Eroi dell'olimpo: l'ultima battaglia

di Kya_63
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** IL RISVEGLIO ***
Capitolo 2: *** DIVINITA' MINORI ***
Capitolo 3: *** IL SENSO DI FAMIGLIA ***
Capitolo 4: *** IL GIORNO DI NATALE ***
Capitolo 5: *** HOGSMADE E LA CASA DEI WEASLEY ***
Capitolo 6: *** MAGHI E SEMIDEI ***
Capitolo 7: *** PROBLEMI CON LA LINEA ***
Capitolo 8: *** I MORTI RESUSCITANO ***
Capitolo 9: *** UN LIBRO CHE PARLA DEL SIGNORE OSCURO ***
Capitolo 10: *** HOGWARTS ***
Capitolo 11: *** PRIME LEZIONI ***
Capitolo 12: *** LA PRIMA ALLEANZA ***
Capitolo 13: *** I KANE ***
Capitolo 14: *** LA STANZA DELLE NECESSITA' ***
Capitolo 15: *** PIOGGIA ***
Capitolo 16: *** COME TUTTO EBBE INIZIO ***
Capitolo 17: *** RIVELAZIONI ***
Capitolo 18: *** PROBLEMI ***
Capitolo 19: *** BRUCIARE ***
Capitolo 20: *** CAMPO MESOPOTAMIA ***
Capitolo 21: *** LA VERITA' SU...PIU' O MENO TUTTO ***
Capitolo 22: *** TEST DI ASSEGNAZIONE ***
Capitolo 23: *** MISSIONE ***
Capitolo 24: *** FUGA ***
Capitolo 25: *** CUGINI ***
Capitolo 26: *** VERSO GLI INFERI ***
Capitolo 27: *** SEMIDEI ATTRAVERSO GLI INFERI ***
Capitolo 28: *** PAURA ***
Capitolo 29: *** SENTIMENTI ***
Capitolo 30: *** LA HEROES ***
Capitolo 31: *** SPIEGAZIONI E CONVERSAZIONI ***
Capitolo 32: *** PARTENZA ***
Capitolo 33: *** LASCIAR ANDARE ***
Capitolo 34: *** ANGELO NERO ***
Capitolo 35: *** LIBERA ***
Capitolo 36: *** CASA JACKSON ***
Capitolo 37: *** TRAFALGAR SQUARE ***
Capitolo 38: *** CONFUSIONE ***
Capitolo 39: *** LISBONA ***
Capitolo 40: *** SEGRETI SVELATI ***
Capitolo 41: *** BARCELONA ***
Capitolo 42: *** SENSI DI COLPA ***
Capitolo 43: *** PARIGI ***
Capitolo 44: *** DISTRUZIONE ***
Capitolo 45: *** LUCE ***
Capitolo 46: *** SPALLA A SPALLA ***
Capitolo 47: *** ESTREMI ***
Capitolo 48: *** MOON ***
Capitolo 49: *** DEBOLEZZA ***
Capitolo 50: *** IDENTITA' ***
Capitolo 51: *** IL TEMPO NON È MAI ABBASTA ***
Capitolo 52: *** L'INIZIO DELLA FINE ***
Capitolo 53: *** NEMICI E AMICI ***
Capitolo 54: *** SOPRAVVISSUTI ***
Capitolo 55: *** MOSTRO ***
Capitolo 56: *** INSIEME O NIENTE ***
Capitolo 57: *** TENTARE E SPERARE ***



Capitolo 1
*** IL RISVEGLIO ***


IL RISVEGLIO
 
 
Se c’era una cosa che odiava era proprio alzarsi alla mattina presto. Percy Jackson aveva imparato a sue spese, però, cosa succedeva se mancava di qualche minuto ad un appuntamento con la sua ragazza, anche se chiamarlo “appuntamento” era troppo. Era più un ritrovamento.
Percy era un ragazzo alto, dai capelli neri e occhi verdi come il mare. Il suo fisico era asciutto e muscoloso per via degli allenamenti imposti da Chirone, il suo maestro, non ché direttore delle attività del Campo Mezzosangue, l’unico luogo in cui Percy si sentiva protetto.
A Percy mancava la sua ragazza; avevano trascorso gli ultimi due mesi lontani, uno a New York e l’altro a San Francisco. Per fortuna erano arrivate le vacanze di Natale, durante le quali avrebbero scelto il loro futuro, o meglio: dove andare a vivere dopo il liceo?
Entrambi avevano avuto l’idea di andare a Nuova Roma, perché c’era il college e una città dove vivere dopo la scuola, ma entrambi avevano dei dubbi.
Percy, però, non credeva che a svegliarlo fosse proprio un elfo di Babbo Natale. Percy adorava il Natale, ma non altrettanto gli elfi e Babbo Natale, anzi li detestava.
-Percy…- lo chiamò l’elfo- Svegliati.
Il figlio di Poseidone aprì piano un occhio e scorse un ragazzino di un anno in meno di lui, dai tratti elfici, gli occhi e i capelli castani e la pelle abbronzata come quella di un ispanico.
-Taci- borbottò lui-Ieri sera il tuo amico Jason mi ha trattenuto per tre ore a parlare di quanto sia figo questo campo.
-Non fare il pigrone- lo rimproverò l’ispanico- Ti faccio presente che tra poco meno di venti minuti, la tua ragazza sarà all’ingresso del Campo Mezzosangue, tu sei ancora in pigiama e l’ultima volta che hai fatto tardi, lei non ti ha rivolto la parola per un giorno.
Percy sconvolto ma allo stesso tempo felice di aver incastrato l’elfo, esclamò:-Quindi ammetti che ci hai spiato. Tu hai un istinto suicida, Leo.
Leo si chiamava il ragazzo ispanico. Era il figlio di Efesto capo cabina della casa nove, quella del dio dei fabbri. Il figlio di Efesto era il costruttore della gigantesca nave che aveva attraversato l’Atlantico: l’Argo II.
-Può darsi- rispose Leo- Ora preparati non voglio un’altra volta avere un Percy Jackson depresso e un’Annabeth arrabbiata.
Senza protestare, Percy s’alzò dal letto caldo e maledisse Leo qualche decina di volte per averlo svegliato, anche se aveva ragione. L’ultima volta che era arrivato tardi all’appuntamento con Annabeth ( e non era neanche colpa sua), lei non gli aveva rivolto la parola per ventiquattro ore. S’era anche depresso dicendo che questa volta era definitivamente finita. Al povero Leo Valdez, era toccato sopportare le sue lamentele e quelle di Jason. Fortunatamente Annabeth aveva ripreso a parlargli, quindi Leo non era passato a miglior vita.
Indossò frettolosamente i jeans, la maglietta arancione del campo, una felpa che metteva in risalto i suoi occhi verdi e i suoi scarponcini della Timberland che gli aveva regalato sua madre come premio per aver preso la patente. Prese la giacca e uscì chiudendosi la porta alle spalle.
Leo, Jason, Nico, Will e Calipso lo aspettavano fuori. Leo aveva una camicia leggera e il figlio di Poseidone si domandò se avesse freddo. Era improbabile: Leo era come di fuoco e quindi non poteva avere freddo, forse.
Quell’inverno era particolarmente freddo anche al Campo Mezzosangue. C’era addirittura la neve che aveva oltrepassato la barriera che impediva ai mostri e agli agenti atmosferici di arrivare al campo.
Jason, il cugino di Percy, si stava movendo nervosamente per il freddo. Il figlio di Giove aveva i capelli biondi, in quel momento coperti da una cuffia, e gli occhi azzurri come il ghiaccio. Si vedeva che aveva freddo. Jason era il fratello di Talia Grace, la cugina punk che Percy non vedeva dalla battaglia con Gea. Per Natale, però, era sicuro che l’avrebbe rivista.
Nico e Will erano in disparte, lontano dal gruppo. Il primo, un altro cugino di Percy, aveva una zazzera di capelli neri come gli occhi, i vestiti e la spada. Tutto di Nico era nero e tenebroso. Will, invece, era più solare, cosa che a Percy sembrava ovvio visto la discendenza con Apollo, il dio del sole, della musica e di tutte le arti.
Calipso era l’unica ragazza in quel gruppo, in quel momento. Era arrivata da poco dalla sua isola con Leo, che era riuscito a liberarla. Da come di comportava, sembrava provenire da un’altra epoca, infatti, aveva qualche millennio anche se sembrava una ragazza di sedici anni. Percy era molto dispiaciuto per quello che le aveva fatto in passato, quando lui era capitato su Ogigia, l’isola di Calipso. Per fortuna la ragazza non se l’era presa molto e quindi erano riusciti a diventare amici.
-Buongiorno a tutti- salutò Percy, avvolgendosi la sciarpa intorno al collo.
-Buongiorno Percy- esclamò Calipso-Dai muoviamoci. Saranno qui a minuti.
Così tutti insieme si diressero al pino di Talia, dove Peleo, il drago guardiano, faceva la guardia al Vello d’Oro, che stava appeso ad un ramo del pino. Passandoci accanto, Percy si ricordò di tutta la fatica fatta per recuperare quel dannato coso. Aveva attraversato il Triangolo delle Bermuda con Annabeth e Tyson (il suo fratellastro ciclope) per andare a salvare il satiro Grover dalle grinfie di Polifemo. Avevano incrociato, poi, Clarisse La Rue per strada ed insieme avevano recuperato il Vello d’Oro dopo qualche intoppo.
Si fermarono poco prima del confine e attesero di veder arrivare un taxi giallo, tipo quelli che viaggiavano tra le strade dell’affollata Grande Mela. Aspettarono qualche minuto poi… Esattamente puntuale, il taxi aveva frenato di botto e da lì erano usciti tre ragazze e un ragazzo. Quest’ultimo prese le valigie dal bagagliaio, mentre una ragazza dai capelli ricci e scuri pagava le tassiste con monete d’oro. Percy le riconobbe subito: erano le tre Sorelle Grigie (Rabbia, Vespa e Tempesta). Dopo ciò le vecchiette ripartirono, come se fossero in ritardo, lasciando i quattro ragazzi al bordo della strada.
Percy non fece neanche in tempo a pensare che corse giù per la Collina Mezzosangue. Arrivò in fondo e incominciò ad abbracciare tutti. Partì dal ragazzo, Frank Zhang, un suo lontano parente e figlio di Marte, il dio della guerra romano. Frank aveva una corporatura robusta e, nonostante fosse più piccolo di Percy, era di qualche centimetro più alto di lui.
Percy abbracciò contemporaneamente Hazel Levesque, la sorella di Nico, e Piper McLean, la figlia di Afrodite, fidanzata di Jason.
Hazel Levesque, era la più piccola del gruppo. Era la figlia di Plutone, la forma romana di Ade, ed aveva sempre creduto in Percy, e per questo le era molto grato. Aveva lunghi capelli ricci marroni, la pelle scura come il caffè e gli occhi che sembravano due pepite d’oro.
Piper McLean era la figlia di Afrodite meno figlia di Afrodite che il mondo avesse mai visto. Figlia di un attore famoso, Piper faceva di tutto per passare inosservata, peccato che non le venisse molto bene nonostante i capelli assi metrici e i vestiti logori.
Quando Percy sciolse l’abbraccio si precipitò dall’ultima persona scesa dal taxi: Annabeth Chase.
Annabeth era la classica ragazza californiana: pelle abbronzata, capelli biondi e la figura slanciata. L’unica cosa che faceva pensare il contrario erano gli occhi, di un grigio temporalesco, come quelli della madre Atena, la dea che detestava Percy.
-Che fai Testa d’Alghe?- gli domandò Annabeth- Non mi saluti?
Percy spostò una ciocca di capelli dietro all’orecchio e le disse:-Ciao.
Annabeth sorrise, felice di avere ancora il suo Testa d’Alghe.
C’era qualcosa che non andava, però. Si sentiva l’aria di una nuova impresa. Percy, però, fece finta di non sentire nulla.

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Capitolo 2
*** DIVINITA' MINORI ***


DIVINITA’ MINORI
Annabeth era felicissima di tornare al Campo Mezzosangue per svariati motivi. Il primo era Percy, il figlio di Poseidone, per il quale Annabeth aveva una cotta da quando avevano dodici anni. Ovviamente Percy c’era arrivato solo quando lei lo aveva baciato durante la sera del suo sedicesimo compleanno. Naturalmente la figlia di Atena aveva provato a farglielo capire prima di allora ma il ragazzo era una Testa d’Alghe. Il secondo motivo erano i suoi amici: Hazel, Piper, Jason, Calipso, Leo, Frank, Nico e Will. Erano la sua famiglia. Aveva viaggiato con loro dal Campo Mezzosangue alla Grecia e avevano rischiato tutti insieme la pelle per un centinaio di volte. Erano la famiglia che Annabeth non aveva mai avuto. Il terzo era l’allontanarsi da suo padre. I primi giorni erano andati a gonfie vele e sembrava che avessero risolto tutto, ma poi erano incominciati gli attacchi e la matrigna di Annabeth l’aveva sgridata mentre suo padre non aveva fatto nulla per impedirle di andarsene. Annabeth aveva passato la sua infanzia a scappare, quindi era abituata. Questa volta però, si era fermata al Campo Giove per qualche giorno con Piper, Hazel, Frank e Reyna. Aveva passato le migliori settimane della sua vita. Mentre andava con Percy alla Cabina 3, gli raccontò tutto quello che aveva passato da quando era andata a San Francisco. Lui pendeva dalle sue labbra e di questo lei era contenta. -Allora Testa d’Alghe, tu che mi racconti?- domandò non appena ebbe finito di parlare. -Niente di particolare- rispose lui- Qualche attacco qua e là e basta. Entrarono nella Cabina 3 e Annabeth appoggiò le valigie, poi s’avvicinò al ragazzo e chiese:-Non te ne andrai questa volta, vero? -Nel caso ti porto via con me- scherzò il figlio di Poseidone, afferrandola per i fianchi- Non mi separerò più da te. Qualunque cosa accada. Annabeth non fece in tempo a sorridere che Percy la baciò. Alla figlia di Atena erano mancati i suoi baci, quelli teneri, quelli che le facevano dimenticare il dolore che aveva dentro. -Mi sei mancata- disse Percy fermandosi per riprendere fiato. -Anche tu- rispose Annabeth per poi iniziare a disfare le valigie Il pomeriggio sembrava interminabile. Annabeth era passata per la Cabina 6, quella di sua madre, a vedere se andava tutto bene. Nonostante vivesse nella Cabina 3, Annabeth era rimasta comunque la capo-cabina della 6. Malcom, suo fratello, le aveva sempre detto che lì c’era un letto sempre libero per lei. La figlia di Atena aveva sempre risposto che nella Cabina 3 stava bene e che magari il letto poteva servire a qualcun altro. Passò alla Casa Grande, per salutare il Signor D, il direttore del Campo Mezzosangue. Quando ebbe finito, andò al Pino di Talia. Appoggiò una mano alla corteccia dell’albero e pensò a quando Talia era stata trasformata in quel pino. Si mise a terra a rimuginare sugli anni passati. Le immagini di Luke Castellan, Roma, il Tartaro e la Grecia, le passarono nella mente. Si mise inconsciamente a piangere. Sentì qualcuno avvicinarsi e lei stava per mandarlo via, chiunque fosse, ma quel qualcuno l’abbracciò tra le sue braccia. Avrebbe riconosciuto quel profumo di brezza marina tra mille altri: era Percy. -Ti ho cercato dappertutto, Sapientona- la rimproverò Percy- Non uscire mai da sola. Annabeth affondò il viso nel suo petto, ma si staccò quando sentì dei rumori. Probabilmente provenivano dalla base della collina. Proprio là, c’era il Minotauro, un toro- uomo appartenente alla mitologia greca che Percy e Annabeth conoscevano fin troppo bene. Questo stava attaccando un satiro e due ragazzi, probabilmente semidei. -Te la senti di combattere?- domandò Percy. Annabeth annuì e, alzandosi, prese la sua spada di osso di drago; l’aveva ricevuta nel Tartaro da un gigante, figlio di Gea e dello stesso Tartaro. Il suo nome era Damaseno. S’affrettarono a scendere dalla collina e , molto velocemente, colpirono ripetutamente il Minotauro, che però era un osso duro. Intanto, il satiro, che Annabeth aveva riconosciuto come Grover Underwood, e i due ragazzi erano arrivati alla barriera e l’avevano oltrepassata. Con un affondo Percy riuscì a distruggere il Minotauro, che diventò polvere d’oro. Correndo, risalirono la Collina Mezzosangue. Entrambi abbracciarono il loro amico satiro, con il quale avevano affrontato le imprese prima del ritorno di Gea. I due che avevano visto prima con Grover, erano una ragazza e un ragazzo della stessa età. La ragazza, però, era quella che incuriosiva di più Annabeth. Avrà avuto tredici anni ma ne dimostrava quindici. Era alta e magra, con gli occhi azzurri come il ghiaccio e i capelli candidi come la neve, tranne le punte che erano lilla. Aveva una giacca bianca, macchiata qua e là di terra, dei jeans e degli anfibi neri: era estremamente particolare quella ragazza. Il ragazzo stava accarezzando Peleo. Aveva capelli biondi come il miele e occhi verdi come il prato estivo. Sembrava il figlio di una qualche divinità della natura. -Ciao- salutò Percy- Benvenuti al Campo Mezzosangue. Io sono Percy, la ragazza qui accanto a me è Annabeth. -Io mi chiamo Valentina, Vale per gli amici. Che cos’è il Campo Mezzosangue? Così, il buon vecchio trio fece fare il giro del campo ai due ragazzi nuovi. Durante il tour, entrambi vennero riconosciuti. Vale era la figlia di Chione, l’unica in tutto il campo. Chione non era una delle dee più favorite al Campo Mezzosangue e al Campo Giove. Era stata dalla parte di Gea durante la battaglia contro i giganti. Vale, però, ammise che non aveva nulla a che fare con la dea della neve. Il ragazzo, Rick, era un figlio di Eolo. Esisteva una figlia di Borea al campo, che era arrivata ad ottobre e che si era sistemata nella cabina delle divinità del vento. Li lasciarono alla Cabina 21, una delle cabine costruite dopo la battaglia con Crono e andarono alla mensa dove i loro amici stavano bevendo la cioccolata calda. Si sederono al tavolo e davanti a loro comparve della cioccolata calda con biscotti appena sfornati. La cioccolata era buona e i biscotti sembravano dalla cucina di Sally Jackson. -È successo un casino negli Inferi- commentò Hazel. La ragazza non voleva rovinare la giornata, ma dalle loro facce, sembrò che l’avesse appena fatto. Leo sputò la cioccolata calda addosso a Percy che con un movimento della mano bloccò il liquido a mezz’aria. -Per tutti i pesciolini!- esclamò Percy-Che ti è saltato in mente. -Scusa, momento di panico- si scusò il figlio di Efesto. Il primo si trattenne dall’uccidere l’amico per averlo quasi ustionato. -Che genere di casino?- domandò Piper mentre addentava un biscotto. Hazel e Nico si lanciarono un’occhiata. La figlia di Plutone sospirò poi fece cenno al fratello di continuare. -Non sappiamo esattamente, cosa stia succedendo- spiegò Nico- Sono tutti in subbuglio. Nei Campi delle Pene, le Furie hanno incominciato ad essere più rigide. Papà dice che è tutto okay, che è tutto sotto controllo e che non ci dobbiamo preoccupare. Ma nessuno dei due ci crede. -Pensiamo- continuò Hazel- che papà stia liberando delle persone per dare loro una seconda possibilità. -Non è contro la legge?- chiese Jason. Jason adorava la legge, soprattutto quando veniva rispettata. Non c’era da stupirsi che suo padre fosse Giove. Nonostante questo, però, adorava il Campo Mezzosangue. -Credo che solo nel pericolo massimo si possano riportare in vita persone morte- commentò Annabeth fissando il liquido marrone nella sua tazza. -Dobbiamo attendere- finì Frank- Aspettare e vedere cosa accade. Tutti annuirono in consenso. Finirono di mangiare per poi tornare alle rispettive attività, anche se non si poteva fare molto con la neve. Mentre andavano alla spiaggia, Percy e Annabeth incontrarono tutti i loro amici, da Clarisse La Rue ai nuovi arrivati. C’erano ragazzi che provenivano da tutta l’America. La spiaggia era deserta. Si sedettero vicino al mare e guardarono il cielo. Ad un certo punto, Annabeth fece una cosa che Percy non si sarebbe mai aspettato: prese una palla di neve e gliela lanciò, centrandolo in testa. Poi fece un’altra palla di neve e lo colpì dritto in faccia. Rise divertita, nel vedere il suo fidanzato che cercava di scrollarsi la neve di dosso. Per tutta risposta, fece anche lui una palla di neve e la lanciò, ma lei riuscì a schivarla. -Come osi lanciarmi una palla di neve?! -Sei tu che hai incominciato!- ribattè Percy. Annabeth gli lanciò le braccia al collo e posò le labbra sulle sue. A confronto a quello che pensava, erano calde e sapevano di cioccolato. Erano buone, in poche parole. Percy si spinse in avanti e Annabeth finì per terra con lui sopra. Le accarezzò la guancia con un dito e le vennero i brividi. -Perché non vi prendete una camera? Lo sapete che la spiaggia è di tutti?! Annabeth s’alzò a malincuore, aiutata da Percy. Davanti a loro c’era una ragazza alta con occhi e capelli neri. Il volto era coperto di trucco che solo gli abitanti della Cabina 10 sapevano nominare e applicare. Nonostante fosse inverno, la ragazza aveva la giacca sbottonata, la maglietta corta e una gonna decisamente troppo corta. -Scusa- disse Annabeth- Io sono Annabeth, piacere di conoscerti. Mi dispiace. -Non m’interessa chi sei, biondina- ribatté lei- A parte questo, sono Giuly, figlia di Ebe. -Piacere Giuly!- esclamò Percy impedendo così ad Annabeth di strangolarla- Io sono Percy. Se non ti dispiace, noi ce ne andremo. Detto ciò riuscì a trascinare Annabeth lontana dalla faccia sorpresa della figlia di Ebe. Percy, sotto i baffi, rideva per il comportamento della sua ragazza. Aveva appena scoperto che era gelosa, nonostante lui con quella ragazza ci avesse rivolto appena la parola. Ovviamente anche lui sarebbe stato geloso se la sua ragazza avesse parlato con un ragazzo che non conosceva. Annabeth lo fermò davanti alla Cabina 3. Era stanca di essere trascinata per il campo senza sapere dove, il suo ragazzo, la stesse portando. -Cosa hai Percy?- gli domandò avvicinandosi. -Voglio passare ogni minuto di queste vacanze con te- le sussurrò tra i capelli biondi e soffici. Annabeth sorrise. Tirò una folata di vento. Annabeth, in quel momento, vide qualcosa che non andava, ma tornò a concentrarsi su Percy.

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Capitolo 3
*** IL SENSO DI FAMIGLIA ***


IL SENSO DI FAMIGLIA
 
 
Harry Potter non pensava che avrebbe mai capito la famiglia Weasley.
Nonostante l’amico Ron e la fidanzata Ginny avessero cercato di spiegarli che loro, il Natale, lo passavano tutti, ma proprio tutti, assieme, ad Harry sembrava ancora una cosa assurda.
Quella mattina, a colazione, la professoressa McGranitt prese i nomi di chi sarebbe rimasto ad Hogwarts durante le vacanze natalizie.
Harry era stato cortesiamente invitato a casa dei Weasley. Per lui erano come una famiglia, quindi aveva accettato senza problemi, anche perché Ginny l’aveva obbligato a presentarsi.
Dopo che le lezioni terminarono, si diresse con Hermione e Ron alla Torre del Grifondoro per preparare i bagagli. Prese il minimo indispensabile per passare il Natale, ovvero dal 23 dicembre al 6 gennaio, a casa dei Weasley.
Anche Hermione sarebbe venuta. Pure lei era stata obbligata da Ron.
Ripose con cura le cose  nel baule, poi scese di sotto, nella sala comune. Harry si sedette sul divano e osservò il fuoco scoppiettare nel camino. Pensava. Pensava a cosa era successo: i morti, gli amici che aveva perso e tutto quello che aveva passato. Non ne poteva più di quelle immagini che scorrevano nella sua mente e ai rimorsi che causavano.
La sua cicatrice prese a pulsare, ma lui ignorò il dolore. Era da un po’ di tempo che accadeva e Harry era preoccupato che potesse significare sventura e morte.
Si rigirò tra le mani la bacchetta e poi sussurrò:- Expecto Patronum.
Subito comparve un cervo maestoso e azzurro. Ad Harry, quel patronus, il suo patronus, portava ricordi felici. Quello era anche il patronus di suo padre, James Potter.
Il patronus gli sorrise poi scomparve.
-Ti ho detto che è sbagliato, Ron!- esclamò Hermione entrando nella sala comune- È inutile che cerchi di dire il contrario. Ti assicuro che è come dico io.
-Che succede ragazzi?- domandò Harry quando la sua amica Hermione quando si lasciò cadere sul divano accanto a lui.
-Ron pensa che…
Hermione non finì la frase che entrò una Ginny tutta ansimante.
-Che succede?- chiese Ron alla sorella.
-Meglio che venite a vedere- rispose Ginny per poi uscire di corse dalla sala. Harry, Hermione e Ron la seguirono senza fare domande. Ginny li guidò sino all’ingresso, dove molti ragazzi si erano radunati. Harry si fece largo a spintoni creando una polemica generale. Quando arrivò in prima fila, non riuscì a credere ai suoi occhi. In fondo al viale c’era un ragazzo biondo con la tunica di Hogwarts. Harry lo conosceva, forse fin troppo bene. Era Draco Malfoy. Draco non era mai stato in cima alla lista dei migliori amici di Harry, ma non era neanche l’ultimo. Non s’era presentato all’inizio dell’anno ma era stato iscritto.
Harry attraversò il viale a grandi falcate e si fermò a tre passi da Draco. Il ragazzo non era cambiato molto a parte le grandi occhiaie che aveva sotto gli occhi.
-Ciao Harry- disse semplicemente Draco. Era la prima volta che lo chiama con il suo nome e non con il cognome.
-Draco- salutò Harry con rispetto.
-Mi dispiace per tutto quello che ho fatto Harry-  ammise il ragazzo- Me ne pento amaramente.
-Sta tranquillo Draco- lo rassicurò il grifondoro- Tutti facciamo degli sbagli. Ti sei accorto di aver sbagliato. Questo è l’importante.
Harry gli porse la mano e gli disse:-Amici?
Draco afferrò la mano di Harry come se fosse un’ancora di salvezza.
 
Il giorno dopo ci furono la colazione, le lezioni ,mattutine e il pranzo.
Il pranzo, Harry lo passò con i suoi amici e con Draco che orami faceva parte del gruppo.
Con molta gioia degli studenti, la McGranitt aveva dato il permesso di passare il pranzo di Natale con gli amici che volevano. Di conseguenza, i ragazzi si riunirono al tavolo del Grifondoro.
Draco era stato cortesiamente invitato a casa dei Weasley per Natale, anche se Ron non l’aveva presa bene. Molly, invece, la madre di Ron, aveva gioito alla notizia. Chissà il motivo.
Harry era felice, nessun pericolo, niente vita da rifugiato politico e quant’altro.
Dopo pranzo andarono a prendere i bauli e si trovarono all’ingresso. Seguirono il gruppo che tornava a casa per le vacanze di Natale fino all’Hogwarts Express, dove salirono  su treno diretto a casa. Mentre erano sul treno, parlarono della scuola perché era l’unico argomento non tabù.
Quando arrivarono alla stazione di King’s Cross, videro in lontananza la signora Weasley, il signor Weasley e george. Ad Harry si spezzò il cuore nel vedere George. Era uguale a tutti i Weasley. Aveva i capelli rossi e occhi scuri. Mancava il gemello ed era quello che faceva stare male Harry. Fred era morto nella battaglia con Voldemort.
LA signora Weasley teneva un fagottino in braccio. Harry sapeva chi era quel bimbo ed era colpa sua se i suoi genitori erano morti. Harry s’avvicinò alla signora Weasley e le chiese:- Posso tenerlo?
La signora Weasley gli porse il bambino. Era piccolo e carino. Aveva le guance paffute, gli occhi ambra e i capelli che passavano dal blu al castano chiaro,
-Ciao Lupin- gli disse. Harry era diventato il padrino del bimbo, peccato che non lo vedeva tanto, per via della scuola, Quello, però sarebbe stato il suo ultimo anno ad Hogwarts e dopo si sarebbe occupato lui personalmente del bambino
Con il bambino in braccio, Harry seguì gli altri verso la macchina volante dei Weasley. Si strinsero un poco ma alla fine ce la fecero a starci tutti e sette. Il signor Weasley guidò fino alla nuova casa della famiglia. Questa era vicina ad un lago dall’acqua cristallina, in mezzo alla campagna e circondata dal bosco. Era molto più grande rispetto a quella precedete, aveva quattro piani e larga cinque metri e lunga tre. Harry adorava quella casa.
La signora Weasley entrò e fece un incantesimo al baule di Harry e degli altri che volarono al piano di sopra. George fece fare il giro della casa ai ragazzi e mostrò loro le camere. Tutti avevano la propria camera con il proprio bagno.
-AHHHH!!!- sentì urlare Harry. Era Ron.
Harry uscì velocemente dalla camera dove si trovava con la bacchetta in bano. Aprì lentamente la porta della camera di Ron poi entrò e per poco non si mise a ridere.
Ron era in piedi su una sedia  che gridava come un pazzo. Per terra c’era un minuscolo ed insulso ragnetto.
Subito dopo arrivarono Hermione, Ginny, Draco e George. Harry scoppiò a ridere e con lui anche gli altri. Ron Weasley aveva una paura matta dei ragni.
Con un foglio di carta, Harry s’avvicinò, fece salire il ragno sul foglio e lo fece saltellare fuori dalla finestra.
-Ron sei impossibile- affermò Ginny mentre chiudeva la finestra.
-Ma hai visto quanto era grande?
-Era grande quanto un sassolino!- esclamò George
-Grazie George- ribattè Ron.
La madre di Ron chiamò tutti al piano di sotto  e quindi scesero tutti le scale di corsa. Quando entrarono in salotto, Ron, Ginny e George si precipitarono a salutare i ragazzi appena arrivati. Nel salotto dei Weasley erano arrivati Bill, Charlie e Percy: i tre fratelli maggiori di Ron.
Harry era felice di vederli tutti sorridenti. Lui però non se la sentiva di sorridere dopo tutte le morti che aveva causato. Fece finta di non pensare a nulla e andò a salutare il resto della famiglia Weasley.
Quel giorno arrivarono anche i nonni, e gli zii, e i cugini. Insomma, tutta la famiglia Weasley era al completo.
Harry forse cominciava a capire veramente cosa era una famiglia. Nell’aria c’era qualcosa che non andava, Harry lo percepiva, ma decise di concentrarsi sul significato di famiglia.

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Capitolo 4
*** IL GIORNO DI NATALE ***


IL GIORNO DI NATALE
 
 
 
Annabeth era chiusa in cucina dalle sei del mattino. Era il giorno di Natale e Annabeth aveva in mente un pranzo perfetto.
Percy s’era svegliato alle nove ed era andato subito a farsi la doccia per poi andare alla cucina della Casa Grande dove Annabeth cucinava.
Quando arrivò nella cucina, entrò piano piano e s’avvicinò furtivamente alla ragazza, che in quel momento era girata di spalle. La ragazza però lo prese in contropiede e proprio nel momento in cui la stava per afferrare per i fianchi e sussurrarle parole dolci, la figlia d’Atena gli disse:-Spero che tu sia qui per darmi una mano Testa d’Alghe.
La ragazza si voltò, posando prima il cucchiaio con cui stava girando l’impasto. In quel momento, Percy poté constatare, veramente, che Annabeth era la donna più bella senza trucco e altra roba. Nonostante le occhiaie segno delle notti insonnie che aveva passato, Annabeth era bella comunque.
-Veramente era passato solo per vedere che combinavi e per salutarti.
-Perseus- cominciò Annabeth severa. Quando Annabeth lo chiamava con il suo nome per intero, non era mai una cosa positiva, mai.
-Ho capito Sapientona. Mi metto a mescolare l’impasto di qualunque cosa tu stia preparando.
Annabeth sorrise vittoriosa e cominciò a lavorare l’insalata che avrebbe servito con il tacchino al forno. Annabeth non era mai stata brava in cucina, ma aveva passato settimane con Sally Jackson ed ora se la cava piuttosto bene.
Percy seguì gli ordini di Annabeth alla lettera.
Misero il dolce in frigo e il pollo in forno e andarono ad apparecchiare nella sala della Casa Grande per dodici persone. Sembrava da egoisti fare una festa che coinvolgeva solo loro, i salvatori dell’Olimpo, ma non avevano mai chiesto niente e passare il Natale come una famiglia era la prima cosa che chiedevano a Chirone.
Nella stanza c’era un albero di Natale decorato con palline colorate raffiguranti Dei ed eroi. Le luci colorate intermittenti si schiantavano contro il muro bianco colorandolo di diversi colori; sulla punta dell’albero c’era una stella bianca. Sotto l’albero campeggiavano i regali che Percy e Annabeth avevano fatto ai ragazzi. Al centro della stanza c’era un tavolo grande che era stato apparecchiato con tovaglie bianche, piatti in ceramica candida, calici di cristallo e posate in argento puro. Poco lontano c’erano due divani bianchi e qualche poltrona di colore grigio. Entrambi erano emozionati. Era il primo e vero Natale che festeggiavano assieme.
Verso mezzogiorno cominciarono ad arrivare gli amici, tutti con un piccolo pensiero per gli altri. Quando ci furono tutti, si sederono a tavolo e mangiarono quelle buone pietanze che Annabeth aveva preparato. Si divertirono tantissimo. Hazel raccontò di quando aveva, senza volere, travolto un romano con un lingotto d’oro che veniva dalla Russia e Jason e Leo parlarono con Frank e il fidanzato di Reyna, Alex, dell’officina che volevano aprire. Jason continuava a dire:- Io faccio da corrente elettrica.
Percy era felice di vederli così spensierati.
Dopo il dolce al cioccolato, si spostarono sul divano per aprire i regali. Con il metodo si Annabeth fecero molto prima. Essendo in tanti, divisero i regali in base alla persona che li doveva ricevere. Uno ad uno aprirono i regali. A Percy regalarono un maglione verde uguale a quello di Jason, Leo, Frank e Nico, un libro sul mare, che sarebbe stato probabilmente l’unico libro che Percy avrebbe letto, un album per le foto che il figlio di Poseidone avrebbe dovuto riempire con delle foto di suoi amici, della sua casa, della sua famiglia e dei suoi luoghi preferiti. Gli vennero anche regalati: un MP3 costruito da Leo Valdez in persona e dei vestiti che però non erano maglioni. Mentre spacchettavano i regali, sembravano dei piccoli bambini che passavano il loro primo Natale.
La neve scendeva a fiocchi enormi ed ormai il campo era innevato.
Dopo i regali, decisero di guardare un film idiota, estremamente idiota. L’aveva scelto lui e questo aveva confermato ad Annabeth il fatto che il suo fidanzato fosse l’idiota degli idioti.
Il film durò praticamente un’ora e fu l’ora più lunga che le ragazze avessero mai passato. I ragazzi, invece, si divertirono un  mondo e fecero dei commenti poco carini sulle azioni dei personaggi. Solo quando fu finito, Annabeth poté tirare un sospiro di sollievo. Mandò tutti a casa, ringraziandoli, per poi incominciare a pulire la sala. Chiese a Percy di lavare i piatti mentre lei puliva il pavimento.
Annabeth non era mai stata così spensierata e in quel momento era ancora più bella, pensò Percy.
Finirono di pulire verso le sei del pomeriggio. Nessuno dei due aveva fame, parere di Percy era tutta colpa del pranzo che Annabeth aveva preparato, che era stato molto buono.
Annabeth era molto lusingata ed enormemente imbarazzata. Era contenta di aver fatto felice Percy e i suoi amici. Dopo essere entrati nella cabina di Poseidone, Annabeth andò a farsi una doccia pensando di meritarsi un po’ di riposo dopo aver passato tutta la mattina a cucinare.
Peccato che Chirone non la pensava allo stesso modo. Aveva mandato Grover a chiamare i dodici ragazzi. Grover era un satiro dai ricci e occhi scuri e zampe caprine. Avevano condiviso tante avventure insieme a lui.
Grover bussò energicamente alla porta e un Percy scocciato gli andò ad aprire. Annabeth fu costretta ad asciugarsi  e a vestirsi in fretta e furia.
-Chirone vuole tutti voi alla mensa- disse il satiro- Tra cinque minuti in mensa.
Annabeth si domandava perché Chirone, il suo insegnate, li avesse fatti chiamare con così tanta urgenza alla mensa il giorno di Natale.
Scoccò un’occhiata a Percy. Avevano gli stessi dubbi, ma non ne parlarono mai. Afferrarono le loro armi e si diressero correndo alla mensa. Lì li aspettavano tutti.
-Chirone- disse Percy- Perché ci hai fatto chiamare?
Chirone, il centauro che addestrava semidei da quando gli Dei avevano iniziato ad avere figli con i mortali, aveva la parte equina bianca, la barba scura e gli occhi che rilucevano della luce delle fiamme che illuminavano la mensa. Aveva un’aria decisamente preoccupata. Annabeth glielo leggeva in volto.
-Dovete partire- annunciò Chirone, andando dritto al punto. Le rotelle dentro la testa di Annabeth  si mossero alla velocità della luce.
-Dove  dovremmo andare?- chiese Hazel decisamente sconvolta dalle parole di Chirone. Hazel era preoccupata. Che cosa voleva dire Chirone? Nella mitologia romana i centauri non erano pacifici quanto quelli greci, Hazel lo sapeva. Aveva combattuto contro di loro al Campo Giove mentre Percy affrontava Polibote.
-In Inghilterra- rispose il centauro.
-Ma è nelle Antiche Terre!- esclamò Leo ancora reduce dallo scontro in Grecia che loro sette avevano combattuto. Solo Calipso sembrava emozionata dall’idea di partire per l’Inghilterra. Bé, lei non era di quell’epoca, anche se si stava ambientando bene.
-Partirete tra tre giorni- li informò Chirone- Andrete in una scuola. Non vi preoccupate andrà tutto bene.
Annabeth non ci credeva. Ovunque loro andassero, non andava mai tutto bene.
-Possiamo almeno sapere il motivo del viaggio?- chiese Jason che stava giocando con il suo gladius.
-Mi dispiace ragazzo- fece Chirone- Non vorremmo darvi ulteriori problemi. Quando sarete  là verrete sicuramente divisi in case. Mi raccomando non dovete creare problemi. Capito Percy?
-Cosa ho fatto io?- esclamò il figlio del mare evidentemente offeso. Certo, anche sua madre gli diceva sempre che non doveva creare problemi, ma fosse facile! Insomma, Percy non era l’unico che aveva causato non pochi problemi. Anche Leo era un casinista. Aveva fatto saltare mezzo Foro a Nuova Roma! Chirone però aveva detto solo a lui di non causare problemi, questo voleva dire che gatta ci cova.
Percy annuì distrattamente e Chirone li congedò dicendo che dovevano preparare tutte le valigie con tutto il necessario.
Tutti erano nervosi, lo si leggeva in faccia e questo trasferimento non aiutava mica. Sentivano l’odore di una nuova battaglia, che però, sta volta, non sarebbe finita presto.

