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<< Mamma, cos’è una nemesi? >>
<< Dove l’hai sentita questa parola? >>
<< L’ha detta papà! Cosa vuol dire? >>
<< eheh, che domanda complicata per un piccolo soldatino. Perché
t’interessa tanto, tesoro? >>
<< … non lo so. >>
<< E’ per via del tuo sogno, quello che fai quasi ogni notte? >>
<< … Forse. Allora, che vuol dire? Lo sai o devo chiederlo al nonno? >>
<< oooh, quanta impazienza! Non sono sicura, ma possiamo guardare
sul vocabolario, se ti preme così tanto saperlo. >>
<< Si, per favore! >>
<< Allora, vediamo … dove l’ha messo tuo padre? Ah, eccolo qui .. >>
 
Frush .. frush … frush
 
<< Dunque … nemesi: Personificazione della giustizia, in quanto garante di misura e
di equilibrio; modernamente intesa come fatale punitrice della tirannide e dell'egocentrismo attraverso le
alterne vicende della storia. Complemento della parola vendetta. >>
<< … tutto qui? >>
<< Si. Perché cosa ti aspettavi, soldatino? >>
<< … niente, mi basta! …. Mamma, posso dormire con te stanotte? >>
<< Non dirmi che un ometto di sette anni come te ha paura dei
brutti sogni … >>
<< io … non credo sia un brutto sogno, ma … ho paura lo stesso. >>
<< E va bene, tesoro. Ma ricordati quello che ti ha detto
il nonno ieri sera. I soldier 1st class … >>
<<  …  non hanno paura. >>
<< Mh! >>
<< … mamma … >>
<< Si? >>
<< C’ho ripensato. Stasera voglio vedere cosa succede. >>
 

I 1st non hanno paura. Ma … sarà vero?
 

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ELABORAZIONE DATI IN CORSO …
CONNESSIONE …
 
“ ‘ Nel momento stesso in cui vidi quei due piccoli ed inquietanti mostri pararsi davanti a noi realizzai che eravamo praticamente morti.
Solo uno di voi Soldier può riuscire a sconfiggerli, ma per un civile non c’è nulla da fare. La morte ci stava chiamando, era giunta l’ora. Ma forse quelle creature non erano venute per Victor. Forse volevano solo me, pensai. Potevo salvare almeno lui, un bambino innocente che aveva tutta la vita davanti. Ma quello che non avevo previsto avvenne nel momento stesso in cui la mia mente formulò quel pensiero, e ancora prima che potessi muovere un solo muscolo in sua difesa.
Vidi ergersi quel piccolo braccio in alto, col palmo ben rivolto verso i nostri aggressori, uno dei quali aveva appena compiuto una di quelle loro mortali capriole.
Poi un lampo di luce accecante mi costrinse a raggomitolarmi su me stesso per non rimanerne accecato, e quando finalmente potei alzare gli occhi verso Victor lo vidi emettere un profondo respiro esausto per poi lasciarsi cadere a terra, in mezzo alle due creature morte.
Mi mossi d’istinto e accorsi a stringerlo tra le mie braccia ancor prima che il suo piccolo corpicino cadesse impotente a terra, e mentre posavo un orecchio sul suo petto per accertarmi che fosse ancora vivo lo sentii emettere un breve uggiolio seguito da un altro lieve sospiro altrettanto breve, come quello di un cucciolo addormentato che sogna.
Fu allora che mi resi conto di ciò che era veramente accaduto, di quella verità che suo nonno forse aveva già intuito e che fino a quel momento era stata celata anche a Victor stesso.
Il suo piccolo corpo da bambino conteneva un potere molto più grande delle sue capacità, una forza sovrumana che qualcuno o qualcosa gli aveva donato al momento del concepimento e che non avrebbe potuto continuare a restare nascosta per tutta la durata della sua vita.
Avete ragione, Signor Sephiroth, a dire che Victor è speciale.
Ma essere speciali un mondo come questo è molto più orribile di quanto voi e la vostra Shinra vogliate farci credere, lo so.
E non feci che pensarci quel giorno, dal momento in cui stringendolo me lo caricai in braccio posando la sua testolina sulla mia spalla e stringendo la sua manina destra, quella che ci aveva difeso e che adesso era calda, quasi bollente, come tutto il suo corpo.
Mio figlio, il mio unico figlio … non era più mio.
Lo capii solo in quel momento, e mi maledissi per aver avuto l’iniziativa quel giorno di portarlo a vedere quella maledetta grotta nel bosco vicino al lago, piangendo fino a che tutte le lacrime che avevo in corpo non si esaurirono.
Guardavo il paesaggio scorrere davanti a me, ma la mia mente seguitava a pensare a ciò che era successo poche ore addietro, a come avrei potuto evitare di perdere l’unica gioia che il pianeta mi aveva donato. Nell’ansia e nella paura del momento pensai anche ad un piano elaborato per tenere nascosto a Victor ciò che gli era successo, nella speranza che dopo aver riaperto gli occhi non fosse più stato memore di ciò che aveva fatto nella radura. Ne parlai anche con mia moglie, e dopo un’animata discussione riuscii a convincerla che era la cosa migliore per tutti.
Ma ogni cosa si vanificò quando, quella sera stessa, Victor si presentò di fronte a noi e mi chiese serio.
 
