava tutto bene, accarezzandole la schiena mentre con lo sguardo stava inchiodando Castle fermo sul bordo della piscina che non osò muoversi, conscio per una volta che forse aveva esagerato.

Castle si era scusato con Joy, più volte, fino a quando non l’aveva convinta a lasciare Beckett. Con i suoi modi riusciva sempre ad ottenere quello che voleva e con lei non era diverso. Erano usciti tutti e tre dalla piscina e dopo che Rick le aveva dimostrato che stava più che bene e che era solo uno scherzo fatto a Kate, Joy sembrava aver dimenticato completamente quanto accaduto chiedendo di poter tornare in acqua con loro. Beckett però non aveva più alcuna voglia né di giocare né di scherzare, guardava Castle con aria severa e lui si accorse che probabilmente quello che aveva fatto l’aveva infastidita, molto infastidita. Quello che non aveva capito era che non era stato tanto il bacio a farla arrabbiare come lui era convinto, quando lo spavento che aveva fatto provare a Joy senza riflettere troppo sulle sue azioni, ecco perché in fondo era sempre così diffidente da lui, perché troppo spesso tornava fuori quel suo lato da bambino irresponsabile.

Rick se ne stava seduto sul bordo di un lettino vicino a quello di Kate, intenta ad osservare Joy nuotare spensierata, senza perderla mai di vista, e lui ogni tanto le lanciava qualche occhiata per capire il suo umore. Pessimo. “Perfetto! Non è nemmeno arrivata e già è arrabbiatissima” pensò lo scrittore sbuffando rumorosamente, tanto da attirare il suo sguardo, ancora una volta gelido.

- Che c’è? - Le chiese. - Ho chiesto scusa! Mi dispiace, stavo solo scherzando. Era solo un bacio!

- Non è per il bacio Castle, è per Joy, era terrorizzata! Dopo tutto quello che ha passato, non mi sembra il caso di simulare che anneghi in piscina. - Lo riprese seria.

- Ehy, ma vedi, Joy è tranquilla ha già dimenticato tutto! Rilassati Kate! Ma… che vuol dire “non è per il bacio”? Vuoi dire che… - Le stava ammiccando in modo estremamente sfacciato e lei si era tradita in modo stupido.

- Vuol dire che sei fortunato che non avevo la mia pistola, altrimenti non saresti uscito da quella piscina! - Borbottò Kate cercando di rimettersi a fare la dura.

- Andiamo Detective, eri preoccupata per me ammettilo! - Bastò ancora una volta uno sguardo per farlo tacere, ma non per togliergli quel sorriso dal volto. Si era preoccupata? Certo che si era preoccupata, si era preoccupata tantissimo, era terrorizzata, così come Joy, ma come poteva dirgli che le aveva fatto prendere un’enorme spavento senza che lui andasse oltre con i pensieri, come faceva lei.

Rick salutava Joy mentre nuotava come se nulla fosse e quella sua superficialità faceva Kate arrabbiare ancora di più. Come poteva credere che era già tutto passato solo perché stava nuotando in piscina? Era rimasta traumatizzata, ne era certa e lui doveva essere più responsabile con sua figlia. Fu lei questa volta a sbuffare. La sua mente come al solito correva troppo e si ritrovava a fare pensieri che non le appartenevano. Lei non era così, non era ansiosa e non era una che si preoccupava per ogni minima cosa. Eppure con Joy era diverso. Non poteva fare a meno di preoccuparsi di qualsiasi cosa. Così si era allarmata ed era scattata in piedi quando era lei ad essere andata sott’acqua. Si stava già avvicinando alla piscina quando riemerse e la salutò e lei dissimulò il suo nervosismo salutandola a sua volta.

- Rilassati Kate, sta solo nuotando sott’acqua! Le piace farlo. - Le disse Castle mentre tornava a sedersi.

- Non è pericoloso? - Chiese imbarazzata del suo nervosismo

- Ma no! Si vede proprio che non hai figli Beckett! Stai tranquilla, sei troppo nervosa! - Lo guardò ancora malissimo. Odiava quando le dicevano di stare calma, odiava soprattutto lui quando glielo diceva ridendo così, prendendosi gioco delle sue ansie.

- Mi domando come abbia fatto Alexis a superare l’infanzia con te! - Sbuffò Beckett pentendosi subito dopo di quello che aveva detto. Non lo pensava, ma voleva dire qualcosa per ferirlo, ma Castle sembrò non curarsene.

- Perché era lei tra noi due quella responsabile!

Kate scosse ancora la testa. Quell’uomo era impossibile.

- Beckett io avrei un po’ di fame? Tu? 

Non aspettò la sua risposta, che sarebbe stata in ogni caso affermativa, richiamò Joy che dopo aver attraversato ancora una volta la piscina a nuoto uscì correndo da loro. Castle si trasformò subito in quell’uomo premuroso ed attento che sembrava impossibile fosse lo stesso di poco prima: avvolse Joy in un grande asciugamano asciugandola dolcemente, per poi passare a tamponarle i capelli decisamente lunghi.

- JJ, vai a cambiarti il costume e mettiti quello asciutto, così poi andiamo a mangiare. - Le disse Castle porgendole un sacchetto con le sue cose e la bambina prese le sue cose andando nello spogliatoio vicino alla piscina.

- È facile sai con lei? - Disse Rick a Kate guardandola allontanarsi. - È molto indipendente, fa tutto da sola, anche troppo spesso non vuole nemmeno essere aiutata, tipo te Beckett!

- Non sei spiritoso Castle! - Sorrise anche lei pensando che quando era piccola era proprio così. Non chiedeva mai aiuto a nessuno, solo a sua mamma quando proprio non poteva farne a meno.

- Dove vuoi andare a mangiare Beckett?

Aveva deciso Castle dove andare a mangiare, visto che nessuno voleva prendere una decisione ed ora erano in auto diretti ad un ristorante sul mare non molto lontano da casa.

- Rick, ma il pesce qui ce lo fanno mangiare cotto e senza riso, vero?

Sia Castle che Beckett scoppiarono a ridere, sapevano entrambi che l’esperienza con il sushi di Joy non era andata proprio bene ed era stata una delle prime cose che aveva detto a Kate quando si erano viste. Quel posto, invece, con la veranda vista mare era piaciuto molto alla piccola, forse anche per quel cameriere giovane che ogni volta la riempiva di complimenti tanto da farla arrossire facendo invece sorridere sia Rick che Kate. Avevano apprezzato tutti sia il cibo che l’atmosfera e alla fine anche Beckett era riuscita a rilassarsi di nuovo, anche se trovarsi in quella situazione con Castle le sembrava veramente strana e soprattutto le sembrava strano il riuscirsi a sentire così a suo agio con loro. Fecero una passeggiata e trascorsero le ore più calde in un parco, ognuno con un libro da leggere, sdraiati all’ombra degli alberi. Kate spesso alzava gli occhi dal suo libro, guardando Joy leggere attenta: ogni tanto richiamava l’attenzione di Rick chiedendogli il significato di qualche parola che non conosceva e lui pazientemente le spiegava il significato, trovando tanti sinonimi e facendole esempi. Era quello il Castle che le piaceva vedere, quello attento e paziente che aveva tutto un modo suo per comunicare con la bambina che pendeva letteralmente dalle sue labbra, annuendo ad ogni sua affermazione. 

Era già pomeriggio inoltrato quando andarono via da lì ma invece che tornare a casa, Castle fece una deviazione fermandosi in una spiaggia isolata, lì convinse Kate e Joy a seguirlo mentre si era già caricato una borsa con tutte le loro cose. Era un tratto di costa più riparato, una piccola insenatura con il mare più tranquillo e l’acqua più calda. Rick mise tutte le loro cose a terra sulla sabbia dopo aver steso un grande telo vicino ad un tronco. Questa volta fu lui a guardare Kate e Joy passeggiare sul bagnasciuga, lui invece si era buttato a terra insieme alle loro borse, aveva già esaurito per quel giorno la sua dose di attività fisica e la sua anima pigra era venuta prepotentemente fuori. Mentre i raggi del sole si abbassavano e le ombre si allungavano sulla spiaggia osservare le due accovacciate sulla sabbia a cercare conchiglie era una di quelle immagine che gli facevano desiderare di avere il suo portatile per poter scrivere, era una scena che andava raccontata. Quel bacio nato per scherzo della mattina gli era rimasto dentro, gli sembrava di sentire ancora il sapore di Kate sulle labbra, un sapore dolcissimo. Chiuse gli occhi per ripensare al morbido tocco di Beckett sulla sua bocca ed ebbe un brivido pensando che avrebbe avuto voglia di baciarla ancora e non sapeva perché, ma era certo che lo avrebbe voluto anche lei, perché aveva percepito nella sua voce una paura per il suo stupido scherzo che era qualcosa di diverso. Non avrebbe mai pensato che la dura detective entrasse così in sintonia con una bambina, non l’aveva mai nemmeno lontanamente immaginata così ed era qualcosa che gli piaceva immensamente e non poteva negare che quelle scene risvegliarono in lui un desiderio mai sopito di avere una vera famiglia.

Fu ridestato dai suoi pensieri dalla loro risata. Era ugualmente cristallina, più sottile quella di Joy, più melodiosa quella di Kate. Erano entrambe finite a terra investite da un’onda più forte delle altre. Joy sia alzò prima di Kate e corse verso di lui facendogli vedere come era bagnata e Beckett la seguì battendo le mani per togliersi la sabbia tra le dita.

- Non vi posso lasciare sole un momento a voi due eh! - Sorrise Castle vedendola avvicinarsi.

- Taci Castle! Tu avresti fatto di peggio! - Era punta nell’orgoglio ma le veniva comunque da ridere.

- Io sono abilissimo nel fare sempre di peggio, ma come minimo dovevate buttarvi in acqua e fare un bagno vestite a questo punto!

- Lo facciamo Kate? - Chiese Joy mentre Castle già la stava asciugando ricevendo lei in questa occasione un’occhiataccia dalla detective che le bastò per non chiederlo ancora. Rimasero lì fino a quando il sole non fu tramontato e poi, anche se Kate e Joy non erano ancora del tutto asciutte, tornarono a casa. Si erano allontanati un po’ di più del previsto e quel trasporto eccezionale nella piccola strada degli Hamptons li aveva rallentati non poco, costringendoli ad una lunga fila a passo d’uomo. Joy, seduta nel sedile posteriore dell’auto dopo un po’ si addormentò, vinta dalla stanchezza della giornata. Se ne accorse Rick guardando nello specchietto retrovisore.

- Si è addormentata. - Disse Rick a Kate. - Ogni tanto mi dimentico che per colpa della sua malattia si stanca più facilmente.

Beckett si voltò a guardarla dormire sdraiata e rannicchiata. Prese dalla sua borsa un pareo e si sporse per coprirla e nel farlo le accarezzò il viso.

- È proprio crollata. È stata una giornata lunga. - Sospirò Kate.

- Ehy, Beckett… Mi dispiace per questa mattina, veramente. - Castle la guardava e Kate ricambiava il suo sguardo. La macchina dietro di loro che suonava per farlo procedere interruppe quel gioco di sguardi.

- È ok, Castle. Non ti preoccupare.

- Tutto ok, Beckett? Ne sei sicura? - Le chiese guardando dritto la strada.

- Tutto ok Castle. Tutto ok.

Kate aveva assistito ad una delle scene più tenere che avesse mai visto: Castle che prendeva Joy addormentata dall’auto, se l’adagiava tra le braccia e in silenzio la portava nella sua stanza. Li aveva seguiti rimanendo un paio di passi indietro, come se non volesse disturbarli, fermandosi sulla porta della camera di Joy mentre lui cercava di sfilarle i vestiti per metterle il pigiama. Si era svegliata e collaborava facilitando le operazioni, ma si vedeva che era decisamente assonnata.

- Buonanotte JJ - Le disse Rick sistemando la sua bambola Lily vicino a lei e dandole un bacio sulla fronte che lei ricambiò abbracciandolo e baciandolo sulla guancia, sorprendendolo come sempre ogni volta che aveva uno slancio d’affetto ed ultimamente era sempre più frequente: la guardò qualche istante, poi uscì dalla stanza lasciando la porta appena accostata.

- Si è già addormentata di nuovo. Avrebbe dovuto fare una doccia per togliersi la salsedine, ma era decisamente troppo stanca.

- Già, dovrei farla anche io… Guarda in che stato sono! - Disse Kate mostrando il vestito umido e passandosi una mano tra i capelli secchi.

- Non stai poi così male. - Le disse abbozzando un sorriso mentre percorrevano il corridoio al piano superiore, fermandosi davanti alle scale.

- Sei un grande bugiardo, lo sai Castle?

- Non sto mentendo… Ti va di cenare con me?

- Veramente dovrei farmi una doccia e cambiarmi… - Kate strinse la balausta delle scale.

- Se proprio devi… Ti aspetto… - Rick poggiò una mano sopra la sua.

- Se proprio insisti… ok… - Sorrise imbarazzata sfilando la mano da sotto la sua e le sembrò che avesse allargato le dita per prolungare quel contatto.

L’aveva aspettata lì sulle scale, lì dove l’aveva lasciato. Si era messa a ridere quando le aveva detto che per una volta aveva fatto quello che aveva detto lei, l’aveva aspettata, facendo il bravo e non era tanto per cosa aveva detto, ma per come, con quell’espressione da bambino che vuole ricevere i complimenti per aver fatto il bravo e lei si ritrovò senza volerlo a fargli una carezza che scottò sulla sua mano come sulla guancia di Rick.

Castle preparò dei toast al formaggio che mangiarono sulla veranda che dava sul giardino, immersi nel canto di grilli e cicale, con due bottiglie di birra. Dal mare veniva una fresca brezza che saliva fino a lì rendendo quella serata estremamente piacevole e rilassante.

- Allora Beckett, ti piace qui? O sei sempre arrabbiata per la mia telefonata al capitano Montgomery?

- Mi piace e sono sempre arrabbiata.

- E cosa posso fare per non farti più essere arrabbiata?

- Un buon inizio potrebbe essere promettermi che prossimamente eviterai di intrometterti in queste faccende.

- Però se ti piace e stai bene, ho fatto una cosa giusta, intromettendomi, no?

- Sei impossibile Castle lo sai? - Kate bevve un sorso di birra mentre Rick la guardava compiaciuto. Punto suo, ancora una volta.

- Nonostante tutto sei bravo con Joy e sembra che gli piaci molto. - Gli disse Kate mentre era lui ora a bere.

- È il mio fascino Beckett, nessuna donna mi resiste.

- Meno male che siamo all’aperto o il tuo ego avrebbe invaso tutta la tua mega villa. - Rispose schernendolo.

- Comunque anche tu secondo me le piaci molto. 

- Lo pensi veramente? - Chiese speranzosa.

- Assolutamente sì. Mi chiede spesso di te. Sai, credo che abbia bisogno di una figura femminile… diversa…

- Diversa?

- Sì, ecco, diversa da mia madre o mia figlia. Per età dico… 

Kate annuì, senza dire nulla. Stavano entrando in un discorso pericoloso.

- Io non ho mai conosciuto mio padre. Non so chi sia. Mia madre non mi ha mai voluto dire nulla e quando ho imparato a vedere i suoi occhi rabbuiarsi quando glielo chiedevo ho smesso di farlo. - Rick si era alzato in piedi e si era appoggiato al parapetto in legno. Kate lo aveva raggiunto appena era rimasto in silenzio. Si era appoggiata vicino a lui guardandolo mentre lui scrutava lontano nella notte. - Ho sempre avuto un vuoto dentro. Un vuoto che non colma nulla. Mi sono chiesto tante volte “io chi sono?” perché una parte di me manca. Mi sono chiesto perché non ha voluto sapere nulla di me, perché non ha mai avuto la curiosità di conoscere suo figlio. Non so nemmeno se sa che esisto, magari sarebbe orgoglioso di me, tu che dici? 

- Se non sapesse di quando hai rubato il cavallo per andarci in giro nudo, probabilmente lo sarebbe Castle. - Cercò di sorridere Beckett.

- Io ho mia madre, una parte delle mie radici, qualcuno dove cercare una parte di me, ma Joy? Joy non ha nessuno. Ogni tanto ci penso, penso a lei e ai tanti bambini come lei. Abbandonati, non voluti. Gli potremo dare tutto l’amore del mondo, ma loro da grandi avranno sempre quel vuoto dentro, quel fermarsi a guardarsi alle spalle e cercare una storia che non c’è. Chissà se anche lei si farà le stesse domande mie: da dove vengo, chi sono, chi è mia madre, perché non mi hanno voluto?

- Magari volevano solo darle la possibilità di un futuro migliore, sperando che qualche famiglia si fosse occupata di lei. - Kate era pietrificata dalle parole di Rick. Provò a giustificare quella situazione, a giustificarsi. Rick sorrise e si voltò verso di lei.

- Sono io lo scrittore che cerca la bella storia dietro le cose, non rubarmi il mestiere, Beckett!

- Faccio quello che provi a far tu ogni giorno da mesi provando a rubare il mio.

Sorrisero entrambi e Kate sentì improvvisamente molto caldo, quando il dorso della mano di Rick sfiorò la sua guancia. Le loro labbra si unirono prima timidamente, sfiorandosi appena. Quando Rick non sentì alcuna resistenza da parte di lei, osò di più, intrappolando il suo labbro superiore tra le proprie, prima che il bacio si trasformasse in qualcosa di più profondo ed intenso, in un cercarsi e trovarsi continuo. La carezza sul viso di lei si trasformò in un tenere con bramosia il volto tra le mani e lei fece lo stesso, accarezzandogli collo e nuca, con gli occhi chiusi, per vivere ancora di più le emozioni di quel momento, tanto inaspettato quanto voluto. Kate si rese conto solo mentre lo stava baciando inspirando il suo profumo, lasciando che le sue labbra morbide torturassero le proprie, lasciandosi accarezzare dalle sue mani grandi, che era esattamente quello che voleva da quella mattina, almeno. E Rick aveva sognato quel momento, forse dal loro primo incontro. Sicuramente avrebbe voluto baciarla già da allora, perché quella donna così diversa da tutte le altre che aveva conosciuto l’aveva incuriosito, subito, e lui era abituato ad avere tutto quello che voleva. Lei però non si era fatta prendere e la voglia di averla era aumentata man mano che la conosceva e che scopriva alcuni lati del suo carattere e gli piacevano tutti: non era più, però, solo una questione di desiderio e curiosità, Kate Beckett gli piaceva, gli piaceva molto più di quanto volesse ammettere e quell’occasione con la complicità di Joy gli era sembrata perfetta per poter andare oltre quel loro rapporto di lavoro fin troppo conflittuale a volte.

Le loro bocche non si erano ancora separate, rinnovando quel bacio ogni volta che si allontanavano quel poco che bastava per respirare, quando furono costretti a ritornare di colpo nel mondo reale. Dalla finestra del piano superiore sentirono delle grida e poi il pianto di Joy. Corsero entrambi su per le scale, non curando alla porta finestra del retro che sbatteva rumorosamente, entrando in camera di lei e trovandola rannicchiata con le gambe al petto. Era nella stessa posizione in cui l’avevano trovata dentro l’armadio, Kate non l’avrebbe dimenticata mai. Si avvicinarono sedendosi ognuno da una parte del letto, accarezzandole la fronte bagnata dal sudore.

- JJ che succede? - Le chiese Castle.

- Lauren e Ethan… io… non ho detto tutto… ora mi ricordo… scusa… - Disse guardando Rick

- Va tutto bene JJ, stai tranquilla… - Le diede un bacio sulla fronte e le passò un bicchiere d’acqua che la bimba bevve voracemente. Castle guardò Beckett che sospirò e si avvicinò ancora di più a sua figlia.

- Joy, non ti preoccupare, non devi scusarti di nulla… Cosa c’è che ti fa paura?

- Io… io ero in camera di Lauren e Ethan. C’era Lauren che si era appena finita di vestire. Poi c’è stato tanto rumore Ethan ha cominciato ad urlare e a dire a quelle persone che non avrebbero trovato mai quello che volevano perché ce l’aveva sua figlia. Lauren mi ha detto di nascondermi e poi sono venuti lì, e poi… - Joy scoppiò di nuovo a piangere e Kate si avvicinò per abbracciarla, ancora prima che lo facesse Castle. La bambina si appoggiò sul suo petto e lei la cullò accarezzandole la nuca fino a quando non riuscì a calmarsi.

- Poi qualcuno ha urlato… sono scappati… ma io non ho niente Kate, veramente! Ethan non mi ha mai dato niente, è la verità! - Le disse con ancora le lacrime agli occhi che Kate asciugò con un fazzoletto di carta preso sul comodino.

- Ti credo Joy, non ti preoccupare… Va tutto bene.

- Non siete arrabbiati con me per non aver detto niente prima? Io… non lo so… era tutto confuso.

- JJ non siamo arrabbiati con te! - La rassicurò Rick.

- Nemmeno tu Kate? - Chiese ancora.

- No, nemmeno io, Joy. Capita a volte che ci sono delle cose brutte che vogliamo dimenticare e facciamo finta di non averle vissute. 

- Perché non provi a dormire di nuovo adesso? Che ne dici? - Le disse Rick facendola sdraiare.

- Rimani qui con me? - Disse Joy allo scrittore.

- Certo, rimango con te. - Joy si spostò verso Kate facendogli spazio e Rick si sdraiò al suo fianco; in quel momento Beckett si stava alzando dal letto ma sentì la mano di sua figlia sulla sua.

- Rimani anche tu? - Le chiese speranzosa guardandola mentre tirava su con il naso. Kate spostò lo sguardo su Rick che annuì, poi si chinò per dare un bacio a Joy sul naso.

- Rimango anche io.

Castle spense la luce e la stanza rimase illuminata fiocamente dalla luce delle scale che arrivava fino a lì. Nella penombra della stanza Kate fu sicura che non era un caso che le dita di Castle si intrecciarono con le proprie, proprio sopra la testa di Joy.

Rick aveva stretto le dita di Kate senza pensarci, in un gesto troppo istintivo e troppo intimo, troppo tutto per poterselo permettere in quel momento. Così lasciò la sua presa proprio quando sentì che anche lei stringeva le sue. La sua reazione invece che dargli coraggio ad osare di più lo spaventò.

Kate sentendolo sfuggire via pensò veramente che fosse stato un caso o un gesto fatto sovrappensiero, magari avendo nella mente qualcun altra. Lei però, nella sua di mente aveva solo il bacio che si erano dati poco prima, interrotto solo dalle urla spaventate di Joy: non ci fossero state non avrebbe saputo dire quanto sarebbe andato avanti o cosa sarebbe accaduto dopo. Forse nulla, più probabilmente tutto. Era stato meglio così, allora, pensò. Fermarsi prima di essere troppo oltre, fermasi prima di cadere nel precipizio, ma mentre nella penombra lo guardava, le sembrava di stare già precipitando.

Non riuscì a prendere sonno. Si mise su un fianco sul bordo del letto guardando Joy che dormiva sul petto di Castle, tenendo stretta tra le mani la sua maglietta. Erano così belli insieme. Osservò sua figlia dormire, cercando qualcosa di se stessa in quei gesti istintivi quando è solo l’inconscio a comandarci. Non trovò poi molto, ma non le importava, poterla contemplare mentre dormiva, quando non doveva nascondersi per indugiare di più sui suoi lineamenti le sembrava già un gran dono. Sembrava fosse tranquilla adesso, rifugiata tra le braccia protettive di Rick ed anche lui si era addormentato quasi subito e dormiva profondamente e se Joy quando dormiva sembrava sorridere, Castle invece aveva un adorabile broncio. Accarezzò mentalmente il profilo del suo viso e le sue labbra morbide che aveva assaporato a lungo e come avrebbe voluto farlo ancora. Sentiva nella stanza il suo profumo, dominante, su ogni altra cosa. Quel profumo leggermente speziato, con quel sentore principale di sandalo, quello che aveva potuto inspirare profondamente direttamente dalla sua pelle e che l’aveva inebriata. Si impose di non pensarci, anzi di ricordarsi che quello lì era quello scrittore irresponsabile, egoista, egocentrico e fastidioso che solo poche ore prima quella mattina si era finto mezzo morto per baciarla con l’inganno facendo preoccupare Joy. Non poteva cadere anche lei nella sua trappola, nella sua rete, essere una delle tante che erano già transitate per quella casa e che lui aveva brillantemente sedotto con qualche tecnica che ormai doveva aver già perfettamente collaudato. No, lei non era una di quelle, non sarebbe entrata a far parte della sua collezione di donne, magari aveva fatto qualche scommessa con qualcuno del suo giro, qualcuno tipo lui. Forse era solo perché gli mancava una detective tra le donne con cui era stato e lei era quella più alla portata. Si sgridò da sola per quello che stava pensando, perché ora lo stava pensando in modi decisamente poco consoni e lui decisamente poco vestito. Un lamento di Joy la riportò nei ranghi. Allungò un mano per accarezzarle la schiena ma anche lì, scivolò troppo in basso, finendo sul braccio di Castle e indugiandoci troppo a lungo per quello che si era ripromessa di fare: nemmeno sfiorarlo. Joy si mosse un po’, poi sembrò accomodarsi meglio tra le braccia di Rick e tornare a dormire serena. Lui non si era accorto di nulla, né dei movimenti della piccola, né del tocco di Kate, meravigliata del suo sonno pesante che intimamente ringraziò, sarebbe stato decisamente sconveniente se si fosse svegliato in quel momento l’avesse trovata ad accarezzare il suo braccio.

Si era addormentata anche lei, infine. Aveva continuato a guardarli e a seguire il flusso dei suoi pensieri fino a quando gli occhi erano troppo pesanti anche per lei, che si scivolò in un sonno senza sogni. Doveva essere sorto da poco il sole quando si svegliò di soprassalto. Non era abituata a dormire con qualcuno, la sua ultima convivenza risaliva a diversi anni prima, con Sorenson, ma era stata breve e le notti che avevano dormito insieme, tra i turni di uno o dell’altro erano molto poche. Quando sentì qualcuno che le toccava il fianco, quindi, trasalì ma come aprì gli occhi si rese conto che l’intruso altro non era che Joy che aveva lasciato Castle per girarsi dalla sua parte e si era avvicinata tanto da essersi appoggiata a lei per dormire. Non si aspettava di trovarsela lì e ne fu così felice ed emozionata che il suo cuore cominciò a battere all’impazzata. Allargò un braccio e subito Joy si avvicinò di più, appoggiando la testa sul suo petto, continuando a dormire così, come aveva fatto con Castle durante la notte. I suoi battiti erano così accelerati che ebbe paura di svegliarla, ma Joy sembrava non curarsi di nulla, sicuramente il sonno così pesante non lo aveva preso da lei. La strinse a se, racchiudendola in quell’abbraccio protettivo che le regalava con troppi anni di ritardo. Sentire il suo respiro leggero che accarezzava la sua pelle, ascoltare il ritmo del suo battito del cuore la rapì e la portò indietro nel tempo, in quei mesi di dubbi e domande, di paure e risposte mai ricevute, quando lasciava scappare i sogni per poi riacciuffarli quando erano troppo belli e tornare alla realtà. Si era chiesta molte volte come sarebbe stato essere madre mentre la sentiva crescere dentro di se. Si era chiesta cosa avrebbe provato nel vederla, nello stringerla, nel guardare i suoi occhi e sentire le sue dita stringere il proprio ed aggrapparsi a lei. Poi pensava che lei non avrebbe mai vissuto nulla di tutto questo e che non era giusto nemmeno sognare e pensare come sarebbe stato.

Con dieci anni di ritardo sua figlia dormiva inconsciamente tra le sue braccia, lì dove avrebbe dovuto essere dal primo giorno se lei fosse stata meno pavida. Fu grata al fatto che Castle e Joy avessero un sonno così pesante da non sentire il suo respiro spezzato da un pianto che non riuscì a controllare, mentre stringeva sua figlia sempre di più, e le chiedeva mentalmente scusa per ogni giorno che l’aveva lasciata sola.

Quel giorno non parlarono di quanto accaduto la sera prima, tra loro. Quando rimasero soli l’unico argomento trattato furono le parole di Joy e la preoccupazione di Castle che qualunque cosa quegli assassini cercassero avrebbero potuto cercarla ancora. Le ricordò anche la sua aggressione a casa degli Austin, certamente c’era qualcosa che volevano e fino a dove potevano spingersi era già chiaro a tutti. Kate provò a rassicurarlo, per quanto nemmeno lei fosse del tutto tranquilla, ma quello che gli aveva detto era la pura verità: non avrebbe permesso a nessuno di fare del male a Joy e Castle non sapeva quanto quelle parole fossero vere e sincere, perché non si trattava di un caso come un altro e di una bambina come un’altra. Chiunque avesse provato ancora a fare del male a Joy avrebbe conosciuto un lato della detective Beckett che nemmeno lei era sicura di conoscere, quella che non guarda in faccia niente e nessuno. 

Nemmeno Joy volle più parlare di quella storia. Si scusò solo il mattino per averli fatti preoccupare e per ringraziargli per esserle rimasta vicino.

- Lo farò sempre! - Le risposero entrambi all’unisono, guardandosi poi stupiti non solo per l’unità di intenti, ma per come glielo avevano detto. 

Passarono poi qualche giorno in totale relax e spensieratezza, tra tuffi in piscina e passeggiate al mare. Kate, nuotatrice molto più esperta di Rick, si avventurò anche con Joy a fare qualche bagno nell’Oceano e la bambina sembrò gradire molto di più della piscina, divertendosi tra le onde sempre sotto l’occhio vigile di Beckett che non la perdeva di vista un secondo. Erano andati più volte a mangiare fuori tutti insieme ed ogni volta venivano scambiati per una normale famiglia e la cosa lasciava in Castle e Beckett sempre un certo imbarazzo, mentre l’unica che sembrava sempre perfettamente a suo agio, anche in quelle situazioni, era Joy che rideva sempre quando li vedeva arrossire e provare a giustificarsi con scarso successo, tanto che dopo un paio di volte smisero di farlo.

Più di una volta, dopo che Joy era andata a dormire, Rick e Kate rimanevano nella veranda a parlare, di loro, ma sempre più spesso di Joy, confrontandosi su quanto fosse diventata più espansiva e meno timida rispetto ai primi tempi, come sorridesse di più.

- Sembra veramente felice Castle, ed è merito tuo. - Gli disse una sera Kate.

- Non solo mio… 

Non c’era più stato nulla tra di loro dopo quel bacio. Entrambi si guardavano bene di non avvicinarsi troppo. Ma quella sera quei due bicchieri di vino rosso appena bevuti che si erano sommati a quelli della cena, sembravano aver intaccato qualcosa nelle loro inermi difese. Così Castle le si avvicinò di più di quanto era logico e giusto fare, di quanto era normale per due amici che parlavano. Kate poteva quasi sentire il suo respiro sulla pelle e inconsciamente si morse il labbro inferiore: Rick vide in quel gesto involontario quasi una sfida e si piegò per darle un bacio sul collo che lei evitò mettendo insieme quel poco di razionalità e forza di volontà che le era rimasta.

- Io… credo che andrò in camera… stasera fa troppo caldo per stare qua fuori. - Si morse di nuovo il labbro appena finito di parlare. Quelle considerazioni sulla temperatura erano decisamente fuori luogo, anche perché il vento era fresco e di certo non era la temperatura a rendere caldo il clima in quel luogo. Castle, però, non si diede pervinto. Decise di azzardare, come quando giocava a poker con i suoi amici, di mettere tutte le fiches sul piatto ed fare all in. Non sapeva ancora se in mano aveva un buon punto o stava bluffando, lo avrebbe scoperto dopo aver calato la sua ultima carta.

- Non devi per forza rimanere così vestita… - Le sussurrò andando a scostare la spallina della sua maglietta  e depositando un bacio sulla clavicola. Le labbra di Rick indugiarono poi ancora su quel tratto di pelle, risalendo sul collo fino all’orecchio.

- Castle io… non posso… non possiamo…

- Dimmi che non vuoi Beckett. Dimmi che non vuoi e dimenticherò tutto. - La sua voce sibilava nel suo orecchio, le labbra sfioravano il lobo. Non avrebbe mai potuto dire che non voleva, perché ogni cellula del suo corpo voleva, voleva tutto, tremendamente. Non gli rispose, piegò solo la testa dalla parte opposta a lui, lasciandogli una porzione maggiore di pelle da baciare e un modo più facile per raggiungerla. Lo sentì mugolare mentre le lambiva la spalla, sentiva le sue mani sulla schiena bramare la sua pelle e nello stesso momento fu lei ad aggrapparsi alle sue spalle, stringendolo, avvicinandolo a se. Castle smise di dedicare attenzioni al suo collo e la guardò perdendosi nei suoi occhi. Cercava un consenso, non gli aveva detto no, ma nemmeno sì e lui lo voleva. Ne aveva bisogno. Kate sembrò capirlo perché annuì con la testa prima di essere lei, questa volta, a cercare le labbra di Rick, morderle, succhiarle, baciarle, farle sue. Ma non gli bastava più, a nessuno dei due. Faticarono a salire le scale cercandosi avidamente. Castle la stava portando nella sua stanza quando Beckett lo fermò: Joy dormiva proprio lì a fianco, così percorsero il corridoio dalla parte opposta entrando nella camera di Kate. Si chiusero rumorosamente la porta alle spalle e fu proprio su quella porta che Rick cominciò a spogliarla e a baciare centimetro dopo centimetro il suo corpo, assaporando la sa pelle morbida dal sentore di ciliegia. 

Dalla porta al letto era un sentiero di vestiti buttavi via dalla fretta e dall’urgenza di aversi. Quelli di lui e di lei si mischiavano indistintamente, come i loro corpi aggrovigliati. Fecero l’amore quella notte così come era il loro rapporto: rincorrendosi, stuzzicandosi, portando l’altro al limite dell’esasperazione, capendosi con uno sguardo in una sincronia perfetta e per entrambi fu qualcosa di estremamente nuovo e diverso da tutte le altre volte. Si addormentarono, infine, esausti e sudati, coperti di loro stessi, con i corpi incapaci di separarsi e le bocche che si cercavano come se l’unico modo per respirare fosse cercando ossigeno sulle labbra dell’altro.

Kate aveva capito perché quella notte Joy si era addormentata così tranquilla, stava sperimentando lo stesso senso di tranquillità e beatitudine appoggiata al petto di Rick. Il suo respiro ora di nuovo lento e profondo, dopo essere stato come il suo veloce e spezzato simbolo di una vigorosa passione rinnovata più volte, la cullava dolcemente. Non c’erano maglie a cui tenersi per lei, c’era solo la sua pelle calda a contatto con il suo viso, troppo vicina alle sue labbra per resistere alla tentazione di baciarlo ancora.

Quella notte si era concessa un lusso troppo grande: agire senza pensare alle conseguenze, cedere ai suoi sensi a quello che voleva, senza analizzare lucidamente la situazione. Si era lasciata condurre da Castle nel vortice di quelle emozioni dalle quali era impossibile riemergere nello stesso modo nel quale si era sprofondati, perché non poteva negarlo, non sarebbe più possibile essere, adesso, come prima. Potevano fare finta che un bacio non fosse nulla, ma non quello. Perché quella notte era stato impossibile contare quanti baci c’erano stati o se era solo uno, ripetuto all’infinito e poi c’erano stati loro, liberi da ogni condizionamento, da ogni ruolo da ogni parte che dovevano interpretare come da mesi continuavano a fare, mentendosi e volendoci credere.

Si era risvegliata tra le sue braccia che ancora la tenevano vicino a lui e faticava ad elaborare quel pensiero di lei lì, di loro lì che le sembrava tanto sbagliato e così dannatamente perfetto in quel momento. Si accorse di avere ancora una gamba tra le sue, di come i suoi seni poggiavano sul suo torace di come il suo viso si trovasse alla perfezione in quel punto tra la sua spalla ed il collo. Sarebbe scappata via se non fosse che non poteva muoversi. Provò a spostarsi, a cercare un lenzuolo per coprirsi, come se con la luce del sole che filtrava dalle tende lasciate aperte, perché la sera prima era già tanto se avevano trovato il letto, figuriamoci pensare al resto, avesse scoperto il suo pudore lasciato poche ore prima volutamente in disparte, finito in qualche punto così recondito del suo io che non lo aveva più percepito.

Ora però temeva il momento in cui lui si sarebbe svegliato. Magari l’avrebbe guardata sorridendo e gli avrebbe detto che era stata una bella nottata, le avrebbe fatto qualche battuta e le avrebbe detto che aveva ragione lui e che nessuna donna poteva resistere al suo fascino. Forse aveva ragione lui e le aveva voluto dare una prova, farle vedere e provare perché, approfittando di un momento in cui le sue difese si erano abbassate pericolosamente e lei aveva ceduto a lui, con ogni parte di se. O forse sarebbe stato meglio così, nessuna implicazione di altro tipo per lui e quella notte non avrebbe avuto nessun significato se non quello di una notte di sesso tra due adulti consenzienti che si erano divertiti. Molto. Sì, alla fine Kate pensò che sarebbe stato decisamente meglio e non si accorse che nel frattempo si era svegliato anche lui.

- Buongiorno Detective, già sveglia? Non sei stanca dopo la notte… movimentata? - Le chiese con la voce ancora impastata dal sonno, sussurrando a pochi centimetri dal suo viso.

- Io… ehm… no… no… - Non era stanca, era sveglia e le erano ben chiari i suoi propositi. Alzarsi da lì, rivestirsi e fare finta che non fosse accaduto nulla, come era per lui, aspettare che Joy si fosse svegliata, salutarla e poi tornare a New York mettendo più chilometri possibili tra lei e lui. Al resto ci avrebbe pensato dopo, tanto ormai procrastinare sembrava la cosa che le venisse meglio. Non aveva considerato, però che le idee di Castle erano completamente diverse dalle sue. Se lo ritrovò sopra di se, con un gesto agile che non pensava potesse appartenergli, ma erano molte le convinzioni su di lui che aveva dovuto rivedere in quei giorni.

- Bene, perché non sono stanco nemmeno io e sono sicuro che stanotte mi sono dimenticato di qualcosa… - La bacio inizialmente con dolcezza che poi piano piano diventò sempre più passione. Kate lo avrebbe voluto allontanare, dirgli di fermarsi, che era tutto sbagliato, ma rispondeva al suo bacio e con le braccia lo tirava verso il proprio corpo, fino a quando non sentì tutto lui su di lei, fino a quando non si unirono di nuovo con movimenti intensi e profondi, soffocando i gemiti nei baci in quell’amplesso silenzioso consumato guardandosi negli occhi tutto il tempo, trovando quello che di notte non avevano voluto vedere, usando il buio come complice per nascondere le loro paure. Più del sesso, più del piacere, ma non se lo potevano dire.

Rick si lasciò andare su di lei, ricadendo dolcemente sul suo corpo, cercando ancora il suo collo, per baciarlo lì dove a lei piaceva dove la sentiva fremere ad ogni passaggio della sua lingua sulla pelle accaldata e lui tremava con lei, del suo piacere che si trasferiva in lui, con quei brividi che raramente aveva provato con una donna prima di allora. La sensazione delle gambe di Kate che scivolavano sulle sue, arpionandole e accarezzandole era qualcosa che lo stava facendo impazzire, soprattutto perché aveva la consapevolezza che era un movimento del tutto involontario, lo seduceva e lo faceva eccitare senza nessuna tattica, senza nessun gioco. Forse aveva avuto ragione lei, fin dalla prima volta che si erano visti, non avrebbe avuto idea di come sarebbe stato stare con lei ed ora che ce l’aveva era qualcosa di così diverso da tutto quello provato fino a quel momento che si sentiva perso tra le sue braccia. Aveva provato a condurre lui tutto il gioco, a sedurla a conquistarla, a farla sua e tutto quello che aveva ottenuto era che lui stava diventando suo tra le braccia di lei, che da cacciatore era diventato preda senza accorgersene. Percorreva con le mani il suo corpo passandole sulle braccia e poi le spalle fino al collo e più su, sulla nuca, tra quei capelli corti che le incorniciavano appena il viso. Gli piaceva toccarla, lei che era stata per mesi inavvicinabile, ora poteva averla sotto le sue mani e stringere la sua pelle morbida ed il suo corpo perfetto mentre le dita di lei giocavano sui suoi glutei e sulla schiena ampia, solleticandolo. Poi smise di muoversi, di fare qualsiasi cosa. Rimase solo a respirare il suo profumo, a sentire il battito del suo cuore veloce che rimbombava nel proprio, a farsi accarezzare la spalla dal suo respiro. Fermo, immobile, per viverla, per pensare a cosa le avrebbe detto quando il mondo sarebbe tornato a girare, quando quella bolla fosse scoppiata. Era troppo chiederle di esserci sempre, per lui, per Joy, per provare ad essere quello che i più vedendoli erano già convinti che fossero? Era troppo chiederle di svegliarsi così ogni giorno? La sua mente andava troppo veloce, in pochi istanti aveva già costruito un futuro immaginario, dove sì, c’era anche quello, c’era svegliarsi ogni mattina così. Non aveva idea che Kate Beckett gli avrebbe fatto quell’effetto, non aveva idea che sentiva di non poterne fare a meno e non era uno dei suoi soliti capricci, non lo pensava con smania e bramosia. Era decisamente, assolutamente convinto e consapevole.

Il peso di Rick sul suo corpo era qualcosa che sentiva come una dolce costrizione. Aveva seguito le sue mani sul suo corpo accarezzarla con la dolcezza e la decisione di chi ne rivendica il possesso, ascoltato il suo respiro da veloce diventare sempre più calmo. Aveva reagito ai suoi tocchi in modo involontario arpionandolo, tenendolo stretto a sua volta, godendosi ogni istante di lui, fino a quando la ragione non riprese il sopravvento sui suoi sensi e allora le sembrò tutto crudele e sbagliato. Lui era inerme su di lei, abbandonato, senza difese e lei si sentì la più sporca delle traditrici, la più vigliacca. Fosse stato solo sesso, sarebbe stato splendido e più facile. Ma i suoi baci sulla pelle nuda erano più potenti di un orgasmo perché le entravano dentro e le facevano male ma non voleva che smettesse, così le mani erano finite tra i suoi capelli, per farlo rimanere lì, su di se senza avere il coraggio di andarsene, di allontanarlo, di fare l’unica cosa sensata e giusta. 

- Ciao… - Le disse quando dopo un tempo che poteva essere interminabile si alzò, poggiandosi sui gomiti, guardandola negli occhi e scavandole dentro.

- Ciao… - Rispose lei che non sapeva cosa dirgli mentre lui le spostava i corti ciuffi dal volto e poi le accarezzava con il pollice le labbra, rosse e gonfie dai tanti baci e mentre Kate si perdeva negli occhi blu di lui, non sapeva mai come avrebbe fatto a dirgli tutto quello aveva racchiuso dentro di se, come avrebbe fatto a farsi capire, a spiegare e non perdere tutto. Ma la sua bocca che era tornata ad imprigionare le sue labbra azzerò ancora i suoi pensieri, con quella capacità unica di farla andare in corto circuito e farle dimenticare tutto quello che era giusto. 

- Vado a preparare la colazione, credo che abbiamo bisogno di una doppia dose di energia. - Gli fece l’occhiolino mentre si sollevava da lei, lasciandola nuda, senza il suo corpo a proteggerla e Kate ebbe ancora un brivido quando lui si piegò ancora baciandole il ventre e poi un punto in mezzo ai seni che scoprì essere decisamente sensibile ai suoi baci umidi. - E poi è meglio che Joy quando di sveglia non ci trovi così, non pensi?

Scese sorridente da quel letto decisamente sfatto cercando i boxer ed la maglietta da infilarsi, mentre lei osservava le curve perfette dei suoi glutei sodi, delle spalle larghe e delle gambe possenti. Appena lui fu fuori dalla camera Kate si coprì il volto con le mani. Aveva complicato tutto. Aveva terribilmente complicato tutto. 

Si era fatta una doccia e poi si era rivestita velocemente. Era scesa a fare colazione ed aveva trovato già Joy seduta al tavolo della cucina con un piatto di pancakes davanti che mangiava avidamente. Le passò vicino accarezzandole i capelli e poi dandole un bacio.

- Buongiorno, tutto bene? - le chiese e lei annuì continuando a mangiare. - Hai già preso la tua calamita? 

Joy annuì ancora. Aveva trovato Rick quel nome per la pasticca che doveva prendere ogni giorno per eliminare il ferro in eccesso nel suo organismo a causa delle frequenti trasfusioni. Era una delle tante piccole cose che aveva scoperto di lei in quei giorni ed una delle tante piccole cose che Castle aveva escogitato per rendere il tutto meno traumatico, se non per Joy almeno per lui, meno pronto della bambina ad affrontare la malattia.

Castle porse un piatto anche a Beckett che si sedette vicino a sua figlia e quando i loro sguardi si incrociarono entrambi per un momento furono colti da imbarazzo, soprattutto quando le loro dita si sfiorarono sotto al piatto.

- Voi due siete sicuri di stare bene? - Chiese Joy curiosa mentre li osservava attenta senza che loro nemmeno se ne accorgessero.

- Certo, perché non dovremmo stare bene? Io sto benissimo! E sono sicuro che anche Beckett sta bene, vero detective? - Kate annuì ma Joy non sembrava soddisfatta.

- Non so. Siete strani. Troppo silenziosi e ancora non vi siete punzecchiati come sempre. - disse decisa. Kate sorrise perché quello spirito di osservazione sicuramente lo aveva preso da lei.

- È solo perché ho voluto dare un po' di riposo a Castle, altrimenti poi si demoralizzava troppo! - le fece l’occhiolino e poi le due si diedero il cinque, sotto lo sguardo perplesso dello scrittore.

Trascorsero come quasi ogni giorno il resto della mattinata in piscina, ma quel giorno Kate era veramente molto più silenziosa e meno sorridente e non era sfuggito né a Rick né a Joy.

- Beckett forse noi… dovremmo parlare… - Le disse Castle dopo pranzo, approfittando del fatto che Joy fosse andata in camera a riposarsi un po’, visto che nei giorni precedenti aveva cominciato ad accusare la fatica di una vita decisamente più attiva, ma non voleva rinunciare alle mattine in piscina con Rick e Kate.

- Non adesso Castle… - Disse lei salendo le scale ed andando in camera sua, lasciandolo perplesso in soggiorno con un bicchiere di soda in mano. Decise di raggiungerla e quando entrò nella sua stanza quello che vide lo fece rimanere senza parole. Kate in piedi stava finendo di mettere dentro la valigia i suoi vestiti. Quando si accorse di lui lasciò cadere la camicia sul letto.

- Ti ha chiamata il distretto, c’è qualche urgenza? - Chiese dispiaciuto.

- No…nessuna chiamata ma… è meglio così… è meglio che io ora vada. - Disse lei sospirando.

- Perché? - Le chiese ancora, avvicinandosi - Ho fatto qualcosa di male? Ti sei pentita?

Per tutta risposta Kate si avvicinò a lui, gli prese il volto tra le mani e lo baciò in quello che nella sua mente poteva essere un bacio di addio. Doveva andare via, prendersi qualche giorno di tempo, risistemare le idee e soprattutto le emozioni. Poi gli avrebbe detto tutto ed era consapevole che poi sarebbe cambiato tutto. Aveva voluto quel bacio, quindi. Un bacio diverso da tutti quelli che si erano dati quella notte.

- No… non hai fatto nulla di male e non mi sono pentita di niente. È stato tutto perfetto… troppo perfetto…

- Allora che c’è? Perché scappi? - Non aveva usato quella parola a caso, ed era esattamente quello che stava facendo. Stava scappando. Stava facendo la sua valigia e stava scappando via, proprio come aveva fatto dall’ospedale dieci anni prima lasciando lì sua figlia.

- Perché è complicato, Castle. 

- Cosa è complicato? A me è sembrato tutto così semplice. - Aveva appoggiato la sua fronte su quella di lei, per un momento, prima che lei lasciasse il suo volto che ancora teneva stretto e si allontanasse.

- È quello il problema, Castle. È stato tutto troppo semplice. E fuori da qui, nulla lo è. - Guardò il letto ancora sfatto, le lenzuola stropicciate i cuscini in disordine e si sentì già invasa da un senso di nostalgia per quello che era stato. - Non siamo solo io e te. Tu hai… hai anche Joy, adesso. È piccola, ne ha passate tante, ha bisogno di stabilità, non di una relazione tra di noi che non si sa cosa sarà.

- Perché pensi subito al peggio?

- Perché la vita non è un romanzo e nemmeno una favola. Il peggio esiste, lo vedo tutti i giorni. Non possiamo illuderla che tra di noi ci possa essere qualcosa, qualcosa di diverso. Già questa settimana è stata un errore. Perché… non so se posso darle quello di cui ha bisogno. Capisci cosa voglio dire Castle? Non è il momento adesso. Non così ed io non so se rimanendo qui posso riuscire a fare finta di nulla.

L’aveva raggiunta e le aveva messo le mani sulle spalle e poi le aveva fatte scivolare lungo le braccia. L’aveva abbracciata per un istante prima che lei si allontanasse di nuovo, finendo di mettere le sue cose nella valigia.

- Hai ragione Beckett. Devo pensare a Joy… Però… Per me è stato importante, stanotte. E… quello che hai appena detto, il tuo voler mettere Joy davanti a… al resto… beh… lo apprezzo molto.

Kate annuì mentre chiudeva la valigia, non riusciva a guardarlo. Poggiò il bagaglio a terra ed andò verso la porta.

- Mi saluti tu Joy? - Gli chiese dandogli le spalle.

- Le dirò che hai avuto un’emergenza. Capirà. - Rispose Castle.

- Kate! - La chiamò facendola girare, facendole fare quello che non voleva, guardarlo ancora. Non si rese nemmeno conto, ma si stavano baciando. - Vorrei non fosse complicato.

- Lo vorrei anche io, Rick.

- Dillo ancora.

- Cosa?

- Il mio nome. È più bello sulle tue labbra. - La fece sorridere e mentre lei lo stava pronunciando la baciò ancora.

- Ti chiamo quando torniamo a New York. Sempre che tu voglia vederci… - Le disse lasciandola andare.

- Certo. Vorrò sempre vedervi.

Sentì il rumore dei suoi tacchi sulle scale, la porta di casa chiudersi ed il rumore del motore allontanarsi. Castle capì e che sarebbe stato tutto meno bello, tutto diverso.

Aveva guidato fino a New York senza fermarsi, andando ben oltre i limiti consentiti. Aveva fretta di arrivare, pensò che forse sola a casa avrebbe pensato meglio a tutto quello che aveva vissuto in quei giorni. Aveva istaurato un rapporto molto stretto con Joy, aveva potuto prendersi cura di lei e tutto quello che era accaduto era molto di più di quanto avesse potuto sperare. L’aveva vista felice, serena e molto più espansiva di quanto era i prima giorni. Ripensò agli incubi che aveva avuto quella notte e si appuntò di indagare più a fondo su Ethan appena tornata al distretto, anzi prese il telefono e mandò un messaggio a Ryan. Voleva che trovasse tutto ma proprio tutto su quell’uomo, ricominciando a cercare da capo se fosse stato necessario.

Poi c’era Castle. Le sembrò di sentire ancora il suo profumo addosso. Non era un profumo normale, che avrebbe potuto comprare in profumeria: era il profumo della sua pelle, mischiato con quel eau de perfume ricercato e fuori dal comune che su di lui era perfetto ma che su nessun altro avrebbe avuto lo stesso effetto. Aveva fatto esattamente l’ultima cosa che avrebbe dovuto fare, aveva lasciato che lui entrasse dentro di lei, molto più in profondo di quanto potesse essere un semplice discorso fisico. Le sue mani l’avevano toccata nei punti più reconditi del suo essere e lei, rigida ed inflessibile, si sentiva argilla sotto le dita di lui.

Avrebbe voluto chiamare Lanie, parlarle, sfogarsi, raccontarle quello che era accaduto, ma poi preferì rimanere sola, non avrebbe sopportati i suoi sacrosanti “te l’avevo detto”. Non era più questione di decidere cosa avrebbe fatto, ma solo di quando e come. Ormai non era più rimandabile. Lo doveva prima di tutto a Joy, ma anche a Castle e a se stessa. Ripensava allo sguardo di Rick a tutte quelle parole dette e sussurrate e si sentiva terribilmente in colpa anche con lui per avergli mentito, per non essere stata sincera, per aver creato anche a lui delle illusioni che si sarebbero potute distruggere non appena avesse saputo la verità. Ma più di tutti c’era Joy. Non sapeva spiegare perché, non c’era una risposta razionalmente valida a come si fosse legata a lei che non è mai stata una persona troppo amante (e amata) dai bambini, forse perché li aveva sempre tenuti a distanza per non ricordare. Forse era vero che c’era un filo invisibile che le legava, che lo aveva percepito anche lei, ma quello che aveva vissuto in quei giorni con sua figlia l’aveva portata ad un punto che era perfettamente consapevole di non poter più fare un passo indietro e che continuare così non era possibile. Avrebbe corso il rischio di farsi odiare, da entrambi, lo sapeva. Aveva ragione Lanie che le diceva che doveva dire tutto subito, che dopo sarebbe stato peggio, per tutti. Era stata egoista, ancora una volta ma ora sapeva di dover essere pronta ad accettare le conseguenze delle scelte fatte non solo nelle ultime settimane, ma anche di dieci anni prima.

Mentre era sola sul letto di casa assediata da afa e pensieri il bip del cellulare le annunciò l’arrivo di un messaggio. Pensò fosse Ryan che le voleva dire qualcosa delle indagini invece non era così. Rimase a guardare la foto sullo schermo pensando che in fondo lì c’era solo tutto quello che voleva.

Joy lo trovò ancora in quella che era stata la camera di Kate, seduto sul letto. La bambina non ci mise molto a capire cosa era accaduto e questa volta lo scrittore non fu molto bravo a nascondere i suoi sentimenti.

- Si è arrabbiata con te? - Gli chiese Joy sedendosi vicino a lui.

- Eh?

- Kate, l’hai fatta arrabbiare? Per questo è andata via? - Spostò lo sguardo sul comodino vuoto, senza il libro che abitualmente leggeva la sera, e alla sedia in fondo alla stanza senza i suoi pareo appoggiati.

- No, l’hanno… chiamata… l’hanno chiamata dal distretto, un’emergenza. È dovuta andare via subito. Sai, Beckett è la più brava, quando ci sono i casi difficili chiamano sempre lei.

- Per questo è venuta lei per Ethan e Lauren?

- Sì… e poi perché io dovevo trovare te. Era destino! - Le rispose con un sorriso sincero abbracciandola.

- Rick… a te mancherà un po’ Kate?

- A me sì, e a te?

- Sì, anche a me. Pensi che dopo la posso chiamare per salutarla?

- Magari le mandiamo un messaggio, che dici? Forse oggi sarà molto occupata con le indagini, la chiamiamo domani, ok? 

Joy annuì e poi Rick la invitò ad alzarsi, avrebbero trovato molti modi per divertirsi, anche da soli, anche se senza Kate non sarebbe stata la stessa cosa, per nessuno dei due.

Kate continuava a guardare i volti sorridenti di Rick e Joy davanti ad un’enorme coppa di gelato al cioccolato ricoperta di panna. Aveva riconosciuto subito il posto dove erano, in quei giorni c’erano stati un paio di volte, era la gelateria preferita di Castle. Aveva scoperto che era decisamente goloso, come un bambino, anche di più, che amava il gelato al cioccolato, ma soprattutto la panna ed aveva riso tantissimo quando le aveva raccontato che se doveva scegliere chi fosse suo padre, avrebbe voluto che fosse l’inventore della panna spray. Amava il suo tocco di leggerezza con il quale riusciva a parlare delle cose che lo facevano più soffrire, di come riusciva a trasformarle, inventando una storia che giustificasse quello che era ed un padre inventore della panna spray avrebbe spiegato il perché la amava a tal punto da spruzzarsela direttamente in bocca, disgustando lei, ma facendo ridere tantissimo Joy che spifferò subito che lui e Alexis lo facevano spesso e si era lasciata coinvolgere a tal punto da assecondarlo e provare anche lei l’ebbrezza di mangiare così la panna e per poco non si strozzò. Ecco cosa le stava già mancando, quella quotidianità fatta di piccole cose, la sua capacità di rendere tutto leggero e il divertirsi come mai aveva fatto. Erano stati pochi giorni, eppure le sembrava che fosse il modo in cui sarebbe dovuta essere la sua vita, la loro vita. Provò a scacciare i ricordi e senza pensarci troppo rispose a quel messaggio, con una punta di preoccupazione. Non avrebbe fatto male quel gelato a Joy? Sapeva che non poteva mangiare troppi dolci e quella mattina aveva già fatto uno strappo alla regola con i pancakes alla nutella. Si rese conto un attimo dopo averlo mandato di quanto il suo messaggio fosse apprensivo e non ne aveva nemmeno alcun diritto, anche se era certa che a Castle non fosse passato inosservato come lei lo era stata più volte in quei giorni con Joy. Magari pensava che era solo un tratto del suo carattere che non conosceva e in realtà non lo conosceva anche lei, ma verso sua figlia aveva delle reazioni che andavano totalmente al di fuori di quello che era, pensava cose che non credeva avrebbe mai pensato e quando faceva qualcosa che andava fuori da quelli che erano gli schemi della normalità che lei, non sapeva quando, si era imposta, i suoi sensi si allarmavano diventando ipervigile. Castle rispose al suo messaggio con una risata e mandandole subito dopo un’altra foto dove erano sempre loro due, sempre nella gelateria, ma con due coni gelato decisamente normali. Sorrise nel vedere il viso di entrambi sporco di cioccolato intorno alle labbra e si morse il suo pensando di come lo avrebbe voluto pulire lei a Castle. Non doveva pensare certe cose, si rimproverò, la facevano solo stare peggio. Arrivò ancora un messaggio dove le spiegava che la megacoppa non era per loro, ma per una famiglia al tavolo vicino e lui aveva solo chiesto di poterci fare una foto. Fu lei questa volta a mandarle un messaggio con una faccina sorridente al quale lui rispose subito facendola tremare.

“Se tu fossi stata qui, l’avremmo potuta prendere anche noi”

Era una frase innocua, ma il solo fatto che lui aveva paragonato loro tre ad una famiglia, la fece rabbrividire. Era possibile che adesso era veramente questo quello che voleva? Era possibile in così poco tempo cambiare idea su tutto? Dove era finita la sua razionalità? Provò a rispondergli scherzosamente.

“Vuoi forse dire che io avrei mangiato tutto quel gelato in più?”

“Magari ci sarebbe servito qualcosa per riprendere un po’ le forze, se fossi rimasta qui.”

Ogni cosa che scriveva peggiorava la sua situazione e non sapeva come venirne fuori.

“Non ho bisogno del gelato per recuperare le forze, io… Non ho mica la tua età!”

“Mi stai dando del vecchio? Eppure non mi pare che ti fossi lamentata…”

Non ne sarebbe uscita viva con lui e si immaginava la sua faccia soddisfatta perché sapeva che la stava mettendo in imbarazzo. Si arrese. Aveva vinto lui.

“State bene?”

“Stavamo meglio fino a questa mattina. Joy ti voleva chiamare per salutarti, le ho detto che lo avremmo fatto domani, oggi eri impegnata. Tu come stai? Tutto bene il ritorno”

“Tutto bene. Anche io stavo meglio stamattina. Dai un bacio a Joy da parte mia. Buonanotte Castle.”

“Buonanotte Beckett. Vorrei anche io un bacio da parte tua”

Stava per rispondergli che lo avrebbe voluto anche lei, poi invece gli mandò solo una faccina sorridente ed aspettò che quella prima notte insonne passasse.

Non era la prima volta che andava lì. Negli ultimi giorni aveva fatto quel corridoio più volte ma non riusciva ad evitare di fasi prendere da un nodo alla gola che le rendeva difficile anche deglutire. Odiava vedere bambini che stavano male, odiava soprattutto pensare che sua figlia viveva quella situazione ogni tre settimane da praticamente tutta la vita. Per colpa sua.

- Buongiorno Katherine. - Il dottor David Thompson la salutò cordialmente. Si aspettava la sua visita quella mattina, sapeva che ormai era decisa. Avevano parlato molto in quei giorni, era stata lì spesso e lui l’aveva ricevuta anche fuori dal suo orario di lavoro, Thompson seguiva Joy praticamente da quando la sua malattia si era manifestata e quello era sicuramente il caso più strano che avesse mai visto. 

Beckett si era presentata inizialmente in modo formale, ricordandogli il suo ruolo ed il segreto professionale, poi i modi gentili ed affabili del dottore, evidentemente abituato a comunicare con i bambini e con persone ancora più impaurite di lei, l’avevano fatta mettere a proprio agio. Lei gli aveva raccontato la sua storia e lui le aveva spiegato pazientemente tutto su quella malattia a lei del tutto estranea, aveva fatto delle ricerche ma non era la stessa cosa. Aveva trovato nel dottore una persona alla quale poter confidare le sue paure ed i suoi sensi di colpa. Lui non la giudicava e non la commiserava, semplicemente le diceva che adesso poteva fare quello che non aveva fatto, Joy era ancora nell’età giusta per poter provare quella nuova operazione e la medicina aveva fatto molti passi avanti. Non doveva pensare a cosa non aveva fatto, ma a cosa poteva fare, da quel momento in poi.

Per quel motivo era lì quella mattina, nel suo studio, seduta davanti a lui con una cartellina piena di analisi fatte in quei giorni. La sua salute era ottima, non aveva un valore sballato, se non si contava quell’anomalia genetica, quella macchia che insieme alla stessa del padre di Joy aveva causato a sua figlia quell’effetto devastate. Portatrice sana lei, portatore sano lui ed il 25% di possibilità che il figlio fosse malato. Come Joy, appunto. Ancora una volta il dottor Thompson non le aveva detto di pensare a quello, ma al fatto che adesso lei poteva darle la speranza di guarire, le ricordava sempre di guardare al futuro, non al passato, ma per Kate non era facile.

- Buongiorno dottore. - Le rispose Beckett visibilmente nervosa.

- Joy e Castle saranno qui tra poco. È pronta?

- No. Ma lo devo fare.

Da quando erano tornati dagli Hamptons tre giorni prima non aveva avuto modo di vederli. C’era stato veramente in quell’occasione un caso complicato, più del previsto, che aveva richiesto tutte le loro attenzioni. Anche le ricerche supplementari sugli Austin erano state interrotte e non ne erano venuti a capo, nonostante ci stessero lavorando letteralmente giorno e notte. Però quella mattina aveva già avvisato il capitano che non ci sarebbe stata, doveva assolutamente andare in ospedale per degli esami urgenti e lo aveva già anche allertato che a seconda dei risultati, nei giorni seguenti avrebbe potuto aver bisogno di alcuni giorni di permesso per una situazione molto delicata. Non le aveva fatto domande perché la sua espressione ed il suo tono erano già state abbastanza serie. Si era solo assicurato che stesse bene e lo aveva rassicurato che era così.

Si era quindi accordata con Thompson per essere lì quella mattina. Joy avrebbe dovuto fare la sua trasfusione rituale e loro avrebbero in quell’occasione parlato con Castle. Gli avrebbe detto che Joy era sua figlia e che se lui era d’accordo, avrebbero potuto tentare quell’operazione sperimentale per provare a darle una vita normale. Poi, dopo, avrebbe parlato anche con lei. Non sapeva come, non si era preparata nulla, si sarebbe lasciata guidare dalle emozioni del momento.

Controllava l’orologio ogni pochi minuti e più si avvicinava il momento più era nervosa. Castle era anche in ritardo, tutto per aumentare la sua ansia. Quando squillò il cellulare lo prese come un modo per distrarsi qualche istante. Era il distretto, magari c’era qualche novità su quell’omicidio.

- Beckett c’è un emergenza, devi venire subito. - La voce del capitano Montgomery era tesa e preoccupata, ma lei proprio non poteva eseguire quell’ordine.

- Capitano, gliel’ho detto, questa mattina non posso, sono in ospedale per delle analisi.

- Lo so Beckett, ma non ti avrei chiamato se non fosse veramente urgente. Si tratta dell’omicidio degli Austin. Castle è qui al distretto. Joy è stata rapita.

Aveva farfugliato qualcosa al dottor Thompson e poi era corsa via senza rispondere alle sue domande. Aveva sceso a piedi i piani che la separavano dal parcheggio perché se si fosse fermata, anche un solo istante, ad aspettare l’ascensore, sarebbe crollata. Forse sarebbe arrivata anche a piedi al distretto, se avesse seguito gli impulsi del suo corpo, ma fece prevalere quel briciolo di ragione che aveva e si buttò nel traffico newyorkese con la sirena accesa. Era un’emergenza? Sì, lo era.

Si impose di non pensare, di non far correre la mente, di non pensare alle possibilità di non cadere nella trappola di pensare alla casistica. Ogni caso è diverso, si ripeteva, ma le prime ore erano cruciali. Doveva parlare con Castle, doveva parlarci lei, doveva sapere tutto. Tutto.

Vide il suo sguardo appena arrivata al distretto. Era seduto nel suo posto, vicino alla sua sedia. Era impaurito, addolorato, preoccupato, arrabbiato. Era tutto e le chiedeva aiuto. Lo vedeva da come la guardava e non l’aveva mai guardata così. Lui le stava chiedendo un appiglio, qualcuno su cui sorreggersi e lei stava già sprofondando, da sola, ma non lo poteva dire a nessuno, doveva essere forte, doveva essere distaccata.

Avrebbe voluto almeno abbracciarlo, provare ad essere rincuorata per un attimo nella sua stretta ma non poteva fare nemmeno quello ed era una lotta che si sommava ad un’altra e non sapeva cosa fare, non riusciva nemmeno a camminare.

- Detective Beckett, è venuta anche lei.

Kate si voltò verso l’uomo che aveva appena parlato e che non credeva di aver mai visto prima.

- Agente David Cox, FBI. - Rimase con la mano sospesa a mezz’aria senza che lei gliela stringesse.

- Cosa ci fa qui, agente Cox?

- Minore scomparso è un caso che ci appartiene. Sarei felice se volesse aggiornarmi sulle vostre indagini sulla precedente famiglia affidataria della bambina… Joy Johnson - Disse leggendo il nome in un foglietto del suo taccuino.

Kate cercò con lo sguardo Montgomery che era alle spalle dell’agente dell’FBI.

- Capitano, le posso parlare? - Disse ignorando la richiesta. Montgomery le fece cenno di seguirla nel suo ufficio dove lei entrò senza curarsi di chiudere la porta.

- È la mia indagine signore! - Tuonò Kate.

- Beckett lo sai come è la procedura. È una competenza loro, tu sei della omicidi.

- E questo rapimento è collegato all’omicidio degli Austin Capitano! Lo sa anche lei! Non può togliermi il caso!

- Non lo posso decidere io Beckett, lo sai… E poi… non abbiamo prove, al momento, che sia collegato con il caso degli Austin. Dobbiamo considerare tutte le ipotesi e Castle è un personaggio famoso… 

- Non può dire sul serio Signore! - Era allibita, arrabbiata, delusa. Da tutti, anche da Montgomery, quello che da sempre era il suo mentore. Uscì da lì cercando Castle: doveva parlare con lui, ma non era più lì e non c’era nemmeno Cox.

- Dov’è Castle? - Chiese ad Esposito e Ryan che gli indicarono la sala interrogatori. Lo guardò dal vetro, con le braccia incrociate sul petto mentre si mordeva nervosamente l’interno della guancia. Si teneva un pacco di ghiaccio dietro la nuca, probabilmente era stato colpito, non ci aveva fatto caso, non lo sapeva. 

Sentì le domande incalzanti di Cox e Castle ripetere sempre dettagliatamente la stessa versione. Erano usciti di casa alle 9:30 per andare in ospedale. Erano stati fermati da una pattuglia della polizia in una strada vicino all’ospedale, aveva abbassato il finestrino per chiedere cosa volessero e poi non ricordava più nulla. Si era svegliato nella sua in un parcheggio sotterraneo non molto lontano dall’ospedale, sul lato passeggero e con un gran mal di testa e Joy non c’era più. A quel punto aveva chiamato subito il distretto per chiedere aiuto, erano venuti a prenderlo e lo avevano portato lì. Lo osservava, guardare oltre lo specchio, come se sapesse che lei fosse lì, le sembrava che le chiedesse ancora aiuto e sarebbe voluta entrare lì e sottrarlo dalle grinfie di Cox.

Aspettò che uscisse da lì e poi gli andò incontro, permettendosi in quel momento un gesto molto più intimo di quanto avesse mai fatto, almeno in pubblico, accarezzandogli una guancia con il dorso della mano, voleva confortarlo, aveva bisogno del suo conforto.

- Metteremo i suoi numeri sotto controllo, signor Castle. - Disse Cox mentre andava via.

- Credo sia opportuno fare la stessa cosa con quelli di Aaron e Elijah Austin - Intervenne Kate

- Sarebbero? - Le chiese Cox

- Padre e fratello i Ethan Austin, una delle vittime, il padre affidatario di Joy. - Spiegò Beckett.

- Va bene, poi farò mettere sotto controllo anche il loro telefono.

- Non poi, agente Cox. Subito. - Lo bloccò Kate prima che andasse via.

- Detective, lei non credo possa darmi ordini, se ne rende conto?

Beckett ingoiò il rospo e si allontanò, chiamando Esposito, Ryan ed anche il capitano Montgomery. Gli raccontò quando accaduto negli Hamptons e quello che Joy aveva detto, riferendo le frasi di Ehtan prima di morire.

- Quindi cosa dovrebbe avere Joy che loro cercando? - Chiese Esposito.

- Non lo so. Ma Joy non aveva nulla quando l’abbiamo trovata ed anche quando siamo andati a prendere le sue cose a casa, non abbiamo trovato nulla di strano.

Castle li raggiunse e sentì le loro ultime parole, confermando di non aver trovato nulla di sospetto tra le cose della bambina e tutti gli credettero, perché aveva un ottimo spirito di osservazione e se ci fosse stato qualcosa di anomalo se ne sarebbe di sicuro accorto.

- Kate, tu sei stata aggredita dagli Austin. Due finti poliziotti, probabilmente gli stessi che hanno fermato me. - Notò Rick - Ma probabilmente nemmeno in quel caso hanno trovato quello che volevano, quindi deve essere qualcosa o molto ben nascosta o che non è più a casa degli Austin.

- Chiamo l’agente Wilkinson così potrai fare un identikit, magari confrontandolo con quello che ho fatto io dell’uomo che ho visto, possiamo saperne di più.

- Dobbiamo saperne di più di Ethan Austin. - Disse Montgomery dando indicazioni ai detective su cosa potevano fare, poi richiamò Kate - Non puoi indagare sulla scomparsa di Joy, ma puoi farlo sull’omicidio degli Austin. E se è vero che le cose sono collegate troveremo qualcosa.

- Sì signore… - Rispose Kate i cui nervi cominciavano a cedere, ma non poteva permetterselo. Si sedette per qualche minuto alla scrivania. Doveva cercare di ragionare, di essere lucida. Di capire. Doveva trovare il bandolo di quella matassa. Doveva trovare sua figlia.

- Ehy…- La mano di Castle si era poggiata sulla sua spalla facendola sobbalzare - Scusa, non volevo spaventarti.

- No, Castle è solo che… Dobbiamo trovarla… - Disse sconsolata.

- Sì, dobbiamo trovarla… Kate… io in questi giorni stavo pensando una cosa. Se le parole che ha detto Joy sono quelle esatte pronunciate da Ethan, siamo sicuri che quello che cercano lo abbia lei?

- Cosa vuoi dire? - Chiese non riuscendo a seguire il suo ragionamento.

- Te ne avrei voluto parlare, ma non c’è stato modo prima… Ecco… Ehtan ha detto che lo aveva sua figlia, non ha detto che lo aveva Joy.

- E a chi doveva riferirsi?

- Non lo so, ma Joy mi aveva detto che non l’avevano mai presentata a nessuno come loro figlia, ma sempre e solo come Joy. Perché proprio in quel momento lui ha detto così?

- Non lo so… - La sua intuizione poteva essere valida, ma era nulla… l’unico nulla che avevano però. - Pensi che Ethan Austin possa avere una figlia che non sia Joy?

- Potrebbe. Avrebbe senso. 

Rimasero entrambi in silenzio, poi Castle sembrò destarsi, era improvvisamente ansioso.

- Beckett io… dobbiamo chiamare il dottor Thompson… il medico di Joy. Oggi doveva fare la trasfusione, eravamo usciti per quello… Oddio… Joy non ha nemmeno le sue medicine, quelle per la terapia ferrochelante…

Kate avrebbe voluto dirgli di stare calmo, la realtà era che non riusciva a stare calma nemmeno lei.

Rick parlò in modo piuttosto concitato con il dottore che aveva voluto sapere esattamente le condizioni di Joy: come sempre prima di una trasfusione, quando i suoi livelli di emoglobina erano più bassi, era già da qualche giorno più stanca e si affaticava di più, ma nel complesso stava bene.

- Cosa ti ha detto? - Gli chiese Kate nervosamente appena finì di parlare con il dottore.

- Abbiamo qualche giorno di tempo, Joy non avrà grossi problemi, oltre a sentirsi sempre più debole e stanca ed anche per la terapia può sopportare qualche giorno senza… 

- Qualche giorno… Dio mio Castle… Io voglio ritrovare Joy subito, non tra qualche giorno! - Beckett sentiva che il suo crollo era sempre più vicino e si allontanò da tutti per andare in bagno. Glielo voleva dire, oggi avrebbe detto tutto, avrebbe buttato giù quel castello di menzogne nel quale aveva vissuto nelle ultime settimane, ed invece le sembrava di essere in un nuovo incubo.

- Che sta succedendo qui? Castle, come mai da solo? - Era arrivata Lanie, all’oscuro di tutto. Ci mise un attimo a cancellare il sorriso dal volto, vedendo quello dei tre uomini davanti a lei.

Le avevano detto di Joy ed era corsa a raggiungere Beckett in bagno. L’aveva trovata con le mani strette sulla ceramica del lavandino e lo sguardo basso. Sentì il suo respiro spezzato che non nascondeva i singhiozzi.

- Tesoro… 

Kate alzò lo sguardo e vide la sua amica che non potè fare a meno di vedere gli occhi arrossati e quel trucco ormai sfatto che le segnava il viso.

- Non so cosa fare Lanie… Non so proprio cosa fare…

- Kate, devi dire la verità. Ora più che mai, devi dire chi è Joy. Non resisterai.

Beckett si stava sciacquando il viso con l’acqua fresca. Si tamponò con un fazzoletto che poi buttò rabbiosamente nel cestino.

- Non posso Lanie. Non ora. Mi toglieranno il caso degli Austin, non potrò più seguire le indagini.

- Le seguiranno gli altri e ti aggiorneranno sempre.

- Non è la stessa cosa. Nessuno vuole ritrovare Joy più di me. Non posso permettere adesso ai miei sentimenti di interferire con le indagini. Devo ritrovare mia figlia. 

Stava per uscire quando la dottoressa la fermò tenendola per un braccio.

- I tuoi sentimenti ti stanno già condizionando, Kate. Te ne devi rendere conto.

- Non ti preoccupare. So quello che faccio.

Aveva riacquistato la sua autorevolezza, almeno di facciata. Era tornata dai ragazzi convinta di essere più lucida e concentrata o per lo meno sapeva cosa fare.

- Chiamate Aaron e Elijah Austin e ditegli di venire qui al distretto il prima possibile. Poi cercate l’investigatore privato Lewis Burns voglio parlare anche con lui, di nuovo.

Aaron e Elijah Austin arrivano accompagnati di Benjamin, il loro avvocato. Non fu come la prima volta un colloquio piacevole e come già successo non furono collaborativi, anzi si dimostrarono piuttosto infastiditi quando Kate gli disse che avrebbero fatto mettere i loro apparecchi sotto controllo.

- Se non avete nulla da nascondere, non dovrebbe darvi fastidio, si tratta della vita di una bambina! - Sbottò Castle che aveva assistito a tutta la conversazione in silenzio. 

- Per quel che ne sappiamo, e che ne sapete anche voi, detective, il rapimento della bambina non ha collegamenti con la tragica fine del congiunto dei miei assistiti - disse l’avvocato a Kate ignorando volutamente Castle.

- Per quel che ne sappiamo, però, non lo possiamo nemmeno escludere ed in questo momento non tralascerò nessuna traccia e se ai suoi clienti la cosa infastidisce, non è un mio problema. Anzi, vi consiglio di tenervi a disposizione, tutti, per ulteriori indagini.

- Vuole dirci che ci ritiene responsabili di qualcosa? - Intervenne Aaron Austin, il più anziano ed insofferente a quella situazione.

- No, signor Austin, voglio solo dire che scaverò nella vita di suo figlio Ethan senza tralasciare nulla e che è meglio che siate sempre a disposizione per ulteriori domande e chiarimenti.

- Sta forse minacciando mio padre, detective? - La fermò Elijah.

- No, vi sto avvisando, così che non possiate dire di non essere preparati.

I tre se ne andarono decisamente irritati, ma lo era anche Beckett, sia per il loro atteggiamento che per il fatto che Cox non aveva ancora autorizzato il controllo dei telefoni degli Austin e questa cosa la infastidiva molto.

- Il tuo amico Markway credi che potrà darci una mano? - Chiese poi a Castle.

- Certo, non ti preoccupare. Lo chiamo subito. - Rispose lo scrittore e mezz’ora dopo i tecnici della scientifica erano già nelle case di Aaron e Elijah, ma anche nello studio legale degli Austin e in quello dove lavorava Ethan. Non era molto, ma al momento non potevano fare di più.

- Ho chiamato mia madre e Alexis. Torneranno in città il prima possibile. - Disse Castle chiudendo la porta del loft. Non se la sentiva di rimanere solo ed aveva chiesto a Beckett di fargli compagnia. Lei aveva accettato subito, sorprendendolo, ma anche lei non voleva tornare a casa e rimanere sola.

Era la prima volta che si trovavano lì, soli, insieme e dopo quello che era accaduto negli Hamptons l’imbarazzo era tangibile. Nessuno dei due aveva fame si sedettero sul divano guardando il telefono al centro del tavolo.

- Pensi che chiameranno? - Chiese a Kate.

- No, penso di no. Non a te, almeno. - Ammise lei.

- Sono già quasi 12 ore e nessuna notizia. Cosa pensi Beckett?

- Ci sanno fare, sono organizzati, criminali di professione, ma non credo che siano molto esperti di rapimenti. Non l’avrebbero fatto in città, in pieno giorno. È troppo rischioso, gli è andata bene. - Cercò di essere il più professionale possibile

- Questo cosa vuol dire secondo te?

- Che non hanno una strategia precisa. Cercheranno di ottenere quello che vogliono, proveranno con Joy, se non la otterranno da lei, proveranno a negoziare per ottenerla. 

- È un bene?

- Fino a che non capiranno che lei è totalmente estranea a tutto questo sì. Il problema è che se scopriranno che agli Austin non interessa nulla della sorte di Joy, loro… - Non riuscì a continuare. Non voleva nemmeno pensare a quell’eventualità. 

- Beckett… grazie per quello che stai facendo per Joy e anche per me. Io… io mi fido più di te che di tutti gli agenti dell’FBI. 

- Non ho ancora fatto nulla, purtroppo Castle. Vorrei poter fare di più, vorrei fare in modo che questo incubo finisca subito. Per tutti. - Si alzò in piedi camminando nervosamente. Vide sul tavolo della cucina la bambola di Joy. La prese tra le mani respirando il suo profumo, aveva lo stesso profumo di sua figlia, dormiva con quella bambola tutte le notti. 

- L’ha dimenticata qui questa mattina. In macchina le ho detto che l’avrebbe ripresa presto. Non se ne è mai separata da quando gliel’hai regalata, l’ha amata subito. - Kate ascoltava le parole di Rick mentre cercava di ricacciare indietro le lacrime. - Ti sei affezionata subito anche tu a lei vero? Impossibile non farlo eh…

La detective annuì ancora, fece un respiro profondo ed appoggiò la bambola sul tavolo: la accarezzò, come se quella carezza potesse arrivare a sua figlia, ovunque fosse. Non ce la faceva più a tenersi tutto dentro, si voltò guardando Rick, gli avrebbe detto tutto.

- Impossibile non amarla, hai ragione. Joy è… è speciale…

- Già… mi chiedo come fino ad ora non l’abbia capito nessuno. Non è giusto Kate… non è giusto! Non ha già sofferto abbastanza Joy? Abbandonata da quando è nata, una vita d’inferno, rifiutata perché malata. Ora che stavo cercando di darle un po’ di serenità questo… Perché? - Rick aveva cominciato ad urlare e la guardava cercando delle risposte che lei non poteva darle o forse sì, ed aveva paura.

- Castle io… mi dispiace… ma…

- Non sei tu che devi dispiacerti. Non è colpa tua. Non sei tu che l’hai abbandonata… io ancora… ancora non capisco come si fa… Perché un genitore non vuole il proprio figlio? Perché la madre di Joy non l’ha voluta? Perché Meredith considera Alexis meno importante della sua carriera? Perché mio padre non ha mai voluto sapere chi sono? Cosa c’è di sbagliato in noi?

Kate abbracciò Rick e non riuscì a dirgli nulla. Non poteva dirgli nulla. Lo tenne stretto e lo sentiva tremare.

- La ritroveremo vero Beckett? Ritroveremo Joy e starà bene, non è così.

- Deve essere così, Castle. Farò tutto quello che posso perché sia così.

- Ti sembra impossibile, vero, che mi sia affezionato così tanto a quella ragazzina in così poco tempo? - Le chiese mentre lei gli accarezzava il volto.

- No, non è impossibile. Mi sono affezionata anche io a lei, tantissimo.

Lo prese per mano e si andarono di nuovo a sedere. 

- Quando tornerà a casa voglio cominciare le pratiche per l’adozione. Voglio che diventi a tutti gli effetti parte della mia famiglia. Voglio farle capire che non sarà più abbandonata, non da me.

Kate non sapeva se benedire o no il suo telefono che squillava. Quando vide che era il distretto ebbe quasi paura a rispondere, ma non più paura che rispondere a Rick. Si erano finalmente messi in contatto con Lewis Burns che era stato irreperibile per tutto il giorno, sarebbe arrivato al distretto nel giro di pochi minuti e lei li rassicurò che ci sarebbe stata.

Castle avrebbe voluto accompagnarla al distretto ma lei riuscì a farlo desistere, se mai avessero dovuto chiamare lì, doveva essere a casa. Nessuno dei due credeva a quell’eventualità ma Rick non protestò, fece solo un cenno con la testa di assenso. La seguì fino alla porta, facendosi promettere che l’avrebbe aggiornato, a qualunque ora, se ci fosse stata qualsiasi novità.

- Non ti preoccupare Castle, se ci saranno novità, sarai il primo a saperlo.

- Grazie Beckett. - Le teneva la mano e non avrebbe voluta lasciarla andare via, perché sentiva di aver bisogno della sua presenza. Kate lo salutò con un bacio sulla guancia che si spostò strusciando le labbra sul suo volto fino a cercare le sue. Non lo aveva previsto, però le loro bocche si incontrarono e nacque un bacio tenero e timido, poi uscì velocemente da quella casa chiudendosi la porta alle spalle e scendendo di corsa dalle scale. Non avrebbe dovuto farlo, non doveva baciarlo ancora. Quella giornata che era cominciata con la sua volontà di rivelargli tutta la verità stava finendo con un altro cumulo di bugie, suggellate da un bacio che però era troppo vero per quella situazione così falsa.

L’investigatore si mostrò ancora una volta molto disponibile. Beckett gli chiese se avesse scoperto qualcosa su un’ipotetica figlia di Ethan Austin ma dalla sua espressione sorpresa capì di no e non stava mentendo.

- Detective, lei esclude a priori la possibilità che questo rapimento possa essere collegato al passato di Joy, ai suoi genitori?

- Non abbiamo alcun elemento che ci porti a questo. - Rispose evasiva congedandolo.

Non tornò a casa rimase tutta la notte al distretto ma non riuscì a lavorare non riuscì a fare nulla, le immagini di Joy si susseguivano nella sua mente, da quando l’aveva vista la prima volta ed osservata mangiare le crepe al ristorante con Castle, quando la prima volta li scambiarono per una famiglia a quella colazione negli Hamptons. Si trovò a pensare, per l’ennesima volta in quelle settimane a tutte le cose che invece non aveva mai visto di lei, a tutti i momenti in cui non c’era stata, a tutte le volte in cui Joy avrebbe avuto bisogno di lei ed era sola. Quel rimorso l’avrebbe accompagnata sempre e non bastavano le giustificazioni che provava a darsi, ripercorrendo giorno dopo giorno quei mesi subito dopo la sua nascita. I dubbi che le erano venuti, il suo pensiero fisso prima di entrare in accademia.

Ricordò la sua corsa, quella mattina di fine agosto, nella struttura che aveva accolto Joy. Aveva due mesi di tempo, glielo avevano detto, due mesi in cui aveva pensato giorno e notte a lei, anche quando voleva dimenticarsene. Era con le spalle al muro, quella mattina. I due mesi sarebbero scaduti pochi giorni dopo e lei voleva sua figlia. Era pronta a rinunciare anche ad entrare in accademia, non le importava nulla. Si sarebbe inventata qualcosa, in qualche modo ce l’avrebbe fatta. Poi il destino aveva deciso per lei. Ancora una volta, come quella notte di gennaio. Joy era stata data in preaffido ad una famiglia da qualche giorno. Avrebbe potuto fare richiesta per riottenere la custodia, per togliere la sua bambina ad una famiglia, una famiglia normale, per tenerla lei senza che sapesse cosa avrebbe potuto offrirle. Se ne andò via lasciando che il destino decidesse per lei, senza sapere che quella famiglia sarebbe stata quella che l’avrebbe abbandonata appena scoperta la sua malattia. In quel momento Kate si sentì come se di fatto fosse stata lei ad abbandonarla due volte, come se avesse buttato via anche la sua seconda possibilità di tenerla. 

Ora voleva solo ritrovarla, saperla al sicuro, sana e salva. Poi le avrebbe detto tutto ed avrebbe accettato qualsiasi cosa, anche il suo odio.

- Spero che sia abbastanza buono.

Kate si ridestò sentendo la voce di Esposito. Le aveva appoggiato una tazza di caffè sulla scrivania ed una mano sulla spalla, prendendosi un gesto di confidenza che non sempre dimostrava di avere, amici sì lo erano, ma c’era sempre tra loro un po’ di distacco, specialmente sul contatto fisico, perché l’ispanico faticava ad ammetterlo, ma Beckett un po’ lo intimoriva, con i suoi modi sempre decisi, duri, fin troppo autoritari a volte, anche se aveva per lei un naturale senso di protezione, forse solo per il fatto che fosse donna e per lui, uomo latino, un essere da difendere. La considerava un po’ come una sorella, non di quelle con cui scambiarsi effusioni, ma di quelle che sanno dove trovare il proprio fratello se hanno bisogno.

Non era da lei addormentarsi in ufficio. Piuttosto stava lì sveglia tutta la notte a lavorare, ma non crollava mai così. Quella Beckett che Esposito aveva davanti, invece, sembrava consumata da qualcosa che non era la fatica del lavoro, qualcosa che la stava consumando dentro, lo vedeva dai suoi occhi e dal suo atteggiamento che aveva avuto tutto il giorno prima, quello di chi sta spingendo oltre le proprie possibilità. Lui, però era uno che si faceva i fatti suoi, quel caffè era il suo modo di dirle che era lì, se avesse avuto bisogno di dirgli qualcosa, ma non avrebbe chiesto nulla. Non a lei.

- Grazie Espo, ne avevo proprio bisogno. - Rispose Kate strofinandosi gli occhi e cercando di riprendere un comportamento più conveniente.

- Novità?

- No, nulla. Mi hanno chiamato ieri sera quando hanno rintracciato l’investigatore Burns. Ci ho parlato ma nemmeno lui sapeva niente. - Beckett bevve un sorso di caffè e sentì il liquido caldo scorrere nel suo corpo riportando un po’ di nuova linfa vitale.

- E Castle? Come sta?

- Preoccupato, impaurito… 

- Anche dagli Austin nessuna notizia?

- Nessuna. Non hanno ricevuto nessuna telefonata sospetta, almeno fino a… - guardò l’orologio - … a tre ore fa. Ma credo mi avrebbero avvisata.

Beckett aveva quindi ripreso tutti i fascicoli dei clienti di Ethan Austin, sperando che la risposta alle sue domande si trovasse lì dentro. Non si accorse delle ore che passavano, né dell’uomo che da qualche minuto era in piedi davanti a lei che la osservava.

- Castle! Da quanto sei lì? - Gli chiese appena si accorse di lui.

- Sono arrivato ora… quasi. C’è qualche notizia? - Si andò a sedere nella sua sedia.

- No, mi dispiace… Sto ricontrollando tutti i casi dell’ultimo anno, per adesso.

- Qualcuno ti ha insospettito? - Chiese Rick vedendo tre cartelline da parte.

- John Stanley, aveva una causa per un risarcimento sul posto di lavoro: persa. Stewart Hopkins ha perso metà della sua azienda nella causa fatta dal suo socio. - Spiegò lei mostrando le prime due.

- E questa? - Chiese Rick vedendo l’ultima.

- Maximilian Golovanov. Ha vinto grazie a Ethan Austin una causa milionaria per un plagio di un brevetto tessile.

- E allora, cosa c’è che ti insospettisce?

- Aveva altre due cause che gestiva lo studio di Ethan eppure poco tempo dopo gli ha revocato il mandato.

- Scommetto che ti sei già informata su questo Golovanov, vero?

- Per ora ho scoperto solo che ha un bel giro di affari tra Stati Uniti, Russia e India, dei conti a Panama e che è socio nello stesso circolo che frequentava Ethan.

- Lo stesso circolo dove da qualche settimana siamo soci anche io e il capitano Montgomery… Che ne dici se andiamo a fare un giro per pranzo… quindi… tra un’oretta circa? - Le propose Rick

- Vai tu Castle, io… preferisco stare qui, a cercare qualcos’altro, se viene fuori da questa roba - disse indicando le cause che ancora non aveva esaminato.

- Sei stata qui tutta la notte, vero? - Le chiese Castle con tono più dolce.

- Si nota molto? - Rispose facendo una smorfia Beckett.

- Hai gli stessi abiti di ieri e non sembri molto riposata.

- Mi riposerò quando avremo trovato Joy.

- Grazie per tutto quello che stai facendo. Di quelli dell’FBI non mi fido per niente, soprattutto se sono amici del tuo Sorenson.

- Non è il mio Sorenson, Castle! - Aveva percepito quella punta di gelosia nel pronunciare il nome del suo ex. Rick e Will non erano andati molto d’accordo in quell’unica indagine che avevano fatto insieme e poteva sicuramente dire che non avevano stima uno dell’altro. Ma nella voce di Castle, adesso c’era qualche sfumatura in più, diversa e non potè negare che le fece piacere. Appoggiò la mano sopra la sua e gliela strinse. - Con lui è una storia chiusa e non ho nessuna intenzione di riaprirla. Soprattutto non adesso.

Aveva avuto il bisogno di dirglielo, anche se in quel momento era del tutto inopportuno, ma si sentiva di dover chiarire, di fugare almeno quel dubbio. Sorenson non era più nulla per lei, quel bacio non aveva voluto dire niente. Lui aveva fatto la sua scelta, anni prima, aveva scelto il suo lavoro a loro. Magari ora avrebbe dovuto ringraziarlo, perché era veramente qualcosa di molto distante a quello che adesso sapeva di volere in un uomo.

—

Castle era andato da solo al circolo di golf. Montgomery lo stava per accompagnare quando era stato richiamato al distretto per una riunione improvvisa. Non si era mai fatto problemi a ficcare il naso nelle varie questioni, ad intrufolarsi in ogni luogo dove gli era permesso, ed anche no, a fare domande indiscrete, ma quella volta no. Aveva paura che potesse sbagliare qualcosa, che potesse tradirsi, che qualcuno sospettasse di lui, che facessero del male a Joy. Per la prima volta si rese conto come tutto quello che faceva da quando seguiva Beckett non era un gioco, non era un romanzo, da ogni loro azione  dipendevano le vite delle persone. Ed ora era solo, senza di lei, che per la prima volta gli aveva mostrato la sua fiducia o forse solamente non aveva alternativa, e lui si sentiva insicuro e le mancava lei, il suo appiglio saldo. Parcheggiò la macchina in uno dei parcheggi riservati ai soci, si controllò nello specchietto, aveva un aspetto pessimo ma non era la prima volta che gli capitava di dover apparire in pubblico dopo una brutta serata, anche se mai come quella, indossò il suo sorriso più smagliante ed entrò nella Club House, ammiccando subito alla ragazza alla reception, sarebbe stata la prima persona che si sarebbe lavorato.

—

- Cosa c’è Kevin? - Kate vide Ryan di fianco a lei con dei fogli in mano in attesa che distogliesse lo sguardo dalla lavagna dove aveva appena finito di appuntare le sue ultime considerazioni..

- I conti di Ethan, ho ricostruito una cosa che forse ti può interessare. Da un anno e mezzo, ogni mese, Ethan ha prelevato circa 2000 dollari. Solo le prime due volte in un un’unica soluzione ed è la cosa che mi ha insospettito. Poi gli altri mesi ha fatto sempre più prelievi fino ad arrivare più o meno sempre a quella cifra. Questo lo ha fatto fino a sei mesi fa. Ha poi interrotto per tre mesi e ripreso negli ultimi tre prima di essere ucciso. 

- Dobbiamo capire cosa è accaduto in quei tre mesi e a cosa servivano quei soldi. - Aggiunse anche questo appunto in un angolo insieme agli altri

Castle rientrò proprio in quel momento.

- Scoperto qualcosa? - Gli chiese mentre si avvicinava, mordicchiando il tappo del pennarello nervosamente.

- Qualcosa… Innanzi tutto che quella gente è decisamente restia a parlare. Poi che quell’ambiente non fa proprio per me. Ma soprattutto ho scoperto qualcosa su Golovanov. - Si affrettò a dire Rick prima che Kate lo fulminasse con lo sguardo.

- Cosa?

- Lui e Ethan erano molto amici, giocavano spesso insieme e frequentemente usavano una delle sale riunioni del circolo per degli incontri di affari.

- E questo come lo hai scoperto? - Chiese curioso Ryan.

- La ragazza alla reception. Ho i miei metodi per ottenere dalle donne quello che voglio. Infallibili! - Esclamò Castle ritrovando un po’ del suo buon umore, almeno fino a quando non vide l’espressione di Beckett e si affrettò a correggere il tiro di quella frase volutamente maliziosa. - Le ho promesso una copia in anteprima del mio nuovo romanzo, con dedica personalizzata. 

- Poi Castle?

- Come sai che c’è un poi, Beckett?

- C’è sempre un poi quando cominci così!

- Sì, infatti… Poi da qualche mese hanno cominciato ad ignorarsi del tutto, anzi più di una volta Golovanov quando vedeva arrivare Ethan se ne andava.

- E scommetto che questo periodo coincide con quando gli ha revocato il mandato per le altre cause.

- Da quello che mi ha detto sì. Circa quattro mesi fa.

Fu poi il suo turno di raccontargli quanto aveva appena scoperto Ryan e Castle ascoltò tutto attentamente, osservando i nuovi collegamenti fatti da Beckett sulla lavagna.

- 2000 dollari al mesi potrebbe essere un buon mantenimento. - Disse Castle.

- Che intendi dire? 

- Ricordi il discorso sulla figlia che potrebbe non essere Joy? Magari Ethan è in questo periodo che ha scoperto di avere una figlia ed ha cominciato a prelevare una somma per darla alla figlia o alla madre della figlia. 

- Perché però avrebbe interrotto per tre mesi? 

- Non so… magari in quei tre mesi è successo qualcosa a lavoro, o la moglie aveva scoperto qualcosa… - Ipotizzò Rick.

- Non credo la moglie abbia scoperto nulla. Quello era un conto personale di Ethan Austin, in una banca diversa da quella dove aveva l’altro conto e dove c’era anche quello di Lauren e quello cointestato.

- Avete controllato se a lavoro è accaduto qualcosa di strano in quei tre mesi? - Insistette Rick.

- Oltre al fatto che è il periodo in cui Golovanov gli ha tolto le altre cause nulla. Abbiamo già sentito tutti i suoi colleghi e nessuno ci ha parlato di anomalie negli ultimi tempi.

- È anche il periodo in cui ha vinto la causa milionaria di Golovanov, però. - Disse Castle controllando le date. - Ed hai sentito tutti i colleghi, ma non tutte le persone che lavoravano lì.

- Segretarie, stagisti, tecnici… - Riflettè Beckett

- Esatto! Di solito ne sanno più dei colleghi sui pettegolezzi degli uffici.

Si fecero mandare dallo studio legale un elenco di tutti i collaboratori che avevano avuto negli ultimi mesi e leggendo nomi e date ci furono due persone che attirarono la loro attenzione: Sarah Fleming una stagista e Julia Yurieva che si era occupata della sicurezza informatica dello studio. Entrambe avevano lavorato solo nei tre mesi in cui Ethan Austin aveva sospeso i prelievi.

Esposito e Ryan appuntarono ognuno un nome e si misero subito alla ricerca di maggiori informazioni e delle due donne. Castle e Beckett si guardarono per un attimo senza dirsi nulla. Avevano solo tanta speranza: Joy era stata rapita da quasi 30 ore e non avevano avuto notizie.

—

Non sapeva dov’era. Sapeva solo che era sola e quello non sarebbe stato in un’altra situazione un grosso problema. Lei era abituata a stare sola. Se ne stava rannicchiata in un angolo di quella stanza senza nessun colore, su un materasso buttato per terra.

Non sapeva quanto tempo era passato. Forse era tanto, forse no. Aveva perso il conto. Era stanca, anche se non aveva fatto nulla ed aveva dormito quasi sempre. Doveva essere giorno, però perché da quella pesante tenda le sembrava di vedere della luce dietro, quella che rischiarava un po’ quell’ambiente tetro. Ogni tanto sentiva dei passi che si avvicinavano ed allontanavano e delle voci ma era tutto ovattato e le girava la testa. Aveva fame e soprattutto sete. Provò ad alzarsi e si sentì le gambe e le braccia tanto pesanti. Barcollò appoggiandosi a quello che era un tavolo. Trovò una bottiglietta d’acqua ma non riuscì ad aprirla.

Tornò a sedersi nel suo angolino. Le veniva da piangere e si sforzava di non farlo. Perché era lì? Chi ce l’aveva portata? Ricordava solo Rick che si fermava e poi che si addormentava, quei poliziotti che lo avevano colpito, ridendo e poi spostato di peso. Ricordava le risate sguaiate di quello seduto vicino a lei che sembrava divertirsi molto. Poi le aveva detto che doveva fare la brava, se no lo avrebbero ucciso e lei aveva annuito. Erano in un parcheggio, poi non ricordava più nulla.

Voleva tornare a casa, voleva tornare da Rick, da Alexis, da Martha e da Kate. Era la prima volta che sentiva di avere veramente un posto da chiamare casa, qualcuno che l’aspettava, che le voleva bene. Non era giusto. Ecco cosa pensava. Non era giusto che la portassero via da tutto quello proprio adesso, ora che qualcuno si preoccupava per lei. Ora che tutto era bello. Rivoleva la sua bambola e dormire nella sua camera bianca e lilla. Si chiese se loro la stessero cercando. Era sicura di sì. Rick non l’avrebbe lasciata, glielo aveva promesso e glielo aveva promesso anche Kate. Lei poi era una poliziotta, avrebbe trovato quei poliziotti cattivi che l’avevano presa ed avevano fatto del male a Rick, lei era la più brava, lo diceva sempre lui. L’avrebbe aiutata.

Però, intanto era sola. Aspettò di sentire i passi che si riavvicinavano e poi provò a gridare.

- Per favore, aiutatemi! Ho sete!

I passi si interruppero poi sentì il rumore della chiave che girava nella toppa e la porta che si aprì, facendo entrare molta più luce. Ne spaventata e si schiacciò si più contro il muro. Entrò un uomo con il volto coperto e si avvicinò a lei.

- Per favore… - piagnucolò ora Joy, spaventata tendendo le braccia con l’acqua stretta in mano. L’uomo le strappò la bottiglietta dalle mani, l’aprì e gliela ridiede.

- Dov’è? - Le chiese con tono intimidatorio appena finì di bere.

- Cosa? - Chiese lei sempre più impaurita.

- Quello che ti ha dato Ethan Austin. Dove lo tieni?

- Io… io non ho niente. Non mi ha dato niente.

- Ragazzina, le bugie non si dicono! Lui ti ha dato qualcosa e non uscirai di qui fino a quando non ci avrai detto dov’è o a chi l’hai dato!

- Io non ho niente. Per favore, voglio andare a casa! Voglio andare da Rick! - Lo pregò tra le lacrime Joy.

- Tu dammi quello che voglio, altrimenti rimani qui. E se mi fai arrabbiare, vado a trovare di nuovo Rick e sarà peggio per lui! - La minacciò l’uomo e Joy non riuscì più a dire nulla. Poi la porta si richiuse e lei cominciò a piangere sul materasso. Sola, al buio e impaurita.

Era passato un altro giorno. Joy era stata rapita da più di 48 ore e ancora nessuno si era fatto vivo. Questa situazione stava stremando Castle che cominciava a dare grossi segni di insofferenza alla situazione, perdendo ora dopo ora il suo solito ottimismo entrando in una spirale di negatività: tutto quello di cui Beckett non aveva bisogno perché lei era ancora più angosciata di lui e non poteva nemmeno farlo vedere, non si poteva sfogare, doveva rimanere quasi impassibile mentre si stava logorando dentro. Era sua figlia, quella bambina che aveva appeno ritrovato ad essere scomparsa e se la immaginava sola e impaurita e non poteva fare nulla per lei, come nulla aveva fatto in tutti quegli anni ed il rimorso si mescolava al rimpianto, al senso di colpa al dolore e alla paura ed aveva paura di rimanerne schiacciata se non faceva qualcosa, in più era consapevole che tutto questo le toglieva la lucidità necessaria per osservare gli indizi al meglio con quella distanza che sapeva essere indispensabile. Invece ogni volta che Kate guardava la foto di Joy sulla lavagna i suoi pensieri si offuscavano ed andavano in posti del tutto diversi da quelli del caso. Andavano a lei e giurò a se stessa che quando l’avrebbe trovata, perché lei l’avrebbe trovata, non prendeva in considerazione nemmeno una soluzione diversa, le avrebbe detto tutto, avrebbero fatto quell’operazione sperimentale e poi sarebbe stata Joy a decidere quello che voleva fare, non le avrebbe chiesto nulla, non aveva alcun diritto di farlo.

 Beckett si era aggrappata alle rare battute di Castle, faceva affidamento sui suoi sorrisi per trovare uno spiraglio di luce che ora non c’era più, perché da quella mattina non aveva più sorriso. Sapeva anche lui che dopo 48 ore di silenzio le possibilità che fosse un rapimento veloce diminuivano a vista d’occhio e che quelli che tenevano Joy erano sicuramente ben attrezzati ed addestrati.

Cox e gli altri dell’FBI continuavano a fare le loro ricerche, vane, più di quelle dei ragazzi del dodicesimo e a lei sembrava che si muovessero tutti troppo lentamente. Rick passava gran parte del tempo al distretto e fu lì che l’agente lo raggiunse per parlargli e dirgli quello che già sapeva, ma sentirlo da altre persone gli faceva più male.

- Non hanno fatto nessuna richiesta di riscatto e sono passati due giorni. Questo vuol dire che potrebbero non farla più. Probabilmente non è un riscatto quello che vogliono.

Castle aveva annuito in silenzio mentre Beckett aveva ascoltato la loro conversazione a poca distanza. Lei quei discorsi invece non li voleva sentire. Odiava la rassegnazione di Cox, per lui quel caso era solo uno dei tanti dei quali si doveva occupare, uno dei tanti di sparizione di minori che ci sono nel paese. Un numero di protocollo nel fascicolo che teneva sottobraccio, nulla di più. Non era sua figlia.

- Ho ragione di pensare che i rapitori vogliono qualcosa che pensano abbia Joy. - Intervenne Kate condividendo con loro quell’informazione.

- Perché pensa questo Detective?

Così Kate gli disse dell’ultimo racconto di Joy di quella notte, ma Cox non sembrò prenderla troppo sul serio.

- Sono solo i racconti di una bambina spaventata fatti quanto? Più di un mese dopo i fatti. Non credo siano attendibili. - L’Agente sembrò quasi schernirla nella sua risposta e Beckett si stupì di non avere in Castle una spalla che la sostenesse quella volta.

- È l’unica cosa che abbiamo ed io non intendo tralasciarla.

- Lei non deve indagare su questo caso, detective Beckett. È di nostra competenza.

- Io infatti sto indagando sull’omicidio dei coniugi Austin. Se poi ci sono delle prove che si ricollegano alla sparizione di Joy Johnson è solo una casualità visto che lei non crede che siano elementi importanti. Cosa vuole fare, impedirmi di indagare su un caso di omicidio? - Lo sfidò

- Potrei farlo, Detective, e lei lo sa. - Le rispose tranquillo.

- Agente Cox, io non voglio fare una gara né con lei né con l’FBI. Io voglio solo sapere chi ha ucciso due persone ed adesso, soprattutto, trovare una bambina di 10 anni che è stata rapita e che è malata ed ha bisogno di cure urgenti. Se lei non lo capisce e lo trova come un affronto personale, non è un mio problema. Ma si faccia un esame di coscienza se ce ne ha una!

Se ne andò senza salutarlo, lasciando che Castle si congedasse da lui.

- Papà! - La voce di Alexis riecheggiò nel corridoio del dodicesimo e Castle nel vedere sua figlia riuscì finalmente a sorridere. La ragazzina gli corse incontro e lui la accolse nel suo abbraccio, stringendola e baciandola tra i capelli. Sembrò ricaricarsi con la sola sua presenza. Kate li guardava seduta alla sua scrivania: Rick e Alexis stretti in un abbraccio, si biasimò per provare in quel momento molta invidia. A Castle mancava Joy, era preoccupato per lei, le voleva bene, ma lui aveva Alexis, sua figlia. Lei no, perché sua figlia era Joy anche se non era mai stata sua madre.

Rick ci mise qualche minuto a raccontare ad Alexis dettagliatamente quanto accaduto e Kate nel frattempo non poteva fare a meno di guardarli ed ascoltarli. Per lei adesso era tutto diverso: guardava i gesti naturali con i quali Castle accarezzava sua figlia, l’espressione con la quale la guardava, il tono della voce. Non aveva mai fatto caso a come cambiasse con lei, istintivamente probabilmente nemmeno lui aveva mai fatto caso a questo e si chiedeva se anche lei cambiasse così con Joy. 

- Scusi, è lei il detective Beckett? - Una ragazza dai capelli castani che avrà avuto poco più di vent’anni era davanti a Beckett a distoglierla dall’immagine di Castle con Alexis.

- Sì, sono io lei è?

- Sarah Fleming, mi hanno detto di venire qui e chiedere di lei.

Era la stagista dello studio legale dove lavorava Ethan Austin, un ragazza piuttosto timida e un po’ impacciata, anche intimorita del trovarsi in quella situazione. Kate si chiese subito come potesse pensare di diventare avvocato. Tutti gli avvocati che aveva conosciuto nella sua vita erano, per motivi diversi, agli antipodi rispetto a lei. Anche suo padre, che vedendolo tutti i giorni poteva sembrare la persona più pacata del mondo, quando si trovava a dover svolgere il suo lavoro tirava fuori un lato di se duro e determinato che chi lo vedeva nella vita di tutti i giorni non avrebbe mai pensato. 

Alla fine della chiacchierata non era venuto fuori nulla di interessante e nemmeno dagli accertamenti su di lei che avevano fatto, una studentessa modello, figlia di una famiglia di avvocati e Kate pensò immediatamente che stava facendo quel percorso più per tradizione che per vera vocazione, ma nessun altra considerazione utile era venuta fuori dall’incontro con Sarah. L’altra ragazza, invece, Julia Yurieva ancora non erano riusciti a contattarla. Non avevano scoperto molto nemmeno di lei, aveva 25 anni, viveva a New York da sola. Sua madre era morta un paio d’anni prima nessun riscontro sul padre. Mentre leggeva quelle righe Beckett percepì la presenza di Castle alle sue spalle, sentì il suo profumo man mano che si avvicinava e quando si voltò il suo viso era a pochi centimetri dal suo, piegato dietro di lei a leggere lo stesso foglio.

- Non si sa chi sia il padre uhm? Mi suona familiare… - Disse Castle.

- Può essere qualcosa… Se la troviamo potrei provare a far finta di sapere di più di quel che so, magari si tradisce…

- Se è così, ci riuscirai, Beckett, ne sono sicuro.

Rick quella sera tornò a casa con Alexis. Solo Martha non era riuscita a raggiungerli ancora. Le aveva detto se voleva venire anche lei con loro, ma Kate declinò l’invito leggendo un velo di tristezza nei suoi occhi. Forse gli avrebbe fatto piacere la sua compagnia almeno quando l’avrebbe fatto a lei, ma non sarebbe riuscita a vederlo affettuoso e premuroso con Alexis. Si era scoperta gelosa di quel sentimento che poteva manifestare e lei no. Voleva essere libera per qualche ora, libera di stare male, di urlare, di incazzarsi e spaccare qualsiasi cosa a portata di mano, di piangere e sfogarsi. Non lo aveva ancora fatto. E quella notte, a casa, fece proprio tutto quello, più volte, in ordine sparso.

La mattina dopo non stava meglio, ma sentiva di aver recuperato almeno un po’ di energia e di cattiveria. Erano quasi 72 ore che non avevano notizie di Joy. Erano tante. Castle arrivò al distretto la mattina presto, le aveva portato anche il caffè, nonostante tutto non si era dimenticato di quel rituale che andava avanti da tempo ormai. Era rassicurante per Kate, era qualcosa che in quel momento la faceva stare bene, almeno un po’.

- Mi ha chiamato il dottor Thompson, voleva sapere di Joy… era un po’… preoccupato…  - le disse appena ebbe finito di sorseggiare il caffè. Kate poggiò il bicchiere sulla scrivania guardando Rick. - E Beckett… lo sono anche io, adesso. Molto.

Avrebbe voluto anche lei dirgli quanto lo fosse e qualcuno che la rassicurasse. Lui era in piedi, vicino a lei. Si era voltato a guardare la lavagna, non sapeva nemmeno lui cosa stesse cercando. Kate gli prese la mano e Rick si voltò a guardarla.

- La troveremo Rick. La troveremo in tempo. Hanno trovato Julia Yurieva, sono andati a prenderla tra poco la interrogherò.

- E se non c’entrasse nulla? Se non fosse chi pensiamo? Se Ethan si fosse inventato tutto solo per provare a salvarsi? - Era scoraggiato e non era da lui.

- Non lo so. Non ci voglio pensare adesso.

Kate era seduta al tavolo degli interrogatori. Quella seduta davanti a lei, Julia Yurieva, era una ragazza dai capelli biondi tanto da essere quasi bianchi e gli occhi azzurri. Indossava una maglietta a maniche corte e sulle braccia erano in bella mostra numerosi tatuaggi soprattutto simboli religiosi. Su un braccio spiccava un grosso crocefisso, mentre sull’altro una Madonna che culla Gesù bambino: erano le figure principali intorno alle quali c’erano numerosi altri disegni, simboli e scritte.

- Solo tre mesi e poi te ne sei andata dallo studio legale. Perché? Avevi un buon contratto, uno stipendio superiore alla media. - Le chiese Beckett iniziando molto calma il suo discorso.

- Mi annoiavo. - Rispose lei senza dare troppa attenzione.

- Buon per te che puoi permetterti di annoiarti e rinunciare ad un lavoro. Eppure non mi pare che navighi nell’oro… Tua madre faceva l’operaia non deve averti lasciato un granché… E tuo padre… Ah già, lui non c’è mai stato… - Le disse in tono di sfida facendo finta di leggere la sua scheda.

- Vedo che si è informata. Sono felice di essere così importante per lei. 

- Non sei tu ad essere importante. Non per me, come non lo sei stata per molti. Mi interessa solo quello che sai e che mi dirai. - Beckett stava passando alle maniere forti, usava termini e frasi che sapevano andare a toccare Julia nei punti che immaginava fossero scoperti e vedendo come scattò e come la guardò con odio ci riuscì, anche se la ragazza riuscì a tenere i nervi saldi.

- Non so niente, sta facendo un errore.

- Io credo proprio di no. In che rapporti eri con Ethan Austin?

- Nessuno, un avvocato dello studio.

- Ne sei sicura? Perché secondo me non è così… Secondo me il tuo rapporto con lui era diverso… più… intimo… 

- Di cosa mi vuole accusare, di aver avuto una relazione con l’avvocato Austin ed è per questo che me ne sono andata? - Julia rise di gusto a sentire quelle illazioni.

- No, non tu, magari l’aveva avuta tua madre, che è venuta negli Stati Uniti dalla Russia proprio un anno prima che tu nascessi. Magari aveva incontrato un giovane avvocato si era innamorata o forse aveva solo provato ad incastrarlo, sai molte donne lo hanno fatto, ma lui non c’è stato e l’ha lasciata sola, con una figlia da crescere. Che dici, questa storia ti piace? - La provocò ancora Kate.

- Bljad… - sussurrò stizzita Julia.

- Puttana eh… ce l’hai con me o con tua madre? Sai, le parolacce sono la prima cosa che ho imparato quando sono stata sei messi a Kiev, vedi tornano sempre utili…

Julia pronunciò tra i denti altri insulti in russo verso Beckett che si alzò sbattendo i pugni sul tavolo.

- Puoi continuare ad insultarmi quanto vuoi. Non uscirai da qui fino a quando non mi avrai detto la verità.

- Sono in arresto forse? Non ha nulla contro di me! - Le disse beffarda.

- Offesa a pubblico ufficiale. Se vuoi la formalizziamo subito.

- Fottiti Detective. - Urlò presa in contropiede.

- Allora? Mi vuoi dire la verità oppure no? Cosa ci facevi lì e qual è il tuo rapporto con Ethan Austin.

- Austin è un debole di merda. Sì ha messo incinta mia madre ma non l’ha abbandonata è lei che non gli ha mai detto nulla, se no quel pupazzo l’avrebbe ricoperta d’oro… che stupida!

- Cosa ti ha dato Ethan - Beckett non aveva più intenzione di giocare ora che Julia si era tradita.

- Nulla, cosa doveva darmi? Mi ha fatto trovare quel lavoro, ho lavorato lì per un po’, poi mi sono annoiata e me ne sono andata.

- I 2000 dollari al mese erano per te? 

- Sì, certo. Lui me ne avrebbe dati anche di più, ma a me andavano bene così. 

- Cosa ne sai del suo omicidio?

- Niente che ne devo sapere? Vuoi sapere se mi dispiace per lui? No, non mene frega niente, ma ora che l’hanno ammazzato non ho più né i soldi né niente. Bel guadagno eh! - Se ne fregava veramente di lui, ma a Kate questo ora non interessava. Lei era la figlia di Ethan e lei doveva avere qualcosa.

- Cosa ti ha dato Ethan? Rispondimi.

- Soldi e basta. Te l’ho detto sbirro.

- Prima di essere ucciso Ethan ha detto al suo assassino che quello che cercava non ce l’aveva lui ma sua figlia. Una ragazzina di 10 anni è stata rapita perché pensano sia lei. 

- Non è affar mio. La mocciosa malata non mi riguarda. - Julia stava diventando sempre più arrogante e Kate perse la pazienza. Andò dall’altra parte del tavolo, prese Julia per la maglia e la sbattè spalle al muro sulla parete. La ragazza non sembrò assolutamente impaurita da lei, la guardava negli occhi sfidandola con i suoi occhi quasi di ghiaccio, impassibile.

- Ora Julia ascoltami bene o tu mi dici che cosa ti ha dato Ethan o ti giuro che io renderò la tua vita un inferno sempre che uscirai da qui. 

- Mi stai minacciando adesso sbirro? Oddio che paura! - Julia le rise in faccia e Kate la lasciò andare spingendola via con forza da farla cadere a terra. Uscì dalla stanza sbattendo la porta ed ordinò a due agenti di arrestarla e portarla in cella per oltraggio. Avrebbe avuto un po’ di ore per formalizzare l’accusa ed intanto l’avrebbe tenuta a portata di mano. Doveva calmarsi, poi l’avrebbe interrogata di nuovo.

- Beckett… calmati… - Castle la fermò tenendola per un braccio mentre usciva.

- Calmarmi Castle? Lei sa cosa vogliono e probabilmente lo ha! Capisci? Lei sa quello che vogliono e probabilmente anche chi! E io la devo far parlare! - Gli urlò liberandosi dalla sua presa.

- Non così Beckett! Sarà tutto inutile se no, lo sai anche te.

- Devo solo avere quelle informazioni, il resto non mi importa. Lei ha la chiave per trovare Joy ed io devo trovare quella per farla crollare. - Rispose duramente, come se fosse lui la colpa di tutto quello. Tenersi dentro tutto diventava ogni momento più difficile, sfogava i suoi sentimenti repressi sulla persona che aveva meno colpe, ma non sapeva come fare.

Lo lasciò lì inebetito a guardarla, le sembrava sola contro il mondo e non capiva perché. Sapeva che in passato un altro caso di rapimento di un bambino che aveva seguito non si era risolto bene, ma non era stata colpa sua e poi pochi mesi prima avevano brillantemente risolto quello della piccola Angela.

- In quella stanza non è successo niente di strano, ok Castle? - Gli disse Esposito passandogli vicino insieme a Ryan che annuiva.

- Non è successo nulla. - Ripetè lui e si prese due pacche sul petto dall’ispanico. Non erano soliti andare contro le regole ed il protocollo e nemmeno passare per i poliziotti violenti, ma quella situazione era particolare e Beckett era evidentemente sovrastimolata. I due detective si rimisero a fare altre ricerche su Julia e su tutta la sua storia, cercando qualcosa che potesse essere utile a Beckett per andare un po’ più al sodo con lei, ogni informazioni poteva essere fondamentale, ogni indizio poteva essere quello giusto.

- Beckett guarda qua. - Ryan la chiamò non appena la vide apparire nella stanza. Era stata fuori qualche minuto aveva bisogno di calmarsi. Tutti la guardavano mentre si avvicinava al collega. Da tutti lì dentro era sempre stata considerata come una persona dal grande sangue freddo e vederla perdere le staffe così li aveva sorpresi. Certo, sapevano che tra lei e la bambina si era istaurato un buon rapporto, l’avevano vista più di una volta lì al distretto con Castle ed anche da sola con Beckett, ma nessuno sapeva quanto il loro rapporto fosse intimo e forte.

- Che c’è Ryan… - Kate in quel momento si sentiva svuotata, sfinita. Non sapeva come fare per far parlare Julia e non aveva alcun mezzo legale per farlo, perché di non legali le erano venuti in mente molti.

- La madre di Julia, Irina Yurieva, era la sorellastra di Maximilian Golovanov. - Le disse Ryan mostrandole i documenti sullo schermo - Padri diverse, stessa madre.

Quella rivelazione riaccese una fiamma in Beckett ed anche Castle, rimasto fino a quel momento in disparte, si avvicinò.

- Julia ha lavorato lì da poco prima che Golovanov vincesse la causa a poco dopo che ha tolto il mandato per gli altri casi… non può essere solo una coincidenza… Ryan voglio un controllo dei conti di Golovanov e di tutte le sue società, subito. Soprattutto del periodo in cui Julia ha lavorato allo studio.

Pochi minuti dopo Ryan aveva portato i fogli a Beckett che li stava controllando con Castle.

- Questo è il pagamento dei fondi bloccati per il risarcimento del brevetto. Sono più di 50 milioni di dollari. - Osservò Castle.

- Già… E dopo due giorni la stessa somma è stata trasferita in un conto cifrato offshore a Panama. Sai cosa vuol dire questo? 

- Certo e che quei soldi non sono più rintracciabili.

- Non solo. Vuol dire che a quei soldi può accedere chiunque conosca il codice, a prescindere se sia il titolare del conto o meno, perché nessuno conosce la sua identità. - Disse Beckett.

- Quindi? - Chiese ancora Castle.

- Che lavoro fa Julia? - In Beckett qualcosa si era acceso e vide che anche Castle era arrivato alla sua stessa conclusione.