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Capitolo 5
*** HOGSMADE E LA CASA DEI WEASLEY ***


HOGSMADE E LA CASA DEI WEASLEY
 
 
 
Nessuno pensava che un gigante, o semigigante come si definiva lui, li sarebbe venuti a prendere  con un moto volante che a Percy ricordava il carro di Apollo, per chissà quale motivo.
Hagrid si chiamava il gigante. Era molto alto, tipo due metri. Aveva la barba incolta e scura, come quella di Chirone, gli occhi erano castano chiaro e grandi. Le mani sembravano due palloni da calcio. Poteva benissimo essere uno dei fratelli di Percy.
Hagrid caricò le loro valigie sulla moto, disse loro di salire poi partì.
Il figlio di Poseidone aveva paura, cavolo se aveva paura. Aveva una paura matta di volare. Lo simpatico zio Zeus, del resto, gli aveva proibito di attraversare il suo territorio minacciandolo di fulminarlo. Da parte sua, Percy non aveva mai amato volare quindi a lui non dispiaceva affatto. Lui preferiva decisamente il mare. In breve Jason e Annabeth furono costretti a tenergli la mano. Jason non era stato particolarmente felice. La mano di Percy era sudaticcia e la cosa lo disgustava abbastanza.
Quando arrivarono a Londra, atterrarono vicino ad un pub: “Il Paiolo Magico”.
Seguirono Hagrid dentro al pub in silenzio. Quando giunsero in fondo al pub, videro solo un muro. Il semigigante prese un ombrello rosa e picchiò il muro tre volte. Esso si aprì rivelando una bella città, senza case, fatta di negozi. C’erano librerie, una banca, un negozio di scope e tutta roba che ai ragazzi sembravano decisamente inutili.
Andò tutto bene finché non entrarono nel primo negozio: Ollivanders. Da quello che Leo riuscì a leggere era un negozio di bacchette.
Dentro al negozio era tutto impolverato, coperto da ragnatele e pieno di scatolette che Leo aveva una gran voglia di aprire. Al centro c’era un grande bancone dal quale spuntò un uomo vecchio e decrepito che poteva avere più o meno l’età di Chirone. Aveva i capelli bianche, gli occhiali e un vecchio vestito strano, molto strano. A Leo per poco non venne da ridere ma la gomitata di Calipso, lo obbligò a non farlo. Calipso aveva le sue buone ragioni per far paura a Leo. Prima di tutto aveva un carattere decisamente pericoloso; secondo aveva un coltello che faceva più paura di lei e terzo era una donna pericolosa armata di coltello. Leo aveva capito che contro di lei  era meglio non mettersi.
-Hagrid!- esclamò il vecchio- Alla buon ora! Sono già pronte.
Il vecchietto tirò fuori una scatola più grande delle altre. Da una di queste prese una bacchetta.
-Quanto ti dobbiamo Ollivander?- domandò Hagrid.
-Ho gi sistemato tutto con la McGranitt.
-Grazie mille- rispose Hagrid per poi salutare e uscire dal negozio seguito dai dodici semidei.
Fecero un giro assurdo per comprare cose ancora più assurde: libri di testo magici, calderoni come quelli che avevano i ragazzi della cabina di Ecate, e altre cose di cui preferirono non chiederne l’utilizzo.
Era il 28 dicembre e mancava si e no una settimana al vero inizio della loro impresa. Nessuno tranne Annabeth capiva esattamente cosa fosse questa “Hogwatrs”.
-Dai non ci vuole molto!- esclamò Annabeth- Pensateci: chi usa bacchette, calderoni e gufi come porta lettere?
-I figli di Ecate- rispose Piper mentre accarezzava il suo nuovo gatto che aveva chiamato Zeus per via degli occhi azzurri come quelli di Jason.
-Esatto!- esclamò Annabeth- Ma loro non sono figli di Ecate perché se no sarebbero al Campo Mezzosangue o al Campo Giove. Perciò devono essere maghi.
Per quel che ne pensava Frank, la figlia di Atena poteva benissimo avere ragione come aver torto, ma questo era meglio non dirglielo. Annabeth era la figlia di Atena più intelligente del Campo Mezzosangue, quindi le probabilità che avesse torto erano minime.
Per terminare il giro ci misero all’incirca mezza giornata. Quando terminarono era quasi l’ora di cena, anche se i dodici semidei non avevano tutta questa fame.
Hagrid li ricaricò tutti sulla moto e li portò fuori Londra, in campagna, naturalmente senza dirgli esattamente dove. Venti minuti dopo notarono una graziosa casetta nascosta tra le colline. Vicino c’era una foresta e un lago che rifletteva la luna piena. La casa aveva quattro piani ed era larga quasi cinque metri. Poco lontano c’erano sei anelli di diverse altezze, tre da una parte e tre dall’altra. Leo si domandava a cosa servissero.
Con la moto atterrarono vicino alla porta e, dato che lo fecero con una delicatezza che  se avessero avuto Annibale, l’elefante del Campo Giove, come mezzo di trasporto sarebbe stato uguale, sulla porta comparve una donna bassa e grassa coi capelli rossi e un uomo sulla cinquantina coi capelli castani e il mantello.
-Per l’amor del cielo Hagrid!-esclamò la donna camminando verso di loro- Chi sono questi ragazzi?
-Hagrid!- gridò un ragazzo dalla porta per poi correre verso il semigigante. Aveva occhi verdi circondati da occhiali tondi e capelli neri scompigliati. Come Percy, pensò Leo. Sembrava esattamente la sua copia, tranne per la cicatrice a forma di saetta quasi invisibile che il ragazzo con gli occhiali aveva sulla fronte. Il ragazzo abbracciò il gigante nonostante quello fosse più alto di lui di parecchi centimetri.
-Ciao Harry- fece Hagrid. Il ragazzo sciolse l’abbraccio non appena in tempo perché gli altri due stavano correndo verso di loro. Il primo aveva i capelli rossi e Leo suppose fosse figlio della signora coi capelli rossi che era uscita pochi minuti prima; la somiglianza, infatti, era incredibile. Pel di Carota  teneva per mano una ragazza abbastanza carina con i capelli e occhi bruni, abbastanza minuta ma comunque carina. Probabilmente era la sua fidanzata.
Hagrid salutò i tre ragazzi e s’allontanò, andando a parlare con la signora rossa, che Leo aveva capito chiamarsi Molly.
Dopo un poco, Percy scese del resto era iperattivo. Gli altri si scambiarono un’occhiata poi scesero anche loro. A nessuno di loro piaceva stare seduti ed aspettare che qualcuno facesse le cose al posto loro. Erano semidei, per tutti gli Dei! Non erano stati concepiti per stare a guardare mentre le cose intorno a loro cambiavano, mutavano.
Il moro, Harry, s’avvicinò ai mezzosangue. Li guardò incuriosito, forse per via delle magliette arancione e la toga di Reyna, Frank e Jason.
-Ciao, io sono Harry Potter- disse il moro, indicando poi i due ragazzi disse:-Loro sono Hermione Granger e Ron Weasley.
Percy gli sorrise e rispose:-Percy. I miei amici sono: Annabeth, Jason, Piper, Hazel, Frank, Nico, Will, Reyna, Alex, Leo e Calipso.
Tutti alzarono le mani in segno di saluto, tranne Leo che salutò con il segno di pace alieno.
-Leo!- lo rimproverò Piper- Non sono mica alieni!
-Come fai a dirlo Miss Mondo? Magari sono alieni travestiti da umani.
-Disse quello che atterrò sulla mia isola come un razzo- lo rimbeccò Calipso.
Hermione, la ragazza bruna, chiese:-Da dove venite?
-Da New York- rispose Annabeth.
In quel momento, Hagrid e la rossa finirono di parlare e il semigigante s’avvicinò ai ragazzi:
-Bene ragazzi, la signora Weasley vi ospiterà finché non patirete per Hogwarts. Da lì in poi vi affido ad Harry. Mi raccomando, fate i  bravi.
-Si Hagrid- rispose Jason per tutti. Hagrid montò sulla sua moto e partì a tutta birra schizzando su nel cielo buio.
-Venite dentro- li invitò la signora Weasley. I semidei la seguirono senza fare domande con le valigie in mano.

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Capitolo 6
*** MAGHI E SEMIDEI ***


MAGHI E SEMIDEI
 
Quando entrarono nella casa dei Weasley, Percy si sentì invadere da un senso di calore, di famiglia. In casa da sua madre c’era sempre quel calore. La casa dei Weasley era uguale. Quando varcarono la soglia, le loro valigie scomparvero e finirono chissà dove.
Annabeth gli era accanto, come sempre Jason era alla sua destra e Nico gli era dietro. Percy posò la mano sulla sua tasca dei jeans, dove stava Vortice, la sua spada-penna. L’aveva da quando aveva dodici anni ed ormai era come Annabeth: una parte fondamentale di lui.
La prima cosa che fece la signora Weasley fu chiedergli se mangiavano abbastanza, probabilmente aveva guardato Nico quando l’aveva chiesto. Tutti i semidei avevano risposto di si, che mangiavano abbastanza. Dopo di ché li fecero sedere con il resto della famiglia Weasley. C’era una ragazzina coi capelli rossi di nome Ginny, un ragazzo biondo che stava seduto e non mangiava niente di nome Draco e tre ragazzi molto grandi che Percy sospettò essere i tre fratelli maggiori. La tavola andava da un capo all’altro della sala.
-Per tutti gli Dei!- esclamò Hazel- Ma quanti siete? È come la cabina di Ermes!
Gli altri annuirono in assenso. Chiunque fosse arrivato al Campo Mezzosangue senza sapere chi fosse il suo genitore divino, aveva passato un po’ di tempo nella cabina 11.
-Come, prego?-domandò Hermione sedendosi dall’altro lato del tavolo.
-Niente!- esclamò Leo- Mangiamo che sto morendo di fame!
Mangiarono senza proferire parola con i loro ospitanti e borbottando tra di loro. La signora e il signor Weasley li guardavano stupefatti, ma non dissero loro nulla per tutta la serata.
Quando la cena terminò, la signora Weasley portò i ragazzi nelle loro camere. Percy avrebbe dovuto dormire con Harry. Annabeth avrebbe dovuto dormire con Hermione e Percy non perse tempo nell’escogitare qualcosa per far mettere lui e Annabeth nella stessa camera. Non avrebbe sopportato la distanza, anche se era poca.
La signora Weasley fu irremovibile, allora Percy chiese un favore ad Hermione: doveva andarlo a chiamare qualunque cosa fosse successa ad Annabeth. La ragazza, anche se dubbiosa, accettò la richiesta del figlio del mare.
Percy rientrò in camera e prese dal suo zaino il suo album di fotografie che gli aveva regalato Annabeth a Natale e il libro sul mare, regalo di Poseidone. Sfogliò per primo l’album. Aveva già iniziato a mettere delle foto. C’erano immagini del Campo Mezzosangue a Natale e dei suoi amici. In una foto c’erano Travis e Connor Stoll intenti a entrare nella cabina 5, in un’altra Clarisse La Rue che inseguiva gli Stoll armata di una lancia ed infine gli Stoll in infermeria. Su alcune pagine, i suoi amici avevano scritto dediche e commenti. In prima pagina, Percy aveva scritto in grande e in greco antico: Eroi dell’Olimpo. L’aveva scritto a caso, pensando alcune volte anche a quello che aveva detto Era parecchie volte: loro sette erano gli Eroi dell’Olimpo, gli eroi più forti del secolo.
-Che guardi?- domandò Harry entrando nella stanza e chiudendosi la porta alle spalle.
Harry assomigliava troppo a Percy e probabilmente in due avrebbero fatto una persona sana. Percy si sentiva stranamente vicino a quel ragazzo che aveva conosciuto solo poche ore prima.
-Un album- rispose Percy- Un album che mi ha regalato Annabeth per Natale.
-Che foto hai? Posso vederle?
Percy non si spiegò mai perché fece vedere ad Harry Potter quell’album dove teneva le immagini dei suoi amici e di casa sua.
Si sederono ai piedi del letto di Percy e Harry prese in grembo l’album. Lo sfogliarono assieme e Percy spiegava di tanto in tanto che cosa veniva raffigurato. Gli raccontava dei ragazzi del campo, dei suoi luoghi preferiti e delle attività. Harry faceva domande sul Campo Mezzosangue, senza conoscerlo veramente, poi fece la fatidica domanda:-Che cosa sei veramente Percy?
Percy abbassò gli occhi. Improvvisamente il pavimento si era fatto molto interessante. Il figlio di Poseidone non sapeva se fidarsi o meno di Harry confidandogli la sua natura semidivina.
-Sai quando si parla di mitologia greca e romana?- chiese Percy chiudendo l’album e alzandosi in piedi. Harry annuì e Percy continuò:- Chissà come, gli Dei dell’Olimpo sono sopravvissuti per millenni. Al Campo Mezzosangue siamo tutti semidei, mentre al Campo Giove ci sono anche i figli di semidei, i Legati.
-E tu sei…
-Il figlio del dio del mare, Poseidone. Ho passato un periodo in cui mio padre era Nettuno, ma in realtà è Poseidone.
-Ma…
-Gli Dei, alcuni Dei, soffrivano di doppia personalità, alcuni la soffrono tuttora. Questa estate, Gea ha cercato di distruggere il mondo e ha fatto impazzire le divinità. Annabeth ha cercato l’Athenea Parteneos e quella le ha fatte guarire, più o meno.
Harry sorrise. Il mago era felice di aver trovato qualcuno che aveva compiuto imprese più folli di lui. Percy Jackson era molto più simile a lui di quanto entrambi credessero. Si sentivano vicini, come se si conoscessero da tempo o come se fossero fratelli.
-Non è che ti ho già incontrato da qualche parte?- domandò Percy dando vita ai pensieri di entrambi.
-Lo stavo pensando anche io. Io credo che io e te ci siamo già incontrati una volta, prima che…la nostra vita cambiasse.
Sorrisero entrambi poi decisero che era il caso di andare a dormire.
Percy non riuscì ad avere una notte tranquilla, del resto, i sogni attaccano sempre i semidei.
 
Sognò un parco giochi, in Inghilterra, a Londra. C’erano tanti bambini ma lui andò a giocare con bambino con gli occhiali tondi e i vestiti troppo larghi.
-Ciao- disse-Io sono Percy. Ti va di giocare con me?
Il ragazzino sorrise poi affermò:-Mio cugino picchia chiunque giochi con me. A meno che tu non voglia un pugno in faccia, non ti conviene giocare con me.
Prese per mano il bambino e lo portò vicino alla fontana, dove si tolse le scarpe incitando l’amico a fare altrettanto. L’occhialuto fece come lui ed entrò nella fontana. Si schizzarono a vicenda, ritrovandosi presto bagnati. Smisero soltanto quando un ragazzo alto e grasso s’avvicinò dicendo:-Potter s’è fatto un amico. Chi è sto sfigato?
L’occhialuto gli sussurrò che quello era il cugino. Percy fece un passo avanti, poi due, tre e quattro sino a trovarsi davanti a quel bullo e gli disse:-Sei un bamboccio. Rimarrai fregato tutta la vita. Almeno lui un amico ce l’ha.
S’allontanò dal bambino grasso portandosi dietro l’occhialuto.
 
La mattina dopo Percy s’alzò tardi. Harry, nel letto accanto a lui, dormiva ancora. Decise così di rimanere nel letto ancora per qualche minuto, poi s’alzò e si cambiò. Molto velocemente si mise un paio di jeans e la maglietta del Campo Mezzosangue. Scese le scale ed entrò in cucina dove c’erano i ragazzi che facevano colazione. Leo aveva acceso un piccolo stereo e aveva messo su una canzone a caso, quindi c’erano Hazel, Reyna, Annabeth,Piper, Leo e Calipso che ballavano, Jason e Alex cantavano e Frank che regolava il volume dello stereo ogni minuto. Nico stava cercando di bere la sua tazza di cappuccino, ma Will non lo lasciava respirare. Percy rimase qualche minuto scioccato, poi decise di far finta di  niente. Prese i suoi pancake e si sedette al tavolo iniziò a mangiucchiare. Annabeth si sedette accanto a lui e gli disse:-L’ho detto ad Hermione.
Sotto c’era ancora Jason che cantava mentre Frank cercava di fare il DJ.
-Ed io ad Harry- ammise il figlio di Poseidone- Mi è sembrato di conoscerlo da sempre.
-Uguale per me. Stanotte ho sognato io e lei che giocavamo in un parco giochi.
-Uguale. Sembra tutto esattamente calcolato.
Alla loro conversazione s’aggiunse Leo che chiese:-Allenamento vicino al lago, stamattina?
Percy e Annabeth si scambiarono uno sguardo poi lei annuì. I ragazzi spensero la musica e corsero al piano di sopra a prepararsi. Annabeth li seguì, lasciando Percy da solo. La cucina dei Weasley era grande e Percy sembrò di essere al tavolo di Poseidone quando mangiava tutto solo al tavolo di suo padre. I signori Weasley erano usciti per andare a fare la spesa o qualcosa che Percy non aveva bene capito. Aveva paura del mondo che gli si stava per aprire davanti agli occhi. Aveva paura di scoprire il mondo di Harry Potter.
Sparecchiò e salì le scale per tornare in camera. Lì prese  fuori la sua armatura, quella che Tyson aveva forgiato per lui prendendo ispirazione da quella del padre. Mentre la indossava, Harry si svegliò.
-Buongiorno Percy- disse il ragazzo, strabuzzando poi gli occhi all’armatura di Percy domandò:-Cos’è quella?
Percy spostò lo sguardo sulla sua armatura e rispose:-È un’armatura. Di solito sono molto pesanti, questa è abbastanza leggera perché è in argento marino. Me l’ha costruita mio fratello Tyson.
Harry annuì e chiese:-Quindi, ora dove vai?
-Allenamento mattutino- fece il figlio di Poseidone- Le spade non si maneggiano da sole.
-La tua spada dov’è?
Harry avrebbe preferito stare zitto. Percy prese fuori dalla tasca una penna a sfera, la stappò e ne uscì una spada di novanta centimetri. Era chiaro che ad Harry piacesse molto, o almeno era quello che diceva la sua espressione.
-Si chiama Anaklusmos, “Vortice”  in greco antico- spiegò Percy mentre gliela porgeva. Ad Harry doveva sembrare incredibilmente pesante. Si vedeva che Percy non era magro come lui. Il ragazzo aveva una buona corporatura muscolosa. Sembrava che avesse passato la sua vita in un campo militare.
Harry passò la spada a Percy che la ruotò come se fosse la cosa più facile del mondo ed esclamò:-Io vado!
Uscì dalla camera, scese le scale e andò in giardino dove i ragazzi lo aspettavano. Si divisero in gruppi da due e Percy finì casualmente con Annabeth. Percy aveva battuto mostri, Titani, Giganti e Dei, ma Annabeth era l’unica che non aveva mai battuto. Era quella che vinceva sempre e il figlio di Poseidone l’adorava anche per questo.
-Pronto Testa d’Alghe?- domandò la ragazza sfoderando la spada.
-Questa volta non mi batterai.
Annabeth sorrise maliziosamente, poi aspettò che Percy attaccasse. Lui sollevò la spada e partì all’attacco. Mentre si lanciava su di lei, notò che dalla finestre della casa, Harry guardava i semidei allenarsi.
-Harry, che stai facendo?- domandò Ginny entrando nella stanza.
-Niente- rispose lui tenendo però lo sguardo su Jason e Nico che lottavano.
-Stavamo per andare a giocare a Quiddich. Papà ha fatto un nuovo campo. Ti va?
Harry scosse la testa. Non che non ne avesse voglia. Il Quiddich era uno sport bellissimo ed Harry era molto bravo.
-Credo di volermi allenare.
 
Quando Harry, Ron, Hermione, Draco e Ginny scesero in giardino, tutti si fermarono a guardarli. Percy si beccò anche una gomitata da Annabeth nelle costole.
-Non ci siamo Testa d’Alghe- si lamentò Annabeth- La regola numero uno è…
-Non distrarsi, lo so, lo so- sbottò il ragazzo massaggiandosi il fianco.
-Scusate se vi abbiamo interrotti, ma… volevamo spere se potevamo “allenarci” anche noi…-disse Harry scusandosi.
Decisero così di fare un torneo. Il primo gruppo a combattere furono Harry e Percy. Si misero ai lati opposti e al “tre” di Hermione, Harry lanciò un “Expelliarmus” che però servì a poco visto che Percy indietreggiò soltanto. Harry era stupito. Nessuno era mai riuscito a restare armato dopo quell’incantesimo. Fece appena in tempo a realizzare che Percy non si sarebbe fermato davanti a nulla, che un’onda lo centrò in pieno mandando a terra. Così s’alzò, bagnato fradicio, e lanciò un altro incantesimo. Percy, però, lo parò con la spada, poi caricò e colpì Harry, con il pomo della spada, allo stomaco e avvertì una fitta di dolore. Il figlio di Poseidone chiamò a se dell’acqua che fece passare sul corpo del mago. Harry si aspettava il colpo di grazia ma si sentì invadere da una nuova forza. Una forza pura come l’acqua. Una forza stana, mai provata prima.
Quando aprì gli occhi, Harry vide la mano di Percy, l’afferrò e si tirò su. Subito Ginny lo abbracciò e per poco non cadde di nuovo.
-Bravo Harry- gli disse Percy- Ti sei battuto bene.
Tra tutte le domande che ad Harry vennero in mente solo una domanda sembra quella giusta da porre:-Come mai gli incantesimi di disarmo non funzionano con te?
-Io penso- intervenne Annabeth- che anche le altre armi di bronzo celeste ed oro imperiale riescano a respingere i vostri incantesimi.
La curiosità di Harry prese il sopravvento e non riuscì a trattenersi dall’ascoltare i ragionamenti di Annabeth e quel ragazzo strano, Leo.
-Probabilmente è la qualità delle armi semidivine...- ipotizzò la ragazza bionda con lo sguardo perso- Cercherò informazioni sui libri.
-Ed io esaminerò più a fondo le armi- propose Leo incuriosito ancora di più della ragazza.
Anche Harry si sentiva molto preso da questa storia. Possibile che un incantesimo per lui ormai scontato non funzionasse contro una semplice spada? Non riusciva a capire ma si impose di scoprirne di più.
Annabeth si allontanò dal gruppo, probabilmente persa nei suoi pensieri, e svanì dentro casa.

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Capitolo 7
*** PROBLEMI CON LA LINEA ***


PROBLEMI CON LA LINEA
 
Percy rimase fuori la sera dopo cena. Aveva poco sonno e tanti dubbi. I maghi e gli altri erano dentro a festeggiare il nuovo anno, ma lui non se la sentiva. Cosa avrebbe portato il nuovo anno? Gea dormiva, Crono era nel Tartaro a cercare di rigenerarsi. Che cosa stava dimenticando? Non lo sapeva, ma era sicuro che qualcosa non andava. E poi, cos’era sta storia che esistevano i maghi? Dov’erano quando Crono e Gea stavano cercando di impossessarsi del mondo?
-Bella la luna vero?
Si voltò di scatto. Dietro di lui, poco distante, c’era Annabeth. Indossava un vestito blu notte, un  golfino bianco e gli anfibi neri. A Percy quella ragazza faceva letteralmente girare la testa. La adorava nonostante non fosse mai troppo femminile.
-Tu lo sei di più- rispose non staccandole gli occhi di dosso mentre lei si sedeva accanto a lui.
-Sei pronto per una nuova avventura?- gli domandò Annabeth mentre lei si toglieva le scarpe ed immergeva i piedi, come lui, nell’acqua.
Percy non capì subito la domanda della ragazza, poi, quando ci arrivò, scosse la testa. Aveva paura, ecco cosa aveva. Aveva paura di perdere tutto. Non sapeva veramente che cosa stava succedendo. Non sapeva cosa Chirone voleva dirgli quando gli aveva detto di non creare problemi. Lui non sapeva niente.
-Ti sei mai chiesta perchè noi?- domandò Percy prendendola per mano- Si insomma, capitano tutte a noi. Crono, Gea ed ora questo
-Me lo chiedo sempre Percy- ammise la figlia di Atena guardandolo negli occhi.
Annabeth appoggiò la testa sulla spalla di Percy e chiuse gli occhi. Vedeva loro due da piccoli quando avevano dodici anni, poi tredici, quattordici, quindici, sedici e diciassette. Aprì gli occhi. Sentì le campane suonare festose e i fuochi d’artificio di George esplosero nel cielo.
Percy si alzò in piedi e porse la mano alla ragazza che l’afferrò e si tirò su.
-Buon nuovo anno, Sapientona.
Prima che potesse dire qualcosa, lui la baciò. Non avrebbe saputo dire per quanto rimasero in quella posizione. Il fatto era, che lui gli faceva proprio perdere la cognizione del tempo.
-Basta voi due!- urlò Leo dalla soglia- Venite dentro a festeggiare!
Percy e Annabeth non se lo fecero ripetere due volte, anche perché Leo Valdez era seriamente pericoloso quando voleva.
Dentro c’era aria di festa. Ron, Hermione, Harry e Ginny ballavano a ritmo di musica, i ragazzi battevano le mano a tempo. Quando Percy li guardò capì cosa provavano: si sentivano liberi una volta tanto, liberi di essere naturali.
Si divertirono tanto quella sera. Scattarono fotografie (che Percy a fine serata inserì nel suo album), ballarono e cantarono; insomma erano normali adolescenti, con vite normali.
I sogni però torturano i semidei e non li lasciano mai veramente.
 
Percy sognò di essere a Londra, davanti a quella che Annabeth gli aveva spiegato essere Trafalgar Squame.
Era solo.
Le fontane gorgogliavano acqua, ma la città era vuota. Percy vide una luce provenire dalle due fontane per poi scendere, diventare acqua e poi un tridente tra le sue mani.
A Percy sarebbe piaciuto, se non si fosse distrutto.
-Non sei degno- disse qualcuno alla sue spalle.
Percy si girò. Aveva riconosciuto quella voce calda e rassicurante. Era sua padre. Aveva parlato con lui abbastanza volte per riconoscere la sua voce. E infatti eccolo lì davanti a lui. Suo padre era la copia più vecchia di lui. Avevano gli stessi capelli neri e gli occhi dello stesso verde intenso. Quelli si Poseidone però, in quel momento, erano neri.
Aveva paura. Aveva incominciato ad avere un poco di paura del padre nonostante lui gli avesse sempre lasciato vivere la sua vita.
-Non sei degno- ripeté Poseidone avvicinandosi al figlio.
Percy provò ad indietreggiare ma non riuscì a muoversi. Era inchiodato al terreno. Alzò lo sguardo al cielo ma vide alcune nuvole che stavano assumendo una strana forma: un serpente. Non sapeva che cosa volesse dire, ma era sicuro che non era un buon segno.
-Il tridente non ti risponderà mai- gli disse poi cambiò espressione per un secondagli occhi dello stesso colore ed esclamò:- Scappa Percy!
Il figlio di Poseidone provò a dirgli che era leggermente incollato al terreno ma invano.
L’espressione del padre tornò buia, gli occhi di nuovo neri come il cielo notturno.
-Il tridente è per le persone coraggiose, ragazzo. Tu lo sei?- inclinò la testa di lato, come se aspettasse una risposta- Per colpa tua molte persone sono morte. Se fossi stato coraggioso saresti morto tu, non loro.
Percy si sentì ferito, nonostante il fatto  che aveva capito che il suo “pseudo padre” probabilmente era posseduto da un’ombra oscura.
 
All’improvviso Percy fu svegliato da urla assordanti: quelle di Annabeth.
S’alzò dal letto e corse nella camera accanto dove stava Annabeth con Hermione. Entrò senza bussare e s’avvicinò ad un’Annabeth con le lacrime. Senza dire niente l’abbracciò  come aveva fatto innumerevoli volte. Aveva già confortato Annabeth da quando erano tornati dal Tartaro. Ci stava male a vederla così.
-Mia… madre…-balbettò Annabeth- Mi…ha… detto… che….
Scoppiò d nuovo in lacrime.
-Vado a… a prendere dell’acqua e magari…un calmante- balbettò Hermione esterrefatta, uscendo poi dalla camera.
Percy prese la mano di Annabeth e l’appoggiò al suo petto. Il cuore del ragazzo aveva un ritmo regolare. Annabeth  sfilò la mano e abbracciò le ginocchi chiudendosi come un guscio. Percy allora, le fece appoggiare la testa al petto e le disse:- Prova ad imitare il mio battito Sapientona. È calmo. Qualunque cosa tua madre ti ha detto non è la verità.
Dopo un bicchiere d’acqua, una pozione calmante e parole tranquillizzanti, Annabeth si rimise a dormire.
Agli occhi del figlio di Poseidone, Annabeth sembrava un angelo biondo che aveva attraversato l’inferno ma non aveva ancora raggiunto il paradiso.
 
La mattina seguente, dopo aver fatto colazione, i ragazzi si riunirono fuori per allenarsi.
Quella mattina, Piper non se la sentiva di combattere, nonostante si sarebbe dovuta allenare con Reyna ( con la quale si trovava davvero bene). Si sedette lontano da loro. Nessuno le fece domande, del resto i figli di Afrodite non erano veri combattenti. Piper estrasse il suo pugnale, Katropis. Leo, l’aveva anche soprannominato “lo specchio sfortunato”. Infatti, secondo il figlio di Efesto, quel pugnale se veniva rotto, non solo ti beccavi sette anni di sfiga ma anche la morte.
La figlia di Afrodite lo osservò e vide immagini sfocate. Vide loro con le divise che avevano comprato ad Hogsmade e le cravatte colorate. Li vide poi in una stanza dove c’erano manichini  che venivano colpiti da spade. Poi vide la Heroes e loro a bordo. La Heroes era la nuova nave di Leo della quale non aveva ancora svelato molto.
Piper  sapeva che quello che aveva visto sarebbe accaduto veramente. Stava per vedere la quarta immagine quando il pugnale prese a scottare. Piper lo lasciò immediatamente e quello cadde provocando un suono metallico. La mano le bruciava e aveva cominciato a far male. Corse al lago e immerse l’arto dolorante nell’acqua gelida. Poi, dato che la mano pulsava ancora, prese della neve che era caduta durante la notte, fece una montagnola e ci buttò dentro la mano. Il dolore sembrò placarsi, anche se faceva ancora male.
Piper tornò dove s’era seduta prima. Il pugnale non fumava più e sembrava che si potesse maneggiare. Piper lo raccolse e lo rimise nel fodero. Era decisa ad usarlo solo per combattere.
La signora Weasley li chiamò a mangiare e in quel momento notò davanti alla finestra della cucina la nebbiolina di un messaggio Iride. Controllò di avere una dracma, poi s’avvicinò alla nebbia e lanciò la moneta in mezzo.
Talia, la sorella di Jason, era uguale a come Piper l’aveva vista l’ultima volta. Aveva i capelli corti e neri, gli occhi blu elettrico ed era vestita completamente in argento.
-Ciao – iper- la salutò Talia. Probabilmente c’erano delle interferenze perché Talia compariva e scompariva a intermittenza.
-Talia, come stai?- disse Piper.
-Piper, – sa – a – cedendo?- domandò Talia urlando.
-Non ti preoccupare Talia, stiamo bene.
-Devo venire? Va bene, domani sono lì! Ci vediamo Piper!
Piper era sicura che non le avesse detto di venire. Urlò a Talia di non venire, ma la ragazza aveva già chiuso la chiamata.
Perché Talia li aveva contattati? Perché c’erano delle interferenze? Non che non ce ne fossero mai state, ovvio, ma Iride aveva campo lì in Inghilterra, Piper lo sapeva.
Molly chiamò di nuovo a mangiare, ma Piper la fame era passata.

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Capitolo 8
*** I MORTI RESUSCITANO ***


I MORTI RESUSCITANO
 
Jason non si aspettava di vedere arrivare sua sorella a cavallo di Blackjack, poiché Talia soffriva di vertigini. Piper li aveva avvertiti dell’imminente arrivo della cacciatrice, spiegando anche che era stato tutto un malinteso e che comunque Talia sarebbe rimasta con loro.
Talia atterrò nel giardino dei Weasley, scese da Blackjack e provò a fare due passi verso Jason, ma per poco non cadde. Percy ringraziò il pegaso che volò via dopo che gli fu data una zolletta di zucchero.
Jason aiutò Talia ad entrare ed ad accomodarsi sul divano. La signora Weasley uscì dalla cucina con un sorriso enorme stampato sulla faccia ed esclamò:-Ciao cara, ben arrivata. Vuoi una tazza di tè? Della torta alle mele?
-No, grazie signora- rispose Talia ancora stordita- Un bicchiere d’acqua va benissimo.
La signora Weasley annuì, andò in cucina, prese un bicchiere d’acqua poi lo portò alla ragazza. Talia ne bevve metà, poi posò il bicchiere sul tavolino e iniziò a raccontare degli ultimi avvenimenti del Campo Mezzosangue. I mostri avevano cominciato ad attaccare sempre più frequentemente e molti ragazzi erano finiti in infermeria cercando di proteggere il campo.
-E non è tutto- continuò Talia- Alcune ancelle mi hanno riferito che percepiscono dei cambiamenti. Li ho notati anche io. I mostri che ora cacciamo…sono quasi indistruttibili e sono molto più antichi di tutti gli altri.
Il silenzio rimase incontrastato nella stanza per almeno cinque minuti.
Jason non sapeva che cosa la sorella volesse dire, ma era sicuro che avesse ragione. Talia era particolare, ma non pazza sia chiaro. Jason doveva anche ammettere che aveva un po’ di paura di quella ragazza.
Dopo che si fu ripresa, Talia andò a cambiarsi e i ragazzi rimasero soli.
Jason non sapeva che pensare. Chirone li aveva mandati in missione senza dirgli niente, niente di niente. Jason si sentiva un po’tradito, da Chirone e dagli Dei.
Aspettarono Talia e quando la ragazza scese, si diressero fuori dove l’aria invernale era fredda e pungente colpì i loro visi. Leo accese una fiammella sulle sue dita e la lanciò verso la legna che avevano ammucchiato. L’aria sembrò riscaldarsi. C’era freddo però, e questo condizionava anche il fuoco di Leo.
Semidei e maghi iniziarono ad allenarsi, ignorando il freddo pungente.
Jason stava volando sopra i ragazzi cavalcando le correnti con Draco, che era a bordo della sua scopa volante. Jason, quelle scope, le trovava veramente forti ma allo stesso tempo non gli piacevano granché. Probabilmente era perché lui preferiva volare a suo modo.
-Reducto!- gridò Draco. Jason schivò l’incantesimo sollevandosi solo un po’più in alto.
-Jason!- gli urlò Talia- Non volare troppo in alto!
Talia combatteva con lancia e scudo. Da quello che Jason sapeva, lei non usava quasi mai l’egida e la sua lancia da quando era entrata nelle Cacciatrici, anche se però le portava sempre con sé.
In quel momento, sfruttando quel momento di distrazione, Draco lo colpì con la coda della scopa. Jason volò a terra e, per sua fortuna, non diventò frittata semidivina.
-Vi va di fare una Caccia alla Bandiera?- domandò Talia che aveva messo al tappeto Leo. I semidei annuirono entusiasti, mentre i maghi li guardarono strani.
-Qualcuno può spiegarci che cos’è?!- esclamò Ron.
-È un gioco che facciamo al Campo Mezzosangue- spiegò Leo- Ci sono due squadre e due bandiere. Le squadre devono rubarsi le bandiere.
-Esistono anche delle regole- lo rimbeccò Piper- Non si può uccidere e ferire. Solo catturare.
Era chiaro che i maghi erano curiosi di provare quel gioco, ma erano anche terrorizzati. Avevano visto tutti di che cos’erano capaci i nuovi ragazzi e non sapevano che avevano visto solo una parte delle loro capacità.
-Facciamo domani- propose Annabeth mentre guardava il cielo, il quale aveva cominciato ad essere grigio come gli occhi della ragazza.
Tutti annuirono e rientrarono in casa per la cioccolata calda e un film.
 
Quella sera, Annabeth si ritrovò con Leo in corridoio per gli ultimi aggiornamenti sul bronzo celeste, oro imperiale e ferro dello Stige. Il ragazzo aveva l’aria stanca, lo si vedeva dalle occhiaie che aveva sotto gli occhi.
-Brutti sogni?- domandò Annabeth.
-Si- rispose Leo guardandosi le mani.
Tra i due ragazzi si era formato un rapporto di amicizia reciproca e fratellanza. Erano entrambi inventori e costruttori quindi si capivano bene quando parlavano di cose diverse dai sentimenti. Entrambi erano bravi a pensare, a risolvere i problemi matematici e meccanici.
-Ancora lei?- chiese Annabeth, anche se sapeva già la risposta. Leo faceva lo stesso sogno tutte le notti e nessuno dei due non capiva il motivo. Forse era come per lei. Ogni notte sognava il Tartaro. Non era bello.
-È ogni notte più terrificante, Annabeth. Non so come tu faccia, ogni notte, a sopportare i tuoi incubi. Io impazzirei.
-Leo, tu non sei solo. Io li sopporto con l’aiuto di Percy. Tu hai Calipso. Parlane con lei.
-Grazie Beth.
Solo lui la poteva chiamare Beth, perché Leo era il fratello minore che Annabeth non aveva mai avuto. Lui era quello che Annabeth aveva sempre sperato di avere in casa come fratellino. Uno come lei, che riuscisse a capire i problemi e a risolverli.
-Comunque ho scoperto una cosa: i materiali delle nostre armi sono stati lavorati con la magia, per questo resistono agli incantesimi. Ho esaminato Vortice, come mi avevi chiesto.
-E?
-Annabeth non sono belle notizie.
-Dimmi Leo. Dobbiamo sapere cosa sta succedendo.
Leo sospirò:- La spada sta cambiando.
-Che intendi dire?- domandò Annabeth preoccupata.
-Non lo so, ma non è una bella cosa. Vortice è antichissima, più di tutte le altre spade. La sua composizione metallica è difficilissima da comprendere e da realizzare. Presto o tardi, sappiamo che Percy sarà incontrollabile, se sono giusti i nostri sospetti, e con lui Vortice. Potremmo ritrovarci in guai seri.
-Leo i nostri sospetti sono giusti. Ti ricordo che le informazioni ce le ha date il Divino Poseidone. Mi fido del dio del mare, soprattutto quando si parla di Percy.
Leo annuì poi sbadigliò e disse:-Dormiamoci su Annabeth.
Si diedero la buonanotte e ognuno tornò nella propria stanza.
 