<< I mostri … li ho uccisi? >>
 
Il sangue mi si raggelò nelle vene, mentre i suoi occhi di bambino erano puntati nei miei come se volesse cercare di prevenire ogni eventuale bugia che avrei potuto cercare di rifilargli al posto della verità. Improvvisamente sembrava più grande della sua età, un piccolo soldatino ligio al suo dovere. Un piccolo uomo intrappolato nella rete della Shinra, pensai. Perché sarebbe stata questa la fine che avrebbe fatto.
Mi limitai ad annuire, vidi il sorriso comparire sulle sue labbra e una profonda soddisfazione guizzare nei suoi occhi, mentre sua madre per un attimo trattenne il fiato insieme a me, fino a che lui non tornò a dormire nella sua stanza, stringendo a se quel piccolo Soldier 1st class giocattolo dal quale non si separava mai.
Io invece, da quel giorno non riuscii mai più a dormire. L’avevo perso, per sempre. Non era più mio figlio, non lo sarebbe stato mai più. Sarebbe andato dritto al macello, fiero di essere al servizio di quegli schifosi delle Shinra come la loro prossima gallinella dalle uova d’oro. Ed io avrei potuto soltanto stare fermo a guardare mentre sfoggiava fiero quella divisa, mentre difendeva a spada tratta gli assassini di quel suo mondo che non gli è mai interessato. Lui e quelli della Shinra … non sono poi così diversi, in fondo.
Anche se … è stata soltanto colpa mia.
Mia e della mia stupida convinzione che avrebbe potuto rimanere bambino per sempre! ’
 
L’uomo s’interruppe senza più riuscire a continuare, anche se comunque non sarebbe più stato necessario. Visibilmente scosso, abbassò il volto rosso dalle lacrime e strinse i pugni sul tavolo così forte e così a lungo che la pelle raggrinzita diventò bianca a causa della mancanza di sangue.
In silenzio, Sephiroth osservò la donna posare le sue dolci e piccole mani sulle spalle forti del marito e sussurrargli qualcosa nell’orecchio. Lui annuì, continuando a tenere il viso basso, e mentre una lacrima correva veloce sul piano in legno del tavolo, Erriet Osaka tornò a guardarlo col suo solito sorriso affabile
 
<< C’è una cosa che deve vedere, Signore. >> gli disse, prima di aggirare il tavolo e portarsi davanti a lui, verso il corridoio << Venga. >> gli disse.
 
E senza farsi pregare il 1st class dai lunghi capelli albini si accodò, lasciando da solo quell’uomo disgustoso che aveva cercato con tutte le sue forze di impedire a suo figlio di sfruttare al massimo il proprio potenziale, solo ed esclusivamente per paura di perderlo.
Infantile … e totalmente da vigliacchi.
 