- Sicurezza informatica. Julia si è introdotta nel sistema della banca ed ha modificato il codice di accesso di Golovanov che ora non può più entrare in possesso dei suoi soldi. Così lei si è vendicata dello zio milionario che non aveva mai aiutato sua madre. Julia scompare per un po’ e Golovanov pensa che magari tra lei e Austin c’è qualche altro tipo di rapporto non sapendo che è sua figlia. Così prova ad avere da lui i codici, ma lui non li ha, perché i codici ce li ha Julia, avrebbe fatto tutto per lei, per recuperare gli anni persi, come se i soldi potessero comprare il tempo che non le aveva dedicato… - Kate si sentì ancora una volta punta nel vivo da Rick senza saperlo.

- Così quando lui ha detto che non li avrebbero mai trovati perché li aveva la figlia, loro hanno pensato a Joy, credendo che magari quel codice lo abbia messo in qualche oggetto suo…

- Torna tutto Beckett!

- Portatemi in sala interrogatori Julia Yurieva - Disse lei a due agenti.

- Beckett, ma sei sicura? Non possiamo coprirti ancora… - Disse Esposito allarmato.

- Non ti preoccupare. Non dovrai coprirmi. Julia Yurieva parlerà.

Erano di nuova una davanti all’altra, Kate e Julia e nessuna delle due sembrava aver paura dell’altra, ma negli occhi di Beckett c’era qualcosa in più, c’era la determinazione nell’ottenere quello che voleva. Per sua figlia.

- Dammi il codice, Julia.

- Non so di cosa stai parlando Detective. - Da quando Kate era diventata più aggressiva, Julia aveva cominciato ad essere più sfrontata.

- Il codice del conto cifrato di Golovanov, quello che tu hai modificato con l’aiuto di tuo padre. Non è vero che non ti ha lasciato nulla, quei 50 milioni di euro rubati sono un bel lascito, no?

- Una bella storia, peccato non sia la mia.

- Lo capisci che c’è in gioco la vita di una bambina? Possibile che non ti interessa nulla?

- No. Non mi interessa nulla e non capisco perché te la prendi tanto a cuore. È una bambina, un’orfana come tante. Capisco che Lauren era interessata a lei per motivi di lavoro, ma è una delle tante, un danno collaterale.

Kate si trattenne a stento, ma voleva sapere cosa ne sapeva di più di Joy, era evidente che Ethan le avesse parlato di lei.

- Cosa sai di lei?

- Poco, quello che mi ha detto Ethan, piagnucolando. Per lui non era sua figlia, l’avevano adottata solo per far contenta Lauren, lei lavorava con i bambini ed era interessata a lei per la sua malattia, per studiarla e poter provare delle cure sperimentali.

- Dio mio è un bambina non una cavia! - Esclamò Kate ma Julia alzò le spalle.

- Quando ha saputo di me avevano già cominciato le pratiche per avere il suo affido, certo non poteva dire a sua moglie di me, visto che quando ha messo incinta mia madre erano già sposati. Alla fine però non le faceva mancare niente e stare in una bella casa era già un bel passo per chi stava in un orfanotrofio, no?

- Quindi Ethan non avrebbe mai detto che Joy era sua figlia, vero?

- No, ovvio che no! - Esclamò Julia sicura di se, caduta nella trappola di Kate.

- Quindi sei tu, sua figlia, quella che ha quello che i rapitori stanno cercando. 

- Anche se fosse così cosa potresti farmi detective? Non hai nulla contro di me. Solo le tue illazioni. Zero prove. - La ragazza sfrontata aveva ragione: Kate non aveva niente.

—

- John, la ragazzina non parla. - Sam era entrato nella stanza dove il suo compare stava sbucciando una mela e sembrava molto pensieroso.

- Già… quel bastardo di Ethan ci ha fottuto. Sua figlia non sa niente, una ragazzina così piccola se sa qualcosa parla. Doveva essere una cosa veloce. Maledetto!

- Il capo è decisamente arrabbiato. Mi ha chiamato Ivan ed ha detto che vuole quel codice altrimenti sarà peggio anche per noi.

John tra i due rapitori sembrava quello più riflessivo, al contrario di Sam che era decisamente più impulsivo. Mangiò uno spicchio di mela riflettendo su quello che avrebbero dovuto fare. Quel bastardo di Ivan aveva lasciato tutto nelle loro mani, tutto il lavoro sporco e per ora non avevano visto nemmeno un dollaro. Gli avevano promesso il 10% della cifra che avrebbero recuperato, 5milioni di dollari, da dividersi in due e per ora avevano solo gli sbirri addosso per un duplice omicidio, un’aggressione ad una poliziotta ed un rapimento. Dei soldi, però non c’era traccia. Eppure doveva essere un lavoro semplice da fare per quei russi. Piantò il coltello sul piano del tavolo e poi camminò fino al corridoio, si infilò il passamontagna ed entrò nella stanza dove era tenuta Joy.

La bambina non aveva detto nulla, per lo meno nulla che a loro interessava. Se ne stava sempre rannicchiata in un angolo su quel materasso che le avevano messo a terra, nemmeno protestava troppo, ed era quello che a lui preoccupava di più, ma comunque quella casa era ben isolata, in quel palazzo che sarebbe stato preso demolito c’erano solo loro.

- Allora, ti decidi a parlare? - Le disse John constatando che non aveva mangiato quasi nulla.

- Io non so niente. Voglio andare a casa, per favore!

- Non parli e nemmeno mangi, cos’è non ti piace la cucina? Beh, ti dovrai adattare fino a quando non ci dirai quello che vogliamo sapere. Dove hai messo il codice che ti ha dato Ethan?

- Non mi ha dato niente, lo giuro! Per favore… 

- Prega che di te interessi qualcosa a qualcuno, mocciosa.

John uscì da lì buttando nervosamente il passamontagna a terra. Poteva sentire ora i singhiozzi di Joy. Doveva cambiare strategia e farlo subito, prima che finissero anche loro nella morsa dei russi.

—

- Detective Beckett, hanno chiamato Aaron Austin. - Uno degli agenti che si occupava di tenere sotto controllo il telefono degli Austin aveva appena registrato la chiamata tra uno dei rapitori e il padre di Ethan. Erano passati tre giorni e mezzo dal rapimento di Joy e quello era il primo vero contatto che avevano.

Kate si precipitò nella stanza ed ascoltò la registrazione. Troppo breve per essere individuata la provenienza, ma nelle poche parole che i rapitori avevano detto c’era la conferma delle sue teorie. Una voce contraffatta chiedeva agli Austin di consegnargli il codice di Ethan altrimenti la bambina avrebbe fatto una brutta fine. Quello che spiazzò non solo Beckett e Castle, ma tutti gli altri che ascoltarono la conversazione, era l’assoluta freddezza di Aaron che diceva di non sapere nulla e di fregarsene delle sorti di quella bambina che per lui non era nulla, non faceva parte della sua famiglia.

Beckett non aveva aspettato un minuto di più, era uscita dal distretto, aveva ordinato a Esposito e Ryan di andare con lei e si era diretta senza indugiare a casa di Aaron Austin. Aveva saltato tutti i convenevoli ed aveva prelevato il vecchio capofamiglia e lo aveva portato al distretto. Ne erano seguiti momenti molto convulsi, con l’avvocato di famiglia che accusava Beckett di abuso di potere e lei che intimava di incriminarli per intralcio alle indagini. In tutto questo era arrivato anche Cox con i suoi uomini che saputo della richiesta dei rapitori e dei passi avanti fatti da Beckett ora era tutto intenzionato a collaborare con lei.

Ma Aaron Austin più che dalle minacce di Beckett sembrò preoccupato dalla rivelazione della presenza di quella nipote che ignorava. Non era una cosa che le interessava e nemmeno che le spettava, ma visto l’attaccamento al denaro che avevano sempre mostrato Aaron e suo figlio, Kate ci tenne a fargli sapere che ora con una figlia di Ethan, non avrebbero avuto nulla del patrimonio del figlio deceduto. La sua piccola vendetta.

- Se vogliono scambiare Joy con il codice è un buon segno, no? Vuol dire che sta bene. - Le disse Castle mentre Beckett lo stava accompagnando a casa. Era tardi, un’altra giornata era passata, più proficua delle precedenti, ma Joy ancora non era lì. Le aveva ripetuto quella domanda già tre o quattro volte dopo aver saputo della telefonata fatta agli Austin e sembrava aver ritrovato gran parte del suo ottimismo. Lei no. Perché il fatto di voler trattare non era sinonimo che Joy stava bene, sapeva come andavano quelle cose, ma evitò di dirlo a Rick, annuendo solamente. Aveva bisogno che lui fosse ottimista.

Alla fine si era lasciata convincere a fermarsi a mangiare qualcosa da lui.

- Da quanto non mangi qualcosa di sostanzioso Beckett? Non vorrai ammalarti, vero? - Glielo disse veramente preoccupato, mentre si era lasciato scappare una carezza di troppo, indugiando sul suo volto, segnato dalla fatica. Per fortuna erano soli nella sua macchina e lei si permise di mettere la propria mano sopra quella di lui, prolungando il contatto. Non avrebbe mai voluto ammettere che aveva bisogno di lui, tanto.

Alexis si sorprese di vederla lì, ma la sua visita le fece piacere, stimava Beckett ed apprezzava come riuscisse a tenere a freno gli slanci eccessivi di suo padre: lei sembrava una delle poche persone a cui lui dava retta, almeno un po’. Raccontarono alla figlia di Rick quello che era accaduto quel giorno, ma i loro racconti furono interrotti dal telefono di casa Castle che squillò: numero sconosciuto Rick guardò Kate interdetto e lei gli fece cenno di rispondere. Lo scrittore mise subito il vivavoce.

- Castle!

- Ascolta bene Castle. Abbiamo la bambina. Se ti interessa di rivederla viva trova il codice che hanno gli Austin oppure 50 milioni di dollari. Fai tu, a noi non importa. Ti diamo ventiquattro ore per decidere cosa fare. Ci faremo sentire noi.

- Ehy aspetta… Voglio sentire Joy! Voglio parlare con lei.

- Adesso no. La bambina è viva. Ti devi fidare di me. Ventiquattro Castle, decidi tu.

Kate e Alexis avevano ascoltato in silenzio. Entrambe preoccupate, ma la preoccupazione della detective era diversa, aveva delle basi che venivano dalla sua esperienza. Due chiamate nel giro di poche ore, a due numeri diversi che potevano immaginare essere controllati. Anche loro non sapevano cosa fare, evidentemente erano convinti che Joy avesse quello che volevano ed il suo silenzio aveva sconvolto i loro piani ed ora anche i rapitori brancolavano nel buio ma rintracciarli sarebbe stato impossibile, quella telefonata era durata solo pochi secondi.

- Loro non sembrano russi… - Disse Castle riflettendo sull’accento del rapitore che aveva chiamato.

- No, decisamente no. La voce era camuffata ma il suo accento sembrava del sud. 

- Ho dei risparmi da parte Beckett, ma non arrivo a quella cifra. Potrei provare a trattare…

- I tuoi beni saranno congelati appena Cox saprà di questa telefonata. Dimentichi che sei sotto il controllo dell’FBI… - Gli ricordò Kate.

- Devi farti dare quel codice da Julia, Beckett. Non c’è altra soluzione. Loro vogliono lei, non Joy.

- Non posso barattare un ostaggio per un altro, lo capisci vero Castle? - Non seppe perché disse così, forse perché quel pensiero le si era presentato forte nella mente. Per salvare sua figlia arrivava a pensare cose che non avrebbe mai creduto. 

- Lo so Beckett… Lo so… 

Alla fine Kate non mangiò nulla nemmeno quella sera. Rimase a lungo con Rick in silenzio su quel divano, guardandosi di tanto in tanto. Avevano bisogno entrambi uno dell’altro ed avevano paura a cercarsi, per tutto quello che voleva dire. Si addormentò lì sulla poltrona, era troppo provata per andare a casa.

- Te ne vai già? - Rick controllò l’orologio, erano da poco passate le sei e Kate era in piedi davanti a lui con la borsa in mano. Anche lui aveva dormito sul divano, per non lasciarla sola, senza starle troppo vicino perché sarebbe stato pericoloso, per entrambi.

- Mi ha mandato un messaggio Cox. Ha saputo della telefonata che ti hanno fatto. Vuole parlarmi e poi vuole parlare anche con te.

Castle si grattò la testa e poi si passò con veemenza le mani sul volto.

- Dammi 10 minuti e andiamo insieme ok? - Le propose.

- Non è necessario, puoi riposarti, venire dopo con calma.

- No, no… io… ti vorrei accompagnare. Dammi il tempo di cambiarmi.

Scomparve dietro la porta di quella che doveva essere la sua camera da letto, mentre lei si rimise seduta ad aspettarlo. Non aveva dormito un granché, si era svegliata più volte, in preda ad incubi che non voleva nemmeno ricordare e poi aveva deciso di non dormire più, era rimasta a guardare lui lottando con se stessa per non andarsi a mettere in quell’angolino di divano vuoto tra le sue braccia e le sue gambe. Gli mancava il suo abbraccio, gli mancava terribilmente.

Castle arrivò alle sue spalle e lei non se ne accorse fino a quando non appoggiò entrambe le mani sulle sue spalle. Beckett chiuse gli occhi per un istante e lui indugiò, stringendola e rilasciandola un paio di volte e solo quando la sentì respirare più profondamente le parlò.

- Io sono pronto, andiamo?

Cox e Beckett discussero a lungo su quello che era accaduto il giorno prima. L’uomo sembrò molto più disponibile di quello che la detective pensasse e lui dovette ammettere che lei era veramente capace nel suo lavoro, aveva avuto quell’intuizione con la figlia di Austin e si era rivelata vincente, forse era solo fortuna, ma lui non lo credeva. Le avrebbe permesso di collaborare la caso e di indagare, ma solo ad una condizione, niente colpi di testa e niente azioni in solitaria. Avrebbero condiviso tutte le strategie e lei si doveva attenere ai suoi ordini. Beckett accettò anche se non era molto convinta ed era certa che quella diffidenza che Cox aveva nei suoi confronti era frutto delle idee di Sorenson.

Aveva poi voluto interrogare di nuovo Julia Yurieva, non aveva molte speranze che le desse quel codice, ma voleva tentare, fino alla fine. Nemmeno la notte in cella aveva smosso la giovane che non sembrava per niente turbata.

- Abbiamo abbastanza prove per incastrarti, Julia. Sappiamo che tu e Ethan avete rubato il denaro di Golovanov. Ti farai un bel po’ di anni.

- Sono giovane, detective. Ci sono persone che vanno dieci o più anni a lavorare fuori per garantirsi una certa liquidità. Per me sarà la stessa cosa, in prigione, non dovrò nemmeno faticare. E quando uscirò avrò tutti quei soldi che mi aspettano. Direi che ne vale la pena.

- Sei l’erede di Ethan Austin, avrai la possibilità di vivere comunque una vita molto agiata anche senza quei milioni ed otterrai un sostanziale sconto di pena.

- Non mi interessa detective. - A Kate dava la sensazione che nemmeno la stesse ad ascoltare ed aveva una terribile voglia di toglierle quel sorriso impertinente dal volto.

- Hai pensato che gli uomini di Golovanov potrebbero farti fuori, in cella o quando esci? - Beckett provò a spaventarla ma con scarsi risultati.

- Rischio. A te non piace il rischio? Cos’è la vita senza un po’ di rischio?

Beckett si sporse sul tavolo, afferrando Julia per le manette e tirandola verso di lei, fino a quando i loro volti furono decisamente vicini.

- Ti piace il rischio Julia? Allora te lo faccio vivere io un bel rischio. Tu prega che io ritrovi Joy sana e salva. Altrimenti non sarà degli uomini di Golovanov che dovrai avere paura, ma di vedere me, ogni giorno della tua vita.

- Mi stai minacciando Detective? Sei ridotta così male?

- No. Ti sto solo informando di quello che accadrà.

La sera furono puntuali. Chiamarono ancora al loft alla stessa ora del giorno prima, ma questa volta a rispondere fu Kate. Aveva pensato a quella telefonata tutta la giornata, non ne aveva parlato con Cox, ma anche Castle fu d’accordo che fosse lei a parlare con i rapitori.

- E tu chi sei? - Disse la voce dall’altra parte del telefono sentendo la voce di Beckett.

- La persona con la quale parlerai da ora in poi. - Rispose Beckett sicura.

- E chi ti dice che io voglio parlare con te?

- Perché io ho quello che vuoi.

- Tu hai il codice? E come fai ad averlo tu?

- Perché me lo ha dato la persona che lo aveva. La figlia di Ethan, che non è quella che avete voi, ma la sua vera figlia.

- Perché dovrei crederti?

- Perché se vuoi il codice, devi farlo.

Beckett sentì un attimo di silenzio dall’altra parte. Guardava l’orologio sperando che quella conversazione durasse ancora qualche secondo tanto da poter essere intercettata, ma il rapitore troncò di netto la telefonata.

- Bene, allora fai in modo di rispondere di nuovo tu tra 12 ore. Ti faremo sapere.

La telefonata si interruppe e Kate buttò sul divano il telefono, stizzita.

- Maledizione, mancava poco! - Chiamò il distretto per parlare con i tecnici. Non erano riusciti a localizzare la telefonata, ma avevano ristretto il campo ad una zona specifica della città, che comprendeva le zone di Belmont e West Bronx. Ma era un’area troppo vasta ancora per poter fare delle ricerche e non sapevano nemmeno se era lì che tenevano Joy oppure no.

Castle si avvicinò con due tazze di caffè e si sedette vicino a lei. Kate guardò il suo volto speranzoso ed aveva paura: di non riuscirci, di deluderlo. Gli appoggiò una mano sulla gamba che lui subito coprì con la sua. Quelle ultime ore erano scandite dalle attese tra una telefonata e l’altra e sarebbero state così anche le prossime. Altre dodici ore. Un’altra notte. Beckett sentì la stanchezza dell’attesa, della paura, dei rimorsi e dei rimpianti, non solo di quei giorni che ormai le sembrano un tempo infinito, ma dei dieci anni precedenti. Nei suoi incubi c’era sempre il non aver più tempo per dire tutto, per spiegarsi, per far sapere la verità. Appoggiò la testa sulla spalla di Rick cercando in lui quel conforto di cui aveva bisogno.

- Sono sicura che andrà tutto bene. - Le disse  e non lo sapeva, ma era esattamente quello di cui aveva bisogno in quel momento.

- Ok, la nostra proposta è questa. Tu consegnaci la persona che sa il codice, noi ti diamo la bambina. - I rapitori avevano chiamato di nuovo la mattina seguente, dodici ore dopo, come avevano annunciato.

- Impossibile, la ragazza è stata arrestata non ho modo per consegnarvela. Dovrete accontentarvi del codice.

- No. Vogliamo la ragazza che sa il codice o non se ne fa niente.

- Non erano questi gli accordi iniziali. Tu hai chiesto il codice o i soldi. Io ti sto dando il codice, devi essere di parola. - Negoziò Beckett

- Non sei tu che fai le regole. Sono io e se non ti vanno bene, non c’è problema, la ragazzina resta qui, almeno fino a quando resiste, non se la passa un granchè. - Kate sentiva il nervosismo aumentare dall’altra parte.

- Dammi una prova che stia bene, che sia viva. - Le costò dire quelle parole, perché implicavano un pensiero che non voleva nemmeno formulare, ma era necessario.

- Ti richiamo.

Ancora una volta attaccò prima che passasse il tempo necessario per la localizzazione. Castle era seduto davanti a lei e la guardava. Beckett era tesa, concentrata, aveva indossato una maschera che la faceva sembrare impassibile quando dentro ribolliva ed era pronta ad esplodere.

Il telefono squillò di nuovo e rispose subito.

- Ti faccio parlare con la bambina.

Seguì qualche attimo di silenzio e poi quella che sentirono fu la voce di Joy.

- Rick… sei tu?

- Joy… sono Kate… Rick è qui con me. Come stai?

- Kate… io… sono tanto stanca… ti prego venitemi a prendere… io…

- Resisti Joy, stiamo facendo il possibile! - Intervenne Rick al viva voce con gli occhi lucidi, emozionato di sentirla e addolorato di percepire tutta la sua fatica nella voce.

- Rick!

- Ciao piccola… stringi i denti ok? Ti tiriamo fuori da lì? Ok?

- Ok… - La voce flebile di Joy fu spazzata via da quella di uno dei rapitori.

- Ascoltami bene, ora hai sentito che la bambina è viva. Domani mi porterai il codice, se poi va tutto bene, io ti dirò dove trovare la bambina.

- No! Chi mi garantisce che dopo la lascerai? - Ringhiò Beckett.

- Nessuno. Dovrai fidarti. O così o niente.

- Aspetta questa sera e ti dirò come e dove e quando. Niente scherzi eh, o lei muore.

La telefonata terminò e prima ancora che Kate riuscisse rimettere a posto le emozioni, fu il suo cellulare a squillare: era il distretto, avevano localizzato la chiamata. Non ci fu tempo di gioire che il telefono squillò ancora. Cox non era arrabbiato, era letteralmente infuriato. Kate aveva condotto una trattativa con dei rapitori senza essere autorizzata, senza dire nulla e senza concordare un piano d’azione con loro. La voleva vedere al distretto. Subito.

La sfuriata di persona fu più dura di quella al telefono. Beckett era fuori da ogni operazione e da quel momento in poi non avrebbe più interagito con i rapitori. Era un’ordine e se non lo avesse rispettato sarebbe stato peggio per lei e nessuna altra informazione sul caso sarebbe stata più condivisa con lei. Era fuori. Cox le rinfacciò che aveva approfittato della sua disponibilità, ma era l’ultima volta.

Poi Cox volle parlare di persona con Castle, da solo. Gli spiegò che da quel momento in poi doveva essere di nuovo lui a tenere i contatti con i rapitori e che doveva prendere tempo, per la consegna del codice, gli avrebbero detto loro come e quando, doveva dargli tempo per organizzarsi e per porre rimedio agli errori di Beckett, così gli aveva detto.

Kate aspettò Castle e poi se ne andò dal distretto fin troppo accondiscendente, ma quello che le interessava lo aveva in tasca. L’indirizzo di dove si trovavano i rapitori di Joy.

- Vuoi veramente che faccia quello che ha detto Cox? - Gli chiese Castle preoccupato e perplesso della sua calma mentre guidava verso casa di Rick

- Sì. Questa sera tu parlerai di nuovo con i rapitori. Inventati quello che vuoi, ma chiedi di parlare di nuovo con Joy. - Rispose Kate con lo sguardo fisso sulla strada

- Perché? Hai paura che le faranno del male?

- No. Non per ora. Ho bisogno di avere la certezza che Joy sia con loro.

- Che vuoi fare Beckett? - Chiese ancora più preoccupato.

- Andare a riprendere Joy. Ed ho bisogno che tu mi aiuti e sia dalla mia parte. - Kate parcheggiò davanti all’ingresso del loft e i due scesero in silenzio dalla macchina ed andarono a casa di Castle.

- Castle, so che non è una cosa che ti ho mai chiesto, ma…

- Farò quello che vuoi Beckett. Quale è il tuo piano?

- So dove sono i rapitori. Ti chiameranno più o meno alla solita ora. Io sarò lì, a breve distanza. Ho parlato con Espo e Ryan quando tu eri con Cox, verranno con me.

- Cosa vuoi fare?

- Quando tu avrai la certezza che Joy è lì, io andrò dentro a prenderla. Semplice.

- Beckett è troppo rischioso. Non sai quante gente c’è lì, è pericoloso! Forse è meglio avere più copertura, più uomini per fare una cosa del genere…

- Castle, hai sentito Joy? Sta male! Quanto può resistere ancora lì? - Si stava innervosendo. Perché lui non l’appoggiava, perché doveva essere ora serio e ragionevole quando non lo era mai stato?

- Lo so ma…

- Niente ma Castle! Ho bisogno che tu mi aiuti per questa cosa. L’agente Donovan è già d’accordo con Ryan. Se quando chiamano confermano quella posizione ci farà uno squillo per il via libera.

- Io… ok… ma… Beckett non devi fare nulla di avventato… - Kate sentì una vera preoccupazione nella sua voce e in qualsiasi altra occasione le avrebbe fatto piacere ma in quel momento no, in quel momento le passarono alla mente tutte altre immagini.

- Se ci fosse Alexis mi diresti di non fare nulla di avventato o vorresti semplicemente che la tirassi fuori da lì?

Rick abbassò lo sguardo, non capì il paragone di Kate, ma annuì.

- Ok, ma stai attenta.

Quel palazzo abbandonato sembrava il posto perfetto per tenere un ostaggio. Avrebbero demolito quello ed altri tre in quel quadrante per far posto ad un centro commerciale, ma i lavori non sarebbero cominciati prima di qualche mese, tra ricordi e controricorsi e nel frattempo erano stati solo sgombrati. Qualche abitazione in quei mesi era stata occupata da senzatetto o da qualche disperato. Tutta gente che però sapeva tenere la bocca chiusa e farsi gli affari propri.

Loro si erano appostati nella palazzina davanti, c’era solo un’appartamento dal quale proveniva una luce fioca, al terzo piano. Esposito controllava la presenza dentro l’appartamento con un binocolo a rilevazione termica. Due adulti che giravano per le stanze ed un un’altra persona. Potevano essere loro, anzi ne erano certi. Aveva già posizionato sul davanzale il suo fucile di precisione. Da lì aveva una visuale più che buona sulla prima stanza di quella casa ed in effetti dal mirino dell’arma vide i due uomini che si spostavano nervosamente. Chiese a Kate di controllare di persona: uno assomigliava molto a quello che aveva incontrato a casa degli Austin. A questo punto c’erano troppi indizi per essere casualità.

Avevano deciso il piano: Ryan sarebbe andato con Beckett dentro, mentre Esposito sarebbe rimasto lì a controllare da lontano pronto ad intervenire. Kate sapeva che tutto quello che stavano facendo non era autorizzato, che avrebbero corso dei guai, ma poteva solo ringraziare i suoi amici per averla assecondata e per rischiare con lei in prima persona. “Siamo una squadra” le avevano detto, ma quello che stavano facendo per lei significava molto di più.

Erano saliti cercando di fare il minor rumore possibile e si erano messi dall’altra parte del corridoio rispetto alla porta dell’appartamento dei rapitori. Kate poteva sentire il rumore del suo cuore battere così forte sotto il giubbotto antiproiettili che pensò potesse spaccarle la gabbia toracica. Ryan aveva ricevuto il segnale dall’agente Donovan e poco dopo Kate ne ricevette uno simile da Castle. Ora aspettavano solo l’ok da Esposito che fossero entrambi nella stanza principale poi sarebbero entrati in azione. La priorità era solo una: prendere Joy.

Arrivò anche la conferma da Javier e Kate fece segno a Kevin di seguirlo. Si posizionarono ai lati della porta. Beckett fece con le dita il conto alla rovescia, poi con un calcio ben assestato alla porta la divelse entrando con le armi spianate, lei davanti e Ryan dietro.

- Fermi NYPD! - Gridò Kate, ma non fece in tempo a finire la frase che uno dei due rapitori aveva già la pistola in mano e sparò due colpi. Beckett e Ryan risposero al fuoco andando a segno. Colpirono il primo dei rapitori, quello che per primo aveva aperto il fuoco, con due colpi all’addome e cadde a terra mortalmente ferito, mentre l’altro fu colpito ad una gamba e ad un braccio e Kevin lo immobilizzò mentre Kate corse all’interno cercando Joy. Aprì tutte le porte, fino ad arrivare davanti ad una chiusa con un passamontagna appoggiato su un chiodo all’esterno. Sparò un paio di colpi sulla serratura fino a farla saltare, quindi buttò giù la porta con una spallata e solo in quel momento si accorse di essere stata ferita, per la striscia di sangue che aveva lasciato sul legno chiaro.

Joy era a terra sul materasso. Kate la vide e la chiamò, ma la bambina aprì solo gli occhi per guardarla, senza dire nulla. Vide che provò ad alzarsi ma non ci riuscì e fu lei a precipitarsi da sua figlia e a prenderla in braccio. Corse fuori e chiamò con l’auricolare Esposito, la dovevano portare subito in ospedale. Lasciarono Ryan che nel frattempo aveva chiamato il distretto e una squadra ed un’ambulanza per prelevare il rapinatore ferito ed esaminare il posto, lei non aveva tempo da perdere.

Si sedette nel sedile posteriore tenendo Joy sdraiata sulle sue gambe, mentre Esposito con le sirene spiegate correva verso l’ospedale. Aveva già avvisato sia Castle che il dottor Thompson, li avrebbero aspettati lì. Dalle luci dei lampioni poteva vedere il suo volto troppo bianco, provava a chiamarla ma lei non apriva nemmeno più gli occhi, sembrava stremata. Kate non riuscì più a trattenere le lacrime e nello stringere ancora di più Joy a se le chiedeva scusa di tutto, di quello che non aveva fatto e di quello che invece aveva fatto troppo tardi. Sentiva il suo respiro affaticato e la sollevò appoggiandola al suo petto, sperando che potesse stare meglio, che potesse percepire quel calore e quell’affetto che per troppi anni le aveva negato. Sentì il dolore delle sue scelte trafiggerla il peso degli sbagli e quella bambina che era solo la vittima di tutti i suoi errori.

- Andrà tutto bene Joy, te lo prometto. Da ora in poi andrà tutto bene… sarà tutto diverso. - Le ripeteva incurante di Esposito che la sentiva e la guardava dallo specchietto retrovisore senza riuscire a capire. Ma non chiese nulla.

Kate corse dentro l’ospedale con Joy in braccio. Castle e il dottor Thompson erano già lì, pronti a riceverli.

- È ferita? - Chiese preoccupato il dottore vedendo il vestito di Joy sporco di sangue. Beckett la guardò: era ferita e non se ne era accorta?

- No, Beckett sei tu ad essere ferita! - Esclamò Castle vedendo il suo braccio e lei sembrò tirare un sospiro di sollievo.

- La portiamo subito su in reparto, dobbiamo controllare le sue condizioni.

Il dottore e due infermieri adagiarono Joy su una barella e la portarono via, mentre Rick e Kate li seguirono con un altro ascensore.

- Come stai? - Chiese Rick preoccupato.

- Bene, è solo un graffio. - Rispose abbassando lo sguardo.

- Grazie per quello che hai fatto per Joy e per me.

- Ho fatto solo quello che dovevo fare.

- No tu… hai fatto molto di più… Beckett io…

- Non dire nulla Castle, non adesso. - Le porte dell’ascensore si aprirono e la capo reparto gli indicò dove avevano portato Joy.

- La stanno visitando - disse la donna ai due. - Ci vorrà un po’ e lei è meglio che si vada a far controllare quel braccio, continua a sanguinare.

- Sto bene, non è niente - Protestò Kate

- Lo faccia dire a noi dopo averla visitata. Venga, l’accompagno.

La prese per il braccio sano e la condusse via. Non voleva lasciare Joy, che era solo di là da quella stanza e non voleva nemmeno lasciare solo Castle che era in quel corridoio freddo e solo. Si seguirono con lo sguardo fino a quando non svoltò l’angolo.

Nonostante le proteste di Beckett, quella medicazione necessitò più attenzione di quanto lei credesse. Rimase impassibile in silenzio mentre il medico le suturava quella ferita che non smetteva di sanguinare. Kate guardava dritta davanti a se, immobile, come se il suo corpo non fosse lì, come se non sentisse nulla. La sua mente era altrove, era a ripercorre il tempo che aveva buttato, pensando a tutto quello che era accaduto, a tutto quello che poteva essere e non era stato. Pensò ai casi della vita, al fatto che se quel giorno non fosse stata chiamata lei per quel duplice omicidio probabilmente non avrebbe mai conosciuto sua figlia e chissà come sarebbe finito quel rapimento. Pensò che avrebbe continuato ad immaginarla felice con quella famiglia che l’aveva presa con se quando non aveva nemmeno due mesi, convinta che stava vivendo quella vita spensierata e piena di tutte quelle cose che lei non avrebbe potuto darle. Capì che quel pensiero era una costruzione della sua mente per giustificare la sua scelta, che convincersi che stava bene ed era felice era il modo migliore per convivere con quello che aveva capito subito essere un errore e che aveva perpetrato, dicendo un altro “no” che aveva segnato il loro destino. Mentre sentiva gli aghi trafiggere la pelle e chiudere una ferita vecchia di dieci anni, pensò a come sarebbe stata la sua vita con lei, quali scelte avrebbe fatto, cosa sarebbe diventata. Come sarebbe stato crescere, insieme.

- Va tutto bene? Mi spiace se fa male… - Le disse il giovane medico vedendo le lacrime sul suo volto. Kate si girò e gli sorrise.

- Fa male, ma non è colpa sua.

- Abbiamo quasi finito. - Provò a rassicurarla. In effetti aveva ragione. Aveva quasi finito di mentire, di tenersi tutto dentro, di far finta di niente. Era ora di dire la verità, lo doveva a tutti, a se stessa, a Castle e soprattutto a Joy. Quel giorno, per la prima volta, aveva sentito di aver fatto qualcosa da madre, per lei.

Tornò da Castle con il cuore e le gambe pesanti, oltre ad una vistosa fasciatura sul braccio. Lo vide parlare molto agitato con il dottor Thompson e non si accorse di lei. Non aveva il coraggio di avvicinarsi e rimase a distanza a sentire i loro discorsi.

- È stata fortunata, non so quanto avrebbe resistito ancora. Era debilitata, con livelli di emoglobina bassissimi, in questi giorni ha mangiato e bevuto pochissimo.

- Dottore, io… ho molte disponibilità economiche. So di questa operazione sperimentale, quella che anche Lauren Austin voleva far fare a Joy…

- Sì… Joy potrebbe rientrare in quella sperimentazione. Sto seguendo personalmente qui a New York alcuni pazienti che sono entrati nel protocollo, un paio anche con situazioni più gravi di quelle sue e per ora stiamo avendo ottimi risultati.

- Potrebbe avere una vita normale così?

- Sì, non sarà un percorso breve e dobbiamo avere ancora riscontri sul lungo periodo, ma con i rischi di rigetto decisamente ridotti, le percentuali di riuscita sono molto alte e se tutto andrà a buon fine Joy potrebbe avere una vita assolutamente normale, perché la sua anomalia genetica sparirebbe.

- E non c’è un modo per trovare qualcuno di compatibile? Anche pagando, mi capisce?

- Joy è già nel database, ma non c’è nessun donatore nel paese che vada bene per lei. Mi dispiace, signor Castle.

- Non serve cercare nessuno, Castle. - Beckett si fece avanti e li interruppe. Il dottor Thompson le sorrise, sapeva cosa volevano dire le parole di Beckett, ma lui aveva il segreto professionale da mantenere e non aveva potuto dire nulla a Rick.

- Che vuoi dire Beckett?

- Joy ha bisogno di sua madre per fare il trapianto. Non c’è bisogno di cercarla. Sono io sua madre.

- Beckett cosa stai dicendo? - Le chiese con gli occhi sbarrati. Castle sentiva un ronzio nelle orecchie. Non capiva. Anzi non voleva capire.

- Joy è mia figlia, Castle.

- Beckett non giocare. - Kate gli si avvicinò per prendergli la mano, lo vide arretrare e scansarla rifiutandosi anche solo di toccarla.

- Non sto giocando Castle. È la verità. Sono sua madre.

- Dimmi che stai scherzando Beckett… - Castle scuoteva la testa ed indietreggiava. 

- Mi dispiace… 

- Che vuol dire ti dispiace? Che vuol dire? Tu… tu da quanto lo sai? 

- Da qualche giorno dopo che l’abbiamo trovata. Avevo chiesto un esame del DNA per vedere se trovavamo i genitori e c’era un soggetto compatibile. Ero io.

- Perché non me l’hai detto? Perché mi hai preso in giro tutto questo tempo? Perché fatto l’amica premurosa con lei e con me… con me… hai preso in giro anche me… - Le rispondeva nervoso ed irritato, la guardava con uno sguardo deluso ed incredulo.

- Mi dispiace Castle… io… non sapevo cosa fare e poi… era sempre più difficile… - Kate era mortificata. Rick aveva reagito molto peggio di quello che avesse potuto pensare. L’amarezza nei suoi occhi le faceva male.

- Difficile? Per te era difficile? Non hai pensato a Joy? A quello che stava vivendo? A… a me… io… mi sono legato a quella bambina… a tua figlia… a tua figlia… a te… - si lasciò andare su una delle sedie del corridoio. Il dottor Thompson si era allontanato e le infermiere che passavano li guardavano di sfuggita. Kate provo ad avvicinarsi a lui ma lui la respingeva anche solo con la postura. 

- Dimmi la verità Beckett, almeno ti sei divertita? Quando ti raccontavo di me, delle mie paure, di come mi sono sentito a non sapere chi fosse mio padre… a sentire i miei dubbi… è stato divertente? Hai riso di me?

- Ti prego Rick come puoi pensarlo?

- Come posso pensarlo? Io… io non so chi sei! Hai una figlia! E tu… l’hai abbandonata quando è nata! Come puoi aver fatto questo Beckett? Io… come faccio a sapere chi sei?

- È complicato Castle… - Tentava di giustificarsi, ma non aveva mai accettato quelle giustificazioni nemmeno lei stessa.

- Sì, è vero, hai ragione. È complicato. Immagino sia complicato sapere che tua figlia rischia la vita e fare finta di niente, sapere che sta male e non preoccuparsi, vederla ridere e scherzare, giocarci abbracciarla e non dirle nulla… deve essere complicato anzi impossibile per le persone normali. - Si era di nuovo alzato ed ora la sovrastava con la sua mole, parlandole così vicino con parole che erano un sibilo velenoso.

- Con quale coraggio Beckett hai abbandonato una bambina appena nata? Tua figlia! E poi hai fatto finta di niente per dieci anni! Non hai pensato a quante volte avrebbe avuto bisogno di te? Di sua madre! 

- Io non pensavo di potermene occupare… ero sola, ero spaventata… volevo solo avesse una vita migliore di quella che avrei mai potuto darle io.

- Hai sentito che vita ha avuto no? Un bel lavoro, non c’è che dire… Le avresti dato una vita peggiore di essere sbattuta da una famiglia all’altra? Da un rifiuto all’altro?

- Io…

- Forse sì… perché chi ti abbandona così, chi se ne frega di te, cosa ti può dare in più? Nulla. Niente. - Stava usando tutte le parole più meschine che gli venivano in mente. Voleva farle male e farla soffrire tanto come stava soffrendo lui. Si sentiva tradito, preso in giro, pensava di conoscerla e di lei, invece, non sapeva nulla. Lui ci aveva sperato, si era illuso, era andato oltre ed aveva visto qualcosa in più, pensava ci potesse essere qualcosa in più per loro. Invece erano tutte bugie, tutto con lei era basato solo su menzogne. Si stava innamorando di una persona ed ora quella persona non sapeva chi fosse. E faceva tanto male.

- Non giudicarmi Castle. Tu non sai nulla di me, di come sono andate le cose. - Kate fino a quel momento aveva subito passivamente le sue accuse ma ora non era più disposta. Lui non sapeva cosa aveva vissuto lei, non era quel mostro che lui stava dipingendo.

- È vero Beckett. Non so nulla di te. E quello che credevo di sapere era forse un’illusione. Ho voluto vedere in te qualcosa che non c’era.

- Cosa ne sai tu Castle cosa vuol dire rimanere incinta a diciannove anni? Quando passi giorni incredula, capendo che la tua vita cambierà, che non sei pronta, ma che nonostante tutto ci vuoi provare. E poi lo vuoi dire ai tuoi, e non sai come fare, perché loro sapevano dei tuoi sogni, dei tuoi progetti e tu pensi di averli delusi, perché sei stata superficiale, non sei stata abbastanza attenta, perché a diciannove anni non pensi che basta una volta perché succeda.

- Quindi è perché non avevi voluto deludere i tuoi? Per questo hai eliminato il problema, abbandonandola?

- Se avessi voluto eliminare il problema, avrei fatto altre scelte, subito. Invece io mia figlia la volevo ed ero pronta a rinunciare a tutto il resto per lei, Stanford, diventare avvocato o giudice… Era questo quello che volevo dire ai miei genitori, in quella cena. Ma mia madre non è mai venuta a quella cena… 

Kate vide lo stupore nel volto di Rick. Lui sapeva di quale cena stesse parlando, sapeva esattamente che giorno era e cosa aveva significato per lei. Ebbe un momento di cedimento, se la immaginò sola, incinta, con sua madre appena uccisa. Avrebbe voluto abbracciarla, avrebbe voluto abbracciare quella Kate di dieci anni prima, ma se guardava quella che aveva davanti, vedeva la donna che aveva amato e che gli aveva mentito e non riusciva a vedere altro. Vedeva la donna che aveva mentito a sua figlia, a quella bambina che ora era parte della sua famiglia e non la poteva perdonare. E la pena che provava veniva sovrastata dalla rabbia.

- Commovente, Beckett… - le disse sprezzante.

- Non ti devo commuovere, ti sto dicendo come sono andate le cose. Dopo non me la sono più sentita, da sola, di tenerla. Per decidere altro era tardi ed in ogni caso non ce l’avrei fatta. Non ho più nemmeno visto mio padre, per mesi, isolato nel suo dolore, mentre affogava nell’alcool. Tu non sai cosa vuol dire desiderare tanto qualcosa e sapere di non poterla tenere. È stato devastante.

- È stata una tua scelta. Nessuno ti ha obbligato.

- Lo so. E le conseguenze di quella scelta le pagherò per sempre, Castle.

- Il problema Beckett, è che non le pagherai solo te. Joy le ha pagate più di tutti e le continua a pagare. Perché non hai detto subito che eri sua madre? Perché non mi hai raccontato tutto subito? - La incalzò ancora.

- Perché avevo paura Castle! Avevo paura!

- Di cosa? Di una bambina? Se tu avessi detto tutto non staremmo qui ora, lei non starebbe così. Sai cosa mi ha detto Thompson? Che l’abbiamo ripresa per un pelo. Sai cosa vuol dire questo Kate? Che poteva morire. Joy poteva morire, tua figlia poteva morire. E sai questo perché? Perché tu non hai detto niente. Perché potevamo cominciare quasi due mesi fa il protocollo per il suo trapianto e magari adesso già avrebbero detto che era andato tutto bene. Poteva morire perché era finita nell’ennesima famiglia che se ne fregava di lei perché tu l’hai abbandonata.

- Non riuscirai a farmi sentire più in colpa di quanto mi sento già da sola. - Gli rispose decisa.

- Non voglio farti sentire in colpa, ho anche dei dubbi sul fatto che tu ti ci possa sentire. - Gli scappò un sorriso tirato. Era nervoso, era arrabbiato, voleva farle male almeno quando sentiva che lei lo aveva fatto a lui.

Kate non rispose, non aveva senso continuare. Girò le spalle e se ne andò verso la camera di Joy.

- Dove pensi di andare adesso Beckett! - La fermò Castle girandola con forza prendendola senza nemmeno farci caso dal braccio ferito. Si accorse solo dalla sua smorfia e la lasciò aprendo la mano come se stesse toccando un tizzone ardente.

- Da mia figlia, Castle. E non provare a fermarmi.

Si guardarono occhi negli occhi, nel modo in cui non molto tempo prima avevano scoperto un mondo diverso e sentimenti che non pensavano di poter provare. Ora era diverso, con lo sguardo non andavano più a toccarsi l’anima, ma erano uno schermo a loro stessi dove si scontravano e si combattevano. Il dottor Thompson arrivò a mettere fine a quel duello silenzioso.

- Detective Beckett… Se vuole può entrare, ma abbiamo preferito sedare Joy per farla riprendere tranquillamente.

- Come sta? - Chiese preoccupata volendo sapere di persona le sue condizioni.

- Si riprenderà. Le stiamo facendo la prima trasfusione, poi controlleremo i suoi valori e decideremo cosa fare domani. Avrà bisogno di qualche giorno per rimettersi in forze, prima di cominciare la preparazione per l’intervento, sempre che lei sia ancora disponibile.

- Certo che lo sono.

- E lei signor Castle? È d’accordo?

- Ovviamente sì.

- Bene. Dovremo aspettare l’ok del tribunale dei minori e poi possiamo procedere allora, venga Signor Castle, così le spiego quello che dovrà fare. 

Rick si lasciò portar via dal dottor Thompson, convinto che lo avesse fatto a posta per lasciare sola Beckett con Joy. Kate li guardò allontanarsi, prima di entrare, ringraziando il dottore. Si fece forza ed aprì la porta, Joy le sembrò così piccola in quel letto bianco. Guardò la sacca con il sangue che scorreva lento nei tubicini fino ad arrivare a lei. Se pensava che era quello che aveva dovuto sopportare per tutta la sua vita, diventava pazza.

Le si sedette vicino, accostando una sedia abbandonata poco distante. Prese la sua mano accarezzandola piano, per poi fare lo stesso con il suo volto: ora non era più affaticata, sembrava tranquilla mentre dormiva.

- Tu non lo sai e non mi puoi sentire, ma ora Joy la tua mamma è qui… Andrà tutto bene piccola mia… Tutto questo finirà, te lo prometto…

Non le poteva promettere nulla di più in quel momento, se non che avrebbe fatto di tutto perché le cose potessero cambiare. Per lei ma anche per se stessa. Perché ora aveva la consapevolezza che non sarebbe potuto più essere nulla come prima. Perché le parole che le aveva detto Castle l’avevano colpita, erano arrivate più forti di quanto avesse sentito lì in quel momento, facevano male, ma le avevano dato una coscienza di se. Joy era sua figlia ed ora avrebbe fatto tutto quello che non aveva fatto nei dieci anni precedenti, quello che non aveva avuto il coraggio di fare in quella giornata di fine agosto. Avrebbe combattuto per lei.

Beckett era rimasta tutta la notte nella stanza di Joy mentre lei era ignara della sua presenza e di chi fosse. Kate l’aveva accarezzata a lungo, non le aveva mai lasciato la mano, l’aveva sentita a volte lamentarsi o stringere la presa sulla sua mano ed allora le si era avvicinata di più, sussurrandole quello che avrebbe sempre voluto dirle e non si era mai resa pienamente conto quanto le fosse mancata fino a quando non l’aveva conosciuta ed aveva cominciato a passare del tempo con lei. Le era rimasta vicino, come mai aveva fatto, perché non era solo la vicinanza fisica, era la consapevolezza del suo ruolo, ora che non doveva più mentire e fingere, ora che non aveva problemi a dire che era lì, perché era sua madre. Se lo ripeteva, mentre la guardava, mentre le accarezzava le dita della mano, una ad una, in quel gesto che dicono sia istintivo per tutte le madri, appena nato il proprio figlio e quel giorno, in quell’ospedale, non era nata sua figlia, ma sentiva che era nata lei, come madre.

Era uscita in silenzio, così, come era entrata, asciugandosi quelle lacrime che si era imposta di trattenere, perché non aveva nessun diritto di piangere, non davanti a lei. Ora che era fuori dalla porta, però, poteva lasciarle sfogare, farle bagnare il volto e liberarsi di ogni costrizione. Non doveva essere forte, non voleva essere forte, voleva solo essere una madre preoccupata per sua figlia. Era uscita quando era entrata un’infermiera a controllare i suoi valori, erano buoni, le aveva detto, l’avrebbero svegliata tra poco, per fare degli esami. Non voleva essere lì quando si svegliava, non voleva mentirle ancora ma nemmeno poteva dirle tutto in quel momento, era ancora troppo provata e doveva essere sicura che stesse bene.

Appena alzò lo sguardo lo vide: Castle era seduta su una di quelle sedie del corridoio, vicino ad altri genitori e la sua espressione era esattamente uguale a quella degli altri, preoccupata, tesa e impaziente appoggiato con le braccia sulle ginocchia e leggeva nella sua postura il peso della stanchezza che gravava sulle sue spalle. Gli fece un po’ effetto vederlo così: in ansia per sua figlia.

Castle doveva aver percepito che lei fosse uscita dalla stanza, non sapeva perché con lei c’era questa cosa, sentiva la sua presenza e si era accorto che lei era lì e lo stava guardando. Si alzò dalla sedia, sentendo i muscoli del corpo tirare per quella posizione assunta per molto più tempo di quanto credesse.

- Si è svegliata? - Gli chiese immediatamente.

- No, non ancora. Ha dormito tutta la notte, ha detto l’infermiera che ora le faranno gli altri esami. - Spiegò lei riuscendo a parlarsi in un tono molto più civile della sera prima.

- Sì, me lo hanno detto prima… Ti ha cercato Esposito, Montgomery e Cox vogliono vederti subito, gli ho detto che eri in osservazione dopo che eri stata ferita, comunque ti aspettano al distretto.

- Grazie…

- Di nulla… Come va? Il braccio dico…

- Solo un graffio, mi hanno preso di striscio.

- Avrai problemi? - Sembrava seriamente preoccupato, anche per lei.

- No, non credo, qualche giorno e la ferita si richiuderà. Ha detto Thompson che non ci sono problemi nemmeno per il prelievo per Joy.

- Oh, bene… comunque io dicevo al distretto… Avrai problemi per la tua azione non autorizzata?

- Sì, probabilmente sì. Ma non mi importa. Ne è valsa la pena, non potevamo aspettare di più, Joy non poteva aspettare ancora. - La sua inquietudine era visibile, da come stringeva le mani tra loro, dalla guancia morsa nervosamente quando non parlava, quella situazione la imbarazzava e non riusciva a nasconderlo.

- Già… non poteva aspettare ancora… - Ripetè annuendo.

- Io allora vado…

- Sì e Beckett… Starò io con Joy, adesso non è necessario che tu torni.

- Come scusa? - Lo guardò interdetta.

- Ti ho detto che rimango con Joy e non c’è bisogno che tu dopo torni qui. Immagino che vorrai parlarle, almeno spero, ma non mi sembra questo il momento, parlerò con Thompson e ti manderò un messaggio quando ritiene che potrai farlo senza incorrere in altri problemi. - Le sue parole erano fredde e la sua espressione seria. Sembrava si fosse preparato da ore a dirle quelle cose e probabilmente era così.

- Mi stai dicendo che non vuoi che torno qui per sapere come sta mia figlia.

- Esatto, non voglio che torni qui per sapere come sta Joy. Ah, Beckett… ieri sera ho chiamato il mio avvocato. Gli ho detto di accelerare le pratiche di Joy per la sua adozione.

Kate lo guardò perplessa, non si aspettava che le dicesse proprio quello.

- Cos’è non te lo aspettavi? Te l’avevo detto che avrei voluto farlo, non vedo perché avrei dovuto cambiare idea adesso. Non ci sono impedimenti per farlo, Joy è stata dichiarata adottabile appena nata, adesso si tratta solo di risolvere le questioni burocratiche, ma non penso ci saranno problemi. Non voglio più in futuro che devo aspettare l’ok di un tribunale per decidere ciò che è meglio per lei.

- Castle… - Non sapeva cosa dirgli, la sua voce pareva pregarlo e lui sembrava quasi sorridere a vederla così.

- Non ti preoccupare Beckett. Ti farò sapere quando potrai parlarle, ma non lo faccio per te, lo faccio per lei.

Andò via in silenzio, senza avere il coraggio di dire altro. Aveva sperato che Castle se almeno non poteva capirla, avesse potuto quantomeno evitare di attaccarla così frontalmente, invece lui sferrava i suoi attacchi lì dove le facevano più male. Perché lui la conosceva, più di quanto lei volesse ammettere, più di quanto lui voleva credere, perché era bravo a capire le persone e perché lei più o meno volontariamente, gli aveva permesso di farlo, perché non aveva avuto il coraggio di dirgli di Joy, ma aveva avuto il coraggio di fare qualcosa che per lei era altrettanto difficile, aprire se stessa e lui che l’aveva vista dentro, anche se per poco, ora colpiva preciso. Sapeva che non doveva farlo, che non doveva andare con lui negli Hamptons, che non doveva avere quel morso di vita che ora era solo un ricordo doloroso, quando lei, invece, avrebbe voluto continuare a mangiare. Sapeva che non doveva illudersi, che quella non poteva essere la sua vita, che era stato solo un bellissimo sogno ed ora era sveglia. Era stato un sogno dormire abbracciata con sua figlia, giocare, ridere, scherzare tutti e tre insieme ed era stato un sogno anche Castle, la loro notte insieme, il loro risveglio, i loro baci e l’accarezzarsi dentro con uno sguardo, lo stesso sguardo che ora la feriva, mortalmente. Non sarebbe mai dovuta andare, non avrebbe mai dovuto illudersi. Perché sarebbe rimasto sempre un rimpianto non averlo fatto, ma avrebbe fatto meno male del ricordo di qualcosa che non ci sarebbe stato più.

Uscita da lì accese di nuovo il suo cellulare. Quella notte non aveva voluto che nessuno la disturbasse. Non fece in tempo a rimetterlo in tasca che subito squillò.

- Ehy Beckett, finalmente! - Esposito l’aveva cercata varie volte quella notte.

- Ciao Espo. Sto uscendo ora dall’ospedale.

- Tutto bene?

- Più o meno, sto andando al distretto. - Disse mentre fermava un taxi.

- Ti devo parlare.

- Ok, ci vediamo su.

- No, non lì. Ti aspetto alla caffetteria all’angolo.

- Va bene, arrivo.

Entrò nel locale dietro al distretto, era mattina presto ma già discretamente affollato. Si fermava spesso lì a prendere un caffè al volo per portarlo con sé, difficilmente si era fermata di più, se non il tempo necessario per fare la fila alla cassa ed aspettare la sua bevanda calda.

- Il solito detective? - Chiese il ragazzo alla cassa

- Mi aspettano là i miei colleghi - Disse indicando Esposito e Ryan in un tavolo appartato.

- Te lo porto appena pronto

Lo ringraziò con un sorriso ed andò a sedersi nel posto vuoto al loro tavolo.

- Ci hanno sospesi. - Le disse l’ispanico.

- Cosa? - Esclamò stupita.

- Una settimana per uno, sospesi senza paga. Al momento tra noi sei l’unica ancora con la pistola. - Sorrise amaro Javier indicando la sua fondina.

- Mi dispiace ragazzi. Adesso vado su e dico che avete solo seguito le mie indicazioni, che non siete i responsabili.

- No, Beckett, eravamo d’accordo, lo abbiamo fatto per aiutare Castle e salvare Joy… a proposito, come sta? - Chiese Kevin

- Meglio, sembra. Sono stata con lei questa notte ed ha riposato. Le stanno facendo delle trasfusioni per riportare i suoi valori alla normalità.

- Sei stata con lei? Io credevo fossi ricoverata! Cos’è questa storia Beckett? - Chiese Esposito.

- Ragazzi… C’è una cosa che non vi ho detto… che non ho detto a nessuno, ancora… Joy è mia figlia.

Le facce perplesse dei due colleghi e il silenzio stupito tra loro fu rotto dal ragazzo della cassa che le aveva portato il caffè. Kate bevve cercando un po’ di conforto. L’aria condizionata già decisamente alta per quell’ora, la stava facendo rabbrividire o forse era solo la stanchezza, il sonno e le troppe emozioni che aveva combattuto nell’ultimo periodo. Il liquido caldo che scivolava dentro di lei era solo un palliativo, ma che almeno sembrò darle un po’ di sollievo. Aggiunse un paio di bustine di zucchero, aveva bisogno di qualcosa che la sostenesse e le desse un po’ di energia.

- È una lunga storia, vi basti solo sapere, per ora che lo so da qualche giorno dopo che l’abbiamo trovata, che ieri l’ho detto a Castle e che lei ancora lo deve sapere. Vi spiegherò tutto ma ora non ce la faccio.

- Come vuoi tu Beckett. Se ti serve qualcosa, basta che chiami… - Le disse Esposito mentre si alzava per andare ad affrontare il capitano e l’agente Cox.

Si era presa tutte le colpe, anche quelle che non aveva. Aveva detto che era stata lei a coinvolgere Esposito e Ryan nella faccenda, che aveva carta bianca, loro non erano responsabili di nulla. Gli rinfacciarono che i due detective avevano dato una versione diversa e lei li convinse che era solo per difenderla. Montgomery non ebbe difficoltà a crederle, ma non capiva perché stava rischiando gran parte della sua carriera così, certo Kate non era nuova ad azioni fatte di testa sua e salvare una bambina, tra l’altro molto cara a Castle, poteva essere un buon motivo, ma era convinto che le nascondesse qualcosa.

Non ebbe problemi a dire il perché quando glielo chiese, non aveva alcun motivo per nasconderlo ancora, così disse la verità: non aveva avuto nessuna esitazione e non aveva nessun rimorso a rischiare la sua carriera per salvare la vita di sua figlia. Lo stupore in Montgomery e Cox fu visibile, lei invece ogni volta che lo diceva a qualcuno si sentiva meglio, più leggera e più sicura, come se dirlo rendesse la cosa più vera, non più un segreto da nascondere, ma un dato di fatto: Joy era sua figlia e lei non aveva alcun problema a mettere tutto sul tavolo per lei. Lo fece, in quel caso, fisicamente, consegnando pistola e distintivo. Quella confessione non aveva fatto altro che far arrabbiare di più l’agente dell’FBI, mentre il uso capitano era attonito e la guardava cercando di capire cosa le stesse passando per la testa. Poteva pensare tante cose di lei, non quella, non che avesse una figlia della quale nessuno sapeva nulla. Avrebbe voluto farle tante domande, ma non era quello il luogo, né il momento, non mentre Cox continuava a riprenderla e a dirle che aveva tradito la sua fiducia, che aveva agito fuori dalle regole non dichiarando che in un’operazione erano coinvolti dei suoi familiari. Aveva visto gli occhi di Kate stringersi e diventare due fessure, aveva letto il dolore tra le parole che pronunciava fredda. Joy non era un suo familiare, non era mai stata con lei e lei aveva scoperto da poco chi fosse. Non era bastato. Era stata sospesa, fino a nuovo ordine, fino a quando non si fosse pronunciata la disciplinare ed avrebbe deciso cosa fare di lei.

- Beckett… - La fermò Montgomery mettendo una mano tra le porte dell’ascensore che si chiudevano.

- Nessun rimpianto Signore. Ho fatto la prima cosa veramente giusta negli ultimi dieci anni. Va bene così.

Lanie provò a chiamarla più volte. Ormai la quelle chiacchiere su di lei erano girate velocemente in tutto il distretto e non si faceva altro che parlare di Beckett e di sua figlia. Alla dottoressa lo aveva detto anche un giovane detective andato a prendere dei referti in laboratorio e lei aveva fatto finta di nulla, liquidandolo velocemente. Poi si era chiusa dentro ed aveva provato a chiamare Kate più volte, senza successo, perché Beckett non aveva voglia di parlare con nessuno, né di dare altre spiegazioni, per quel giorno. Il suo lavoro era sempre stata la sua vita da quando era entrata in accademia, aveva sempre dato tutta se stessa per essere la migliore possibile, prima agente e poi detective. Ci era riuscita, più volte, aveva bruciato record dei quali non si interessava, l’unica cosa che le faceva piacere era il numero di casi risolti, perché voleva dire che erano tante le famiglie a cui aveva reso giustizia. Solo quello gli interessava. Non aveva nulla da rimproverarsi dal suo punto di vista. Aveva agito fuori dalle regole, è vero, senza autorizzazione. Eppure aveva salvato una bambina e risolto un duplice omicidio. Non era una sconfitta, non per lei. Per quando avesse in antipatia gli Austin, aveva dato giustizia a Ethan e a sua moglie e per lei era questa la cosa importante, che delle famiglie non passassero la vita a chiedersi “perché”, come faceva lei.

Andò in ospedale senza avere il coraggio di entrare, non voleva incontrare Castle, non adesso e poi era stato chiaro, l’avrebbe avvisata lui. Eppure sentiva di non poter stare a troppa distanza da lì. Guardava le finestre nei piani più alti, lì dove sapeva essere Joy, con il cuore gonfio, avrebbe voluto essere lì. Era ferma alla macchinetta del caffè nell’atrio dell’ospedale quando lo vide uscire dall’ascensore, anche lui si accorse di lei, perché lui si accorgeva sempre se lei c’era.

- Ti avevo detto che ti avrei chiamato io, di non venire. - Glielo disse in modo calmo, non era arrabbiato e questo la faceva stare ancora peggio.

- Volevo solo sapere come stava.

- I valori sono buoni, non è stata necessaria una seconda trasfusione. Le hanno fatto delle flebo per darle un po’ di sostentamento, poi a pranzo ha mangiato da sola.

- Grazie. - Gli disse sincera per averla informata.

- Di nulla. Ora ha un po’ di febbre, come sempre dopo le trasfusioni, nulla di grave, ma preferiscono tenerla in osservazione.

- È sola?

- No, ci sono mi madre ed Alexis con lei. Loro sanno tutto. - Ci tenne a sottolineare l’ultima parte.

- Va bene, non è un problema. Credo che ormai lo sappiano quasi tutti, anche al distretto.

- Come è andata? - Chiese sinceramente interessato.

- Sospesa in attesa di giudizio delle disciplinare. - Rispose alzando le spalle.

- Mi dispiace, non credo sia giusto.

- A me no, lo rifarei in qualsiasi momento. - Disse sicura.

- Sì, lo so.

- Quando pensi che… sì, insomma, quando pensi che potrò parlare con Joy? Vorrei dirlo anche a lei, soprattutto a lei.

- Domani? Anche il dottor Thompson mi ha detto che voleva parlarti, per definire i tempi per Joy ed iniziare il suo trattamento preparatorio. - Le spiegò.

- Glielo avete detto? - Chiese stupita.

- No, vorrei farlo domani se tutti i suoi ultimi esami daranno riscontri positivi, non vorrei illuderla per niente, capisci?

- Certo, nessuna illusione.

- Esatto Beckett, nessuna illusione.

Joy aveva ripreso il suo solito buonumore che aveva sempre avuto da quando aveva cominciato a sentirsi veramente parte di quella famiglia. Alexis le aveva tenuto compagnia e portato in ospedale il suo computer portatile per farle vedere alcuni dei suoi cartoni animati preferiti e Rick le aveva regalato un ipod per ascoltare la musica. Martha era rientrata prima in città, appena si era potuta liberare e non aveva mai lasciato sola la piccola. Era stata shockata dalla rivelazione di suo figlio su Beckett, eppure sembrava non essere troppo sorpresa: quella bambina aveva qualcosa di speciale, lo aveva capito subito e non era un caso che Rick si fosse affezionato così a lei, doveva essere qualcosa di magico o genetico perché avesse quel trasporto immediato verso quella piccola, lo stesso che lei aveva visto in lui per la detective. Così non lo sorprese nemmeno quando lui le aveva rivelato cosa c’era stato tra lui e Kate ed aveva accolto la notizia con un sorriso, per lei era tutto stupendo: Katherine era la madre della figlia che Richard voleva adottare e ne era innamorato, cosa c’era di sbagliato? Tutto a sentire suo figlio che vedeva problemi e si creava questioni di principio e morali che lei proprio non riusciva a capire. Ne aveva passate tante nella sua vita ed era arrivata ad un’età dove pensava che l’unica cosa che valesse veramente la pena nella vita era vivere e fare le cose che ci fanno stare bene, il resto sono sovrastrutture che ognuno si crea solo per alimentare falsi problemi. Per lei suo figlio e Beckett erano fatti l’uno per l’altra, le era chiaro, fosse solo per il tempo che lui le dedicava, a nessun altra donna ne aveva dedicato tanto, esclusa sua figlia e soprattutto per nessuna metteva in secondo piano la sua straordinaria capacità di dormire una mattina intera ed aveva cambiato i suoi ritmi vitali svegliandosi quando di solito andava a dormire, per seguirla in assurde scene del crimine, come se non ne sapesse già abbastanza.

L’attrice aveva passato gran parte della giornata precedente con quella nuova nipotina, come le piaceva chiamarla, tornata a casa su insistenza di suo figlio per riposare e poi il giorno successivo era di nuovo lì, con lui e con quella bambina che che ora sì, poteva notare quanto assomigliasse a Kate, negli occhi verdi splendenti, nel sorriso gioioso: era decisamente bella, come sua madre.

Castle aveva appena ricevuto la conferma dal dottor Thompson, Joy avrebbe potuto cominciare da lì a pochi giorni il trattamento preparatorio per il trapianto, dovevano solo aspettare che la febbre di Joy passasse e che dal tribunale arrivasse l’ok. Aveva di nuovo esaminato le sue analisi, fatte tutte le comparazioni del caso con Beckett e non c’erano dubbi sul fatto che lei fosse sua madre e sulla loro compatibilità. Rick dal canto suo aveva promesso una generosa donazione alla fondazione che si occupava della ricerca su quel nuovo protocollo medico sperimentale, gli sembrava il minimo per ringraziarli. Si era seduto sul bordo del letto di Joy, voleva darle subito la belle notizia e lei percepì nel suo sguardo la serietà del momento.

- Che c’è Rick, mi devi dare una brutta notizia? - Gli chiese ormai preparata al peggio, sempre.

- No, al contrario Joy, una bella notizia. Ti ricordi quell’operazione di cui ti aveva parlato Lauren?

- Sì, quella per guarire. Cercava la mia mamma per farla o qualcuno che poteva essere simile a me.

- Esatto. Se tu vuoi, tra qualche giorno potrai prepararti per farla. - Le disse scostandole i capelli dal volto e sorridendole, notando il suo stupore.

- Dici sul serio? C’è qualcuno che è si incastra bene con me? - A Rick faceva sorridere il suo modo di parlare, era evidente che le avessero spiegato cosa serviva, facendole qualche esempio e le erano rimasti quei termini in mente.

- Più o meno… - Vide il suo sguardo serio e curioso. La osservò su quel letto di ospedale, pensò a tutto quello che aveva passato, ai rifiuti, alla solitudine… Gli venne in mente quella bambina impaurita rannicchiata nell’armadio, che ringraziava e non parlava, era così diversa da quella gioiosa che era lì in quell’ospedale. Era passato così poco tempo, era bastato solo un po’ di amore e di attenzione verso di lei, quello che non aveva mai avuto, dalla nascita, e la colpa era solo di una persona, di sua madre, di Kate. - Vedi Joy, abbiamo trovato tua madre.

A quelle parole non fu solo lei a sobbalzare, anche Martha dall’altra parte della stanza lo fece, guardando il figlio e scuotendo la testa.

- Co… come? - balbettò

- È stata lei a trovare te, in realtà. Però è disponibile ad aiutarti.

- E dov’è? - Chiese quasi fremendo. Non avrebbe mai pensato di conoscere sua madre.

- Qui fuori, se vuoi la faccio entrare, ma solo se vuoi e te la senti, altrimenti non è necessario, ok? - Le disse pacato.

- Io… sì… credo di sì… - Rispose Joy ora più dubbiosa.

- Ok… Te la chiamo. Io e Martha saremo qui fuori, per qualsiasi cosa chiami, ok JJ?

- Ok Rick.

- Ti voglio bene piccola. - Le diede un bacio sulla fronte e poi uscì con sua madre.

- Non dovevi essere tu a dirgli di Beckett, non è giusto. Doveva essere lei a farlo. - Lo rimproverò Martha.

- Non si può sempre decidere per la vita degli altri madre. - Rispose sprezzante.

Kate passeggiava nervosamente nel corridoio. Pensava a come glielo avrebbe detto, assolutamente all’oscuro di quello che aveva fatto Castle. L’aveva chiamata appena il dottor Thompson aveva dato l’ok ed ora era lì che si strofinava le mani e cercava di darsi coraggio.

- La puoi vedere, le ho detto che stavi per arrivare. Io aspetto qui fuori. - Le disse Castle.

Beckett annuì ringraziandolo, fece un grosso respiro ed entrò in camera di sua figlia, aprendo timidamente la porta ed entrando. Lei era a testa bassa, sembrava quasi non voler guardare, timorosa. Alzò la testa solo quando sentì la porta richiudersi ed una voce familiare chiamarla.

- Ciao Joy… - Beckett si avvicinò al suo letto lentamente mentre la bambina la guardava sorpresa e stupita.

- Ciao Kate… ma tu… tu cosa ci fai qui? - Le chiese non riuscendo a capire.

- Io… Castle mi ha detto che sapevi che sarei arrivata, che mi aspettavi… - Disse lei mentre si sedeva, provando a prenderle la mano, ma Joy si ritrasse.

- Tu? Tu sei la mia mamma? - Chiese guardandola quasi spaventata da quella rivelazione e negli occhi di Kate vide la stessa sua paura.

- Sì, sono la tua mamma. - Rimasero a guardarsi negli occhi per un po’ senza dirsi altro, senza muoversi.

- Allora Rick ha ragione… Sei tu la mia mamma… - Joy guardò Kate negli occhi incredula. Non riusciva a capire, non poteva crederci. Kate era sua amica, le era stata vicina, si fidava di lei, si divertiva con lei… e lei era la sua mamma.

- Sì… Mi dispiace Joy… mi dispiace tanto… - Le sussurrò Kate con un filo di voce. - Avrei voluto dirtelo io… Avrei voluto trovare il momento giusto ma… mi dispiace tanto Joy… 

- Da quanto tempo sai che sei la mia mamma? - Le chiese la bambina guardandola seria e non riusciva nemmeno a sentire le sue parole di scusa. Le rimbombava nella mente solo che Kate era la sua mamma. Quella mamma che tante volte aveva immaginato, sulla quale si era fatta tante domande e che mai aveva pensato così. 

- Da un po’ - Ammise sincera.

- Perché non me lo hai detto? - Chiese ancora severa. Era la domanda che Kate si aspettava, perché sapeva che Joy avrebbe preteso risposte.

- Perché… Perché nella vita ho fatto tanti errori. Mi dispiace. 

- Anche io sono un errore? - Questa domanda, invece non se l’aspettava ed arrivò per Beckett il primo di quei tanti pugni che sapeva avrebbe ricevuto, da quel momento in poi. L’idea che Joy potesse considerarsi un errore la dilaniava. Non era lei l’errore, l’unico era stato il suo di non tenerla con se.

- No. Tu sei l'unica cosa bella che ho fatto nella mia vita. Ed io ero troppo spaventata e stupida per capirlo allora. - Provò ad accarezzarla ma lei si spostò, lasciando la mano di Kate a mezz’aria senza un contatto. Beckett abbassò la mano ritraendosi sospirando fortemente.

- Perché non mi hai voluto? Perché non hai voluto essere la mia mamma? - Joy adesso aveva gli occhi lucidi e le lacrime che poco dopo scesero sul suo viso, per Kate furono quanto di più doloroso avesse mai sentito. Davanti a lei c’era sua figlia che piangeva per le sue scelte e doveva rispondere a lei a tutti quei perché ai quali non aveva mai trovato una risposta credibile da dare a se stessa.

- Io ti volevo Joy, ti volevo tantissimo. Avrei tanto voluto tenerti con me, non immagini quanto e quante volte ho sognato tutto quello che avremmo potuto fare insieme ma... Ma ero giovane ed ero sola. Io avrei voluto il meglio per te e in quel momento ero certa che il meglio non fossi io, che così avresti potuto avere una famiglia normale, una mamma ed un papà che ti avrebbero amato. L’ho fatto solo per questo, te lo giuro Joy, ti prego credimi… Io pensavo di fare il meglio per te e avrei voluto tanto essere la tua mamma. 

- Io… io una famiglia non ce l’ho mai avuta Kate. Se tu mi avessi voluto, avrei avuto te, avrei avuto almeno una mamma… 

- Vorrei poter tornare indietro e non lasciarti mai. Non c’è niente che rimpiango di più al mondo e non me lo perdonerò mai. Credimi Joy.

Joy annuì mentre si asciugava le lacrime con il dorso della mano.

- Perché non mi hai detto che eri la mia mamma? Tu mi hai preso in giro, mi hai detto che eri mia amica. Io mi fidavo di te. 

- Lo so… Io non sapevo come dirtelo Joy… non è facile per me… Io… non so come si fa ad essere una mamma, ma vorrei tanto esserlo da ora in poi.

- Io… io non lo so Kate… Ho sempre voluto una mamma… - ammise Joy

- Sono qui, sono qui per te ora. Aiutami ad essere la tua mamma Joy. - La pregò.

- Non so se puoi essere la mia mamma ora. - Le disse titubante. 

Kate deglutì ed abbassò la testa annuendo. Non l’avrebbe forzata in nessun modo, a fare nulla, nemmeno ad accettarla. Il suo rifiuto le faceva male, molto male, ma era Joy a dover decidere.

- Certo, ti capisco. - Sussurrò Beckett annuendo mentre Joy osservava ogni sua reazione alle sue parole.

- Non ti dispiace Kate? - Le chiese quasi sorpresa della sua reazione pacata.

- Mi dispiace molto Joy. Mi dispiace tantissimo, non hai idea quanto. Però non posso obbligarti a volere che io sia la tua mamma. Non posso chiederti nulla. - Avrebbe voluto mettersi in ginocchio e pregarla, fare una di quelle patetiche scene da film di secondo piano, invece non fece nulla, rispettando la compostezza delle reazioni di sua figlia. Se non lo faceva Joy che era una bambina, lei non aveva alcun diritto di farlo.

- Io mi fidavo di te. Ti credevo quando mi dicevi che mi saresti stata vicina e mi avresti aiutato, quando dicevi che eri mia amica. 

- Io sono tua amica e ci sarò sempre per aiutarti e ti starò sempre vicina. - Tirò su la testa e si sporse di più verso di lei, alla disperata ricerca di un contatto che non trovava.

- Non puoi essere mia amica se sei la mia mamma. - Le parole di Joy colpivano duro e Kate incassava in silenzio ogni colpo.

- Sarò quello che tu vorrai Joy.

- Io non so… non so cosa voglio… ora non lo so… Io non so chi sei, Kate… io… 

- Va tutto bene Joy… non ti devi agitare… come vuoi tu. Io… farò quello che vuoi tu. - Era in balia delle decisioni e dei dubbi di sua figlia, sentiva di non avere né la forza né il diritto di imporle niente, di imporsi.

- Kate… tu farai quella cosa per me anche se non so se voglio che sarai la mia mamma?

- Non ti devi preoccupare Joy, io farò qualsiasi cosa per te e tu non mi devi nulla, non lo faccio perché voglio che tu mi accetti, lo faccio per te. So che è difficile per te credermi, ma io ti voglio bene, ti ho sempre voluto bene, dal primo istante che ho saputo di te e farei qualsiasi cosa per te. 

- Grazie.

Kate sentiva che tutti i passi avanti che avevano fatto erano stati inutili, erano tornate alla bimba spaventata nell’armadio, anzi ancora più indietro, perché riconquistare la sua fiducia sarebbe stato difficile, o almeno Kate sperava che fosse solo difficile e non impossibile.

- Mi dispiace Joy per tutti gli sbagli che ho fatto, per tutto quello che hai dovuto vivere per colpa mia ed anche per questo.

- Perché non me lo hai detto? Sarebbe stato bello se me lo avessi detto. Sarebbe stato diverso. Saresti stata la mia mamma. - Le disse tirando su con il naso.

- Io avrei voluto dirtelo Joy, ma avevo paura. Scusami se ti ho delusa. Il giorno che ti hanno rapito ti aspettavo qui in ospedale, perché volevo dirti la verità e dell’operazione, se non credi a me chiedilo al dottor Thompson.

- Sei venuta tu a riprendermi, vero? Io… ti ho sentita, credo. - Disse un po’ dubbiosa.

- Sì, sono venuta a prenderti io. Abbiamo lavorato tutti tanto per ritrovarti, eravamo tutti molto in pensiero per te.

- Non hai avuto paura? Erano molto cattivi, soprattutto uno, urlava sempre. - Joy sembrò impaurirsi nel ricordare quei momenti, Kate ebbe ancora l’istinto di abbracciarla, ma lei si spostò ancora e non ci provò nemmeno.

- Non ti faranno più del male Joy, nessuno dei due, stai tranquilla, sei al sicuro. Ho avuto molta paura, ma solo per te, di non arrivare in tempo.

- Ho avuto paura anche io. - Ammise Joy

- Non ci pensare più, piccola…

- Grazie per averlo fatto.

- Non devi ringraziarmi. Io… sono in debito con te di tante cose. Ti voglio bene Joy. - Voleva che almeno questo lo capisse, che sapesse che era sincera nel dirlo.

- I signori Witcher me lo dicevano sempre. “Ti vogliamo bene Joy”. Me lo hanno detto anche la mattina che Emily mi è venuta a prendere per riportarmi all’istituto. Tu dici che mi vuoi bene, però mi hai detto tante bugie da quando ci conosciamo. 

- Faccio sempre tanti sbagli Joy, soprattutto con le persone a cui tengo di più. Io… non sono brava… e… spesso ho paura. Ed ho paura anche ora. Di dirti qualcosa di sbagliato, di fare qualcosa di sbagliato. Preferisco affrontare le persone molto cattive come quelle che ti avevano preso, piuttosto che quelle a cui tengo di più e a te tengo tantissimo, anche se è difficile credermi.

Joy sospirò e le stava per rispondere, quando la porta si aprì. Entrarono due persone che lei non conosceva che la guardavano seria. Istintivamente prese la mano di Kate e lei la strinse forte. Beckett si alzò, quasi volendosi mettere a protezione di Joy da quelli che erano appena entrati che guardava truce. Poi Joy dietro di loro vide il sorriso rassicurante di Rick e si tranquillizzò, lasciando la mano di sua madre che non si spostò di un passo.

- Dovremmo parlare con la bambina di quanto accaduto, abbiamo bisogno della sua testimonianza, anche per la sua posizione, Beckett. - Disse Cox in un’implicita richiesta di uscire. Joy la guardò e Kate non si mosse.

- Non posso parlare con te, Kate? - Le chiese Joy che per un attimo sembrò dimenticare tutto quello che era accaduto tra loro ed era tornata quella di prima. Joy sapeva che di Kate si poteva fidare, ogni volta che aveva parlato con lei non l’aveva mai trattata male e non le aveva mai fatto pressioni, provando sempre a capirla e non insistendo di più.

- Mi dispiace Joy ma… questa volta no. Devi parlare con loro, io non posso… - Si era piegata per salutarla, ma Joy ancora una volta mise distanza tra loro.

- Avevi detto che ci saresti stata per me. Tu sei della polizia.

- Lo so, ma non posso. Vorrei…

- Beckett, per favore, ci lasci soli. - Disse l’altro uomo dietro Cox che non sapeva chi fosse ma dall’atteggiamento doveva essere di sicuro un superiore dell’agente..

- Sì signore. - Guardò ancora Joy e si allontanò da lei nello stesso momento in cui Rick si avvicinava e si sedeva sul letto vicino a lei, che andò ad abbracciarlo. Le fece male, molto male, soprattutto quando Rick si chinò per darle un bacio.

- Risparmiatele questa cosa inutile. - Disse sottovoce Beckett a Cox mentre stava uscendo. La voleva proteggere da un inutile stress e non farle rivivere senza motivo particolari del suo rapimento. Avevano i colpevoli, avevano tutti, non capiva che bisogno c’era e soprattutto non capiva perché Castle lo stava permettendo, avesse voluto, si sarebbe potuto opporre. - Joy non era cosciente, non era nemmeno sicura che fossi stata io a prenderla e a portarla via, non sa niente.

- Lo lasci decidere a noi questo Beckett.

Kate prima di uscire diede un altro sguardo verso Joy e Castle, le stava parlando fitto fitto all’orecchio e lei annuiva. Le sembrò anche che stesse sorridendo e, nonostante tutto, questo la faceva felice.

Si richiuse la porta alle spalle sospirando. Vide Martha, arrivare con due caffè in mano, i loro sguardi si incrociarono e tirò dritto.

- Katherine! - La chiamò la donna e non potè evitare di fermarsi.

- Castle è dentro da Joy con gli agenti dell’FBI. - Le disse convinta che cercasse il figlio.

- Sì, lo so. Cercavo te. - Kate era sulla difensiva e non colse il sorriso benevolo dell’attrice.

- Martha, so che sai tutto ma io scusa… devo andare… 

- Speravo che accettassi un non buon caffè da me e volessi fare due chiacchiere. - Le porse il bicchiere, Kate fu titubante nel prenderlo.

- Martha… io… 

- Cara, non ti preoccuparti, non voglio giudicarti. Chi sono io per farlo? - Martha intuì il nervosismo di Kate, la prese per mano e si sedettero nelle poltroncine della sala relax del reparto che a quell’ora era ancora piuttosto vuota.

- Una persona che ha fatto scelte diverse dalle mie. - Sospirò Beckett.

- Solo perché anche se ero più grande di te, ero molto, molto più incosciente. - Bevve un sorso di caffè con una faccia talmente disgustata che Beckett non ebbe il coraggio di assaggiare il suo, quantomeno però avere la tazza tra le mani faceva in modo di tenerle occupate per mascherare, poco e male, il nervosismo.

- Che vuoi dire?

- Che tutti pensano che ci voglia coraggio a crescere un figlio da soli, quando si è giovani. Invece io non sono d’accordo, non adesso almeno. Quando ero giovane e Richard era piccolo ero convinta di esserlo molto, invece ero solo un’incosciente senza sale in zucca che deve ringraziare il cielo che è andato sempre tutto bene, perché altrimenti sarebbero stati guai.

- Però Castle è cresciuto felice, con te.

- Sì, credo di sì. Oddio, cresciuto non sempre e non tanto, lo sai anche tu, e questo perché per molto tempo ha vissuto in ambienti dove di adulto c’era molto poco nel comportamento delle persone ed anche nel mio. Però è venuto su molto meglio di quanto potessi immaginare, anche se a volte si comporta peggio di un bambino e fa cose stupide, come questa mattina con Joy. Non doveva essere lui a dirgli di te, cioè, non l’ha fatto direttamente, però ti ha messo davanti al fatto compiuto, immagino.

- È così… - sospirò

- Come l’ha presa Joy? Non bene dalla tua espressione, immagino.

- No… 

- Dalle tempo, quando avrà metabolizzato chi sei e capirà, allora sarà lei a cercarti. Dovrà capire che tu hai fatto la cosa che pensavi migliore per lei.

- Non lo capiscono nemmeno gli adulti, come può capirlo lei, con tutto quello che ha passato?

- Per gli adulti intendi mio figlio? È molto più infantile di tua figlia. Katherine… io… so quello che è successo tra voi. Richard si sente ferito e reagisce come uno stupido bambino che fa i capricci e i dispetti, non capendo che in mezzo c’è la vita delle persone. 

- Già… La mia e quella di Joy… - Disse amaramente.

- Però non è cattivo e a tua figlia vuole bene veramente. Questo in qualche modo vi lega, capisci che voglio dire?

- Sì, Martha. Però adesso non è più il momento di pensare a nulla che riguardi me e lui. Ora l’unica cosa che mi interessa è mia figlia e Castle sta facendo di tutto per rendere questo più difficile. - Si era alzata buttando la tazza del caffè nel cestino.

- Conosco Richard, adesso è così, però è buono, lo sai… - Le prese la mano per non farla andare via. - Tieni Katherine, questo è il mio numero. Se vuoi sapere qualsiasi cosa su Joy o su Richard, chiamami.

- Grazie Martha. - Disse mettendosi il numero in tasca e l’attrice la guardò mentre immobile aspettava l’ascensore, fino a quando non entrò dentro e le porte si richiusero. Provò a bere un altro sorso di caffè e poi anche lei lo buttò. Aveva bisogno di qualcosa di decisamente più forte, un martini, ad esempio.

- Buongiorno Katie, da quanto tempo! - Una voce squillante ed amichevole l’aveva salutata appena era entrata nello studio. Mary si era alzata per andarla a salutare personalmente. Lavorava lì da sempre, l’aveva vista crescere era una di quelle figure familiari che se andava indietro con la memoria poteva ritrovare in ogni fase della sua vita, da quando da piccola si aggirava per i corridoio e voleva entrare negli uffici chiusi e lei le correva dietro e la corrompeva a stare buona con qualche biscotto che teneva nel cassetto della scrivania, insieme a pratiche e documenti. Era l’unica a chiamarla ancora così, oltre suo padre. Per tutti era Kate, per Mary era ancora Katie.

- Ciao Mary, papà è libero? - Le chiese mentre ancora la abbracciava.

- È con un cliente già da un po’, ma credo dovrebbe finire tra poco. Aspettalo, magari andate a pranzo insieme, così lo tiri un po’ fuori da qui…

- Sì… magari… - Era ancora in preda alle emozioni per la visita di prima a Joy ed ora doveva compiere l’ultimo passo, doveva dire di Joy a suo padre.

- Va tutto bene Katie? Ti vedo strana… - si preoccupò Mary guardandole il viso. Doveva avere una pessima cera, pensò.

- Sì, giornate un po’ complicate a lavoro, un caso complesso da risolvere. - Non era del tutto una bugia, in fondo.

- Scommetto che tu lo hai portato a termine brillantemente! - Mary era così, le faceva sempre i complimenti, per qualsiasi cosa. Era stata sempre molto protettiva verso di lei, quella figlia femmina che non aveva mai avuto, madre di tre maschi, ma dopo la morte di Johanna, ogni volta che la vedeva, ancora di più.

- Più o meno sì. - Le accennò un sorriso.

- Non avevo dubbi tesoro! - Le diede un sonoro bacio sulla guancia e proprio in quel momento arrivò Arthur, uno dei soci di suo padre che la salutò con un sorriso, aveva bisogno di Mary per trovare dei documenti e la donna a malincuore si congedò seguendo l’altro avvocato nel suo studio.

Aspettò seduta sfogliando il NY Times di quel giorno, in realtà senza leggere nulla, girava le pagine a vuoto, per ingannare il tempo, fino a quando non sentì la porta dello studio di suo padre aprirsi. Lo vide salutare sulla porta il suo cliente, dargli appuntamento in tribunale e rassicurarlo con i suoi modi pacati di stare tranquillo. Quando la vide, però, il suo viso si illuminò. Kate non era solita andarlo a trovare, per lo più si incontravano qualche volta, per cena, in qualche tavola calda anonima, dove non ci fossero ricordi di nessun tipo, era meglio per entrambi. Evitava di andare a studio o a casa e in tutti quei posti dove aveva più ricordi della sua famiglia. Sorrise anche lei, quando si incrociarono i loro sguardi, un sorriso tirato e nervoso che non sfuggì a Jim che scambiò velocemente gli ultimi convenevoli con l’uomo e poi la raggiunse.

- Katie, come mai qui? È successo qualcosa?

- Ti devo parlare papà… è importante.

Il ristorante ad un paio di isolati dallo studio era un posto abbastanza neutrale. Aveva aperto da pochi anni, non era un posto dai ricordi particolari, ci avevano mangiato un paio di volte insieme, cucina semplice, un posto tranquillo, frequentato per lo più a pranzo da gente che si fermava per lavoro, pranzi veloci e leggeri.

Kate vide un tavolo che si era appena liberato, in fondo alla sala, tranquillo, un po’ più isolato degli altri. Il cameriere le disse che doveva aspettare perché dovevano ancora sistemarlo: non c’era problema, non avevano fretta. In realtà non sapeva se suo padre l’avesse, ma decise lei, una volta, per entrambi, senza farsi troppi problemi. Jim ne fu sorpreso. Di solito era sempre Kate quella di corsa, con il telefono sempre a portata di mano, pronta a ricevere chiamate. Si stupì, invece, quando la vide spegnerlo nel momento in cui si sedettero, mentre un cameriere puliva il tavolo e poi portava nuove tovagliette e posate.

- Deve essere qualcosa di molto importante se non ti rendi nemmeno reperibile. - Disse sorridendo Jim cercando di stemperare la tensione che vedeva nel viso di sua figlia.

- Non devo essere reperibile, sono sospesa ed in attesa di giudizio dalla disciplinare.

- Ah… - Jim pensò che fosse questo il problema di Kate - Hai bisogno di un avvocato per il tuo incontro? C’è un bravo collega che si è occupato con successo di queste cose più volte, so che molti tuoi colleghi lo contattato, se vuoi lo chiamo subito e…

- No, papà, non è per questo che ti volevo parlare. Non ho nemmeno pensato alla disciplinare… È per il motivo per cui mi hanno sospeso…

- Non mi dire che hai ripreso ad indagare sull’omicidio di tua madre, Katie? - Disse severo e preoccupato. Ne avevano già parlato, non doveva più farsi trascinare giù anche lei in quel vortice, facendo diventare quel caso la sua ossessione più di quanto già non fosse e lei glielo aveva promesso, non avrebbe indagato più  e non lo aveva fatto. Fino a quel momento.

- No. Mamma non c’entra… È una cosa mia… Ti ricordi che ti ho detto che Castle ha preso in affidamento una bambina ritrovata sulla scena di un crimine, un paio di mesi fa?

- Sì, certo…

- È stata rapita per una serie di cose che non sto qui a spiegarti. Del caso se ne occupava l’FBI ma io ho fatto di testa mia, avevo scoperto dove si trovava, sono andata a prenderla.

- Ti sei ferita in quell’occasione? - Le disse indicando il braccio sinistro.

- Sì…

- Non era un’azione autorizzata, vero?

- No… ma dovevo farla. La bambina stava male… Lei è malata… ha una malattia genetica, ha bisogno di trasfusioni, spesso.

- Hai fatto quello che pensavi fosse giusto, Katie.

- Sì, ma non è solo questo, papà. Non l’ho fatto perché pensavo fosse giusto. L’ho fatto perché quella bambina, perché Joy è mia figlia. - Tirò fuori tutto d’un fiato e vide che suo padre, invece rimase senza.

- Cosa?

- È mia figlia, papà. Io ho scoperto chi fosse qualche giorno dopo che l’abbiamo trovata, per un semplice controllo della scientifica. Il suo DNA era compatibile con uno di quelli in archivio, ed era il mio.

- Quanti anni ha?

- Dieci. Li ha fatti il mese scorso.

- Cosa è successo Katie? Perché?

- Ve lo avrei detto… ve lo volevo dire quella sera. So che vi avrei deluso, forse… Però… È successo, papà… - Per Kate fu strano, trovarsi a fare quei discorsi, dieci anni più tardi.

- Io e Connor Cooper non abbiamo avuto una vera e propria relazione. Ci siamo frequentati per un po’, a Stanford. Quando lui ha saputo che ero incinta si è offerto di pagarmi l’operazione per abortire, ma io non volevo. Pensavo che in qualche modo ce l’avrei fatta… Poi però… Mamma…

- Perché non mi hai detto niente Katie? - Le chiese Jim con un filo di voce, la gola secca ancora sotto shock per quella rivelazione che la figlia le aveva appena fatto.

- Perché era già difficile così, avevamo tanti problemi… Poi tu… io ero sola papà…

- Per quello poi non ti sei più fatta vedere per mesi?

- Sì, se mi avessi vista, avresti capito, no? - Sorrise pensando all’ovvio.

- Dovevi dirmelo, Katie… Non dovevi affrontare la cosa da sola. - Fu un rimprovero più verso se stesso che verso di lei e Kate lo capì.

- Quando te lo dicevo, papà? Tu non… non eri mai lucido… Ed io… Non ce l’ho fatta… non ce l’ho fatta a sostenere tutto. Ho pensato che avrebbe avuto una vita migliore, con una famiglia che le avrebbe dato tutto quello che io pensavo di non poterle mai dare. Era troppo per me, troppo pensare di dover crescere da sola una bambina…

- Mi dispiace Katie… Io… avrei dovuto aiutarti ed invece…

- Avremmo dovuto fare tutti scelte diverse, papà.

- Perdonami Katie… Io… non so se…

- Papà, nonostante tutto, le scelte sono state mie. Potevo farle diverse, potevo decidere altre cose. Potevo essere più forte. - Kate prese le mani di suo padre, sapeva quanto era stato difficile, per entrambi, arrivare fino a lì, risalire dall’abisso in cui lui era sprofondato e che non ce l’avrebbe mai fatta, senza di lei.

- Non avevi nemmeno vent’anni Katie, hai sopportato più di quanto potesse fare qualunque ragazza della tua età. - Disse con gli occhi lucidi l’uomo. Beckett smise si guardarlo mordendosi più forte di quanto poteva sopportare la guancia, non voleva vedere suo padre piangere, perché tutte le volte che lo aveva visto in quel modo il motivo era sempre e solo uno e faceva male. E non voleva piangere anche lei. Non doveva piangere. Rimase in silenzio, cercando la forza di ricacciare indietro le lacrime.

- Avrei potuto fare di più. Avrei dovuto farlo… - Jim sapeva che non avrebbe potuto dire altro, che Kate non gli avrebbe mai dato la colpa di niente, ma non serviva. Lui lo sapeva che tutto quello che in un attimo capì che sua figlia doveva aver passato era colpa sua e gli sembrò che il conto della sua fragilità ora fosse decisamente più alto di quanto avesse mai immaginato, che avesse indirizzato la vita di sua figlia su percorsi troppo dolorosi, e anche oggi a distanza di tanti anni, la vedeva soffrire per causa della sua vigliaccheria.

- Lei lo sa? - Le chiese dopo un attimo di pausa, quando il cameriere li interruppe per ordinare e non avevano ancora visto il menu, ordinando le prime due cose che lessero, di mangiare non interessava a nessuno.

- Sì, gliel’ho detto questa mattina… Non l’ha presa bene…

- Castle lo sa?

- Sì, l’ha presa peggio di lei…

- Cosa pensi di fare?

- Per ora nulla. Le lascio il tempo di capire quello che è successo e poi ora l’unica cosa che voglio è che tutto vada bene con la sua operazione.

- Operazione?

- Joy è malata, una malattia della quale io e suo padre siamo portatori sani, non sapevo nemmeno che esistesse… Deve fare un trapianto ed io sarò la sua donatrice… È una cosa sperimentale, sarà un percorso lungo… spero che vada tutto bene. - Disse cercando di essere il più distaccata possibile per mantenere un po’ di lucidità.

- Sa che sarai tu la sua donatrice?

- Sì, mi ha ringraziato… - Non riuscì a trattenere una lacrima. Chiuse gli occhi ripensando a quella scena di poche ore prima stupendosi come solo un “Grazie” di sua figlia le smuovesse un mondo dentro.

- Pensi che un giorno potrò vederla? - Chiese Jim speranzoso.

- Non so nemmeno quando la rivedrò io, papà… Castle non vuole… Si sente tradito e preso in giro ed anche Joy… - Comprendeva la sua voglia di vederla, ma in quel momento l’unica cosa che avrebbe voluto era rivederla lei.

- Mi dispiace Katie…

- Lei è… così matura per la sua età, però… è una bimba… si è sentita imbrogliata da me, le avevo detto che ero sua amica ed ora… non mi crede… mi guardava con occhi severi e attenti e poi si proteggeva dietro le sue barriere, senza lasciarsi avvicinare, per non soffrire ancora…

- È come te Katie. - Sorrise suo padre. - Mi sembra di sentire la descrizione tua, quando eri piccola. Se ti arrabbiavi, se pensavi che qualcuno ti prendeva in giro non volevi più parlarci. Una volta hai tenuto il muso a tua zia Anne per mesi perché ti aveva promesso che ti avrebbe portato al parco, per farti smettere di chiederlo, poi non lo ha fatto e tu non la volevi nemmeno più andare a trovare e piangevi quando andavamo da lei. Ed era solo portarti al parco, tua madre era disperata… - Jim sorrise ancora

- Sì, me lo ricordo… - Provò a sorridere anche lei. Poi vide Jim farsi serio. Aspettò che il cameriere posasse i piatti davanti a loro e poi dopo aver bevuto un po’ acqua le parlò con un tono diverso.

- Io capisco che tu vuoi darle il tempo di metabolizzare la cosa, però… Joy è solo in affidamento da Castle, se tu vuoi, possiamo provare ad ottenere la sua custodia.

- Papà, sono sola, non so nemmeno se avrò più un lavoro e per di più sono stata io a firmare le carte per darla in adozione, non me la daranno mai.

- Ci sono delle sentenze che ci aiutano. È già successo in passato. Non ti seguirò io nel caso, ma Arthur è un ottimo avvocato ed è esperto in diritto di famiglia.

- Non ci voglio pensare adesso. Non voglio mettere Joy in mezzo a questioni legali adesso, deve stare tranquilla per quello che deve affrontare. Lei con Castle sta bene, ed anche con la sua famiglia. Ha bisogno di una situazione stabile e loro gliela stanno dando, sono io l’elemento di disturbo. Non deve avere preoccupazioni o stress di nessun tipo. Ci penseremo poi.

- Katie, sei sicura? Poi potrebbe essere tardi.

Lo sapeva anche lei, Castle aveva accelerato le carte per l’adozione. Poi poteva non avere più tempo, non avere più chance, ancora una volta. Però anche in questo caso fece quello che credeva essere il meglio per lei, farla vivere tranquilla con Rick.

- Conta solo il bene di Joy papà e lei con Castle sta bene. - Cominciò a mangiare la sua bistecca, mettendo, di fatto, fine a quella conversazione. Non stava meglio, ma almeno sapeva che non avrebbe più dovuto spiegare niente a nessuno, era già tanto.

Sollecitato dalla esaustiva lettera di spiegazioni del dottor Thompson e dalle pressioni di Castle fatte tramite il suo amico giudice, il tribunale dei minori aveva risposto molto velocemente e positivamente alla richiesta di autorizzare il protocollo per il trattamento sperimentale su Joy.

Kate nei giorni successivi alla sua rivelazione a sua figlia non l’aveva più vista. Joy non aveva chiesto di lei e Kate aveva evitato di farle pressioni. Si era comunque sempre informata sul suo stato di salute tramite Martha che non le faceva mai mancare aggiornamenti su quello che faceva sua figlia. Avevano deciso di farla rimanere in ospedale, in modo che cominciasse subito il trattamento preparatorio al trapianto.

Beckett quella mattina era andata in ospedale ed aveva finalmente scoperto in cosa consisteva quella fase della quale aveva avuto solo notizie frammentarie e vaghe da Martha che non era mai stata troppo specifica nel dirle cosa stava accadendo. Quando Thompson le disse che avrebbero sottoposto Joy ad un ciclo di chemioterapia, anche se leggera, si sentì quasi svenire, benché sapesse che tutto era finalizzato per far guarire sua figlia, quella parola associata a lei ebbe un effetto devastante, come se in quel momento avesse preso coscienza delle reali condizioni di Joy e di tutto quello che sarebbe cominciato da quel momento in poi per lei e non sapeva se lei stessa era pronta ad affrontarlo, con tutte le conseguenze del caso.

Kate era lì per fare le ultime analisi prima del prelievo, ma non stava più nemmeno ascoltando quello che doveva fare, sentiva tutte le parole mischiarsi nella sua mente ed annuiva passivamente, avrebbe accettato che le avessero fatto qualsiasi cosa in quel momento. Dopo pochi minuti ebbe finito e le diedero appuntamento per il giorno seguente per il suo ricovero, sarebbe stata una cosa molto veloce, solo un paio di giorni per tenerla sotto osservazione dopo il prelievo del midollo.

Uscita da lì passò di nuovo davanti alla camera di Joy e questa volta non si trattenne. Bussò e sentì una voce amichevole che la invitava ad entrare. Si affacciò appena, per vedere la reazione di Joy: non si aspettava di vederla lì, ma non la respinse.

- Posso? - Chiese timidamente.

- Ma certo Katherine, cara, vieni. - La accolse Martha lasciandole il suo posto vicino a Joy. Lei si avvicinò timidamente, controllando ogni minima variazione sul volto di sua figlia che seguiva i suoi movimenti attenta, pronta a fare un passo indietro in caso l’avesse vista turbata. - Vi lascio sole, ok?

Joy annuì e Kate la ringraziò mentre l’attrice passando le accarezzò le spalle.

- Come stai? - Le chiese Beckett intimidita da quella piccola donna davanti a lei.

- Ancora bene. Dicono che poi potrei stare un po’ male, ma è normale. Tu cosa hai fatto? - Le chiese indicando il braccio fasciato.

- Qualche analisi. Domani faccio il prelievo. - Le disse minimizzando il tutto.

- Per me?

- Certo, per te. -  Era ovvio, per lei, ma non riusciva a spiegare a sua figlia tutto quello che stava provando.

- Quei signori che sono venuti l’altro giorno con Rick, quando eri qui anche tu… Hanno detto che non posso più dire nulla a te di quello che è successo, perché tu non sei più una poliziotta, è vero? - A Kate sembrò di trovare nella sua voce oltre che la curiosità per quella situazione anche un po’ di preoccupazione.

- Sì, è vero. Per ora non lo sono.

- Mi dispiace Kate, Rick dice sempre che tu sei la più brava di tutti. È colpa mia? - La sola idea che Joy pensasse di essere responsabile per qualcosa la fece scattare e risponderle con decisione.

- No Joy, tu non hai colpa di nulla. - Le fece una carezza e questa volta se la lasciò fare. Kate mosse la mano con delicatezza ed estrema lentezza sul suo volto, sforzandosi di non far vedere quando questo la emozionasse.

- Hai fatto un errore? - Chiese ancora curiosa

- Vedi Joy, non sempre le regole sono giuste. Magari lo sono in generale, però possono essere sbagliate in un caso particolare. Quindi sta a noi capire se vale di più rispettare una regola sbagliata o fare quello che è giusto.

- Non credo di capire, Kate. Non dobbiamo rispettare le regole? - Kate sorrise nel vedere la figlia confusa.

- Sì, devi rispettare le regole, ma alcune volte devi capire che ci sono delle cose che valgono di più delle regole. - Provò a spiegarle senza entrare troppo nello specifico. Non voleva dirle che non volevano che lei la salvasse, che capisse che era per quello che era stata sospesa. Avrebbe, però, voluto dirle che lei valeva più di qualsiasi regola e di qualsiasi lavoro, ma non era giusto caricarla in quel momento di quel peso.

- Come si capisce? - Le chiese ancora sua figlia.

- Quando è il momento lo capirai, ne sono certa. - Joy annuì pensierosa. Ci fu qualche momento di silenzio tra le due, silenzi che Beckett faceva fatica a riempire e nei quali Joy sembrava pensasse a tutto quello che le stava capitando. Kate vedeva come il suo volto cambiava espressione anche impercettibilmente, segno che stava ripercorrendo varie situazioni. Ogni tanto anche lei la guardava, cercando di capirla e Beckett per lei era disposta a mettersi a nudo, a presentarsi forse per la prima volta, totalmente senza difese davanti a qualcuno. Poteva fare di lei quello che voleva, lo avrebbe accettato.

- Kate, io non riesco a vederti come la mia mamma. Se penso a te, ti vedo più come amica. - Le disse seria dopo un lungo silenzio.

- Puoi vedermi come vuoi, Joy. Sta a te. Io… accetto tutto.

- Però Kate, gli amici non mentono, quindi è complicato. - Joy era seria, Kate invece sorrise e la cosa non sfuggì alla bambina che la rimproverò. - Perché ridi?

- È complicato. È una cosa che dico spesso anche io quando non so come esprimere qualcosa che sento.

- Uhm… però adesso è veramente complicato, non pensi?

- Sì, credo di sì… è molto complicato. Mi dispiace tanto Joy… Vorrei che fosse tutto più semplice, vorrei aver fatto scelte diverse.

- Kate tu pensi che io sono arrabbiata perché mi hai dato in adozione?

Beckett la guardò perplessa piegando la testa e scuotendola, non capiva.

- Io non sono arrabbiata per quello… tu eri giovane. Però non dovevi mentirmi. Dovevi dirmelo subito oppure non mi volevi nemmeno adesso? Hai lasciato che Rick si occupasse di me e non tu… Mi sarei arrabbiata però sarebbe stato diverso. Ora non so chi sei, io… non lo so…

- Sai chi sono Joy? Una persona che ha sbagliato tanto e sbaglierà ancora. Ma sono una persona che è molto orgogliosa, perché sua figlia è migliore di lei. Io… sono orgogliosa di te Joy e questo non cambierà, nemmeno se deciderai di non volermi vedere più. Ti voglio bene, spero solo che a questo ci credi, perché puoi non fidarti di me, puoi essere arrabbiata e delusa, però ti prego, credi al fatto che ti voglio bene e che te ne ho sempre voluto. Sempre Joy.

Fu Joy ad abbassare lo sguardo, adesso. Era confusa. Aveva voluto una mamma da sempre a Kate voleva bene, ma si sentiva tradita da lei.

- Ora devo andare. - Disse controllando l’orologio, ma soprattutto temendo che Rick potesse tornare e trovarla lì - Ma ti prometto che torno presto a trovarti.

Fuori dalla porta c’era ancora Martha che l’aspettava.

- Com’è andata Katherine? - Le chiese l’attrice accarezzandole un braccio.

- Abbiamo parlato, mi pare già qualcosa.

- Joy è una bambina adorabile, certo ha il suo bel carattere, come te del resto. Dalle tempo. - Le sorrise Martha.

- Tutto il tempo che vuole, Martha.

Quando stava per salutare l’attrice, vide Rick che stava arrivando con Alexis. Il volto di Castle si irrigidì immediatamente, mentre la figlia la salutò con un sorriso imbarazzato.

- Come mai qui Beckett? - Chiese Castle senza troppi convenevoli.

- Domani farò il prelievo per Joy, ero venuta a fare le ultime analisi. - Spiegò velocemente.

- È tutto a posto? - Si informò Rick

- Sì, va tutto bene. Io… ho visto Joy, adesso… mi ha detto che ha cominciato il trattamento.

- Ah, l’hai vista? Potevi chiedermelo.

- Ecco… Tu non c’eri… e… - Provò a giustificarsi davanti alla sua risposta secca

- Le ho detto io di entrare, Richard. Non credo che ci sia nulla di male se Joy riceve una visita di una persona che le vuole bene! - Intervenne Martha riprendendo il figlio che alzò un sopracciglio come se non fosse del tutto convinto dalle sue parole, ma evitò di innescare una polemica anche con sua madre.

- Comunque sì, ha cominciato il trattamento. Per ora sta bene e il dottor Thompson ha detto che in ogni caso gli effetti collaterali saranno limitati nel suo caso, vista la bassa intensità.

- Bene… Spero che stia bene… - Disse Kate con lo sguardo basso.

- Quello lo speriamo tutti. - Rispose Castle gelido.

- Ehm… Papà? Io vado da Joy, le porto le cose che mi ha chiesto. Ciao Kate.

- Ciao Alexis. - Contrariamente a quanto si aspettava, Alexis non si era mostrata ostile con lei. Guardò la grande busta con le cose che aveva preso per Joy e tra libri, dvd ed altri giochi riconobbe il bordo della scatola che aveva lei stessa visto a casa gli Austin, non avrebbe mai dimenticato quella scatola con le farfalle che conteneva tutti i suoi ricordi. Poi le due rosse andarono insieme nella stanza di Joy, lasciando Rick e Kate da soli.

- Castle, io non ti chiedo nulla adesso, solo di poter vedere mia figlia, ogni tanto. Di poterle parlare, cercare di spiegarmi. Non le voglio imporre la mia presenza, in nessun modo, però…

- Vediamo… Io… non so… sto parlando con un terapeuta, per capire cosa è meglio per lei e vorrei che ci parlasse anche Joy… Non voglio rischiare di farle male o di confonderla di più, soprattutto adesso.

- Questo non lo voglio nemmeno io. Come sta vivendo questa possibilità del trapianto e di poter guarire?

- Credo bene. - sospirò Rick - Anche se sarei un bugiardo se non ti dicessi che per adesso sta pensando più al resto che concentrarsi su questo. Sto cercando piano piano di spiegarle che il dopo sarà lungo ed un po’ difficile, ma lei non si preoccupa e non si spaventa mai, come te, no? Io sono terrorizzato, invece.

Kate non capì se la risposta di Castle era ironica o no. Colse preoccupazione e sarcasmo nelle sue parole, o forse era semplicemente tornata ad essere diffidente verso tutto quello che diceva, anche se poteva vedere il sincero dispiacere e preoccupazione in lui.

- Sono terrorizzata anche io, Castle. Ed il non poter fare nulla, non poter controllare gli eventi mi fa stare peggio. - Ammise sincera.

- Beh, sì, funziona così con i figli… Se fossi stata con lei lo avresti provato qualche migliaia di volte negli ultimi dieci anni. - Rick non si tenne da lanciarle un’altra stoccata che Kate accusò in silenzio, poi facendo finta di nulla, cambiò discorso. - Al distretto? Novità?

- No. Sto aspettando la decisione della disciplinare intanto continuo ad essere sospesa. Ma non ci penso per adesso.

- Cosa rischi Beckett? - Aveva cambiato espressione, sembrava realmente preoccupato per lei.

- Il posto, la carriera, il lavoro… Non lo so… Cosa c’è, Castle, ti preoccupi che non sia una buona pubblicità per il tuo romanzo in uscita il fatto che sia ispirato ad una poliziotta che può essere cacciata? Sempre che non cambi idea e scrivi qualcos’altro. - Fu lei ad essere sarcastica infine, sapeva che non lo aveva detto per quello, ma era lei a volerlo colpire adesso.

- Il libro è quasi finito e no, non cambio idea. È sempre ispirato alla migliore detective di New York, nonostante tutto.

- Sono felice di sapere che almeno professionalmente continui a stimarmi, Castle è già qualcosa. Ora devo andare…

Si allontanò senza dire altro e fu lui a voltarsi guardandola andare via. Frugò nella sua tasca fino a trovare il cellulare. Il numero che cercava era in memoria, tra i preferiti.

- Bob? Ciao sindaco, come va? No, non posso per ora organizzare nulla, è una situazione un po’ particolare, poi ti spiegherò meglio, però ho bisogno di un favore… Ti ricordi quella detective che sto seguendo per i miei nuovi romanzi? Ecco, mi serve che fai una telefonata a James… sì, James Deloney, il capo della polizia… Ha avuto un piccolo problema durante un’operazione e le stanno facendo più problemi di quanto dovrebbero, tra l’altro per una cosa che mi riguarda… Grazie Bob, ti farò vincere alla prossima partita a poker, promesso!

Arrivata a casa anche Kate aveva ripreso la sua scatola. Riguardò le sue foto, quei capelli più lunghi che da tanto non portava più, le ecografie, le lettere, il diario… Non ebbe il coraggio di leggerlo, ricordava benissimo cosa aveva scritto e soprattutto il suo stato d’animo. Prima e dopo.

Quella notte, quella maledetta notte di fatto non le aveva portato via solo sua madre ma l’aveva messa in condizione di rinunciare anche a sua figlia. Frustrazione, ecco cos’era quel sentimento che cresceva prepotente, perché dopo più di dieci anni non sapeva perché la sua vita aveva cambiato all’improvviso rotta in modo così deciso, perché tutto era crollato. Casualità. Questo le avevano detto. Era stato un caso, come si dice in situazioni simili, la persona sbagliata nel luogo sbagliato. Capita. Quindi lei non aveva qualcuno con cui prendersela, solo il caso, il destino, se sua madre era morta, se la sua vita era stata stravolta, se suo padre era piombato nel tunnel dell’alcool e se lei non si era sentita abbastanza forte per crescere sola sua figlia. Era solo colpa del caso. Era stato facile archiviare tutto così, uno dei tanti omicidi mai risolti che ci sono a New York, lei era solo una delle tante famiglie che ricevevano in cambio solo un “mi dispiace”. Era per quello che aveva deciso di diventare poliziotta, perché non voleva che altre famiglie avessero in cambio solo frasi di circostanza al posto di un colpevole. Perché ormai nei suoi anni di esperienza una cosa l’aveva capito: non si è mai uccisi per caso e lei prima o poi avrebbe capito chi e perché aveva distrutto la sua vita.

La sua scatola non era bella come quella di Joy, era un’anonima scatola di cartone scuro, senza scritte o altro. Non aveva bisogno di identificarla, aveva sempre saputo cosa era anche se non l’aveva mai voluta più aprire. Era rimasta sempre nel fondo di qualcosa, un armadio, una scatola più grande. L’aveva spostata durante i traslochi e le ristrutturazioni e poi rimessa sempre in fondo a tutto, anche ai ricordi. Ora no, quella scatola non doveva più essere sepolta, quella scatola era una storia che doveva essere alla luce del sole, in quella scatola c’era lei, quella parte di lei che non aveva più ragione di nascondere. La mise in una borsa, insieme ad un cambio, una camicia da notte ed il suo beauty case.

Si era appena lasciata andare sul divano quando le squillò il cellulare. La commissione degli affari interni si sarebbe riunita la mattina successiva e lei si sarebbe dovuta presentare per dare la sua versione. Fu ferma ma decisa nel dire che non ci sarebbe stata. Il capo del Bureau con il quale stava parlando le ricordò che non stavano giocando e che quello era il primo dei colloqui dai quali dipendeva il suo futuro e la sua carriera. Si prese la lavata di capo dal suo superiore, ma non cambiò idea. Lei nei prossimi giorni aveva un impegno inderogabile, avrebbe mandato poi tutti i certificati dall’ospedale, ma non era una cosa che poteva rimandare. Le chiesero se era più importante anche della sua carriera, non esitò nel rispondere che era più importante di tutto.

Era arrivata in ospedale presto quella mattina ed era passata subito al reparto di Joy. Il dottor Thompson aveva appena finito il suo turno di notte e la vide mentre aspettava al desk vuoto delle infermiere, impaziente, con la sua borsa a tracolla.

- Buongiorno Katherine, è un po’ presto per il ricovero. Mi ha detto il mio collega che il prelievo sarà nel pomeriggio.

- Sì, ma volevo passare da Joy, prima. Come sta?

- L’ho vista pochi minuti fa, ha appena cominciato il trattamento. Ancora nessun sintomo, la teniamo sotto controllo. Ma lei è molto forte e non si lamenta mai. È una dura e forse so da chi ha preso adesso, non ha solo la sua bellezza, detective.

Kate ancora si imbarazzava quando le facevano notare alcuni tratti in comune con sua figlia. Non era abituata. Sorrise arrossendo un po’.

- Venga, l’accompagno. - Le disse il medico facendole strada verso la camera di Joy.

- È sola? - Chiese stupita.

- Sì… So che ieri ha insistito per non far rimanere qui tutta la notte Castle o sua madre. Ha un bel caratterino indipendente, alla fine li ha convinti.

- Ehy Joy, come va? - Chiese il dottore entrando da lei.

- Tutto bene, grazie.

- C’è una visita per te. - Aprì la porta facendo entrare Kate. Joy era sdraiata su un fianco con la flebo nel braccio, un po’ rannicchiata. Il dottore se ne andò lasciandole sole.

- Ciao Joy…

- Ciao Kate. Oggi ricoverano anche a te? - Chiese vedendo la borsa che portava ancora a tracolla.

- Sì, sarò un piano sotto di te, così mi hanno detto.

- Hai paura? - Le chiese sua figlia.

- No, non ho paura, perché dovrei? - Si sedette vicino a lei in modo che la vedesse meglio.

- Quando venivo a fare le trasfusioni tempo fa c’era un bambino che aveva fatto il trapianto ed era stata la sorella a donare per lui e raccontava sempre che la sorella era fortissima perché diceva che faceva molto male.

- Non ti preoccupare Joy, a me non farà male. - La accarezzò scostandole i capelli dal viso. - Hai dormito questa notte piccola? Mi sembri stanca…

- Sì… il dottor Thompson dice che è questa cosa che mi stanca… lo sono un po’, infatti.

- Vedrai, quando tutto questo sarà passato poi starai bene… - provò a rincuorarla, non sapendo in realtà cosa dire.

- Tu ne sei sicura? Che poi starò bene?

- Io ci spero tanto Joy, le possibilità sono molto alte che tutto vada per il meglio. - Joy annuì e Kate si sentì in parte in colpa per non averle preventivato un esito sicuro al cento per cento, ma non voleva prenderla in giro o illuderla e lei le sembrava capace di sopportare la verità meglio di molti adulti.

- Joy… senti… Io so che ti ho promesso di non insistere o di farti pressioni… Però… Ho una cosa per te. Una cosa che vorrei che tu avessi.

- Cosa è? - Chiese vedendo Kate tirare fuori dalla borsa la sua scatola.

- Sono delle cose mie, sono tutto quello che avevo di te che ho conservato. Non è molto, però… Tienilo tu. Se ti va, se ne hai voglia, puoi vedere. Ci sono delle foto di quanto aspettavo te, le tue ecografie, la musica che ascoltavo e che ti facevo sentire quando eri nella mia pancia, alcune cose che ho scritto…

- Perché le dai a me? Non vuoi più tenerle? - Le chiese perplessa.

- No… al contrario. Questi giorni le ho guardate spesso tutte quelle cose… Però penso che magari potrebbe piacerti vedere qualcosa di prima di nascere e se ti va, vedere come ero io. Te la lascio qui… - disse poggiandola sul comodino.

- No, Kate, potresti metterla qui? - Le indicò uno spazio sul letto, dove avrebbe potuto prenderla agevolmente da sola.

- Certo, dove vuoi tu. - Vide la mano di sua figlia appoggiarsi sulla scatola senza aprirla. Kate la prese alla sprovvista quando si chinò su di lei per darle un bacio sulla guancia, non si era potuta trattenere. - Io ora vado, mi aspettano per fare tutte quelle noiose cose burocratiche prima di darmi la mia stanza.

- Ciao Kate - La salutò Joy mentre accarezzava la scatola.

- Ciao piccola…

Ogni volta che usciva da quella stanza lasciava una parte di sé lì con lei.

Joy aspettò di essere sola, poi la curiosità ebbe la meglio su di lei, e si tirò sù per esaminare il contenuto di quella scatola.

Per la prima volta nella sua vita provò la sensazione di sapere chi fosse. Non era una bambina arrivata per caso non si sapeva da dove. Era stata a casa di qualche sua amica e vedeva la sua storia, le foto della madre incinta, le ecografie, le sue prime immagini… Lei, invece, era solo nata, anzi le prime cose erano di qualche mese dopo la sua nascita. Lei non aveva mai avuto una storia ed ora quella storia, invece era lì, tra le sue mani. Vide il braccialetto con il suo nome scritto sopra e quel numero, era uguale a quello che avevano conservato per lei. Il suo legame con Kate non era qualcosa di astratto, ma lì in quel momento vide che c’era un legame vero tra loro, anche se era difficile accettarla come madre.

Sfogliò poi le foto, notando il sorriso di Kate nelle prime e poi le altre dove invece non sorrideva più. Era più giovane, aveva i capelli lunghi, come i suoi. Pensò che non aveva immaginato mai sua mamma così, ma sempre come una signora molto più adulta, Kate lì sembrava proprio una ragazzina. Guardò poi quelle strane cose che erano delle cassette, non aveva idea di come funzionassero, ognuna era molto più grande del suo ipod ed aveva solo poche canzoni da quello che leggeva nel retro, ma non ne conosceva nemmeno una. C’erano un paio di scarpe, un bavaglino rosa, le ecografie e tanti fogli scritti. Joy per la prima volta sentì di sapere da dove veniva.

- Ehy JJ, come stai? - Castle era entrato con tutto il suo buonumore nella stanza, portandole uno dei suoi cibi preferiti, le crepes. Era riuscito ad ottenere uno strappo alla regola per lei quel giorno.

- Ciao Rick! Bene, grazie! - Lo salutò entusiasta.

- Guarda cosa ho io qui? Crepes e dopo ce le mangiamo insieme! Tu invece? Cos’è quella? - Chiese vedendo la scatola.

- Me l’ha portata Kate… ci sono le foto mie di prima che nascessi. Le vuoi vedere? - Gli propose ma Rick si rabbuiò per un attimo

- No, casomai un’altra volta. Dai mettiamo via queste cose… - Disse prendendo la scatola ed appoggiandola nell’armadio in fondo alla stanza, poi tornò da lei. - Allora, programmi per la giornata Joy?

- Puzzle, storia, colori e…

- … E cartoni! - Concluse Rick facendola sorridere mostrandole alcuni dvd nuovi di zecca che aveva nella tasca della giacca. Joy allungò le braccia per abbracciarlo, ma non potè sporsi di più per via della flebo. Fu lui quindi a raggiungerla e stringerla.

- Grazie Rick! - Gli disse mentre lo abbracciava.

- È un piacere piccola, ti voglio bene.

- Ti voglio bene anche io Rick. - Appoggiò la testa sulla sua spalla. Stava così bene tra le braccia di Rick.

- Allora Katherine, respiri qui, poi pensi a qualcosa di molto piacevole e si rilassi…. - L’anestesista le appoggiò la mascherina sul viso, Beckett fece un respiro profondo, pensò a quando lei e Joy nuotavano insieme in piscina, negli Hamptons e con quel pensiero si addormentò.