Il giorno dopo, s’alzarono la mattina presto, fecero tutti colazione e uscirono a giocare a Caccia alla Bandiera nel bosco dove c’era un ruscello che alimentava il lago. Le squadre erano composte da Percy, Annabeth, Frank, Calipso, Nico, Talia, Harry, Draco e Ginny nella metà est e Hazel, Jason, Piper, Leo, Reyna, Alex, Will, Hermione e Ron nella metà ovest.
La squadra azzurra, quella di Annabeth, aveva nascosto la bandiera, che era un lenzuolo blu, in mezzo a dei rami di un albero. A far da guardie c’erano Nico, che s’era nascosto nell’ombra e Talia, che nonostante le proteste, era rimasta a tener d’occhio la bandiera.
Frank aveva già giocato alla Caccia alla Bandiera durante una permanenza al campo greco. Era stato in squadra con Percy e Annabeth ed avevano vinto, nonostante la squadra avversaria fosse più numerosa era stata l’unica volta che ci aveva giocato. Per il resto, mentre Hazel faceva greco-romano romano-greco con Nico, lui doveva rimanere al Campo Giove come pretore. Era stato tentato a mollare tutto, ma alla fine era rimasto sempre lì a fare il suo lavoro.
Quando George, a cui era stato chiesto di fare da arbitro, suonò il corno, Frank si trasformò in un corvo. Era il piano di Annabeth: mandare Frank e Calipso avanti, lui via cielo e lei via terra.
Calipso era sotto di lui che correva, ma era molto silenziosa, tanto che non si sentiva.
Frank individuò la bandiera, così tornò a terra e ritornò umano. Lui e Calipso si acquattarono dietro un cespuglio e studiarono la situazione. Davanti alla bandiera c’erano Leo e Hazel, quest’ultima in groppa ad Arion, un cavallo leggendario super veloce.
Frank capì la scelta di Reyna, il capitano della squadra rossa. La figlia di Bellona aveva messo Leo e Hazel perché avrebbero avvisato la squadra in un modo o nell’altro. Reyna non era una stolta, del resto era la figlia della dea romana della guerra.
Hazel e Leo erano vigili davanti alla bandiera.
Calipso fece segno a Frank di distrarre i due mentre lei prendeva la bandiera.
Frank fece di meglio: s’arrampicò su un albero diventando un topo. Una volta in cima, ritornò umano, incoccò una freccia e la lanciò a pochi centimetri da Leo.
Il figlio di Efesto, prese a lanciare palle di fuoco verso il figlio di Marte che credeva essere Talia. Frank non seppe se quel paragone doveva essere un’offesa o un complimento, del resto le Cacciatrici di Artemide erano le migliori nel tiro con l’arco
Il figlio di Marte incoccò un’altra freccia e la dirottò verso le orecchie di Arion, che, spaventandosi, s’impennò e corse tra gli alberi. Frank si ripromise di chiedere scusa ad Hazel, subito dopo aver vinto.
Scese dall’alberò e Leo gli urlò:-Ma è Zhang! Io che credevo fosse Talia!
Ancora una volta, Frank non seppe come reagire a quel commento.
Frank estrasse la spada e Leo e Hazel fecero altrettanto. Quando Leo finiva a terra, Hazel lo sostituiva. Il figlio di Marte, mentre schivava un colpo mirato al petto di Leo, diede uno sguardo alla bandiera: non c’era più. Fece la prima cosa che gli venne in mente e, dopo aver atterrato sia Hazel che Leo, si trasformò in un dragone e volò sopra a Calipso, proteggendola nel caso qualcuno avesse provato a togliere alla squadra blu la vittoria.
Quando la ragazza atterrò dall’altro lato del fiume che fungeva da confine, il corno rimbombò e la voce di George si fece sentire:-Parità!
Frank non era mai stato così sorpreso. Era stato talmente impegnato a proteggere Calipso che non ci era preoccupato dell’altre squadra che aveva preso la bandiera.
Tutti i ragazzi di guardarono cercando di capire che cosa fare.
A Frank non era mai successo. A rompere il silenzio ci pensò Annabeth:-Bella partita, complimenti.
Tornarono alla casa dei Weasley parlando della partita che era durata quasi un’ora e mezza.
Sulla strada di casa, si fermarono: davanti a loro c’era un esercito di morti.

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Capitolo 9
*** UN LIBRO CHE PARLA DEL SIGNORE OSCURO ***


UN LIBRO CHE PARLA DEL SIGNORE OSCURO
 
Talia si domandava se poteva uccidere qualcuno che era morto. Si poteva? Sperava di si.
Davanti a lei c’era Luke Castellan, il figlio di Ermes più amato-odiato da Talia Grace.
Era colpa sua se lei era una cacciatrice. Dopo che l’aveva visto tradire gli Dei, Talia aveva deciso di rinunciare all’amore. Lei odiava Luke Castellan. Infatti, quando la salutò lei gli tirò una sberla, poi se ne andò impedita alla casa dei Weasley. Sentiva Annabeth piangere, ma sapeva che non era per tristezza.
“Si stava così bene” pensò Talia mentre entrava in casa e saliva le scale. Lei, Luke, non l’aveva ancora perdonato per quello che aveva fatto. S’era unito a Crono, quel ragazzo. Non poteva perdonarlo.
Prese il suo zainetto e incominciò a riempirlo con le sue cose. Avrebbe chiamato Apollo, il fratello di Artemide, e si sarebbe fatta portare a New York nel giro di qualche ora. Non sarebbe rimasta nello stesso luogo dove c’era lui.
Bussarono alla porta e, anche se non gliene fregava niente, andò ad aprire la porta. Peccato che era l’ultima persona che voleva vedere: Luke. Richiuse la porta ma il figlio di Ermes  fu più veloce e mise il piede tra la porta e lo stipite.
Entrò e disse quelle parole scontate che Talia non voleva sentire:-Mi dispiace.
-Non me ne faccio niente delle tuo scuse- Ringhiò la Cacciatrice infilandosi la giacca argentea. Non voleva sentire scuse, non voleva sentire le sue di scuse.
Luke le afferrò il polso e la fece fermare. Si guardarono negli occhi per quelli che Talia parvero pochi secondi. Azzurro contro blu.
Talia sfilò il polso e riprese a prepararsi per il viaggio.
-Ti da fastidio che io sia tornato?- domandò il figlio di Ermes rimanendo fermo al centro della stanza.
-Si mi da fastidio- sbottò Talia a denti stretti continuando a piegare la sua roba con poca delicatezza- E tu non dovresti essere vivo.
-Storia lunga- fece Luke prendendo una palla con la neve che Talia aveva comprato a Toronto, in Canada. Lei gliela tolse dalle mani sbottando:- Non me ne frega niente se è una storia lunga!
-Talia- sospirò Luke-Vuoi mandare in rovina un’impresa solo perché non vuoi stare vicino a me? Sul serio? Manderesti Annabeth in una sconosciuta scuola di magia senza di te solo perché ci sono io?
La figlia di Zeus, perché Talia era anche la figlia del dio del cielo, chiuse gli occhi in due fessure poi disse:-Mentre tu eri negli Inferi, Annabeth è caduta nel Tartaro con Percy, ha sconfitto Gea con quei ragazzi giù e ha combattuto un’altra guerra!
-Quindi la manderesti nella scuola di magia e stregoneria senza di te?
-Sei un bastardo Castellan- gli sputò Talia per poi abbandonare la stanza.
Era stanca. Stanca di essere prese in giro; che i suoi sentimenti fossero presi in giro.
Talia scese le scale tanto velocemente che non s’accorse di essersi scontrata con Percy.
-Ahia!- esclamò Percy massaggiandosi la testa. Era finito con il sedere per terra e Talia con lui. Talia  guardò in cagnesco il cugino come per dire:“Sei l’ultimo dei miei problemi”. Poi s’alzò e proseguì senza neanche chiedere scusa. Era stanca pure di quella parola, quella che risolveva tutto ma che in verità non risolve niente.
Si fermò ai margini della foresta, s’accasciò al tronco di un albero e chiuse gli occhi. Si vide scuoiare le pelli con le Cacciatrici, festeggiare e cacciare con loro.
-Cosa c’è che non va Talia- domandò Percy sedendosi accanto a lei. Talia aprì gli occhi e sbottò:-Da quando sei il mio psicologo Percy?
Percy rimase in silenzio ad aspettare che lei aggiungesse qualcosa, poi disse:-È per il ritorno di Luke?
Talia si chiese come ci fosse arrivato, dato che non era la persona più intelligente dell’universo, ma annuì.
-Sai, anch’io covavo rabbia verso di lui, e fidati quando ti dico che l’ho tuttora, ma si è sacrificato per impedire a Crono di impadronirsi del mondo. Va bene, ha distrutto la promessa che t’aveva fatto, ma avete un’altra possibilità. Per quello che ha fatto ad Annabeth non lo perdonerò mai, lui lo sa, però ho cominciato a perdonarlo per il suo gesto.
Talia ascoltava incantata il cugino. Percy, quella Testa d’Alghe di suo cugino, non era poi così stupido, forse lo si poteva pure definire “intelligente” sotto un certo punto di vista.
-Per una volta in vita tua Talia, non decidere in base a quello che fanno gli altri, decidi con la tua testa! Se ti va di partire e tornare a casa, và. Ma se è per Luke, non lo fare, dimostragli che puoi stare qui anche se c’è lui, dimostragli che tu sei migliore di lui.
Percy s’alzò e lo sguardo davanti a sé, disse:-Quelli che tornano a casa partono tra due ore.
Percy se ne andò lasciando Talia da sol. La ragazza aveva le lacrime agli occhi. Il figlio di Poseidone l’aveva fatta ragionare. Era strano come una persona apparentemente stupida, potesse tirare fuori delle parole così sagge. Talia se lo sarebbe ricordato. Non sarebbe partita, sarebbe rimasta con Percy, Annabeth e Jason. Nonostante avesse paura di quello che avrebbe potuto andare storto, ovvero tutto, sarebbe rimasta in Inghilterra.
S’alzò e ritornò alla casa dei Weasley, pronta ad ignorare Luke Castellan.
 
Calipso aveva sempre pensato che vivere nel mondo mortale sarebbe stato facile, poi si era dovuta ricredere. Se Leo le avesse detto che era ma vita dove rischiavi la pelle ogni secondo sarebbe restata volentieri ad Ogigia. Però adorava la tecnologia. Era una cosa emozionante, anche se lei non la conosceva molto dato che al campo era proibita.
Quel pomeriggio, Calipso si ritrovò all’ultimo piano della casa dei Weasley dove ultimamente dormiva Talia. Bussò alla stanza e la voce di Talia la raggiunse:-Avanti.
Calipso credeva che Talia fosse la persona più buona al mondo, ma non la riusciva a dimostrare quella bontà che aveva dentro.
La camera di Talia era la mansarda dei Weasley, ovvero il luogo più incasinato nella storia delle mansarde.
-Ciao Calipso- le disse la Cacciatrice smettendo di giocare con le freccette-Hai bisogno?
-Senti, ti va di controllare cosa c’è in questa soffitta?- chiese Calipso-Non lo diremo a nessuno.
Talia la guardò complice. Calipso aveva trovato un’amica con cui condividere un segreto. Certo, Annabeth, Piper, Hazel e Reyna erano sue amiche, ma Talia era quella che preferiva.
Guardarono dentro a scatoloni  e scatole. Calipso passò in rassegna i libri e alla fine trovò una storia veramente interessante. Parlava di un certo Signore Oscuro e quando lo mostrò a Talia, questa si mise a ridere e disse:-Io non conosco nessun Signore Oscuro! Sarà una leggenda dei maghi!
Talia tornò a cercare  tra gli scatoloni, intimando Calipso a posare quel libro. Lei però non era sicura che fosse solo una leggenda e il suo sesto senso le diceva che il “Signore Oscuro” centrava con la missione.
A cena Calipso non parlò con nessuno e mangiò in silenzio, per poi sgattaiolare nella stanza che condivideva con Ginny Weasley dall’arrivo di Talia. Prese il libro che aveva trovato in mansarda e iniziò a leggerlo.
Non si accorse che Ginny era entrata finché lei non le chiese che cosa stesse leggendo. Calipso alzò lo sguardo dal libro e rispose:-Niente in particolare. Tu sai chi è il Signore Oscuro?
La ragazza s’irrigidì all’improvviso:-Perché lo vuoi sapere?
Calipso non seppe se dire la verità o meno. Non era mai stata brava a mentire, quindi prima o poi Ginny lo sarebbe venuta a sapere.
-Prometti di non dirlo a nessuno?- domandò la figlia di Atlante alla compagna di stanza. La maga annuì e Calipso continuò:-Ho trovato questo libro in mansarda, dove Talia dorme, e ho incominciato a leggerlo… tutto qui.
Ginny si sedette accanto a Calipso e raccontò:- L’anno scorso, mentre voi, a quanto pare, affrontavate Gea e vi scannavate a vicenda, noi abbiamo combattuto contro quello che il libro chiama il Signore Oscuro. Il suo nome è Voldemort, anche se il suo nome di battesimo è un altro.
-Perché sei preoccupata?- domandò Calipso- Se è stato ucciso, perché sei in modalità “panico”?
Calipso aveva imparato a conoscere i movimenti delle persone, imparando così ance quello che provavano. Non aveva avuto molto da fare su Ogigia così studiava gli eroi che arrivavano da lei. Solo Leo non era riuscita ad esaminarlo e per questo si era innamorata di lui, veramente.
Ginny sospirò e rispose:- Perché sento che non è così. Harry lo vedo preoccupato già da un po’ e qualche volte noto che si tocca la cicatrice. Oh, giusto… tu non puoi saperlo… beh, per Harry la sua cicatrice è come un…”radar” che gli… dice ad esempio se è nei paraggi o se è arrabbiato… ecco… non so esattamente come spiegarlo…
-Ah… si capisco.
-Penso- continuò- che Voldemort non sia realmente morto, penso che si sia semplicemente duplicato, come molti dei suoi Mangiamorte.
Calipso, d’impulso, abbracciò la maga. Avrebbe voluto essere più d’aiuto. Arrivare al cuore delle persone le era facile, ma lei voleva fare di più. Aveva deciso: con l’aiuto di Talia  e Ginny sarebbe arrivata a capire che cosa c’era dietro a quella missione che li aveva portati così lontano dall’America.



Angolo Autrici: Scusate scusate scusate scuate. Ci dispiace davvero tanto per averci messo così tanto tempo per pubblicare il nono capitolo, ma ci sono stati degli imprevisti. Comunque speriamo che il capitolo e la storia in generale vi piaccia.Volevamo ringraziare Pirros per averci dato dei consigli su come migliorare. Recensite per favore (anche solo per dire che fa schifo o che vi piace). Volevo chiedere cosa ne pensate di una fanfiction,che FORSE, molto forse, si sarebbe poi unita a questa, sugli Dei della Mesopotamia (assiri, babilionesi e assiri). Io avrei pensato di farla interattiva perchè mi diverte leggere i personaggi e cose così e perchè non sono brava con i nomi, ma non so cosa ne pensa la mia collega. Fateci sapere. A, speriamo, presto. BACIONI Kya

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Capitolo 10
*** HOGWARTS ***


HOGWARTS
 
Percy non sapeva se essere emozionato o no. Harry gli aveva parlato bene di Hogwarts, ma lui era comunque preoccupato. Prima di tutto, aveva paura di allontanarsi da Annabeth e, secondo, aveva paura di morire.
I signori Weasley non li accompagnarono alla stazione di King’s Cross. Presero l’auto volante dei Weasley e volarono alla stazione  dove avrebbero preso il treno che li avrebbe portati a destinazione. Arrivati in stazione, si diressero al binario nove, ma loro dovevano prendere il treno del binario 9 ¾. Non c’era nessun binario 9 ¾  e Annabeth stava per perdere la pazienza.
Solo quando gli dissero che dovevano andare contro un muro, Percy pensò che i maghi non era proprio dei tipi normali, ma chi era lui per giudicare, in fondo?
-È sicuro, davvero!- esclamò Hermione- Non dovete temere nulla. Non vi farete male.
-Questa l’ho già sentita- borbottò Talia. Quel giorno si era decisa ad indossare un qualcosa di diverso dall’argento, nonostante ormai avesse vestiti solo di quel colore. Portava degli skinny jeans neri, una t-shirt arancione del campo, i suoi amati anfibi e la giacca di pelle. Si era anche rimessa la solita gioielleria punk addosso, ma questo era il meno. Il trucco che portava spiccava più delle collane borchiate e con i teschi che aveva addosso. Aveva abbandonato la divisa da Cacciatrice, ma aveva indossato la divisa da punk e, sinceramente, Percy non sapeva quale delle due gli facesse più paura.
-Andremo a coppie- propose Annabeth- Però prima deve andare qualcun altro.
-Vado io- si propose Draco. Percy non aveva parlato molte volte con il ragazzo biondo, ma vedeva dalla sue profonde occhiaie che era un ragazzo problematico. Era deciso a parlargli prima o poi, solo non riusciva mai a trovare il momento giusto. Gli ricordava parecchio Luke, il figlio di Ermes. Un ragazzo biondo, anche se Draco pareva di più coi capelli bianchi, che biondi, gli occhi azzurri come il ghiaccio come quelli di Jason e il volto magro, come se non mangiasse da giorni, anche se dai Weasley c’era anche troppo cibo.
-D’accordo- rispose Harry.
Il biondo camminò fino al muro e lo oltrepassò. I semidei erano a bocca aperta. Non si era schiantato contro il muro e questo era piuttosto strano. Forse funzionava come la barriera al Campo Mezzosangue, che nascondeva ai comuni mortali il campo e che proteggeva i semidei dagli attacchi dei mostri.
-Adesso possiamo andare?- domandò Hermione esasperata- O perderemo il treno.
A coppie attraversarono il muro, ritrovandosi subito in una stazione con un treno rosso scarlatto e nero già pronto alla partenza sui binari. Il cartello di plastica su una colonna di mattoni indicava il numero del binario: 9 ¾ .
Senza perdere tempo, salirono sul treno e andarono a cercare uno scomparto vuoto. Ormai erano tutti pieni, ma ce ne era uno vuoto poco distante dal vagone dei professori. Tutti salutavano Harry e i suoi amici e rivolgevano occhiate interrogative ai semidei. Si sedettero nello scompartimento vuoto. Era più grande degli altri, ma dovettero comunque stringersi parecchio, anche quando Hermione, Ron e Draco andarono nel vagone dei prefetti.
Fuori dal finestrino scorreva il paesaggio montano. Dolci colline venivano solcate da fiumi e torrenti e grandi prati verdi venivano pascolati da capre e mucche. Non era come Long Island. Long Island era più paludosa e meno verdeggiante come quel luogo. Quel posto era magico. Irradiava magia da ogni filo d’erba, che presto venne sostituita dalla neve candida. Un tappeto soffice di bianca neve.
Leo accese una fiammella tra le sue dita cercando di riscaldare tutti. La temperatura era scesa parecchio e, nonostante fossero tutti appiccicati come sardine in scatola, c’era comunque una temperatura bassa.
-È normale che faccia così freddo?- domandò Piper allacciandosi il cappotto e costringendo Jason ad abbracciarla ancora di più.
-No- rispose Ginny-Non è normale.
Lei e Harry si guardarono per qualche secondo poi non videro più nulla. La luce era saltata e a malapena si vedeva oltre il proprio naso.
-Chione- borbottò Leo alzando gli occhi- La percepisco. Ce l’ha ancora con noi mi sa.
Anche la figlia di Afrodite alzò gli occhi al cielo e disse:-Fantastico. Appena usciti dal campo, già sotto attacco. Io quella dea la faccio fuori un giorno o l’altro.
Fuori era completamente buio e non si vedeva niente neppure dentro. Percy non era molto contento di essere al buio, non gli piaceva molto.
-Ragazzi, la porta è bloccata- disse Talia smuovendo la maniglia e provando ad aprire la porta.
-Fa provare- mormorò Harry- Alohomora.
La porta non si aprì. Erano bloccati nello scompartimento.
-Magia divina- borbottò Annabeth- Non è possibile da battere con la vostra.
Arrivarono Hermione, Ron e Draco. La ragazza urlò parecchie volte, ma nessuno la sentiva, e sbatteva la mano contro il vetro. Provarono anche da fuori ad aprire la porta ma non ci riuscirono.
-Leo!- esclamò Luke- Evoca il fuoco. Ora.
Il figlio di Efesto non se lo fece ripetere due volte. La sua mano prese fuoco e Leo l’accostò vicino alla maniglia, questa fuse e la porta si spalancò. Ron abbracciò Ginny e la ragazza ricambiò l’abbraccio.
-Siamo arrivati- disse Hermione asciugandosi le lacrime con il dorso della mano- E voi non avete le divise. Fa lo stesso. Dobbiamo andare o non ce la faremo a prendere le carrozze.
Scesero dalla locomotiva e raggiunsero il luogo, dove l’ultima carrozza stava partendo.
-Fantastico…-borbottò Ron- Ora come raggiungiamo il castello?
-Dimenticate che siamo semidei- sorrise Percy per poi sorridere agli altri ragazzi. I sei maghi si guardarono tra di loro, ma non riuscirono a capire che cosa stessero tramando i ragazzi.
Nico, Talia, Bianca, Will e Hazel li salutarono e scomparvero nell’ombra. Frank assunse la forma di un grande drago e ordinò ai maghi di salire su drago-Frank. Con loro salirono Calipso, Reyna, Luke, Leo, Beckendorf e Silena.
-Voi come andrete?- domandò Ginny attaccandosi alle squame di Frank.
-Io e Jason voleremo, mentre Percy e Annabeth passeranno dal lago- rispose Piper mentre allacciava le braccia al collo di Jason e lui le afferrava la vita.
-Passerete per il lago?!- esclamò Draco- Troppo pericoloso. Là sotto c’è il calamaro gigante e delle creature mostruose. È troppo pericoloso.
-Tranquillo Draco- gli rispose Annabeth- Torneremo sani e salvi.
Senza dire altro, Percy e la figlia di Atena si gettarono in acqua. Inizialmente Annabeth non vide niente e le sembrò di essere tronata nel Tartaro, quando avevano incontrato le arai, le maledizioni. L’avevano resa cieca, da allora voleva sempre qualcuno quando era buio e la maggior parte delle volte chiedeva a Percy, perché lui era la sua ancora di salvezza. Il figlio di Poseidone creò una bolla enorme e chiese alle correnti di portarli sino all’ingresso di Hogwarts. Il viaggio durò poco, ma era comunque del tempo che passavano insieme.
L’acqua li fece atterrare proprio davanti al portone di Hogwarts, dove vi erano già Hazel, Nico, Will, Talia e Bianca. Il resto del gruppo atterrò poco dopo e Frank poté tornare umano.
I maghi guidarono i semidei sino alla Sala Grande. Lì fuori vi era una donna con uno chignon fatto alla maniera antica, un cappello verde intonato al suo abito. Definirla anziana era come dire a Chirone che era nel fiore degli anni.
-Finalmente siete arrivati!- esclamò la donna- Potter, Weasley, Malfoy, Granger! Entrate immediatamente nella Sala Grande. La cena sta per essere servita.
Harry, Ron, Hermione, Ginny e Draco oltrepassarono la porta e i semidei rimasero soli con la donna. Ella gli rivolse un sorriso e disse:-Io sono Minerva McGranitt, la preside. Appena verrete annunciati, entrate nella Sala Grande. Prima devo spiegare un po’di cose ai miei studenti.
La donna entrò nella sala e le porte dietro di lei si chiusero. Non sentirono niente di ciò che venne detto dentro e forse era meglio così. Poi le porte si spalancarono.
Percy raccolse tutto il suo coraggio e iniziò a camminare tra i tavoli. La sala era davvero grande. Aveva quattro tavoli, due a destra e due a sinistra, ognuno con sopra uno stendardo sopra. Infondo alla Sala vi era il tavolo degli insegnati e un leggio che sembrava quelli dove vi era appoggiato il Vangelo in chiese. Non che Percy ci fosse mai stato in una chiesa.
Al loro ingresso, i ragazzi posarono tutti gli sguardi su di loro. Avevano le magliette arancione e viola, ma non era un problema quello giusto? Erano forse le armi che portavano alla cintura e sulle spalle? O perché percepivano la loro aura semidivina?
-Quando chiamerò il vostro nome, verrete qua e io vi poserò il Cappello parlante sulla testa e verrete smistati. Avila Ramirez-Arellano Reyna.
Reyna si fece avanti, si sedette sullo sgabello e la donna con la veste verde le posò un cappello vecchio e rovinato sulla testa. Dopo pochi minuti, questo urlò:-CORVONERO!
Il tavolo più a sinistra esultò e scoppiò in un applauso. Reyna andò a sedersi in un posto libero vicino ad una ragazza bionda e cominciarono subito a parlare.
-Beauregard Silena!
Silena si sedette dove poco prima era Reyna e la preside le posò il cappello parlante sulla testa. Dopo cinque minuti questo urlò:-TASSOROSSO!
Silena andò a sedersi al tavolo con lo stendardo giallo e nero e presto la raggiunse Beckendorf. Entrambi incominciarono a conversare con un ragazzino della loro età con i capelli biondi e carnagione chiara.
-Annabeth Chase!
Pochi minuti dopo il cappello aveva gridato “GRIFONDORO!” e la figlia di Atena si era andata a sedere accanto ad Hermione e Ginny.
Calipso fu smistata in Corvonero, Nico, Luke e Jason in Serpeverde, Talia in Grifondoro e Bianca in Tassorosso.
Quando anche Talia si fu seduta con Annabeth al tavolo del Grifondoro, la preside gridò a gran voce:-Percy Jasckson!
Al figlio di Poseidone tremavano le mani. Se non fosse capitato nella stessa casa di Annabeth? Come avrebbe fatto poi a proteggerla? Era la sua unica ragione di esistenza, non poteva permettersi di allontanarsi da lei, non un’altra volta.
Guardò il tavolo del Grifondoro e trovò gli occhi grigi di Annabeth. Erano splendenti come il diamante puro, ma di una tonalità di grigio che face invidia al grigio del cielo in tempesta. Lo stava incoraggiando ad andare avanti: a sedersi e a ritrovarsi il cappello in testa. Non era peggio del Tartaro, questo era sicuro.
Si sedette sullo sgabello e la McGranitt gli posò il vecchio cappello sulla testa. Quello iniziò a parlargli, ma gli altri non lo sentivano, ne era certo. Borbottava cose come:- Leale, coraggioso, disgusto del potere e qualche volta usufruente della materia grigia. Dove ti colloco? Potrei… ah… si! GRIFONDORO!
Il tavolo di Harry scoppiò in un tumulto d’applausi e grida. Anche Annabeth si era alzata ad applaudire e, quando gli fu abbastanza vicina, il figlio di Poseidone le scoccò un bacio. Un bacio a stampo, ma che trasmetteva comunque tutta la paura che aveva avuto di perderla. Paura che era svanita quando il Cappello Parlante aveva urlato la sua casa.
In seguito a Grifondoro si unirono anche Hazel e Leo, mentre a Tassorosso Frank e Piper e a Corvonero  Will e Alex.
A Percy dispiaceva per essere stato diviso dai suoi compagni, che ormai erano la sua famiglia, ma sapeva che era meglio incontrarsi ogni tanto che non incontrarsi proprio.
Quando la McGranitt batté le mani, le tavole si riempirono di cibo e bevande. Percy non aveva mai visto così tanto cibo in una sola volta. Al Campo Mezzosangue, i piatti e i bicchieri si riempivano di ogni cosa uno desiderasse e al Campo Giove ordinavi quello che desideravi alle ninfe del vento, che giravano per i tavoli con grandi vassoi pieni di cibo. Percy chiedeva sempre qualcosa di blu, specialmente a colazione.
-È tutto okay Percy?- domandò Hazel mentre si serviva l’insalata. La figlia di Plutone aveva cercato a lungo del gumbo di gamberetti, ma non l’aveva trovato, così aveva optato per l’insalata.
-Non è blu!- protestò il figlio di Poseidone indicando il suo cheeseburger. Talia scoppiò in una fragorosa risata. Suo cugino era un bambino ossessionato dal blu.
-Non puoi mangiare solo cibo blu!- lo ribeccò Leo mentre con una fiammella arrostiva delle patate al forno che per lui dovevano sembrare crude.
-Spegni immediatamente il fuoco Leo!- lo rimproverò Annabeth- Percy, mangia e non lamentarti.
Percy prese un tubetto di ketchup e versò la salsa sull’hamburger. Stava per chiudere il panino, quando sulla salsa vide l’occhio.
Percy l’aveva già visto quel segno.
Annabeth, accanto a lui, era diventata pallida come uno dei fantasmi che volteggiavano nella sala. Nessun’altro aveva notato l’impallidire della figlia di Atena, ma Percy la conosceva abbastanza bene da riuscire a catturare ogni minimo cambiamento in lei.
Annabeth gli fece il cenno di “dopo” e quando Percy tornò a guardare il panino, l’occhio non c’era più.
 
Dopo cena, Ron, Hermione e Harry li guidarono alla sala comune del Grifondoro. Percy si stupì quando i quadri si misero a borbottare su di loro. Non era tanto il borbottamento che gli dava fastidio, ma il fatto che i quadri parlassero e gli facessero venire i brividi.
Si fermarono davanti ad un quadro che ritraeva un signora  grassa quanto una vacca.
-Parola d’ordine- disse la donna con voce lagnosa. Chissà da quanto era lì a ripetere la stessa frase.
-Ombelico di Troll- rispose Hermione fiera. La donna grassa annuì e rivelò il tunnel che li avrebbe portati chissà dove. A Percy non piaceva per niente l’idea di entrare, ma dovette farlo quando Ron, Hermione, Harry e Leo s’avviarono in quel tunnel d’oscurità, che sinceramente sembra anche abbastanza polveroso. Si fece coraggio e s’infilò nel buco. Si ritrovò in una sala circolare con ampie finestre e due rampe di scale. Appena entrato, Percy sentì una strana sensazione di calore. Era tutto rosso e oro n quella sala: divani rossi, pareti rosse, poltrone rosse e stendardi oro e rossi con un leone rampante oro. Insomma, era tutto molto rosso. A Percy non era mai piaciuto il rosso, anche da piccolo adorava il blu.
-Questa è la sala comune della nostra casa dove potete trovarvi con gli amici. Quelle due scale portano ai dormitori: i maschi a sinistra e le femmine a destra- spiegò Hermione. Al figlio di Poseidone l’idea di dividersi da Annabeth di nuovo faceva star male. Dopo il Tartaro, per Percy, Annabeth era l’aria, l’acqua, la terra e qualunque altra cosa servisse per farlo sopravvivere. Lasciandola, temeva di non vederla più, anche se sapeva che lei era in grado di difendersi da sola.
Tutti si diressero alle proprie stanze, tranne i due ragazzi. Si sedettero sul divano e, con una coperta trovata in un armadio, si coprirono le gambe.
Non avevano molto di cui parlare, ma Percy riuscì comunque a far partire una conversazione:   -Credevo che ti avrebbero messo a Corvonero.
Annabeth, per un momento, aveva creduto anche lei che sarebbe finita nella casa di Corvonero, ma si era ricordata le parole di Hermione, quando le aveva chiesto se la casa si poteva scegliere. La strega le aveva risposto:-No, ma il Cappello Parlante tiene conto di quello che vuoi.
   Quello che importava ad Annabeth era rimanere con Percy.
-Perché?- chiese la figlia di Atena- Pensi che io non sia abbastanza coraggiosa?
Percy rise e rispose:-No, Sapientona. Credevo soltanto che saresti finita tra quelli intelligenti. Non ho mai pensato, neanche un secondo, che tu non fossi coraggiosa. Mentirei se non ti dicessi che se molto più coraggiosa di me.
Annabeth gli diede un bacio veloce ma che esprimeva tutto quello che provava.
-Tu sei coraggioso- gli disse Annabeth- Hai battuto crono, ti sei buttato nel Tartaro per me e hai fatto tante altre cose che altri eroi non sono riusciti a fare.
Percy appoggiò una mano sul ventre di Annabeth per puro caso, poi iniziò ad accarezzarlo come se dentro ci fosse una piccola creatura che sarebbe diventata loro figlio.
-Cosa hai visto nel ketchup?- domandò Annabeth appoggiando la testa sulla spalla del ragazzo. Il fuoco, intanto, scoppiettava nel camino riscaldando l’aria fredda che entrava.
-Non so cosa voglia dire, ma mi è comparso l’occhio di Horus- rispose Percy mentre dal ventre passava ad accarezzarle le gambe.
-Potrebbe voler dire che stanno arrivando, o forse Carter e Sadie ci stanno dicendo di chiamarli- ipotizzò Annabeth- Per sapere come stiamo e cose così.
Rimasero in silenzio per un lasso di tempo che a loro sembrò interminabile.
Entrambi si ricordavano di Carter e Sadie Kane, i due fratelli maghi egizi. Avevano combattuto con loro pochi mesi prima a Governors Island. Lì erano riusciti a battere Setne, un mago che voleva diventare un dio sia greco che egizio. C’erano riusciti per un soffio e alla fine si era risolto tutto.
-Annabeth, promettiamoci a vicenda che qualunque cosa accada rimarremo sempre insieme.
-Insieme per sempre Testa d’Alghe- rispose Annabeth chiudendo gli occhi e addormentandosi. Percy la imitò ed insieme superarono la loro prima notte ad Hogwarts.