INTERRUZIONE DATI …
   
Contro ogni mia più rosea previsione, queste vacanze cominciano davvero a dare i loro frutti. Stamane ho provato a simulare qualche mossa di katana con la sinistra e non sono rimasto affatto deluso. La mia mente, sgombra e più concentrata che mai esclusivamente sul mio più grande obbiettivo, sembra scorrere fluida lungo il piccolo bastone da esercitazione fino a colpire con precisione quasi millimetrica anche il piccolo filo d’erba col quale mi sono accanito in questo momento.
Sono sorpreso, devo ammetterlo. Anche perché sono passati appena diciotto giorni da quando ho ripreso ad allenarmi con dedizione, maggior attenzione e severità rispetto a come facevo nei giorni successivi al mio arrivo, e dopo così poco tempo non mi aspettavo una così rapida ripresa.
Anche la mia povera mano destra collabora. Ogni tanto la sento lamentarsi, ma è un dolore così impercettibile e sordo che il più delle volte non me ne accorgo neppure.
Ora posso muovere l’indice, anche se impercettibilmente, e questo mi fa sperare che magari andando più in là col tempo, se la fortuna sarà al mio fianco come lo è stata fino a questo giorno, potrò riacquistare autonomia, almeno per concedermi i piccoli piaceri insignificanti della vita che ora mi mancano, come bere un caffè o stringere tra le dita un piccolo oggetto, e non escludo neppure che potrei addirittura riuscire a chiudere il pugno un giorno. Ma non mi sbilancio, perché se c’è una cosa che non devo più fare è proprio questa, perciò mi limito a seguire gli eventi adattandomi di conseguenza. Anche in questo ho imparato molto stando qui, e un po’ e anche merito di quella ragazza che da qualche minuto è seduta a qualche metro da me e mi guarda trafiggere l’aria col mio bastone da allenamento, avvolta in uno kimono color fiore di pesco e con i capelli legati in tre piccoli chignon sulla testa per mezzo di alcuni sottili nastri di raso color rosa pallido.
Sto imparando ad usare anche un’altra arma, completamente diversa dalla mia katana e da quello scomodo bastone da combattimento. Un revolver vecchio stampo che era appartenuto a suo nonno e utilizzato sempre per legittima difesa contro i delinquenti e i mostri che infestavano le praterie, gli stessi contro i quali ho combattuto la mia primissima battaglia il giorno in cui scoprii i miei poteri.
Avvistai l’arma sette giorni fa, poggiata sulla credenza nelle piccolo corridoio che separava la piccola hall dalla sala da pranzo, sotto una grande cornice che proteggeva la foto dell’uomo al quale era appartenuta, e subito ripensai alle parole che Sephiroth mi rivolse il giorno in cui compii il test che mi assegnò la katana. Hai mai pensato di imparare ad usare una nuova arma?
Hikari deve averlo capito subito, perché mi si avvicinò e mi disse che era da parecchio che non avevano più bisogno di usarla, e che se volevo potevo farlo io.
Continuo ad essere certo che non si stesse riferendo a nessun tipo di arma da fuoco, tuttavia a quell’affermazione pensai “Cosa m’impedisce di provare? In fondo mi sarà solo utile, e come tiratore potrei non essere così male come credo.”
Unico problema, avrei dovuto imparare a manovrarla con la mano sinistra come stavo facendo con la katana. Ma non appena la impugnai scoprii che anche questo era relativo, perché ormai la sinistra sembrava essersi abituata ad essere la nuova star del momento, e poi il grilletto era ben oliato e facile da premere. Così quando ero troppo stanco per gli allenamenti fisici mi concedevo qualche attimo di tempo per imparare ad usare quella vecchia pistola non così tanto arrugginita, e alla fine non solo scoprii che la mia mira non faceva neanche tanto schifo quanto credevo, ma decisi anche di riservare al tiro a segno la prima ora e mezza del mio allenamento mattutino.
Ora comunque quella pistola giace nell’erba di fianco ad Hikari, tra un paio di bottiglie d’acqua e qualche fetta di torta di mele, accomodata in un grazioso piattino di ceramica bianca nell’improbabile caso che iniziassi a sentire fame.
Ma è quasi mezzogiorno, e sebbene abbia iniziato ad allenarmi appena mezz’ora prima dell’alba non sento nulla, né la sete, né la fame e neppure la stanchezza.
Non mi sarei accorto neppure della presenza di Hikari se la sua ombra non avesse fatto capolino sull’erba lucente del lago, verso le nove e trentacinque del mattino.
Di solito non amo allenarmi col fiato sul collo, a meno che a mettermelo non sia Sephiroth, ma con Hikari non riesco ad arrabbiarmi, anche perché so che le non si lascerebbe spaventare e puntualmente mi ritroverei con i sensi di colpa per averla trattata da schifo. Perciò, visto che sono ore ormai che seguita ad osservarmi senza interferire, decido che un’ora di pausa posso anche concedermela e smetto di tormentare il povero albero che è costretto a subire le mie stoccate, concedendomi qualche minuto per rilassare i muscoli e rendermi conto dell’ambiente intorno a me.
Quando sono arrivato stamattina, il lago dormiva silenzioso e pacifico mentre una debolissima brezza increspava la superficie, e nel cielo i primi bagliori di luce solare erano talmente flebili da non riuscire a illuminarne solo impercettibilmente il manto nero puntellato ancora dalle stelle, anche se qualcuna aveva già iniziato a scolorirsi.
Ora invece, l’atmosfera è totalmente diversa. Il sole rifulge sul verde della vegetazione facendolo sembrare vivo e più splendente che mai, mentre il dolce vento tiepido della mattina è tornato a far oscillare le chiome degli alberi, i fili d’erba dei prati e il tessuto delicato del kimono di Hikari.
Io non indosso molto, solo il pantalone morbido della tuta da allenamento nera che ho portato da casa, e solo ora scopro che se non sono sudato è tutto merito del vento che soffia sul mio petto scolpito e mantiene la temperatura a livelli accettabili.
Mi fa male un po’ il collo, forse per via della tensione al quale ho sottoposto i muscoli. È un dolore impercettibile, ma non sono contento. Male, mi dico, molto male. Non va bene perché significa che non combatto ancora con lucidità, e visto che la tecnica sembra essere molto migliorata ora devo pensare a questo. Lancio un’occhiata alla superfice azzurra e pacifica del lago, lasciando che il sole che si riflette su di essa trafigga per qualche attimo i miei occhi fino a quasi a farli lacrimare, ma proprio in quel momento una mano di Hikari afferra dolcemente il mio braccio e l’altra mi fa inclinare il viso in controluce, verso di lei, posandolo sulla mia guancia.
 
<< Ma che fai? >> le dico, ma non sono infastidito, anzi sento le mie labbra colorarsi di un sorriso.
 
I suoi occhi s’illuminano e sorridendo timidamente lei mi dice, a gesti. Finirai per accecarti se fai così!
Rido, prendendo la sua mano, ancora sulla mia guancia e piegando la testa all’indietro.
 