Le avevano consigliato l’anestesia totale, perché non sapevano ancora di preciso quante iniezioni avrebbero dovuto farle e quanti prelievi, per quella procedura non c’era un protocollo ben stabilito e volevano evitare di non avere abbastanza materiale o abbastanza buono da poterci lavorare, quindi il suo prelievo fu maggiore di quelli standard. Non avrebbe comportato rischi per la sua salute, solo più fastidio nell’immediato dopo il risveglio con più dolore locale e più spossatezza. Tutto le avevano detto sarebbe sparito in un decina di giorni al massimo e l’avrebbero tenuta lì 48 o 72 ore in osservazione.

Si risvegliò nella sua camera, sola, così come si era addormentata: solo Castle e la sua famiglia sapevano che era lì quel giorno, non aveva detto niente ai suoi amici nè a suo padre. Provò a muoversi ma si sentì legata, guardò il braccio e seguì con lo sguardo il tubo rosso fino ad una sacca in alto. Era tutta indolenzita, sentiva le gambe pesanti e la gola secca, ma soprattuto un forte dolore al bacino, un bruciore come se avesse un fuoco acceso all’interno.

Si passò la mano libera sul volto guardò l’orario sull’orologio sul muro, erano passate più o meno tre ore da quando aveva lasciato la stanza.

- Si è svegliata, salve Katherine. - Era entrato il dottor Porter, colui che aveva eseguito il prelievo.

- Salve dottore. È tutto a posto?

- Tutto bene, la mia equipe sta già lavorando per ripulire il suo midollo, poi verrà conservato in azoto liquido fino a quando non potremo impiantarle in Joy.

- È andato tutto bene, quindi?

- Non si preoccupi Katherine, è andato tutto benissimo in questa prima parte.

- Dottore, cos’è? - Disse indicando la flebo.

- Una trasfusione, per farla recuperare più facilmente. Tra poco sarà finita, non si preoccupi. È solo a scopo precauzionale. Ora vado, ci vediamo più tardi.

Si rannicchiò nel letto aspettando pazientemente che tutto il liquido scendesse, ma di pazienza in realtà ne aveva poca e dopo poco cominciò a diventare insofferente a quello e al dolore. Pensò a Joy, che viveva quella situazione più volte ogni mese e si sentì patetica e inadeguata. Ebbe una stretta allo stomaco ripensando alla sua piccola vista quella mattina, a quanto lei era forte e non si lamentava, nonostante tutto. Non era vero che era come lei, era molto meglio. Strinse il lembo del cuscino ed affondò il viso per nascondere singhiozzi e lacrime.

- Sai anche Joy si mette così. Rannicchiata anche dallo stesso lato.

Beckett alzò la testa e vide Martha vicino alla porta che si avvicinava. Si sedette sul bordo del letto e le passò un fazzoletto che aveva sul comodino.

- Cosa succede Katherine? C’è stato qualche problema? Il dottor Porter ci ha detto che è andato tutto bene.

- Non ti preoccupare Martha, è andato tutto bene.

- Allora cosa c’è? Perché stavi piangendo? - Chiese la donna accarezzandole i capelli in un gesto materno, così come lei aveva fatto con sua figlia quella mattina.

- Stavo pensando a Joy… e mi manca… è assurdo no? Che lo dica io che l’ho abbandonata per dieci anni.

- Non c’è niente di assurdo nel cuore di una madre Katherine. Ma sappi che Joy è serena, è proprio sopra di noi e l’ho lasciata poco fa che guardava un film con Alexis. Le ha fatto spazio nel letto, l’ha fatta sdraiare vicino a se e si sono messe a vedere il film sul computer. Alexis le vuole molto bene e credo che la cosa sia reciproca.

- Grazie per tutto quello che fate per lei. Finalmente è stata fortunata.

- Oh lo puoi ben dire! Ha conquistato tutti in questa strampalata famiglia e poi ha ritrovato sua madre. Credo che questa per lei sia una fortuna insperata.

- Non credo che lei la pensi così. - Sospirò Kate mentre Martha le prese la mano.

- Magari non adesso, ma poi lo capirà e capirà di essere stata molto fortunata.

- Grazie Martha… anche per essere qui. - le disse trattenendo le lacrime.

- Non ringraziarmi ed asciughiamo queste lacrime impertinenti! - le sorrise appoggiando il fazzoletto sul suo volto con il tocco leggero di chi spande la cipria. - Ecco, tieni, bevi un po' d’acqua.

Le passò un bicchiere di acqua fresca che Beckett bevve avidamente sotto lo sguardo bonario dell’attrice che sembrava essere l’unica in quei giorni a portarle parole di conforto.

L’avevano dimessa quella mattina. Kate stava rimettendo le sue cose nella borsa, aveva indossato un paio di jeans puliti con una tshirt bianca, aveva anche abbandonato le sue immancabili scarpe con i tacchi per un paio più comode di tela da ginnastica. Si sciacquò il viso e si specchiò nel piccolo bagno della sua camera in ospedale, singola, perché come si era lasciata sfuggire un infermiera, era il signor Castle ad occuparsi di tutti gli extra. Avrebbe quantomeno dovuto ringraziarlo. Non era stata molto bene in quei due giorni lì in ospedale, doveva ancora capire se per motivi solo fisici o altro, ma aveva sentito il peso di tutta quella situazione schiacciarla pesantemente e si era sentita troppo debole per sostenerlo. Aveva tenuto il cellulare spento ed evitato ogni incontro con i suoi amici. Non voleva essere compatita.

La sua borsa senza la scatola era molto più leggera, ma era piena e pesante di tutto quello che quei tre giorni le avevano lasciato. La chiacchierata con Joy dove aveva voluto vedere qualche spiraglio positivo per il loro futuro, c’erano le sue paure che aumentavano e si amplificavano man mano che prendeva coscienza di se e del suo ruolo, c’era l’affetto sincero di Martha che ogni giorno era passata a salutarla senza mai farle mancare una parola di conforto e un po’ di quell’affetto che sentiva di aver bisogno di ricevere, Martha che non faceva mai domande e non chiedeva spiegazioni, Martha che mai le aveva chiesto il perché di tutto, come se non ne avesse bisogno o come se già conoscesse la risposta. Chiuse la borsa, portandosi dietro tutto quello, step indispensabili pensava. Parlò ancora con il dottor Porter che si assicurò del suo stato di salute, il dolore locale stava sparendo, per il resto lui non avrebbe potuto farle niente, poi firmò le sue dimissioni e prima di andarsene, quando era in ascensore, invece di scendere al piano terra, salì al piano superiore.

Bussò alla porta della camera di Joy, poi la aprì piano per entrare. Non era sola. Rick era seduto vicino a lei e la accarezzava amorevolmente. Si voltò, sentendola entrare, diede un bacio a Joy che sembrava dormire e andò verso Kate portandola fuori.

- Volevo solo salutarla. - Si giustificò lei.

- Non è il caso adesso. - Disse Rick serio.

- Cosa c’è? - Chiese Kate preoccupata

- I primi effetti della terapia. Stanotte non è stata bene, è molto debole adesso e… niente, non è stata bene.

Castle le parlava a bassa voce, sembrava provato e Kate si allarmò ancora di più.

- Che cosa vuol dire non è sta bene, Castle? - Ora la sua voce era più risoluta.

- Nausea, vomito, febbre, non ha dormito mai stanotte, sono venuto qui ieri sera appena mi hanno chiamato… Si è addormentata poco fa. Ho chiamato Thompson, abbasseranno un po’ i livelli nei prossimi giorni e vedranno come va. Al momento sembra troppo debole…

- Potevi avvisarmi. - Gli disse non ricordandosi che aveva tenuto il cellulare spento tutto il tempo che era stata lì. Lo accese immediatamente per vedere se avesse avuto delle chiamate ma lui le rispose prima.

- Non ce n’era motivo.

Kate lo guardò scuotendo la testa e sbattendo le palpebre più volte. Cosa voleva dire che non c’era motivo? Era talmente stupita da quella sua risposta che non riuscì a ribattere.

- La posso vedere adesso? Solo pochi minuti, Castle. - Lo pregò.

- Meglio di no, Beckett… Meglio se Joy non subisce altri stress.

Quindi lui la vedeva così, uno stress per lei, una fonte di malessere, un agente esterno nocivo. Si appoggiò con la schiena alla parte, prendendosi il volto tra le mani e mentre lui stava rientrando lo fermò.

- Puoi dirle almeno che sono passata? Che avrei voluto vederla e che… niente… che le voglio bene.

- Sì, certo. Glielo dirò.

Castle si richiuse la porta dietro le spalle e Beckett era convinta che invece non glielo avrebbe mai detto.

Furono giorni difficili, per tutti, soprattutto per Joy. Avevano pensato di sospendere tutto ed aspettare che il suo fisico fosse stato più in forze, pensavano di aver sopravvalutato la sua capacità di sopportazione, poi però lei come al solito li aveva stupiti, mostrando grinta e determinazione ed aveva chiesto lei stessa di andare avanti, sopportava, ce l’avrebbe fatta. Una scelta del genere non poteva essere lasciata ad una bambina così piccola, ma il dottor Thompson li rassicurò, dicendo che se lei se la sentiva, non c’erano altri impedimenti, che quelle reazioni erano normali, quindi la terapia preparatoria proseguì. Sapevano già cosa sarebbe accaduto, gli Joy sarebbe stata trasferita dalla sua camera, che ormai grazie all’aiuto di Alexis aveva perso molte delle sembianze della stanza di un ospedale, in una stanza sterile, dove le avrebbero trasfuso il midollo osseo modificato prelevato da Kate. Sarebbe dovuta rimanere lì, da sola, per un paio di settimane almeno. Avevano già fatto vedere una situazione simile a Castle, per prepararlo. Una stanza con un vetro ed una sorta di telefono per comunicare con chi era dall’altra parte. Il suo commento più gentile fu che sembrava il parlatorio di un carcere. Non poterono dargli torto.

Da tutto questo c’era una persona che era stata drasticamente esclusa, ed era Kate. Non aveva avuto più contatti con Joy dalla mattina in cui le aveva portato quella scatola e si arrovellava pensando che invece che farla avvicinare di più le avesse provocato pensieri opposti. Pensava e ripensava al suo contenuto, eppure non c’era niente, secondo lei, che non dimostrasse solo quanto l’avesse amata, da subito, e quanto era stato difficile allontanarsi da lei. Solo Martha era rimasta in contatto con lei, la aggiornava sullo stato di salute di Joy, era al telefono con lei che aveva pianto, senza riuscire a contenersi, quando le aveva detto che stava male e che forse avrebbero dovuto annullare tutto. Era con lei che condivideva le sue speranze e le sue preghiere.

Rick era seduto sul letto di Joy. L’avrebbero spostata da lì entro poche ore perché rimanere a contatto con gli altri ormai era troppo pericoloso per il suo fisico senza alcuna protezione.

Le accarezzava il dorso della mano con il pollice, mentre lei teneva stretta la sua.

- Joy, c’è una cosa che voglio dirti, perché voglio che capisci quanto sei diventata importante per me. Io… Ho detto al mio avvocato di preparare tutte le pratiche per la tua adozione. Voglio che rimani con me, che ti senta a tutti gli effetti parte della famiglia. Non sarai sola Joy, non lo sarai mai più, te lo prometto.

- Sei sicuro Rick? Anche se non dovesse andare bene?

- Certo, soprattutto se non dovesse andare bene, JJ. Ma io sono sicuro che andrà tutto benissimo e ti prometto che quando tutto questo sarà finito faremo tutte quelle cose che vorrai fare.

- È vero che quest’anno per un po’ non potrò andare a scuola?

- Sì, è vero. Dovrai stare a casa per un po’…

- E non è grave? Dico… se poi non sono promossa?

- Non è importante se non sarai promossa. Ma sono sicuro che Alexis ti aiuterà a tenerti sempre al passo con gli altri tuoi compagni e poi non ti dimenticare che qui davanti a te c’è un grande scrittore, almeno per tutte le materie letterarie devi stare tranquilla!

- Grande scrittore eh? - Disse facendo una smorfia.

- Cosa, dubiti delle mie qualità artistiche? Mi sento offeso! - Rispose Rick enfatizzando in modo teatrale le sue parole facendola ridere.

- Hai finito il nuovo libro? Quello che scrivevi negli Hamptons?

- Quasi… Manca poco.

- È strano sai? Hai fatto un libro ispirato alla mia mamma… cioè, a Kate… - si corresse Joy e Rick sorrise ancora, ma in modo più tirato.

- È una brava poliziotta. - Joy annuì senza dire altro.

- Mi mancherai in questi giorni Rick.

- Mi mancherai tantissimo anche tu JJ, ma mi hanno detto che c’è un modo per parlarci e io sarò lì fuori così ogni volta che vorrai dovrai solo battere sul vetro ed io arrivo e poi avrai un computer con il quale potrai parlare con chiunque. Passeranno presto, vedrai.

Joy abbracciò Rick che la tenne stretta a se fino a quando non arrivò un infermiera che gli comunicò che era ora di andare.

- Ti voglio bene. - Le disse prima di uscire da lì.

- Perché non vuoi che la veda? - Appena fuori dalla stanza c’era Beckett ad aspettarlo. Non gli diede nemmeno tempo di riprendere fiato che lo aggredì.

- Non mi pare questo il momento né il posto di parlare, Beckett. - Le rispose allontanandosi.

- Invece sì, voglio una spiegazione, Castle e la voglio adesso. - Lo bloccò tenendolo per un braccio. Lui si fermò e la guardò cercando di ricomporsi.

- Perché credo che in questo momento la tua presenza vicino a Joy non sia di aiuto per lei. Ha molti pensieri, è già abbastanza confusa e preoccupata di quello che accadrà che aggiungere a questo anche una madre che riappare dopo dieci anni non mi sembra il massimo te l’ho già detto. - Kate aveva colto come aveva enfatizzato la parola madre, quasi a prenderla in giro.

- Castle io voglio solo farle sapere che ci sono se ha bisogno di me e che le voglio bene. Nulla di più.

- Lo sa che ci sei, adesso. Ma a me di cosa vuoi tu non interessa. Io voglio solo fare il meglio per lei e tu Beckett, adesso, non lo sei.

- Perchè non provi a cercare di capirmi Castle? A metterti nei miei panni…

- Io… cosa? Mettermi nei tuoi panni? Nei panni di chi? Di una madre che lascia sua figlia e che le mente per mesi e che mi mente per mesi nonostante… nonostante tutto quello che ti ho detto e che… Erano tutte bugie, vero Kate? Non c’era mai niente di vero tra noi… Mi hai ferito Beckett, mi hai fatto male e da te non me lo aspettavo. Io non posso mettermi nei tuoi panni, perché io sono dall’altra parte, sono sempre stato dall’altra parte, da chi vede una madre lasciare la propria figlia ed andarsene perché è più facile così e se ne frega di lei e di quello che ne sarà, si dimentica gli auguri a Natale e i compleanni e… Non posso mettermi nei tuoi panni io Beckett. Non io… - La voce di Rick si stava incrinando sempre più e gli occhi erano più lucidi. Di chi stava parlando adesso, di Kate o di Meredith? Non lo sapeva più nemmeno lui. Kate lasciò la presa sul suo braccio e nel farlo a lui parve che gli stesse facendo una carezza.

- Mi dispiace. Per tutto, Castle. Ma… Non erano bugie… io… non erano bugie… non quello… non tra noi… So che non lo farai, ma magari alla fine ti convincerai, dì a Joy che mi manca e che le voglio bene.

Si guardarono senza dirsi più nulla, poi Kate si allontanò. Si fermò a metà del corridoio e si voltò verso di lui che era sempre lì, fermo.

- Io non dimentico i compleanni. E Joy non è nata il 23 giugno, ma il 22. Era mattina presto e… Non dimentico quando è nata mia figlia. Non dimentico nulla di quel giorno. Ma tu non puoi capire.

I trattamenti medici descritti nel caso non sono fedeli con quelli dei protocolli standard, soprattutto per le tempistiche che sono in realtà ancora più lunghe, sono solo verosimili per adattarli ad una fiction.
Esiste, invece, una sperimentazione da qualche anno per curare così la betatalassemia ed una delle città dove è stata sperimentata per prima è stata proprio New York.

“Sta andando tutto bene. Dalle analisi appena fatte il midollo è attecchito i valori di Joy sono perfettamente nella norma di quelli che ci aspettavamo. Direi che possiamo scongiurare possibilità di rigetto adesso e la bambina sta reagendo al meglio.”

Quelle parole del dottor Thompson avevano fatto scoppiare Rick in un pianto liberatorio. Era solo quando glielo aveva detto, lo aveva chiamato nel suo studio e lui già stava pensando al peggio. Erano passate tre settimane dall’ultimo contatto avuto con Joy. Tre settimane di attesa, di saluti da un vetro, di chiacchierate al telefono, storie inventate per tenerle alto il morale, ma questo nei giorni migliori. Perché ce ne erano stati altri in cui era troppo debole anche per alzarsi e comunicare e quindi al massimo la poteva vedere dal vetro e salutarla da lontano. Ogni volta che vedeva come si sforzava per sorridere si sentiva male eppure non doveva farle vedere nulla. Si chiedeva dove lei trovasse tutta quella forza ed un giorno fu lei stessa a dirglielo. “Non ti preoccupare Rick, sono abituata a stare sola”. Si sentì morire dentro e poi la sua rabbia aumentò, perché sapeva che c’era solo una persona responsabile di tutto quello. Perché immaginò quella bambina sempre più piccola, nella sua mente che riavvolgeva il nastro di una vita che poteva solo immaginare, sola. Sempre sola. Su un letto che diventava sempre più grande per il suo corpo piccolo di bimba e poi neonata. Ed era sola. Non c’erano braccia che la cullavano, che la facevano giocare, la vedeva come una dei tanti numeri di cui qualcuno si prendeva cura solo quando doveva. Pensava a lui che non lasciava mai Alexis appena nata, che passava le notti sveglio a guardarla, a rispondere ad ogni suo sorriso, anche quelli che non le faceva e che immaginava solo lui. Poi ripercorse i primi anni di sua figlia, quando poi Meredith li aveva lasciati e i pianti di Alexis, inizialmente inconsolabili, perché non capiva, non sempre, e quanto lui si era sforzato per non farle mancare niente. Joy invece non aveva avuto niente di questo, se piangeva aveva imparato a consolarsi da sola e poi a non piangere più. Era lei quella forte, quella che voleva far forza anche a lui. Solo in quel momento pensò che non era stata solo Beckett ad abbandonarla, ma anche suo padre, quel padre di cui Kate non aveva mai parlato: anche lei era destinata a non sapere mai niente di suo padre? Di vivere come lui nella menzogna? Non pensò, che invece per Joy poteva già essere tanto, più di quanto avesse mai immaginato di poter sapere di sé.

Con Kate si erano ignorati. Lei evitava di andare in ospedale quando sapeva di trovarci lui e se qualche volta lui la vedeva, faceva semplicemente finta che non ci fosse. Aveva saputo che un paio di volte anche lei aveva parlato con Joy, nonostante lui non volesse e che spesso stava lì la notte, quando lei dormiva, appoggiata al vetro a guardarla, una concessione che le aveva fatto Thompson, soprattutto dopo che era tornata a lavoro.

La sue sospensione alla fine era stata solo di due settimane, senza alcuna penalizzazione per la sua carriera. Le era andata di lusso, le avevano detto e che doveva ringraziare la sua buona stella che la proteggeva dall’alto. Non sapeva che era stato Castle, invece, a fare in modo che andasse così. Aveva, quindi, ripreso il lavoro a tempo pieno ed avere permessi era sempre più difficile, ma ogni suo ritaglio di tempo lo passava in ospedale, da Joy, anche se non era in contatto con lei quasi in nessun modo, sentiva di non poter essere in nessun altro posto. Aveva passato anche più di due giorni senza dormire, quelle notti subito dopo il suo trapianto, quando era stata male e non si allontanava un attimo da quel vetro. Era stato l’unica volta, in una di quelle notti, quando anche Castle le mostrò un minimo di umanità, quando anche lui era lì, vicino a lei, ad osservare Joy e le poggiò un braccio sulle spalle. Solo il tempo di capire cosa aveva fatto, poi si allontanò di un passo, ma per lei fu un iniezione di fiducia e conforto. Un silenzioso “ce la farà” che la rincuorò. Joy ce l’aveva fatta, almeno per adesso. La fase più critica era passata. Ora si trattava “solo” della lunga fase di ripresa. Sarebbe stata spostata entro un paio di giorni in una camera normale e poi se non insorgevano altre complicazioni, dopo un paio di settimane sarebbe potuta tornare a casa, dove avrebbe continuato il periodo più lungo di convalescenza.

Al distretto nessuno osava chiedere nulla di Joy. Ormai tutti sapevano ma facevano finta di nulla, perché Beckett non ne voleva parlare. Esposito e Ryan avevano parlato con Castle, si erano visti un paio di volte in un pub vicino all’ospedale, visto che non voleva mai allontanarsi troppo. Era diventato nell’ultimo anno un buon amico per loro e si erano sempre divertiti molto con lui nei paraggi, ma ora lo vedevano decisamente più preoccupato o teso. Gli avevano fatto capire che loro non prendevano parti, erano amici di Beckett, ma lei non aveva parlato con loro di Joy e per quanto gli fossero amici faticavano a capire le sue scelte, presenti e passate, così avevano offerto la loro compagnia a Castle, per farlo distrarre un po’, in quelle serate da uomini con tanti discorsi beceri e poco più.

Lanie aveva di tanto in tanto raccolto le confidenze e gli sfoghi di Kate, si era informata su tutto quello che Joy stava subendo e la rassicurava che tutto sarebbe andato bene, frasi fatte, che però la facevano stare meglio, per un po’. Anche suo padre la chiamava spesso, più del solito, con i sensi di colpa che lo divoravano. Si era chiesto più volte se lui non fosse stato così debole se Kate avrebbe preso decisioni diverse, ma lei gli ripeteva che ormai quelle domande non avevano più senso e non era colpa sua, ma di chi aveva ucciso sua madre che aveva scatenato tutto.

Il capitano Montgomery l’aveva chiamata in ufficio il primo giorno che era tornata in servizio, aveva parlato a lungo, spiegandole che avrebbe avuto tutto il suo appoggio vista la sua situazione. Beckett lo ascoltò in silenzio, ma si limitò a dirgli che i suoi affari privati non sarebbero entrati al distretto.

- Non è bello quando una mamma ti lascia. Ti fai tante domande. - Alexis aveva raggiunto Kate davanti al distributore automatico dell’ospedale. Quel giorno avrebbero spostato Joy in una stanza normale e lei sperava di poter vedere finalmente sua figlia. Si voltò a guardare invece la figlia di Castle che le parlava con le braccia incrociate sul petto mentre lei girava lentamente il suo caffè.4

- Vuoi qualcosa Alexis? -Le chiese gentilmente.

- No, solo parlare con te.

Beckett face cenno di sì con la testa e le due si accomodarono su un tavolo di fortuna creato in quel piccolo angolo ristoro.

- Sono qui, ti ascolto. - Le disse Kate.

- So che mio padre è molto arrabbiato con te e capisco anche il perché. So che invece mia nonna ti aggiorna su tutto e ti difende.

- E tu? Da che parte stai? Con tua nonna o con tuo padre? Almeno so cosa aspettarmi… - sospirò Kate che non si sentiva pronta ad un’altra battaglia dialettica, non con una ragazzina.

- Da nessuna parte. Credo che mio padre stia esagerando e che potrebbe almeno lasciarti parlare con Joy, però non capisco come mai mia nonna fa sembrare tutto quello che è successo, quello che hai fatto, come se non avesse alcuna importanza. Io… non capisco, veramente Kate. So cosa vuol dire sentirsi abbandonati dalla propria madre, anche se io Meredith ogni tanto la vedo e la sento, però quello che ho provato quando ero piccola e non mi davo pace era quello, l’abbandono. Ed io avevo papà e lui mi spiegava, a modo suo, mi dava delle giustificazioni, mi aiutava a capire. Joy era sola in tutto questo, senza nessuno. Io non riesco a capire Kate, perché?

- Alexis… io ti potrei dire semplicemente che è stato uno sbaglio, ma non è così. Io ero veramente convinta che fosse il meglio per lei, che avrebbe avuto una bella vita in una famiglia felice e pensavo che qualsiasi domanda potesse farsi del suo passato fosse qualcosa di meno doloroso da affrontare che la vita con me. Avevo nemmeno vent’anni, sono stata superficiale, forse. Non ho pensato che non poteva andare così, come avevo immaginato io, e forse non avevo pensato al peggio solo perché volevo darmi alibi. Però credimi, io Joy l’ho amata dal primo momento che ho saputo di lei e la spiegazione a tutto Joy ce l’ha, è nella scatola che le ho dato. Lì c’è tutta la storia della mia gravidanza, dell’unico periodo in cui io e lei siamo state insieme. Joy è stata la mia forza in quei mesi, anche se lei non lo sapeva. E l’unica cosa che posso dirti è che non l’ho lasciata perché era più facile, perché andarmene dall’ospedale senza di lei è stata la cosa più dolorosa che abbia mai fatto in vita mia e nemmeno perché così avrei potuto fare nella vita quello che volevo. Se in quel momento avessi visto una via d’uscita, per stare con lei, l’avrei seguita.

- Vuoi dire che non hai fatto come mia madre, quindi.

- Scusami, Alexis… io non volevo ferire anche te.

- No, non mi hai ferito, hai detto la verità. So com’è Meredith, ormai non mi ferisce più.

- Ne sei sicura? Guarda che non c’è nulla di male se pensi che ti manca la tua mamma… a me la mia manca sempre. - Ammise Kate guardando la ragazza davanti a lei. Alexis era molto più matura delle ragazze della sua età, un po’ come lo era anche Joy. Forse anche tra di loro c’erano più similitudini di quanto potesse pensare e forse era per quello che erano entrate subito in sintonia.

- Quello che forse mi è mancato non è Meredith, ma un’idea di mamma diversa, che lei non sarà mai. Una volta quando ero piccola sono stata ricoverata in ospedale, appendicite. Papà ha chiamato mamma per dirle di me, io l’ho sentito, ma lei non è venuta. Io avrei tanto voluto che venisse e non lo ha fatto. Mi dispiace che papà non vuole che tu veda Joy, però io glielo dico che tu sei qui, magari ora non le importa, poi però sarà contenta.

- Grazie Alexis. Per me vuol dire tanto… - Kate le prese la mano sul tavolo ed Alexis appoggiò la sua su quella di lei.

- Io ci credo che tu vuoi bene a Joy e secondo me ci crede anche papà… Però lui è tanto arrabbiato e non so, non credo che sia solo per Joy…

- No, probabilmente si è sentito tradito anche lui, perché non gli ho detto la verità.

- Sono cose vostre queste Kate… io non voglio mettermi in mezzo. A me dispiace solo per Joy, perché in questa situazione è lei che ci sta rimettendo. Ora devo andare, tanto per qualsiasi cosa ti senti con mia nonna, no?

Kate annuì rimanendo sola con un caffè ormai freddo.

Alexis era a casa, nella sua stanza. Ripensava alle parole di Beckett e a quelle risposte che diceva Joy avrebbe trovato nella scatola. Sapeva di cosa parlava, l’aveva presa lei il giorno che aveva liberato la stanza in ospedale e suo padre le aveva detto di portarla via, perché non voleva che Joy l’avesse intorno. L’aveva messa nella sua stanza al loft, così l’avrebbe ritrovata quando sarebbe tornata a casa. Era sola quella notte, Martha e Rick erano in ospedale. Si alzò ed andò nella stanza di Joy, si sedette sul suo letto ed aprì la scatola di Kate. Guardò le foto con tenerezza, poi prese il suo diario…

15 novembre 1998

Ciao, quindi ci sei. Non era solo una mia idea, è vero. Cioè tu sei vero. Sei dentro di me e cresci. Stai bene, mi hanno detto. Tra due giorni è il mio compleanno e sei un regalo strano, devo ancora capire bene tante cose. Mi ha fatto una certa emozione, però, leggere quei risultati. Per ora lo sa solo Kelly e lei era felicissima per me! Dice che sarai una bambina e che ti compreremo tanti vestiti e tante cose carine. Io non lo so, non riesco ancora ad immaginarti. Lo dovrò dire al tuo papà domani. Sono sicura che lui preferisce che tu sia un maschio. Per ora posso dirti solo che mi hai sconvolto la vita e che ho tanta paura. Però so che ti voglio già bene.

17 novembre 1998

Ciao. Ieri non avevo più voglia di scrivere nulla. Ho parlato con il tuo papà, anzi, con quello stronzo che si chiama Connor, perché lui non vuole essere il tuo papà. Abbiamo litigato, molto. Lui non ti vuole ma a me non importa così gli ho detto che i suoi soldi se li può tenere. Kelly dice che ho fatto bene, in fondo non ho bisogno di lui, soprattutto se non ti vuole. È un bel casino adesso, perché siamo soli io e te, però penso che ce la faremo, in qualche modo. Ah sì, oggi è il mio compleanno. Non avevo voglia di festeggiare ma Kelly mi ha portato dei pasticcini al cioccolato buonissimi e poi è andata a comprare un bavaglino rosa, per te. Io le ho detto che era un azzardo, se poi se maschio cosa ci facciamo? Però lei è convinta, al limite te lo metterò lo stesso, quando non ci vede nessuno. Comunque ci ho ripensato, sei un bel regalo di compleanno, forse il migliore e per ora sei solo mio.

30 novembre 1998

Ciao. Se scrivo male è perché sono ancora emozionata. Oggi ti ho visto, sei una cosa minuscola, troppo piccola anche per capire se sei un maschio o una femmina. Sai che ancora mi sembra impossibile che tu ci sei? Eppure ora mi accorgo di te, perché sto malissimo tutte le mattine per colpa tua, ma vabbè, ti perdono, ma solo perché ti voglio troppo bene cosino minuscolo che galleggi nella mia pancia. Oggi ho sentito anche il battito del tuo cuore, sembravi qualcosa di enorme e velocissimo e poi anche il mio ha cominciato a battere come il tuo, mi hai anche fatto piangere. Mi hanno dato una copia dell’ecografia, di fatto questa è la tua prima foto, anche se c’ho messo un po’ lì in mezzo a capire qual eri, ma per ora perdonami, poi diventerò più brava quando anche tu sarai più facile da vedere ed un po’ più grande!

25 dicembre 1998

Ciao. Buon Natale! Ti prego almeno in questi giorni dammi un po’ di tregua perché è difficile nascondere a mia madre che ci sei se tutte le mattine devo correre in bagno per vomitare. Lei è molto furba e si è già insospettita. Mi ha preso da parte e mi ha detto “Katie, sei sicura che non mi nascondi qualcosa?”, io ovviamente ho detto di no, negato tutto fino alla fine e tecnicamente ho ragione io, non le nascondo qualcosa ma qualcuno, te. In fondo lei è un avvocato e mi ha insegnato a giocare bene con le parole. Non so perché ancora non voglio dire niente di te a loro, forse per fargli passare le feste tranquilli, sicuramente la tua presenza li renderebbe felici ma preoccupati, o forse perché per un po’ voglio che tu sia ancora solo mio. Quando questa mattina ho visto il grande albero con tutti i regali sotto ho immaginato che il prossimo anno ci sarai anche tu che gattonerai sul pavimento guardando le luci e le palline. Ti comprerò un vestito tutto rosso e sarai un piccolo Babbo Natale, ti piace l’idea? Ieri intanto sono uscita e ti ho comprato il mio primo regalo, un paio di scarpette bianche. Scusa se un po’ mi vergognavo a dire che erano per te e mi sono inventata di dover fare un regalo ad una sorella che non ho, prometto che poi diventerò più brava.

8 gennaio 1999

Sei una bambina! Oggi ho chiamato Kelly per dirglielo e lei mi ha letteralmente urlato al telefono! Ho deciso che domani dirò tutto anche ai tuoi nonni, che ancora non sanno che sono i tuoi nonni, ma loro sono sicura che saranno felicissimi di te, probabilmente un po’ meno di me, ma non importa. La cosa più difficile in questi giorni è stata non farmi scoprire, mamma secondo me qualcosa sospetta, perché tu cominci a farti vedere ed io non mi sono mai vestita con cose troppo larghe, ma tu sei indiscreta piccola mia, che poi non sei più tanto piccola adesso. Ho un’altra tua bella foto, ora ti si vede bene, anche se stavi quasi sempre girata, secondo me hai già un bel caratterino dispettoso, sai? Intanto dovrò pensare ad un bel nome da darti. A me piace Charlotte e Alexandra. Anche Sofia, ma ci si chiama mia cugina, non vorrei che poi si montasse troppo la testa. Kelly invece vorrebbe che ti chiamassi Rose, come la protagonista del film Titanic, ma no, a me non piace proprio, gliel’ho detto. Però ancora ho tempo per scegliere il tuo nome e poi sono sicura che cambierò idea mille volte, ma quando ti vedrò saprò che nome darti.

25 gennaio 1999

Ciao, è passato un po’ di tempo ed è brutto dirlo, ma in questi giorni ti ho un po’ trascurato. Sono tornata a Stanford da qualche giorno e sto pensando a cosa fare. Ora siamo proprio sole io e te e non so come faremo. Come faccio ad essere la tua mamma se non so cosa fare e se la mia mamma non c’è più? A chi chiedo aiuto? Chi mi consiglia? Chi cancella i miei dubbi? Come faccio adesso?

La vita è ingiusta, sai? Mamma era una persona buona, una che aiutava sempre gli altri. Non meritava di finire così, con quel detective che nemmeno si interessava a lei. Avrai sentito la mia rabbia e il mio pianto. Non ho mai pianto così tanto. Ero arrabbiata con tutti, sono arrabbiata con tutti, tranne che con te. Ho litigato anche con mio padre, volevo dirgli di te, almeno a lui ed invece l’altra sera quando sono tornata a casa l’ho trovato ubriaco e mi ha cacciato via. Diceva che assomigliavo troppo a mia madre e non voleva vedermi. Non ho avuto la forza di aiutarlo e nemmeno di aiutare me stessa. Sono scappata e sono venuta qui. Ieri ho parlato con Kelly, ha vinto una borsa di studio a Londra per un anno. Ha detto che le dispiace non esserci quando nascerai, ma che verrà a trovarci spesso. Penso che torneremo a New York. C’è una piccola casa, era di mamma, la dovrò rimettere a posto. Per ora è il massimo che posso fare.

27 febbraio 1999

Oggi pensavo di essere impazzita, invece no, eri tu. Cominci ad essere ingombrante, sai? Ed anche a farti sentire e per la prima volta ti ho sentito. Ti sei mossa e l’ho capito. Mi hai fatto piangere ancora. Qui ha New York è freddo e fuori c’ancora la neve e mi sento stupida quando cammino e fatico a tenermi in equilibrio con te che sbilanci tutto. Ogni giorno è più difficile adesso. Ogni giorno ho più domande. Ogni giorno mi chiedo come faremo io e te. La casa è quasi sistemata o almeno è vivibile, per me. Sono andata a vedere tutto quello che servirà per te e non avevo pensato a quante cose servono per un bambino. Cosa potrò offrirti io? Non sei fortunata piccola, tra tutte le madri che potevi avere, ti è capitata la peggiore. Mi comincio a chiedere se potrò mai darti quello che dovresti avere. Sto provando a cercare qualche lavoretto da fare in questi mesi, ma non trovo nulla che possa permettermi di fare. I soldi del fondo dell’università stanno finendo ed è un casino. Ho provato a chiamare mio padre non mi ha risposto e anche a studio non lo vedono da tempo. Mary ha detto che l’ultima volta che è andato in tribunale lo hanno portato via perché era ubriaco. Non posso nemmeno chiedere aiuto a lui.

30 marzo 1999

L’unica buona notizia degli ultimi tempi è che tu stai bene. Il resto fa schifo. In compenso tu sembri felice, soprattutto quando ascolto la musica, credo che ti piaccia. Ti ho visto ancora, sei già bellissima, secondo me. Mi hanno confermato che sei femmina, ma ormai ne ero certa anche io, perché mi ero già convinta così. Oggi il dottore in ospedale mi ha fatto tante domande e a molte non sapevo rispondere. Ho tanti dubbi adesso, perché più passa il tempo più mi rendo conto di non essere pronta, che non so nulla e non ho nulla per te, a parte il fatto che ti voglio bene. Non basta, però. Oggi mi hanno fatto capire questo ma già lo sapevo. Sono nervosa, piccola, perché sto pensando qualcosa che non vorrei mai pensare, ma forse è l’unica cosa giusta da fare. Vorrei essere egoista e dire che non ti lascerò mai. Vorrei essere egoista e tenerti solo per me, per sempre. Ma non so se questo sarebbe il meglio per te.

25 aprile 1999

Mancano due mesi e poi ci separeremo. Assurdo. Però è la scelta migliore per te. Ho parlato molto in questi giorni con varie associazioni e psicologi e tutti mi hanno detto la stessa cosa, di pensarci bene ma di valutare. Mi hanno spiegato tutti i pro e i contro. Non pensavo a quelli per me, ma a quelli per te. Per me non ci sono pro, farei qualsiasi cosa per te, ma sarebbe sempre troppo poco per quanto ti voglio bene e per quello che vorrei darti. Non so cosa avrei fatto senza di te in questi mesi. Sei stata la mia ragione per andare avanti, ogni giorno, per non lasciarmi andare e mentre tutto il mio mondo mi crollava addosso, io pensavo solo a proteggere te e mi proteggevo. Non stai più ferma un attimo e mi fai compagnia. Kelly è venuta a trovarci e mi ha fatto tante foto con la pancia che ormai è la cosa che si vede prima di me, arrivi prima tu e poi io. Lei non sa niente di quello che ho deciso, non ho avuto il coraggio di dirglielo. Per un paio di giorni non ho pensato a niente di quello che sarà ed ho ascoltato tutte le sue idee fantastiche sul futuro, su quando sarà tornata. Mi ha detto che ha sentito Connor e gli ha detto di te, non so perché, magari pensava che cambiasse idea invece la sua unica preoccupazione era che non gli chiedessi soldi. Hai due pessimi genitori, piccola. Uno che non ti vuole ed io che ti vorrei ma non so come fare. Farò di tutto, però, perché tu possa avere una vita felice, anche se non sarò io a potertela dare.

4 giugno 1999

Ieri mi hai fatto preoccupare, sai? Credevo proprio che stavi per nascere, mi sono sentita malissimo. Il dottore ha detto che era un falso allarme, ma ora devo stare un po’ a letto. Sto diventando pigra e sembro una balena. Questi giorni mangeremo un bel po’ di schifezze perché non posso proprio andare a fare la spesa e siamo sole io e te qui. Forse ti sembrerò matta, ma sono felice che non era ancora il momento, così io e te possiamo stare ancora un po’ insieme. Non so se sono pronta a lasciarti andare, non so se lo sarò mai. Però tu piccola mia meriti una vita bella ed una famiglia che ti ami tantissimo. Anche io ti amo tanto, ma da sola non posso darti quello che meriti. È difficile sai? Più di quanto pensavo perché ormai mi sono abituata a te. Però mancano poche settimane ormai, il dottore ha detto 20 giorni circa. Spero che tu sia più pronta di me, perché io non lo sono per niente.

Ciao piccola mia,
Ieri ti ho salutato da lontano. C’era un vetro che ci divideva. Non ho mai sentito il tuo profumo, non ho mai accarezzato la tua pelle di bimba. Non ho sentito il tuo respiro o le tue mani su di me. Mi hanno detto che dopo era troppo difficile dirti addio, che non ce l’avrei fatta ed è stato già tanto difficile così. Ho sentito solo il tuo pianto, da lontano, perché ti hanno subito portato via. Avrei voluto prenderti in braccio, essere la tua mamma almeno per un momento, ma poi so che non mi sarebbe bastato ed avrei voluto esserlo per sempre.
Dentro di me, sarò sempre la tua mamma, ovunque tu sarai.
Abbiamo vissuto insieme nove mesi, siamo state insieme nella parte più difficile della mia vita e tu sei stata la mia roccia. Ora, però, era giusto dirti addio, piccola. Darti le ali per volare lì dove io non ti avrei potuto portare. Forse non lo capirai mai, ma l’ho fatto perché ti amo. Forse un giorno sarai madre anche tu ed allora mi capirai, perché saprai che cosa vuol dire separarsi da ciò che si ha di più caro per il bene dei propri figli. Se tu quello che ho di più caro ma io sono troppo poco per te.
Non sono abbastanza per te. Abbastanza forte, abbastanza pronta. Tu meriti il meglio ed io non posso dartelo e allora posso solo darti la possibilità di averlo, non importa se sarai lontana da me.
Mi mancherà non scoprire mai che suono ha la tua voce o vedere se un po’ mi assomigli, sapere quali sono le cose che ti piacciono di più e quelle che detesti.
Mi mancherà l’emozione di vederti camminare e poi correre e poi magari danzare o qualsiasi altra cosa tu vorrai fare. Mi mancherà osservarti crescere e vedere che da bambina diventi ragazza e poi donna.
Ti ho visto per un attimo e mi sono ancora più innamorata di te ed era vero quello che pensavo, il nome giusto lo avrei capito vedendoti e ti avrei chiamato Joy. Sono scappata via prima di cambiare idea, prima di essere troppo egoista per condannarti ad una vita con me e con i miei problemi. Sarai sempre la cosa più bella che abbia mai visto. Sarai sempre la mia Joy.
Magari un giorno mi perdonerai, magari quando leggerai questa lettera capirai che ti ho voluto bene e forse un giorno vorrai vedermi. Ci sarò sempre per te.
La tua mamma
Kate.

Alexis era ancora provata da aver letto i diari di Kate e si sentì in colpa perché era come se avesse violato la sua privacy, li aveva dati a Joy, per farli leggere a sua figlia, non a lei. Credeva, però, che se anche suo padre li avesse letti probabilmente avrebbe cambiato idea su Beckett e sarebbe stato meno aggressivo con lei. Kate aveva amato Joy dal primo momento, come le aveva detto e si percepiva dalle sue parole quanto fosse stato difficile separarsi da lei. Ripensò a quelle settimane appena passate, a Beckett in ospedale che passava lì tanto tempo per essere più vicina a sua figlia, anche se non la poteva vedere, se non le poteva parlare. La sua parte razionale le diceva che era un modo per compensare tutto quello che non aveva fatto per lei, la sua parte emotiva le diceva che le sarebbe piaciuto che anche sua madre qualche volta avesse fatto così. Cominciava a capire sua nonna, perché Martha da subito fosse stata così umanamente vicina a Kate, perché lei aveva vissuto più o meno la stessa cosa con suo padre, certo aveva fatto scelte diverse, sua nonna non si era arresa, lei ce l’aveva fatta, ma capiva che ogni situazione era diversa e che Kate era non solo più giovane, ma che aveva vissuto in pochi mesi molte situazioni devastanti.

Kate era stata richiamata dal distretto e doveva recarsi immediatamente sulla scena di un crimine. Avevano ucciso il figlio appena maggiorenne di un importante politico candidato al Senato e Montgomery aveva affidato a lei quel caso. Mentre parlava al telefono, cercando di prendere tempo per poter vedere Joy, fissava la sua stanza, senza concentrarsi troppo sulle parole del capitano, ma l’unica cosa che alla fine capì, perché lui gliela ripetè più volte, era che non poteva perdere altro tempo ed andare subito, ricordandole cosa era successo poche settimane prima e come fosse stata di fatto graziata. Quel caso, se risolto positivamente, avrebbe sancito la sua piena riabilitazione e lui non voleva che lei non sfruttasse quell’occasione.

A malincuore dovette andare via, sotto lo sguardo severo di Castle che da come parlava al telefono aveva subito capito di cosa si trattasse. Si guardarono in silenzio lei cercando di scusarsi, lui per farle capire tutto il suo disappunto, poi se ne andò, prima di vedere Joy.

Quel caso aveva occupato Beckett più di quanto avesse pensato, di quanto avesse voluto, ed era stata più volte sul punto di mollarlo perché sentiva di non essere del tutto focalizzata lì, che la sua mente andava sempre altrove, dove voleva essere, con Joy. Poi un dettaglio, trascurato a lungo, e tutto era cambiato. Aveva trovato la soluzione tanto cercata ma non era stato un sollievo. Ne aveva prima parlato con Montgomery ed anche lui non sapeva bene come muoversi, le aveva detto di fare attenzione e di esserne certa al 100%, altrimenti sarebbe stata la sua fine. Ma Beckett era certa, sapeva che quella prova era inconfutabile e che l’assassino era proprio il padre della vittima, il futuro senatore. Ci fu molto clamore mediatico ed il suo nome finì alla ribalta quando lo arrestò personalmente durante un comizio. La sua faccia finì, insieme a quella del futuro senatore, su tutti i media dello stato, obbligandola ad un surplus di lavoro, conferenze, dichiarazioni dalle quali uscì esausta. L’entourage del politico ed il suo partito avevano provato a sconfessarla e metterla in cattiva luce anche tirando fuori quella storia di poche settimane prima del rapimento di Joy e dei suoi metodi poco ortodossi di indagare ed agire, ma ne era venuta fuori brillantemente, supportata da tutto il corpo di polizia.

Era riuscita a prendersi un pomeriggio libero dopo aver steso l’ennesimo rapporto e andò in ospedale. Era già stata lì altre volte in quei giorni, la sera, quando non c’era nessuno. Aveva chiesto notizie di Joy e le infermiere che avevano molta compassione di lei, gliele avevano sempre date, non che non si fidasse degli aggiornamenti che le mandava Martha, ma era diverso. Qualche volta le avevano permesso anche di entrare, qualche minuto, mentre Joy dormiva, con le raccomandazioni di stare bene attenta a non svegliarla e lei per paura di farlo, non resistere alla tentazione di un bacio o una carezza, era sempre rimasta vicino alla porta, osservandola nella penombra. Era tutto quello che fino a quel momento le era concesso di lei, rubare immagini al suo sonno, come una ladra di emozioni.

Si era affacciata alla porta della camera di Joy, lasciata socchiusa. La vide come al solito con la mascherina che la proteggeva, mentre era intenta a giocare con Castle che non si era accorto di lei, girato di spalle, al contrario di Joy che si fermò per guardarla. Beckett le sorrise, timida, impaurita come era sempre con lei. Si sentiva un essere minuscolo al cospetto della grandezza di sua figlia. Così anche Rick si girò e la vide.

- Ciao Kate.

- Ciao piccola… Come stai? - Non ebbe tempo di risponderle, perché Castle si era alzato e l’aveva portata fuori da lì.

- Dobbiamo parlare Beckett.

Si erano così ritrovati nel corridoio davanti alla stanza di Joy, tra medici ed infermieri, genitori e parenti degli altri piccoli pazienti che andavano e venivano.

- Ora Castle? Non possiamo farlo dopo? Vorrei passare un po’ di tempo con Joy. - Disse Kate risoluta.

- No.

- Allora dimmi.

- Il no non era solo per il farlo dopo, è anche per passare un po’ di tempo con Joy. Non voglio che tu lo faccia.

- Cosa? - Chiese allibita

- Non è difficile Beckett, non voglio che tu stia con Joy. Questo la destabilizza, la confonde. Joy ha bisogno di tranquillità, di sicurezze, tutto quello che con te è impossibile che abbia.

- Sono settimane che va avanti questa storia, Castle. Joy ha reagito bene, è andato tutto per il verso giusto, ora sì, deve riprendersi, però non credo che io possa essere così deleteria come tu dici. - Non voleva più subire passivamente le sue decisioni, voleva che lui capisse il suo punto di vista, anche se quello che aveva davanti era un muro.

- Sono punti di vista, io credo che tu lo sia e mi dispiace per te, ma quello che credi tu, adesso, non conta nulla. Non hai nessun diritto su di lei, non puoi imporle nulla e non puoi farlo nemmeno a me. - La sua voce era totalmente inespressiva. Castle le parlava senza rancore, senza alcun sentimento. La stava escludendo dalla vita di sua figlia senza nemmeno un briciolo di compassione, senza nemmeno rabbia.

- Io non voglio imporre nulla, né a te né a lei. Vorrei solo passare un po’ di tempo con lei per conoscerci un po’, in modo diverso.

- Non hai capito Beckett. Io non voglio che Joy ti conosca.

- Perché Castle?

- Perché tu non l’hai voluta conoscere per 10 anni ed ora non capisco perché ci tieni tanto…

- Non puoi essere serio… Castle… Rick… Ascoltami… - Kate provò a prendergli una mano mentre gli parlava, ma lui la fermò prima che potesse toccarla.

- Sono serissimo invece, Beckett.

- Non puoi impedirmi di vederla, Castle, Joy è mia figlia! - Protestò lei a voce più alta.

- Tu non sei sua madre, non lo sei mai stata. Una madre non si comporta come te. Tu non sei niente per Joy. Non sei nessuno. - Anche lui aveva alzato il tono della voce.

- Joy è mia figlia, Castle. Tu questo non lo puoi cambiare, anche se non ti va bene.

- Non sono stato io cambiarlo, ma tu, con le tue scelte. Tu non sei sua madre, sei la persona che l’ha fatta nascere e abbandonata. Questo non fa di te una madre. Non lo sarai mai, perché le madri non fanno così. - Usava ogni parola possibile per ferirla, ma quello che la feriva di più era il suo sguardo freddo, come se parlasse con un nemico, con qualcuno che non conoscesse affatto e Rick sentiva veramente questo, lui non conosceva Kate, non conosceva quella Kate che aveva abbandonato sua figlia e non capiva come oltre tutto quello poteva averlo illuso, preso in giro. Lui le aveva creduto, aveva creduto a tutto quello che si erano detti e anche a tutto quello che non si erano detti ma dimostrati, tutto quello che aveva sentito stando con lei ed era certo che fosse vero, invece sentiva solo che lo aveva preso in giro, aveva giocato con i suoi sentimenti anche quando lui le aveva confessato le sue paure, pensava a quanto doveva aver riso di lui quando gli raccontava il suo smarrimento per non aver mai conosciuto suo padre, per sentirsi rifiutato, quando le chiedeva il perché a qualcosa che non sapeva dare una spiegazione e lei, invece si era comportata proprio come lui. Era stato un ingenuo e non avrebbe permesso che Joy dovesse subire ancora le sue bugie.

- Io le voglio bene Castle, le ho sempre voluto bene e tu non hai idea cosa ha voluto dire per me separarmi da lei.

- No, non ne ho idea perché io non mi sono mai separato da mia figlia, non l’ho mai abbandonata, quindi no, non lo so Beckett.

- L’ho lasciata andare una volta, non lo farò ancora.

- Non puoi fare niente Beckett. Quando Joy sarà maggiorenne deciderà lei quello che vorrà fare.

- Chiederò il suo affidamento, Castle. Non ti lascerò portarmi via mia figlia. - Gli disse decisa, in un tono di sfida.

- Tu cosa? Andiamo Beckett, non perdere tempo inutile. Ne uscirai con le ossa rotte, sai che prenderò i migliori avvocati della città per far sì che questo non accada mai, vero? Non mi provocare.

- Non ti sto provocando ti sto avvisando di quello che farò. Non farò più lo stesso sbaglio, non mi importa come ne uscirò, ma combatterò fino alla fine per mia figlia Castle, di questo puoi stare certo. - Rick conosceva quello sguardo negli occhi di Kate, lo aveva visto tante volte in quell’anno, ma mai così. Era lo sguardo di chi era determinata a raggiungere il suo obiettivo, ad ogni costo. Sapeva che Beckett lo avrebbe fatto, sapeva che non si sarebbe arresa.

Nella foga di uscire Castle non aveva chiuso la porta. Era rimasta aperta quel tanto che bastava per permettere a Joy nella sua stanza di sentire tutto quello che si erano detti. La determinazione di Kate di vederla, di passare del tempo con lei che arrivava a volerla portare via da quella famiglia che aveva appena trovato e che le stava dando tutto quello che non aveva mai avuto. Aveva sentito anche Castle, come le voleva impedire, per il suo bene, di conoscere di più quella mamma che non aveva mai conosciuto e che tante volte aveva immaginato. Capiva il suo sentirsi tradito ed arrabbiato con lei, perché lo era anche lei stessa, anche se le sarebbe piaciuto capire di più di Kate. Aveva appena intravisto il suo mondo in quelle foto, poi non aveva più ritrovato quella scatola e la ricerca del suo passato era finita. Joy sentiva che l’affetto che Kate provava per lei era sincero ed avrebbe avuto ancora tante domande da farle, ma non voleva anche lei tradire Rick. Rick le aveva dato tutto, le aveva dato una famiglia, affetto, la faceva divertire, la faceva sentire accettata e le aveva dato la possibilità di guarire. Come Kate, anche lei lo aveva fatto, lei che nonostante non le avesse promesso nulla, che non l’avesse mai accettata per quello che era, le aveva donato di nuovo la vita, la possibilità di una vita migliore. Sapeva che andava da lei quasi tutte le sere, che si fermava a guardarla e non le diceva niente. Le piaceva riaddormentarsi poi sapendo che lei era lì, che vegliava su di lei, la faceva sentire sicura. Non glielo aveva mai detto e non l’aveva mai chiamata. Sarebbe uscita dall’ospedale pochi giorni dopo e sapeva che quello non ci sarebbe più stato e un po’ le sarebbe mancato, però avrebbe avuto Rick, glielo aveva già promesso che se voleva sarebbe stato il suo cuscino morbido.

Quando ancora non sapeva chi fosse Kate in realtà aveva più volte sperato in quei giorni negli Hamptons che tra lei e Rick ci fosse qualcosa in più, che magari un giorno avrebbero potuto anche essere una famiglia, tutti insieme. Ricordava quella notta quando aveva avuto gli incubi ed aveva dormito insieme a loro, era stata bene e non si era mai sentita così amata. Pensò che Kate lì già sapeva che era la sua mamma e anche in quel caso non le aveva detto niente, ma aveva fatto quello che lei avrebbe sempre voluto da una madre, l’aveva abbracciata e fatta dormire vicino a se. Era stato bello ed ora quel ricordo era bello e brutto insieme. Ora quello che aveva immaginato e sognato era diventato qualcosa di impossibile. Non li voleva, però, sentir litigare, soprattutto per causa sua. Loro erano amici prima che arrivasse lei e si sentiva in colpa per come stavano discutendo. Si portò le mani sulle orecchie, per non sentirli più e cominciò a piangere da sola pensando che forse era lei che distruggeva sempre tutto.

- Joy cosa c’è? Stai male? - Rick era rientrato in camera della bambina e l’aveva trovata con le mani a coprirsi le orecchie e la testa tra le ginocchia. Non la vedeva in volto, ma da come sussultava aveva capito che stava piangendo. Le accarezzò la schiena fino a quando non si calmò.

- Tu e Kate non dovete litigare per colpa mia. - Gli disse tirando su con il naso sotto la mascherina, guardandolo con i suoi occhioni verdi, gli stessi occhi di Kate, gli fece male solo pensarlo.

- Non è colpa tua, Joy. - Provò a rassicurarla.

- Sì, invece. Prima tu e Kate eravate amici, ora urlate e vi trattate male. Io non voglio questo. - Rick le asciugò le lacrime con un fazzoletto e poi le prese le mani parlandole dolcemente.

- No, Joy, tu non hai colpa di niente. È vero, io e Kate eravamo amici, ma quello che sta accadendo non è colpa tua, ma delle sue scelte. Kate ha sbagliato, con me ma soprattutto con te. Doveva essere sincera.

- Tu la odi adesso, vero?

- Non la odio, sono solo molto arrabbiato ma soprattutto deluso. Io non voglio che lei ci faccia ancora del male, mi capisci? - Joy annuì.

- Kate ti ha fatto del male?

- Mi fidavo di lei e lei non è stata sincera, mi ha fatto molto male. - Ammise alla bambina.

- Anche io mi fidavo di lei. Pensavo fosse mia amica, invece lei… era la mia mamma e non me lo ha detto… - Gli occhi di Joy tornarono a riempirsi di lacrime. Rick la strinse a se, era proprio quello che voleva evitare.

- Joy, io non voglio tenerti lontano da lei, però non voglio nemmeno che soffri. Dimmi tu cosa vuoi fare, ti prometto che farò tutto quello che vuoi per farti stare bene. - Le sussurrò mentre la cullava per farla calmare. Pensò che forse aveva esagerato, che Joy in qualche modo avesse bisogno di una madre, ora che sapeva chi era. Aveva paura, però, che Kate in qualche modo riuscisse veramente a portarla via e dopo quello che si erano detti se lei avesse ottenuto la custodia di Joy, sicuramente lui non l’avrebbe più rivista.

- Io… non lo so Rick, sono confusa… Io rivorrei tutto come prima, quando eravamo negli Hamptons e stavamo bene. Quando Kate ancora non era la mia mamma…

- Lo vorrei tanto anche io, Joy… Non sai quanto mi piacerebbe che fosse ancora tutto come in quei giorni… - Le sussurrò mentre le dava un bacio tra i capelli, ed era vero, avrebbe tanto voluto che tutto fosse sempre come in quei giorni, quando era tutto più facile, quando lui e Beckett si erano avvicinati tanto quanto non gli sembrava possibile, quando era convinto che lei lo capisse e si fidava di lei. Anche lui avrebbe rivoluto avere quella Kate, quella che si era preoccupata per lui quando aveva finto di annegare in piscina, quella che lo stuzzicava e lo prendeva in giro, quella che lo ascoltava e consolava, quella che aveva baciato e con cui aveva fatto l’amore, quella che aveva dormito abbracciata a lui. Ecco perché era così arrabbiato con lei, perché con le sue menzogne aveva cancellato tutto quello e non la poteva perdonare, nemmeno per questo o forse soprattutto per questo. Pensò che era un vigliacco, che stava usando Joy per punirla per come si era comportato con lui e questo non lo rendeva di certo migliore di lei, ma ogni volta che se la trovava davanti, ogni volta che lei provava a toccarlo, sentiva come un fuoco bruciargli dentro ed era un fuoco fatto di rabbia e di tutto il resto che aveva sempre provato per lei, che ora però non voleva più sentire.

- È complicato Rick… - mormorò Joy

- Lo so piccola. Ma non c’è nessuna fretta. Quando sarai pronta potrai fare quello che vuoi, ok? - Le diede un altro bacio, poi la fece sdraiare nel letto. Era meglio che non si sforzasse troppo ancora.

- Rimani con me? - Gli chiese prendendogli la mano per paura che se ne andasse.

- Certo che rimango con te.

- Rick, ma se poi io volessi vedere Kate, tu ti arrabbierai con me?

- No, non mi arrabbierò mai con te. È normale che tu possa volerlo. Solo che ti chiedo di pensarci bene e di farlo quando ti senti veramente pronta.

Fu Jim questa volta a raccogliere l’ira di Kate. Raramente si era fatta vedere da suo padre così e quel lato del suo carattere irruente e aggressivo non lo vedeva più da quando era adolescente. Risoluta sì, ma non come quella sera. Non lo stava praticamente a sentire qualsiasi cosa dicesse, aveva solo ripetuto all’infinito lo stesso concetto: doveva fare qualsiasi cosa per farle riavere sua figlia. Lei rivoleva Joy, non sarebbe mai arrivata a tanto, ma Castle ce l’aveva spinta senza nemmeno prendere in considerazione più miti soluzioni che avrebbero fatto il bene di tutti, di Joy per prima. Sapeva che Castle le voleva bene e che stava facendo il meglio per lei ed era certa che sotto quel suo comportamento c’era dell’altro, un volergliela far pagare per questioni che non riguardavano Joy ma loro due. Era lui quello ferito che non la accettava prima ancora che sua figlia. Non avrebbe voluto, però, che Joy si trovasse in mezzo a quello, ad una lotta tra una madre che non ha mai conosciuto ed una famiglia che la ha accolta e supportata in uno dei momenti più delicati della sua già difficile vita.

Jim le promise che avrebbero fatto tutto il possibile, aveva già avvisato il suo socio che aveva contattato alti colleghi esperti in materia. Era stato previdente ed aveva anticipato i tempi, conosceva sua figlia e sapeva che il richiamo verso quella bimba sarebbe stato troppo forte perché mantenesse i suoi propositi di lasciar correre e non provare a riaverla con se. In fondo Katie era la sua bambina ed era convinto, nonostante tutto, di conoscerla un po' e non si era sbagliato.

Kate aveva parlato più volte con Alexis e Martha, soprattutto dopo che Joy era tornata a casa. Si informava ogni giorno di come procedesse il suo recupero e del suo stato di salute. Aveva già fatto il primo dei controlli settimanali in ospedale che si sarebbero ripetuti con la stessa cadenza per un paio di mesi. Alexis le raccontava soprattutto le cose migliori di quella situazione, del loro rapporto, di come lei e Joy di divertissero insieme in quella segregazione forzata, delle cose che le piacevano e di quelle che odiava. Martha, invece, contrariamente a quello che poteva pensare, era la più realista, si confidava con Kate dei problemi quotidiani che c’erano per creare quell’ambiente sicuro in cui Joy doveva vivere senza andare ad intaccare il suo sistema immunitario ancora troppo debole. Le raccontava anche di come Rick cercasse di renderle tutto un gioco per alleggerire la situazione e di come lei, invece, si rendesse conto della realtà delle cose quasi più di lui, ma non gli aveva mai detto nulla, per non deluderlo. “Rick si diverte a giocare” Joy così aveva detto a Martha e lei lo aveva riportato a Kate riuscendo, nonostante tutto, a strapparle un sorriso. Un amaro sorriso, perché Kate pensò che quello era proprio uno dei lati del suo carattere che lo aveva fatto innamorare e si sarebbe morsa la lingua se solo lo avesse detto e non pensato. Ma era troppo, anche il solo pensiero.

Kate era a casa quella mattina, era rimasta al distretto fino a notte fonda per interrogare un sospettato per portarlo alla confessione che c’era stata dopo un lungo gioco psicologico durato ore. Montgomery le aveva detto quindi di prendersi mezza giornata libera, si sarebbe vista con suo padre ed il suo socio più tardi per discutere di alcune cose riguardati la causa per l’affidamento di Joy e poi sarebbe andata a pranzo con Lanie. Aveva bisogno di evadere un po’, anche se sapeva che inevitabilmente anche con lei sarebbe finita a parlare di Joy e Castle e a confidarsi. Ma la sua amica aveva la capacità di riuscire ad alleggerire sempre tutto e di darle quello sprone che anche se spesso non voleva seguire, a volte le serviva per aprire gli occhi su realtà che non voleva vedere.

Aveva appena finito di prepararsi una tazza di caffè, avrebbe voluto berlo rilassandosi per qualche minuto ascoltando la sua musica preferita e provare a non pensare a nulla per un po’, ma il suono insistente del campanello ruppe il suo idillio ancora prima che lo potesse cominciare. Si sistemò l’ampia tshirt che aveva indossato per stare più comoda in quelle torride giornate di fine agosto ed andò ad aprire, preparandosi già alla visita di qualche venditore porta a porta da liquidare velocemente.

- Spiegami cosa è questo! - Sbraitò Castle appena aprì la porta entrando dentro travolgendola, tenendo stretto in pugno un foglio.

- Non so cosa sia Castle, vuoi spiegarmi? - Rispose senza allontanarsi dalla porta che continuava a tenere aperta.

- Me lo ha consegnato stamattina il mio avvocato. È la richiesta per l’affidamento di Joy che il tuo avvocato ha presentato al tribunale dei minori, ecco cos’è! - Urlò facendoglielo vedere. Beckett lesse velocemente annuendo.

- Allora? Ti avevo avvisato che l’avrei fatto. Non mi hai lasciato scelta.

- Vuoi veramente questo? Vuoi metterti a fare una guerra contro di me? È questo che vuoi per tua figlia?

- No. Io non volevo nessuna guerra, né con te né con nessun altro. Volevo solo avere la possibilità di conoscerla, di passare del tempo con lei, di far sì che lei conoscesse me. Non mi sembrava tanto, non mi sembrava troppo. Volevo solo conoscere mia figlia, Caste. Mia figlia. Ma tu non lo hai permesso e non mi hai lasciato nessuna alternativa. - Rispose decisa.

- Ah quindi secondo te sarebbe colpa mia? Chiediti perché non conosci tua figlia. Ha dieci anni e se non sai niente di lei e lei non sa niente di te c’è una sola responsabile e sei tu.

- Non abbiamo più nulla da dirci Castle, perché sei venuto qui? Cosa vuoi da me?

- Hai ragione, non abbiamo più nulla da dirci. Sono io che sono stato uno stupido a pensare che per una volta potessi fare qualcosa per quella bambina e non pensare solo ai fatti tuoi, non mettere te stessa al centro delle tue decisioni, a pensare prima di tutto a quello che è meglio per Joy ma evidentemente sbagliavo. Per te conti solo tu, vero? Prima non ti faceva comodo avere una figlia e l’hai scaricata, ora invece la rivuoi anche a costo di strapparla alla prima famiglia che la ama veramente che incontra nella sua vita. Complimenti Beckett, ti candideranno al premio madre dell’anno. - Perché era lì? Non lo sapeva nemmeno lui, non sapeva cosa dirle e l’unica cosa di cui era capace era attaccarla, perché così era più facile non doversi difendere. Guardava Beckett negli occhi, ad ogni sua parola vedeva il suo dolore e si sentiva meschino perché voleva proprio quello, voleva che soffrisse tanto quanto stava soffrendo lui, per lei.

- Vattene Castle. Esci da qui. E se da ora in poi hai qualcosa da dirmi, parla con il mio avvocato. Il nome ce l’hai.

Aspettò che uscisse e poi chiuse violentemente la porta di casa. Quello era solo l’inizio ed era molto peggio di quanto potesse pensare.

Kate aveva sperato che avrebbero potuto trovare un accordo, che quando l’avvocato di Rick aveva chiamato Arthur Miller, il socio di suo padre, fosse stato per quello. Invece si era solo spostato il piano dove combattere le schermaglie e l’avvocato di Castle aveva di fatto intimato al suo di rinunciare alla causa per non perdere tempo e denaro inutilmente. Anche lei si era vista più volte con il suo avvocato, avevano studiato una strategia difensiva piuttosto accurata, anche se la prima udienza non sarebbe stata a breve, ma questo giocava a loro favore, gli dava più tempo per prepararsi e per studiare anche quei casi che in altri stati avevano riconosciuto infine i diritti della madre biologica, anche a distanza di anni, anche se nessun bambino aveva l’età di Joy al momento della contesa, ma soprattutto nessuno aveva contro Richard Castle. La notizia della sua volontà di adottare una bambina era già uscita su alcuni media, insieme alla storia di Joy e al suo percorso di cure che si stava rivelando molto soddisfacente, anche per la comunità scientifica che giudicava il suo intervento sperimentale perfettamente riuscito. Di una cosa gli era grata, non aveva mai fatto il suo nome, né parlato della loro situazione. Non sapeva se per una sua scelte, del suo avvocato o della sua agente, in ogni caso era contenta di non essere stata tirata in mezzo anche ad una contesa mediatica, perché quello non era proprio il suo mondo.

Quando il capo del Bureau la convocò di nuovo nel suo ufficio temette che in realtà gli strascichi di quel deferimento che aveva ricevuto non fossero finiti. Quando poi vide in quell’ufficio anche il capitano Montgomery le sue preoccupazioni aumentarono. Percorse con passo sicuro e testa alta la distanza tra la porta e la sedia davanti alla scrivania dietro la quale c’erano i suoi due superiori. Era sempre fermamente convinta che non aveva nulla da rimproverarsi e lo avrebbe ribadito ancora se glielo avessero chiesto.

Si stupì, invece, quando le rivelarono il vero motivo per cui era lì. L’avevano scelta per partecipare ad una missione sotto copertura. Sarebbe stata una situazione di pochi giorni, una settimana, dieci giorni al massimo. Avevano appena arrestato una donna americana di origini russe che era l’anello di contatto tra una delle più importanti associazioni criminali di San Pietroburgo e un importante gruppo di trafficanti di armi che aveva base a New York. Avrebbe dovuto prendere il suo posto, gestire lo scambio tra i diamanti che aveva con sè la donna e le armi che avrebbero portato. Era un’operazione piuttosto semplice, ma lei sarebbe stata perfetta per quel ruolo, per la sua conoscenza del russo. Doveva decidere subito se accettare o meno e Kate accettò.

Per tutti da quel momento sarebbe stata in ferie, aveva avvisato solo suo padre sulla sua vera missione, obbligandolo a non dire nulla a nessuno, nemmeno all’avvocato Miller. Le venne presentato poi l’agente Lavrov, un poliziotto di padre russo, che avrebbe fatto la parte di Ivan, il suo fidanzato. Smise così i panni del detective Kate Beckett e andò con l’agente Lavrov nell’hotel dove avevano già una stanza riservata, dove per i giorni successivi sarebbe stata la trafficante Nina Sorokina e la cosa che la preoccupava di più era stata non poter avvisare né Martha né Alexis che sicuramente nei giorni seguenti l’avrebbero contattata senza ricevere una risposta.

Andò proprio così, infatti. Sia Martha che Alexis la cercarono più volte senza risultato. L’attrice aveva anche chiamato al distretto, preoccupata, e quando le dissero che era andata in ferie non riuscì a nascondere un certo disappunto che comunicò anche alla nipote. Ma quella situazione passò ben presto in secondo piano, quando al loft si presentò come una furia Meredith. Aveva appena letto dalla stampa l’intenzione di Castle di adottare Joy ed era fuori di sè.

Entrò come un ciclone a casa Castle, travolgendo Martha ed andando direttamente dal suo ex marito che stava finendo di fare colazione.

- Rick come ti salta in mente di fare una cosa del genere, senza dirmi niente soprattutto! - Lo redarguì subito la ex moglie.

- Non credo di aver fatto nulla negli ultimi tempi che prevedeva che prima dovessi avvisarti, Meredith. Non vorrei ricordarti che tra noi, chi fa le cose senza avvisare, tipo andare con un altro uomo, decidere di trasferirsi in un altra città, lasciarmi nostra figlia sei tu, non io. - Rispose sarcastico.

- Adotterai una bambina? Ho capito bene? - Chiese senza nemmeno dar peso alle sue parole.

- Sì e la cosa non ti riguarda. - Fu deciso.

- Come non mi riguarda? Nostra figlia vive con te! Adotterai una bambina, la farai crescere con lei, con mia figlia e dici che la cosa non mi riguarda? - Il tono melodrammatico di Meredith lo stava infastidendo parecchio.

- Già, nostra figlia vive con me, perché tu te ne sei andata, però mi fa piacere che ti ricordi che Alexis è anche figlia tua, strano perché quant’è che non la vedi? Quanti mesi sono che non ti fai vedere? Eppure appena arrivata non mi hai chiesto di lei, se c’è oppure no, non mi hai chiesto di salutarla, ma hai voluto solo che ti rendessi conto delle mie scelte.

- È qui? - Chiese allora Meredith

- Sì, è al piano di sopra, presumo sia insieme a Joy.

- Lei almeno l’ha presa bene? Le hai chiesto nulla prima di fare, come al solito, le cose di testa tua? - Lo aggredì ancora la sua ex moglie.

- Sì, Alexis vuole molto bene a Joy ed è stata la prima ad essere felice del suo ingresso nella nostra famiglia. E comunque Meredith, in tutta questa situazione tu non c’entri assolutamente niente ed il tuo parere è del tutto ininfluente, volevo solo ricordartelo.

- Castle, tu sei il padre di mia figlia ed adesso stai mettendo un estranea in casa con lei alla quale vuoi fare da padre. Sai cosa vuol dire questo? Che toglierai tempo, attenzioni e risorse alla nostra bambina! Ti sembra normale? In tutti questi anni non hai mai voluto un altro figlio, come mai adesso tutta questa voglia di metterti in casa il figlio di altri? - Mentre Meredith parlava, Martha si allontanò indignata andando anche lei al piano di sopra, non senza aver prima lanciato un’occhiata fulminante alla sua ex nuora che passò inosservata alla donna ma non a suo figlio.

- Le dedicherò sempre più tempo attenzioni e risorse di quanto non fai tu. Questo dovrebbe bastarti. Tu sei l’ultima persona al mondo che può venire qui a farmi la predica su come cresco nostra figlia e su quello che lei ha da me. Tu che te ne sei andata per continuare a fare la ragazzina irresponsabile, concedendoti a produttori e registi per elemosinare una parte… Per favore Meredith, finiamola qui!

- Da quando in qua sei diventato così meschino, Richard? Una volta non eri così, avevi più classe… - Gli rinfacciò la donna visibilmente colpita.

- Da quando mi sono accorto che sapete solo colpire alle spalle…

- Non puoi sfogare su di me i tuoi problemi, Richard.

- Forse tu sei semplicemente la causa dei miei problemi, Meredith, ancora adesso a distanza di anni! - Si rese conto di quanto il tradimento e l’abbandono della sua ex moglie avevano lasciato strascichi in lui e nel suo giudicare le persone. Si chiese se tutta quella rabbia che provava per Beckett ci sarebbe stata senza Meredith e la risposta che si diede non gli piacque. Stava insultando Meredith perché arrabbiato con Kate e faceva la stessa cosa con Kate perché ancora scottato da quanto aveva fatto Meredith.

- Non mi interessano i tuoi problemi, mi interessano quelli che potrebbe avere nostra figlia!

- Basta voi due adesso! - Alexis era apparsa sulla sommità delle scale riprendendo entrambi i genitori che si voltarono contemporaneamente verso di lei che nel frattempo scendeva le scale. - Mamma, io sono felicissima che Joy faccia parte della nostra famiglia, lei è una bambina adorabile e papà non fa mancare nulla né a me né a lei. E tu papà, se sei arrabbiato per altre cose, vedi di non fare come il tuo solito, che fai scontare alle persone sbagliate gli errori degli altri… o i tuoi! - Alexis aveva colpito Rick proprio dove era in quel momento più vulnerabile e lui accusò le parole di sua figlia, ricevendole come un pugno allo stomaco.

Alexis era davanti a loro e li guardava con aria severa. Detestava quelle occasioni nelle quali doveva essere lei la più ragionevole e matura tra i suoi genitori, eppure le capitava più spesso di quanto volesse.

Meredith rimase a New York per qualche giorno. Rick, d’accordo anche con Alexis, evitò qualsiasi rapporto tra lei e Joy, spiegandole che nella sua condizione di convalescenza, era meglio che non entrasse in contatto con estranei. Alexis, però, uscì alcune volte con sua madre ed in una di queste occasioni scoprì che non era a New York per lei, ma perché aveva un provino per uno spettacolo a Broadway. Ci era rimasta male. Per quanto i suoi modi erano stati sbagliati, le aveva fatto piacere che sua madre fosse venuta fino a lì per accertarsi che lei stesse bene nel nuovo assetto familiare. Invece quella era stata solo una scusa e lei era così presa da se stessa che non aveva avuto difficoltà a dirle il vero motivo. Tornò a casa quella sera e sfogò la sua delusione ed il suo dispiacere con Castle che, come ogni volta, accettò il suo sfogo e provò a consolarla come sempre, finendo per mangiare insieme gelato al cioccolato e tanta panna sul divano. Veder tornare a casa la sua bambina triste dopo aver visto sua madre, lo fece pensare ancora a Kate e a Joy e tornava a sovrapporre le figure, a mescolare gli errori delle due donne, così che nella sua mente le sembravano amplificati. Lui voleva solo evitare tutto questo a Joy, non voleva che come Alexis dovesse soffrire per le scelte sbagliate di una madre assente.

Nonostante tutto, Alexis accettò di andare ancora una volta a cena con sua madre, sarebbe ripartita il giorno dopo e le faceva piacere passare ancora qualche ora con lei, provando ad accettarla per quello che era, senza farsi altre illusioni.

Quella sera Rick e Joy erano soli a casa. Per la prima volta da quando era tornata a casa era scesa al piano inferiore, abbandonando quel bozzolo protetto, in tutti i sensi, che era la sua camera. Aveva fatto la visita di controllo il giorno prima e l’avevano autorizzata a muoversi con un po’ più di libertà, facendo sempre attenzione perché il suo sistema immunitario era ancora molto debole, ma Rick aveva preso tutte le precauzioni del caso, diventato maniaco della pulizia e della sterilizzazione di qualsiasi cosa entrasse in contatto con lei. Stavano cenando sul divano, si erano concessi una pizza, uno sgarro alla rigida dieta di Joy dopo tanto tempo. Avevano passato i pomeriggio a vedere cartoni animati ed ora stavano aspettando l’inizio della puntata di una delle sue serie tv preferite che Castle si adattava a vedere con gioia, soprattutto vedendo come giorno dopo giorno stava meglio.

Fu durante il notiziario, però, che la loro serata cambiò all’improvviso. Una notizia che sarebbe passata inosservata ai più, tra le tante di cronaca, non a loro. Il detective Kate Beckett della polizia di New York era stata liberata quella mattina da un blitz delle forze speciali dopo che la sua copertura era saltata mentre doveva sgominare una banda di trafficanti di armi. Non dicevano nulla delle sue condizioni, c’era stata solo un’immagine che era passata di sfuggita, in cui si vedeva Beckett su una barella che veniva caricata in un’ambulanza e portata via. Rick dopo un attimo di smarrimento si voltò a guardare Joy, che era rimasta letteralmente attonita nel vedere Kate e nel sentire quelle notizie.

- Sono sicuro che Kate sta bene, è una dura… - Le disse Castle cercando di convincere anche se stesso. Joy annuì senza dire più nulla. Rick sentiva i suoi respiri profondi e vedeva gli occhi lucidi, stava trattenendo le lacrime. La prese in braccio e lei si aggrappò al suo collo.

- Sarà meglio tornare in camera, che dici? - Non aspettò la sua risposta per portarla al piano superiore ed adagiarla nel suo letto. Le rimase accanto, ma lei si voltò dall’altra parte del letto, dandogli le spalle. Piangeva sommessamente sul cuscino mentre Rick le accarezzava la schiena.

- Non ti preoccupare per Kate, Joy… Domani la chiamiamo e sentiamo come sta, va bene?

Rick aveva capito che Joy era preoccupata per sua madre, ma certo non poteva immaginare il tumulto interiore che la bambina stava passando. Aver visto sua madre in quelle condizioni l’aveva colpita e l’aveva spaventata: lei non aveva più detto niente a Rick di lei, gli aveva promesso che se voleva vederla glielo avrebbe detto ma lei non lo aveva fatto. Aveva tempo, pensava, lo avrebbe fatto poi, quando sarebbe stata meglio. Invece la sua mamma ora stava male e lei aveva paura che non l’avrebbe potuta vedere se le fosse successo qualcosa, che non le avrebbe potuto più dire niente. Aveva capito, in quel momento che lei nonostante tutto, alla sua mamma voleva bene e non glielo aveva mai detto.

Alexis aveva visto lo stesso notiziario ed aveva lasciato Meredith ed era corsa a casa. Non le aveva detto perché, non sapeva nulla di Beckett e Joy e non voleva dirglielo, non si fidava di quanto sua madre potesse essere discreta. Suo padre aveva appena lasciato Joy, che sembrava essersi tranquillizzata ed appena rientrata al loft la prima cosa che gli aveva chiesto era se avesse sentito Kate, perché dalla sua faccia aveva capito che anche lui aveva saputo la notizia. Scosse la testa negativamente e Alexis pensò che fosse un cretino, ma non glielo disse. Però lui le spiegò del turbamento di Joy e la giovane Castle corse in camera di quella che ormai considerava la sua sorellina. Non si era calmata, aveva solo fatto finta, per non far preoccupare Rick e stare da sola. Alexis la trovò mentre piangeva e tra le mani stringeva la collana che le aveva regalato Kate per il suo compleanno, quella dalla quale prima non si separava mai e che dopo non aveva più voluto mettere. Alexis si sedette vicino a lei e le prese le mani. Joy la guardò e le disse solo una frase.

- Alexis… Voglio la mia mamma…

Quella richiesta aveva preso Alexis in contropiede. Non sapeva cosa fare per lei. La guardava e vedeva il suo sguardo implorante e gli occhi colmi di lacrime e si sentiva così inadeguata. Sapeva cosa voleva dire quel sentimento, volere la mamma e sapere che era lontana, che non sarebbe potuta venire. Quante volte lo aveva provato e si era rifugiata tra le braccia di suo padre, ma per quanto lo adorasse, non sempre era la stessa cosa e quindi continuava a coltivare quel desiderio in silenzio. Non doveva essere la stessa cosa per lei, perché Kate non era Meredith, Alexis lo aveva capito e avrebbe fatto qualsiasi cosa per aiutarla.

- Joy…

- Ti prego Alexis, portami dalla mia mamma! - Le disse prendendola per la manica della camicetta.

- Joy… non puoi uscire, lo sai… io… Aspettami, vedo cosa posso fare…

L’avevano scoperta. Il giorno prima dello scambio, il giorno prima che tutto fosse finito. Uno degli uomini dei trafficanti di armi aveva già lavorato in passato con Nina Sorokina e questo nessuno lo sapeva. L’avevano smascherata, avevano ucciso l’agente Lavrov ed avevano provato ad estorcerle informazioni, per chi lavorava e cosa volesse. Non erano stati teneri, ma aveva evitato di dire che era della polizia, si era spacciata per una mediatrice di un gruppo ucraino che voleva comprare le armi per la lotta armata contro la Russia. Le sue conoscenze su Kiev le furono d’aiuto. Alla fine era riuscita ad uscire da quella situazione molto meglio di quanto immaginava all’inizio, se l’era cavata con un paio di costole rotte e un lieve trauma cranico. Quando la squadra di supporto non aveva ricevuto il loro messaggio convenzionale che si scambiavano a degli orari stabiliti, si erano subito messi in moto per recuperarli quella mattina stessa. L’avevano portata in ospedale, le avevano fatto tutti gli esami del caso e le avevano imposto di rimanere a letto nei prossimi giorni. Era arrivato Montgomery e le aveva riportato i suoi effetti personali e si era accertato delle sue condizioni. Insieme a lui anche Esposito e Ryan, arrabbiati perché tenuti all’oscuro di tutto, ma felici di vedere che nonostante quello che le era accaduto stava bene. Le poteva andare molto peggio, come a Lavrov. Poi i medici avevano fatto andare via tutti, perché doveva riposare, anche se quando Ryan le disse che l’aveva cercata anche Martha aveva avuto la tentazione di chiamarla subito, ma non sapeva se era in grado di riuscire a parlare lucidamente.

Era sera tardi, si era addormentata da poco quando sentì squillare il suo cellulare.

- Alexis, dimmi cosa succede? - Chiese preoccupata.

- Kate… Come… come stai? - Nella voce della figlia di Castle c’era la stessa sua preoccupazione.

- Io… bene… bene… perché? - Ma la sua voce non nascondeva bene la difficoltà nel respirare.

- Abbiamo visto il notiziario, parlavano di te… c’era la tua immagine in barella mentre ti portavano via… - spiegò Alexis

- Io non sapevo… grazie per la telefonata, Alexis, ma va tutto bene, un paio di giorni e uscirò… solo per precauzione… - Kate era visibilmente imbarazzata ed era un bene che per telefono non potessero vederla, ma si chiese anche se la stessa preoccupazione l’avesse avuta anche Castle…

- Ah quindi devi rimanere in ospedale… - Non riuscì a nascondere il suo tono deluso.

- Perché, Alexis che succede? - La preoccupazione tornò tra i respiri affaticati di Beckett.

- Ecco… Joy… anche lei ti ha visto e… si è spaventata… ha chiesto di te… - Le confessò infine e Kate deglutì a vuoto. Rimase in silenzio qualche istante, per cercare di capire, ma c’era poco da capire.

- Arrivo. Dammi solo il tempo di… di venire lì… Vengo subito.

Non aspettò la sua risposta, accese la luce sopra il letto e scese, sentendo in quel momento a freddo tutto il dolore al costato e la difficoltà più forte a respirare alla quale, come se non bastasse, si univa un forte mal di testa. Per prendere i suoi vestiti nell’armadio fece troppo rumore, facendo sbattere le porte di ferro e richiamando l’attenzione di un’infermiera che entrò nella sua stanza.

- Cosa sta facendo detective Beckett! - Esclamò la donna.

- C’è un’emergenza, devo andare. - Disse Beckett.

- Oh, nessuna emergenza, lei non può andare via. - Disse ancora quella conciliante, scontrandosi però con il muro di Kate.

- Io sto andando via. Mi porti il foglio per firmare le mie dimissioni. - Rispose perentoria.

L’infermeria perplessa si allontanò, andò a chiamare un medico di turno che riuscì almeno a convincere Kate a farsi fare una fasciatura al costato per stabilizzare le sue fratture. Per fortuna la rottura non era completa e non le avrebbe causato complicazioni andarsene, a patto che non facesse sforzi. Prese un paio di antidolorifici e poi lasciò l’ospedale fermando il primo taxi per il loft di Castle.

Aveva ascoltato metà delle raccomandazioni che le aveva fatto quel medico, aveva più volte simulato di sentire meno dolore di quello che provava, ma non sarebbe rimasta un minuto di più lì dentro. Non dopo che l’aveva chiamata Alexis, non dopo che le aveva detto che Joy voleva vederla.

Sentiva il cuore battere così forte da farle male, il respiro spezzato dalla fasciatura stretta ed ogni respiro più profondo che provava a fare era una fitta al petto.

Arrivare dal portone all’entrata del loft di Castle le sembrò un percorso infinito. Bussò appoggiandosi allo stipite, aveva bisogno di qualcosa che la sorreggesse, perché sentiva il carico della stanchezza, del dolore e delle emozioni sopraffarla.

Castle aprì la porta. La guardò, sorpreso di vederla lì, senza riuscire a dire niente. Era felice di vederla in piedi davanti a lui e preoccupato allo stesso tempo perché notava la sua sofferenza, ma era così preso in contropiede dalla sua presenza che non disse nulla e nemmeno si spostò per farla entrare.

- Castle… Sono qui per vedere mia figlia… e stasera ti giuro, non me ne andrò fino a quando non l’avrò fatto. - Si era messa subito sulla difensiva, più agguerrita che mai nella sera in cui era più fragile. Rick ridestato dalle sue parole si spostò facendola passare e lei entrò barcollando un po’.

- Eri… eri in ospedale… Noi… ti abbiamo visto… - Balbettò chiudendo la porta, mentre Martha rientrata da poco le si fece incontro.

- Oh tesoro, per questo non rispondevi ai miei messaggi! - Le disse l’attrice abbracciandola troppo vigorosamente per quanto poteva sopportare e la sua smorfia non sfuggì a Rick che avrebbe voluto abbracciarla anche lui, chiederle di più su cosa le fosse successo e come stava, veramente.

- Dov’è Joy? - Chiese ancora Kate.

- In camera sua, con Alexis… - Disse Martha che con un gesto della mano la invitava a salire sulle scale. Kate si voltò a guardare Rick che non disse nulla e salì una dopo l’altra quelle scale che la separavano da sua figlia, un supplizio per il suo fisico che però valeva la pena fare, per quello che la aspettava al piano di sopra. Seguì Martha, fino davanti alla camera di Joy e lì l’attrice le fece cenno di aspettare mentre lei si affacciava nella stanza.

- Tesoro, c’è una persona per te che vorrebbe vederti. - Disse la donna sorridente, facendo un cenno ad Alexis con la testa, facendole capire che Kate era lì. La ragazza, quindi, si alzò dal letto di Joy e raggiunse sua nonna, insieme uscirono dalla stanza e subito dopo Kate si affacciò timidamente.

- Ciao Joy… - disse sforzandosi di non piangere mentre sua figlia rimase a bocca aperta nel vederla lì.

- Mamma! - Esclamò la piccola senza pensarci e scese dal letto per raggiungerla. Kate in quel momento sentì le gambe far fatica a sorreggerla. Si sarebbe aspettata qualsiasi cosa, non certo che la chiamasse così, appena vista. Quel “mamma” continuò a riecheggiare nella sua mente mentre vedeva sua figlia che le si avvicinò troppo lentamente per quanto voleva abbracciarla, troppo velocemente per quanto era pronta a quel momento. Si ritrovò le sue piccole braccia che le cingevano la vita ed il suo volto appoggiato al suo ventre. Si lasciò scivolare lentamente a terra, fino a quando non fu in ginocchio davanti a lei, che era già più alta.

- Stai male? - Le chiese preoccupata Joy.

- No, non sono mai stata meglio. - Fu Kate ad appoggiarsi a Joy adesso e a stringerla contro di se. Quando sentì le sue mani tra i capelli non riuscì più a tenere le lacrime, piangendo senza alcuna vergogna davanti a sua figlia, per sua figlia. Quando la guardò, si accorse che anche lei piangeva.

- Ti voglio bene Joy, ti prego perdonami per tutto. - Le disse ancora mentre si rialzava a fatica e Joy la abbracciò di nuovo.

- Ti voglio bene anche io, mamma.

Kate non aveva mai pensato che sentire quella parola dalle labbra di Joy le avrebbe fatto quell’effetto. Si sentì riempire il cuore e spaccarlo allo stesso momento, come se per l’ennesima volta avesse capito cosa aveva in quel momento e cosa aveva perso in tutti quegli anni. La gioia non cancellava il rimorso ed il rimpianto e questo non riusciva fermare il suo pianto. Si sentì di nuovo senza forze, si appoggiò al bordo del letto, sedendosi, con Joy che non la lasciava più e la guardava preoccupata.

- Sei sicura di stare bene? - Le chiese ancora sedendosi vicino a lei.

- Certo che sto bene. - Alzò un braccio per farla appoggiare a sé, il dolore per le costole passò in secondo piano quando lei si accostò. Non sapeva cosa dirle, le sembrava tutto poco, tutto banale, non sarebbe mai riuscita a dire tutto quello che aveva dentro. Poi sentì le mani di Joy sul suo volto, asciugarle le lacrime e lei in quel momento avrebbe solo voluto piangere di più.

- Scusa. - Le disse Joy in un sussurro.

- Di cosa amore mio? Sono io che devo scusarmi con te e non basterà tutta la vita per farlo. - Joy si appoggiò al suo petto lasciandosi abbracciare.

- Non ti ho voluto vedere… Io… ho avuto paura di non poterti parlare più… - Le confessò.

- Avrai tutto il tempo di dirmi qualsiasi cosa. - Le diede un bacio tra i capelli mentre la accarezzava. - Ora però è tardi, è meglio se ti metti a dormire…

Joy la guardò quasi delusa, allontanandosi.

- Te ne vai?

- Io… non posso rimanere… - Le disse accarezzandole il volto e fu lei questa volta ad asciugarglielo.

- Se vuoi rimanere, rimani pure, Beckett. - Castle era entrato nella stanza. In realtà era rimasto fuori ed aveva assistito a quasi tutta la scena ed anche lui non era rimasto indenne dalla commozione, come Martha e sua figlia.

- Può rimanere Rick? - Chiese ancora Joy.

- Se a te fa piacere sì, piccola. - Le disse con un sorriso.

- Rimani Kate? - Joy la guardò, poi si corresse - mamma?

- Sì, certo amore, rimango. - Rispose senza pensarci.

- Vieni Beckett, ti do qualcosa per dormire… - Le disse Castle, mentre Alexis andò da Joy ora sorridente.

- Visto? - Le disse la giovane Castle - Kate sta bene!

Joy abbracciò anche lei, e poi le raggiunse Martha, lasciando suo figlio e Beckett da soli.

- Ti do una mia maglietta, se vuoi dormire con lei… - Le disse Castle appena fuori dalla porta.

- Non c’è problema, Castle.

- Per te no, per Joy sì. È meglio se non sta troppo in contatto con abiti che non sono stati adeguatamente lavati e sanificati. Ancora non ha difese immunitarie del tutto ripristinate.

- Ah… scusami, non lo sapevo… - disse rammaricata.

- Non c’è problema, ora lo sai. - Scesero al piano inferiore e Kate aspettò che Rick le portasse qualcosa da mettersi.

- Grazie per avermi fatto rimanere. - Gli disse mentre prendeva quella maglietta e le loro mani si sfiorarono provocando ad entrambi sensazioni contrapposte.

- L’ho fatto per Joy… si era molto spaventata nel vederti in tv in quel modo. - Sembrò quasi rimproverarla.

- Mi dispiace. Non pensavo né che mi riprendessero né che avrebbero trasmesso tutto in tv. Altrimenti vi avrei avvisato. - Si giustificò

- Sì, immagino… Come stai adesso? Cioè, a Joy puoi dire che stai bene ma… - Anche Castle sembrava preoccupato per lei.

- Sto bene, aspettavo questo momento da tanto. Per il resto, nulla che non si può curare. -

- Fai attenzione Beckett… Non essere sempre in prima linea…

Kate annuì, risalì poi a fatica le scale e trovò Alexis che le dava un paio di shorts e degli asciugamani puliti.

- Puoi usare il bagno in camera di Joy. Grazie per essere venuta. - Le disse la ragazzina.

- Grazie a te per avermi avvisata… - le sorrise

- Kate io… non avrei dovuto ma… ho letto…

- Non c’è problema Alexis… non ho nulla da nascondere. - La interruppe Kate.

- Credo che dovrebbe leggere anche Joy e anche mio padre… - Insistette Alexis.

- Non è il momento adesso di parlarne.

La giovane Castle annuì e Kate tornò da Joy chiudendo la porta di camera, rimanendo finalmente sola con lei. Sua figlia osservava ogni suo movimento fino a quando non andò in bagno uscendo con quella maglietta di Castle che era più lunga dei pantaloncini che le aveva dato Alexis, facendo ridere Joy.

- Rick è molto più grosso. - Le disse sorridendo.

- Uhm sì, a quanto pare molto… - Sorrise Anche Kate allargandosi la maglietta e facendo vedere quanto le stava grande, ma almeno copriva bene la fasciatura pesante che aveva. - Posso rimanere qui con te? - Le chiese avvicinandosi al letto e Joy si spostò da un lato. Fortunatamente non era quello dalla parte delle sue costole rotte. Kate si sdraiò vicino a lei, facendo in modo che Joy si accomodasse sotto il suo braccio, appoggiata sul suo petto. Nonostante il suo peso la comprimesse e la facesse respirare con più fatica, non si sarebbe privata di quel momento per nulla al mondo.

- Grazie Joy, per avermi voluto qui. - Le disse mentre spegneva la luce.

- Buonanotte mamma.

- Buonanotte amore mio.

Kate aspettò.

Aspettò che il respiro di Joy diventasse lento e regolare e la sua mano appoggiata sul petto scivolasse più in basso, come lei era piano piano scivolate nel sonno. La prese racchiudendola nella sua mentre osservava i lineamenti del suo volto che sembravano ancora più fanciulleschi con quella tenue luce di un lilla appena accennato che veniva dalla piccola lampada sulla cassettiera.

Aspettò che i suoi pensieri trovassero il filo logico di quanto accaduto nelle ultime ore. Era stata sopraffatta da tutto, da emozioni troppo forti per essere elaborate correttamente ed il solo ripensarci le faceva di nuovo aumentare il battito del cuore. Non avrebbe dimenticato mai per tutto il resto della sua vita il volto di Joy quando l’aveva vista entrare in camera e la prima volta che l’aveva chiamata mamma. Non se lo aspettava, non era pronta. Pensava di doverle parlare, di doverle spiegare, invece lei non aveva voluto nulla quella sera, solo la sua presenza. Aveva pianto, tanto, di gioia, come forse non aveva mai fatto. Aveva pianto per sua figlia e con sua figlia. Si era fatta asciugare le lacrime e lo aveva fatto a lei, le aveva potuto dimostrare il suo amore senza essere rifiutata, anzi Joy sembrava averne bisogno tanto da non lasciarla andare quella notte. Sapeva Kate che non sarebbe stato sempre così, che non era tutto in discesa, che l’emotività quella sera aveva rotto barriere e aperto argini emotivi in tutti, che passata l’onda, poi, ci sarebbe stato da lavorare, da sistemare le cose, da rimettere tutto a posto, anche tutto quello che quella sera aveva spazzato via, inondando le loro vite. Sapeva che ci sarebbe dovuto essere il momento delle parole che seguiva quello degli abbracci e che anche quella che con Castle era solo una tregua. Ci sarebbe stato tempo, poi, per tutto, ma quella notte voleva solo godere della presenza di sua figlia, voleva sentirsi per la prima volta madre a tutti gli effetti. Quella notte Joy dormì tra le sue braccia, consapevole di essere sua figlia, senza nessun inganno e Kate la potè tenere a se, per la prima volta, con più di dieci anni di ritardo, capendo che quel senso di colpa non le sarebbe passato mai.

Kate non dormì mai quella notte, sussultando ad ogni movimento di Joy, sorrise quando lei si voltò e le diede le spalle, ma si strinse al suo braccio, abbracciandolo e non lasciandola. Rimase immobile per non svegliarla, nonostante il dolore aumentasse minuto dopo minuto, man mano che l’effetto degli antidolorifici passava. Aspettò che Joy decidesse di staccarsi da lei per alzarsi. Si mosse lentamente, per non far sobbalzare troppo il letto ed anche perché ormai faticava a contenere il dolore al petto ed anche respirare era diventato difficile in quella posizione distesa. Trovò a tastoni i pantaloni e prese dalla tasca una delle altre pasticche che le aveva lasciato il medico dell’ospedale. Aveva bisogno di un bicchiere d’acqua per farle sciogliere e silenziosamente uscì dalla stanza scendendo le scale, un’altra tortura che si sarebbe evitata volentieri, perché ad ogni scalino sentiva il dolore propagarsi per tutto il corpo. Trovò la cucina senza troppa difficoltà, le vetrate del soggiorno lasciavano che le luci di New York illuminassero anche quel grande ambiente. Si appoggiò al bordo del lavello, lo strinse forte e fece qualcuno di quegli esercizi di respirazione che le avevano consigliato, buoni anche per scaricare la tensione.

- Perché non me lo hai detto che hai una costola rotta?

Kate sobbalzò nel sentire la voce di Rick. Non si era accorta che era seduto sul divano ed ora nel buio stava avanzando verso di lei con un bicchiere vuoto in mano.

- Cosa ne sai? - Rispose sussurrando.

- Fatichi a respirare, la tua postura, il busto rigido e… il tuo corpo è… diverso… - Non poteva non notare la fasciatura, conosceva il suo corpo bene, lo aveva osservato a lungo e lo aveva anche accarezzato e stretto a se, imprimendo ogni curva nella sua memoria.

- Sono due, in realtà, ma non totalmente rotte.

- Mi dispiace. - Sussurrò anche lui. Gli dispiaceva che stava male, sì. Ma gli dispiaceva anche per tutto il resto, ma non aveva il coraggio di dirglielo.

- Non è nulla di grave, guariranno in pochi giorni.

- Dici sempre così, anche se non è vero e lo sai. - Le disse mentre le prendeva un bicchiere riempiendolo con un po’ d’acqua dove Kate lasciò cadere la medicina da far sciogliere. Insieme guardarono le bollicine prodotte nell’acqua e il rumore della compressa effervescente che roteava nel liquido.

- Ci sono fratture che fanno molto più male. Soprattutto quando sono inaspettate, soprattutto quando pensi che è qualcosa di così forte che non può rompersi. - Disse lei senza staccare gli occhi dal bicchiere. Castle sospirò, sapeva che stava parlando di loro, di quel rapporto diventato così forte in così poco tempo e cresciuto in maniera importante in pochi giorni negli Hamptons, tanto da diventare qualcosa di più, senza che nessuno dei due lo ammettesse.

- Grazie per essere venuta stasera. Io non avevo il coraggio di chiamarti.

- Devi ringraziare tua figlia che lo ha fatto, allora, non a me. Io ho fatto solo quello che qualsiasi madre avrebbe fatto. Aspettavo questo momento da tanto, lo sai. - Non era un rimprovero, anche se era partita per farlo, era più un ricordargli i suoi sentimenti.

- Non tutte le madri, Beckett… non tutte… - Disse pensando a Meredith e a tutte le volte che Alexis aveva detto la stessa cosa di Joy e lei al massimo le aveva parlato al telefono, scusandosi che non poteva venire. - Comunque puoi venire quando vuoi se desideri passare del tempo con lei.

Rick provò ad essere più accondiscendente e vide Kate annuire semplicemente con la testa. L’antidolorifico ormai si era sciolto e bevve d’un fiato tutto il bicchiere. Con l’amaro della medicina che scivolava nella gola le tornarono in mette tutte le discussioni, tutte le volte che in quelle settimane Castle l’aveva ferita, tutte le volte che le aveva negato anche un semplice contatto con Joy, anche solo di starle vicino in silenzio.

- Cos’è Castle, hai paura di perdere Joy adesso che provi ad essere più conciliante? - Disse lei questa volta in tono sprezzante. Non si sentiva in posizione di superiorità, sapeva bene che Castle era ancora quello che aveva la tutela di Joy e che avrebbe potuto impedirle ancora di vederla, ma sapeva che se Joy avesse chiesto di lei non glielo avrebbe impedito.

- Io… no… cioè sì… Non nel senso che dici tu ma… Insomma, sì, ho paura di perdere Joy, ma non per causa tua, in generale. Io… mi sono molto affezionato a lei. Molto. Per me lei è già parte della mia famiglia, a prescindere da quello che deciderà il tribunale. Io credo che… abbiamo sbagliato tutti Beckett, però per il bene di Joy, ora forse dovremmo fare tutti un passo indietro e magari cercare un’atra soluzione, che dici?

- Se dovessi seguire l’emotività di adesso ti direi di sì. Ma non sarebbe giusto. Io voglio mia figlia, Castle. Voglio che Joy sia mia figlia e non solo perché io l’ho messa al mondo. Io ti ringrazio per tutto quello che hai fatto per lei, per come l’hai accolta, per tutto quello che le hai dato, per come le vuoi bene, per tutto…

- Ha una famiglia qui Beckett. Con me, Alexis e Martha. Joy ha una famiglia. - Rick sembrò quasi supplicarla, ma Kate aveva ben chiaro cosa voleva.

- Anche io posso essere la sua famiglia. Non ho più paura adesso. Ho già fatto quest’errore una volta, non lo ripeterò ancora, non mi lascerò convincere che ha una famiglia e quindi devo rinunciare a lei, non questa volta.

- Che vuoi dire? - Le chiese Rick mentre Kate posò il bicchiere che aveva fatto roteare nervosamente tra le mani.

- Ci sono tante cose che non sai, Castle. Cose che non mi hai mai dato il tempo di spiegarti. Avevo due mesi di tempo, potevo ripensarci. Io rivolevo Joy, i due mesi non erano ancora scaduti, così sono andata in istituto dove l’avevano portata. Lei non c’era. Era con la sua nuova famiglia, una coppia che aveva richiesto l’affidamento e si stavano conoscendo, così mi avevano detto. Mi sono lasciata convincere dai loro discorsi, dal fatto che loro erano una bella famiglia, che si erano innamorati subito di lei, che avevano tutte le possibilità. Gli ho dato retta, non ho insistito, ho lasciato perdere. Sono stati quelli che dopo nemmeno due anni non l’hanno più adottata, perché malata. Rispedita indietro come una merce difettosa. Non mi farò convincere questa volta Castle, non cambierò idea.

- Io non farei mai una cosa del genere a Joy, lo sai, mi conosci. - Le disse cercando di convincerla.

- Credevo di conoscerti. Ma la persona che credevo di conoscere mi avrebbe almeno fatto parlare, mi avrebbe ascoltato. Il Castle che io conoscevo avrebbe voluto sapere la storia dietro ai fatti. Tu no, non me lo hai permesso. Non ho mai negato di aver sbagliato, speravo che almeno mi concedessi che l’ho fatto in buona fede e solo con l’intenzione di dare a Joy un futuro migliore, non che mettessi dentro a questa storia cose che non c’entrano nulla. Io non ti ho mai preso in giro, Castle. Non ho mai riso di te, anzi mi hai aiutato a capire molte cose. Ma tu senza nemmeno starmi a sentire hai messo in discussione tutto, hai distrutto tutto quello che credevo ci potesse essere. Sei arrivato alle tue conclusioni senza nemmeno ascoltarmi, senza capire quanto per me fosse tutto difficile. Tutto. Non solo Joy.

- Mi dispiace Kate…

- Anche a me dispiace Rick. Dispiace che non hai mai dato valore ai miei sentimenti, né verso Joy e nemmeno… nemmeno verso di te… - Si voltò a guardarlo erano così vicini che poteva sentire il suo respiro, sentire il suo profumo, vedere le sue labbra morbide, quelle labbra che avrebbe voluto così tanto baciare, che la baciassero, che l’avevano baciata fino a rubarle l’anima. - Pensavo che avessi un po’ più di considerazione di me e di quello che provavo. E purtroppo Rick, non era tutto finto come tu pensi, sarebbe stato meglio, perché sarei stata meno male.

Si allontanò da lui con un movimento troppo brusco. Una fitta la immobilizzò ma lei bloccò le mani di lui prima che la toccassero. Non doveva toccarla, non ora che era senza difese, in tutti i sensi. Riprese fiato e poi salì le scale lentamente mentre Castle la osservava. Quando non la vide più si versò un altro bicchiere di scotch e tornò nel divano a pensare alla sua vita di errori: aveva dato fin troppo credito a donne che non lo meritavano e per paura di soffrire ancora aveva annientato Beckett.

Kate rientrò in camera senza far troppo rumore e si rimise a letto, appoggiandosi un paio di cuscini dietro la schiena per non stare troppo sdraiata. Sentì Joy lamentarsi nel sonno ed agitarsi, la prese tra le sue braccia, cullandola dolcemente. Si calmò dopo poco stringendosi di nuovo a lei, mentre Kate sperava che l’antidolorifico facesse effetto velocemente, ma tutte le altre ferite le stava curando l’abbraccio innocente ed inconsapevole di sua figlia. Non l’avrebbe più lasciata, lo promise ancor prima che a Joy a se stessa.

Kate il mattino successivo non fu più riposata né i dolori si erano attenuati, anzi ne sentiva molti di più, da parti del corpo, dove era stata colpita che nemmeno ricordava. Temeva solo i lividi, le prove di quello che aveva subito, non voleva spaventare nessuno, soprattutto Joy.

- Buongiorno amore mio - le disse sorridendo appena la vide aprire gli occhi. Joy la guardava perplessa, come se non si rendesse bene conto di tutto quello che era accaduto, ma non si allontanò, non mise spazio tra di loro, si sollevò appena rimanendo sotto l’abbraccio protettivo di sua madre. Ora che l’emotività del momento era passata, era più difficile tutto, anche per Joy. Si sentì imbarazzata da quel contatto così ravvicinato ed intimo tra loro, ma allo stesso tempo non voleva privarsene. Sentiva, in qualche modo, che era giusto.

- Buongiorno Kate. - Joy vide un pizzico di delusione negli occhi di sua madre che non smettevano di guardarla. Si sporse verso di lei, facendo pressione sul suo costato per alzarsi, le diede un bacio sulla guancia, ma la vide fare una smorfia di dolore che non riuscì a trattenere.

- Scusa, non volevo farti male. - Disse rammaricata.

- Non è nulla… e il tuo bacio cura tutto. - Le sorrise e Joy la guardò perplessa.

- Grazie per essere venuta ieri sera. So che non ti avrei dovuto chiamare, perché non stavi bene.

- Perché dici che non stavo bene?

- Ti ho visto in tv. E poi ho sentito che hai una fascia tutta qui. - Le disse indicando il torace. Kate sorrise dello spirito di osservazione di sua figlia, lei ieri sera era talmente sopraffatta da tutte le emozioni che stava vivendo che non si sarebbe accorta di nulla.

- Ascoltami Joy… quando ieri sera Alexis mi ha detto che volevi vedermi è stata la cosa migliore che potessi sentire e io non credo di riuscire a spiegarti quanto sono stata felice e quanto lo sono anche adesso. Non sei tu a dovermi ringraziare, sono io a dover ringraziare te, per farmi essere qui. - Le accarezzò il viso spostandole i capelli che le stavano coprendo gli occhi. Gesti così semplici e normali che per Kate avevano tutti un significato speciale. Stava vivendo tante sue prima volte, una dietro l’altra e forse non riusciva a rendersi del tutto conto di quello che stava accadendo, sapeva solo che ogni gesto, ogni parola, le provocava emozioni immense.

Joy le stava per rispondere quando Martha entrò in camera, nessuna delle due si era accorta che aveva bussato e le trovò dolcemente abbracciate, con Joy ancora appoggiata alla spalla di Kate mentre questa la accarezzava. L’attrice ne fu molto colpita, soprattutto dallo sguardo carico di amore che Beckett in quel momento stava riservando a sua figlia.

- Buongiorno splendide ragazze, come va oggi? Dormito bene? - Chiese alle due con la sua voce squillante che copriva anche la sua emozione.

- Io sì, Kate credo non tanto… - Disse Joy staccandosi da sua madre.

- Ho passato la migliore notte della mia vita, Martha… - Sorrise Kate.

- Mia cara, non stento a crederlo… E poi la prima notte è sempre così, tanta gioia e tanti dolori un po’ ovunque, ma pensi che ne sia valsa la pena ogni volta che li guardi. Hai solo posticipato un po’! - L’attrice cercò di alleggerire la situazione, con Joy che strizzava gli occhi perplessa, non avendo capito molto di quel discorso.

- Sì Martha, vale tutti i dolori del mondo. - Kate guardò prima la donna in piedi vicino al letto e poi sua figlia. Era certa di quello che aveva detto e sapeva che la parte più difficile sarebbe stata farglielo capire, fare in modo che si fidasse di lei.

- Comunque io sto per uscire, tanto mi pare di capire che sei in buone mani… Ah Joy, Richard voleva sapere se ti deve portare la colazione o se preferisci scendere un po’.

- Scendo giù! - Esclamò felice di poter uscire un po’ da quella stanza.

Martha le salutò lasciandole di nuovo sole. Joy si alzò dal letto andando a prendere in un cassetto i suoi vestiti puliti.

- Hai… hai bisogno di aiuto? - Le chiese Kate timidamente.

- No, grazie faccio da sola. - Rispose lei sicura.

- Ok… ehm Joy… Io… io non so bene cosa fare, cioè… anche per me è tutto nuovo e… scusa se ti chiedo cose stupide ma… io non so come si fa… non dovrei chiedertelo però ho bisogno del tuo aiuto per essere quella di cui tu hai bisogno e… - Joy si fermò sulla porta del bagno e la guardò sorridendole.

- Kate… ti andrebbe dopo di aiutarmi a sistemare i capelli? - Beckett annuì e Joy si chiuse in bagno, mentre lei cercava di respirare lentamente. Era tutto maledettamente difficile. Aspettò che uscisse da lì, tormentandosi le mani nervosamente. Guardava quella stanza, come era diventata in poco tempo così sua, con i suoi giochi, i suoi libri, le sue fotografie. Uscì poi dal bagno con la spazzola in mano si sedette sul bordo del letto e Kate le andò dietro e cominciò a pettinarle lentamente i lunghi capelli, ciocca dopo ciocca. Stavano entrambe in silenzio e Kate avrebbe dato qualsiasi cosa per sapere a cosa stesse pensando sua figlia. I suoi pensieri, invece, si mescolavano tra presente e passato, pensò a quando sua madre voleva per forza pettinarla e lei, invece orgogliosa preferiva fare da sola, per far vedere che era capace e Johanna si complimentava sempre per il suo lavoro e poi pazientemente finiva di sistemarla. Era ancora più piccola di Joy e quello le diede la certezza che lei avrebbe saputo sistemarsi i capelli benissimo da sola. Smise di pettinarla e la abbracciò, appoggiando il petto alla sua schiena e stringendola a se. Piegò la testa ed il naso finì tra i suoi capelli, respirando il suo profumo. Sentì le mani di Joy stringere le sue, erano quei piccoli gesti che le riempivano il cuore. Non le chiedeva di più. Pensò ai giorni precedenti, a quando era stata scoperta, alla paura che aveva avuto di non poterle mai dimostrare quanto la amasse, era l’unica cosa che l’aveva terrorizzata in quei momenti, di non poter mai vivere un momento come quello.

- Grazie… - le sussurrò Kate.

- Di cosa? - Chiese Joy voltandosi e sciogliendo quell’intreccio che avevano creato.

- Di essere così come sei. - Non le voleva dire che che aveva scoperto quello che aveva fatto. Forse non era pronta a dimostrare apertamente che aveva bisogno o voglia di stare con lei e Kate non aveva alcuna voglia di forzarla, le sembrava già tanto poterla baciare ed abbracciare senza essere rifiutata.

Beckett non era la sola a non aver dormito. Castle era rimasto tutta la notte a guardare il ghiaccio dello scotch che si scioglieva lentamente, insieme a lui. Pensava a lui, a Joy, a Kate, a quegli ultimi mesi, a quello che aveva voluto, a quello che aveva sperato. Da quel giorno che Beckett era entrata alla sua festa aveva stravolto la sua vita. Lo aveva scelto lui, certo, era stato lui ad insistere per collaborare con lei, a fare di tutto per stare con lei, ma non avrebbe potuto fare altrimenti. Lei aveva qualcosa che non poteva spiegare, qualcosa che da subito gli aveva detto di volerne sapere di più, di voler sapere tutto di lei. Poi quando aveva scoperto forse la cosa più importante della sua vita, tutto era crollato, lui aveva fatto crollare tutto. Aveva sempre creduto nel destino e nella magia, ma quello che gli era accaduto andava oltre, era stato conquistato da Joy dal primo istante, dai suoi occhi, dal suo modo di guardarlo, dai suoi gesti impauriti e decisi insieme. Non capiva come aveva fatto a non accorgersi eppure ora gli sembrava tutto così palese, erano così chiare le similitudini con Kate, da quando glielo aveva detto non faceva altro che notarle, il modo in cui lo guardava inclinando un po’ la testa, quando non era convinta di quello che stava dicendo, il suo sorriso timido, la sua testardaggine, la sua indipendenza. Forse non era un caso, forse quel brivido che aveva provato nel vedere Kate tenere in braccio Joy il giorno che l’avevano trovata era perché per qualche strana magia lui lo sentiva che c’era qualcosa, e tutte quelle persone che li scambiavano per una famiglia riuscivano a vedere più chiaramente di lui. E quella notte con quel ghiaccio si scioglievano tante sue certezze. Aveva paura di qualsiasi cosa, che Beckett legasse troppo con Joy al punto che lei decidesse di voler stare con sua madre, che invece non volesse più vederla o averla nella sua vita e che quella era stato solo un crollo emotivo. Avrebbe voluto che tutto fosse più semplice, avrebbe voluto avere il coraggio di dire “mi dispiace” ma non aveva nemmeno quello. Avrebbe voluto tornare indietro nel tempo e riportare tutto a quando erano negli Hamptons, a quella notte con Kate quando non le aveva detto nulla di quello che provava perché non sapeva cosa fosse e per non distruggere tutto. Ora era tutto distrutto, lui non sapeva ancora cosa provava, ma sapeva solo che si possono odiare così tanto solo le persone che si amano dal profondo, che ci si può sentire così feriti e traditi da qualcuno, solo se in lui avevi riposto tutto te stesso.

Martha si era accorta che non aveva dormito, ma non gli aveva detto nulla, in cuor suo sperava che quel testone di suo figlio per una volta facesse la cosa migliore, ma non ne era convinta, perché lui era bravissimo ad incasinare tutto. Gli aveva detto che Kate e Joy erano sveglie, che sarebbero scese e che entrambe sembravano felici ed un po’ imbarazzate. Era uscita raccomandandosi di comportarsi bene, come se lasciasse a casa solo un bambino e suo figlio molto spesso lo era.

Stava finendo di preparare il caffè per Kate e la colazione per Joy quando suonarono al campanello. Fu abbastanza stupito perché non si aspettava nessuno.

- Ciao Matt, cosa ci fai qui? - Rick fece entrare Matt Cameron, il suo avvocato, quello a cui aveva dato il mandato di occuparsi dell’adozione di Joy e della causa contro Beckett.

- Ti rubo solo pochi minuti, passavo da queste parti e mi sono fermato. Hai visto la tv ieri sera Rick? - Chiese con un gran sorriso l’avvocato.

- Cosa?

- Beckett. È rimasta ferita in un’azione, questo sai cosa vuol dire Ricky?

- No… che vuol dire? - Castle era frastornato, non capiva perché Matt era così felice della situazione e tutto quello si andava drammaticamente a scontrare con i pensieri che aveva avuto per tutta la notte.

- Che questo gioca tutto a nostro favore! Potremmo usare anche questo per non farle avere la custodia e per tenerla lontana da Joy. Il suo lavoro è pericoloso e lei non può prendersi cura in ogni caso di sua figlia. Bene no?

- Matt io veramente… - Avrebbe voluto dirgli di farla finita, come poteva essere un bene che Beckett avesse rischiato la vita.

- Questo è un grosso punto a nostro vantaggio, anche senza tutto il resto. Vedrai, alla fine saranno loro a ritirare la richiesta di affido, anche se, detto tra noi, la detective continua così, penso che prima o poi ci lascerà le penne ma…

- Matt non mi pare il caso… - Lo fermò Rick che fu fermato a sua volta da una voce sulle scale.

- No! - Joy era lì, in piedi con Beckett alle sue spalle che guardava Rick e l’avvocato con occhiate che sembravano pugnali affilati.

- Rick? Che ci fa lei qui? - Chiese Matt.

- Joy voleva vedere sua madre ieri. Voleva sapere che stava bene. - Sottolineò Castle.

- Non credo che sia una buona idea questa Ricky, lasciatelo dire. - Lo rimproverò il suo avvocato.

- So io cosa è bene per Joy e cosa no, Matt. Ora per favore, è il caso che tu vada.

L’uomo annuì e contrariato lasciò il loft, mentre Kate e Joy si avvicinavano a Castle, entrambe silenziose, entrambe con uno sguardo che diceva tutto.

- Mi dispiace per quello che ha detto Matt, ha esagerato. - si giustificò un impacciato Castle. Provò ad avvicinarsi a Joy, ma Kate in un istintivo gesto protettivo, avvicinò la bambina a se e l’abbracciò rimanendo in piedi dietro a lei. Castle fu colpito da quella reazione di Beckett che non trovò del tutto inaspettata, immaginava che sarebbe stata così con sua figlia.

- Rick, io non voglio che accada qualcosa di brutto alla mamma. - gli disse Joy. Castle guardò prima Kate e poi la bambina, maledicendo il suo amico per averlo messo in quella situazione.

- Non lo voglio nemmeno io Joy, stai tranquilla. Che ne dici se ora fai una bella colazione e poi prendi le tue medicine? Sono già lì pronte che ti aspettano. - Le sue parole sembrarono tranquillizzare la bambina che in Castle riponeva molta fiducia, perché in quei mesi era stato l’unico a non prenderla mai in giro e ad occuparsi sempre di lei. Kate, invece, rimase molto di più sulla difensiva, osservando come lui avesse un ascendente così forte verso sua figlia e ne rimase un po’ preoccupata. Voltò poi lo sguardo sulla tavola e su una tovaglietta c’erano ordinati vari flaconcini. Sospirò troppo profondamente per quanto il suo torace potesse sopportare senza farle sentire dolore e la lasciò andare a sedersi.

- Tu Beckett, cosa preferisci? - Le chiese Rick con quel tono affabile che da tempo non sentiva, almeno non verso di sé.

- Solo un caffè, Castle. Non voglio abusare della tua ospitalità troppo a lungo. - Cercò di essere anche lei il più cordiale possibile, nascondendo la sua battaglia interna tra le sue paure e le sue speranze.

- Non è un problema…

Kate si sedette vicino a Joy, osservandola mangiare una tazza di cereali poi anche Rick le raggiunse, portando una tazza di caffè a lei ed una per se. Come ai vecchi tempi.

- È come piace a te… - Le disse lui mentre lo stava sorseggiando.

- Grazie. È molto buono. - Rispose imbarazzata.

- Beckett io… ecco… parlerò con Matt. Non avrò nulla in contrario se vorrai vedere Joy in questo periodo.

- Grazie. - Rispose ancora bevendo un altro sorso di caffè. Quella tazza tra le mani era un rifugio, le dava sicurezza, era qualcosa dove aggrapparsi per pensare che sarebbe andato tutto bene, ma in quel momento non sapeva quale era il lieto fine che potesse esserci. In ogni caso avrebbe sofferto qualcuno e lei nonostante tutto, non voleva che soffrisse nessuno, nemmeno Castle.

- Joy, se vuoi passare del tempo con Kate è ok, va bene? - Chiese Castle anche alla bambina che annuì ancora.