Angolo Autrici
Eeeeee ce l'abbiamo fatta! Applausi per noi!
Okay passiamo alle cosa serie.
I nostri eroi sono giunti ad Hogwarts e presto affronteranno le lezioni (buona fortuna (detto in gerco semidivino: che Tyche sia con voi)).
Cosa centrano Sadie e Carter Kane in questa storia? Perchè a Percy è comparso l'occhio di Horus? Cosa succederà ad Howarts?
E con questi dubbi vi lasciamo.
A presto,
Kya

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Capitolo 11
*** PRIME LEZIONI ***


PRIME LEZIONI
 
La mattina seguente, Harry non vide Percy nel letto, quindi pensò che fosse già sceso nella sala comune. In ragazzo si preparò velocemente, poi scese le scale, ritrovandosi nella sala comune. Percy e Annabeth erano lì che dormivano sul divano con una coperta che gli copriva solo le gambe. Annabeth era appoggiata sulla pancia di Percy e lui le teneva una mano alla vita e con l’altra una mano. Erano veramente carini, ma doveva svegliarli o avrebbero fatto tardi per la colazione. Le opzioni erano due: svegliarli educatamente o no. Svegliarli educatamente non sarebbe stato divertente, quindi Harry decise di svegliarli maleducatamente e questo consisteva in un getto d’acqua gelida. Funzionava sempre.
Mormorò l’incantesimo e subito un getto d’acqua colpì i due semidei, che balzarono i piedi. Annabeth urlò per lo spavento e questo a svegliare Percy. Harry volle non averlo mai fatto. Gli occhi del semidio erano di un blu più profondo dell’oceano, come gli abissi del mare. Sembravano un pozzo oscuro. Harry capì che era veramente arrabbiato quando scappucciò la sua penna, che subito si trasformò in una spada di novanta centimetri.
Harry non credeva che se la sarebbe presa così tanto, insomma, era acqua e l’acqua era l’elemento di Percy in quanto figlio di Poseidone giusto?
-No, Testa d’Alghe!- esclamò Annabeth mettendosi tra Harry e Percy. Si scrisse mentalmente di ringraziare la ragazza per averlo salvato dal figlio di Poseidone. A quelle parole Percy si bloccò e rimise il cappuccio alla penna dopo un’occhiata di Annabeth. Quella ragazza aveva un dono naturale.
-Vado a cambiarmi- annunciò la ragazza- Vedete di non uccidervi. Capito Percy?
-Certo Sapientona- le rispose lui baciandola, per poi lasciarla andare a cambiarsi.
Tra i due calò un silenzio imbarazzante. Harry era veramente dispiaciuto per lo scherzo che aveva fatto e Percy dal canto suo era dispiaciuto per aver reagito in quella maniera assurda.
-Mi dispiace.
Percy fu il primo a chiedere scusa. Aveva paura che se non l’avesse fatto, si sarebbe ritrovato senza un amico come Harry. Aveva bisogno di uno come lui per andare avanti. Anche se l’aveva conosciuto da poco, sentiva di aver bisogno di uno come lui.
-Dispiace anche a me- ammise Harry- Credevo che…
-Tranquillo. È stata colpa mia. È solo che quando si tratta di Annabeth, vado fuori di testa. Dopo tutto quello che abbiamo passato, lei è l’unica cosa di cui ho bisogno di vivere ed è l’unica cosa che mi fa restare in questo mondo.
Harry decise di non fare domande. Sapeva che il figlio di Poseidone stava rivivendo già brutti ricordi e non voleva obbligarlo a parlare, senza che fosse lui di sua spontanea volontà a parlarne.
-Vado a cambiarmi- borbottò Percy per poi scomparire su per le scale del dormitorio maschile.
Harry attese pochi minuti poi arrivarono Ron, Nevill, Leo e Percy. Le ragazze scesero dopo poco e tutti assieme si diressero alla Sala Comune. Si sedettero tutti assieme e fecero colazione ridendo e scherzando sui professori. La McGranitt arrivò con gli orari per i semidei e li consegnò.
Percy scrutava il suo cercando di leggere ciò che vie era scritto. Era dislessico e l’inglese era per lui una tortura eterna. A scuola, non era mai andato bene a causa “problemi semidivini” come gli piaceva chiamarli. Era stato espulso da decine di scuole sin da quando era piccolo.
Dopo venti minuti buoni di lettura borbottò:-Harry me lo puoi leggere tu?
Harry aggrottò le sopracciglia e chiese:-Perché?
-Sono dislessico e non riesco a capirci niente. Per favore Harry- lo supplicò con i suoi occhioni da cucciolo di foca. Harry si domandò come Annabeth riuscisse a dirgli di no quando face quegli occhioni dolci. Era impossibile.
-Visto che ci sei potresti leggere anche il mio?- gli domandò Leo- Pure io sono dislessico.
Harry afferrò i due fogli, li confrontò e notò che erano uguali, poi iniziò a leggere:- Due ore di Cura delle creature Magiche, un’ora buca, un ora di astrologia, due ore di trasfigurazione e una di volo.
Percy era diventato pallido e con lui Talia. Sembravano due lenzuoli.
-Io mi do malato!- esclamò Percy afferrando una mela e morsicandola- Non se ne parla di volare. Zeus mi fulminerebbe seduta stante.
-Io sono con te cugino!-esclamò Talia spostando il piatto a lato e bevendo poi un lungo sorso di latte-Io non salirò mai sopra ad una scopa e men che meno volerò.
Harry non sapeva cosa prendesse ai due ragazzi, ma di una cosa era felice: alle prime due ore aveva Cura delle Creature magiche e questo significava rivedere Hagrid.
Appena terminata la colazione, salirono alla torre a prendere i libri e si diressero alla capanna di Hagrid. La classe Corvonero e Hagrid li stavano già aspettando.
-Bene!- esclamò Hagrid quando tutti furono davanti a lui- Andiamo, oggi ho per voi una vera chicca e speriamo che vi piaccia.
S’addentrarono nel bosco, finché non giunsero in una radura dove filtrava un po’ di sole.
-Bene! Mettetevi in semicerchio!- fischiando poi. Una sagoma scura calò dal cielo e atterrò al centro della radura. A Harry per poco non venne un colpo. Chi era atterrato aveva il manto nero, le ali enormi e la criniera corta.
-Blackjack?- domandò Percy stupito- Cosa ci fai qui?
Il cavallo nitrì e Percy ribattè:- Ma ti avevo detto di…
Il pegaso ringhiò di nuovo, come per sgridare il ragazzo, e lui esclamò:- Va bene, hai vinto! Ma poi torni a casa. Non se ne parla di rimanere qui.
 Harry non capì come Percy facesse a capire l’animale, ma non se ne preoccupò molto, del resto lui era riuscito a comunicare con i serpenti diverse volte. Ovviamente, quel dono era scomparso quando Voldemort aveva distrutto l’horcrux che c’era in lui.
-Allora!- esclamò Hagrid- Questo è un pegaso. Nel nostro libro di testo non c’è, ma, se chiedete ai nostri ospiti, sapranno parlarvene. Allora i pegasi discendono tutti da Pegaso, il cavallo alato di Ercole.
-Eracle!- lo corressero i semidei greci presenti in quel momento.
-Scusate- disse Hagrid continuando poi a parlare dei pegasi come se fossero creature che si incontrano ogni giorno per strada. Harry le trovava affascinanti come creature. Era molto più gentili dei Thestral e, apparentemente, erano innoqui.
-Percy Jackson vorresti mostrarci come si cavalca questo meraviglioso animale?
-Ehm…va bene- disse il semidio talmente felice che ad Harry sembrò essere pazzo. Si, insomma, il luccichio nei suoi occhi, il sorriso che andava da orecchio ad orecchio, ad Harry sembrò che un pazzo si fosse impossessato di Percy Jackson.
Il semidio salì in groppa al cavallo e spiccò in aria. Harry avrebbe voluto farlo anche lui. Aveva cavalcato ipogrifi e Thestral, ma mai un pegaso. Probabilmente era più comodo e meno pericoloso.
Quando Percy tornò giù, aveva un sorriso stampato in faccia che andava da un orecchio all’altro. Poi prese una zolletta di zucchero azzurra dalla tasca e la porse al pegaso che la spazzolò via senza aspettare neanche un minuto. Il semidio sorrise e gli accarezzò il muso
-Bravo Blackjack- gli disse- Bene! Chi vuole cavalcarlo?
Ad Harry sembrò di avere un dejavut. Intorno a lui non c’era nessuno, o meglio, a parte i semidei che avevano già provato la cosa, tutti, compresi i suoi amici, si erano spostati dietro.
-Harry!- esclamò Hagrid- Vieni ragazzo. Sta tranquillo. Percy ti darà una mano.
Percy sorrise, come se avesse tutto sotto controllo. In effetti era così. Il semidio sapeva dimostrare una calma incredibile.
Harry s’avvicinò al pegaso piano e lentamente, ma questo sbuffò e Harry si bloccò subito dov’era, credendo di aver fatto qualcosa di male.
-Ha detto che ti deve muovere- tradusse Percy. Harry si continuò a chiedere come il ragazzo riuscisse a capire cosa stesse dicendo. Si ripromise di chiederglielo.
Quando fu accanto a Percy, questo gli diede una zolletta di zucchero azzurra e gli disse di mettersela in tasca.
-Va bene Blackjack- disse Harry- Posso salire?
Lui annuì ed Harry salì.
-Fai il bravo- ordinò Percy, poi il pegaso sbatté le ali un paio di volte e si levò in aria.
Ad Harry  sembrò di stare su una scopa o su Fierobecco. Era un’esperienza fantastica. Il sole sulla faccia, il vento tra i capelli e le mani che afferravano il pelo confortevole del cavallo, era fantastico. Non sarebbe più voluto scendere. Quando tornarono a terra, Harry gli diede la zolletta di zucchero e lo ringraziò accarezzandogli il muso morbido.
Tutti vollero provare dopo il successo di Harry, ma Percy non aveva abbastanza zollette di cui il cavallo andava pazzo, dopo le ciambelle. Harry si domandò come un cavallo facesse a mangiare delle ciambelle, ma Percy spiegò che Blackjack era un pegaso particolare.
Le due ore terminarono in men che non si dica e i ragazzi furono costretti a tornare al castello. La prossima ora sarebbe stata buca ed Harry aveva pensato di interrogare il semidio, in privato naturalmente. Dovevano fare quattro chiacchere da semidio a mago.
Lo trascinò in aula vuota con una scusa, mimando a Ron ed a Hermione di non far avvicinare gli altri. Non voleva essere disturbato.
-Dobbiamo parlare- disse Harry appoggiando la sua borsa su un banco. Percy si era appoggiato alla scrivania e aveva incrociato le braccia:- Già lo credo anche io.
-Come fai a parlare con i pegasi?- domandò di schietto Harry. Era la prima domanda che gli era venuta e la prima a cui aveva deciso di dare una risposta.
-Sul serio Harry? Mi hai fatto venire qui per chiedermi come faccio a parlare con i cavalli.
Harry negò con la testa e il semidio rispose:-Mio padre è Poseidone, dio del mare, scuotitore della terra e creatore dei cavalli. Il motivo è semplice: mio padre ha creato i cavalli e quindi io posso comunicare con essi. Tra l’altro i pegasi sono miei fratelli, in quanto figli di Poseidone e Medusa.
-Figli di Medusa?- domandò con gli occhi quasi fuori dalle orbite Harry. Quando credi di aver scoperto tutto, ecco che arriva qualcosa che ti fa credere il contrario.
-Si, figli di Medusa. Ma cosa insegnano in questa scuola?!- sbottò Percy cercando di imitare la voce di un uomo di cinquant’anni- Chirone potrebbe tenerti lezioni tutto il giorno su queste cose.
Harry scoppiò in una ristata fragorosa. Insomma, quel Chirone, era morto fantastilioni d’anni fa, senza contare che non sarebbe neppure dovuto esistere. Le sopracciglia di Percy si aggrottarono come per chiedere:”Miei Dei, perché stai ridendo?”
-Stavi scherzando vero?- domandò Harry tornando serio. Percy negò con la testa e rispose:-È il mio insegnate. È un tipo forte. Non direi mai qualcosa di negativo su Chirone.
-Ma non dovrebbe essere morto?
-Perché? È immortale. Ha lascito tutto per addestrare noi semidei. Gli dobbiamo molto. Ha allenato Achille, Eracle e qualche altro semidio.
Harry aveva paura di avere la faccia da pesce lesso. Percy alzò un dito, lo puntò contro Harry e disse:-Adesso io ho una domanda per te. Dove eravate voi maghi quando Crono stava cercando di impadronirsi del mondo? I romani attaccavano il Monte Tam, gli egizi erano impegnati con Apophis, noi greci fermavamo Crono e voi?
Harry non sapeva che ci fosse stata una guerra a Manhattan fino a pochi giorni prima e si domandava come i babbani non ne avessero parlato ai notiziari.
-Probabilmete stavamo cercando di fermare Voldemort- rispose Harry rigirandosi la bacchetta tra le dita. Il semidio annuì, come se stesse pensando se Harry stesse dicendo la verità o meno.
-Tu sai cosa sta succedendo, Percy?- domandò Harry abbassando lo sguardo- Perché vi hanno mandati qui?
Il figlio di Poseidone guardò fuori dalla finestra. Le montagne nascondevano il castello dalla vista dei mortali e il Lago Nero intanto brillava alla luce del sole. Era inverno, eppure, il sole brillava, come se Apollo li stesse proteggendo. Era un panorama mozzafiato.
-Non ne ho la più pallida idea, Harry. Quando ci sono gli dei in mezzo, non si capisce nulla. Sono stato coinvolto in due profezie e la terza sinceramente mi spaventa. Avevo promesso ad Annabeth che avremmo frequentato l’università insieme. Ora non ne sono sicuro.
E mentre diceva quelle parole, le finestre si ruppero in tanti frammenti ed entrò un leone delle dimensioni di un pick-up con gli artigli che sembravano d’argento, le fauci d’acciaio inox e la pelliccia d’oro. Una creatura bellissima se non fosse stato per la voglia di sangue che Harry vedeva nei suoi occhi.
-Il leone di Nemea!- gridò Percy- Harry mettiti al riparo!
Percy estrasse la sua penna e la scappucciò. Questa si trasformò subito in una spada di bronzo celeste di novanta centimetri. Quella si che era magia. Senza aspettare molto, Percy cominciò a menare fendenti contro il leone che aveva subito puntato lo sguardo su di lui. L’animale cercava in tutti i modi di colpire il semidio, ma quello era troppo veloce e agile per lui. I fendenti di Percy bloccavano gli artigli del leone che cercava di lacerargli la pelle sul petto.
Harry intanto stava decidendo cosa fare: chiamare i semidei o evitare di disturbarli e dare lui stesso una mano al semidio? Optò per la seconda ipotesi. Prese la bacchetta e lanciò diversi incantesimi, ma il leone non lo guardò nemmeno, tanto che era preso dal semiodio. In più sembrava che il leone fosse invulnerabile anche alla spada di Percy.
Harry urlò qualcosa come:-Ehi, tu! Guardami!
Aveva fatto comparire una bistecca dal nulla e la stava sventolando come una bandiera. Il leone si girò verso di lui e balzò subito addosso ad Harry. Lo atterrò e aprì le sue grandi fauci, rpronto a staccare la testa al mago. Percy s’arrampicò sulla scrivania, prese il primo oggetto che trovò e lo scagliò contro il leone, attirando subito la sua attenzione. Mentre si voltava con le fauci aperte, Percy lanciò la sua spada, che andò a conficcarsi nella bocca del leone. Questo si trasformò in un’impermeabile e in povere d’oro.
-Signor Potter, signor Jackson!- urlò una donna con un cappello rosso. Era la professoressa di Aritmanzia, una materia che Hermione aveva frequentato al terzo anno e che poi aveva smesso- La campanella è suonata da dieci minuti! E che cosa è successo qui? È tutto in disordine! Siete in punizione! Dopo le lezioni verrete qui e riordinerete tutto.
-Certo professoressa- rispose Harry prima che lo facesse Percy. Era sicuro che il semidio avrebbe mandato a quel paese la professoressa. Il semidio roteò gli occhi, raccolse l’impermeabile e se ne andò dalla stanza, mormorando alcune offese contro il leone di Nemea e la professoressa di Aritmanzia. Harry lo seguì, accelerando più che poté il passo.
Si diressero alla torre di Astrologia, dove era già in corso una lezione. Percy aveva nascosto l’impermeabile nella borsa e aveva preso fuori i libri.
L’insegnate fece una bella ramanzina ai due ragazzi, ma non gli assegnò una punizione. Si misero accanto ad Annabeth e Talia, poi ascoltarono la lezione senza fiatare.
-Percy Jackson!- lo chiamò la professoressa Sinistra-  Se Marte e Venere sono paralleli, qual è la conseguenza?
-La terza Guerra mondiale, glielo assicuro- rispose il semidio facendo una smorfia. Non gli piaceva l’astrologia, Harry lo sapeva, perché lui aveva la stessa faccia ogni volta che la professoressa parlava.
La mano di Hermione era schizzata in alto non appena la professoressa aveva posto la domanda. Rispose correttamente anche a questa domanda e fece guadagnare ai Grifondoro dieci punti. Hermione era sempre stata una brillante studentessa e nell’ultimo anno non era cambiata.
Quando la lezione terminò si diressero immediatamente in Sala Grande per mangiare. Harry non seppe chi aveva più fame tra Ron e Percy. Entrambi finirono le loro cosce di pollo in poco tempo e il dolce che prima era vicino al loro piatto era scomparso.
-Mi fai schifo cugino- disse Talia a Percy- Sul serio. Sei disgustoso.
-Anche io ti voglio bene Talia- le rispose il figlio di Poseidone dandole delle pacche sulla spalla. Annabeth ed Hermione ridevano e Harry non poté fare a meno di unirsi a loro.  Arrivò Ginny tutta ansimante e con un foglio in mano.
-Prossima partita contro i Corvonero- esclamò per poi sedersi accanto ad Harry e passandogli il foglio- Hanno un nuovo cercatore, sai? E anche un nuovo cercatore: Reyna.
-Amico, sei nei guai- esclamò Leo- Reyna è una tosta e non perde mai, un po’ come la nostra amica Annabeth. Ormai sono migliori amiche.
-Eh no! Annabeth è la mia migliore amica- precisò Talia- La conosco da molto più di tutti voi messi assieme. Aveva solo sette anni quando l’abbiamo trovata.
-Ha ragione- fece Luke passando accanto al tavolo dei Grifondoro con Jason e Nico.
-Taci Castellan. Non sei nella condizione di fare commenti.
Il figlio di Ermes se ne andò con le mani alzate in senso di resa e Talia lo fulminò con lo sguardo. Harry si appuntò mentalmente di non stuzzicare mai e poi mai Talia Grace.
La professoressa McGranitt arrivò al tavolo del Grifondoro con una lettera, la porse ad Harry e disse:-Per lei signor Potter. Sappia che non può tirarsi indietro.
La donna se ne andò al tavolo dei professori, lasciando Harry con la lettera in mano e gli amici che lo guardavano incuriosito.
-Dai aprila!- lo incitò Ron- O giuro che lo faccio io al posto tuo.
Harry aprì la busta con estrema delicatezza. In un certo senso si divertiva a torturare gli amici in quella maniera. Era molto soddisfacente. La lettera era ripiegata su se stessa diverse volte, come quella che arrivava quando venivi ammesso ad Hogwarts. In alto vi erano il simbolo di Hogwarts e quello del Ministero della Magia. Non era un buon segno.
-Leggila- gli disse Percy- Ad alta voce o ti infilzo con Vortice.
Harry non se lo fece ripetere due volte. Aveva paura di Percy e un Percy armato di una penna che si trasformava in spada faceva ancora più paura.
 
Caro Signor Potter,
in quanto assente un professore che possa occupare la cattedra di Difesa contro le Arti Oscure, su suggerimento della direttrice della scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts, Minerva McGranitt, la informiamo che d’ora in avanti, lei sarà l’insegnate di Difesa contro le Arti Oscure.
Sarà esonerato dalle lezioni, ma potrà partecipare al Campionato di Quiddich di Hogwarts e, se lo desidererà, potrà sedere al tavolo dei Professori.
La ringraziamo,
il Ministro della Magia.
 
-Forte!- esclamò Ron- Beato te! Eviterai tutte le lezioni.
-RON!- gridò Hermione- Non pensi ai M.A.G.O? Come farà Harry a prendere i M.A.G.O, se sarà impegnato con delle lezioni di Difesa contro le Arti Oscure?
-Percy?- domandò Harry cercando il supporto di qualcuno che non fossero i suoi migliori amici. Gli voleva bene a quei due, ma voleva sentire di Percy. Il motivo non lo sapeva neppure lui.
Il semidio guardò Harry negli occhi, come per chiedergli “vuoi davvero che ti dica come la penso?” e questo non rendeva affatto felice Harry. Era come se il mondo in pochi minuti si fosse messo contro di lui. Certo, gli era già successo diverse volte, ma sentiva che quella volta doveva avere l’appoggio del semidio.
-Amico- iniziò il figlio di Poseidone- Io penso che non dovresti pensare ai M.A.G.O e quelle cose lì. L’importante non è uscire da qui con il massimo dei voti. L’importante è quello che farai uscito da qui e come. Per me questa è un’occasione da non perdere. Io insegno scherma giù al campo e ti dico che non c’è migliore soddisfazione nel vedere gli altri ragazzi eseguire bene i movimenti corretti e sapendo che quello che gli insegni gli tornerà utile. Fallo Harry.
Il mago annuì. Lo avrebbe fatto e basta. Anche se Hermione era in disaccordo. Voleva vedere i ragazzi eseguire correttamente l’Incanto Patronus o eseguire un Incantesimo di Disarmo perfetto.
Finirono di pranzare e si recarono subito alla Torre del Grifondoro a prendere i libri di Trasfigurazione, mentre Harry si diresse nella sua nuova classe.
La lezione di Trasfigurazione era con i Tassorosso e la preside McGranitt avrebbe tenuto la lezione. Quel giorno di sarebbe parlato di Animagus, ovvero gente che sapeva trasformarsi in un animale preciso, come la preside.
-Perché solo uno?- domandò ad un certo punto Frank.
-Signor Zhang- iniziò la professoressa- Lei discende da un principe greco, Periclemo e Marte, giusto? Faccio sempre confusione tra le vostre discendenze. I maghi possono trasformarsi solo in un animale perché il loro corpo non è pensato per mutare in più animali. Già riuscire a trasformarsi in un animale senza l’aiuto di una bacchetta è molto complicato. Pensare di trasformarsi in più animali sarebbe impossibile e poi, non si conosce il proprio Animagus finché non ci si trasforma e questo dipende dalla personalità.
Frank non fece altre domande e Percy capii il motivo: non voleva tirare nuovamente fuori la questione del suo antenato greco, da cui aveva ereditato il dono del mutamento in altri animali.
-Professoressa- la chiamò un grifondoro- Chi era il principe Periclemo?
Frank arrossì in un nano secondo. Leo era accanto a lui e se la rideva di gusto, come gli era solito fare. Non gli stava antipatico Frank, anzi aveva paura di lui, ma era il suo modo per dire che gli voleva bene, però Frank non riusciva a capirlo.
-Il principe Periclemo era un principe greco, nipote di Poseidone, che possedeva la capacità di mutare forma in animali, come un gatto, una tigre o anche un drago. Il semidio Frank Zhang è discendente di Periclemo. Possimo riprendere la lezione?
-Quindi Frank è una sottospecie di Animagus?- domandò una Tassorosso amica di Ernie Macmillian che Percy non aveva mai conosciuto, ma che sapeva che si chiamava Hannah Abbott.
-Non esattamente.
-Professoressa- la chiamò Hermione- Posso prendere parola un minuto?
La professoressa annuì e Hermione iniziò una lunga conferenza sul personaggio di Periclemo. Percy ringraziò gli Dei quando finì. Non ne poteva più di sentire Hermione Granger parlare. Gli si stavano chiudendo gli occhi tant’è che non si era anniato.
-Posso correggere la signorina Granger, su un punto professoressa?- domandò Annabeth. La McGranitt annuì, ma Percy fu più veloce di lei e disse:-Grecia, Roma, Cina e Canada. Non Grecia, Egitto, Roma, Cina e Canada.
Il semidio poi sbatté la testa sul banco stanco e chiese:-Ora possiamo parlare d’altro?
Dopo pochi minuti stava dormendo, con tanto di bava che gli usciva da un angolo della bocca. Annabeth provò a svegliarlo diverse volte durante la lezione, con scarso risultato. Alla fine della lezione riuscì a svegliarlo e insieme si diressero alla lezione di volo.
Lì, il figlio di Poseidone si rifiutò categoricamente di salire su una scopa volante e con lui Talia. Lui aveva la scusa di essere nel territorio dello zio, così fu esonerato, invece, Talia soffriva di vertigini e anche lei fu esonerata.
Nel giro di un’ora la lezione finì e tutti si diressero ai dormitori, intenti a riposarsi un poco. Si prepararono per la cena, fecero i compiti del giorno dopo e Percy raccontò cos’era successo quella mattina.
-Il Leone di Nemea è stato il primo, il secondo potrebbe essere l’Idra o peggio- constatò Annabeth- Dobbiamo allenarci e prepararci ad ogni attacco.
Leo e Annabeth si scambiarono diverse occhiate che capirono solo loro due. Il tempo stava scadendo. Presto o tardi si sarebbero ritrovati ad affrontare di nuovo qualcosa di ignoto. Gli altri non lo sapeva ancora, ma stava per affrontare qualcosa di ancora più potente di Gea.
Con questi pensieri felici scesero a cena.
 
Angolo Autrici
1) Grazie a tutti quello che stanno leggendo questa storia, perchè si.
2) Le prime lezioni ad Hogwarts per i nostri semidei. Come vi sono sembrate? Tranquilli, ci andremo giù pesante la prossima volta.
3)Harry è insegnate di Difesa contro le Arti Oscure. E' possibile? Non lo sappiamo, ma quando si parla di magia, tutto è possibile.
4) Chiediamo cortesiamente di rispondere alla domanda che aveva fatto in precendenza, quella sulla storia suglia dei della Mesopotamia.
Grazie Mille ancora,
Baci Kya

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Capitolo 12
*** LA PRIMA ALLEANZA ***


LA PRIMA ALLEANZA
 
Percy non pensava che si sarebbe divertito così tanto ad Hogwarts, ma gli mancava casa. New York gli mancava, gli amici al Campo Mezzosangue (anche Clarisse, stranamente) e specialmente sua madre. Le aveva detto che sarebbe tornato a casa dopo le vacanze di Natale per passare qualche giorno insieme a lei, ma avrebbe dovuto rimandare a pasqua se fosse tornato. A lei sarebbe piaciuto tornare a casa, un giorno. Sua madre che cosa avrebbe detto vedendo altre cicatrici? Già non era molto felice di quelle che aveva già, se ne avesse aggiunte altre Sally l’avrebbe rinchiuso in casa per l’eternità.Mentre si dirigeva a Pozioni con Annabeth, continuando a rimuginare su questi pensieri.
Talia, Leo, Hazel, Hermione e Neville erano già in classe, al contrario di loro due che si erano fermati un attimo nella serra della professoressa Sprout. La professoressa aveva chiesto se potevano andare al Lago Nero per recuperare dell’Algabranchia per lei e un poco per l’insegnante di Pozioni. Erano dovuti andare al Lago Nero a raccogliere queste dannate alghe. In breve, erano in ritardo per lezione di Pozioni.
Bussarono alla porta e la voce del professore li intimò ad entrare. Percy vi mise la testa dentro, per assicurarsi di non aver sbagliato corso, poi entrò nella stanza dove una ventina di ragazzi stavano preparando qualcosa che il figlio di Poseidone non piacque solo a guardare il colore di quel liquido.
Annabeth posò l’Algabranchia sulla cattedra e insieme a Percy si diresse all’ultimo banco, dove c’era già Piper. Percy aprì il libro di testo e iniziò a leggere gli ingredienti e a dare istruzioni alle due ragazze.
Alla fine delle lezioni, l’insegnate passò tra i banchi e quando arrivò a loro si complimentò. Era una delle pozioni migliori.
-Sarò felice di invitarvi al Lumaclub- disse il professore.
-Il Lumaclub?- domandò Piper non capendo bene.
-Il Lumaclub- rispose l’insegnate- Chiunque voglia diventare qualcuno d’importante cerca di entrare nel Lumaclub Prendete per esempio Harry Potter. Lui è nel Lumaclub.
Annabeth annuì poi disse:-Ci penseremo su.
I semidei salutarono e uscirono ringraziando il professore per l’invito. Piper si riunì subito a Frank, Silena, Beckendorf e agli altri Tassorosso, mentre Percy e Annabeth si unirono agli altri Grifondoro che si dirigevano alla Torre di Grifondoro dove si misero immediatamente a fare i compiti di Cura delle Creature Magiche, per la quale dovevano descrivere mezza pergamena sui pegasi, Trasfigurazioni ed Incantesimi. Arrivarono all’ora di cena che avevano finito gli esercizi, anche se erano stati fatti in greco antico e latino.
Scesero nella Sala Grande, dove raccontarono ai loro amici dell’invito del professor Lumacorno. Harry ed Hermione li convinsero ad andare con un sorrisetto sulle labbra che  Percy turbò un pochino.
Mentre si serviva la torta al cioccolato, vide nella sua testa il tridente che aveva visto in sogno più e più volte. Non riusciva a toglierselo dalla testa. Gli prese a vorticare la testa. Gli girava talmente forte che sembrava essere finita nell’occhio di un ciclone. Davanti ai suoi occhi gli comparve una folgore, come quella che aveva recuperato a dodici anni, uno scudo, una lancia e un’armatura con una civetta e una spada nera, simile a quella che Nico portava sempre al fianco sinistro, ma nessuno dei presenti sembrava accorgersene delle tre armi.
-Percy- lo chiamò Annabeth- Tutto okay?
Il figlio di Poseidone annuì pensieroso, decidendo di non parlarne finché non ce ne fosse stato bisogno. Tornò a mangiare la torta al cioccolato, che però, ormai, aveva perso la sua dolcezza.
 
Dopo cena tornarono alla Torre del Grifondoro, dove rimasero a parlare davanti al camino finchè non scoccò l’orario.
-Sarebbe bello scoprire perché i morti resuscitano- sospirò Talia ancora arrabbiata per il ritorno di Luke Castellan. Nonostante la Cacciatrice lo ignorasse, il ragazzo continuava a farle domande, chiedendole il suo parere.
-A me piace avere un’altra sorella- rispose Hazel. Percy vide Talia scoccarle un’occhiata fulminante, di quelle che riservava solo a lui, ma Hazel la ignorò bellamente.
-Io penso che la guerra che andremo a combattere sarà molto più brutale delle altre- ragionò Leo- E magari, questi ragazzi, sono stati liberati sotto l’ordine di Zeus, per venirci a dare una mano.
Il ragionamento di Leo non faceva una piega, ma da quando in qua i morti resuscitavano?
-Andiamo a dormire? Domani abbiamo gli allenamenti di Quiddich.
Si diedero la buonanotte e ognuno andò nelle proprie camere. Percy si lanciò sul letto e si addormentò
 
Sognò di essere nel Tartaro nel palazzo di Nyx, la dea della Notte. Era buio pesto, ma Percy riusciva comunque a vedere i figli della Notte.
-Ma divina madre- disse uno-È sicura che non le troveranno mai? Le armi originali sono potenti e rilasciano un’aura altrettanto potente.
-Taci!- urlò la dea Nyx-È lui che ha chiesto così. Se le vogliono devono venire quaggiù e prenderle.
Percy ripensò all’esperienza nel Tartaro. Non avrebbe mai condotto i suoi amici lì. Era una cosa che non poteva fare. E poi, aveva perso troppo laggiù e non voleva tornarci.
-Tredici semidei nel Tartaro sono incontrollabili madre, lo sai. Già quei due l’hanno fatta franca…
-Non ricordarmelo, idiota!- urlò la dea talmente forte che se Percy fosse stato veramente lì gli avrebbe rotto i timpani- Con loro ho un conto in sospeso e credo che lo salderò molto presto.
Il sogno cambiò.
Percy era su un cavallo con le ali nere e accanto a lui c’era Annabeth anche lei su un pegaso bianco. Sorrideva e Percy era felice, ma sapeva, in cuor suo, che quella scena, non sarebbe mai accaduta. Era lì solo per dirgli quello che non poteva avere. Sapeva che quei momenti lì erano pura immaginazione.
 
Si svegliò  al suono della sveglia di Harry che cantava l’inno di Hogwarts. Percy guardò l’aggeggio infernale e lo maledisse. Non gli piacevano le sveglie e mai gli sarebbero piaciute.
Scostò riluttante le coperte calde e s’alzò. Si trascinò sino ai piedi del letto, prese l’uniforme e l’indossò velocemente. Avrebbe preferito trovarsi contro il Minotauro o qualunque altro mostro mitologico pur di non andare a scuola. Lui odiava la scuola. L’unica ragione per cui rimanere era Annabeth, ma se fosse stato per lui, sarebbero saltati sulla prima barca per New York e sarebbero tornati a casa. Percy doveva proteggere Annabeth, era quello lo scopo della sua vita, ora.
Scese nella Sala comune, dove Annabeth stava leggendo un libro. La prese per le spalle e le baciò la fronte. Lei sembrò apprezzare e gli sorrise.
-Buongiorno Testa d’Alghe- lo salutò Annabeth mentre con un balzo Percy si sedeva accanto a lei.
-Buongiorno anche a te, Sapientona- rispose il figlio di Poseidone mettendole un braccio attorno alla vita e attirandola a se.
-Che leggi?- le domandò Percy dopo svariati minuti di silenzio.
-Leggende e miti- rispose lei- Da tutto il mondo antico.
Percy annuì. Non sapeva se essere orgoglio o terrorizzato dalla sua ragazza. Beh, terrorizzato lo era già. Si ricordò di quando era arrivata a Nuova Roma e appena l’aveva visto gli era corso incontro, s’erano baciati poi lei lo aveva atterrato con una mossa di karate. Era terrorizzato e orgoglioso allo stesso tempo. Dopo qualche minuto arrivarono anche Harry, Ginny, Ron e Hermione. Spiegarono che Talia, Leo e Hazel si stavano preparando, ma che sarebbero scesi presto. Infatti, dopo poco arrivarono i tre mancanti.
-Neville dov’è?- domandò Hazel mentre scendevano a fare colazione.
-È in serra- rispose Hermione- La professoressa Sprout gli ha chiesto di aiutarlo in non so bene cosa, quindi credo che sia lì.
Intanto, erano arrivati nella Sala Grande e avevano preso posto al tavolo di Grifondoro.
Percy si servì dei pancake e del succo d’arancia, poi sottovoce disse ad Harry, mostrandogli la penna che teneva sempre in tasca:- Senti non è che per caso c’è una stanza in questo castello dove nessuno può vederci? Sai, rimanere senza maneggiare una spada per un po’è…come dire… disabilitativo.
Harry ci rifletté un po’su, poi disse:-Ci sarebbe la Stanza delle Necessità.
-Mi ci porteresti? Magari dopo le lezioni.
Prima che Harry potesse replicare un gruppo di ragazzi compresi tra i quindici e i diciotto anni si sedette al tavolo.
-Ma che state facendo?- domandò Harry sorpreso di vedere i semidei seduti al tavolo di Grifondoro.
-Dobbiamo parlare- fece Jason- Semidei a semidei. Questioni burocratiche.
-Amico!- esclamò Leo- Il burro non centra nulla!
Calipso, Jason e Piper alzarono gli occhi al cielo e contemporaneamente la figlia di Afrodite disse:
-Lasciamo perdere. Andiamo, dobbiamo parlare.
I semidei s’alzarono, uscirono dalla sala e andarono all’ombra di un albero. La tensione era al massimo, Percy la percepiva.
-Che avete sognato voi sta notte?- domandò Frank.
-Perché?- chiese Annabeth tenendo stretto al petto il suo libro sulle leggende e miti antichi. A Percy fece quasi pena. Quella ragazza, che gli era sempre stata accanto da quando era giunto al Campo Mezzosangue, si difendeva , non con le armi, ma con la sua intelligenza e sapeva che, quel libro, nelle sue mani, poteva fare tanti danni.
-Io ho sognato il palazzo di Nyx- ammise Percy- Nel Tartaro.
Gli altri annuirono, come se fossero tutti d’accordo.
-Dobbiamo scendere laggiù- fece Hazel preoccupata stringendo la mano di Frank, che ormai aveva assunto una sfumatura violacea.
-Non se ne parla nemmeno!- esclamò arrabbiato Percy- Laggiù non vi ci porto! Voi non sapete neanche com’è. Ti logora la mente. Ti disintegra piano piano.
-Percy ha ragione- lo sostenne Nico- Il Tartaro non… non riuscirete a dimenticarlo, fidatevi. Chiunque ci sia stato, sa cosa voglio dire.
Annabeth e Percy annuirono cupi, il viso cupo al ricordo. Loro sapevano parecchio del Tartaro. Era un luogo orribile, fatto di dolore e terrore.
-In un modo o nell’altro- disse Talia- Dobbiamo trovare il modo di raggiungere le “armi originali”
-Se se sono nel Tartaro è praticamente impossibile- disse Annabeth.
-Potrebbero scendere una o due persone, prenderle e tornare su- ipotizzò Alex.
-No- rispose Annabeth- Le “armi originali” possono essere impugnate solo dal figlio o figlia prescelto. È come se avessero le impronte digitali.
-Cosa sappiamo sulle “armi originali”?- domandò Reyna incrociando le braccia. Senza l’armatura, reyna sembrava una ragazza normale. A Percy però piaceva di più come pretore di Nuova Roma, anche se, quando indossava l’armatura, sembrava molto più rigida.
-Le armi originali furono create molti anni da caos, in modo che solo quelle potessero distruggerlo- rispose Annabeth- Quando gli Dei le trovarono, le nascosero in alcune città a loro sacre e decretarono che solo i figli prescelti dall’Oracolo potessero impugnarle. Gli Dei decretarono anche, che, quando sarebbe giunto il tempo del Caos, gli eroi prescelti le avrebbero trovate e allora il mondo sarebbe stato nelle loro mani, in bilico tra la vita e la morte.
-C’è una profezia sul tuo libro?- domandò il figlio di Poseidone. Annabeth annuì e aprì il libro. Sulla prima pagina di mitologia greca c’era la profezia.
 
Giunto il momento sarà,
Quando il Caos si risveglierà.
I semidei, i maghi e gli ospiti collaboreranno,
Ma loro paura non dovrai avere
O la loro fine arriverà a breve.
Nel cuore del mondo loro cercar dovranno
E solo quando l’ultimo di loro l’ultima troverà
Ecco che la guerra si scatenerà.
 
Il silenzio regnò nel gruppo di semidei.
-beh, noi ci stiamo- disse una voce poco distante da loro. Percy si voltò e vide Harry, con i suoi amici Hermione, Ron, Luna, Ernie, Ginny, Neville e Draco.
-Harry è una missione suicida!- protestò Percy- Se vi accadesse qualcosa… io non me lo perdonerei mai.
-Harry fece un sorriso, poi disse:-Siamo abituati ad essere in punto di morte. Una volta più, una volta meno, non fa differenza.
I semidei si guardarono, poi Percy annuì e disse:-Benvenuti tra gli Eroi dell’Olimpo.

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Capitolo 13
*** I KANE ***


I KANE
 
Si era fatta sera e Annabeth era decisamente agitata. Quella sera, sarebbe andata al Lumaclub con Percy, Hermione, Harry, Ginny, Ron, Piper e Jason. Non sapendo come vestirsi, aveva chiesto ad Hermione e Ginny per un consiglio. Fu la sua rovina. Entrambe si erano trovate d’accordo su un vestito blu notte attillato con le spalline sottili, dei tacchi che ad Annabeth fecero venire il mal di stomaco e un acconciatura che prevedeva lasciare che i capelli biondi e ricci della ragazza cadessero sulle spalle. Ginny ed Hermione la truccarono e, quando finirono, Annabeth fece fece fatica a riconoscersi. Non aveva mai usato così tanto trucco. Il minimo che si concedeva era il mascara e la matita quando usciva con Percy. Talia si mise pure a ridere quando Annabeth si guardò allo specchio. La figlia di Atena afferrò un cuscino e lo tirò all’amica che lo ricevette in piena faccia e crollò per terra.
-Non aspettarci sveglie Tals- le disse Annabeth afferrando la borsa- E non litigare con Leo.
-Agli ordini capitano Annie!- esclamò l’amica facendo il saluto militare- Voi divertitevi e non combinate casini. Tieni d’occhio mio cugino e mio fratello. Insieme sono una bomba atomica.
Le quattro ragazze risero, poi Annabeth, Hermione e Ginny uscirono dalla stanza e scesero nella sala comune. Annabeth fece davvero fatica a scendere con quei trampoli che le avevano rifilato le due streghe, ma ne valse la pena perché, da quando comparve dalle scale fino a che non gli fu accanto, Percy non le staccò gli occhi di dosso. Il ragazzo aveva una faccia da pesce lesso.
Scesero nell’appartamento del professor Lumacorno  e bussarono. Il professore di pozioni li intimò ad entrare. Mancavano solo loro alla cena; si sederono al tavolo e la cena iniziò. Non c’erano molti ragazzi, ma spiccavano principalmente Grifondoro e Corvonero, ognuno accompagnato da qualcuno. Il tavolo rotondo permetteva che tutti si guardassero in faccia e ad Annabeth la cosa piacque. Riusciva a vedere Piper poco lontano da lei che parlava con Jason e Hermione, Ron, Harry e Ginny che discutevano sulla squadra più forte di Quiddich.
-Allora- disse il professor Lumacorno- Annabeth, chi sono i tuoi genitori?
Annabeth per poco non si strozzò con il cibo. E ora come rispondeva? Solo chi era a casa dei Weasley sapeva chi erano veramente i suoi genitori e ovviamente i suoi amici semidei. Poteva dire che sua madre era una dea? Poteva dire che era per colpa di Era che era caduta nel Tartaro? Poteva scoprirsi così tanto?
-Mio padre è… un mortale. Fa lo storica. Mia madre è…
-Morta- intervenne Percy aiutandola. Lo ringraziò con lo sguardo e lui le sorrise.
-Viviamo insieme- continuò il semidio- Cioè, nello stesso palazzo. Anche mio padre, come la mamma di Piper e il padre di Jason, è morto. Ci siamo sempre aiutati a vicenda.
-Mi dispiace tanto ragazzi- ammise Lumacorno.
-Non si preoccupi- rispose Piper usando la lingua ammaliatrice sul professore. Il professore continuò a parlare con tutti i ragazzi sulle loro famiglie. Il professore conosceva il novanta percento dei genitori dei presenti. In seguito passò all’argomento “progetti estivi”.
-Dove andrai per l’estate Percy?- domandò il professore. Questa volta fu Percy a rimarci quasi secco.
-Io passo tutte l’estati nella mia scuola- rispose il ragazzo mettendo in bocca un pezzo di pane.
-Che sosa studiate in quella scuola?- chiese un ragazzino di quindici anni di Corvonero. Percy guardò Annabeth poi rispose:-Impariamo a combattere, a cavalcare pegasi, a fare canottaggio, parlare il greco antico e il latino… cose così.
Il ragazzino, posando il vassoio che aveva in mano, domandò:- E a cosa servono queste cose?
Non combattete con le bacchette? Avevo capito dalla McGranitt che siete una specie di maghi.
-Beh, è sempre utile imparare certe cose- rispose Annabeth- E no, non usiamo le bacchette.
Poi s’accorse d’aver fatto un errore dicendo che non usavano le bacchette. Il ragazzo era un Corvonero e Annabeth era sicura che avrebbe ottenuto tutte le informazioni che voleva.
-E con che cosa combattete?- chiese una ragazza del quarto anno appartenente alla casa di Tassorosso. I quattro ragazzi si guardarono un’altra volta. Orami il danno era fatto, tanto valeva dire la metà della verità.
-Beh- disse Percy alzandosi- Noi usiamo queste.
Prese fuori la sua penna a sfera e alcuni si misero a ridere e, chi non lo fece, era lì lì per farlo. Quando la stappò e Vortice si distese nei i suoi novanta centimetri di bronzo celeste, si misero tutti a ridere.
-Wow!-esclamò il ragazzo Corvonero -È bellissima. Ma  riesce a resistere agli incantesimi.
-Vuoi fare una prova?- lo sfidò Percy con il suo sorrisetto da piantagrane. Il figlio di Poseidone sapeva che chiunque prediligesse per l’intelligenza, non sapeva resistere alle sfide perché erano orgogliosi e superbi. Il ragazzo annuì, s’alzò dalla sedia e, insieme, s’allontanarono un poco dal tavolo. La figlia d’Atena fermò Percy e gli disse:-Vacci piano, mi raccomando. È un ragazzino.
Il figlio di Poseidone annuì e andò davanti al Corvonero. Annabeth si lasciò cadere sulla sedia accanto a Piper. Che il suo ragazzo fosse così stupido? Probabile, altrimenti non l’avrebbe soprannominato Testa d’Alghe.
Erano tutti attenti al duello, nonostante non fosse un vero duello. Un vero duello sarebbe stato più impegnativo, con le armature e tante ferite. O almeno era così che li facevano al Campo Mezzosangue e al Campo Giove.
Annabeth era preoccupata, il suo fidanza era un idiota, che probabilmente avrebbe mandato in infermeria un ragazzo innocente.
-Expelliarmus- urlò il ragazzino agitando la bacchetta e sparando un raggio azzurro dalla bacchetta. La spada di Percy rimase saldamente nelle sue mani.
-Va bene- borbottò il ragazzo- Passiamo alle maniere forti.
Il ragazzo lanciò diversi incantesimi, ma pochi andarono a segno, mentre il figlio di Poseidone avanzava senza paura. Fece cadere il ragazzo e si decretò la fine dell’incontro. Il professore Lumacorno era emozionato. Aveva guardato l’incontro senza sbattere neppure le palpebre. Annabeth vedeva che, dentro di lui, il professore esultava per aver scoperto qualcosa di nuovo. Percy aiutò il ragazzo ad alzarsi, che però non accettò e borbottò:-Esibizionista.
Il figlio di Poseidone andò a sedersi accanto ad Annabeth e le chiese:-Ci sono andato abbastanza piano?
Annabeth annuì, poi disse:-Ti devo parlare, Testa d’Alghe.
Percy annuì e con la scusa di dover andare in bagno seguiti subito da Piper and Jason. Annabeth aveva avuto un terribile mal di testa durante l’incontro. Aveva sentito la voce di Sadie dentro la sua testa.
-Ho sentito Sadie nella mia testa- disse Annabeth e spiegò ai semidei quello che era successo. Sadie le aveva detto che la stava cercando e l’aveva appena localizzata attraverso il ren, il suo nome segreto. S’erano appena messi in viaggio con alcuni loro amici, che Annabeth non conosceva. La figlia di Atena era contenta di rivedere Sadie Kane, ma non altrettanto nel trascinarla in un’avventura sche avrebbe deciso le sorti dell’universo, del resto quella ragazzina aveva si e no quattordici anni.
Tornarono dentro, decidendo che avrebbero chiarito tutto nella Sala Comune del Grifondoro. Era appena stato servito il dolce, che mangiarono tra la chiacchiera e un’altra, poi tornarono ognuno alle proprie case. Non dissero nulla ai maghi. Loro non sapevano che esistevano altri popoli che avevano conservato le proprie usanze.
 