<< Ti preoccupi per me? Ti ringrazio! >>
 
Anche lei sembra ridere, perché si nasconde la bocca con la mano libera e poi mi tira un piccolo pugno sulla spalla scuotendo la testa.
Ma no, stupido! È per i tuoi occhi, non vorrei rischiare di perdermi lo spettacolo!
Un altro scroscio di risate parte dalla mia bocca e si espande nell’aria intorno a noi. Si certo, penso un po’ compiaciuto, i miei occhi.
E sto per risponderle quando i nostri sguardi s’incastrano l’uno nell’altro, come attratti da una forza molto più potente della nostra volontà, e solo allora capisco veramente che non è un gioco. In tutti queste giorni lei non stava mai giocando, e forse non lo stavo facendo neanche io quando mi sono ritrovato a raccontargli della mia vita a Midgar, a stringerla tra le mie braccia mentre dormivamo in riva al lago. Ho sempre pensato che lo facevo solo per non sentire la nostalgia di casa, per tenerezza nei confronti di quel viso così dolce e bambinesco, di quello spirito così innocente e per questo così diverso dal mio. Ma ora … ora non ci capisco più nulla, e senza accorgermene lascio che le sue mani piccole e dolci sfiorino nuovamente le mie guance e che le sue piccole labbra si avvicinino così tanto alle mie fino a riuscire a sfiorarle. E solo allora riesco a capire cosa mi sta accadendo, cosa stiamo per fare, e mentre la paura mi morde improvvisamente il cuore facendomi sobbalzare in preda ad un attacco di tachicardia io la allontano voltandomi nuovamente verso il lago e cercando affannosamente di ritornare a respirare.
Sono stato innamorato solo una volta, e dopo il mio ingresso in SOLDIER lei ha deciso che avrei dovuto perdere anche questo privilegio, così come avevano fatto i miei amici prima di lei. “Ho troppa paura, e non potrei vivere sapendo che stai rischiando la vita per loro!” mi aveva detto, riferendosi con disprezzo al Presidente ed ai suoi sottoposti. Paura di cosa? Pensai in quell’attimo, mentre la vidi allontanarsi per sempre dalla mia vita tra le strada buie e semideserte di Midgar senza neanche degnarsi di darmi un ultimo bacio. Sono io quello che ha dovuto sottoporsi alle iniezioni di Mako ogni santissimo giorno, rinchiuso in quella claustrofobica capsula di contenimento circondato da perfetti sconosciuti. Sono stato io a vedere i miei compagni trasformati in copie di Genesis, tutti uguali e senza più una loro personalità. Tu non c’eri, quando mio padre mi disse che non sarebbe più stato al mio fianco, quando ho dovuto scegliere tra il risolvere gli enigmi nella mia mente e continuare a crogiolarmi nell’anonimato rassegnandomi a vivere il resto della mia vita ignorando ciò accade intorno e dentro me. Non sai cosa si prova a combattere fianco a fianco ad un uomo, seguirlo e diventare il suo stimato allievo per poi vederlo improvvisamente scomparire dalla tua vita come se non fosse mai esistito, così com’è successo ad Angeal e Zack, e scommetto che non hai dovuto combattere contro la rabbia, il dolore e la diffidenza della gente come te, che detesta la Shinra ma vive accettando di essere nutrita e sfamata da essa. Di cosa hai paura tu?
E’ questa la domanda che continua a rimbombare nella mia mente come un ruggito che preme contro la mia bocca per esplodere. Chiudo gli occhi e stringo il pugno sinistro mentre sento salire nuovamente le lacrime. Ho dedicato la mia vita alla ricerca di una risposta ai miei sogni, e forse l’ho fatto anche per non pensare a tutto il dolore che provai in quegli attimi in cui anche mio padre mi aveva voltato le spalle, pezzi di vita ancora così vicini a me, impossibili da dimenticare. Avevo giurato che non sarebbe mai più capitato e invece … mi sono innamorato di nuovo. E adesso mi preparo a sputarle in faccia tutto il mio rancore, e le mie più grandi paure.
 
<< Non possiamo farlo, Hikari. Scordatelo! >> ringhio non appena lei mi si para davanti, ritrovando tutta la freddezza di cui sono capace.
 
Ma come sempre lei non si lascia intimidire, e con gesti semplici e discreti mi chiede. Perché?
Un ghigno amaro si dipinge sul mio volto, e liberando il pugno lascio che tutto il rancore che ho dentro esca attraverso i miei occhi azzurro mako e le si pianti nello sguardo.
 
<< Perché? >> le faccio eco, quasi a volerla schernire << Guardami, ragazzina! >> aggiungo poi, allargando le braccia << Guardami bene! Sono un Soldier, uno di quei mostri che la Shinra sguinzaglia quando non fai quello che vuole. Questi occhi che ti piacciono tanto sono il suo marchio, infusi di Mako, e i guanti sulle mani, i muscoli allenati per uccidere. Sono uno stramaledettissimo Soldier! Perciò vattene adesso e lasciami fare la mia fine da cagnaccio schifoso! >> 
 