- Io ora però credo che dovrei proprio andare. Al distretto probabilmente si chiederanno che fine ho fatto. Devo ancora fare rapporto di ieri… - Kate interruppe quel silenzio che si era creato tra loro tre ed era insolito, perché insieme avevano sempre parlato e scherzato molto ma in quel momento non c’era più nulla di tutto quello.

- Mamma… Ma tu fai sempre cose pericolose? - Le chiese Joy preoccupata. Kate nel sentirsi chiamare di nuovo mamma sentì un vuoto dentro, come quando si va sulle montagne russe.

- Joy ti prometto che da ora in poi non farò più cose così pericolose, va bene? - le disse piegandosi per guardarla negli occhi ed essere alla sua altezza.

- Io non voglio che ti fai male ancora. - Gli occhi di Joy la trafissero inchiodandola alle sue nuove responsabilità. Ogni decisione che avrebbe preso nella sua vita, da quel momento in poi, non avrebbe influenzato solo la sua, ma anche quella di sua figlia. Era un cambio di rotta decisivo, al quale avrebbe dovuto abituarsi presto.

- Stai tranquilla amore mio, non mi accadrà nulla. - Kate si alzò e Joy fece lo stesso per andare ad abbracciarla. Salutare sua figlia fu per Beckett una fatica immensa. Non pensava che sarebbe stato così difficile. Le diede un bacio e poi un altro e un altro ancora. La guardò e poi la strinse di nuovo.

- Tornerai a trovarmi? - Le chiese Joy.

- Prestissimo, te lo prometto. Ma tu per qualsiasi motivo, se vuoi chiamami. Quando vuoi. - Joy annuì.

- Sarà meglio tornare in camera JJ! - Le disse Rick che la prese in braccio appena Kate la lasciò e poi le chiese se poteva aspettarlo. Guardò Joy mentre saliva le scale in braccio a Castle salutandola ancora. Le mancava già.

Rick tornò poco dopo e i due si trovarono imbarazzati uno davanti all’altra.

- Ero serio quando ho detto che puoi tornare quando vuoi. Joy ha bisogno di te. - Le disse Castle.

- Hai cambiato idea velocemente… - Rispose lei sarcastica.

- Voglio anche io il suo bene e lei sta bene se tu ci sei a quanto pare. Per me puoi venire quando vuoi.

- Grazie.

- Ti chiedo solo una cosa Beckett. Non promettere mai cose che non puoi mantenere. - Kate si sentì a disagio ad essere ripresa così da Castle. Fossero stati in altri rapporti, fosse stato prima, non avrebbe esitato a chiedere aiuto a lui su come comportarsi. Poteva dirgli di tutto, ma con i bambini ci sapeva fare ed aveva cresciuto Alexis da solo.

- A cosa ti riferisci?

- Quando le hai detto che non ti accadrà nulla, che non farai nulla di pericoloso. Ti conosco un po' Beckett, tu non sai stare in seconda linea, sei sempre in prima. Magari cerca solo di stare un po' più attenta adesso. Per le persone che ti vogliono bene. - Avrebbe voluto dirle anche lui gliene voleva, nonostante tutto, ma non ebbe il coraggio.

- Farò tutto il possibile adesso per limitare le situazioni pericolose. Non voglio far preoccupare Joy. Diglielo anche tu, per favore. - gli chiese nella speranza che a lui credesse di più.

- Lo farò, stanne certa.

Kate uscì senza che si salutassero. Si guardarono solamente, con quell’imbarazzo perenne che li divideva con un vetro infrangibile. Fermò il primo taxi che passava e si fece portare di nuovo in ospedale, lo aveva promesso al momento delle sue dimissioni. Si preparò mentalmente ad una nuova predica, ma in realtà ogni suo pensiero era rivolto a Joy e cercava ancora di capire tutto quello che le era accaduto ma non era facile. Aveva intuito nell’atteggiamento di sua figlia tutte le difficoltà e le contraddizioni che stava affrontando, percepiva il suo desiderio e la paura, affetto e diffidenza che le facevano avere reazioni diverse nei suoi confronti. Farsi accettare completamente da lei era certa che sarebbe stata una strada dura. Joy aveva fatto il primo passo, ma ora il resto del cammino spettava a lei. Non le importava quanto sarebbe stato faticoso, difficile, doloroso, lo avrebbe percorso tutto, senza esitare.

La fecero accomodare in una stanza separata da altri pazienti con una tendina. Tutti sentirono la ramanzina che il medico le fece osservando le sue nuove radiografie. Era stata imprudente e sconsiderata, disse osservandole. Senza fasciatura le sembrò di stare meglio, almeno per un po’. Sarebbe rimasta lì, in attesa che il primario decidesse se tenerla ancora sotto osservazione oppure no. Si sentì sfinita dopo quei giorni sotto copertura e tutto quello che era accaduto dalla sera precedente e senza nemmeno accorgersene si addormentò.

Castle appena uscita Beckett tornò in camera da Joy. Era di nuovo molto silenziosa e dagli atteggiamenti che aveva, dalla postura e dall’espressione le sembrava tornata la bambina che aveva portato a casa i primi giorni. La vide tenere in mano la collana che le aveva regalato Kate, facendo scorrere la farfalla tra le dita.

- La vuoi mettere? - Le chiese Rick sedendosi vicino a lei. Joy non rispose, alzò solo le spalle. Lui sapeva che voleva farlo, ma non glielo avrebbe chiesto, così la prese dalle sue mani e gliela mise al collo. Joy ora la guardò pendere sul suo petto e sorrise.

- Grazie Rick.

- Devi imparare a chiedere le cose che vuoi. Non aver paura a farlo. - La incoraggiò.

- Ci hanno insegnato a non chiedere, hanno sempre detto di ringraziare, ma di non chiedere e non volere nulla. - Ammise Joy.

- Chi te l’ha detto? - Le chiese Rick stupito.

- All’istituto. Dicevano che quando eravamo con le nuove famiglie di non chiedere mai nulla, se no poi ci avrebbero rimandato indietro all’istituto se non eravamo bravi, come hanno fatto con me. Però io non ho mai chiesto nulla, nemmeno prima.

- Ascoltami… questa cosa adesso dimenticala, ok? Se vuoi qualcosa chiedila pure a me, ad Alexis, a Martha… anche a Kate. Devi dire quello che vuoi, sempre. Poi magari ti possiamo dire di no, ma tu devi dirlo…

- Sei arrabbiato con me? - Chiese preoccupata.

- No, non sono arrabbiato. Per cosa dovrei esserlo?

- Perché ho chiesto di vedere Kate e sono rimasta con lei.

- Se tu vuoi vederla per me va bene.

- Perché quel signore ha detto tutte quelle cose cattive su Kate? Anche tu la odi?

- No. Io non la odio. Mi sono arrabbiato con lei, perché mi ha tenuto nascosto di te e non mi ha detto delle cose. Però io non la odio anzi le voglio bene. - La accarezzò sorridendole per tranquillizzarla.

- Anche io le voglio bene, però anche io sono arrabbiata con lei. È complicato… - Disse seria.

- Sì, lo è. Ma non devi sforzarti di fare quello che non ti senti. Devi essere naturale con Kate, lei sono sicuro capirà, anche le tue incertezze. È normale che sia così.

- Prima mi ha detto che lei non sa bene cosa fare e che devo essere io ad aiutarla, ma io non so come. - Ammise tristemente.

- Parlando. Dille quello che vuoi che faccia e quello che non vuoi. Se c’è qualcosa che ti da fastidio glielo dici, se invece vorresti qualcosa da lei chiediglielo. - Castle cercava di fare in modo che Joy potesse sentirsi più a suo agio possibile in quella situazione scomoda.

- Avrei voluto che fosse rimasta ancora un po’… secondo te perché è andata via così presto? - Dai suoi occhi traspariva tutta la sua delusione.

- Non lo so, probabilmente ieri sera quando è venuta qui non lo aveva messo in preventivo e non pensava di fermarsi a dormire, magari doveva finire di sistemare delle cose a lavoro, oppure… - Rick non sapeva se Beckett le avesse detto niente e nemmeno se era compito suo farlo, ma Joy non era una stupida e non era giusto tenerle nascoste le cose, non più ormai - … Kate è uscita dall’ospedale per venire qui,  forse aveva delle visite…

- Aveva tutto fasciato qui. - Disse indicandosi il petto.

- Lo hai visto? - Le chiese Rick stupito che si fosse lasciata vedere da sua figlia così.

- No, ma l’ho capito quando mi ha abbracciato ed ho dormito con lei. Si sentivano sotto la maglietta, però lei non mi ha detto niente, mi ha fatto dormire così lo stesso.

Rick sorrise e non si stupì. Era decisamente da lei un comportamento del genere, non avrebbe mai impedito a sua figlia di dormire abbracciata a lei se voleva, per nessun dolore al mondo. Diede un bacio a Joy e si alzò dal letto vide la maglia che aveva dato a Beckett per dormire appoggiata sulla sedia, la prese e poi lasciò la piccola sola a vedere la tv. Appena fuori dalla stanza strinse la maglia tra le dita, aveva ancora il suo profumo, quel profumo che da quella notte negli Hamptons, nonostante tutto non aveva più dimenticato. Avrebbe dovuto chiamare Matt e spiegargli che le cose stavano cambiando, anche se non sapeva nemmeno lui come.

In tutta quella confusione Kate aveva anche dimenticato di avvisare suo padre. Fu svegliata dal suono del cellulare, probabilmente doveva aver avuto notizia del suo ferimento dalla tv.

- Katie! Dio mio cosa ti è successo? - La voce spaventata dell’uomo la fece ritornare rapidamente in sé.

- Sto bene papà, non ti preoccupare. - Cercò di rassicurarlo.

- Ma dove sei, sei ferita?

- Sono in ospedale, ma solo per un controllo. Io sto bene… Ieri sera ho visto Joy. È stata lei a cercarmi ed ho passato la notte da Castle, con lei. - Aveva bisogno di dirlo a qualcuno, anche se con suo padre difficilmente riusciva ad esternare i suoi sentimenti fino in fondo, ma in quel caso era diverso, anche se le parole non rendevano la sua emozione, Joy era qualcosa che andava oltre, che le faceva superare anche le barriere che aveva sempre avuto con Jim.

- Questo è… è bellissimo!

- Sì, io non so ancora papà… non ci riesco a credere…

Si commosse al telefono con suo padre, soprattutto quando gli disse che l’aveva chiamata mamma. Poi non riuscì a dirgli più niente, ma lui capì. Si sarebbero sentiti poi, con più calma, quando le emozioni avrebbero trovato la loro giusta collocazione. La tennero tutto il giorno in osservazione, le fecero una nuova radiografia al torace ed una nuova fasciatura, meno rigida, prima di dimetterla, raccomandandosi sempre di non fare troppi sforzi.

Alexis era uscita presto quella mattina, prima che Joy e Kate si svegliassero. Era andata con una sua amica all’inaugurazione di un nuovo mega store ed avevano fatto tantissimo shopping approfittando dei saldi promozionali per quel giorno. Era stato un inferno e lei non era solita partecipare a queste cose, ma quella sera era tornata a casa soddisfatta e piena di borse, ne era valsa decisamente la pena di fare quella levataccia, mentre suo padre era un po’ meno contento, sapendo che aveva pagato tutto lui. Le tenne un finto broncio indispettito, che si sciolse non appena Alexis gli fece vedere le due magliette che aveva comprato per lui, due di quelle molto nerd con i super eroi, ne era entusiasta. La ragazza salì poi al piano superiore, lasciò i suoi pacchi in camera e con una busta in mano bussò alla camera di Joy entrò senza aspettare che rispondesse e la trovò in sul letto ad ascoltare la musica dal suo ipod.

- Come è andata con Kate? - Le chiese Alexis mettendosi vicino a lei.

- Ciao Al… Uhm… credo bene…

- Credi?

- Sì, non lo so… Come dovrei sentirmi adesso? - Le chiese mentre spegneva l’ipod. Alexis si sedette sul materasso a gambe incrociate e pensò un po’ su a quale risposta darle.

- Tu come ti senti?

- Confusa.

- Allora è così che ti devi sentire.

- Confusa? - Chiese Joy che non capiva.

- Sì, non c’è una risposta giusta da darti. Ti devi sentire come ti senti, non posso dirtelo io né nessun altro. Ogni modo in cui ti senti è quello giusto.

- Secondo te si può voler bene ad una persona ed essere arrabbiati con lei?

- Io mi arrabbio spesso con papà, però gli voglio bene. - Le spiegò Alexis.

- Sì, ma io intendo proprio arrabbiata arrabbiata. - Disse Joy seria cercando di mimare la sua rabbia.

- Ti senti così con Kate?

- Sì, però… vorrei capire Alexis. Avrei tante cose da chiederle ma… non so come fare… è difficile… è complicato. - Joy scosse la testa e guardò in basso. Per lei era tutto veramente confuso.

- Io sono sicura che Kate risponderà a tutte le domande che vorrai farle, anzi che non vede l’ora di rispondere a tutte le tue domande. - Provò a rassicurarla Alexis sulla bontà delle intenzioni di sua madre.

- Io ho paura di non crederle. Come posso fare?

- Non ti fidi più di lei?

- Non lo so. - Sospirò Joy

- Io sono sicura che tu saprai se Kate è sincera quando ti parlerà. Guardale gli occhi, gli occhi non mentono mai. Nemmeno i tuoi. - Le disse toccandole la punta del naso facendola sorridere.

- E cosa dicono i miei?

- Dicono che sei stanca e poi che avresti voglia che Kate fosse qui. - Joy rimase a bocca aperta mentre Alexis sorrise. - Tieni oggi ti ho preso queste, spero che ti piacciano. Le ho prese uguali anche per me.

Alexis mostrò a Joy due magliette di una delle sue marche preferite, di quelle che anche a Joy piacevano tanto, più da grandi, e ne fu entusiasta, manifestando la sua felicità abbracciandola.

- Al, pensi che Rick si arrabbierà? - Chiese Joy tenendo in mano le magliette.

- Di queste? No, perché dovrebbe arrabbiarsi?

- Dicevo di Kate. Pensi che Rick si arrabbierà se la chiamo? Lui dice di no, però oggi quel suo amico ha detto delle cose brutte su di lei. - Ad Alexis sembrò che Joy si rattristasse così rimase ancora lì a parlare con lei.

- Chi è che diceva cose brutte su Kate? - Si informò

- Matt. Rick lo ha chiamato così. Ha detto che Kate se continua così ci lascia le penne e poi rideva. - Alexis capì che si trattava dell’avvocato di suo padre. Si appuntò mentalmente di riprenderlo perché non doveva permettere a suo padre di far parlare qualcuno in quel modo se Joy poteva sentire.

- Non dare peso a queste cose Joy. Papà sicuramente non la pensa così e poi Kate è una tosta! Vuoi chiamarla ora ?

- No, domani. Ora magari è stanca e si riposa. - Disse sdraiandosi nel letto e Alexis le tolse l’ipod e le magliette poggiandole su una sedia.

- Ok, allora chiamala domani, ma sono sicura che la tua mamma non è mai troppo stanca per te. - Le diede un bacio e poi uscì. Joy si addormentò poco dopo.

Kate non si aspettava che fosse Joy a chiamarla di nuovo. Ma la mattina dopo l’aveva fatto, subito dopo colazione. Era la prima volta che usava il suo nuovo cellulare, si era fatta dare il numero da Rick ed aveva preso coraggio, chiamandola. Nel sentire la sua voce al telefono Kate pensò di aver sognato, invece era proprio lei e le chiedeva se poteva andare da lei. Per sicurezza prima di uscire chiamò lei Castle per essere sicura che potesse andare e che non creasse problemi.

Il cuore le batteva veloce così come la prima volta. Credeva che non avrebbe superato mai quella fase di agitazione che precedeva il momento di vederla.

- Ciao Beckett, sei venuta presto - Le disse Castle appena aperta la porta.

- Sì, ehm… troppo presto? - Chiese varcando la soglia.

- No, figurati. Vuoi qualcosa?

- No, sto bene così, grazie.

- Bene… - Le sorrise nervoso. - Senti ehm… io devo uscire… puoi rimanere tu con Joy adesso, vero?

- Devi o vuoi? - Chiese Kate.

- Diciamo che forse è giusto che tu e lei passiate un po’ di tempo da sole.

- Come mai questo cambio così repentino? Non volevi nemmeno che la vedessi. - Non ci stava Kate a far passare tutto in cavalleria ed aveva paura che anche quella fosse una sua qualche strategia, anche se non sapeva bene per quale fine.

- Perché per Joy è meglio così, perché ho esagerato e mi dispiace. - Gli occhi di Castle le sembravano sinceri, lei annuì e le disse che se voleva poteva raggiungere Joy. Lui sarebbe tornato per pranzo, avevano qualche ora per stare insieme da sole.

- Ciao Joy. - Aveva rotto di nuovo il ghiaccio entrando nella sua stanza e tenuto a freno l’impulso di correre ad abbracciarla. “Non fare nulla di troppo”, si era ripetuta più volte, doveva lasciare che fosse Joy a gestire il come, il quando ed il quanto.

- Ciao Kate. Mi ha detto Rick che stava uscendo e di rimanere con te.

- Sì, l’ho salutato adesso, andrà via tra poco. È un problema per te, rimanere sola con me? - Glielo chiese subito, prima che Castle uscisse, in caso contrario l’avrebbe fermato, non voleva metterla a disagio.

- No… Per me va bene.

La televisione accesa su un canale che trasmetteva solo cartoni animati faceva da sottofondo ai loro silenzi.

- Rick mi ha detto che se c’è qualcosa che voglio te lo devo chiedere. - Le disse Joy dopo aver riflettuto attentamente.

- Certo, puoi chiedermi tutto quello che vuoi. - Kate notò che indossava di nuovo la sua collana e lo prese come un segnale positivo.

- Da quanto sai che sei la mia mamma?

- Qualche giorno dopo che ti abbiamo trovato. Ti ricordi quanto ti ho chiesto se potevo prendere un po’ del tuo DNA? Io volevo trovare i tuoi genitori, magari poteva essere una pista per sapere chi aveva ucciso Ethan e Lauren, pensavo che loro avevano scoperto di te, in qualche modo. Quando mi hanno portato i risultati, mi hanno detto che eri compatibile con me, che eri mia figlia.

- Però non me lo hai detto. Perché? Non eri felice?

- Io… Ero sconvolta. Mi ero immaginata un’altra vita per te e no, non ero felice di sapere che tu eri mia figlia. - Joy si bloccò, stupita dalle sue parole che non si aspettava. - Non ero felice perché io avevo sempre creduto che tu vivessi in una bella famiglia, da quando ti avevano adottata dopo pochi mesi, che eri contenta con loro, che stavi in una bella casa, felice, con delle persone che ti amavano. Per questo io non ero felice, perché in quel momento ho capito che tutte le mie idee, tutto quello che avevo creduto in questi anni non era vero. Se lo avessi saputo prima Joy… avrei fatto di tutto per riprenderti con me. Io volevo solo il meglio per te, mi credi?

- Non lo so. È strano. È complicato. Tu perché sapevi che quando ero piccola avevo una famiglia? - Kate capì in quel momento che quella mattina sarebbe stata lei l’interrogata, sarebbe stata dall’altra parte di un tavolo immaginario e sua figlia avrebbe condotto l’interrogatorio, con il suo stesso piglio, senza farla rifiatare. Avrebbe confessato tutto, qualsiasi cosa le avesse chiesto.

- Perché un paio di mesi dopo che sei nata io ero andata nell’istituto dove ti avevano portato e volevo riprenderti. Ma mi hanno detto che ti avevano già dato ad un’altra famiglia e che da loro avresti avuto tutto. Io ci ho creduto e da allora ti ho immaginato così, felice con la tua nuova famiglia.

- Volevi tenermi con te? - Le chiese ancora.

- Sì. Ho capito che avrei potuto farcela anche da sola e dovevo dar retta al mio istinto e riprenderti ad ogni costo. Perdonami se non l’ho fatto.

- Il mio papà non mi voleva, vero? Non lo hai mai nominato ed hai detto che eri sola.

- Non ho più visto né sentito il tuo papà da molto prima che tu nascessi. Lui non voleva né me né te.

- Perché?

- Non lo so, eravamo giovani, non eravamo innamorati, per lui contava altro. Però per me non è stato un problema quello. Io avevo già deciso di tenerti quando lui mi ha detto che non gli interessava di noi.

- Perché hai cambiato idea e non mi hai voluto più? - Joy era arrivata al punto più difficile per Kate, parlare di sua madre era sempre complicato, parlarne a sua figlia ancora di più, soprattutto rispondere a quella domanda. Le si avvicinò e le prese le mani, il suo contatto servì a calmarla, almeno un po’. Prese tutto il coraggio di cui pensava di aver bisogno e poi le raccontò senza inventarsi nulla cosa era accaduto.

- Ti ricordi il ristorante dove siamo andate a mangiare le polpette con il purè?

- Quello dove non andavi da tanti anni?

- Esatto, proprio quello. Io avevo deciso che quella sera avrei detto di te ai miei genitori, non gli avevo detto nulla ancora, vedi non era così facile farlo, però quella sera dovevamo andare tutti a cena fuori ed avrei approfittato per dirglielo. Però la mia mamma non è mai venuta, quella sera l’hanno uccisa.

- Oh…

- Da quella volta non sono più andata a mangiare lì, fino a quando non sei arrivata tu.

- Perché mi hai portato lì allora se era un ricordo brutto quel posto?

- Perché quel posto fa parte della mia famiglia, ci andavo sempre con la mia famiglia ed ora tu sei la mia famiglia, capisci cosa voglio dire? Io ci andavo con la mia mamma, ed ho voluto andarci con te.

- Sì, penso di capire. Hai voluto fare tu la mamma lì.

- Sì, esatto.

- Ed il tuo papà? Lui non ti ha aiutato con me? Non mi ha voluto nemmeno lui?

- No… il mio papà non sapeva, non ho più detto niente. Lui è stato male per tanto tanto, per tanti anni, è stato ricoverato anche per molti mesi in un posto per curarsi. Io dopo che è morta la mia mamma sono rimasta sola e pensavo di non poterti dare niente di bello ed io volevo che invece tu avessi tutto il meglio. È stato tanto difficile Joy, tanto difficile lasciarti.

- Credo che a me sarebbe bastato avere te. - Le disse semplicemente sua figlia e Kate annuì tra le lacrime.

- L’ho capito tardi amore mio. Non sai quanto mi dispiace…

- Ti ricordi quel giorno al parco? Quando quei bambini mi hanno fatto cadere e tu mi hai difeso? - Joy aspettò che Kate si asciugasse le lacrime prima di parlare. Le faceva uno strano effetto, lei non aveva mai visto gli adulti piangere, non per lei almeno. Beckett annuì e allora Joy potè proseguire - Io in quel momento ho pensato che mi sarebbe piaciuto avere una mamma come te. Però ora pensare che tu sei proprio la mia mamma è complicato. Cioè, io sono contenta che una come te è la mia mamma, però tu eri mia amica, non la mia mamma. È tutto difficile. Penso che se me lo dicevi subito era più facile. Io non lo so Kate… vorrei averti come mamma, ma sono arrabbiata con te.

- Lo so che sei arrabbiata con me. Sono anche io arrabbiata con me. Abbiamo qualcosa in comune. - Kate sorrise facendo sorridere anche Joy.

- Anche le polpette con il purè - sottolineò la bambina.

- Vero, anche quelle. È già un buon punto di partenza. Siamo arrabbiate con la stessa persona e ci piacciono le stesse cose. Potremmo uscire quando starai bene, parlare malissimo di quella persona e mangiare polpette e purè, che ne dici?

- Quando starò bene mi porterai di nuovo lì? - Le chiese Joy senza nemmeno rendersi conto di stare già progettando un futuro che includeva anche Kate.

- Tutte le volte che vorrai. Ma la prossima volta visto che starai bene ci prenderemo una fetta di torta a testa!

Joy sorrise felice e Kate fece lo stesso di rimando. Po l’accarezzò e la sua mano scivolò fino alla collana, sfiorando le ali della farfalla.

- L’ho rimessa questa mattina. Mi ha aiutato Rick.

- Ne sono felice. Quella collana è stata molto importante per me. - Le spiegò Kate

- Perchè?

- Me l’aveva regalata la mia mamma. Avevo più o meno la tua età e la portavo sempre.

- Era tua? - Chiese stupita.

- Sì, era mia. Io… volevo regalarti qualcosa di importante, un pezzettino di me e quella collana ora unisce me, te e la mia mamma.

- Oh… - Joy prese in mano la collana e la guardò. Era molto orgogliosa adesso di averla. - Come si chiamava la tua mamma?

- Johanna. Si chiamava Johanna.

- Per questo io mi chiamo Joy? - Chiese ancora curiosa

- In realtà non ci avevo mai pensato ma… no, non per quello.

- Non l’hai scelto tu il mio nome, immagino. - Disse la bambina triste non avendo pensato.

- In realtà sì, ma è stata una cosa strana, vuoi sapere come è andata?

Joy annuì e Beckett cominciò a raccontarle di quella mattina.

- Tu eri nata il giorno prima e non mi avevano permesso di vederti, perché dicevano che poi sarebbe stato difficile lasciarti, ma loro non sapevano che era già difficile così. Però io sono scappata e sono andata dove c’erano tutti i bambini e c’eri anche tu, ti ho vista subito, eri la più bella di tutte.

- Dici sul serio?

- Certo, sono serissima. Però un’infermiera mi ha trovato e mi voleva riportare in camera. Mi ha detto che sarebbe stata lei a darti il nome ed io le ho detto che ti avrei voluto chiamare Joy. Non sapevo che poi ti avevano chiamato veramente così.

- Quindi l’hai scelto tu il mio nome! - Sembrava felice della cosa e Beckett lo era più di lei.

- Sì, alla fine l’ho scelto io.

- E perché?

- Mi ero detta che appena ti avrei visto avrei saputo che nome avrei voluto darti, e vedendoti ho pensato a Joy, perché volevo per te una vita piena di gioia e di cose belle.

- A me piace il nome Joy, grazie, è un bel nome.

- Ti devo confessare anche un’altra cosa, hanno sbagliato a scrivere la data del tuo compleanno. Non sei nata il 23, ma il 22 giugno, mattina presto.

- Oh… e adesso? - Chiese preoccupata

- Beh, adesso potremmo fare una cosa, dal prossimo anno festeggiamo due giorni di seguito, che ne pensi? - Le propose Kate sorridendo.

- Non pensi che sia troppo? - La guardò seria e perplessa.

- No, io potrei festeggiarti anche tutto l’anno se lo vuoi.

- Kate, non fare come Rick che esagera sempre però! - La riprese sua figlia e Beckett scoppiò a ridere. Si sentì molto sollevata anche se Joy continuava a guardarla seria.

- Mamma…

- Dimmi amore mio

- Sono un po’ meno arrabbiata adesso.

Si sporse verso di lei, lasciandosi abbracciare. In fondo Joy doveva ammettere che tra le braccia di Kate stava bene.

Passare del tempo con Kate era diventato più facile per Joy e capitava sempre più di frequente che Castle le lasciasse sole. Beckett in quei giorni era in congedo per malattia mentre Castle aveva frequenti incontri con la casa editrice per finalizzare le strategie per il lancio del libro di Nikki Heat, così spesso la mattina Kate rimaneva con Joy e lui andava alla Black Pawn lasciando la piccola in compagnia di sua madre.

Quando Rick tornò a casa quel giorno ed andò a vedere come se la passavano le trovò abbracciate, in uno dei momenti sempre più frequenti che Joy si prendeva per godersi quel senso di protezione che Kate sapeva trasmetterle. Non riusciva a spiegarsi cosa fosse, però era diverso. Non era la stretta vigorosa di Castle, che era stato molte volte il cuscino morbido sul quale si era addormentata, era un tocco gentile e forte, era la sua mamma.

Rick si era appoggiato alla porta per osservarle e quando Joy si accorse di lui gli fece di non dire nulla portandosi un dito davanti alla bocca, così la piccola si strinse a Kate circondandole il collo con le sue braccia e le diede un bacio sulla guancia poi guardò di nuovo Rick, che le sorrise.

- Disturbo? - Disse palesandosi.

- Ehm…no… Sei a casa tua, Castle. - Rispose Beckett sempre imbarazzata quando doveva dividere uno spazio con lui e Joy.

- Sono passato a prendere un po’ di cose per pranzo, ma credo di aver esagerato… Rimani con noi Beckett? - Le chiese Rick

- Io… - Kate guardò Joy e lesse nel suo sguardo la risposta - … sì, grazie, mi farebbe molto piacere.

- Pizza? - Chiese Joy speranzosa con un gran sorriso.

- No, JJ, niente pizza, non esageriamo ancora. Pollo arrosto, purè e verdure grigliate. - Spiegò Castle

- Peccato… - Sbuffò lei.

- Ehy il purè ti piace ed il pollo arrosto è buonissimo e le verdure ti fanno bene. - Le disse Kate.

- Joy, poteva andarti peggio, potevo prendere pesce al vapore e verdure bollite! - Rise Castle.

- No che non li avresti presi, perché poi non li mangiavi nemmeno tu! - Lo riprese lei.

- Beccato Castle! - Rise Beckett questa volta.

Quel pranzo servì a riportare tra loro tre un po’ di serenità e quella normalità che era stata così naturale prima. Castle e Beckett parlarono pochissimo tra loro e gli scambi si limitarono per lo più per rispondere a domande di Joy, punzecchiandosi qualche volta. Joy avrebbe voluto prolungare quel momento, alla fine era quella dei tre che si trovava più a suo agio, ma era ancora troppo debole e le tante emozioni che viveva la facevano stancare più facilmente. Così quando andò a dormire, Kate rimase con lei fino a quando non si fu addormentata, promettendole che sarebbe tornata il giorno successivo.

- Sicura che non vuoi rimanere? Ti puoi riposare un po’ anche tu, aspettando che si risveglia. - Le propose Castle mentre stava per uscire.

- No, grazie. Non voglio abusare della tua ospitalità e nemmeno stare troppo addosso a Joy. Ha bisogno di assimilare piano la mia presenza. - Gli spiegò.

- Come va? Insomma, a me sembra bene… Tu che dici?

- Meglio di quanto pensassi. Joy è… speciale.

- Già, è veramente speciale…

- Castle, grazie per questi giorni, per permettermi di stare con lei, di conoscerci piano piano, nonostante quello che accade tra me e te

- Ecco, vedi a proposito di questo… Potremmo parlarne? Cioè, magari potremmo trovare un punto d’incontro, che ne pensi? - Le stava offrendo una resa o aveva solo paura che le portasse via Joy per sempre?

- Castle io non credo che abbiamo molto da dirci. Lasciamo che sia il giudice a decidere, poi io mi comporterò di conseguenza e spero anche tu. Ne potremmo parlare dopo. So quanto tu e tutta la tua famiglia siete diventati importanti per Joy e comunque andranno le cose, io non voglio farla soffrire tenendola lontano dalle persone a cui vuole bene. - Rispose rimanendo piuttosto fredda e lanciandogli una frecciatina non tanto velata. Castle non potè che subire il suo attacco, perché non avrebbe potuto dire nulla per giustificarsi.

- Ok, come vuoi. A domani Beckett…

- Ciao Castle

Quando quel pomeriggio Joy si svegliò ebbe il desiderio di riprendere quella scatola che le aveva dato Kate. Così chiamò Alexis per chiederle di aiutarla, perché era stata messa in un punto più alto dell’armadio dove lei non arrivava.

- Guarda Al, Kate con i capelli lunghi! - Disse Joy ad Alexis mostrandole una foto di Beckett sorridente mentre si teneva una ancora invisibile pancia. La giovane Castle sorrise nervosa. Avrebbe dovuto dirle che lei la scatola l’aveva già vista? - Era carina eh?

- Sì, ma è carina anche adesso Kate! - Rispose Alexis e Joy annuì.

- Cosa pensi che avrà scritto qui Kate? - Chiese mostrandole il diario.

- Joy… io so che Kate aveva dato queste cose a te… però… ecco, io l’ho letto.

- Quando? - Chiese la bambina sentendosi tradita dalla ragazza.

- Quando tu eri in ospedale. Un giorno ho parlato con Kate, abbiamo un po’ discusso, io l’ho attaccata e lei mi ha detto che tutte le risposte a quello che io le chiedevano erano qui dentro, per questo ho letto. Kate lo sa e non è arrabbiata. - Ci tenne a precisare.

- Perché non mi hai detto niente? Nemmeno tu mi hai detto la verità… non me la dice mai nessuno! - Sbuffò Joy triste.

- Perché ci sono scritte tante cose, però non potevo dirtelo io di leggerle. Dovevi essere tu a volerlo fare nel momento giusto, quando ti sentivi pronta. Ed ora evidentemente lo sei. - Le rispose accarezzandole la testa.

- Sono cose belle o brutte? - Chiese curiosa cercando di capire cosa aspettarsi.

- Secondo me sono cose molto belle. Che ti toccheranno qui. - Disse mettendole una mano sul cuore. - Penso che capirai tante cose sulla tua mamma e spero che i dubbi che ti sono rimasti andranno via.

Joy annuì mentre Alexis la lasciava sola.

- Papà io esco, vado da Allison. Torno dopo cena, andiamo a provare il nuovo ristorante vietnamita che ha aperto vicino a Washington Square.

- Mi raccomando Al… - Le disse abbracciandola.

- Non sono più una bambina papà! - Protestò lei. - E poi c’è anche la sorella più grande di Allison che ha diciotto anni!

- Per me sarai sempre una bambina pumpkin!

- Anche per me sarai sempre un bambino papà! - Rise lei

Joy con in mano il diario di Kate fremeva dalla curiosità e dalla paura. Avrebbe letto molte cose della sua mamma che ignorava e non sapeva se era pronta o no. Le piaceva, però, l’idea che anche lei scrivesse, che tenesse un diario come faceva lei anche se da tanto non scriveva più nulla. Prima quando era sola aveva molto più tempo e giornate sole e vuote. Adesso non era più così, c’erano sempre tante persone con lei che le facevano compagnia, con le quali poter parlare, che la ascoltavano, non come prima quando i suoi pensieri poteva affidarli solo alla carta. Pensò che forse anche Kate se aveva scritto tanto era perché si sentiva sola. Si fece coraggio ed aprì la prima pagina. Era una bella scrittura, le piaceva come scriveva Kate, con le lettere un po’ tonde, tutto scritto con la penna blu.

15 novembre 1998

Ciao, quindi ci sei. Non era solo una mia idea, è vero. Cioè tu sei vero. Sei dentro di me e cresci.

Parlava con lei. Le sembrava strana questa cosa, ma la sua mamma parlava con lei, da molto prima che nascesse. Joy leggeva veloce, come un libro appassionante, spesso non capiva bene, tornava indietro e leggeva ancora e qualche volta ancora non capiva, quindi lasciava perdere.

Era vero quando le diceva che le voleva bene da subito. Aveva avuto dei dubbi, ma poi aveva scritto che era stato un bel regalo di compleanno sapere che c’era ed ora sapeva una cosa in più, sapeva il quando era il compleanno di Kate. Andò a prendere il suo diario e lo segnò. 17 novembre, così non si sarebbe dimenticata. Aveva letto di quello che era il suo papà, che invece non la voleva, dell’emozione di Kate nel sentire il suo cuore battere la prima volta, delle sue nausee, il pensiero per il suo nome, quando aveva scoperto che era una bambina. Aveva letto della sua vita quotidiana tra il tenerla al sicuro e non farsi scoprire, i suoi pensieri per il futuro e l’ottimismo che aveva pensando che ce l’avrebbero fatta. La sua voglia di tenere la notizia solo per sé e i progetti del futuro. Joy pensò che sarebbe stato bellissimo se tutto fosse andato come aveva scritto lei. Poi cambiò la sua scrittura, diventò più spigolosa ed anche quello che scriveva era più triste. Era dopo la morte di Johanna e Joy cominciò a leggere tutte le sue paure e i suoi dubbi, il suo dilemma su cosa doveva fare nel futuro e con lei. Sentiva il dolore nelle sue parole per decidere che era meglio se lei fosse stata con qualcun altro e nel contempo l’amore che provava per lei quando raccontava di come si muoveva o di come provava a farla rilassare ascoltando la musica e la paura ancora, quando stava nascendo prematuramente e lei temeva per la sua piccola vita. Quando pensava di aver finito vide quel foglio ripiegato e quella era una lettera per lei, dopo che era nata.

Magari un giorno mi perdonerai, magari quando leggerai questa lettera capirai che ti ho voluto bene e forse un giorno vorrai vedermi. Ci sarò sempre per te.

La tua mamma

Kate.

Joy l’aveva perdonata. L’aveva capito perché in quel momento avrebbe solo voluto dirle che le voleva bene. Provò lo strano istinto di voler essere lei a consolare sua madre, abbracciarla e stringerla come in quei giorni tante volte Kate aveva fatto con lei.

Rick aveva avuto un’idea, una di quelle che quando lo prendevano non lo lasciavano più fino a quando non la metteva su carta, nero su bianco e la fissava fuori da quella pentola in ebollizione che era la sua mente. Alla Black Pawn glielo avevano detto, quasi per scherzo: Nikki Heat, come successo di pubblico, poteva essere il nuovo Derrick Storm. I lettori a cui l’avevano mandato in anteprima erano rimasti entusiasti anche se lui non ne era così certo, perché gli ultimi tempi lo aveva scritto un po’ deconcentrato tra quello accaduto con Joy e Beckett, ma lui era il più duro critico di se stesso. Non credeva che fosse possibile ripetere un successo come quello che era stato per la sua fortunata saga, non era sicuro che un personaggio come quello di Nikki Heat riuscisse a conquistare il cuore del suo pubblico come aveva fatto Storm, soprattutto era scettico che la parte femminile dei suoi fan, si appassionassero con lo stesso entusiasmo ad una protagonista donna. Lui era certo, era certissimo che il personaggio di Heat fosse forte e anche più interessante di Storm con tutto il suo background, lui la amava, forse solo perché era plasmata su Beckett, ma aveva paura di non essere riuscito a catturare e rendere quell’essenza di lei che la rendeva così speciale, l’essenza di Kate Beckett.

C’era, però, un accordo di massima, che sarebbe stato formalizzato nei prossimi mesi. Se quel libro avesse avuto successo, lui avrebbe avuto un contratto per altri due capitoli ed iniziare così la saga di Heat, con un sostanzioso aumento sulle percentuali di vendita. Così aveva cominciato a buttare giù quell’idea per un ipotetico seguito che gli era venuta quel pomeriggio e prima di cena aveva già quasi completato la prima bozza della trama. Non si era accorto del tempo che era passato e che non aveva sentito Joy per qualche ora. Salì di corsa le scale sgranchendosi le ossa indolenzite da quella posizione innaturale con il computer sulle gambe sdraiato sul divano per troppe ore.

Bussò, ma nel silenzio sentì solo i suoi singhiozzi ed aprì la porta trovandola rannicchiata sul letto con la testa tra le ginocchia e sparse intorno a lei tutto il contenuto della scatola rovesciato. Guardò per la prima volta le foto di Kate, le ecografie di Joy, vide la lettera, le cassette, i diari e tutte le altre cose. Abbracciò Joy che si lasciò condurre contro il suo petto.

- Va tutto bene? - Le chiese stupidamente, evidentemente no, non andava tutto bene.

- Kate… lei voleva essere la mia mamma… - Gli disse parlando nascosta tra le pieghe della camicia.

- Vuoi che la chiamo? Vuoi che venga qui? - Si preoccupò solo che stesse bene, senza pensare al resto.

- No…

- Perché? - Chiese stupito.

- Io… mi vergogno…

- E di cosa Joy? - La staccò da se per guardarla mentre lei si asciugò velocemente gli occhi.

- Non le ho creduto. Avevo tanti dubbi, pensavo che mi prendesse in giro ancora.

- Io sono sicuro che lei ti direbbe che non hai niente di cui vergognarti. Però facciamo come vuoi tu. Dai, ti aiuto a mettere tutto a posto.

Rick e Joy così riposero tutto nella scatola e Castle si soffermò a guardare più di una foto di Kate: era adorabile, anche quando era solo una ragazzina e lì con i capelli lunghi, la somiglianza con Joy era ancora più visibile.

- Pizza? - Le propose per tirarla su di morale e finalmente le fece un sorriso. Aspettarono il ritorno di Alexis guardando insieme la televisione. Ad entrambi piaceva stare sdraiati sul divano, quando Joy si adagiava su Rick che si prestava molto volentieri ad essere il suo cuscino personale, Joy, però, si addormentò prima del ritorno di Alexis e la portò in braccio in camera. Vide la scatola con le cose di Kate e non resistette dal prenderla. La poggiò sulla scrivania del suo studio, non aveva il coraggio di aprirla ed era talmente immerso nei suoi pensieri che non si accorse della porta che si apriva e chiudeva né di Alexis che lo fissava dall’entrata del suo studio.

- Secondo me dovresti aprirla e dovresti leggere. - Rick sobbalzò sentendo la voce della figlia.

- Ehy Al… cosa ma… perché dici questo? - Balbettò.

- Io… ehm… l’ho già letto, tempo fa… Dovresti farlo anche tu…

- Che vuol dire Alexis? - Non sapeva se essere arrabbiato o no.

- Che forse se li avessi letti tempo fa, sarebbe stato tutto diverso. Buonanotte papà.

Non gli lasciò il tempo di replicare. Rimase con la bocca aperta ad ascoltare il rumore dei passi di sua figlia che saliva al piano superiore.

Lasciò che il su istinto naturalmente curioso avesse la meglio. Le mani andarono direttamente sul diario che aprì cominciandolo a leggere con il cuore che gli rimbombava nel petto.

In quella afosa notte di fine estate, troppo calda per le medie stagionali, le mancava solo il condizionatore rotto da aggiungere al carico di cose che non la facevano dormire. Si era rigirata a lungo nel letto, colta da un ansia che non capiva da dove venisse. “Va tutto bene Kate, va tutto bene” si ripeteva facendo pressione sul petto come se avesse qualcosa che le bloccasse la respirazione. Si era addormentata da poco quando sentì dei colpi forti e ripetuti alla porta. Guardò la sveglia sul comodino, era notte fonda. Recuperò al volo un paio di shorts da indossare mentre chiunque era la fuori non smetteva di colpire la sua porta. Un pazzo o uno squilibrato, pensò mentre prendeva la pistola dal comodino e toglieva la sicura.

Provò ad osservare dallo spioncino, ma non vedeva niente, tolse il chiavistello, aprì con cautela, tenendo la pistola ben salda sulla mano destra dritta davanti a se, mentre con la sinistra faceva ruotare porta sul suo cardine.

- Castle? Cosa ci fai qui? Potevo spararti! Potevi dirmi che eri tu! - Lo riprese con un tono di voce più alto di quello che avrebbe voluto a quell’ora di notte. Lo lasciò entrare, posando la pistola sul bancone della cucina. Solo in quel momento scaricò l’adrenalina e si concentrò sul fatto. Castle era lì, in piena notte con una faccia stravolta.

- Castle, cosa è successo? Perché sei qui? Joy… è successo qualcosa a Joy.

- Joy sta bene. Sta bene. Lei… lei sta bene… - La voleva rassicurare, l’avrebbe voluta rassicurare di tutto. Le andò incontro e Kate rimase sorpresa del suo atteggiamento al punto che non reagì nemmeno quando lui le prese il viso tra le mani, accarezzandole le guance con i pollici.

- Mi dispiace Kate… mi dispiace tantissimo. - Sospirò veramente affranto tanto che invece che rassicurarla la mise ancora più in agitazione.

- Castle, ma cosa hai fatto? Stai bene? - Gli chiese ancora mettendo le mani sopra le sue e portandole lentamente via dal suo volto.

- No. Non sto bene. Non sto bene Kate… - Si appoggiò con la fronte sulla spalla di lei continuando a ripetere che gli dispiaceva. Beckett non sapeva cosa fare e gli passò una mano tra i capelli, sorprendendosi ancora quando lui la abbracciò stringendole la vita.

- Castle non mi far preoccupare, dimmi cosa c’è e ti prego che non sia uno dei tuoi soliti scherzi, perché altrimenti questa volta ti faccio passare la voglia. - Le disse severa ricordandosi ancora lo scherzo in piscina negli Hamptons. La lasciò subito e sollevò lo sguardo, quegli occhi non stavano mentendo.

- Mi vuoi dire perché sei qui e cosa è successo? - Gli chiese ancora con più calma.

- Joy oggi ha preso la tua scatola ed ha letto il tuo diario e le lettere. Credo tutto, non so…

- Ah… - Ora era Kate ad essere colta dal panico.

- Mi ha detto che si vergognava per non averti creduto, ma le ho detto che non doveva farlo, che tu avresti capito.

- Sì… certo… non si deve vergognare di nulla. Ma… - Kate continuava a non capire.

- Io sì, io mi vergogno. Scusami Kate. Io… Ho letto anche io… E… - Le accarezzò di nuovo il viso fissandola negli occhi. Come aveva potuto non crederle? Come aveva potuto essere stato così meschino ed egoista?

- E cosa Castle? -  Gli chiese in un misto di rabbia e dolore mentre si sentiva toccare l’anima dal suo sguardo penetrante.

- Ti amo. - Beckett si sentì pietrificata e Castle approfittò della sua incertezza per baciarla. Teneva il suo volto tra le mani come fosse la cosa più preziosa al mondo mentre con le labbra sulle sue la carezzava dolcemente.

- Perché Castle? Perché? - Chiese piantando le mani sul suo petto, provando ad allontanarlo, ma le sembrò di non avere né la forza né la volontà di farlo ed erano molto più salde le mani si lui delicate che le tenevano il volto, dei suoi pugni rabbiosi ma inconsistenti.

- Avrei voluto dirtelo già quando eravamo negli Hamptons. Avrei dovuto farlo… Ho avuto paura e poi tu sei scappata via… non doveva essere complicato Kate… Dovevi solo dirmelo, non sarebbe stato complicato…

Le braccia che provava a tenere tese per tenerlo a distanza si piegarono lasciando che si avvicinasse di nuovo ed ora quei pugni erano schiacciati tra i loro corpi. Fu lei questa volta ad appoggiarsi a lui che la circondò con il suo abbraccio mentre Kate era senza forze ed anche senza difese. Era stato capace di distruggerla con due parole, quelle che in qualsiasi altro momento avrebbe voluto sentire più di ogni altra cosa.

- Avrei voluto che mi abbracciassi così quando ti ho detto che Joy era mia figlia ed ero terrorizzata all’idea di perdere tutto. Lei ed anche te. Ma tu non l’hai capito.

Ogni parola di Beckett era un colpo di frusta che sferzava la sua pelle, era sale sulle ferite. La strinse di più se potè, sentendo contro il suo petto i pugni serrati ed i muscoli delle braccia tesi di lei.

- Ti avrei voluto vicino quando Joy non voleva parlarmi invece tu la tenevi ancora più lontana. Avrei avuto bisogno del tuo abbraccio ogni notte quando ero seduta fuori dalla sua stanza perché tu non volevi che la vedessi ed io impazzivo dalla paura che tutto fosse inutile per lei e non mi potevo sfogare con nessuno, perché nessuno in fondo mi capiva. Perché tu sei l’unico che sapeva leggermi dentro ed invece sembravo essere diventata un libro indecifrabile, anche per te.

- Perdonami. Non posso chiederti altro Kate… perdonami.

Kate fece un profondo respiro e si spostò da lui, dal suo abbraccio. Fece un passo indietro e cercò di nuovo il suo sguardo e i loro occhi furono come calamite che seguivano i loro movimenti senza staccarsi mai.

- Sai Castle, le tue parole mi hanno fatto male, più di quelle di Joy. Mi hai offesa, mi hai mortificata, mi hai detto delle cose terribili, mi hai tenuta lontana da mia figlia io… non l’ho potuta nemmeno abbracciare quando stava cominciando la battaglia più difficile della sua vita. Io sono una stupida Castle, lo sai? Perché mentre ero in ospedale dopo il prelievo del midollo e piangevo e pregavo che tutto andasse bene, nonostante tutto ho sperato che tu potessi passare, con una scusa, anche solo per sapere se il prelievo era andato bene. E sono una stupida, perché nonostante tutto questo io non riesco nemmeno ad odiarti.

- Kate…

- No fammi finire Castle. Ora, dopo tutto quello che è successo in questi mesi, tu ti presenti qui, nel cuore della notte, affranto perché forse ti sei accorto che hai fatto una cazzata, perché forse hai capito che mi hai giudicato senza sapere nulla di come erano andate le cose, di quanto sono stata male per quella scelta, per quell’errore. Vieni qui e mi dici che ti devo perdonare, addirittura che mi ami e forse pretendi o speri che io lo faccia, che ti perdoni e che ti creda al contrario di quanto hai fatto tu con me. Ed io non so perché dovrei farlo Castle, e sono una stupida perché nonostante tutto questo io sono ancora convinta che il mio nome è più bello sulle tue labbra.

Castle colmò la distanza che li separavano. Aveva bisogno di stringerla, di baciarla, di farle capire in ogni modo che era sincero.

- Non sei tu ad essere stupida, sono io… sono io lo stupido Kate… - Aveva appoggiato la fronte su quella di lei ed i loro respiri si confondevano, così come i pensieri, gli errori, la rabbia ed il dolore.

- Avrei voluto che fosse tutto diverso, non così… non così… - sospirò Beckett dolorosamente.

- Siamo sempre in tempo perché tutto sia diverso. Perché tutto sia perfetto.

Rick la baciò ancora e lei fu arrendevole tra le sue braccia questa volta, non c’erano più pugni, ma le mani che cercavano le sue, le trovarono e le presero, lasciando che le loro dita si incrociassero. Il bacio era dolce e tenero, sembrava non aver bisogno di altro tranne che di una lenta dose di loro stessi per guarire le loro ferite che si erano inflitti a vicenda.

Quel bacio non bastò più però e la cosa sembrò non stupire nessuno dei due. Era diventato più esigente, più intenso e passionale eppure non bastava. Non bastava a lui desideroso non solo di lei, ma di fargli capire con tutto se stesso che quelle due pesanti parole erano vere e non bastava più a lei che aveva il disperato bisogno di credere in qualcosa di vero. Quando le labbra si allontanarono e loro si guardarono con quella stessa intensità del bacio appena scambiato, non ebbero bisogno di dirsi nulla, entrambi inchiodati dai loro occhi che non potevano mentire, ai loro sentimenti che non potevano nascondere.

Castle la sollevò prendendola in braccio come se fosse anche lei una bambina e si lasciò condurre dalla fioca luce che proveniva dall’altra stanza.  L’abat-jour sul comodino illuminava flebilmente la camera da letto, allungando sui muri le ombre dei loro corpi improvvisamente smaniosi di trovarsi eppure non mancò l’attenzione in ogni gesto in ogni indumento tolto e buttato via, tra le cose inutili e quando Rick la ebbe nuda tra le sue braccia rallentò ogni azioni, per godersi lei il più possibile. Ricordava perfettamente il sapore del suo corpo, la morbidezza della sua pelle ed il suo profumo e volle catturarlo tutto, percorrendolo con languidi baci e carezze sfrontate e fu quando arrivò a lambirle l’inguine, lì dove più voleva giungere si fermò. Vide quei segni sottili e scuri, le linee curve e gli angoli decisi. Con un dito la accarezzò, sfiorando appena la traccia dell’inchiostro sotto la pelle, ridisegnando quella farfalla tatuata lì, dove solo chi l’amava poteva vederla. Non erano necessarie le sue ottime doti di memoria visiva per riconoscere quel disegno che da tempo aveva quasi sempre sotto gli occhi, al collo di Joy. Niente era casuale, non un regalo e nemmeno l’amore di Joy per le farfalle e forse nemmeno il suo amore per Joy che era solo la conseguenza di quello che provava per sua madre e forse il suo cuore l’aveva capito prima si lui. La coprì con la sua mano, estremamente più grande del disegno, come se la volesse catturare, come se pensasse che catturando quella farfalla ottenesse qualcosa di più. Alzò gli occhi cercando quelli di lei che si stava mordendo l’interno della guancia, convinta che forse lui avrebbe avuto qualcosa da dirle, che dovesse ritrovarsi a dare spiegazioni in quella situazione, ma lui non ne aveva bisogno, non quella sera o forse mai. Non bastò il suo sorriso per rilassarla che non aveva bisogno di nulla e la sua mano si allungò fino a raggiungere uno dei suoi seni. La sentì gemere ed inarcare la schiena, poi con l’altra mano si spostò dall’inguine più al centro con un tocco leggero e vellutato, fino a quando baci molto più provocanti presero il suo posto e Kate gli fece capire che non voleva che si spostasse da lì.

Se anche il condizionatore avesse funzionato non sarebbe mai riuscito quella notte a rinfrescare quella stanza. Kate in quel momento non capiva se era stato così anche l’altra volta o se il suo animo emotivamente fragile di quei giorni aveva amplificato tutto, rendendolo dirompente. Per molto tempo non ebbe modo di pensarci, perché lui non le diede modo di pensare a nulla che non fosse lui, che non fossero loro. Per quella notte Castle era riuscito ad oscurare tutti i pensieri di Beckett, i dubbi e le preoccupazioni riempiendoli di sé. Era stato per lei quello che lei era stata per lui: totalizzante.

- Vorrei averti conosciuto dieci anni fa. Ti avrei amato come oggi e non saresti stata sola.

Kate si era appena alzata dal letto. Aveva aperto le imposte e lasciato che entrasse il vento fresco della mattina. Era rimasta qualche istante a guardare fuori il chiarore in lontananza del sole che stava per sorgere e quell’effetto sulla pelle ancora accaldata le fece venire i brividi, almeno così voleva credere, perché sapeva che in realtà erano le parole di lui a farla tremare sotto la leggera maglietta che si era appena rimessa. Tornò a letto, sdraiandosi su un fianco dandogli le spalle. Lo sentì avvicinarsi, non si era ancora rivestito lui e lo malediva per quell’effetto che le faceva. Chiuse gli occhi, ma non riuscì o ancora non volle fermare la mano di lui che si insinuava sotto la maglietta. Era tutto troppo giusto per essere così sbagliato. La fermò quando era tra i suoi seni, verso il suo cuore. La tenne inchiodata lì, perché sentisse il battito accelerato senza riuscire a dirgli che era per lui.

- Non possiamo Castle… non possiamo…

- Lo sapevo sai? Questa volta me lo aspettavo… Speravo di essere riuscito a rassicurarti, ma quando ti sei sdraiata di nuovo e ti sei allontanata… Lo sapevo… ormai ti conosco… - Sentì le sue parole tristi, anche se le sembrava che quasi sorridesse.

- Io devo pensare a Joy prima di tutto, anche prima di me stessa.

- Lo so… - La baciò sul collo, rimanendo fermo con le labbra lì.

- Lei ha bisogno anche di te Castle e non possiamo né illuderla né sconvolgerla. Noi siamo… siamo assoluti Castle, lo hai visto in questo periodo. Non siamo in grado di gestire le cose in modo normale. Se dovessimo essere di più e poi le cose non andassero bene, chi ci rimetterebbe è Joy, prima ancora di me e te.

- Potrebbe andare tutto benissimo, Beckett. Potrebbe essere bellissimo.

- Lo so… è per quello che è difficile. - Si voltò, trovando il suo volto e baciandolo su una guancia. - Ma non posso rischiare, non con i sentimenti di Joy, non adesso.

- Adesso… - sospirò lui sfiorandola con le labbra mentre si voltava di nuovo.

- Adesso.

Rick la prese e la fece voltare fino a quando lei non si appoggiò di nuovo sul suo torace, come aveva fatto per gran parte di quella notte, quando dovevano respirare, quando davano ai sensi il tempo di riprendersi dal piacere. La sentì arpionare con le gambe una delle sue mentre gli accarezzava il petto e lo baciava, nello stesso istante. Aveva ragione lui, sarebbe stato bellissimo insieme. Si sarebbe pentita anche di questa decisione probabilmente, ma sua figlia doveva avere la priorità su tutto.

- Vorrei tornare indietro ed avere più coraggio di ascoltarti, senza lasciarmi prendere dalle mie paure. Avrei voluto darti tutti gli abbracci di cui avevi bisogno.

- Abbracciami adesso, per favore, ancora un po’… - Non si fece pregare e la strinse, infilando le mani tra i suoi capelli.

- Li stai facendo crescere? - Le chiese stemperando quel momento troppo intenso.

- Ci stavo pensando… - ammise girandosi e baciandogli il palmo della mano mentre lui le accarezzava il volto.

- Joy ti assomiglia tantissimo lo sai? Mi chiedo come ho fatto a non accorgermene subito. - Si rammaricò

- Stai perdendo colpi Castle! - Sorrise lei prima di appoggiarsi di nuovo su di lui. Per qualche minuto rimasero in silenzio tra i loro respiri ed i battiti di loro cuori.

Kate era andata in bagno. Non lo voleva vedere mentre si rivestiva. Rimase seduta su uno sgabellino a fissare il pavimento per tutto il tempo, fino a quando non lo sentì bussare. Fu strano come in quel momento le venne in mente un altro momento di nervosa attesa in bagno, quando fissava ogni pochi istanti quel test di gravidanza fino a quando non comparvero le due lineette ed il mondo le crollò addosso. Quella mattina crollò con i due battiti alla porta di Castle. Era vestito impeccabile e con la stessa espressione triste di quando era entrato quella notte.

- Beckett… io vado… - Le disse Rick. Lei si alzò e prese la sua mano e fu lui a condurla fin davanti alla porta di casa. Era davanti a lei e si sentiva così piccola mentre lui le cinse la vita, baciandola ancora una volta, l’ultima.

- Ci vediamo dopo Beckett, non è vero? - Non la chiamava più per nome, non le sfuggi quel particolare.

- Sì…

- Penso che tua figlia avrà bisogno di te oggi…

- Anche io di lei, sempre ma… oggi soprattutto. - Disse allontanandosi da lui.

- Allora ciao. - Aveva già aperto la porta e stava uscendo.

- Ciao… - Gli rispose aspettando di sentire il rumore della porta che si chiudeva ma non arrivava. Poi fu un rumore che le rimbombò dentro mandando tutto in frantumi. La riaprì lei di getto. C’era una cosa che doveva dirgli, prima che se ne andasse, almeno una volta.

- Castle! - Lui si voltò mentre l’ascensore arrivava al piano. - Ti amo anche io, malgrado tutto.

- Ciao Kate entra!

- Ciao Alexis! - Il sorriso spontaneo della figlia di Castle faceva da contraltare a quello tirato di Kate. Aveva fatto una lunga doccia, aveva provato a rilassarsi ma era stato tutto abbastanza inutile. Si era aspettata che lui fosse lì e appena dentro casa si guardò intorno, ma non c’era. 

- Tuo padre è con Joy? - Chiese quindi alla ragazza.

- No, veramente… è stato fuori tutta la notte e poi questa mattina è uscito di nuovo di corsa, poco fa. Ha detto che aveva una cosa urgente da fare, ma era un po’ strano. - Disse Alexis che sembrava un po’ preoccupata.

- Tuo padre è sempre un po’ strano, dovresti esserci abituata! - Cercò di sdrammatizzare Beckett, facendola sorridere.

Joy era sdraiata sul suo letto dando le spalle alla porta. Aveva le cuffie e non sentì Kate entrare fino a quando non si sedette vicino a lei e le accarezzò i capelli.

- Mamma! - Esclamò girandosi strappando via gli auricolari.

- Ciao amore mio. 

Joy in uno slancio come mai aveva avuto la abbracciò portandole le braccia intorno al collo e dandole un bacio sulla guancia. Kate la strinse, capendo che per lei, per il bene di sua figlia, doveva e poteva rinunciare a tutto anche a chi aveva preso la parte restante del suo cuore con due stupide parole.

- Mamma… ti fai crescere di nuovo i capelli? - Le chiese accarezzandole le punte.

- Vuoi che mi faccio crescere i capelli? 

- Sì, come nelle foto, così ci assomigliamo di più.

Kate ingoiò a vuoto. Non le chiese nulla, sapeva di quali foto stava parlando ma non si aspettava che gliene parlasse.

- Tu sei molto meglio di me, Joy. 

- Mamma, io ti volevo dire una cosa… però non so come dirtela… - Confessò imbarazzata.

- Dillo come vuoi, sarà sicuramente il modo giusto. - La incoraggiò.

- Ecco… Quest’anno ti ho conosciuto poco prima del mio compleanno e… anche se fino a qualche tempo fa pensavo di no, ecco… Anche per me sapere che ci sei è un bel regalo di compleanno. - Kate sorrise a sua figlia, capì che quello era il suo modo per dirle che aveva letto i suoi diari e molto di più.

- Joy… tu sei stata il migliore di sempre. - Le fece una carezza e la bambina si appoggiò alla sua mano, tenendola con le sue ferma sul suo viso, mentre era lei che si muoveva, strusciandosi quasi impercettibilmente con gli occhi chiusi. Kate la lasciò fare guardandola senza capire.

- Che c’è Joy? - Le chiese infine. Aveva molte remore a chiedere a sua figlia quello che pensasse o provasse temendo sempre di sentire qualcosa che non voleva, ma si sforzò di farlo perché sapeva che era necessario per conoscerla.

- Mi sono sempre chiesta cosa si prova quando ti accarezza la mamma. - Kate ingoiò a vuoto, quella bambina aveva la capacità di frantumare la sua anima con poche parole che arrivavano in punti del suo essere così profondi che non sapeva nemmeno di avere, toccando corde emotive mai scosse prima.

- Ora lo sai? - Glielo chiese timorosa, avrebbe voluto dirle di più ma non ne fu capace.

- Sì. È bello. - Sorrise a sua madre.

- Potrai avere tutte le carezze che vorrai da ora in poi, tutto quello che vuoi amore mio, anche se so che non basteranno mai a recuperare quelle che non hai avuto.

- Mamma però non piangere… - Le asciugò lei le lacrime con le sue mani, ottenendo però il risultato contrario, Kate piangeva ancora di più.

- Questo non so te posso promettertelo Joy… - le disse provando a sorridere.

- Sei più bella quando ridi. - Le diede un altro bacio sulla guancia, non capendo che erano proprio quei gesti suoi che le rendevano difficile trattenere le lacrime.

Era stato Castle ad insistere perché Joy avesse in camera quella poltrona, lilla, come tutte le rifiniture dell’arredamento. Lei non ne era convinta, era una tipa pratica e non ne capiva l’utilità e non si era lasciata convincere nemmeno quando lui le aveva detto che diventava letto e quando avrebbe invitato le sue amiche a casa per fare un pigiama party le sarebbe stata molto utile. Lei non capiva ancora: non aveva amiche da invitare a dormire a casa e non sapeva cosa fosse un pigiama party. Castle, però, come al solito, aveva fatto di testa sua e l’aveva fatta consegnare con il resto dei mobili dicendole che quella era per lui e che solo temporaneamente la metteva in camera sua e lei lo aveva guardato con quello sguardo che anche Rick glielo aveva detto, come quello di Beckett quando si arrabbia. Quella mattina, però, Joy capiva a cosa servisse, mentre stava lì, rannicchiata tra le braccia di Kate, appoggiata con la testa sulla sua spalla ed avrebbe voluto essere ancora più piccola per godere di più di quell’abbraccio.

Joy aveva sognato tante cose nella sua vita e tante le aveva solo immaginate, senza permettersi di desiderarle. Aveva capito presto che certe cose lei non le avrebbe avute e non c’era un perché, era così, e basta, erano desideri rimasti chiusi in sé, così nel profondo che non voleva nemmeno ammetterli a se stessa. Perché era inutile volere l’impossibile, si diceva e tra le cose impossibili per lei c’era anche quella, essere coccolata da sua madre.

La prima volta che era stata riportata nell’istituto non la ricordava e non aveva ricordi nemmeno di quella famiglia che per prima l’aveva presa e poi lasciata, li aveva visti solo nelle foto, che poi aveva strappato. Poi, però, non era stato così. Poi si era illusa e le aveva fatto male. Quando era stata presa dai Witcher credeva veramente che anche per lei fosse arrivato il momento di avere una famiglia e con loro si era lasciata andare e si fidava. Tornare in istituto era stato un trauma, era convinta che era stata brava, che aveva fatto tutto quello che doveva, non aveva chiesto nulla, si era mostrata gentile eppure non era servito. Per questo poi, nonostante fossero passati degli anni, quando l’avevano presa gli Austin era rimasta sulle sue, sempre con il terrore che da un momento all’altro la lasciassero anche loro. Voleva bene a Lauren e Ethan, non le avevano mai fatto mancare nulla, ma lei aveva vissuto sempre con l’idea di essere un’ospite da loro. Anche con Rick aveva avuto nei primi giorni la stessa sensazione che tutto fosse temporaneo, ma poi era sparita quasi subito, riuscendo a sentirsi più a casa con lui che in qualsiasi altro posto fosse mai stata, fino a quel momento, perché Joy quella mattina si era permessa di tornare a sognare e volere quello che non aveva mai sognato ed avuto, tra le braccia di sua madre aveva trovato la sua vera casa.

Kate e Joy non si erano spiegate molto di più, non si erano dette quasi nulla di quello che stava accadendo. Kate sapeva e Joy aveva lasciato che sua madre la capisse ed era stata contenta che non le avesse chiesto nulla, così si godeva solo quelle coccole silenziose, il calore del suo abbraccio mentre anche lei la stringeva e la accarezzava. Kate passava la mano tra i capelli di sua figlia con movimenti lenti e ripetuti, non aveva fretta si prendeva tutto il tempo necessario per ogni tocco. 

- È bello stare così. - Le disse Joy spostandosi da una spalla all’altra, senza lasciarla.

- Sì, lo è anche per me… Ho pensato tante volte a come sarebbe stato abbracciarti, cosa avrei provato. Eri così piccola quando sei nata, ma eri perfetta. Non mi ero mai resa conto di quanto fossero piccoli i bambini appena nati fino a quando non ti ho visto, è stato solo un attimo, non mi hanno permesso di più, però non ho mai dimenticato il tuo viso ed i tuoi occhi vispi in quel momento. Non mi perdonerò mai per tutto quello che ho perso e soprattutto per tutto quello che ti ho fatto perdere. Ti voglio bene Joy, te ne ho sempre voluto, da prima che ru nascessi. 

Joy si staccò da lei e si sposò un po’. In braccio a Kate, ora era alla sua altezza e si guardavano negli occhi. La serietà di sua figlia a volte la spaventava, perché ancora non riusciva a decifrare le sue reazioni, a capire cosa stesse pensando e questo la metteva a disagio.

- Mamma - Le disse seria, quasi fosse lei a riprenderla - non parliamo più di prima.

- No? - Chiese stupita pensando che avesse bisogno di sapere e di risposte.

- No. Adesso no. Io sono felice che ora ci sei.

- Ci sarò sempre da ora in poi, Joy. Non ti lascio più, te lo prometto. - Le diede una serie di baci molto rumorosi sul viso e sul collo facendola ridere. Era così bello per lei sentire la sua risata, vederla felice. - Cosa vuoi fare adesso? Playstation? Cartoni animati? Puzzle?

- Possiamo rimanere ancora un po’ così? - Chiese appoggiandosi di nuovo sulla sua spalla.

- Tutto il tempo che vuoi.

Rick era uscito dal loft prima che arrivasse Kate. Perché era ancora tutto troppo fresco, sentiva il sapore di lei sulle labbra, il profumo della sua pelle e se chiudeva gli occhi gli sembrava di sentire che lo stesse accarezzando, ancora. Non avrebbe potuto resistere a vederla arrivare lì e fare finta di nulla. Aveva bisogno di tempo, di mettere un po’ di distanza, qualche ora per pensare. Era finito sotto al distretto, guardò in alto con un po’ di nostalgia, quella parentesi della sua vita si era conclusa ed era stata bella, eccitante, divertente. Aveva imparato tante cose, più di quante pensasse e soprattutto aveva trovato loro. Kate e Joy. Entrò nella caffetteria e quando lo videro gli chiesero subito se voleva il solito. Il solito erano i due caffè, uno per sé ed uno per Kate che prendeva sempre. Disse di sì ed uscì con le due tazze in mano, passando davanti all’entrata. L’agente Browne, all’ingresso, gli ricordò che Beckett non c’era, era ancora in malattia per qualche giorno, l’avrebbe trovata a casa. Già, a casa… Lui l’aveva trovata a casa quella notte, l’aveva trovata e persa di nuovo nel tempo di un “ti amo” che era servito solo a farli stare peggio entrambi. Perché sapere che anche lei provava lo stesso per lui non era una consolazione se era del tutto inutile, perché non pensava che sentirsi dire “ti amo” dalla donna che ami potesse fare così male come faceva a lui il pensiero di lei sulla porta mentre lui se ne stava andando. Non poteva nemmeno dire di non capirla, però, perché la capiva benissimo, lui avrebbe fatto lo stesso per Alexis, ma faceva comunque male.

Il parco non era poi tanto lontano da lì. Le scuole erano riaperte da qualche giorno ormai ed era tranquillo, c’erano pochi bambini e tutti piccoli la maggior parte con tate che chiacchieravano tra loro guardandoli ogni tanto superficialmente, poche mamme, nessun papà. Non era una novità, si era abituato negli anni ad essere l’unico papà con la bambina al parco, centro delle attenzioni di mamme insoddisfatte e tate in cerca di una migliore sistemazione ma lui un po’ ci giocava, qualche volta aveva anche conquistato qualche donna, ma niente di serio, non più di qualche uscita, però i suoi occhi erano sempre tutti solo per Alexis. Gli mancavano un po’ quei giorni, nonostante tutto e gli sarebbe anche piaciuto riviverli, con una nuova maturità, anche se le donne di casa sua avrebbero avuto da ridire su questo, una nuova consapevolezza. Forse anche per questo aveva deciso di occuparsi di Joy, perché pensava che se c’era una cosa che amava veramente fare e nonostante tutto gli veniva molto bene era il padre e sarebbe stato un buon padre, anche per Joy. Lo aveva pensato fino a pochi giorni prima. Adesso non lo sapeva più.

Guardò la tazza di caffè che aveva appoggiato sulla panchina vicino a lui e si sentì incredibilmente solo.

Rientrò a casa prima di quanto pensasse. Salì piano le scale, la porta di camera di Joy era aperta e stranamente silenziosa, niente musica, niente tv, niente chiacchiere: si affacciò e le vide abbracciate sulla poltrona. Si immaginò la scena se fosse un suo libro: sarebbe entrato, avrebbe fatto una carezza a Joy e le avrebbe dato un bacio. Poi avrebbe preso per mano Kate e l’avrebbe fatta alzare, l’avrebbe stretta a se e le avrebbe dato un bacio, mentre lei le avrebbe sussurrato che le era mancato, anche se era stato fuori solo qualche ora, perché sicuramente qualche ora era un tempo sufficientemente lungo per sentire la mancanza reciproca, visto che a lui Kate già mancava. L’avrebbe baciata ancora e poi Joy avrebbe fatto una faccia schifata dicendo che la dovevano finire di fare le coppie come nei film che si baciano sempre e lui le avrebbe risposto che loro sono meglio dei film, perché sono veri.

Invece erano solo fantasia. Erano frutto della sua fantasia di scrittore che se continuava così poteva cambiare genere e buttarsi sui romanzi rosa facendo concorrenza a Nora Roberts. Quasi ci si vedeva con lei, Rachel Gibson e Kristan Higgins a discorrere di grandi amori e grandi sofferenze durante un tè il pomeriggio, invece delle serate di poker e whisky a parlare di donne e omicidi con Patterson, Cannell, Connelly e gli altri. Seguendo i suoi pensieri non si era accorto che Kate lo stava guardando, in silenzio, doveva avere proprio un’espressione stupida per convincerla a non fare qualche battuta o forse anche lei era persa nei suoi pensieri. Si avvicinò, accarezzò i capelli di Kate e la vide trattenere il respiro, si ritrasse, quindi, facendo lo stesso con Joy che accortasi di lui lo salutò con un sorriso.

- Mi pare che voi due ve la cavate bene anche senza di me. - Le disse con un sorriso amaro e non sapeva perché aveva detto proprio quella frase, ma dentro di lui stava crescendo la consapevolezza che avrebbe perso Joy e nonostante tutto, credeva che fosse giusto così.

- A me un po’ sei mancato - Gli disse Joy e Rick la guardò sorridendo.

- Ehy da quando in qua dici le bugie tu? - Joy rise mentre Kate li osservava con un’espressione indecifrabile.

- Mamma a te è mancato Rick? - Quella domanda ironica ed innocente di sua figlia la prese alla sprovvista. Lo guardò, sperando che lei non capisse quello sguardo.

- Sì, è mancato un po’ anche a me. - Poi la strinse cerando in lei un appiglio ed un rifugio in quel momento, per assicurarsi che stesse facendo la cosa giusta.

- Vi lascio sole, ci vediamo dopo. Kate… Beckett - si corresse - Tu rimani a pranzo con noi?

- Sì, lei rimane a pranzo con noi! - La anticipò Joy

- Perfetto allora. Ci vediamo giù. 

Kate aveva percepito tutta la malinconia di Castle, aveva un atteggiamento così diverso dal solito, però fu immediatamente interrotta dai suoi pensieri da Joy che le chiedeva se l’aiutava a scegliere cosa mettersi quel giorno. 

- Posso mettere questa? - Disse mostrandole una delle magliette che le aveva regalato Alexis.

- Certo, perché? - Le sembrava così strano che le chiedesse il permesso per fare le cose, anche una cosa così semplice come scegliere qualcosa da indossare.

- Rick dice che è troppo da grandi ed io sono piccola.

- Sono sicura che Rick scherzava e poi al massimo ti vediamo io e lui e noi lo sappiamo che sei piccola, anche con quella maglietta lì.

Era stato Castle ad insistere perché, anche se stava in casa, ogni giorno si preparasse come se dovesse uscire, soprattutto da quando aveva potuto abbandonare la sua stanza. Ed in effetti aveva notato come in quel semplice rituale Joy mettesse molta attenzione. Rick aveva detto a Kate che glielo aveva consigliato uno psicologo dell’ospedale, serviva per fare in modo che si spezzasse la continuità dello stare chiusi nello stesso posto, un modo per ingannare la mente. Aveva apprezzato quelle sue accortezze, quell’andare a cercare anche il dettaglio che potesse aiutarla, Castle con Joy si era dimostrata una figura estremamente attenta, molto più di quanto potesse immaginare ed anche di più di quanto era sicura non sarebbe stata lei.

Lo trovarono intento a cucinare e lui le invitò ad avvicinarsi. Aveva preparato per loro due succhi di frutta speciali. Mise i colorati bicchieri davanti a loro sedute al bancone della cucina e poi ritornò ai fornelli.

- Ah Castle, tua figlia mi ha detto di ricordarti che oggi non ci sarà, dopo la scuola andrà dalla sua amica 

- Allison - La precedette Castle 

- Sì, e tornerà per cena e che Martha è con le sue amiche per sua…

- Giornata Relax - Concluse lui.

- Già, sì, qualcosa del genere… - Era strano, quel concludersi le frasi a vicenda. Lo avevano fatto quasi da subito, in una connessione che a volte l’aveva spaventata, ma ora qualsiasi cosa era strana se c’era lui, anche guardarlo cucinare, anche stare nella stessa stanza. Joy percepì che qualcosa di diverso c’era tra loro. Li guardò entrambi dopo aver bevuto il suo succo che Kate invece non aveva nemmeno toccato, continuando a giochicchiare con il bicchiere tra le mani.

- Avete litigato di nuovo? - Chiese loro severa, con quegli occhi indagatori che spostava velocemente da uno all’altra.

- No! - Risposero all’unisono, ma lei non sembrò soddisfatta della risposta.

- Perché pensi che abbiamo litigato? - Le chiese Kate.

- Uhm… non lo so… siete strani e vi punzecchiate meno del solito, come quando eravate arrabbiati.

- Tranquilla Joy, non abbiamo litigato, vedi? - Rick si sporse e diede un bacio sulla guancia a Kate che spalancò gli occhi come se fosse rimasta folgorata dal contatto, prolungato, delle labbra sulla sua guancia. Era stato un colpo basso da parte sua e sperò che non si rendesse conto di quanto le facesse male.

- Castle, non ti prendere troppe confidenze però eh! Sono sicura che a Joy basta la tua parola che non abbiamo litigato. - Provò a difendersi dalle sensazioni di quel bacio punzecchiandolo così come Joy avrebbe voluto.

- Ok, ci credo adesso.

- Bene. - Le risposero ancora una volta insieme per poi guardarsi quasi rassegnati dall’essere così.

Rick aveva era rimasto sul divano dopo che Kate e Joy erano tornate al piano superiore. Aveva preso il suo computer portatile ed aveva ricominciato a scrivere, o meglio, avrebbe voluto farlo, in realtà fissava lo schermo bianco ed il cursore che lampeggiava. Era andata bene, tutto sommato, era sempre vivo, malconcio, ma vivo. Avevano pranzato insieme riuscendo quasi a sembrare una famiglia normale e questo era stato il colpo di grazia per la sua mente che non era capace di stare ferma sui binare che lui voleva imporle, si erano sfiorati un paio di volte le mani passandosi i piatti e sapeva che per lei era stato difficile quanto per lui.

- Castle noi dobbiamo parlare. - La voce di Kate lo fece sussultare. Chiuse il computer di getto appoggiandolo sul tavolino e si mise seduto composto per ascoltarla. 

- Sì, lo credo anche io. - Lei sorrise per il suo comportamento. Forse era la prima volta che faceva quello che le diceva.

- Perché prima ha voluto fare quella scena con Joy? Che senso aveva quel bacio Rick?

- Beh… ecco… avrei voluto baciarti, Kate. Veramente intendo… ma…

- Non lo fare più, perché fa male… - ammise lei senza riuscire a guardarlo.

- Ha fatto male anche a me…

- Non voglio che tu stia male, Rick. - Si guardarono e lui non sapeva se parlava del bacio o del resto.

- Kate, da questa storia qualcuno ne uscirà male in ogni caso, lo sai. L’importante è che non sia Joy e penso che su questo siamo d’accordo, no?

- Certo, quella è l’unica cosa che conta.

- Se ti dicessi che per me conti anche tu, sarebbe inopportuno adesso? - Chiese lui che represse l’istinto di sporgersi in avanti e prenderle le mani che si sfregava nervosamente.

- Sì, sarebbe inopportuno.

- Ok, allora non te lo dico. Però lo penso. - La fece sorridere, era già una conquista.

- Joy mi ha detto che la prossima settimana ha una visita di controllo… ecco… volevo chiederti se…

- Mi farebbe piacere se venissi anche tu. - Le disse prima che potesse chiederglielo.

- Grazie. - Rimase un attimo in silenzio - Pensi che sia un problema se poi un giorno facessi venire qui mio padre? Lui vorrebbe conoscere Joy e mi piacerebbe che anche lei potesse conoscere lui.

- Certo, nessun problema…

Beckett cominciò a preferire l’altro Castle, quello che non stava zitto un attimo fino a diventare fastidioso, perché quei momenti di silenzio tra loro cominciava ad odiarli. Perché si osservavano quando pensavano che l’altro non li vedesse, scrutavano le loro sofferenze, le loro rughe per i muscoli del viso contratti e facevano una gran fatica ad evitarsi.

- Io torno su da Joy. Aspetto che si risvegli, poi vado a casa.

- Puoi rimanere quanto vuoi. - Si affrettò a ricordarle mentre stava già salendo le scale. Lei annuì e tornò da sua figlia. In quelle settimane aveva scoperto la bellezza di guardarla dormire, era tutto quello che all’inizio le era concesso ed anche adesso sarebbe rimasta lì a vegliare sul suo sonno per sempre.

- Mi ha detto la mamma che la settimana prossima deve tornare a lavoro. - Disse Joy quella sera a Rick quando, dopo che Kate se ne era andata, era rimasto un po’ di tempo con lei.

- Sì, però mi ha detto anche che farà il possibile per venire ogni volta che sarà libera.

- Lo ha detto anche a me. - Commentò mentre stringeva il bordo della maglietta tra le mani.

- Ma? - Le chiese Rick e Joy lo guardò non capendo. - Quegli occhi e quella voce sono da un “ma” che c’è dopo. 

- Mi stavo abituando a passare del tempo con lei. Era bello, soprattutto ora che non vado a scuola.

- Ti prometto che appena ti daranno l’ok per uscire, ogni tanto quando non è impegnata con qualche super cattivo, andremo noi da lei e la convinceremo a venire a pranzo con noi, va bene?

- Pensi che possiamo? - Chiese speranzosa.

- Certo, il capitano Montgomery non ci dirà di no, ne sono sicuro. 

- Rick, ma pensi che dopo prima di andare a dormire posso chiamare la mamma per salutarla? - Gli domandò la bambina ancora incerta su quale fosse il modo di comportarsi.

- Secondo me le faresti solo molto piacere. Sarebbe felicissima.

- Ma la mamma è sola? Non c’è nessuno che le fa compagnia?

La domanda di Joy era innocente, ma Castle in quel momento sentì lo stomaco andargli sottosopra quando per un momento immaginò una risposta diversa a quella domanda, che Kate non fosse sola e che ci fosse qualcuno, qualcun altro, a farle compagnia.

- Credo di no, non c’è nessuno che le fa compagnia.

- Ah… - Joy non disse altro, ma si lasciò trasportare per un po’ in uno di quei racconti di Rick su fatti improbabili che la facevano sempre divertire con le sue esagerazioni. Poi rimasta sola, pensò a Kate. Lei sapeva cosa volesse dire rimanere sola la sera: non aveva mai provato a vedere le cose dal suo punto di vista e si rattristò. Poi arrivò Alexis e passarono insieme il resto della serata a guardare la tv mentre la giovane Castle le spiegava alcuni retroscena di quella nuova serie tv musicale che avevano cominciato a guardare insieme. Alla fine della puntata chiacchierarono ancora un po’, scambiandosi opinioni soprattutto su quale dei protagonisti piacesse loro di più: Alexis preferiva il ragazzo moro dall’aspetto più tenebroso e gli occhi misteriosi, Joy il biondino dagli occhi azzurri perché era più dolce, così aveva detto facendo sorridere teneramente Alexis che dopo averle augurato la buonanotte le disse che doveva lasciarla per andare a ripassare per il giorno dopo: Joy rimasta sola prese il suo cellulare per augurare anche lei la buonanotte alla sua mamma.

I giorni erano volati e Kate quella mattina non sarebbe andata da Joy ma tornata al lavoro al distretto. Fino a qualche mese prima avrebbe fatto pressioni per riprendere prima il suo posto, avrebbe fatto il conto alla rovescia per quel giorno, invece le era sembrato che fosse arrivato troppo presto. Uscì di casa prima di quanto avrebbe dovuto ed andò comunque da Castle. Quando suonò il campanello trovò Alexis che stava facendo colazione mentre tutti gli altri ancora dormivano.

- Vado solo un attimo a vedere Joy prima di andare a lavoro. - Le disse appena entrata e la giovane Castle stava per fermarla mentre saliva le ormai familiari scale, ma poi si morse la lingue e la lasciò fare.

Aprì piano la porta della camera di Joy e quello che vide la turbò abbastanza da volerla far richiudere ed andare via: sua figlia dormiva abbracciata a Castle. Pensò che era stata una stupida a passare senza dire nulla, che non avrebbe dovuto, però non aveva potuto farne a meno, così come in quel momento non aveva potuto fare a meno di entrare e dare un bacio a sua figlia che non si accorse di nulla, continuando a dormire. Si soffermò qualche istante a guardarla e poi inevitabilmente finì per guardare anche lui, quel broncio adorabile che aveva quando dormiva, i capelli spettinati, scoperto per metà con i pantaloni del pigiama arrotolati sulle gambe. Fu istintivo il gesto di piegarsi e di dare un bacio anche a lui, sfiorandogli appena le labbra per la paura di svegliarlo. Li guardò ancora sulla soglia della porta poi la richiuse piano e scese velocemente le scale per andare via.

- Ieri sera Joy era un po’ nervosa e papà è rimasto con lei. - Le disse Alexis quando i loro sguardi si incrociarono e la ragazza si sentì colpevole di non averla avvisata.

- Quando mi ha chiamato mi sembrava tranquilla, cosa è successo? - Le chiese Kate preoccupata.

- Nulla è solo che… le dispiaceva che oggi non saresti venuta.

Kate annuì amaramente. Aveva detto a Joy che se voleva avrebbe provato a chiedere alcuni giorni di ferie per stare con lei, ma la bambina aveva detto che andava tutto bene e lei le aveva creduto. Doveva imparare ancora con lei a leggere tra le righe dei suoi sguardi e capire cosa c’era oltre le sue parole.

- Potevate chiamarmi. - Le disse Kate dispiaciuta.

- Ci ha fatto promettere di non farlo ed è stata decisamente insistente su questo. Tua figlia ha un bel caratterino se ci si mette! - Sorrise Alexis cercando di stemperare la tensione di Beckett.

- Già, immagino di sapere da chi ha preso… - ammise mordendosi un labbro. La salutò e poi scappò al distretto, arrivando in ritardo per la prima volta da quando era lì.

Castle intanto, in camera di Joy, fissava con gli occhi aperti il soffitto e con due dita si accarezzava le labbra appena sfiorate da lei: aveva sentito il suono del campanello e si era svegliato assicurandosi che Joy continuasse a dormire, poi, quando stava per alzarsi, aveva riconosciuto i suoi passi sulle scale l’inconfondibile rumore dei suoi tacchi sul pavimento ed aveva deciso di fare finta di nulla. Era stato ricompensato, ma quel tira e molla emotivo stava sfinendo anche lui dopo soli pochi giorni.

Kate fu fortunata, in quei primi giorni al distretto non ci fu nessun caso particolarmente complesso e la sera poteva uscire da lavoro ad orari normali. Andava direttamente da Castle e si fermava a cena con loro, era diventata una consuetudine che nessuno aveva stabilito, ma così poteva passare più tempo con Joy, fino a quando non la metteva a dormire la sera. Lo aveva fatto anche quel giovedì, quando Castle aveva insistito per farla rimanere al loft a bere qualcosa con lui e lei molto controvoglia aveva dovuto rifiutare, perché temeva quello che sarebbe potuto accadere, era ben consapevole che non potevano stare nella stessa stanza, soli, senza lasciare che le emozioni prendessero il sopravvento e tenerle a freno era sempre più complicato. Le mancava la sua presenza, anche se lo vedeva ogni giorni, anzi forse proprio per quel motivo le mancava di più quando non c’era. Stava cominciando ad abituarsi a quelle scene di quotidiana familiarità tutti insieme, ad essere immersa nei discorsi di Alexis sulla scuola, di Martha sulle sue strampalate amiche e sui suoi provini e feste, di Joy che cercava di coinvolgere tutti nel suo mondo che per il momento continuava a non poter andare oltre le mura di quella casa. Ora ne era diventata parte integrante anche lei, che di solito stava in silenzio, perché era proprio Rick a chiederle cosa accadeva al distretto ed anche Joy sembrava interessata a sapere come passava le sue giornate. Nulla di interessante in quei giorni ed il più contentò sembrò essere Castle che si lasciò sfuggire come almeno non si stava perdendo nulla di interessante. Sulla porta del loft si diedero appuntamento per la mattina seguente in ospedale. Joy aveva uno dei suoi controlli e Kate le aveva promesso che ci sarebbe stata. Quando Castle si sporse in avanti per salutarla più da vicino, lei indietreggiò. Non poteva permettersi che la baciasse, non avrebbe saputo dirgli di no dopo. A nulla.

La fortuna di Kate, però, durò poco. Si era addormentata solo da qualche ora quando la chiamarono dal distretto: c’era una scena del crimine che l’attendeva. Quando arrivò Esposito e Ryan erano già lì e Lanie a poca distanza stava esaminando i corpi.

- Quanti sono? - Chiese Beckett non avendo da dove era una visuale completa.

- Tre. Ma c’è una cosa che dovresti vedere. - Le disse Ryan invitandola a seguirlo ed avvicinandosi ai cadaveri.

Nelle mani di ognuno c’era una carta da gioco.

- Cosa sappiamo delle vittime? - Chiese Kate

- Kelvin Beyer 52 anni, Qamar al Bassara 40 anni, e Jasper Sandler 25 anni. Avevano i documenti in tasca.

- Causa della morte? - Domandò ancora Beckett

- Avvelenati, tutti e tre. - Rispose Lanie ancora chinata sull’ultimo dei corpi, quello del ragazzo. - Direi a distanza di poche ore uno dall’altro data la rigidità articolare, lui è stato l’ultimo, circa quattro ore fa.

- Qualche fiore che può averla causata? - Chiese Kate.

- Sì, dovrei fare le analisi, ma c’è più di qualcuno che se assunto in dosi massicce potrebbe causare la morte.

- È tornato a colpire Beckett… - disse Esposito.

- Sì, è lui. - Ammise lei preoccupata.

Rick e Joy erano già in ospedale, arrivati in anticipo, perché Joy si era alzata presto, impaziente di sapere come stava andando e tra quanto poteva uscire, ma anche di vedere Kate. Erano le 9:00 precise e ancora non era arrivata, Joy controllava continuamente l’orologio davanti alle loro sedie, dondolando nervosamente le gambe. Il bip del cellulare di Castle annunciò l’arrivo di un messaggio. Era Beckett, c’era stato un triplice omicidio quella notte, un serial killer e non avrebbe potuto raggiungerli. Quando lo disse a Joy notò tutta la tristezza nel suo volto che nemmeno la mascherina che lo copriva in gran parte era riuscito a nascondere.

Kate al distretto si sentì morire quando ricevette in risposta da Rick solo un secco “Ok” senza aggiungere altro. Non le aveva nemmeno chiesto nulla del serial killer e pensava che invece quelle parole accendessero la sua curiosità. Le aveva chiesto di farle sapere tutto appena finivano la visita e di dare un bacio a Joy da parte sua e lui le rispose ancora una volta solo con un “Ok”. Montgomery richiamò la sua attenzione, c’erano alcuni testimoni da interrogare e doveva raggiungerli. Mise via il telefono senza avere nemmeno il tempo di rispondere.

Castle aveva provato a chiamarla per tutta la mattinata, ma Kate era stata impegnata per ore in sala interrogatori. Avevano fermato un sospetto che aveva messo sotto torchio a lungo. Era stato trovato in possesso di alcuni potenti veleni ed era già stato segnalato alle forze dell’ordine come pericoloso. Purtroppo alla fine delle telecamere di sicurezza lo avevano scagionato, riprendendolo per tutta la sera in un locale dove aveva spacciato. Lo passarono alla narcotici, ma lei non aveva niente in mano. La giornata proseguì lunga e senza sosta, con altri sopralluoghi e la ricerca di qualche indizio, con poca fortuna. Quando stava per andarsene la chiamò Lanie per andare a prendere i primi risultati sulle autopsie. Fu proprio mentre scendeva al laboratorio dalla sua amica che controllando il cellulare vide varie chiamate senza risposta di Castle ed anche un paio di Joy. Represse l’istinto di prendere a pugni le porte dell’ascensore, anche se in quel momento si sentì sprofondare, non era pronta a questo, non l’aveva messo in considerazione, non sapeva come gestire il suo lavoro e sua figlia, soprattutto in giornate come quelle dove non aveva orari né tempo per respirare.

- Ehy tesoro giornataccia su? - Le disse l’amica appena la vide entrare in laboratorio con un’espressione tutt’altro che felice.

- Pessima. - Rispose lei.

- Frustrante non averlo fermato prima vero? - Chiese Lanie.

- Eh? Cosa? - Chiese Kate non collegando le parole della dottoressa con i suoi pensieri.

- Il serial killer! - Esclamò con una nota acuta della voce, come se stesse dicendo l’ovvio.

- Ah, sì, anche lui… Cosa hai per me Lanie?

- Cosa c’è che ti preoccupa ragazza? Tua figlia per caso? - Chiese già sapendo la risposta.

- Questa mattina le avevo promesso che sarei andata con lei in ospedale ed invece ero ferma qui. Avevo detto a Castle di avvisarmi subito dopo quando avevano i risultati di quello che le avevano detto ed invece non ho risposto a nessuna loro chiamata. Non ce la farò mai a far incastrare tutto! - Disse mettendosi le mani tra i capelli.

- Sì, che ce la farai! Devi solo imparare a far incastrare tutto e vedrai che Joy è sveglia, capirà che alcune volte per il tuo lavoro non puoi fare quello che vuoi…

- Speriamo… Dai dimmi cosa hai scoperto, così poi provo ad andarmene, sono qui da stanotte e sono distrutta… - Sospirò Kate veramente stanca.

- Cicuta. Tutti e tre, una quantità doppia del normale, nel cibo.

- Stesso cibo? - Chiese Kate.

- No, dal contenuto dello stomaco diverso, per tutti e tre. Un hot dog per il ragazzo, una bistecca per l’uomo e del pollo fritto per la donna. Mando tutto su io ai ragazzi, tu vai a casa, anzi vai da tua figlia.

- Grazie Lanie. - Kate l’abbracciò e quando finalmente pensava di essere libera di uscire dal distretto, Montgomery che era andato a cercarla, la fermò perché il capo della polizia l’aspettava nel suo ufficio per un resoconto dettagliato di quanto avevano scoperto fino a quel momento. Quando la vide che stava per ribattere le disse che un no come risposta non era contemplato e si dovette arrendere.

- Beckett ma si può sapere che cosa è successo? Abbiamo provato a chiamarti tutto il giorno! - Castle non l’aveva nemmeno fatta entrare al loft che l’aveva incalzata preoccupato ed arrabbiato. Era passata già da un pezzo l’ora di cena.

- Scusami, è stata una giornata pessima io… non ho avuto tempo nemmeno di respirare oggi. Questo serial killer che è tornato in azione… Stampa, capo della polizia, ci stanno tutti addosso.

- Joy era preoccupata perché non ti sei fatta sentire, ho dovuto mentirle e dirle che ti avevo chiamato e stavi bene. In realtà mi ha risposto Ryan e mi ha detto che non c’eri.

- Mi dispiace Castle io… avrei dovuto mandarti almeno un messaggio, lo so… ma credimi, non ho avuto un attimo libero.

- Hai cenato? - Le chiese calmandosi.

- Veramente credo che l’ultima cosa di solido che ho mangiato è stata la cena di ieri sera.

- Ti preparo qualcosa allora. - Le disse andando subito verso la cucina.

- No, non ti preoccupare, vado da Joy e poi torno a casa.

- Joy sta già dormendo. Se aspetti un po’ e mangi qualcosa non cambia nulla. - La fermò prendendole la mano e lei, sfinita, si lasciò condurre al tavolo della cucina, dove si sedette poggiando i gomiti sul tavolo e prendendosi la testa tra le mani.

- Sono un disastro vero? - Chiese a Castle sentendolo armeggiare.

- Fare il genitore non è facile. Di solito si cresce insieme ai figli, essere genitore di un figlio già grande è più complicato. Imparerai, te la caverai.

- Cosa le hanno detto oggi?

- Tutto va benissimo, il decorso procede perfettamente, i parametri sono nella norma. Hanno detto che tra un paio di settimane potrà cominciare ad uscire, però il dottor Thompson ha consigliato che è meglio che per qualche mese ancora eviti di andare a scuola e frequentare luoghi chiusi con troppa gente, le sue difese sono ancora basse e sono i luoghi di contagio più a rischio.

- Bene…

- Senti… stavo pensando una cosa, però vorrei sentire il tuo parere - Le disse Castle mettendole davanti una generosa insalata con pollo alla griglia e tante altre cose nutrienti dentro.

- Su cosa? - Chiese Beckett guardando il piatto e pensando che doveva avere l’aspetto di qualcuna che non mangia da tempo.

- Su Joy… Vedi lei è preoccupata e dispiaciuta di perdere l’anno scolastico. Questo è il suo ultimo anno e da quello che ho capito ci tiene molto. Io le ho spiegato che non è un problema e che non è colpa sua, ma lei era veramente a disagio per questo. Quindi stavo pensando, se a te va bene, di prendere un’insegnante per aiutarla nelle materie scientifiche, per le altre potrei pensarci anche io, così a fine anno potrà fare gli esami.

- A me sembra un’ottima idea, veramente Castle. Joy che ne pensa? - Chiese mangiando avidamente, non si era resa conto di quanto avesse fame fino a quando non aveva cominciato a mangiare.

- Non gliel’ho ancora detto, volevo prima parlarne con te, sentire cosa ne pensassi.

- Oh beh… Grazie… - Kate abbassò lo sguardo sul piatto e smise di mangiare, giocherellando con una foglia d’insalata. Era rimasta molto colpita dal gesto di Castle, non solo della sua idea, ma soprattutto del suo volerla coinvolgere nelle decisioni che la riguardavano. - Ovviamente parteciperò a tutte le spese anzi io…

- Non lo dire nemmeno per scherzo Beckett. Non te l’ho detto per questo motivo.

- Sì, lo so però non è giusto che tu ti preoccupi per tutto per lei mentre io…

- Io mi preoccuperei per tutto anche per te, se tu me lo permettessi. - Le prese la mano e la strinse in modo che non potesse sfuggire. Kate sentì come con il pollice la stava accarezzando e chiuse gli occhi respirando profondamente.

- Castle ti prego… non rendere tutto più difficile… - Lo pregò. Lui le lasciò la mano, non prima di averla accarezzata ancora, in modo più esplicito, dal dorso fino alle dita, intrecciandole per un istante con le proprie.

- Ti ho lasciato una maglia in camera di Joy. Rimani a dormire con lei stanotte, le farà piacere. - Kate annuì. Non era giusto, non era conveniente, ma non aveva la forza per rifiutare di fare quello che in quel momento voleva con tutta se stessa.

Si spogliò in silenzio in bagno per non svegliarla. Si lavò accuratamente prima di tornare da lei e poi si mise a letto prendendo Joy ancora addormentata ed abbracciandola. La bambina si rese conto della sua presenza e si svegliò.

- Mamma! - Esclamò assonnata.

- Ciao amore mio… scusami per oggi… perdonami! - Le disse coccolandola stretta a se. Joy annuì solamente, troppo stanca per dire altro e si addormentò tra le sue braccia. Kate fece lo stesso poco dopo.

Kate si svegliò prima di Joy, ed aspettò che anche lei facesse lo stesso. Stava sdraiata su un fianco, guardando sua figlia dormire, mentre le accarezzava delicatamente i capelli. In poco tempo stava scoprendo tutto il bello ed il brutto di essere madre, tutte le cose più belle e quelle più difficili da fare e quella separazione che era ogni giorno più difficile da sopportare.

- Ieri mi avevi detto che saresti venuta. - Le disse Joy ancora assonnata a letto mentre lei si stava rivestendo per andare al distretto. Aveva avvisato che sarebbe arrivata un po’ più tardi, voleva aspettare che almeno fosse sveglia prima di andarsene.

- Lo so Joy, mi dispiace. - Si scusò.

- Io ti aspettavo. Poi non mi hai nemmeno risposto al telefono. - Si tirò su guardandola seria. Kate finì di allacciarsi la camicia e si sedette sul bordo del letto.

- Scusami. Ma Joy, ascoltami… Il mio lavoro è un po’ particolare, può accadere che mi chiamino all’improvviso la notte e devo correre via, oppure che alcuni giorni devo stare fuori dalla mattina alla sera e non posso rispondere a nessuno, nemmeno a te. Non posso farci nulla.

- Ho avuto paura che ti fosse successo qualcosa anche questa volta. - Le disse sinceramente e a Kate il sottolineare “anche questa volta” fece particolarmente male.

- Non devi preoccuparti se non ti rispondo ad una chiamata o ad un messaggio, può capitare a volte che sono impegnata per molte ore, questo non vuol dire che mi deve essere successo qualcosa di brutto, anzi non è quasi mai così.

- Quasi? - Chiese preoccupata.

- Beh, qualche volta è successo, quindi non lo posso escludere al 100% ma di solito credimi, sono gli altri che passano dei brutti momenti quando non posso rispondere.

- Cosa fai?

- Uhm… solitamente provo a farli confessare, ho i miei metodi di persuasione, ma alcune volte può volerci molto tempo. - Provò a spiegarle in modo tranquillo una parte del suo lavoro che non sapeva come riuscire a rendere meno dura di quello c4he era.

- Gli fai male? - Chiese preoccupata.

- No! Stai tranquilla! - Sorrise Kate.

- Oggi sarai molto occupata? - Domandò ancora a sua madre.

- Non lo so, ma credo di sì. Però questa sera farò di tutto per uscire prima e domani staremo insieme tutto il giorno. Ricordi che ti devo presentare il mio papà?

- Sì. Me lo ricordo.

- Perfetto. Ora devo scappare che è già tardi! Ci vediamo stasera amore mio.

- Mamma! - La chiamò Joy mentre stava per andarsene - Grazie per essere rimasta stanotte.

- Ti voglio bene piccola. - Le disse tirandole un bacio mentre chiudeva la porta.

Quella sera Kate riuscì ad essere di parola. Non c’erano molti sviluppi sul caso, fece una copia del materiale raccolto in quei giorni e nelle sue precedenti indagini, se avesse avuto tempo avrebbe dato uno sguardo a casa, magari con la mente un po’ più libera. Riuscì così a passare del tempo con Joy prima di cena e poi come di abitudine si fermò a mangiare con Castle. Quel sabato sera erano solo loro tre, Martha era a vedere la prima di quella collega, che a suo dire le aveva rubato la parte, solo per poterla fischiare ed Alexis al cinema con le amiche. Joy dopo la cena insistette perché rimanesse con loro anche a vedere un film, così si sedette sul divano tra Rick e Kate, addormentandosi appoggiata a Castle prima della fine e Beckett la portò in camera mettendola a dormire in quei gesti che ormai cominciavano a venirli istintivi.

Quando tornò da Castle pronta per andare a casa lo trovò con in mano la copia del fascicolo del serial killer su cui stava dando la caccia.

- Non riesci proprio a stare fermo eh! - Lo rimproverò ma senza troppa cattiveria.

- Ecco, io… Stavo spostando la tua borsa e…

- Certo, e casualmente è caduto il fascicolo, vero?

- No… Ho visto il bordo che spuntava e mi sono incuriosito. Ho dato solo una sbirciatina! - Disse con la sua solita faccia da schiaffi che riservava per queste occasioni.

- Dammi una ragione per la quale non dovrei arrabbiarmi adesso Castle. - Chiese scuotendo la testa e puntando le mani sui fianchi.

- Beh, perché in teoria io potrei sempre collaborare con te al distretto e… sono stato un valido collega per aiutarti a risolvere dei casi? - Chiese gonfiando il petto.

- Collaboratore Castle. Collaboratore non collega! - Precisò lei.

- Quello che vuoi, però sono stato bravo. Che dici, ti va di parlarne? - Domandò speranzoso.

- Se non ti dico di sì non mi lascerai andare via, vero?

Castle alzò le spalle e Kate si andò a sedere sul divano con i fascicoli in mano, mentre lui ne approfittava per prendere due bicchieri di vino rosso.

- Dobbiamo parlare del caso non festeggiare! - Lo riprese.

- Nessun festeggiamento, ma un buon bicchiere di vino rosso aiuta a concentrarsi meglio… Allora?

- Lo avevano soprannominato il Killer delle Carte. Aveva ucciso tre persone, più o meno tre anni fa. Un uomo, una donna ed un ragazzo. Nessuna relazione tra le vittime. Tutte venivano uccise con una carta da gioco in mano e i loro nomi sono con l’iniziale della carta. La prima volta poteva essere una coincidenza, la seconda no. Keene, Quing e Jed la prima volta, Kelvin, Qamar e Jasper.

- Ha usato sempre lo stesso seme? - Chiese Castle visibilmente interessato.

- No, anche questa cosa è inquietante. Le prime tre vittime sono state uccise con un colpo di pistola che ha spaccato il cuore. Le ultime tre sono state avvelenate. - Specificò Kate.

- Cuori e fiori quindi. - Dedusse Rick.

- Esatto… - Beckett sorseggiò il suo vino.

- Quindi secondo il suo schema mancano ancora sei vittime…

- Non oso immaginare come potrebbe uccidere ancora. - Disse Kate inorridita. - Non siamo riusciti a fermarlo l’altra volta ed ha ucciso altre tre persone. Non si fermerà stavolta è certo.

- Perché dopo tutto questo tempo? C’è qualche riferimento temporale simbolico? Avete provato a vedere le date, se sono qualche anniversario particolare o se tra i primi omicidi e questo c’è un lasso di tempo che significa qualcosa, non so una sequenza di giorni o qualche fase lunare, astrologica, magari è un messaggio… Dovrei avere di là nello studio un libro sulla storia delle carte da gioco ed i loro significati medievali, lo sai che si dice che le carte da gioco siano state inventate da un uomo demoniaco dedito alle arti oscure e che il Re rappresentava il diavolo e la Regina la Madonna? Un modo per dire che Gesù fosse il figlio dell’unione tra il demonio ed una vergine… - Aveva già ricominciato ad elaborare le sue teorie bizzarre ma che spesso si avvicinavano almeno per linee un po’ contorte alla realtà.

- No… non abbiamo pensato a tutto questo, ci siamo limitati a pensare che potrebbe essere stato in condizione di non compiere altri omicidi. - Disse lei un po’ sarcastica.

- Uhm potrebbe essere anche quello, anche se sarebbe molto banale. Dici tipo arrestato per altri crimini? - Chiese ancora lui.

- No, questo non l’avevamo pensato, lunedì dirò a Ryan di controllare arresti e scarcerazioni poco dopo i primi omicidi e poco prima di questi. Avevamo pensato che potesse esserci un fattore scatenante che si era riproposto, magari un abbandono subito e che si è ripetuto… - Rick la vide molto frustrata bere nervosamente ancora un po’ di vino. Avrebbe voluto fare lui in modo di rilassarla, era certo che avrebbe trovato molti modi.

- Era un tuo caso? - Chiese curioso.

- No, era un caso del ventesimo, poi è passato a noi. C’era stata una quarta vittima, il detective Atkinson, il capo della squadra che indagava sul caso ed era stato trovato con un jolly rosso in mano. Noi abbiamo ritrovato il suo corpo e poi l’indagine è passata alla nostra squadra. - Gli raccontò e lo vide preoccuparsi man mano che aggiungeva dettagli.

- Kate… - Sussurrò il suo nome accigliato.

- Non preoccuparti Rick. - Gli prese la mano per tranquillizzarlo, fu un gesto istintivo, il primo di una lunga serie che sarebbe diventata incontrollabile.

- Come posso non preoccuparmi? - Le accarezzò il volto - Un pazzo è là fuori ha già ucciso un tuo collega che indagava… non puoi chiedermi di non essere preoccupato per la donna che amo.

- Rick ti prego… - Gli disse sfinita dalle sue parole, confusa dalle sue carezze.

- Puoi impedirmi di stare con te, non puoi impedirmi di amarti o di preoccuparmi per te, Kate. Puoi impedirmi di baciarti, ma non puoi impedirmi almeno di provarci… - Le sue labbra erano così vicine a lei che non gli impedì nulla, anzi schiuse appena le sue, un invito implicito a non fermarsi. Non si fermò lui e nemmeno lei e capì quanto aveva bisogno di quel bacio solo quando le loro labbra erano inesorabilmente unite e fameliche e le mani di Kate raggiunsero il suo volto, incorniciandolo, accarezzandolo, tenendolo inesorabilmente vicino al suo, perché se ormai il danno era fatto, che almeno godesse di tutti i privilegi di quel momento, fino all’ultimo. Quel bacio era un rincorrersi disperato di chi sapeva che stava sbagliando, ma continuava a sbagliare. Era carico dei sensi di colpa che non urlavano più forte del desiderio.

La luce del soggiorno che si accese all’improvviso li fece staccare e guardarsi intorno spaventati. Sentirono subito dopo il rumore della porta che si chiudeva.

- Continuate pure ragazzi, fate come se io non ci fossi, anzi adesso me ne vado… Ho proprio bisogno di fare una lunga dormita dopo tutti gli eccessi di questa serata! - Martha passò davanti a loro con molta nonchalance come se nulla fosse.

- Buonanotte madre - Disse Rick imbarazzato

- Buonanotte Martha - Gli fece eco Kate con lo stesso sentimento.

L’attrice si voltò appena appoggiato il piede sul primo gradino della scala.

- Godetevi la vita ragazzi miei! Siete ancora così giovani… Non sprecate il tempo! State così bene insieme!

Castle e Beckett si lasciarono ricadere pesantemente sullo schienale del divano, con il respiro ancora accelerato per il bacio e per l’essere stati appena scoperti come due adolescenti.

- Scusami. - Gli disse Rick

- L’ho voluto anche io. Abbiamo… sbagliato… abbiamo sbagliato entrambi. - Disse lei a fatica, perché proprio non riusciva a pensare quello che aveva appena detto. Come poteva essere sbagliato qualcosa che la faceva stare tanto bene? Eppure sapeva che lo era, in quella situazione lo era.

- No, non per il bacio. Per averti messo in imbarazzo davanti a mia madre e per i suoi consigli non richiesti, lo fa sempre. Le spiegherò tutto, domani.

- Cosa gli spiegherai Castle? Perché avrei bisogno di avere anche io delle spiegazioni, perché non sto capendo più niente. - Sospirò Beckett frustrata.

- Le spiegherò che ti amo, ma che Joy viene prima di tutto. E che è difficile e qualche volta sono troppo debole per fare finta di nulla. E che ho paura di tutto quello che verrà. E di perdere Joy. E di perdere te.

- Potresti non perdere nulla Castle… - Gli disse Kate prendendo la sua mano.

- Kate io… Penso che Joy dovrebbe stare con te. - Disse non senza qualche fatica.

- Che vuoi dire? - Chiese perplessa.

- Sei sua madre e il rapporto tra voi si sta intensificando sempre più e… io le voglio tanto bene e lo vedo che le manchi. Le manca quando la sera te ne vai… Io non voglio che sia triste per questo.

Kate si tirò su, appoggiandosi poi stancamente sulle gambe, con la testa tra le mani.

- Da quanto tempo ci stai pensando Castle?

- Da un po’… Credo sia inevitabile, Kate…

- Io… dovrò organizzarmi… dovrò trovare una casa più grande, da me non c’è abbastanza spazio per Joy… E poi con il lavoro… devo organizzarmi.

- Hai tutto il tempo che vuoi. Joy per ora è comunque meglio che stia qui, almeno fino a quando non finisce questo periodo. Però… è così che deve andare Kate, anche se mi fa male.

Beckett lo guardò. Avevano entrambi gli occhi lucidi, lei lo accarezzò e lui le baciò l’interno della mano.

- Joy è molto affezionata a tutti voi. Non farò niente per separarla da voi, lo sai vero? E comunque prima di decidere qualsiasi cosa, voglio che sia lei a scegliere cosa fare. Non voglio portarla via da un ambiente dove si è già integrata e dove sta bene, non le voglio creare altri traumi e se lei preferisse stare con te, mi adeguerò.

- Non sarà così Kate… ne sono certo…

- Non credevo che l’avresti fatto. - Gli disse imbarazzata.

- Quando ami qualcuno cerchi di fare sempre il meglio per lui. - Rispose abbassando lo sguardo.

Beckett gli sollevò il mento e fu lei questa volta a baciarlo, un bacio dolce, un ringraziamento silenzioso, quello che a lui faceva più piacere, quello che a lei spaventava di più, perché ne aveva appena avuto la conferma, ad ogni bacio ne voleva sempre un altro. Si alzò di scatto poi, scottata da tutta quella situazione e lui la imitò.

- Comunque ne riparleremo, nei prossimi giorni anche di… di tutti gli aspetti pratici. - Disse lui spostando l’attenzione da loro ad argomenti più pratici.

- Sì, sì certo… dovremo riparlarne… molto… - disse lei.

- Bene… una buona scusa per… passare del tempo insieme.

- Castle…

- Shhh Beckett… non dire nulla. Non c’è bisogno.

Lo guardò, poi sentì il peso di tutte le emozioni delle ultime ore, giorni, settimane o mesi. Le sembrò tutto tanto, troppo, per lei che per anni aveva chiuse le emozioni in un cassetto, che dopo essere uscita scottata dall’ultima relazione importante aveva detto a se stessa “mai più”. Castle aveva sconvolto tutto, Joy aveva sconvolto tutto. Lei era sconvolta. Tutta. Si sentì imprigionata in un’armatura di sentimenti che le bloccavano ogni movimento. Trovò non seppe dove la forza ed il coraggio di uscire da quella casa, senza guardarlo ancora, lasciando dietro di se una scia di rimpianto mentre di allontanava da tutto quello che amava, dietro a quella porta che non aveva nemmeno trovato il coraggio di chiudere, sperando fino all’ultimo che lui la richiamasse o che uscisse e la raggiungesse mentre aspettava quell’ascensore che arrivò troppo presto. Forse era un segno. E sola, tornò a casa.

Erano passate poche ore da quando era andata via dal loft di Castle, era seduta al tavolo della sua cucina con una tazza di caffè, ma Kate era lontana da lì, era ancora con la mente su quel divano, in quella casa dove ormai passava più tempo che nella propria. Aveva ripensato per tutta la notte alle parole di Rick, alla sua certezza che Joy avrebbe voluto stare con lei.

Il problema, pratico, della casa più grande da trovare era una delle cose che la preoccupava di più. Sarebbe stato decisamente meglio spostarsi da quella zona e trovare qualcosa di più vicino al distretto, così sarebbe stato più pratico. Aveva guardato alcuni siti internet specializzati ma chiuse il computer poco dopo decisamente scoraggiata, non sarebbe mai riuscita ad ottenere un mutuo per comprare una casa lì e gli affitti erano decisamente fuori dal suo budget. Cominciò anche a valutare l’idea di chiedere un trasferimento, aveva letto per sbaglio pochi giorni prima che in un distretto non molto lontano da casa sua si era liberata una posizione nell’antirapine. Era sicuramente qualcosa di meno gratificante ed interessante, ma anche meno pericoloso.

Guardava la cartellina con i documenti sul serial killer e ripensava alla parole di Castle, alla sua paura e a quella di Joy. Doveva rimettere tutto in discussione e rivedere le sue priorità. Lei si era sempre buttata a capofitto in ogni situazioni, senza alcuna paura per i pericoli che correva. Aveva messo in conto che con il suo lavoro poteva rimanere ferita o anche peggio, era un rischio che aveva implicitamente accettato il giorno stesso in cui aveva deciso di intraprendere quella strada. Ora però era diverso. Ora tutto era cambiato. Non voleva più leggere la paura negli occhi di sua figlia ed era consapevole che ogni decisione che prendeva non avrebbe influito solo sulla propria vita ma anche su quella di Joy. Era stata catapultata in un bivio ed avrebbe dovuto decidere presto cosa fare, ma sentiva di non avere molta possibilità di scelta, Joy non era negoziabile con nulla.

Castle e Beckett avevano concordato che la cosa migliore per Joy fosse che suo padre andasse a pranzo da loro, così l’incontro per lei sarebbe stato meno formale, circondata da persone che conosceva, senza avere troppa pressione addosso. Jim aveva naturalmente accettato, avrebbe fatto qualsiasi cosa Kate gli avesse detto, non ne aveva più parlato con lei, ma il suo senso di colpa per quel distacco che sapeva essere stato in gran parte anche colpa sua e dei suoi problemi lo aveva martoriato a lungo in quei giorni, riportando a galla vecchie ferite che pensava si fossero cicatrizzate.

- Joy è sveglia? - Chiese Kate quando arrivò al loft ed un insonnolito Castle andò ad aprirle.

- Sì, è stata la prima a svegliarsi. - Sbadigliò - Mattutina, come te. Ora è con Alexis che si è offerta di aiutarla con le prime lezioni di scuola. Ti va intanto un caffè? Stavo per farlo.

Kate non poteva mai rifiutare un caffè, soprattutto uno fatto da Castle. Erano uno vicino all’altra seduti al bancone della cucina, con le loro tazze davanti ed un imbarazzo crescente tra loro.

- Hai pensato a ieri sera? A quanto ti ho detto, intendo… non al… al resto… Cioè, io ho pensato anche al resto ma… non volevo dire che dovevi farlo anche tu, però…

- Ho pensato a ieri sera, a tutto. - Kate fermò il suo sproloquio, per essere uno scrittore in quelle occasioni era veramente una frana a trovare le parole giuste.

- Bene…

- Insomma… Stavo considerando tante cose… Pensavo di prendere una casa più vicino al distretto, sarebbe stato più comodo ma… i costi sono veramente insostenibili per me. - Sospirò Kate che aveva bisogno di sfogarsi con qualcuno, condividere le sue paure.

- Beh, Kate… se ti serve una mano…

- No, no Rick, non te lo sto dicendo per questo io… non potrei mai… È che… ho pensato ad un’altra soluzione. Proverò a chiedere un trasferimento, si è liberato un posto vicino casa mia, lo avevo visto qualche giorno fa e se è sempre disponibile… Poi è un lavoro diverso, meno pericoloso. - Provò a sorridergli, ma lui non sembrava contento della sua idea e Kate non capì perché.

- Più noioso? - Chiese Castle.

- Penso di sì. Però più sicuro.

- Ma non ti piace.

- Non si può avere tutto, Rick.

- Però devi provare ad avere tutto. Se tu non sarai soddisfatta della tua vita, Joy se ne accorgerà e ne risentirà. Hai tempo per trovare altre soluzioni, Kate. Non fare cose delle quali potresti pentirti.

- Ho esaminato tutte le possibilità, Castle.

- Ci sono sempre altre possibilità. Non puoi aver visto la storia da tutti i punti di vista.

Kate fece un respiro profondo, aveva ragione lui.

- Comunque credo che sia meglio che Joy rimanga qui al loft anche… dopo, almeno per un po’. È più pratico, anche per quella storia dell’insegnante per la scuola… io con il lavoro non potrei gestire tutto. - Ammise. Odiava non essere in grado di avere tutto sotto controllo e di dover chiedere l’aiuto degli altri.

- Quando tu lavori potrei… potrei occuparmi io di lei. Così io avrei una scusa per starci insieme, lei potrebbe fare qui le sue lezioni e tu saresti più tranquilla, che ne pensi?

- Penso che non voglio abusare della tua generosità Castle. Stai già facendo tanto per lei adesso.

- Beckett, se Joy non fosse stata tua figlia, avrei fatto di tutto per adottarla. Non abusi di nulla, lo capisci? Prendilo come un regalo che fai tu a me, permettendomi di starle vicino.

Non si erano accorti quando di preciso quella conversazione era diventata così seria, ma ci pensò Rick a riportarla su binari più leggeri.

- È buffo, sto parlando più con te del futuro di Joy di quanto non abbia mai fatto con Meredith di quello di Alexis. - Sorrise Rick.

- Dici che sembriamo una coppia separata che discute sull’affidamento della figlia? - Disse Kate con altrettanta leggerezza.

- In tal caso potremmo ripensarci e non separarci più. - Sospirò Castle malinconicamente.

Quando Kate sentì squillare il suo cellulare temette che fosse il distretto e qualche nuova urgenza o magari novità sul serial killer. Invece era solo suo padre, sorridendo si allontanò per rispondere.

Rick la vide annuire mentre passeggiava avanti e indietro vicino ai divani, con un sorriso che si spegneva a poco a poco.

- Problemi? - Le chiese Castle mentre tornava a sedersi vicino a lui.

- Mio padre… non può venire. Deve sostituire un collega domani mattina e sta partendo per Springfield per incontrare il cliente e studiare le carte del caso. - Rispose molto contrariata.

- Sei arrabbiata? - Le chiese Castle mordendosi la lingua, per quella domanda dalla risposta tanto ovvia, bastava vedere la sua espressione.

- Sì, ma soprattutto delusa. Cosa dico a Joy? Penserà che in famiglia siamo tutti così, che saltiamo gli appuntamenti con lei per lavoro. - Era palesemente nervosa.

- Le dirai la verità. Joy ci rimarrà male ma poi capirà. Mangeremo insieme, passeremo un bel pomeriggio a vedere non so quale cartone animato o a finire quel puzzle nuovo della Sirenetta da 1000 pezzi.

Andò più o meno così la giornata, Joy rimase un po’ delusa di non aver conosciuto il nonno, ma l’ambiente sereno e spensierato che Rick aveva saputo ricostruire intorno a lei fece sì che le passasse tutto piuttosto rapidamente e poi insieme a Alexis e Kate cominciarono a fare quel nuovo puzzle, solo Martha rinunciò all’impresa, preferendo riposarsi perché aveva una serata impegnativa che l’attendeva.