La mattina seguente, la McGranitt entrò nella Sala Grande, seguita da otto ragazzi. Annabeth scattò in piedi, come se ci fosse stata una molla sotto di lei. Come se ci fosse stata una calamita, Annabeth si mise a correre verso la ragazza dai capelli biondi e le ciocche viola, gli occhi azzurri e gli anfibi. Annabeth abbracciò la ragazza, che in un primo momento fu sorpresa, ma alla fine ricambiò. Ad Annabeth piacque rivedere Sadie, anzi, avrebbe passato i suoi prossimi due giorni a parlare con lei, ma la McGranitt glielo impedì dicendo:-Buongirono a tutti. Vorrei presentarvi altri studenti dello scambio. Anche loro praticano la magia differente. Praticano una magia differente dalla nostra, anche se molto simile. Procediamo con lo smistamento. SADIE KANE.
La giovane maga dalle ciocche viola andò a sedersi sullo sgabello e la professoressa sopra alla testa il cappello che molti avevano indossato. Per un poco, la sala calò nel silenzio, poi il cappello parlante urlò:-GRIFONDORO!
Sadie andò a sedersi accanto ad Annabeth, che esultava insieme agli altri Grifondoro. Sadie imbarazzata accolse gli applausi e si accomodò sulla panca.
-CARTER KANE!- gridò la McGranitt. Un ragazzo dalla pelle scura, i capelli ricci e marroni, s’accomodò sullo sgabello.
-CORVONERO!- gridò il Cappello.
Quando tutto il gruppo fu smistato, iniziò la colazione. Annabeth presentò Sadie a tutti e la maga le presentò i suoi amici smistati nella casa rosso-oro: Walter Stone e Ziah Rashid. Le lezioni iniziarono e Annabeth era felice. non era nella stessa classe di Sadie, ma era con Ziah Rashid., la ragazza di Carter Kane, il fratello di Sadie.
La prima lezione era Difesa Contro le Arti Oscure, con Harry Potter. Il loro amico li aspettava nella stanza, svuotata dai banchi e dove vi era solo un armadio.
-Ragazzi- esordì Harry- Oggi parliamo di paure. Affronteremo i vostri Mollicci. Percy, sei il primo.
Il ragazzo si domandò come mai fosse sempre lui il primo, ma non fece storie e si avvicinò all’armadio. Harry aprì le ante e subito una pastiglia nera arrivò davanti a Percy, ma non assunse nessuna forma.
-È normale che non accada niente?- domandò il semidio. Improvvisamente tutto si fece caldo, afoso e rosso, quasi nero. Annabeth, dietro di lui, urlò. Il Tartaro era la sua grande paura. Era la paura di entrambi, una paura che non se ne sarebbe andata. Percy estrasse Vortice e attaccò, menando fendenti, finché non colpì il molliccio, rispedendolo nell’armadio.
-Che cosa era quel posto?- domandò una ragazza di Tassorosso terrorizzata.
-Era il Tartaro- rispose Leo amareggiato. Il molliccio, non si sa come, riuscì ad uscire dall’armadio e assunse l’immagine di Gea., davanti a Leo. Questo perse la testa e evocò palle di fuoco che andarono a colpire il molliccio finché non bruciò, diventando polvere d’oro. Leo cadde a terra e Piper andò a sorreggerlo.
-In Infermeria!- esclamò Ron. Annabeth scosse la testa e rispose:-Dobbiamo portarli alla Torre del Grifondoro. Lì abbiamo quello che ci serve.
Harry annuì e li lasciò uscire, preoccupato per loro.
 
La lezione stava per cominciare e i cinque semidei stavano correndo per raggiungere la classe in tempo. Li raggiunsero per un soffio. Hagrid li stava scortando nella foresta. Raggiunsero un recinto dove vi erano diversi cavalli, con un corno in centro alla fronte. Avevano il manto argento e bianco.
-Va bene- esordì Hagrid- Gli unicorni sono davvero schizzinosi, ma sono creature pure e per questo si fanno avvicinare solo dalle ragazze. Voi maschi dovrete rimanere a guardare.
Ad Annabeth dispiacque per i ragazzi che dovevano rimanere a guardare. Erano creature bellissime gli unicorni e Annabeth non vedeva l’ora di accarezzarne il manto.
-Mi stanno facendo venire il mal di testa- le sussurrò Percy- Giuro che danno molto fastidio. Peggio dei pegasi giù al campo.
Annabeth rise al commento del figlio di Poseidone. Lui le diceva sempre che cosa dicevano i pegasi e Arion, il cavallo superveloce di Hazel.
-Che cosa stanno dicendo ora?- domandò la figlia di Atena.
-Scartando insulti, le parole senza senso e le brutte parole, mi stanno chiedendo di avvicinarmi.
Annabeth sorrise contenta. Non si separavano mai. Finché c’era lui era al sicuro, più o meno. Hagrid però non volle farlo andare con le ragazze. Solo quando gli unicorni s’avvicinarono e s’inchinarono a  Percy, le cose cominciarono ad andare piuttosto male.
-Ha fatto un incantesimo agli unicorni!- esclamò un serpeverde additando Percy- Questo è contro le regole!
Alcuni di loro sfoderarono le bacchette pronti a battersi per  “non si era capito cosa”.
-Non è vero!-protestò Percy- Loro si sono inchinati da soli. Loro lo fanno perché…
-Dobbiamo dirglielo, Percy- sussurrò Talia- O ci fanno fuori.
Percy annuì e urlò:-Sono il figlio di Poseidone!
Il silenzio regnò nella foresta. Annabeth aveva preso paura quando Percy aveva urlato. Per poco, il suo fidanzato non le faceva venire un infarto. Il silenzio venne interrotto dalle risate di alcuni studenti. Ridevano come se non ci fosse un domani e ad Annabeth  la rabbia iniziò a ribollire. Perché ridevano? Cosa avevano da ridere?  C’era qualcosa di divertente nell’essere un semidio? No, non c’era nulla di divertente. Rischiare la vita ogni secondo della tua esistenza, non era divertente. Essere dislessici, iperattivi, soffrire da deficit dell’attenzione, non era divertente. Tutto ciò ti privava della normalità.
-Ci sono problemi?- domandò Annabeth- Lo trovate divertente? Beh, pensate a questo: i semidei esistono da molto tempo, molto più tempo di voi e delle vostre famiglie puro sangue. I vostri antenati hanno ricevuto la benedizione di Ecate, la dea della magia. Se non fosse per noi, voi non sareste così. Io sono figlia di Atena!
Nella foresta rimbombarono le sue parole. Annabeth finalmente si sentiva libera.  Lei era contenta di essere una semidea, qualche volta. Essere un semidio ti permetteva di vedere molte sfaccettature del mondo. Il mondo dei mortali e quello degli Dei. Se eri un semidio avevi la possibilità di vedere tutti e due, scegliere quale ti piaceva di più e viverci.
I maghi si tennero lontano dai semidei per tutta la lezione. Solo Harry, Hermione, Ron, Neville, Ginny e Draco s’aggregarono a loro. Loro li avevano visti nella loro vera natura e avevano imparato a non temerli. Infondo, quei ragazzi erano come loro.
A fine lezione, Hagrid li riportò fuori dalla foresta. I semidei, con Harry e i suoi compagni e i maghi, rimasero indietro.
-Avete fatto una cavolata- disse Hermione stringendo al petto il suo libro- Adesso la vostraa copertura è saltata.
-Fa lo stesso- affermò Talia- Almeno inizieranno a temerci.
-Non credo che sia una cosa positiva, Tals- ammise Hazel- Dobbiamo conoscere gli studenti, scoprire di chi ci possiamo fidarci, non spaventarli.
Talia fece una smorfia, poi esclamò:-Attenzione!
Una freccia arrivò sopra le loro teste, ma riuscirono a schivarla in tempo. Leo riuscì a bruciarla mentre gli passava accanto.
-Ma che Ade…?!- gridò Nico. Dall’ombra uscirono tre donne. Quella al centro portava un copricapo nero e gli occhiali da sole, una gonna ampia a fiori e una camicetta bianca. Quelle ai suoi lati portavano gli indumenti di un supermarket. Una aveva i capelli rossi e una verdi.
-Per gli immortali!- esclamò Annabeth- Non dovrebbero essere morte?
-Miseriaccia!- urlò Ron impaurito- Sono… le…
-Gorgoni- chiarì Luke- Ron ti presento le Gorgoni. Nel caso tu te la debba prendere qualcuno per la loro creazione, prenditela con la madre di Annabeth.
-Veramente se la deve prendere con il padre di Percy- precisò Annabeth- Mia madre si è solo vendicata, del resto aveva ragione.
-Anche mio padre si è vendicato!- ribattè Percy sfoderando Vortice- Tua madre aveva trasformato la ragazza di mio padre in un corvo!
Annabeth stava per contraddirlo, quando la donna a capo del gruppo, probabilmente Medusa, urlò:
-Tacete!
Euriale e Steno sibilarono accanto a Medusa, come per dire che erano d’accordo con lei. Medusa si diresse verso il figlio di Poseidone e gli disse:- Figlio di Poseidone, hai cambiato idea sul dolore? Hai ancora la possibilità di farti trasformare in pietra.
-E tu hai ancora la possibilità di andartene, Medusa- ribattè Percy tenendo Vortice ben salda nella mano. Medusa emise una risata stridula:-La tua ragazza non avrà la tua stessa possibilità. Le affonderò io stessa gli artigli nella carne, facendo sì che soffra e sua madre paghi.
-Toccala e la tua fine arriverà prima del previsto- ringhiò il figlio del mare spostando leggermente dietro di lui la figlia di Atena, che si era già armata.
-Coraggioso, ma io non sono sola- ammise medusa.
Dalla foresta sbucarono mostri che Percy non aveva mai visto, probabilmente appartenevano alla cultura egizia.
-Ho un piano- commentò Annabeth- Harry, Ginny, andate a chiamare gli altri. Qui c’è bisogno di un bel po’ di rinforzi.
Harry e Ginny si smaterializzarono  davanti ai loro occhi. Hermione  rimase a bocca aperta:-Ma è impossibile materializzarsi all’interno di Hogwarts.
-Fidati- le disse Talia- Quando ci sono di mezzo gli Dei, tutte le regole cambiano.
-Il tuo piano prevede anche che ci salviamo, vero?- domandò Luke già con Vipera in mano pronto a combattere. Percy si ricordò di quel ragazzo, che per le sue prime giornate al campo l’aveva aiutato con la spada. Sperò che Luke fosse ancora il miglior spadaccino degli ultimi trecento anni.
Annabeth annuì, poi prese il suo capello degli Yankees e lo porse a Percy:-Vai a fare a pezzi Medusa. È la prima che dobbiamo fare fuori. Al resto pensiamo noi.
Percy annuì, indossò il cappello e scomparve dalla vista degli altri ragazzi. S’avvicinò a Medusa cercando di non fare rumore. Con la spada in mano, Percy si pose davanti al mostro, ma quello lo afferrò per la gola, facendogli scivolare via il cappellino da baseball. Il mostro strinse la presa intorno al collo del ragazzo, che iniziò a scalciare per la mancanza d’aria.
-Muovetevi!- gridò Medusa- Attaccateli, o vi serve un invito formale!
Il gruppo di mostri attaccò. A Percy si stava annebbiando la vista. Non riusciva neppure a vedere il mostro di fronte a lui.
-Percy!- gli urlò Luke- L’umidità! L’aria! Usala!
Percy capì ciò che gli voleva dire Luke. L’Inghilterra, era un paese molto umido, e l’umidità era acqua. Il figlio del mare si concentrò. Pensò a qualcosa che strangolasse Medusa da dietro, una mano d’acqua o una corda. Subito, la donna mollò la presa sul ragazzo che afferrò la sua spada e le tagliò la testa. Questa cadde sul terreno facendo  un tonfo assurdo. Il corpo scomparve, rimanendo solo la testa. Se le aprivi gli occhi, poteva ancora pietrificare la gente.  Percy si voltò a guardare il gruppo che combatteva contro l’ondata di mostri. Harry e Ginny erano tornati con gli altri, che erano arrivati armati sino ai denti. Steno aveva atterrato Annabeth e le aveva puntato un coltello alla gola. Il figlio di Poseidone corse verso di lei e, con un fendente, tagliò la testa a Steno, che scomparve in una polverina d’oro. Percy aiutò Annabeth ad alzarsi e le porse il suo cappellino da baseball.
-Penso che tu te la cavi meglio, con questo cappellino- le disse. La ragazza sorrise e indossò il cappellino, scomparendo dalla vista del ragazzo. Ogni tanto si vedevano mostri morire per un qualcosa di invisibile. Percy andò ad aiutare Jason e Nico che stavano combattendo schiena contro schiena.
-Ho un’idea!- urlò Jason mentre infilzava una dracena. Nico lo guardò poi disse:-Forse abbiamo avuto la stessa idea.
Si guardarono tutti e tre, poi con un urlo liberarono i morti, le acque del Lago Nero esplosero e il cielo si fece scuro. Hazel e Talia li raggiunsero. Hazel evocò la terra e le sue gemme preziose, mentre Talia diede mano forte al fratello. Era un lavoro di squadra.
-Al riparo!- gridarono Leo e Annabeth contemporaneamente. La terra, il cielo e l’acqua si mossero contemporaneamente eliminando tutti i mostri che rimanevano. I cinque ragazzi crollarono sull’erba bagnata, tutti privi di energia. Guardarono il cielo, che era tornato azzurro. Annabeth, stanca, si mise accanto al Percy , poi si sdraiò a terra anche lei, ammirando il cielo. Il resto del gruppo fece altrettanto.
-Questo- fece Harry- Lo fate tutti i giorni? Intendo combatter i mostri.
Percy si tirò su a sedere:- Se ci va bene una volta al giorno.
- Se ci va male- commentò Piper- È già tanto se siamo vivi.
Erano tutti stremati, ma raccolsero la loro buona volontà e tornarono al castello dove la McGranitt li attendeva. La preside era davanti al portone d’ingresso con le braccia incrociate e lo sguardo severo. Percy sapeva che era terminata la loro esperienza ad Hogwarts.  Gli sarebbe mancato quel luogo intriso di magia.
-Venite nel mio ufficio- disse la McGranitt. La donna si voltò e gli fece strada verso l’ufficio.
 
 
 
Angolo autrici
Eccoci qua!
Sono arrivati i Kane e la loro compagnia. Sadie e Carter ci stavano in questa avventura, perché anche loro sono personaggi fantastici. Sono inventati dallo zio, quindi sono fantastici per forza.
Ehm… che dire… boh. Speriamo che vi sia piaciuto. Ah! Ringraziamo chiunque legga questa cosa, perché ci deve volere tanta pazienza a leggere questa FF. Ringraziamo ancora tutti e vi aguriamo una buona giornata.
Baci
Kya

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Capitolo 14
*** LA STANZA DELLE NECESSITA' ***


LA STANZA DELLE NECESSITA’
 
Ad Annabeth non piaceva essere richiamata a scuola. Lei era una studentessa modello, con voti alti in tutte le materie, che durante la pausa pranzo leggeva o la passava con Percy che studiava nel complesso accanto. Molte delle sue compagne non riuscivano a credere che una secchiona come lei uscisse con uno dei ragazzi più belli.
Quando Annabeth si trovò nell’ufficio della McGranitt, la ragazza cominciò a temere il peggio: l’espulsione.  Anche se non potevano essere espulsi perché erano in missione su ordine degli Dei,  Annabeth aveva paura.  Non era mai stata espulsa da una sola scuola e sarebbe stato orribile cominciare. L’ufficio della preside aveva  le pare ti tappezzate di libri, cianfrusaglie e ritratti di uomini, per lo più barbuti, che parlavano tra di loro animatamente. C’era persino una fenice, l’animale della rinascita. Era molto raro trovare quel animale. Era quasi estinto, eppure, Annabeth ce l’aveva davanti agli occhi.
-Il castello…- iniziò la McGranitt-È…
-Circondato- la interruppe Percy- Blackjack vola sopra a questo ammasso di mostri continuamente. Praticamente siamo circondati, mattina e sera.
Il volto della McGranitt diventò cupo. Era preoccupata, Annabeth lo vedeva, lo percepiva.
-Una barriera sarebbe utile- disse Talia-Però non voglio trasformarmi di nuovo in pino.
Ad Annabeth non sembrò una battuta fatta di proposito.  Talia era stata un albero per un certo periodo di tempo. Da quel momento, il suo albero proteggeva il Campo Mezzosangue.
-Per la barriera ci pensiamo noi- propose Ernie Macmillian-Si, insomma, siamo dell’ultimo anno, possiamo farcela.
La McGranitt annuì, poi congedò i sette maghi. Annabeth continuava ad avere paura di quello che sarebbe potuto accadere. La semidea iniziava a temere la razza dei maghi, nonostante i semidei fossero molto più forti, i maghi erano comunque potenti  e non andavano sottovalutati.
-Se i mostri sono al confine- iniziò la preside-Dovremmo essere pronti.
Il silenzio regnò nella stanza. Annabeth non aveva capito che cosa volesse dire la direttrice. Le sue mani iniziarono a sudare. Perché stava sudando? Lei sudava soltanto quando sapeva che stava per  accadere qualcosa di brutto. Ecco, forse il suo istinti di semidea si stava facendo sentire.
-Cosa intende dire?- chiese Beckendorf. Charles era un ragazzo dalla pelle scura, gli occhi castani e le braccia muscolose, per via delle giornate passate in officina, prima della sua morte.
-Voglio che utilizziate la stanza delle Necessità- rispose  impedita la McGranitt- Siete gli unici che sanno veramente  come combattere  contro mostri del genere. Abbiamo bisogno di voi.
I ragazzi si guardarono  incuriositi, poi Carter disse:-Ma voi non potete diventare come noi che facciamo prima? Anche perché le nostre energie non sono infinite.
Annabeth ci pensò su. Il suo ragionamento non faceva una piega. L’avevano dimostrato prima quando avevano combattuto contro i mostri nella foresta proibita.
-Come avete detto signor Kane, la vostra magia  è molto più difficile della nostra- fece da McGranitt. Frank, mentre giocava con la corda del suo arco, chiese:-Le spade le sanno maneggiare tutti no?
-Potrebbe essere un’idea!- esclamò Annabeth- Le nostre armi sono invulnerabili alla vostra magia. 
Rimasero tutti in silenzio. L’idea non era male, ma insegnare l’utilizzo di armi antiche a studenti che utilizzavano la magia? Certamente, i maghi non era stupidi, anzi erano intelligenti, ma era complicato imparare a difendersi contando sulle proprie forze e non sulla magia.
-Chiedete a Potter di mostrarvi la stanza delle Necessità- disse la McGranitt-E vedete di tenerlo segreto, per ora. Gli studenti di Hogwarts non sono pronti per questo, non tutti almeno.
 
 
-Ora abbiamo un motivo in più- disse Percy mentre saliva le scale accanto a Harry, seguiti da Annabeth e Ginny. Era arrivati al settimo piano della scuola. Procedettero lungo un corridoio infinito, tappezzato di arazzi e quasi privo di finestre. Si fermarono davanti ad uno degli arazzi, che ad Annabeth ricordò Aracne, quello schifosissimo ragno che aveva tenuto nascosto l’Athenea Partheneos per secoli solo per vendetta personale.
-Ma che…?- chiese Annabeth vedendo Harry fare su e giù per la stanza. Non fece in tempo a terminare la frase che comparve un porta in ferro. Era bella, ma alla figlia di Atena  non piaceva. Era troppo elaborata, troppi ghirigori su un’unica porta. Harry, senza dire nulla, aprì la porta e i tre ragazzi lo seguirono. La stanza era grande come l’Arena al Campo Mezzosangue ed era già provvista di tutto il necessario per gli allenamenti. C’era un poligono di tiro, manichini che ad Annabeth parvero indistruttibili e una parete per l’arrampicata come quella del Campo Mezzosangue.
-È fantastico!- esclamò Percy-C’è tutto il necessario. Non manca nulla.
Percy aveva ragione, era tutto perfetto. La semidea s’avvicinò ad una serie di coltelli, ne prese uno e lo tirò contro un figurino disegnato sulla carta, centrandolo nel cerchio più piccolo nel petto.
-Sono di bronzo celeste-disse Annabeth- Ci dovrebbe essere anche dell’oro imperiale e del ferro dello Stige, se l’intuito non m’inganna.
-Credo che sia il caso di chiamare anche il resto del gruppo.- affermò Ginny. Annabeth prese dalla sua borsa un cristallo che sporse alla luce del Sole, creando un arcobaleno, mentre Percy prendeva una dracma e la lanciava nell’arcobaleno facendo partire la chiamata. Inviarono un messaggio a Reyna dicendole di radunare gli altri e portarli davanti alla stanza delle Necessità, al settimo piano. Mentre aspettavano, percy e Annabeth presero in mano le armi e iniziarono un duello senza esclusione di colpi. Annabeth menò un fendente con la spada di osso di drago, ma Percy lo parò per poi tentare un affondo che però la ragazza schivò quasi fosse un movimento automatico. Harry e Ginny li guardavano combattere con entusiasmo. Erano veramente in gamba i due semidei. Si muovevano ad una velocità assurda e, come Harry poté constatare, prevedevano le mosse l’uno dell’altro solo con lo sguardo. Anche quando il resto della squadra entrò nella stanza, i due continuarono a combattere.
-Da quant’è che va avanti così?- domandò Piper sedendosi vicino ad Harry. Il ragazzo non sapeva cosa rispondere, non aveva certo tenuto il conto del tempo che era passato.
-Quasi dieci minuti- rispose Ginny guardando l’orologio.
-Percy è migliorato- esclamò Leo fischiando- L’ultimo è durato otto minuti. Io punto però su Annabeth.
Jason fece una smorfia come se otto minuti fossero pochi, ma lui non aveva mai lottato con Annabeth Chase, del resto Percy la faceva combattere solo con lui, Piper, Hazel, Nico e Frank e il motivo era sempre lo stesso: aveva paura per lei. Solo quando Annabeth atterrò Percy, il duello finì. La figlia d’Atena era sudata e stanca, del resto non s’allenavano da sei giorni.
-Un’altra volta Testa d’Alghe- disse Annabeth porgendo la mano al figlio di Poseidone- Mi devi tre dracme, che sommate a quelle dell’ultima volta fanno dieci dracme d’oro.
Percy afferrò la mano di Annabeth e si tirò su in piedi. Tenne Vortice stretta nella mano, pronto ad una sfida all’ultimo colpo di spada.
-Pronti?- chiese Percy mentre il resto del gruppo annuiva con entusiasmo.
-Nella stanza delle Necessità c’è tutto ciò che ci serve- spiegò Annabeth- Sadie, vieni con me?
La maga dalle ciocche viola annuì e seguì Annabeth in un angolo della stanza dove presero a combattere tra di loro. Harry non riusciva a credere ai suoi occhi. Attorno alla maga volteggiavano simboli oro che avevano del magico. La semidea schivava tutti i colpi di Sadie senza pensarci e Sadie faceva altrettanto. Percy afferrò Carter per un braccio e lo portò su un tappetino, dove cominciò una lotta libera, anche se il semidio sfruttava l’acqua del rubinetto e il mago evocava qualche colpo magico. Due a due iniziarono ad allenarsi, scambiandosi senza rendersene conto i compagni di lotta. Alcune volte lottavano a piccoli gruppetti, guardandosi le spalle a vicenda. I maghi li guardarono entusiasti. Harry s’alzò dalla panca e andò a prendere una spada a caso e s’unì a Percy, Carter e Jason che combattevano due contro uno. Incrociò la spada di Jason diverse volte. Lui, però, non era un guerriero da spada a spada. Lui era un mago. Usufruiva della magia che, a quanto detto da Annabeth, aveva ricevuto dalla dea della magia Ecate. La bacchetta era nella sua tunica; poteva tirarla fuori e usarla, ma non avrebbe funzionato con i semidei e i maghi. Harry  riuscì ad atterrare Jason una volta per tutte e pochi secondi dopo anche Carter fu a terra. Erano sfiniti, ma dovevano veramente allenarsi. Percy andò a mettersi una maglietta arancione del Campo Mezzosangue, dei jeans  e le scarpe da ginnastica. Tornò provvisto anche di gomitiere e ginocchiere che aveva nello zainetto. Jason lo seguì senza tanti complimenti e insieme iniziarono la scalata, parandosi le spalle a vicenda. Will decise di dargli del filo da torcere, insieme a Bianca, Talia e Silena, che si rivelò un ottima arciera. Percy e Jason evitarono tutte le frecce possibili, mentre la lava scendeva e massi rotolavano giù. Harry iniziò a preoccuparsi.
-Stai tranquillo- gli disse Leo dandogli una pacca sulla spalla-Li ho visti affrontare cosa più difficili.
-Ad esempio?- domandò il ragazzo guardando il figlio di Efesto. Leo sembrò pensarci su poi disse: -Percy è caduto nel Tartaro e Jason, bè, il fatto che sia pontefice massimo dice tutto, no? E comunque entrambi hanno combattuto contro Titani, Giganti e Entità Primordiali.
-E per voi è tutto nella norma?
-Esatto!- esclamò Leo-Per voi è tutto nuovo, non sapete cosa c’è veramente là fuori, al di fuori dell’Inghilterra. Viene tutto nascosto agli occhi dei comuni mortali e a voi. Ma c’è chi riesce a vedere attraverso la Foschia. Come Albus Silente o una nostra amica, che è diventata l’Oracolo di Delfi. Voi potete ora vedere il nostro mondo, perché ci siamo rivelati a voi, ma se non l’avessimo fatto, la spada di Percy ti sarebbe sembrata solo una mazza da baseball. Poi ci sono semidei speciali, come Hazel e Talia, che sanno manovrare la Foschia.
Harry aveva assunto tutto quello che Valdez gli aveva detto. Era veramente interessante il mondo dei semidei, anche se non trovava giusto il fatto che a loro, i maghi, venisse nascosto tutto. Harry aveva già conosciuto la Foschia probabilmente, solo che la chiama diversamente. Avrebbe dovuto ripassare un po’ di cose e chiedere qual’era la verità a Leo. Percy e Jason avevano terminato la loro arrampicata sulla parete di lava. Avevano entrambi qualche capello bruciacchiato, la faccia rossa e dei piccoli tagli sulle braccia.
-Bene!- esclamò Percy- Ora sono ufficialmente felice. Tu, bro?
-Confermo e sottoscrivo, bro!
Lo si vedeva lontano un miglio che erano felici e che stavano meglio fisicamente e mentalmente ed Harry era contento per loro. Era circa l’ora di cena quando scesero nella Sala Grande. Si divisero e ognuno tornò al proprio tavolo. A cena la McGranitt fece un discorso riguardo la Foresta Proibita e ordinò agli studenti di non uscire nel bosco per nessuna ragione, né di notte né di giorno. Cenarono al solito modo: facendo un gran baccano. Fu servito il dolce, poi ognuno tornò ai propri alloggi. Fu in quel momento che Harry sentì la cicatrice bruciargli. Harry lo vide. Aveva il viso pallido, gli occhi scarlatti e la testa calva, il naso serpentino e la tunica nera. Era tornato



Angolo Autrici
*musica inquetante*
Ammettiamo che avevamo già anticipato il ritorno del Signore Oscuro, ma volevamo che anche Harry sentisse la sua presenza e non solo Ginny.
Gli allenamenti dei semidei ci stavano come i "bro". Loro due sono troppo bro.
Anyway. Riponiamo la domanda che abbiam posto probabilmete al capitolo 10: FF che parla di dei della mesopotamia, e con ogni probabilità una sulle popolazioni dell'America centrale (Maya, Atzechi e Inca). Potrebbero essere entrambe interattive, ma vorremmo che prima di inizare ci diceste cosa ne pensiate. Con qualche probabilità sarebbero poi collegate a questa, perchè per il cattivo cattivone che sta per arrivare, mi sa che i tipi qua avrenno bisogno di parecchio aiuto, molto, ma molto aiuto. Detto ciò, salutiamo e ci congediamo, sperando che arrivi qualche recensione. We hope.
Baci,
Kya

 

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Capitolo 15
*** PIOGGIA ***


PIOGGIA
 
La storia si stava ripetendo, gli aveva detto Harry a malincuore. Percy non aveva capito niente, del resto il ragazzo:-Lui, tornato, ora. La storia si sta ripetendo!
Poi era svenuto sulla torta che Ron si stava portando nella Sala Comune e si era sporcato tutta la faccia. Percy, Ron e Neville dovettero portarlo nel bagno ragazzi e pulirgli la faccia come un bambino piccolo. Quando Harry si svegliò, gli chiesero delle spiegazioni. Almeno quelle gliele doveva, del resto gli avevano appena pulito la faccia. Harry gli disse velocemente  quello che era appena successo e spiegò a Percy quello che al semidio poteva dire. Si sentì un po’in colpa. Percy gli aveva raccontato molte cose della sua vita e lui ripagava mentendogli. Il semidio lo guardava stupito, ma allo stesso tempo fiero del suo nuovo amico. Dalla porta, poi, entrarono le ragazze con Leo come ostaggio. Erano tutte agitate, specialmente Annabeth che era pallida come un fantasma.  La figlia di Atena gli corse in contro, lo abbracciò e gli sussurrò:-Vi abbiamo cercato ovunque!
Percy si dispiacque molto per essere andati al bagno al secondo piano quando aveva detto ad Annabeth che sarebbero andati a quelli del primo piano, ma Ron gli aveva assicurato che nessuno li avrebbe disturbati in quel bagno e poi quelli al primo piano era chiusi per manutenzione.
-Sei un brutto idiota cretino!- esclamò Talia- Ci hai fatto prendere uno spavento! Annabeth, Ginny e Hermione erano in panico assoluto. Ci hanno costrette a cercarvi per tutta la scuola. Siete quattro cretini!
Percy ci rise su, la Cacciatrice di Artemide aveva un carattere molto influente e allo stesso tempo sgarbato e ribelle. Era quello che la rendeva speciale. Tornarono alla Torre del Grifondoro, dove c’era ancora del movimento. Erano tutti stanchi. Gli allenamenti li distruggevano sempre, anche quando li eseguivano tutti i giorni. Ma erano nati per quello: imparare a combattere per poi difendere il mondo da mostri cattivi. Era sempre stato così, sin dall’antichità, e sarebbe rimasto così per sempre, finché il mondo non sarebbe finito. Erano loro che facevano la storia. Tutte le più grandi guerre le avevano causate i semidei: la guerra civile americana, la seconda guerra mondiale e altre mille battaglie. 
Percy si lasciò cadere sul suo letto e senza rendersene conto s’addormentò
 
Davanti a lui c’era Rachel Elisabeth Dare, l’Oracolo di Delfi dalla chioma rosso fuoco. Aveva in mano un pennello e davanti a lei c’era una grande tela dove erano disegnate cinque armi: un tridente, una saetta, un’armatura completa, un martello e un pugnale tutto in oro.
-Che cosa sono Jackson?- chiedeva Rachel alla stanza vuota come se sapesse che lui la stava ascoltando. Percy continuava a fissare il disegno della sua amica. Era bello, ma non riusciva a coglierne il significato. Puntò il suo sguardo sul tridente grigio. Era bello e sembrava quello del suo sogno. Rachel continuò a dipingere, poi appoggiò il pennello in un vasetto con dell’acqua nera e s’avvicinò alla finestra. Si vedeva l’Empire State Building.
-Le cose stanno cambiando Jackson. Spero che tu sappia ciò a cui stai andando in contro- disse la rossa guardando l’edificio. A quelle parole, a Percy gelò il sangue. Chirone non gli aveva detto perché erano dovuti andare ad Hogwarts, ma gatta ci cova. Perché non sapevano dell’esistenza di un mondo magico? Perché non era intervenuti nella Seconda Guerra conto i Titani? Rachel a queste domande avrebbe potuto rispondere, Percy ne era sicuro come è vero che il suo nome era Perseus Jackson. Rachel continuò a guardare l’Empire State Building poi esclamò:-Che gli Dei siano con Te Percy. Ti avverto: questa non sarà la tua ultima avventura. Le Parche hanno in serbo tante cose.
 