Urlo l’ultima frase, e in un impeto d’ira scaglio lontano il bastone d’allenamento che giaceva ai miei piedi e mi volto allontanandomi di una decina di passi da lei.
Intanto il mio petto sta per esplodere, la testa mi pulsa e il respiro è sempre più corto. Sono così accaldato che neppure il fresco venticello che continua a soffiare riesce a sfreddarmi. Ma c’è qualcosa che m’impedisce di cadere a terra in lacrime, di sfogare la mia rabbia così, qualcosa che continua fare in modo che io rimanga sulle mie gambe con la schiena dritta e il viso altero verso il cielo in un’ostinata presa di posizione. L’orgoglio.
Perché sono un Soldier, uno dei più potenti e l’unico che sia riuscito ad attirare l’attenzione di Sephiroth così tanto da divenire un suo allievo. E ne vado fiero, nonostante tutto.
Perché diamine dovrei vergognarmi di una cosa simile? Perché dovrei abbassare il volto di fronte all’ignoranza di tutti quei miseri esseri? Gli unici che dovrebbero inginocchiarsi sono loro, per chiedermi scusa e rimangiarsi ogni singola parola marcia che è uscita dalle loro schifosissime bocche.
Così impegnato a tentare invano di controllare la mia ira, non mi accorgo che nel frattempo Hikari mi ha raggiunto, ed ora un suo tocco vellutato sulla pelle nuda della mia schiena mi fa voltare di scatto. Ma mentre io sembro volerla aggredire, lei non si tira minimamente indietro e inaspettatamente mi bacia.
Sono più alto di lei, perciò deve reggersi sulle punte per farlo, ma mentre le sue labbra piccole e dolci mordono e dissetano le mie, sento ogni accusa sciogliersi nei meandri più reconditi del mio animo e, dopo un primo momento in cui tento con poca voglia di respingerla nuovamente, mi ritrovo a stringerla e a maledire la stoffa leggera e setosa del suo kimono che le avvolge la piccola vita impedendomi di sentirla muoversi tra le mie dita.
Qualcosa si muove dentro di me mentre sento le sue braccia aggrapparsi intorno al mio collo, qualcosa che non avrei mai più sperato di sentire. Avviluppandole il bacino con le mie braccia la sollevo da terra, e per ben due volte impedisco a quell’attimo di finire aggredendo nuovamente le sue piccole labbra e abbeverandomi da loro come se non avessi aspettato altro dall’attimo stesso in cui il mio cuore era sprofondato nell’oscurità di quel vicolo di Midgar assieme alla mia ultima lei.
Non ho idea di quanto tempo passi, so solo che quando finisce io la stringo ancora in braccio e lei mi sorride affannata, sfiorandomi piano gli zigomi sudati ed accaldati. Poi mima qualcosa, e non appena ne afferro il significato non posso fare a meno di ritrovarmi a stringerla piano affondando il mio viso tra le pieghe alla fragola del suo abito, lasciando che lei affondi le sue piccole dita nei miei capelli neri e mi massaggi la testa con piccole carezze mentre le lacrime sommergono il mio viso.
Tu sei un Soldier, ed io non ho paura.
 
ELABORAZIONE DATI IN CORSO …
CONNESSIONE …
 
Non appena la porta della stanza in fondo al corridoio si spalancò, Sephiroth vide per la prima volta la finestra dal quale dominava imponente il palazzo Shinra, la grossa macchia d’umidità sull’alto soffitto, le pareti piene di suoi poster, la piccola scrivania ricavata di sicuro da un abile lavoro di fai da te con vecchi pezzi di mobili in legno, il letto coperto da vecchie lenzuola marroncine e il comodino sul quale stava in posizione d’attacco la statuina del first class così cara al piccolo Victor Osaka.
Non seppe spiegarsi perché, ma gli sembrò di stare trattenendo il fiato e non appena realizzò di stare facendolo sul serio smise di guardarsi intorno e avanzò verso la finestra, che distava solo un paio di piccoli passi dal letto.
Così era questo il paesaggio che accompagnava i sogni del piccolo soldatino impertinente, pensò, cercando d’immaginarsi quel bimbo che entra in quella camera, si raggomitola nelle lenzuola vecchie ma profumate di pulito e stringendo il suo giocattolo preferito guarda fuori dalla finestra la grande cupola della sede immaginando il giorno in cui il suo sogno diverrà realtà. Victor era uno dei tanti che ci provavano, ma fino a quel momento l’albino non si era mai chiesto come dovessero sentirsi i ragazzi che aspiravano a diventare come lui, ed ora stava addirittura seguendo i loro sogni con la mente.
Quale potere esercitava il suo esempio su di loro, quale importanza aveva la sua immagine su quelle piccole e fragili menti.
Si guardò intorno, lanciando lunghe occhiate alle pareti sulle quali si alternavano tutti i suoi poster promozionali più belli assieme a disegni che Victor stesso aveva fatto, molto probabilmente da bambino viste le date che erano riportate sulla destra dei fogli a quadratoni. Era stato bravo per essere solo un moccioso, e mentre un sorriso impercettibile colorava le sue labbra si ritrovò a pensare che se le cose fossero andate diversamente magari avrebbe potuto sperare d’intraprendere la carriere di disegnatore, o magari anche quella di pittore. Ironia della sorte, prima Genesis e adesso Victor. L’arte sembrava proprio non volerlo lasciare in pace per il resto della sua vita.
Cambiando repentinamente il senso di marcia dei suoi pensieri, Sephiroth si voltò nuovamente verso il letto e la sua attenzione fu catturata nuovamente dalla statuina del 1st class che continuava a difendere il comodino.
La prese e se la rigirò tra le mani, pensieroso. Era molto vecchia, a giudicare dal nero scolorito della divisa e dalle piccole ammaccature su tutta la figura, ma si vedeva che era stata conservata con molta cura da parte del proprietario. Cosa strana, un impercettibile macchia biancastra aveva divorato il retro della figura, quasi come se fosse stata schiarita da una fonte di calore.
 