Riprese la routine di sempre con l’inizio della nuova settimana ed una Beckett sempre più impegnata con il caso del serial killer delle carte. Aveva preso l’abitudine di tenere un cambio in macchina e più di qualche volta si era fermata a dormire al loft per passare un po’ di tempo in più con Joy e poterle almeno dare il buongiorno la mattina. Qualche volta la sera si fermava a parlare con Rick, non solo del caso sul quale si voleva sempre informare e le dava spesso spunti interessanti, ma anche di Joy e di come vedesse al momento tutto molto difficile. “Non sarà sempre così, non sei sempre alla ricerca di un serial killer” le ripeteva per incoraggiarla e lui era convinto che avesse solo bisogno di tempo per organizzarsi, e magari di un aiuto, anche se non lo avrebbe mai ammesso né accettato.

Tre nuove vittime, quel venerdì notte, le portarono via anche il week end. Altre tre persone uccise con lo stesso schema: Kumar, Quinty e Justin, tre carte di picche tra le mani ed una morte orribile, trafitti da lunghe aste con le punte di ferro. In questo caso la morte era stata più o meno contemporanea per tutti e tre ed il luogo del delitto sicuramente un altro e poi trasportati e gettati in quel vicolo buio. Si faceva sempre più spregiudicato, crudele e imprudente, almeno questa ultima cosa poteva essere stata un punto di vantaggi per loro.

Nonostante la pressione mediatica ed interna dai piani alti, le indagini e gli interrogatori, questa volta Kate non fece lo stesso errore, ricordandosi di chiamare Joy e controllando ogni volta che poteva il telefono per vedere se ci fossero messaggi o chiamate, scrivendole in ogni pausa, almeno così anche se non la poteva vedere, sapeva che la pensava e che stava bene, in quelli che di fatto erano stai i primi giorni nei quali non si erano viste da quando Joy l’aveva accettata nella sua vita. Fu difficile, per entrambe. Joy aveva capito il lavoro di sua madre, ma non per questo le faceva meno male la sua assenza, perché di fatto, anche se non lo ammetteva, la paura di un nuovo abbandono era sempre latente in lei e Rick in parte l’aveva capita, quando l’aveva vista più nervosa, meno serena, per questo cercava di starle il più vicino possibile ma in quei giorni il suo atteggiamento non aveva fatto altro che convincerlo che quello che pensava era la verità: Joy aveva bisogno di Kate e di stare con lei, perché per quanto lui le volesse bene e per quanto lei ne volesse a lui ed era certo che fosse così, il legame di sangue con sua madre era qualcosa che andava oltre, qualcosa di cui Joy aveva bisogno. Una frase gli era rimasta impressa che la piccola gli aveva detto una sera, quasi a scusarsi di quel suo bisogno di lei: “Tu hai non hai solo me, hai Alexis, la mamma è sola e non ha nessuno.”. C’era tutta Joy in quella frase, la bambina che si prendeva cura degli adulti e c’era tanto anche di Beckett, anzi, di quella Kate che aveva imparato a conoscere piano piano, che scopriva poco alla volta, di quella che aveva rinunciato a sua figlia per la speranza di darle un futuro migliore, che nel momento più difficile della sua vita, quando aveva bisogno di essere aiutata e sostenuta, si era rimboccata le maniche ed aveva aiutato suo padre ad uscire dal tunnel della sua dipendenza. Kate era in Joy, da prima che si conoscessero, c’era la sua essenza dentro di lei e forse era per questo che dal primo momento aveva provato un forte senso di protezione verso quella bambina, un sentimento forte come quello che provava per la sua mamma e non aveva mai voluto ammettere per non scontrarsi con quello che pensava un suo certo rifiuto.

Rick aveva fatto tanti errori con le donne nella vita: aveva insistito e buttato soldi e tempo con donne e relazioni che sapeva sarebbero state un fallimento già prima che cominciassero, solo per dimostrarsi che poteva essere il contrario. Pensò che in fondo provare a fare qualcosa per Kate e Joy non sarebbe stata una cattiva idea, loro valevano più di un tentativo e non voleva avere il rimpianto di non averci provato fino in fondo.

Montgomery l’aveva praticamente obbligata ad andare via prima quel giorno. Era quasi una settimana, da quando avevano trovato le altre tre vittime, Kate stava quasi sempre al distretto. Era passata qualche volta da Castle, velocemente solo per salutare Joy, fermandosi un paio di volte prima di tornare al distretto quando erano passati là vicino. Si era fatta aspettare da Esposito e Ryan con il motore acceso in strada ed era salita di corsa, il tempo di darle un bacio, di farle vedere che stava bene e di promettere che sarebbe tornata presto, promesse quasi sempre disattese. Era riuscita ad andare a dormire a lì al loft qualche sera, scappando via la mattina appena lei apriva gli occhi, dopo aver dormito lei stessa pochissimo, stretta tra i pensieri per il caso, per sua figlia per tutto il resto. A quello si era aggiunto anche un altro caso che avevano seguito, per fortuna risolto velocemente, ma le aveva tolto altro tempo ed altre energie. Era fisicamente e mentalmente provata ed accolse molto felicemente quell’uscita anticipata e i due giorni di permesso che le aveva dato per quel fine settimana, con la promessa che nessuno l’avrebbe chiamata, a meno di sviluppi veramente importanti, o altri omicidi, disse a denti stretti il capitano. Temevano in un’escalation ed anche che, finita la serie con le ultime tre vittime, il serial killer potesse sparire, per il momento però, preferiva non pensarci, concentrandosi sulla possibilità di godersi sue figlia due giorni interi. Ne aveva bisogno fisicamente.

Chiamò Castle mentre stava tornando al loft, sentendo sullo sfondo il vociare ormai familiare dei cartoni animati e le risate di Joy. Lui le fece una strana richiesta, di aspettarlo sotto perché doveva mostrarle una cosa e lei anche se non capì accettò, non era la prima richiesta strana che Castle le faceva ed era troppo stanca per chiedere di più, non vedeva l’ora di poter parcheggiare, salire al loft, abbracciare sua figlia e lasciarsi andare un po’ con lei.

Mandò un messaggio a Castle per avvisarlo che era arrivata e lui dopo poco scese e gli disse di seguirlo, lo fece un po’ perplessa, soprattutto quando vide che entravano in ascensore.

- Castle, sono capace di prendere l’ascensore da sola! - Esclamò ma lui non rispose.

- Che fai non esci? - Le disse arrivati al terzo piano.

- Questo non è il tuo piano, Castle.

- Uhm lo so, se dovevi venire al loft non ti avrei detto di aspettarmi.

Sbuffando uscì e lo seguì nel corridoio, facendo il giro intorno all’ascensore, fino ad una porta davanti alla quale Castle si fermò e poi la aprì prendendo una chiave dalla tasca dei pantaloni. Le fece cenno di entrare e Kate con il suo solito fare sospettoso mise un piede dentro guardando prima a destra e poi a sinistra.

- È libero. - Disse lui seguendola e chiudendosi la porta alle spalle, prendendola un po’ in giro.

- Cos’è questo posto? - Chiese lei.

- È una casa nel mio palazzo. - Rispose lui sottolineando l’ovvio.

- Lo vedo. Perché siamo qui?

- Ci abitava Peter Schulman, un simpatico e giovane fotografo di grande talento. Si è trasferito a Parigi ad inizio anno e lavora per un’importante casa di moda. L’appartamento non è grandissimo, ma ha due camere, lì c’è la cucina e quello è il soggiorno. Ah ci sono anche due bagni, uno in ogni camera. Purtroppo non c’è nessuno studio, o meglio Schulman usava come studio una delle camera, ma credo che a te ne servano due.

- Castle, rallenta. Io non posso permettermi una casa qui, tanto meno questa casa che è decisamente fuori dalle mie possibilità. Grazie per esserti interessato, ma con lo stipendio da poliziotto non riuscirei nemmeno a pagare solo l’affitto di questo posto. - Sembrò quasi rimproverarlo e stava dirigendosi verso la porta quando lui la fermò e le prese la mano.

- Aspetta, per favore.

- Vorrei vedere Joy, ti prego Rick, sono stanca, inutile parlare di qualcosa che è impossibile.

- Nulla è impossibile, Kate. Basta volerle le cose. Soprattutto quelle che potrebbero essere bellissime, perché potrebbero essere veramente così. - Non stava più parlando della casa, o meglio non solo di quella. Kate lo guardò per un attimo, poi quando capì il senso delle sue parole abbassò lo sguardo. Rick mise la mano in tasca, tirò di nuovo fuori la chiave con cui aveva aperto la porta di casa e la mise nella mano di Kate che alzò la testa di scatto cercando il suo sguardo, perplessa.

- Che vuol dire Castle? - Chiese guardando lui e la chiave.

- Questa casa era vuota da un po’. Forse era qui perché aspettava la persona giusta o la situazione giusta. Schulman l’ha messa in vendita molti mesi fa, ma nessuno sembrava interessato. L’ho comprata due giorni fa.

- Io non posso accettare Castle, non se ne parla.

- Non lo faccio per te, se ti dico così sei più felice? Lo faccio per Joy e lo faccio per me. Così potrò vederla più spesso, a lei basterà prendere l’ascensore per venire da me tutte le volte che vuole. Sarà più pratico tenerla quando tu sarai a lavoro ed è abbastanza vicino al distretto.

- No, Castle, io… non posso… - Provò a restituirgli la chiave, ma lui chiuse il pugno di lei facendo in modo che la stringesse.

- Ascoltami Kate, io non voglio insegnarti a fare il genitore, però… Metti da parte il tuo orgoglio, fallo per tua figlia. Lo sai anche tu che questa è la scelta migliore, che risolve tutti i problemi. I tuoi, i miei e soprattutto quelli di Joy. Potrai stare qui tutto il tempo che vuoi, come se fosse casa tua, possiamo anche fare un contratto se ti fa sentire più sicura. Non dovrai preoccuparti dell’affitto e così avrai tutte le possibilità di viziare Joy come vuoi. Non pensare da Beckett, pensa da mamma di Joy e capirai che è la decisione migliore.

Kate annuì. Aveva ragione lui, non doveva pensare da Beckett, ma fare il meglio per sua figlia ed il meglio era accettare l’offerta di Castle. Non era facile ma doveva imparare ad accettare l’aiuto degli altri, essere meno orgogliosa, capire che doveva trovare dei compromessi, prima di tutto con se stessa, per il bene di sua figlia.

- Ti va di fare un giro? Così ti mostro com’è, cominci a prendere un po’ di confidenza con la tua nuova casa.

- La tua casa Castle. Io ci sto solo abitando. - Specificò.

- Ok, come vuoi, mi sta bene. Allora vuoi venire a vedere la mia casa nella quale abiterai?

Kate si guardò intorno e notò come quella casa fosse arredata con buon gusto, con uno stile contemporaneo, dai toni freddi sul grigio di vari toni, linee squadrate e giochi di luci e ombre anche nei mobili. Le piaceva il fatto che fosse molto luminosa e che avesse degli alti soffitti. Non era molto il suo stile, però era sicuramente bella, l’avrebbe adattata e contaminata piano piano.

Anche la camera da letto era più o meno simile, aveva delle bellissime fotografia alle pareti che Rick le spiegò essere proprio dei lavori di Schulman, ma la cosa che la colpì di più era il grande bagno della sua camera, con una vasca idromassaggio, ne aveva sempre sognata una così. Non riusciva ancora a capire se essere felice oppure no, da una parte lo era, lì era veramente tutto perfetto, ma dall’altra si sentiva a disagio perché tutto questo non era opera sua. Rick notando la sua incertezza la prese per mano e la portò nell’altra stanza, quella di Joy. Era l’unica che non era ammobiliata, o meglio lo era ma non per una camera da letto di una bambina. Però le sembrava bella, luminosa ed abbastanza grande, non come quella del loft di Castle, ma sicuramente superiore alla media. Pensò che sarebbe stata bene lì, che quello sarebbe stato il luogo dove poteva crescere e le venne un brivido e quasi si commosse. Quella era la casa dove avrebbe cresciuto sua figlia. Le sembrava impossibile se glielo avessero detto pochi mesi prima.

- Ti piace? - Le chiese Rick - Forse un po’ troppo maschile, ma penso che con pochi tocchi avrà tutto il tuo carattere.

- È veramente molto bella. È perfetta. Grazie. - Lo ringraziò sinceramente riconoscente.

- Bene, sono felice. Magari nelle prossime settimane potremmo, cioè potrai, andare a vedere per la camera di Joy o se vuoi posso chiamarti un arredatore così ci può pensare lui, gli facciamo vedere la sua camera da me, così sarà avvantaggiato.

- Non puoi farti carico anche di questo Castle, non esagerare.

- Kate, io voglio solo che sia tutto bellissimo. Tutto perfetto. So che potrei riuscirci, che potremmo riuscirci, in qualche modo.

Erano arrivati in quello che era il soggiorno dominato da un grande divano nero con due ampie poltrone ai lati a delimitare quella zona circondata da mobili con ripiani a specchio e sportelli lucidi.

- Lo sai vero che non mi riferivo solo alla casa. - Continuò lui.

- Non rendere tutto più difficile di quanto non sia già, per favore. - Lo supplicò lei appoggiando una mano sul suo petto per tenerlo a distanza, ma così fu catturata dal battito tambureggiante del suo cuore che sembrava voler toccare il palmo della mano di lei.

- Sei mancata molto a Joy in questi giorni, ma sei mancata molto anche a me… - Le incorniciò il viso con le proprie mani, isolando i suoi lineamenti perfetti, catturato dalla bocca che nervosamente si mordeva il labbro. Chiuse gli occhi e si avvicinò a lei, le sfiorò appena le labbra con le sue, la sentì respirare più profondamente mentre lui provò a non farlo per niente, per non essere inebriato dal profumo della sua pelle che era come droga per lui. Poi cedette, lasciando riempire i polmoni di lei che cominciò a bruciargli dentro.

Non trovò il coraggio di baciarla o forse ne ebbe tanto a non farlo. Appoggiò la fronte alla sua senza lasciarla mai ed anche lei bloccò il viso di lui, nello stesso modo, accarezzandogli con i pollici le labbra che tanto voleva. Avevano entrambi gli occhi chiusi per non guardarsi, per la paura di quello che potevano trovare nello sguardo dell’altro. Si stavano facendo male e ne erano consapevoli, ma non potevano farne a meno.

Kate gli doveva tanto, forse in quel momento ancora di più, le aveva reso la vita molto più facile e lo aveva fatto soprattutto a Joy. Non si sarebbe mai sdebitata abbastanza in nessun modo, però le sembrava che questo, adesso, avesse reso tutto ancora più difficile. Non poteva rischiare di rovinare tutto cedendo ai suoi sentimenti con il pericolo che poi mandassero tutto all’aria per la loro incapacità di vivere un rapporto in modo normale, senza eccessi, senza quel fuoco che sentiva dentro e che ora glielo faceva desiderare come l’acqua l’assetato ed era proprio quello che le metteva paura, quel desiderio e quel bisogno che non sapeva dove l’avrebbero condotta se e quando la passione sarebbe finita, se avessero superato i limiti, se poi non si fossero scoperti così perfetti come era convinta che fossero. Come avrebbero fatto ad avere un rapporto normale poi? Aprì gli occhi e lo guardò: era uomo e bambino, era indisponente e protettivo, era guascone e indifeso, era bellissimo, perché nei suoi occhi non c’era solo la bellezza fisica, c’era tutto il suo mondo che come lei teneva nascosto, perché il vero Richard Castle era così diverso da quello spavaldo prepotente che era piombato al distretto. Tremò al pensiero che forse un rapporto normale non lo avrebbero potuto avere nemmeno in quella situazione.

Si erano allontanati in silenzio, con le dita che scivolavano sui rispettivi volti a prolungare un contatto sempre troppo breve. Salirono al loft senza dirsi nulla e appena misero piede in casa Kate fu sopraffatta dall’abbraccio festoso di Joy.

- Piano piccola, non esagerare! - Disse prendendola in braccio e baciandola. - Ehy ma ti sei ingrassata ultimamente? Era ora eh!

Prendere un po’ di peso era uno dei sintomi che stava pian piano migliorando Kate non potè non esserne felice.

- Senti, ti va di venire con me in un posto? - Le chiese e Joy rimase stupita da quella domanda, le avevano detto che ancora avrebbe dovuto aspettare un po’ per uscire, guardò Rick non sapendo cosa rispondere, ma lui le fece un cenno di sì con la testa e lei allora lo imitò. Indossò la sua mascherina e seguì sua madre che fece poi fece capire a Rick di seguirla: aveva bisogno del suo aiuto.

Quando si fermarono pochi piani sotto, Joy non capì, ma continuò a seguire Kate dandole la mano. La sua espressione alla vista di quella casa fu molto simile a quella di sua madre, perplessa e sospettosa.

- Perché siamo qui? - Chiese ai due. Kate approfittò della situazione per provare i divani, fece sedere Joy e si mise al suo fianco, mentre Castle si accomodò su una delle poltrone, rimanendo in silenzio, sarebbe intervenuto solo se ci fosse stato qualche problema.

- Questa è casa nostra. Nostra intendo mia e tua. - Le disse Kate e Joy sembrò continuare a non capire. - Quando starai meglio, se vorrai, potrai venire a vivere qui, con me.

- Con te? Insieme io e te? - Chiese ancora Joy.

- Sì, se lo vuoi. C’è una stanza che sarà la tua, spero che sia abbastanza bella e grande, potremmo farla come vuoi tu. Abbiamo ancora tempo… - la rassicurò Kate senza metterle fretta. Joy si voltò a guardare Rick, interrogandolo con il suo sguardo così espressivo, la cosa che più di tutte ricordava sua madre.

- Vedi Joy, io credo che se tu vuoi, quando starai bene, vivere con tua madre sarebbe la cosa migliore per te.

- Non mi vuoi più nemmeno tu? - Gli chiese triste.

- Ehy no! JJ, no! Quella sarà sempre la tua casa e quella rimarrà sempre camera tua.

- Joy, nessuno ti vuole mandare via o portare via. - Intervenne Kate - Se tu vuoi rimanere con Rick non… non c’è problema. Io sono qui, possiamo vederci quando vuoi, puoi venirmi a trovare quando vuoi. Questa è solo… una possibilità… se tu vuoi, altrimenti non fa nulla.

- Esatto, è proprio così. Puoi decidere tu dove voler stare, siamo tutti qui, per te. Faremo quello che tu preferisci, però io so che quando la mamma non c’è ti manca. - Le disse Rick sorridendo.

- Però anche tu mi manchi quando non ci sei! - Ammise lei.

- Già, ma vedi, abbiamo scelto questa casa proprio perché siamo vicini. Quando la mamma è a lavoro tu puoi stare da me, così stiamo insieme e poi la sera puoi stare con la mamma, che ne pensi?

- E non possiamo più stare tutti insieme? - Chiese ancora. Rick e Kate si guardarono imbarazzati.

- Se Castle ci ospita a cena qualche volta, potremmo farlo. Oppure prendiamo delle pizze e invitiamo tutti qui. - La accarezzò sua madre cercando di tranquillizzarla.

- Quando dovremmo venire qui? - Si informò.

- Ancora c’è tempo. Tu devi stare bene e poi dobbiamo ancora sistemare tante cose e scegliere la tua camera.

- Non avrei mai pensato si scegliere tutte queste camere! - Sospirò Joy tra il serio ed il divertito, facendo ridere sia Beckett che Castle.

- Joy, voglio dirti una cosa. - La bambina si voltò verso Rick che era diventato molto serio. - Io ti avevo detto che volevo che tu facessi parte della mia famiglia e non ho cambiato idea. Sono solo cambiate le cose. Però per me tu sei parte della mia famiglia e non solo per me, anche Alexis e Martha la pensano così, e questo non cambierà solo perché dormirai in un’altra casa con la tua mamma.

- È stato Rick a prendere questa casa per noi, Joy - Le disse Kate sorprendendo Castle - Sapeva che ne stavo cercando una più grande, perché la mia è troppo piccola per noi due e lui ha trovato questa e l’ha scelta proprio perché così può starti vicino e tu puoi andare da lui quando vuoi, devi solo prendere l’ascensore. Oppure se preferisci stare con lui è lo stesso per vedere me. Questo… Lo abbiamo fatto per te, per cercare di renderti tutto più facile possibile, perché sia io che Rick, vogliamo solo il tuo bene. Io magari ancora sbaglio spesso e non sono così brava, ma ti prometto che farò di tutto per migliorare.

- Vai bene anche così mamma! - Le disse Joy abbracciandola.

- Grazie Joy, è il complimento più bello che ho mai ricevuto!

Il giorno successivo Jim riuscì finalmente ad andare al loft di Castle. Avevano appuntamento per pranzo, ma Kate gli chiese di venire un po’ prima perché avrebbero dovuto parlare di una cosa, così era lì, davanti la porta a sistemarsi per l’ultima volta come se dovesse andare ad un appuntamento importante con una donna ed in un certo senso era così, anche se la donna aveva poco più di dieci anni.

Rick aprì la porta e lo salutò con una vigorosa stretta di mano. Lo fece accomodare nel suo studio dove anche Kate lo aspettava ed il loro abbraccio fu discreto e caloroso allo stesso tempo, ma loro non avevano bisogno di tanti gesti o tante parole, si capivano con pochi cenni. Castle ritornò dalla cucina con tre bicchieri di soda, aveva lasciato il tempo a padre e figlia di salutarsi come meglio credevano, non conosceva ancora le loro abitudini, ma quell’uomo un po’ timido nonostante il suo lavoro, gli aveva fatto molta tenerezza. Forse si lasciava condizionare da quello che sapeva, ma gli parve di leggere negli occhi di Jim una profonda sofferenza mista a senso di colpa, non una cosa passeggera, ma quei sentimenti così radicati da diventare parte integrante dell’essere stesso.

- Signor Beckett, ho insistito io con Kate perché venisse oggi e per parlarle. So che lei non è l’avvocato di sua figlia, ma è come se lo fosse. Mi dispiace per tutto quello che è accaduto in questi mesi ed ora io e Kate abbiamo raggiunto un accordo e glielo volevamo comunicare, così con i suoi soci potrà agire di conseguenza. Io chiamerò il mio avvocato lunedì spiegandogli la situazione.

- Non credevo di trovarmi in mezzo a questioni di lavoro, Katie. - Disse Jim che si sentiva fuori luogo e non preparato a quella situazione.

- No, papà, si tratta di Joy… - Lo fermò Kate, conoscendolo.

- Signor Beckett, io ho deciso di rinunciare alla custodia di Joy. Credo che sia giusto che lei stia con sua madre e questa lotta tra di noi non ha senso. Sono sicuro che io e Kate sapremo trovare un accordo.

- Signor Castle, se vuole bene a Joy, non lo faccia. - Le parole di Jim presero di sorpresa entrambi.

- Papà, ma cosa dici? - Esclamò Kate esterrefatta

- Signor Castle, lei considera Kate la madre di Joy adesso, ma la legge no. Non funziona così. Non è lei che rinuncia alla custodia e sceglie a chi darla. Se lo farà, Joy tornerà in istituto. Katie dovrà fare richiesta di affidamento, ma non è detto che le verrà concessa e se sì quando. Potrebbero passare mesi o più, potrebbero scegliere di affidarla ad altri. Non ci avevate pensato a questo, vero? - Disse Jim con tono meno severo guardando i due che scossero la testa sospirando. No, non ci avevano pensato.

- Io non dovrei dirlo, però… Lei Signor Castle ha buona possibilità di ottenere l’adozione definitiva di Joy e quello a cui Katie può più ragionevolmente aspirare è che le vengano riconosciuti i suoi diritti di madre, anche visto l’attuale rapporto ottimo tra lei e la bambina ed anche tra di voi. Ma se volete il bene della bambina, non rinunci all’adozione, perché poi non sappiamo in quale buco nero potremmo sprofondare e quale sarà la soluzione.

I tre rimasero in silenzio. Kate guardò più volte verso Rick e suo padre cercando un appiglio. Ci aveva creduto, ci aveva sperato, aveva veramente pensato che poteva esserci una sua vita con Joy, che avrebbe potuto dimostrare agli altri e a se stessa che sarebbe stata una buona madre in tutto e per tutto, che avrebbe vissuto con lei e con lei costruito quella famiglia che le mancava tanto. La vedeva già stare bene, correre per il corridoio di quella casa che avrebbe risistemato un po’ a suo gusto e lei dietro a sgridarla per dirle di fare piano e di raccogliere le cose lasciate in giro, forse Joy era troppo perfetta per farlo o forse poi si sarebbe lasciata andare. La immaginava mentre la aiutava a preparare la cena, sperando fosse più che mangiabile o mentre d’inverno quando era freddo si andava a rifugiare nel suo letto e si lasciava abbracciare e coccolare. Erano stati bei sogni per il tempo che erano durati, la realtà era che sarebbe stata lei ad intrufolarsi ancora nel suo letto, a elemosinare qualche ora di tempo a sua figlia, ospite di Castle… Già, Castle… lui aveva anche comprato una casa per farle stare vicine… Se lei ci rimetteva di più sul piano emotivo, lui sicuramente su quello materiale. Eppure sembrava sereno ed aveva quel suo sorriso così… non sapeva come spiegarlo, di quelli che li guardi e pensi, andrà tutto bene.

- Credo che qui ci sia qualcuno che vuole conoscere una persona… - Martha era scesa con Joy vicino, decisamente timida, più del solito quando c’era qualche estraneo.

Jim si voltò e per la prima volta vide dal vivo quella bambina. Gli sembrò di fare un tuffo nel passato di vent’anni, rivedeva Kate alla stessa età, lo stesso sguardo, la stessa espressione indagatrice.

- Ciao Joy. - Le disse Jim

- Ciao… tu sei il papà della mamma? - Al sentir chiamare sua figlia “mamma”, Jim ebbe un moto di commozione, poi vide la bambina andare verso Kate che la prese in braccio sicura e Joy si sedette sulle gambe di sua madre e da lì osservava l’uomo. Jim si piegò a prendere una busta dalla quale tirò fuori un peluche e lo diede a sua nipote.

- Tieni, questo è per te. - Joy prese l’elefantino e lo osservò attentamente mentre Kate guardava lei e suo padre. - Io non sono bravo con i regali e non so cosa piace alle bambine della tua età. Questo era di Katie… era… della tua mamma a lei piaceva e tutti mi dicono che sei uguale a lei, ho pensato piacesse anche a te.

Joy guardò Kate che le fece cenno di sì con la testa.

- Grazie, è molto bello. Come si chiama mamma? - Chiese Joy

- Si chiama Hathi, come l’elefante del “Libro della Giungla”, lo hai mai visto il cartone animato? - Chiese Kate a sua figlia che fece cenno di no con la testa. - Allora recupereremo presto!

- Mamma ma ti piacevano gli elefanti già da quando eri piccola? - Le domandò ancora Joy.

- Sì… e piacevano anche alla sua mamma. È stata lei a regalarglielo. - Intervenne Jim che notò in quel momento quando sua nipote si voltò che indossava la collana con la farfalla che Johanna aveva regalato a Kate che vide la commozione sul volto di suo padre.

- Joy, perché non vieni con me ora? Andiamo a controllare che tutto sia pronto per pranzo? - Rick si era alzato ed era andato verso Joy che lo scese dalle gambe di Kate ed andò con lui, lasciando padre e figlia soli.

- È uguale a te Katie. È proprio come eri tu. - Disse Jim a sua figlia.

- Già… mi somiglia abbastanza… - ammise lei imbarazzata rigirandosi tra le mani l’elefantino.

- Non ero pronto a sentirti chiamare mamma, lo sai? È stato molto emozionante.

- Per me lo è ancora ogni volta, anche se ci sono giorni che mi chiama in continuazione, ma… ancora non mi sono abituata…. Papà, pensi veramente quello che hai detto prima, sull’affidamento di Joy? - Chiese preoccupata.

- Sì. Stando così le cose, se tutto dovesse andare per il meglio per te, avresti l’affidamento di tua figlia, in caso contrario rimarrebbe a Castle che potrebbe adottarla. Se i vostri rapporti ora sono buoni come mi hai detto e come mi sembra, è la cosa migliore per tua figlia, in ogni caso può stare con persone che la amano, in una casa che conosce e poi voi potrete sempre accordarvi o intraprendere in seguito un riconoscimento.

- Io non la voglio perdere papà. È diventata troppo importante per me.

- Tu ti fidi di Castle? - Le chiese l’uomo ancora titubante davanti alle sue preoccupazioni.

- Sì, papà, ora sì, senza dubbio. - Rispose sicura.

- Allora non la perderai Katie. Questo non succederà.

Durante il pranzo ed il pomeriggio la tensione di Joy si era sciolta, aprendosi a Jim, curiosa, in fondo, di conoscere persone nuove che fanno parte di quella che è la sua famiglia. Sorprese tutti quando seduta vicino al nonno con il suo elefantino “nuovo” gli fece una domanda alla quale sembrava aver pensato molto.

- Come era la mamma da piccola? - Jim guardò Kate che sorridendo imbarazzata gli fece cenno che poteva raccontare tutto quello che voleva liberamente, così l’uomo passò gran parte del tempo a rispondere alle domande di Joy che voleva conoscere di più Kate ed aveva trovato in lui il miglior testimone possibile.

Man mano che Joy era sempre più a suo agio, Kate di contro diventava più nervosa.

- Certo che tua figlia ha la stessa capacità tua di mettere sotto torchio le persone eh? Guarda tuo padre, lo sta facendo parlare da più di un’ora! - Le disse sorridendo Castle quando si erano allontanati per prendere qualcosa da bere.

- Già, solo che io di solito non trovo molte persone così collaborative. - Sorrise anche lei, ma Rick riconobbe subito quel sorriso tirato che con la sua fronte corrugata, volevano dire solo che non era tranquilla.

- Cosa c’è Beckett? Sei in imbarazzo per quello che tuo padre ci sta rivelando di te? - Sapeva che non era quello, ma provava a distendere un po’ il clima.

- No è che… ripensavo a quello che ha detto mio padre… non basta che Joy mi chiami mamma per essere sua madre, io per lei non sono nessuno… mi sono solo illusa.

- Ehy, non è così. - Rick le prese i bicchieri dalle mani e li appoggiò sul mobile della cucina. - Quello che prova Joy per te è la cosa più importante, il resto sono questioni burocratiche che in qualche modo si sistemeranno. Ma… Lei è tua figlia e tu sei sua madre.

- Lo pensavi anche tu però che io non era niente per lei e non lo sarei mai stata. - Disse amaramente.

- Sì, e mi dispiace, ma pensavo che questo lo avessimo superato.

- Sì, Castle è solo che… Ho paura… Se tutto dovesse cambiare? Se noi dovessimo cambiare, ancora…

- Kate, ti prego, fidati di me. Io… non ti voglio allontanare da Joy. Io… se solo sapessi cosa vorrei veramente Kate… - Disse con un filo di voce, accorgendosi che sua madre e sua figlia li stavano guardando.

- Lascia stare Rick… lasciamo stare… - Riprese i bicchieri e andò verso suo padre, dando a lui e a Joy del succo di frutta.

- Hai pensato a quando vorresti trasferirti? - Le chiese Rick la sera subito dopo che Joy era andata a dormire.

- Io… non lo so… non ci ho pensato, in realtà… Con tutto quello che ha detto mio padre, pensi veramente che valga la pena? Ci hai pensato Castle?

- Che tu stia il più possibile vicino a Joy? Certo che vale la pena, in ogni caso.

- Io dico per la casa, potresti affittarla, sarebbe più conveniente per te che farci stare me e…

- Non ho bisogno dei soldi di una casa in affitto, fortunatamente. Smetti di preoccuparti di queste stupide questioni economiche Beckett! Io non l’ho mai fatto.

- Per questo sei come un ragazzino di nove anni totalmente irresponsabile! - Sorrise lei.

- Già, forse sì. Però… Vorrei veramente che ti fidassi della mia parola, Kate. E poi hai sentito tuo padre, ci sono buone possibilità che il tribunale riconosca il tuo ruolo.

- Possibilità, non buone possibilità. Devi sempre ingigantire tutto tu?

- Sono ottimista, che ci posso fare… Io sono ancora aggrappato al tuo “adesso” di quella mattina… Io ci credo che sia solo un “adesso” da far passare Kate. Io… aspetto.

- Non farti condizionare la vita da me, Castle… io non so… non so quando finirà questo “adesso”.

- Non è una scelta, Kate. È una cosa impossibile da decidere e non posso fare a meno che sia così.

Beckett lo guardò senza dire altro, sapeva che non avrebbe potuto dire niente per fargli cambiare idea o per fargli capire che non doveva comportarsi così. Non riuscì a salutarlo prima di andarsene, come sempre, perché ogni saluto era un piccolo addio, un dramma interiore, uno strappo che si consumava ogni volta che avrebbe voluto rimanere con lui e invece sapeva che non poteva.

Quella sera sola a casa si ritrovò a fare un bilancio degli ultimi dieci anni, di come la sua vita fosse cambiata, di come si fosse messa tanto in gioco sotto certi aspetti e di come, invece, altri li avesse sotterrati. Quel 9 gennaio era stato uno strappo, una linea di demarcazione che aveva contraddistinto la sua vita. Niente sarebbe stato più come prima di quel giorno: sua madre era morta e con lei era morta una parte di se stessa, quella che credeva nei sogni e di avere tutte le possibilità. Si sentì come un uccello a cui avevano spezzato le ali in volo e poi si era riadattato a vivere camminando e stava bene se non pensava mai che prima poteva volare. Aveva cambiato suo padre che si era perso con facilità e ritrovato con fatica ma ancora adesso portava i segni di quel periodo con i sensi di colpa, le insicurezze e la vergogna che riaffiorava a memoria di quello che era accaduto alla quale ora si aggiungeva anche il sentirsi responsabile per quella scelta di Kate che anche per colpa sua si era ritrovata sola al mondo a dover decidere qualcosa di così importante e più grande di lei. Se ne era accorta, quando la guardava, con quello sguardo che le chiedeva sempre scusa, aveva colto la sua emozione nel vederla con sua figlia, a sentirla chiamare mamma, lei che per lui era sempre la sua bambina, la sua Katie.

Lo strappo nel cuore di Kate divenne uno squarcio poi, poco più di sei mesi dopo, quel 22 giugno quando la sua bambina era nata e da quel momento non era più sua e per due mesi si era torturata l’anima e ci aveva ripensato, ma poi aveva lasciato tutto in mano al destino che aveva deciso per lei. Si era imposta di non pensarci più, di andare avanti e fare finta di niente, di vivere quel dolore in maniera silenziosa, come se non fosse presente, quel peso sul cuore a cui non voleva più dare un nome o un volto o un perché. C’era, faceva male e ci si abituava alla sua presenza, tanto da non chiedersi più perché e come era senza. Aveva accumulato strati e strati di dolore, sofferenza e lacrime al suo interno senza mai mostrarle fuori, per questo alcuni pensavano che fosse fredda e dura, salvo poi riconoscere la sua empatia e compassione con i parenti delle vittime, che di scontrava con quell’immagine di sé così diversa che dava al mondo. Imperscrutabile, impenetrabile. Il ritorno di Joy aveva sconvolto tutto, la sua vita, ma anche le sue emozioni, le sembrò che il suo cuore fosse tornato a battere, liberato da dieci anni di oppressione che gli aveva imposto con l’idea che se non si fosse più coinvolta fino in fondo in nessuna storia, relazione o qualsiasi cosa che avesse un’implicazione emotiva non avrebbe più sofferto, non avrebbe sofferto ancora. Le era bastata l’esperienza con Sorenson, gli aveva voluto dare una possibilità, ma si rendeva conto adesso come in realtà non gli avesse mai aperto del tutto se stessa ed ora non poteva nemmeno più biasimarlo per la sua scelta, la sua carriera, al cospetto di una donna che forse non lo aveva mai amato, almeno non come ora aveva capito si potesse amare. Aveva lasciato entrare Castle dentro di lei, scavare tra le macerie del suo dolore e prenderne il posto, insieme a Joy. Lui le era stato vicino per mesi, così vicino che non si era quasi accorta che c’era, che non fosse quello che lei volesse che fosse, e lo allontanava solo per la paura che si rivelasse tale, volendosi convincere che non era lui, che non poteva essere lui, perché non aveva niente di quello che cercava, semplicemente perché lui aveva tutto quello che non doveva cercare più e non voleva accorgersene, Questo voleva dire smettere di far finta di non aver bisogno di nulla e di nessuno, darsi una possibilità, liberare il cuore dalla gabbia in cui lo aveva costretto, perché così faceva meno male, pensava, ed invece la stava soffocando, allo stesso modo in cui lei aveva soffocato quella che molti credevano la sua migliore qualità, l’istinto, quell’istinto che l’aveva portata a fidarsi di lui al punto di raccontargli la sua storia e forse da quel momento aveva smesso di essere un estraneo, però poi aveva imposto al suo istinto di non farsi più vedere né sentire, perché aveva paura di quello che poteva dirle, di quello che non voleva sentirsi dire. Poi quando aveva parlato aveva urlato e quelle urla erano diventate quella verità di cui aveva ancora paura, quel sentimento a cui aveva faticato a dare il giusto nome e che ora gridava, continuamente gridava e lei non poteva non sentirlo e farsi consumare, perché no, non era il momento giusto, non poteva, non potevano, anche se faceva male.

Quando sua figlia le aveva detto di smettere di pensare al passato, ma che potevano ricominciare da lì, aveva capito che non doveva colmare quel vuoto riempiendolo di dolore e sensi di colpa, ma imparare a vivere modellandosi intorno, perché non si sarebbe mai chiuso, ma doveva solo fare in modo che facesse meno male, doveva concentrarsi sulle cose belle che poteva avere da quel momento in poi nella sua vita, da Joy. E Rick, perché quel pensiero sfuggiva sempre e non poteva fare a e meno di pensare che anche lui era una cosa bella, solo che non la poteva volere.

Ci aveva creduto che tutto potesse andare bene, si era illusa, facendosi trasportare da Castle e dalla sua leggerezza, dal suo ottimismo, dal suo modo di risolvere tutto con la semplicità di un bambino e non aveva riflettuto, non aveva considerato la realtà ed ora faceva più male. Come avrebbe detto a Joy che in realtà quello che le aveva detto poco prima non sarebbe stato possibile? Perché doveva sempre tradire le sue aspettative, non mantenere le promesse? Avrebbe mai avuto credibilità agli occhi di sua figlia se continuava così? Come poteva fidarsi di lei? Sarebbe mai riuscita ad essere almeno in parte quella madre che avrebbe voluto essere? Le sembrava di sbagliare sempre tutto. Sempre e comunque e più non voleva illuderla e prenderla in giro più le sembrava di farlo ed avrebbe tanto voluto sua madre lì vicino, parlare con lei, chiederle aiuto, un consiglio, avere la sua forza di essere madre che l’avevano sempre sostenuta. Sarebbe mai stata quello per Joy, un punto di riferimento da cercare quando aveva bisogno come lei ancora faceva con Johanna? Si sentì persa perché l’unica risposta che le veniva in mente era no, non lo sarebbe mai stata, perché lei non era forte come sua madre, anzi davanti a sua figlia si sentiva piccola, indifesa e inadeguata e le sembrava che tutte le forze dell’universo si concentrassero solo per sottolineare con eventi più o meno voluti la sua incapacità di essere quello che voleva, una buona madre, anzi anche solo una madre, per il momento.

Quando si era svegliata la mattina successiva a quella sera fatta di troppe considerazioni e pensieri negativi, Kate aveva deciso che era giunto il momento di dare una svolta a tutto, muoversi d’istinto fare qualcosa che rompesse il suo stallo. Quello che sarebbe stato poi, lo avrebbe affrontato dopo.

Prese un paio di borse e le riempì con dei vestiti ed effetti personali vari, trovò una scatola piuttosto grande, di quell’inutile e costoso robot da cucina che sua zia aveva voluto regalarle per forza qualche anno prima e che era ancora perfettamente imballato. La svuotò lasciando il contenuto in un angolo del soggiorno e ci mise dentro alla rinfusa dei libri, alcuni oggetti che erano molto importanti per lei, vecchie foto in cornici di vario stile, quei cuscini ricordo dei suoi viaggi in Europa a Londra e Parigi molti anni prima.

Aveva riempito tutto tanto velocemente e istintivamente che quando ebbe finito non ricordava più quello che aveva messo all’inizio, ma non le importava, anzi doveva essere proprio così. Portò tutto in macchina, fortunatamente parcheggiata non troppo distante, facendo un paio di viaggi avanti e indietro e alla fine staccò anche uno dei suoi quadri preferiti, molto colorato dalle forme astratte che pensò avrebbe vivacizzato un po' quell’appartamento bello ma troppo poi “vivo” per i suoi gusti.

Arrivò sotto il palazzo di Castle, che ora era anche il suo e si accostò con la macchina vicino all’entrata. Mentre stava prendendo le prime cose le si avvicinò il portiere dello

stabile.

- Detective Beckett, il signor Castle mi ha detto che si trasferisce nell’appartamento che era di Peter Schulman. Queste sono le chiavi del garage, se mi aspetta giù le faccio vedere quale è il suo posto.

L’uomo, un simpatico e gentile signore sulla mezza età, di nome Charles, sparì dentro il portone e lei si rimise in auto facendo il giro del palazzo per entrare in garage. Lo vide sbracciarsi indicandole quale era il posto a lei riservato: guardandosi introno vide come la sua auto di servizio, la vecchia Ford che Castle trovava così scomoda, sfigurava in mezzo a quelle auto super lussuose. Notò anche la Ferrari rossa fiammante di Castle, vicino alla sua Mercedes. Ogni tanto si dimenticava quanto quello scrittore fosse ricco ma come a parte alcuni eccessi, tipo proprio quella casa, non facesse mai pesare la cosa a nessuno, anche se lei non avrebbe guadagnato in una vita di lavoro quello che lui prendeva con un solo libro.

Charles l’aiutò a scaricare tutto e a mettere valige, scatoloni e quadro nell’ascensore, poi l’accompagnò direttamente davanti alla porta del suo appartamento. Lo ringraziò di cuore e lui ricambiò con un sorriso, ricordandole che per qualsiasi cosa avesse bisogno sapeva dove trovarlo.

Kate portò dentro le sue cose e si richiuse alle spalle la porta della sua nuova casa. Appoggiò il quadro ad una parete vuota in soggiorno, pensando che lì sarebbe stato benissimo, buttò sul divano i cuscini colorati e mise i libri del ripiano di una libreria accorgendosi che istintivamente aveva preso quasi tutti quelli di Castle e pochi altri: se li avesse visti sarebbe stata la sua fine, non le avrebbe più dato tregua.

L’armadio in camera da letto era molto spazioso, molto più del suo. Ripose i vestiti alle stampelle e altre cose nei cassetti. Andò in bagno lasciando sul mobile vicino al lavandino i suoi effetti personali, mise lo spazzolino nel vasetto sul mobile e ne aggiunse uno nuovo, per Joy. Le faceva strano vederne due, lei abituata da anni a stare da sola, ma soprattutto era strano vederne uno da bambini: lo aveva scelto con cura, uno con i disegni della Sirenetta che le piaceva tanto e le aveva preso anche un dentifricio per bambini, gusto fragola. Si chiese se forse non aveva esagerato, se erano cose troppo da piccoli, ma non riusciva proprio a regolarsi ancora e anche comprare cose così stupide la mandava in crisi se si fermava a pensarci, sempre preoccupata di fare qualcosa di sbagliato.

Aveva messo nel mobile basso sotto la tv alcuni soprammobili e nelle foto, dei suoi genitori, di lei con sua madre ed una della festa di compleanno di lei e Joy insieme, e si era concessa di sdraiarsi qualche minuto sul divano: comodo era decisamente molto comodo, pensò che avrebbe anche potuto dormire sempre lì ed evitare il letto, adorava addormentarsi sul divano, ma anche mangiare sul divano davanti alla tv e tante altre cose da fare sul divano pensò mordendosi il labbro. Proprio in quel momento suonarono al campanello e lei si ridestò dai suoi pensieri piccanti e si sentì frastornata non essendo ancora abituata ad essere lì e a sentire quel suono ancora non familiare. Aprì senza controllare chi fosse e sobbalzò vedendo Castle davanti a lei, come fosse uscito dai suoi pensieri. Si diede un pugno immaginario, non doveva pensare di lui in quei termini.

- Ciao! Charles mi ha detto che eri venuta con un po' di valige. Non pensavo volessi trasferirti così presto.

- Qualche problema Castle? - chiese preoccupata.

- Oh no, sono solo sorpreso e… felice. Tieni questi sono per te e per la nuova casa. - Le diede un mazzo di colorati fiori composti in un bouquet raffinato e spensierato allo stesso tempo.

- Grazie ma non dovevi disturbarti… comunque sono bellissimi! - disse inspirando il loro profumo. - Solo che non ho un vaso dove metterli.

- Lo prendiamo dopo da me, che ne dici?

Kate annuì grata mentre ancora aveva il viso immerso tra i fiori, una visione per Castle che la guardava imbambolato.

- Joy? - Chiese Kate appoggiando con cura i fiori sul bancone della cucina e rientrando nei suoi panni.

- L’ho lasciata con Alexis a guardare la tv, poi mi hanno detto che avrebbero fatto un po' di compiti insieme, cioè Alexis avrebbe aiutato Joy con le sue prime lezioni.

- Tua figlia è una angelo, Castle. - disse Kate riconoscente.

- Lo so. Anche la tua, Beckett.

- Già, sicuramente non per merito mio… - Sospirò

- Io non direi. C’è molto più di te in lei di quanto tu riesci a vedere.

Vi fu un momento di silenzio imbarazzato dei due.

- Allora che te ne pare di questa nuova casa? Vedo che hai già portato un po' delle cose importanti! - disse guardando le foto e poi con un sorriso beffardo guardando i suoi libri.

- Sì, le cose importanti… - Ripetè lei senza pensare.

- I miei libri sono importanti? - Chiese curioso e preso in contropiede visto che si aspettava una risposta che lo avrebbe denigrato.

- Sì, lo sono stati molto. Li ho letti… tutti… mi hanno aiutato. Strano no?

- Sì, strano… Non pensavo che mi dicessi queste cose. Sì insomma… Non ti preoccupi del mio ego immenso e delle conseguenze di quello che hai appena detto? - Provò ad alleggerire ma senza troppi risultati.

- Sì, certo. E so che ora userai questa cosa contro di me per il reato dei miei giorni. Però… forse mi pentirò di avertelo detto ma… volevo farlo. - Ammise imbarazzata.

- Grazie Kate.

- Di cosa? Di quello che hai detto. È molto importante per me e non come scrittore.

- Grazie a te, scrittore. - Sorrise lei prendendolo in giro.

Lo guardò sorriderle accondiscendente alla sua battuta, gli fece una carezza e lui le bloccò la mano sul volto. Baciarla poi fu un attimo, e un altro attimo ancora stringerla a se passando le mani vogliosamente sulla schiena di lei.

Non c’era un limite, era quello il loro problema. Non riuscivano a darselo, se non con grande, estrema forza di volontà che in quel momento non avevano. Si baciarono ancora, senza fretta, con dolcezza, accarezzandosi con le lingue che giocavano morbidamente tra loro.

Poi per Kate fu come un déjà vu dei suoi pensieri perché era veramente finita di nuovo sul divano e non era sola ed era esattamente come voleva essere, con le mani di Castle che frugavano ovunque sotto la sua felpa ampia e comoda, non certamente la cosa più sexy che avesse nel suo guardaroba, ma doveva solo fare un trasloco si era detta. Invece era lì tra le braccia di Castle che eliminava tutto il superfluo dai loro corpi muovendosi con mani esperte fino a quando non furono solo pelle su pelle. E la baciò ancora mentre diventavano una cosa sola e poi la sentì tremare quando si avvicinò al suo orecchio e le disse che l’amava ripetendolo una, due, tre infinite volte mentre lei era troppo presa da lui per fuggire da quella dichiarazione, ma cercava le sue labbra per intrappolarle in altri baci per farlo tacere e per farlo parlare con un altro linguaggio. Ma lui non si dava per vinto e glielo disse ancora, baciandola ripetutamente tra un “ti amo” e l’altro e alla fine se lo fece scappare anche lei tenendolo stretto a se, aggrappandosi alle sue spalle, stringendolo con le gambe sui fianchi per non farlo allontanare. E Castle non seppe se era lei che lo teneva così o le sue parole, ma fu raggiunto dal piacere subito dopo di lei e si abbandonò sul suo corpo ansimando. Kate gli accarezzava i capelli mentre lui con gli occhi chiusi si beava della sua calda presenza.

- Ti faccio male? - mormorò lui prendendo coscienza della differenza dei loro corpi intrecciati in uno spazio così piccolo, tra braccioli e schienale.

- No… - rispose lei languidamente.

- Lo hai detto veramente? - le chiese ancora volendo accertarsi che non fosse solo una sua proiezione mentale.

- Che ti amo? Sì, direi di sì…

- Bene… ti amo anche io. - disse ripetendo l’ovvio, ma era a corto di parole, sensate, almeno.

Le baciava la spalla e poi il petto, ovunque arrivassero le labbra poggiate su di lei. Era un bisogno incontrollabile, lambire tutta la sua pelle, ricoprirla di attenzioni.

- Cosa accadrà ora? Mi dirai ancora che è impossibile? Io… non so quanto resisterò con te… sei… - Non completò la frase, baciandola ancora.

- Lo sai Rick, è complicato adesso… Joy e tutto il resto…

- Ti amo Kate. - le disse guardandola negli occhi e scavando un solco dritto fino al suo cuore. - questo è semplice.

- Ne sei sicuro Castle?

- Certo, sono sicuro che ti amo.

- No che sia semplice. Come fai a dire che è semplice nella nostra situazione?

- Perché tutto il resto sono problemi che ci vogliamo creare. Guardami negli occhi, Kate. Dimmi cosa provi. - Era una sfida e lei sapeva che l’avrebbe persa.

- Ti amo Rick… ma… è troppo adesso tutto insieme. Io non so come gestire anche questo.

- Mi basta questo, adesso, Kate. - Sollevò sedendosi in fondo al divano. Kate lo raggiunse mettendosi in braccio a lui, in una posizione che poteva essere così provocante che lo avrebbe fatto andare fuori di testa nel giro di pochi secondi. Ma l’atteggiamento di lei voleva dire tutt’altro. Lo abbracciò stringendogli le spalle e poi si appoggiò con il viso nell’incavo del suo collo.

- Stringimi - Gli disse e non se lo fece ripetere due volte. Aveva bisogno di lui ma non era ancora in grado di chiederglielo come avrebbe dovuto fare. Auspicò che lui fosse in grado di leggere tra i suoi silenzi e le sue frasi a metà, che la capisse nonostante non gli dicesse nulla.

- Ti prometto che andrà tutto bene. - Le sussurrò per rincuorarla. Non sapeva cosa sarebbe andato bene, né come. Però avrebbero trovato il modo per uscire da quella situazione e farlo insieme, perché Castle ormai aveva solo quello come obiettivo, non poteva vedersi in nessun altro modo che con lei.

- Dovremmo andare dalle nostre figlie… -  gli disse Kate non dando peso all’importanza di quel plurale che nella mente di Castle assunse tutt’altro valore.

- Penso che ancora per un po' se la caveranno da sole. Forse noi avremmo bisogno di una rinfrescata e rimetterci un po' in sesto… potremmo provare la vasca o la doccia…

- Io vado a farmi una doccia! Tu aspettami qui! - gli intimò mentre sinuosa camminava verso la sua nuova camera. Ma Castle non faceva mai quello che gli veniva detto e dopo pochi minuti la raggiunse tra i vapori del bagno. E la doccia diventò ancora più bollente e decisamente più lunga mentre sui vetri del box le impronte delle loro mani e dei loro corpi si mescolavano alle gocce d’acqua che ricadevano veloci mentre loro perdevano il senso del tempo e dello spazio risucchiati nella loro personale bolla.

Erano usciti a fatica dalla doccia e solo perché si erano improvvisamente accorti che il tempo era passato, inesorabilmente, troppo velocemente. Ed il sospiro di Kate nel lasciarlo era stato più che indicativo di come erano andate le cose.

L’aveva baciata ancora, sulla porta del bagno, togliendole con due dita quelle due gocce d’acqua che le rigavano il volto scendendo dai capelli bagnati. “Potrebbe essere sempre così” le aveva detto Castle mentre con i suoi vestiti in mano ed un asciugamano recuperato da una borsa usciva dalla sua stanza, per rivestirsi di là su quel divano che li aveva già visti amanti e Kate provò ad allungare un braccio per fermarlo ma non ci riuscì, e lo vide uscire accostandole la porta di camera, regalandole la sua privacy in un gioco che sembrava assurdo per quello che avevano appena condiviso. Sapeva però perché lo faceva, per lo stesso motivo per il quale lei non lo aveva fermato, perché era più facile illudersi che fosse solo sesso e non quell’amore già più volte dichiarato. Perché lasciarsi, dopo, faceva più male.

Kate rimase immobile sulla porta del bagno a pensarlo, sentendo il fruscio dell’asciugamano sul suo corpo, immaginando di essere lei ad accarezzarlo e poi ascoltò il rumore dei suoi abiti mentre li indossava, infine i suoi passi e poi la porta che si chiudeva. E quella casa era di nuovo vuota, di nuovo meno sua.

“Potrebbe essere sempre così”

Le risuonava in testa e si scontrava con la sua razionalità. Sempre così cosa? Lasciarsi andare come adolescenti in preda alla passione dimenticandosi che c’era altro al mondo oltre loro due? Eppure se dava ascolto al suo cuore quel “sempre così” la faceva sussultare e fremere e disperare perché non sarebbe potuto essere sempre così.

Si rivestì solo quando fu sola. Prendendo dalla borsa i primi abiti che aveva trovato, jeans e una maglietta nera. Uscì di camera e trovò sul tavolo accuratamente piegato l’asciugamano che Castle aveva usato per asciugarsi, ancora bagnato, lo prese e lo strinse tra le mani e non seppe perché non ebbe il coraggio di buttarlo a lavare con le altre cose, ma lo attaccò in un gancio dietro la porta del bagno.

Si stava solo facendo del male.

Quando suonò alla porta del loft le andò ad aprire direttamente Joy impaziente di vederla. Rick le aveva già detto che stava portando le sue cose nell’appartamento pochi piani sotto e questo per lei voleva solo poter vedere più spesso sua madre.

Nonostante le sue proteste perché non era più così piccola, Kate adorava prenderla in braccio, perché le sembrava di riappropriarsi di qualcosa che non aveva mai avuto, ed anche se non era la stessa cosa, avere tra le braccia la sua bambina la faceva stare bene, era il suo appoggio e la sua protezione quando doveva mettere distanza tra se ed il mondo, dove il mondo aveva un nome preciso, Castle, perché solo Joy le dava quella lucidità per capire cosa doveva fare che era infinitamente più importante di quello che avrebbe voluto fare. Allo stesso tempo era felice di vedere come giorno dopo giorno stava sempre meglio, era più in forze ed energica, segno come dicevano i medici che tutto procedeva per il meglio. Non aveva avuto nessun tipo di complicazione e sia Castle che tutti in famiglia seguivano rigidamente tutte le avvertenze che gli venivano date per non metterla mai in situazioni a rischio.

Kate ascoltò il racconto di Joy su tutto quello che aveva fatto con Alexis e poi fu lei stessa ad aiutarla con alcuni esercizi che voleva fare. Non andarono in camera di Joy ma si misero alla scrivania dello studio di Castle, con Alexis che supervisionava, attenta. Era strano per Kate trovarsi lì, in quella stanza seduta vicino a sua figlia che si era impossessata della poltrona di Rick. Faceva fatica a concentrarsi su di lei e quando Joy rimaneva in silenzio pensierosa per decidere quale fosse la migliore risposta possibile, Kate si guardava intorno cercando di assimilare ogni particolare di Castle: come disponeva i libri, i suoi soprammobili, i premi…  L’occhio le cadde su una bozza del nuovo libro e la tentazione di sfogliarlo fu tanta e forte, ma la voce di Joy che reclamava la sua attenzione la fece desistere.

- Ho visto la bozza del libro… Lo hai finito? - La curiosità di Kate aveva avuto la meglio sul resto, così appena rimasero soli dopo pranzo non poté evitare di chiederglielo.

- Sì, è finito… Uscirà la prossima settimana. - Disse soddisfatto.

- Emozionato? Come ci si sente in questo momento? - Chiese lei.

- Un po’. È una serie nuova e chissà come andrà… anche se… io sono sicuro benissimo perché… beh, perché è su di te.

- Nikki Heat uhm? Il nome non lo hai più cambiato… - Strinse la bocca in una smorfia un po’ contrariata.

- Ehm… no. Mi piace Nikki Heat è adatto al personaggio. - Si giustificò lui.

- Quindi sarebbe adatto a me il nome di una spogliarellista? - Lo stuzzicò.

- Non è il nome di una spogliarellista e poi… l’ho scelto prima di conoscere altri lati di te, ecco… Però…

- Castle, basta, non dire una parola in più che potrebbe comprometterti! - Lo fermò lei sorridendo e lui per una volta rimase zitto sollevato per non aver dovuto evitare di finire la frase.

- Ci sarà una festa per la presentazione del libro e… vorrei che venissi anche tu, cioè lo vuole anche la mia casa editrice, me lo hanno chiesto anche loro, però io lo vorrei in ogni caso…

- Non credo sia una buona idea, Castle. - Provò a stemperare il suo entusiasmo.

- Perché? È una buonissima idea, invece. Sei tu, cioè Nikki Heat è ispirato a te e… Beh, io sono sicuro, sarà un successo. E poi ci sarà tutta la mia famiglia, ci sarà anche Joy, non puoi non esserci tu! - Insistette.

- Proprio per questo non posso esserci Castle. Non posso dire a Joy di far finta che io non sia nessuno e non posso nemmeno…

- Nessuno ti chiederà nulla su Joy. Se c’è una cosa che ho sempre fatto è stato proteggere Alexis da qualsiasi intromissione della stampa, sarà così anche per lei. E poi ci saranno anche gli altri ragazzi del distretto ed il capitano Montgomery, non sarai l’unica poliziotta lì in mezzo. - Provò a farla sorridere.

- Quindi sono l’ultima a saperlo…

- Beh, in un certo senso… volevo trovare il modo di dirtelo, ma alla fine lo hai trovato tu. Non ti vorrei come un’invitata come le altre… Vorrei che venissi con me.

- Verrò, ok. - Gli disse dopo un lungo silenzio in cui aveva capito che in ogni caso non avrebbe potuto fare altrimenti e lo vide illuminarsi in un sorriso grato. - Ma ti avviso Castle, non mi mettere in imbarazzo o ti sparo davanti a tutti! - Lo ammonì cercando di essere il più seria possibile, cosa che in quel momento le veniva difficile, ma lui stette al gioco, ben consapevoli entrambi che non sarebbe mai andata così, perché lui avrebbe sicuramente fatto qualcosa per metterla in imbarazzo e lei non avrebbe potuto sparargli davanti a troppi testimoni.

Aveva passato al loft anche quasi tutta quella giornata e stava lì in ogni suo momento libero, per passare più tempo possibile con Joy ed anche con Castle. Si era data la scusa che doveva parlare con lui di questioni pratiche ed organizzative che riguardavano sua figlia ed in effetti spesso era così, ma la verità era che aveva piacere, un enorme piacere a stare con lui anche se era difficile far finta di nulla ogni volta che l’istinto li portava a sfiorarsi in un modo che non sarebbe dovuto essere. Le sembrava sempre di approfittare troppo della gentilezza e della disponibilità di Castle e della sua famiglia, ma erano quasi sempre loro ad offrirle di rimanere a mangiare insieme, per Joy, certo, ma non solo. Kate aveva colto più di qualche frase di Martha con poco velati doppi sensi e la sensazione che aveva era che in quella famiglia di certo non era il solo Castle che avrebbe voluto qualcosa di più tra loro.

Quella sera fu la prima che dormì nella sua nuova casa, che ancora non sentiva sua. Si ritrovò a fissare a lungo il soffitto pensando a quanto la sua vita era cambiata in breve tempo, pensando a come sarebbe cambiata ancora. Sua figlia dormiva pochi piani sopra di lei in una distanza che adesso le faceva male perché le sembrava immensa ed era una prospettiva che le metteva i brividi, al pensiero che era convinta avrebbe passato il resto della sua vita senza sapere mai nulla di lei, vivendo nella sua illusione che le aveva regalato la vita migliore che potesse avere, felice con la sua nuova famiglia. Pochi piani invece, le facevano già sentire la sua mancanza.

Kate era tornata a casa da poco dopo una giornata al distretto molto impegnativa, era passata al suo vecchio appartamento a prendere ancora delle cose per portarle lì, ogni giorno passava a prendere qualche pezzo per riempire di oggetti familiari la nuova casa. Si stava pian piano abituando, anche se il tempo passato lì era veramente molto poco tra il distretto e Joy, però cominciava ad orientarsi negli spazi, riusciva a prepararsi un caffè senza pensare per qualche secondo dove trovare tutto il necessario e la notte quando si alzava per andare in bagno non sbagliava direzione e riusciva a passare delle ore comodamente sdraiata sul divano a leggere un libro trovando il tutto molto rilassante.

Era salita solo un momento al loft a salutare Joy, aveva aspettato che si addormentasse dopo averle raccontato la sua giornata, una cosa che ormai era diventato quasi un rito tra loro, perché sua figlia voleva sempre sapere tutto di quello che faceva e la faceva sorridere e stringere il cuore allo stesso tempo quando le chiedeva se era stata attenta, perché sapere che Joy si preoccupava per lei era una delle sue conquiste più grandi, il segno di quel legame che stavano consolidando sempre più, giorno dopo giorno. Si stava per rilassare con una tisana da sorseggiare pigramente sul divano quando bussarono alla porta.

Si alzò di scatto, preoccupata che potesse essere Castle per qualcosa che era accaduto a Joy o per altro che non avrebbe avuto la forza di affrontare, invece appena aprì la porta trovò dietro il sorriso ampio e luminoso di Martha, vestita di tutto punto come se dovesse presentarsi ad una qualche soirée in un abito verde smeraldo con i bordi argentati che faceva risultare ancora più scialba la sua felpa grigia decisamente deformata e i pantaloni della tuta che aveva indossato per stare solo più comoda.

- Ciao Katherine, posso entrare?

Beckett si spostò dall’entrata lasciandole il passo, facendo in modo che l’attrice entrasse nel suo appartamento.

- Ho sempre pensato che quel ragazzo avesse buon gusto. È molto carino questo appartamento, anche se troppo sobrio per i miei gusti. - Disse Martha guardandosi intorno.

- È un posto bellissimo, io ancora non so come posso sdebitarmi con Castle per tutto quello che sta facendo per me e per Joy. - Rispose lei a disagio. Non era abituata ad avere persone che si occupassero dei suoi bisogni e soprattutto le sembrava di approfittare fin troppo della generosità di Rick e non voleva che questo causasse problemi alla sua famiglia, che la potessero vedere come un’approfittatrice.

- Io un’idea ce l’avrei, in realtà, mia cara! - Le disse squillante Martha che sembrava non aspettasse altro.

- Certo, Martha, dimmi… io se posso… volentieri… - Disse stupita.

- Oh ma certo che puoi, devi solo volerlo… - Le ammiccò e Kate continuava a non capire, aprì bocca per rispondere, ma non fece in tempo interrotta dall’attrice. - … Katherine, mia cara… Io sono una donna che ha vissuto la sua vita molto intensamente, mi sono bruciata su alte pire della passione che mi hanno consumata più o meno lentamente. Non mi sono mai fatta mancare nulla, per quanto ho potuto, ma non pensare male, oppure pensalo pure, non importa! - Sorrise alleggerendo il discorso con un rapido gesto delle mani, che fece sorridere Kate che nel frattempo l’aveva invitata a sedersi insieme a lei sul divano.

- Richard mi ha detto tutto Katherine.

- Tutto? - Chiese sbalordita sbarrando gli occhi.

- Non tutto quello che pensi tu. Quello lo avevo capito da sola ed ho avuto la conferma dalla tua espressione. Mi riferivo a tutto quello che avevate pensato di fare per Joy e le difficoltà legali che invece ci sono.

- Sì… ci siamo lasciati prendere troppo la mano, non siamo stati realisti. - Ammise.

- O forse lo siete troppo. Sei una buona madre, Katherine. So che ti sembrerà strano sentirtelo dire e mi dirai che non è vero, io sono stata anni a dirmi che non sono mai stata una buona madre per Richard, ma se vedo quello che è diventato forse un po’ lo sono stata.

- Tu hai cresciuto tuo figlio, io no… non puoi paragonarmi a te, Martha. Tu hai avuto il coraggio di fare quello che io non ho fatto.

- O sono solo stata più incosciente e vigliacca per non avergli mai detto quello che lui vuole sapere. Siamo madri, Katherine, non siamo perfette, ma cerchiamo di fare sempre il meglio per i nostri figli, anche quando il mondo non lo capisce. Io so a cosa stai rinunciando per Joy, però non credo che lei sarebbe felice di saperlo. - Le disse poggiando una mano amorevolmente sulla sua.

- Che vuoi dire Martha? - Chiese con un filo di voce.

- Io penso che tua figlia vorrebbe in cuor suo qualcosa che non ha il coraggio di chiedere e che tu hai paura di darle. Ed è la stessa cosa che vorresti tu e che vorrebbe mio figlio. - Le strinse la mano obbligandola ad alzare lo sguardo dal pavimento ai suoi occhi azzurri, più chiari di quelli di Rick ma non meno penetranti ed espressivi.

- È complicato Martha. Io e Castle siamo due…

- Testoni. Siete due testoni, principalmente. - La interruppe facendola sorridere.

- Sì, anche quello, sicuramente… Però non siamo in grado ancora di gestire il nostro rapporto in maniera normale, abbiamo sempre vissuto in questi mesi rapporti al limite in ogni direzione… Se non riuscissimo mai a trovare una stabilità? Ci andrebbe di mezzo solo Joy e io non voglio crearle altri problemi e soprattutto non voglio correre il rischio di perderla ancora, di non poterla vedere…

- Hai paura che Richard possa tenertela lontana? Katherine, ti assicuro, se è questo che ti spaventa, non lo farà, perché sarò io in ogni caso ad impedirglielo. - Provò a rassicurarla.

- Sì… anche quello… - ammise - Io mi fido di lui, so che quando dice che non lo farebbe più per il bene di Joy è serio ma… È qualcosa che non riesco a controllare. Mi manca, anche adesso… Ma so che sto facendo il meglio per lei.

Martha l’ascoltò con un sorriso benevolo, poi prese entrambe le mani tra le sue, accarezzandogliele e dandole il tempo di gestire l’emozione che la stava sopraffacendo.

- Sai cosa mi diceva Richard quando aveva più o meno l’età di Joy? “Mamma io voglio che tu sia felice”. Me lo ripeteva tutte le volte che mi vedeva triste. Ho cercato molte volte di trovare la persona che mi facesse felice, ma non ho mai avuto la fortuna di trovarla. Così Richard crescendo ha smesso di dirmelo, così come ha smesso di chiedermi di suo padre e tante altre cose. I bambini ci capiscono, Katherine, i figli ancora di più. Io sono sicura che Joy viva in questo momento con la tua stessa speranza che magari un giorno…

- Magari un giorno… - Ripeté lei.

- Ho visto Richard come ti guarda, soprattutto come ti guarda quando sei con Joy. Sono sicuro che lui sia il primo a cui dispiace quello che ha fatto e che se potesse tornare indietro non si comporterebbe così da perfetto idiota.

- Lo penso anche io… - Ammise Kate.

- Se sapesse che sono qui a parlar bene di lui a te, mi caccerebbe di casa! - Esclamò Martha - È convinto che sia andata a giocare a poker con delle amiche, che però devo veramente raggiungere tra poco.

L’attrice si alzò e Kate la seguì accompagnandola alla porta.

- Sei sempre la benvenuta qualche piano più su, Katherine, per fermarti tutto il tempo che vuoi.

- Grazie Martha. Grazie di tutto. - Le disse Kate mentre la madre di Castle la stringeva in un sincero ed affettuoso abbraccio.

- Mia madre è stata da te ieri, vero? - Rick aveva insistito per accompagnarla a casa dopo cena, anche se scendere solo quei pochi piani insieme a lui le sembrava una trappola troppo pericolosa. Non avevano preso l’ascensore, avevano scelto le scale, perché così non sarebbero stati costretti insieme in uno spazio troppo piccolo per contenere quello che c’era tra loro e perché così avrebbero avuto più tempo. Più tempo per parlare, per stare insieme, per fingere.

- Te l’ha detto lei? - Scendevano gli scalini vicini parlando sottovoce per evitare il rimbombo delle scale, stando bene attenti a non sfiorarsi. Mai.

- No. Ma da quando mi ha detto che usciva a quando lo ha fatto è passato decisamente molto tempo. Non conosco altre persone dalle quali può essersi fermata dal loft al portone… - Spiegò lui.

- Spii tua madre quando esce? - Chiese sorridendo ma anche un po’ inquietata.

- Immaginavo che prima o poi l’avrebbe fatto. Parlare con te, intendo. Scusala, non riesce a farsi i fatti propri e forse non avrei dovuto dirle nulla… Di natura tende a dare a chiunque i suoi consigli non richiesti… - ammise lui visibilmente dispiaciuto.

- Non è stata inopportuna, anzi… Alcune cose che mi ha detto… ci ho pensato un po’…

- E cosa hai pensato? - Le chiese speranzoso.

- Che forse ha ragione, ma non è facile adesso Castle… Lo sai…

- Sì, lo so… Però non per questo ho cambiato idea.

Arrivarono davanti alla porta di casa di Kate e Rick la guardò armeggiare con la serratura. Lei si sentì impacciata tanto da non riuscire a fare quella banale operazione e si fermò, guardando fisso il legno scuro lavorato dell’entrata.

- Sono sicura che non mi accadrà nulla nell’aprire la porta, anche se non stai lì a guardarmi le spalle, Castle.

- Lo so. Mi piace guardarti le spalle… io sono un po’ il tuo partner, no? Almeno sul lavoro intendo, quando vengo al distretto… Mi assicuro solo che non ti serva un aiuto per aprire, visto che ci stai mettendo molto tempo. Sai, sono piuttosto pratico di queste porte qui…

- Pensi di tornare ancora? - Gli chiese quasi come una speranza.

- Al distretto? Magari quando Joy tornerà a scuola, potrei venire, ogni tanto, se vuoi… Fare qualche altra ricerca…

- Ci sarà tempo prima che Joy potrà tornare a scuola. - Disse lei riuscendo finalmente ad aprire.

- Già, spero che le cose siano cambiate. Almeno qualcuna…

Kate entrò si voltò per chiudere la porta e lo trovò molto più vicino di quanto avesse percepito la presenza, si era sicuramente avvicinato mentre stava entrando.

- Buonanotte Castle.

- Buonanotte Beckett.

Aveva avuto la tentazione di baciarla, una tentazione che era diventata ancora più forte quando aveva visto lo sguardo di lei posarsi sulle sue labbra e la sua mente già pregustava la morbidezza di quelle di Kate, il suo sapore mischiato con quello del vino che avevano bevuto su da lui. Si limitò, invece ad accarezzarle la guancia, rimanendo stupito quando lei chiuse gli occhi a quel contatto, poggiando la propria mano su quella di lui. Lo aveva sperato tanto quanto lo aveva temuto che la baciasse, perché lo voleva, perché anche a lei mancava quel contatto così intimo tra loro. Avrebbe voluto spalancare la porta e dirgli di rimanere, qualche minuto, un’ora, quanto voleva lui e stare semplicemente tra le sue braccia per un po’ e sentirsi dire che tutto sarebbe andato bene, anche se non sapeva cosa voleva dire andare bene e quale fosse la direzione. Invece una volta tanto aveva fatto quello che doveva fare, aveva aspettato che fosse lei a lasciargli la mano e poi l’aveva salutata con un mezzo sorriso un po’ storto, uno di quelli dove nascondeva il suo imbarazzo. Si maledì per essersi innamorata della persona più sbagliata che le sembrava decisamente quella più giusta e rischiava di far crollare tutto il mondo che aveva appena ricostruito per sua figlia.

- Devi prima presentarmi tua figlia come si deve e subito dopo farmi vedere cosa ti regalato Castle! - Esplose di gioia Lanie quando aveva finalmente convinto Kate ad invitarla nella sua nuova casa. Le era sfuggito mentre stavano parlando di un caso che doveva prendere le cose per il suo trasferimento e Lanie non si persa l’occasione per approfondire spalancando la bocca sempre più ad ogni parola di Beckett e poi non le aveva lasciato possibilità di fare altrimenti: voleva vedere la casa, subito ed anche tutto il resto.

- Non mi ha regalato nulla Lanie, non esagerare. Mi ospita in una sua casa per il bene di Joy! - Precisò lei.

- Certo, casa che ha comprato per farci stare te. Perché così magari sei anche più vicina a lui, no? Quante volte è già sceso a darti la buonanotte? - Disse ammiccando sottintendendo ben altro mentre Kate che l’aveva capita benissimo abbassò lo sguardo.

- Lo ha fatto, cioè lo avete fatto? Lì, nella casa nuova?

- Lanie per favore… - Sospirò sapendo che si era messa in una situazione dalla quale sarebbe stato impossibile uscirne sana e salva, non con Lanie, non su quell’argomento.

- Beckett non negare con me! - La ammonì

- Non sto negando Lanie… Non c’è niente da negare!

- Nel senso che confermi tutto o che non c’è stato niente? - La incalzò la dottoressa.

- Nel senso che… Dai Lanie ti prego! - Beckett la stava supplicando e a Lanie bastò quell’atteggiamento per avere tutte le risposte che cercava.

- È solo sesso o c’è di più? - La guardò negli occhi. - Ok, non rispondere, c’è di più è così chiaro! E per lui?

- È complicato…

- Strano ragazza, non lo dici mai! Per te è sempre tutto complicato! Cosa c’è di complicato adesso in questa storia? In te che sei innamorata persa di qualcuno che ti prende anche una casa per tenerti vicino?

- Mia figlia, Lanie… - Disse parcheggiando la macchina nel garage - Lei sta bene con Castle e con la sua famiglia. Non posso rischiare che per noi perda tutto questo o me… Non deve rimetterci lei…

Lanie non rispose, seguì Kate fuori dall’abitacolo fino all’ascensore che le avrebbe portate direttamente al loft.

- Mamma! - Kate aveva avvisato Castle che stava per salire con Lanie, un’abitudine che avevano preso in quei giorni e lui come ogni sera lo diceva a Joy che andava ad aprirle. Ricevere l’abbraccio di sua figlia appena rientrata dal lavoro era sicuramente la cosa più bella di quei giorni, soprattutto sentire come la sua stretta diventava ogni giorno più forte ed il suo slancio maggiore. Joy stava bene e quella era la cosa più importante. La abbracciò e le diete un bacio come ogni sera, mentre lei la prendeva per mano per portarla dentro. Lanie osservò la scena dietro Kate che in quel momento si dimenticò anche della presenza dell’amica che richiamò la sua attenzione schiarendosi la voce. Beckett si voltò verso la dottoressa guardandola con un sorriso carico di scuse, mentre Joy la osservava curiosa.

- Amore, lei è Lanie, una mia cara amica. - spiegò Kate a sua figlia.

- Anche una mia cara amica! - Esclamò Castle uscendo dal suo studio.

- Non esagerare adesso scrittore! - Lo zittì scherzosamente la dottoressa che poi si avvicinò a Joy per salutarla. - Ciao tesoro! È un vero piacere conoscerti, Kate mi ha parlato tantissimo di te!

- Tu sei l’amica della mamma quella con cui va a pranzo fuori? - Le chiese Joy per essere sicura. Lanie sorrise guardando prima Kate, poi Castle che alzò le spalle ed infinte di nuovo la bambina.

- Ehm… sì… capita che andiamo a pranzo insieme…

- E lavori anche tu con lei? Sei una poliziotta anche tu?

- Lavoro con lei ma non sono una poliziotta io… Cerco le prove, diciamo così… - cercò di rendere meno cupo il suo lavoro.

- Sulle persone morte? - Chiese ancora Joy spiazzandola.

- Sì… - Ammise Lanie cercando aiuto in Castle e Beckett che invece ridevano - … sai Joy che sei proprio figlia di Beckett? Ti ha insegnato lei ad interrogare le persone o ti viene naturale?

La bambina non rispose ma si strinse a Kate.

- Non era una cosa negativa eh Joy! - Le spiegò sua madre - E comunque Lanie è la persona che ha scoperto chi sei tu e chi sono io…

Joy sollevò lo sguardo per cercare gli occhi di Kate che annuì.

- Grazie per aver trovato la mia mamma! - Disse allora Joy a Lanie che non resistette ed andò ad abbracciare la bambina.

- Ho già ordinato due pizze anche per voi! Vi fermate a cena, vero? - Castle interruppe quel momento, aveva notato come Kate stesse diventando più nervosa da come si stava mordendo la guancia, arricciando le labbra mentre ascoltava le parole di sua figlia. Beckett provò a dire di no, ma Lanie accettò l’invito volentieri così da costringerla a passare lì ancora un po’ più di tempo e la osservò per tutta la sera, non aveva mai visto la sua amica così: aveva notato come ogni volta che Joy la guardava non le faceva mai mancare un sorriso, con le labbra e con gli occhi che brillavano nel guardare sua figlia e come, invece, quando la osservava senza essere vista il suo viso era più serio, quasi malinconico, come la accarezzava senza nemmeno accorgersene, con naturalezza, sulle spalle, la schiena, sui capelli o solo sfiorandole la mano.

Aveva visto le occhiate furtive che si scambiavano Rick e Kate, e non aveva fatto nulla per nascondere che li aveva notati, anzi di tutto per metterli più a disagio, per farli rendere conto che era tutto troppo palese, e non le erano passati inosservati nemmeno gli sguardi che Castle riservava a Kate e sua figlia, il suo modo di scherzare con Joy e come lei facesse altrettanto con lui, perché Rick era evidentemente il suo compagno di giochi preferito. Era rimasta stupita, poi, da come per tutto il resto fosse sempre lo sguardo di Kate che cercava, come a volere la sua approvazione ed era la cosa che l’aveva colpita di più, forse qualcosa di cui Beckett non si era nemmeno accorta, troppo presa da non fare errori, da voler recuperare e dalla sua paura. Joy aveva bisogno di lei più di quanto Kate si rendesse conto, occupata com’era a minimizzare tutto, come se si volesse punire o pensasse di non meritarlo.

Lanie incrociò più di una volta lo sguardo di Castle e fu convinta che anche lui pensava lo stesso: lo avrebbe ucciso qualche tempo prima per quello che stava facendo e per come si stava comportando, ma ora era tutto diverso. Quei tre erano una famiglia e dovevano solo accorgersene, accettarlo e rischiare di esserlo.

- Ma dico, ragazza, non vi vedete? - Lanie era seduta con un bicchiere di vino in mano sul divano a casa di Kate mentre la sua amica la stava raggiungendo.

- Cosa dovrei vedere Lanie? - Chiese Kate sospirando, ben coscia che sarebbe stata di nuovo sotto scacco e che l’unica alternativa per evitarlo sarebbe stata cacciarla di casa, ma non era arrivata ancora a quel punto con la sua migliore amica.

- Tutto Kate! Tutto! Tu e Joy… Tu e Castle… voi tre insieme! Voi siete…

- Non lo dire! - La ammonì seriamente prima di bere un sorso di vino.

- Come vuoi, posso anche non dirlo, ma sta di fatto che lo siete. Joy è perfettamente a suo agio e… Cavoli Kate è la tua copia esatta! - Rise Lanie mentre la sua amica era decisamente più seria.

- Lo so che è a suo agio, per questo non voglio toglierle niente di tutto quello che ha adesso. Non voglio sconvolgerla ancora. - Spiegò per l’ennesima volta.

- Perché devi vedere sempre solo il lato negativo delle cose? Perché non pensi che invece potresti aggiungerle qualcosa, darle qualcosa in più. Non hai visto la sua espressione dispiaciuta quando te ne volevi andare prima che si addormentasse? Non pensi che le farebbe piacere sapere che sei lì con lei sempre, che magari è questo quello che vorrebbe, una famiglia vera di cui vede già tutti gli elementi, solo che sono separati?

Beckett finì il suo bicchiere di vino e si alzò, andando verso la vetrata. Non era grande come quella del loft di Castle ed il piano più basso non dava la stessa vista sulla città, ma guardare le macchine scorrere sotto di lei, veloci nel poco traffico notturno, sperava che potessero distrarla quel poco che bastava per non pensare. Sentì la mano di Lanie poggiarsi su di lei e poi stringerle il fianco e Kate si appoggiò all’amica, in tutti i sensi.

- Perché ho paura di perdere tutto quello che amo.

Mancavano solo un paio di giorni alla presentazione del libro di Castle e tutti al distretto avevano accettato con molto entusiasmo il suo invito alla festa, lasciando molto malcontento in chi era costretto a non partecipare per via dei turni. Non ci sarebbero stati solo i ragazzi del distretto, ma anche una nutrita rappresentanza delle più alte cariche della polizia di New York ed il sindaco, quel libro e la collaborazione tra il celebre scrittore e le forze dell’ordine era uno dei migliori spot pubblicitari per la polizia, che avrebbe mostrato un lato di sé solitamente non colto dalla popolazione e nei piani alti erano stati tutti entusiasti di quella scelta, congratulandosi più volte con il capitano Montgomery per l’idea.

Anche Beckett alla fine aveva accettato di buon grado di partecipare, nonostante avesse dovuto respingere gli assalti che le proveniva da più fronti, Martha e Lanie, per obbligarla a comprare un vestito adatto per la serata. L’attrice le aveva addirittura proposto di pescare liberamente dal suo guardaroba, ma visti i gusti eccentrici di Martha, Kate aveva declinato gentilmente l’invito. Non era lei la protagonista delle festa e non doveva essere lei al centro dell’attenzione, avrebbe trovato qualcosa di carino ed adatto, ripeteva a tutti, ma niente di troppo formale. All’ennesima rimostranza di Lanie in merito al fatto che in realtà lei era molto più protagonista di quanto pensasse arrivò a minacciare di andare alla festa in uniforme se non l’avessero finita di metterle pressione. Doveva solo cercare un vestito per una festa, avrebbe avuto tutto il tempo del mondo, non doveva mica sposarsi!

Tra tutti la persona più eccitata per quella festa era Joy, non solo perché sarebbe stata la sua prima festa di quel tipo, ma soprattutto perché sarebbe stata la prima sua vera uscita dopo il trapianto. Castle era andato dal dottor Thompson per chiedere se era possibile far sostenere a Joy un evento del genere nel suo stato ed il medico aveva dato il suo parere positivo, ricordandogli, ovviamente, tutte le raccomandazioni del caso. Non c’era andato da solo questa volta, Beckett lo aveva accompagnato perché voleva essere certa che non ci sarebbe stato nessun pericolo per sua figlia e non aveva fatto delle domande al dottore, ma qualcosa che assomigliava di più ad un vero e proprio interrogatorio, facendo sorridere sia lui che Rick e mettendola in imbarazzo quando si rese conto da sola che forse aveva leggermente esagerato.

Fu Martha ad accompagnare Joy a scegliere il suo vestito, era un compito che entrambe presero molto sul serio e Rick pregò Alexis di andare con loro, perché aveva il terrore di quello che sua madre potesse fare, ricordandosi di alcune mise che aveva fatto sfoggiare ad Alexis quando era piccola. Così si raccomandò al buonsenso di sua figlia ed anche a quello di Joy, perché entrambe era certo ne avessero più di sua madre e sperò così di non dover dare a Beckett a spiegazioni per qualche abito decisamente sconveniente.

Joy tornò a casa molto soddisfatta del suo acquisto, un vestito bianco di chiffon con una fascia blu in vita e delle scarpe blu come le rifiniture del vestito. Si tolse la mascherina appena rientrata al loft con un evidente senso di liberazione e subito andò in camera a indossare di nuovo il suo abito per farsi vedere da Rick.

- Wow JJ sei una piccola principessa! - Le disse mentre la osservava girare su se stessa per farle vedere il vestito dalle linee semplici e piuttosto sobrio.

- Ti piace Rick? Anche Alexis lo ha preso come il mio, però il suo è blu con e bianco al contrario! - Disse tutta eccitata.

- Quindi immagino che nonna non abbia messo bocca sulle vostre scelte! - Esclamò Rick alla figlia, ma l’attrice la precedette nella risposta.

- Dato per scontato che sono entrambe bellissime con i loro vestiti, io le avevo esortate entrambe ad osare un po’ di più!

- Certo nonna, come quello verde acido o quello color aragosta fosforescente! - Disse schifata Alexis mentre Joy rideva.

- A me quello verde piaceva! - Esclamò Joy prendendosi una carezza da Martha ed un’occhiataccia da Alexis che rispose facendole la linguaccia.

- Non dubito che quello verde fosse bellissimo, mamma, ma decisamente meglio questo. Anche perché poi con Beckett ci avresti parlato tu! Ora Joy, vatti a cambiare, non vorrai mica sporcarlo! - Esortò Rick la piccola.

- Posso aspettare almeno che torni mamma così lo vede anche lei? - Chiese con quello sguardo al quale Rick non riusciva a dire di no.

Kate, però, quella sera tornò a casa molto tardi. Aveva mandato un messaggio a Rick avvisandolo che non ce l’avrebbe fatta a passare ad un orario decente, ma lui le disse di salire in ogni caso, perché Joy le voleva mostrare qualcosa.

- Vieni, entra… - Le disse Rick sottovoce prima che lei potesse suonare alla porta.

- Che succede? - Chiese curiosa ed un po’ preoccupata, come sempre quando c’era qualcosa di diverso dall’ordinario che riguardava Joy e la sua mente andava automaticamente ad esplorare le peggiori ipotesi.

- Niente, tua figlia oggi è uscita per andare a comprare il vestito per la festa e ci teneva che tu la vedessi. Non se l’è tolto da quando è tornata a casa, aspettava che la vedessi vestita. - Le disse indicandole poi Joy addormentata sul divano.

- Perché non le hai detto che l’avrei visto un altro giorno? - Chiese un po’ contrariata vedendola addormentata in una posizione che presumeva essere scomoda.

- Perché le avevo promesso che poteva tenerlo fino a quando non tornavi. Mantengo le promesse! - Sottolineò senza alcun intento polemico, ma lei non la prese così.

- Vuoi dire che io non le mantengo, Castle? - Disse mettendosi sulla difensiva.

- No, no… voglio dire che… Glielo avevo promesso… Tutto qui. Per questo ti ho detto di venire lo stesso, a qualsiasi ora.

- La devo svegliare… - Disse scuotendo la testa con disappunto.

- E allora? Si riaddormenterà subito, ma sarà contenta di vederti, ti ha aspettato tutta la sera! - Provò a spiegarle ma lei ancora andò ad interpretare le sue parole nel modo peggiore.

- Scusami se ho un lavoro particolare e non ho orari fissi come la maggior parte delle madri normali, Castle. Cosa pensi che a me non sarebbe piaciuto venire tre o quattro ore fa e passare del tempo con lei? - Gli disse muovendosi bruscamente evitando che lui la toccasse.

- Non è così Beckett e non so perché devi interpretare male tutto quello che dico? - Non lo ascoltò nemmeno, andò direttamente da Joy e le accarezzò il viso e la baciò sulla fronte accovacciandosi vicino a lei.

- Mamma! - Esclamò la piccola stropicciandosi gli occhi.

- Ehy piccola scusami se ho fatto tardi… - Si giustificò immediatamente.

- Stai bene? - Le chiese Joy guardandola.

- Sì, amore, sto bene… sono solo un po’ stanca. Ed anche tu dovresti andare a letto adesso. Andiamo, ti accompagno.

Joy si lasciò prendere in braccio e si appoggiò sulla spalla di Kate mentre la portava nella sua camera.

- Ti piace il mio vestito? - Le chiese mentre Beckett cercava il pigiama da farle mettere.

- È bellissimo, ma mai quanto te. - Le disse aiutandola a slacciarlo.

- Tu cosa ti metti? - Le chiese mettendosi il pigiama guardando Kate che riponeva il vestito nell’armadio.

- Ancora non lo so. Cosa dovrei mettermi? - Le domandò mentre Joy si metteva sotto le coperte.

- Quello che vuoi, sarai comunque la più bella di tutte, mamma!

Kate emozionata le diede un altro bacio ed aspettò pochi istanti che si addormentasse.

- Ti voglio bene Joy. - Le sussurrò quando già dormiva e poi uscì da lì scendendo velocemente le scale, asciugandosi gli occhi.

- Si può sapere cosa c’è Beckett? - La fermò Rick prima che lasciasse il loft.

- Nulla, una giornata difficile. Capitano a volte. - Rispose freddamente.

- Lo so. Ti va di parlarne?

- No, vorrei solo andare a casa, stendermi un po’ e dormire. - Gli disse senza guardarlo negli occhi.

- E non ci riuscirai mai. Perché sei troppo tesa Beckett… - Fece passare le mani sulle sue spalle e poi sul suo collo, facendo il percorso avanti e indietro, sentendola sempre più tesa, quasi tremante.

- Castle per favore… - Lo supplicò.

- Non volevo sminuire quello che fai per Joy, so che ce la metti sempre tutta. - Le disse continuando a massaggiarla sentendo come le sue spalle stavano pian piano perdendo quella postura rigida.

- Ma non basta… - sospirò e Rick si fermò, tenendole le braccia strette tra le sue mani. La ascoltò respirare profondamente, tirando fuori la frustrazione che aveva accumulato, allentò la presa e la invitò a voltarsi. Lo guardò con uno sguardo triste, dispiaciuta anche per come lo aveva trattato.

- Scusami… - gli disse accarezzandogli il volto, sfiorando con il pollice il contorno delle labbra. Aveva una leggera barba, di chi da qualche giorno non si rade, non ci aveva nemmeno fatto caso, ed ora sentiva il suo volto pizzicarle il palmo della mano, ma non la spostò, non fino a quando non si accorse che anche lui stava facendo la stessa cosa con lei, spostandole qualche ciocca di capelli ora più lunghi dietro l’orecchio, ma non ancora abbastanza per far sì che si fermassero tutti, ed infatti tornarono al loro posto, incorniciandole il viso.

- Ti sembrerà che non sarà mai abbastanza, anche quando farai tutto. Dentro di te penserai che avresti potuto fare sempre qualcosa in più, anche se oggettivamente non potevi. Che avresti potuto essere più presente, più disponibile, comprare qualcosa in più, darle un abbraccio o un bacio in più o solamente rimanere a guardarla dormire ancora un po’, quando lei nemmeno lo sa. Rincorrerai sempre te stessa e non ti raggiungerai mai.

Beckett sospirò, per le parole di Castle, per la sua mano che non smetteva di accarezzarle il volto, per il solo fatto che era lì e la guardava così ed aveva capito esattamente come stava.

- Joy voleva vederti Kate, ma non era arrabbiata con te perché non sei venuta presto, ci teneva, per questo l’ho fatta aspettare qui. - Si giustificò ancora.

- Lo so. Tu… hai fatto bene, non sei tu Castle, sono io. - Si spostò allontanandosi dalle sue mani e guardando a terra. Lui era tra lei e la porta, avrebbe dovuto solo girargli intorno ed andarsene. Provò a farlo ma si fermò quando le loro spalle si strusciarono.

- Vorrei baciarti Kate. - Le disse Rick facendola immobilizzare definitivamente. - E non vorrei solo quello.

Guardavano ognuno in una direzione opposta, lui verso la finestra in fondo al loft, lei nell’oscurità verso la porta chiusa davanti a se. Rimasero in silenzio, sentendo solo il ticchettio di un orologio che proveniva dalla parete della cucina, con il suo rumore che sembrava più forte di un martello pneumatico ed entrava nelle loro teste. Kate allungò le dita della mano, trovando quelle di lui che la strinse, senza esitazione.

- Anche io. Ma… - Deglutì e lui lasciò subito le sue dita.

- Non posso fare niente contro le tue paure Kate… Non posso eliminarle, non se la tua paura sono io…

- Non sei tu. - Gli riprese la mano, stringendola lei adesso forte, si era sentita persa per un attimo quando aveva lasciato le sue dita, una sensazione di vertigine, come se le mancasse l’appoggio. - Non sei tu che mi fai paura Rick… Non lo dire, per favore.

- Sai cosa di cosa ho paura io Kate? Che tu non penserai mai che sia giusto che anche tu possa essere felice, che insisterai a volerti punire per quanto fatto in passato e che… che non vedi il futuro.

Mentre parlava Kate gli stringeva la mano ed ascoltava in silenzio: cosa avrebbe potuto dirgli? Ai suoi sensi di colpa già radicati per Joy si aggiungevano anche quelli verso di lui e la situazione nella quale erano in quel momento era molto più che metaforica: vicini, legati, incapaci sia di allontanarsi e che di stringersi, ma che guardavano in due direzioni opposte, lui verso la luce fuori dalla finestra, lei verso il buio di una porta chiusa.

- Ti amo veramente Kate, anche se puoi far fatica a crederlo e se non mi consideri sentimentalmente affidabile. Vorrei potertelo dimostrare in qualche modo, vorrei avere una chance per farti capire che sono anche altro.

- So che sei anche altro Rick. - Ammise con un filo di voce.

- Quindi se lo sai e non vuoi non è un bel segno, immagino. - Kate sentì la frustrazione nelle sue parole e Castle provò a lasciare la sua mano, ma lei glielo impedì, tenendolo con ancora più forza.

- Forse è meglio che vai a riposarti ora Beckett… è tardi…

Le loro dita si sciolsero e lo sentì allontanarsi, andare verso il suo studio. Vide una luce azzurra di riflesso sulla superficie lucida davanti a sé, e poi sentì le sue dita picchiettare sulla tastiera. Era sempre lì ferma immobile e lui lo sapeva. Si accorse che uscì, tempo dopo, dal rumore ovattato della porta che provò a chiudere facendo il minimo rumore possibile.

Kate non sapeva se era stata una casualità che le ultime volte che era passata al loft in quei due giorni Castle non ci fosse mai, oppure fosse impegnato al telefono. Alexis le aveva detto che era molto impegnato con i preparativi per la festa della sera successiva, che doveva controllare con Gina le ultime cose e la sua agente lo aveva incastrato con alcune interviste. Beckett però, aveva imparato molto bene a capire quando le persone le mentivano, o almeno quando non le dicevano la verità, tutta la verità, e Alexis sicuramente non le stava mentendo, ma almeno più di qualcosa ometteva, lo vedeva da come spostava nervosamente il peso da una gamba all’altra mente parlava o da come evitasse il contatto con i suoi occhi ed Alexis stessa aveva capito che l’aveva beccata, ma entrambe fecero finta di niente. Di fatto, da quella sera Castle la stava evitando.

Joy doveva essere stata ben indottrinata da Rick perché non le fece nessuna domanda e non trovò nulla di strano in quella situazione, era sempre la più emozionata della festa e non faceva altro che parlarne. Kate le ricordava che avrebbe dovuto sempre tenere la mascherina e stare attenta, Joy sbuffava ogni volta. Cominciava a diventare sempre più insofferente a tutto quello, man mano che i giorni passavano e lei si sentiva meglio. Avrebbe voluto uscire di più, vedere gli amici o anche solo andare in giro con Rick e Kate e invece ancora non aveva avuto il via libera dei medici, solo uno strappo alla regola per quell’evento.

- Con la mascherina sarò brutta. - Disse Joy a Kate quando erano rimaste sole in camera della bambina.

- Impossibile. - Le rispose sua madre.

- Invece sì. E poi non possiamo fare nemmeno una foto insieme, perché io le rovino e poi non si vede nemmeno che sono io. - Si mise seduta sul letto con le gambe rannicchiata al petto, Kate la raggiunse mettendosi vicino a lei.

- Ascoltami bene adesso. - Le disse seria - Primo, se vogliamo fare le foto le possiamo fare qui, prima di uscire, tutti insieme. Secondo, tu non rovini nulla in ogni caso e terzo non è una mascherina o no in una foto che cambia il fatto che tu ci sei, capito Joy?

La ascoltò, ma non rispose. Era la prima volta che Kate si trovava in una situazione del genere, non sapeva cosa fare e non c’era nessuno a cui potesse chiedere aiuto. Erano loro due, madre e figlia e lei si sentiva totalmente impreparata ad affrontare le sue paure. Pensava a come si comportava lei alla sua età, con sua madre. Le ritornarono alla memoria più di qualche scena simile, con lei seduta sul letto o su una poltrona che aveva in camera chiusa nel suo silenzio e Johanna che le si metteva vicino ed aspettava pazientemente che lei si convincesse a parlare. Non era molto, ma era l’unica cosa che pensò di fare e così fece.

- Io non lo so se domani voglio venire alla festa. - Disse poi Joy dopo un tempo che giudicò sufficientemente lungo prima di aprirsi.

- Come non sai se vuoi venire? Sei sempre stata la più entusiasta, fino a questa mattina eri felicissima del tuo vestito, delle scarpe, di come vuoi farti sistemare i capelli… cosa è successo?

- Perché no. - Disse voltandosi dalla parte opposta, ma Kate le spostò il volto con due dita per farsi guardare.

- Ehy… non è una risposta, lo sai? E a me non piace chi non mi risponde quando faccio le domande, sai anche questo, vero Joy? - provò ad essere severa, per quel poco che ci riuscì ma sua figlia annuì, forse era riuscita ad essere abbastanza convincente.

- Rick parlava al telefono e l’ho sentito…

- Cosa hai sentito?

- Ha detto a qualcuno che ci sarebbe stata anche la sua famiglia, sua madre e sua figlia. Io non c’ero e nemmeno tu. Io chi sono mamma? Anche per Rick sono la bambina che tiene un po'? - Kate potè leggere tutta la delusione e il dispiacere negli occhi di Joy, le prese entrambe le mani e la obbligò a guardarla.

- Sei mia figlia. E lo so che ti sembrerà detto da me che non sono mai stata tua madre, ma ti giuro, questo non cambierà mai. Non ci sarà legge o giudice che cambierà questa cosa. Non chiederti mai più chi sei, perché ora lo sai, capito?

Joy annuì ma si aspettava ancora delle risposte da Kate.

- Non sarei io a doverti dire queste cose, in realtà io volevo proprio lasciarti fuori da questi discorsi però… È giusto che tu sappia adesso. Rick ha fatto richiesta per adottarti Joy, lo sapevi vero? Perché lui vorrebbe che tu facessi legalmente parte della sua famiglia. Quindi no, per lui non sei la bambina che tiene per un po'. Ti vuole bene, tanto. E vorrebbe tenerti per sempre con lui.

- E noi? Cioè io e te? - Chiese preoccupata.

- Noi ci saremo sempre e comunque, ok? Anche io ho chiesto di poterti adottare. Non sappiamo a chi il giudice darà ragione ma… Non cambierà nulla tra me e te. Te lo prometto.

- Tu e Rick litigate per me?

- No, non litighiamo. Ma se non facevamo così tu non potevi rimanere qui e ti avrebbero rimandato in un istituto. Io e Castle stiamo facendo tutto questo solo per te, per non lasciarti. E comunque andranno le cose Joy, tu avrai non una famiglia, ma due: me e la famiglia di Rick. Non cambierà mai questo. Sai perché Rick non ti ha nominata? Per tenerti al sicuro. Non vuole che la stampa ti usi e ti metta in mezzo, perché sei piccola ancora e vuole evitare domande adesso che è ancora tutto complicato. Faceva così anche con Alexis quando era piccola, io e lui ne avevamo già parlato di questo ed anche io ero d’accordo con lui. Tutto qui.

Kate respirò come se si fosse tolta un peso dallo stomaco, mentre Joy sembrava pensare a tutto quello che aveva appena sentito.

Era quasi l’ora di cena ed ancora al loft non era tornato nessuno, così Kate decise di fare un colpo di testa.

- Ti va di venire giù a casa nostra? - Le propose.

- Ora? - Chiese Joy stupita ed eccitata della proposta.

- Sì, è tutto a posto per te. Manca la tua camera ancora, ma se vuoi puoi dormire con me stanotte. Prepariamo qualcosa per cena insieme e… passiamo un po' di tempo io e te… che ne dici?

Lo sguardo di Joy parlò per lei: era felice ed emozionata. Prese il pigiama e la sua bambola, poi guardò Kate e la lasciò sul letto.

- Puoi portarla se vuoi. - Le disse sua madre.

- Posso abbracciare te stanotte? - Le chiese timidamente e Kate le sorrise con lo stesso sorriso raggiante che prima le aveva regalato Joy.

- Uhm… ci devo pensare ma penso di sì… Solo se mi prometti che posso riempirti di baci!

- Affare fatto! - le disse Joy dandole la mano, quindi Kate prese un cambio per il giorno dopo e mise tutto nello zainetto di Joy.

Aveva mandato un messaggio a Rick per avvisarlo, ma non le aveva risposto. Per sicurezza aveva fatto lo stesso anche con Martha ed Alexis che invece le risposero entusiaste, ma proprio sul corridoio prima di prendere l’ascensore videro Castle che stava rientrando.

- Cosa succede? - chiese stupito.

- Mamma mi ha detto se andavo da lei questa sera! - Rick potè sentire la voce squillante di Joy sotto la mascherina.

- Oh beh… sì certo… Beh… buona serata allora, divertitevi! - disse ancora perplesso da quella situazione.

- È tutto ok Castle? - Chiese Kate appoggiando una mano sul suo braccio ma da come lui la guardò capì che doveva ritrarla subito.

- Tutto ok. Sono contento che Joy passa un po' di tempo a casa con te.

- La riporto su domattina dopo colazione se per te va bene.

- Certo, va benissimo e… se ti serve qualcosa chiama.

- Penso che ce la possiamo cavare per una serata, tu che dici Joy? - Le chiese Kate e la bambina annuì.

- Allora ok! Ci vediamo domattina. - Rick diede un bacio a Joy e poi rientrò a casa mentre loro erano in ascensore.

- Rick era un po' strano… - Osservò Joy.

- Credo sia solo stanco, per organizzare tutto. - Minimizzò Kate e Joy eccitata per stare a casa con sua madre e cambiare finalmente luogo dove passare del tempo. Appena entrata in casa si andò a slacciare la mascherina ma prima guardò Kate attendendo il suo consenso che arrivò subito e poi si lanciò sui divani provandoli per vedere se fossero comodi come quelli di Castle, un po' più duri, constatò facendo ridere Kate e poi dopo essersi andata a lavare le mani, la raggiunse in cucina dove la osservò prendere alcune cose dal frigo.

- Polpette? Non saranno buone come quelle di Mike ma ci proviamo, che dici?

Joy annuì entusiasta, per la prima volta madre e figlia si prepararono la cena insieme e mentre Kate finiva di cucinare lei si offrì di apparecchiare. Mangiarono insieme ed anche per Beckett fu la prima volta al tavolo in quella casa, quando era sola preferiva mangiucchiare qualcosa sul divano. Ora era diverso, era casa, era famiglia.

Non fecero nulla di diverso delle serate al loft, guardarono insieme un po' la tv poi quando Joy andò a letto Kate le lesse un pezzo di uno dei suoi libri preferiti: aveva scoperto che come lei Joy amava i libri di mitologia, di tutti i tipi, ma soprattutto quelli classici, greci e romani. Così ogni sera invece di una favola voleva leggere o che le venisse letto un mito e poi le piaceva parlarne, con Kate ma anche con Rick con cui passava molto tempo a chiacchierare delle cose che leggeva.

- Mi è piaciuto questo mito! - Esclamò Joy quando Kate finì di leggerle una versione più edulcorata di Amore e Psiche, di quella raccolta fatta proprio per bambini.

- Sì, come mai?

- Perché è a lieto fine e poi perché non si sono arresi, anche se lui è stato cattivo a lasciarla solo perché era curiosa di vederlo come era realmente. Tu non saresti stata curiosa di vederlo, mamma?

- Sì, lo sarei stata anche io.

- Lei però si voleva far perdonare e lo cerca e poi lui salva lei. Perché nonostante tutto si amavano, anche se non dovevano, però poi anche gli altri si convincono che è giusto.

- Come sei romantica stasera Joy! - Le disse Kate dandole un bacio, troncando quei discorsi che la stavano toccando su corde che non avrebbero dovuto.

- Mi piace essere romantica. È bello innamorarsi? - le chiese ancora mentre Kate sdraiata su un fianco vicino a lei la guardava e la accarezzava.

- Sì è bello.

- E come lo capisci che sei innamorata?

- Quando ti capiterà lo capirai.

- Ad esempio? - Kate sospirò, era vero quando dicevano che Joy era come lei per mettere alle strette le persone con le domande.

- Quando ascolti una canzone, capisci subito il senso e tutte ti fanno pensare alla stessa persona, ed anche tutte le storie, tutto… - Era dannatamente vero.

- Tu sei innamorata mamma?

- Sì, di te! - Le disse nascondendosi con il volto tra i suoi capelli.

- Allora anche io posso essere innamorata di te? - Chiese dubbiosa.

- Per ora… - Rise Kate mentre si voltava a spegnere la luce e Joy la raggiunse immediatamente stringendosi a lei. Per la prima notte quella fu veramente casa sua.

Kate non era brava come Rick a preparare colazioni dove c’era di tutto, però aveva osservato più volte Joy fare colazione e sapeva cosa le piaceva, aveva provato a fare dei pancakes, non bellissimi e perfetti ma ne aveva assaggiato uno ed era almeno buono, teneva in dispensa una confezione dei suoi cereali preferiti, ed aveva preparato anche delle uova con il bacon. Non avrebbe mangiato mai tutto e nemmeno lei, però non voleva farsi trovare impreparata e non voleva sfigurare, sentiva il peso del confronto con Castle e soprattutto era la prima volta che preparava la colazione per sua figlia, non voleva deluderla.

Appena ebbe finito, compreso di apparecchiare la tavola, tornò in camera dove la trovò già sveglia, un po’ assonnata, che la osservava attenta.

- Allora, dormigliona? Sei sveglia e non mi dici nulla? - Le chiese dandole un bacio del buongiorno.

- Stavi preparando la colazione, ho sentito il profumo. - Rispose anche lei baciandola sulla guancia.

- Già che dici il profumo e non la puzza è confortante per me sai? Cosa vuoi mangiare?

- Quello che c’è, è uguale!

- Dai, avrai una preferenza! Ho fatto un po’ di tutto, non sapevo di cosa avessi voglia e poi…

- Mamma… Grazie. - Joy la interruppe ed anche il suo discorso imbarazzato su quella colazione alla quale evidentemente era lei che dava più importanza di quanta non avesse, almeno per sua figlia.

- Di niente Joy è che… per me…

- È complicato. - Sorrise Joy prendendola in giro.

- Sì, lo è. Scusami se non sono perfetta come dovrei, con te almeno.

- A me vai bene così.

Con le sue frasi semplici ed il suo sguardo penetrante, Joy aveva la capacità di distruggere ogni volta l’autocontrollo emotivo di Kate. Non resisteva a quegli occhi verdi, tanto simili ai suoi, che la osservavano sempre guardandola dritta, soprattutto quando le parlava e le voleva dire qualcosa che per lei era importante. Joy le scavava l’anima, la fissava come a voler essere sicura che sua madre capisse l’importanza delle sue parole ed allo stesso tempo aveva bisogno le stessa di essere rassicurata dallo sguardo, che non le avrebbero mentito, non più.

Joy nonostante tutto si fidava di lei e questo per Kate era qualcosa di magico e inconcepibile allo stesso tempo, perché non era certa che lei, al posto suo, sarebbe mai riuscita a perdonarsi e a fidarsi ancora e forse era proprio per questo che viveva quella situazione con estrema inquietudine, perché lei per sé stessa, sarebbe sempre stata colpevole, nonostante il perdono di sua figlia, nonostante i suoi occhi che la guardavano con amore, nonostante fosse stata lei stessa a chiederle di andare avanti e non pensare a quello che era stato, Kate non ci riusciva ed ogni volta che guardava Joy pensava solo a quanto le sue scelte le avessero condizionato i primi dieci anni di vita, che sarebbero dovuti essere i più belli e spensierati e che non avrebbe mai potuto fare nulla per cambiare le cose.

- Tu sei troppo buona con me, Joy, lo sai vero? - Le disse sorridendo mentre la bambina alzava le spalle senza dire nulla.

- Andiamo a fare colazione, mamma?

- Ho mangiato le uova e il bacon, però poche. Poi due pancakes con la marmellata, niente cioccolata, e bevuto un bicchiere grande di spremuta che ha fatto la mamma. - Salite al loft, Joy raccontò a Rick tutto quello che aveva mangiato per colazione, insieme ad un breve riassunto di tutto il resto che avevano fatto.

- Pancakes, uhm? Qualcuno mi vuole rubare i trucchi delle colazioni a quanto pare! - Disse scherzando Castle, che sembrava un po’ meno teso della sera prima.

- Tranquillo, lo scettro è sempre tuo i miei erano un po’… - Kate fece degli strani gesti con le mani.

- Storti! - Disse Joy ridendo.

- Sì, diciamo storti. - Annuì Beckett facendo sorridere anche Castle.

Poi Joy salutò sua madre e andò da Alexis che doveva farle vedere come avrebbero sistemato i capelli per quella sera.

- Che fai, resti? - Le chiese Rick. - Io devo finire di sistemare alcune cose per questa sera, ma… spazio in casa c’è.

Kate percepì quelle parole come un chiaro segno di mantenere le distanze e le fece male, ma aveva già deciso come occupare la giornata da tempo.

- No, devo mettere a posto casa dopo il pigiama party con Joy - provò a sdrammatizzare ma Rick non raccolse la sua battuta, quindi tornò subito nei ranghi. - E poi devo andare al mio appartamento, approfitto per andare a prendere ancora un po’ di cose e mettere a posto.

- Hai tutto per questa sera? L’indirizzo e l’invito dico… poi comunque il tuo nome sarà sulla lista… tra gli ospiti importanti… - Le ricordò Rick

- Sì, ho tutto. Allora ci vediamo lì…

- Sì, ci vediamo lì…

Nella mente di Kate sarebbero andati insieme a quella serata, si era costruita così l’idea in testa ed invece Castle aveva altri piani. Giusto, legittimo. Magari avrebbe avuto anche un’accompagnatrice, pensò con più di un pizzico di gelosia mentre tornava a casa. Tanta gelosia. No, questo non lo avrebbe fatto, non avrebbe potuto farlo… Almeno lo sperava.

Pensava che avrebbe dovuto passare la serata al suo fianco e si era imposta di non farlo sfigurare. Così aveva scelto un lungo vestito nero, molto elegante, che probabilmente non aveva mai indossato, avendo ancora il cartellino, e non ricordava nemmeno per cosa lo avesse comprato. Non si sarebbe mai sentita a suo agio con un abito del genere, da sola. Lo rimise via, posticipando ancora il suo primo utilizzo, e cercò nell’armadio qualcosa di più semplice, meno impegnativo.

La festa alla fine non era quella cosa così divertente che Joy aveva immaginato, per il momento la cosa che le era piaciuta di più erano le foto che Rick aveva fatto, tutti insieme, al loft e nella limousine prima di arrivare nell’hotel dove si sarebbe svolto il party. Castle non si sottrasse ai fotografi e giornalisti prima di entrare anche perché in caso contrario aveva già visto due donne pronte a saltargli alla giugulare come due vampiri assetati di sangue, il suo: Gina e Paula. Nel frattempo, però, Martha aveva portato Alexis e Joy all’interno senza fermarsi e poi preso l’ascensore per arrivare all’ultimo piano. Quella location era sempre la migliore ed anche se la temperatura autunnale non era la più adatta per stare nella grande terrazza benché riscaldata, dalla parte interna con le pareti su tre lati di vetro panoramiche si godeva di una splendida vista della città. Castle aveva sempre amato quel posto, Gina lo sapeva ed ormai anche scaramanticamente era diventata la location di presentazione di tutti i suoi ultimi romanzi. Rick raggiunse la sala già piuttosto piena, fermandosi ad ogni passo per stringere qualche mano o firmare qualche autografo. C’erano molti cartonati e poster ancora coperti dai teli, sarebbero stati rivelati più tardi al momento della presentazione del libro.

- Ehy non mi sembra il posto migliore al bancone del bar per voi! - Esclamò Rick ad Alexis e Joy. - Ho fatto preparare un posto tutto per voi, venite.

Così le accompagnò in un angolino molto più riservato con delle poltroncine ed un tavolino dove aveva già fatto mettere cose da bere e da mangiare per loro.

- Rick dobbiamo stare nascoste qui? - chiese Joy

- Assolutamente no! Ma se sei stanca e vuoi riposarti o non vedere nessuno, puoi venire qui! - le diede un bacio sulla fronte sistemandole la mascherina.

- Possiamo vedere in anteprima la copertina? - chiese curiosa.

- Uhm… ok ma solo perché me lo chiedi tu! - così la prese per mano e la accompagnò dove c’era una pila di libri su un tavolo ancora coperti. Ne prese uno beccandosi un’occhiata di rimprovero da Gina che non perdeva uno dei suoi movimenti e lo diede a Joy.

- Ma è la mamma? - Chiese vedendo la figura in copertina con la pistola in mano.

- Sì, più o meno… - Rispose Rick imbarazzato.

- Se il libro è sulla mamma lo posso leggere? - Domandò ancora

- Ehm… Joy… è da grandi… - cercò di spiegarle Rick che aveva bene in mente alcune scene scritte in quel libro che oltre la violenza sarebbe stato bene che Joy non leggesse per almeno altri dieci anni.

- Facciamo così… - Intervenne Alexis prendendo il libro - Lo leggerò io e poi te lo leggerò un po' per volta la sera, togliendo le parti da grandi che non puoi leggere!

Rick non sapeva se essere felice o no della proposta della figlia ma in quel momento le sembrava una via di fuga perfetta, così le lasciò con la prima copia di Heat Wave che però Rick volle regalare personalmente a Joy con tanto di dedica.

Erano arrivati anche i ragazzi del distretto, con Ryan ed Esposito in prima fila, tra il buffet e il provare a socializzare con qualcuna delle tante ragazze presenti, e subito dopo il Capitano Montgomery con sua moglie ed altri agenti e detective.

- Se non altro sarà una festa sicura con tutta questa polizia in borghese! - disse Martha raggiungendo con un Martini in mano Alexis e Joy intente a mangiare qualche snack. Poi si affacciò nel loro “rifugio” anche Lanie per andare a salutare le due ragazze.

- La mamma è con te? - Le chiese Joy dopo averla salutata.

- Ehm… veramente no! Pensavo fosse venuta con voi… - Ripose imbarazzata la dottoressa. Joy però scosse la testa con decisione e Lanie si allontanò per provare a chiamare l’amica, ma il telefono era spento. Si avvicinò a passo spedito a Castle attendendo impaziente che finisse di parlare con non sapeva chi, fissandolo con lo sguardo di chi voleva che interrompesse, subito e lui non ci mise molto a notarlo, congedandosi frettolosamente dicendo che doveva parlare con un’importante giornalista appena arrivata e presentando Lanie come quella.

- Cosa c’è dottoressa? - Le chiese appena furono abbastanza in disparte.

- Beckett. Dov’è? - Domandò secca.

- Non lo so. Dovrebbe arrivare, ha detto che sarebbe venuta. - Rispose evasivo.

- Abitate nello stesso palazzo, sua figlia è con te. Perché non siete venuti insieme? - Lo incalzò

- Perché saremmo dovuti venire insieme? Comunque credevo sarebbe venuta con gli altri del distretto.

- Castle, puoi prendere in giro chi vuoi, non me. So cosa c’è stato o c’è o come vuoi tu, tra di voi. Cosa sta accadendo?

- Niente Lanie. Non sta accadendo proprio niente. È questo il punto. Kate sa quello che penso, quello che provo e quello che vorrei. Evidentemente non sono le stesse cose che vuole lei, o non le vuole nella stessa maniera. Non posso aspettarla o rincorrerla per sempre, perché fa male stare sempre vicino a qualcuno e non poter fare nulla. Ed ora scusami, ma ho una presentazione di un libro da fare, con o senza la protagonista che evidentemente ha di meglio da fare che venire.

La lasciò lì e se ne andò visibilmente contrariato e Lanie non riusciva nemmeno a dargli torto, perché non riusciva proprio a capire la cocciutaggine di Kate e la sua totale mancanza della percezione della realtà. Lo ammirò, in un certo senso, quando lo vide cambiare immediatamente espressione, appena fu fermato da un paio di ragazze e si mise in posa per una foto sorridente e cordiale. Era il suo lavoro e lo faceva bene, non poteva negarlo nemmeno lei.

Le dita tamburellavano sulle gambe lasciate scoperte dal vestito corto e dal soprabito che aveva lasciato aperto seduta nel taxi, fin troppo caldo o forse era solo lei che era decisamente accaldata.

Aveva pensato molto a cosa mettersi, non voleva sembrare né troppo elegante né dare troppo nell’occhio, ma nemmeno fare la figura delle poliziotta sciatta e certo la sua cocciutaggine a non voler comprare niente per l’occasione non l’aiutava nella scelta, visto che il suo guardaroba non era certo quello di una persona abituata ad eventi mondani. Alla fine si era decisa ad indossare un vestito grigio perla, piuttosto corto con una generosa scollatura sul davanti e la schiena quasi del tutto scoperta. Forse era troppo e i suoi propositi di non dare troppo nell’occhio venivano meno, ma dopo aver passato in rassegna tutto il suo guardaroba più volte, non aveva trovato nulla di più adatto. Aveva anche pensato di non andare e probabilmente lo avrebbe fatto se non fosse stato per Joy che si aspettava di vederla lì. Si sistemò i capelli e si truccò, un po’ più del solito, ma senza esagerare. Indossò un décolleté nero con il tacco decisamente molto alto con delle rifiniture argentate, indossò un cappotto nero ed uscì. Non seppe se fu solo fortuna o se il suo aspetto aveva aiutato, ma trovò immediatamente un taxi, nonostante l’ora di punta ed il traffico. Era decisamente in ritardo.

- Allora Castle, cominciamo? - Gli chiese Gina seguita da Paula prendendolo in disparte.

- Dammi ancora qualche minuto, finisco di salutare delle persone e poi inziamo.

- Stai aspettando che venga la detective? Secondo me ti ha dato buca stasera. Però ci sono gli altri del distretto, andrà bene ugualmente, ci possiamo sempre inventare che è fuori a cacciare qualche spietato assassino. Farà colpo lo stesso! - Suggerì Paula prendendosi un’occhiataccia da Rick.

- Vado a salutare Bob, il sindaco, vedo che è appena arrivato. - Si sviò lui mentre le due donne lo osservarono scuotendo la testa.

Arrivata in hotel non ebbe bisogno di seguire i cartelli che indicavano dove sarebbe dovuta andare. Ricordava perfettamente il luogo, era passato un anno, circa, di quando era piombata lì, durante un’altra presentazione e fece quell’incontro che le aveva letteralmente stravolto la vita. Questa volta però non aveva il suo distintivo da stringere tra le mani, a cui aggrapparsi, anche se in realtà aveva pensato di metterlo nella borsetta, insieme alla pistola, non si poteva mai sapere, soprattutto con Castle nei paraggi.

Lasciò il soprabito all’entrata, diede il suo nome al ragazzo della security ed entrò in quella sala che era così diversa e allo stesso tempo simile alla volta precedente. Vide i drappi che coprivano installazioni alle pareti ed in mezzo alla sala, scosse la testa, pensando alla megalomania di Rick nel vedere alcuni suoi cartonati ad altezza naturale con un libro in mano, anche quello coperto e si chiese perché tutta questa segretezza su quella che sarebbe stata la copertina del libro. Avanzò nella sala ostentando una sicurezza che non aveva, soprattutto quando fu oggetto di qualche sguardo di troppo di chi probabilmente si chiedeva chi fosse, cercando qualche sguardo amico al quale aggrapparsi, che però non trovò.

- Finalmente sei arrivata mia cara! - Martha che l’aveva vista mentre era intenta a conversare con quello che aveva classificato come un buon partito poi non rivelatosi tale, l’aveva raggiunta e presa sotto braccio, Kate si sentì sollevata e preoccupata per l’esuberanza dell’attrice allo stesso tempo.