Percy spalancò gli occhi e lanciò uno sguardo alla sveglia: erano le sette e mezza di sabato mattina. Era già passata una settimana  dal loro arrivo a Hogwarts ed erano ancora vivi.  Il figlio di Poseidone, stanco degli incubi, scostò le coperte e scese dal letto. Arrivò al baule strisciando i piedi nudi. Tirò fuori la maglietta del Campo Mezzosangue e la indossò. Mise i jeans, una felpa e le sue scarpe blu, poi scese nella Sala Comune dove Talia guardava il fuoco scoppiettare.
-Ciao Tals- salutò Percy saltando su una poltrona. Talia era una bella ragazza dagli occhi blu elettrico, la pelle pallida coperta da qualche lentiggine e i capelli neri corti. Era una persona degna di risiedere sull’Olimpo per Percy. Talia era una ragazza fantastica.
-Ehi- disse semplicemente la Cacciatrice- Dormito bene?
-Neanche un po’. Tu?- rispose Percy fissando la cugina. Talia fece una smorfia che fece capire a Percy che non aveva dormito bene. Per i semidei era abbastanza normale, del resto i sogni non erano solo sogni, neanche nella normalità.
-Annabeth è preoccupata- gli disse la figlia di Zeus-È preoccupata per te. Stalle vicino e non la ignorare. Ultimamente non sta bene.
-Cos’ha?- domandò il semidio preoccupato. Talia scosse la testa:-Non lo sappiamo. Non lo vuole dire a nessuno. Sappiamo che non è un male fisico, ma mentale. Percy, sei la sua unica salvezza.
Il semidio annuì e disse:-Grazie Tals.
-Figurati Testa di Calamaro. Riguarda te e la mia migliore amica- s’alzò e andò alla porta- Vado a fare colazione. Vi aspetto giù.
Talia uscì dalla Torre, lasciando Percy a guardare il fuoco del camino che scoppiettava.
-Ehi Percy!- esclamò Annabeth entrando nella stanza- Tutto okay?
Percy alzò lo sguardo sulla ragazza. L’ammirò. Era bella anche senza il trucco. I capelli biondi le ricadevano sulle spalle in una miriade di boccoli biondi e gli occhi grigio tempesta erano vispi e intelligenti, pronti all’azione. Portava un maglione della casa di Grifondoro e dei jeans. Sotto il maglione Percy vedeva la maglietta del Campo Mezzosangue, dalla quale la ragazza non si separava mai.
-Ehi Sapientona!- esclamò percy facendole cenno di andare accanto a lui. Annabeth andò a sedersi sulle gambe del ragazzo e il figlio di Poseidone iniziò il suo discorso:-Mi dispiace tanto. Ti ho ignorata in questo ultimo periodo e mi dispiace tantissimo. Da quando siamo arrivati ad Hogwarts ti ho lasciato da parte e mi sento in colpa, perché tu ci sei sempre, mentre io no. Oggi prometto che  staremo insieme, solo tu ed io, salvo imprevisti come un meteorite che colpisce la Terra.
Annabeth sorrise e scoccò un veloce bacio al figlio di Poseidone, poi s’alzò e gli porse la mno. Il ragazzo l’afferrò e la seguì fuori dalla casa del Grifondoro. Passarono davanti alla Sala Grande e continuarono a correre verso il giardino.
-Dove vuoi andare Annabeth?- chiese Percy- Non possiamo andare nella foresta.
-Da quando sei il razionale Testa d’Alghe?- domandò la ragazza continuando a correre e oltrepassando il portone d’ingresso del  castello. Arrivarono al Lago Nero. A quell’ora era stupendo coi riflessi del sole che colpivano l’acqua. Annabeth e Percy ripresero fiato ansimando.
-Ora- disse Percy- Imploro riposo.
S’accasciò sull’erba come un sacco di patate. Quando entrambi riuscirono a riprendere fiato, Percy appoggiò la testa sulla gambe di Annabeth e le chiese:-Cosa hai pensato quando mi hai incontrato per la prima volta? Si, insomma, cosa ti è venuto in mente.
Annabeth restò spiazzata da quella domanda. Sperava che Percy non glielo chiedesse mai, perché aveva paura di quello che il figlio di Poseidone avrebbe potuto pensare. Aveva pensato tante cose quella sera. Aveva avuto paura che diventasse un pino come Talia e aveva addirittura pensato che, il ragazzo mezzo svenuto che aveva sconfitto il Minotauro, era davvero carino, nonostante fosse disgustosa la bava che gli usciva dall’angolo della bocca.
-Ho pensato tante cose quella sera, non mi ricordo più Testa d’Alghe- mentì la figlia di Atena accarezzandogli i capelli neri e morbidi. Il ragazzo rise e rispose:-Valla a raccontare a qualcun altro questa. Tu sei la sapientona delle sapientone, sai sempre tutto.
Conoscendo la sua ragazza, Percy sapeva che gli aveva detto una bugia. Lei si ricordava sempre tutto, che fossero parole, azioni o pensieri.
-Va bene Testa d’Alghe- fece lei- La prima volta che ti ho visto ho pensato che eri morto e che probabilmente saresti diventato un albero come Talia.
Percy rise:-Magari un delfino o un alga, ma un pino non credo proprio.
-Taci Testa d’Alghe. Ti ricordo che all’inizio eri solo un semidio comune. Eri ancora nella casa di Ermes. Dopo, molto dopo, sei diventato il semidio che tutti vorrebbero essere. Altro che Eracle!
-Così mi lusinghi Sapientona. E comunque non ho fatto tutto da solo. C’eravate tu e Grover. Poi sono arrivati Hazel, Frank, bro, Piper, Leo, Nico e compagnia bella. Ce l’abbiamo fatta solo perché eravamo tutti insieme, perché non ci siamo mai arresi e perché ci fidavamo gli uni degli altri.
Quello che Percy aveva detto, lo pensava veramente. Aveva sempre immaginato gli abitanti dell’Argo II come la sua famiglia molto allargata. Greci e romani, diverse culture, diversi secoli, insieme come una famiglia. Lui voleva che la famiglia che si era creata rimanesse tale per sempre, con Jason e Piper che facevano gli sdolcinati ogni tre per due, con Leo che faceva sorridere tutti con le sue battute e Frank che, nonostante fosse un orso, s’inteneriva con poco, Hazel che faceva ridere un po’ tutti con i suoi modi da ragazza degli anni Quaranta, anche se si stava ambientando benissimo nel Ventunesimo secolo, con Reyna e Talia che erano praticamente super donne invincibili, cazzute com’erano, e Calipso che faceva delle magliette ignifughe che erano super comode. Po c’era Nico che aveva da poco trovato in Will Solace la sua anima gemella e Will che faceva di tutto purché Nico eseguisse gli “ordini del dottore”, che per lo più si rivelavano scuse perché il figlio di Ade stesse con lui. Infine, c’era lei, Annabeth Chase, la figlia di Atena per la quale Percy provava amore sin da quando si erano incontrati. Si era fatto trascinare nel baratro del Tartaro per salvarla e questo li aveva solo resi più uniti. La amava più di ogni altra cosa, l’amava sopra se stesso e sopra ogni cosa.
-Tu cosa hai pensato Testa d’Alghe?- domandò la ragazza continuando ad accarezzargli i capelli color ebano. Il figlio di Poseidone aveva pensato tante cose quella giornata e tra quelle vi erano stati pensieri sulla figlia della dea della saggezza.
-Ho pensato che saremmo stati nemici giurati- rispose lui- Davvero non ti sopportavo, per quanto carina tu fossi. Sia chiaro, non sto dicendo che ora sei brutta, anzi sei bellissima, ma a quel…
-Testa d’Alghe, taci per l’amor di Zeus!- esclamò scoppiando in una risata che coinvolse presto anche Percy. Si ricordò di quando si erano messi a ridere nel Tartaro. Nessuno aveva mai riso lì. Erano stati anche due dei pochi che erano andati e tornati da quel pozzo infernale, ma questi erano dettagli, come diceva Leo scherzando quando lo prendeva in giro.
Iniziarono a scendere piccole goccioline di pioggia. “Fantastico” pensò Percy tra se e se “non poteva andare peggio”. Ritirò immediatamente quei pensieri dalla testa.
-Forse è meglio tornare al castello- ammise Annabeth rivolgendo uno sguardo al cielo grigio.
-Perché?- domandò il figlio di Poseidone-È solo acqua.
-Per te che non ti puoi bagnare!- ribattè la figlia di Atena prendendo legandosi i capelli con un elastico e poi guardando Percy in cagnesco. Il figlio di Poseidone si tirò su a sedere, si sfilò la felpa, rimanendo a maniche corte, e la porse alla ragazza. La figlia di Atena scosse la testa e disse:-Non se ne parla. Morirai di freddo!
-Mettila e non lamentarti Sapientona. Tu vieni prima di tutto- le rispose il figlio di Poseidone mentre le porgeva la felpa. Annabeth la prese e se la mise senza troppi rimpianti. Era di un blu bellissimo, come il mare al largo. Le era grande, molto grande, del resto Percy aveva messo su abbastanza muscoli sulle braccia che ormai la taglia M, e poi sapeva di lui. Sapeva di mare. Annabeth s’alzò e Percy la seguì. Le tirò su il cappuccio e le diede un bacio. Annabeth mise le braccia intorno al suo collo e lui l’attirò a se per la vita.
-Devo dire che ti donano le mie felpe- sorrise Percy - Dovresti mettertele più spesso. Davvero, ti stanno bene.
Dal canto suo, Annabeth non seppe come prenderla. Era un’offesa o un complimento? In entrambi i casi, gli tirò un pugnò sulla spalla e gli disse:- Muoviti Testa d’Alghe.
Presero a correre mano nella mano fino al castello. Nonostante tutto, Annabeth era bagnata fradicia. Salirono alla Torre del Grifondoro. Appena li vide, Hazel corse su per le scale e tornò immediatamente con un asciugamano e qualche coperta per la figlia di Atena insieme ad un termos. Prese un picchiere di plastica e ci versò dentro una bevanda marrone fumante. Cioccolata calda. La semidea ne bevve un pochino e sorrise ad Hazel:-Grazie Hazel. È veramente buona.
-Direttamente da Nuova Roma- sorrise la figlia di Plutone- Dakota me ne invia due termos ogni settimana insieme a qualche lattina di Super Fresh.
La figlia di Atena sorrise, ma il suo sorriso si spense quando sentì Percy e Talia che discutevano. Non era possibile. Per quanto si volessero bene, quei due litigavano molto, un po’ come accadeva tra Jason e Percy durante il viaggio verso Atene. Dopo, erano diventati praticamente fratelli. Si guardava e si capivano, come succedeva ad Annabeth e Piper, ma queste erano altre storie.
-Per gli immortali!- esclamò Talia- Non hai sentito il meteo?
-Scusa sai se ho possiedo il dono di prevedere i mal tempo!- ribattè Percy sedendosi accanto alla figlia, afferrando prima un picchiere di plastica con della cioccolata calda. Circondò le spalle delle semidea con un braccio e l’attirò a se.
-Ma sei ammattito? Potevate ammalarvi! Sai bene quanto me che se vi ammalaste qua avremmo qualche difficoltà a curarvi- gridò Talia.
-Talia, alla peggio ci prenderemo un raffreddore. I maghi sanno curarlo un raffreddore- protestò con voce pacata il figlio di Poseidone- E nel caso, se proprio sarà necessario, mi abbasserò a chiedere aiuto. Se ce ne sarà bisogno chiederò aiuto.
-Sei un idiota. Siamo in un’impresa! Non possiamo chiedere sempre aiuto Percy! Chirone non ha bisogno di altri problemi!
A quel punto Percy scoppiò. Sapeva di essere un problema, lui. Glielo dicevano in continuazione, ma sentirselo dire dalla cugina, anche se lei non aveva detto lui l’aveva fatto intendere, lo faceva stare male. Non si fece problemi ad alzare la voce. Scattò in piedi come una molla e afferrò Talia per le spalle: -Basta essere orgogliosi Talia! Se abbiamo bisogno di aiuto non dobbiamo dire di no solo perché siamo orgogliosi. Questo ci porterà alla distruzione te ne rendi conto vero? Se ci sarà in gioco la vostra vita, sappi che farò qualunque cosa perché sopravviviate. Sappilo.
Talia si scostò e urlò ancora più forte:-Non puoi mettere a rischio sempre la tua vita per quella degli altri, Percy! Basta! Non puoi essere sempre tu l’eroe della situazione. Non puoi rischiare di morire sempre solo perché non ti va a genio che noi moriamo. Siamo semidei Percy! Svegliati! Siamo nati per odiare, amare, combattere e morire. Svegliati, prima che sia troppo tardi.
Detto questo Talia se ne andò dalla Torre del Grifondoro, lasciandoli a guardare il vuoto. Talia camminò per i corridoi senza una meta precisa. Aveva dato di matto, se ne rendeva conto. Solo quando era uscita si era resa conto di ciò che aveva combinato. Annabeth e Percy non potevano sapere che stava per piovere. Non erano capaci di percepire anche a giorni di distanza un temporale come lei. Forse aveva esagerato. Non tornò indietro però. Lei era una persona orgogliosa. Difficilmente chiedeva scusa. Era anche il suo difetto fatale. S’immaginò come Percy, un eroe con un difetto fatale diverso dall’hybris, la lealtà. Un difetto fatale che Talia considerava tollerabile, non come l’orgoglio o la tracotanza. Alla fine scelse di andare nell’aula di Pozioni, l’unica materia in cui andava bene. Prese un libro e si mise a sfogliarlo cercando una qualunque pozione capace di tenerla impegnata per un bel po’. Tagliò ingredienti, li mise sul calderone e agitò diverse volte la bacchetta, poi mescolò diverse volte e agitò di nuovo la bacchetta. Erano tutte cose che non si sarebbe mai aspettata di fare, del resto lei era una Cacciatrice di Artemide, l’unica cosa che le era stata richiesta era stata di servire la dea. Certo, aveva rinunciato a diverse cose: gli amici, il Campo Mezzosangue, a suo fratello, agli uomini e all’amore, ma sapeva che il suo posto era tra le schiere di Artemide. Lei era la sua luogotenente e ne andava fiera. Quando ebbe finito imbottigliò la pozione e la lasciò riposare. Pulì tutto. Mentre metteva in ordine entrò Luke Castellan.
-Vattene Castellan- borbottò Talia continuando a sistemare tutti gli ingredienti nei vari ripiani.
-Perché dovrei?- chiese Luke posando il suo libro sul tavolo- Perché ci sei tu? Io posso stare dove voglio. Ho il permesso del professore. Rischio di essere bocciato in pozioni se non gli preparo ciò che vuole.
Talia sbuffò e continuò a farsi gli affari propri, ignorando Luke che cantava una canzone del Campo Mezzosangue. Un inno agli Dei se Talia non ricordava male. Quando finì, s’asciugò le mani, mise la pozione nella borsa e se ne andò. Non voleva respirare l’aria di Luke Castellan. Lui l’aveva tradita. Aveva tradito la loro promessa. Si era alleato con i Titani e aveva combattuto contro gli Dei. Per quanto fosse stato un eroe alla fine, Talia lo considerava un traditore. Luke Castellan era ufficialmente morto per lui. Sarebbe dovuto tornare al Campo Mezzosangue con Lee Fletcher e quelli che non avevano deciso di andare con loro in missione.  Ma no! Luke doveva venire con loro!  Non poteva starsene negli Inferi quello lì? Talia era arrabbiata.
-Talia!- gridò Luke agitando un libro mentre le correva in contro- Hai dimenticato il libro.
-No è mio- disse mentre si voltava. Lui l’afferrò per il polso e la fece voltare verso di lui:-Mi dispiace Tals. Non sai quanto. Mi dispiace per tutto. Io…vorrei che tornassimo ad essere una famiglia. Tu, Annabeth ed io. Se poi si vorrà aggiungere Percy, tuo fratello con la sua ragazza e il resto del gruppo a me va bene. Vorrei soltanto che torniamo ad essere una famiglia. Talia, per favore, perdonami.
Talia scosse la testa e rispose:-Sei un illuso se pensi che dopo quello che mi hai fatto io ti perdoni così facilmente. Per me sei morto Luke e tale rimarrai.
La cacciatrice si liberò della presa del ragazzo e si diresse fuori dai sotterranei. Aveva bisogno d’aria. Voleva che la pioggia le bagnasse il volto e i capelli. Uscì in giardino e la pioggia la bagnò subito. Aveva appena sgridato suo cugino e ora lei faceva quello che aveva fatto lui. Voleva tornare a casa, ma non avrebbe lasciato nessuno qui senza di lei, tranne Luke.
Sentì abbracciarsi da dietro:- Raccontami tutto sorellina.
Era Jaz.


Angolo autrici
Ciao a tutti!
Prima le domande poi le informazioni
Domande
1) Vi piace? (non abbiate paura a dire la vostra)
2) Talia, come personaggio dello zio, vi piace? A noi molto, anche Reyna.
3) Se vi state chiedendo perchè Talia è incavolata con Luke la risposta è facile: ha tradito la sua fiducia e se si tradisce la fiducia di una persona dopo è difficile recuperarla.
4) Di che Tartaro parla Rachel?
Informazioni
abbiamo deciso di comune accordo che la FF sugli dei Mesopotamici si farà. Probabilmente sceglieremo noi i personaggi ma se volete comunque inviarci un personaggio inventato da voi potete farlo (nel caso inviatelo prima della prossima settimana o comunque entro il 15 di settembre perché poi procederemo con la storia). La nostra protagonista si chiamerà Kya, come il nostro username (non lo abbiamo scelto a caso) e vi possiamo solo dire che avrà i capelli rosa. per il resto mi sa che dovrete passare a leggere, appena verrà steso il primo capitolo.
Detto ciò: ci dileguiamo.
Baci
Kya

Per chi vuole mandare un semidio appartenente ai mesopotamici (?) qui di seguito puoò trovare alcune divinità sumere
  • An dio del Cielo
  • Ashnan dea del grano
  • Bau dea della medicina
  • Belili dea della luce
  • Dimpemekug dio scriba degli inferi
  • Dumu-zi-Abzu dio della vegetazione e della fertilità
  • Enlil dio dell'Aria
  • Enki dio dell'Acqua
  • Ereshkigal dea del mondo sotterraneo
  • Ki dea della terra
  • Kur dio del mondo sotterraneo
  • Ishkur dio della pioggia e degli uragani
  • Ishtaran dio preposto a comporre le divergenze
  • Lahar dio del bestiame
  • Nanna dio della luna
  • Nidaba dea della saggezza, della scrittura e della letteratura
  • Nin-Asu dea degli inferi
  • Ninlil dea dell'aria e del grano
  • Ningal dea della luna
  • Utu dio del sole
Nel caso vogliate scegliere altri Dei, noi consigliamo questo sito:  http://ilcrepuscolo.altervista.org/php5/index.php/Mitologia_Mesopotamica



 

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Capitolo 16
*** COME TUTTO EBBE INIZIO ***


COME TUTTO EBBE INIZIO
 
Kya si svegliò ancora una volta. Era già la quarta volta che si svegliava. Aveva passato una nottata, di nuovo. Più si avvicinava l’inizio dell’anno, più i suoi incubi aumentavano e lei non capiva il perché. Era una delle ragioni per cui odiava la fine dell’anno. Un altro era il fatto che i suoi amici scomparivano per tutta l’estate ed erano irraggiungibili al cellulare. Era una delle domande a cui non riusciva a dare risposta, insieme a quella su sua madre. Con un sospiro si alzò e andò in bagno, afferrando prima i vestiti. Sapeva che suo padre era già uscito, così accese lo stereo che aveva in bagno e alzò il volume della musica. Indossò i jeans, una canottiere nera e una camicia a quadrettoni verdi e neri di una taglia o due in più. Si truccò con matita e mascara, indossò gli orecchini e i suoi braccialetti con le borchie. Cacciò uno sguardo alla spazzola con disgusto, poi l’afferrò e iniziò a spazzolarsi i capelli rosa. Si, avete capito bene: rosa. Non erano tinti, ne aveva anche le prove. In ogni foto sua, da quando era comparsa sulla soglia del padre sino a quel momento, aveva i capelli rosa. Non capiva come fosse stato possibile. Forse suo padre l’aveva immersa in un colorante per capelli permanente o aveva fatto esplodere uno dei suoi esperimenti e così i capelli erano diventati rosa, sta di fatto che aveva i capelli più strani sulla terra. Forse anche dell’intero universo. Lasciò che i capelli ricci le ricadessero sulla schiena, poi scese a fare colazione. Casa sua era un piccolo appartamento all’ultimo piano con la mansarda, che suo padre aveva arredato per essere la sua stanza. La cucina comunicava con il salotto, poi girando a destra vi era il bagno e sempre a destra, in fondo al corridoio, vi era la stanza di suo padre. A sinistra vi era lo studio del padre, un posto pieno di provette e libri. Kya vi aveva appeso un enorme cartello alla porta con su scritto “RADIOATTIVO” pochi anni fa. Quando era arrivato a casa, suo padre era scoppiato a ridere e insieme avevano deciso di lasciarlo lì. S’avvicinò alla penisola dove mangiavano e notò un piatto di ciambelle al cioccolato con un biglietto sopra.
 
Ben svegliata tesoro. Spero che queste ciambelle ti facciano iniziare bene la giornata e che ti godrai l’ultimo giorno di scuola prima delle vacanze. Sappi che qualunque cosa accada ti voglio bene. Non dimenticare mai chi sei mio piccolo diamante. Ti voglio bene, papà.
 
Non la chiamava mai “mio piccolo diamante”. Se proprio accadeva voleva dire che qualcosa di brutto stava per avvenire, come era successo alla morte della nonna o della sua tartaruga di terra Billy. Kya scacciò quei pensieri e afferrò una ciambella al cioccolato. Mangiò in fretta, si lavò i denti e, con lo zaino nero in spalla, scese sulla strada. Entrò nello Starbucks sotto casa e prese il suo solito cappuccino con panna, scaglie di cioccolato e pistacchi. Uscì dallo Starbucks con il cappuccino ancora fumante in mano. Camminò fino alla fermata degli autobus e giunse in tempo per prendere quello che l’avrebbe condotta a scuola. Scese dal bus e percorse il resto del tragitto a piedi. Sorpassò tutti i ragazzi che la fissavano. Molti ragazzi avrebbero voluto essere fidanzati con lei, ma li respingeva tutti. La maggior parte delle volte era perché erano degli sbruffoni montati. A lei sarebbe piaciuto conoscere un ragazzo carino, magari con gli occhi verdi e i capelli castani, e con un bel carattere. Un tipo forte e dolce. Con passo spedito entrò nell’edificio, mentre parecchi occhi si posavano su di lei.
“Maiali” pensò lei con lo sguardo basso. Arrivò al suo armadietto, lo aprì e prese fuori i libri e ci posò dentro ciò che non le sarebbe servito per le tre ore successive. Alzò la testa solo quando sentì dei gridolini provenire dall’ingresso. Si sporse oltre la fila di armadietti e vide un ragazzo davvero, ma davvero bello. Aveva i capelli color cioccolato fondente e gli occhi di un verde particolare. Due smeraldi erano. Aveva le spalle larghe e le braccia muscolose, o almeno era ciò che la sua maglietta a maniche corte faceva intendere. Per quanto fosse bello, Kya lo vedeva come il solito ragazzo arrogante e presuntuoso. Alzò gli occhi al cielo e chiuse l’armadietto. Si voltò e si diresse il classe. Almeno, la sua intenzione era proprio quella, ma andò a sbattere contro un petto caldo e lei volò per terra insieme al ragazzo. Lo fulminò con lo sguardo e gli urlò:-Guarda dove vai, cretino!
Raccolse i suoi libri e si diresse verso la sua classe, lasciando il ragazzo lì a terra. Lui s’alzò velocemente e la raggiunse parandosi davanti a lei:-Potresti anche chiedere scusa.
Kya scoppiò in una risata:-Si, io che chiedo scusa a te? Chi è che mi è venuto addosso? Sai, non credo che tu conosca le buone maniere. Insomma, sei tu che hai svoltato l’angolo e mi sei venuto addosso, no? Detto ciò, addio.
Lo sorpassò ed entrò in aula. Il ragazzo boccheggiò per diversi minuti, poi strinse i pugni e respirò profondamente diverse volte. Quella ragazza… era lei.
 
Kya afferrò il vassoio della mensa e iniziò a riempirlo di verdure e frutta. Andò a sedersi in un tavolo vuoto, nascosto da tutti. Da lì, vide il ragazzo nuovo entrare in mensa circondato da diversi ragazzi della squadra di football e cheerleader. Dio, quanto le detestava quelle. Avevano sempre la gonnellina corta da verde e gialla e la maglietta che copriva solo il seno. Fece una smorfia.
-Kya!
Kya si voltò e vide la sua migliore amica, Zoey, e il suo fidanzato, Logan, che correvano verso di lei con un piattino in mano. Zoey era una ragazza dal cuore d’oro. Era sempre gentile con tutti e cercava in tutti i modi di aiutare. Aveva i capelli bruni e ricci che tendenzialmente teneva legati un una coda alta, gli occhi erano del colore del grano d’estate: oro. Era alta e praticava atletica e scherma. Era una bellissima ragazza. Logan era l’esatto opposto, anche se era un ragazzo piuttosto attraente. Vestiva sempre di nero o grigio, mai colori sgargianti, come di solito si vestiva Zoey. Portava i capelli neri lunghi fino a metà collo, che gli conferivano un aspetto più tenebroso che mai. Aveva un orecchino sull’orecchio sinistro e un tatuaggio sulla schiena. Anche Zoey ce l’aveva un tatuaggio, solo che il suo era sul braccio ed era un gatto, mentre quello di Logan era un gufo con le ali spalancate. Tatuaggi di cui Kya non capiva il significato.
-Allora, ragazza- le disse Zoey mentre tagliava una fetta di torta con la forchetta di plastica- Raccontami tutto.
-Non c’è niente da raccontare Zoey- rispose secca la ragazza. Zoey aggrottò le sopracciglia:-Sisi. Mi hanno riferito che hai avuto uno scontro ravvicinato con James.
-Con chi?
-Con James, il ragazzo venuto qui per vedere se gli piace la nostra scuola- rispose Logan- È un nostro amico.
Kya annuì e gli disse:-Beh, si, ma non è stato molto simpatico. Sarebbe stato carino da parte sua se mi avesse chiesto scusa. Comunque, è un brutto arrogante.
-Beh, non è carino parlare alle spalle.
Kya si voltò e vide i suoi bei occhi smeraldo che la fissavano. Subito la rabbia s’impossessò di lei. Dannati quei occhi.
-Si beh, origliare non è educato- lo ribeccò lei guardandolo con i suoi viola. Smeraldo contro ametista. Il ragazzo appoggiò il vassoio sul tavolo e si sedette accanto a Logan. In silenzio prese a mangiare il suo trancio di pizza poi domandò:-Sei vegetariana?
Kya annuì. Una volta era entrata in una macelleria e davanti ai suoi occhi avevano tagliato la testa di un maiale, da allora era diventata vegetariana. Il padre insisteva per farle mangiare la carne e il pesce, ma lei rifiutava sempre. Quando vedeva la carne esposta nei banconi, le saliva il volta stomaco e subito andava via, lasciando il padre a scegliere il tipo di carne. James sorrise e le disse:-Non sai cosa ti perdi tesoro!
-Come mi hai chiamata?- sibilò Kya con gli occhi ridotte a due fessure che squadravano male il ragazzo. Odiava essere chiamate con nomignoli come “tesoro”, “cara”, “amore” e “piccola”. Lei non era un cucciolo, lei era una persona.
-Non scaldarti ragazza- rise James- Non ti ho mica offeso.
-Io vado Zoey. Ci si vede a chimica- disse afferrando la sua borsa e dirigendosi verso l’uscita e diretta in giardino. Si mise su una panchina e chiuse gli occhi. Si beò dei raggi del sole ormai estivo che le colpivano le faccia e del calore che le infondevano. Prese le cuffie e il telefono, ma non fece in tempo ad accenderlo che si sentì afferrare per la gola da due mani robuste. Le mani la sollevarono e la fecero voltare verso il suo assalitore. Aveva il cappuccio, perciò Kya non riuscì a vedere l’uomo che l’aveva assalita, sempre che fosse stato un uomo. Vide però due occhi rossi brillare con la luce del sole. Kya venne scagliata lontano e sbatté la schiena contro la quercia. Probabilmente si era rotta qualche ossa. Si appoggiò sulle braccia e si tirò su in piedi. L’uomo stava camminando verso di lei con un coltello in mano. Kya non fece in tempo a urlare che l’uomo le teneva di nuovo la gola. Posò il coltello sul suo braccio. Improvvisamente un bruciore al braccio attaccò Kya. Provò ad urlare ma ne uscì solo un suono stridulo, quasi impercettibile. Sentiva gli occhi lacrimare. L’uomo, che non aveva proferito parola sino a quel momento, le sussurrò:-Tranquilla, morirai presto. I tuoi amici non riusciranno a salvarti in tempo.
-Butta giù quel coltello Bernard! Siamo tre contro uno, sai bene che non avrai nessuna possibilità di scelta contro di noi- urlò Zoey con un arco teso e la freccia già pronta. Kya vide James e Logan con armi sguainate: uno con una spada nera e l’altro che una lancia dalla punta nera e affilata. La vista iniziò ad appannarsi e puntini neri cominciarono a comparirle davanti agli occhi. Sentì la presa al collo abbandonarla e cadde a terra cercando di tornare a respirare.
-James!- chiamò Zoey- Portala dentro, chiama i ragazzi e facci venire a prendere. Noi pensiamo a lui! Vai!
James scattò in avanti con tutta l’energia che aveva, schivò il coltello che l’uomo aveva lanciato e Zoey scoccò la freccia che cambiò la direzione del coltello. James prese Kya da sotto le ginocchia e la portò dentro alla scuola. La posò su una panchina e le prese il braccio tra le mani.
-Chi…chi era?- domandò a voce debole la ragazza mezza svenuta. James scosse la testa e le rispose:-Una persona a cui non piacciamo. Sia dannato, per tutti gli Dei! Quel figlio di… ha avvelenato il coltello, dannazione. Dammi il telefono!
-È rimasto fuori- sussurrò la ragazza- Sotto la panchina.
-Non ti muovere!- le ordinò. Kya decise di non protestare e rimanere lì. James schizzò fuori dalla porta e pochi minuti dopo era già tornato con un graffio sul volto e il telefono con la cover nera della ragazza in mano. Digitò velocemente il numero e disse:-Anne, vienici a prendere e prendi il furgone. Dobbiamo passare inosservati… Si certo, grazie mille.
Mise giù. Kya lo guardò negli occhi cercando di capire quale domanda avrebbe dovuto porre, però disse soltanto:- Sanguini
S’avvicinò con cautela, prese un fazzoletto dalla tasca e dei jeans e lo appoggiò sul taglio. Per un attimo James rimase immobile mentre la ragazza gli tamponava la ferita con il fazzoletto, poi però prese dalle mani della ragazza il fazzoletto e un elastico dal polso della ragazza. Non sarebbe servito a molto, ma intanto avrebbe fermato un minimo di sangue. Appoggiò il fazzoletto e ci mise sopra l’elastico, facendo in modo che il fazzoletto aderisse alla pelle. Zoey e Logan entrarono nell’edificio correndo.
-Bernard è fuggito- disse Zoey mentre si metteva l’arco nella faretra sulla schiena- È andato sicuramente ad est. Dobbiamo raggiungere il campo. Anne?
Si sentì il rumore di un clakson e un furgone bianco fuori dalle porte in vetro. Alla guida vie era una ragazza con occhi d’oro e capelli lunghi e lisci. Avrà avuto una venti d’anni.
-Salite- ordinò. Zoey corse verso il lato del passeggero con Logan e James andò ad aprire le porte del furgone  dietro. Kya non fece in tempo a muoversi che cadde a terra e l’ultima cosa che sentì furono le braccia di James che l’afferravano.

Angolo autrici
BUOOONASERA o BUOOONGIORNO a tutti. Qui vi è il capitolo su Kya, una ragazza originaria del South Dakota e blablabla. E' un personaggio secondo noi interessante. Ehmm... che dire? Noi domani cominciamo la scuola (* risata malvagia*) e boh. Speriamo che vi piaccia questa storia e che ci seguiate in tanti. Ci dispiace per aver aggiornato così tardi, ma era pronto solo oggi. Sorry. Se avete dei personaggi che volete inviarci, potete ancora farlo. Don't worry.
By the way, vi salutiamo e buona giornata a tutti.
Baci,
Kya
 

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Capitolo 17
*** RIVELAZIONI ***


RIVELAZIONI
 
Jason aveva seriamente bisogno di riposo, ma non se lo poteva permettere. Chissà per quale strana ragione, sembrava che il destino ce l’avesse con lui.
Aveva trovato, quel pomeriggio, sua sorella sotto alla pioggia che piangeva. Era veramente raro vedere Talia piangere, perché Talia era una ragazza forte. Jason s’era avvicinato, l’aveva abbracciata e lei l’aveva guardato con i suoi occhi blu elettrico. Talia l’aveva abbracciato a sua volta. Aveva bisogno del fratello e Jason l’aveva capito. Talia era l’unica parte della famiglia Grace che gli rimaneva. Zeus, o Giove, era perennemente assente, anzi non si faceva proprio vedere. Sua madre era morta in un incidente stradale e i nonni mortali non sapevano neanche che esistessero probabilmente. Talia era l’unica che non l’avesse dimenticato e lui di certo non l’avrebbe lasciata. Era sua sorella, per tutti gli Dei!
-Raccontami tutto sorellina- le disse mentre lei piangeva sulla sua spalla. Talia aveva i capelli neri bagnati e i vestiti argento e neri non erano certo messi meglio.
-Sono un’idiota, ecco cosa è successo Lampadina- singhiozzò Talia stringendo la mano del fratello. Talia era calda, nonostante il freddo gelido che vi era fuori. Jason odiava il mal tempo. Lui preferiva il sole caldo della California.
-E perché saresti un’idiota?- le domandò accarezzandole la mano con fare affettuoso. Talia fece un respiro profondo e disse:-Sto allontanando una persona che vuole rimettere a posto le cose perché ho paura.
-E di che cosa avresti paura Tals?
-Di provare qualcosa di forte per quella persona. Vorrebbe dire lasciare le Cacciatrici Jaz.
Jason aveva iniziato a mettere insieme i pezzi. Talia allontanava solo una persona in quel periodo e quella persona era Luke Castellan. Vedeva le occhiate fulminanti che Talia lanciava a Luke quando lui stava per parlare e vedeva anche come la sorella si allontanasse se c’era lui nei paraggi.
-Cosa ti dice il cuore Talia?- domandò Jason abbracciando le spalle della sorella, quasi fosse più piccola di lei.
-Non lo so Jason… non lo so- mormorò la Cacciatrice appoggiando la testa sulla spalla del fratello. Rimasero sotto la pioggia per un una quindicina di minuti, poi decisero di tornare al castello e magari fare un salto in cucina.  Scesero nelle cucine, dove gli elfi domestici gli portarono qualche tavoletta di cioccolato fondente e due coperte per asciugarsi. Gli elfi erano piccole creature con orecchie strane, occhi enormi e il corpicino minuscolo. Portavano solo degli stracci, nient’altro. Talia iniziava a capire perché Hermione avesse fondato il CREPA. Gli elfi domestici erano solo sfruttati, anche lì ad Hogwarts. Al Campo Mezzosangue, loro utilizzavano le arpie come guardiane, ma loro servivano per la guardia, non venivano sfruttate. Jason staccò qualche cubetto di cioccolata poi se li cacciò in bocca e domandò:-Hai finito gli esercizi di Incantesimi?
Talia scosse la testa e rispose:-Preferirei combattere contro un esercito, più che fare Incantesimi.
Jason sorrise al commento della sorella e lei con lui. Si sentiva male quando vedeva Talia stare come all’inferno. Era la sua sorellina.
-Sai, sono contenta che tu sia qui- disse Talia- Magari potremmo recuperare il tempo perduto, da fratello e sorella. Insomma, non ci vediamo da prima della guerra con Gea e prima ancora non ci siamo mai incontrati. Io so così poco di quello che ti è accaduto dopo che… sai… mamma ti lasciasse alla Casa del Lupo.
-Esatto. E poi io so così poco di te. Annabeth mi ha detto poco e niente, a parte il fatto che sei diventata un albero- commentò Jason ridendoci anche su. Talia fece una smorfia e disse:-Ero un pino.
-Dai, Tals. Andiamo che ci stanno aspettando- disse Jason mentre sua sorella sbuffava. Non aveva voglia di andare agli allenamenti, anche perché avrebbe voluto dire rivedere Luke, anche se forse avrebbe potuto usarlo come sacco da box. Con scarsa voglia, s’alzò, salutò gli elfi domestici (che si emozionarono) e seguì il fratello fuori dalla cucina. Salirono fino al settimo piano, dove entrarono nella Stanza delle Necessità. Piper e Hazel combattevano con le spade. Entrambe menavano fendenti talmente potenti che per una persona normale sarebbero stati micidiali. Frank e Beckendorf combattevano corpo a corpo con tanta ferocia che Jason a malapena li vedeva. Leo e Nico montavano degli oggetti che il figlio di Giove non aveva ben identificato, mentre Calipso e Silena si stavano arrampicando e il resto del gruppo si stava allenando in disparte.
-Alla buon ora!- esclamò Percy parando un colpo di Carter- Se vi uniste a noi saremmo parecchio felici.
Talia fece comparire la sua copia dell’Egida e la sua lancia elettrica. Impugnata da lei entrambe le armi erano terrificanti. Jason afferrò il gladius. Talia era incazzata nera. S’avventò su Luke Castellan come una furia e quasi subito Luke cercò di chiamare i rinforzi, ma Talia non gli diede un attimo di respiro. Jason era preoccupato. Nonostante Talia fosse una ragazza che normalmente sapeva controllarsi, in quel momento era indomabile. Per quanto si fosse sfogata con lui, Jason sapeva che una rabbia così non poteva essere placata con le parole. Fu Talia a vincere lo scontro quando atterrò Luke con una mossa di karate degna di nota. Luke cadde di schiena rompendosi la costola dove Talia aveva tirato il calcio. Talia aveva avuto la sua vendetta, più o meno. Percy lanciò un cubetto di ambrosia al semidio caduto e quello si rimise in sesto. Jason, nonostante Luke non gli avesse mai fatto niente (e non l’avesse mai conosciuto), gli avrebbe fatto pagare il dolore causato da sua sorella.
 
Nico era stranamente contento e lui raramente lo era, certo c’era quel problema enorme, ma in quel momento era contento. Era sempre triste, ma da quando era tornata Bianca era molto più allegro. La famiglia si era riunita: erano loro tre finalmente. Non erano veramente una famiglia, ma erano tre figli dell’Ade, tra fratelli. Ormai passavano molto tempo insieme ed erano praticamente inseparabili. Bianca e Hazel avevano legato subito e non smettevano mai di dire quanto fosse puccioso loro fratello. Nico, ogni volta, si ritrovava ad alzare gli occhi e passarsi una mano tra i capelli scuri.
Will gli camminava accanto con l’arco e la faretra e stava parlando praticamente da solo, perché Nico non lo stava ascoltando. Il figlio di Ade stava pensando alle lezioni di Divinazione con la Cooman. L’insegnate, una settimana prima, gli aveva detto che il Caos si sarebbe svegliato. Nico non ci aveva creduto, del resto quella professoressa era matta. Ora però, si stava convincendo, pian piano, che era così. Il Caos era alle porte e Nico lo stava vedendo nei suoi incubi notturni. Vedeva una nube nera lontano da lui ma che poi lo assaliva. Dentro a quella nube, vedeva il caos puro: gente impazzita, vulcani in continua eruzione, maremoti che distruggevano le città e terremoti. Per questo Nico non dormiva da giorni. Aveva paura di vedere oltre quelle immagini già terrificanti. Nonostante ciò era felice per il ritorno di Bianca.
-Ehi Nico- disse Will con un sorriso- Tutto okay?
Nico annuì. Sapeva che gli stava mentendo, ma era giusto così. Stava cercando di proteggerlo. Si sentiva in colpa, ma era giusto così.
-Nico- fece Will- Dimmi cosa succede. Posso aiutarti.
Il figlio di Ade rimase in silenzio e Will sbuffò. Era abituato a non ricevere molte risposte dal figlio di Ade, però insisteva sempre. Vedeva occhiaie ogni giorno più profonde sotto gli occhi neri del ragazzo.
-Dai Nico. Lo sai che a me puoi dire tutto- esclamò Will bloccando il ragazzo per le spalle-Ti obbligo Nico, ordini del dottore.
Nico guardò gli occhi azzurri di Will. Il figlio di Apollo era preoccupato per lui. Nessuno si era mai preoccupato per Nico DiAngelo, tranne Percy e Hazel. Percy s’era preoccupato perché lo vedeva come un fratellino da dopo la morte di Bianca e perché il suo difetto fatale era la lealtà. Hazel, invece, era sua sorella ed era normale.
-È il Caos- rispose Nico sussurrò Nico abbassando lo sguardo e trovando le sue scarpe nere molto interessanti. Will non capì che cosa il figlio di Ade  volesse dire, ma aveva la strana impressione che non era qualcosa di positivo.
-Come?- chiese il figlio di Apollo cercando lo sguardo del figlio di Ade.
-È il Caos!- rispose questa volta più forte. Will capì questa volta. Non era qualcosa di buono. Cioè, c’era stato Crono e poi Gea. A Will questa storia sapeva di impossibile. Certo, anche loro erano impossibili, ma il Caos che risorgeva era impossibile. Insomma, era il Caos: una massa indefinita di polveri che aveva formato tutto ciò che era nato. Will non ci credeva.
-Lo hai detto a qualcuno?- domandò Will- Anche solo ad una persona?
Nico scosse la testa. Will lo stava per caso sgridando? Probabile. Ultimamente lo sgridava spesso. Non se la sentiva però di dirlo ai ragazzi. Percy aveva parlato a tutti del suo sogno su Trafalgar Square. Nico non se la sentiva di dare ulteriori pensieri.
-Dovremmo dirglielo- commentò Will serio- Almeno avvisarli.
-Di una sola parola e ti uccido, Solace- minacciò posando la mano sull’elsa della spada. Will annuì piano anche se del tutto non convinto da quello che Nico aveva in mente. Dovevano però rimanere zitti e Will lo capiva. Il Caos si stava risvegliando e loro erano spacciati.
 
Calipso sedeva al tavolo dei Corvonero con Reyna, Will, Alex, Carter (il fratello di Sadie) e Cleo (una ragazza davvero simpatica della Brooklyn House). Gli allenamenti l’avevano sfinita. Voleva andare solo a dormire, in quel momento, ma qualcosa gli diceva che doveva aspettare. Calipso era preoccupata per quello che Ginny le aveva detto su Voldemort la sera in cui i morti erano risorti. Ci pensava notte e giorno. Leggeva e rileggeva le pagine di quel libro per la paura di scordare qualche dettaglio. Alcune mattine si recava in biblioteca con Reyna, che Calipso aveva messo al corrente di tutto, e cercavano qualche informazione in più su quello che Calipso non capiva. Ormai passavano la maggior parte del loro tempo in biblioteca, nel reparto proibito, a cercare di tutto e di più.
Quella sera, dopo cena, si recarono in biblioteca di nascosto. Non volevano una punizione. Andarono subito al reparto proibito. Non potevano, ma dovevano. Certe volte, il senso del dovere era molto più forte delle regole. Grazie a qualche imprecazione e un po’ di agilità, le due arrivarono a prendere i libri di cui avevano bisogno.
-Sei sicura che siano questi?- domandò Reyna mettendo i libri nello zaino.
-Sicurissima- ammise Calipso da sopra lo scaffale-Ho passato tutti i giorni- Ho passato tutti i giorni qui in biblioteca da quando siamo ad Hogwarts. Questi sono i libri di cui abbiamo bisogno.
-Va bene- disse la figlia di Fellona- Li hai presi tutti?
Calipso annuì e saltò giù dallo scaffale evitando di fare rumore. Corsero fuori dalla biblioteca e poi su, verso la sala comune di Corvonero. Risolsero l’indovinello e entrarono. Salirono le scale che portava al dormitorio delle ragazze e entrarono nella loro stanza. Nella stanza vi erano due letti a baldacchino con le coperte azzurre, due armadi in mogano scuro, due scrivanie dello stesso materiale e un enorme libreria.
-Che cosa dobbiamo cercare esattamente?- domandò Reyna sedendosi sul letto di Calipso.
-Qualunque informazione su Voldemort e con lui dei collegamenti con noi. Profezie, date, oggetti magici, qualunque cosa, Reyna. È un pericolo pubblico.
Reyna annuì e iniziò a sfogliare uno dei tanti libri. Lavorarono sino a tarda notte. La cosa positiva era che la notte era stata produttiva. Avevano trovato molte informazioni ed erano riuscite anche a fare una scheda di Voldemort. La mattina dopo, Meredith le svegliò bruscamente urlandogli che c’era la partita di Quiddich tra Corvonero e Grifondoro. Reyna indossò la sua divisa da cercatrice e afferrò la sua scopa. Calipso indossò il maglione blu e argento, dei jeans blu, un cappotto e gli stivaletti. Prese la borsa con dentro gli appunti di Lord Voldemort e insieme scesero le scale entrando nella sala comune dove Will e Alex le aspettavano. Insieme scesero nella Sala Grande e presero qualcosa al volo da mangiare e chiamarono agli altri. Questi, senza parlare, li seguirono fuori in cortile dove il sole illuminava un poco il cielo.
-Abbiamo fatto delle ricerche- disse Reyna sedendosi su una panchina- Sappiamo che Harry sa praticamente tutto su Voldemort, ma abbiamo trovato delle informazioni che crediamo nemmeno lui sappia.
Calipso diede il foglio ad Annabeth. La ragazza era la prima che doveva venirlo a sapere. La figlia di Atena lesse molto velocemente e diventò pallida come un fantasma. Annabeth fece una pallina di carta e se ne andò impedita. Reyna e Calipso si guardarono preoccupate. Annabeth aveva un carattere molto razionale nella maggior parte delle volte.
-Vado io- disse Percy-Non preoccupatevi. È, come dire, irragionevole certe volte, il che è un colmo per una figlia di Atena.
Percy iniziò a correre per tutta la scuola e nel frattempo iniziava a preoccuparsi. Per quanto la sua ragazza fosse capace di difendersi da sola, Percy doveva trovarla. Salì al secondo piano ed entrò nel bagno delle ragazze. Mirtilla Malcontenta era lì che si lagnava. Mirtilla era un fantasma con gli occhiali rotondi e i codini.
-Ciao!- esclamò Mirtilla con voce stridula- Cosa vuoi?
-Ciao Mirtilla- rispose Percy dolcemente- Non è passata di qui una ragazza bionda con occhi grigi? È una semidea.
-No, ma potresti rimanere qui con me. Che ne dici?
-Mirtilla, mi piacerebbe tanto- mentì il semidio- Ma devo proprio andare.
Con una mossa fulminea, Percy uscì dal bagno delle ragazze e andò al settimo piano. L’unico posto dove Annabeth poteva allenarsi, perché quando Annabeth era arrabbiata, tendeva a sfondare qualche manichino al Campo Mezzosangue. Fece avanti e indietro davanti all’arazzo col troll  e comparve la porta in ferro. Entrò e trovò Annabeth che stava disintegrando manichini robot costruiti da Leo e duplicati da Hermione.  Era veramente arrabbiata. Menava colpi come un automa e voleva dire che era veramente arrabbiata. Lentamente Percy s’avvicinò evitando di farsi uccidere dalla figlia di Atena. Poi, quando fu abbastanza vicino per afferrarla, la prese per i fianchi e la ragazza per poco non gli tagliò la gola. Lo afferrò per un braccio e lo buttò a terra. Si mise a cavalcioni su di lui e gli mise il pugnale alla gola.
-Sapientona, per favore, evita di uccidermi. Ah, tieni la schiena più dritta- le disse. La ragazza premette il pugnale sul suo collo e gli ordinò:-Taci.
L’afferrò per il polso e capovolto la situazione.
-Annabeth cosa c’era scritto sul foglio?- domandò ignorando l’ordine della ragazza. Il volto di Annabeth diventò scuro. Percy capì che non voleva parlarne.
-Annabeth devi dirmelo!- esclamò- Da come hai reagito sembra che…
-Basta Percy!- urlò Annabeth- Ho perso un attimo il controllo, tutto qui!
Entrambi rimasero zitti poi Percy disse:-Scusa, hai ragione.
Annabeth fece un piccolo sorriso. Percy si avvicinò alla ragazza e le diede un casto bacio sulle labbra. Percy si domandò dov’era quel foglio per il quale Annabeth aveva dato di matto. Non sapeva che però su quel foglio vi era la verità su tutto.

Angolo autrici
Imploriamo pietà. Siamo in super ritardo e lo sappiamo, ma non abbiamo molto tempo a nostra disposizione tra la scuola e tutto. Ci dispiace davvero per il ritardo. Allora, passiamo oltre. Che ne dite? Jason e Talia sono la nostra brothership (intesa come veri fratelli) preferita. Nico e Will... beh sono la Solangelo. Per il resto non facciamo spoiler che è meglio. Il capitolo di Kya secondo voi lo dovremmo lasciare lì o fare un'altra storia? Comunque buona fortuna per la scuola e tutto.
Baci,
Kya

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Capitolo 18
*** PROBLEMI ***


PROBLEMI

La partita di Quiddich stava per iniziare ed Harry era nervoso. Sperava che Percy e Leo venissero a dirgli “buona fortuna”, ma a quanto pare no. All’ultimo minuto, proprio mentre stavano per entrare in campo, un Percy sudato arrivò e disse:-Buona fortuna, Harry. Forza Grifondoro!
-Harry sorrise. Quel nuovo amico stava diventando una parte fondamentale di lui. Era come se fossero fratelli o legati in un qualche modo.
Harry andò in campo seguito dalla squadra in divisa scarlatta. Dal lato opposto a loro, la squadra dei Corvonero entrò in campo nell’uniforme blu. Harry vide Reyna nel mezzo della squadra blu. Al fischio di Madam Hooch, Harry salì sulla scopa. Era bello tornare a giocare a Quiddich. La partita iniziò subito. Corvonero segnò immediatamente tre punti. Harry doveva trovare il boccino, prima che la partita degenerasse in una sconfitta per i Grifondoro e una vittoria schiacciante per i Corvonero. Salì più in alto per osservare il campo ed ecco che lo vide. Era un puntino veloce e oro. Harry si precipitò verso il basso e Reyna fece altrettanto. Harry però venne bloccato a metà strada. Quando si voltò vide un’anziana raggrinzita. Sentì un fischio, poi due e atterrò su qualcosa con le ali. Harry vide Percy e Jason sfrecciare verso il cielo, il primo a bordo di Blackjack e il secondo volando. Entrambi erano armati di spade ed erano pronti a colpire. Harry cacciò uno sguardo di sotto e vide un mostro a nove teste che sputava veleno. I prefetti ordinavano agli studenti più piccoli di tornare al castello, mentre i ragazzi del settimo anno e i professori aiutavano con l’enorme mostro che c’era al centro del campo. Harry s’accorse di trovarsi sopra un’aquila gigante, probabilmente Frank, che lo portò a terra e poi ripartì verso le donne-galline. Dietro di lui, intanto, si stava scatenando l’inferno. C’era chi sparava incantesimi, chi menava fendenti e scoccava frecce e chi si trasformava in un coso alto quasi tre metri di colore azzurro. La scopa di Harry era accanto a lui, così l’afferrò e ci montò su. Estrasse la bacchetta e si gettò nella mischia.
Fosse stato facile!
Harry si concentrò sul mostro a nove teste al quale stavano già lavorando anche Annabeth e Reyna. Dall’alto, Harry provò a colpire una delle nove teste, ma il suo colpo non andò a segno.
-Fermo!- gli urlò Annabeth- Se gliele tagli raddoppiano.
Harry la guardò e chiese:-Allora come…?
Annabeth indicò il cielo, però subito Harry non capì. Quando però vide Leo arrivare coperto di fuoco e gridare: “arriva il ragazzo in fiamme!”, capì che cosa Annabeth volesse dire. Harry si spostò appena in tempo per evitare Leo che si lanciava contro l’idra. Per dieci secondi, Harry pensò che Leo fosse morto, però si dovette ricredere quando lo vide spararsi fuori infuocato e sorridente.
Harry si scordò di ciò che accadde dopo. Ricordò a tratti perché era troppo impegnato a sopravvivere. Si ricordò le spade di Percy e Annabeth che combattevano schiena contro schiena proteggendosi a vicenda, ricordò i fulmini di Talia e Jason, la lingua ammaliatrice di Piper, il fuoco di Leo, i movimenti esatti di Calipso, Reyna e Silena, il cavallo e la foschia di Hazel, gli scheletri di Nico che coprivano le spalle a tutti, l’agilità di Luke e Alex, le frecce di Will e Bianca, la forza di Beckendorf; poi si ricordò i raggi di luce che sparavano i maghi della Casa della Vita e nient’altro. Quei semidei e quei maghi, che erano piombati nella sua vita apparendo improvvisamente, era una squadra di cui Harry ora si sentiva parte.
I mostri finirono ed Harry era distrutto. Sentiva male ovunque, non che gli altri fossero messi meglio. Silena tirò fuori una tavoletta, che a Harry sembrò della cioccolata, e la distribuì ai semidei e ai maghi della Casa della Vita. Gliene diede veramente poca, quasi fosse una madre con i suoi bambini. La figlia di Afrodite la rimpachettò e la mise nella tasca interna della giacca.
-Perché a noi no?- domandò Ron guardando Silena. La figlia di Afrodite rispose:-È ambrosia, il cibo degli Dei. Non potete mangiarla, credo.
-E come mai voi si?- chiese Ginny.
-Neanche noi possiamo mangiarne più di tanta o rischiamo di bruciare- rispose Annabeth- E possiamo mangiarne perché una parte di noi è divina. Non possiamo tanta però.
Draco propose di andare al castello perché lì erano troppo allo scoperto. Quando arrivarono ad Hogwarts, Harry ricevette la notizia più terrificante: la sospensione del Quiddich. Lui voleva giocare a Quiddich almeno il suo ultimo anno ad Hogwarts, voleva vincere la coppa, non per lui, ma per tutti gli altri Grifondoro che erano morti e che erano passati per la sua casata. Si sentiva questo dovere e voleva portarlo a termine. Dopo pranzo si riunirono nella Stanza delle Necessità. I semidei avevano bisogno di sfogarsi. Harry ormai prendeva parte a ogni lezione di scherma. Percy era un grande spadaccino. Gli insegnò le basi facendogli memorizzare bene ogni mossa, in modo che Harry riuscisse a non aver bisogno di pensare prima di agire. Qualche volta si univano a loro Annabeth, Luke o Talia. Harry aveva incominciato a temere specialmente Talia che, ogni volta, tirava fuori l’Egida e la sua lancia e lo metteva in grande difficoltà. Lo scudo con la testa di Medusa non era un grande spettacolo. Nel pomeriggio, Hermione prese lezioni di tiro con l’arco da Bianca DiAngelo e Talia Grace e Ginny da Annabeth sul combattimento con pugnali. Draco seguì Nico e Luke sulla parete dell’arrampicata e Ron chiese a Jason di aiutarlo con la lancia. In poco tempo tutti erano impegnati in una qualche attività. Fu in quel momento, mentre parava un colpo di Harry e Carter contemporaneamente, che Percy ebbe l’idea che avrebbe cambiato il corso degli eventi:-E se voi di Hogwarts vi allenaste come noi?
Tutta la sala calò in un silenzio tombale.
-È l’idea più sensata che tu abbia mai avuto in tutta la tua vita, Testa d’Alghe- commentò Annabeth dopo averci pensato su diversi secondi. Forse la figlia di Atena aveva ragione e poteva anche rivelarsi una buona idea. Le bacchette non funzionavano contro i semidei e le creature mitologiche e forse a loro conveniva imparare ad usare le armi da taglio. Verso le cinque tornarono ai dormitori dove Harry sparse la voce degli allenamenti. Dopo quello che era accaduto con l’ES (esercito di Silente), in molti non avevano la voglia di aderire, in parte perché avevano paura di finire in punizione. Solo quando Hermione tornò con il permesso firmato dalla McGranitt, in molti cominciarono ad iscriversi. Harry sorrise a Percy, che era in un angolo con un braccio intorno alle spalle di Annabeth come per proteggerla. Il semidio ricambiò il sorriso. Accanto a loro vi erano Talia, Leo e Hazel che sorridevano pure loro. La campana della cena suonò e tutti si diressero verso l’uscita.
 
Draco non aveva proprio il coraggio di dire alla sua casata la proposta dei semidei. Era strano fare parte dei “buoni”, anche se sapeva che sarebbe durato ancora per poco. Fino a quel momento però, voleva credere di essere dei buoni e non dei cattivi. Suo padre era un Mangiamorte e aveva costretto il figlio ad esserlo pure lui.
-Ehi- gli disse Jason- Andrà tutto bene. I serpeverde ti ascolteranno vedrai.
Jason era un ragazzo simpatico, diligente, paziente e coraggioso. Gli era molto simpatico e poi stava diventando un punto di riferimento per il mago. Aveva sempre voluto essere un ragazzo come Jason Grace.
Luke e Nico annuirono. Nonostante le parole rassicuranti di Jason, Draco continuava ad avere paura. Se i serpeverde lo avessero preso in giro?
Entrarono nella sala comune dei Serpeverde e Draco prese a sudare. Il silenzio calò nella stanza quando Jason fece scoppiare un fulmine vicino al lampadario.
-Ma che fai Grace?- urlò un ragazzino seduto sul divano. Jason scoccò un’occhiata al ragazzo e improvvisamente tutti stettero zitti e fermi.
-Draco dovrebbe fare un annuncio- disse Luke lasciando spazio al mago. Draco stava tremando come una foglia.
-Buona sera a tutti- disse Draco- Abbiamo scoperto che Voi- Sapete- Chi sta tornando per la terza volta e la scuola è praticamente circondata da mostri che la nostra magia non può battere.
-Cacciamo i semidei no?- domandò una ragazza- Sono loro che li hanno portati.
-Se la pensate così vi sbagliate di grosso- intervenne Nico che era rimasto in silenzio- I mostri non se ne andranno molto facilmente. Ora per favore, lascialo continuare.
Draco non credeva che Nico DiAngelo lo stesse difendendo, come non pensava che nessuno dei semidei lo stessero aiutando. Loro non sapevano però che cosa stava facendo lui e si sentiva tremendamente in colpa.
-I nostri amici semidei ci offrono la possibilità di imparare a combattere a modo loro, che è l’unico modo per distruggere questi mostri. Appenderemo un foglio sul muro, chi vorrà venire è libero di farlo, in caso contrario, fa lo stesso. Grazie mille per aver ascoltato, buona serata.
Una serie di brusii si sparse per la sala. Qualcuno gli toccò la spalla e Draco si voltò e vide Jason che gli sorrideva.
-Ottimo lavoro, amico- disse il figlio di Giove. Luke sorrideva mentre Nico stava attaccando la pergamena con una penna a sfera, come quella di Percy solo che quella non si trasformava in spada.
-Credo che il mio discorso non sia stato abbastanza incitante- affermò Draco.
-Andava benissimo- lo rasicurò Luke.
-DRACO!- urlò qualcuno- JASON! LUKE! NICO!
Era Percy che correva come un dannato verso di loro. Draco non si spiegava come il semidio avesse fatto ad entrare, ma evidentemente aveva avuto i suoi metodi che forse era meglio che rimanessero nell’ignoto.
-Venite!- esclamò il ragazzo- Qualcuno ha distrutto la Stanza delle Necessità.
 
-Com’è possibile?- domandò Jason. Era da parecchio tempo che erano davanti alla porta, seduti sul pavimento freddo del settimo piano. Ormai gli si erano congelato le chiappe a forza di stare fermi sul marmo freddo.
-Non o sappiamo Lampadina- rispose Talia- È un mistero.
Frank non ne poteva più di questa storia. Era stanco, veramente, ed era sicuro che questa storia sarebbe durata ancora per molto. Quella stanza era la loro unica possibilità di allenarsi, perché fuori vi era troppo freddo e i mostri circondavano il castello. Ora però era distrutta e non si sapeva neanche come avessero fatto. Frank avrebbe voluto essere un topolino e nascondersi. Doveva aiutare con la creazione di un piano, del resto, lui era un pretore romano.
-Potremmo scavare qualcosa sottoterra e magari allenarci lì- propose Hazel. Frank non aveva problemi con i tunnel, ma sapeva che qualcuno era claustrofobico.
-Non se ne parla Hazel!- esclamò Percy- Personalmente, sottoterra mi sento soffocare. Che ne dite del Lago Nero?
-Ma anche no!- sbottò Jason- Tu solo sei mezzo pesce, bro.
-E se usassimo il cortile di Hogwarts?- chiese Frank proponendo la prima cosa che gli veniva in mente.
-Comporterebbe un sacco di rischi- commentò Annabeth- Ad esempio un attacco dei mostri durante gli allenamenti.
-La Foresta Nera è off-limits- fece Nico- Il Lago Nero lo escludiamo perché uno: Percy è l’unico con le branchie; due: Hazel soffre il mar di mare; terzo: troppi mostri. La fossa no perché Sadie, percy e Leo sono calustrofobici. Il cortile rischiamo di che qualcuno ci possa attaccare… Bene! Siamo punto a capo!
Ci furono dei momenti di silenzio. Frank riusciva a sentire la tensione.
-Potremmo utilizzare la Foschia- ipotizzò Hazel- Possiamo coprire con la Foschia quello che accade in giardino e con i mostri possiamo pensarci noi.
Annabeth scosse la testa. Tutte le possibilità per loro di allenarsi erano sparite. Anche il campo da Quiddich era stato distrutto. Frank non sapeva che pesci prendere. C’era stata Gea che aveva distrutto la sua famiglia ed ora, Frank, era pronto a difendere la sua nuova famiglia: gli Eroi dell’Olimpo.
-Potremmo prendere un’aula- propose Luna- Potremmo chiedere alla McGranitt se possiamo prendere un’aula, dopo le lezioni.
-E se usassimo la Camera dei Segreti?- domandò Draco- Il basilisco è morto, la stanza è ancora là sotto e nessuno la usa
-Però è sottoterra- commentò Ron- Praticamente è un buco.
Frank si era sentito un attimo bene quando Draco aveva nominato la Camera dei Segreti, ma dopo il commento di Ron, si era sentito il panico salire su e non sapeva neppure perché.
-È come se qualcuno non volesse farci combattere- commentò Walt- Come se avessimo contro un’entità primordiale.
Will cacciò un’occhiata a Nico che Frank notò. Stavano nascondendo qualcosa quei due ed era qualcosa di importante. Di sicuro riguardava la missione e quindi loro. Nessun’altro sembrò notare quell’occhiata.
-Dobbiamo scendere- disse Hermione- Pensiamoci domani. Abbiamo tutti bisogno di riposo.
Si alzarono dal pavimento freddo e ognuno andò per la sua strada. Frank si parò davanti a Will e Nico e gli disse:-Cosa state nascondendo?
-Niente- rispose Will velocemente. Ora, Frank era completamente sicuro che il figlio di Apollo e il figlio di Ade stavano nascondendo qualcosa. Guardò Will con un sopracciglio alzato:-Will...
-Io gliel’ho detto che era sbagliato non dirvi una cosa cos importante, ma lui mi ha detto di star zitto. Ti giuro che sarei venuto a dir tutto, ma lui mi ha minacciato di morte. Ti prego non mi uccidere- disse tutto d’un fiato Will. Frank ci aveva capito poco di quello che Will Solace aveva capito.
-Ti odio- borbottò Nico incrociando le braccia al petto. Will lo guardò con gli occhi azzurri che brillavano:-Lo sai che l’odio è un sentimento vicino all’amore?
Nico sbuffò e alzò gli occhi al cielo:-Comunque Frank, cosa ti fa pensare che stia succedendo qualcosa?
-Dal modo in cui Will ha reagito- rispose il figlio di Marte indicando il citato. Will alzò le mani come per scusarsi, ma Nico ringhiò:-Tu stare zitto mai, vero?
-Dai ragazzi, non litigate, abbiamo già troppi problemi- li sgridò Frank con voce calma- Allora, cosa sta succedendo?
-Frank…- sussurrò il figlio di Ade- Non ti conviene saperlo, davvero. È meglio che rimanga nascosto ancora per un po’.
-Nico, dimmelo, per favore. Se vuoi bene ad Hazel, devi dirmelo.
-Lo faccio solo per Hazel, chiaro?- ringhiò di nuovo Nico- È che Caos, quello vero, si è svegliato e, indovina, vuole distruggerci!
Frank era a bocca aperta. Allora era una congettura contro di loro! Non era possibile che ogni creatura mitologica dormiente dovesse prendersela con loro. I Titani (Frank aveva sentito tanto parlarne dai ragazzi che avevano combattuto contro di loro sia al Campo Mezzosangue che al Campo Giove) erano stati i primi, poi era venuta Gea (che Frank aveva combattuto in prima linea).
-Ti prego dimmi che ora urlerai: “buon pesce d’Aprile”- lo supplicò il figlio di Marte. Non era possibile che tutti se la prendessero con loro per il semplice fatto che c’erano moltissimi semidei sulla faccia della terra. Non esistevano solo loro!
-Magari Frank- gli rispose Will- Nico lo ha percepito in sogno e, come sai, raramente i suoi sogni sbagliano. Sono molto più chiari di nostri e non so il motivo, ma dobbiamo fidarci di ciò che vede. Prometti che non lo dirai a nessuno.
-Ma è a rischio la sicurezza di tutti!- protestò Frank cercando di far ragionare i due ragazzi. Nico lo guardò in cagnesco e urlò:- Vieni tu, qua, a parlarmi di sicurezza, quando sai che c’è qualcuno, e non faccio nomi, che sta nascondendo a qualcun altro una cosa ancora più importante?! Se si scatenasse prima e non fosse pronto saremo spacciati Frank. Il Caos sarà niente in confronto.
-Lo so Nico. Sto provando a convincerla, ma è difficile.
Will passava dal guardare Nico al guardare Frank. Spostava lo sguardo sui due ad ogni scambio di battute ed evitava di intromettersi tra quegli sguardi. Sapeva che se fosse intervenuto ulteriormente, non sarebbe uscito vivo da Hogwarts. Già Nico gli aveva cacciato un’occhiata che aveva espresso tutto il suo disappunto per la parlantina del figlio di Apollo e gli aveva detto con lo sguardo che l’avrebbe presto ucciso molto violentemente, non voleva peggiorare le cose.
-Frank, ti muovi!- urlò Hazel comparendo nel corridoio. cHe avesse sentito tutto? Possibile.
-Certo Hazel- le rispose Frank guardando Nico dicendogli con lo sguardo di non dire nulla a sua sorella. Il figlio di Ade annuì e trascinò Will via. Hazel e Frank rimasero nel corridoio, con la debole luce della luna che entrava dalle finestre. Hazel s’avvicinò a Frank e gli chiese:- Di che cosa stavate parlando?
-Niente Hazel- rispose Frank con un sorriso forzato- Vieni, ti accompagno ai dormitori.
Hazel s’alzò sulle punte dei piedi e diede un bacio al figlio di Marte e mormorò:- Ho sentito tutto Frank, ma non dirò nulla, promesso.
Frank sorrise, ma dentro era preoccupato. Sapeva che sarebbe finita male, ma doveva essere forte, per Hazel, solo per lei. Le mise un braccio intorno alle spalle e insieme s’incamminarono verso la torre del Grifondoro.
 
 

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Capitolo 19
*** BRUCIARE ***


BRUCIARE
 
Hazel era seduta sul divano della Sala Comune di Grifondoro. Le mancava casa. Le mancava l’America. Aveva il libro di Incantesimi sulle gambe, ma non riusciva a concentrarsi. Nonostante avesse preso una pozione che l’aiutava a concentrarsi, Hazel non ce la faceva. Voleva tornare a casa.
Toc- toc.
Hazel, veloce come un fulmine, si girò verso il suono con già la mano sulla spada che aveva imparato a tenere sempre vicino. Alla finestra vi era un gufo nero con una lettere nel becco. Hazel s’alzò e andò ad aprire la finestra, facendo entrare il gufo. Questo le consegnò la lettera e s’appollaiò su una sedia. Hazel, con le mani tremanti, aprì la lettera. Lesse velocemente, poi la stracciò buttandola nel camino acceso. Suo padre non doveva permettersi di scriverle delle lettere dopo quello che era accaduto. Non voleva parlarci con lui e lo stesso Nico. Doveva darci un taglio.Si risedette sul divano rimettendo il libro sulle gambe e iniziando a leggere.
Leo e Talia piombarono nella stanza con la grazia di un elefante in una gioielleria. Il primo aveva un sorrisone in faccia mentre la ragazza aveva il muso lungo.
-Hazel!- esclamò Leo lanciandosi sul divano- Stai facendo i compiti? Dopo mi fai anche i miei?
-Li stava facendo prima che tu urlassi come un dannato nel suo orecchio- lo rimbeccò Talia. Hazel si voltò verso la Cacciatrice:- Tutto okay?
-Annabeth ha avuto un attacco isterico poco fa. Non so neanche la ragione. È molto preoccupata per quello che sta accadendo. L’idea di non rivederlo più le sta dando alla testa. Lo ama veramente e si sente distrutta dopo il sogno. Ah, ho preso una D in trasfigurazione. Scusate se non mi chiamo Frank Zhang.
-Talia!- esclamò offesa Hazel. Talia guardò mortificata la figlia di Plutone e disse:-Voglio molto bene a Frank, Hazel. Non sono metà animale e metà donna. Chiedo perdono.
-Io invece ho preso una A in Difesa Contro le Arti Oscure- la interruppe Leo con un sorriso- Dovevi esserci Hazel. Il tipo mi ha fatto per perdere la bacchetta, così mi sono avvicinato schivando i colpi che sparava contro e gli ho fatto lo sgambetto, ha perso la bacchetta e gli ho tirato un pugno. Harry mi ha dato una A perché ha detto che sono stato in piedi molto più tempo dell’altra volta e perché ho dato una dimostrazione pratica del combattimento corpo a corpo.
-Sei fuori di coppo Leo- sorrise Hazel, trascinando anche Talia in una risata. Leo incrociò le braccia al petto e disse:- Continuate a ridere, se fosse stato al Campo Mezzosangue o al Campo Giove, quello avrebbe già la bacchetta bruciata.
Hazel si avvicinò furtivamente a Leo e appoggiò la testa sulla sua spalla. Ormai era abitudine per lei farlo, quando non c’era Frank. Leo era come il nonno Sammy Valdez, con la differenza che con Leo Hazel si sentiva più libera. Frank non era geloso dei comportamenti della ragazza con il figlio di Efesto, perché aveva capito che tra i due non sarebbe mai funzionata. Erano migliori amici e non doveva temere. Leo, dal canto suo, gli piaceva la confidenza che aveva con Hazel. Era una ragazza dal cuore d’oro e per lui era una piccola sorellina. Le loro storie si erano intrecciate parecchio tempo fa, senza che loro lo sapessero, ma non erano destinati a stare insieme. Lui apparteneva a Calipso e Hazel a Frank. E non era rammarico quello che Leo portava verso Frank, perché sapeva che lui con Hazel stava bene. Con la mente Hazel tornò ai giorni al Campo Giove quando lei, Frank, Reyna e Alex si incontravano al pomeriggio nei bar di Nuova Roma. Ad Hazel non era mai piaciuto Alex e non sapeva il perché, però non l’aveva mai rivelato né a Reyna né a nessun altro. Aveva paura di sbagliarsi sul suo conto, ma allo stesso tempo aveva paura di ferire i sentimenti della figlia di Bellona.
Quando entrarono Harry, Ginny, Hermione e Ron, Hazel scattò in piedi come una molla e domandò:-Annabeth e Percy?
Harry scosse la testa dicendo che non sapeva. Neanche gli altri tre sapevano qualcosa. Hazel iniziava ad essere preoccupata per i due ragazzi.
 
Percy non avrebbe mai dovuto chiedere ad Annabeth di andare a fare due passi dopo che erano terminate le lezioni. Non avrebbe davvero dovuto.
Stavano camminando tranquillamente quando furono costretti a rifugiarsi nella guferia. Lì i gufi erano appollaiati su assi di legno, aspettando di essere chiamati per consegnare la posta. Annabeth cacciò un’occhiata fuori dalla finestra. Là fuori c’erano spiriti col mantello e il cappuccio. Ne avevano sentito parlare durante le lezioni di Difesa Contro le Arti Oscure da Harry. Erano i Dissennatori, creature che facevano la guardia ad Azkaban e di cui il bacio, faceva diventare uno loro e faceva scomparire tutta la felicità che c’era intorno.
-Che ci fanno qui?- domandò Annabeth indicando a Percy i Dissennatori- Dovrebbero essere ad Azkaban, non ad Hogwarts. La McGranitt non lo avrebbe mai permesso.
-Non possiamo rimanere qua- commentò Percy- Dobbiamo trovare al castello.
Percy stava per aprire la porta, ma Annabeth lo bloccò afferrandolo per il braccio e sussurrando:-Sei impazzito? Vuoi ucciderci? Non dobbiamo assolutamente uscire. Non sappiamo se il bronzo celeste li può uccidere e, dopo quello che Harry ha raccontato, non ci tengo ad avvicinarmi a loro.
-Okay, sei tu la Sapientona qui- rispose Percy. Annabeth estrasse un coltello dalla cintura e, usandolo come specchio, guardò fuori dalla finestra. I Dissennatori si stavano avvicinando.
-Okay, sali sulle travi- ordinò la figlia di Atena- E cerca di non spaventare i gufi, sono la nostra copertura.
Percy s’arrampicò sulle travi cercando di non spaventare i gufi e le civette sulle travi in legno. Cercava di non guardare in basso, ma più saliva più gli veniva da controllare che nessuno entrasse da quella porte. Annabeth gli indicò una rientranza nella parete in mattoni e lui ci s’infilò dentro. Annabeth lo seguì a ruota. Sembrava di essere tornati indietro nel tempo, quando i due semidei avevano quattordici anni e Annabeth aveva preso il comando dell’impresa nel labirinto di Dedalo.  Era claustrofobica la cosa. Il sole stava calando e i due ragazzi sarebbero dovuti tornare in tempo per la cena, o la McGranitt avrebbe tolto punti a Grifondoro.
-Se chiamassi Blackjack?- propose il figlio di Poseidone- Saliamo sul tetto e voliamo verso la torre con Blackjack.
I Dissennatori entrarono spalancando la porta. Tutto divenne freddo e ghiacciato. Percy, con le mani tremanti, prese dalla tasca dei jeans la sua penna a sfera e la mostrò ad Annabeth:- Mi sa che ci toccherà combattere. La figlia di Atena sbuffò poi li lanciò di sotto. Entrasse il coltello che aveva in cintura e lo conficcò nella testa di un dissennatore. Quello, si sgretolò non appena il bronzo celeste lo sfiorò. La figlia di Atena rotolò di lato e sfoderò la sua spada di osso di drago e colpì un altro dissennatori, che si sgretolò. Percy la seguì a ruota con Vortice. Annabeth indossò il suo cappello dell’invisibilità e scomparve. Qualche volta, Percy vedeva i Dissennatori scomparire e capiva che vi era lo zampino di Annabeth. Solo uno fu abbastanza veloce da colpire la ragazza e farla cadere, facendole così cadere il cappello dalla testa e facendola ritornare visibile. Percy menò un fendente con la spada tagliando la testa al dissennatore che lo aveva preso di mira. Il dissennatore che ce l’aveva con Annabeth aveva intanto, si era avvicinato a lei. Le stava succhiando via la vita. Percy fece una mossa che ritenne stupida solo più tardi: lanciò la spada a mo di giavellotto contro il dissennatore. Lo centrò e quello scomparve. La semidea si alzò e commentò:-Sei un genio davvero.
Erano disarmati contro cinque Dissennatori. Percy aveva mandato la sua spada una decina di metri lontano da Annabeth e la ragazza non aveva né la spada né il coltello.
-Okay, altro piano Sapientona?
-No.
-Siamo spacciati.
-Io sotto, tu sopra. Blackjack è già qui fuori?
Percy annuì e, subito dopo Annabeth, si lanciò verso i Dissennatori. Si diede la spinta con i piedi e saltò sopra di loro che stavano cercando di capire chi dei due dovessero prendere. Insieme, poi, si lanciarono dalla finestra e atterrarono sopra la groppa di Blackjack.
-Al castello Blackjack- gli ordinò Percy e il pegaso prese a battere le ali con energia, probabilmente perché aveva percepito i Dissennatori.
-Annabeth, come farai con la spada? Insomma…- borbottò Percy cercando di non far tornare a galla i brutti ricordi. Annabeth sorrise e rispose:- Secondo te perché ho detto te sopra io sotto?
Percy sorrise ancor più della ragazza. La figlia di Atena era speciale e molto più furba di lui, che poi ad essere più furbi di lui non ci voleva molto. Blackjack atterrò nel cortile di Hogwarts.
-Balckjack entra dai!- lo supplicò Percy. Il pegaso non poteva rimanere lì fuori con i Dissennatori in giro. Poi tutto tornò freddo. I fili d’erba del prato gelarono e le finestre del corridoio si cristallizzarono. I ragazzi che erano nel giardino si strinsero nelle loro divise e sciarpe colorate.
-Tutti dentro!- gridò Annabeth dopo che aveva guardato il cielo e aveva visto una cinquantina di Dissennatori che arrivavano dal cielo. Spuntavano come dei funghi quei cosi!
Gli studenti fecero scorrere lo sguardo in cielo e videro ciò che anche la figlia di Atena aveva notato. Corsero dentro spintonandosi, mentre i due semidei e Blackjack cercavano di non farsi trascinare dagli studenti. La ragazza fermò uno del quarto anno e gli ordinò:- Spara in cielo, ora!
Percy intanto aveva preso la sua penna dalla tasca e l’aveva trasformata in spada. Il ragazzo, con le mani tremanti, sollevò la bacchetta e gridò un “periculum” potente. Luci rosse uscirono dalla bacchetta. Annabeth sperava che qualcuno dei loro amici venisse ad aiutarli.
-Ora vai via di qui!- gridò Percy al ragazzo con rabbia. Il ragazzo non se lo fece ripetere due volte e corse dentro.
-Sempre gentile tu, eh!- gli disse Annabeth mentre prendeva la sua spada- Ora speriamo che qualcuno venga ad aiutarci.
-Dai, ne abbiamo affrontati di mostri- rise Percy. Annabeth alzò gli occhi al cielo e guardò Blackjack e poi gli venne l’illuminazione.
-Blakjack se vai dentro al castello e cerchi i nostri amici appena torniamo a casa ti procuro una razione a vita di ciambelle.
Il pegaso nitrì contento e si precipitò dentro al castello. Percy rise e le disse:- Lo sai vero che hai appena firmato la tua condanna a morte?
-Si ne sono consapevole- rispose la semidea- Ah Percy, ti amo.
-Perché dobbiamo dirci che ci amiamo sempre quando stiamo per morire?- domandò lui prendendo la semidea per il fianco e dandole un bacio sulla fronte.
-Tradizione?- domandò per poi prendere il viso del figlio di Poseidone e baciarlo. Lui non oppose resistenza e ricambiò.
-È qui la festa immagino- fece Jason comparendo alle loro spalle.
-Immagini bene Bro.
Jason, Nico, Luke e Draco erano i primi ad essere arrivati, già armati. Luke sorrise e disse:-Mi sa che ci toccherà iniziare senza gli altri.
Vipera gli era già in mano. Percy non sapeva come l’avesse fatto a riprendersela visto che era diventata la falce di Crono, ma l’importante era che non la usasse per colpire i mortali. Jason e Nico guardarono Percy e il figlio di Poseidone guardava loro. Stavano decidendo in gruppo, come i loro padri non facevano.
-Attacco a tre?- domandò Jason con un pilum in mano e un sorrisetto che faceva paura. Nico e Percy annuirono.
-Vi copriamo le spalle- disse Annabeth afferrando Luke per un braccio e Draco per un altro.
Percy afferrò le mani di Jason e Nico a formare un cerchio e si concentrò. Immaginò tanta acqua: il Lago Nero e le sue acque tetre, il mare con le sue onde incontrollabili, la pioggia, uno tsunami e le goccioline di umidità. Tutto questo al suo comando. Lui era pronto al putiferio. Jason e Nico avevano già gli occhi aperti. I loro occhi avevano cambiato colore: quelli di Jason erano elettrici e ciò voleva dire che era carico di elettricità, mentre quelli di Nico erano neri come la pece segno che era pronto alle ombre. Percy non aveva mai visto i suoi occhi cambiare colore e nessuno glielo aveva mai descritto. Aveva un’ipotesi: lui non era così ansioso di avere potere. Gli altri gli avevano descritto la senzazione di potere che provavano se sorpassavano quella linea immaginaria che delimitava i loro poteri. Percy non si era mai avvicinato a quel limite, neanche lontanamente, e forse era perché non desiderava quel potere in quella maniera assurda.
La terra cominciò a tremare. Il cielo si riempì di lampi. L’acqua del Lago Nero circondò i tre semidei. Tutto divenne confuso. L’umidità stringeva i colli dei Dissennatori, dando così ad Annabeth, Luke e Draco la possibilità di colpirli. Arrivarono anche gli altri. I fulmini mandavano a fuoco i dissennatori e Nico faceva in modo che le ombre li catturassero nella loro morsa oscura. I semidei e i maghi della Casa della Vita, tagliavano i Dissennatori come se fossero carne da macello e, che come Sadie era più bravo negli incantesimi, diceva parole incomprensibili mentre disegnava su dei papiri poi, quelle parole, prendevano vita. I maghi, quelli di Hogwarts, facevano correre per il cielo animali azzurri: i Patronus. I Dissennatori si lanciavano sui Patronus con rabbia percependo dell’energia positiva, ma venivano subito uccisi da Piper, Hazel, Reyna e Calipso. Erano diminuiti di molto i Dissennatori da quando avevano cominciato e i semidei stavano avendo la meglio.
Il contatto tra i tre ragazzi si ruppe. Non potevano pretendere che durasse per sempre, del resto le loro energie erano limitate. Sciolsero il cerchio e impugnarono le loro armi. Percy prese a fare strage di Dissennatori. Menava fendenti come un pazzo, schivava i loro artigli e gli mozzava la mano o la testa senza che loro se ne accorgessero. Annabeth per un momento si fermò a guardare il ragazzo combattere. Oltre a essere un bel ragazzo, davvero molto bello, era un agile combattente. Era una forza della natura dai capelli neri e occhi verdi che ti catturavano e non ti lasciavano andare più. Era ciò che si definiva la bellezza fatta a persona. Lui si accorse che lo stava fissando con intensità e le sorrise. Annabeth ricambiò e tornò ad affondare la spada nel corpo dei Dissennatori. Ormai si stava giungendo al termine di questa battaglia e Annabeth se ne rese conto solo quando nessuno l’attaccò più. Si asciugò con il dorso della mano la fronte e rinfoderò la spada. Qualcosa poi però la prese per il collo e lei iniziò a cercare l’aria. Sentiva i polmoni bruciare e l’aria mancare. Presto iniziarono anche a mancare la felicità, l’amore e i colori. La sua anima sta per essere mandata al Tartaro. Sentiva delle voci chiamarla, ma lei non riusciva a rispondere, anzi non era neanche sicura che le voci la stessero veramente chiamando. I polmoni bruciavano sempre si più e il cuore batteva troppo velocemente. La presa intorno al collo non diminuì e lei iniziò a stare peggio. Sarebbe morta e i suoi amici non avevano fatto nulla.
-MOLLALA! ORA!- gridò Percy con tutta la rabbia che aveva in corpo. Annabeth cadde a terra mentre una polverina grigia le cadeva in testa. Quello era il dissennatore che l’aveva attaccata. Stava succedendo. Poi svenne sentendosi come se l’avessero cotta a puntino. Bruciare non le piaceva eppure non scacciò la senzazione di calore che provava.
 