<< E’ un regalo di suo nonno. >> lo informò allora Erriet, che lo aveva introdotto nella camera << Gliela regalò per il suo quinto compleanno e da piccolo non se ne separava mai. È una delle poche cosa alla quale tiene molto. >> aggiunse.
 
Sephiroth riportò gli occhi sulla donna, che continuava a sorridere calma tenendo le mani giunte all’altezza del ventre, poi tornò a scrutare meglio la macchia biancastra e una domanda gli sorse spontanea, anche se credette di sapere già la risposta.
 
<< L’aveva anche quel giorno alla radura? >>
<< Naturalmente! >> assentì la donna.
<< Naturalmente... >> bofonchiò pensieroso lui, rimettendo a posto la statuina e assicurandosi che fosse nel punto esatto dal quale l’aveva presa e che avesse esattamente la stessa posizione.
 
Poi diede un’ultima rapida occhiata alla piccola stanza avvicinandosi nuovamente alla porta e solo allora, guardando l’arredamento povero e la grande macchia verdastra sul soffitto gli balenò in testa un fugace pensiero.
Io e te siamo uguali, Victor … più di quanto possa pensare. E insieme arriveremo dove nessuno è mai stato.
Non sapeva ancora il motivo per il quale Victor fosse così legato a lui, nè per colpa di quale misteriosa forza fosse nato e avesse acquisito i suoi stessi poteri e parte della sua stessa forza. Ma quello di cui Sephiroth fu certo, non appena la porta si richiuse alle sue spalle, fu che non poteva ignorare tutto questo, il grande disegno che aveva condotto le loro vite ad un incrocio.
E non poteva che stare in attesa aspettando di scoprire il perché, continuando nel frattempo a fare in modo che Victor Osaka proseguisse nella sua crescita fisica e tattica senza cacciarsi nei casini.
Ma per farlo era fondamentale che nessuno, neppure Victor stesso, sapesse nulla fino a che non sarebbe giunto il momento, e con questo in mente chiese ai genitori del ragazzo di tacere su quanto era avvenuto quella notte, di far finta che lui non fosse mai stato lì e che non fosse mai avvenuta alcuna conversazione.
 
<< Cosa sta succedendo, signor Sephiroth? >> chiese allora Yoshi, ora seduto sulla poltrona.
 
Lo scherno e la disapprovazione sembravano aver lasciato la sua voce ed ogni suo singolo gesto, che ora apparivano quasi come sintomo di una rassegnata aspettazione di una tragedia. Sephiroth esitò per qualche istante, incerto sul da farsi, poi però decise che questo era come la missione di recupero a Banora. Non poteva fidarsi dei genitori di Victor … un giorno sarebbero stati troppo coinvolti emotivamente per tenere la bocca chiusa. Così non gli disse né della strana composizione del DNA del loro amato figlio, né della strana affinità tra di loro o di ciò che era successo con Genesis, ma si limitò a glissare rifilando loro una verità che già sapevano e condendola con un po’ di vaghi particolari.
 
<< Victor è un ragazzo speciale … >> rispose, poi aggiunse torvo << Forse anche troppo. Voglio solo assicurarmi che il suo potenziale non vada sprecato. >>
 
Ne l’uomo né la donna parvero soddisfatti della risposta, ma a lui importava solo che tenessero la bocca chiusa col suo allievo, e quando la donna gli disse.

<< Lo faremo, ne stia certo. Io mi fido di lei. >>
 
Sephiroth capì che avrebbe potuto contare su Erriet Osaka per tenere a freno i bollenti spiriti di quel padre frustrato e anti-shinra.
Annuì, e ormai già sulla soglia della porta fece per andarsene quando si ricordò della domanda che lo aveva condotto lì e voltatosi verso la donna che aveva fatto gli onori di casa le chiese, suscitando in lei un’espressione un poco sorpresa.
 
<< A che ora è nato di preciso, Victor? >>
 
La donna si accigliò un attimo, quasi stesse cercando di ripercorrere in fretta ogni singolo istante di quella fatidica giornata di ventitré anni fa, poi annuendo decisa rispose.
 
<< Cinque e quaranta del mattino, minuto più o minuto meno! Lo ricordo perché non appena sentii il primo vagito guardai istintivamente mio marito di fianco a me, e intravidi l’orario sull’orologio elettronico di mio padre. >>                  
 
Un brivido attraversò velocemente la schiena dell’argentato, che congedatosi in fretta da loro scese le scale dell’edificio con la chiara sensazione di aver finalmente risolto il primo dei grandi misteri che ruotavano attorno al nome di Victor Osaka.
Ti ho visto nascere, pensò, contento di esser riuscito a confermare ogni suo dubbio.
Ora però restava da scoprire come era stata possibile una cosa simile, e soprattutto perché quel privilegio fosse toccato proprio a lui?
Domande che sostituivano le precedenti con una rapidità quasi spaventosa, ma per qualche misterioso motivo, stavolta Sephiroth intuì che avrebbe dovuto aspettare molto più a lungo, prima di ricevere una risposta esaustiva. Troppi tasselli mancanti, troppi fili ingarbugliati. Tutto faceva presagire che solo il tempo avrebbe ricomposto quel bizzarro puzzle. E nel mentre, lui avrebbe soltanto dovuto vivere.
 
INTERRUZIONE DATI …
   
Ho il viso sudato e contorto in un’espressione concentrata, ed entrambi le mani sporche di colore. Visto che la destra sta migliorando, ho deciso di togliere il guanto e provare ad utilizzare almeno il dorso delle poche dita che riescono a muoversi per sfumare bene i colori e i contorni del mio attuale disegno.
Solo che … è più difficile di quanto credessi, visto che si tratta di un ritratto di Sephiroth.
È stata Hikari a chiedermelo, la sera prima. Eravamo seduti in riva al lago e guardavamo la luna infrangersi sulle sue acque calme, stretti l’uno all’altra.
All’improvviso la sentii agitarsi e non appena la sciolsi dalla mia stretta lei iniziò a mimarmi quella fatidica domanda. Il tuo maestro … iniziò, ma poi sembrò sospendersi come se stesse cercando di ricordare un particolare importante.
 
<< Sephiroth? >> chiesi io, quasi certo che fosse questo il nome che stava cercando di ricordare.
 
Seppi che avevo detto bene quando lei annui con un sorriso indicando quell’ultima parola agitando l’indice verso di me. Si, Sephiroth aggiunse poi mimando correttamente ogni lettera di quel nome, e anche se sembrava stesse cercando di non sbagliarne neppure una virgola, l’unica cosa che notai fu l’armonia con la quale quelle magiche lettere scivolavano nell’aria, e grazie a lei mi accorsi che perfino il nome sembrava rispecchiare la meravigliosa letalità e grazia del proprietario.
La S disegnò una rapida e morbida curva, la P tagliò dapprima l’aria in due con precisione e rapidità e poi la ricucì con un rapido cerchio. La combinazione tra la H e la I invece mi lasciò ad osservare a bocca aperta come quei rapidi movimenti netti riproducessero così bene la combinazione ottacolpo che avevo imparato così bene e trascinassero il resto delle lettere nell’oblio verso la T che chiudeva definitivamente la sequenza, lasciando il fiato sospeso e nulla da ribattere, come se all’improvviso tutte le altre parole e perfino la H stessa alla fine del nome, fossero state abolite, come schiacciate dalla sua potenza e maestà.
SEPHIROTH.
Quando le abili mani da pittrice di Hikari ebbero concluso di dipingere quel nome nell’aria, io mi ritrovai a sorridere ripensando al mio generale e al disarmante effetto che esercitava su di me ogni qual volta lo ammiravo in combattimento, e non solo.
Gli bastava respirare, o anche solo rivolgermi un’occhiata, per sentirmi il più inetto e al contempo il più fortunato essere umano esistente a questo mondo. E mentre pensavo questo davanti ai miei occhi scorrevano le immagini delle nostre battaglie insieme, di quel giorno in wutai in cui lo vidi piombare su Bahamut e ridurlo al silenzio con una sola mossa, come se fosse uno di quei mostriciattoli che circondano i dintorni di Midgar e dei paesi limitrofi. Ed è per questo che la domanda che segui mi lasciò quasi senza parole. Com’è? Mi chiese, ed io seguitai per qualche attimo di troppo a fissarla incredulo, spingendola ad aggiungere un po’ imbarazzata. Mia madre non ama molto la tv e con la tenuta da gestire non abbiamo mai il tempo di accenderla. Non ho mai visto neppure un notiziario.
Sospirai annuendo, e provai a descriverglielo servendomi di ciò che lei conosceva bene.
 
<< Sephiroth è … leggero e sfuggente come il fumo di un comignolo. I suoi occhi sono come due piccoli rubini in cui sembra muoversi il fluido flusso del lifestream, e a causa di questo sembrano vivi. I suoi capelli sembrano intrisi di luce lunare, così tanto che quasi risplendono al buio, e la sua spada è rapida e letale come il morso di un serpente velenoso. Lui è … >> mi bloccai, cercando disperatamente una parola che potesse racchiudere tutta la sua essenza, ma mi accorsi ormai troppo tardi che non ne esiste una degna di farlo, e perciò ripetei con frustrazione e anche un pizzico di costernazione << Lui è Sephiroth! >> e mentre lo feci mi accorsi di aver emesso un lungo e ammirato sospiro, quindi mi limitai ad aggiungere con fierezza e nostalgia << Il mio Generale! >> dimenticando per un secondo di averla al mio fianco e lasciando correre la mia mente verso la mia città.
 
Finalmente mi accorsi di quanto mi mancava davvero essere al suo fianco. Vederlo ogni giorno, sottopormi al suo giudizio, ai suoi sguardi severi e scambiare con lui qualche occhiata complice. Sperai di non averlo deluso, durante il mio allontanamento forzato, e ancora una volta Hikari mi sorprese. Voglio vederlo. Lo dipingeresti per me?
Ci pensai un secondo. In fin dei conti lo avevo fatto anche da bambino, ricopiando qualche sua posa che gli avevo visto fare nei fugaci filmati dei notiziari. Ma … ora era diverso.
 
<< Non saprei da dove iniziare! >> ammisi, un po’ imbarazzato, scuotendo le spalle.
 
Ho così tanto materiale in testa, così tanta riverenza nei suoi confronti, che in quel momento mi sembrava estremamente riduttivo limitarmi ad un solo dipinto. In realtà non basterebbe un’intera stanza riempita di suoi ritratti per rendergli giustizia.     
Hikari mi sorrise, e mi suggerì di concentrarmi sulla prima immagine che mi veniva in mente pensando a lui. E così eccomi qui ora, dopo una giornata di lavoro.
È più faticoso creare un quadro che allenarsi per un intera giornata senza pause, penso mentre mi asciugo la fronte imperlata da un sottile strato di sudore ed arretro per ammirare il mio lavoro.
Il suo sguardo, è stata quella la prima cosa alla quale ho pensato. Voglio che lei lo veda così com’è durante i nostri incontri, voglio che rimanga avvolta da quello spesso strato di ghiaccio che copre il vulcano ribollente dentro di lui.
Quando sono entrato nello studio erano le nove di mattina, il sole rifulgeva alto e giocoso riflettendo i suoi bagliori sui dipinti che adornavano la stanza e facendoli scintillare di vita propria. Ora invece, la luce si è notevolmente affievolita e sta pian piano scomparendo, mentre le tenebre cominciano a divorare l’azzurro intenso del cielo come una macchia d’inchiostro nero su un foglio candido.
Rimango senza parole fissando il quadro. Mi sembra che guardi me, e improvvisamente mi rendo conto della dovizia di particolari con il quale l’ho infarcito. La sfumatura degli occhi, le linee sottili dei capelli, la forma dolce del viso.
Sembra … vivo.
Eppure ancora non sono soddisfatto. Non lo sarò mai, perché una tela non può contenere tutto ciò che è Sephiroth per me. La sua prepotente essenza non può essere imprigionata né bloccata in un inutile disegno. Anche adesso sembra voler prepotentemente prendere vita, staccarsi dal tessuto e animarsi così come farebbe il vero Sephiroth.
Incantato, non mi accorgo neppure che Hikari si è materializzata nella stanza ed ora sta ammirando da vicino il disegno. I suoi occhi s’illuminano di stupore, le sue dita scorrono lungo i bordi dell’immagine senza riuscire a sfiorare la tela, quasi avessero paura di rovinarla. Poi si volta verso di me e stupefatta gesticola piano. È meraviglioso
Io sorrido, e senza riuscire ancora a staccare gli occhi dalla tela rispondo, affascinato.
 
<< E’ Sephiroth! >>

Some nights, I stay up cashing in my bad luck; some nights, I call it a draw
 

But I still wake up, I still see your ghost
 

***

 

But I still wake up, I still see your ghost
 

Man, you wouldn't believe the most amazing things that can come from... 

Note: Ciao mie care e adorate lettrici.
Ero molto emozionata mentre scrivevo questo capitolo, perchè una scena dopo l'altra mi ha fatto fibrillare di un sentimento diverso e la canzone dei Fun a fine capitolo - Some Nights, per la cronaca - ha dato il colpo di grazia al mio povero cuore.
Dunque erano mesi che preparavo questo chappy e spero vi sia piaciuto perchè finalmente sono arrivata a questo punto della storia e ho potuto scriverlo. Comincio col parlare di Lazard, due righe solo per dirvi che non ho idea di cosa ne pensiate voi ma io ho sempre visto questo povero ragazzo schiacciato dalle circostanze esattamente come è accaduto a Genesis e Angeal, e ho voluto dedicargli uno spazio speciale non solo perchè comunque è e rimane il direttore di SOLDIER, ma anche perchè alla sua morte io ho pianto tantissimo indipendentemente dal fatto che fosse diventato una copia di Angeal. Mi è dispiaciuto da morire, credetemi, mi ero affezionata un botto. Mi ha sempre fatto simpatia, e anche se ho cercato di descrivervelo cercando di rientrare nel profilo che ha tracciato Tetsuya siete liberissimi di farmelo notare se sono andata troppo OT.
Detto questo, è inutile che io aggiunga altro su Hikari e Victor, vero? Bene, allora non aggiungo neppure su Angeal e vi dico solo che nel prossimo capitolo torniamo a Midgar e per la gioia di alcune di voi il nostro Victor testa calda incontrerà per la prima volta un giovanissimo CLOUD STRIFE.
Ripeto

nel prossimo capitolo.

IHIH quindi Stay tuned e a presto :* Si entra nel vivo ragazzi, preparatevi.

PS. Non disperativi Fans di Hikari, non è un addio ;)