- Ciao Martha, scusami per il ritardo, fuori c’era un tale caos!

- Sì, immagino ed anche dentro te! - Le disse facendole l’occhiolino e fermando un ragazzo che portava le flûte di champagne per prenderne un paio, porgendone una anche a lei.

- Joy? - Chiese guardandosi intorno

- Richard ha creato un angolino un po’ riservato, è lì con Alexis e la tua amica Lanie, ma non aspettava altro che vederti! - Le indicò dove si trovasse e Kate, bevuto tutto in un sorso il suo champagne per darsi un po’ di coraggio, si diresse verso la direzione indicata da Martha, lasciando il bicchiere al primo cameriere che passava, senza fare più tanto caso a tutti gli sguardi che attirava dei presenti e dei fotografi.

- Mamma! - Esclamò Joy vedendola arrivare e correndole incontro in mezzo alla sala. La scena non catalizzò l’attenzione di molti, anche di Castle e stava parlando con il sindaco e si voltò per vedere Joy che andava incontro a Beckett.

- Ehy, piccola! Sei bellissima! - Le disse sua madre osservandola nel vestito che indossava con tanto orgoglio.

- Anche tu! - Rispose Joy guardando sua madre madre vestita così diversa dal solito.

- Allora tesoro hai finalmente trovato la strada! - Esclamò Lanie con tono di rimprovero uscendo fuori dal salottino riservato, ma Kate non le rispose, si limitò a roteare gli occhi e sospirare.

- Sei venuta, allora. - La voce profonda e fin troppo serie di Rick la colpì alle spalle, facendola girare di scatto.

- Credevi che non lo facessi? - Chiese Kate colpita dal suo tono.

- Non so, ultimamente faccio fatica a credere a tante cose.

- Visto che siamo tutti, direi che adesso possiamo cominciare, vero Richard? - La voce indispettita di Gina fermò la loro conversazione, non i loro sguardi che rimasero agganciati, anche quando la bionda prese sottobraccio Castle portandolo verso il palco e lui le fece un chiaro segno di seguirlo.

Kate rimase nei pressi del palco per tutto il tempo, durante il discorso di Gina e durante l’entra in scena di Rick, calatosi di nuovo meravigliosamente nei panni dello scrittore di successo adulato dal pubblico. Aveva un elegante smoking con revers lucidi, ma indossato senza papillon o cravatta, con i primi bottoni della camicia aperti e non riusciva a non pensare che era dannatamente sexy, con una faccia da schiaffi irritante in quel momento, forse perché le ricordava come era ai loro inizi, ma decisamente sexy. Alexis, Martha e Joy l’avevano raggiunta appena Rick era salito sul palco e Kate si era messa dietro sua figlia, abbracciandola per cercare quella tranquillità della quale aveva bisogno, soprattutto quando furono rivelate le copertine del libro e lei rimase letteralmente senza parole, lanciando occhiate di fuoco a Castle, che sembrava divertirsi molto in quel momento, ma anche a Gina e Paula tutte molto contente della reazione: non solo il suo personaggio aveva il nome di una spogliarellista, c’era anche la sua sagoma in copertina nuda con una pistola in mano e a peggiorare il tutto, ci fu l’innocente entusiasmo di Joy.

- Mamma hai visto che Rick ti ha messo nella copertina del libro? - Se l’aveva riconosciuta lei, l’avrebbero riconosciuta tutti e subito si voltò a vedere le facce ridenti e soddisfatte di Kevin e Javier che applaudivano e fischiavano. Aveva fatto decisamente bene a non portare la sua pistola o in quel momento avrebbe potuto veramente usarla in modo poco consono. La indicò, dal palco, etichettandola come “la sua musa”. Si guardarono per qualche istante e non sapeva se odiarlo oppure amarlo, o entrambe le cose, insieme. Disse anche altre cose su di lei e sui ragazzi del distretto, che però il suo cervello non riuscì a processare, occupata a ripensare a tutto il resto. Poi quando scese fu il momento delle presentazioni, breve, per la verità, ma la prese sotto braccio per farla conoscere al presidente della casa editrice e poi furono fermati da alcuni giornalisti, ai quali Castle rispose brevemente, annunciando che dopo ci sarebbe stato l’incontro con la stampa. Poi fu il turno del sindaco, del capo della polizia e di altri funzionari che erano molto di grado sopra a Kate ed anche al capitano Montgomery, che li aveva raggiunti. Incassare i complimenti dei suoi superiori, fu per Beckett motivo di imbarazzo ed orgoglio, ed a tutti ripeteva sempre le stesse parole, lei faceva solo il suo dovere, come sempre.

Lui si era allontanato, lasciandola tra i suoi compagni del distretto ed i suoi superiori. Joy aveva seguito Alexis e Martha tornando nell’area riservata, lo aveva perso, nella folla e non riusciva più a vederlo. Ascoltava distrattamente i discorsi che Montgomery e gli altri facevano, annuendo quasi a caso, mentre con lo sguardo andava oltre. Non ci mise molto, poi, a capire dove fosse, trovò un mucchio di persone, per lo più ragazze in abiti decisamente succinti, non che il suo fosse molto diverso, a dir la verità, che si accalcavano in una direzione e poco dopo la voce di Paula al microfono che invitava tutti a stare calmi, perché ognuno avrebbe ricevuto una copia del libro e Castle li avrebbe firmati tutti, libri e non solo, specificò ridendo.

Con la scusa di andare a vedere Joy si congedò dal gruppo e in realtà si avvicinò di più a dove era Castle. Un paio di ragazzi della sicurezza aveva formato una sorta di fila più o meno ordinata e lui in fondo sorrideva smagliante ad ogni persona che si poneva davanti, concedendosi per foto, autografi, collezionava bigliettini ed altro che metteva in tasca ammiccando. Ebbe un moto di nausea e di gelosia, soprattutto quando lui alzò gli occhi e la vide e sembrò in quel momento accentuare lo scambio di effusioni con la mora prosperosa davanti a lui, che provocatoriamente si era sporta per farsi abbracciare mettendo in mostra la generosa mercanzia e lasciandogli un’evidente macchia di rossetto sulla guancia. Poi Castle guardò Beckett e non fu un’impressione, ma le aveva proprio ammiccato con un sorriso beffardo. Scosse la testa con decisione mentre la guardava e poi se ne andò, tornando da sua figlia, decisamente stanca in braccio a Lanie che appena la vide lasciò che fosse lei a prendere Joy dandole il suo posto.

- Ehy amore, vuoi tornare a casa? - Le chiese Kate e Joy annuì.

Beckett la stava per portare via quando le raggiunse Gina.

- Potresti venire a rispondere a qualche domanda tra poco per la stampa? Il tuo capitano ci ha detto che sei la persona più giusta per questa cosa, visto che sei tu che hai collaborato direttamente con Richard, nonché la protagonista, se così possiamo dire…

Gina sapeva che che l’unico modo per convincere Beckett era farle capire che quello era un ordine che le veniva dall’alto, per il suo senso di dovere non avrebbe potuto rifiutare.

- Tra l’altro gli altri stanno andando via, quindi sei rimasta solo tu del distretto. - Continuò la bionda, mentre Kate accarezzava il viso stanco della sua bambina.

- Non ti preoccupare Katherine, porto a casa io Joy. - Si propose Martha.

- Sì, Kate, non ti preoccupare, vado anche io insieme alla nonna con Joy, tanto non c’è più nulla di divertente qui.

- Bene! - Esclamò Gina - Allora dico all’autista che state arrivando, così vi accompagna a casa e poi può tornare qui per prendere Rick a fine serata. Vieni Kate?

- Accompagno mia figlia alla macchina poi torno, non ti preoccupare, Gina. - Le disse piuttosto seccata.

- Kate, l’accompagno io giù, non ti preoccupare. - Si propose Lanie e anche Joy le disse che non c’era bisogno. Le diede quindi un altro bacio e l’abbracciò, scusandosi all’orecchio se non era stata presente come avrebbe voluto, ma sua figlia per tutta risposta le diede anche lei un bacio dalla mascherina e Kate non capiva perché per Joy tutto quello che faceva, sembrava andasse sempre bene. Martha la prese per mano e poi lasciò una carezza sulla spalla di Kate mentre anche Alexis che si allontanava con loro la salutò, il tutto sotto gli occhi di una Gina impaziente di avere la sua ospite d’onore e non faceva nulla per nasconderlo.

- Andiamo Beckett? - La incalzò ancora e Kate sbuffando la seguì in una stanza attigua dove Rick era già al centro della scena, perfettamente a suo agio con tanti giornalisti intono vicino ad una gigantografia della copertina del libro che gesticolava e rideva allegramente, spiegando della sua collaborazione con la polizia. Gina portò anche Beckett lì al centro della mischia e Rick appena la vide con molta nonchalance le prese la mano avvicinandola a se e presentandola a tutti.

- Signori, come vi ho già detto lei è il detective Kate Beckett, del dodicesimo distretto, il miglior detective della città, e non solo perché ha sopportato per mesi la mia splendida compagnia nelle sue azioni quotidiane. Lei è la donna in carne ed ossa che c’è dietro il personaggio di Nikki Heat.

Kate arrossì visibilmente, molto a meno agio di lui a stare in quella situazione, perché lei, di solito, le domande le faceva, non le riceveva. Andò tutto bene, alla fine, visto che la maggior parte delle cose che le chiedevano riguardavano il suo lavoro e la collaborazione con Castle, come fosse stato lavorare con un civile e Rick spesso riempì le risposte sue più stringate con aneddoti e divertenti, molti dei quali Kate nemmeno ricordava più, che la fecero ridere di gusto, mentre tutti rimasero sorpresi che nemmeno lei, ancora, aveva letto il libro e quindi non poteva dare alcun tipo di anticipazione.

Fu tutto molto più semplice e meno preoccupante di quanto si immaginava, soprattutto perché in quei frangenti, Castle era ritornato ad essere con lei molto complice, la teneva vicino a se, faceva battute e scherzava come se nulla fosse, facendola sentire a suo agio e rilassandola non poco. Quando, però, Gina disse che il tempo per la stampa era finito e giornalisti e fotografi se ne andarono piano piano, Castle riprese il suo atteggiamento distaccato.

- Grazie, allora per essere venuta.

- Prego, non è stato poi così male. - Provò a continuare la conversazione, ma lui non sembrava interessato.

- Già, ci si abitua. C’è di peggio. - Le disse allontanandosi e tornando nella sala principale, seguito da Gina e Paula che non lo lasciavano un attimo. Quando tornò anche lei di là, lo vide di nuovo circondato dalle ultime ragazze rimaste, quelle che aspettavano fino alla fine della festa, con un motivo fin troppo chiaro che si leggeva nel volto di ognuna di loro. Castle sembrava non dare particolari speranze a nessuna, ma nemmeno rifiutava le avances di nessuna, in un modo di flirtare che sembrava collaudato nel tempo, riusciva ad ammaliare tutte senza concedersi veramente a nessuna, lasciando credere però a tutte il contrario. E non sapeva perché stava lì, ferma vicino ad una colonna a guardarlo, a torturarsi nel vederlo chiacchierare languidamente con una o un’altra ragazza che non perdeva occasione per infilargli qualche bigliettino nella tasca della giacca, e riusciva a vedere i suoi sorrisi ed i suoi occhiolini, le parole sussurrate all’orecchio e le risatine, tra un bicchiere di champagne e l’altro.

Lo detestava in quel momento eppure le veniva da piangere.

- Richard Castle è un animale da festa. Non ho mai conosciuto nessuno scrittore che riesce ad intrattenere pubblico, giornalisti e fan come lui. Sembra più un attore consumato per come gestisce il suo pubblico, non ti pare? - Gina le si era avvicinata porgendole un altro bicchiere di champagne che Kate accettò meccanicamente.

- Sì, ci sa fare.

- Tutte quelle ragazze lì, sperano tutte di uscire da qui con lui questa sera, ci saranno i fotografi fuori ad aspettarli e per qualche giorno i giornali non parleranno altro che della nuova fiamma di Castle, poi farà come sempre, ci andrà una sera, forse due e non la rivedrà più, probabilmente. Rick è sempre stato così con le donne, incostante…

Kate annuì e sospirò mentre Paula chiamò Gina per parlare con qualcuno sui futuri impegni di Castle e mentre aveva lo sguardo basso sul bicchiere tra le mani, non si accorse che anche lui, adesso, la stava osservando, oltre le spalle di una bionda che l’abbracciava e gli diceva qualcosa di cui in quel momento non aveva il minimo interesse.

- Pensavo fossi tornata a casa. - Le disse Castle avvicinandosi in un momento in cui fu lasciato libero.

- Sì stavo andando infatti. - Rispose lei cercando di avere un atteggiamento il più neutrale possibile.

- Se aspetti ancora un po' ti do un passaggio. Saluto un paio di persone e poi andiamo.

- Non ti star a preoccupare, Castle. Non voglio rovinarti la serata e l’uscita di scena con la ragazza di turno. - Disse tirando fuori un tono molto più acido di quello che avrebbe voluto. Lui sorrise amaro.

- Non ho intenzione di portare nessuna ragazza fuori. Mi dispiace che pensi questo di me, ma capisco tutto, adesso. Comunque l’invito è sempre valido. - Le parlò con tono sprezzante e Kate potè vedere delusione e dolore nei suoi occhi e nelle sue parole. Avrebbe voluto dirgli che non pensava quelle cose di lui, ma non ne ebbe modo.

Uscì dalla sala andando a recuperare il suo soprabito dal guardaroba e poi scese sola verso il piano terra. Anche se ormai era notte fonda, c’era sempre un grande via vai nella hall dell’hotel che oltre quell’evento ne ospitava un altro al piano terra e che proprio in quel momento stava terminando e una gran quantità di persone stava andando verso l’uscita. Trovare un taxi sarebbe stata un’impresa, pensò amaramente. Decise quindi di allontanarsi a piedi da lì e camminare un po’ provando a fermarne uno per strada. I pensieri affollavano la sua mente e le immagini di Castle si susseguivano ed ognuna era come un pugno che la colpiva con forza: non sapeva se le facesse più male vederlo flirtare con tutte quelle ragazze, il suo sguardo triste e deluso o il ricordarsi di loro insieme, come la guardava mentre la baciava e le diceva che l’amava e poi tornava a pensare alla sua distanza, a come le aveva voltato le spalle appena finito l’incontro con la stampa, come se non fosse nessuna, come se non fosse niente. Si accorse che stava piangendo quando sentì il sapore salato sulle labbra e si appoggiò al muro di un vicolo, per riprendere fiato.

Aveva quasi aggredito due ragazzi che si erano avvicinati solo per chiederle come stava e se avesse avuto bisogno di qualcosa, scambiandoli per male intenzionati, poi aveva ripreso a camminare lentamente quando si sentì chiamare.

- Beckett, se vuoi posso accompagnarti a casa, sempre che ti fidi e che non pensi che voglio approfittare di te. - Castle aveva abbassato il finestrino della limousine che procedeva lentamente costeggiando il marciapiede, seguendo il suo ritmo. Si fermò a guardarlo ed annuì avvicinandosi alla macchina: stava solo accettando un passaggio, si disse. Solo quello.

Entrò e si sedette nel divanetto davanti a lui, stando bene attenta a non sfiorarlo nemmeno.

- Grazie.

Fu l’unica parola che disse, mantenendo poi lo sguardo basso e le mani giunte davanti a se, lui, invece, la guardò per tutto il tempo.

- Siamo arrivati. - Le disse ridestandola e facendole alzare gli occhi. Lei non se ne era nemmeno accorta, aveva perso completamente il senso del tempo e dello spazio, chiusa nei suoi pensieri per cercare di essere il più possibile lontana da lui e da quella situazione, troppo stretta per contenere quello che poteva nascere se i loro sguardi si fossero incrociati, qualsiasi cosa fosse stata.

Scese prima di lui, senza aspettare alcun gesto di cavalleria da parte sua, e sarebbe voluta correre via, ma lo aspettò con il portone aperto, solo per non fare la figura della maleducata. Pensò anche di fare le scale a piedi perché dividere con lui l’ascensore era troppo, ma doveva avere un po’ di contegno ed evitare passare per una ragazzina capricciosa. Erano solo due piani, poi sarebbe scesa, cosa poteva succedere nel tempo di fare due piani in ascensore?

Le porte si aprirono e lei rimase a guardarle senza trovare il coraggio di uscire. Castle alle sue spalle non le disse niente, le osservò richiudersi. Erano entrambi fermi in un ascensore chiuso e nessuno aveva il coraggio né di salire né di uscire per andare a casa. Fu Kate a rompere la situazione di stallo, voltandosi e guardandolo per la prima volta, veramente, da quando erano alla festa. Non aveva più quel sorriso beffardo e gli occhi non erano luminosi come sempre. Gli prese la mano e lui la lasciò fare, poi premette il pulsante per aprire le porte e Rick la seguì, girando l’angolo del corridoio, fino all’entrata del suo appartamento.

- Aspetta. - Le disse mentre cercava le chiavi per aprire la porta di casa e per Kate fu come ridestarsi da quello stato di trance che le aveva fatto trovare il coraggio di fare quel gesto. Si spaventò della voce di Castle, come se fosse la prima volta che la sentiva in vita sua. - Cosa vuol dire questo per te Beckett?

Lo guardò senza sapere cosa rispondergli, cercò una risposta dentro di sé, cercò quella verità che faceva male da dire a se stessa prima che a lui.

- Non voglio perderti. - Sospirò.

- Non voglio averti così. Non una notte e basta, ogni tanto… come… come una cosa non importante. Non è solo sesso per me, Kate… Non con te… - Le disse facendo un passo indietro allontanandosi da lei. Kate era davanti ad un aut aut, chiuse gli occhi respirando più profondamente e sentì i suoi passi allontanarsi.

- Aspetta, per favore… tu sei… importante, per me… - Aprì gli occhi e si era fermato. - … Rimani…

- E poi? Domani? Devo fare finta di niente? Devo vederti e pensare che vorrei baciarti e non posso farlo? Che devo aspettare il prossimo momento di difficoltà, quando ti sentirai vulnerabile, per stare con te ed elemosinare un po' del tuo amore? Non voglio questo, Kate. Il mio amore per te vale di più di questo.

- Ti chiedo solo un po' di tempo, per Joy, per capire cosa ne pensa, per spiegarglielo con calma… Solo questo, Rick ma.. non voglio perderti.

Non gli aveva detto di più, non con le parole almeno, non quello che lui voleva sentirsi dire. Però non sapeva se gli fosse realmente bastato, se la voglia di lei era troppa così come quella di credere che dietro la mano che aveva allungato verso di lui c’era di più, che quel rimani non era per una notte, nel suo letto, era per un periodo più lungo e per un altro luogo. Così Castle colmò la distanza tra di loro, perché tutto quello era una tortura anche per lui,  spingendola sulla porta, baciandola lì nel corridoio e prese le chiavi dalle sue mani per aprire e darle solo il tempo di entrare e richiudere, e continuare all’interno quello che avevano iniziato fuori, un bacio disperato, sorretto dal muro di quella casa dove lei era spinta con forza da lui che la baciava con passione e bramosia, succhiando e mordendole le labbra, imprigionate nelle proprie, non dandole tregua e respiro, in un continuo rincorrersi di lingue e sensi, dal quale ne uscirono con il fiato corto.

- Promettimi solo una cosa Castle… Joy… qualunque cosa accada tra di noi… tu ci sarai per lei e non me la porterai via, vero?

Rick vide la vera paura nei suoi occhi e la abbracciò, lasciando che si appoggiasse sulla sua spalla, un riparo sicuro, un posto dove le sembrò di trovare pace, dove smise di correre contro se stessa e si fermò.

- Stai tranquilla Beckett. Non succederà mai.

Si baciarono di nuovo, e fu un bacio diverso, Rick stava suggellando la sua promessa ed il suo impegno sulle labbra di lei. Fosse dipeso da lui, non avrebbe mai lasciato nessuna delle due.

- Sai… credo proprio che dovrò infrangere la mia promessa questa sera… - Le disse mentre ancora tra una parola e l’altra le dava piccoli baci sulle labbra. Lei lo guardò incredula, allontanandosi appena per cercare di capire cosa stesse dicendo.

- … Penso che non posso evitare di approfittarmi di te… - la vide sorridere e scese a baciarla sul collo e sulle spalle, togliendole il soprabito che ancora indossava, appoggiandolo sul tavolo vicino a loro. - … ti guardavano tutti questa sera… e non perché eri Nikki Heat, ma perché eri la più bella di tutta la festa… avrei voluto baciarti da quando ti ho visto arrivare… e picchiare quel giornalista del Ledger che ti spogliava con gli occhi…

Le parlava tra un bacio e l’altro mentre percorreva la linea delle spalle: sussurrava sulla pelle di Beckett e quel misto tra il suo respiro caldo sulla pelle umida dei suoi baci le provocava brividi incontrollati.

- Non dovresti essere tu ad essere geloso. Per tutta la sera ti si sono strusciate addosso tutte le ragazze della sala. Hai ancora il loro rossetto ed il loro profumo sulla camicia… - Gli disse Kate mordendosi la guancia nervosa fissando il pavimento. Rick si spostò un po’ da lei che temette si fosse arrabbiato per quelle parole dette in preda a quei freschi ricordi frustranti. Le sollevò il viso per far si che la guardasse, si tolse prima la giacca e poi la camicia, buttandole sul tavolo dove era il suo soprabito. Kate appoggiò entrambe le mani sul suo petto, accarezzandolo dolcemente, salendo sulle spalle e poi scendendo lungo le braccia, prendendogli le mani.

- Scusami… io… non sono facile. Non è niente facile… Vorrei lo fosse… Ti amo Castle e…

- Non aver paura Beckett, non di me, non di noi.

Lo tenne per mano e lo portò verso la camera da letto, lui la seguì e in quel momento l’avrebbe seguita ovunque avesse voluto andare. Lo fece sedere sul bordo del letto, portandosi le mani di lui sul fondo schiena, verso la zip bassa del vestito che lui aprì senza staccare i suoi occhi da quelli di lei, avvicinandola a se, baciandola tra i seni, nella profonda scollatura. Kate gli sussurrò di sdraiarsi e lui lo fece, armeggiando un po’ maldestramente per togliersi le scarpe e le calze, ma quando arrivò ai pantaloni lei lo bloccò e lui la guardò perplesso, ma gli bastò quel suo sorriso malizioso ed imbarazzato contemporaneamente, che non sapeva come poteva riuscirsi, ma era così eccitante, che le diede ascolto. Così la guardò mentre lasciava scivolare via il vestito, sotto il quale indossava solo un succinto perizoma. Risalì lentamente sul letto e su di lui, prendendogli il volto tra le mani, cominciando a baciarlo sugli occhi, sulle guance fino ad arrivare alle labbra, baci lenti, lunghi, carezze sulle pelle fatte con le labbra, mentre le mani lo tenevano come per non lasciarlo mai andare via ed ogni tanto si fermava per guardarlo e poi ricominciare. Lo voleva, lo desiderava, ma ancora di più voleva amarlo, voleva farlo sentire amato e non solo perché si sentiva di dovergli almeno questo, ma perché voleva dimostrare a se stessa che era in grado di farlo, di andare più in là, oltre quella che era e che lo faceva per lui e per se stessa e per tutto quello che sarebbe potuto esserci. Rick la lasciò fare, assecondandola in ogni sua azione, stringendola a se, aveva capito il suo bisogno di agire, di dimostrare qualcosa a se stessa e a lui, e non aveva alcuna intenzione di fermarla, nemmeno quando le sue mani gli lasciarono il viso esplorando il resto del suo corpo, spogliandolo piano dei vestiti e dei dubbi, mentre lei si spogliava delle sue paure, per lui, l’uomo che era riuscito a farle superare i suoi ostacoli, i suoi pensieri, che l’aveva ridestata da un apatia emotiva che l’aveva avvolta per troppi anni e poi gli offrì tutto di lei, senza il minimo pudore. E lui la guardò, sospirò con lei, senza chiedere, senza decidere, senza obbligarla, assecondandola. Capiva quello che il suo corpo, la sua pelle ed i suoi occhi gli stavano dicendo, danzando piano su di lui, come se ogni movimento era solo un cercare di fargli capire che non era solo una notte, era solo un inizio. Si prese tutto quello che lei voleva dargli, tutta se stessa, fino a quando lei non sentì arrivare il piacere, che trattenne più a lungo possibile, fino a quando non lesse l’urgenza negli occhi di Castle e percepì come  anche lui fosse arrivato al limite, da come strinse i suoi fianchi ed allora dolcemente rilasciò i muscoli che lo stringevano dentro di se, e si fece cogliere dal dolce tremito del piacere più sublime che investì anche lui, incapace di aspettare ancora. Si abbandonò su di lui, spossata, sfinita, fisicamente ed emotivamente. Rick le catturò le labbra ansimanti in un bacio profondo ed esigente, ribaltando le loro posizioni, mettendosi al suo fianco, sopra di lei, continuando a baciarla tra il rumore dei loro cuori,  tamburi che non sembravano voler rallentare il loro ritmo incessante e forsennato. Coprì il corpo accaldata con il lenzuolo fresco che le generò altri involontari brividi.

- Cosa stai facendo? - Gli chiese vedendolo alzarsi, tirandosi su il lenzuolo fin sotto le braccia, come in un inopportuno gesto di pudore causato dalla sua reazione inaspettata.

- Torno al loft. - Le rispose senza guardarla.

- No! Rimani, non te ne andare. Voglio svegliarmi con te, domattina. - Lasciò cadere il lenzuolo avvicinandosi a lui tanto che Rick potè sentire il calore delle vicinanza del suo corpo nudo sulla schiena

- Ne sei sicura?

Non gli rispose. Gli tolse i boxer dalle mani, buttandoli in un punto imprecisato della stanza e lo prese per le spalle, trascinandolo giù con lei. Aveva bisogno di lui quella notte, della sua presenza, di ritrovarlo lì quando si fosse svegliata. Era un’egoista necessità per capire che era vero, che aveva fatto quel passo in più e che la direzione era giusta. Aveva bisogno di essere stretta e di sentire qualcuno che le dicesse che sarebbe andato tutto bene, perché aveva appena messo tutto il suo cuore come posta in palio di un gioco che non avrebbe mai contemplato di finire in pareggio. Avrebbe vinto o perso tutto.

- Non è solo una notte, Castle, non lo è mai stato per me. È più importante. È di più… e proprio per questo ho tanta paura… - gli sussurrò baciandogli il petto dove era appoggiata, e si addormentarono poi abbracciati, con il viso di lui tra i capelli di lei ed il cuore che batteva tra i battiti di lei.

Kate si svegliò appena la stanza fu investita dalla luce che passava dalle grandi finestre della stanza rimaste aperte, nessuno aveva pensato alle tende la notte prima ed in realtà aveva pensato a ben poco che escludesse loro stessi. Si alzò per chiuderle mentre Rick ancora dormiva senza accorgersi di niente: sbuffò solo quando percepì la sua assenza, ma poi si voltò prono, allargandosi e occupando quasi tutto il letto, andando alla ricerca con il volto del cuscino di lei, scoprendosi e lasciando alla vista di Beckett l’ampia schiena fino alla linea dei suoi glutei.

Kate non chiuse le tende del tutto, lasciò una fessura per permettere ad un po' di luce di filtrare e lasciarle la possibilità di osservare il suo corpo, mordendosi il labbro e lasciando andare i pensieri che vagavano indisturbati verso angoli della sua mente dove custodiva i suoi desideri più privati.

Si sdraiò di nuovo vicino a lui, nel poco spazio che le lasciava, ma non era una parte vuota di letto che cercava, ma lui. Non aveva bisogno del cuscino, si appoggiò sul braccio di Rick e cominciò ad accarezzargli dolcemente la schiena, seguendo la linea del suo fisico, fino ad arrivare al glutei e poi spostando lo sguardo più giù, sulla forma delle gambe, possenti, che si intravedeva dalle lenzuola: non voleva svegliarlo, ma non poteva resistergli. Avrebbe voluto avere braccia abbastanza grandi per poterlo contenere tutto, come lui aveva fatto con lei, ma era impossibile e le venne da sorridere mentre si sforzava per abbracciarlo.

Si lasciò andare, rilassandosi, pensando a quegli ultimi giorni e alle ultime ore, a tutto quello che aveva provato e che era successo, a quello che implicitamente gli aveva promesso chiedendogli di restare, di non andarsene, implorandolo perché non voleva perderlo. Lo sapeva cosa voleva dire tutto quello, ma dirselo e dirglielo era diverso, era mettere un punto a quello che erano, definirsi, e la cosa ancora la spaventava. Per questo aveva preferito dirgli tutto quello che non era: non era solo una notte, non era una cosa poco importante, non era solo sesso, non era come con tutti gli altri. Però non aveva ancora detto cosa erano.

Lo sentì muoversi e lo lasciò libero di farlo, si voltò ancora, si stava svegliando. Lo osservò portarsi le mani sul viso, stropicciarsi gli occhi e poi aprirli piano. Sembrò sorpreso di trovarsi lì, come se non se lo aspettasse, si guardò intorno stupito fino a quando non la vide alla sua destra, seduta sul letto, che lo guardava a sua volta. Gli fece un sorriso tirato mentre lui si passava le mani tra i capelli.

- Va tutto bene? - Gli chiese preoccupata e lui senza dire nulla si tirò su nel letto, mettendosi quasi seduto e respirando lentamente. La osservava con la testa leggermente inclinata, era nervosa, lo vedeva da come muoveva rapidamente gli occhi e dalla bocca contratta in una smorfia.

- No… mi manca qualcosa… - Si sollevò e la raggiunse, baciandola sulle labbra lentamente mentre lei rimaneva immobile. Poi tornò ad appoggiarsi alla testiera del letto e ad osservarla mentre con una mano le accarezzava una coscia, sfiorandola solo con le dita

- Ora va molto meglio. - Le disse serio. Rimase colpito dal turbamento negli occhi di lei, nel vedere la sua fragilità e la sua insicurezza. - Ehy… vieni qui…

Non se lo fece ripetere, lasciandosi accogliere dalle sue braccia, rifugiandosi nel suo petto, nascondendosi anche a lui stesso. Odiava essere così, odiava farsi vedere così e non sapeva che invece lui amava anche questo di lei.

- A cosa stai pensando Kate? - Le chiese dopo un lungo silenzio.

- A tutto. - Rispose contro la sua pelle.

- Ci sono anche io nel tuo tutto? - Chiese sorridendo.

- Hai dei dubbi? - Si tirò su per guardarlo, per capire se fosse serio oppure no e vide i suoi occhi blu più chiari del solito, splendere.

- No. - le sussurrò.

- Nemmeno io Castle.

Non c’era più petto di Rick sotto di lei, ma la stoffa calda delle lenzuola che avevano assorbito il calore di corpo di Castle e lui era sopra di lei. Sapevano tutti e due cosa sarebbe successo in quel momento, volevano tutti e due la stesse cosa, volevano loro.

- Ti prego, sorridi. - Le disse e con i pollici provò ad alzarle gli angoli della bocca, facendola sorridere veramente.

- Mi piace baciarti quando sorridi. - Si giustificò, dimostrandoglielo, baciandola più volte, in modo molto più casto di quello che lei si aspettava in quella situazione, quando niente era in mezzo ai loro corpi nudi, già perfettamente allineati. Non era tempo, ancora, non secondo lui, che voleva godere di tutto di lei in quel momento. Delle sue paure, delle sue fragilità, del suo pudore che si mescolava con la voglia di lui che la faceva fremere come una foglia al vento, ad ogni tocco, ogni volta che si abbassava di più su di lei e sentiva la sua pelle calda, il suo respiro che la accarezzava, il suo profumo più intenso che sapeva di lui ed anche di loro, di poche ore prima.

Non era come era stato le altre volte, non era un momento rubato alla vita, qualcosa da circoscrivere in un attimo, un conforto, una passione incontrollabile, un amore furtivo. Ed ora non c’era fretta o frenesia, non dovevano limitarsi e controllarsi, non lo avrebbero vissuto come un momento da mordere e strappare via famelici, lui non voleva questo, non solo questo. Si prese tutto il tempo per farla sentire amata, come aveva fatto lei con lui la notte prima.

Kate sentì la sua lingua percorrere il suo corpo e le sembrò che i suoi sensi fossero storditi da lui, mentre disegnava la linea del suo seno. Le scappò un sospiro e un gemito, più forte degli altri che compiacque Rick: non c’era motivo di nascondere i sentimenti e le emozioni a se stessa ma anche a lui, a celare il piacere che le provocava, fisicamente e non solo, era questa la differenza, adesso, perché si era convinto a lasciarlo entrare in una parte più profonda di sé, più intima, più inaccessibile: non sarebbe stato più niente come prima, adesso: Kate sentì solo il suono affrettato del suo respiro, il peso del corpo di lui su di sé, il loro sudore sulla pelle che si mescolava ed l’odore dei loro corpi che emanavano sesso e amore, che sussultavano per il piacere.

Rick era abbandonato sul suo corpo, spossato, fermo, ancora dentro di lei, respirava profondamente con il viso che incontrava l’incavo del collo di Kate e le loro mani con le dita intrecciate sopra le loro teste: stavano cerando di riprendere fiato e di ricomporre le loro emozioni, riportandole nei giusti binari, dopo averle lasciate andare libere di esplorarsi, senza vincoli.

Kate poi sciolse l’intreccio delle loro mani per abbracciarlo e cominciò ad accarezzargli lievemente i capelli e Rick si rilassò al punto che dopo poco chiuse gli occhi e si addormentò tra le sue braccia, lasciandola sola con i suoi pensieri da ordinare.

- Si staranno chiedendo che fine hai fatto… - Non aveva smesso per un attimo di accarezzarlo, nemmeno quando aveva dormito per quel breve periodo, ed ora che lui si era svegliato di nuovo e si era spostato da sopra di lei, quasi si sentisse colpevole per averla sommersa con il suo corpo, continuava ancora, mentre la guardava, appoggiato su un fianco.

- Mia madre si sarà inventata qualcosa…

- Anche per me? - Chiese controllando l’orario, molto più tardi di quando, solitamente, passava a dare il buongiorno a Joy.

- Non credo ci abbia messo molto a capire. - La rassicurò lui. - Cosa ti preoccupa?

- Tutto vale come risposta? - Chiese lei mordendosi il labbro.

- Beh, è un po’ generica, nello specifico?

- Se Joy dovesse prenderla male? Come facciamo? Io…

- Perché dovrebbe prenderla male? - La interruppe - Mi vuole bene, sta bene quando siamo tutti e tre insieme, perché ti preoccupi di questo?

- Perché sembra tutto troppo perfetto Rick… e le cose perfette non esistono, e mi fa paura perché…

- Basta! - Le disse un attimo prima di baciarla per farla smettere di parlare.

- Se sembra tutto perfetto, vuol dire che lo sarà. Ti amo, ed amo Joy, spero che questo sia sufficiente per te.

Fu lei a baciarlo in quel momento.

- È più di quanto potessi immaginare Castle e scusami se non sembra che… che io lo apprezzi… Ti amo anche io…

Beckett si fece una doccia velocemente, evitando che Castle la seguisse, perché già sapeva in caso contrario cosa sarebbe accaduto, sarebbe diventata una doccia molto lunga e con molte distrazioni. Gli consentì di farla appena ebbe finito lei, recuperò il suo smocking e si rivestì, si sentiva un po’ inadeguato vestito così, mentre lei decisamente più casual le porgeva una tazza di caffè fumante che bevvero in silenzio seduti al bancone della sua cucina. Il profumo dell’aroma tostato aveva riempito l’ambiente ed anche i loro silenzi. Rick allungò le dita dalla sua tazza per accarezzare quelle di lei che tenevano ferma la propria e Kate alzò lo sguardo verso di lui, si sorrisero tra i vapori del caffè. Era eccezionalmente tutto normale.

Salirono insieme al loft, senza privarsi di qualche bacio in ascensore, per poi ricomporsi, prima di entrare, ma il sorriso dai loro volti, quello non lo cancellò nemmeno l’imbarazzo di trovarsi Martha che li accoglieva con lo sguardo di chi aveva già capito tutto.

- Non ho nemmeno bisogno di chiedervi se avete passato una bella serata, perché la cosa mi pare più che evidente dalle vostre espressioni! - Esclamò l’attrice

- Mamma! - La riprese Castle mentre Kate abbassava lo sguardo imbarazzata.

- Andiamo Richard, non con quegli sguardi e quei sorrisi lì, chi volete prendere in giro! Ah io sono molto felice per voi, anzi era ora che la smettevate di comportarvi come dei ragazzini perché…

- Mamma, per favore… non è il momento… io… io devo andare a togliermi questo coso… - Disse nervoso indicando lo smoking.

- Joy? - Chiese timidamente Kate.

- È di sopra, con Alexis… Ha chiesto di voi, le ho detto che Richard ti stava aiutando con il trasloco… - Le fece un occhiolino a cui rispose con un sorriso riconoscente prima di salire le scale per andare da sua figlia, mentre l’attrice si avvicinò alla camera di Rick, bussando sua alla porta.

- Da quando in qua bussi mamma? - Chiese Castle ironico.

- Da questa mattina. - Rispose lei entrando. - Allora?

- Allora cosa? - Chiese mentre cercava una camicia pulita da mettersi sopra un più comodo paio di jeans.

- Sai cosa voglio dire, Richard. È una cosa seria? Perché sai vero che in questo caso le parti coinvolte sono più di te e lei e non puoi giocare, ragazzo.

- È una cosa seria, mamma. Lo è sempre stata per me. - Rispose abbottonandosi la camicia.

- Avete già pensato a come lo direte a Joy? A cosa fare?

- Non ancora… Kate… ci vuole pensare, vuole capire come la prenderà prima…

- Come vuoi che la prenda? - Chiese agitando le mani come se si stesse parlando dell’ovvio - Quella bambina non aspetta altro che avere la sua famiglia con voi! Come fate ad essere così ciechi ragazzi miei?

- Alexis? - Chiese poi Rick a sua madre.

- Se tu sei felice, tua figlia è felice per te. Vuole bene a Beckett, adora Joy, di certo non è per lei che ti devi preoccupare.

- E di cosa mi dovrei preoccupare mamma? - Le chiese mentre stava uscendo, non sapendo nemmeno lui perché le aveva fatto quella domanda, ma improvvisamente sentiva un profondo senso di inquietudine.

- Di essere felice e di rendere felice le persone che ami, di solito ti riesce piuttosto bene, Richard.

- Ciao mamma! - Joy guardando la tv sul letto insieme ad Alexis che appena vide Kate la salutò un po' imbarazzata e le lasciò il posto.

- Ciao piccola…

- Come è andato il trasloco? Avete finito? - le chiese curiosa. Alexis sorrise guardando Kate che arrossì.

- Quasi. Ancora dobbiamo portare un po' di cose ma… siamo a buon punto. - disse guardando Alexis che capì a cosa si stava riferendo Kate che c’entrava ben poco con la casa ed il trasloco. Poi la giovane le lasciò sole dicendo che doveva andare a studiare.

- Allora, ti è piaciuta la festa di ieri? - chiese a sua figlia che annuì con poca convinzione.

- Sì… un po' noiosa però… Rick non l’ho visto quasi mai e nemmeno te… - Kate si sedette vicino a lei e le prese la mano.

- Ti prometto che quando starai meglio faremo una bellissima festa e staremo tutti insieme, sempre. Ti piace come idea?

- Stare insieme? Anche con Rick?

- Lo invitiamo? Che dici? - Le chiese sorridendo.

- Sì, lo invitiamo. Io sono felice quando c’è anche lui.

- Sì, lo sono anche io… - Kate si sentì sollevata, Joy annuì e poi si appoggiò al letto. Beckett la guardò, le sembrava diversa, stanca…

- Joy, stai bene? - le chiese preoccupata e la bambina annuì poco convinta. Kate le accarezzò la fronte, sentendo subito che scottava, molto. - No che non stai bene, amore mio… sei bollente, Joy perché non me lo hai detto subito?

- Non volevo farti preoccupare. Ho freddo…

Kate la avvolse subito in una coperta presa dall’armadio e poi la prese in braccio scendendo velocemente le scale. Rick e Martha stavano uscendo dalla camera di lui, guardarono Kate con aria interrogativa.

- Ha la febbre alta Castle! - disse Kate concitata e Rick le sentì subito la fronte, concordando con lei.

- Andiamo, chiamo il dottor Thompson per strada!

Prese le chiavi della macchina e di casa al volo dalla ciotola porta oggetti e tutti e tre uscirono dal loft.

Rick guidò più velocemente che potè verso l’ospedale, mentre Kate seduta dietro teneva Joy sdraiata sulle sue gambe. Incrociarono i loro sguardi alcune volte dallo specchietto retrovisore, senza dirsi nulla. Aveva provato a chiamare il dottore più volte, ma non aveva mai risposto e alla fine si era spazientito ed aveva buttato il cellulare nel sedile vicino, facendolo rotolare sul tappetino dell’auto, in un incontrollato gesto di stizza.

- Joy Johnson, dieci anni, è una paziente del dottor Thompson, ha avuto un trapianto di midollo ed ora ha la febbre alta. - disse Castle concitato all’accettazione del pronto soccorso mentre Kate teneva Joy stretta in braccio.

- Lei è il padre? - chiese la donna all’accettazione.

- Io ho la bambina in affidamento.

- Richard Castle, giusto? - Disse la donna leggendo sullo schermo.

- Sì, esatto. - Rispose concitato con un atteggiamento in netto contrasto di quello che a lui sembrava fin troppo calmo della donna con la quale interagiva.

- Lei è sua moglie? - Disse poi indicando Beckett.

- No lei è… è la madre della bambina.

La donna annuì e controllò ancora i dati sul computer.

- Non risulta nessuna madre della bambina dai nostri dati.

- È la madre biologica di Joy. - Scandì Castle irritato.

- Mi dispiace, ma non ci risulta, se vuole può prendere lei la bambina ed andare dentro.

Rick e Kate si guardarono, tra i due il più dispiaciuto sembrava proprio lui, ma Beckett non perse tempo, mise Joy tra le sue braccia, le diede un bacio e poi lo guardò mentre la portava di là dalle porte della sala d’attesa. Rimase per qualche minuto lì in piedi a fissare la porta oltre la quale Castle aveva portato sua figlia, poi uscì da lì perché sentiva che le mancava l’aria. Si appoggiò con la schiena contro la parete esterna della struttura, vicino all’entrata, coprendosi il volto con le mani e poi passandosele tra i capelli, mentre vicino a lei era un continuo via vai di persone più o meno preoccupate, ognuna isolata nei loro problemi.

- Ehy, sei qui! - Castle la raggiunse concitato e con il fiato corto. Sembrava avesse corso e probabilmente era proprio così. - Ti ho cercata dentro ma non ti ho visto, ti volevo chiamare ma il telefono…

Stava perdendo tempo in chiacchiere inutili, se ne rese conto da solo.

- Joy…  - Beckett provò a richiamare la sua attenzione.

- Non c’è da preoccuparsi, ha la febbre, ma hanno detto che non è nulla di grave. Le stanno facendo una terapia per abbassare la febbre e per sicurezza le hanno fatto tutte le analisi, tra poco porteranno i risultati ma hanno detto di non preoccuparsi. Sta dormendo adesso.

- Hai parlato con Thompson? - Chiese ancora.

- No, era in sala operatoria, lo hanno avvisato, passerà dopo.

Kate annuì appoggiandosi di nuovo contro il muro, guardando verso l’alto e sospirando profondamente.

- Vieni qui… - La prese e la fece appoggiare a se e lei lo lasciò fare, abbandonandosi sulla sua spalla e facendosi abbracciare. - … Non è niente di grave, ok? Stai tranquilla… Ho parlato con i medici sopra, quando vuoi puoi andare da lei, non ci sono problemi. - Le diede un bacio tra i capelli mentre aspettava che si sfogasse e si calmasse.

Era la prima volta per Kate. La prima vera preoccupazione da madre, la prima volta che aveva qualcuno che la sostenesse, come stava facendo ora Rick, che si poteva appoggiare a qualcuno e che sentiva di non dover portare il peso di quello che aveva dentro da sola e non sapeva come fare nemmeno a lasciarsi andare, sempre troppo abituata a dover resistere a tutto senza contare su nessuno. Si prese qualche istante respirare, al resto avrebbe pensato poi.

- Come ho già detto a Richard, non vi dovete preoccupare. Per fortuna non è nulla di grave e soprattutto Joy ha reagito splendidamente al trapianto. Ho preso ora le sue analisi e sono ottime considerando il suo stato. State tranquilli.

Avevano incontrato il dottor Thompson proprio mentre stava uscendo dalla stanza di Joy e li aveva rassicurati sullo stato di salute della bambina, soprattutto Kate che era decisamente più ansiosa di Rick. L’avrebbero tenuta un paio di giorni in osservazione, assicurandosi che la febbre scomparisse e non insorgessero altre complicazioni, era tutto quello che il medico aveva ribadito loro prima di lasciarli per andare da un altro paziente. Castle poi le aveva detto che doveva andare a recuperare il suo telefono in macchina ed avvisare Martha ed Alexis che Joy stava bene, le aveva offerto di farlo con il suo, ma lui le diede un bacio e le disse di non preoccuparsi, di andare da sua figlia, lui sarebbe tornato subito. Rimase turbata da quel bacio dato così di sfuggita, come un gesto normale e consueto al quale rispose senza farci nemmeno caso e non c’era nulla di male, pensò e tutto quello le fece sentire un vortice dentro che stava mettendo tutto sottosopra. Non riusciva ancora ad immaginarsi lei e Castle come una coppia, anche se di fatto era quello che gli aveva promesso, mentre lui le faceva sembrare tutto così semplice, tanto da trasportarla e tutti quei sentimenti si scontravano e si infrangevano sul muro della preoccupazione per Joy. Entrò da lei, dormiva tranquilla. Si sedette sulla sedia vicino al letto le accarezzò la fronte ancora calda ed il volto, poi le prese la mano. Le sembrò di tornare indietro nel tempo, a mesi prima quando l’aveva portata lì quella sera dopo averla liberata, quando pregava che andasse tutto bene ed ancora non sapeva come dirle la verità, quando aveva appena fronteggiato l’odio di Castle e la sua rabbia. Era cambiato così tanto in poco tempo che ancora non ne aveva una reale percezione.

Sì voltò sentendo il rumore della porta aprirsi.

- Ehy sono io… - Sussurrò Rick avvicinandosi, mettendosi in piedi alle spalle di Kate e lei istintivamente di appoggiò indietro, cercando il suo corpo con la testa. Castle le massaggiò le spalle contratte, muovendosi lentamente dal collo alle braccia.

- Devo chiamare il distretto… il mio turno dovrebbe cominciare tra poco… - Sospirò Beckett lasciando la mano di Joy ed alzandosi. Stava per uscire quando Rick la fermò tenendole il braccio.

- Aspetta un attimo, vieni qui… - la tirò piano a se e Kate si lasciò avvolgere dalle sue braccia. - Tu come stai?

- Ne possiamo parlare dopo? - Chiese quasi supplicandolo.

- Certo… quando vuoi. - Le diede un altro bacio, questa volta sorprendendola meno, ma mettendola ancora di più a disagio, perché Joy dormiva a pochi passi da loro.

Kate uscì e Rick rimase un po’ con Joy, accarezzandola anche lui per sentire quanto scottasse e gli sembrava che fosse più fresca di quando l’avevano portata lì poco prima. Dopo un po’ che non vedeva tornare Beckett, uscì fuori per cercarla e la trovò appoggiata al muro con il cellulare in mano ed un’espressione mista a rabbia e delusione.

- Che succede Kate?

- Non c’è nessuno che può coprire il mio turno, devo andare al distretto tra poco. - Disse rimettendo il cellulare in tasca con un gesto di stizza.

- Ma… glielo hai detto che Joy è in ospedale, che non sta bene?

- Sì ma… non è mia figlia, nemmeno per loro. Non posso chiedere nulla. Nessun permesso, niente. E per una richiesta di ferie è troppo tardi adesso… Quindi, niente… Prendo un taxi, vado a casa mi cambio e vado a lavoro. Rimani tu qui?

Si era rimessa in piedi ben dritta, aveva abbottonato il giacchetto e sembrava almeno ad un occhio esterno aver ritrovato la sua solita attitudine. Non a lui che vedeva i suoi occhi muoversi rapidamente e nervosamente.

- Sì… certo… rimango io. Ehy, Beckett…

- Che c’è Castle? - gli chiese sospirando visibilmente contrariata per tutta quella situazione di cui sapeva che lui non aveva alcuna colpa, però non riusciva proprio a non esternare il suo malumore.

- Niente… Ti amo. - Provò a sorriderle e lei fece lo stesso.

- Ti amo anche io. - Gli disse prima di sparire oltre il corridoio.

- Rick… la mamma? - Joy si era appena svegliata e la prima cosa che aveva fatto era stato cercare Kate. Lui l’aveva aiutata a bere, perché gli avevano detto che era importante che rimanesse sempre ben idratata.

- È rimasta qui fino a poco fa, ma è dovuta andare a lavoro, anche se non voleva. - Specificò cercando di farle capire quanto volesse rimanere con lei.

- Era arrabbiata con me? - Si preoccupò

- No, perché doveva essere arrabbiata con te? Era solo preoccupata perché non stavi bene. - Le disse accarezzandola e tranquillizzandola.

- Tu sei arrabbiato?

- No, Joy, non è arrabbiato nessuno. Solo mamma perché non voleva andare a lavoro e stare con te. Mi ha detto di darti un bacio grande grande. Posso? - Joy annuì e Rick le diede un bacio sulla guancia molto dolce.

- Quando possiamo andare a casa?

- Tra qualche giorno. Già che siamo qui approfitteranno per farti alcuni di quei test che dovevi fare per vedere se va tutto bene, così ci togliamo il pensiero e non dobbiamo tornare.

- Tu rimani qui con me adesso?

- Certo che rimango con te, dove pensi che vada?

- Non lo so. Rick… Ho un po' di fame… - Disse facendo una smorfia che gli ricordò tanto Kate.

- Allora aspettami qui, vado a sentire se hanno un pranzo speciale per te!

Fuori dalla stanza di Joy fermò subito un’infermiera chiedendo se poteva portarle qualcosa da mangiare o se doveva pensarci lui. La donna rispose gentilmente che avrebbe provveduto il prima possibile, quindi Rick prese il cellulare e fece quello che in quel momento riteneva più giusto, anche se era sicuro che avrebbe finito per discutere con Beckett di quello…

- Bob? Ciao, sono Rick, che si dice oggi nell’ufficio del sindaco? Mi serve un favore, si tratta della Detective Beckett, potresti fare una telefonata?

Quando Kate entrò nella stanza di Joy, fulminò Rick con lo sguardo, uno di quegli sguardi che lui conosceva bene, di quelli che era meglio che facesse silenzio per molto tempo e non osasse contraddirla in nessun modo, perché, poteva notarlo sotto la giacca, era armata. Castle si alzò facendo molto più rumore di quanto avrebbe voluto facendo strusciare la sedia sul pavimento e le lasciò il suo posto.

- Mamma! Sei venuta presto! - Esclamò Joy che aveva fa poco finito di mangiare.

- Sì, prima che ho potuto. - Si sedette nel posto lasciato da Rick accarezzandola e le sembrò di sentirla più fresca rispetto a quella mattina.

- Grazie. - Le disse Joy

- Non hai niente da ringraziarmi, amore mio… - Poi si voltò verso Castle che stava in silenzio a qualche passo da lei, osservandola. - Se devi andare, rimango io con lei.

- Ok, vi lascio sole, per qualsiasi cosa, chiamami pure. - Diede un bacio a Joy e poi si avvicinò a Kate, avrebbe voluto baciare anche lei ma rimasero a guardarsi qualche istante, poi le sorrise e le passò solamente una mano sulla spalla prima di uscire.

Kate passò tutto il pomeriggio con sua figlia, rimanendole vicino sempre, anche quando si era addormentata di nuovo. Avrebbe voluto anche aiutarla a mangiare la sera, ma Joy con il suo solito carattere indipendente volle fare da sola, lasciando solo che sua madre la guardasse. Sorrisero entrambe quando videro la cena, polpette e purè. Joy però non fu entusiasta.

- Non sono buone come quelle di Mike e nemmeno come quelle che hai fatto tu! - Disse a Kate che sì imbarazzò dei complimenti della figlia che poi insistette per fargliele assaggiare, ribaltando i ruoli e imboccandola lei, facendo ridere Beckett che si sporcò con il sugo e Joy si sentì decisamente colpevole.

- Scusa mamma! - Disse la bambina facendo una smorfia mentre Kate si ripuliva.

- Uhm vabbè, oggi sei scusata! - Le rispose dandole un bacio ed aspettando che finisse di mangiare, segno che stava già meglio.

Ad interrompere la loro allegria arrivò un’infermiera che disse a Kate che era arrivato il momento di andare. Joy non era grave da aver bisogno di assistenza la notte, quindi non poteva rimanere di più. Cercò di non far vedere a sua figlia la propria delusione e tristezza per doverla lasciare, anzi, cercò di regalarle uno dei suoi migliori sorrisi promettendole che la mattina successiva sarebbe arrivata prestissimo. Prima di andarsene Joy le ricordò le cose che voleva che le portasse, e di salutare Rick.

- Mamma… - la chiamò mentre stava per uscire - … scusami se ti sei preoccupata.

Kate tornò indietro ed abbracciò e baciò di nuovo sua figlia, sapendo che lasciarla e non farsi vedere triste di farlo sarebbe stato molto più difficile in quel momento, quindi la tenne stretta a sé fino a quando non fu sicura di riuscire a sostenere di nuovo il suo sguardo e poi uscì.

- Quando sei arrivato? - Chiese Kate a Rick seduto su una sedia nel corridoio dell’ospedale.

- Questa mattina. - Rispose lui come se fosse la cosa più ovvia del mondo.

- Sei rimasto qui fuori tutto il pomeriggio? - Domandò perplessa e lui la guardò sorridendo ed alzando le spalle, come se fosse una cosa logica e normale. - Perché? Perché non me lo hai detto?

- Volevo che passassi un po’ di tempo con Joy, tu e lei. Tutto qui. - Si giustificò.

- Smetterai mai di decidere le cose al posto mio? - Gli chiese mentre camminavano nel corridoio per raggiungere l’ascensore ed uscire.

- Farò solo quello che ritengo più giusto, Beckett. Anche se so che tu potrai non essere d’accordo. E per oggi io…

- Non voglio parlarne qui e non voglio parlarne ora. - Lo fermò prima che continuasse, quindi scesero in silenzio in ascensore ognuno nervosamente da una parte dello stretto luogo.

Kate si sedette in macchina al posto del passeggero attendendo che Rick entrasse.

- Pensavo che volessi guidare tu. - Le disse mettendo in moto.

- Non sto lavorando e non siamo sulla mia auto. - Rispose gelida.

- Qui possiamo parlare oppure ancora no? - Chiese lui mentre usciva dal parcheggio dell’ospedale, ma lo sguardo di Beckett gli fece capire la sua risposta. - Ok, dimmi tu quando allora.

Rimase stranamente in silenzio mentre guidava molto più tranquillo di quella mattina nel traffico serale di New York. Kate assorta nei suoi pensieri nemmeno si accorse che stavano procedendo in direzione opposta rispetto a casa, rendendosi conto solo quando lui parcheggiò l’auto in un ampio parcheggio davanti ad una tavola calda.

- Che vuol dire? - Chiese lei che già immaginava di potersi buttare sotto la doccia per lavare via le scorie di quella giornata.

- Non abbiamo pranzato, non abbiamo cenato, e a parte un caffè non abbiamo nemmeno fatto colazione. Aggiungici che almeno io ieri sera al party non ho mangiato pressoché nulla… direi che almeno il tempo per un cheeseburger ce lo possiamo concedere, no?

- Perché qui? - Chiese guardandosi intorno, c’erano migliaia di locali dall’ospedale a casa, non capiva il senso di quella deviazione per andare in un posto del genere.

- Perché fanno degli ottimi cheeseburger e non solo quelli, perché si trova posto per parcheggiare l’auto, perché qui nessuno fa caso a te quando entri ordini e mangi e perché difficilmente incontreremo qualcuno che ci conosce, almeno a te. Ho notato come ti imbarazza farti vedere con me, in un certo modo almeno, e vorrei essere libro di prenderti la mano o darti un bacio, senza il bisogno che tu ti preoccupi se qualcuno ti vede o ti conosce. Ecco perché qui.

- Castle io… io non so se… - disse stropicciandosi le mani dopo aver slacciato la cintura di sicurezza, guardando la luce riflessa del lampione riflessa sul parabrezza che creava strani giochi di luce.

- Non sai se sei pronta, se sei sicura, se te la senti… lo so, non sono stupido e nemmeno ingenuo, Kate. Lo so… - Le disse comprensivo.

- E allora? Quello che mi hai detto ieri sera e… stanotte…

- È quello che penso: non volevo solo una notte tra noi, ma questo non voleva dire che pensassi che per te era tutto semplice e non lo è nemmeno per me. So che come primo appuntamento non è il massimo, però potremmo comunque andare a mangiare qualcosa insieme in questo fast food?

Kate annuì, aprì lo sportello ed uscì e lui fece lo stesso, allungando il passo saltellando per raggiungerla e camminare al suo fianco. Fu sorpreso quando prima di entrare Beckett gli prese la mano, intrecciando le loro dita.

Fecero pazientemente la fila alla cassa, non avevano molte persone davanti, ma i due ragazzi prima di loro sembravano non riuscirsi proprio a decidere. Kate aveva tenuto tutto il tempo la mano stretta di Rick che non osò fare altro, anche se avrebbe molto volentieri voluto abbracciarla. Loro, invece arrivarono pronti al loro turno, già sapendo cosa avrebbero ordinato: due doppi cheesburger con bacon, patatine fritte al formaggio e due shake, uno alla vaniglia per Beckett ed uno al cioccolato per Castle. Ritirarono il numero e cercarono un tavolo non proprio al centro della sala, così quando Rick vide una coppia che stava alzandosi da uno dei divanetti laterali vicino alla vetrata, si mise casualmente lì vicino in attesa, tanto che i due affrettarono le operazioni per andarsene. Riuscì anche a strappare una risata a Kate con quel suo atteggiamento petulante che ben conosceva, ma in quel momento lo trovò decisamente adatto e per una giusta causa. Si sedettero uno davanti all’altro, e questa volta fu lui a prenderle le mani sul tavolo, dopo aver messo bene in vista il loro numero, in attesa che gli consegnassero la cena.

- Sai che il 47 è il numero casuale meno casuale? - Le disse osservando il numero che gli avevano dato, cominciando a parlare di quell’argomento così assurdo, come se non avessero abbastanza cosa di cui parlare.

- Molto interessante, Castle! - Disse lei sarcastica mentre giocava con le dita di lui, accarezzandole.

- Esiste anche una società che studia a livello mondiale la ricorrenza del 47, è una cosa seria! - Protestò lui che si era accorto come lei non prendesse seriamente i suoi discorsi

- Molto seria, Castle.

- Sì, ha anche tanti significati, ad esempio in Italia dicono che simboleggi il “morto che parla” , altri che sia il numero delle intuizioni…. Morto che parla, intuizioni… siamo no! - Esclamò tutto eccitato.

- Mi avresti fatto uno studio di qualsiasi numero ci fosse capitato in sorte? - Chiese le scettica

- No ma che ci sia capitato proprio questo è una bella casualità, no? Un numero che vuol dire qualcosa…

- Beh, per me da ora in poi vorrà dire il nostro primo appuntamento in un fast food fuori mano, ti sembra qualcosa di importante? - Chiese lei sorprendendolo.

- Decisamente importante. - Disse lui tornando serio su di lei ed abbandonando tutti si suoi concetti di numerologia.

- Tutto questo non vuol dire che io non sia ancora arrabbiata con te per quello che hai fatto oggi, Castle. - Lo rimproverò.

- Ne vuoi parlare adesso? - Chiese lui preoccupato.

- No, ora voglio godermi per qualche minuto questa serata strana, ne parleremo dopo, ma non sfuggirai, Rick. È solo una tregua. - Precisò Kate sorridendo.

- Mi sta bene la tregua.

Arrivò un cameriere a pulire il tavolo e furono costretti a separare le loro mani, ma appena ebbe finito ripresero quella posizione che sembrava naturale.

Non si resero conto di quanta fame avessero fino a quando non addentarono i loro succulenti panini che mangiarono avidamente in uno strano silenzio tra loro, segno che l’appetito in quel momento aveva il sopravvento su tutto il resto e Beckett dovette far desistere Castle dall’ordinarne un altro quando le disse che ne avrebbe anche mangiato ancora. Si appuntò mentalmente di evitare in futuro di dire cose simili perché la prendeva troppo in parola.

Ritornarono a casa decisamente soddisfatti, almeno della cena, ma usciti dalla tavola calda sembrò rompersi quella bolla che avevano costruito in quel luogo fatto essenzialmente di lavoratori frettolosi e qualche cliente abitudinario, come se il silenzio dell’esterno avesse contagiato di nuovo anche loro.

Rick non disse nulla e nemmeno Kate per tutto il tragitto, nemmeno quando lui scese al suo piano: era contenta e se lo era aspettato, avrebbero dovuto parlare ed il loft non era la situazione migliore, non voleva che Martha o Alexis sentissero le loro discussioni, anche perché visti i precedenti non sapeva quanto avrebbero potuto degenerare. Era nervosa e non riusciva ad incanalare tutto quello che provava: si sentiva sfinita, preoccupata per Joy ma allo stesso tempo sollevata perché non era nulla di grave, avrebbe voluto solo abbracciare Castle e rilassarsi con lui, ma era ancora arrabbiata per il suo comportamento ed aveva un senso di colpa costante da quella mattina che la stava logorando.

- Se fossi stato a casa ti saresti accorto subito che Joy stava male, appena sveglia. - Disse senza guardarlo negli occhi, dandogli le spalle mentre lui chiudeva la porta di casa.

- Probabilmente sì. - Affermò. - Vuoi che mi senta in colpa perché ero qui con te e non a casa?

- No, mi ci sento già abbastanza io se penso che mentre noi… Joy stava male…

- Aveva la febbre, Kate. Poteva anche esserle salita da poco e non me ne sarei accorto in ogni caso, come non lo avresti fatto tu. - provò a spiegarle.

- Cos’è, un tentativo di pulirsi la coscienza? - chiese stizzita.

- No, è una cosa che capita. Perché i bambini hanno la febbre spesso e quasi sempre è così, ti sembra che stanno bene poi sale all’improvviso. Sai quante volte mi è capitato con Alexis? Sai quante volte sarà già successo anche a Joy?

- Sì ma non era in questa situazione! Lei ancora… non è fuori pericolo, Castle.

- Lo so. Ma colpevolizzare te stessa oppure me, per questo non cambia le cose. Sempre se è questo il problema. - Finì a denti stretti.

- Che vuoi dire, Castle? - chiese avvicinandosi a lui.

- Il problema è che Joy stava male o quello che è successo qui? Non puoi sentirti in colpa per essere stata felice io… non voglio che vivi noi così. Come qualcosa che dopo ti faccia venire rimorsi. Perché… perché per me non è questo e non voglio che per te io sia questo.

- Rick io…

- Sai che c’è Kate? Che tu pensi di non essere in grado di amare più persone allo stesso tempo. Che se stai con me togli qualcosa a Joy, ma non è così. Si possono amare più persone, soprattutto se sono tipi di amori così diversi, una figlia non sarà mai come la persona con la quale scegli di stare insieme, sono cose diverse, ma che non si escludono. Perché tu potrai stare con Joy anche 24 ore al giorno, ma non sarà quello a farti placare i tuoi sensi di colpa per i dieci anni passati lontane. - Era serio e deciso, ma cercava di non essere duro, né di far trasparire quell’inquietudine che anche lui aveva, quel senso di doverla sempre rincorrere che non passava mai.

- Perché allora oggi ti sei messo in mezzo nella mia vita e nel mio lavoro, chiamando i tuoi amici ai piani alti per farmi andare via dal distretto, eh Castle? Lo sai come mi sono sentita quando Montgomery mi ha chiamato per dirmi che potevo andare e che avevo il resto della settimana libera, perché secondo i piani alti servivo di più per le ricerche dello scrittore che per cercare un serial killer che ha già ucciso 9 persone? - Lo attaccò.

- No, non lo so come ti sei sentita. Ma ho sentito come ti ha cercato Joy appena si è svegliata ed ho pensato che a lei avrebbe fatto piacere che la sua mamma fosse tornata presto e che nei prossimi giorni avesse avuto del tempo per stare con lei. Non l’ho fatto per far stare te con lei, Kate. L’ho fatto per far stare lei con te. Spero che puoi capire la differenza e che non ho pensato a cosa sarebbe accaduto al distretto. Ho fatto quello che credevo meglio per Joy, per tua figlia e scusami se non pensi che sia così, ma non ti dico che non lo rifarei, perché lo rifarei. Userei ancora tutte le mie conoscenze e le mie raccomandazioni per farlo, se penso sia giusto. Perché io voglio che Joy stia bene, voglio il meglio per lei e ho visto quanto voleva che tu fossi con lei e poi sì, sapevo anche quanto lo volevi anche tu. È una colpa questa Kate? Fare di tutto per far star bene le persone che ami? - Le disse tutto d’un fiato tanto che alla fine sembrava fosse uscito da una corsa o avesse salito qualche rampa di scale a piedi per arrivare fino a lì, davanti a lei, a dirle che lui avrebbe fatto qualsiasi cosa per sua figlia, anche andando contro la sua apparente volontà.

Kate non sapeva cosa dire, non sapeva come rispondergli perché sapeva che lui aveva ragione, sapeva che erano solo le sue paure a bloccarla, a fermare tutto, sempre, insieme a quel senso di inadeguatezza e di colpa che si trascinava dentro, che subdolo spuntava fuori ogni volta che era più felice. Perché era vero, aveva centrato il punto, lei non si sentiva in grado di amare nemmeno una persona, figuriamoci due: così adesso non c’era solo Joy che sentiva di non riuscire ad amare come avrebbe voluto, di farle capire quanto era importante, ma la stessa cosa valeva per Castle, nonostante i suoi sforzi. Si vergognò di se stessa nel pensare che forse fino a quel momento tutto quello che era stato in grado di dargli era solo amore fisico, che solo così riusciva a trasmettergli quello che sentiva per lui e le sembrò di banalizzare quel sentimento così forte che invece provava. Avrebbe tanto voluto cambiare, essere diversa, ma non sapeva nemmeno da dove cominciare per non farsi schiacciare da se stessa, per continuare dritta su quei propositi che si era data, nel cercare uno spiraglio positivo nel futuro e non rimanere ancorata ai fantasmi del passato e che la bloccavano anche nel presente.

- Scusami… - Gli disse solamente.

- Di cosa Kate? - Le rispose rassegnato.

- Di tutto. Di non essere ancora quella che vorrei…

Si lasciò abbracciare, sfinita dalle sue parole e da quel nuovo confronto con se stessa.

- Sei quella che voglio io però, devi solo lasciare le tue paure fuori da te, perché nessuna delle tue paure è qui, Kate. Le stai solo creando tu, pensando a cosa potrà accadere e non c’è certezza che accada quello che tu pensi, anzi secondo me sarà proprio il contrario. Io sono sicuro che Joy vuole quello che vogliamo noi.

- Come fai tu ad esserne certo, invece?

- Perché Joy lo vuole da quando eravamo negli Hamptons, da come era delusa quando te ne sei andata, da come è felice quando siamo insieme. Le possiamo dare tutto quello che vuole, Kate. E tutto quello che voglio anche io. Lo vuoi anche tu? - Le chiese scostandola dal suo petto e guardandola negli occhi.

- Certo che lo vorrei anche io… Ma se dovesse pensare che io la sto usando per stare con te? - Gli chiese quasi disgustata del suo pensiero.

- E se io pensassi che tu stai usando me per stare con lei? - Le chiese molto serio guardandola negli occhi.

- No, Rick, non puoi pensarlo… Io… no… credimi… no… - Rispose balbettando perplessa delle sue parole.

- Lo so. - Sorrise - Ma se fai ipotesi assurde tu, perché non posso farle anche io?

Kate scosse la testa dopo che per qualche istante il suo cuore aveva smesso di battere pensando che lui potesse veramente pensare una cosa del genere.

- Ti amo, Castle. Ti amo veramente. - Ci tenne a sottolinearlo.

- Lo so. E sai cosa vorrei adesso? Vorrei solo che ti togliessi questa roba di dosso, ti mettessi comoda ed andassimo di là. Vorrei abbracciarti e tenerti stretta fino a domattina. - Le disse accarezzandole il volto.

- Rimani? - Chiese speranzosa.

- Sempre. Se tu lo vuoi.

Si addormentarono abbracciati, con Kate che poggiava la schiena sul petto di Rick, che la teneva vicino a se cingendola con un braccio, mentre il suo volto era appoggiato dietro il collo di lei. Sembravano perfetti per stare sempre così.

Fu strano per Kate risvegliarsi e sentirsi ancora abbracciata. Aveva dormito con molta probabilità tutta la notte nella stessa posizione, lo poteva capire dal braccio e dal fianco indolenziti, ampiamente compensati però dalla sensazione di beatitudine provata dal trovarsi la mano di Rick che premeva sul suo petto. Ebbe l’istinto di prenderla con la sua, accarezzargli le dita e per tutta risposta sentì un suo bacio sulla spalla.

- Buongiorno… - La voce bassa e profonda di lui, ancora impastata dal sonno la raggiunse morbida, come una carezza. Girò su se stessa per trovarsi faccia a faccia con lui, gli sorrise e ne ebbe uno uguale in risposta, poi gli spostò il ciuffo disordinato da davanti agli oggi, per vederli meglio.

- Buongiorno… Sei sveglio da molto? - Gli chiese mentre lui le accarezzava il braccio e la spalla.

- Da un po’ - Rispose vago.

- Che vuol dire un po’? - Domandò sorridendo.

- Fai sempre così la mattina? Cominci con il terzo grado ed interroghi chiunque si trovi nel tuo letto? - Sorrise punzecchiandola.

- Castle, non è molto lusinghiero quello che dici, sembra che il mio letto sia un via vai di persone! - Non sapeva se ridere o essere arrabbiata per quello che le aveva appena detto, ma aveva un espressione troppo adorabile per arrabbiarsi.

- No ecco… non volevo dire quello io… Comunque sono sveglio da qualche ora, credo… - La osservò rabbuiarsi e non capì la sua espressione, diventando anche lui teso.

- Perché? Qualche problema? - Chiese preoccupata e lui si rilassò, sorridendole ancora.

- No… io… mi sono solo svegliato e… ti ho visto… ed poi ho continuato a guardarti, mentre dormivi. Non mi sono accorto del tempo che passava.

- Sei stato qualche ora a guardarmi dormire? - Esclamò stupita.

- Sì, prima eri girata dalla mia parte poi ti sei messa sulla schiena, ma poco tempo, e poi sei tornata come ti sei svegliata, come ti eri addormentata ieri sera. Credo che sia la tua posizione preferita, è quella in cui sei più tranquilla ed io posso abbracciarti.

- Hai studiato il mio modo di dormire, Castle? È inquietante, lo sai?

- Mi piace vederti dormire. Cioè mi piaci sempre però… quando dormi non puoi dirmi di non guardarti e allora ne approfitto.

Era una conversazione surreale e tremendamente dolce per Beckett che trovava tutto quello da una parte sconvolgente, ma anche decisamente romantico. Vi pose fine, però, baciandolo, prima che potesse ammettere che non le dispiaceva così tanto quello che aveva fatto.

- Questo tipo di risveglio mi piace tanto però, lo sai? Credo che è una di quelle cose alle quali mi potrei abituare, tipo per tutta la vita. - Le disse appena le loro labbra si separarono e lei si appoggiò con la testa sul suo braccio, permettendogli di accarezzarla sul collo e la spalla. Era ancora presto, potevano concedersi qualche momento così ancora, prima di alzarsi.

- Non correre troppo Castle… - gli rispose con gli occhi chiusi, mentre si lasciava coccolare, pensando che sì, si poteva decisamente abituare anche lei ad un trattamento del genere.

Alexis si stava preparando per andare a scuola quando Rick e Kate salirono al loft: voleva salutare sua figlia ed allo stesso tempo rassicurarla di persona sulle condizioni di Joy ed il fatto stesso che loro fossero lì e non in ospedale, fece capire alla giovane Castle che la situazione non era grave.

- Mi dispiace Kate, avrei dovuto accorgermi che Joy non stava bene ed avvisarvi. - Si scusò Alexis che si era sentita colpevole per non aver intuito il malore della piccola in tempo.

- Non lo dire nemmeno per scherzo, Alexis. Non potevi certo accorgerti prima, non con quella piccola testona che fa di tutto per non far preoccupare le persone. - Provò a scherzare Kate su sua figlia, non sapendo nemmeno se ci era riuscita bene. Poi Alexis fece vedere a suo padre le cose che aveva preparato per Joy, come loro le avevano chiesto la sera prima, infine salutò entrambi con un bacio ed uscì di casa. Beckett rimase sorpresa dallo slancio affettuoso della figlia di Castle, non che prima non lo fosse, ma aveva visto in quel gesto come una sua apertura a loro, qualunque cosa loro fossero.

Appena Alexis era uscita Rick era andato a vestirsi, mentre Kate era rimasta a controllare la borsa che la giovane aveva preparato per Joy, controllando che ci fosse tutto. La tv era rimasta accesa su un canale all news ed era un monotono sottofondo che richiamò la sua attenzione solo quando sentì l’annuncio di un servizio sulla festa di Castle di pochi giorni prima. Le faceva un certo effetto vedere come Rick fosse così diverso da come lo descrivevano e da come la sua immagine che usciva dai video di quella festa fosse così lontana dal suo essere. Lo vedeva sorridente e disponibile a firmare autografi e fare battute con varie ragazze e giornalisti, in quella sequenza vertiginosa di immagini che descrivevano quella festa come uno degli eventi mondani letterali più importanti della città, un appuntamento fisso ormai ogni anno che si ripeteva sempre con lo stesso successo, ma le fece ancora più effetto vedere la sua foto vicino alla copertina del libro e sentire che parlavano di lei, come della “musa” dello scrittore.

- Dovrei pensare di portare qualcosa giù da te, è un problema? Per evitare di cambiarmi due volte ogni mattina, dico… -

Castle era uscito dalla camera ed aveva raggiunto Beckett proprio nel momento in cui sullo schermo stavano comparendo le immagini di Joy che correva ad abbracciare Kate e la voce che commentava il servizio parlava di come la bambina che lo scrittore stava adottando e voleva tenere nascosta non era altro che la figlia della sua “musa”, facendo varie ipotesi sul reale rapporto tra i due e molte altre insinuazioni. Beckett si voltò a guardare Castle con un’espressione allibita ed arrabbiata allo stesso tempo. Lui scuoteva la testa visibilmente contrariato frugando nella tasca dei pantaloni per prendere il cellulare. Sparì poco dopo di nuovo nella sua camera e Kate poteva sentire solo le sue urla furiose verso Paula: voleva il nome di chi aveva fatto quel servizio e di chi aveva ripreso Joy, con tutta probabilità con quello che sembrava un cellulare senza permesso, minacciando e non solo di denunciare il canale e tutta la redazione. A niente servivano gli inviti della sua agente a stare calmo, perché quella in fondo era solo un’ottima pubblicità, anzi contribuirono solo a farlo innervosire di più.

- Andiamo in ospedale, se no facciamo tardi. - Disse Kate uscito dalla sua stanza senza voler minimamente toccare il discorso. Sapeva che lei aveva sentito tutto, ma in quel momento non aveva parole da dirle e si sentiva tremendamente in colpa, perché l’aveva rassicurata, le aveva garantito che avrebbe fatto di tutto per tenerle fuori e al sicuro ed invece alla prima occasione erano finite nel tritacarne mediatico, nel modo peggiore.

Kate non disse nulla, prese le cose di Joy e lo seguì. Salì in macchina ed ascoltò in silenzio per tutto il tragitto la sfuriata di Castle con il suo avvocato per telefono. Gli ordinò di trovare la registrazione e di cercare ogni possibile cosa per fargli passare la voglia di fare quel tipo di servizi, non c’era bisogno che glielo dicesse il suo avvocato, sapeva benissimo che quello che avevano fatto non era legale e non gli importava nulla di barattare quello per della buona pubblicità, come aveva detto Paula.

Finì di parlare che erano quasi arrivati in ospedale. Il silenzio costante di Kate e la sua finta tranquillità che si contrapponeva alle sue urla ed alla sua agitazione lo facevano essere ancora più testo. Si voltava spesso a guardarla ed aveva gli occhi fissi sulla strada davanti a sé, senza mostrare alcuna espressione particolare. Rick si fermò in uno dei primi posti liberi nel parcheggio dell’ospedale, spense il motore, tirò il freno a mano e mentre Kate si stava slacciando la cintura di sicurezza, sbattè con forza le mani sul volante.

- Dimmi qualcosa, ti prego! - Le chiese come in una supplica accorata.

- Cosa ti devo dire Castle? - Sospirò Kate contraendo la mascella, facendo stridere i denti.

- Quello che vuoi, insultami, dimmi che sono un idiota…

- Non è colpa tua, è colpa mia. Sapevo che sarebbe successo, che poteva accadere, che…

- Ti avevo promesso che non sarebbe accaduto nulla di tutto questo, che Joy sarebbe stata al riparo da tutto ed anche te e… noi… e… - Non riusciva a trovare le parole. Perché aveva paura, era agitato ed era impaurito della sua reazione, perché sapeva che non avrebbe reagito bene.

- I nostri mondi sono opposti Castle. Inutile fare finta che non sia così. Ci sarà sempre qualcuno che vorrà sapere di più, spiare dal buco della serratura… Io non so se…

- Non lo dire. Ti prego non dire nulla, Kate.

- Poco fa mi hai detto di dirti qualcosa. - Provò quasi a sorridere, se mai ce l’avesse fatta.

- Non quello che stavi per dire. Quello no! - Protestò lui.

- Forse ci siamo solo voluti illudere, Castle… - Gli disse mettendo una mano sulla sua, facendo l’errore più grave che potesse fare in quel momento, toccandolo, stabilendo un contatto fisico con lui. Perché le sembrò che tutto quello che stava dicendo le sembrò perdere di valore, quando lui strinse la sua mano.

- Io voglio continuare ad illudermi. E ti giuro che chiunque ha messo in mezzo te e Joy la pagherà cara Kate. Nessuno può toccare le persone che amo e pensare di non pagarne le conseguenze. Tu ancora non conosci questo lato di me, ma ti giuro che farò tutto quello che posso perché tutti i responsabili di questa cosa la paghino in ogni modo. Tu e Joy valete di più di qualsiasi pubblicità e non baratto la vostra privacy con niente. - La guardò come forse non aveva mai fatto, con gli occhi che erano diventati scuri e tremavano di rabbia e ancora di paura per quello che sapeva lei stava per dirgli poco prima. Si accorse che forse stava stringendo troppo la sua mano, anche se lei non protestava, ma era un disperato appiglio, un modo per non farla andare via. Fisico e metaforico.

- Non so se riuscirò mai ad abituarmi a questo. Non per me, anche se so già le chiacchiere che ci saranno al distretto e non solo, ma quelle le posso gestire o almeno fare finta che non ci siano. Ma non voglio che Joy debba vivere, sentire e subire certe cose, che abbia ancora più dubbi ed incertezze su quello che è di quante non le ho già creato, capisci cosa voglio dire Rick? Io voglio proteggere mia figlia adesso, da tutto e da tutti. Non vorrei doverlo fare anche dal tuo mondo, perché so quanto lei sia importante per te… Oggi quel servizio avrebbe potuto vederlo anche lei, hai pensato a cosa avrebbe potuto provare? - Kate era veramente sconfortata in quel momento. Le sembrava di lottare perennemente contro i mulini a vento, cercando di raddrizzare ogni volta qualcosa in quell’assurda relazione, però non riuscì ad evitare di appoggiarsi a lui, quando si sporse verso il sue sedile per abbracciarla. Sospirò profondamente, inspirando il suo profumo.

- Perché è sempre così tutto difficile Castle? Perché mi sembra sempre di dover combattere contro le onde che distruggono ogni volta tutto quello che provo a costruire? Vorrei solo essere tranquilla, con Joy e con te… - Si sfogò lasciandosi sfuggire qualche lacrima.

- Possiamo provare a costruire insieme qualcosa più in là, dove le onde non arriveranno e per sicurezza scavare un fossato tutto intorno, così l’acqua finirà prima lì, e saremo al riparo. E se lo faremo insieme lo faremo più resistente. Ma non rinunciare a noi. Per favore, Kate, non adesso, non per questo, non così… Dacci una possibilità, per favore…

Lei non gli rispose, si asciugò le lacrime e rimase ancora qualche istante lì, senza spostarsi dalla spalla di Castle che la sosteneva e non era una metafora. Aveva bisogno di ritrovare lucidità ed un aspetto decente prima di andare da Joy, non poteva farsi vedere con gli occhi lucidi.

—

Joy era rimasta in ospedale un giorno in più del previsto: il dottor Thompson aveva proposto a Castle di effettuare in quell’occasione alcuni dei test di controllo per verificare il decorso post trapianto che avrebbe dovuto fare qualche settimana dopo, così da evitarle l’inutile stress di un ulteriore ricovero e Joy aveva subito puntualizzato come i più stressati da quella situazione fossero, invece, proprio Rick e Kate. Non aveva tutti i torti e la risata amara che seguì la sua frase lo sottolineò.

Fortunatamente non aveva visto nulla di quanto andato in onda in tv e Castle pretese ed ottenne che quel servizio non fosse più mandato. Furono inutili anche le scuse della redazione del canale e del giornalista che aveva confezionato il servizio, lo scrittore era deciso ad andare fino in fondo a quella storia, anche rintracciando chi aveva fatto quel video amatoriale e lo aveva dato al network e di certo la loro reticenza a dargli informazioni non lo rese più disponibile al dialogo di quanto già poco lo fosse. Così istruì il suo avvocato di essere di trovare qualsiasi appiglio per fare tutte le cause che poteva al canale e a tutte le persone coinvolte. Voleva che quella storia diventasse esemplare, non solo per l’intrusione nella sua vita, ma soprattutto perché voleva far vedere a Kate che lui era armato di tutte le migliori intenzioni per proteggere le persone che amava e lei e Joy erano insieme ad Alexis ai primi posti di quella classifica.

Alla fine Kate aveva ceduto a se stessa prima ancora che alle parole di Rick, avevano diritto ad una possibilità, forse anche a più di una, pensava quando la sera tornavano a casa insieme. Le aveva chiesto di rimanere con lui al loft, ma lei non aveva mai accettato, anche se si fermava regolarmente lì a mangiare e nessuno dei due faceva nulla per nascondere quello che c’era tra loro né a Martha né ad Alexis. Niente di plateale o esagerato, perché non rientrava proprio nell’essere di Beckett, però non si ritraeva mai se Rick provava a baciarla anche davanti alle sue due rosse, se le prendeva la mano o l’accarezzava, così come lei non aveva avuto difficoltà nello stare con lui davanti a loro, cosa che pensava, invece, l’avrebbe messa molto più a disagio, ma forse era stata proprio quella naturalezza con cui tutto si era svolto, quella non necessità di dire nulla, di accettare la cosa così come era nata, che aveva reso tutto più facile. Solo una volta ne avevano parlato, quando Alexis aveva chiesto come Joy avesse preso la notizia e loro candidamente ammisero che lei ancora non sapeva nulla sorprendendo sia Martha che Alexis che non capivano quella scelta. Rick le invitò ancora una volta ad evitare di dirglielo o di fare alcun tipo di rifermento, soffermandosi sul fatto che sarebbe stata Kate a dover decidere come e quando e nessuna delle due ebbe motivo di opporsi.

Avevano passato quelle sere per gran parte del tempo a parlare, a fare programmi su quello che sarebbe stato il loro dopo, soprattutto la sera prima che Joy uscisse dall’ospedale, perché inevitabilmente si avvicinava sempre più il momento di parlarle o almeno cominciare a farlo: Joy non era stupida e loro non erano così bravi a fingere, visto che il più delle volte si ritrovavano a fare dei gesti decisamente intimi e teneri, senza nemmeno rendersene conto. Non era facile per Beckett pensare al plurale, pensare come “loro” e Castle apprezzava i suoi sforzi per farlo, tutte le volte che si correggeva ed usava quel “noi” che lo faceva emozionare.

Jim aveva chiamato Kate quella sera: avrebbero avuto presto una nuova udienza per l’affidamento di Joy ed il suo riconoscimento. Fino a quel momento avevano lasciato tutto in mano agli avvocati, né lei né Rick si erano mai presentati alle precedenti sedute, ma Jim aveva insistito con sua figlia che si presentasse, la riteneva una cosa molto importante per fare una buona impressione. Glielo sottolineò più volte e Kate ascoltava le parole di suo padre e del suo collega che si occupava del suo caso molto attentamente. Si era alzata dal divano del loft ed era andata a parlare al telefono camminando nervosamente vicino alle finestre.

- Ci sono problemi? - Le chiese Rick quando attaccò, le si era avvicinato e la stava abbracciando da dietro, guardando la loro immagine riflessa nel vetro.

- Mio padre vuole che vada in tribunale per l’affidamento di Joy. Dice che sarebbe importante ed anche farmi testimoniare…

- Allora? Che problema c’è? Fallo! - La rassicurò.

- Non voglio parlar male di te o sminuirti o qualsiasi altra cosa. - Gli disse appoggiandosi al suo petto.

- Non mi interessa quello che dici o fai lì, mi interessa quello che ci siamo detti noi. Comunque vadano le cose, Kate, lo sai quello che penso e quello che voglio per noi. Tu meriti di essere la madre di Joy e che nessuno ti dica mai più che non puoi stare con lei. E Joy merita che tu ci sia sempre. - Le diede un bacio sulla guancia e lei si abbandonò a lui. Quella sera gli chiese di scendere giù con lei, perché non avrebbe mai voluto privarsi del suo abbraccio. Era la prima notte che passavano di nuovo insieme e si accorsero quanto si erano mancati non appena si ritrovarono soli, nel letto, abbracciati addormentandosi dopo essersi scambiati una lunga serie di coccole e baci. Ne avevano bisogno, più di ogni altra cosa. Kate aveva bisogno di addormentarsi mentre Rick alle sue spalle la abbracciava, e di stringere la sua mano appoggiata sul suo petto mente dormiva, e lui di posare le labbra sulla sua pelle e respirare il profumo dei suoi capelli. Era tutto quello che gli serviva per stare bene. Avevano bisogno di normalità, di quale piccolo momento di vita tranquilla, fuori dagli affanni e dai problemi, dalle ansie del futuro, che anche solo dormire abbracciati poteva regalargli.

Joy tornò a casa completamente ristabilita, anche se Kate e Rick furono ancora più prudenti nei suoi confronti. Kate passò gli ultimi due giorni di quel “permesso” speciale ottenuto da Castle, tutto il tempo al loft con sua figlia, tornano a casa solo per dormire e le costò molto dover negare a Joy il permesso di poter venire con lei. Non volevano correre altri rischi inutili e per alcuni giorni, fino a quando non avrebbe concluso la terapia iniziata in ospedale, dovette di fatto rimanere nella sua stanza che cominciava a starle stretta ogni giorno di più, causando ancora più frustrazione soprattutto in Beckett. Avrebbe voluto che stesse bene, poterla portare fuori da lì, farle fare tutte quelle cose che sognava di fare con sua figlia, che lei faceva con sua madre. Invece al massimo potevano fare dei progetti, dei programmi, pensare al futuro che alcune volte a Kate sembra troppo lontano, ma si sforzava di essere sempre positiva, per non influenzare negativamente Joy e per fortuna in questo c’era Rick che la aiutava, una spalla preziosa che riusciva sempre ad alleggerire ogni situazione, che faceva vivere per prima a Joy con leggerezza ogni momento in cui le sembrava stesse accusando di più la difficoltà a vivere quella ormai lunga routine.

Con Joy, Castle e Beckett facevano attenzione a non sembrare troppo intimi, anche se non sempre riuscivano a controllare i loro sguardi che spesso finivano per legarsi tra loro e fare quei muti dialoghi che solo loro potevano capire e più di una volta erano stati interrotti da Joy che li osservava curiosa, cercando di capire cosa avessero di diverso. Kate aveva tentato qualche timido approccio per sondare il terreno con Joy, parlandole di cose che avrebbero fatto in futuro insieme, mettendoci spesso in mezzo anche Rick nei loro progetti di vacanze o semplicemente giornate da trascorrere in modo particolare e sembrava non comprendere bene come per Joy la presenza di Rick fosse del tutto normale e scontata, continuando ad essere lei quella che si faceva più problemi per quella situazione di quanto realmente non ne avesse sua figlia.

Era andata anche all’udienza e si era preoccupata per nulla, si era svolto tutto con un nulla di fatto, riaggiornandosi alla prossima data, avevano solo preso atto della sua richiesta formale ed ascoltato le sue motivazioni ed il racconto dei suoi avvocati del suo rapporto con la figlia, il tutto senza che gli avvocati di Castle presentassero alcuna obiezione in merito. Ne uscì decisamente sollevata, anche se la situazione non era cambiata.

Tornata al distretto, invece, si trovò in una situazione che non si era immaginata. Per la prima volta sentì pesantemente dietro di sé i commenti poco lusinghieri di alcuni colleghi e servì tutto il suo autocontrollo ed un po’ meno di quello di Esposito che discusse con due detective, per non peggiorare la situazione. Quella sua assenza richiesta direttamente dai piani alti per compiacere Castle l’avevano fatta diventare la poliziotta dello scrittore, in un senso tutt’altro che positivo e quel servizio in tv era stato visto da più di qualcuno e questo non aveva fatto altro che aumentare le battutine poco lusinghiere. Montgomery le aveva riconfermato la sua stima e le aveva rimesso in mano tutte le sue indagini, compresa quella dell’omicida delle carte da gioco, provocando più di qualche malumore negli altri. Solo Javier e Kevin erano verso di lei protettivi, come sempre e nessuno dei due si era permesso di dire una sola parola su quello che era accaduto, limitandosi a chiedere informazioni sullo stato di salute di Joy e Kate li pregò solo di una cosa: non fare parola con Castle di quella situazione, nemmeno per sbaglio.

Decise di tenergli tutto nascosto, perché non voleva che i suoi sensi di colpa aumentassero. Era il suo lavoro, se lo sarebbe gestito lei, avrebbe saputo, in un modo o in un altro, tenere testa a quel branco di detective invidiosi e maschilisti: aveva lottato anni per ottenere il rispetto che le era dovuto e per la sua posizione, non avrebbe ceduto di un passo adesso. Castle, però, aveva notato quel nervosismo che si portava dietro ogni sera, che cercava di dissimulare solo in presenza di Joy, ma che tornava prepotente quando riuscivano a ritagliarsi quei pochi momenti da soli, nei quali riuscivano a scambiarsi poco più di qualche abbraccio o un bacio rubato, per paura che Joy potesse scendere e vederli in qualsiasi istante. Così era diventato l’ascensore ed il pianerottolo il loro rifugio principale, quando lui la sera la accompagnava al suo piano e pregava sempre che l’ascensore si bloccasse, ma non accadeva mai, ed ogni sera, farla rientrare sola a casa, rubando l’ultimo bacio sulla porta diventava sempre più difficile.

- Domani sera. - Gli disse Kate sulla soglia del suo appartamento prima che tornasse a casa fermandolo prendendogli la mano.

- Domani sera cosa? - Chiese Rick non capendo i suoi ragionamenti che andavano via da soli.

- Domani sera, ti va di venire con Joy a cena qui? Io… Glielo vorrei dire… Gli vorrei di noi…

- Pensi che sia giunto il momento? Pensi che sia pronta? - Chiese per essere sicuro delle sue scelte, perché non voleva che l’insistenza che più volte aveva manifestato la condizionasse a fare qualcosa di cui non era certa.

- Penso che sono pronta io per dirglielo. - Gli disse sicura guardandolo negli occhi.

- Non vedo l’ora che arrivi domani sera. - Lo sguardo di Castle brillava nel guardare Beckett smaniosa ed impaurita di rivelare a sua figlia quello che provava per lui.

Il turno di Kate al distretto quella mattina era cominciato decisamente presto, ma così almeno avrebbe avuto parte del pomeriggio e la serata libera e pregava fortemente perché non accadesse alcun cataclisma o caso particolarmente spinoso che avrebbe intralciato i suoi piani. Era frustrante per lei non riuscire a fare nessun passo avanti nel caso del serial killer che stava seguendo ormai da tempo, ma dopo quella sequenza di omicidi ravvicinati, sembra essersi fermato di nuovo, sparendo nel nulla: aveva più volte parlato con i familiari delle vittime che andavano a chiederle conto delle indagini ed ogni volta doversi scusare per un nulla di fatto lo prendeva come una sconfitta personale, sapendo bene cosa quella gente stesse passando e quanto fosse frustrante e doloroso ricevere quelle misere giustificazioni e scuse, non poteva offrirgli di più e se ne faceva una colpa personale. Aveva pensato più volte che forse era anche colpa sua, che presa dalla sua vita non era stata abbastanza concentrata, che forse le era sfuggito qualcosa che avrebbe potuto portare alla risoluzione del caso. Così quella mattina era appena l’alba quando aveva varcato le porte del distretto e da sola, nel silenzio di una sala dove il via vai notturno si era acquietato e quello giornaliero non era ancora cominciato, aveva ricominciato a studiare ogni singola riga di quei rapporti, nella speranza di trovare qualcosa che fino a quel momento non aveva visto. Girò più volte il volto alla sua destra, un gesto spontaneo. Si aspettava di trovare il volto attento e curioso di Castle, lì dove si metteva sempre, quando lei leggeva i rapporti e lui faceva lo stesso da sopra la sua spalla, quando cominciava ad elaborare le sue strane ma spesso efficaci teorie. Era dura ammetterlo, ma le mancava anche quello e chissà, forse anche lui avrebbe trovato qualcosa in più: se avesse sentito i suoi pensieri avrebbe gongolato per settimane o forse per mesi. Prese il telefono e gli mandò un messaggio senza pensarci troppo, premendo invio prima di potersi pentire. “Mi manchi”. La sua risposta non si fece attendere. “Anche tu.”. Sorrise pensando che era un bene che non avesse capito che le mancava anche a lavoro e che il suo ego in quel momento non era arrivato fino a lì.

- Sai che se non avessi fatto lo scrittore mi sarebbe piaciuto fare l’insegnante? - Disse Rick a Joy mentre si sistemava seduta vicina a lui alla scrivania con il suo quaderno ed i suoi libri.

- Sei troppo buono per fare l’insegnante Rick! - Esclamò Joy ridendo.

- Non so se prenderlo come un complimento oppure no… ci devo pensare… - Fece finta di essere offeso e Joy si avvicinò e gli diede un bacio sulla guancia poi cominciarono quelle che erano le loro lezioni tenute rigorosamente in stile Castle, all’insegna del divertimento e del suo modo di raccontare le cose decisamente sopra le righe.

Quando suonarono alla porta, interrompendo la loro lezione, Castle le stava facendo una sua divertente e coinvolgente spiegazione del significato del romanzo “Le avventure di Huckleberry Finn” sottolineandole l’importanza di quel libro ed appassionandola alla lettura di un classico che non poteva non leggere ed amare come aveva fatto lui quando aveva più o meno la sua età. Di tutte le cose che studiavano insieme, Joy amava particolarmente quando Rick cominciava a parlare di libri e lo avrebbe ascoltato per ore, presa dai suoi racconti che sembravano dar una nuova vita a quei romanzi così vecchi e quando si interruppe per andare ad aprire ci rimase male per per quel viaggio sul Mississipi interrotto bruscamente, ma in attesa che lui tornasse, prese il libro e cominciò a leggerne lei qualche pagina, così sarebbe stato contento.

- Immagino lei sia Richard Castle.

L’uomo che si presentò alla sua porta non disse altro. Rick lo studiò attentamente prima di rispondere, che razza di modo era quello di presentarsi? Lui veniva a casa sua, era lui che avrebbe dovuto dirgli chi fosse. Sembrava piuttosto giovane, molto curato nell’aspetto con corti capelli castani chiari ed occhi verdi parzialmente nascosti dietro ad un paio di occhiali sottili. Era vestito in modo elegante, abiti di ottima fattura, sartoriali sicuramente, dalle maniche della giacca si intravedevano i polsini con i gemelli, decisamente un abbigliamento molto formale per bussare alla sua porta una mattina.

- Esattamente. Con chi ho il piacere di parlare? - Chiese lasciandolo sulla porta.

- Connor Cooper. - Disse risoluto aspettandosi una reazione diversa da lui che lo guardò invece sempre interrogativo.

- Dovrebbe dirmi qualcosa il suo nome?

- Immaginavo di sì, evidentemente ho sopravvalutato la questione. Abbiamo una conoscenza in comune, immaginavo le avesse parlato di me, vista la situazione. - Spiegò l’uomo appena Rick lo lasciò entrare.

- Conosco molte persone, quale sarebbe questa nostra conoscenza in comune, signor Cooper? - Chiese ancora Castle richiudendo la porta.

- Katherine Beckett. Anche se io è molto tempo che la devo vedere. Più di dieci anni, direi.

Connor. Aveva già sentito quel nome e ci mise solo qualche istante a ricordarsi dove. Connor, certo, poteva essere lui, quel Connor, aveva più o meno l’età di Kate era sicuramente di famiglia benestante…

- Cosa vuoi Connor. - chiese quasi rabbioso Castle cambiando immediatamente atteggiamento.

- Immagino che ha capito chi sono, signor Castle, quindi non dovrebbe avere difficoltà a capire cosa posso volere.

- Non c’è nulla che puoi volere in questa casa, quindi vattene. - Gli disse avanzando verso di lui per farlo uscire, ma Connor senza scomporsi tirò fuori dalla giacca una lettera che gli porse.

- Le conviene leggere qui, prima. - Rick prese il foglio dalle sue mani e lesse velocemente, come sempre.

- Cosa vuol dire? - Chiese alzando gli occhi dal pezzo di carta e guardando quelli verdi del giovane uomo.

- Né più né meno quello che c’è scritto. Joy è mia figlia e voglio prendermi cura di lei visto che per dieci anni mi è stato impedito.

- Ti è stato cosa? - Rick fece una risata isterica prima di tornare subito serio quasi feroce. - Hai abbandonato una ragazza incinta e sua figlia ed hai il coraggio di venire qui e pretendere qualcosa?

- Non sa come sono andate le cose, signor Castle. Sa solo le falsità che le ha detto Katherine. Come fa a crederle? Ad una persona che ha abbandonato sua figlia? Io ho scoperto da poco della sua esistenza e voglio prendermene cura. - Spiegò calmo l’uomo ostentando sicurezza e determinazione.

- No! Non è vero! Tu sei un bugiardo! - Joy uscì dallo studio di Castle, aveva sentito tutto e Rick si era dimenticato che lei fosse lì. La bambina corse verso Castle che la abbracciò tenendola vicino al suo corpo proteggendola da Connor che si avvicinava a lei.

- Ciao Joy… non sono un bugiardo, mi dispiace che pensi questo. Io vorrei solo conoscerti meglio, sono il tuo papà. - Le disse dolcemente l’uomo.

- No! Tu non sei il mio papà… il mio papà è Rick, non tu!

Castle fu colpito dalle parole di Joy. Avrebbe pianto di gioia e l’avrebbe presa e fatta volare se fosse capitato in qualsiasi altro momento, avrebbe chiamato Beckett e si sarebbe emozionato raccontandoglielo. Ora non aveva nemmeno tempo di essere felice per quello, perché c’era altro a cui doveva pensare.

- Sono il tuo papà Joy… se non mi credi lo puoi chiedere a Kate, lei non potrà negare, anche se probabilmente preferirebbe farlo.

- No, non sei il mio papà. Non lo hai mai voluto essere. Vattene via! - Urlò Joy piangendo stringendosi di più a Rick.

- Credo che non abbiamo nulla da dirci, vattene Connor e per qualsiasi cosa parla con il mio avvocato e non presentarti  più qui.

- Questo è il mio biglietto da visita. Sarò in città per qualche tempo. Magari dallo a Katherine, forse le interesserà parlarmi, così potremmo chiarire questo spiacevole equivoco. - Poi si rivolse a Joy - Ciao piccola, spero che la prossima volta che ci vediamo vada meglio.

Joy non gli rispose e lui se ne andò senza che Rick lo accompagnasse alla porta, ma lo osservò in tutta la sua ostentata sicurezza con il suo sorriso spavaldo mentre usciva.

- Non voglio vederlo più! - Disse piangendo a Rick - Lui ha fatto stare male la mamma… io l’ho letto…

- Lo so Joy… - La abbracciò tenendola stretta. - Non permetterò che lo faccia ancora, né a te né alla mamma.

- Rick io non voglio un altro papà… Ci sei tu, vero? - le chiese dubbiosa

- Ci sarò sempre Joy… Io… è un onore per me se tu vuoi che io sia il tuo papà.

Joy annuì e Rick la portò con se sul divano, dove lasciò che rimanesse appoggiata al suo petto fin quando non fu calma. Avrebbe dovuto chiamare Kate, non voleva disturbarla a lavoro ma non poteva evitare di dirle quanto accaduto, se poi lo avesse scoperto sarebbe stato peggio.

- Signor Beckett? Sono Richard Castle… le dovrei parlare, è urgente. - Aveva accompagnato Joy in camera sua e poi era sceso a chiamare il padre di Kate, ancor prima del suo avvocato, perché il suo primo pensiero era stato proteggere Beckett da Connor e dal suo passato, al resto ci avrebbe pensato, con calma, dopo.

Gli aveva raccontato tutto quello che era accaduto quella mattina, Jim ascoltò attentamente e gli disse che avrebbe chiamato lui il suo socio e gli avrebbe spiegato la situazione: era a Boston per lavoro, ma sarebbe tornato a New York entro un paio di giorni. Castle fu molto colpito dalle ultime parole che Jim gli disse prima di chiudere la conversazione.

- Per favore, stai tu vicino a Katie adesso, ne ha bisogno.

- Lo farò signor Beckett, stia sicuro.

Jim non sapeva nulla di loro, Kate non gli aveva detto niente ancora, eppure dal tono con cui gli aveva parlato Rick era certo che lui avesse capito. Sesto senso di padre.

Castle aspettò poi che Alexis tornasse da scuola per uscire e non lasciare sola Joy. Era tanto tempo che non tornava al distretto e insieme a vari saluti e pacche sulle spalle da alcuni agenti felici di rivederlo, sentì anche le occhiate e i brusii di altrettanti detective ed agenti che ridacchiavano sotto i baffi. Kate si accorse di lui e gli sorrise un po' imbarazzata, mentre Esposito e Ryan lo salutarono calorosamente.

- Cosa succede qui? - Chiese seccato.

- Nulla, Castle, lascia stare. Tu piuttosto che ci fai qui? - gli chiese Kate preoccupata di quella visita fuori programma, dovevano vedersi per cena, von Joy, ci pensava dalla sera prima ed ora… Castle era lì, teso e silenzioso. - Castle che succede?

- Kate… ti devo parlare… ho ricevuto una visita prima al loft… Connor Cooper.

Lo sguardo terrorizzato di Kate fu la risposta silenziosa che Rick si aspettava e non aveva idea su come riuscire a fugare le sue paure.

Erano andati in una caffetteria a qualche isolato da lì, Beckett si era presa una pausa ed ora faceva roteare lentamente la tazza di caffè tra le mani, seduta su quel piccolo tavolo davanti a Rick che la guardava osservando ogni piccolo movimento del suo volto che tradiva preoccupazione, paura e rabbia.

- Mi dispiace, non avrei voluto che Joy sentisse tutto… - si scusò Rick rammaricato. Kate avrebbe voluto chiedergli come aveva potuto non pensare che lei era lì ma il suo volto era già abbastanza rammaricato ed annuì solamente.

- Ti ha difeso, sai? Era preoccupata perché ha detto che Connor ti aveva fatta stare male…

- Ti prego Castle basta… - Lo interruppe bruscamente, non voleva sentire quei discorsi che le facevano male come una lama che lentamente lacerava la carne.

- Ok… scusami… non volevo.

- No, no, scusami tu… io… - Kate sospirò, lasciò la tazza e prese le mani di lui sul tavolo, togliendole alla presa del suo caffè. - Potevo immaginare tutto, Rick, non questo. Non Connor che dopo tutto questo tempo si faceva vedere. Perché poi? Vuole Joy? Tutto quello che mi aveva detto era offrirmi dei soldi per abortire e risolvere il problema, come lo aveva chiamato lui, ed ora vuole sua figlia e dice che l’ho tenuto all’oscuro? Perché?

- Non lo so Kate… Ma qualunque sia il motivo, non gli darò la possibilità di fare nulla di quello che pensa, te lo giuro.

- Connor non dovrà mai avere nulla a che fare con Joy… - Strinse le mani di Rick nervosamente.

- Non glielo permetteremo, Kate. Noi insieme, non glielo permetteremo. Ho promesso a Joy che non avrebbe più fatto del male né a te e non lo avrebbe fatto a lei e lo sai che io voglio sempre mantenere tutte le promesse che faccio.

- Grazie Castle.

- Non devi ringraziarmi, è così che funziona. Immagino però che stasera la nostra cena salta, vero? - Gli chiese dispiaciuto e lei abbassò lo sguardo sentendosi colpevole, ma lui aveva capito che non aveva il giusto spirito per fare quel passo in quel momento e non voleva creare altre botte emotive a Joy. A malincuore era d’accordo anche lui.

- Ce la faremo prima o poi, vero? - Chiese speranzosa, aveva bisogno del suo ottimismo in quel momento.

- Certo che ce la faremo. Sai oggi Joy ha detto a Connor che sono il suo papà e poi mi ha chiesto se voglio esserlo. - Era commosso nel ripensarci e faticò a trattenere l’emozione, anche se i suoi occhi brillavano. Kate sorrise vedendolo così felice e lo era anche lei per lui, e per loro.

- Non avrebbe potuto scegliere un papà migliore. - Disse abbassando lo sguardo, per non farsi vedere anche lei emozionata.

- Avete gli stessi gusti a quanto pare! - Esclamò cercando di rompere quel momento troppo carico di emozioni con una battuta.

- Non ti montare la testa però, Castle! - Lo riprese prima di bere un ultimo sorso di caffè ed andare via. Si aggrappò al suo braccio per stare più vicina a lui mentre camminavano in quel breve tratto di marciapiede fino alla sua auto di servizio. Rick la fermò vicino allo sportello del lato passeggero, prima di entrare, solo il tempo per rubarle un rapido bacio.

- Lo sai vero cosa vuol significa quello che mi ha detto Joy, Kate? - Chiese con l’urgenza di chi non riusciva più a tenersi quel pensiero. Kate gli sorrise, sistemandogli la giacca, accarezzandola nervosamente, poi insinuò le mani sotto il tessuto per abbracciarlo. Si concesse il lusso di appoggiarsi al suo petto qualche istante. Ci aveva pensato, dal primo istante in cui lo aveva sentito, anche se si voleva imporre di non farlo.

- Lo so. - Gli sussurrò prima di staccarsi da lui, fare il giro dell’auto e andare a prendere posto alla guida.

- Mamma! - Joy non si aspettava di vedere Kate così presto e scese dal letto per raggiungerla sulla porta della sua stanza.

- Piano Joy, sono qui! - Le disse stringendola a se, dandole un bacio e poi lasciando che si sedesse in braccio a lei nella poltrona della sua stanza. Joy la guardò e la accarezzò sul volto, vedeva la tensione anche in Kate, nonostante cercasse di tenerla nascosta e voleva essere lei in qualche modo a rassicurarla.

- Lo sai? - Le chiese timidamente sua figlia.

- Sì, so tutto.

- Mamma, io so quello che ti ha fatto, che non mi voleva. Io non lo voglio vedere, non mi interessa nulla di lui. Non è il mio papà - Le disse seria, colpendo Kate per come le parlava.

- Joy, tu non ti devi preoccupare di questo. Io e Rick faremo tutto per tenerlo lontano da noi e soprattutto da te, ok?

- Ha detto che vuole prendersi cura di me. Mamma non devo andare con lui vero?

- No, Joy, non accadrà mai. Non ti preoccupare di lui. - Alzò lo sguardo e vide Rick sulla porta che le osservava. Lo invitò con lo sguardo ad entrare ed a raggiungerle e lui si accovacciò vicino a loro. Joy appoggiata con la testa sulla spalla di Kate si accorse di lui quando la accarezzò ed immediatamente si staccò da sua madre per abbracciare anche lui.

- Stai tranquilla Joy. Nessuno ti porterà lontano da qui. - La rassicurò ancora anche Rick. Joy e Kate erano per lui già parte della sua famiglia e intendeva proteggerle a qualsiasi costo.

- Cosa è successo al distretto, Kate? - Dopo che Joy si era addormentata quella sera, si erano concessi qualche minuto solo per loro, con una vaschetta di gelato e tanta panna spray da dividere per tirare su l’umore decisamente basso.

- Non è successo niente. - negò troppo frettolosamente.

- Oh sì che è successo qualcosa perché ti sei affrettata a negarlo senza nemmeno chiedere che cosa. Brown, Pool e gli altri due: che problemi hanno? - Tolse il contenitore del gelato ormai vuoto tra di loro.

- Non hanno preso bene la mia settimana di lavoro al tuo fianco e come è stata imposta dall’alto. - ammise Kate anche se avrebbe voluto non parlargli di questo.

- Perché non me lo hai detto? - Le chiese accarezzandole il volto e spostandole una ciocca di capelli dietro l’orecchio, ma era ancora troppo corta per fermarsi e tornò a segnarle il profilo del volto.

- Perché cosa avresti fatto? Chiamato qualcun altro? - si era messa sulla difensiva.

- No… io… avrei solo voluto che me ne parlassi, per te, per sfogarti se ne avevi bisogno. Perché se hai dei problemi vorrei saperlo, per starti vicino. Funziona così, di solito.

- Non è facile essere rispettata al distretto. - si appoggiò a lui, lasciandosi andare ad uno sfogo di cui aveva bisogno. - ci ho messo anni per rafforzare la mia posizione ed avere la stima dei colleghi: maschi, tutti più grandi di me. Alcuni però non hanno mai digerito che la mia carriera sia stata così veloce e di essere stati scavalcati, secondo loro. E quindi ora prendono la loro rivincita, insinuando, facendo battutine…

Kate rimase per un po' in silenzio e Rick fece lo stesso mentre faceva passare le sue dita tra i capelli di lei, in un lento massaggio che avrebbe voluto essere rilassante ma i risultati non furono proprio quelli sperati.

- Quando sapranno di noi sarà ancora peggio… Già adesso sono diventata la tua poliziotta, ed è una tra le cose più carine…- Provò a sorridere con scarsi risultati.

- Mi dispiace… veramente mi dispiace molto. Io… dovrei pensare di più prima di fare le cose. - le disse veramente amareggiato, ma fu Kate a cercare di alleggerire la situazione e rincuorarlo.

- No, non è colpa tua, Castle. Tu hai pensato a fare la cosa migliore per Joy, hai fatto la cosa giusta… Io… so come vanno queste cose, lo sai, me la caverò.

- Lo so che te la caverai, perché sei la migliore e loro sono solo invidiosi… ma… vorrei renderti le cose più facili, non più difficili…

- Le stai rendendo più belle. - Quelle parole le uscirono senza pensarci e sorpresero tanto lui quanto lei. Alzò la testa per perdersi nei suoi occhi, gli accarezzò il volto e gli diede un leggero bacio sulle labbra, poi gli parlò quasi sussurrando - Rick io so che non sono una persona facile e che non riesco a farti sempre capire quanto tutto questo è importante però… grazie perché… se nonostante tutto posso sperare che qualcosa di bello possa venire fuori da tutto questo è merito tuo. Ti amo Rick e per me è così strano che…

- Non c’è bisogno che tu dica altro. - Avvicinò le labbra a quelle di lei accarezzandole con le proprie, poi nacque un bacio lento e delicato. Si dimenticarono di tutto. Di dove erano, di Joy che dormiva al piano di sopra, di Connor, del distretto e di tutti i problemi. Si persero tra le loro labbra bisognosi del conforto reciproco.

Il rumore della serratura che si apriva li fece scattare e separarsi all’improvviso, come due ragazzini beccati sul fatto. Martha era appena rientrata a casa e li guardò sorridente.

- Buonasera ragazzi! Continuate pure, fate finta che non ci sia! Divertitevi! - disse l’attrice senza nemmeno fermarsi andando direttamente al piano superiore nella sua stanza.

- Forse sarà meglio che io vada… - Disse Kate alzandosi dal divano mentre Rick le teneva una mano per non lasciarla andare.

- Puoi sempre rimanere, se vuoi… - Le propose sapendo già quella che sarebbe stata la sua risposta, alzandosi anche lui e lasciandosi condurre verso la porta di casa.

- Non è il momento, lo sai anche tu… - Sussurrò dandogli un altro bacio.

- Lo so… però dovevo provarci… Perché già mi manchi.

- Anche tu… Secondo te siamo un po' ridicoli? - Chiese sorridendo.

- Anche se fosse non mi interessa.

- Nemmeno a me. - gli disse prima di uscire dal loft. Era vero, non le interessava ed era la cosa che la stupiva di più.

La moquette sul corridoio attutiva il rumore dei suoi passi decisi. Kate ci aveva messo poco a scoprire dove alloggiasse Connor a New York, era bastata una ricerca sui registri telematici degli hotel della città, un favore che l’agente Stern le fece più che volentieri, aveva da sempre un debole per lei e lo sfruttò molto platealmente. Aveva il numero di telefono di Cooper ma non lo aveva voluto chiamare, aveva preferito presentarsi di persona, così come aveva fatto lui. Effetto sorpresa ricambiato. Aveva messo il distintivo sul bancone della reception di quel lussuoso hotel di Manhattan, il modo più rapido per ottenere quello che voleva: il numero della stanza di Connor.

Così stava percorrendo il corridoio del ventiduesimo piano cercando la stanza 2214, una delle ultime, la più lontana dall’ascensore. La luce del “non disturbare” faceva intuire che si trovava all’interno, provò a suonare il campanello ma era disabilitato dalla richiesta di privacy: non sarebbe stato di certo quello a fermarla e bussò con insistenza, attirando l’attenzione di uno dei camerieri del piano che andò a redarguirla.

- Mi scusi, come vede il nostro ospite non vuole essere disturbato. - le disse indicando la luce rossa e Kate per tutta risposta mostrò il distintivo anche a lui, che si scusò allontanandosi.

Bussò ancora, con maggiore insistenza, fino a quando non sentì lo scatto della serratura.

- Possibile che in questo hotel non conoscete il significato di “Non disturbare”? - sbraitò Connor appena aperta la porta, senza nemmeno guardare chi fosse oltre.

- Tu ci sono molti significati che non conosci Connor. È il caso che ne ripassi qualcuno. - Kate spalancò la porta per entrare sorprendendo l’uomo che era andato ad aprirle con solo un accappatoio legato alla vita.

- Katherine? Cosa diavolo fai qui? - Disse Connor sorpreso si di vederla che di modi.

- Cosa diavolo fai tu, qui. E per qui intendo in città e nelle nostre vite. - Lo incalzò decisa entrando e richiudendosi la porta alle spalle.

- Ma ti sembra il modo di comportarsi? Entri nella mia camera, senza invito, senza chiedere nulla.

- Tu quando ieri sei entrato da Castle ed hai traumatizzato mia figlia hai chiesto qualcosa? Ti sei fatto problemi? - gli urlò contro.

- Se è tua figlia è anche mia figlia. Oppure non è nemmeno figlia tua, perché legalmente mi pare che tu per lei sia quello che sono io: niente. Partiamo da qui Katherine?

- Connor, ti avviso, non mi sfidare. Stai lontano da Joy, da Castle e dalla mia vita.

- Altrimenti cosa fai? Mi spari? - Disse indirizzando lo sguardo verso la fondina della pistola. - Oppure mi arresti? O mi vuoi picchiare?

Rise, vedendo come lei stringeva i pugni.

- Cosa vuoi Connor? Perché sei venuto qui?

- Ho scoperto casualmente guardando la tv che avevi una figlia, mi sono fatto due conti ed ho detto “eh Connor, vuoi vedere che quella è tua figlia?”. Pensavo avessi abortito quando sei sparita Katherine!

- Non prendermi in giro Connor, so benissimo che Kelly ti aveva detto che non era così e tu le hai solo detto che non dovevo chiederti soldi!

- Kelly? Non ricordo nemmeno chi sia. È passato tanto tempo… Ma non è così, io sarei stato felicissimo di crescere mia figlia se sua madre me lo avesse detto e se non l’avesse data in adozione privandomi del mio diritto ad essere padre solo perché lei non la voleva! Potevi avvisarmi Kay, se tu non volevi nostra figlia, l’avrei cresciuta io al posto tuo, invece che farla sballottare da una famiglia all’altra.

- Sei un bastardo Connor. Questa recita la puoi fare con chiunque, non con me. Ricordo esattamente ogni parola di quella sera, quando ti ho detto che ero incinta. “Il problema” così l’hai chiamata. Io non so perché adesso ti interessa di lei, del tuo problema che ti avrebbe rovinato la vita, ma ti giuro non ti permetterò di avvicinarti a lei. - lo minacciò portandosi molto vicino a lui e con i tacchi era alla sua stessa altezza e poteva guardarlo negli occhi, verdi, freddi. Più guardava la sua espressione glaciale più non capiva cosa aveva trovato in lui dieci anni prima. Lui non si scompose né fu intimidito, anzi la guardò con un sorriso sardonico, osservò attentamente il volto di lei contratto in una smorfia dura.

- Sei sempre bella Kay, anche se ti preferivo con i capelli più lunghi… - Le disse languidamente provando a toccarle il viso, ma Beckett bloccò il suo polso e lo spinse via con decisione poggiandogli una mano sul torace nudo.

- Non ti azzardare a toccarmi, Connor.

- Come sei diventata difficile Kay, una volta ti piaceva essere toccata da me. Abbiamo anche le prove, no? - Sorrise togliendosi davanti a lei l’asciugamano rimanendo solo con i boxer senza il minimo pudore, prendendo un paio di pantaloni per vestirsi. - Pensavo che volessi un incontro per ricordare i vecchi tempi.

- Tu sei pazzo Connor. E non chiamarmi più Kay. Non sono più Kay per te, da tanto.

- Un tempo eri molto più facile, Katherine, e più divertente. Ora cosa fai, ti concedi solo a uomini dello spettacolo che ti garantiscono pubblicità e vantaggi a lavoro? - la irrise mentre si infilava un maglione, ma appena messo sentì distintamente sul suo volto lo schiaffo violento che gli diede Beckett.

- Stai attento a giocare con me, Connor. Stai molto attento, perché potresti farti male. - Lo avvisò minacciosa.

- Stai passando alle minacce, Detective Beckett?

- No, ai consigli. Lascia stare mia figlia e torna da dove sei venuto.

- Non tua figlia, Katherine. La figlia di Castle. Tu con lei adesso non c’entri nulla, come me. Te lo ripeto, non mi sottovalutare, sono informato. Potresti vincere e Joy sarebbe tua figlia ed allora io comincerò una lotta contro di te fino a quando non te l’avrò portata via. Oppure potrebbe vincere Castle e tu per lei continueresti a non essere nulla, a meno che non continui a stare nel suo letto per convenienza. Oppure come è più probabile viste le statistiche, vincerò io. E Joy sarà mia figlia a tutti gli effetti e voi non avrete alcun diritto su di lei. Ah prima che me lo chiedi, non è una minaccia, sono solo delle prospettive sul futuro.

- Sei un bastardo Connor.

- Sì, forse, ma un tempo ti piaceva. Ed ora scusami, ma devo andare in aeroporto a prendere mia moglie. - solo in quel momento Kate notò la fede al suo dito e il disgusto per lui crebbe ancora. Uscì dalla stanza sbattendo la porta mentre Connor appena rimasto solo fece una telefonata.

- Ciao, avevi ragione. Katherine è venuta subito qui da sola. È evidente che ha molta paura di perdere la causa, questo mi fa pensare che invece le nostre possibilità sono ottime di chiudere la faccenda in modo positivo. Lo sai vero John che questo è fondamentale per me e per il mio futuro? Io devo avere la custodia di quella bambina e tu dovrai fare di tutto perché sia così!

Connor attaccò il telefono e finì di sistemarsi prima di uscire e di andare con il suo autista in direzione JFK.

- Katie, perché sei andata da Cooper da sola? Ti avevo detto di aspettare! Sono tornato prima proprio per questo! - Jim aveva ripreso severamente sua figlia che camminava nervosamente nella sala riunioni dello studio di suo padre, era arrivata lì con Rick da poco ed insieme a loro c’erano anche i due avvocati di Castle, Matt e Luke Cameron, ed il socio di Jim, Arthur Miller, che si occupava di seguire Kate nella richiesta di affido di Joy che li aspettavano da un po'.

- Perché dovevo capire cosa sapeva e cosa voleva! - Rispose decisa Kate.

- E allora? Cosa hai scoperto adesso, a parte che gli hai fatto capire quanto sei vulnerabile? - Erano anni che Jim non si rivolgeva così a Kate, come se fosse proprio una bambina.

- Ha sicuramente un investigatore privato che ha indagato su di me, su Castle e su Joy. Qualcuno ben inserito negli ambienti della Polizia, forse un ex poliziotto che ha ancora dei contatti.

- Perché dici questo Kate? - chiese l’avvocato Miller

- Perché sono un detective ed ascoltare le dichiarazioni delle persone è parte del mio lavoro. Cooper è sposato, ma è venuto qui da solo, oggi lo avrebbe raggiunto la moglie che lui andava a prendere, quindi presumo che la moglie sappia di questa storia e sia d’accordo. Quando me ne sono andata dalla sua stanza mi sono fatta aprire con un passe-partout la stanza vicino ed ho sentito parte della sua conversazione al telefono. Non era con la moglie, ma con qualcuno che lavora per lui.

- Come si è fatta aprire una stanza? - Chiese uno dei fratelli Cameron

- Con questo! - disse mostrando il distintivo appuntato sui pantaloni - Il più delle volte funziona.

- Quindi? Cosa ha detto Cooper? - Chiese Rick

- Non ho sentito molto perché si muoveva e non avevo nulla per ascoltare, ma da quello che ho capito lui ha bisogno di Joy per qualcosa. Ha detto che Joy era fondamentale per il suo futuro.

- Matt, chiama Mr Mole. - disse risoluto Castle al suo avvocato.

- Sarebbe? - Chiese Kate preoccupata dall’espressione di Rick e da quel nome che non trovava per nulla rassicurante.

- Un amico che fa dei lavori, quasi tutti legali. Ma è capace di ottenere sempre molte informazioni nel suo giro e non solo. Se qualcuno sta indagando su di te lo scoprirà e nel frattempo scoprirà anche altro.

Beckett roteò gli occhi al cielo. In qualunque altro momento lo avrebbe ripreso per quella decisione assurda e fuori dalle regole, ora però fece finta di nulla.

- Faccio finta di non aver sentito nulla, Castle.

- Faccio finta di non averti detto nulla, Beckett. - Sorrise soddisfatto mentre si scambiavano un’occhiata d’intesa.

- Comunque Rick, noi e gli avvocati di Kate abbiamo parlato molto e ci siamo confrontati. Per questo abbiamo voluto tutti insieme che foste qui, perché dobbiamo dirvi quello che abbiamo pensato sia meglio fare. - Matt Cameron lì riportò al centro della questione e invitò Kate a sedersi. Prese posto nel tavolo ovale vicino a Castle che subito le prese la mano stringendola nella sua, un gesto che non passò inosservato a nessuno dei presenti e che alleviò almeno un po' l’animo di Jim Beckett che lasciò che fosse il suo socio a parlare.

- Come vi ha detto anche l’avvocato Cameron abbiamo parlato e letto le richieste di Cooper e del suo avvocato, Susan Roberts. A voi non dirà niente ma è una delle donne che sta facendo più scalpore per la sua scelta di difendere solo padri a cui è stato negato tale diritto e vi lascio immaginare che il fatto che sia una donna a farlo è molto più di impatto per la corte e l’opinione pubblica. Tende sempre a far diventare ogni causa uno show e a creare un precedente. - Spiegò Arthur.

- So benissimo chi è. - Intervenne Rick. - Mi aveva contattato quando sui giornali era apparsa la notizia della mia separazione con Meredith, voleva assistermi per ottenere la custodia, si era offerta lei, era ancora agli inizi e alla ricerca di popolarità. Le ha detto male, visto che Meredith non ha mai chiesto di occuparsi di Alexis e non c’è stata nessuna causa.

- Già, Rick, ma sono passati quanto? Undici anni? Da allora ha preso molto potere e prestigio… è molto pericolosa. - Intervenne l’altro dei fratelli Cameron.

- Quindi? Cosa dovremmo fare? - Chiese Kate che voleva andare al sodo e Miller riprese la parola.

- Con tuo padre e gli altri avvocati abbiamo valutato che portare avanti la tua causa per l’affidamento di Joy non farà altro che indebolire la posizione di Castle e la sua richiesta di adozione. Inoltre Cooper potrebbe usare le nostre stesse argomentazioni per fare le stesse richieste e dalla sua ha una cosa in più di te, lui può dire che non sapeva della sua esistenza e che l’hai data in adozione, ma ha subito le tue scelte. La sua posizione, in questo caso, sarebbe molto più forte della tua e francamente Kate, se venissero ascoltate le nostre richieste, alla fine chi avrebbe più possibilità di ottenere la custodia di Joy sarebbe proprio Cooper.

Mentre l’avvocato parlava Kate era rimasta completamente immobile, scuoteva solo impercettibilmente la testa. Rick aveva stretto di più la sua mano e la guardava, sapeva cosa voleva dire l’avvocato, sapeva cosa stava pensando Kate.

- Ritirate subito ogni mia azione nei confronti di Castle ed ogni richiesta su Joy. - disse risoluta sorprendendo tutti per la sua decisione immediata.

- Kate, sei sicura? - Le chiese Castle che sapeva cosa voleva dire per lei decidere di rinunciare ad essere legalmente la madre di Joy.

- Sì. Io… devo pensare a quello che è meglio per lei ed ora sei tu. Tu le puoi dare quello che io non posso. Adotta mia figlia, Castle, non c’è altra soluzione. - Poi guardò gli altri e soprattutto suo padre. - Fate quello che dovete fare.

Si alzò scostando rumorosamente la sedia ed uscì a passo rapido dallo studio.

- Forse è meglio se vai da lei, Richard. Qui pensiamo a tutto noi. - gli disse Jim fissando la porta chiusa alla sua sinistra dopo qualche momento di silenzio e Castle non se lo fece ripetere due volte, prese la giacca dalla sedia e corse fuori, ma Kate non era già più nello studio. Scese velocemente le scale sperando di vederla tra la gente sul marciapiede ma di lei non c’era traccia ed il suo telefono era muto.

Si era allontanata velocemente da lì, dalla strada e dal quell’isolato. Aveva urtato un giovane e lo aveva quasi fatto cadere, si era scusata voltandosi rapidamente e forse era stato il distintivo ben in vista a farle ricevere come risposta un sorriso e non qualche insulto.

Attraversò la strada di corsa, senza nemmeno accorgersi del semaforo che stava diventando rosso, costringendo un automobilista ad una frenata fin troppo decisa. Doveva respirare, fermarsi e calmarsi.

Rallentò il passo e percorse il marciapiede calpestando di tanto qualche foglia umida, trascinata dal vento sull’asfalto. Il parco era vuoto in quel pomeriggio un po' piovoso, decisamente ventoso e che cominciava ad essere freddo: non la giornata ideale per passeggiare lì, se si escludeva per qualche runner che correva isolato con le proprie cuffie.

Camminò sul vialetto di sassolini fino alle altalene. Si sedette su una lasciandosi cullare dal leggere movimento oscillante della seduta, strusciando di tanto in tanto i piedi a terra dove i sassolini avevano lasciato il posto ad un terriccio umido e fangoso che in realtà non era il massimo per i suoi stivali dal tacco alto.

Ripensò a quando era stata al parco con Joy, una delle prime volte in cui si era sentita veramente madre anche se lei ancora non lo sapeva, la sua preoccupazione quando si era fatta male e quell’istinto che non sapeva da dove veniva di proteggerla da tutto e da tutti che l’aveva sopraffatta come se fosse qualcosa di superiore a tutto il resto. Ripensò a Joy felice sull’altalena, un’altra delle cose che avevano in comune, a quanto avrebbe voluto che stesse già bene per portarla fuori casa e fare tutte quelle cose con lei normali per una bambina della sua età, come sua madre faceva con lei. Non aveva molto a cui appigliarsi per poter essere una buona madre se non i ricordi di tutto quello che Johanna faceva con lei e che lei avrebbe voluto rifare con sua figlia. Avrebbe voluto portarla a pattinare sul ghiaccio e fare pupazzi di neve, correre insieme in spiaggia e fare lunghi bagni, passeggiate nel parco mangiando un gelato, andare al cinema con un pacco enorme di pop corn, andare a fare shopping insieme e comprare tante cose inutili e divertenti, visitare un museo e vedere il suo volto entusiasta per tutto quello di bello che avrebbe scoperto. Eppure quel pomeriggio aveva di nuovo cambiato tutte le sue prospettive e sentiva come se avessero lanciato un sasso contro il suo vetro di illusioni, distruggendolo.

“È solo un documento Kate, non cambia quello che tu sei per Joy” se lo ripeteva, eppure non era così. Non voleva più che fosse un favore poter stare vicino a sua figlia se stava male, sentirsi dire che lei non era niente, che non aveva diritti, che non poteva scegliere. Voleva essere sua madre per tutto quello che comportava quel ruolo, eppure non poteva, anzi aveva di fatto appena rinunciato a tutto questo e non attenuava il suo dolore nemmeno il sapere di averlo fatto per lei, per evitare che Connor la strappasse alla sua vita appena conquistata. Ogni volta che provava a voltare pagina, a mettere un punto e a ricominciare immediatamente le scelte del passato tornavano prepotenti a ricordarle i suoi sbagli ed a chiederle di pagare il conto, troppo salato, anche per lei che era la più severa giudice di se stessa, però pensava di meritare un po' di serenità e di felicità con le persone che amava, perché adesso inevitabilmente ogni cosa non influenzava solo la sua vita, ma anche quella di Castle e Joy. Era forse così sbagliato provare a pensare di poter dare a sua figlia quello che aveva sempre sognato per lei? Una famiglia, delle persone che la amano, un posto dove poter vivere felice, dove non le manchi nulla. Aveva avuto una seconda chance per farlo, non capita a tutti, aveva capito che voleva e doveva sfruttarla, che era possibile con Rick al suo fianco. Poi il ritorno di Connor e tutto che era scivolato via, lontano, di nuovo e lei che vedeva tutto grigio, come quella sera.

Una folata di vento più forte le fece aprire gli occhi e realizzare che nell’uscire di corsa non aveva nemmeno preso la giacca. Sentì tutto il freddo addosso e dentro. Avrebbe dovuto dire tutto a Joy, deluderla ancora, e quell’idea la dilaniava. Voleva solo essere una buona madre, finiva ogni volta per non mantenere le promesse che le faceva. Come avrebbe mai potuto fidarsi di lei?

Andò via da lì, stringendosi le braccia al petto, affrettando il passo. Ormai era buio da un po’, il traffico a New York stava aumentando e le strade si stavano affollando di passanti frettolosi. Sentiva il brusio di sottofondo, catturando qualche parola qua e là di chi parlava al telefono, chi rassicurava qualcuno che stava arrivando presto, chi dava indicazioni su come preparare la cena, qualche appuntamento confermato e un papà che stringeva un sacchetto e parlava con il figlio dicendo che sì, si era ricordato del suo regalo. Era la vita, la normalità, quella che avrebbe voluto anche lei.

Passò davanti al negozio di giocattoli dove quel papà aveva appena preso il regalo per suo figlio. Entrò ed era per lo più vuoto, vista l’ora di chiusura che sarebbe arrivata tra poco. Le si avvicinò una commessa con l’aria non proprio felice di vederla lì, mentre altri clienti si avvicinavano alle casse.

- Desidera qualcosa in particolare? - La sua domanda era un chiaro modo per dirle che l’avrebbe aiutata purchè si sbrigasse.

- No, sto cercando un regalo per mia figlia. - Rispose Kate confusa che non aveva veramente idea di nulla, fino a qualche minuto prima nemmeno aveva idea di entrare lì.

- Quanti anni ha la bambina? - Chiese ancora la commessa mettendola alle strette nemmeno si trovasse nella sala interrogatori.

- Dieci, ha dieci anni. - Disse Kate guardandosi intorno e non notando l’espressione stupita della ragazza che forse si aspettava di aver a che fare con una bambina molto più piccola.

- Allora se vuole possiamo dare uno sguardo a quei nuovi arrivi lì. Le bambine impazziscono per i trucchi, le extension, gli smalti… - Le spiegò indicando alcune trousse con colori molto glitterati, che fecero inorridire Beckett.

- No, niente del genere… cerco qualcosa di diverso. - Riuscì a smarcarsi della commessa aggirandosi tra gli scaffali in cerca di qualcosa che la colpisse. Osservò bambole di vario tipo, giochi di ruolo, altri trucchi e giochi per creare gioielli, tutte cose nello scaffale con un grande cartello sopra che indicava l’età consigliata. Poi però Kate fu attratta da qualcosa di un altro reparto, dove c’erano giochi per bambini molto più piccoli, ma vide quello che per lei era la cosa giusta per Joy, per quel momento particolare.

- Sicura che vuole prendere questo per una bambina di 10 anni? - Le chiese la commessa vedendola con quell’oggetto in mano.

- Sì, sono sicura. È perfetto per lei. - Rispose Kate un po’ infastidita stringendo il suo regalo, quindi la ragazza si allontanò lasciandola andare verso la cassa.

Rick aveva provato a chiamarla varie volte quel pomeriggio ed il risultato era stato sempre lo stesso, irraggiungibile. Cenò con Alexis, Martha e Joy e alle domande di quest’ultima sud dove fosse sua madre si inventò di un importante caso a lavoro, ma né Alexis né Martha credettero alla sua versione, soprattutto sapendo cosa era accaduto il pomeriggio e vedendo il suo nervosismo quando Joy non era presente. Finì di mangiare velocemente e poi disse che aveva un appuntamento per il dopo cena con degli sponsor ed uscì senza dire altro, con Martha che bloccò Alexis che stava per fare qualche domanda inopportuna in quel momento, chiedendole di occuparsi lei di Joy, mentre l’attrice avrebbe rassettato la cucina. Martha notò le chiavi dell’auto di Rick ancora al loro posto sul mobile dell’ingresso e si diresse alla vetrata che dava sull’uscita del loft. Come immaginava suo figlio non uscì mai da lì, era solo qualche piano più sotto.

Castle bussò più volte alla porta di Beckett senza ricevere una risposta. Fu anche tentato di andare a casa a prendere le chiavi ed entrare per vedere se fosse lì ed avesse bisogno di qualcosa, ma riuscì a trattenersi. Camminò per lunghi minuti avanti e indietro nel corridoio, controllando sistematicamente l’orologio ogni volta che cambiava direzione, anche se erano passati solo pochi secondi.

- Castle! Che ci fai qui? - Gli chiese Kate stupita appena girò l’angolo del corridoio, vedendolo in fondo appoggiato al muro.

- Ehy stai bene? - Le domandò andandole incontro ed abbracciandola. - Kate, sei gelata!

Se ne accorse anche lei tra le sue braccia, decisamente più caldo di lei. Rick le scostò i capelli dal volto, la accarezzò, aveva ancora i segni del pianto, gli occhi gonfi ed arrossati, il trucco ormai del tutto sciolto e per lui era bellissima anche così, anzi ancora più bella. La baciò dolcemente accostando le sue labbra a quelle troppo fredde di lei, scaldandole con le sue. Lei poi lo guardò, senza dirgli nulla a parole, ma il suo sguardo gli diceva tutto quello che provava in quel momento, e quanto fosse felice che lui era lì, con lei.

- Sono stato in pensiero, sai? Mi hai fatto preoccupare… - Non era un rimprovero, era un modo per dirle quanto si preoccupasse per lei e Kate lo capì perché gli sorride imbarazzata e grata. Rick la lasciò solo per permetterle di aprire la porta di casa e lasciò che lei lo prendesse per mano per portarlo dentro. Lasciò la borsa ed il regalo di Joy su una sedia, poi si gettò di nuovo sul suo petto, abbracciandolo e lasciandosi abbracciare.

- Grazie per essere qui. Avevo così bisogno di un tuo abbraccio… di te… - Gli disse appoggiando la testa nell’incavo del suo collo.

- Ci sarò sempre Kate, se me lo permetterai.

Gli avrebbe voluto dire che glielo avrebbe permesso sempre, ma sapeva che sarebbe stato solo il momento a farla parlare così, perché si conosceva e sapeva che invece in troppe altre occasioni non l’avrebbe fatto e voleva smettere di prendere in giro le persone, promettendo cose che non poteva mantenere, promettendo di essere quella che avrebbe voluto e non quello che era.

Si sdraiarono sul divano e Rick la coprì con una coperta ripiegata in fondo alla seduta, mentre lasciava che si appoggiasse a lui. Avrebbe voluto chiederle mille cose, quello che aveva fatto, quello che pensava, rimase in silenzio rispettando quella che pensava fosse la sua voglia di non parlare, poi però fu lei che lo sorprese, lasciandosi andare.

- Se un anno fa mi avessi chiesto cosa avrei voluto più di ogni altra cosa per il mio futuro, ti avrei detto che avrei voluto continuare a fare giustizia per tutti i casi dei quali mi occupavo, trovare la verità sul caso di mia madre, magari fare carriera nella polizia o non so, lavorare in qualche divisione speciale. Ora invece vorrei solo una vita normale e mi sembra incredibilmente più difficile da raggiungere. Vorrei essere una madre… vorrei poter essere una… compagna… come tante. Vorrei poter pensare al futuro, mio di Joy… al nostro… e non vedere sempre una montagna impossibile da scalare.

- Non potrai mai essere una come tante Kate. Perché tu non sei una come tante, tu sei straordinaria. Tutto quello che hai appena detto… Tu non te ne rendi nemmeno conto forse, ma non sai quanto è importante per me. Continua a pensare al nostro futuro, se ci saranno montagne, le scaleremo insieme. Io non potrò mai darti una vita normale Kate, ma farò di tutto per darti quella straordinaria che meriti, anzi che meritiamo tutti e tre.

- Ho paura a pensarlo Rick, ho paura a pensare che possa succedere veramente, perché tutto quello che sogno sembra destinato a scomparire e diventare un incubo. È la prima volta che mi trovo a pensare di volere qualcosa del genere e… non riesco nemmeno a dirlo.

- Non lo dire, allora. Però continua a pensarlo, non smettere mai…

- Domani dovrò dire a Joy quello che è successo oggi… Che non potremmo stare insieme che non potrò essere la sua mamma come vorrei…

- Non le devi dire nulla Kate, Joy non potrà venire a stare con te ancora per un po’ e magari nel frattempo la situazione con Cooper sarà risolte e noi ne troveremo un’altra per sistemare tutto.

- No, Rick non voglio mentirle, Joy ha diritto di sapere la verità, non voglio prenderla in giro, rassicurarla su qualcosa che non so nemmeno io cosa sarà, quello che accadrà. Mi aveva già chiesto quando sarebbe accaduto e le avevo detto che ancora era preso, sicuramente lo chiederà ancora e non voglio né illuderla né mentirle ancora. Non se lo merita. - Gli spiegò senza nascondere l’ansia per quella decisione.

- Sei tu sua madre Kate, questo non lo cambierà nessuna decisione e nessun tribunale, non per te, per me o per Joy.

- Joy si sentirà tradita, ne sono certa.

- Sarà Joy a sentirsi così o sei tu a farlo? Perché se tu la vivi così, lei lo percepirà. - Le disse Rick massaggiandole le spalle sentendole decisamente contratte.

- Sai a cosa non riesco a smette di pensare? Al fatto che ancora una volta, per il suo bene, rinuncio a lei, alla possibilità di essere sua madre. Mi sento come se la stessi abbandonando ancora, come quella mattina di dieci anni fa quando l’ho lasciata in ospedale, come quando mi sono lasciata convincere che aveva già una famiglia dove stare…

- È diverso Kate… - Provò a rassicurarla Castle.

- Sì, io non volevo paragonare te e la tua famiglia a chi aveva preso Joy - Si precipitò a scusarsi voltandosi verso di lui e baciandolo fugacemente sulle labbra, come se volesse rassicurarlo del suo pensiero. - È solo come mi sento io e non posso non chiedermi se Joy lo capirà, oppure no, se dovesse rivivere anche lei lo stesso senso di abbandono e non riuscirei nemmeno a biasimarla. Ho paura di perderla Rick, che lei non mi capisca, che questa cosa ci allontani. Io per il suo bene sono pronta a qualsiasi cosa, ma non so se sono pronta a questo, non adesso. - Si girò tra le sue braccia per appoggiarsi meglio sul suo corpo dove trovò riparo e conforto.

- Joy potrà rimanerci male, ma non potrà mai odiarti e non la perderai. Sei la sua mamma, Kate. Magari si arrabbierà, ma non sai quante volte Alexis si è arrabbiata con me, poi passa. Io ancora non mi do pace per quanto sono stato stupido con te quando ho saputo che eri la madre di Joy. Eppure nonostante tutto tu sei qui, ed io posso stringerti così. Se mi hai perdonato tu dopo tutto quello che ho fatto, come può non farlo Joy perché scegli di darle la possibilità di continuare a fare la vita che sta facendo ora, circondata dalle persone che la amano veramente? - Kate fece un sorriso tirato che nascondeva la speranza di volergli credere.

- Ti amo Richard Castle. E mi rendo conto che non te lo dico abbastanza per quello che vorrei e che dovrei.

- Fa sempre piacere sentirselo dire ma… Stasera mi hai detto qualcosa di immensamente più importante per me, lo sai vero? - Kate lo guardò quasi commossa. - Però non lo dico, perché certe cose è bene non dirle in modo esplicito, ok? Però per me è importante, tanto. E comunque ti amo anche io Katherine Beckett e sei la cosa più sorprendente che è capitata nella mia vita. - La baciò, questa volta con molto più trasporto e lei si lasciò trascinare in quel bacio esigente.

- Resta con me stanotte… - Gli chiese separandosi a fatica dalle sue labbra.

- Lo avrei fatto anche se non me lo avessi chiesto. - Le rispose prima di imprigionarla di nuovo in un lungo bacio.

Era stata una notte piena d’amore, di baci, di carezze, di promesse non dette ma sentite. Era stata una notte tutta per loro, nella quale avevano bisogno di ribadirsi che c’erano, che quello che avevano era forse poco, forse tantissimo, ma era vero, non era un sogno né una proiezione. Erano loro ed erano reali.

Era tutto perfetto per Kate quando c’era lui. Perfetto e facile, così si illudeva che fosse ogni volta che la stringeva a se e la rassicurava che tutto sarebbe andato bene e lei metteva da parte la sua razionalità e voleva crederci. Sapeva, però, che tutto quello poi sarebbe svanito, quando doveva fare i conti con la realtà, ma quella notte, tra le sue braccia, non voleva pensarci, voleva respirare per qualche ore e credere che tutto sarebbe andato bene, per fare i conti con la realtà avrebbe avuto tutto il tempo con la luce del sole.

La realtà, invece, la chiamò molto prima che il sole sorgesse, nei panni del dodicesimo distretto. C’era stato un duplice omicidio, due cadaveri trovati nel retro di un ristorante etnico a pochi isolati da dove si trovava e doveva intervenire. Rick si era svegliato con il suono del suo cellulare che imprigionata dalle sue braccia non era riuscita a fermare in tempo. La guardò decisamente assonnato con un solo occhio aperto ed una smorfia di disappunto.

- Mi dispiace Castle… - Gli disse mortificata.

- Immagino che devi andare, vero? - Chiese lui che già sapeva la risposta, la guardò solo mordersi il labbro ed abbassare lo sguardo, la raggiunse con una carezza. - Verrei molto volentieri con te.

Glielo disse sincero, eppure la sua faccia diceva tutt’altro, che avrebbe solo voluto dormire ancora, soprattutto con lei, ma quello più che l’espressione lo diceva la sua mano che non ne voleva sapere di lasciarla.

- Guardandoti credo che vorresti solo dormire. - Gli disse baciandolo prima di alzarsi.

- Con te, sì. Se tu te ne vai, vorrei venire con te. La mia faccia era questa ogni volta che mi chiamavi, assonnata intendo, però ero felice di vederti e di portarti il caffè. - Le disse mentre sentiva la sua pelle allontanarsi sotto le sue dita.

- Rimani a dormire finchè vuoi. - Gli disse appena si fu vestita piegandosi su di lui per baciarlo ancora.

- Non c’è nessuno che ti porta il caffè al posto mio, vero? - Gli chiese lui preoccupato.

- Nessuno che mi porta il caffè Castle, quello lo fai solo tu. - Lo rassicurò.

- Bene. - Kate lo vide rigirarsi e prendere il proprio cuscino stringendolo tra le braccia. Si era già addormentato di nuovo e non resistette alla tentazione di andargli di nuovo vicino e baciarlo ancora, sulla guancia, sussurrandogli un “ti amo” che non sapeva se aveva sentito oppure no. Uscì lasciandolo a casa e quando fu fuori dalla porta pensò alla strana sensazione che provava per quella situazione, per quel frammento della sua normalità che le sembrava una conquista preziosissima, anche se sapeva che sarebbe durata solo lo spazio di una mattina.

- Tesoro, hai la faccia di una che questa mattina è stata tirata giù dal letto mentre se la stava spassando tantissimo! - Le disse Lanie china su uno dei due corpi.

- Non me la stavo spassando, stavo solo dormendo. - Puntualizzò Kate abbassandosi per analizzare anche lei il cadavere. - Cosa abbiamo?

- Maschi, senza documenti, asiatici, età direi sotto i trent’anni. Un colpo di pistola alla nuca da distanza ravvicinata, orario della morte, dalle 23:00 all’1:00 più o meno. - Rispose la dottoressa seria, mentre ruotava uno dei corpi per farle vedere il foro d’entrata. - Ma non stavi dormendo sola, vero? E non da molto tempo…

- No, non stavo dormendo sola, ora possiamo parlare del caso? - Insistette Kate.

- Fino a quando non li porto in laboratorio ti posso dire poco. Tu, invece cosa altro mi puoi raccontare? - Le chiese eccitata di sapere particolari di lei e Rick.

- Niente, Lanie, sono giorni un po’ difficili. Si è fatto vivo il padre di Joy e vuole la sua custodia ed io… ho dovuto rinunciare a chiederla, per non avvantaggiarlo. - Si sfogò Kate, rialzandosi ed allontanandosi di qualche passo.

- Dio tesoro, mi dispiace… - Le disse Lanie che se avesse potuto l’avrebbe abbracciata.

- Javi e Kevin? - Chiese guardandosi intorno e non vedendo i suoi compagni.

- Non ci sono, li ho visti mentre stavo venendo qui, avevano appena chiuso un caso che li ha tenuti occupati tutto ieri, quando non c’eri.

- Ah… - Esclamò Beckett sorpresa. Perché avevano chiamato lei allora.

- Ci sono loro però… - Indicò un po’ disgustata due detective che quando si voltò per guardarli le sorrisero ironici salutandola con la mano.

- Murphy e Gonzales eh? Che meraviglia… - Sospirò Kate. Erano due dei detective del gruppo che più la stava mettendo in difficoltà al distretto. Non aveva il minimo dubbio che la chiamata che aveva ricevuto non era stata solo perché era reperibile, ma una chiara intenzione di provocarla. Fece buon viso a cattivo gioco, tra di loro quella più alta in grado era comunque lei e, volenti o nolenti, ora dovevano fare quello che diceva lei, visto che erano stati loro ad averla coinvolta e di certo non si sarebbe fatta intimidire.

- Cosa avete scoperto? - Chiese decisa avvicinandosi ai due che invece la guardavano sghignazzando.

- Mah, solite cose, nessuno ha sentito nulla, la telecamera è rotta… Questa gente non parla… Credo che ci siamo precipitati qui così presto per niente, potevamo rimanere a letto a dormire… o fare altro… tanto non cambierà nulla in qualche ora. - Disse Murphy dando una gomitata di appoggio al collega.

- E invece siamo qui, quindi vedete di cercare qualcosa di utile e come prima cosa voglio che setacciate questo vicolo centimetro per centimetro fotografando tutto, anche le cartacce. Io vado a cercare il proprietario del ristorante per interrogarlo.

- Ma Beckett… c’è la scientifica per questo - Protestò Gonzales

- Mi avete chiamato voi, si fa a modo mio. Voglio tutto fotografato. E lo voglio subito. - Fu più dura e decisa di quanto avrebbe dovuto, ma non ci stava a farsi mettere i piedi in testa da loro e doveva farsi rispettare.

Come si era aspettata il proprietario del ristorante, un uomo cinese che stando ai suoi documenti viveva da anni a New York ma che sosteneva di non capire una parola di quello che le stava dicendo, non aveva detto nulla, nemmeno quando era arrivata l’interprete, sostenendo di non conoscere quei due e di non aver sentito nulla. Proprio come tutti gli altri.

- Forse avresti dovuto lasciarlo interrogare a noi Beckett, sai due uomini, lo possono intimorire di più. - Le disse Murphy appena uscito dalla sala interrogatori.

- Prego, tutto vostro. - Rispose Kate lasciando la porta spalancata ed andandosi a mettere dietro il vetro per osservarli.

- Problemi Beckett? - Montgomery era arrivato alle sue spalle sorprendendola mentre la sua mente vagava molto oltre quella stanza.

- No, signore. - Rispose istintivamente.

- Non sei molto brava a mentire, lo sai vero? Ti creano problemi quei due?

- Routine, capitano. Niente che non posso gestire.

- Ricordati che sei tu il capo della squadra. - Le disse Montgomery, lui aveva la massima fiducia in lei e nelle sue capacità, da sempre.

- Grazie Signore. - Le faceva bene sapere di godere della stima del suo capitano e le dava quella serenità di cui aveva bisogno.

- Tua figlia come sta adesso? - Le chiese preoccupandosi per lei, visto che tanto i due là dentro con il proprietario del ristorante non stavano cavando un ragno dal buco, nonostante le loro urla.

- Meglio, per fortuna non era nulla di grave. Procede nel suo recupero, ma ancora la strada è lunga ed anche lei comincia ad annoiarsi a stare sempre a casa. Non è facile… - Ammise Kate, il capitano annuì appoggiandole amichevolmente una mano sulla spalla.

- Salutami Castle quando lo vedi e digli che lo aspetto per quel giro al golf che mi aveva promesso. - Kate sorrise. Era il modo di Montgomery di farle sapere che anche lui sapeva tutto e che non la stava né giudicando né biasimando. Poco dopo che il capitano era tornato nel suo ufficio Murphy e Gonzales uscirono decisamente frustrati dall’interrogatorio con Zhang.

- Ho notato che lo avete intimorito bene… sicuramente adesso abbiamo molte informazioni in più utili al caso. - Disse sarcastica mentre passarono davanti a lei.

Riprese in mano saldamente le redini del caso, incoraggiata dalle parole di Montgomery e soprattutto dalla sua determinazione. Discusse molto e a lungo con i due colleghi, che volevano indirizzare le indagini in una direzione opposta alla sua, sopportò le loro risatine quando Castle la chiamò e si allontanò per rispondere nella sala relax, cercando un po’ di quella privacy anche se quello che avevano da dirsi era poco più di un saluto ed un aggiornamento su come stavano andando le cose a casa ed al distretto. Rispose al suo “Ti amo” con un impersonale “Anche io”, ma aveva paura che anche i muri di quella stanza avessero spifferi per portare le sue parole ad orecchie indiscrete.

Alla fine non li convinse ma li obbligò, a seguire la sua pista, supportata dalle ultime notizie che le aveva fatto arrivare Lanie dal laboratorio e dalla corrispondenza di alcuni campioni di DNA che erano registrati nell’archivio. Trovarono così la sorella di uno degli uomini uccisi, che non sembrava comunque addolorata per la perdita del fratello, più impaurita per le sue conseguenze. Beckett, sotto lo sguardo al di là del vetro scettico e perplesso dei due colleghi, riuscì a far confidare la giovane che le raccontò una storia di amore e morte, di minacce e faide familiari, di come lei si fosse innamorata del figlio del Zhang ed avessero una storia da tempo, ma la sua famiglia non era d’accordo, perché già promessa ad un altro uomo, quello ucciso con suo fratello. Così era stato il suo ragazzo, Lee, a chiedere ai due di incontrarsi e fatti arrivare nel vicolo li aveva giustiziati per essere libero di amarla.

Kate provò immediatamente molta tenerezza e pietà per quella ragazza rimasta improvvisamente sola, senza la sua famiglia e senza la persona che amava. Rimase con lei fino a quando Lee non fu prelevato e portato al distretto. Concesse ai due qualche momento per salutarsi, poi ottenne la promessa di Zhang che si sarebbe preso cura lui della ragazza.

Scrisse, sotto lo sguardo silenzioso dei due detective, il rapporto di quel caso, ordinandogli di finirlo loro, con tutti i rilievi e le trascrizioni delle testimonianze. Poi dopo aver incassato quella vittoria lavorativa, tornò a casa dove sapeva che l’aspettava una prova ancora più dura.

Passò nel suo appartamento per prendere il regalo per Joy e fu sorpresa per un istante quando aprì la porta di casa di sentire così presente il profumo di Rick. Le aveva lasciato sul bancone della cucina un foglietto strappato da un taccuino dove le aveva scritto che le mancava e vide il bordo macchiato di caffè. Provò un brivido lungo la schiena al pensiero che anche lui le era mancato, enormemente, per tutta la giornata ed ora che se lo immaginava lì, solo, nella sua cucina, le mancava anche quel momento non vissuto con lui. Si affacciò in camera e vide il letto maldestramente rifatto e la maglietta che aveva usato per dormire ripiegata sul cuscino e la trovò così rassicurante, aveva lasciato una presenza di lui, un modo per dirle che c’era e ci sarebbe stato.

- Ho sempre voluto un pupazzo così quando era piccola. - Le disse Joy raggiante mentre tirava fuori dalla busta quell’orso bianco che teneva stretto tra le braccia un orsacchiotto più piccolo: mamma orsa con il suo cucciolo.

- Arrivo sempre tardi eh… - Sorrise amaramente Kate.

- Però sei arrivata. - Joy accarezzava il suo peluche - Siamo io e te?

- Ti piacerebbe che fosse così? - Chiese Kate e Joy annuì - Allora sì, siamo io e te.

- Sei stanca mamma? Mi ha detto Rick che ieri sei tornata tardi e stamattina sei andata via presto… Sei strana…

- Un po’ sì… - Le rispose spostandole i capelli dal volto, in una di quelle azioni che faceva sempre quando voleva allentare l’attenzione dalle parole ai gesti nei quali si rifugiava.

- Ma quando staremo insieme lavorerai sempre così tanto? - Le chiese un po’ triste e preoccupata.   

- Ascoltami Joy… le cose sono cambiate negli ultimi giorni, da quando è arrivato Connor…

- Che cosa è cambiato, mamma?

- Lui… vuole che tu stia con lui. Vuole che tu vada a vivere con lui e la sua famiglia e sta lottando contro di noi per questo.

- No! Mamma io non voglio! Io non ci voglio andare! Lui non è niente mamma! Io voglio stare con te e Rick!

- Lo so Joy. Ed è per questo che noi faremo tutto per farti stare qui. Però… Joy c’è una cosa che devo dirti e non so come fare… Ti ricordi quando ti avevo detto che avremmo vissuto insieme a casa nostra, quando tu saresti stata bene?

- Sì, non manca molto vero?

- Non è possibile ora Joy… non possiamo…

- Perché?

- Perché io… devo rinunciare a chiedere il tuo riconoscimento.

- Perché mamma?

- Per te. Per farti rimanere qui. Non posso chiedere questo, perché avvantaggerebbe Connor ed avrebbe più possibilità di portarti via e non lo posso permettere, lo capisci Joy?

- No… tu avevi detto che avresti fatto tutto per essere la mia mamma e non mi avresti lasciato più.

- Infatti non ti lascio Joy, non lo farò mai. Ma ora non posso. E non sai quanto mi fa male dovertelo dire e non mantenere la promessa.

- Tu non mi vuoi? Mi abbandoni ancora? - le chiese con le lacrime agli occhi e nel sentire quelle parole Kate si sentì morire dentro.

- Io sono sempre qui, come lo sono stata fino ad ora. Non sarà la decisione di un giudice a cambiare quello che tu sei per me. Io farei di tutto per te, per farti stare bene e qui so che stai bene, non è così?

- Sì ma… Io volevo state con te. Dovevamo essere una famiglia, mamma. - Kate provò ad asciugare le lacrime di Joy ma cominciò a piangere anche lei.

- Se potessi ti prenderei e ti porterei via da da tutto questo. Mi dispiace Joy. Mi dispiace perché è tutta colpa mia e non riesco mai ad essere quella che dovrei per te e ti deludo sempre. Mi dispiace amore mio. Vorrei prometterti tutto, ma ho paura di farlo perché non vorrei deluderti più… Ti voglio bene Joy e lo so che ogni volta per te è più difficile credermi. Ma tutto questo lo sto facendo solo per te, per il tuo bene…

- Come quando mi lasciato? Pensi sempre che il mio bene è lasciarmi ad altri? Perché? - si voltò dall’altra parte per non vederla.

- Non pagherò mai abbastanza per i miei errori Joy, lo so. Ma adesso è diverso. Tu stai con Rick ed io ci sarò sempre per te. Sono qui, Joy, per favore guardami.

- Vattene Kate. Voglio stare sola adesso…

Kate uscì in lacrime dalla stanza di Joy, andando a sbattere contro Rick che era lì fuori. La fermò prendendole le braccia, lei lo guardò con gli occhi rossi e umidi scuotendo la testa e sospirando. Provò ad abbracciarla ma scivolò via scendendo le scale di corsa e poi sentì solo il rumore della porta che sbatteva. Alexis era uscita dalla sua stanza e guardava suo padre senza sapere bene cosa sarebbe accaduto. Lo vide preoccupato e molto serio, le fece solo un cenno per dirle che andava tutto bene, poi entrò in camera di Joy.

La trovò distesa sul letto, con le spalle verso la porta. Si sedette dalla sua in modo che potesse vederlo. Joy lo abbracciò e lui la lasciò fare, accarezzandole la schiena ed aspettando che smettesse di piangere.

- Ti ricordi cosa mi hai detto quando è venuto Connor? - Le chiese Rick guardandola molto seriamente negli occhi e Joy non si aspettava questo suo atteggiamento, era convinta che fosse lì per consolarla e coccolarla, ma capì dalla sua voce che era diverso.

- Che per me sei tu il mio papà.

- Se tu lo pensi, io allora ti parlerò non come Rick, ma come padre. - Joy annuì, era contenta di sentirlo parlare così, nonostante lo vedesse come mai lo aveva visto. - Quella che è appena uscita non è Kate, è tua madre. È Kate per me, per Alexis, per Martha e per tutto il resto del mondo. Non per te. Quella che è uscita da qui piangendo è tua madre Joy. E lo è sempre, non solo quando tu non sei arrabbiata con lei.

Joy rimase in silenzio ad ascoltare le parole di Rick con lo sguardo basso.

- Io so che quello che hai detto era voluto, che l’hai chiamata volutamente per nome, perché sai cosa vuol dire per lei. Sei troppo intelligente per non saperlo. Non mi piace questo Joy. Per quanto tua madre possa aver sbagliato, ed ha sbagliato molto, non si merita che tu la chiami per nome, togliendole di fatto il privilegio che si era guadagnata di essere tua madre. Non è un foglio di carta, un tribunale, che stabilisce cosa lei è per te o quanto ti ama. Tu hai detto che io sono tuo padre. Eppure tra noi non c’è nessun legame di sangue e nemmeno alcun tribunale che lo ha stabilito. Perché lo hai detto allora?

- Perché tu ti sei comportato bene con me, come un papà, sei stato l’unico che lo ha mai fatto.

- Kate no? Ha fatto di tutto per starti sempre vicina, anche quando io non volevo. Non si è mai arresa. In ospedale veniva di notte per vederti, quando non c’era nessuno. Ha rischiato la sua vita per venirti a prendere quando ti avevano rapita, contro tutto e contro tutti. È uscita dall’ospedale ferita per venire da te, per rassicurarti che stava bene. Fa di tutto per uscire prima e passare ogni mattina per stare con te e salutarti. Non è perfetta Joy, ma è tua madre e ce la sta mettendo tutta. Pensi che sia facile per lei dover imparare a fare la madre di una ragazzina di dieci anni? Ok, è colpa sua ma ci sta provando in tutti i modi.

- Però poi mi lascia sempre.

- No, Joy, non ti lascia. È qui. È a casa vostra e se la conosco un po' sta piangendo da sola, per te e si sta dando colpe che non ha, che non sono sue. Ti sembra giusto? Pensi che a lei prendere questa decisione non ha fatto male? Ieri non ha lavorato fino a tardi ed io non ero fuori per lavoro. Ero con lei ed pianto tutta la sera, preoccupata perché doveva dirtelo, addolorata per la scelta che aveva dovuto fare. Questa è tua madre Joy e non si merita che tu la mandi via togliendole anche il chiamarla mamma. È una cosa volutamente cattiva e tu non lo sei. Puoi essere delusa ed arrabbiata ma non cattiva con tua madre.

- Io non volevo essere cattiva. Volevo farle capire quanto ero triste e mi dispiaceva.

- Hai scelto il modo sbagliato. Capita. Ma le dovrai chiedere scusa, anche se lei non vorrà perché tua madre si prenderà tutte le colpe, anche quelle non sue. Tu le hai detto di andare avanti, di non pensare a quello che è stato, ma per tua madre non è così. Lei ci pensa sempre. Lei si sente sempre in debito con te, per tutti questi anni. Non riesce a non pensarci, anche se ti ha promesso di farlo e non perché non vuole, ma perché non può non pensarci. È una ferita che non si rimarginerà mai per lei, come sarà per te. E se tu avrai sempre in fondo un po’ di paura che il passato possa ripetersi, lei avrà sempre presente il senso di colpa per quello che ha fatto. State male tutte e due per quello che è successo, in modo diverso. Ti capisco Joy e posso solo immaginare quante volte ti sei sentita sola, senza nessuno e magari hai pensato tante cose brutte sui tuoi genitori, ti sei chiesta perché. La vita però non è sempre giusta e a voi è stata data una seconda possibilità e Kate sta facendo di tutto per far sì che tu la viva al meglio, mettendo i tuoi interessi davanti a tutto, anche davanti a lei stessa.

- Io non voglio andare con Connor.

- Lo sappiamo e la decisione di tua madre è stata proprio pensando a questo, per non dargli possibilità o dargliene molte meno. Non voleva che lui la usasse per portarti via, lo capisci?

Joy annuì ma ancora non era molto convinta.

- Vedi, io le avevo consigliato di non dirti nulla. Avremmo preso altro tempo e nel frattempo contavo di risolvere la situazione con Connor. Lei invece voleva essere sincera con te, non voleva nasconderti nulla, per questo te l’ha detto, per non avere segreti, perché se qualcosa doveva andare storto, tu sapevi cosa stava accadendo. Lei ti ha trattata da persona grande e tu le hai risposto facendo i capricci come una bambina.

- Io… ho avuto paura… che mi lasciasse di nuovo. Io non voglio che mi lasci.

- Joy, Kate è la tua mamma. Lo è oggi lo sarà sempre. Capisco la tua paura, i dubbi, le domande senza risposta: io mio padre non l’ho mai conosciuto so come ci si sente a vivere con quel senso di abbandono che ogni tanto torna a galla.

- Nemmeno io avrei voluto mai conoscere mio padre. È colpa sua. - Disse arrabbiata.

- Tu ti fidi di me Joy? Ti fidi quando ti dico che tutto quello che stiamo facendo è per evitare che Connor possa volere qualsiasi cosa da te? Lo stiamo facendo insieme, io e Kate e lei è quella che pagherà il conto più salato, anzi lo sta già pagando. E non è giusto che la tratti così. Nessuno vorrebbe stare con te più di quanto vuole lei, nessuno si sente più in colpa di lei per non poterti dare quello che vorrebbe. Non si merita questo, lo capisci?

- Mi dispiace… papà…

- Non lo devi dire a me. Lo devi dire a tua madre. E Joy, non devi sentirti obbligata a chiamarmi in nessun modo. Rick va bene, se vuoi.

- Vorrei chiamarti papà, se Alexis non ci rimane male.

- Domani glielo puoi chiedere, ma non credo avrà nulla in contrario. Ora dormi e pensaci un po' su a quello che ti ho detto, ok? A domani Joy.

- Notte Rick.

Chiuse piano la porta di Joy. Uscì da lì sfinito da quel confronto, non avrebbe mai immaginato di dover fare una conversazione di quel tipo. Aveva negli occhi l’immagine di Kate che se ne andava in lacrime, avrebbe voluto scendere da lei, ma sentiva che non doveva farlo. Era certo che l’avrebbe respinto quella sera, perché ormai aveva imparato a conoscerla, aveva bisogno dei suoi spazi, come ogni volta in cui scappava.

Le mandò un messaggio chiedendole se voleva che la raggiungesse. La sua risposta fu quella che si aspettava.

“Stai con Joy, lei ha bisogno di te.”

Avrebbe voluto dirle che non era vero, che quella che aveva più bisogno di lui era lei, sapeva che sarebbe stato inutile. Evitò di dirle che aveva parlato con Joy, anzi aveva più che parlato, ma quello doveva rimanere una cosa tra loro, perché era certo che lei non avrebbe approvato, anzi avrebbe addirittura difeso sua figlia, trovando mille giustificazioni. Le disse solo ancora una volta che l’amava e che si sarebbe sistemato tutto. Lei lesse il messaggio ma non rispose e Rick non riuscì a dormire per tutta la notte al pensiero che lei era sola, così vicina eppure così distante.

Le foto di lei e Joy erano un po’ ovunque in casa. Le aveva stampate e incorniciate una ad una, per riempirla di lei. Erano quasi sempre sorridenti, insieme, più simili di quanto non si accorgesse quando la guardava, poi ce ne erano alcune che le piacevano particolarmente, che aveva scattato Rick, di nascosto, nelle quali erano assorte a fare qualcosa insieme o a parlarsi. Poi ce n’era una che amava molto, ed era strana perché i loro volti quasi non si vedevano, perché Joy era addormentata in braccio a lei, con il viso quasi nascosto nella sua maglia e lei aveva il suo immerso nei capelli di sua figlia mentre la teneva stretta. Era la sua preferita, tra tutte. Era quella che meglio descriveva quello che provava per lei, il desiderio di proteggerla, di tenerla con se, di amarla ed di non lasciarla mai. C’era tutto in quella foto rubata ad un attimo di un giorno come tanti. C’era tutto quello che le sembrava appena andato in mille pezzi.

Kate. Non aveva mai sentito il suo nome farle tanto male, non lo aveva mai sentito come se fosse una sentenza, un pugno nello stomaco che distruggeva tutto. Aveva percepito tutta la sua voglia di distacco, di allontanarla fisicamente e soprattutto affettivamente. Joy non era una bambina stupida, non era superficiale e non lasciava le cose al caso. Chiamarla Kate era stata una scelta, precisa, così come l’aveva chiamata mamma quella sera quando era andata da lei, perché l’aveva cercata. Usava le parole con estrema sapienza per la sua età e sapeva benissimo la differenza ed il loro significato che andava al di là della parola stessa. Aveva messo un confine tra loro. Kate aveva rinunciato a lei, ancora una volta, quindi non era la sua mamma, era Kate, perché le madri non rinunciano ai figli, perché lei non le aveva mai dato nessuna prova concreta di voler lottare per averla, perché alla prima difficoltà ora come allora, lei aveva lasciato che decidessero gli altri. E non si perdonava e non poteva chiedere che lo facesse sua figlia né nessun altro. Era solo capace di illuderla e poi farla soffrire e allora non si meritava di essere sua madre, perché per quanto si sforzasse non riusciva a rendere felice sua figlia, aveva ragione lei. Era solo Kate.

E poi c’era Rick, con i suoi messaggi, che cercava di starle vicino, che voleva starle vicino, ma lei in quel momento non poteva permetterglielo. Perché lui doveva stare con sua figlia, lui che non la deludeva mai, lui che doveva diventare il suo punto fermo, a costo di allontanarlo da sé. L’unico che le faceva vedere anche in quei momenti che in fondo a tutto ci poteva essere una piccola luce, perché voleva credere alle sue promesse che tutto si sarebbe sistemato, come diceva lui. E la sua maglia fu di nuovo un’ancora alla quale aggrapparsi, per passare quella notte tormentata.

Joy rimasta sola si rigirò varie volte nel letto. Ripensò alle parole di Kate e a quelle di Rick, allo sguardo di sua madre che aveva solo intravisto mentre le diceva di andarsene, ma in realtà non voleva. Voleva stare con lei eppure non riusciva a farglielo capire. Si era sentita abbandonata ancora, tradita, era delusa perché sperava veramente che loro potessero essere una famiglia. Avrebbe voluto chiederle perché doveva essere tutto così complicato, perché non potevano stare insieme tutti e tre, sarebbe stato bellissimo, pensava. Però era così arrabbiata e delusa che aveva solo voluto mandarla via, per non affrontarla, per non farsi vedere ancora più vulnerabile, per non farle capire cosa voleva realmente. Perché Joy, in fondo, era come Beckett. Si aspettava che Rick l’avrebbe consolata e coccolata, come aveva sempre fatto e le sue parole, dure in alcuni passaggi l’avevano colpita. Era la prima volta che qualcuno la trattava così, che la riprendeva, solitamente tutti o erano stati più o meno affettuosi e accomodanti con lei, cercando sempre di capirla e di giustificarla, oppure semplicemente indifferenti. Era la prima volta che qualcuno si confrontava con lei in modo così netto, riprendendola per il suo comportamento e non seppe nemmeno come reagire.

Accese la luce e vide l’orso che le aveva dato sua madre poco prima. Era un simbolo, avrebbe dovuto capirlo. Era l’orsa che difendeva il suo cucciolo e lo abbracciava. Erano loro ed era il modo di Kate per dirglielo. Scese dal letto prendendolo e sentì dentro di se tutta la tristezza di quel momento. Sentì nella sua mente le parole di Rick che le diceva che Kate era sola a casa e piangeva per lei. Uscì dalla sua stanza tenendo stretto l’orso e scese le scale cercando di fare il più piano possibile. Sobbalzò quando vide Rick seduto ad uno degli sgabelli della cucina.

- Dove vai Joy? - Le disse benevolmente.

- Io… non riesco a dormire…

- Come mai?

- Pensavo alla mamma… - ammise nascondendosi dietro il peluche.

- Anche io. - Rick bevve l’ultimo sorso di scotch che si era versato.

- Ci hai parlato? - Le chiese speranzosa.

- Non mi ha risposto. Mi ha mandato solo un messaggio dove mi diceva di stare con te, di starti vicino. - Le disse senza mentirle, voleva farle capire quanto Kate pensasse a lei e vide la sua espressione stupita. Si avvicinò sedendosi su uno sgabello vicino a lui, mettendo l’orso sul bancone. Rick lo prese e lo guardò, sorrise amaramente prima di rimetterlo davanti a Joy, era un regalo così da Kate e pensò che le sarebbe veramente piaciuto vederla alle prese con un bambino piccolo, sarebbe stata la migliore madre del mondo, anche se lei avrebbe sempre negato, ne era certo.

- Vuoi qualcosa? Un bicchiere di latte? - Chiese a Joy che scosse la testa rifiutando.

- Posso dormire con te stanotte? - Gli chiese timidamente.

- Certo, va bene. - Acconsentì Rick

- Sicuro? - Chiese ancora lei insicura.

- Sì, sono sicuro, perché? - Non capiva la sua titubanza.

- Sei arrabbiato con me…

- Un po’ sì, ma questo non vuol dire che non puoi dormire con me. Anche se sono arrabbiato non ti mando via. - Le rispose pungente.

- Non come ho fatto io con la mamma, vuoi dire questo? - Chiese lei che subito aveva colto il riferimento e Rick sorrise annuendo.

Scese dallo sgabello e l’aiutò a fare lo stesso, le diede il suo orso e poi la portò nella sua stanza. Joy si addormentò poco dopo, lui no.

Kate si era addormentata sul letto stringendo la maglia di Rick ed il cuscino che aveva usato la notte precedente. Il suo profumo era così intenso che nel dormiveglia si era immaginata più volte che fosse realmente vicino a lei, invece allungando la mano l’unica cosa che aveva trovato era la cornice con la foto di lei e Joy che aveva portato con se. Si sentiva così terribilmente sola, stupida e patetica. Si era appena risvegliata da poco, di soprassalto, con nelle orecchie le parole di Joy che rimbombavano assordanti e negli occhi lo sguardo di Rick che la pregava di non scappare via. Non gli aveva dato ascolto, era scappata, quello che faceva sempre quando non si sentiva in grado di affrontare le cose, quando voleva sfogarsi senza farsi vedere, quando aveva paura. Non aveva nemmeno risposto al suo ultimo messaggio della sera prima. Prese il telefono e digitò un freneticamente le sue ennesime scuse. “Scusami, ti amo anche io”

Si andò a preparare, aveva qualche ora ancora prima di andare al distretto se non l’avessero chiamata ancora per qualche caso urgente, ce l’avrebbe fatta ad essere quantomeno presentabile, nonostante le occhiaie e gli occhi gonfi. Si stava rivestendo quando sentì il bip di un messaggio in arrivo, era Rick.

“Forse questa mattina è meglio che non vieni… Non ti preoccupare però…”

“Ok…”

Aveva già pensato che era meglio non andare, non imporre la presenza. Capiva che Joy doveva avere bisogno di tempo e lei non poteva far altro che darglielo e sperare magari che Rick trovasse la chiave giusta per comunicare con lei e farle capire il suo punto di vista. Leggerlo, però, averne la conferma, le faceva male.

Quando sentì il campanello suonare andò ad aprire senza farsi troppe domande, era certa che fosse Castle che era sceso da lei, sarebbe stato tipico da lui e non poteva dire di non essere felice della sua idea. Aveva bisogno di un abbraccio, del suo abbraccio, di sentirgli dire che sarebbe andato tutto bene, anche se non ci credeva poi molto.

Aprì e non vide nessuno davanti a lei, dovette abbassare lo sguardo di poco per accorgersi che lì c’era Joy con una tazza di caffè in mano. Le due si guardarono senza dirsi nulla, Joy abbassò poi lo sguardo sulla tazza mentre Kate faticava a trovare qualcosa da dire o da fare, mordendosi l’interno della guancia e respirando profondamente, aveva paura a parlare e riuscì solo a spostarsi per farla entrare.

- La mascherina, Joy… non devi uscire senza… - Fu l’unica cosa che riuscì a dirle, non il massimo, per quell’approccio, ma la sua preoccupazione per lei andava sopra ad ogni cosa. Joy, scrollò le spalle, era sempre stata molto diligente nel rispettare le condizioni che le erano state poste e Beckett faticava a capire quel suo comportamento, avrebbe voluto dirle ancora qualcosa, ma poi Joy allungò le braccia porgendole la tazza, come se fosse un’offerta di pace. Kate la prese e subito l’aroma intenso del caffè le riempì le narici e involontariamente sorrise.

- Rick aveva ragione. - Disse Joy. - Ha detto che con il caffè avresti sorriso, dice che sorridi sempre quando ti porta il caffè.

Kate ne bevve un sorso e lo appoggiò sul mobile della cucina, poi si fermò a guardare sua figlia che la osservava a sua volta.

- Scusa, mamma. Mi dispiace. - Le disse Joy mordendosi il labbro ed abbassando lo sguardo, ma facendo in tempo a vedere le braccia di Kate che si aprivano ed avvicinarsi, abbracciandola. Beckett la strinse forte, per non lasciarla andare e non sapeva quanto tempo rimase di preciso così, fosse stato per lei ci sarebbe rimasta all’infinito.

- Se ci sei tu, non c’è bisogno del caffè per farmi sorridere. - Le disse accarezzandole il volto, appena la sciolse dal suo abbraccio, poi si andarono a sedere al tavolo della cucina, Kate con la sua tazza tra le mani con il caffè ormai tiepido e Joy che invece tamburellava con le dita sul piano di legno. Non le era passato in secondo piano il fatto che l’avesse chiamata mamma, ma il suo silenzio imbarazzato rendeva Kate incerta su cosa fare e cosa dire, non sapeva cosa pensasse sua figlia, anche se il fatto che fosse lì era più di quanto potesse sperare.

- Rick mi ha fatto capire che ieri sera ho sbagliato. - Le disse Joy senza riuscire a guardarla.

- Sbagliamo tutti Joy, io per prima, tante volte. - Prese una delle sue mani e la tenne nella propria.

- Non volevo farti piangere, mamma. Io vorrei solo stare con te ed ho avuto paura.

- Joy, non posso prometterti tante cose ed ho paura che tutte quelle che ti prometto non le posso mantenere. C’è solo una cosa, però, sono sicura di poterti dire io non voglio lasciarti più, Joy. Mai più. Non mi importa come posso starti vicino, cosa decideranno giudici, tribunali, cosa sarò per la legge e cosa no. Tu sei mia figlia e per me conta solo questo. Ho già perso troppo tempo e l’ho fatto perdere a te. Ti prego, non aver paura di questo, perché non accadrà, non per mia volontà, mai.

- Mamma… - Provò ad interromperla, ma Kate le portò l’indice sulle labbra per farla tacere, non aveva finito.

- Aspetta Joy… Vorrei riuscire a farti capire che sei la cosa più bella della mia vita e lo so che è difficile credermi, come per tutto il resto. Io… non pensavo che mi sarei mai potuta trovare così, davanti a te, a parlarti di quello che siamo, di quello che dovevamo essere, di quello che se tu vuoi saremo. Io non credevo che avrei mai avuto nemmeno l’opportunità di vederti, di sapere come eri diventata e… tu sei meglio di qualsiasi cosa potessi immaginare, sotto tutti i punti di vista… So che tutto questo è difficile per te, ma lo è anche per me e… ci sono tante cose che sono complicate e che devono trovare il loro posto ed essere sistemate. Ti voglio bene Joy, più di quanto pensavo fosse possibile amare qualcuno, vorrei solo che tu lo capissi.

Joy si alzò ed andò verso Kate che la sollevò prendendola in braccio e facendola sedere sulle sue gambe. In quei casi le sembrava ancora più piccola della sua età, più fragile, più bisognosa di essere protetta.

- Ti voglio bene anche io mamma. Scusa…

- Non ti devi scusare Joy… Non hai niente da scusarti, non è colpa tua… - Le diede un bacio sulla fronte, lasciando le sue labbra sulla pelle di sua figlia a lungo, respirando il suo profumo che ormai era inconfondibile, l’avrebbe riconosciuto ovunque. Non riusciva a non pensare a come sarebbe stato tenerla così quando era appena nata, quando era piccola, sentirla crescere tra le sue braccia giorno dopo giorno, così come aveva fatto dentro di se, accompagnarla nei suoi primi passi, sentire le prime parole, tutte cose che non avrebbe mai potuto avere. Pensava a tutte le volte che Joy avrebbe avuto bisogno di una madre e non c’era, tutte le notti sola senza nessuno che aspettasse che si addormentasse cullandola, cantandole una canzone per farla dormire, leggendole una storia. Non poteva essere colpa sua se aveva avuto paura, se non si fidava di lei.

- Devo imparare anche io ad avere una mamma, una mamma vera, come te. - Le disse Joy stringendosi a lei.

- Impareremo insieme. - Tutto quello che era successo la sera prima non era scomparso, anzi era ben presente in Kate. Lo stappo che aveva sentito quando Joy l’aveva chiamata per nome era una sensazione che non sarebbe passata, era l’amara sensazione di sentire cosa vuol dire perdere tutto, qualcosa che avrebbe ricordato sempre, in ogni momento per non dare nulla per scontato, soprattutto quell’abbraccio con il quale stava curando i graffi sul cuore.

- Sei stanca? - Le chiese Castle quella sera appena rimasti soli, quando la vide sul divano del loft con la mani a coprirsi il volto sbuffando.

- Sfinita… - Si lamentò. Era stata una giornata intensa quella che aveva seguito quella notte insonne. Dalla mattina carica di emozioni con Joy ed il loro chiarimento, al dover correre al distretto per interrogare un sospettato per il caso del serial killer delle carte da gioco. Si era rivelato poi un buco nell’acqua, ma aveva condotto per ore un interrogatorio stressante con soggetto tutt’altro che raccomandabile che alla fine avevano trattenuto per reati minori. Ne era uscita distrutta fisicamente e mentalmente e dopo aveva anche dovuto partecipare a una riunione con Montgomery ed altri superiori per fare il punto della situazione su quel killer che sembrava di nuovo volatilizzato prima di completare la sua sequenza di morte e tutti le erano addosso perché risolvesse la questione prima di un’altra macabra scia di sangue.

Rick si posizionò dietro alla poltrona e cominciò a massaggiarle le spalle, con movimenti lenti semicircolari, facendo pressione con i polpastrelli lì dove la sentiva più legata, strappandole qualche sospiro e lamento quando toccava dei punti particolarmente sensibili.

- Adoro i tuoi massaggi, però vieni qui, per favore. - Gli disse bloccando le sue mani, invitandolo a sedersi vicino a lei, cosa che fece immediatamente, senza farla attendere e Kate subito si appoggiò con la testa al suo petto lasciandosi abbracciare.

- Grazie. Per tutto quello che hai fatto e che fai. - Sussurrò contro il suo collo mentre gli dava un bacio.

- Non sto facendo niente di particolare.

- Non negare, Castle. Joy mi ha detto di ieri sera… Io… non pensavo…

- Cosa? Che tua figlia avesse bisogno che qualcuno le dicesse come stanno le cose? Joy è una bambina fin troppo sveglia ed intelligente per la sua età, però se sbaglia ha bisogno di qualcuno che glielo dica e glielo faccia notare.

- Non sei stato troppo duro, vero? - Si preoccupò mordendosi il labbro.

- Per te sicuramente sì, ma le ho solo detto quello che pensavo e quella che era la realtà dei fatti e la realtà a volte è dura, ma Joy la sa affrontare meglio di noi. Le ho parlato come avrei fatto con Alexis, spero che per te questo sia sufficiente. - Le disse accarezzandole la schiena.

- Sei un padre fantastico Castle e Joy sarà fortunata a poterti considerare così. Ed anche io sono fortunata, vorrei solo farti capire quanto. - Gli disse tirandosi su e guardandolo negli occhi, accarezzandogli una guancia con il dorso della mano, che lui prese e baciò, senza distogliere per un solo istante lo sguardo da lei.

- Siamo fortunati tutti, allora. Perchè tu e Joy siete entrate nella mia vita ed è un regalo immenso. Noi avevamo un discorso in sospeso da fare con Joy, te lo ricordi? - Le chiese sorridendo.

- Sì… pensi che sia sempre il caso, adesso? Con Connor e tutto il resto io non vorrei che la nostra storia fosse strumentalizzata in qualche modo. Capisci cosa voglio dire? - Gli prese il viso tra le mani e prima che le rispondesse lo baciò dolcemente. Non voleva che pensasse che per lei qualcosa era cambiato, o forse sì, era cambiato che le sembrava di amarlo ancora di più.

- Capisco… - rispose un po’ deluso e Kate si accorse subito di quell’ombra triste negli occhi.

- Hey, Castle… Dispiace anche a me, veramente. Non sai quanto vorrei adesso poter stare con te, senza dover pensare a niente…

- Allora adesso stai con me, non pensare a niente. Almeno per un po’, fai finta che sia tutto normale…

- Lo sarà mai, Castle? - Chiese mentre chiudeva gli occhi per qualche minuto tra le sue braccia.

- Cosa?

- Tutto normale…

- Certo che lo sarà… Lo sarà sicuramente.

Matt Cameron aveva chiamato Rick una di quelle mattine. Era passata poco più di una settimana dalla rinuncia formale di Beckett all’affidamento di Joy e tutto quello che avevano ottenuto era stato un velocizzarsi della discussione della causa tra Castle e Cooper per Joy.

I documenti per l’adozione della bambina erano già tutti in regola, mancava solo che il giudice si pronunciasse, se il suo verdetto sarebbe risultato positivo, Joy sarebbe diventata a tutti gli effetti figlia di Rick e le richieste di Connor Cooper sarebbero cadute.

- Mr Mole ha scoperto qualcosa. - Disse l’avvocato a Castle quella mattina in tono molto serio. - C’è un ex poliziotto del dodicesimo che è stato contattato dall’avvocato di Cooper ed è lui che ha dato al paparino tutte quelle informazioni. Ho come la sensazione che il tizio giocherà molto sporco Rick, te lo devo dire, avvisa anche la detective, perché non sarà una passeggiata di salute, né per te né per lei.

- Cosa possono fare? - Chiese Castle non capendo la preoccupazione del suo avvocato.

- Screditare la tua immagine, quella di Beckett, tirare in ballo la vostra vita privata, il vostro passato e tu Rick nel tuo passato più di qualche scheletro nell’armadio lo hai nascosto, no?

- Sì, ma…

- Io ti volevo solo avvisare, dirti di essere pronto anche ai colpi bassi. Mr Mole mi ha detto che qualcuno di recente ha chiesto una copia dello stato di servizio di Beckett ed anche una copia del tuo fascicolo con quella serie di cazzate che hai fatto anni fa…

- Ma è legale Matt? Cioè, lo possono fare? - Si informò ancora Castle.

- No. Ma se hanno delle informazioni, noi non possiamo dimostrare come le hanno ottenute, perché anche i nostri metodi non sono così… legali… capisci?

- Certo… certo…

- Dì solo a Beckett di fare attenzione a chi ha intorno, probabilmente qualcuno nel suo distretto è sempre molto legato a chi c’è fuori.

Era andato da Kate quel giorno a pranzo, approfittando del fatto che Martha fosse a casa con Joy insieme alla sua insegnante che la aiutava a mantenersi al pari dei suoi compagni di studi. Aveva evitato di salire al distretto, si erano dati appuntamento in un ristorante lì vicino dove Rick aveva prenotato un tavolo decisamente appartato per avere un po’ di tranquillità.

Lo trovò dove le aveva detto, sporgendosi per farsi vedere, mentre lei aveva già fatto il suo identikit al cameriere che gli stava indicando la sua posizione. Castle sorrise con il volto imbambolato quando la vide avvicinarsi, ogni volta era un’emozione alla quale ancora non riusciva ad abituarsi, perché se a casa era diventata una consuetudine pensare a lei come la sua lei, fuori era diverso, la vedeva ancora come la Beckett di sempre e ne era spesso intimorito e stupito che invece lei fosse quella che si stava avvicinando, sorridendo a sua volta, imbarazzata e che una volta davanti a lui gli prese la mano che teneva sul tavolo stringendola tra le proprie. Altro no, era ancora sconveniente, ma aveva bisogno del suo contatto e quello sguardo lì, gli diceva tutto.

Aveva già ordinato lui per entrambi così non avrebbero perso tempo: aveva imparato a conoscere i suoi gusti e sapeva che non avrebbe mai detto di no ad un succulento cheeseburger con doppio formaggio francese, il suo preferito.

Così Rick le spiegò tutto quello che si erano detti con l’avvocato, mentre Kate ascoltava attenta le sue parole e la sua mente già esplorava possibili scenari, non tutti piacevoli, che dovevano essere ben visibili sul suo volto, a giudicare dalle reazioni di Castle.

- Hai qualche idea? - Le chiese alla fine.

- Negli ultimi anni, che io sappia, sono tre o quattro gli ex colleghi che si sono dimessi ed hanno cambiato sponda, diciamo così.

- Qualcuno che poteva avercela con te? - Chiese ancora lui

- No, Rick… non penso… Non credo siano questioni personali, forse più di soldi. La famiglia di Connor era proprietaria di una grande società di real estate a Santa Monica, residence, hotel di lusso, ville sul mare…

- Avevi trovato un buon partito! - Disse scherzando, pentendosi subito dopo, ma lei sorrise capendo il suo intento giocoso.

- Già, sono brava a trovarmi uomini facoltosi…

- A proposito di uomini facoltosi, nonché affascinati, simpatici e dal rude fascino… - Disse elogiandosi facendo fare qualche smorfia di troppo a Kate.

- Non dimenticare modesti, Castle! - Lo schernì

- No, modesto no… Aspetta, fammi finire, non ci sono solo brutte notizie. Mi ha chiamato la Black Pawn, hanno i primi dati di vendita di Heat Wave, è un successo. La prima ristampa è già finita e stanno facendo la seconda. Dai dati di vendita che hanno, è il mio libro che ha venduto di più all’esordio e… - Lasciò il discorso in sospeso per creare un po’ di suspence

- E…? - Chiese Kate leggendo l’eccitazione sul suo viso.

- Domani devo andare in sede per firmare il nuovo contratto. Altri due libri con un opzione per altri due a cifre molto, molto superiori a quelle attuali.

- Wow Castle, complimenti! È fantastico! - Si congratulò sentitamente, dispiaciuta solo di non essere ancora riuscita a leggerlo.

- È merito tuo lo sai? Se io ho scritto quel libro e se l’ho scritto così. È… è per te. So che non vuoi sentirtelo dire ma… tu sei veramente la mia musa Kate, hai tirato fuori il meglio di me, come persona ed anche come scrittore. - Le disse diventando improvvisamente serio.

- Mi imbarazzi se dici così Rick… io… Non ho fatto nulla, sei tu che sei molto più bravo di quanto a volte pensi e ti butti giù troppo facilmente. Ma i tuoi libri sono come te, hanno qualcosa di speciale nascosta sotto la superficialità che vuoi mostrare, che solo se li leggi con il cuore lo capisci e possono essere molto di aiuto, a volte.

- Tu sei proprio sicura che non sei mai stata una mia fan, vero? - Le chiese sorridendo beffardo.

- Dopo che è morta mia madre, quando aspettavo Joy, alcune volte le giornate erano molto lunghe ed i pensieri erano tanti. Come ti ho già detto i tuoi libri sono stati importanti. Ho cominciato a leggerli in quel periodo, quando andavo il libreria e cercavo qualcosa di nuovo. Mi hai in un certo senso accompagnato in quei mesi… è buffo, no? - Sorrise imbarazzata.

- No, non è buffo. È bellissimo ed evidentemente era destino che ci trovassimo, io te e Joy. C’era un legame, anche se non lo sapevamo.

- Adoro la tua fiducia nel destino Castle, vorrei riuscire ad averla anche io. - Sospirò mentre giocava con le grandi e morbide dita della sua mano, era il suo antistress personale.

- Prova solo a fidarti di me. Io ottengo sempre quello che voglio, non sarà diverso questa volta.

Mangiarono i loro panini in un silenzio fatto di sguardi complici e gesti dolci, come imboccarsi a turno qualche patatina, per giocare e sorridere, chiacchierando solo un po’ di cose futili e leggere, facendo finta di essere per qualche minuto solo una coppia come tante altre che si trovava per un pranzo insieme.

- Allora, che effetto ti fa essere diventata la musa del tuo scrittore preferito e leggere di te nei miei romanzi? - Le chiese appena finito di mangiare, prima che scappasse di nuovo a lavoro.

- Non ti allargare con scrittore preferito. Ce ne sono altri prima di te.

- Uhm… ad esempio? - La incalzò.

- Altri… - Rispose evasiva. Non le veniva in mente nessun altro scrittore che lui al momento. Castle però soddisfatto di sapere di aver già vinto non rispose, si limitò a sorridere compiaciuto.

- Però almeno se non preferito posso considerarmi tuo scrittore? O anche per questo ne hai altri prima di me?

- No, ci sei solo tu, per questo. - Gli rispose stringendo la sua mano e se avesse potuto avrebbe sottolineato la cosa in ben altro modo.

- Ok, mi fa piacere questo. È un’esclusiva che prendo molto volentieri. Comunque ancora non mi hai risposto su che effetto ti ha fatto… - insistette curioso.

- Beh… veramente lo devo ancora leggere… - Rispose imbarazzata.

- Ancora? Perché? Pensi che non ti piace? Sono stato a decantare la bellezza ed il successo di questo libro a chiunque e la protagonista non lo legge? - Sembrava veramente dispiaciuto.

- Scusami è che… è difficile… sono curiosa, ma è strano leggere di qualcuno, su un libro che so che è ispirato a me… e che poi ci sei anche tu e insomma… Mi imbarazza… - Ammise mordendosi il labbro.

- Ho detto a Joy che questa sera ho un incontro di lavoro. Se vuoi dopo che abbiamo cenato da me, posso venire giù da te… Potrei leggerti io qualche pezzo del libro, non capita a tutte di avere una lettura privata di Richard Castle, lo sai? - Le propose languidamente mentre stavano lasciando il locale.

- Sarà meglio per te, Castle, che non capiti a nessun altra di avere una lettura privata tua, adesso. - Sottolineò Kate senza nascondere una bella dose di fastidio.

- Sento della gelosia nelle tue parole, Detective Beckett. Ne sono onorato. - Le disse avvicinandosi al suo orecchio, provocandole brividi incontrollati, mentre con la bocca le sfiorò il lobo, lasciandole un bacio.

Le dispiaceva mentire a Joy, ma aveva terribilmente bisogno di passare del tempo da sola con lui, tempo che fosse qualcosa in più di un’ora rubata sul divano del loft. Avrebbero dovuto parlare presto con sua figlia, in ogni caso.

- Allora, signor Castle, lei da quanto tempo ha con se Joy Johnson, la figlia del mio assistito?

Rick era seduto al banco dei testimoni in tribunale dove si stava svolgendo la prima udienza per l’affidamento di Joy, tra lui e Connor Cooper. Si sfregava nervosamente le mani, mentre guardava il suo avvocato che gli faceva ampi gesti chiedendogli di stare calmo, eppure quella platea e quel palcoscenico non erano proprio adatti a lui che si sentiva decisamente fuori luogo. Ci fosse stata solo la sua vita in ballo sarebbe stato decisamente più spavaldo e sicuro di se, ma non era così, c’era Joy e c’era Kate e sapeva che le loro vite sarebbero potute cambiare in modo fin troppo drastico se qualcosa non fosse andata per il verso giusto.

- Poco più di cinque mesi, ma Joy non è la figlia del suo assistito. - Ci tenne a precisare rimediandosi un’occhiata di biasimo dal giudice che lo riprese dicendogli di limitarsi a rispondere alle domande che gli venivano poste.

- Cinque mesi. E lei in così poco tempo ha già deciso che vuole adottare la bambina?

- L’ho deciso molto prima, in realtà. Ho voluto da subito che Joy entrasse a far parte della mia famiglia a tutti gli effetti. Io e lei abbiamo subito legato molto ed io volevo darle la famiglia che non aveva mai avuto. - Disse con decisione.

- La famiglia che non ha mai avuto… Quindi con un padre scrittore che si diverte a fare il poliziotto con una lunga serie di precedenti quantomeno bizzarri, con una eccentrica nonna attrice che vive con lei ed una sorella quindicenne. Non proprio la famiglia che tutti pensano da dare ad una bambina… - Lo schernì l’avvocato.

- È la mia famiglia e non c’è niente che devo giustificare a lei né lei è nessuno per poter giudicare come è la mia famiglia o darne giudizi morali. Joy sta benissimo con noi, ha un rapporto splendido con Alexis ed anche con mia madre.

- E scommetto anche con il detective Beckett, non è vero? - Insinuò l’avvocato.

- Certo, è sua madre. Ha un buon rapporto con lei, anzi direi che l’adora. - Specificò Rick.

- Non mi pare che possa essere considerata sua madre, per la legge non è niente per lei.

- Allora nemmeno lei deve parlare del suo cliente come padre di Joy, perché è ancora meno, visto che non lo vuole nemmeno vedere. - Rispose a tono Rick, beccandosi un altro avviso dal giudice.

- Per essere stata abbandonata quando era appena nata, è singolare che adori così sua madre, non le sembra? - Insinuò ancora l’avvocato.

- Evidentemente ci sono dei rapporti che sono più forti di tutto. E Joy è una bambina speciale, che è riuscita a recuperare con sua madre un rapporto splendido. - Rick cercava consenso negli occhi di Matt Cameron che si limitava ad annuire ed incoraggiarlo ad andare avanti. Non era il solo però che era lì a guardarlo, c’era anche Jim Beckett che voleva guardare negli occhi soprattutto la persona che aveva messo incinta sua figlia poco più che maggiorenne e che poi le aveva al massimo offerto dei soldi per abortire, salvo poi tornare adesso per provare a distruggerle la vita e portarle via sua figlia. Rick, però, si sentiva a disagio a vedere davanti a lui il padre di Kate, preoccupato di non dire mai nulla di più o di meno di quanto dovrebbe.

- Signor Castle, mi risulta che il Detective Beckett da qualche settimana vive nel suo stesso palazzo, è coretto?

- Sì, è corretto.

- E mi dica, come può un detective della polizia di New York permettersi un appartamento in un lussuoso palazzo come il suo? Anzi no… non me lo dica… mi risulta anche che il Detective Beckett vive in un appartamento di sua proprietà, comprato proprio poco tempo prima. È giusto?

- È esatto. Ma non capisco…

- Le faccio capire io, signor Castle… - Lo interruppe l’avvocato di Cooper. - Risponda a questa semplice domanda, quanto influisce il fatto che Joy sia la figlia del detective Beckett nella sua volontà di adottarla? È forse perché così può come dire… fare un piacere a lei? Perché mi pare evidente ed è sulla bocca di tutti che lei abbia un debole per la sua… come la chiama? Ah sì, la sua musa…

- Non le permetto di fare insinuazioni di questo tipo! - Si scaldò Rick e l’obiezione che aveva chiesto il suo avvocato fu rigettata ed l’avvocato di Cooper continuò il suo discorso.

- Io non vorrei che a lei signor Castle non interessi questa bambina, ma solo sua madre e lei sia solo un mezzo da usare biecamente senza nessun altro interesse per lei! - Tuonò l’uomo.

- Non è così! Potete controllare la mia domanda, ho chiesto di prendermi cura di Joy molto prima di sapere che fosse figlia di Beckett ed anche le pratiche per l’adozione al mio avvocato le ho commissionate prima. Io voglio bene a Joy e voglio che lei sia mia figlia, a tutti gli effetti, che possa chiamarmi papà, come ha già fatto anche in presenza del signor Cooper, per fargli capire chi lei considerasse suo padre e sono io, non lui! - Rick si era decisamente scaldato ed aveva alzato la voce, venendo richiamato ancora una volta dal giudice.

- Non ho altre domande per il momento. - Disse l’avvocato e Rick fu invitato a tornare al suo posto, ma appena sceso dal banco, andò via dall’aula decisamente frustrato. Jim Beckett osservò Castle uscire e poi concentrò il suo sguardo su quel ragazzo dall’aspetto fin troppo per bene che ora con un calma glaciale stava per deporre davanti al giudice. I loro occhi si incontrarono per qualche istante, poi anche Jim si alzò ed uscì, non voleva stare lì a sentire una sola parola, al contrario di quello che pensava quando era arrivato. Fuori dall’aula si sedette vicino a Rick su una panca di legno che lo guardò con la coda dell’occhio.

- Ho sbagliato tutto, vero signor Beckett? - Gli chiese mortificato.

- Vuoi bene a Joy ed a Katie e si vede. Mi basta questo Richard.  - Gli disse Jim appoggiando una mano sulla sua spalla.

- A me no però. No se quello che faccio e che dico rischia di separarmi da… da loro… di separare Kate da sua figlia! - Gli disse al culmine della frustrazione.

- Faremo di tutto perché non accada, Richard. Questa volta Katie non sarà sola a combattere per sua figlia.

Castle annuì e proprio in quel momento si aprirono le porte della sala del tribunale.

- Allora Matt? - Chiese all’avvocato Cameron che stava abbandonando l’aula.

- Cooper è un bastardo, ma il suo avvocato purtroppo ci sa fare. Lo ha istruito bene ed aveva una risposta pronta a tutto. Si è preparato un bel copione, ma dice cose che alla giuria faranno effetto, purtroppo. - Spiegò ai due e Jim annuì amaramente.

- Quindi? - Chiese Castle agitato.

- Quindi dovremmo chiamare Kate a testimoniare, sapendo bene che poi rischierà di finire nel tritacarne dell’avvocato Summers, ma è un rischio che dobbiamo correre. Devono sentire la sua versione, perché al momento è solo la parola di lui che dice che lei non gli ha mai detto nulla contro quella di Kate.

- Kate è a casa con Joy. Sarà meglio andarci a parlare subito. Quando ci sarà la prossima udienza? - Domandò Rick al suo avvocato.

- Tra quattro giorni. Se testimonierà sarà meglio prepararci subito. Avvocato Beckett, viene con noi? - Chiese Matt Cameron al padre di Kate.

- No io… ho del lavoro a studio, meglio che andate voi. Chiamerò dopo Katie. - Jim salutò Castle, i due uomini si fissarono per qualche istante e lo scrittore annuì e poi si incamminò velocemente. Sapeva bene quale sarebbe stata una, anzi la più grande difesa che avrebbe usato sua figlia e sapeva che avrebbe riguardato anche lui e non voleva essere presente per non metterla in difficoltà, perché sapeva che con lui presente molte cose non le avrebbe dette o le avrebbe minimizzate per non ferirlo e non doveva essere così. Era certo che Castle che sapeva tutta la situazione avesse capito perfettamente perché aveva preferito evitare di andare con loro.

Kate aveva preso un giorno di permesso per stare con Joy, nonostante Martha non avesse impegni e si sarebbe potuta occupare di lei senza problemi. Era lei che ne aveva bisogno, come se dovesse evitare di sprecare ogni singolo istante, come se dovesse incamerare il più possibile la sua presenza, fare più cose possibili insieme. Kate quel giorno aveva paura, aveva veramente paura che qualcosa potesse andare storto e che Connor potesse vincere e portare via Joy. Così ogni carezza le sembrava non fosse mai abbastanza, ogni sguardo si riempisse poco di lei, le sue risate non fossero mai troppe e gli abbracci sufficientemente stretti. Joy sapeva dove era andato Rick quella mattina e percepiva tutta la tensione di Kate che non riusciva a nascondergli, nemmeno dietro i suoi sorrisi eccessivi che dovevano nascondere le paure.

- Mamma, andrà tutto bene, vero? - Le chiese fermandosi a guardarla con quegli occhi che riuscivano a trafiggere Kate che era incapace di mentirle.

- Lo spero Joy… Lo spero tanto. - Rispose abbracciando sua figlia. - Ti ho promesso che non ti avrei più lasciato e qualunque cosa accada ti giuro che non lo farò.

Quando Castle arrivò a casa con il suo avvocato, trovò Joy seduta sul tappeto vicino al divano, tra le gambe di Kate mentre giocavano insieme. Perse qualche istante a guardarle, pensando che quello era esattamente quello che avrebbe voluto vedere ogni volta quando tornava al loft, mentre la piccola si alzava per andarlo a salutare ed anche Beckett fece altrettanto con l’avvocato.

Kate dopo aver salutato l’avvocato Cameron incrociò il suo sguardo con quello di Rick leggendoci esattamente quello che non voleva, la sua preoccupazione e non fece altro che aumentare la propria.

- Beckett, Matt vorrebbe parlarti… Che ne dici se intanto andate nel mio studio mentre io mi faccio raccontare da questa qui cosa avete fatto oggi? - Prese in braccio Joy cercando di dissimulare il suo nervosismo, facendole il solletico per farla ridere e riempirsi della sua risata cristallina, portandola in camera sua mentre Kate e Matt molto più seri, andarono a sedersi davanti alla scrivania di Castle.

- Castle è esagerato o è andato veramente tutto molto male? - Chiese Kate prima che Matt le dicesse qualcosa.

- L’ha capito solo guardandolo quanto è preoccupato? - Sorrise l’avvocato e Beckett rimase un po’ imbarazzata nell’essere stata scoperta così - Comunque lui è molto preoccupato, più di quanto sia andata veramente male, ma Connor Cooper ed i suoi avvocati sanno quello che fanno e soprattutto sanno tanto di voi e stanno usando tutto senza riguardo. Rick si è lasciato prendere la mano ed è stato poco lucido a volte, ma non è andato così male come a lui sembra.

- Di cosa voleva parlarmi allora avvocato Cameron? - Beckett andò subito al punto.

- Sono amico di Rick da anni… chiamami Matt e scusami per quanto accaduto in precedenza…

- Va bene, Matt, allora cosa posso fare in questa situazione?

- Sarebbe opportuno che tu venissi a testimoniare in tribunale. So che sarà un’arma a doppio taglio, ma Cooper ha raccontato la sua versione e rimarrà l’unica se tu non darai la tua. - Le spiegò.

- Quando? - Chiese nervosa.

- Tra pochi giorni… però abbiamo tutto il tempo per prepararci. - Provò a rassicurarla mentre Rick faceva capolino nello studio e Kate lo guardò interrogativa.

- Tua figlia ha detto che non aveva bisogno di me e che potevo venire a parlare con voi di cose da grandi. Mi ha detto di riferirtelo. - Provò a sorridere lui, mentre si sedeva nella sua poltrona.

- Joy è adorabile… - Commentò Matt mentre rigirava la penna tra le mani.

- Sì lo è. - Asserì Castle. - E proprio per questo…

- Lo so Rick, lo so… Faremo tutto il possibile. - Provò a tranquillizzarlo l’avvocato.

- No, Matt. Di più. Fai tutto quello che puoi, che sai, che vuoi. Non mi interessa niente di come. - Accartocciò un foglio di carta gettandolo poi nervosamente nel cestino sotto lo sguardo preoccupato di Beckett.

- Senti Kate, c’era una cosa che mi stavo chiedendo. Durante la tua gravidanza, c’era qualcuno, un amico, un parente, un compagno di università, non so… qualcuno che era al corrente della situazione e che conosceva anche Connor? Una persona che possa confermare la tua versione, che lui sapeva che tu eri incinta ma che se n’è fregato ed anzi ti ha detto di non volerne sapere.

- Sì, una mia amica, Kelly. Ma da allora non l’ho più sentita, lei si è trasferita in Europa a studiare, poi è rimasta lì, perché?

- Perché se riuscissimo a trovarla e a convincerla a testimoniare sarebbe fantastico, visto che lui sta insistendo sul fatto che tu gli avevi detto che non avresti tenuto il bambino ed ha scoperto solo dai giornali la verità.

- Che bastardo… - Si lasciò sfuggire Kate tra i denti.

- Sì, lo è. - Le diede man forte l’avvocato. - E non perché io non creda alle tue parole, Kate, ma secondo me è comunque impossibile che la sua versione sia reale, fosse solo per quanto sa di voi. Non può aver scoperto tutto questo in così poco tempo, da quando la notizia è uscita sui giornali, è passato troppo poco tempo. Io sono convinto che Cooper ed il suo avvocato stessero facendo delle ricerche da prima. Non so perché e non so fatte da chi.

Castle annuì alle parole del suo avvocato ed anche Beckett non potè evitare di dargli ragione. Era esattamente quello che pensava anche lei. Stava per rispondergli quando fu interrotta dal suono del cellulare e da un numero sconosciuto. Guardò lo schermo per qualche istante, poi rispose.

- Beckett!

- Ciao ragazzina, ti ricordi di me? - La voce roca dall’altro lato dell’apparecchio era impossibile da non riconoscere per lei anche se erano anni che lo doveva sentire.

- Mike! - Kate avrebbe riconosciuto Royce tra mille.

- So che hai qualche problema… Io posso darti una mano…

Guardò Rick e Matt senza riuscire a rispondere a Royce, mentre i due cercavano di capire dal suo sguardo perplesso cosa stesse accadendo e soprattutto con chi stesse parlando, intuendo solo che era qualcosa di serio ed importante.

Kate si passò una mano tra i capelli, mentre con l’altra teneva saldo il cellulare.

- Mike, cosa vuoi dire?

- Sto venendo a New York. Ti richiamo domani mattina e ti dico dove vederci. Lo sai, preferisco parlarti guardandoti negli occhi ragazzina…

- Mike, per favore… - Lo supplicò

- Domani avrai le tue risposte. Non ti preoccupare. Ciao Kate.

Rimase con il telefono in mano dopo che Royce aveva chiuso la conversazione sotto lo sguardo perplesso di Rick e Matt.

- Chi era Kate? - Chiese Castle vedendola turbata.

- Mike Royce. Lui era… il mio compagno… il mio primo collega in polizia, mi ha insegnato tutto quello che so… - Rispose mentre poggiava il telefono su un angolo della scrivania davanti a se.

- E lui invece cosa sa? - Rick storse la bocca nel sentir parlare Kate di questo Royce. Non gli piaceva come l’aveva definito e gli sembrava di aver sentito nella sua voce qualcosa di diverso mentre parlava con lui: una Beckett più remissiva e intimorita, cosa che non aveva mai visto né davanti ai suoi superiori, colleghi e nemmeno dell’FBI.

- Non lo so. Però ha detto che sa qualcosa di questa storia. Ha detto che mi richiamerà domattina per dirmi dove vederci.

- Pensi che possa avere qualche informazione utile veramente? - Si intromise Matt senza riuscire ad interrompere il flusso di sguardi tra Castle e Beckett che sembravano stessero continuando a comunicare anche senza dirsi nulla.

- Se non fosse così non mi avrebbe chiamato, non Royce, non dopo tutto questo tempo. - Rispose seria.

- Ti fidi così tanto di lui Kate? - Chiese Rick sospettoso.

- Sì, Castle. Ho affidato più volte la mia vita nelle mani di Royce, non ho motivo di non fidarmi di lui.

Rick annuì ma non era così convinto delle sue parole e non sapeva perché, ma non potè fare altro davanti alla sua risolutezza nel difendere il suo ex collega.

- Kate, ha un cognome la Kelly di cui parlavi? Potremmo far fare delle ricerche e vedere se riusciamo a trovarla.

- Parson. Kelly Ann Parson. - L’avvocato Coleman strappò uno dei fogli dal blocco di Castle e si appuntò il nome. - La sua famiglia viveva a Portland, ma suo padre era di New York. Ha vinto una borsa di studio a Londra e poi è rimasta lì. L’ultima volta che l’ho sentita aveva trovato lavoro in uno studio legale che si occupava di diritto internazionale. Ma era poco dopo che ero entrata in accademia, poi abbiamo perso i contatti…

Matt annotò tutte le informazioni che Kate gli aveva dato, ripiegò il foglio e lo mise nella tasca interna della giacca, insieme alla sua penna stilografica sicuramente molto costosa.

- Dopo chiamerò Mr Mole e gli dirò di rintracciarla. - Disse ai due.

- Matt, lo sai, non è un problema di cifre. Ricordaglielo. - Precisò Castle, provocando un certo fastidio in Beckett che sapeva perché stava facendo tutto quello, ma a lei questi metodi proprio non piacevano, ma per Joy accettava tutto.

- Non ti preoccupare Rick, lo sa.

- Kelly so che aveva provato a contattare Connor anche pochi mesi prima della nascita di Joy, me lo aveva detto l’ultima volta che era venuta a New York prima che…

- Ok a questo punto direi che trovare questa Kelly diventa fondamentale. - Le disse Matt interrompendola. - Ora vogliamo parlare della tua deposizione?

Kate annuì muovendosi nervosamente sulla sedia, mentre Rick dall’altra parte della scrivania, scarabocchiava nervosamente un foglio di carta con parole senza senso, passando la penna più e più volte sopra i suoi stessi tratti: avrebbe sentito e risentito frasi che non voleva sentire, teneva la testa bassa sul foglio per non incrociare gli occhi di Kate ed avrebbe volentieri voluto avere tra le mani un qualche cosa affilata per fare a brandelli quei fogli e sfogarsi un po’.

Kate e Matt erano stati gran parte del pomeriggio a provare e riprovare a rispondere alle domande, le sue e quelle che pensava l’avvocato di Connor avrebbe potuto farle. Aveva provato in tutti i modi a metterla sotto pressione e c’era riuscito. Bene, fin troppo bene. Talmente bene che ad un certo punto fu Beckett stessa a chiedere a Castle di andare da Joy. Gli aveva detto che era perché non voleva rimanesse troppo tempo da sola, in realtà era soprattutto perché non voleva che lui stesse lì ad ascoltarla, ancora ed ancora. Finì che era esausta, mentalmente e fisicamente. Rimase al loft per una cena che non consumò, mangiando appena qualche boccone solo quando si accorgeva che Castle la guardava severo, come se fosse un’altra figlia della quale si doveva occupare. Portò Joy a letto evitando accuratamente di parlare di quanto accaduto quel pomeriggio. Le lesse una storia, Joy non ne aveva bisogno sapeva leggere benissimo da sola e lo faceva con piacere, ma le piaceva quando Kate o Rick lo facevano per lei, erano le piccole cose che non aveva avuto e delle quale voleva riappropriarsi, e sua madre lo faceva con piacere. Leggeva lentamente, passando lo sguardo dal libro a lei, osservandola scivolare sempre più tra le braccia di Morfeo, fin quando non si addormentava del tutto, ma lei per sicurezza leggeva sempre qualche altro pezzo e solo alla fine, la lasciava riposare nel silenzio, quando era certa che dormisse profondamente e rimaneva qualche istante a guardarla ed ogni volta i suoi sentimenti erano sempre in subbuglio e pensava che il senso di colpa non l’avrebbe abbandonata mai.

- Già te ne vai? - Le chiese Rick con un bicchiere di scotch in mano mentre prendeva la sua borsa.

- Sono molto stanca stasera, scusami… - Si giustificò avvicinandosi a lui, dandogli quel bacio che non era ancora riuscita dargli, assaporando il liquore sulle sue labbra e non era una sensazione che amava, ma fece finta di nulla.

- No, scusami tu… io… non fa niente, Kate… vai a riposarti. - Le disse accarezzandole la schiena. Lasciò la borsa sul tavolo della cucina e lo abbracciò, mentre lui rimaneva immobile con il bicchiere in mano, lasciandola fare. Kate gli diede un bacio sulla guancia, accarezzando la sua pelle con le labbra.

- Mi dispiace Castle… - Gli sussurrò lasciando il suo corpo e riprendendo la borsa.

- Se il tuo… ex compagno ti chiama… me lo fai sapere? - Glielo chiese sottolineando oltre modo la parola compagno senza guardarla mentre finiva il suo drink.

- Certo che te lo faccio sapere. Rick… Ehy… - Riuscì ad attirare la sua attenzione, catturando il suo sguardo. - Ti amo.

Glielo disse quasi a volerlo rassicurare. Rick annuì con la testa.

- Anche io Kate. - Si avvicinò a lei già quasi sulla porta e le diede un bacio veloce prima che uscisse da lì.

Quella mattina Beckett era stata buttata giù dal letto prima dell’alba. Un corpo nudo era stato ritrovato in un parco e quel caso era suo: esattamente tutto quello che non voleva per quella giornata, un caso nuovo su cui indagare, mentre la sua testa era proiettata solamente al momento in cui Royce l’avrebbe chiamata. Era impaziente. Di sapere cosa aveva da dirle ed anche di sentirlo e di vederlo, dopo tanto tempo. Fosse stato un altro momento avrebbe avuto mille domande da fargli, tutte quelle a cui lui non aveva mai risposto, tutte quelle che si era fatta da quando era letteralmente sparito, senza un vero motivo, dal suo lavoro, dalla città e dalla sua vita.

Non era riuscita nemmeno a salutare Joy, aveva solo mandato un messaggio a Castle avvisandolo che era fuori per un caso e di chiamarla quando sua figlia si fosse svegliata per salutarla. Era un’abitudine quella che aveva cominciato ad avere negli ultimi tempi, dopo che aveva scoperto di come Joy si preoccupasse quando era a lavoro e non la poteva sentire, faceva sempre in modo di chiamarla o di farsi chiamare per rassicurarla ed il pensiero di Joy, delle sue paure e della sua ansia per lei, erano qualcosa che per la prima volta nella sua vita la portavano a fare attenzione ogni volta che usciva in azione. Non che prima si lanciasse senza pensare nelle situazioni, ma adesso, ogni volta che compiva un’azione, la faceva con il pensiero che, per la prima volta nella sua vita, aveva qualcuno che dipendeva da lei, qualcuno da cui doveva fare ritorno.

Così lo pensò anche quella mattina, allacciandosi il giubbotto antiproiettili, pensando per la prima volta veramente al senso di quello che stava facendo prima di fare irruzione in quell’appartamento segnalato: essere madre era anche quello, non era solo esserci fisicamente, era anche esserci mentalmente, sempre. Sapere che ogni cosa che faceva nella sua vita, influenzava la vita di qualcuno. Quante volte da quando era entrata in polizia aveva messo quel giubbotto ed aveva buttato giù una porta pistola in mano, facendo irruzione senza pensare? Eppure ora era diverso. Ora c’era Joy da cui tornare e mille occhi e mille orecchie in più per essere sicura di poterlo fare.

Quando uscì da lì con il sospettato ammanettato tenuto saldamente per un braccio, fu sollevata come raramente si era sentita dopo un’operazione, una cosa facile, di routine, però affrontata in modo diverso, di testa.

- Tutto bene Beckett? - Le chiese Esposito mentre si slacciava il giubbotto buttandolo nel bagagliaio della loro auto, mentre Ryan consegnava il sospettato agli agenti che lo avrebbero scortato fino al distretto.

- Sì, tutto bene, Espo, perché?

- No, così… Joy? Sta bene? - Si informò provando a cambiare discorso. Non voleva dirle che le era sembrata nervosa.

- Sì, sempre meglio, per fortuna. Almeno fisicamente si sta riprendendo ottimamente.

- Problemi con il padre… cioè, quello lì insomma? - Avrebbe fatto meglio a tacere, pensò l’ispanico.

- Sì… Lui… sta giocando sporco… e non so cosa potrà accadere… - Ammise Kate sfogandosi.

- Lo sai Beckett, se possiamo fare qualcosa per te, sia io che Kevin, ci siamo. - Le disse indicando il compagno che nel frattempo li aveva raggiunti e stava annuendo.

- Grazie ragazzi, ma non penso si possa fare molto. - Disse salendo in auto e lasciando a Esposito il compito di guidare.

- Beh, qualche ricerca si può sempre fare, magari viene fuori qualcosa di interessante… - Propose Ryan. Nessuno rispose e lui la prese come una risposta affermativa.

- Ehy ragazzina, giornata movimentata al dodicesimo? - Aveva appena finito di interrogare il suo sospettato arrestato poco prima. Aveva confessato molto prima di quanto sperasse ed ora stava firmando gli ultimi documenti quando il suo cellulare squillò e la voce di Royce inconfondibile la salutò.

- Cosa ne sai tu Mike? - Chiese lei un po’ spiazzata.

- Passavo da quelle parti, ho visto un po’ di trambusto e mi hanno detto che eri fuori, nessun segreto. Ho ancora qualche amico da quelle parti.

Quella frase allertò i sensi di Beckett. Ripensò a quanto avevano detto in precedenza con gli avvocati, Connor doveva avere un informatore che aveva ancora dei contatti al dodicesimo, ma no, quello non poteva essere Mike, non poteva averlo fatto, non a lei. Però in quel momento tutte le sue certezze sembrarono vacillare e non sapeva perché, ma stava diventando inquieta.

- Dove ci vediamo? - Gli chiese bruscamente.

- Subito al sodo come sempre ragazzina - sghignazzò l’uomo dall’altro lato del telefono - Tra la l’ottava e Greenwich Avenue. C’è un pub inglese con una vecchia insegna di legno un po’ rovinata all’esterno. Ci vediamo lì tra mezz’ora, ce la fai ragazzina?

- Tra mezz’ora Mike, ok.

Non conosceva quel locale. L’entrata era piccola ed aveva visto decisamente giorni migliori. Dentro l’ambiente non sembrava più curato, però gli spazi erano decisamente più ampi, si snodava in lunghezza, seguendo non capiva bene quale forma strana del palazzo che lo ospitava. Il bancone si trovava davanti all’entrata, tutto spostato sulla sinistra ed era lì che Royce la aspettava. Era seduto di spalle, ma lo riconobbe subito per la postura e come sorseggiava il suo drink facendo roteare il bicchiere prima di ogni sorso: ne avevano bevuti tanti insieme, dopo ogni caso chiuso e pensò che avesse scelto proprio quel posto perché un po’ ricordava il vecchio pub dove andavano di solito, ormai chiuso da qualche anno. Aveva solo i capelli un po’ più corti ed imbiancati. Si avvicinò a lui, non aveva l’intenzione di sorprenderlo alle spalle, ma non ci riuscì comunque.

La chiamò prima che fosse abbastanza vicina per salutarlo.

- Ehy ragazzina, puntuale come sempre. - Le disse voltandosi, lasciando vedere il suo viso segnato dal tempo, più di quanto pensasse, ma i nei suoi occhi trovò lo stesso uomo che aveva lasciato anni prima.

- Io sì, Mike, come sempre. - Fece un sorriso tirato e lui lo ricambiò, invitandola poi a seguirla ad un tavolo libero, più lontano dall’entrata.

- Il solito? - Le chiese prima di ordinare e Kate annuì. Aspettarono in silenzio che la cameriera portasse loro i drink, in quel luogo insolitamente, almeno per Beckett, già piuttosto pieno e rumoroso a quell’ora del pomeriggio.

- Cosa devi dirmi Mike. - Gli chiese quindi Kate con il suo bicchiere di vodka tra le mani.

- So di tua figlia. E non lo so da qualche giorno dai giornali. Lo sa da un po’ più di tempo. - Iniziò a raccontare l’uomo.

- Che vuoi dire? Lo sapevi già quando noi…

- No. L’ho scoperto ad inizio di questo anno.

- Non capisco, perché?

- Mi sono trasferito sull’altra costa dopo che ho lasciato la polizia. Avevo degli amici, delle opportunità a Santa Monica, volevo rimanere per un po’, ho finito per stabilirmi lì, almeno per ora. Faccio l’investigatore privato. Mi occupo di trovare le persone scomparse, meno problemi, più soldi.

- Vai avanti Mike…

- Era fine gennaio, forse, quando mi chiama la signora Cooper. Stephanie Cooper, la moglie di Connor. Voleva che trovassi sua figlia. Così mi racconta a grandi linee la storia che le aveva detto suo marito: una festa all’università, ragazza che rimane incinta, lui non vuole il bambino, lei non vuole abortire.

- Te lo detto anche Connor questo? - Chiese lei.

- Sì, ci ho parlato, mi ha confermato tutto e mi ha dato altri dettagli. Il tuo nome, ad esempio. Poteva essere un’omonima, certo, ma c’ho messo poco a capire che non era così. Perché tutto tornava con quello che sapevo. Stanford, il tuo semestre, tu che lasci dopo la morte di tua madre. Anche il periodo dell’entrata in accademia coincideva con il dopo. Così ho trovato tua figlia, era già con gli Austin.

- Lo hai detto a Connor?

- No. Non gli ho detto niente. Quando ho saputo che eri tu la madre della bambina che cercava, gli ho detto che non potevo occuparmi di quel lavoro e di trovare un altro investigatore.

- Perché Mike?

- Perché a Connor non interessa nulla di tua figlia, lui vuole Joy solo perché gli serve.

- Che vuoi dire gli serve? - Chiese preoccupandosi e vagliando in un istante con la mente una sequenza di orribili possibilità.

- Connor ha avuto un tumore qualche anno fa e questo lo ha reso sterile. Joy è l’unica figlia naturale che può avere. Poco prima di Natale è morto lo zio di Connor, William Cooper, era lui a capo di tutto l’impero immobiliare della famiglia di Connor, non suo padre e nel testamento ha detto che lascerà tutte le quote della sua impresa a Connor, ma solo se potrà garantire un erede diretto. William Cooper era fissato con queste cose della discendenza, una sua fissazione, perché non aveva mai avuto figli. Ecco perché Connor vuole che gli venga affidata Joy e la vuole riconoscere. È l’unico modo per entrare in possesso delle quote dell’azienda dello zio. Altrimenti tutto passerà ad uno dei due cugini, Calvin o Anthony, figli dell’altro fratello di William. - Royce finì il suo racconto e bevve la sua vodka tutta in un sorso, voltandosi verso la cameriera per ordinarla un’altra, fissando una figura appena entrata nel locale. Kate non si accorse di nulla, aveva le mani sugli occhi cercando di processare tutto quello che aveva appena sentito. Certo, tutto poteva avere un senso così, ma la cosa non la faceva stare meglio, anzi la preoccupava di più. L’idea che una coppia volesse sua figlia solo perché era la chiave per entrare in possesso di una ingente eredità non solo la disgustava, ma la terrorizzava.

- Tu devi venire a testimoniare. - Gli disse come se lo stesse pregando.

- Non posso ragazzina, lo sai. - Le prese la mano sul tavolo accarezzandola come per scusarsi.

- Perché no Mike?

- Lo sai perché. Tutto questo me lo ha detto un mio cliente, anche se lo dicessi non avrebbe alcun valore per la giuria e tu non potresti usare niente di questo per attaccarlo. Perché non mi hai mai detto niente Kate? In tutti quegli anni, appena successo…

- Tu sapevi tutto di me Mike… Ma questo… questo era diverso. Non ne ho più parlato con nessuno fino a qualche mese fa. Mi illudevo che non parlandone, facendo finta di nulla… Sarebbe stato diverso… Sarebbe stato più facile… Non era solo il dolore, era la vergogna… - disse abbassando lo sguardo.

- Perdonati Kate, per quello che hai fatto. Devi farlo, per te stessa ed anche per tua figlia.

- Certe cose non si possono perdonare. - Disse bevendo un sorso di vodka.

- Ma non si può nemmeno cambiare il passato e tu stai facendo di tutto per dare a tua figlia il miglior futuro possibile. Mi dispiace non poterti aiutare di più, ma  ti ho raccontato la storia, ora sta a te, a Castle ed ai vostri avvocati trovare il modo di venirne a capo. Vuoi che lo chiamiamo così viene a sedersi con noi?

- Chi? - Chiese Kate guardandosi intorno.

- Castle. È qui dietro da qualche minuto. - Disse spostandosi e facendoglielo vedere, proprio alle sue spalle. Era lui, era lì, seduto da solo all’estremità del bancone più vicina a loro che la guardava. I loro sguardi si incrociarono per un istante e Kate subito sfilò via la mano da sotto quella di Royce.

- Ti sei innamorata veramente stavolta eh ragazzina?

- Io mi innamoro sempre veramente Mike.

- Non è vero, e lo sai anche tu.

- Sei tu che non hai mai capito.

- No. Eri tu a non capire. Ma sono sicuro che ora lo hai fatto. - Kate guardò oltre Mike, verso Castle seduto da solo al bancone che li osservava. Era arrabbiata, anzi furiosa con lui, ma capiva cosa voleva dire Royce, lo aveva capito in quel momento, forse per la prima volta. - Si preoccupa per te. Avrà sbagliato il modo, ma non le intenzioni. Lo avrei fatto anche io al posto suo, magari facendo più attenzione.

- Lo stai difendendo adesso? - Chiese arrabbiata anche con Royce.

- No, provo a mettermi nei suoi panni.

- Uno scrittore che gioca a fare il poliziotto? - Disse sarcastica.

- Un uomo che deve tener testa a Kate Beckett e si preoccupa per lei. Credimi, molto più scomodi.

Kate sorrise imbarazzata cercando di nuovo Castle alle spalle di Royce. Era innamorata di lui, veramente, aveva ragione Mike. Era diverso. Poi tornò a guardare il suo ex collega ripensando a quei giorni del suo passato e a tutte le risposte che non aveva mai avuto.

- Perché te ne sei andato così Mike? Sei sparito...

- Perché era giusto così. Quella vita non era più adatta a me e poi tu così ha spiccato il volo, no? - Le abbozzò un sorriso che non la convinse.

- Vuoi dire che lo hai fatto per me? Perché io non la vedo così... - Rispose decisa.

- No, l'ho fatto per me, Kate. Ed era la cosa migliore anche per te.

- Non mi piace quando gli altri decidono cosa è meglio per me.

- Lo so. Ci sono tante cose che non ti sono mai piaciute ragazzina, però guardati adesso. Sei la migliore detective della città e c'è qui dietro un uomo che è innamorato di te almeno quanto tu lo sei di lui. Direi che le scelte sono giuste.

- Perché pensi di conoscere così bene i miei sentimenti? - Di quello aveva paura, delle persone che la leggevano dentro. Come faceva Royce, come faceva soprattutto Castle… e il suo pensiero tornava a lui e lui no, ora non le faceva più paura quando sapeva prima di lei stessa cosa pensava, anzi lo trovava confortante. Era quella la differenza di cui Royce parlava, il fatto che non avesse paura a mostrarsi a Rick per quella che era e a lasciare che lui scoprisse tutto di lei.

- Perché appena ti sei accorta di lui ti sei allontanata, con la mano, anche se non c'era nulla di male. Ma soprattutto non ti sei alzata e non sei andata lì sbattendolo fuori, come avresti fatto con chiunque altro ti avesse seguito senza che tu fossi d'accordo. Perché gli vuoi far vedere che non hai niente da nascondere.

Kate rimase in silenzio. Osservò ancora Castle ed i loro sguardi si incrociarono di nuovo ed i suoi occhi gli sembrarono tristi e preoccupati. Lo vide lasciare sul bancone un paio di banconote e poi andarsene. Avrebbe voluto seguirlo, avrebbe voluto chiedergli cosa c'era che non andava, ma aveva bisogno di altre risposte da Mike prima di andare via da lì. Troncò subito quella conversazione che era diventata troppo personale e troppo legata al passato tornando a concentrarsi sul presente.

- A chi si è rivolto Connor dopo di te? Lo conosci?

- Sì, l'ho saputo. Si chiama John Ironing è un investigatore di Los Angeles, non ha una buona fama, o sì dipende dai punti di vista. È uno senza scrupoli, non si ferma davanti a nulla, mezzi legali e non, ma ha dei buoni collaboratori, non lo beccano mai.

- Al dodicesimo qualcuno gli ha passato delle informazioni su di me e su Castle, ne sono certa.

- Può essere. Ci sono due persone dalle quali ti devi guardare: l'agente Bosh e l'agente Strasser. Hanno il vizio del gioco entrambi, si comprano con poco. Non mi chiedere come lo so, sappi solo che lo so.

Royce chiese il conto e Kate lo fermò prima che si alzasse.

- Sei proprio sicuro di non voler testimoniare Mike?

- Lo sai ragazzina... Hai tutti gli elementi, non faticherai a trovare il modo per farli fruttare.

- Se avessi bisogno di qualcosa dove ti posso trovare?

- Non avrai bisogno di niente.

- Ma se... ci rivedremo Royce?

- Devo finire un lavoro qui stasera. Domani torno a Santa Monica. Non credo.

- È un altro addio Mike?

- Un arrivederci, Kate. Ma non so a quando.

Royce si alzò lasciando Kate sola al tavolo. Doveva tornare al loft, doveva dire tutto a Castle, di Cooper, dell’eredità, del perché voleva la custodia di Joy. Uscì e per prima cosa, invece chiamò Esposito per informarlo di Bosh e Strasser, chiedendogli di controllarli.

Si mise in auto e la sua mente si affollò di tutto quello che aveva vissuto in quel pomeriggio. Sensazioni vecchie e nuove si accavallavano, sentimenti diversi che si sovrapponevano. Tutto era più chiaro eppure tutto era confuso e quello sguardo di Castle prima di uscire dal locale non riusciva a toglierselo dalla mente. E le faceva male.

Kate era quasi arrivata al loft quando Ryan la chiamò per dirle che doveva tornare subito al distretto, c’era stato un problema con uno dei dei documenti che aveva redatto. Aveva chiesto se potevano aspettare fino alla mattina successiva, ma la risposta era stata negativa, doveva andare a firmare quei fogli subito, altrimenti non avrebbero potuto convalidare il fermo dell’uomo che aveva fatto confessare solo poche ore prima. Invertì il senso di marcia appena poté e guidò verso il distretto, andando ben oltre il consentito. Non vedeva l’ora di tornare a casa, di parlare con Castle e di stare con lui. Aveva bisogno di stare con lui ed invece fu trattenuta più di quanto pensasse, per colpa di quella maxi retata che avevano appena fatto a causa della quale le avevano chiesto di dare una mano per aiutarli a sbrigare le formalità di arresto. Erano passate quasi due ore, era tardi e non aveva nemmeno avuto modo di avvisarlo.

Gli mandò come al solito un messaggio, quando era davanti la porta del loft e tornava tardi, per evitare di svegliare Joy o Alexis se già dormivano. Era nervosa nel non ricevere una risposta da lui, poi però sentì quelli che ormai riconosceva come i suoi passi arrivare fino alla porta, poi il rumore della serratura ed infine la porta che si apriva e lui dietro che le lasciò il passo per entrare. Cercò i suoi occhi, ma Rick non si lasciò trovare, le diede le spalle mentre andava verso la cucina cercando del ghiaccio per lo scotch che si era appena versato.

- Hai cenato con il tuo… ex compagno o devi mangiare? - Le chiese freddamente.

- Ero al distretto. Mi hanno chiamato per un’urgenza mentre stavo venendo a casa, un paio d’ore fa. Scusami se non ti ho avvisato, pensavo sarebbe stata una cosa veloce, dovevo solo firmare dei fogli, poi mi sono trovata in mezzo al caos ed ho pensato solo a fare il prima possibile per tornare. Mi dispiace. - Si giustificò

- Non fa niente. Joy è già andata a dormire, senza saperlo le ho detto qualcosa di simile alla verità. - Provò a sorridere facendo tintinnare il ghiaccio nel bicchiere.

- Connor vuole Joy perché solo con il suo affidamento ed il riconoscimento legale della sua unica figlia biologica potrà entrare in possesso di una grossa eredità. La stava cercando da mesi, perché lui sapeva che esisteva, che io ero incinta, che non avevo abortito. Era questo che mi doveva dire Royce. - Gli disse tutto d’un fiato.

- Ci ha messo molto a dirti questo. Lo verrà a dire anche in tribunale adesso? - Chiese ancora dandole le spalle.

- No, non può. Connor e sua moglie gli hanno detto tutto questo quando lo hanno assunto come investigatore privato. Se anche lo dicesse la sua dichiarazione sarebbe nulla. Avendo queste informazioni, però, secondo lui possiamo provare a trovare delle prove. Mi ha dato anche dei nomi, persone che lo hanno aiutato quando lui ha rifiutato il caso, persone che secondo lui hanno parlato anche dal dodicesimo.

- E perché avrebbe rifiutato un caso così? - Rick si voltò a guardarla e Kate rimase trafitta da quello sguardo che era ancora più triste e arrabbiato di quanto non ricordasse di averlo visto mentre usciva dal locale.

- Perché aveva scoperto che Joy era mia figlia.

- E lui è innamorato di te, immagino, vero? Anzi, tu lo eri di lui… o lo sei…

- Cosa stai dicendo Rick? - Gli chiese avvicinandosi ma lui alzò una mano mettendo della distanza tra loro.

- Dimmi la verità Kate… è così?

- Vuoi sapere se ero innamorata di Royce? Sì, credo di sì. Credo che quando lavoravamo insieme io ero affascinata, attratta, abbagliata da lui. Ho sempre pensato di essere innamorata di lui, sì. Avevo vent’anni e lui era… era facile pensare di essere innamorate di uno così.

- Per questo non hai voluto che venissi con te a parlare con lui? Per questo hai fatto finta di niente quando mi hai visto lì, ignorandomi? Perché volevi capire se eri sempre innamorata di lui ed io ero di troppo?

- Castle… ma cosa stai dicendo? Non puoi essere geloso di Royce! - Kate era confusa, perplessa, provò ad avvicinarsi ancora ma lui si spostò e percorse a passo veloce la stanza fino ad arrivare davanti al suo studio.

- Perché no Beckett? Perché non posso essere geloso di lui? - Rick alzò involontariamente il tono della voce e Kate fece lo stesso

- Perché non c’è mai stato niente tra me e lui! Mai! - Gli disse secca.

- Sembra quasi che ti dispiaccia da come lo dici. - Scosse la testa amaramente.

- Non hai capito niente, Rick. Non hai capito proprio niente di quello che è successo oggi.

- Cosa devo capire? Che tu ricevi una telefonata da una persona che non vedi da anni, vai da lui, senza volere che nessuno venga con te. Come pensi che mi sono sentito quando ti ho visto al tavolo con lui, che ti teneva la mano mentre parlavate e tu abbassavi lo sguardo, come fai sempre, quando sei in imbarazzo… Dio Kate! Mi sono sentito come uno stupido! Ed io che ero preoccupato per te, che fossi in pericolo, che… non lo so nemmeno io cosa! Quanto sono stupido eh Kate? Quanto?

Stava per rispondergli quando una voce alle loro spalle attirò la loro attenzione.

- Ragazzi, so che sembra strano detto da me ma… non voglio impicciarmi, però, se dovete discutere abbassate la voce, almeno. Come vi ho sentiti io, vi sentono anche le ragazze… - Martha stava scendendo le scale vestita di tutto punto pronta per uscire. Passo davanti a loro guardandoli e scuotendo la testa sospirando infine rumorosamente per farsi sentire, la guardarono uscire e poi si spostarono nello studio di Castle.

- Sei andata veramente al distretto Kate? Se sei stata con lui a cena o fino ad ora a parlare o… dimmelo per favore. - Le chiese provando a ritrovare la calma.

- Non ti fidi nemmeno di questo Rick? Io… Chiama i ragazzi, Esposito, Ryan o Montgomery se ti fidi di più…

- No, no… ok… ok…

- Cosa c’è? Perché ti comporti così? - Si avvicinò di più a lui e questa volta non si allontanò.

- Perché quando parlavi con lui, anche al telefono tu… eri diversa dal solito. Eri come quando di solito parli con me… ed io…

- Cosa devo dirti per farti capire che non è così Rick? Cosa? - Erano così vicini che potevano sentire ognuno il respiro dell’altro.

- Vuoi sapere cosa ho capito oggi? Di cosa ho parlato con Royce? Di te. Ho capito che per anni pensavo di essere stata veramente innamorata di lui ed invece non era amore. Perchè ora so cos’è essere innamorati, so cosa vuol dire amare qualcuno, veramente. Perché per lui non ho mai provato quello che provo per te. Per questo ti guardavo mentre lui parlava ed ero furibonda che mi avevi seguito, che non ti eri fidato di me e Royce si divertiva a dirmi che se fossi stato qualsiasi altra persona la mondo ti avrei sbattuto fuori da lì a calci.

Kate si avventò sulle sue labbra, prendendolo alla sprovvista, baciandolo con foga fino a quando lui non la prese per le spalle spostandola. Lo guardò lei questa volta impaurita, con le labbra orfane di lui.

- Ho paura di perderti Kate. Te e Joy… io ho paura… Se noi non…

- Non lo dire Rick, per favore. Ma non mi perderai e nemmeno Joy. Capito? Non accadrà. - Gli disse appoggiando la fronte su quella di lui e poi lo baciò di nuovo e questa volta anche lui si lasciò andare in quel bacio urgente, con le loro mani che cercavano la pelle sotto la stoffa dei vestiti e continuarono a baciarsi anche quando Rick la sollevò, prendendola di sorpresa e dallo studio la portò direttamente nella sua camera. Kate si guardò intorno e poi guardò lui e in quegli occhi c’era un’implicita domanda alla quale lui rispose annuendo. Sì, era sicuro. Sì voleva che lei fosse lì. Sì, a tutto quello che lei voleva chiedergli.

La adagiò sul letto, lì dove di solito dormiva lui e lei potè sentire il suo profumo intenso venire dal cuscino. Lo respirò avidamente mentre lo guardava in piedi davanti a lei che a sua volta la ammirava: quante volte aveva desiderato che lei fosse lì? Quante volte avrebbe voluto fermarla dirle di rimanere, non lasciarla andare via. Kate allungò una mano verso di lui che la prese sedendosi vicino a lei e Kate si sollevò per raggiungerlo e baciarlo di nuovo sulle labbra, sul collo, per trovare il suo profumo direttamente dalla sua pelle e non da un cuscino.

- Ti amo Rick.

- Ti amo anche io Kate.

Giocò con la punta della lingua sulle labbra di lei, facendola sorridere finalmente e sorridendo anche lui prima di baciarla. Non aveva più fretta adesso, era un bacio scambiato nella penombra della stanza, illuminata solo dalla luce lasciata accesa nello studio che nascondeva ed ammorbidiva i loro profili che si incastravano in quella danza di baci che non avrebbero mai interrotto, mentre le maglie ormai erano scomposte con le loro mani che impertinenti accarezzavano la loro pelle.

Una luce che si accese all’improvviso ed una voce fin troppo familiare li riportò violentemente indietro dal mondo nel quale si erano rifugiati. Il loro istinto di separarsi ed allontanarsi fu più veloce di quanto in realtà i loro corpi, le loro bocche e le loro mani riuscirono a fare.

- Rick? - Joy era davanti alla porta che divideva la camera da letto di Castle dallo studio, lasciata aperta da loro. Si voltarono entrambi a guardarla, mentre Rick faceva scivolare via la mano da sotto la maglia di Kate e lei faceva altrettanto con quella che era sulla schiena di lui.

Si guardarono, tutti e tre, senza che nessuno riuscisse a dire nulla. Kate si coprì il volto facendo un respiro profondo, poi tornò a guardare sua figlia senza avere il coraggio di dirle nulla. Kate e Joy si scambiarono degli sguardi interrogatori, così simili e profondi, ognuna cercava di capire cosa pensasse l’altra, trovare quella verità che sfuggiva, ma Kate sapeva che doveva essere lei a fare il primo passo.

- Va tutto bene Joy? - Le chiese con un filo di voce.

- Stavate litigando. Io non voglio che voi litigate come quando ero in ospedale. - Disse lei che ora faceva fatica a trattenere le lacrime.

- Ehy, vieni qui… - La chiamò Rick facendole spazio tra di loro e lei si avvicinò sedendosi sul letto.

- Sì, stavamo litigando, ma non è come quando eri in ospedale. A volte capita che le persone litigano… - Le spiegò ancora Castle.

- Però ora vi stavate baciando. - Disse Joy guardando sua madre.

- È un problema questo per te? - Le chiese Kate. - Se io e Rick… ci vogliamo bene…

Sentì la mano si Castle poggiarsi sulla sua schiena, darle quel giusto supporto di cui pensava potesse aver bisogno in quel momento.

- Vi volete bene come le persone che stanno insieme? - Chiese lei guardando prima sua madre e poi Rick.

- Sì, Joy e spero che per te non sia un problema. - Confermò sua madre che guardò prima lei e poi Castle. Era il modo più assurdo che poteva immaginare per dirgli che voleva stare con lui senza più doversi nascondere da nulla.

- Però non litigate più adesso? - Si preoccupò ancora.

- Può capitare qualche volta Joy. Ma questo non cambia che io voglio bene a Kate e lei a me. Anche se qualche volta discutiamo.

- Quando ho sentito che litigavate e poi la porta che sbatteva pensavo che la mamma era andata via. - Gli disse Joy.

- Era Martha che usciva e ci ha anche ripreso perché stavamo litigando. - Ridacchiò Rick decisamente più rilassato.

- Sono sempre rimasta qui. - Concluse Kate abbracciando sua figlia. Joy si strinse a lei nello stesso momento fu Rick ad abbracciare entrambe ricevendo uno sguardo da Beckett carico di tutto quello che avrebbe voluto dirgli in quel momento ma non ci riuscì, si appoggiò solo contro la sua spalla, cercando di contenere le proprio emozioni.

- Joy ma… come mai sei venuta qui? C’è qualcosa che non va? - Le chiese Rick quando si separò da Kate.

- Non riuscivo a dormire, volevo sapere se potevo dormire con te… - Disse timidamente.

- Certo che puoi dormire qui… - rispose a Joy dandole un bacio tra i capelli, guardando con la coda dell’occhio Kate che si stava per alzare, ma la fermò tenendo la sua mano. - Con noi…

Beckett guardò Castle stupita.

- Con voi? - Chiese Joy entusiasta.

- Sì, con noi. - Le confermò Rick. - Dai, vai, mettiti in mezzo…

Joy gattonò fino al centro del letto e si mise sotto le coperte, guardando sua madre e Rick che invece si alzavano. Rick prese una maglietta da dare a Kate che andò in bagno mentre lui rimase con Joy, che aveva un sorriso enorme.

- Sei felice? - Le chiese accarezzandole i capelli e la bambina annuì. - Anche io, molto.

- Vado dalla mamma, vedo se ha bisogno di qualcosa, torno subito…

Rick bussò alla porta del bagno, era appena accostata e guardò dentro, trovando Kate, in piedi davanti allo specchio con il volto tra le mani.

- Ehy, tutto bene? - Disse in un sussurro, per non farsi sentire da Joy, mentre chiudeva la porta.

- Sì… è tutto così…

- Perfetto. - Concluse Rick. - È tutto perfetto.

- Ci ha beccato come due ragazzini. - Sorrise lei.

- Già… credo che dovremo rimandare i nostri programmi…

- Decisamente Castle. - Rise lasciandosi abbracciare e poi lo baciò. - Grazie Rick. Grazie di tutto questo.

- È solo una maglietta per dormire Kate! - La prese in giro lui. - Ti aspetto di là.

Quando Kate uscì li trovò già a letto, con Joy appoggiata al petto di Castle. Lui le stava parlando di un pic nic che avrebbero fatto tutti e tre insieme, la prossima primavera, in un punto bellissimo di Central Park che conosceva solo lui. Adorava la sua capacità di far diventare una storia qualsiasi situazione e così un pic nic al parco era già diventato qualcosa di magico. Si accorsero che era arrivata quando sentirono il materasso abbassarsi e le coperte scostarsi. Kate ebbe un brivido quando Joy lasciò Rick per raggiungerla.

- Direi che adesso è ora di dormire però… - ammonì sua figlia che sembrava sul punto di stare per raccontare qualche altra cosa.

- Ok… - rispose un po’ delusa e Kate non riuscì a tenere il punto.

- Cosa c’è Joy? Che volevi dire? - Le chiese allora sistemandole i capelli scoprendole gli occhi.

- Tu rimani qui sempre adesso? Stiamo tutti insieme? - Kate guardò Rick che si avvicinò all’orecchio di Joy e le disse qualcosa senza farsi sentire da Beckett. Vide sua figlia sorridere e poi darle un bacio.

- Buonanotte mamma!

- Buonanotte papà! - Disse facendo lo stesso con Rick, facendo venire un brivido soprattutto a Kate che era la prima volta che sentiva Joy chiamarlo così. Poi Castle spense la luce, ma Joy ancora non sembrava soddisfatta.

- Voi non vi date la buonanotte? - Chiese ai due guardando prima uno e poi l’altra, fino a quando Rick non si sollevò e voltandosi diede un bacio a Kate.

- A domani detective. - Le disse.

- Buonanotte scrittore. - Rispose lei sorridendo.

Come quella notte negli Hamptons, le loro mani si trovarono e le loro dita si intrecciarono sopra la testa di Joy che si addormentò sorridendo.

Quando Kate la mattina si svegliò ringraziò mentalmente Dio o qualsiasi altra entità che quella notte nessuno l’avesse buttata giù dal letto per qualche omicidio. Abbassando lo sguardo vide sul suo petto i capelli spettinati di Joy che dormiva ancora tranquilla poi il braccio di Castle che finiva sul suo ventre e li teneva tutti e tre insieme.

Sentì il battito del cuore accelerare ed avrebbe voluto dirgli di rallentare perché aveva paura che fosse così forte da svegliarli. Respirò profondamente e vide Joy muoversi, ma solo per accomodarsi meglio. Con l’unica mano libera che aveva le sfiorò i capelli liberandole il viso e poi prese quella di Castle, accarezzandogli lievemente il dorso senza svegliarlo. Il senso di beatitudine provato in quei momenti era qualcosa che in vita sua non aveva mai sentito, un tipo di emozione che non avrebbe mai saputo descrivere perché non sapeva nemmeno come poter incanalare quelle sensazioni nel modo giusto. Era tutto, era tanto, era troppo per lei che aveva sempre vissuto con un silenziatore alle sue emozioni, limitandole per non soffrire si diceva, ed ora si trovava invece a fare i conti con tutti i suoi canali emotivi spalancati ed a riempirsi di quell’amore che la riempiva in ogni piega del suo essere.

Sentì le dita di Rick stringere le sue, intrecciandole ed imprigionandole con le sue. Poi lo sentì sbuffare, spostarsi il ciuffo con un soffio: era adorabile e tra lui e Joy il vero bambino sembrava lui, con il suo viso imbronciato ancora segnato dal sonno ed i capelli arruffati.

- Buongiorno Detective… - Sussurrò con la voce impastata.

- Buongiorno Scrittore… dormito bene?

- Benissimo e tu?

- La migliore notte della mia vita. - Guardò Joy che ancora dormiva e poi di nuovo lui che si era messo su un fianco per esserle più vicino, mentre lei era bloccata da sua figlia che dormiva stringendo il suo braccio.

- È stato un bene alla fine, no? - Chiese lui

- Cosa?

- Che ci abbia scoperto lei. Così almeno siamo più liberi ora.

- Sì, penso di sì… però è stato… imbarazzante. Pensa se fosse arrivata qualche minuto più tardi! - Disse Kate con un sorriso preoccupato.

- Uhm… no, meglio non pensarci… - Rispose deciso, sporgendosi poi verso di lei per darle un bacio.

- Ora sì è un buongiorno. - Le sussurrò sulle labbra prima di baciarla ancora.

- Ma voi due ora vi baciate sempre? - la voce di Joy che li guardava da vicino, testimone delle loro effusioni, li fece di nuovo separare bruscamente e questa volta anche ridere.

- Sempre sempre no… spesso! - Rispose Rick che tra loro era quello meno in imbarazzo. - Possiamo?

- Uhm… Ok! - Disse Joy visibilmente divertita da quella situazione, quindi Rick tornò a dare un altro bacio a Kate, anche se decisamente più casto e poi dopo uno sguardo di intesa con Beckett, entrambi si tuffarono su Joy ricoprendola di baci e facendola ridere gioiosamente.

- Hai dormito bene piccola? - Le chiese Kate.

- Sì, è stata la notte più bella della mia vita! Avevo sempre voluto provare come è dormire così, con mamma e papà! - Castle e Beckett si guardarono, e sorrisero pensando che lei e Kate avevano detto la stessa cosa di quella notte.

- E come è stato? - Le chiese Rick

- Bello. Ti fa sentire protetta e amata. Grazie. - Guardò prima uno e poi l’altra, con sguardo riconoscente.

- Siamo noi che dobbiamo ringraziare te, amore mio. - Le disse Kate. - Soprattutto io.

Beckett non era ancora abituata agli slanci di affetto di sua figlia, forse non si sarebbe abituata mai, non almeno fino a quando rimaneva fermamente convinta di non meritarli, così quando Joy si voltò verso di lei e la abbracciò, fu colta per l’ennesima volta da sorpresa ed emozione e non poté fare altro che stringerla a sua volta.

- Che facciamo oggi? - Le chiese poi quando dopo l’ennesimo bacio Kate la lasciò andare.

- Io veramente più tardi dovrei andare al distretto… - Rispose facendo una smorfia e vedendo la delusione di sua figlia che forse sperava potessero passare una giornata insieme.

- Intanto, però, una bella colazione a letto?

- Si!!! - Esclamò Joy contenta.

- Allora voi aspettatemi qui e lasciate fare allo chef di casa! - Diede un bacio a Joy ed uno a Kate, poi uscì dalla stanza lasciandole sole.

- Ciao papà… - Alexis era in cucina con una tazza di cereali che stava consumando da sola.

- Ehy pumpkin! - Si avvicinò sedendosi vicino a lei.

- Joy l’ha scoperto vero? - Gli chiese sorridendo lasciandolo a bocca aperta a dire qualcosa che non riusciva ad articolare. - In camera sua non c’era, deduco che abbia dormito con te. E lì ci sono le cose di Kate quindi deduco che anche lei…

- Sì, sono di là in camera. - Ammise lui. - Questo è… è un problema per te?

- Dovrebbe esserlo? - Chiese Alexis

- No, io spero di no… Non cambia niente questo Al, lo sai vero? - Provò a rassicurarla.

- Non è così papà. Questo cambia molte cose e dire il contrario non è necessario. Per me è ok. Sono felice per te e per Joy. Ed anche per Kate, ovviamente.

- Non voglio che tu ti senta esclusa da tutto questo. Io, Joy e Kate non siamo qualcosa di separato da te. Siamo tutti la stessa famiglia.

- Sì, lo so… io mi devo solo abituare all’idea. Però sono felice, soprattutto per Joy, lei ci sperava tanto, anche se non lo diceva mai, a me lo aveva confidato.

- Lo immaginavo. Grazie per tutto quello che stai facendo per lei, sono molto orgoglioso di te, Al.

- Lo faccio con piacere papà. Joy si merita di essere felice. C’è veramente la possibilità che il padre di Joy ottenga la sua custodia? - Si informò Alexis.

- Purtroppo c’è, non te lo posso negare. Ma faremo di tutto perché non sia così. Kate ha scoperto delle cose e dobbiamo trovare il modo di usarle a nostro favore.

- Vorrei veramente che andasse tutto bene. - Sospirò finendo la sua colazione.

- Lo vorrei tanto anche io pumpkin… - Le diede un bacio prima di cominciare a preparare la colazione per Joy e Kate, mentre Alexis, finito di mangiare, uscì per andare a scuola.

- Due piatti di pancakes al cioccolato, un caffè per la mamma e latte per Joy. - Rick adagiò il vassoio sul letto mettendolo tra le due.

- E te? - Gli chiese Joy

- Io aspetto che gentilmente qualche donna di buon cuore mi offra un boccone della sua colazione! - Lo guardò aggottando le ciglia e poi prese un pezzo di pancake con la forchetta e lo diede a Rick che la ringraziò con un bacio, facendo sorride Kate che sorseggiava il caffè sporcandosi le labbra con la schiuma con la quale Castle le aveva disegnato un cuore.

Anche lei poi gli diede una forchettata di pancakes, anche più di una, in pratica finirono per dividersele sotto gli occhi divertiti di Joy che adorava vederli così.

- Io adesso devo proprio prepararmi per andare a lavoro, però… E devo anche passare a casa per cambiarmi e prendere qualcosa di pulito.

Le dispiaceva essere la guastafeste, quella che interrompeva quella mattinata tutta per loro però non poteva proprio fare altrimenti. Rick la osservò andare in bagno vestita solo con la sua tshirt che le copriva appena il fondoschiena e fece pensieri che non erano proprio adatti alla presenza di Joy che lo guardava perplessa. Ne uscì poco dopo, vestita velocemente. Salutò Joy e poi Castle.

- Ti accompagno. - Le disse Rick mentre stava andando via e Joy li guardò ridacchiando.

- Lo so che lo dici perché le vuoi dare un altro bacio! - Disse seria a Rick.

- Tua figlia ti assomiglia troppo quando fa così. - Le disse Castle con un adorabile broncio mentre le cingeva la vita.

- Decisamente troppo. - Rispose lei con le braccia intorno al suo collo, prendendosi qualche altro istante per abbracciarlo.

- Ti devo una notte diversa ed anche delle scuse per ieri. Mi dispiace veramente Kate.

- Non ti devi scusare di niente, Rick. Ti amo, anche quando sei geloso senza motivo. Sono io che ti devo ringraziare per tutto questo… per… per tutto…

- Quando stasera torni a casa, passa a prendere qualcosa, così domattina non devi scendere a cambiarti. - Le sussurrò facendole l’occhiolino.

- Domani riposo… - le disse sorridendo.

- Meglio. Così potremo fare più tardi ed ho molte idee su come occupare tutto il tempo.

La vide mordersi il labbro e fece una gran fatica a lasciarla andare via, dopo averla baciata ancora ed averle detto ancora una volta che l’amava.

Kate si cambiò velocemente a casa, mettendo in una borsa un paio di vestiti di ricambio. Li portò in macchina con sé, così quando sarebbe tornata non avrebbe nemmeno dovuto passare a casa, poteva andare direttamente al loft. Da Joy e da Castle.

- Quella borsa, tesoro mi fa ben sperare, non è così Katherine? - Martha aveva accolto Kate appena tornata al loft e come prima cosa aveva visto quella piccola borsa preparata la mattina. Che l’attrice fosse sempre stata una delle loro più accanite sostenitrici non era certo una novità, così Kate annuì sorridendo alla madre di Castle, mentre con lo sguardo cercava un’appiglio dentro casa che però non arrivava, né da sua figlia, né da Rick che non si vedevano.

- Sì, domani riposo.

- Oh e non c’è posto migliore di questo per riposarsi! - Le ammiccò Martha facendola sorridere ancora imbarazzata. - Se cerchi Richard e Joy sono in camera.

- Grazie Martha. - Kate si stava avvicinando alle scale quando la voce dell’attrice la fermò di nuovo.

- Penso che quella borsa la puoi lasciare in camera di Richard. - Le fece di nuovo l’occhiolino, poi andò in cucina a versarsi un bicchiere di Martini, mentre Kate tornava sui suoi passi e non senza qualche imbarazzo aprì la porta di camera di Castle e lasciò la borsa proprio lì dietro senza nemmeno entrare.

Quando Kate entrò in camera di Joy, la trovò impegnatissima in una sfida alla playstation con Castle. Erano così presi che nessuno dei due si accorse che si era fermata sulla portata, appoggiata allo stipite mentre li osservava sfidarsi serissimi ed attenti in una gara di kart.

- Tu vinci sempre però, non vale! - Disse Joy appena finita la partita

- Ehy, hai anche voluto scegliere il mio personaggio! - Protestò Rick - Comunque è solo perché sono più esperto di te ed ho anni ed anni di pratica alle spalle. Se ti allenerai sicuro diventerai bravissima!

- Ehm ehm… - Kate si schiarì la voce attirando la loro attenzione.

- Mamma! - Esclamò Joy vedendola avanzare verso di lei.

- Ciao amore. - Le disse dandole un bacio tra i capelli mentre Castle la osservava rimanendo in attesa poi si avvicinò anche a lui e sorprendendolo gli diede un bacio sulle labbra.

- Bentornata - Le disse lui prima di darle un altro bacio.

- Mamma lui vince sempre! - Le disse cercando in lei un appiglio.

- Ah sì? Beh, io sono sicura che non vince proprio in tutti i giochi. - Fece un occhiolino a sua figlia che sembrava molto felice di sapere che anche Castle poteva essere sconfitto.

- E in quale gioco vorresti battermi Beckett? Andiamo, spara! - Non sembrava molto convinto che lei potesse batterlo.

- Esatto Castle! Sparo! - Disse lei sorridendo con aria di sfida.

- Questo è sleale Beckett! - Protestò lui.

- Dai, non mi dire che non hai qualche videogioco dove si può sparare un po’…

- Sì, ma andiamo giù dove ci sono i miei giochi… - Le propose.

- Va bene, sfida accettata! - Kate allungò la mano verso di lui e lui la strinse sotto lo sguardo divertito di Joy.

- Cosa state facendo? - Alexis era appena rientrata e vide i tre scendere le scale divertiti.

- Mamma e papà fanno una sfida con le pistole a chi spara meglio! - Esclamò Joy entusiasta e Alexis guardò malissimo sia Rick che Kate.

- Videogiochi Al! - Spiegò Castle e vide la figlia tranquillizzarsi.

- Vieni con noi? - Le chiese Joy prendendola direttamente per mano e portandola davanti al grande televisore e si misero sedute mentre Rick collegava tutti i cavi e sceglieva il gioco giusto per quella sfida. Mentre la console si avviava Castle si avvicinò a Beckett consegnandole una delle pistole bianche di plastica impugnando poi la sua: sembravano entrambi aver preso terribilmente sul serio quella sfida.

- Stai scherzando Castle? - Gli disse Beckett quando vide la schermata iniziale del gioco - e a cosa dovrei sparare?

- Uhm… dipende! Paperelle, barattoli, animaletti vari, ah ma occhio alle bombe se esplodono hai perso!

- Io non intendevo questo come gara per sparare, questo è da… da bambini! - Protestò lei.

- Tu hai detto solo che volevi sparare, non hai detto a cosa! - Rick non riusciva a nascondere il suo sorriso soddisfatto.

- E va bene Castle, spariamo alle paperelle o quello che sia!

Il primo gioco in cui si sfidarono dovevano sparare al maggior numero di galline possibili quando si aprivano le finestre del pollaio dovendo evitare quelle con le bombe. Vinceva chi in un minuto riusciva ad prenderne di più e vinse Castle, eliminandole due più di lei e non nascose il suo entusiasmo nei confronti di Kate che dovette ingoiare il rospo ed accettare la sconfitta.

La sfida continuò e questa volta dovevano sparare ai piranha che spuntavano fuori dall’acqua. Adesso Kate aveva decisamente preso confidenza con il gioco e riuscì a portarsi a casa quel round sparando ad un piranha in più di Rick.

- Siamo pari adesso Castle… - Fu lei a non nascondere la soddisfazione mentre dietro di loro Alexis e Joy si divertivano a vederli competere. Andarono avanti, fino a quando il primo di loro non arrivava a minigiochi vinti e fu Beckett che dopo essere stata sconfitta nel primo non lasciò più nemmeno un gioco a Castle, vincendo per cinque a uno, divertendosi alla fine a far roteare la pistola sul dito come un cowboy.

- Mi pare che hai perso, o no? - Gli disse lei con un sorriso più che soddisfatto.

- Sì ma…

- Non vorrai mica dire che mi hai lasciato vincere, vero? - Lo riprese Kate.

- No. Hai vinto. - Ammise imbronciato. - Che ne dite di una sfida a coppia adesso? Io e Joy contro te e Alexis!

Castle fece quella proposta prendendole tutte di sorpresa, soprattutto per come aveva diviso le coppie. Beckett lo guardò sorridendogli, lei aveva capito il suo intento e la sua volontà di coinvolgere anche Alexis tra loro e l’idea di farla giocare in coppia con Kate era un modo per cercare di farle diventare più complici.

Le due ragazze accettarono con entusiasmo e anche in quell’occasione non c’era stata partita, Kate ed Alexis vinsero nettamente contro Rick e Joy e Castle si mostrò deluso, ma in cuor suo era felice soprattutto quando vedeva Kate e Alexis esultare insieme dopo ogni round vinto ed abbracciarsi alla fine. Poi le coppie si mischiarono ancora e fu Joy ad essere in squadra con sua madre ed Alexis con suo padre.

Rick e sua figlia si divertirono ad osservare come Kate insegnava a Joy come tenere la pistola e come dovesse prendere la mira e poi decidere quando sparare. Le correggeva la postura e il modo di tenere quell’arma finta, come se fosse una vera e Joy prendeva molto seriamente gli insegnamenti di sua madre e i progressi furono subito evidenti, visto che era riuscita a sconfiggere Alexis in 2 round su 5, ma alla fine non ci fu ancora partita, perché ci pensò Kate a ribadire la superiorità vincendo ancora tutti i suoi incontri e poi festeggiando con sua figlia.

- Mamma forse dovresti far squadra con lui, magari così vince una volta! - Joy prese in giro Castle e finalmente poteva vendicarsi dopo un pomeriggio in cui aveva subito le sue vittorie. Rick fece la linguaccia a Joy che rise ancora di più vedendolo infastidito per aver perso, mentre Alexis scuoteva la testa guardando Kate per quel padre bambinone che alcune volte sembrava non voler crescere mai.

Martha aveva assistito a tutto quello sorseggiando l’ennesimo drink seduta su uno degli sgabelli del bancone della cucina, decisamente soddisfatta per quello che stava vedendo. Erano così belli tutti e quattro insieme ed era particolarmente felice per come suo figlio e Beckett avevano coinvolto anche Alexis nei loro giochi: non poteva negare che aveva temuto che sua nipote potesse sentirsi esclusa da quella situazione che vedeva i due con Joy molto legati già come una vera famiglia.

- Che ne dite se adesso pensiamo alla cena? C’è almeno un adulto tra voi quattro? Katherine, almeno tu! - Li richiamò all’ordine l’attrice e i quattro ancora sorridendo le diedero ascolto, spegnendo la console con Castle che meditava già vendetta e chiedeva a Kate la rivincita dopo essersi debitamente allenato.

- Si sono divertite eh? - Rick stava raggiungendo Kate a letto, sdraiandosi al suo fianco.

Dopo cena avevano giocato ancora, ricominciando le sfide con il kart e questa volta Rick aveva vinto di nuovo contro tutti, anche se Alexis più di una volta gli aveva tenuto testa fino in fondo. Poi Kate accompagnò Joy a letto ed anche Alexis le seguì, così dopo che Joy si fu addormentata, passò a salutare anche alla figlia di Castle. Aveva bussato un po’ imbarazzata alla porta della sua stanza e solo quando le aveva detto di entrare lo aveva fatto, augurandole timidamente la buonanotte. Alexis anche se non glielo disse apertamente, apprezzò molto quel gesto di Kate e capiva che per lei quella situazione non era facile e si stava sforzando di inserirsi nella loro famiglia senza togliere spazio a nessuno, anzi, cercando di coinvolgerla il più possibile. Fece mentalmente un paragone con Gina e benchè le situazioni fossero molto diverse, si trovò a pensare che lei invece non aveva mai fatto nulla per coinvolgerla nella vita tra lei e suo padre, non le aveva mai ceduto qualcuno dei suoi spazi. Kate, invece, non era così. Per quanto fosse poco il tempo che trascorreva con loro per via del lavoro, cercava di includere Joy ed anche lei e questo non poteva che apprezzarlo.

Kate guardò Rick che si era appena messo sotto le coperte. Novembre era iniziato da qualche giorno e le temperature di erano abbassate repentinamente anche se al loft ci si accorgeva appena, la casa era sempre avvolta da un confortante tepore.

- Secondo me ci siamo divertiti di più noi. - Rise lei appoggiandosi al suo petto. Era così strano essere lì con lui e la cosa più strana era che le sembrava del tutto naturale.

- Uhm sì probabile. Io mi sono divertito tantissimo a giocare con te.

- Anche io, soprattutto quando ti ho stracciato - Gli disse picchiettando con le dita sul suo torace.

- Sai che però vorrei continuare a giocare con te? Giocare solo io e te… - Fece scivolare la mano sotto la sua maglietta, accarezzandole la pancia con la punta delle dita.

- Castle… - Sospirò Kate che non riusciva mai a mostrarsi insensibile ai suoi tocchi.

- Non vuoi giocare con me? - La mano si abbassò sollevando l’elastico degli slip e poi scendendo ancora di più sul suo pube, andando a solleticarla lì dove sapeva essere più ricettiva al suo tocco. La vide reclinare la testa all’indietro ed inarcare la schiena quando le sue carezze divennero più profonde ed allora lui scostò le lenzuola e la spostò adagiandola di fianco a lui, in modo che fosse più libero di muoversi e di giocare con il suo corpo. La sentì prodursi in qualche mugugno insoddisfatto quando sfilò via la mano dai suoi slip per sollevarle la maglietta che arrotolò sopra i suoi seni senza toglierla, non ancora, e poi li strinse tra le mani, stuzzicando con le dita i capezzoli che divennero immediatamente dritti come spilli, che baciò e succhio prima uno e poi l’altro, avidamente.

- Ti dovevo una notte diversa, te l’ho promesso. La porta è chiusa. - La rassicurò, ma Kate non voleva sentirlo parlare.

- Castle, perché non usi la tua bocca per qualcosa di più interessante? - Gli disse sporgendosi per baciarlo e lui rispose al suo bacio con passione.

- Come vuoi tu Kate… Ma non devi provocarmi e sappi che questo è solo l’inizio. - La guardò malizioso e provocante mentre lei si mordeva il labbro inferiore vogliosa. Poi con un gesto repentino afferrò i suoi slip con entrambe le mani e glieli tolse. Rick tornò a baciarle i seni, poi scese sulla pancia e sempre più giù. La sentì trattenere un urlo quando arrivò lì dove lei voleva e come le aveva detto, per quella notte aveva solo appena cominciato.

- Katherine, ci vuol spiegare quali sono, o sono stati, i suoi rapporti con il signor Connor Cooper? - Matt, l’avvocato di Castle aveva chiamato Beckett a testimoniare nella causa contro il padre naturale di Joy. Avevano concordato le domande che le avrebbe fatto, studiato le risposte e ipotizzato le possibili domande che le avrebbe potuto fare l’avvocato della controparte.

- Ci siamo frequentati per qualche settimana circa 11 anni fa a Stanford. - Kate guardava Connor seduto in prima fila davanti a lei, cercando di evitare in ogni modo lo sguardo di Castle che era poco distante.

- Si può dire che stavate insieme? - chiese l’avvocato Cameron.

- No. Non direi che stavamo insieme. Eravamo giovani, ci siamo divertiti come facevano tanti ragazzi della nostra età, tutto qui. - Beckett si mostrava sicura nel rispondere.

- Cosa è successo quando ha scoperto di essere incinta?

- Ho avuto un momento di naturale turbamento, non sapevo cosa fare. Io e Connor già non ci frequentavamo più molto, però sono andata da lui e gliel’ho detto. Non perché volessi qualcosa di particolare, solo per informarlo. - Precisò perché fosse chiaro che lei da lui non voleva e non aveva mai voluto nulla.

- E lui cosa ha fatto?

- Mi ha detto che non si voleva rovinare la vita e che se volevo mi dava dei soldi per abortire. Io mi sono arrabbiata tantissimo, perché io non avevo nemmeno pensato a quella possibilità. Credo che quella è stata l’ultima volta che io ci ho parlato.

- Pensava che sapendo che era incinta di suo figlio per voi ci sarebbe potuto essere un futuro?

- Non lo so, sinceramente non credo di aver mai pensato a me e a lui in quei termini, quello che pensavo, però era che aspettando un bambino suo, potesse essere interessato a lui e non considerarlo solo come un problema da eliminare al più presto.

- Per quanto lei sa, detective Beckett, il signor Cooper ha mai avuto altre notizie di lei e della sua gravidanza?

- Sì. So che una nostra amica comune dell’epoca, quando mancavano pochi mesi al parto, lo aveva chiamato e glielo aveva detto. Gli aveva detto anche anche che era una bambina e che io ero da sola dopo i miei problemi familiari, ma lui le aveva risposto che tenere quel bambino era stata una mia idea e che a lui non interessava nulla e avrei dovuto sbrigarmela da sola.

- Quindi ci sta dicendo che Cooper sapeva che lei avrebbe portato a termine la gravidanza e che quindi avrebbe avuto una figlia da lì a poco e che lo ha saputo per tutti questi dieci anni, giusto? - Chiese infine l’avvocato Cameron a Kate.

- Sì, è così. Lui sapeva che aveva una figlia, non ne è venuto a conoscenza adesso sui giornali.

Matt la ringraziò e tornò a sedersi vicino a Castle e a suo fratello Luke mentre Summers, l’avvocato di Cooper, le si fece incontro per interrogarla a sua volta.

- Detective Katherine Beckett del dodicesimo distretto della Polizia di New York. Finalmente ci incontriamo, ho sentito molto parlare di lei in questo dibattimento. Lei si considera la madre di Joy, non è vero? - La voce di Summers era sgradevole come il resto della sua persona e Kate pensò che Connor non potesse scegliere avvocato diverso da questo.

- Certo, Joy è mia figlia. - Rispose decisa.

- Però per la legge lei non è nessuno per Joy Johnson, non è così? E se lei si considera sua madre, senza alcun diritto di farlo, il mio cliente può considerarsi suo padre, o no?

- Il signor Cooper ha rinunciato ad essere il padre di Joy il 16 novembre di undici anni fa, quando mi ha detto di liberarmi del problema.

- Questa è la sua parola contro quella del mio cliente. Non c’è altro che lo testimonia, quindi non vale nulla.

- Come non vale nulla la parola del suo cliente e non solo quella. - Ringhiò Kate venendo richiamata dal giudice mentre l’avvocato Summers fece finta di non sentirla.

- Lei ha parlato di una persona che aveva chiamato il signor Cooper per dirle di sua figlia. Ha assistito alla telefonata?

- No.

- Ne ha sentito il contenuto?

- No.

- La sua amica le ha dato prove che quella telefonata sia mai avvenuta?

- No, me lo ha solo detto, ma quale motivo avrebbe avuto di mentirmi in quel momento?

- Questo non sta a me stabilirlo. Lei parla di una prova che non esiste, che dovrebbe venire da una persona che non c’è. Stiamo in pratica parlando del nulla, se ne rende conto, Detective? Eppure lei dovrebbe essere abituata a lavorare sulle prove. - Summers camminava avanti e indietro mentre parlava per poi fermarsi davanti a lei appoggiando le mani sul legno scuro ed un po' consunto del banco al quale era seduta per testimoniare fissandola con aria inquisitoria.

- Lo sono e so anche che le prove vanno sapute leggere e le indagini contestualizzate al caso e alle persone coinvolte.

- E noi chi abbiamo coinvolto? Una persona che non si sa chi è e non si sa dov’è. Perché non la chiama a testimoniare quest’amica se esiste, se è reale? - La voce dell’avvocato era diventata quasi stridula per contenere una risata.

- Questa persona è sicuramente più reale della voglia di paternità del suo assistito e del suo desiderio di fare da padre a Joy.

- Lei invece ha voglia di essere madre di Joy? Eppure l’ha abbandonata appena nata. Eppure quando ha scoperto che era sua figlia ha aspettato settimane prima di dirlo facendolo solo quando è stata messa alle strette perché Joy aveva bisogno di un trapianto di midollo che solo lei poteva donarle. - L’avvocato si era allontanato di qualche passo per poi rifarsi di nuovo sotto, incalzandola mentre Kate stava facendo fatica a mantenere la calma e la lucidità necessaria per non compromettere la situazione e non lasciarsi andare all’emotività.

- Sono situazioni diverse. Io ho avuto paura. Paura di crescere a 19 anni una figlia da sola. Paura di ritrovarla dopo 10 anni e non sapere come comportarmi. Ma io ho sempre amato mia figlia e lasciarla è stata la cosa più difficile mai fatta in vita mia.

- Che bel discorso strappalacrime. Però è curioso lei non ha paura di infiltrarsi in una associazione criminale russa, non ha paura a dare la caccia a spietati serial killer che uccidono poliziotti non ha paura a fare irruzione in una casa con gente armata per riprendere sua figlia, però a paura a parlare con lei.

- Lei non può capire avvocato. - Kate scosse la testa e in quel momento capì che stava capitolando sotto i suoi colpi.

- Già, io non posso capire. È vero. Perché i miei figli sono stati con me da quando sono nati. Li ho cresciuti io. Quindi no, non posso capire. Per fortuna.

Il giudice riprese l’avvocato Summers invitandolo ad evitare di dare altri giudizi sulla persona, ma lui non sembrò curarsene molto. Kate tratteneva a stento la sua rabbia, voleva evitare di cadere nella trappola dell’avvocato ed invece le sembrava di star sprofondando.

- Signora Beckett, come ci si sente per un detective della polizia di New York vivere in un elegante palazzo in uno dei quartieri più ricercarti della città? - Chiese subdolo.

- È solo il posto dove vivo adesso. Non ci si sente in nessun modo. - Cercò di rispondere con distacco.

- Pensavo potesse sentirsi, non so, privilegiata? Oltretutto vive in quella casa gratuitamente! A quante persone capita una simile fortuna?

- È solo una cosa temporanea, grazie alla generosità del signor Castle che così mi permette di stare più vicina a Joy.

- Temporanea perché spera di continuare la, chiamiamola così, scalata e di arrivare ai piani superiori, diciamo verso il loft del signor Castle? - Chiese l’avvocato provocandola.

- Che cosa vuol dire, mi scusi. - Domandò prendendo tempo.

- Che magari lei punta a trasferirsi da lui, mi pare abbiate qualcosa che può essere considerato simile ad una relazione, o sbaglio? - Le chiese incalzandola e Kate non si aspettava quella domanda. Cercò per la prima volta con lo sguardo gli occhi di Rick che sembrava volerla rassicurare. - Allora signora Beckett? Le ricordo che è sotto giuramento. Lei ha o non ha una relazione con il signor Castle?

- Sì. - Ammise Kate abbassando lo sguardo e poi cercando ancora quello di Rick che le sorrise e mosse le labbra per dirle che era tutto ok, anche se sapeva che non era così. Quello avrebbe complicato tutto, lo capiva dal sorriso beffardo sulle labbra di Connor e di sua moglie, dal ghigno dell’avvocato Summers e da come Matt accartocciò con stizza un foglio di carta. Eppure lui non riusciva a vedere tutto nero, come loro, perché Kate Beckett, per la prima volta, aveva ammesso davanti ad altre persone che loro stavano insieme. Sarebbe stato più difficile, ma sarebbero stati insieme era questa la sua convinzione.

- Quindi lei, detective di polizia, ha una relazione con uno dei più famosi scrittori del paese, uno degli scapoli d’oro della città, uno che passa da una festa all’altra, che conosce e frequenta gli ambienti vip di New York, che gira in Ferrari… di preciso cosa avete in comune a parte il fatto che lui ha fatto richiesta di adottare Joy Johnson, la sua figlia biologica?

- Basta! - Rick si era alzato in piedi ed aveva sbattuto i pugno sul corrimano facendolo scricchiolare, mentre Luke e Matt cercavano di farlo sedere, sorpresi dalla sua intemperanza. - Se vuole avvocato glielo posso dire io cosa abbiamo in comune, lo chieda a me!

Castle sfidò apertamente Summers che ridacchiò mentre il giudice gli intimava di sedersi e non interferire più altrimenti lo avrebbe fatto allontanare. Kate lo guardò preoccupata e sperò veramente che Matt lo convincesse ad uscire ma non fu così, perché Rick si ostinò a voler rimanere al suo posto.

- Obiezione vostro onore, i rapporti tra la signora Beckett ed il mio cliente sono irrilevanti! - Si oppose l’avvocato di Rick ma il giudice fece cenno a Summers di continuare e a Beckett di rispondere.

- Non so cosa abbiamo in comune. Forse poco nelle cose tangibili e tanto per quel che riguarda il nostro essere, i nostri valori. Una volta Castle mi aveva detto che due persone troppo simili non possono stare insieme e che solo gli opposti, lo Yin e lo Yang creano armonia insieme. Forse noi siamo così. Ma non credo che per stare insieme a qualcuno conti quante cose si hanno in comune, l’auto che si guida, le persone che si frequentano. Io credo che sia più importante amare l’altra persona e non si può sempre spiegare il perché accade e basta, anche quando al mondo sembra sbagliato. - Kate stava rispondendo all’avvocato di Connor, ma non aveva smesso per un solo istante di guardare Rick e per qualche istante le sembrò che lì non ci fosse nessuno tranne loro due, ma fu riportata alla realtà dal battito delle mani di Summers che la stava platealmente schernendo.

- Bel discorso signora Beckett, molto romantico. Il suo fidanzato sarà contento di sentire certe parole. Alla fine grazie a sua figlia sta riuscendo dove molte hanno fallito, ingabbiare Richard Castle.

- Ma cosa sta dicendo? - Provò a fermarlo Kate.

- Mi vuol dire che se penso che ha usato sua figlia per arrivare a Richard Castle sbaglio?

- Non posso dire quello che penso io se lei dice una cosa del genere. - Rispose Kate schifata dal commento dell’avvocato.

- Quindi è del tutto casuale che lei e la persona che vuole adottare quella che lei chiama sua figlia avete una relazione e lei quando ha saputo chi era Joy Johnson e le volontà del signor Castle non ha intravisto l’opportunità di sistemarsi sfruttando questa situazione.

- Io non credo che devo stare qui a rispondere della mia relazione. Però se lo vuole sapere no, non è casuale. Perché in questi tempi ho avuto modo di conoscere meglio Castle e di scoprire che persona è nel privato oltre alla facciata pubblica del suo personaggio. E sì, è stato anche grazie a Joy, perché ho visto con lei più di un uomo, un padre amorevole che non si è risparmiato in niente, facendo anche delle scelte che mi fanno ferito, ma le ha fatte convinto di fare il bene della bambina. Ha fatto più Castle in questi mesi per Joy di quanto molti genitori fanno per i propri figli tutta la vita. Non l’ha mai lasciata sola, fisicamente e moralmente, le ha regalato sorrisi e speranza. Castle è un ottimo padre, ed è un ottimo padre per Joy che lo considera come tale. Quando l’abbiamo trovata era una bambina impaurita dentro un armadio che non parlava e non si fidava di nessuno. Oggi è allegra, estroversa, espansiva e questo in gran parte è merito di quello che ha fatto Castle e la sua famiglia, la famiglia di Joy.

- Interessante signora Beckett. Ed allora perché lei voleva portare via Joy da questa famiglia chiedendone l’affidamento? - Chiese l’avvocato andando a toccare uno dei punti sensibili che Kate sapeva prima o poi avrebbe toccato e con l’avvocato Cameron si era preparata a questo.

- Perché essendo Joy mia figlia avevo il desiderio che mi fosse riconosciuta questa cosa. Ma io non avrei strappato via Joy da Castle e dalla sua famiglia. Grazie anche a lui, al fatto di poter abitare nello stesso palazzo, Joy sarebbe comunque cresciuta con entrambi, sarebbe stata con lui quando io sarei stata impegnata a lavoro, non le sarebbe mai mancato l’affetto di Castle e di tutta la sua famiglia. Di certo non avrei preso mia figlia e l’avrei estirpata dal suo mondo portandola sull’altra costa con gente che non conosce sottraendola all’affetto di chi le vuole bene. - Rispose sicura questa volta.

- E perché poi, casualmente immagino, in concomitanza della richiesta del mio assistito di ottenere l’affido di Joy, lei invece ha rinunciato?

- È molto semplice ed il fatto stesso che lei me lo chieda e non lo capisca dimostra perché Joy dovrebbe rimanere dove è adesso. L’ho fatto per lei. Perchè io amo mia figlia e più di ogni altra cosa io voglio il suo bene ed oggi, il suo bene, è rimanere con Castle e la sua famiglia. Quello che vorrei io viene in secondo piano, conta solo ciò che è meglio per Joy.

- Casualmente si è accorta di quello che è meglio per Joy solo dopo che il mio assistito ne ha chiesto l’affido. Forse sono malizioso, ma a me la sua rinuncia pare solo una mossa strategica, una finta rinuncia, perché di fatto così lei si lega ancora di più al Signor Castle, sperando di avere contemporaneamente così entrambi: lui perché crede nella sua buonafede e sua figlia perché si è già intrufolata nella famiglia di Castle e nel suo letto. Non è così?

- Obiezione! Quelle dell’avvocato Summers sono solo insinuazioni personali di cattivo gusto! - Disse deciso l’avvocato di Rick e questa volta il giudice gli diede ragione. Non c’erano altre domande, Kate si alzò e senza fermarsi, né guardare nessuno uscì dall’aula con passo deciso mentre Connor la guardava con un sorriso compiaciuto e Rick, provò a chiamarla esitante ma lei non si voltò, continuò dritta uscendo da lì. Poi gli sguardi dei due uomini si incrociarono e Castle voleva fortemente trovare il modo di togliere quel sorriso dal volto di Cooper, con le buone e con le cattive. Più con le cattive in quel momento.

Quando Castle uscì dall’aula e la vide appoggiata tra due grandi finestre dalla parte opposta del corridoio, per un attimo, tra la luce accecante che entrava dai vetri, non fu sicuro se si trattasse effettivamente di lei oppure se era la sua mente a volere che lei fosse lì che gliela faceva vedere. Le si avvicinò e Kate alzò lo sguardo da terra, da quel pavimento del quale aveva imparato a memoria lo schema geometrico delle grandi lastre di marmo bianco, beige e marrone scuro.

- Mi dispiace. Mi dispiace tantissimo Castle. - Gli disse con un filo di voce senza avere il coraggio di guardarlo negli occhi, fissando il gruppetto di persone che usciva dall’aula in quel momento, Connor con la moglie  e l’avvocato che si salutavano sorridenti e di tutt’altro umore rispetto a lei. Notò che Connor la guardò a lungo mentre Rick cercava di consolarla accarezzandole il volto, sentendo la sua mano calda sulla sua guancia. Odiava il sorriso di quello che una volta era stato anche se per poco qualcuno che aveva considerato come il suo ragazzo. Odiava quello che stava facendo a lei, a Rick e soprattutto a Joy ed il motivo, così come odiava l’aria superba di sua moglie mentre si voltava a guardarla. Avrebbe voluto andare lì a dirle qualcosa faccia a faccia, e fu solo il braccio di Rick che le cinse la vita a fermarla. Si era voltato anche lui per cercare di capire cosa stesse guardando e perché il suo volto era diventato così duro.

- Lascia stare Kate. Non accettare le loro provocazioni. - Le spostò il volto obbligandola a guardarlo.

- Mi dispiace. Non volevo che…

- Non ti preoccupare. Volevano sapere se stavamo insieme? Ora lo sanno. Io non ho nulla da vergognarmi per questo. E spero non lo abbia nemmeno tu. - Le diede un bacio sulle labbra, tenero e delicato, Rick sapeva che li stavano guardando ma non gli importava nulla. Non aveva nulla da nascondere, le uniche persone importanti della sua vita già lo sapevano ed erano felici per loro, gli bastava questo.

Luke e Matt Cameron si avvicinarono a loro, furono gli ultimi a lasciare l’aula.

- Scusateci… - Disse Matt interrompendo quel momento di tenerezza tra loro.

- Mi dispiace. - Si scusò ancora Kate anche con loro. - È andata male…

Sospirò. Non era una domanda, lo sapeva, non era la prima volta che si trovava in un aula di tribunale a deporre, lo aveva fatto varie volte per lavoro e sapeva anche lei leggere gli umori dell’ambiente.

- Speravo meglio. - Ammise candidamente Matt. - Il giudice Roling mi pare abbastanza schierato a favore di Cooper, ha fatto passare alcune domande e alcuni considerazioni personali che esulavano del tutto dal contesto. Mi dispiace a me Kate per averti messo in questa situazione.

- Non potevamo conoscere i pregiudizi di un giudice, Matt, non è colpa tua. Era un tentativo da fare. Il tuo contatto non è riuscito a rintracciare Kelly? - Kate la vedeva come la loro unica speranza in quel momento.

- Purtroppo no, ma abbiamo ancora del tempo. Non credo che la decisione sarà presa a breve, ci sono ancora molte cose da discutere e poi vorrei provare a portare un nuovo testimone, il dottore di Joy. - Spiegò l’avvocato.

- Thompson? Perché? - Chiese Castle

- Perché potrebbe anche lui testimoniare quanto Joy sia ben inserita nel contesto familiare.

- Così poi avrebbero un altro testimone dei miei problemi con Kate… - Sospirò Rick.

- Non possiamo cambiare quello che è stato, ma così prenderemo ancora un po’ di tempo nella speranza di rintracciare l’amica di Kate che non può essere sparita nel nulla. - Matt e Luke li salutarono, avevano un’altra udienza che sarebbe cominciata a breve.

- Andiamo a casa? - Le propose Castle.

- Veramente io dovrei andare al distretto… anzi sono anche in ritardo. - Rispose Kate controllando nervosamente l’ora.

- Te la senti? Cioè, è tutto ok?

- No, Castle, non è tutto ok, ma devo andare è il mio lavoro. - Sospirò Beckett.

- Va bene… Allora ci vediamo stasera? - Le diede un bacio sulla guancia

- Sì, certo e Rick, per favore, non dire niente a Joy di oggi…

Lui annuì, guardandola andare via, passando a testa alta vicino a Cooper e sua moglie che la guardarono con un sorriso beffardo e ringraziò di non aver sentito quello che la donna disse a Kate, che si voltò solo per un istante fulminandola con lo sguardo, per poi dirigersi con passo ancor più spedito verso le scale.

Rimasto solo chiamò a casa, Martha lo rassicurò che Joy stava bene era presa da una delle sue lezioni con l’insegnante che l’aiutava con il programma scolastico che l’agevolavano a spezzare la routine che andava avanti da troppo tempo. La donna provò a chiedergli come fosse andata, ma il suo invito a riparlarne a casa di persona, le fece capire che le cose non procedevano per il meglio.

Andò nella direzione opposta a quella dell’uscita, salendo le scale che lo portavano al piano superiore dove si trovavano alcuni degli uffici del tribunale. Si muoveva con sicurezza tra quei corridoi sapendo esattamente dove stava andando. Bussò due volte ad una delle tante porte uguali di legno scuro con delle piccole targhette di ottone: su quella c’era scritto “Giudice Markway”.

- Rick! A cosa devo il piacere? - Esclamò il giudice appena era entrato, alzandosi dalla sua scrivania andandogli incontro.

- Ciao Dan, ero da queste parti… - Rispose Castle in tono molto più dismesso, mentre abbracciava l’amico.

- L’affidamento della figlia della tua amica detective uh? - Chiese guardandolo.

- Già… Non sta andando bene…

- E sei qui per chiedermi un aiuto, non è vero?

- Mi si legge in faccia?

- Diciamo che sei meno bravo a nascondere quello che pensi di quando giochiamo a poker. - Gli diede una pacca sulla spalla e lo invitò a sedersi. - Chi si occupa del caso?

- Il giudice Roling. Ho come il sospetto che qualsiasi cosa possiamo dire o fare, abbia già deciso. Lascia fare agli avvocati di quel bastardo di Cooper quello che vuole, oggi hanno massacrato Kate, lasciando che gli dicessero di tutto.

- Owen Roling? Non mi stupisce e purtroppo non credo che posso fare molto per te amico, sappiamo tutti qui come lavora quel figlio di puttana.

- Sarebbe a dire? - Chiese Castle attento, colpito dal disappunto dall’amico.

- Ha già ricevuto vari provvedimenti e indagini interne, finite in un nulla di fatto. È protetto da qualcuno ad alti livelli. Tutti sappiamo che Owen è un corrotto della peggior specie, ma non abbiamo mai trovato nulla per provarlo, tra noi colleghi nessuno lo può vedere, tranne ovviamente quelli come lui, del suo giro. Mi stupisco, però, del perché si sia messo in mezzo in una causa per un banale affidamento. Lui di solito punta a ben altro.

Castle gli raccontò la storia di Cooper, del perché voglia l’affidamento di Joy e delle grosse cifre che potrebbe ereditare che ci sono in ballo e a Markway sembrò tutto molto più chiaro.

- Vorrei dirti qualcosa di diverso Rick, ma penso che tutto quello che tu possa fare è prepararti eventualmente per fare un ricorso contro quella decisione se avrai altro materiale per poterlo fare, a meno che non abbiate qualche prova assolutamente inconfutabile che confermi questa storia e smonti il castello di sabbia creato da Cooper. - Il giudice prese due bicchieri da un mobile versando dello scotch per lui e per Castle. Gli porse poi il bicchiere che Rick prese scuotendo la testa.

- Scusami amico, non volevo essere brutale, ma penso sia meglio che sappiate a cosa state andando incontro, per prepararvi meglio, per preparare anche la bambina. - Dan bevve e Rick lo imitò.

- Non posso permettere che accada. Per Joy e per Kate… non possono separarle adesso… non è giusto.

Quando arrivò al loft dovette cercare di indossare la sua migliore faccia da poker per nascondere a Joy i suoi pensieri e le sue preoccupazioni.

- Ciao papà! - Il saluto della piccola appena rientrato gli riempì il cuore e contribuì a spezzarglielo ancora di più quando i suoi pensieri arrivarono di nuovo.

- Ciao papà! - Le fece eco Alexis sorridente poco più là che si divertiva a sentir chiamare Rick così da qulcun altro.

Diede un bacio ad entrambe osservando Alexis che si alzò per prendere la sua borsa.

- Dove vai Al? - Le chiese notando che stava per uscire.

- Da Tiffany a studiare. Mi fermerò a cena da lei! - Tornò indietro a dargli un altro bacio prima di uscire.

- Dimmi la verità Joy, Alexis va veramente da Tiffany o c’è qualche ragazzo di mezzo? - Chiese Castle preoccupato e serio alla bambina.

- Non ti fidi di lei? Dovresti chiederlo a lei, non a me! - Rispose decisa.

- Perché sei così adulta tu eh? Perché non fai corrompere mai? - La abbracciò facendola ridere.

- Perché tra noi ci deve essere un adulto, papà! Alexis lo dice sempre!

- Stai prendendo troppe cose da lei, lo sai Joy? - La rimproverò bonariamente e Joy gli sorrise, sapeva che quando faceva così stava scherzando.

- Ti ricordi vero cosa c’è domani? - Gli chiese poi facendosi serie anche lei.

- La visita dal dottor Thompson. - Rispose Castle facendole una carezza.

- Viene anche la mamma?

- Non lo so, glielo puoi chiedere tu stasera quando torna.

Joy sembrò soddisfatta della risposta e del fatto che si era ricordato il loro appuntamento. Ci teneva particolarmente perché ricordava la promessa che le aveva fatto il dottore l’ultima volta: se tutto andava bene, le avrebbe dato il via libera per uscire un po’. Poi prese Castle e lo portò a vedere tutto quello che aveva fatto quella mattina insieme all’insegnante e lui ascoltò attentamente che le ripeteva quanto studiato, orgoglioso di lei.

Kate era riuscita a liberarsi presto quel pomeriggio, al distretto non c’erano casi particolari e lei aveva avuto modo di parlare un po’ con Montgomery che si era voluto informare della situazione di Joy. Kate nel suo ufficio gli raccontò tutto, della telefonata di Royce, di quanto aveva scoperto su Cooper, delle possibili talpe al distretto e delle sue paure e di come le sembrava che tutto fosse orientato verso la peggiore delle soluzioni. Roy le aveva promesso che avrebbe fatto il possibile per aiutarla, chiedendo qualche favore ad alcuni amici ed assicurandole che gli agenti Bosh e Strasser sarebbero stati sotto la sua speciale lente d’ingrandimento.

Quando era tornata al loft aveva trovato l’abbraccio curativo di Joy ad aspettarla. Quando la strinse non potè evitare di chiedersi quante altre volte avrebbe potuto farlo, se tutto quello sarebbe finito, non aveva mai pensato a come erano quegli abbracci di sua figlia, che ogni volta sembravano come se non si vedessero da tanto tempo, erano gli abbracci di chi aveva paura di essere lasciato di nuovo ed ora era lei ad aver paura di doverla lasciare.. Mentre la teneva tra le braccia incrociò lo sguardo di Castle, ancora più preoccupato di quando l’aveva lasciato quella mattina e capì che c’era qualcosa che non andava.

Non l’aveva ancora lasciata quando suonò il campanello del loft. Rick andò ad aprire trovandosi davanti lo sgradevole sorriso di Connor e sua moglie.

- Cosa ci fai qui? Non sei gradito. - Gli ringhiò Rick facendo voltare Kate a vedere chi fosse e appena resasi conto di lui alla porta, con un gesto istintivo, nascose Joy dietro di sè, per tenerla lontana da lui. L’uomo senza scomporsi diede un foglio a Rick.

- È l’ordine del giudice. In attesa della sentenza mi autorizza a poter effettuare delle visite a mia figlia per conoscerla. Così sono qui per farle conoscere anche la sua futura madre. - Kate si irrigidì ancora di più al ghigno di Connor mentre Castle leggeva velocemente il foglio.

- Io ce l’ho già una mamma, non ne voglio un’altra! - Disse Joy tenendosi al fianco di Beckett.

- Ciao Joy, ti va di venire a fare un giro con me e Stephanie? - Le propose Connor, ma lei per tutta risposta si strinse di più a sua madre urlando un secco “No”.

- Joy non può uscire di casa, non fino a quando i medici non ci daranno l’ok, quindi questa cosa è esclusa e lo sarebbe stata comunque. Qui dice che puoi vederla, non che puoi portarla fuori da casa mia da solo. - Gli disse Rick mantenendo la calma dandogli di nuovo il foglio.

- Allora vorrà dire che ci conosceremo qui. C’è un posto dove possiamo stare soli? - Gli chiese Cooper

- Non ci voglio stare sola con te e lei. Non vi voglio conoscere. Io voglio stare con la mia mamma ed il mio papà. - Joy allungò la mano verso Rick che la raggiunse.

- Joy, sono io il tuo papà! - Le disse Connor con un tono melenso che disgustava Castle e Beckett solo a sentirlo.

- No, non sei tu. Io non ti voglio come papà. Io voglio Rick. E non voglio nemmeno lei. - Disse indicando Stephanie.

- Mi pare che le volontà di Joy siano chiare, o no? - Gli fece notare Castle.

- Sapete vero che non state facendo il suo bene? Perché quando vincerò la causa e lei verrà con noi, tutto questo sarà più difficile. Pensateci. - Senza indugiare oltre e senza nemmeno salutare Joy i due si voltarono per uscire dal loft.

- Io non voglio venire con te! - Gli urlò Joy mentre Connor e Stephanie uscivano - Mamma è vero che non devo andare con loro? Per favore!

- Faremo tutto il possibile perché tu non debba andarci Joy. Tutto te lo prometto!

Rick e Kate si guardarono per qualche istante, poi entrambi andarono ad abbracciare Joy.

Si erano concessi qualche momento solo per loro tre, senza pensare a nulla: a Connor, a sua moglie a quello che sarebbe stato. Rick e Kate si erano imposti di non farsi vedere tristi e preoccupati ed avevano pensato solo a farla divertire. Giocarono tra loro senza bisogno di nulla, con uno che a turno pensava ad un oggetto e gli altri due che dovevano fare domande per indovinare e naturalmente le cose pensate da Castle erano sempre assolutamente fuori dal normale, tanto che Beckett protestava, convinta che molte di quelle cose erano solo frutto della sua immaginazione e lui protestava dicendo che esistevano veramente e quei battibecchi facevano divertire Joy più di tutto il resto, e poi invece che le parole e le domande passarono a dover mimare quello a cui stavano pensando e vennero fuori delle scene buffe che contribuirono ad alleggerire quel giorno.

La risata di Joy riempiva il loft, così come i suoi abbracci e i suoi baci riempivano il cuore di Rick e Kate tanto che si chiedevano come era la loro vita prima di lei, perché adesso era così normale che ci fosse, così bello che non riuscivano ad immaginare altrimenti. Kate, però, su costretta a deludere sua figlia quando le chiese se l’avrebbe accompagnata alla visita: le spiegò con molta calma e senza nascondere nulla, che non poteva prendere altri giorni di permesso a lavoro, soprattutto così ravvicinati, ma la pregò di chiamarla subito appena finita la visita perché voleva sapere tutto. Joy fu dispiaciuta ma capì sua madre e soprattutto vide in lei lo stesso suo rammarico per non poter essere presente.

Il “Ti devo parlare” di Castle appena rimasti soli quella sera, fece capire a Beckett che c’era dell’altro. Non aveva ancora finito di assimilare la visita di Connor che le parole di Rick la misero definitivamente KO. Le aveva riportato la sua conversazione con Markway senza indorare troppo la pillola, raccontandole dei dubbi del suo amico giudice sul collega Roling che si occupava del loro caso. Vide crescere la frustrazione in Kate, la vide crollare seduta sul letto della sua camera con il volto tra le mani mentre scuoteva la testa lentamente in un movimento continuo che accompagnava le sue parole. Le si sedette vicino, cingendole le spalle e facendola appoggiare a sé.

- Farò tutto il possibile Kate, tutto il possibile per noi.

Beckett rimase per un po’ accostata al petto di Castle, sentendo il battito del suo cuore accelerato e quando si tirò su lui potè vedere il suoi occhi arrossati. Le accarezzò il viso, facendole nascere un sorriso appena accennato.

- Sarà meglio che io vada.

- Perché non rimani?

- Domani mattina mi devo alzare presto. Non voglio svegliarti. - Gli diede un bacio sulla guancia e fece per alzarsi, ma lui la fermò prendendole la mano.

- Non so se riuscirò a dormire senza di te, Kate. - La stretta era già diventata una carezza, un bisogno di non essere lasciato solo.

- Non voglio abituarmi a tutto questo. - La frase di Beckett lo colpì come uno schiaffo in pieno volto.

- Io voglio che ti abitui, invece! - Protestò come un bambino che aveva paura gli portassero via tutti i giocattoli.

- Castle… - Kate si chiese perché doveva sempre rendere tutto più difficile di quanto non fosse.

- Non so quello che accadrà, Kate. Però… però dimmi che quell’avvocato non aveva ragione! Dimmi che non è per Joy che noi… che noi…

- No… No… - Lo interruppe e si piegò su di lui baciandolo teneramente sulle labbra, poi si allontanò per guardarlo negli occhi. - No, Castle. No.

- Io ti amo Kate. - I suoi occhi da cucciolo impaurito le fecero male più di quanto potesse immaginare. Si sedette di nuovo vicino a lui, prendendogli il volto tra le mani, accarezzandolo con dolcezza mentre lui con gli occhi chiusi si godeva il suo tocco.

- Ti amo anche io, Rick.

- E allora perché non vuoi abituarti a stare con me? - Quella voce e quello sguardo erano una tortura per lei, qualcosa alla quale sapeva bene di non riuscire a resistere.

- Perché ho paura di perdere tutto. Joy, te… - Lo abbracciò stringendogli le spalle e appoggiandosi con la fronte sulla sua spalla.

- Non accadrà, Kate. Io per te ci sarò sempre. - Le accarezzò la schiena protettivo.

- Dovremo dirlo a Joy… quello che può succedere con Connor.

- Lo faremo… Lo faremo insieme Kate. Come tutto, se vuoi.

Kate controllava nervosamente l’orologio ogni pochi minuti, sbuffando. Esposito aveva provato a chiederle poco prima quale problema avesse ricevendo come risposta solo un “niente” ed un occhiataccia che lo aveva fatto desistere dal chiedere altro e anche Ryan si era adeguato, seguendolo silenziosamente in sala relax per prendere un caffè. Beckett rimasta sola sbuffò ancora poi poggiò rumorosamente la penna sulla scrivania e raggiunse i suoi colleghi. Javier aveva appena fatto il suo caffè e vedendo Kate che lo guardava appoggiata allo stipite della porta chiusa, si avvicinò con un sorriso e le porse la tazza.

- Grazie. - Disse mordendosi il labbro. L’ispanico le fece un cenno con la testa e poi se ne preparò un altro.

- Castle portava Joy questa mattina in ospedale per una visita di controllo. Aveva detto che mi avrebbe chiamato appena finito e ancora non si sono fatti sentire. È passato tanto tempo e sono preoccupata. - Disse tutto d’un fiato prima di affondare le labbra nella tazza fumante, bevendo senza pensarci e scottandosi.

- Magari il dottore ha avuto qualche urgenze ed ha ritardato la visita. - Le disse Ryan come se fosse ovvio. Certo loro non potevano capire come si sentiva. Non l’avrebbe capito nemmeno lei fino a qualche mese prima. Avrebbe trovato mille motivi validi per quel ritardo, tutti assolutamente plausibili, senza andare a pensare al peggio e preoccuparsi. Ora no. Ora era diverso. Era diventata ansiosa per qualunque cosa riguardasse sua figlia e voleva sapere cosa stava succedendo. Si era tenuta dal chiamare Castle perché non voleva sembrare assillante e preoccupata ma ora non ce la faceva più. La visita era due ore prima ed era quasi l’ora di pranzo e ancora non l’avevano chiamata.

Portò la tazza di caffè alla scrivania mentre i due detective rimasero lì a finire il loro. Poggiò la tazza in un angolo, controllò di nuovo quel fascicolo che stava leggendo senza in realtà concentrarsi molto, facendo ondeggiare la penna tra le dita nervosamente. Guardò di nuovo l’orologio ed il cellulare. Nessuna chiamata, nessun messaggio. Sospirò, mise di nuovo il telefono sulla scrivania e girò pagina di quel verbale. Lesse tre volte la stessa frase senza riuscire a capirne il senso. Prese di nuovo il telefono e controllò l’orario: erano passati due minuti. Decise si non aspettare oltre e chiamò Castle, già preparata alle sue prese in giro, invece non arrivarono, perché il suo telefono era non raggiungibile e questo non fece che aumentare la sua ansia.

- Ancora nulla? - Le chiese Esposito tornando a sedersi vedendola con il telefono in mano.

- No e non è raggiungibile. - Rispose guardando fisso davanti a lei.

- Avrà spento il telefono perché staranno visitando Joy in questo momento, no? - Aggiunse ancora Ryan portando un’altra spiegazione plausibile ma che in quel momento fece solo innervosire ancora di più Kate. Il silenzio che seguì quell’affermazione fece capire all’irlandese che era meglio non aggiungere altro.

- È quasi l’ora della pausa pranzo. Io… vado in ospedale a vedere che cosa sta succedendo. - Disse poi Beckett alzandosi in piedi e prendendo il giacchetto di pelle dalla spalliera della sedia. - Torno prima possibile.

Girò intorno alla scrivania, prese telefono e borsa e si incamminò a passo svelto verso gli ascensori in fondo al corridoio.

- Stavi andando via? - Beckett alzò lo sguardo e vide un sorridente Castle davanti a lei. Lo guardò scuotendo la testa e con la bocca aperta pronta per dire qualcosa che però non riuscì a dire, perché da dietro di lui spuntò anche Joy. Aveva il volto coperto in parte con la mascherina ma da come aveva sollevato gli zigomi e strizzato gli occhi capì che stava sorridendo. Sorrise anche lei.

- Ciao mamma! - La salutò andando verso di lei e lasciandosi abbracciare da quella che era ancora un’incredula Kate.

- Io stavo venendo in ospedale da voi. Non avevo avuto notizie e è tardi… - Rick guardò l’orologio spalancando gli occhi.

- Hey JJ, abbiamo fatto tardi, ha ragione la mamma! Thompson ha detto che va tutto bene ed oggi ci ha dato il permesso di uscire ma… - Fece una pausa e guardò Joy - …moderatamente, evitando i luoghi troppo affollati e sempre con la mascherina! - Ricordò alla bambina che annuiva alle sue parole.

- Abbiamo fatto una passeggiata ed il tempo è volato! - Esclamò Joy felice. - È stato bello, mancavi solo tu!

- Ne faremo tante insieme, non ti preoccupare. - La rassicurò mentre tornavano alla sua scrivania.

- Non volevo farti preoccupare, volevamo farti una sorpresa, pensavo che saremmo arrivati prima, scusami. - Le sussurrò e Kate annuì abbozzando un sorriso.

Castle salutò poi amichevolmente Ryan ed Esposito, accordandosi per andare a bere qualcosa insieme a breve e poi andò nell’ufficio di Montgomery che era da molto che non vedeva per salutare anche lui, lasciando Joy con Kate che si ritrovò imbarazzata a lavoro in quel ruolo del tutto inedito in quel posto, sotto lo sguardo curioso di Javier e Kevin che non poterono evitare di sorridere e darsi il cinque quando Beckett arrossì non appena Joy la chiamò mamma davanti a loro. Li vide poi con la coda dell’occhio mentre l’ispanico dava 5 dollari al collega e si voltò squadrandoli mentre loro alzavano le spalle con aria innocente. Mentre attendevano il ritorno di Castle, che vedevano dalle tende lasciate aperte, parlare amabilmente con il capitano, Joy seduta al posto di Kate stava raccontando a sua madre tutto quello che il dottor Thompson le aveva detto e le raccomandazioni fatte, per poi passarle a raccontare, invece della loro passeggiata e di quanto fosse stata felice di poter uscire anche se faceva un po’ freddo. Beckett seduta sul bordo della scrivania davanti a lei ascoltava attentamente i suoi racconti, sorridendole felice a sua volta nel sentire il suo entusiasmo.

Quando Rick uscì insieme a Montgomery Joy lo guardò seria fino a quando lui non le diede la giusta attenzione.

- Ok, puoi farlo. - Le disse Castle.

- Mamma, andiamo a pranzo insieme? - Chiese Joy a Beckett che guardò il suo capitano che le fece un cenno affermativo con la testa così la piccola, raggiante, salutò i due detective ed Montgomery e raggiunse Rick seguita da Kate.

- Glielo avevo promesso tanto tempo fa che quando sarebbe stata meglio e sarebbe potuta uscire, saremmo venuti al distretto e poi andati a pranzo insieme. - Le spiegò Rick mentre erano in ascensore.

- E tu mantieni sempre le tue promesse, non è vero, Castle? - Gli chiese ironica e lui si limitò a sorridere ed alzare le spalle.

Andarono nel solito ristorante vicino al distretto, piuttosto pieno a quell’ora, ma il cameriere trovò un tavolo per loro, facendoli accomodare vicino alla vetrata.

- È come quando eravamo negli Hamptons! - Esclamò Joy felice, seduta nel divanetto vicino a Rick mentre Kate era davanti a loro.

- Direi anche meglio, adesso, no? - Le chiese Rick - Tu non dovrai più fare trasfusioni e ci vogliamo tutti molto bene.

Castle prese la mano di Beckett stringendola nella sua, lasciando che le loro dita si intrecciassero naturalmente.

- Io vi voglio molto bene. - Disse Joy.

- E anche noi lo vogliamo a te, amore! - Le sorrise Kate scompigliandole un po’ i capelli.

Avevano concesso a Joy uno strappo alla regola quel giorno per festeggiare quella nuova tappa del suo percorso di guarigione, così ora aveva davanti a se un hamburger decisamente troppo grande, che guardava con aria di sfida cercando di capire come fare per mangiarlo in modo più agevole. Rick non si era posto il suo stesso problema, visto che stava già addentando il suo cheeseburger. Quando si accorse delle difficoltà di Joy lasciò il suo panino nel piatto, fermando Kate che già si stava sporgendo verso sua figlia.

- Hai bisogno di aiuto? - Le chiese

- È veramente molto grande questo hamburger, non credo che entri nella mia bocca così com’è. - Disse mimando l’altezza del panino vicino alla sua bocca aperta, facendo ridere Beckett che per poco non si strozzò mentre mangiava le patatine.

- Uhm.. Vediamo cosa si può fare. - Rick guardò il panino come se dovesse fare qualche complicata operazione e Joy lo osservava serio con lui.

- Mi puoi togliere i cetrioli per favore? Ed anche la cipolla - Chiese la bambina che sembrava la sua assistente mentre lui rimuoveva quanto da lei non gradito, poi tagliò il panino in quattro parti più piccole e restituì a Joy il suo piatto.

- Più facile adesso? - Chiese Rick mentre Joy, annuendo, addentava la prima parte del suo hamburger sezionato. Kate amava guardarli così in sintonia, vedere come Castle fosse attento e premuroso nei suoi confronti, come si accorgesse anche prima di lei delle sue necessità e con quanta naturalezza trovava soluzioni ai piccoli grandi problemi di Joy, in quei momenti si ricordava che aveva cresciuto Alexis da sola e pensò a quanto dovesse essere stato difficile farlo, per lui poco più che ragazzo.

- Non ti piace Beckett? - Le chiese Castle: non si era nemmeno accorta che immersa nei suoi pensieri aveva smesso di mangiare per osservarli.

- No, è buonissimo… Stavo solo pensando. - Disse prima di addentare il panino.

- Doveva essere qualcosa di molto importante! - Sorrise lui facendo lo stesso con il suo.

- Importantissimo. - Gli sorrise anche lei, abbassando lo sguardo sul piatto, mentre Joy li guardava mentre parlavano osservando attentamente ogni loro espressione.

- Non credo di riuscire a finirlo. Era enorme! - Esclamò Joy osservando uno spicchio di panino e gran parte delle patatine ancora nel piatto.

- Non ti sforzare se non ti va. - Le disse Kate e Joy annuendo allontanò il piatto da davanti a sè mentre Rick prendeva alcune delle patatine dal suo piatto avendo finito le proprie - Tanto a quanto pare c’è chi ci pensa a ripulire tutto!

Madre e figlia risero, mentre Castle fece una linguaccia ad ognuna delle due, continuando poi imperterrito a mangiare.

- Volete dell’altro? - Chiese il cameriere quando andò a ritirare i piatti.

- Delle Crepes! - Esclamò Joy mentre sia Kate che Rick stavano dicendo di no, prendendo il ragazzo in contropiede non sapendo cosa fare. Entrambi la guardarono e poi Castle fece cenno al cameriere che era ok, di portare una porzione di crepes.

- Scusate. - Disse Joy appena furono rimasti soli.

- Non eri piena tu? - Le chiese Kate con un tono che doveva essere di rimprovero ma che non le riuscì molto bene. Furono entrambi sorpresi perché quello non era un comportamento da lei, che di solito chiedeva sempre per qualsiasi cosa.

- Sì ma… - Provò a giustificarsi.

- Ma? - Chiese anche Rick

- Ecco… volevo le crepes, come la prima volta che abbiamo mangiato insieme. - Ammise candidamente Joy. Beckett in quel momento sentì lo stomaco chiudersi e tutte le sue velleità di rimproverarla si dissolsero in un solo momento.

- Se il motivo è questo hai fatto benissimo ad ordinarle - Le disse Rick accondiscendente - Però la prossima volta, prima lo dici a me o alla mamma, ok? - Quell’ammonimento bonario tranquillizzò Joy proprio nel momento il cui il cameriere stava tornando il suo dolce.

- Allora, le crepes per te - Disse mettendo il piatto davanti a Joy - E due forchette per mamma e papà se vogliono rubarti un po’ del tuo dessert.

Diede con un sorriso due tovaglioli dentro ai quali c’era la posata a Rick e Kate e poi li lasciò di nuovo soli. Si guardarono sorpresi mentre prendevano la forchetta, era la prima volta che qualcuno li chiamava così e in fondo pensarono che faceva un bell’effetto e Joy era decisamente soddisfatta e fu anche contenta di condividere con loro il suo dolce, quando si tuffarono con le loro forchette nel suo piatto.

- Io non vorrei fare la solita guastafeste, ma devo tornare al distretto. - Disse usciti da lì, mentre aiutava Joy a sistemarsi la giacca e a rimettersi bene la mascherina.

- Mamma, la prossima volta portiamo anche papà da Mike a mangiare le polpette con il purè? - Le chiese Joy innocentemente. Rick vide Kate mordersi il labbro colta di sorpresa da quella domanda.

- Joy, magari mamma preferisce che quel posto resti qualcosa di solo vostro, un posto speciale, mi capisci? - Castle spostava lo sguardo tra Beckett e la bambina.

- Sì, certo che ce lo portiamo! - Rispose lei dopo aver preso fiato prendendo sia la mano di Joy che quella di Rick.

- Sicura Kate? Non è un problema…

- Sì, sono sicura. Io voglio che tu venga con noi da Mike a mangiare le polpette con il purè o qualsiasi altra cosa tu voglia mangiare lì. - Non poteva dirglielo lì, su quel marciapiede in quel momento, sperava solo che il tenere insieme le loro mani gli facesse capire il senso delle sue parole, lui che era sempre così attento a quei dettagli. Voleva dirgli che lo voleva con loro lì e in qualsiasi altro posto, perché loro erano una famiglia e non c’era nessun luogo dove lui non sarebbe potuto essere insieme a lei e a Joy.

Kate diede poi un bacio sulla fronte a Joy prima di andare via, e Castle le si avvicinò baciandola sulla guancia, ma prima che lui si allontanasse, lei tenne il viso di Rick vicino al suo baciandolo teneramente sulle labbra, un bacio vero prendendosi qualche istante per soffermarsi ad assaporarlo, sorprendendolo.

- Ci vediamo più tardi! - Disse ad entrambi allontanandosi prima che Castle potesse dire nulla, toccandosi le labbra con le dita stupito di quel suo slancio.

Matt Cameron aveva ricevuto la telefonata dell’avvocato Summers che lo aveva informato dell’autorizzazione ricevuto dal suo assistito per vedere Joy. Aveva quindi immediatamente chiamato Rick e lo aveva caldamente consigliato di non mettersi a fare un braccio di ferro con Cooper, perché sarebbe stato peggio, piuttosto di convincere anche Joy ad accettare un incontro con il padre, al loft, in sua presenza.

Nell’attesa del rientro a casa di Beckett, mentre Joy era impegnata con la sua insegnante, Castle aveva chiamato l’assistente sociale che si era occupata del caso di Joy, Emily. Si erano sentiti periodicamente e la donna era stata più volte al loft a controllare l’ambientamento della bambina che procedeva ottimamente, come aveva scritto in tutte le sue relazioni. Anche lei era rimasta stupita della figura di Beckett in tutta quella storia, ma fu certo sollevata nel sapere che ora Joy aveva ricostruito una parte della sua famiglia e che grazie a questo aveva anche potuto fare quell’operazione che le avrebbe cambiato la vita. Rick chiese alla donna se poteva essere presente anche lei all’incontro tra Cooper e Joy, così poi da poter testimoniare come la bambina avesse difficoltà a stare con Connor e che non volesse avere rapporti con lui. Emily accettò, quello faceva sempre parte del suo lavoro, Joy non era ancora legalmente adottata da Castle, quindi lei era sempre responsabile per la bambina e doveva assicurarsi cosa fosse meglio per lei.

Rick aveva raccontato tutto a Kate appena arrivata al loft e lei non aveva fatto nulla per nascondere il suo disappunto per quella situazione, però capiva che non potevano più evitare quella situazione e avrebbero dovuto parlare con Joy di quanto stava accadendo e prepararla alla visita di Connor che ci sarebbe stata il giorno seguente. Castle lo aveva chiamato davanti a lei che camminava nervosamente nello studio e lui, rimanendo freddo e impassibile, si era accordato per farlo andare al loft il pomeriggio successivo, quando anche Kate sarebbe stata libera.

Cenarono in un’atmosfera molto strana quella sera, Rick era più silenzioso e pensieroso del solito, così come Kate. Martha percepiva che qualcosa non andava, ma non chiese nulla si limitò ad osservare i due per il resto del pasto e così fece anche Alexis che finito di mangiare prima degli altri, andò in camera sua.

- Di cosa dovete parlarmi? - Quando furono in camera di Joy, la piccola non ci mise molto a prenderli di petto e arrivare al punto. Non era una a cui piaceva temporeggiare e capiva subito se c’era qualcosa che non andava.

- Ci sediamo qui? - Le chiese Rick indicando il letto e facendola mettere in mezzo tra loro.

- Vi state lasciando? - Domandò preoccupata. Castle e Beckett si guardarono e per un attimo sorrisero.

- No! - Risposero contemporaneamente e Joy ne sembrò sollevata.

- Allora cosa c’è? - Chiese ancora perplessa, perché lei non immaginava nulla che potesse turbare la sua vita come quell’evenienza.

- Vedi Joy… Lo sai che è tornato il tuo papà, il tuo papà vero… - Rick odiava chiamare così Connor

- Sei tu il mio papà. Non ci sono altri! - L’atteggiamento di Joy di certo non li aiutava.

- Ok, grazie piccola. Però non tutti la pensano così. Connor vorrebbe vederti, parlare un po’ con te ed io credo che sia giusto. - Castle ingoiò dicendo quelle parole e Kate continuò per lui.

- Verrà qui domani. Noi saremo con te, non sarai sola con lui e ci sarà anche Emily.

- Perché devo vederlo? Che succede? - Chiese preoccupata.

- Vedi Joy… Lui lo ha chiesto al tribunale che ha detto sì. - Le disse Kate mentre le accarezzava la schiena.

- Perché devo vederlo per forza anche se non voglio?

- C’è una possibilità, che Connor possa vincere in tribunale ed ottenere la tua custodia… Io e Rick…

- No! Io non voglio andare con lui! Voi mi avevate promesso che non succedeva! - Joy interruppe sua madre e si alzò mettendosi in piedi davanti a loro.

- Noi faremo il possibile perché non accada, lo sai. E anche se dovesse accadere, faremo il possibile perché poi un giudice ci ripensi. Non smetteremo mai di combattere per stare tutti insieme, Joy, mi devi credere. - Castle cercò di prendere la sua mano ma lei si rifiutò.

- No! Io non ci voglio andare con lui. Mi avevate detto che non ci sarei dovuta andare. Io non lo voglio nemmeno conoscere!

- Ascoltami Joy - Fu Kate questa volta a provare ad avvicinarsi a lei che però fece un passo indietro. - Devi solo parlare un po’ con lui, sentire quello che ti dice, nulla di più. Ti prometto che non ti lascerò sola e starò con te tutto il tempo. Ma se non lo vuoi fare, sono sicura che Connor userà questa cosa per andare contro Rick in tribunale, lo capisci, amore? Se non fosse così, non insisteremmo con te per fartelo incontrare, ma le stiamo provando tutte per evitare che la cosa finisca nel peggior modo possibile per tutti noi.

Joy si dondolava sui piedi scalzi sul tappeto lilla vicino al letto, guardando verso il basso.

- Prima non mi voleva nessuno. Ora che ho una famiglia lui mi vuole portare via, non è giusto. - Kate sentì la voce rotta di sua figlia e si alzò stringendola a se e portandola di nuovo tra lei e Rick. Continuava a ripeterle di scusarla, sussurrandoglielo tra un bacio e l’altro, ormai non poteva fare altro, non poteva dirle di più. Rick si stava alzando per lasciarle sole, ma Kate lo fermò e guardandolo gli chiese implicitamente di restare con loro. Abbracciò Beckett e Joy, con quel senso di impotenza che lo stava divorando da giorni.

Joy era stata nervosa per tutto il giorno e quella mattina non aveva nulla del suo solito buonumore, era anzi tornata la bimba taciturna e distante dei primissimi giorni al loft e Rick se ne rese conto da subito, dal momento della colazione fatta senza dire una parola né a lui né ad Alexis che prima di andare a scuola abbracciò e diede un bacio a quella che ormai considerava a tutti gli effetti una sorella, ma senza ottenere una reazione da parte sua. Beckett era già andata al distretto, era uscita molto presto così da essere sicura, tranne emergenze dell’ultimo momento che avrebbe fatto di tutto per evitarle, di essere al loft prima dell’arrivo di Connor.

Cooper arrivò puntuale, anzi con qualche minuto di anticipo. Questa volta era solo, non c’era sua moglie e teneva tra le mani una busta con un grande fiocco. Rick lo fece accomodare, dandogli la mano solo come saluto convenevole ed aspettarono pochi istanti che Joy e Kate arrivassero. Avevano aspettato il suo arrivo nello studio di Rick, dove c’era anche Emily che si presentò all’uomo che la guardò contrariato, soprattutto quando disse a Connor chi fosse.

- Noi vi aspettiamo di là - Concluse l’assistente sociale indicando lo studio e lei con Castle si spostarono nell’altra stanza.

- Lei non viene con voi? - Chiese Cooper riferendosi a Kate.

- No, Signor Cooper. Credo che sia più opportuno per il bene della bambina che con lei ci sia una figura che conosce e della quale si fida. Se Kate non le va bene possiamo essere io o il signor Castle. - Lo informò Emily.

- No, io voglio la mamma! - Protestò Joy e a quel punto Connor si dimostrò più accondiscendente.

I tre si sedettero sul divano di pelle nera di Castle, con Joy che rimaneva sempre vicino a Kate cercando protezione tra le sue braccia e mantenendo le distanze da quello che era il suo vero padre, mentre Emily e Rick dall’altra stanza osservavano in silenzio quell’incontro ed era proprio Castle quello che sembrava più nervoso di tutti in quel momento, e la donna gli mise una mano sulla spalla cercando di tranquillizzarlo che sarebbe andato tutto bene.

- Allora, ricominciamo tutto da capo, ok? Io sono Connor, e sono il tuo papà. - Disse l’uomo parlando lentamente, con un sorriso smagliante e una voce fin troppo zuccherosa.

- Tu non… - Protestò Joy che fu interrotta da Kate che la riprese picchiettandole sulla spalla, dovendo ricordarsi quello di cui avevano parlato prima: mostrarsi gentile e non far nulla per far irritare di più Connor, soprattutto non metterlo in competizione con Castle. Non volevano che l’uomo in tribunale dicesse che loro avevano plagiato la bambina. Joy sbuffò e poi lo salutò. - Ciao, io sono Joy.

- È un bel nome Joy.

- Sì, lo ha scelto la mia mamma. - Disse orgogliosa guardando Kate.

- Sai Kay, non ti facevo un tipo da Joy come scelta del nome. Pensavo che avresti scelto qualcosa di più… esotico o trasgressivo… Dakota, Soraya, Savana… - Rise e nel guardare Kate l’atteggiamento di Connor cambiò subito e gli ritornò quel sorriso beffardo che aveva sempre e la voce con quella sottile sfumatura sarcastica che detestava.

- Sono cambiate molte cose da quando abbiamo smesso di frequentarci, Connor, ed anche io sono cambiata molto. - Rispose seria senza cadere nelle sue provocazioni.

- Questo è per te Joy. - Le diede la busta e la bambina cercò lo sguardo di sua madre per capire cosa fare. Kate le fece cenno di sì con la testa e lei la prese ringraziandola. Si lasciò aiutare da Connor per aprirla e scartare il regalo.

- È un tablet con questo puoi… - Le disse suo padre venendo interrotto da Joy.

- Sì lo so cos’è. Ce l’ha anche Alexis. - Sentì Kate sbuffare e poi guardarla seria, così si riprese. - Grazie. È molto bello.

- Bene, quindi già saprai che puoi vederci i film, leggere libri, puoi anche giocare. Questo è l’ultimo modello, uscito pochi giorni fa.

Joy lo scartò e lo accese.

- Se ti serve una mano per configurarlo possiamo farlo insieme - Propose Connor e Joy riluttante accettò, spostandosi da Kate più vicino a suo padre, guardando quello che stava facendo e poi le ridiede il dispositivo.

- Grazie, è molto bello. - Lo ringraziò ancora.

- Sono felice che ti piace. La prossima volta che ci vediamo ti presenterò anche mia moglie, Stephanie, sono sicura che andrai molto d’accordo con lei, adora i bambini! Magari possiamo andare a mangiare un gelato insieme.

- Non credo, io… non posso uscire ancora. Devo guarire. - Gli rispose decisa.

- Beh, ma credo che sia questione di poco, no? Poi potrai ricominciare ad uscire.

- Uhm… Forse sì. - Joy non gli prestò molta attenzione nella risposta, avvicinandosi di nuovo a Kate.

Nell’altra stanza Rick li osservava chiacchierare, Joy e Kate gli davano le spalle, mentre poteva vedere il volto di Cooper inizialmente serio, poi sembrava sempre più a suo agio mentre parlava o ascoltava le risposte, gesticolava per spiegare. Parlavano tutti a voce bassa Castle isolato nel suo studio, guardandoli tra gli scaffali dei libri, era sempre più pensieroso, soprattutto quando un pensiero passò nella sua mente. Kate e Connor erano i genitori di Joy e per la prima volta lei era in mezzo a quelli che erano i suoi veri genitori. Provò un’enorme senso di gelosia, verso Kate, verso Joy, verso tutti, soprattutto quando per avvicinarsi alla figlia Connor appoggiò una mano sulla gamba di Beckett che lei provvide subito a spostare, ma notò lo sguardo di lui su di lei, conosceva quello sguardo, quel tipo di sguardo.

- Cosa c’è signor Castle? Mi sembra stia andando bene, no? - Gli chiese Emily avvicinandosi amichevolmente.

- Sì, bene… anche troppo. - Osservava ora Connor e Joy da soli mentre lui la aiutava con il puzzle che avevano cominciato loro insieme qualche giorno prima e che era rimasto sul tavolo davanti al divano con la promessa che nessuno lo avrebbe spostato fin quando non finito. Kate stava tornando con due bicchieri di succo di frutta per Joy e per Connor, intravide il suo sguardo tra i libri che dividevano lo studio ed il resto del loft, ma Rick si spostò per guardare Emily.

- Pare ne sia dispiaciuto signor Castle. - Disse lei abbozzando un sorriso.

- No è che… ho solo paura di perderle, entrambe. Loro sono… sono parte della mia famiglia. - Ammise sincero.

- Per quello che ho visto io, non è lui che deve temere. Non sarà lui a portargliele via. Dovrà temere solo la decisione del giudice. Ma Joy la adora, lo ha fatto da subito e il detective Beckett.. Beh, non dovrei essere io a dirle quello che prova, ma mi pare evidente. - Gli poggiò una mano sulla spalla e Rick ritornò a guardarle. Joy era seduta a terra e Connor al suo fianco, mentre Kate in piedi li osservava con le braccia conserte. Avrebbe dato qualsiasi cosa in quel momento perché quella situazione non esistesse, perché Connor non esistesse, perché loro fossero felici e ci fosse lui lì a terra con Joy, con sua figlia, a giocare.

Poco più di un’ora dopo il suo arrivo, Cooper se ne andò. Salutò con un bacio sulla guancia Joy e provò a fare lo stesso anche con Kate, ma lei si ritrasse. Castle ed Emily li raggiunsero ed al saluto formale con l’assistente sociale, seguì quello decisamente gelido con lo scrittore. Appena lui fu uscito, Joy tornò a sedersi a terra davanti al suo puzzle mentre Emily, Kate e Rick stavano parlando di quanto appena accaduto, con la donna che spiegava a loro come tutto sommato come primo incontro poteva dirsi andato bene e che Joy si era dimostrata molto educata e formale con un atteggiamento poco da bambina della sua età, ma non ne era sorpresa, sapeva benissimo come era fatta e che in fondo lei era abituata a conoscere adulti interessati a lei, non era certo la prima volta, anzi era successo in più occasioni di visite di potenziali adozioni che poi non si erano concretizzate. Quei discorsi fatti con leggerezza da Emily, in realtà turbarono non poco Kate che faticò a continuare a sentirla parlare e Rick lo capì notando come nervosamente si mordeva l’interno della guancia. Anche Emily, alla fine, comprese il suo disagio e si stava per scusare quando fu la stessa Beckett a fermarla.

- No farlo, non c’è niente di cui scusarsi e non devi farlo di certo tu per aver detto la verità di quello che ha passato Joy in questi anni. Non merito sconti di nessun tipo. - Sospirò scansandosi poi anche dall’abbraccio consolatorio che le stava per offrire Castle. Faceva male, ma voleva sentire ogni singola goccia di quel dolore senza niente che l’anestetizzasse per ricordarsi tutto quello che Joy aveva dovuto passare per le sue scelte e che stava ancora passando.

Quella era una situazione abbastanza nuova anche per Emily. Solo una volta le era capitato di conoscere la madre di uno dei bambini abbandonati che seguiva, ma a quella ragazza il figlio era stato tolto senza che potesse decidere nulla in quanto minorenne e quando aveva ritrovato il bambino, lui era molto più piccolo di Joy, dinamiche decisamente diverse.

Emily assicurò quindi a Castle che avrebbe fatto la sua relazione anche su quella visita, garantendogli che avrebbe sottolineato come per lei la cosa migliore per Joy sarebbe stata rimanere con lui, in un ambiente per lei familiare con persone che la amano e che lei ama. Quando, prima di andarsene, si avvicinò a Joy per salutarla notò un comportamento strano e richiamò l’attenzione di Rick e Kate.

- Ehy Joy, cosa stai facendo? - Le chiese Emily

- Sto togliendo tutte le tessere che abbiamo messo con Connor. Questo puzzle lo stavamo facendo io, Kate, Rick e Alexis, lui non c’entra niente. - Rispose seria indaffarata a ricordarsi esattamente quali erano i pezzi da togliere.

- Beh, prendilo come un aiuto, no? - Provò a fermarla l’assistente sociale.

- No. Non voglio che lui mi aiuti. Questa è una cosa nostra. - La sua voce decisa fece desistere Emily, ma non Kate che si piegò verso sua figlia, parlandole con voce amorevole.

- Tesoro, non è importante se lui ti ha aiutato a mettere qualche tessera…

- No! - Si alzò e andò via salendo le scale verso la sua camera lasciando Kate interdetta che provò a salire ma Rick la fermò.

- Lasciala un attimo sola. - Le disse cercando di mostrarsi tranquillo quando in realtà non lo era.

- Sì, lasciatela sola qualche minuto. Deve pensare a cosa è accaduto, mettere insieme le emozioni, perché sicuramente qualche emozione questo incontro l’ha lasciata in lei.

Rick e Kate salutarono Emily ed una volta soli si guardarono senza parlarsi. Kate si piegò a terra, raccogliendo le tessere del puzzle che Joy aveva buttato via rimettendole nella scatola, poi si lasciò cadere seduta con la schiena appoggiata al divano e la testa tra le mani. Rick le accarezzò i capelli, poi prese il tablet abbandonato su un cuscino, per usarlo come scusa per andare da Joy.

- Posso? - Le chiese Rick affacciandosi alla porta.

- È casa tua. - Disse Joy seria seduta sul letto con le gambe raccolte al petto.

- È casa nostra. E questa è la tua stanza. Se non vuoi me ne vado. - Indicò la porta e si voltò facendo per andarsene.

- Ok, resta. - Lo richiamò.

- Grazie. Ti ho portato questo. - Le fece vedere il tablet sedendosi vicino a lei.

- Non lo voglio, puoi tenerlo tu.

- Non è mio, è tuo.

- Te lo regalo allora. - Rispose impunita allontanando il tablet che lui le aveva messo vicino.

- Non sta bene riciclare i regali, non è elegante. - Provò a sdrammatizzare, ma ottenne come risposta solo un’occhiata di quelle che era solita lanciargli sua madre. - Dimmi, perché non lo vuoi?

- Non voglio avere niente di lui e non voglio che mi compra con i suoi regali. - Glielo disse seria, guardandola negli occhi.

- Nessuno ti compra se tu non ti lasci comprare. Questo non vuol dire che non puoi usare un suo regalo se lo trovi bello o utile, non ti pare? Vedila così, per te non cambia nulla, ma lo hai usato per avere una cosa che ti piace, perché io lo so che ti piace. - Le sorrise.

- E questa è una cosa bella? - Chiese Joy perplessa.

- No, non lo è. Però qualche volta uno strappo a fare solo cose belle e giuste si può fare, questa è un’occasione. - Le spiegò. - Ad esempio quando collaboravo al distretto, alcune volte ho fatto delle cose che la tua mamma ha giudicato non giuste e non belle, però ci hanno portato a trovare i colpevoli, le ho fatte a fin di bene.

- Ad esempio? - Chiese curiosa.

- Ad esempio… - Tergiversò Castle ripensando a quando aveva preso un appuntamento con una prostituta, ma non era certo una cosa che poteva dirle. - Ad esempio delle cose che è meglio che tu non sappia, proprio perché non sono belle, ma fidati di me!

- Ok… - rispose poco convinta.

- Joy io volevo ringraziarti. - Le disse ancora Castle.

- Per cosa? - Chiese stupita.

- Innanzi tutto perché ti sei comportata bene con Connor e poi per quello che hai fatto con il puzzle. Non dovrei dirtelo e tua madre si arrabbierebbe se lo sapesse, ma per me è stato importante.

- Lo stiamo costruendo noi. - Gli fece notare l’ovvio della cosa dal suo punto di vista.

- Sì, lo stiamo costruendo noi, ma ascoltami, quello che noi stiamo costruendo è molto più di un puzzle e comunque vadano le cose io non voglio che si distrugga, mi capisci, Joy? E non sono solo io a non volerlo, anche tua madre la pensa così. So che per te è più difficile che per chiunque altro, che sei in mezzo a tutto questo senza volerlo e senza alcuna colpa, ma credimi, non è facile per nessuno di noi.

Joy si lasciò convincere da Rick ed insieme tornarono da Kate, ancora seduta a terra, che faceva scorrere  le tessere del puzzle, un po’ il sinonimo della sua vita, dove sembrava che nulla andasse per il verso giusto e fosse impossibile da ricomporre tutto. Sua figlia la raggiunse, sedendosi vicino a lei, prendendo i pezzi dalle sue mani e cominciando a cercare il modo per farli incastrare con il resto. Castle le raggiunse e insieme ricominciarono a costruire, metaforicamente e non.

Nei giorni successivi sia il dottor Thompson che Emily furono chiamati dall’avvocato di Rick a testimoniare ed entrambi spiegarono come dal loro punto di vista, la permanenza di Joy con Castle e la sua famiglia fosse un bene per la bambina. Il dottore, in particolare, raccontò di come tutti si erano presi cura amorevolmente di Joy, facendo il massimo per garantirle un ambiente idoneo dove stare, prima e dopo l’operazione, dimostrandosi attenti a tutte le sue esigenze. Spiegò, inoltre che il processo di guarigione di Joy non era ancora finito, era fuori pericolo, ma in una fase delicata dagli equilibri precari per la sua salute e che anche situazioni di forte stress potevano facilmente portarle dei crolli. Ricordò a tutti come l’operazione a cui si era sottoposta era un protocollo sperimentale e che necessitava di continui e frequenti controlli almeno per un anno dopo la fine del trapianto e che negli Stati Uniti quello a New York era l’unico centro che effettuava quel tipo di trattamenti. Quella di Thompson era un’implicita richiesta di non spostare la bambina da New York, cosa che lo aveva preoccupato non poco da quando aveva scoperto che Cooper abitava sull’altra costa e Joy non avrebbe potuto nei mesi successivi, fare voli così lunghi ogni volta per essere controllata.

Anche Emily spiegò quanto la presenza di Joy nella famiglia di Castle avesse fatto bene alla bambina, diventata molto più espansiva, gioiosa e allegra. Raccontò di come da subito aveva creato un legame molto stretto con Rick e con il resto della sua famiglia e di come anche la presenza di Beckett era positiva per lei. Sottolineò tutta l’esperienza che aveva con i bambini e con lei nello specifico che seguiva da poco dopo il suo arrivo in istituto, era la persona che più di ogni altra l’aveva vista crescere e non l’aveva mai vista così felice come con Castle.

Quelle deposizioni avevano risvegliato l’ottimismo di Castle, nonostante le parole di Markway erano una nube costante sulla sua fiducia. Era rientrato a casa dal tribunale e trovò Joy in camera indaffarata a preparare qualcosa con Alexis. Come sentì la porta aprirsi coprì tutto.

- Ah sei tu! - Disse vedendo Rick e rilassandosi.

- Chi pensavi che fossi? - Chiese sorridendo avvicinandosi per dare un bacio ad entrambe e sbirciare per capire cosa stessero combinando.

- La mamma. Oggi è il suo compleanno, lo sai?

- Sì, lo so. È il suo regalo? - Le chiese indicando la carta ed i nastri colorati e Joy annuì soddisfatta.

- L’ho fatto io, ma mi ha aiutato Alexis. Spero che le piacerà!

- Io sono sicuro che tua madre lo adorerà! - Le disse accarezzandole i capelli.

- Glielo detto anche io, Kate sarà felicissima! - Esclamò Alexis.

- Posso avere un’anteprima? - Chiese curioso.

- No! - Esclamarono entrambe all’unisono, quindi lui alzò le mani andandosene via e lasciandole finire di sistemare la loro opera.

Castle non si era dimenticato che era il compleanno di Beckett, lo aveva scoperto per caso, perché lei non gli aveva detto nulla ed anche quella mattina aveva fatto finta di niente, si erano salutati quando era salita per colazione come se nulla fosse. Era riuscito solo a farsi promettere che quella sera si sarebbe fermata al loft a dormire, perché Rick aveva in mente una sorpresa per lei e non voleva rinunciarci.

Aveva preparato per lei una cena speciale ed aveva convinto anche Jim ad unirsi a loro. Lo stupore di Kate nel trovarsi anche suo padre al loft quando rientrò dal distretto su superata solo dal vedere Joy andarle incontro con il suo pacchettino pieno di nastri colorati che tenevano ferma una carta da pacchi disegnata personalmente da lei.

- Auguri mamma! - Le disse Joy mentre Kate era rimasta immobile con il pacchetto in mano e guardava sua figlia timidamente imbarazzata aspettare il suo commento senza così riuscire a vedere i sorrisi di tutti gli altri che osservavano la scena.

- Su su! Andate ad vedere il regalo di Kate mentre io finisco di preparare! - Esclamò Martha cercando di smuovere quella situazione che si era cristallizzata negli sguardi tra madre e figlia.

- Mamma per favore non rovinare la cena che io ho preparato! - La riprese Rick mentre seguiva gli altri.

Joy si era seduta sul divano vicino a Kate che con le mani tremanti apriva il pacchetto dentro il quale c’era un album di fotografie ma quando cominciò a sfogliarlo si sentì letteralmente mancare il respiro. Erano tutte foto di Joy da quando era piccolissima fino a poco tempo prima ma avevano tutte una particolarità, aveva sostituito i volti delle persone che erano con lei con varie foto di Kate più o meno recenti. Si era fatta aiutare da Alexis e Jim per preparare il tutto.

Beckett sfogliava le pagine senza riuscire a dire nulla e fu sua figlia a parlarle.

- Così abbiamo più foto insieme. Non è la stessa cosa però… volevo farti felice.

Kate prese sua figlia tra le braccia e la fece sedere sulle sue gambe. Non era piccola come in una di quelle foto che aveva appena visto, nulla gli avrebbe mai dato quei momenti persi, ma la felicità che provava in quel momento non riusciva ad esprimerla. La strinse forte a se e Joy fece lo stesso.

- Sono felice, Joy. Tanto.

Né Jim né Alexis né tantomeno Castle osarono interrompere quel momento. Ci pensò di nuovo Martha avvisandoli che era tutto pronto.

Rick incitò Joy ad andare e Kate ebbe modo di salutare suo padre e ringraziare Alexis non solo per aver aiutato sua figlia con quel regalo, ma per tutto quello che aveva fatto per Joy in quei mesi, suggellando il tutto con un abbraccio.

Era stata una cena molto sentita, soprattutto da Kate, ancora sopraffatta dalle emozioni. Non si aspettava nulla di quello che c’era stato, non pensava che Castle o Joy sapessero del suo compleanno, non ne avevano mai parlato. Era stato piacevole anche avere lì suo padre e poter essere del tutto spontanea nel suo rapporto con Rick, anche se questo doveva semplicemente voler dire potersi tenere per mano.

Si era ritagliata a fine cena un altro po' di tempo per stare sola con Joy, non avevano parlato molto, anzi quasi niente, l’aveva solo tenuta stretta a se aspettando che si addormentasse. Quella era una delle cose che aveva imparato a conoscere col tempo, era molto simile a lei, in molti momenti non aveva bisogno di parole e capiva i suoi silenzi, vivendo comoda negli abbracci e trovando lì le risposte che erano difficili da dare a parole.

Quando Kate fu sicura che dormisse le rimboccò le coperte, uscendo piando e raggiungendo Castle che la aspettava alla fine delle scale con due calici di vino rosso, ne prese uno sorridendogli e poi lasciò che lui le cingesse la vita e la baciasse sul collo.

- Buon compleanno Beckett.

- Grazie Castle.

Fecero tintinnare i loro bicchieri e poi dopo aver bevuto appena un sorso di vino finirono di assaporare il retrogusto sulle labbra dell’altro.

- Rimani vero? - Le chiese non aspettandosi una risposta negativa. - Vorrei festeggiare con te in privato, molto in privato…

Le accarezzò il collo scorrendo sulla spalla con due dita, scostandole il collo della camicia ed intrufolandosi sotto lambendo la sua pelle fresca.

- Non posso dirti di no - sospirò piegando la testa per dargli più spazio di manovra.

- Non devi dirmi di no. - ribattè lui avvicinandosi con le labbra baciandola sul collo sotto l’orecchio.

- Non voglio dirti di no - Concluse lei sorridendo passandogli una mano  tra i capelli costringendolo a rimanere in quella posizione e lui non aveva alcuna voglia di sottrarsi a quell’obbligo.

Si spostarono in camera da letto appena finito il loro vino e Kate sorrise quando Rick controllò due volte di aver chiuso entrambe le porte di camera.

- Trent’anni detective… Stai diventando grande… - Le disse sorridendo baciandola ancora avvicinandola con vigore a sè con un abbraccio.

La lasciò in piedi mentre lui armeggiava nel suo cassetto del comodino.

- Girati e non sbirciare! - la ammonì e lei nonostante la curiosità fece quello che lui le aveva detto. Sentì poco dopo le sue mani intorno al collo ed una sensazione di freddo metallo. Si portò una mano al collo toccando il ciondolo di quella collanina che le aveva appena agganciato, lasciandole un bacio sul collo dietro i capelli appena spostati che erano già decisamente cresciuti. La condusse poi davanti allo specchio facendola guardare. Toccò il profilo di quelle due farfalle, una più piccola appoggiata sull’ala di quella più grande: un gioiello di oro bianco molto semplice, non lavorato, erano solo delle sagome lucenti.

- L’ho visto ed ho pensato a te. - le disse con il volto vicino al suo guardando la loro immagine riflessa.

- Grazie è molto bello. - lo toccò ancora lasciandolo poi ricadere al collo.

- Hai dato la tua a Joy. Questa siete voi. Tu e lei, insieme.  Volevo fare qualcosa che ti sorprendesse ma dopo il regalo di Joy, è impossibile.

Kate si voltò ed allacciò le braccia intorno al suo collo.

- Grazie. Per tutto. Ed io beh… sono sorpresa perché non pensavo a niente di tutto questo. Come lo hai scoperto che oggi era il mio compleanno?

- Ho le mie fonti detective! Non posso tradirle! - Le diede un bacio facendola ridere.

- A Joy lo hai detto tu?

- No ha fatto tutto da sola. Ha le sue fonti anche lei. Ci teneva tanto a farti felice.

- Mi avete fatto molto felice, entrambi. Un compleanno bellissimo.

- Io avrei ancora qualcosa che vorrei darti per festeggiare, detective Beckett…

- Uhm… cosa scrittore?

- Qualcosa per cui tutti questi vestiti sono di troppo… - le sbottonò la camicia e lei lo lasciò fare. Sospirò profondamente quando lo vide abbassarsi e baciarle il collo, il petto tra i seni e poi scendere fino alla pancia mentre con le mani le modellava i fianchi mentre il respiro di Kate diventava sempre più veloce man mano che il piacere aumentava e le mani accarezzavano i capelli di Rick chiedendogli di non fermarsi. La loro notte era appena cominciata.

Era passata una settimana dal compleanno di Kate e Rick stava preparando il loft per il giorno del ringraziamento che sarebbe stato da lì a pochi giorni.

Il clima non era stato molto clemente in quei giorni, con temperature rigide e frequenti acquazzoni, ma era riuscito ad approfittare di un pomeriggio che sembrava aver concesso una tregua per portare fuori Joy e andare insieme in un negozio specializzato per decorazioni di ogni tipo e comprare gli addobbi e gli accessori vari che aveva già cominciato a spargere per il loft.

Così a casa erano cominciati ad apparire ghirlande con foglie e zucche di vario tipo, improbabili tacchini di cartapesta, portacandele con decorazioni decisamente sopra le righe e molte altre cose erano ancora nascoste in due grandi buste che Rick conservava nello studio e che aveva detto sarebbero servite per il giorno del Ringraziamento per la tavola e non solo. Joy che era l’unica oltre lui a conoscerne il contenuto, manteneva diligentemente il segreto non rivelando a nessuno cosa avesse combinato Castle. Si era divertita quel pomeriggio con lui, malgrado più di qualcuno la guardasse più del dovuto per la sua mascherina, aveva girato tra gli scaffali ammirando estasiata tutto quello che c’era, cose che lei non aveva mai nemmeno immaginato, e Rick aveva lasciato che prendesse tutto quello che voleva, felice per lei e decisamente soddisfatto di aver trovato qualcuno che lo assecondava nelle sue follie. Ogni tanto Joy buttava l’occhio verso il reparto delle decorazioni natalizie che stavano ancora allestendo e Castle le promise che sarebbero tornati per comprare tutto il necessario per il Natale e lì sì che avrebbero trasformato la casa nella succursale di quella di Babbo Natale, in linea con la tradizione di casa Castle e a Joy si illuminarono gli occhi solo all’idea, ma per il momento si accontentava di quei festeggiamenti per il giorno del ringraziamento.

Kate era molto occupata da un paio di giorni con un caso decisamente complesso, la sera prima non era andata a cena al loft, rientrando nel suo appartamento molto tardi e la mattina era stata buttata giù dal letto all’alba per degli sviluppi importanti. Aveva solo avuto modo di mandare un paio di messaggi a Rick avvisandolo dei suoi spostamenti e soprattutto dell’impossibilità di vedersi. Aveva chiesto aggiornamenti su Joy e lo aveva pregato di spiegarle la situazione, era sempre molto preoccupata di trascurarla e cercava di chiamarla ogni volta che aveva un momento libero, ma capiva che non era la stessa cosa e poi Joy non amava troppo parlare al telefono, anche se era felice di sentire la sua mamma, sapere che stava bene e che la pensava.

Rick aveva approfittato di quel momento di tranquillità al loft per scrivere un po’: Joy stava facendo lezione con la sua insegnante, Alexis era a scuola e Martha non aveva capito dove, ma non era importante. Era solo nel suo studio e cercava di buttare giù alcune delle tante idee che aveva per i nuovi libri di Nikki Heat. Aveva già più o meno deciso le trame dei successivi volumi che gli avevano commissionato, aveva tante idee, probabilmente più di quante sarebbe riuscito a scrivere e sperava veramente di avere la possibilità di scrivere ancora, perché le idee certo non gli mancavano, almeno per il momento. Correva troppo, come sempre quando era entusiasta di qualcosa e in quel momento gli sembrava che doveva correre per tutto, per i libri, per Kate, per Joy. Aveva bisogno di accelerare, di spingere al massimo per ogni cosa, perché aveva la sensazione che nulla gli bastava mai e che tutto potesse sparire da un momento all’altro. Aveva un contratto per scrivere due libri, ne avrebbe voluti scrivere quattro, magari tutti insieme, contemporaneamente. Aveva da poco ufficializzato il suo rapporto con Kate e gli sembrava che non gli bastava più nemmeno quello, avrebbe voluto sempre averla con sé, sempre, non capiva la necessità che lei stesse altrove e non con lui, con loro. Era stato lui a comprare quella casa per lei e Joy ed ora gli sembrava di essere la causa del suo malcontento. Aveva provato ad accennare a Kate che in fondo, stare al loft era più pratico e lei lo aveva fermato prima che continuasse il discorso e diventasse ancora più precipitoso: stavano bene così, per ora, passavano tanto tempo insieme, ma lei ancora sentiva il bisogno dei suoi spazi, di potersi rifugiare in silenzio tra quattro mura fuori da tutto e da tutti, aveva fatto degli enormi passi avanti nell’aprirsi verso gli altri, con Joy e con Castle, ma ogni tanto sentiva ancora la necessità di scappare via e di stare sola con se stessa, per riprendere fiato quando non voleva essere vista. Sarebbe riuscita a superare anche quello, ma non ancora.

La scrivania dello studio era sommersa di fogli scarabocchiati a mano che coprivano anche il portatile, un caos completo che però per Rick aveva perfettamente senso. Sotto a tutti quei fogli c’era anche il suo cellulare che aveva cominciato a squillare con insistenza, lo aveva ignorato una volta, non poteva essere Beckett perché l’aveva sentita poco prima, ma chiunque fosse sembrava non voler demordere, così lo recuperò cercando di non rovinare il quello schema che aveva costruito sulla scrivania e rispose molto poco entusiasta. La voce seria dall’altra parte della cornetta dell’avvocato Cameron, però, catturò subito la sua attenzione: stava andando in tribunale, lo avevano appena chiamato che quel pomeriggio ci sarebbe stata la sentenza del giudice sull’affidamento di Joy. Rick non sapeva se essere felice oppure no, non si aspettava un verdetto così rapido e nemmeno l’avvocato che non sapeva come interpretare quella decisione se positiva o negativa.

Appena finito di parlare con Matt, Rick chiamò subito Kate informandola della novità. Sentì la sua voce nervosa ed ebbe come la sensazione che non lo stesse nemmeno ascoltando, persa nei suoi pensieri e nelle sue preoccupazioni. Gli assicurò che avrebbe fatto di tutto per essere lì con lui in quel momento e Castle non ebbe motivo di credere il contrario.

L’insegnante di Joy se ne era andata e lei era scesa per il pranzo: Rick da sempre sosteneva che avesse preso interamente il sesto senso di Beckett per capire quando qualcuno nascondeva qualcosa, così non riuscì a nascondere a lungo il suo nervosismo mentre le metteva nel piatto una porzione di mac&cheese, prendendola dal bordo della teglia, quella con gli angoli più croccanti come piaceva a lei.

Si sedette davanti a lei con il proprio piatto e in silenzio mangiarono qualche forchettata di pasta, poi Rick, sentendosi sotto esame dallo sguardo interrogatorio di lei, uguale a quello della madre, decise di dirle tutto.

- Oggi pomeriggio ci sarà la decisione sul tuo affidamento.

- È questo che ti preoccupa? - Le chiese poggiando la forchetta a lato del piatto, come se in quel momento fosse più importante parlare che mangiare e Rick fece lo stesso.

- Sì, è questo.

- Ma andrà tutto bene, no? - Domandò fiduciosa.

- Lo spero, Joy. Ma… potrebbe anche non essere così.

- Non voglio andare con Connor. - Disse puntellandosi con i gomiti sul tavolo.

- Lo so. Nemmeno io voglio che tu ci vada. Ma se dovesse accadere io e tua madre faremo di tutto per cambiare le cose. Non ci arrenderemo mai.

- Per me sei tu il mio papà, Rick.

- E tu sei la mia piccola. - Le rispose mostrandosi più forte di quello che si sentiva in realtà. - Però adesso mangia se no si fredda e non ti piace più! - Per primo le diede l’esempio riprendendo a mangiare, anche se il suo stomaco era chiuso a doppia mandata da quel peso che da lì a poco si sarebbe sciolto o lo avrebbe definitivamente strozzato.

Castle era seduto in prima fila, stringeva legno scuro davanti a lui logorato dal nervosismo che non lo aveva mai abbandonato. Aveva chiamato Martha chiedendole di rientrare e con Beckett si erano visti direttamente lì. Scoprì di aver bisogno di lei, più di quanto immaginasse e per un attimo non pensò sé, non a lei, a come si dovesse sentire in quel momento. Aveva bisogno del suo abbraccio, di stringerla. Le aveva chiesto rassicurazioni sul fatto che lei ci sarebbe stata, comunque quella vicenda fosse finita, perché in quel momento aveva paura che avrebbe potuto perdere tutto. Kate percepì la sua paura, era la stessa che aveva lei lo rassicurò per ottenere lo stesso: nemmeno lei poteva perdere tutto, non era sicura che sa sola sarebbe riuscita a rialzarsi se le cose fossero andate male. Rimasero insieme seduti all’esterno dell’aula, tenendosi per mano senza dirsi nulla, ignorando Connor, sua moglie e i suoi avvocati a poca distanza da loro, ma anche Jim Beckett e i fratelli Cameron che parlavano tra di loro dissimulando il nervosismo presente in tutti. Poi quando erano entrati Kate si sedette con suo padre proprio dietro di lui, dove era rimasta per tutto il tempo, aspettando l’ingresso del giudice. Quando entrò appoggiò una mano sulla spalla di Rick, bisognosa di un contatto con lui.

Il discorso iniziale del giudice Roling lodava tutto quello che Castle aveva fatto per Joy, ricordando gli interventi in suo favore del dottor Thompson e dell’assistente sociale Emily. Lo ringraziò per la sua generosità dell’occuparsi di una bambina malata e di provvedere alle sue cure difficili e bisognose di molta attenzione, sia dal punto di vista pratico che economico. Disse che capiva come Joy si fosse affezionata a lui e alla sua famiglia che era stata forse il primo vero esempio di nucleo familiare che le voleva bene in modo genuino che avesse mai incontrato.

- Tuttavia - continuò il giudice Roling nella lettura delle sue carte - non posso ignorare quanto accaduto più di dieci anni fa. Il signor Cooper è il padre biologico di Joy Johnson e non ci sono prove, se non la parola della madre che ha abbandonato Joy, che lui fosse a conoscenza della nascita della figlia, cosa della quale ha appreso solo dai giornali vedendo una foto di lei con quella che era stata la sua fidanzata e che le aveva detto di aspettare un figlio da lui. Di fatto la madre biologica di Joy Johnson non ha mai negato che il signor Cooper fosse il padre biologico della bambina e i test del DNA richiesti successivamente confermano questa tesi e non essendoci elementi validi per provare che il signor Cooper fosse a conoscenza dell’esistenza della figlia e che l’abbia deliberatamente rifiutata ancor prima che nascesse, credo che la cosa migliore per Joy Johnson, nonché la più giusta, sia che venga affidata alle cure del padre che potrà riconoscerla ufficialmente e darle il proprio nome.

- No! Signor giudice non è la cosa migliore per Joy! - Urlò Castle che era trattenuto a fatica dal suo avvocato.

- Signor Castle, capisco il suo dispiacere, ma la bambina anche se si è affezionata a lei e alla sua famiglia è da poco tempo che è con voi. Anche questo ha pesato sulla mia scelta. Sono solo pochi mesi, se fosse stata con voi da anni sarebbe stato diverso, ma è una bambina, si abituerà presto alla nuova situazione, con suo padre e la sua famiglia, con una madre.

- Joy ha una madre! - Intervenne ancora lui ringhiando contro il giudice.

- Sì, la ha, la moglie del signor Cooper. - Ribadì il giudice. Rick si voltò a cercare Kate ma non la vide, notò solo un ombra e la porta dell’aula che si chiudeva rumorosamente. Uscì da lì anche lui non sopportando nemmeno lo sguardo beffardo di Cooper nei loro confronti.

Kate guardava fuori dalla finestra, immobile, con lo sguardo fisso in un punto lontano. Aveva temuto quel momento, qualcosa dentro di lei le diceva che sarebbe andata così, perché era tutto troppo bello e a lei le cose belle e facili non accadevano mai. Aveva, però, vissuto con la speranza che potesse andare diversamente, che per una volta tutto poteva andare per il verso giusto. Si era solo illusa, fino a quel momento in cui le sue illusioni si erano infrante contro le parole del giudice. Non riusciva nemmeno a piangere o ad arrabbiarsi. Si sentiva svuotata, privata di tutto quello che di bello era riuscita a costruire in quei mesi. Sentì la presenza di Rick dietro di lei nel corridoio. Lo riconobbe dalla sagoma riflessa sul vetro e dal suo profumo, ancora prima che le sue mani le bloccassero le braccia, come se avesse paura che lei scappasse via, ma non ne aveva la forza. Non in quel momento.

- Mi dispiace. - Le disse Castle con un filo di voce e Beckett riuscì solo a stringere i denti e chiudere gli occhi scuotendo la testa. Le mani che tenevano le sue braccia si aprirono e quella stretta diventò presto un abbracciò con il quale lui la avvolse e la tirò verso di sé, obbligandola ad appoggiarsi con la schiena sul suo torace. Aveva bisogno più che mai di sentirla vicina e quando Kate strinse le mani di Rick intrecciate sul suo petto lui capì che lei c’era, che era con lui, nonostante i suoi silenzi. Rimasero abbracciati per un po’ senza dirsi nulla, perché non c’era proprio nulla da dire in quel momento.

- Scusateci… - Luke Cameroon seguito dal fratello e dal padre di Beckett li avevano raggiunti. Rick e Kate si ricomposero e si asciugarono gli occhi inevitabilmente lucidi, non si erano nemmeno accorti che stavano piangendo.

- Il giudice Roling ci ha concesso fino a domani pomeriggio. Poi Cooper potrà venire a prendere Joy. - Spiegò Luke mentre Matt riordinava le carte. - Dopo un consulto con il dottor Thompson ha anche imposto a Cooper di non allontanarsi da New York per i prossimi tre mesi per i controlli medici di Joy e a discrezione del medico, prorogabili ancora per altri 3 fino alla fine del suo percorso di guarigione. Non vi sto nemmeno a dire che lui non era per niente felice ed ha minacciato di cambiare medico che ha in cura Joy, ma il giudice gli ha imposto di continuare a farle seguire il percorso medico già iniziato, quindi almeno per questo non c’è pericolo di colpi di testa, credo che questo vi tranquillizzi un po’, so che eravate preoccupati anche per la sua salute.

- Sì, certo… - disse Kate sottovoce.

- Dobbiamo trovare la tua amica Kelly, Katie. - Disse Jim alla figlia. - Con la sua testimonianza Matt potrebbe chiedere la revisione del processo perché sono sopraggiunti nuovi elementi. Oppure devi trovare qualcuno che sappia del testamento dello zio di Cooper e sia disposto a testimoniare che lui sapeva dell’esistenza della figlia da prima che la notizia uscisse sui giornali, così tutte le motivazioni del giudice Roling per concedergli la custodia di Joy cadrebbero.

- Matt, fai tutto quello che puoi per rintracciare Kelly o qualsiasi testimone. Non ti porre limiti e non badare a spese, i soldi sono l’ultimo dei problemi, lo sai.

L’avvocato Cameroon annuì, poi il fratello Luke riprese la parola.