Annabeth si risvegliò in infermeria con un tremendo mal di testa e i polmoni che le bruciavano ancora. Nel lettino accanto vi era un ragazzo dai capelli neri che dormiva con un rivolo di bava che gli usciva dalla bocca. Percy. Solo lui sbavava, come pochi, nel sonno.
Era notte fonda. Annabeth si stiracchiò e bevve l’acqua che era nel bicchiere sul comodino. Certamente Will e Piper avevano medicato sia lei che Percy appena erano arrivati in infermeria. Se c’era una cosa che Annabeth adorava erano le cicatrici che le rimanevano sul corpo quando lei combatteva. Riusciva a dimostrare che lei aveva combattuto e che era sopravvissuta. Riposò il bicchiere vuoto sul comodino e scostò le coperte. Appoggiò i piedi nudi sul pavimento freddo e si pentì subito della sua scelta, ma procedette con sicurezza. Si avvicinò a Percy e gli prese la mano tra le sue. Erano calde. Gli spostò una ciocca di capelli dal viso e sussurrò:-Ti amo, idiota.
-Scommetto che ti ama anche lui- disse qualcuno. Annabeth si voltò verso il letto dalla parte opposta a lei e vide il dio del mare con le sue ciabatte infradito dell’ipanema nere e blu, la camicia hawaiana e il pantalone corto color kaki. I capelli erano neri e disordinati mentre gli occhi erano di un verde mozzafiato, come quelli di Percy. Erano più simili di quanto entrambi pensassero.
-Divino Poseidone- sussultò Annabeth con ancora la mano di Percy stretta nella sua- Mi dica che non sta accadendo quello che avevamo predetto.
Poseidone si rabbuiò e la sua faccia divenne scura:-Si Annabeth, sta accadendo. Non era mia intenzione trasmettergli questo potere, lo sai. Non gli avrei mai lasciato questa maledizione, ma neanche io posso intromettermi tra le decisioni delle Moire.
-Che propone di fare?- domandò la semidea con le dita e le gambe che tremavano. Aveva paura. Sentiva la paura farsi strada nelle sue vene, nel suo cervello e anche nel suo cuore. Non voleva questo per Percy. Non poteva accadere che una persona così innocente e di buon cuore subisse così tanto in così pochi anni. Ma che era lei per decidere il lavoro delle Moire? Poteva però capitare a qualcun altro ‘sta sfiga? Annabeth si sentiva egoista a pensarla così, però non lo trovava giusto. Eracle aveva faticato di meno del semidio che aveva accanto.
-Per ora, penso che dovremmo non dirgli niente. Meno sa e meno rischiamo che sfrutti questo potere. Sappiamo entrambi cosa comporterebbe il troppo sfruttamento di questa maledizione- commentò il dio accarezzando i capelli del figlio.
-Bruciare- sussurrò Annabeth. Poseidone annuì guardando negli occhi la ragazza, poi disse:-Non potrò farti visita per un po’, Annabeth. Noi Dei stiamo passando momenti bui e con voi lontano da casa siamo più vulnerabili. Prenditi cura di lui, okay? Probabilmente è l’unico che avrà la forza per mandare avanti tutto, lo sai, solo se però tu gli resterai vicina. Se perde te, perde tutto e per noi è la fine. Non fare domande su quello che ti sto dicendo per favore. Fai solo come ti dico, presto capirai.
Annabeth annuì con gli occhi che minacciavano di lasciare le lacrime andare. Il dio sollevò una mano in segno di saluto e disse:-Buona notte Annabeth Chase, figlia di Atena.
-Buona notte Divino Poseidone.
Il dio scomparve lasciando un odore di brezza marina. Percy s’agitò nel sonno e quando aprì gli occhi sussurrò:-Ehi Annie.
-Ehi Perce- disse lei- Dormito bene?
-Qualche incubo. Tu?
-Alla grande- rispose Annabeth mentendo. Non stava alla grande e non si sentiva bene, non dopo quella chiacchierata con il dio del mare. Sarebbe stata depressa per giorni.
-Allora non ti dispiace stare qui con me, vero?- domandò Percy mentre sollevava le coperte per permettere alla semidea di sistemarsi nel suo letto. Annabeth sbuffò sorridendo, poi si infilò sotto le coperte e subito le braccia di Percy la circondarono facendola sentire al sicuro. Il cuore stava per prendere fuoco. Non era un fuoco che brucia distruggendo però. Era un fuoco di rinascita, un fuoco buono.


ANGOLO AUTRICI
*lentamente sbucano fuori da sotto il letto* ci scusiamo per il ritardo, ma la scuola ci soffoca (non in senso letterale). E... boh. Non sappiamo che dire. Volevamo salutare e ringraziare voi che leggete questa ff e ci scusiamo immensamente per gli errori presenti nel testo. Giuriamo che col tempo li metteremo tutti a posto. Vi ringraziamo perchè leggete questa cosa chiamata ff e basta. Buon giornata e possa la fortuna essere sempre dalla vostra parte.
Baci,
Kya

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Capitolo 20
*** CAMPO MESOPOTAMIA ***


CAMPO MESOPOTAMIA
 
Kya si risvegliò in un lettino con la testa che le pulsava e gli arti doloranti. Ricordava a malapena che cosa era successo, ma era abbastanza per porre domande a Zoey. Ricordava perfettamente la mano che le stringeva il collo impedendole di respirare e il dolore al braccio che aveva provato quando il coltello aveva oltrepassato la sua pelle.
-Finalmente ti sei svegliata!
Mise a fuoco e scorse la figura di James che cambiava l’acqua in una ciotola di terracotta rossa e imbeveva delle bende al suo interno. Kya si tirò su a sedere e la testa prese a girare come una trottola. James si sedette accanto al suo letto e aspettò che la ragazza dicesse qualcosa. Kya incrociò gli occhi di James per pochi minuti poi distolse lo sguardo per concentrarsi su qualcos’altro che non fossero gli smeraldi che James portava.
-Sei stata incosciente per due giorni- disse il ragazzo appoggiando le braccia sulle gambe- Come ti senti?
-Una merda a dirla tutta- rispose Kya guardando le coperte- Mio padre come sta? Avete sue notizie?
-Tuo padre sta bene. Ora dobbiamo occuparci di te però- commentò lui serio afferrando il polso fasciato della ragazza- Abbiamo altri problemi al momento. Ho provato ogni rimedio che conosco pur di farti svegliare e probabilmente hai più farmaci ora dentro al tuo corpo di quanti tu ne abbia mai avuti in tutta la tua vita. Comunque non ti preoccupare, il tuo corpo dovrebbe averli già eliminati, ma per precauzione, per qualche giorno, mangerai solo quello che ti viene dato qui okay?
-Che cosa è accaduto veramente a scuola? Chi era quel tizio?- domandò a raffica Kya con gli occhi incatenati a quelli del ragazzo. Lui si rabbuiò subito, ma non staccò mai gli occhi da quelli di Kya:-Appena ti sarai rimessa prometto che ti farò raccontare tutto, ma ora hai bisogno di mangiare e di cambiarti. Sotto al letto ci sono dei vestiti che ti dovrebbero andare bene. Vado intanto a prenderti qualcosa da mangiare.
S’alzò e uscì dalla stanza. Kya era scioccata. Come poteva una persona trasformarsi, in così poco tempo, da una senza cuore, a una che si preoccupava di andarti a prendere qualcosa da mangiare? Non se lo riusciva a spiegare. Okay, anche lei soffriva di sbalzi d’umore, ma solo e unicamente quando aveva il problema mensile che attendeva ogni donna al mese. Era abbastanza sicura che James non avesse il ciclo, come era sicura che non sapeva minimamente dove si trovava. Altro problema: dove si trovava? L’ultima cosa che si ricordava era un furgone bianco con una ragazza alla giuda, poi più nulla. Era tutto confuso dopo. C’erano aghi, bicchieri con una bevanda verde, Zoey che le sussurrava che sarebbe andato tutto bene e un bacio sulla fronte. Dopo poi vi erano gli incubi. Una donna seduta su uno sgabello in legno. Era bella come lo è una rosa quando sboccia a primavera. Aveva i capelli biondi, gli occhi che cambiavano colore e una tunica lunga bianca che metteva in risalto il suo corpo nei punti giusti. Quando le sorrideva, Kya si sentiva a casa. Era come se quella donna fosse il Sole e Kya era la Terra, che non poteva fare a meno del calore del Sole. Il sorriso che la donne le regalava, era come una medicina o anche una droga, Kya non poteva smettere di osservare quel sorriso perfetto che la riscaldava.
Con un po’ di coraggio, si alzò, s’accovacciò sotto il letto e tirò fuori un borsa di plastica, come quelle del super mercato. Ci guardò dentro e vide dei vestiti puliti. C’erano anche degli anfibi rosa, che sarebbero andati più che bene. I migliori erano sempre quelli neri, però. Si tolse la camicia da ospedale che portava, sperando che non entrasse nessuno, e indossò i vestiti trovati nella borsa: una t-shirt nera, jeans strappati neri e gli anfibi rosa. C’erano anche i suoi braccialetti e gli orecchini. Vi trovò anche delle lenti a contatto castane. Non sapeva cosa doveva farci. Forse c’era stato un errore, ma decise che, prima di buttarle, avrebbe chiesto a James. Si sedette sul letto e si guardò la fasciatura al polso. Era stata cambiata e lei non se ne era neanche accorta. Come era possibile che non si fosse accorta per neanche un secondo che James le stesse cambiando la fasciatura.
-Eccomi!- disse il ragazzo entrando nella stanza con un vassoio in mano. Lo appoggiò sul comodino e si sette sullo sgabello acconto al letto. Le loro ginocchia erano vicinissime, ma Kya non diede importanza a ciò. Sentiva, per una qualche strana ragione, che James non era il tipo giusto per lei. Era come se qualcosa le dicesse di stare lontano. Come se lei fosse il polo nord di una calamita e lo fosse anche lui: due poli uguali si respingono a vicenda.
-Voglio delle spiegazioni- ordinò Kya- Dall’inizio e subito.
-E io non vorrei essere qui- rispose James- Non possiamo avere tutto dalla vita non trovi?
Kya strinse i pugni e respirò profondamente:-Io ho il diritto di ricevere delle informazioni. Dove mi trovo?
-Saperlo cambierebbe qualcosa? Tanto ci sei già qui. Non puoi andartene, non senza il consenso dei capocasa. Sei preziosa, solo che ancora non lo sai.
-E tu lo sai?- domandò incrociando le braccia. James si avvicinò pericolosamente al suo volto e rispose:-Non ti conviene metterti contro di me, ragazzina.
-Chiamami ancora ragazzina e ti rompo la faccia.
James rise e Kya fu davvero tentata a dargli un pugno sulla faccia. Magari, se aveva fortuna, riusciva anche a fargli l’occhio nero. No, non avrebbe rovinato quegli smeraldi che l’avevano attratta come una calamita. James la guardava negli occhi, forse aspettandosi un pugno nello stomaco, che mai ricevette. Anche lui sentiva attrazione per quella ragazza, ma sapeva che era sbagliato. Sapeva che se si fosse innamorato della ragazza, sarebbe andata a finire male.
-Mangia qualcosa e muoviti, dobbiamo andare- le disse spezzando il loro contatto visivo. Sapeva che non doveva affezionarsi a lei, perché lei sarebbe diventata un’eroina, mentre lui sarebbe rimasto sempre il medico del campo. Lui una persona semplice. Lei, l’eroe.
 
-Dove stiamo andando?- domandò per la centesima volta la ragazza mentre si faceva trascinare fuori dalla stanza. James, dopo che lei aveva messo qualcosa nello stomaco, l’aveva afferrata per il polso e l’aveva trascinata fuori dalla stanza. Fuori c’erano delle brandine attorno alle quali giravano ragazzi con in mano bende e bevande verdi. Sulle brandine erano stesi dei ragazzi con ogni tipo di ferita. Alcuni erano svenuti, altri perdevano sangue da diversi arti del corpo a altri ancora avevano fasciature e gessi. Kya rabbrividì alla sola vista di tutto quello. Non le erano mai piaciuti gli ospedali e i dottori. La mettevano sempre a disagio.
-Questa è l’infermeria- disse James con tono piatto- Se posso darti un consiglio, meno ci finisci qui, meglio stai.
Kya annuì. Anche se James non gliel’avesse detto, avrebbe provato di tutto pur di non finire lì. Uscirono da quella che James aveva chiamato “infermeria” e a Kya sembrò di rinascere. Il Sole, anche se debole, le scaldava la pelle e l’aria fredda le faceva bruciare i polmoni facendola sentire viva. Sentiva che ogni cosa ora poteva andare bene, forse. Sorrise e tolse la mano di James dal suo polso. Allargò le braccia proprio mentre il vento si alzava. Le sfiorò le mani e le passò tra  i capelli che volarono all’indietro. La neve sotto gli anfibi scricciolava mentre lei camminava. S’accovacciò, poi, e raccolse un po’ di neve modellandola a forma di palla. Con estrema precisione la lanciò contro James, che la ricevette dritto in petto. Kya sorrise e iniziò a correre. Sentiva James correre dietro di lei, ma continuò a guardare avanti. Solo quando sentì delle braccia afferrarla e facendola cadere a terra, si degnò di voltarsi. Il volto di James era a pochi centimetri da lei. Erano esattamente in una posizione compromettente.
-Grazie per la palla di neve, ma non ce ne era bisogno davvero- disse lui scherzando. S’alzò e porse la mano a Kya, che l’accettò con riluttanza. Farsi aiutare da qualcuno non era nel suo carattere. Preferiva salvarsi da sola, che farsi salvare da qualcun altro. Lei non era la solita principessa indifesa, lei era una guerriera, una che si salvava da sola.
-Grazie- disse cercando di essere una brava persona come il padre le aveva sempre insegnato. Afferrò la mano di James e lo fece cadere a terra, facendogli finire la faccia tra la neve. Kya rise mentre il ragazzo si scrollava dalla faccia la neve.
-Abbiamo finito e devo farmi un altro bagno nella neve?- domandò James. Si mise sulle ginocchia e guardò Kya con i suoi occhioni verdi. Intanto lei cercava di resistere dal guardarlo. Il cuore le iniziò a battere ad un ritmo assurdo quando lui s’avvicinò. Trattenne il respiro mentre i cuore le batteva talmente forte che sembrava un tamburo.
-La prossima volta, finisce con la tua faccia sulla neve- la minacciò con gli occhi incastrati nei suoi. Kya si riprese da quel incantesimo e gli fece la linguaccia:-Allora dove mi trovo?
-Ti trovi in un posto per persone speciali- le rispose James mentre riprendeva a camminare. Kya lo seguì mentre cercava di capire per che genere di “persone speciali” fosse quel luogo, ovunque fosse. La ragazza lo guardò con sguardo interrogativo e lui disse:-Sai che molto tempo fa gli uomini, prima del cristianesimo, avevano delle religioni politeiste. Ebbene, quelli che gli antichi avevano come Dei esistevano veramente. Certo avevano vari modi per chiamarli, ma erano sempre gli stessi.
Kya guardò negli occhi il ragazzo cercando di capire dove volesse andare a parare con quella spiegazione. Sapeva, certamente, che una minima parte di quello che stava dicendo James era una bugia. Non sapeva perché la pensava così, ma era sicura che James le stesse nascondendo qualcosa. Non fece domande e fece proseguire il ragazzo con il suo racconto.
-Questi Dei erano originari della Mesopotamia. Alcune volte, come avrai sentito nelle storie greche, scendevano sulla terra e generavano figli con i mortali. Noi siamo figli degli Dei e probabilmente tu sei una di noi. Questo è il Campo Mesopotamia, come lo chiamiamo. Qui, possiamo essere noi stessi, allenarci e sopravvivere- spiegò James con gli occhi luminosi. Kya arricciò le labbra poi disse:-Credo di essere stata in un posto simile, ma non ricordo con esattezza.
-È possibile che tu sia già stata qui o che sia nata qui, poi uscita nel mondo mortale- commentò il ragazzo. Kya scosse la testa:-Non lo so. E comunque, come fanno a esistere gli Dei? Erano solo leggende.
-Le leggende e i miti non esistono. Esistono gli Dei. Un dio solo non può esistere per questioni di potere. È come dare il potere del mondo ad un’unica persona. Non durerebbe molto. Se invece distribuisci il potere… potrebbe funzionare- spiegò James fermandosi poi davanti ad una casetta bassa in mattoni. Spalancò la porta e le disse:-Entra.
Kya guardò in alto e vide un insegna gigante con scritto “CIOCCOBAR”. Si, di cioccolata ne aveva voglia. Entrò nella casetta e un odore di cioccolata la investì come un uragano. Inspirò ed espirò profondamente, beandosi di quel odore dolce. Vide una ragazza poi farle un cenno con un braccio alzato. Si girò verso James che disse:-È un’amica. Ci stava aspettando. Va da lei, io intanto ordino qualcosa da bere.
Kya annuì e con un po’ di paura si avvicinò al tavolo dove era seduta la ragazza. Aveva capelli neri e corti, gli occhi erano due pepite d’oro e la carnagione abbronzata. Aveva una cicatrice sul collo, come se un gatto indemoniato avesse tentato di ucciderla. Era esile, ma sembrava in grado di romperti la faccia. Sorrise a Kya e, stringendole la mano, esclamò:-Ciao! Io sono Anne. Tu sei Kya, quella nuova giusto?
-Ehm… si… credo di essere quella nuova- rispose balbettando- Piacere.
-Allora, James ti ha già detto dove ti trovi?
-Si e boh…non ci sto capendo nulla. Sembra uno scherzo.
-Fidati ragazza, non lo è. Magari lo fosse, se non fossi una semidea questa cicatrice non l’avrei. Mio padre è Assur, il dio della guerra e della violenza.
-Quindi è vero? È vero allora? Esistono gli Dei?
-Si. Ultimamente non si fanno molto vedere. So che è difficile da credere, ma dopo ci si fa l’abitudine. È una cosa forte comunque. Meglio una vita come la nostra che come quella dei mortali.
-Questo lo dici tu Anne- borbottò James sedendosi al tavolo con due tazze di cioccolata calda. Ne posò una davanti a Kya e l’altra se la tenne per se.
-Grazie- mormorò Kya. James le sorrise con gli occhi verde smeraldo che brillavano:-È con la cannella.
-Grazie, davvero.
-Figurati.
-Uuuuuuuh!- esclamò Anne- Abbiamo una coppietta.
Le guance di Kya si colorarono di rosso. James era carino, ma lo conosceva da pochissimo, non potevano essere più di amici. Fu James a zittirla:-Anne, lo sai che…
-Si lo so!- esclamò la figlia di Assur-Ma questa ragazza mi piace di più. Kristen è così…
-Anne, lo sai che sono legato a lei. È una questione di destino- spiegò James mentre beveva un sorso di cioccolata. Anne alzò gli occhi al cielo e picchiettò un dito sulla tempia. Kya sorrise e per poco non si sbrodolò con la cioccolata che stava bevendo. Appoggiò la tazza e quella sussultò. Kya saltò sulla sedia e il tavolo balzò. James e Anne si guardarono. S’alzarono e corsero fuori. Kya li seguì fuori. Non è affatto giornata, pensò.

Angolo Autrici
Siamo vive. Non vi libererete così facilmente di noi *risata malvagia*.
Questo è il secondo capitolo della storia "Kya e gli Dei della Mesopotamia: la figlia maledetta" (titolo ancora indeciso). Beh, che dire. Grazie perchè state leggendo questa storia e boh. Grazie. Detto ciò ci dileguiamo.
Kiss,
Kya.

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Capitolo 21
*** LA VERITA' SU...PIU' O MENO TUTTO ***


LA VERITA' SU... PIU' O MENO TUTTO  
 
C’è chi pensa che essere speciali è una cosa positiva, poi c’è chi lo ritiene una disgrazia. Kya era una di quelle. Odiava essere speciale, perché speciale voleva dire avere delle responsabilità e avere responsabilità voleva dire avere il mondo sulle tua spalle. Kya si odiava. Tanto anche; in parte dovuto al fatto che attirava la sfortuna in una maniera esagerata.
Quando i demoni alati piombarono sopra al Cioccobar, Kya sentì le gambe molli. Anne gridava ordini, James cercava di mantenere l’ordine.
-Alle armi!- gridò Anne come un generale. Afferrò Kya e si rivolse a lei:-Hai un’arma vero?
Kya scosse la testa mentre continuava a guardare i demoni che scendevano in picchiata verso di loro. Anne guardò James che esclamò:-Non ho avuto tempo! Arcieri, ora!
Frecce nere si scagliarono contro i demoni alati. Kya li guardò meglio. Erano nudi, grandi ali e le zampe posteriori di rapace e la testa era quella di un uomo.
-Che cosa sono?- domandò Kya tremando. Anne la guardò con i suoi occhi d’orati e disse:-Pazuzu, demoni della malattia. Ascoltami, vai verso la ziggurat. Chiama Zoey. Veloce!
-Voi come farete?
-VAI!
Kya annuì e si mise a correre. Era sempre stata brava nella corsa. La neve metteva a dura prova il suo equilibrio, ma gli anfibi facevano. Mentre correva pensava a Anne e James che combattevano e gridavano ordini. Non avrebbero resistito per molto. Kya aveva visto la velocità con cui i demoni, no i Pazuzu, avevano schivato le frecce che gli arcieri avevano scagliato contro di loro. Non ne era morto nessuno. E poi erano in tanti. I ragazzi erano in pochi, non avrebbero resistito. Corse più veloce che poté. Il cuore batteva e il fiato iniziava a mancare. E la vide. Era alta con grandi gradoni. Kya aveva sentito parlare delle ziggurat, le piramidi a gradoni, ma non pensava che fossero così maestose. A cerchio vi erano cinque case. Kya era al centro del cerchio.
-ZOEY!- urlò con tutta la forza che aveva. Nessuno rispose. Mise le mani vicino alla bocca, come un megafono e urlò di nuovo il nome dell’amica. Quella si affacciò ad una finestra della casa rossa, quella più vicino alla ziggurat e esclamò:-Kya! Per l’amore degli Dei! Dov’eri? Anzi no, aspetta a parlare. Scendo subito.
Zoey scomparve. Kya incominciò a battere il piede sul terreno e a muovere le gambe in un modo strano che da lontano sembrava iperattiva. Zoey comparve sulla porta e esclamò:-Dove eri finita, per l’amor del cielo?
Tuonò in un modo assurdo. Kya sobbalzò e tirò su il cappuccio della giacca, sperando che quel tuono significasse pioggia e non ciò che stava pensando. Aveva letto storie sugli Dei della Grecia e di Roma e sapeva che erano molto suscettibili. Sperava che non fossero così anche quelli della Mesopotamia, se erano veramente reali, ovviamente.
-Zoey. Dobbiamo andare al bar. Ora- esclamò Kya prendendo l’amica per il polso. Zoey aggrottò le sopracciglia e chiese:-Perché?
-I pazuzu.
-No. Nonono. - borbottò Zoey iniziando poi a correre verso il bar. Kya la seguì. Zoey si muoveva come una gazzella: veloce e agile. Urlava e dei ragazzi intanto si erano messi a correre con loro verso il Cioccobar. Erano tutti armati con lance, spade e archi. Portavano pettorali neri ed elmi del colore del buio. Tutti sembravano contenti di combattere. Davanti al Cioccobar si stava scatenando l’inferno. James e Anne combattevano come delle furie. Alcuni ragazzi erano coperti da bolle, altri stavano rimettendo.
-Casa uno formazione H1A!- gridò Zoey. I guerrieri di disposero in una principale formazione: le lance alzate verso l’alto che si muovevano su e giù, mentre, tutti tranne quelli a lato, coprivano con gli scudi le teste. Iniziarono a marciare e a muovere le lance su e giù. I pazuzu andavano a scontarsi violentemente contro gli scudi, ma i soldati li trapassavano da parte a parte con le loro lance dalle punte nere. Zoey afferrò Kya per il polso e le disse:- Stai dentro al bar per favore. Non farti colpire.
Kya annuì, ma di stare dentro al bar a non fare nulla non se ne parlava. Aveva la senzazione che quei demoni, fossero venuti per lei.
Si mosse ad una velocità che non pensava di avere. S’avvicinò ad un ragazzo, prese uno dei coltelli che aveva alla cintura e si lanciò nel combattimento. I demoni l’attaccarono fin da subito. Veloce come un fulmine, tagliò la gola al primo, poi affondò il coltello nel corpo di un altro, ad un terzo tagliò un braccio. Con lo scarpone tirò un calcio ad uno e ad un altro ficcò il coltello nella testa. I guerrieri la fissavano con stupore, ma non ci fece molto caso. Saltò quando un altro pazuzu le venne addosso. Atterrò sulla sua schiena e gli piantò il coltello tra le scapole e quello cadde a terra. Ne colpì altri con il coltello che aveva stretto in mano. James per poco non si prese una accoltellata dalla ragazza e Anne una gomitata in pieno petto. Solo quando un pazuzu la attaccò alle spalle, Kya perse un attimo la rabbia che aveva. Riuscì comunque a voltarsi e a ucciderlo, ma questo le aveva graffiato la spalla e la parte superiore del braccio. Era l’ultimo, ma Kya sentiva la voglia di distruggere qualunque cosa le capitasse sotto mano. Incominciò a gridare:-C’è qualcun altro?!
Solo James ebbe il coraggio di avvicinarsi a lei e bloccarla, prima che commettesse danni seri:-Ehi, calm…Wow
Gli occhi da viola erano passati al rosso carminio, il colore del sangue, il colore del rubino. Continuarono a fissarsi negli occhi, mentre James respingeva la voglia di abbracciare la ragazza e tenerla stretta a se per la vita. Okay, doveva finirla. Lui aveva una ragazza per l’amore del cielo!
-James…- iniziò Anne per poi fermarsi e dire- Oh però. Mi sa che abbiamo un problema e anche piuttosto grosso.
James ammonì la ragazza con lo sguardo e disse:-Andiamo in infermeria. Zoey, dì ai tuoi di portarli tutti infermeria, nessuno escluso.
Zoey annuì e cacciò degli ordini ai guerrieri. James prese in braccio Kya e si diresse in infermeria a passo svelto, seguito da Anne. Arrivato adagiò la ragazza su uno dei lettini liberi, prese delle bende, ago e filo, del disinfettante e dei guanti. Mandò Anne preparare dei lettini, poi iniziò a medicare la ferita. Kya era pallida come un fantasma. Sentiva la pelle bruciare come il fuoco e la mente annebbiarsi.
-KYA!- esclamò James- Rimani sveglia. Guardami e non pensare al dolore okay?
Kya annuì. Incatenò gli occhi sul ragazzo che la stava medicando. Disinfettò la ferita, poi con ago e filo iniziò a cucirla, come se fosse una vecchia maglietta che non voleva buttare via. Le lacrime erano lì lì per scendere, ma le ricacciò indietro. Non voleva piangere. Soffocò ogni grido e ogni lacrima, ma quelle non volevano sentire ragioni. James s’avvicinò alla spalla e con i denti tagliò il filo. Appoggiato l’ago in una vaschetta di metallo, si pulì le mani dal sangue e le disse:-Una lacrima puoi lasciarla sfuggire.
-Non sto piangendo- ribattè Kya scocciata. James la guardò con i suoi occhi del colore dello smeraldo e ribattè:-Si, come no.
Rimasero per un attimo in silenzio. Kya guardava la ferita cucita come se fosse un’opera d’arte. Era stato preciso, non aveva sbagliato nulla. Era come se fosse nato per guarire le persone, curarle. Chissà se sa guarire anche persone come me, pensò Kya concentrandosi di nuovo sugli smeraldi che la stavano fissando. Sostenne lo sguardo e alla fine fu lui a distoglierlo per primo.
-Allora- disse Kya- Dove hai imparato a cucire la gente?
-Mia madre è brava in queste cose.
-È una dottoressa?
-È la dea della medicina. Ognuno dei suoi figli sa medicare in modo eccellente. Siamo dottori nati. Conosciamo ogni genere di malattia e, se esiste, una cura per essa.
Kya sospirò ed esclamò:-La smettete con questa storia degli Dei?! Non esistono! Per l’amor del cielo, finitela, siete patetici.
-Come li spieghi allora il pazuzu?
Kya guardò il basso e cercò una spiegazione logica per quello che stava accadendo. Poteva essere stata una trovata per far divertire i bambini, ma non c’erano bambini lì. Potevano essere robot, eppure non c’erano fili. Kya temeva che James avesse ragione, ma non aveva senso tutto ciò. Se gli Dei esistevano veramente, dove erano stati quando lei aveva chiesto aiuto? Dove erano quando il mondo era in guerra?
-Lo so che è shockante- disse James- Ma è la verità. Gli Dei esistono e tu sei una di noi. Una semidea. Tua madre è una divinità e non c’è verso per cambiare le cose.
-Come hanno fatto a sopravvivere?- domandò mentre si torturava le dita. Le piaceva giocare con le unghie o girarsi i pollici. Alcune volte si metteva a sbatterle piano tra di loro. Suo padre aveva detto che era iperattiva e, inizialmente era una cosa che le piaceva un po’, poi col tempo era diventato un problema. Era diventato un problema perché non riusciva a stare ferma, non riusciva a seguire in classe e questo la faceva sentire esclusa perché tutti ci riuscivano tranne lei.
-Sono immortali, Kya, possono vivere per sempre. Non hanno età. Si spostano sempre in base a dove vi è più potere e ci rimangono per degli anni. Creta, Roma, Parigi, Madrid, sono solo alcune delle città in cui hanno alloggiato gli Dei. Si spostano dove c’è più potere. Ora sono in America e noi con loro.
Niente aveva senso. Era tutta una messa in scena, ma come si spiegavano allora i pazuzu? Kya era confusa. Non sapeva a cosa credere. Guardò l’opera di James sul suo braccio. Perché non le tornava niente, ma perché sentiva che James, Anne e Zoey avevano ragione. Perché percepiva, allora, il senso di casa in quel luogo? Perché pensava di esserci già stata?
Incrociò gli occhi di James e capì che il ragazzo non stava scherzando. Poteva dire ciò che voleva che lui aveva ragione. Papà le diceva sempre che se sapevi leggere gli occhi di una persona, capivi com’era e se diceva la verità o meno. Le aveva insegnato tutto ciò che sapeva. James aveva ragione. Lo leggeva.
-Supponendo che questi Dei esistano, cosa centro io in tutto ciò?- domandò appoggiando la testa al cuscino. James arricciò le labbra e rispose:-Te l’ho già detto. Sei potente e sei una di noi. Ora devi riposare. Hai una brutta ferita. Marie, vieni qui!
Una ragazza dai capelli rossi e occhi grigi s’avvicinò con grazia. Portava una tunica corta fino alle ginocchia e un paio di collant sotto, degli stivaletti chiari e i capelli legati in una coda ordinata. Non aveva più di dodici anni.
-Dimmi tutto capo!- esclamò Marie con un sorriso mentre porgeva un camice bianco al ragazzo con gli occhi verdi. Lui le sorrise e rispose:- Tienile compagnia e fai in modo che mangi.
-Tu che farai?- domandò la rossa mentre si accomodava accanto al letto e strizzava le bende bagnate.
-Penserò agli altri. Mai visti tanti pazuzu in vita mia. Comunque, divertiti.
Marie annuì e James se ne andò mentre gridava altri ordini ai dottori. Marie le posò sulla fronte delle bende bagnate e non proferì parola. Probabilmente era imbarazzata, ma non lo diede a vedere. Kya chiuse gli occhi e s’addormentò.
 
Nel sogno era in mezzo al deserto di notte. La sabbia poi prese a bruciare e diventò fuoco. Non era però fuoco normale. Le lingue di fuoco erano rosse come il sangue, non arancione e blu. La sabbia era ancora gelida. Il cerchio si stava restringendo lentamente.
La luna brillava in cielo, ma se Kya provava a guardarla vedeva il volto di un uomo che le sorrideva.
E dopo venne la pioggia di frecce. Sembrava che non avessero provenienza. Una le graffiò il volto, un’altra la spalla e un’altra ancora la gambe. Dolore in tutto il corpo. S’accasciò a terra, mentre il dolore si spargeva per tutto il corpo. Sangue iniziò a scorrere. La sabbia iniziò a colorarsi di rosso intenso. Come le fiamme.
Arrivò la donna poi. Non aveva le belle vesti d’oro e monili di diamanti. Aveva un’armatura nera e la gonna che non arrivava alle ginocchia. I lacci dei sandali si arrampicavano sulle gambe come tralci di vite. La spada era appesa a destra nel fodero e a sinistra vi erano una serie di coltelli, con le lame nere come l’inchiostro di calamaro. La lancia era stretta nella mano, mentre l’elmo le copriva buona parte del volto lasciando solo intravedere gli occhi viola.
Le fiamme si spensero. Le frecce cessarono. La luna smise di sorridere. La donna però rimaneva lì. La mano era tesa verso di lei. L’afferrò.
-Alzati figlia mia e combatti- le disse- Non lasciare che ti usino. Non lasciare che ti dicano chi sei. Non permettergli di controllarti. Prendi questo e combatti.
Le stelle presero a scendere dal cielo e ad unirsi a formare un arco. Glielo porse e Kya lo afferrò per l’impugnatura. Era leggero come una piuma.
-Può essere ciò che vuoi, ma la sua vera forma è questa- mormorò la donna con l’armatura mentre lo sfiorava. Un anello di metallo piccolo. Niente di particolare era. Solo una fascia di metallo. Delicato, ma forte. Lo adorava. La donna le sorrise.
-Mamma?- domandò Kya mentre infilava l’anello.
La donna si tolse l’elmo e boccoli di capelli biondi le ricaddero sulle spalle. Gli occhi viola brillavano ancora di più. I tratti erano delicati ma forti.
-Ishtar. Ora è il momento di svegliarti tesoro mio. Non permettere loro di controllarti, va bene?
-Quando ti rincontrerò?
-Non lo so amore, ma spero presto.
Divenne buio. Il sorriso di Ishtar si fece mano a mano trasparente finché non rimase nulla.
 
Kya aprì gli occhi. Era tutto buio fuori. Il resto dell’infermeria era addormentato in un sonno profondo. S’alzò senza fare rumore. Indossò la sua giacca e gli anfibi rosa. Si guardò la mano e l’anello era lì. Non era stato solo un sogno. Uscì nell’aria fredda di dicembre. Camminò verso la ziggurat camminando aggraziatamente. Mentre passava davanti alle cinque case, pensò che poteva dire a Zoey del suo sogno, ma poi ci ripensò. Voleva risolvere questa faccenda da sola. Salì i gradini della ziggurat e raggiunse la cima. La luna sembrava non sorriderle più. Entrò nel tempio. C’era una vasta sala che si divideva in corridoi bui. A lato vi erano varie torce infuocate. Ne prese una e s’avviò per un corridoio. Svoltò a destra, poi a sinistra e sempre dritto. Andò a sbattere contro qualcosa: una porta in legno. La targhetta diceva sopra diceva di non aprire. Kya spinse la porta rettangolare.
-Ferma!- gridò qualcuno. Una voce maschile. Kya si voltò. Era di nuovo buio. Si tolse l’anello e quello diventò l’arco argentato del sogno. Decisamente non era un sogno. Tese la corda, contò fino a dieci e lasciò la corda. Un raggio argento fendette l’aria veloce come il vento. Nessuna nota di dolore. Sentì un fruscio provenire da pochi metri. S’abbassò e rotolò di lato. