Autostop

di _Falsa Pista_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1. ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3. ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4. ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5. ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6. ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7. ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1. ***


.Capitolo 1.

Merlin era in piedi, sul ciglio della strada, presso un piccolo slargo erboso.
Dietro di lui, stramazzato per terra come un immenso scarafaggio ribaltato, c’era uno zaino di dimensioni spropositate, al quale erano aggrappate ulteriori numerose protuberanze. Tra le altre si poteva distinguere una tenda azzurra, un sacco a pelo, delle scarpe, un materassino, più alcuni manici di pentole varie che sbucavano da punti impensati della stoffa rossa dello zaino.
Merlino era in piedi da almeno due ore, col pollice alzato rivolto alle macchine che sfrecciavano verso di lui lungo la strada provinciale.
Sfrecciavano.
E non si fermavano.
Il sole, da tiepido che era nelle prime ore della mattina, stava cominciando a scaldarsi velocemente e Merlin lo sentiva bruciare sulla testa, mentre imperterrito continuava ad alzare il dito verso le macchine che passavano per la strada.
Sapeva bene che fare l’autostop ormai era assolutamente fuori moda, nessuno più c’era abituato, la gente era sempre spaventata, aveva paura di caricare un pazzo, un ladro, un maniaco, un delinquente.
Così Merlin aspettava, e ormai le gambe gli facevano male e sentiva le ginocchia indolenzite. Si sedette, continuando però ad alzare il pollice ad ogni macchina che passava.
Infine, che ormai era già primo pomeriggio, un’auto bianca che stava passando frenò di colpo e si fermò proprio sullo spiazzo d’erba vicino a lui. Ne scese un ragazzo alto, biondo, con l’aria estremamente curata. Anche la macchina sembrava perfettamente pulita e lucidata.
Merlin si alzò in piedi, ma il ragazzo lo anticipò prima ancora che potesse aprire bocca.
“Scusa, mi spiace proprio viandante, ma non ho proprio il tempo di caricarti, sono assolutamente carico di lavoro” disse il biondo, e Merlin sospettò che l’idea di caricare un vagabondo come lui sulla sua linda macchina potente lo inorridisse parecchio.
Allora perché si era fermato?
“Mi sono fermato solo perché ho un impellente bisogno fisiologico e in queste splendide montagne sembra che i bagni pubblici non siano contemplati”
Detto questo si appartò dietro un cespuglio, da dove uscì poco dopo.
“Arrivederci allora,” salutò Merlin “buona giornata e buon lavoro”.
“Grazie”
Merlin sorrise gentilmente, il ragazzo sbuffò, salì sulla sua auto lucida e ripartì.
Merlin si risedette, gli occhi blu fissi verso le macchine che arrivavano, il pollice alzato e ormai anchilosato, il pomeriggio che scemava nella sera.
 
 *** 

Arthur lavorava nella Camelot Corporation, l’azienda di suo padre, che consisteva nell’unione di diverse imprese, sparse su tutto il territorio nazionale e, in alcuni casi, anche internazionale.
La Camelot Corporation, sotto il ferreo controllo di Uther Pendragon, andava a gonfie vele, e ciò significava continuo lavoro per Arthur e gli altri impiegati, che correvano senza sosta dietro a conti, contratti, prestiti, banche e incassi.
Alcuni mesi prima Uther Pendragon, ossia il suo capo, nonché suo padre, aveva deciso che la caotica ed enorme città dove aveva sede la Camelot Corporation stava minando la sua salute, aggiungendo gas di scarico, inquinamento e traffico agli stress lavorativi quotidiani. Così, ignorando le proteste del figlio, aveva fatto trasferire tutta la sede in quell’ameno, oltre che decisamente sperduto luogo di montagna. Lois.
Non che ad Arthur non piacessero le montagne, almeno, non gli dispiacevano in cartolina, dove c’era sempre il sole e l’aroma di letame era decisamente assente. Nella realtà, però, per i primi tempi Arthur aveva creduto di impazzire, lasciando la sua amata, enorme città piena di servizi, comodità e divertimenti per questo luogo che mai aveva sentito nominare e dove la gente, nel tempo libero, si divertiva a fare cose come tagliare la legna o passeggiare.
Il suoi colleghi sembravano non comprendere appieno la situazione, gli continuavano a ripetere di smettere di esagerare, di non essere così tragico, ché si trovavano solo a 900 metri sul livello del mare e quindi, decisamente, non erano in alta montagna. Inoltre la città più vicina, Dobiacek, era solo a mezz’ora di macchina, e Arthur davvero non capiva come potessero mettere la parola “solo” davanti a “mezz’ora di macchina”.
Inoltre, dal suo arrivo nella natura selvaggia Arthur aveva dovuto fare i conti anche con numerosi altri problemi, situazioni che fino ad allora aveva decisamente avuto la fortuna di non conoscere.
Tra queste c’erano le mosche, infiniti, inesauribili stormi di mosche che volavano ovunque, addirittura dentro casa sua o nella sua amata e preziosissima macchina. Questo aveva avuto la conseguenza assolutamente spiacevole di dover vivere con il costante odore dell’insetticida più potente che era riuscito a scovare. In quel ridicolo e minuscolo negozietto del paese.
Per non parlare poi della pioggia, che cadeva decisamente troppo spesso, richiamando dai loro anfratti decine di orribili lumache con o prive di guscio. Le ultime, pensava Arthur, raggiungevano i vertici della sua personale classifica delle cose che il Padreterno avrebbe fatto meglio a non inventare.
In tutto questo c’erano solo due cose positive: Uther sembrava aver ritrovato la salute e, conseguentemente, la ragione e, ultimo ma decisamente importante, Arthur era riuscito ad ottenere una moderna, efficace e sempre attiva connessione internet, che lo faceva sentire decisamente meno selvaggio, in mezzo a tutti quei boschi, prati pieni di fiorellini e ruminanti placidi e puzzolenti.
Quella mattina Arthur aveva importanti faccende da sbrigare, faccende che necessitavano la presenza di una banca, che, ovviamente, si trovava alla suddetta mezz’ora di macchina.
Vestito di tutto punto Arthur si diresse verso la propria auto, specchiandosi nel finestrino per un ultimo controllo prima di salire e partire.
Quando ormai era arrivato vicino a Dobiacek vide qualcuno seduto sul ciglio della strada, dalla parte opposta rispetto a quella in cui stava andando lui.
Era il ragazzo moro del giorno precedente, che ancora alzava il pollice a ogni macchina che passava.
Sicuramente, decretò Arthur, quello non era affatto un tipo a posto.
Proseguì verso Dobiacek, il suo ponte verso la civiltà e, dopo poche curve si dimenticò completamente del ragazzo al ciglio della strada.
Fu quando, ormai pomeriggio, decise di ritornare a Lois che gli tornò in mente quel ragazzo. Chissà se era ancora lì ad aspettare..
Dopo un paio di curve trovò risposta alla sua domanda: il ragazzo era ancora seduto sul ciglio della strada. Appena vide la sua macchina arrivare alzò speranzoso il dito e si voltò nella sua direzione.
Non sapendo bene il perché Arthur mise la freccia ed accostò, fermandosi vicino al ragazzo. Quest’ultimo si alzò in piedi e fu quando Arthur vide che portava ai piedi dei sandali marroni che capì che non era stata per niente una buona idea.
Ma Arthur Pendragon non era un codardo e non poteva tirarsi indietro per nessuna ragione. Nemmeno per dei sandali infangati che potevano avere almeno cinquant’anni.
Arthur fece abbassare il finestrino dal lato del passeggero e il ragazzo moro si avvicinò.
“Ciao” disse sorridendo.
“Ciao, ti serve un passaggio, no?” forse Arthur poteva trovare una domanda più originale.
“Sarebbe bello, si”
“Per dove?”
“Mi piacerebbe andare a Lois” rispose cortese l’altro e Arthur ebbe la conferma che quel tipo non era per niente a posto: a nessuno sano di mente sarebbe piaciuto andare a Lois.
“E da quanto tempo stai aspettando un passaggio?”
“Da ieri mattina, ma non mi pesa aspettare” sorrise Merlin, come per rassicurare Arthur di non essersela presa per il fatto che il giorno prima lo aveva lasciato a terra.
“Bene, vorrà dire che aspetterai un altro po’” disse Arthur sogghignando, prima di chiudere il finestrino sull’espressione allibita di Merlin e allontanarsi con la macchina.
Merlin lo seguì con lo sguardo, sul viso un’espressione imbambolata.
Dopo pochi metri Arthur si fermò e, in preda alle risate, scese dall’auto.
“Ehi!” chiamò sghignazzando dell’espressione confusa di Merlin “ Stavo scherzando, te lo do il passaggio..”
Merlin parve riscuotersi: “Davvero?” chiese speranzoso. Arthur annuì.
“Che bello!” e corse a raccogliere lo zaino spiaggiato poco distante.
Quando lo tirò su Arthur si chiese come potesse un ragazzo così gracile sollevare una cosa dalle dimensioni così abnormi.
“Di’ un po’, è la tua casa quella?” scherzò.
“Esatto, è tutto ciò che ho” confermò Merlin candidamente, e Arthur rimase a bocca aperta, scrutò il ragazzo, ma non sembrava stesse scherzando.
Forse avrebbe fatto meglio a non fermarsi, decisamente quello era molto poco normale.
“Ehm, metti quella roba, cioè..., quella casa dietro” disse Arthur, poi vide l’aria consunta di tutta quella catasta di cose e pensò ai sedili nuovi, puliti e perfetti della sua auto e represse un brivido.
“Ecco, no, forse è meglio che lo metti in baule”
“Certo, come vuoi”
Infine Merlin prese posto nel sedile del passeggero e ripartirono.
“Ma se hai detto che eri lì da due giorni non facevi prima ad andare a piedi?” chiese Arthur incuriosito.
“In realtà sarei andato a piedi, ma ho rotto gli scarponi e anche questi sandali sono piuttosto malconci...Tanto, come ti ho detto, non avevo fretta”
“E dove hai dormito?”
“ Lì dove mi hai visto, ho la tenda con me” rispose candidamente Merlin.
Arthur era sempre più convinto di aver caricato un pazzo.
“Sai, sono abituato ad aspettare un passaggio per ore, anche per giorni a volte...” disse Merlin, non sembrando però dispiaciuto della cosa “E’ che la gente è sempre così timorosa, spaventata, ha paura che io voglia derubarli, picchiarli o rapinarli. Credono che io sia un pazzo”
Arthur tossicchiò per impedirsi di replicare.
“Stai scappando di casa?” domandò infine Arthur, dicendo a voce alta quella che riteneva fosse l’unica spiegazione plausibile per il comportamento del ragazzo.
Merlin rise e scosse la testa.
“Ma no, assolutamente no! Io sto viaggiando, io vivo così e sì, se me lo stai per chiedere è tutto frutto di una mia scelta e no, non ho perso una scommessa.
“E dove dormi?”
“Ho la tenda”
“Dove ti lavi?” chiese Arthur, che aveva scoperto lietamente che, a dispetto dell’aria selvatica, il ragazzo che aveva caricato non emanava alcun cattivo odore.
“Dipende, vado in bagni pubblici, o in casa di amici, o anche nel fiume, se è pulito...”
“Nel fiume?” Arthur si voltò verso di lui.
“Ehi!”
Arthur sterzò il volante appena in tempo per evitare la macchina che arrivava nel senso di marcia opposto. Senso di marcia che aveva inavvertitamente invaso perché troppo concentrato a pensare a quale fosse l’ospedale psichiatrico più vicino dove portare quel pazzo.
“Capisco che possa sembrare strano, ma ti assicuro che è solo questione di abitudine” rise Merlin cristallino.
“Un ultima domanda e poi ti scarico definitivamente alla clinica più vicina...”
Merlin lo guardò sorridendo: “Si?”
“Cosa mangi?”
“Oh, be’, dipende...”
“Già cominci male”
“A volte compro qualcosa, quando ho dei soldi, altre volte mi faccio regalare qualcosa dalle persone che incontro. Ma spesso mangio anche quello che trovo in giro, tipo frutti, bacche, o radici..”
Sulla parola radici Arthur non seppe proprio trattenersi.
“Tu sei completamente, assolutamente suonato, pazzo, folle e...” non trovò nemmeno altre parole per descriverlo, probabilmente non era mai stato tanto incredulo in vita sua. “Millenni di evoluzione dell’umanità, selezione di prodotti agricoli, cibi e ricette di tutti i tipi e tu mangi le radici, come gli ominidi?”
Merlin non rispose, ma sorrise divertito.
“Ecco perché sei così magro, mangi radici...” disse Arthur con finto disprezzo.
“Ma mica sempre...”
“Ma guardati, sembra che il primo soffio di vento ti possa portare via...”
“Tu invece mi sembri in ottima forma” rispose Merlin gentilmente.
“Forse il fatto che nella mia dieta non siano contemplate le radici contribuisce alla questione...”
“Probabilmente” convenne Merlin e di nuovo sorrise.
Lo aveva incontrato solo pochi minuti prima ma già era convinto di non aver mai visto una persona sorridere così spesso.
“Hai detto che ti piacerebbe andare a Lois. Tralasciando il fatto che a nessuno sano di mente piacerebbe andare a Lois di sua spontanea volontà, ma tu non mi sembri per niente a posto, cosa esattamente vuoi fare una volta arrivato?”
“Fingerò di non aver capito che tu mi abbia dato del pazzo, comunque intendo fermarmi un po’ in paese, me ne hanno parlato particolarmente bene...”
“Avrai sicuramente avuto dei cattivi informatori, ti assicuro che non esiste posto al mondo con meno cose divertenti da fare di Lois”
“Credo che io e te consideriamo divertenti cose molto diverse...” sorrise Merlin.
“In effetti ti chiedo scusa, hai ragione tu: a uno che mangia radici Lois deve apparire come l’avanguardia della civiltà” lo prese in giro Arthur.
“Prendi in giro tutti quelli a cui dai un passaggio o l’onore è riservato solo a me?”si interessò Merlin.
“Solo a te, perché non esistono altri folli che nel XXI secolo viaggiano facendo l’autostop”
Merlin alzò gli occhi al cielo.
“E mangiano radici”
Merlin accompagnò gli occhi con un sonoro sbuffo di protesta, ma in fondo non poteva dire che non si stesse divertendo.
Infine arrivarono a Lois, Merlin ringraziò di cuore, scese, recuperò lo zaino-casa e si allontanò.
Arthur rimase a guardarlo mentre si allontanava, l’enorme zaino in spalla, le scarpe appese dietro, la tenda e il sacco a pelo legati sopra.
Decisamente uno poco normale.
Che mangiava radici.
Per non parlare dei sandali.
 
 ***

Mentre Arthur tonava al lavoro Merlin si dedicò all’esplorazione della zona.
Studiando la mappa che aveva preso in prestito da un amico aveva selezionato un posticino ottimo dove avrebbe potuto sistemarsi anche per un tempo relativamente lungo. Ormai aveva  terminato i soldi che aveva messo da parte e aveva bisogno di lavorare per qualche tempo prima di poter ripartire alla volta della prossima avventura.
Infine trovò il luogo giusto: in mezzo al bosco, abbastanza fitto per godere di una certa riservatezza ma comunque curato, con un sottobosco rado e un morbido tappeto di foglie e aghi di pino per terra. Poco distante scorreva un corso d’acqua limpida, che gli sarebbe servita per lavarsi e lavare stoviglie e indumenti. Il centro di Lois, invece, distava appena pochi minuti di cammino a piedi lungo un sentierino leggermente pendente. Il paese era piccolo, ma comunque vitale, con casette ben curate, fontane con acqua potabile. Inoltre c’era una piccola biblioteca e un centro sportivo con tanto di campi all’aperto. Per il cibo avrebbe potuto comprarlo al discount del paese, mentre per il lavoro avrebbe cominciato a chiedere dal giorno successivo.
Merlin cominciò quindi ad allestire la sua sosta: montò la tenda azzurra con precisione e affetto, predispose una sorta di veranda e coprì il tutto con una grande cerata, per evitare che la pioggia potesse bagnare ogni sua cosa.
Infine , grazie a parecchi viaggi avanti e indietro dal fiume, predispose un cerchio di pietre dove avrebbe acceso il fuoco.
La sera la dedicò a raccogliere legna secca in grande quantità.
Il bosco si stava animando di versi e richiami, di fruscii e frulli d’ali e Merlin, mentre si affaccendava dietro le sue cose, si sentì in armonia con ognuno di essi.
 
 ***
 

Nonostante l’incontro con il ragazzo autostoppista fosse qualcosa davvero insolito, la vita di Arthur proseguì normalmente nei giorni seguenti, tanto che quasi accantonò l’incontro tra gli incontri strani della vita.
Così riprese la sua routine, fatta di lavoro, banche, interessi e pratiche, il tutto svolto sempre al meglio delle sue capacità, come gli era stato insegnato fin da bambino.
Arthur non poteva definire la propria vita noiosa, ma certamente nemmeno troppo emozionante. L’unica attività che gli metteva addosso la giusta carica e adrenalina era il calcio, sport che praticava fin da bambino e che continuava a praticare anche nella sperduta Lois. Anzi, a dirla tutta quella era stata una condizione insindacabile che aveva imposto a Uther prima di acconsentire al trasloco: in qualsiasi sperdutissimo villaggio fossero andati, doveva esserci una squadra di calcio. L’importanza della cosa superava anche quella della connessione internet, e questo era tutto dire...
Arthur si allenava due volte alla settimana, precisamente il martedì e il giovedì sera, mentre i weekend si svolgevano le partite, non sempre, perché in quello sperdutissimo posto sembrava non ci fossero abbastanza squadre per riempire tutti i fine settimana di una stagione sportiva.
Arthur spense la sua adorata auto bianca davanti al campo sportivo e, col borsone in spalla, entrò negli spogliatoi.
Gli altri giocatori erano già presenti e stavano vociando tra le panche.
“Ehi, ma cosa è successo qui?” chiese perplesso Arthur guardandosi intorno.
“Credo che abbiano assunto un nuovo custode delle strutture.
“Già, ho sentito dire che si chiama Merlin, ti dice niente?”
“No, mai sentito” scosse la testa Arthur “Però sembra che almeno faccia il lavoro per cui viene pagato, non ho mai visto questo pavimento così pulito, e” si spostò alle docce “davvero credevo che il pavimento qui fosse grigio.
“Pensate a quanto sporco c’era sopra fino all’altro giorno, e io che ho sempre fatto la doccia a piedi nudi!” si disperò Gwaine.
“Quante volte ti ho detto di mettere le ciabatte?” rise Arthur.
“Ma scivolo...”
“Comunque le sorprese non sono finite,” interruppe Lance “guarda!”
Appoggiate sulla panca, perfettamente lavate e, cosa ancora più rara, piegate, c’erano tutte le magliette della squadra, addirittura ordinate numericamente.
“Sembra quasi una magia..”
“Già, incredibile!”





.Angolo dell’autrice.
Salve!
Sono ormai anni che non pubblico nulla su Efp, però, in fondo, qualcosa ho continuato sempre a scriverlo.
Questa è una storia molto semplice, leggera, ma alla quale, comunque, tengo molto.
Sarei molto contenta di leggere un vostro parere a proposito, grazie a chi è arrivato fin qui, al prossimo capitolo,
_Falsa Pista_

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


.Capitolo 2.
 

L’allenamento si svolse regolarmente, riscaldamento, esercizi, partitella.
Gwain che cercava di fare lo sgambetto a Elyan durante il giro di corsa.
Gaius, l’allenatore, che curava i ciclamini spontanei nati vicino alla panchina invece che badare allo svolgimento della partita e Arthur, nel ruolo di capitano, che cercava di salvare quell’allenamento da derive troppo caotiche operate dai suoi compagni.
Una cosa buona di Lois, l’unica che in effetti aveva potuto trovare, era stato quel simpatico gruppo di suoi coetanei, stranamente tutti partecipanti alla squadra di calcetto.
In effetti erano parecchio “montanari” rispetto ai conoscenti che aveva in città e nel termine “montanaro” Arthur comprendeva la passione per le camicie a quadri, per l’apecar oltre che la passione per passatempi altamente arcaici come spaccare la legna o parlare di motoseghe.
Però, dopotutto, non è risaputo che la perfezione non esiste?
Con loro Arthur si trovava bene, più libero, meno atteggiato di quanto non fosse mai stato e così poteva anche chiudere un occhio sulle camicie a quadri.
Finito l’allenamento tornarono in spogliatoio, lasciando tante, fangosissime impronte numero quarantacinque sul pavimento fino ad allora e da poco immacolato.
Non si erano nemmeno seduti sulle panche che un urlo stozzato provenne dalle docce.
Un secondo dopo un ragazzo dai capelli neri uscì dal locale docce e avanzò verso di loro agitando uno spazzolone da pavimenti come un indemoniato.
“Voi! Voi! Come osate?!”
I ragazzi della squadra si guardarono perplessi.. Ma chi diavolo era quello?
Poi si udì un altro grido sorpreso.
“Tu!?” esclamò Arthur.
“Oh! Ciao!” salutò l’altro, con un sorriso affabile. Poi si ricordò di essere nel bel mezzo di una scenata di indignazione e riassunse l’espressione offesa.
“Voi! Tutti voi! Come osate entrare con le scarpe fangose dopo che ho passato cinque ore a pulire il pavimento con grande...”
“Senti una cosa, prima” lo interruppe Gwaine avanzando “ma tu chi cavolo sei?”
“Io? Oh, ma certo, scusate, non mi sono presentato.” disse Merlin, l’aria nuovamente amichevole.
“Io sono Merlin e sono il nuovo Custode dello Spogliatoio!”
“Cioè lo sguattero?” ghignò Arthur.
“Sei proprio una testa di fagiolo come pensavo.” ribatté Merlin indignato, lasciando tutti sconcertati per quello che era probabilmente il peggior insulto della storia.
“Arthur,” si intromise Lance per sbloccare la situazione “ma lo conosci?”
“Per fortuna no! Però l’ho incontrato una volta, mentre cercava ghiande commestibili sul ciglio della strada...”
“Ehi! Ma cosa dici!?”
“Come stanno i tuoi sandali da francescano, Merlin?” si informò gentilmente Arthur e dovette essere molto svelto per schivare lo straccio sporco che settò alla velocità della luce verso di lui.
 
***

Dopo aver pulito nuovamente tutto il pavimento, oltre che l’enorme impronta marrone a confusa forma di straccio spiaccicato sul muro finalmente Merlin poté tornare alla sua amata tenda.
Ormai era sera inoltrata, ma il cielo di inizio estate era sereno e l’aria era tiepida sulle braccia.
Con la tenda si era sistemato proprio bene, era riuscito anche a collegare un tubo al torrente nei pressi di una cascatella per creare una sorta di doccia che gli consentisse di lavarsi stando in piedi.
Da quando aveva scelto quella vita non se ne era mai pentito; forse i primi tempi era stato difficile, ma poi si era abituato e ogni giorno riusciva a sentire dentro di sé una grandissima armonia.
Si fece una rapida doccia gelida nel sottobosco buio, si asciugò, si rivestì e torno alla tenda per accendere il fuoco. Mangiò quel po’ di erbe spontanee che aveva raccolto nel pomeriggio insieme al pane comprato in paese.
Infine stese una coperta per terra vicino al fuoco e ci si sdraiò sopra a contemplare quel po’ di cielo che si intravedeva tra le fronde sopra di lui, ad ascoltare i sospiri del bosco, vivo e delicato attorno a lui, a sentire la terra addormentarsi piano tutto attorno a lui.

***

Da quando aveva conosciuto Merlin, che poi conosciuto non era certo la parola adatta perché loro non si conoscevano affatto, Arthur aveva deciso che la parola “stupore” era assolutamente riduttiva rispetto a quello che Merlin suscitava in lui.
Già Arthur considerava strani gli abitanti di Lois, con le loro camicie, le sagre del tartufo e la fiera delle motoseghe, però Merlin andava oltre a tutto questo, Merlin era solo, assolutamente assurdo.
Arthur aveva capito subito che era un tipo strano, molto strano, però non pensava che potesse arrivare a essere così starno.
Era ormai un mese da quando era arrivato a Lois e non c’era giorno in cui Arthur non trovasse qualcosa per cui stupirsi.
Inoltre, cosa alquanto fastidiosa a suo parere, Lois, oltre che noiosa, era anche un buco minuscolo, cosicché era praticamente impossibile non incontrare Merlin nel bel mezzo del compimento delle sue stramberie.
Sdraiato sul letto con le mani dietro alla testa, nella grande casa che suo padre gli aveva riservato, Arthur faceva mentalmente il conto di tutte le volte in cui aveva incontrato Merlin fare qualcosa di inspiegabile.
Aveva trovato Merlin seduto su una panchina assolata intento a lavorare ai ferri un maglione per l’inverno e, come se non bastasse quello squilibrato gli aveva proposto di insegnargli anche a lui. “Ti sembro una massaia?” gli aveva sbraitato contro Arthur.
Aveva incontrato Merlin che si faceva trascinare in giro per il paese da un enorme cane pastore pezzato sostenendo che stava solo “facendo fare quattro passi al cucciolo."
Aveva incontrato Merlin che vendeva frittelle di mele per conto di Gaius in un chioschetto che non aveva mai notato, attorniato da una folla di anziane signore entusiaste.
E, come se non bastasse, aveva incontrato Merlin lungo una strada secondaria del paese mentre aiutava un anziano pastore a pascolare un gregge di pecore.
Un gregge di pecore.
Pecore.
Arthur non riusciva ancora a capacitarsi di come qualcuno potesse essere contento in mezzo a delle stupidissimi quadrupedi puzzolenti.
E invece aveva ben chiara davanti agli occhi l’immagine di Merlin, tutto contento e sorridente che con un bastone in mano fischiettava allegramente in mezzo al gregge.
“Tu sei tutto matto, te l’ho sempre detto.” gli aveva gridato mentre passava.
“Oh, ciao Arthur!” aveva risposto quello tutto gioviale e poi “Golia, attacca!”
Un minuscolo cane era uscito dal gregge e si era avventato nella sua direzione, Arthur non aveva fatto in tempo a mettere in salvo i suoi splendidi pantaloni nuovi e puliti che splat due impronte di cane fangoso spiaccicate sugli stinchi.
Seguite da almeno un’altra dozzina e contornate da un’infinita serie di abbai e uggiolii festosi.
Pietrificato dall’orrore per la sorte dei suoi pantaloni Arthur vide Merlin avvicinarsi alla piccola palla di pelo festante e prenderlo in braccio con aria amorevole.
“E bravo il mio piccolo pastore, che tiene i malintenzionati lontani dal gregge.”
“Merlin!” aveva ringhiato Arthur, con tono pericoloso, ma il ragazzo non lo ascoltava e continuava a ciarlare al cucciolo, sorridendo in modo incredibile.
“Quel piccolo pulcioso ti sta sporcando tutta la maglia.”
“Oh, si, ma non importa, tanto è una maglia da lavoro.”
“E, sentiamo,” disse Arthur in tono provocatorio “cos’è che distingue il tuo abbigliamento ‘da lavoro’ da quello normale?”
“I vestiti normali sono più puliti.”
“Bene, ma si da il caso, Merlin, che tra i miei vestiti da lavoro e quelli normali ci sia una differenza molto più ampia, che non risiede nella pulizia, che è sempre ecellente, ma nel costo, nella presentabilità, nell’eleganza, tutte cose che il tuo stupido Ettore ha appena devastato!”
“Si chiama Golia!”
“Non è questo il punto!” si irritò Arthur, incrociando le braccia al petto con aria oltraggiata.
Infine Merlin posò a terra Golia e lo guardò negli occhi.
“Ti offro un caffè.”
“Cosa?”
“E una pasta!” aggiunse raggiante.
“Cosa stai dicendo?” Arthur lo guardava come fosse un alieno.
“Per risarcimento delle macchie di fango.”     
“...”
“Beh, che ho detto?” questa volta era Merlin ad accigliarsi.
“In realtà come risarcimento io intendo più qualcosa come vederti pulire tutto il mio ufficio da cima a fondo mentre io sto tranquillamente seduto a guardarti lavorare...”
“E se rifiutassi?”
“Dì addio al cane!” rispose Arthur, in tono così serio e solenne che, quando un attimo dopo Merlin lo guardò con aria sconvolta non poté trattenersi dal scoppiargli a ridere in faccia.
“Va bene, allora accetto, però la pasta e il caffè me li offri tu, ok?”
“Sei proprio un mendicante!”
E così avevano fatto e ad Arthur era sembrato molto strano girare per il paese insieme a Merlin, precisamente un Merlin scompigliato, con i capelli arruffati e la maglia piena di impronte fangose di zampe canine.
Infine raggiunsero l’unico, minuscolo bar del paese, dove lavorava Gwen, una ragazza della loro età.
Arrivati alla porta Merlin fece per entrare, ma Arthur lo sbloccò bruscamente.
“Ehi, ma che fai?!”
“Che ho fatto?”
“Resta fuori!”
“E potrei sapere perché?” chiese indignato Merlin, incrociando le braccia al petto.
“Non vorrai sporcare tutto il pavimento, guarda le tue scarpe...”
Merlin guardò in basso versoi due ammassi fangosi che stavano attorno ai suoi piedi.
“In effetti...”
“Ragazzino selvatico!” disse Arthur prima di sparire dentro al bar, chiudendosi la porta alle spalle, davanti all’espressione miscelata di stupore e allegria di Merlin.
Arthur tornò portando due caffè e due pacchetti e raggiunse Merlin sul muretto dove stava infilzando le zolle di fango delle sue scarpe con un bastoncino nel tentativo di ripulirle almeno un po’.
“Grazie.” sorrise Merlin, quando l’altro gli porse il caffè e il sacchettino di carta.
“Di niente.” rispose accondiscendente Arthur, con uno strano sorriso, mentre cominciava ad addentare
“Come sei gentile oggi, cosa ti è succ... EHI!” urlò indignato Merlin, estraendo una patata bitorzoluta da suo sacchettino.
“E questo cosa significa?” chiese Merlin oltraggiato.
“Ma come,” rispose Arthur, ormai già scosso dalle risate “ma non è quello che mangi normalmente? Ahahaa...”
Merlin lo guardò sconvolto, mentre l’altro dal ridere rotolava giù dal muretto.
“Sei proprio una testa di zucca vuota e marcia!” Merlin si alzò “ E questi me li prendo io.”
Afferrò i due bicchierini di caffè ancora appoggiati inermi sul muretto e se li scolò mentre si allontanava.
“No! Cretino, il mio caffè!” urlò Arthur, alzandosi per raggiungerlo, poi lo guardò in faccia e scoppiò nuovamente a ridere “Cos’è quella faccia? Ahaha, scommetto che non lo sopporti il caffè amaro! Tieni.” frugò in tasca e gli lanciò due bustine di zucchero “mangiati questi ora, che voglio vedere che nuova faccia assurda sei in grado di fare.”
Arthur aveva male alla mandibola dal ridere quando si diressero verso il suo ufficio per concludere il debito di Merlin; il suddetto Merlin stava finendo di sbocconcellare il mezzo croissant che era riuscito ad estorcere ad Arthur.
“Finisci di mangiare la tua refurtiva Merlin-scroccone, perché non voglio briciole nel mio ufficio e, tanto per chiarire, non voglio che quelle scarpe entrino nemmeno in ascensore!”
“Devo entrare coi calzini?” chiese Merlin, dubbioso
“Addirittura porti i calzini? Ma come sei progredito, pensavo avessi i piedi come gli hobbit...” ridacchiò Arthur, ignorando il borbottio indignato dell’altro, accucciato davanti alla gradino di ingresso per togliersi le scarpe.
Stravaccato sulla sedia ergonomica, con i piedi bellamente appoggiati alla scrivania e sgranocchiando noccioline da una ciotola molto fornita Arthur rifletteva sulla strana, assurda situazione, rifletteva, in realtà, molto ad alta voce...
“Sai, Merlin, che cosa proprio strana... Non ho mai pensato che avrei avuto un ragazzino selvatico e con calzini rossi a pulirmi personalmente l’ufficio...”
Si chinò appena in tempo per schivare la gomma che Merlin gli aveva tempestivamente scaraventato addosso.
“Non sono un ragazzino! E sto lavorando non perché trovo in te una qualsivoglia compagnia piacevole, anzi, credo di non aver mai incontrato una testa di fagiolo così presuntuosa, stupida, altezzosa e...”
“Che noia, Merlin, insulti in modo troppo logorroico, non posso addormentarmi a metà mentre qualcuno tenta di insultarmi!” lo interruppe Arthur con tono annoiato e si spostò appena per vedere meglio l’altro che, piegato, stava tentando di raccogliere la polvere “e, vorrei aggiungere, a pulire sei un vero spasso... Non ho mai visto qualcuno che cerca di convincere la polvere a salire sulla paletta...”
Arthur davvero non sapeva più se ridere fino alle lacrime o portare quel decerebrato a una clinica molto professionale.
“Sono per la collaborazione.”
“Quindi non lo neghi!”
“Solo perché tu sei una stupida zucca vuota che pretende che tutti facciano le cose solo perché lo hai detto, che impone risarcimenti solo perché un piccolo, carinissimo cucciolo ti ha sporcato i suoi stupidi pantaloni brutti e nuovi e..”
“Merlin...” lo chiamò Arthur “Troppe, troppe parole... Se devi parlare così tanto ti consiglio di rivolgerti alla polvere della paletta, magari lei ha voglia di ascoltarti...”
“E, ops, Merlin, mi è caduta una nocciolina sotto la scrivania, puoi chiedere alla tua amica paletta di raccoglierla?”
E quella volta non riuscì ad evitare il rotolo di scotch che si schiantò in mezzo alla fronte.
Il suono del cellulare risvegliò Arthur dai suoi pensieri.
“Forse è Merlin” pensò istantaneamente, prima di rendersi conto che molto probabilmente Merlin neanche ce l’aveva il cellulare, lui comunque non aveva il suo numero. E poi, che gli importava?
 Si alzò dal letto e aprì i messaggi.
Era Mithian. La sua ex ragazza.
“Ciao Arthur, mi manchi, ci vediamo uno di questi giorni?”
Arthur era confuso, i suoi pensieri continuavano a deragliare verso stupidi particolari, pomeriggi passati e magliette da calcio pulite e piegate accuratamente come mai era successo in passato.
Stupidi, stupidi pensieri.
Prese il cellulare.
“Va bene domani mattina?”
 
“Certo! A domani Arthur.”



***
Angolo dell’autrice.
Salve, eccoci giunti al secondo capitolo!
Qui c’è l’incontro generale di un po’ tutti, qualche scambio di battute e poi, qualche tempo dopo, Arthur un po’ troppo preso dalle stranezze di Merlin, che però si accinge a rincontrare una certa ragazza...
Spero che, nonostante la stranezza della trama e del contesto, i personaggi rimangano IC, fatemelo sapere nelle recensioni.
Ringrazio moltissimo tutti coloro che hanno recensito la storia, oltre a quelli che l’hanno messa tra le preferite e le seguite! <3
Detto questo penso che gli aggiornamenti saranno settimanali e, nello specifico, di giovedì.
Ciao a tutti, grazie
_Falsa Pista_
 

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Capitolo 3
*** Capitolo 3. ***


.Capitolo 3.
 

Arthur si sentiva strano.
Erano giorni che si sentiva strano, nella testa, nei pensieri.
A volte si era scoperto a fischiettare per la strada.
Un’altra volta si era volontariamente chinato in un’aiuola per raccogliere un paio di lattine abbandonate da qualcuno per poi buttarle nel bidone più vicino.
E poi, cosa assolutamente sconvolgente, era almeno una settimana che, non si sa bene come, si dimenticava di spruzzare il suo potentissimo insetticida dentro l’auto.
Decisamente qualcosa nella sua testa aveva smesso di funzionare bene, Arthur era seriamente preoccupato.
Rifletteva così appoggiato alla sua macchina bianchissima in attesa di Mithian.
Mithian era stata la sua ragazza per un anno, gli era stata presentata da suo padre, avevano partecipato a così tante riunioni e cene aziendali insieme che alla fine le aveva chiesto di diventare la sua ragazza.
Dopo un anno era stata lei a lasciarlo, definendolo distante, insensibile, poco attento ai suoi bisogni.
Arthur non aveva potuto far altro che darle ragione.
Era esattamente quello che si sentiva. Le voleva bene, però era distante, non era nei suoi pensieri, nella sua mente, appena sotto la superficie era come se non ci fosse.
Era sempre stato così, con tutte le ragazze con cui era stato, sempre distante, diverso, inspiegabilmente sembrava fossero sempre su lunghezze d’onda completamente diverse.
L’arrivo della ragazza interruppe i suoi pensieri. Era molto curata, molto bella, sorrideva, ma il suo cuore non accelerò nemmeno mezzo battito.
Si salutarono cortesemente, decisero di fare un giro per il paese.
Arthur si guardava continuamente intorno, ma nessun gregge di pecore sembrava di passaggio, nessun cane fangoso, nessun Merlin fischiettante.
Che poi, da quand’è che gli fregava qualcosa dei greggi di pecore?
Si schiaffò una mano in faccia. Stava decisamente impazzendo.
“Arthur, cos’hai? Stai male?”
“No, figurati, sono solo un po’ stanco, sai, il lavoro...”
Così andarono a prendere un caffè dal bar di Gwen, salutarono Lance che usciva in quel momento, si sedettero a un tavolino assolato.
“Sai,” cominciò Mithian “Hai presente il figlio dell’avvocato?”
Però, stranamente, prendere il caffè non sembrava poi così divertente come gli era parso il giorno prima con Merlin.
“Continuava a venire nel mio ufficio sostenendo che era meglio controllare le pratiche insieme, così, per evitare errori..”
Chissà cosa stavano facendo i suoi amici... Per un momento si immaginò Merlin che stendeva al sole le magliette di calcio appena lavate, per poi stendersi al sole a sua volta, magari con un libro in mano.
Oppure se lo immaginò nel bosco, chino alla ricerca di funghi, di bacche, di radici.
“Poi l’altra sera ho trovato una rosa sul tavolo e mi sono detta: questo cosa significa?”
Si immaginò Merlin, barbuto come il più arretrato degli ominidi e vestito di pellicce mentre frugava sotto le foglie alla ricerca di provviste.
Che poi, un primitivo con gli occhi blu chi l’aveva mai visto?
“E mentre stavo per uscire l’ho trovato che mi aspettava davanti all’ufficio, con un’altra rosa in mano...”
Se lo immaginò rincorso da una tigre dai denti a sciabola e scoppiò a ridere.
Solo per ritrovarsi davanti l’espressione sconcertata di Mithian.
“Scusa, mi ero un attimo distratto, continua pure...” le disse imbarazzato. Ma cosa cavolo gli era preso?
“Non hai ascoltato nemmeno una parola, vero?”
“No, qualcosa sì... Stavi parlando dell’avvocato, no, di suo figlio, di una rosa, degli occhi blu...”
Mithian lo guardò perplessa.
“Occhi blu? Ho come l’impressione che a quelli ci stavi pensando tu, invece! Dimmi la verità, stai frequentando qualcun’altra?” poi si accorse della domanda troppo diretta e corresse il tiro “Cioè, ovviamente puoi vedere chi vuoi, la mia era solo una curiosità, non voglio farmi i fatti tuoi...”
“No, ma figurati, non ho problemi a dirtelo. Non sto vedendo nessuna, te lo assicuro.”
E questa, almeno, era una piccola certezza nei suoi pensieri incasinati.
Non era innamorato di nessuna ragazza.


***

Ormai era pomeriggio inoltrato e la squadra intera si stava cambiando per prepararsi all’allenamento, mentre Merlin guardava sconsolato le impronte fangose che piano piano si spargevano sul pavimento fino a pochi secondi prima immacolato.
“Bene bene, ragazzi, è giunto il momento di raccontare tutto al buon vecchio Gwaine” disse il ragazzo dai capelli lunghi voltandosi verso i compagni.
“Ma cosa cavolo stai dicendo?” chiese Elyan, perplesso.
“Forse tu non sei informato bene quanto me, però oggi ci sono stati ben due bellissime avventure amorose tra i nostri amati compagni, vero ragazzi?”
Lance sprofondò il viso nella mano, sconsolato. “Ma com’è che tu sai sempre tutte queste cose?”
“Sono curioso e ho molte persone a cui non dispiace darmi qualche informazione sui cazzi degli altri...ma! Bando alle ciance, come è andata?”
“Bene, in realtà” rispose Lance sorridendo.
“Ma cosa è successo?” si intromise Merlin curioso.
“Il nostro caro Lance si è trovato la ragazza, non è vero caro?
“In realtà non è proprio ufficiale, per ora stiamo solo uscendo...”
“Traduco io: vuol dire che non siete ancora andati a letto... ahia! Ma perché mi maltratti in questo modo?”
Un’altra mano schiaffeggiò la nuca di Gwaine “Ehi, ma cosa vi prende a tutti? Perché mi picchiate? E poi, Parsifal, a te cosa avevo fatto?”
“Sei un cretino” rispose Elyan al posto di Parsifal.
“A già, è vero che Gwen è tua sorella...”
“Permesso” interruppe Merlin, passando di gran carriera spingendo uno straccio fangoso e umido con un enorme spazzolone rosso.
Merlin, si può sapere per quale assurdo motivo stai passando lo straccio mentre siamo ancora tutti qui? Stai dando fastidio a tutti” sbottò Arthur.
“In realtà sei l’unico che si lamenta” rispose il moro accelerando e costringendo l’altro a balzare sulla panca per schivare l’orribile straccio sporco. “E poi se lascio che il fango si asciughi sul pavimento dopo ci metto ore a pulire...”
“Ragazzi, siete adorabili, però qui c’è ancora qualcuno che non ha raccontato a tutti noi, e in particolare a me, le sue odierne avventure” richiamò l’attenzione Gwaine.
“Cosa ci fai in piedi sulla panca?” chiese Parsifal perplesso, ma l’altro lo ignorò perché troppo impegnato a scrutare i compagni con aria teatrale.
“E sto parlando di te!” disse indicando Arthur con grande solennità.
“Sei il solito buffone, Gwaine, e sui può davvero sapere come sai sempre tutti i fatti nostri?”
“Non tergiversare! Come è andata?”
“Bene, cioè, no, cioè, nel senso...” Arthur odiava non sapere cosa dire. Specialmente davanti a un cretino come Gwaine.
“Cosa è successo?” Chiese Merlin, sporgendosi dalla stanza attigua dove stava strizzando l’orribile straccio marrone dentro un grande lavabo.
“Arthur aveva un appuntamento con la sua fighissima ex-fidanzata! Allora, come è andata?
“Dimmi un solo motivo perché dovrei raccontartelo...”
“Perché potrei passare il resto della settimana a chiedertelo incessantemente” rise Gwaine.
“Ti conviene rispondere”convenne Parsifal.
“Siamo andati al bar, poi abbiamo fatto un giro, tutto qua. Non è successo niente, e credo che non succederà mai niente. Non provo nessun sentimento particolare per lei è solo una simpatica collega...”
“Che tristezza, e io che volevo i particolari scabrosi...”
“Da ‘fidanzata’ a ‘simpatica collega’, che tristezza, Arthur” commentò Elyan, battendo una pacca sulla spalla dell’amico.
“Ma ora passiamo a un altro, Merlin, vieni qui, e senza stracci disgustosi”
“Sono disgustosi perché voi, e te in particolare, non vi togliete le scarpe quando entrate...”
Gwaine fece un gesto vago con la mano, come per scacciare le parole pungenti dell’altro, poi si curvò a fissarlo, dall’alto della panca su cui ancora si trovava.
“Quand’è che ti vedremo con una ragazza?”
“Eh?” chiese Merlin perplesso.
“Domanda semplice, Merlin, sono mesi che sei qui, hai quell’aria dolce e premurosa, e un po’ stupida, a dir la verità, che piace tanto alle ragazze e allora io ripeto, quand’è che ti vedremo con una ragazza?”
“Credo che sia inutile chiederti come la cosa possa interessarti, comunque credo che sia piuttosto difficile che mi vedrete con una ragazza in quei termini, vedete, a me piacciono i ragazzi.”
“Eh?!” esclamarono i ragazzi, girandosi verso di lui.
“Ma davvero?” chiese Gwaine con un sorriso furbo.
“Ti sembra una domanda intelligente?” ridacchiò Merlin, con le mani sui fianchi.
“Scusa tesoro, posso essere la tua ragazza?” chiese invece quello ridacchiando e inchinandosi e porgendo una mano all’altro, che scoppiò a ridere.
“Non sei proprio il mio tipo”
“Ma così mi spezzi il cuore”
“Tu hai un cuore?”
“Cos’ho che non va, sono troppo figo per te?”
“Sarà senz’altro quello” ridacchiò Merlin, mentre tutti scoppiavano a ridere davanti a Gwaine che si portava le mani al petto con aria sofferente e rantolava giù dalla panca.
Arthur fissava la scena con occhi spalancati.


***


Non è che l’allenamento non stesse procedendo bene. Anzi, a dire il vero, procedeva in maniera piuttosto simile ai molti che li avevano preceduti.
Solo che, e la cosa cominciava a ripetersi un po’ troppo frequentemente per i suoi gusti, Arthur non riusciva a concentrarsi.
Pensava alla conversazione dello spogliatoio, pensava a Merlin chiedendosi come avesse fatto a non accorgersi prima del suo essere gay, a come tutto questo cambiava un sacco di cose...
Che cosa poi? Alla fine cosa sarebbe dovuto poi cambiare? Che importava che a Merlin piacessero i ragazzi invece che le ragazze? Ad Arthur, questo, cosa importava?
Mentre continuava a correre in cerchio lungo il campo per il riscaldamento provò a scacciare quel pensiero costante.
Non ci riuscì, così provò a concentrarsi meglio per analizzarlo una volta per tutte.
Merlin era gay. Bene. Questo voleva dire che si innamorava dei ragazzi, magari proprio di uno di loro. Magari di Parsifal, o di Lance... O di Gwaine! Gwaine era così disinvolto, sempre provocatorio, affascinante a modo suo... Sicuramente per Gwaine maschi o femmine non facevano poi troppa differenza, quando c’era da divertirsi... Non è che magari tra i due c’era già stato qualcosa e lui non se ne era accorto?
Il solo pensiero di Gwaine e Merlin insieme sotto le coperte lo fece raggelare e cercò in ogni modo di convincersi che a Merlin uno come Gwaine non sarebbe mai potuto piacere in quel senso.
Che poi, che ne sapeva lui dei gusti di Merlin...Chissà con quanti ragazzi era già stato, chissà...
“Aaaaahhhh!!”
Un urlo tremendo lo distolse dai suoi pensieri sconclusionati e appena riapprodò nella realtà si accorse di Elyan accasciato per terra che si stringeva una caviglia e digrignava i denti per il dolore.
“Elyan, che succede?!”
Elyan mugugnò di dolore e non rispose, mentre gli altri ragazzi della squadra si affollavano intorno a lui cercando di capire cosa fosse successo.


***


Ormai era sera inoltrata e Merlin era solo negli spogliatoi della squadra di calcetto.
Tutto, finalmente, era pulito e in ordine.
Dopo che Elyan era inciampato, slogandosi fortemente una caviglia, l’allenamento era stato interrotto, Arthur aveva raccattato portafoglio e cellulare ed era balzato sulla sua fiammante auto nuova per portare di corsa l’amico all’ospedale più vicino. Che, data la collocazione geografica di Lois, no era affatto così vicino.
Gli altri ragazzi avevano finito l’allenamento poi, dopo essersi lavati e cambiati, uno dopo l’altro erano rincasati.
Merlin, che aveva indossato un infeltrito e accogliente maglione blu per proteggersi dall’aria fresca della sera, aspettava seduto su una panca dello spogliatoio, le braccia attorno alle ginocchia, la testa immersa nei pensieri.
Poi, la porta dello spogliatoio si aprì.
“Che ci fai ancora qui?” chiese Arthur, ancora in tenuta sportiva, entrando nello spogliatoio.
“Come sta Elyan”
“Bene, l’anno fasciato per bene, e deve stare a riposo per tre settimane, ma la caviglia non è rotta. L’ho riaccompagnato a casa.”
“Sei stato gentile” sorrise Merlin.
“Per un amico questo non è niente” disse Arthur, togliendosi la maglietta e andandosi a sciacquare al lavandino.
Merlin fissava la sua schiena e le spalle, le braccia e il colore chiaro della pelle, ma fu attento a non farsi scoprire quando Arthur si girò verso di lui.
“E comunque, tu che ci fai ancora qui? Perché non sei tornato alla tua grotta?”
“Ehi! Non sto in una grotta bensì in una tenda. Comunque, io, che sono una persona gentile, ti ho portato queste” e glia allungò un sacchettino di carta.
“Eh? Cosa. Mi hai portato da mangiare? Grazie mamma!” disse Arthur ironico, ma il suo sorriso stupito era sincero.
“Frittelle di mele?! Per un attimo pensavo fosse qualcuno dei tuoi cibi primitivi...”
“ Io non mangio cibi primitivi, solo cibi sani, al contrario tuo! E rispettosi dell’ ambiente, della natura...”
“Degli scoiattoli, dei facoceri selvatici, dei piccioni viaggiatori... Si, bravo Merlin, continua così  che salverai il mondo” lo prese in giro l’altro.
“Antipatico” si imbronciò Merlin, poi si alzò, spense la luce e seguì Arthur che stava uscendo dallo spogliatoio.
“Che bella Luna!” esclamò il moro alzando gli occhi verso il cielo ormai buoi “Credo che andrò proprio a farmi una bella passeggiata in montagna...”
“Come una passeggiata in montagna?”
“Tranquillo, ora ti spiego...Esiste una cosa” cominciò Merlin, alzando la mano destra e muovendo alternativamente avanti e indietro l’indice e il medio “che possono fare gli esseri umani e che si chiama camminare...”
Lo scappellotto che Arthur gli rifilò sulla testa lo fece desistere dal continuare la sua spiegazione.
“So cosa vuol dire camminare, primitivo decerebrato e arcaico, quello che voglio dire è che è notte, che senso ha andare in un posto di notte che tanto non ci vedi nulla e rischi di perderti, inciampare, cadere in un burrone e venire sbranato da una lince affamata...”
“C’è la Luna. Con la Luna ci si vede benissimo. E poi le linci non vivono in questa regione!”
“Certo, certo, come no... Facciamo così allora, ti faccio anche un favore... se tra tre giorni nessuno ha più tue notizie allerto la polizia e gli dico che il giorno della tua scomparsa indossavi un bitorzoluto maglione blu e che io ho provato in ogni modo a dissuaderti e...”
“No, Arthur, smettila di blaterare e ascolta me, invece” disse Merlin, indicando sé stesso per attirare l’attenzione dell’altro “Ora tu vieni con me e io ti dimostrerò che non moriremo in un burrone e che le linci non ci sono in questa zona.”
Merlin sorrideva e i suoi occhi luminosi si vedevano anche nel buio del piazzale.
Arthur pensò di aver voglia di accettare qualsiasi cosa l’altro avesse intenzione di proporgli che comprendesse o meno linci e precipizi. Ma non voleva assolutamente sembrare troppo cedevole e così assunse un’aria scettica, una delle sue migliori arie scettiche e chiese: “Cosa riceverò in cambio di questo favore che, forse, potrei farti?”
“Delle altre frittelle”
“Come scusa?”
“Delle altre frittelle di mela fatte da me e, se vuoi, una tazza di the alle erbe selvatiche...”
“Va bene, ma solo se ritiri il the dall’offerta”
“Guarda che è buono il the che faccio io, perché non ti fidi?”
“Perché sei un cavernicolo. Dunque, togli il the e aggiungi una frittella, giusto?”
“No, tolgo il the e non aggiungo nulla, perché sei un prepotente!” si indignò fintamente Merlin.
“Allora non vengo più”
“Ma se stai già camminando!” rise Merlin e Arthur pensò che una risata così sincera e contagiosa non l’avesse mai sentita in vita sua.
Si guardò intorno. Avevano incominciato a camminare lungo un sentiero circondato da alberi non troppo fitti.
Obiettivamente non ci vedeva un cazzo e si premurò subito di informare l’altro della scomoda situazione.
Merlin, che procedeva tranquillo davanti a lui, sembrava invece completamente a suo agio in quella circostanza.
“E’ perché non sei abituato al buio. Scommetto che la tua casa è piena di luci e sensori che ti illuminano il percorso ogni centimetro che fai... Devi cambiare atteggiamento qui, devi attivare tutti i sensi, sentire i suoni, gli odori, vedere le ombre, i piccoli indizi che ti fanno capire che sei sul sentiero giusto...”
Arthur inciampò goffamente.
“Dannata radice!” si rialzò spolverandosi i pantaloni “E tu smettila di ridere, che se ti ambienti al buio è solo perché sei un cavernicolo poco evolu...”
Non finì la frase. Merlin gli era ora venuto vicino, molto più di quanto era mai stato, e lo guardava negli occhi. Poi si mise un dito davanti alle labbra.
“Shhhh” il suo sospiro arrivò a sfiorare il viso di Arthur. Merlin era serio, rilassato, sorridente.
Arthur era rapito.
Merlin sorrise, si girò e riprese a camminare.
Arthur lo seguì, provò a fidarsi e, finalmente, cominciò a capire quello che l’altro aveva voluto dirgli.
Cominciò a sentire il fruscio costante intorno a lui, anzi, no, non un fruscio, ma mille suoni diversi, tenui, forti, vicini o più distanti. Il vento leggero frusciava in altro sugli alberi, le foglie scricchiolavano tenui sotto le scarpe e i cespugli intorno erano pieni di suoni impercettibili.
A volte tacevano.
E poi gli uccelli. Il bosco era pieno di cinguettii, trilli, costanti gorgheggi o richiami improvvisi.
Cominciò a sentire la vita scorrere intorno a lui.
Non vedeva praticamente nulla, ma sentiva, sentiva come mai aveva sentito prima di allora. Sentiva l’aria con la pelle, la brezza, l’aria fresca sul viso, e sentiva con l’olfatto, mentre camminava, il variare dei profumi che le piante attorno a lui sprigionavano. Non si era mai soffermato sui particolari come stava facendo in quel momento, l’odore umido delle foglie, il piccolo tonfo delle scarpe che colpivano i sassi del sentiero in salita, il gorgoglio timido di un qualche ruscello nascosto nel buio da qualche parte attorno a lui.
Il sentiero comincia a diventare più ripido, Arthur sentiva il calore e la fatica del corpo in movimento, ma era da tanto che non si sentiva così inspiegabilmente rilassato.
Forse non lo era mai stato.
Ancora incespicava leggermente, di tanto in tanto, però si era accorto di vederci.
Mai aveva pensato che la Luna potesse emanare, anzi, riflettere tanta luce eppure in maniera così discreta, così delicata...
Era un incantesimo.
E Merlin, che camminava leggero davanti a lui, era il mago che stava rendendo possibile tutte quelle emozioni primordiali e vivide dentro di lui.
Merlin...
Arthur vedeva la sua figura come un’ombra, eppure, anche nel suo essere ombra, allo stesso tempo era luce, silenzio, delicatezza.
Merlin era uno spirito della natura nel suo ambiente d’origine.
Riusciva a rendere familiare quel luogo, quell’ambiente a lui così estraneo, camminava nell’oscurità come se riuscisse a vedere ogni contorno di ciò che lo circondava.
Arthur si accorse di come tutti i suoni della vita nascosta eppure presente intorno a lui non lo intimorissero, non lo agitassero, ma invece lo facessero sentire come parti di tutta quella vita segreta, come un ospite inusuale eppure benvoluto di uno spettacolo solitamente nascosto agli uomini.
Era sicuro che Merlin centrasse anche in tutto questo.
Infine uscirono dal bosco. Una radura di cui non aveva mai immaginato l’esistenza si apriva davanti a loro, i contorni degli alberi attorno come sagome e ombre indistinte. Da lì si vedeva tutta la valle o meglio, la si poteva immaginare dalle poche, lontane luci di qualche casa o dei rari lampioni sparpagliati nell’oscurità davanti a loro. Molte, molte di più erano altre luci.
Le stelle sopra di loro.
Merlin si sedette sul prato, le braccia attorno alle ginocchia.
Arthur lo imitò.

 
 
.Angolo dell’autrice!.
Salve a tutti, chiedo subito perdono per il giorno di ritardo, ma proprio non sono riuscita a pubblicare prima.
Detto questo spero che la storia vi stia piacendo almeno un po’, dato che a me è piaciuto molto scriverla. J
Cosa ve ne pare dei personaggi? IC? OOC? Fatemelo sapere in una recensione, che ho bisogno di consigli e pareri.
Auguro una splendida giornata a tutti, ciao,
_Falsa Pista_

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Capitolo 4
*** Capitolo 4. ***


.Capitolo 4.
 
 
“Dimmi qualcosa di te, ragazzino selvatico, com’è che un bel giorno ti è saltato in mente di girare il mondo con sandali e tenda?”
La frase di Arthur era ironica, ma il suo tono era per lo più curioso.
Merlin era stato così tanto nei suoi pensieri, nella sua testa, intorno a lui, eppure lo conosceva così poco...
Merlin sorrise leggermente, seduto sul prato con le braccia intorno alle ginocchia piegate.
“E’ una storia un po’ lunga, sicuro di volerla sentire?”
“Al massimo mi addormento...” sorrise Arthur, seduto vicino a lui, né di fianco né di fronte, anche se era sicuro di poter rimanere sveglio ad ascoltarlo anche per giorni.
“Non so bene da dove iniziare... Vedi, fino a un po’ più di un anno fa abitavo con mia madre in una piccola città parecchio lontana da qui. Non è che me la passassi male, però... non so come dire, c’era qualcosa che non andava.
Studiavo, avevo qualche amico, un ragazzo, però non riuscivo mai a essere del tutto soddisfatto, contento, a posto, non so se mi spiego.”
Arthur annuì.
“Questa cosa mi tormentava davvero, mi chiedevo perchè non riuscissi mai a sentirmi felice e soddisfatto come tutti gli altri, pensavo di essere in qualche modo sbagliato. Ci pensavo di continuo, soprattutto negli ultimi anni, durante l’Università...”
“Hai fatto l’Università?!”
Merlin gli lanciò in testa un bastoncino con aria indignata. “Perché no, scusa, babbeo che non sei altro?!”
“Scusa, è che non mi davi l’idea di un grande, ehm, letterato...”
Questa volta Arthur dovette impegnarsi per evitare il pugno di Merlin diretto al suo naso, riuscendo anche a bloccargli la mano dentro la sua. A quel punto, però, Merlin era abbastanza vicino perché Arthur riuscisse a sentire l’odore della sua pelle. Il biondo, preso dal panico, mollò immediatamente l’altro, scusandosi precipitosamente. Merlin lo guardò stranito per quella strana reazione, i suoi occhi spalancati da cerbiatto erano luminosi persino nell’oscurità della notte.
Arthur si affrettò a proseguire “Allo studio di quale nobile materia ti sei dunque dedicato?”
Merlin provò a restare serio senza successo.
“Ho fatto un corso triennale di infermieristica. Centodieci e lode! Comunque ti stavo dicendo che non stavo molto bene e dopo averci pensato davvero un sacco ho capito cosa non mi piaceva.”
Fece una pausa, come preso dai ricordi.
“Cosa?”
“La logica. La logica della gente, intendo, il loro modo di pensare. Volevano tutti diventare persone importanti. Vivevano come un’offesa personale il fatto di essere persone di provincia, sai, una piccola città dove non succede mai molto e dove tutti sanno quello che fanno gli altri, e così erano tutti terribilmente finti e sempre costantemente in lotta per cercare di guadagnarsi un’occasione verso il successo.
Io, invece, ero completamente diverso, perché non volevo diventare nessuno, io volevo solamente vivere una vita normale, tranquillamente, facendo quello che volevo fare, avere buoni amici, un buon fidanzato, sai, nulla di ché. Però volevo che fossero cose sincere, spontanee, che venissero dal cuore. Insomma, tutto questo lì era impossibile, perché c’era sempre questo velo di finzione che appannava tutto e dopo un po’ sono arrivato a non sopportare più nulla, più nessuno, ho capito che lì non avrei mai potuto trovare quella semplice felicità che cercavo, così ho deciso di partire.” Il suo tono di voce era serio, lasciava intendere quanto in realtà tutta quella situazione fosse stata pesante per lui.
Poi però si riscosse e sorrise divertito, guardando Arthur negli occhi.
“Poi, in realtà, tutta la storia dei sandali e della tenda, come la chiami tu, è venuta un po’ per caso. Una volta che avevo preso la decisione di partire ho pensato che avrei dovuto fare un bel taglio netto col passato e mi è venuta questa idea del girare a piedi il mondo in cerca di...non lo sapevo neanche io. Direi di emozioni, avventura, autenticità... Ora sono un’altra persona, - sorrise di uno di quei suoi sorrisi speciali, che illuminavano gli occhi e facevano stranamente contorcere il cuore di Arthur – ora sono davvero felice!
Ad Arthur, guardandolo negli occhi, quasi gli venne voglia di abbracciarlo e Merlin, per un momento, pensò a cosa sarebbe successo se si fosse casualmente  avvicinato all’altro quel tanto da far sì che non ci fosse più nulla a separarli.
Poi un uccello notturno lanciò un grido lancinante, Arthur sobbalzò, Merlin rise di lui. Arthur cercò di darsi un contegno, si passò una mano tra i capelli e poi chiese. “ E il tuo ragazzo?” e veramente sperò che la sua voce suonasse neutra come sperava e disinteressata come non era..
Merlin ridacchiò un attimo, tutto sommato contento che l’altro, su tutto, ci teneva a chiarire proprio quel tema.
“Lui si chiama Will. Lo conosco da sempre, o meglio, lo conoscevo, cioè, lo conosco ancora, però...”
“Ho capito cosa intendi, vai avanti”
“Eravamo amici fin da bambini, da che ricordo era sempre stato il mio migliore amico. Dopo, all’ultimo anno delle superiori, abbiamo scoperto di essere entrambi gay. Cioè, ognuno di noi sapeva di esserlo, ma non che pure l’altro lo fosse. Ci è sembrato naturale metterci insieme, e, almeno all’inizio, era proprio bello...”
Arthur sentì una fitta di genuina antipatia per questo tale Will-amico-da-sempre.
“Però, in fondo, non basta essere amici per stare bene insieme, non basta conoscersi o andare d’accordo e bla bla bla, ci vuole qualcosa di più...”
Arthur pensò a Mithian e a quanto bene le parole di Merlin descrivessero la situazione passata con la ragazza.
“Poi lui era ossessionato dal giudizio della gente, non voleva che ci facessimo vedere in giro come una vera coppia, dovevamo fingere che fossimo solo amici quando eravamo con altri, diceva che così tutto era più semplice. Io gli dicevo che così, invece, tutto era più finto, che non aveva senso, che non ci doveva importare nulla di quello che dicevano gli altri, dovevamo pensare a stare bene noi.
Arthur guardava l’altro parlare, i suoi occhi brillanti e appassionati nel buio, mentre proclamava la sua voglia di essere sé stesso indifferente dell’approvazione del mondo, guardava la linea dritta del naso, il movimento delle labbra mentre parlava, il modo in cui il suo sorriso contagiava tutto il viso, gli zigomi pronunciati appena visibili nella notte.
Arthur si rese conto che avrebbe voluto rimanere a guardarlo parlare per secoli, che avrebbe voluto baciarlo, che quello che Merlin riusciva a provocare in lui era caldo e freddo contemporaneamente, brividi ed eccitazione. Era una territorio sconosciuto, imprevedibile e maledettamente affascinante. Quasi dal nulla la parola “innamorato” comparve nella sua mente confusa, e davvero, davvero non riuscì a trovare un vocabolo che meglio descrivesse i suoi sentimenti.
Sperò ardentemente di non essere arrossito, aveva quasi timore che Merlin gli potesse leggere quella terrificante verità negli occhi, ma il moro proseguiva il suo racconto ignaro di tutto.
“E aveva anche un altro problema, forse ancora peggiore. Era troppo, troppo, possessivo. Voleva che stessimo sempre insieme, non voleva che incontrassi altri, che avessi degli amici. Anche questo ha contribuito alla mia partenza: oltre ai miei problemi che ti ho già detto c’era Will che mi voleva tenere sempre accanto a sé, ma che rifiutava di rendere visibile la nostra storia. Alla fine non ce l’ho più fatta. Da quando sono partito non l’ho più sentito, anche se mia madre dice che a volte le chiede di me.
Quest’ultima informazione Arthur avrebbe preferito non sentirla, si affrettò quindi a cambiare discorso.
“Da quanto sai di essere gay?”
Quando si accorse che quello che aveva pensato l’aveva anche pronunciato ad alta voce Arthur si sentì un completo idiota.
“Ehm, cioè, non intendevo dire che...” che cosa non intendeva, poi? Ma dov’erano finite tutte le sue capacità oratorie tanto decantate dai suoi colleghi di lavoro?
Si sentiva letteralmente un cretino.
Merlin, però, ancora una volta, sembrava prendere la situazione con molta più leggerezza.
 “L’ho sempre saputo, direi,” ridacchiò “tu?”
Arthur lo guardò shoccato, allibito, cercando di capire se l’altro stesse cercando di prenderlo in giro in qualche strano modo. Ma lo sguardo che Merlin gli restituì era genuino e curioso come sempre e Arthur cercò di riguadagnare un minimo di calma.
“Ehm, io... Direi che l’ho scoperto da poco” rispose vago. Dire che se ne era accorto cinque minuti prima non sarebbe stata proprio una grande idea.
Arthur pensò che probabilmente non si era mai sentito così tanto confuso e su di giri come quella sera  in tutta la sua vita. Con Merlin era come camminare su una corda tesa a mezz’aria, ma con sotto un immenso lago azzurro. C’era l’ansia di muoversi in un territorio instabile e sconosciuto, ma anche l’idea di poter sbagliare e cadere in qualche punto non sembrava poi così terribile.
“Mmm” commentò Merlin vago, per poi alzare la testa e sorridergli, un sorriso immenso, misto di sollievo e gioia pura. Per  un attimo Arthur pensò che questo potesse centrare in qualche modo con lui, e il solo pensiero lo lascò accecato.
“Dai, io ho parlato tanto, ora tocca a te.
E così, con la semplicità e la serietà che Merlin aveva usato fino a poco prima, Arthur gli raccontò di sé, parlando della propria vita come mai aveva fatto prima. Gli sembrava, tutto d’un tratto, di aver scalato un gradino immaginario ed essenziale e da lì ora poteva godere di una vista d’insieme sulla sua vita come mai aveva fatto, si sentiva forte di una nuova lucidità e una nuova consapevolezza, che spiegava molte cose che fino ad allora non aveva capito.
Raccontò a Merlin della morte di sua madre quando era un bambino, degli sforzi di suo padre per conciliare l’amatissimo lavoro con la condizione di genitore solo. Ammise anche la scarsa dimestichezza di Uther con tutto quello che riguardava comprensione, libertà, messa in discussione degli ordini e affetto.
Raccontò a Merlin di Morgana, sua sorella,  ribelle ed energica com’era, non aveva tollerato a lungo quella situazione e, appena maggiorenne, aveva lasciato la loro casa per non tornare mai più. Ogni tanto Arthur la sentiva per telefono, ma erano anni che non la vedeva. Con uno strano sorriso Arthur pensò che forse Merlin le sarebbe piaciuto, che sarebbe stata contenta di saperlo vicino a lui.
Il biondo raccontò di come a stento avesse tollerato la figura paterna negli anni della crescita, in tutta la giovinezza, ma di come non se l’era sentita di abbandonare il padre, ora che non aveva veramente nessuno a parte lui. Sentiva che, se a costo di qualche sacrificio poteva evitare di distruggere completamente la vita del padre era sua responsabilità impegnarsi per non farlo.
Diventando più grande, poi, aveva preso in carico gran parte dell’azienda, lasciando al padre solo un ruolo di immagine che fosse però abbastanza pomposo da soddisfare il suo ego, era riuscito a ritagliarsi e guadagnarsi la propria indipendenza, i propri spazi e la propria vita.
Merlin lo guardava parlare sperando che non finisse mai, ammirando il suo tono fermo e serio, la sua grande calma e obiettività di chi aveva affrontato i problemi della propria vita come nemici da sconfiggere con strategia e perseveranza. Di chi c’era in parte anche riuscito.
Quando decisero di tornare in paese a entrambi sembrava fossero passati anni da quando erano saliti lì in cima. Erano storditi e contenti di quel loro raccontarsi, svelarsi piano o velocemente, ridendo o seriamente, di quel mostrarsi in viso aperto e donarsi reciprocamente parti di sé, che faceva una paura terribile e, allo stesso tempo, accelerava il cuore fino a sentirlo sotto la pelle e ovunque. Erano elettrizzati da quel che sentivano per l’altro, ma troppo confusi per lasciarlo trapelare chiaramente, così tutta quell’agitazione scorreva nei loro movimenti, nei gesti, nelle risate e negli occhi, che si incontravano e si incontravano, ma poi si lasciavano per paura di rimanerci bloccati dentro a vicenda.
 
******
 
Ormai era passato un mese da quando Merlin e Arthur si erano trovati a parlare delle proprie vite in cima alla montagna.
I due ragazzi continuavano a lanciarsi frecciatine, Arthur calpestava lo spogliatoio con le scarpe sporche e Merlin cercava di stenderlo a suon di stracci lanciati in testa, Arthur gli regalava radici e bacche che raccoglieva dai cespugli del paese, presentandosi come un “brava persona che si prende cura dei ragazzini denutriti” e Merlin, indignato, gli toglieva il saluto, anche se era solo per costringere l’altro a offrirgli un caffè per riottenere la possibilità di prenderlo in giro.
Era chiaro che tra loro stava nascendo qualcosa di particolare, Arthur era affascinato sempre più da quel ragazzo strambo e divertente, che ogni giorno riusciva a stupirlo con qualche idea o attività strampalata, Merlin era colpito dall’ironia di Arthur, ma anche dalla sua sicurezza, dalla caparbietà con cui affrontava e superava le difficoltà della vita, con un senso del dovere che forse lui non aveva mai avuto. In qualche modo, forse, Arthur era qualcosa che gli era sempre mancato, una persona sicura e divertente in grado di prendere sulle proprie spalle le difficoltà senza gettarle addosso a chi era più debole di lui. Quando gli portava radici e fiorellini di campo da mangiare, però, rimaneva il solito babbeo.

****** 
 
Sembrava fosse una tradizione, lì in paese. Tutti ne parlavano, a partire dagli anziani boscaioli fino ad arrivare a Gwaine, che, in realtà, era da mesi che assillava tutti con questa storia.
Avevano addirittura montato un palco all’interno del campo da basket (che avrebbe svolto la funzione di pista da ballo) e Arthur, vedendo le minuscole dimensioni di quel palco si chiese se i rozzi abitanti di Lois e tutte le loro mucche e pecore avessero mai visto una festa o un concerto come si deve.
Quando venne annunciato che sarebbe stato presente addirittura un furgoncino che preparava crepes Arthur giunse alla conclusione che no, decisamente la parola “festa” non avevano nemmeno l’idea di cosa potesse significare.
Fatto sta che quella Sagra di paese di mezza estate  rendeva tutti felici e frizzanti e ognuno era indaffarato a preparare cibo e dolci, a sistemare i gazebo e allestire tavoli e panche per gli stand gastronomici.
Ovviamente, notò Arthur, Merlin era riuscito ancora una volta a farsi coinvolgere nelle strampalerie dei paesani e lo vedeva tutto il giorni correre su e giù per il paese, facendo del suo meglio per aiutare chiunque gli chiedesse un favore, primo tra tutti il vecchio Gaius, che aveva intenzione di allestire una bancarella per la vendita di tartufo ed erbe aromatiche.
E infine venne la sera della festa.
Nonostante tutto il brulicare dei giorni precedenti le aspettative di Arthur erano alquanto scarse.
Non migliorarono affatto quando vide che praticamente tutti gli anziani montanari del luogo, insieme, evidentemente, a tutti quelli di tutta la valle e dei paesi vicini, si erano radunati lì.
Un grande gazebo era stato montato nel prato vicino al campo da basket-pista da ballo, sotto c’erano un sacco di tavoli dove veniva servito cibo tipico del luogo.
Arthur si stupì, ma in fondo neanche così tanto, quando vide Merlin, con un grembiule alquanto malconcio, scorrazzare su e giù lungo i tavoli portando vassoi in equilibrio estremamente precario.
Arthur si avvicinò all’altro, comparendo nel suo campo visivo e facendogli quasi rovesciare tutto dalla sorpresa.
“Oh, Arthur. Anche tu qui? Sei addirittura uscito dal tuo ufficio luccicante per venirti a mescolare con noi gente del popolo?” disse ironico, ma il suo sorriso era così sincero che Arthur perse un attimo a riprendersi prima di rispondere.
“Un cavernicolo come te a servire ai tavoli? Se viene un controllo sanitario farai chiudere tutto!”
“Perché non sei mai stato in cucina” ridacchiò Merlin. Poi afferrò dal uno dei piatti che teneva sul vassoio uno stuzzicadenti su cui era infilzato un salatino dall’aria sfiziosa e lo porse ad Arthur con aria ammiccante. “Senti che buoni questi, io ne ho già ehm, assaggiati un sacco...”
“Ma...” si indignò Arthur accettando però il regalo “Rubi dai piatti che porti?!”
“Solo un po’” rispose l’altro e, con un sorriso complice, gli strizzò l’occhio, prima di allontanarsi tra i tavoli.
Mentre assaporava il salatino e usciva dal gazebo con i tavoli Arthur si chiese come mai ogni volta che incontrava Merlin ne usciva così imbambolato e, fece fatica ad ammetterlo a sé stesso, incantato.
Dalla sua spontaneità, dalla sua autenticità, dal suo...
Una mano si abbatté sulla sua spalla a mo’ di saluto.
“Gwaine! Le buone maniere proprio non te le hanno insegnate...”
“Certo che me le hanno insegnate, principessa, ma devo averle dimenticate da qualche parte. Comunque, parlando di cose serie, a chi stavi pensando con quell’aria trasognata...?”
“Ma cosa dici, non stavo pensando a nessuno” Tagliò corto Arthur con la sua migliore aria seria e distaccata, guadagnandosi comunque un’occhiata inquisitrice da parte di Gwaine. “Guarda, là ci sono gli altri, andiamo a salutarli...”
In fondo, pensò Arthur qualche ora dopo, quella festa paesana non era poi così male. Chiacchierare con i suoi amici, con Elyan, Leon, Lancelot, Percival (che per l’occasione sfoggiava una maglia smanicata nuovissima) e, ovviamente Gwaine, non era affatto spiacevole. In fondo l’atmosfera era allegra, i paesani  chiacchieravano a voce alta intorno a loro e, man mano che la sera procedeva, le voci erano sempre più alte e i bicchieri sempre più vuoti.
Ormai erano le nove di sera quando la pista da ballo cominciò ad animarsi. La musica era terribilmente paesana, ma probabilmente Arthur aveva già bevuto abbastanza per riuscire a non trovarla spiacevole. C’era un che di magico e semplicemente spensierato nelle coppie di anziani che volteggiavano più o meno goffamente sulla pista, nell’aria della sera, nelle risate con i suoi amici, nella testa un po’ pesante e annebbiata dovuta all’ennesimo bicchiere di vino rosso bevuto.
Un paio d’ore dopo la situazione non era particolarmente cambiata, se non che la maggior parte degli anziani se ne era già andata e la musica, pur rimanendo terribilmente provinciale, era leggermente più giovanile. I suoi amici si erano sparpagliati da qualche parte e Arthur era rimasto appoggiato a un muretto, con la splendida vista sulla pista da ballo.
In più c’era un’altra diversità non indifferente per Arthur. Merlin, a quanto pareva, aveva terminato di lavorare, si era tolto il grembiule sudicio e, con indosso un vecchio paio di pantaloni marroni e una maglietta scolorita, si era lanciato in pista, insieme ai pochi altri che ancora ballavano imperterriti.
Arthur non poteva fare a meno di osservarlo e, sebbene i pensieri circolassero nella sua testa piuttosto pesanti e rallentati, come grosse balene cofuse, doveva ammettere che Merlin riusciva a sorprenderlo anche mentre ballava.
Non è che fosse un ballerino provetto, era piuttosto scoordinato, come se le gambe e le braccia fossero troppe cose da gestire tutte insieme e bene nello stesso momento, però il suo non era nemmeno un dimenarsi casualmente nello spazio. Era certamente un ballo, però uno così personale e insolito, così mai visto in altre persone che risultava difficile catalogarlo in un qualche modo.
Merlin ballava da solo, ma sorrideva e, dall’aria leggermente ebete del suo sorriso Arthur dedusse che probabilmente, oltre ai salatini, doveva essere riuscito ad acciuffare anche qualche bicchiere di vino dalle cucine. Merlin ballava solo e spensierato, in quel suo modo allegro da cerbiatto impacciato e Arthur quasi si strozzò con la saliva quando vide, dall’altra parte della pista Gwanie procedere direttamente verso Merlin.
Per un momento fu preso dall’inspiegabile volontà di lanciare il bicchiere in testa all’amico, poi però optò più saggiamente per scolarsi il vino che gli era rimasto, abbandonare il bicchiere in un cestino e dirigersi il più rapidamente possibile verso Merlin.
Gli si avvicinò mentre l’altro gli dava le spalle, continuando la sua danza allegra e solitaria, evitò all’ultimo secondo una gomitata sul naso e passò un braccio intorno alla vita del ragazzo, che sobbalzò spaventato.
“Arthur!” Merlin si girò e lo fissò con occhi enormi e stupefatti.
“Posso chiederti l’onore di questo ballo, ragazzino selvatico?” chiese Arthur formale, tradito però da un sorriso smagliante.
“Sono ore che aspetto che tu me lo chieda!” rispose Merlin con un  sorriso sghembo e un po’ brillo. Portò le mani intorno alle spalle di Arthur, mentre quest’ultimo gli cingeva i fianchi con le braccia.
Quando la musica attaccò un pezzo quanto mai scatenato, però, entrambi si accorsero che avevano leggermente sottovalutato lo stato delle loro connessioni mente-corpo.
Forse era possibile che entrambi avessero esagerato un pochino con vino, così quello che doveva partire come un ballo di trasformò in una specie di danza tribale di coppia, dove entrambi si dimenavano senza freni sorridendo brilli e felici.
Alla dodicesima volta che si pestavano i piedi a vicenda scoppiarono a ridere così tanto che Merlin quasi collassò addosso ad Arthur, con la testa appoggiata al suo petto. Entrambi continuavano a sussultare da ridere, si guardarono negli occhi, si abbracciarono il più stretto possibile e comicniarono a vorticare come una trottola folle per tutta la pista da ballo ormai semideserta.
Avvinghiati e frastornati come non mai accelerarono sempre più, creando il panico nei pochi che ancora occupavano la pista, finché non inciamparono goffamente nei reciproci piedi, schiantandosi in modo contorto sul pavimento.
Massaggiandosi la testa alquanto confuso Merlin si accorse di essere seduto a cavalcioni sull’altro, l’altro che, nello specifico, teneva la mani sulle sue cosce.
“Arthur... Arthur” biascicò Merlin cercando di concentrarsi senza successo “Mi stai ... toccando...”
Arthur scoppiò a ridere sotto di lui, contagiando un Merlin ormai completamente stordito.
“No, Merlin, cosa te lo fa credere? Mmm?”
Le mani di Arthur salirono verso l’alto, passarono lentamente sul sedere di Merlin fino a cingergli i fianchi.
I loro sguardi si incontrarono per un istante e non riuscirono a staccarsi, entrambi incantati, stupiti, felici e...
“Ehi, principesse, appartatevi almeno, ci sono dei bambini qui!” li interruppe la voce ilare di Gwaine.
Come se fosse stato fulminato da una scossa elettrica Merlin balzò in piedi con aria terrorizzata, per poi inciampare nuovamente sui propri piedi e cadere nuovamente.
Arthur, ancora per terra, non riusciva a controllare le risate.
Quando infine riuscirono a tirarsi in piedi tutti e due Merlin, con aria terribilmente assorta, di mise a guardare in direzione del bosco.
“Che c’è?” chiese l’altro, traballando vistosamente, cercando di mettere a fuoco qualsiasi cosa che potesse esserci nel bosco. La sua testa che autonomamente ciondolava a destra e a sinistra senza controllo non lo aiutava particolarmente nel compito.
Infine Merlin lo prese deciso per un braccio, l’aria seria e concentrata che si contrapponeva all’andatura vistosamente ondeggiante.
“Il bosco ci chiama, andiamo a rispondergli!”
A dispetto del tono da condottiero che aveva usato, l’andatura con cui si muoveva era alquanto ridicola. A braccetto e ciondolanti, ridacchiando in modo ebete i due si diressero verso il bosco, seguendo il sentierino che portava alla tenda di Merlin.
“Fermati!” disse Merlin in tono misterioso, bloccandosi davanti a una grande quercia. Arthur lo guardò confuso.
“Quercia...” Merlin biascicò quello che nella sua testa era una chiamata piena di sentimento “Sei tu che ci stai chiamando?”
Arthur scoppiò a ridere in modo incontrollabile, e Merlin si girò verso di lui con aria offesa.
“Cosa c’è da ridere? Non mi vuole rispondere...”
Arthur ormai si contorceva dalle risate.
“Quercia, non lo ascoltare, è uno sciocco....” biascicò ancora Merlin, facendo un passo avanti verso l’albero. “Dai, facciamo la paceee!”
Con grande slancio Merlin abbracciò amorevolmente l’albero. “Vieni, Arthur, fai la paceee anche tu...”
Arthur non era proprio sicuro di star facendo qualcosa di logico o sensato, ma in fondo chi era lui per rifiutare la pace di un albero?
Si avvicinò e aderì al corpo di Merlin, allargando le braccia per circondare il ragazzo moro e l’albero contemporaneamente. Merlin ora aveva chiuso gli occhi e teneva la faccia appoggiata con la guancia alla corteccia dell’albero, mentre il calore del corpo di Arthur contro il suo gli infondeva una profonda tranquillità.
Stettero fermi così per alcuni minuti, tanto che Arthur pensò che l’altro si fosse addormentato.
Invece dopo un po’ Merlin aprì gli occhi e si girò verso di lui con aria sconvolta.
“Arthur...” disse, con un’espressione serissima “Sento un bruco che mi cammina tra i capelli...”
Merlin si liberò dall’abbraccio e cominciò a dimenarsi come un indemoniato, passandosi le mani tra i capelli e borbottando parole incomprensibili, mentre Arthur sghignazzava a quella scena, cercando con fatica di reggersi sulle proprie gambe.
Infine proseguirono lungo il sentiero appena visibile in direzione della tenda. Merlin aveva i capelli tutti in disordine e continuava a blaterare cose senza senso su alberi e bruchi con aria indignata, mentre Arthur, che non era abituato a camminare al buio, sbatteva contro ogni ramo e rametto che si sporgeva nel sentiero.
“Eccola” disse Merlin quando avvistò la tenda appena visibile nell’oscurità “Avanti mio prode...” Inciampò nuovamente nei propri piedi e si schiantò per terra, la caduta appena attutita dalle foglie del sottobosco.
Raggiunse l’ingresso della tenda gattonando e anche aprire la cerniera fu una questione tutt’altro che immediata.
Infine rotolò dentro, seguito poco dopo da Arthur.
“Arthur...” sussurrò Merlin, facendo accelerare il battito del cuore all’altro ragazzo “Chiudi la zanzariera, che entrano... i bruchi...”
“Sei proprio un citrullo” ridacchiò Arthur, chiudendo la cerniera della tenda.
Si distese nel buio e si girò su un fianco. Allungò un braccio finché non trovò il corpo di Merlin accanto al suo. Passandogli il braccio intorno alla vita lo tirò a sé, la schiena del moro contro il suo petto. Merlin gli si acciambellò contro, ascoltando il suo respiro lento, sentendo il suo profumo tenue finché non si addormentò.
 
 
*******
 
Angolo dell’autrice.
Salve a tutti, anche se col solito ritardo sono qui (a questo punto credo che l’aggiornamento possa passare al venerdì).
Comunque in questo capitolo succedono parecchie cose, spero che il risultato sia IC ed equilibrato.
Spero anche che voi abbiate apprezzato leggere queste pagine come io mi sono divertita a scriverle. Ovviamente ci terrei tantissimo a sapere il vostro parere in una recensione (alla fine un “scrittore” di fanfiction vive di questo! <3 )
Grazie infinite a tutti quelli che hanno recensito, che preferiscono, seguono o ricordano la storia, al prossimo capitolo,
_Falsa Pista_

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Capitolo 5
*** Capitolo 5. ***


 
.Capitolo 5.
 
Merlin era sveglio ormai da qualche minuto ma non osava muovere nemmeno un muscolo, battere neanche una ciglia per non modificare neppure di un centimetro la situazione in cui si trovava.
In cui si trovavano.
Merlin era trascorso da un vortice di emozioni esaltanti e ambivalenti, si sentiva terribilmente bene, rilassato, in pace con se stesso e il mondo, d’altra parte, però, il suo cuore era in preda a un terremoto, lo sentiva battere ovunque dentro di sé, come se la sua contentezza gli impedisse di mantenere un ritmo regolare.
Merlin era sdraiato sulle coperte stese sul pavimento della sua tenda, la luce entrava delicata attraverso le pareti colorate della tenda.
Merlin era sdraiato sul fianco e Arthur lo teneva abbracciato a sé, mentre dormiva e ogni respiro del biondo era una carezza sul collo di Merlin.
Merlin chiuse gli occhi di nuovo, per concentrarsi e cercare di imprimere dentro di sé ogni dettaglio di quel momento perfetto.
Il delicato peso del braccio di Arthur sulla sua vita, i punti in cui le loro gambe di toccavano, il suono dei respiri rilassati, quello degli uccellini nel bosco intorno a loro e i passi di qualche piccolo animale tra le foglie.
I due ragazzi rimasero immobili per alcuni lunghi minuti che Merlin assaporò appieno, poi, con una sorta di mugolio gutturale, Arthur si girò dall’altra parte nel sonno, sciogliendo inconsapevolmente l’abbraccio con l’altro ragazzo.
“Stupido Arthur” protestò Merlin, che avrebbe voluto rimanere sdraiato abbracciato all’altro per almeno altre dieci ore.
Il più silenziosamente possibile scavalcò il corpo dell’altro, aprì le cerniere della tenda e uscì nell’aria fresca del mattino. Quando si alzò e sentì una fitta di mal di testa si ricordò in un lampo di quello che era avvenuto la notte precedente , o, almeno, alcuni confusi lampi di lui e Arthur che ballavano scoordinati, che inciampavano ovunque, che abbracciavano alberi e parlavano di bruchi...
Ridacchiò leggermente imbarazzato per se stesso, ma poi pensò che, se la conseguenza era quella di trovarsi abbracciato a Arthur nella tenda, le cose non erano andate poi così male.
Riaprì la tenda quel tanto che bastava per prendere ciò che gli serviva, poi si diresse alla sua personalissima doccia nel bosco, per rinfrescarsi fisicamente e mentalmente e cercare di mettere in fila almeno un paio di pensieri coerenti prima del risveglio dell’altro.
Ancora una volta i sentimenti dentro di lui erano i più diversi: da una parte aveva voglia di saltellare dalla gioia per il fatto che Arthur ricambiasse i suoi sentimenti, dall’altra era terrorizzato che fosse tutta un’idea nella sua testa, che magari l’altro era solamente ubriaco, che magari si era solo sbagliato, fatto prendere dal momento, era terrorizzato dall’idea di tornare dall’altro e sentirsi dire che, mi dispiace Merlin, sei un bravo ragazzo, un buon amico, però non ho nessuna intenzione di stare seriamente insieme a te...
Quando inciampò in una radice perché troppo distratto dai suoi pensieri decise finalmente di darsi una calmata e aspettare le cose per come sarebbero venute, senza fare previsioni folli e imprevedibili, col rischio molto più concreto di storcersi una caviglia nell’ennesima caduta.
Merlin si lavò e si cambiò, girovagò raccogliendo alcune bacche di prugnolo dai cespuglio circostanti e, infine, tornò verso la tenda.
Quando vide Arthur seduto davanti alla tenda mentre beveva un po’ d’acqua nell’attesa del suo ritorno fu preso da un insano terrore e il primo istinto fu quello di darsi alla fuga a gambe levate. In fondo avrebbe potuto sopravvivere nel bosco anche per mesi, no?
Resistere fu difficile, ma riuscì ad avvicinarsi all’altro sperando che la sua espressione facciale non tradisse tutti i suoi pensieri.
“Cos’è quella faccia, Merlin?”
“Eh? Cosa? Quale faccia?” rispose Merlin impacciato. Ecco, come non detto.
Si sedette di fianco all’altro, non sapendo bene quale distanza fosse quella giusta. Si guardarono e per un attimo Merlin sentì che negli occhi dell’altro ci avrebbe potuto benissimo annegare, anzi, ci avrebbe voluto annegare senza possibilità di essere salvato...
Terrorizzato distolse lo sguardo e in quel momento si ricordò delle bacche che teneva in mano.
“Tieni, ho preso alcune bacche, provane una...” offrì all’altro.
Arthur guardò le piccole bacche violacee con la sua migliore espressione scettica: “Non è che è un tuo modo originale per farmi fuori? Hanno un’aria terribilmente letale...” disse dubbioso.
“Ma cosa dici, sei il solito asino, ti pare che io non sappia...”
Si bloccò quando Arthur afferrò una bacca dalla sua mano.
“Perché non le mangi prima tu, mmm? Ragazzino selvatico...” e il suo tono era diventato basso e in qualche modo dolce e Merlin sentì i pensieri dissolversi quando vide la mano di Arthur avvicinarsi alle sue labbra.
Fu poi il turno del suo respiro di scomparire quando sentì la consistenza liscia della bacca sfiorare il suo labbro superiore e rotolare lenta lungo tutto il contorno. Schiuse impercettibilmente la bocca e la piccola bacca venne spinta al suo interno, mentre il pollice dell’altro continuava ad accarezzargli le labbra dolcemente.
La scia del dito deviò sulla sua guancia, mentre Arthur catturò i suoi occhi in uno sguardo da cui era impossibile slegarsi, da cui non avrebbe voluto farlo per niente al mondo.
Si avvicinarono con una lentezza esasperante per i loro cuori agitati , per i loro sguardi ormai sfuocati, per tutto il tempo in cui si erano desiderati.
Quando le loro labbra si sfiorarono Merlin sentì all’improvviso ritornargli il fiato, sentì il cuore pulsare nel petto, nella nuca, nelle dita che correvano ai capelli dell’altro.
Poi i pensieri di entrambi si annullarono e rimasero solo gli occhi chiusi, le dita sulla pelle e le labbra che si sfioravano dolcemente.
Le paure di Merlin si erano ormai dissolte quando cominciò a carezzare con la lingua le labbra dell’altro, lentamente,  sorridendo quando sentì l’altro rabbrividire sotto al suo tocco.
Quando Arthur si sdraiò sulle foglie secche del sottobosco e Merlin si stese sopra di lui la lentezza del bacio si era ormai trasformata in urgenza, in passione, in due cuori che battevano disordinati, accelerati ma, finalmente, insieme.
 
***
 
Nei giorni successivi sembrava che i due ragazzi non riuscissero a stare lontani l’uno dall’altro.
I colleghi di Arthur notarono in lui un’inusuale buon umore, cosa di cui certo non si lamentavano; lo videro reagire sorridendo quando un segretario inciampò e gli rovesciò il caffè sui pantaloni, non si arrabbiò neppure eccessivamente quando scoprì che qualche ignoto aveva osato segnargli la sua amata auto bianca con un parcheggio maldestro.
Merlin, da canto suo, sembrava letteralmente svolazzare per il paese. La sua gioia di vivere, già solitamente non scarsa, ora raggiungeva quote quasi tangibili, sembrava avesse un’aurea positiva intorno a sé, cosa che faceva alquanto sorridere tutti quelli che lo incontravano. Inoltre questa positività era seguita da un gentilezza ancora maggiore del solito e il ragazzo correva da tutte le parti per cercare di aiutare chiunque potesse avere bisogno di lui.
Era un pomeriggio sul tardi quando stava giusto aiutando il pastore a radunare il gregge per portarlo nella piccola stalla in fondo al paese. Quel compito gli piaceva un sacco, lo divertivano le pecore con la loro aria mista tra indifferente e terrorizzata, lo divertivano quando balzavano spaventate se lui le stuzzicava con un bastoncino per non farle disperdere, gli piaceva Golia-Ettore, il piccolo meticcio che gli scodinzolava intorno.
Inoltre, gli piaceva passare davanti al bar dove Arthur solitamente si trovava a quell’ora, dove Arthur solitamente lo aspettava a quell’ora.
Infatti.
Un sorriso enorme e sincero si aprì sul suo viso quando vide il biondo alzarsi dal tavolino e avvicinarsi a lui.
Quando ormai era a meno di un metro di distanza, però, il biondo alzò una mano aperta e lo fermò.
“Merlin, non intenderai davvero avvicinarti di più?”
Il ragazzo lo guardò perplesso, inclinando leggermente la testa di lato.
“Perché no?”
“Come perché? Sei vestito da... pecoraio...”
“Si dice pastore” puntualizzò Merlin.
“Mentre io ho i miei migliori abiti da rappresentanza, non vorrei davvero doverli buttare...” per Arthur era alquanto difficile mantenere un’aria seria mentre diceva tutte quelle sciocchezze ma, dall’espressione offesa di Merlin, ci stava riuscendo perfettamente.
“Benissimo, tanto io ho già qualcun altro che non esita ad abbracciarmi e baciarmi...” si girò “Golia, vieni qui!”
Il piccolo meticcio, si avvicinò abbaiando gioioso.
Quando il moro fece per chinarsi verso il cane Arthur mise una mano sulla sua spalla. “Non ci pensare neanche”.
Gli prese il viso tra le mani e lo baciò.
Il bacio era dolce e profondo, il loro abbraccio sempre più stretto.
Merlin passò lentamente la lingua sui denti di Arthur, per poi mordergli il labbro inferiore e, infine staccarsi.
Si guardarono negli occhi. In quelli di Merlin c’era un ché di irriverente. “Sei geloso di un cane, Arthur?”
“Stai zitto!” tagliò corto Arthur “Piccolo selvatico impertinente” aggiunse poi parecchio dolcemente, prima di unire di nuovo le loro labbra.
 
***
 
Evidentemente il rispetto per il lavoro altrui era qualcosa che nessuno aveva mai insegnato a quei bifolchi, pensava Merlin mentre guardava i ragazzi della squadra di calcetto entrare con le scarpe sporche infangando orribilmente quello che lui aveva amorevolmente pulito poco prima.
Era qualcosa di affascinante vedere quanto potesse essere rapido il passaggio da uno spogliatoio pulito e brillante a una sorta di stalla infangata e disordinata. Qualcosa di affascinante e terribile.
Merlin, con un sospiro sconsolato, si lasciò cadere sconsolato su una panca.
“Siete terribili, insensibili, maleodoranti, irrispettosi...” cominciò a lamentarsi sconsolatamente.
“Arthur caro” cominciò Gwaine con tono ironico “perché non vai a consolare la tua principessina così che possa smettere di infastidire tutti con i suoi sgraziati lamenti...?”
Tutti scoppiarono a ridere e il momento di distrazione fu fatale a Gwaine, che ricevette uno straccio infangato dritto in faccia.
Il ragazzo colpito perse l’equilibrio e cadde per terra, sulla schiena. Da sotto lo straccio che gli copriva il viso, però, continuavano a provenire i rantoli di una risata sguaiata.
“Che principessina irascibile!”, poi si alzò a sedere di scatto e rilanciò lo straccio al mittente alla velocità della luce.
“Ahia!” si lamentò Merlin.
“Irascibile e delicata!” rincarò la dose  Gwaine, e di nuovo si alzò un coro di risate.
Quello che seguì fu una sorta di battaglia degli stracci, che terminò con una serie di ragazzi esausti, infangati, gocciolanti acqua sporca. Quando Merlin, ripresosi un attimo dopo essere scivolato sul pavimento bagnato, si accorse della situazione terribile in cui versava lo spogliatoio e a cui lui avrebbe dovuto porre rimedio esalò un gemito disperato.
“Mi spiace, Merlin” disse Elyan in tono comprensivo “ma hai iniziato tu!”

***

Infine i ragazzi erano usciti, più o meno ripuliti e sorridenti, mentre a lui era toccata la parte peggiore, ossia riportare quel caos primordiale ad un ordine più umano.
In fondo non è che gli dispiacesse poi troppo quel lavoro, certo, non era molto emozionante o avventuroso, ma era quel che gli serviva per vivere degnamente la sua vera avventura. Oltretutto aveva un che di piacevole partire da pavimenti fangosi e maglie sporche e arrivare a una stanza pulita e ordinata.
Stava pulendo il vetro canticchiando quando senti un paio di braccia circondargli i fianchi. Sussultò, ma di contentezza.
“Arthur, che ci fai qui?”
Ma poi tacque, poiché Arthur aveva iniziato a baciargli lentamente il collo, una mano che correva a carezzargli i capelli, l’altra ancora sul fianco.
“Lascia stare un po’ tutti questi stracci e secchi...”
“Se permetti questi stracci di cui parli sono il mio lavoro...”
“Shhhh”
E, per una volta, Merlin decise di non controbattere, dato che le labbra di Arthur avevano cominciato a baciargli la pelle dietro l’orecchio, poi a leccargli piano il loro, poi di nuovo il collo. E non poté trattenere un gemito rilassato quando il biondo gli morse piano un certo punto alla base del collo.
Quando  le mani di Arthur si infilarono sotto la maglia e cominciarono a carezzargli la pelle la tranquillità si trasformò in desiderio, si voltò e, portando le mani ai lati della testa dell’altro, si sporse a baciarlo.
Partì come un bacio dolce, ma, colpa delle carezze sotto la maglia, dell’odore della pelle dell’altro su di sé, del silenzio intorno a loro, crebbe sempre di più, finché Merlin non si trovò con la schiena contro il muro, con Arthur contro di sé, mentre si stringevano forte come se ne dipendesse la loro vita stessa.
Quando i loro bacini si sfregarono gemettero piano e fu molto, molto difficile, per Merlin, interrompere il bacio.
“Arthur, non credo che sia il caso qui...” era così confusamente felice e stordito che faticava a trovare le parole, a staccare gli occhi dalle labbra dell’altro.
“Vieni da me sta sera” disse allora Arthur, che non sembrava messo molto meglio.
Arthur cercò gli occhi dell’altro.
Vi lesse quello che cercava.
Sorrise, poi si chinò a baciarlo ancora una volta.
 
 
***

Angoletto dell’autrice.
Salve a tutti, benvenuti al nostro capitoletto del venerdì!
Capitoletto breve ma dove, tutto sommato, succede quello che tutti attendevamo da un bel po’ (o almeno quello che io attendo sempre quando leggo le storie altrui).
Come sempre ci terrei tantissimo a leggere le vostre recensioni, che sono la linfa vitale di ogni autore.
Ringrazio tutti quelli che stanno leggendo la mia storia, al prossimo capitolo,
_Falsa Pista_

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Capitolo 6
*** Capitolo 6. ***


.Capitolo 6.

 
Quando sentì bussare alla porta Arthur balzò in piedi in maniera alquanto esagerata.
Decisamente doveva calmarsi, dopotutto era solo Merlin, il suo ragazzo, per la precisione la prima volta che veniva a casa sua con l’intenzione di... Arthur scosse la testa, doveva calmarsi. Intenzione di cosa, poi, magari Merlin voleva solamente guardare la televisione, magari gli mancava la corrente elettrica...
Dalla porta bussarono ancora e finalmente Arthur si decise a muoversi.
“Si può sapere perché bussi come un medievale, hanno inventato un dispositivo magico che si chiama campanello...Selvaggio che non sei altro...”
“Lo so che esiste il campanello, ma è così aggressivo che non mi piace. Senti come è più bello il rumore di uno che bussa” e rialzò il pugno per picchiettarlo alcune volte contro la porta.
toctoctoc
“Se vuoi puoi rimanere lì a importunare la porta per tutta la sera, nel caso avessi bisogno io sono dentro”
“Eh?” chiese confuso Merlin, poi si rese conto che probabilmente era il caso di entrare.
Vedere Merlin, con i suoi vecchi jeans scoloriti e un maglione blu scuro infeltrito muoversi un po’ impacciato nel proprio appartamento moderno fece ad Arthur uno strano effetto. Si accorse che, probabilmente, era la prima volta che vedeva Merlin all’interno di un ambiente chiuso che non fosse lo spogliatoio del campo sportivo. Era strano come quel ragazzo sembrasse estraneo, quasi alieno, alla tv al plasma, al tavolino di vetro con le riviste, al divano in pelle e al cassone ergonomico del condizionatore appeso alla parete. Per la prima volta fu colpito da quanto diverso fosse il mondo di Merlin rispetto al proprio, ma a colpirlo ancora di più fu la consapevolezza di quanto ormai fosse legato a quel ragazzo, alla sua aria curiosa e stupita, a quel suo modo di fare allo stesso tempo agile e goffo,  al sorriso ammaliante che aveva in volto mentre gli si avvicinava attraverso la sala.
Quel qualcosa di irrisolto dentro ad Arthur in qualche modo trovò la propria collocazione quando l’altro, senza dire una parola, gli si gettò tra le braccia e prese a baciarlo, lento e deciso, inesorabile.
Arthur ricambiò con altrettanta passione, spingendo il compagno contro il muro, i loro corpi che aderivano il più possibile l’uno con l’altro.
Le mani di Arthur si fecero strada sotto il maglione dell’altro, sulla pancia, lungo i fianchi, in alto verso il petto, e Merlin mugolava piano nel bacio quando queste si fermavano a stringere più forte in qualche punto. Infine Arthur afferrò l’orlo inferiore del maglione blu e lo sfilò, per poi fermarsi un attimo a contemplare il torso nudo dell’altro, magro, la pelle abbronzata, il disegno dei muscoli appena accennati e delle ossa sotto di essa.
Fu in quel momento che Merlin lo guardò negli occhi e ammiccò con un sorriso così incredibilmente non fraintendibile che Arthur sentì un brivido di eccitazione percorrergli la schiena.
Prese Merlin per un braccio e lo condusse nella propria camera, accese solo la abatjour e quando si girò fu l’altro a spingerlo a sedere sul letto.
Fu quasi incantato nel vedere Merlin salirgli a cavalcioni sulle gambe, con quel suo sorriso sghembo e la sua pelle scoperta.
Fu quasi terrorizzato, mentre portava le mani ai fianchi dell’altro, nel rendersi conto che non era mai stato a letto con un uomo prima di allora.
Ma Merlin sembrava avere preso in mano la situazione, e il suo sorriso e il suo sguardo avevano una nota maliziosa e provocante che non gli aveva mai visto prima di allora.
Le mani di Merlin era delicate e sicure e gli tolsero la maglietta.
Arthur sentì tutto il fiato uscirgli dai polmoni in un sibilo quando l’altro cominciò a baciargli il collo, a morderlo, quando scese sul petto muscoloso mentre le dita sfioravano lente ed estenuanti la pelle intorno all’ombelico.
Ma Arthur si era sentito tanto abbandonato sotto il tocco di qualcuno, mai si era sentito così leggero e inebriato.
Merlin lo spinse indietro, Arthur si sdraiò e fu lo spettacolo più bello e eccitante del mondo vedere Merlin slacciarsi i pantaloni e sfilarli, le gambe snelle e nude, vederlo spogliarsi del tutto.
Risalì sul letto, di nuovo a cavalcioni di Arthur, che nel frattempo si era spogliato a sua volta.
Si strinsero di nuovo in un bacio che sembrava mandare a fuoco le loro viscere, i loro cuori, la loro pelle a contatto.
Arthur ribaltò le posizione e Merlin, ora sotto di lui, allargò le gambe, cingendogliene una attorno alla vita.
Merlin gli afferrò la nuca con una mano, portandogli la testa vicino alle labbra.
“Quanto vuoi aspettare ancora prima di iniziare a fare sul serio” i suoi occhi luccicarono di desiderio “Sto cominciando ad avere una certa urgenza...”
A confermare le parole afferrò le prime due dita della mano di Arthur e se le infilò in bocca, passandoci intorno la lingua nel modo più allusivo possibile.
“Non ti facevo un tipo così audace, piccolo selvaggio”, ridacchiò Arthur, stordito più che mai da quello spettacolo elettrizzante.
Merlin sfilò per un attimo le dita dell’altro dalla bocca.
Sorrise in modo conturbante.
“Aspetta quando, al posto delle dita, ci sarà qualcos’altro ”
 
***
 
Il caldo di agosto era soffocante anche in quel paese di montagna e i due ragazzi, per cercare un po’ di sollievo, si erano stesi sotto l’ombra di un albero frondoso, al limitare del bosco.
Da quando conosceva Merlin, rifletteva Arthur guardando assorto le diverse tonalità di verde delle foglie sopra al proprio capo, era davvero molto più rilassato. Mai, fino a quell’anno avrebbe mai pensato di trovare piacevole passare un pomeriggio libero sdraiato sotto un albero, con il ronzio degli insetti che si spostavano da un fiore all’altro e il solletico delle formiche che impertinenti salivano sulle braccia e le gambe nude.
Si poteva dire che, incredibilmente, quando qualche mese prima aveva deciso di dare un passaggio a quello strampalato ragazzo, era stata la scelta più assurda e giusta della sua vita.
Si udì una serie di starnazzi rumorosi provenire da qualche parte intorno a loro, Merlin sembrò risvegliarsi di scatto dalla quiete in cui versava e si tirò in piedi a velocità allarmante, Arthur guardava la scena senza capire.
“Merlin, ma cos’è questo rumore?”
Ma Merlin non sembrava averlo ascoltato, scrutava il cielo come se dovesse comparire una navicella aliena da un secondo all’altro. Arthur stava cominciando a spazientirsi per tutta quella situazione confusa ma, prima che potesse trovare le parole per esprimere il proprio disappunto il rumore sgraziato crebbe di intensità e, in alto sopra di loro, comparve uno stormo di oche selvatiche.
“Eccole! Le oche! Da quanto non le vedevo!” Merlin sembrava in preda a una gioia incredibile, ancestrale, che lo portava a correre sul prato alzando le braccia come a salutare lo stormo di passaggio.
Arthur era sempre più confuso. Decisamente ci doveva essere qualcosa che gli sfuggiva in tutta quella situazione e, a meno che Merlin non fosse uno di quelli che vedevano buoni auspici nel volo degli uccelli, tutto quell’entusiasmo era fuori luogo.
Si alzò bruscamente, si avvicinò al moro e l’acchiappò per un braccio. “Merlin!” lo spinse di nuovo a sedere, “Calmati!” e completò il tutto con uno scappellotto sulla nuca.
“Ahia! Cattivo, ma che ti ho fatto?”
“Si può sapere cos’hai da strillare tanto?”
“Ma non hai visto? Sono passate le oche migratrici!”
Evidentemente, per Merlin, quell’informazione doveva servire a spiegare entusiasmo, grida,  movimenti sconclusionati e tutto il resto.
Peccato che così non fosse.
“E perché, di grazia, uno stormo di oche rappresenterebbe un evento così incredibilmente fantastico da mettersi a ballare in mezzo a un prato?”
Merlin lo guardò con un’aria strana, come se pensasse stesse scherzando; quando si accorse che era serio assunse un’espressione leggermente offesa per la mancanza di comprensione della’altro.
“Le oche che migrano” cominciò a spiegare “hanno in sé qualcosa di magico, di antico e affascinante, secondo me. Le oche hanno questa specie di bussola interna che permette loro di viaggiare attraverso i continenti senza perdere la rotta, percepiscono il tempo e le stagioni e sanno sempre quando è il momento di partire. Le oche che migrano sono animali che per sopravvivere hanno bisogno di spostarsi, non possono vivere da sedentarie, spostarsi e, in qualche modo viaggiare, è nella loro natura.
Merlin parlava e aveva un’aria sognante e libera e, mentre guardava il ragazzo che amava, Arthur sentì, per la prima volta da quando stavano insieme, una crepa di distacco insinuarsi tra di loro e, improvvisamente, si accorse di quanto sottile fosse il filo su cui stavano camminando.
 
***
 
Dopo quei mesi di spensieratezza, dolcezza e incanto, la realtà tornò a bussare alla porta dei due ragazzi.
L’estate stava cominciando a sfumare in un caldo autunno e, anche se non ne parlavano, entrambi sapevano che c’era una decisione più grande di loro ad attenderli. Cercavano di ignorare il problema, di non pensarci, di stringersi e baciarsi, di amarsi il più forte possibile ora, subito, quasi con dolore.
Ma la realtà non mutava, non si cancellava. Non cambiava.
Merlin sorrideva spesso, ma meno di frequente i suoi occhi brillavano e spesso si incantava a guardare il cielo, guardare il bosco, il volo degli uccelli o le prime foglie gialle sugli alberi. Guardava tutto ciò che c’era e cambiava intorno a lui, guardava tutto per non dover guardare dentro di sé, dove c’era quel bivio, dove c’era quella scelta che, davvero, non voleva dover prendere.
Non voleva che esistesse.
Certe volte, quando sedeva davanti alla tenda nell’aria fredda della sera, sentiva le lacrime scorrergli lungo il viso, sentiva quella scelta lacerargli l’anima da dentro, odiava la vita che lo costringeva a quel bivio, odiava se stesso che, pur avendo trovato la felicità in Arthur, non sapeva accontentarsi e tenersela stretta così com’era.
Pensò a Ulisse che partiva per mare, ma poi anche a Ulisse che tornava alla sua isola.
Pensò a quanto fossero salate le lacrime sulle sue guance, pensò a perché la vita mette il sale dentro le lacrime e le persone davanti a scelte con un potenziale distruttivo.
Un gufo lanciò il suo grido da lontano, ma, lo stesso, Merlin non riuscì a trovare la pace che cercava nell’abbraccio protettivo del bosco.
 
***
 
Le cose, rifletteva Arthur, possono precipitare anche quando si sceglie di ignorarle e, nonostante tutti i loro sforzi, nulla si era sistemato da solo.
Arthur, che grazie a Merlin aveva imparato quanto potesse essere dolce e consolatorio l’abbraccio della natura,si era messo in cammino per un sentiero nel bosco che doveva portare, se ricordava bene, a una vecchia casupola abbandonata.
Aveva bisogno di stare solo.
Pensava a Merlin, a quanti toni di luminosità aveva perso il suo sorriso, pensò lo stesso del proprio.
Pensò a quanto ingenui erano stati a pensare che tutto sarebbe potuto continuare nel tempo senza che la realtà venisse a bussare alle loro porte.
Invece la realtà era venuta e portava con sé la verità.
La verità era che loro erano diversi, incredibilmente diversi, diversi passati, stili di vita. Ma soprattutto diversi sogni, obiettivi, modi in cui affrontare la vita.
Tra pochi mesi sarebbe arrivato l’inverno, Merlin avrebbe dovuto lasciare la tenda e, allora, cosa sarebbe successo? Sarebbe partito o sarebbe restato?
Immaginare Merlin lontano, magari in un altro stato, era qualcosa che davvero faceva fatica a sopportare, però...
Se anche fosse rimasto, se fosse andato a vivere insieme ad Arthur, sarebbe comunque stato un uccello con le ali tarpate. Arthur pensò con affetto al sorriso libero e felice di Merlin, all’espressione indomita ed energica che aveva quando l’aveva conosciuto, l’espressione che l’aveva fatto innamorare di lui. Immaginare Merlin mettere a tacere quella parte di sé era totalmente insopportabile, soprattutto se la causa di tutto ciò era lui stesso.
Però... Però non aveva soluzioni.
Più volte aveva provato a immaginare se stesso a vivere come faceva Merlin e sapeva che non avrebbe mai potuto funzionare.
La stessa sensazione di estraneità che proveniva dalla vista di Merlin nel proprio appartamento, alle prese con televisore, computer, condizionatore e profumatore per ambienti sarebbe stata la sua a vivere in una tenda, senza bagno, cucinando su un fuoco e lavandosi nei torrenti.
Per quanto potevano sforzarsi di provare a vivere come l’altro, la verità era quel loro modo di vivere non sarebbe mai potuto appartenere all’altro.
Nonostante tutto il loro amore, il loro impegno, la loro volontà, sarebbe passato un po’ di tempo, ma poi  non sarebbero riusciti ad evitare che Merlin diventasse chiuso e insofferente e, nel caso contrario, Arthur nervoso e intollerante e allora si sarebbero lasciati, intolleranti l’uno all’altro.
Arthur sentì una fitta di puro dolore nel profondo del petto.
Forse...Forse, rispetto a quella prospettiva, preferiva sapere Merlin lontano, lontano e irraggiungibile ma, almeno, felice.

***
 
 
Angolo dell’autrice.
Ecco il penultimo capitolo di questa mia storiella senza pretese. Nonostante la prima parte spensierata nella seconda le cose cominciano a mettersi male...
E’ possibile per due anime così diverse riuscire a stare insieme? Secondo voi ce la faranno?
Lo scoprirete al prossimo capitolo!
In ogni caso ringrazio moltissimo tutti quelli che leggono, seguono e recensiscono questa storia, ci vediamo al prossimo capitolo,
_Falsa Pista_
P.S: vuoi diventare un EROE anche tu rendendo speciale la giornata dell’autrice? Se sì recensisci, anche solo in poche righe, esprimendo quello che pensi: renderai fantastica la giornata di qualcuno (me)! :)

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Capitolo 7
*** Capitolo 7. ***


.Capitolo 7.
 
Arthur si fermò.
 Il sentiero sfumava in una sorta di piccola radura che si apriva davanti alla piccola casupola che ricordava.
Un vecchio cartello con scritto VENDESI era appeso sbilenco alla porta e, chiaramente, la casetta era abbandonata da anni, come dimostravano le erbacce e i rampicanti che coprivano l’ingresso e correvano sui muri.
Però, a parte quello, non sembrava nemmeno messa troppo male, pensò, forse per distrarre un po’ la mente dai torvi pensieri che l’avevano occupata.
Si sedette su un vecchio tronco abbattuto e cominciò a fissare il vuoto con aria incantata, i pensieri che si accavallavano e urtavano rapidi e turbolenti, come se stessero elaborando una qualche informazione particolare, quasi essenziale.
Infine spalancò gli occhi.
Forse, forse...
 
***
 
Arthur correva, sudava, scivolava con le scarpe lisce sulla terra e i sassolini del sentiero.
Però era come se quell’idea l’avesse attraversato come corrente, come un fulmine, come una scossa, ed era così simile a una soluzione accettabile e giusta per entrambi che doveva correre a cercare Merlin. Prima che corresse il rischio di vederla sfumare via, prima di correre il rischio di pensarci troppo, di fare troppe considerazioni logiche, prima di avere troppa paura di un rifiuto e rinunciare a priori.
Merlin, come sempre, non aveva idea dove trovarlo, perché quel selvatico mangiaradici non aveva il cellulare e, ovviamente, non rimaneva mai nello stesso posto per più di dieci minuti. Mentre, sempre più affannato, correva tra le case del paesino in cerca di quel disadattato del suo ragazzo si chiese come cavolo avessero fatto a sopravvivere per millenni le persone senza poter comunicare e trovarsi in maniera istantanea. Già solo l’irritazione di correre a vuoto come un pazzo bastava a fargli salire la pressione e i livelli di stress, e dire che lui era ancora giovane!
Cercò Merlin al campo sportivo, negli spogliatoi, a casa di Gaius e tra le vie del paese.
Infine, quando ormai la sua corsa frenetica si era tramutata in un trotto stanco, vide una sagoma sparire tra gli alberi, lungo un sentiero che portava nel bosco.
Corse in quella direzione, raggiunse la figura all’ombra degli alberi e gli mollò uno scappellotto sulla nuca.
“Aiha!!” si lamentò Merlin “ma che cavolo ti salta in mente, razza di stupido asino...”
“Sono due ore che ti cerco” replicò Arthur. Va bene, forse aveva leggermente esagerato, però doveva dire a Merlin ciò che gli era venuto in mente, e tutto dentro di lui era destabilizzato, un equilibrio alternato che dava ora sulla gioia ora sulla catastrofe. Quell’incertezza lo stava divorando e mandando su di giri allo stesso tempo.
“Non è mica colpa mia” protestò Merlin. “Si può sapere cosa vuoi?” il suo tono era abbastanza brusco, però era troppo stupito da quell’arrivo a sorpresa per potersela prendere davvero con Arthur.
“Sì, giusto” Arthur cercò di concentrarsi sull’obiettivo di tutto quel correre e cercare. Si guardò intorno, tentennò, fece per parlare. Guardò in faccia Merlin, sorrise un po’ incerto e gli carezzò uno zigomo con la mano.
Gli occhi blu del moro erano il ritratto della confusione.
“Vieni, ti devo mostrare una cosa”
Il ritorno verso il punto in cui quell’idea era nata sembrava cento volte più lungo rispetto a prima. Arthur sentiva crescere l’agitazione, come se ogni passo lo avvicinasse a un crollo inaspettato. Le cicale gli sembravano più rumorose, gli insetti più fastidiosi, Merlin, che camminava curioso dietro di lui, ancora più stupendo e unico del solito.
Per un attimo pensò, considerò seriamente l’ipotesi di fermarsi, dire a Merlin che era tutto uno strano e stupido scherzo e dimenticare il più presto possibile quell’assurda idea.  Si accorse che quell’idea risultava suo malgrado come una specie di ultimatum non voluto, come l’unica possibilità di rimanere insieme, però, allo stesso tempo, se Merlin non l’avesse condivisa, avrebbe significato una sorta di conferma al fatto che, in fondo, erano troppo diversi per stare insieme.
Forse avrebbe dovuto lasciare stare, rimanere in silenzio e godersi tutti i giorni insieme a Merlin, il più a lungo possibile, prima di vederlo, prima o poi, partire verso qualche posto lontano.
Però non era da lui.
Per quanto quell’idea lo spaventasse, lo terrorizzasse, non era certo il tipo di persona che lasciava perdere e, finché era ancora aperta una possibilità, avrebbe tentato, nonostante il valore della posta in gioco.
“Arthur, sono molto contento di passeggiare insieme a te.... Però,” chiese Merlin cautamente, forse percependo la tensione dell’altro “Dove stiamo andando di preciso?”
Svoltarono l’ultima curva del sentiero, passarono davanti alla casa in vendita e, finalmente, Arthur decise di fermarsi.
“Qui”
Merlin si guardò intorno perplesso, poi vide un grande ceppo tagliato, ci salì sopra e si accoccolò, seduto sui talloni, con le braccia intorno alle ginocchia. In quella posizione guardava Arthur perfettamente negli occhi e nel suo sguardo Arthur vi lesse l’invito a spiegare il perché di tutto quello.
Vedere Merlin accoccolato in quella posizione impossibile, così semplice, spontaneo, bello e spettinato fece stringere il cuore ad Arthur che, al di là di tutte le parole che gli si affastellavano nella mente, si sporse a baciare il suo ragazzo.
Un bacio lento, estremamente intenso, pieno di brividi e emozioni trasmesse tra pelle e pelle. Un bacio morbido, le mani dell’uno sul viso dell’altro, le lingue ad accarezzarsi sinuose.
Infine si staccarono, la loro bolla privata scoppiò, il ronzio delle cicale e degli gli insetti tornarono ad assordare le orecchie di Arthur.
Merlin sembrava ancora più confuso, un po’ stordito dal bacio, un po’ curioso.
“Dunque...” iniziò Arthur e, anche a pensarci, non c’era più niente da dire o fare per rimandare quel terribile momento.
“Ora ti devo proporre una cosa, però non è una cosa semplice, cioè, lo è. In sé è una cosa semplice, però comporta delle decisioni abbastanza complicate da parte nostra. So che può sembrare stupida come cosa, però, io, davvero, non sono riuscito a trovare nessuna soluzione migliore.
Ora, il problema è che ho capito che c’è qualcosa, tra di noi, che avrà il potere, presto o tardi, di separarci. Al di là di quanto forti possano essere i nostri sentimenti, al di là di quanto possiamo amarci, le nostre nature sono diverse, profondamente diverse, e credo che su questo ci abbia riflettuto anche tu.
Merlin annuì piano, attentissimo e silenzioso, dall’alto del suo ceppo.
“Se si parla di qualche mese possiamo adattarci, però sarà sempre un sacrificio che avrà il potere di distruggerci, prima uno, poi, l’altro, o anche insieme. Quello che voglio dirti è che io non potrò mai fare la tua vita, viaggiare il mondo in tenda, vivere alla giornata, però so anche che nemmeno tu potresti mai vivere in una casa come la mia, in un mondo fatto di uffici, riunioni e aria condizionata.
Dalla sua espressione, era chiaro che Merlin capiva esattamente tutto il discorso.
“Ci ho pensato molto, in questo periodo, a come fare, perché, davvero, Merlin, tu sei la persona più dannatamente importante che io abbia mai incontrato, sei la persona con cui io sono più libero, più sincero, più me stesso e... e ti amo.” Si guardarono un attimo negli occhi e il loro sguardo era una scossa elettrica.
“Ora, però, arrivo al punto. Quello che ho pensato è questo” e fece un gesto ampio con le braccia “intendo proprio questo, questa casa. La mia idea sarebbe quella di comprare questa casa prima che cada completamente a pezzi, di sistemarla, per evitare che ci crolli in testa, e venirci a vivere insieme, io e te. Credo che possa essere un buon compromesso o, almeno, il migliore possibile E’ in mezzo alla natura, ha l’orto, è fatta di legno, di sassi e tutto quanto, senza apparecchi moderni e tecnologici, però, allo stesso tempo, è una vera casa, con un bagno e un letto e una cucina e l’elettricità e, magari non è proprio il nostro ideale personale di casa, però potrebbe essere il nostro ideale comune di casa, ciò che meglio ci riassume, il nostro punto di incontro migliore. E poi, se vorrai, potremo viaggiare, ogni tanto, anche un mese all’anno, o di più, se riusciamo, dei bei viaggi in tenda intorno al mondo per soddisfare la tua natura da vagabondo, però insieme. Se vorrai rifiutare sappi che lo capirò e che ti lascerò sempre libero, però quello che voglio proporti è questo: compriamo questa casa, sistemiamola e viviamoci,... insieme”
Quando finì di parlare era sudato, accaldato, col fiato corto come dopo una corsa affannosa.
Le cicale frinivano più che mai.
Merlin, immobile dall’alto del suo ceppo, lo guardava come una civetta e stava zitto.
 
***
 
Ormai era autunno inoltrato e la maglietta a mezze maniche non era più sufficiente, nemmeno nelle ore più calde del pomeriggio.
Il bosco si colorava di marrone, giallo, rosso e arancione e anche il cielo aveva una sfumatura meno accecante ma più serena rispetto all’estate, più malinconica.
La tenda di Merlin era stata tolta da un pezzo dalla radura nel bosco, un cerchio di pietre delimitava ancora il luogo dove veniva acceso il fuoco.
Il ferramenta del paese vicino aveva ricevuto parecchi ordini di tavole di legno, assi, martelli e tasselli e strumenti vari, il vecchio cartello vendesi era stato rimosso dalla casa nel bosco.
“Ecco fatto!”
“Sei sicuro di aver tappato tutti gli spifferi, io sento un freddo...” si lamentò Arthur, mentre sistemava il materasso matrimoniale sul pavimento. Il letto ancora non l’avevano, però, finalmente, si erano procurati un materasso.
“Perché sei vecchio, io, che sono giovane e in forma, non sento nessun freddo!” lo prese in giro Arthur.
“Ah, sì? E allora come mai hai addosso quel maglione di lana di pecora polare?” agguantò il suo ragazzo per un braccio magro e, nonostante le sue proteste gli tolse l’enorme maglione che indossava. Caddero sul materasso, ma non sembrano nemmeno troppo dispiaciuti della cosa.
“E ora? Hai ancora caldo?”
Merlin annuì con aria di sfida, però, effettivamente, starsene sdraiato sul materasso, con Arthur sopra di lui una certa dose di calore gliela procurava.
“Bugiardo”
“Ho caldissimo, invece” affermò Merlin, prima di venir zittito dalle labbra di Arthur sulle sue.
Il bacio, quello sì, era davvero caldo, avvolgente, intenso e già le mani di Arthur stavano esplorando la pelle sotto la maglia di Merlin quando il biondo cacciò un grido.
“Ahia!”
“Che hai?” chiese Merlin un po’ confuso.
“Mi hai fatto male alla gamba!”
“Io?” Merlin sgranò gli occhi “E come cavolo avrei fatto?”
“E allora chi è stato?” Arthur si sedette e guardò il piccolo segno rosso sulla sua caviglia.
“Ehm... lui, credo. O lei”
Merlin indicò un lato della stanza ancora mezza vuota, Arthur seguì il dito.
“E quello che diavolo è?” una specie di scoiattolo paffuto e grigio li osservava intimorito da un angolo “Uno scoiattolo brutto?”
“Un ghiro, direi” corresse Merlin.
“Merlin...” il tono di Arthur non era affatto rassicurante.
“Si...” Merlin, invece, suonava splendidamente innocente.
“Non avevi chiuso tutti i buchi e gli spifferi?”
“Ehm, quasi tutti”
“Merlin, razza di...”
Ma Merlin era più rapido, si era tolto la maglietta e gli era salito a cavalcioni, per baciarlo con una passione tale che lo scoiattolo brutto scese immediatamente in basso nella lista delle priorità di Arthur, mentre salì quella di eliminare un bel po’ di vestiti che separavano la loro pelle.
Arthur avvicinò le labbra all’orecchio di Merlin.
“Piccolo ragazzino selvaggio” bacio sul collo, “ Bugiardo” altro bacio, “Manipolatore” i baci divennero morsi, i sospiri di Merlin piccoli gemiti.
“Non riuscirai a distrarmi, piccolo selvatico...” mugolò Arthur, mentre le sue mani percorrevano le cosce di Merlin.
“No, infatti, non ho nessuna intenzione di distrarti...” lo rassicurò Merlin ridacchiando, mentre si sbottonava i pantaloni.
Il pomeriggio era assolato e silenzioso, un ghiro stava rintanato sotto un armadio di legno scuro, la casa era piena di spifferi e i due ragazzi facevano l’amore su un materasso poggiato per terra.
Nulla poteva andare meglio.
 
 
***
Angolo dell’autrice.
Che dire, siamo giunti all’ultimo capitolo.
Non so se ve lo aspettavate, ma in fondo anche io tifo per il lieto fine (almeno nelle fan fiction).
Spero solo che abbiate apprezzato questa conclusione, in ogni caso una piccola recensione fa sempre piacere. <3
Grazie a tutti quelli che hanno recensito, letto, seguito, preferito e ricordato questa storia.
Un abbraccio
_Falsa Pista_
(L’autrice ritorna in letargo soddisfatta)

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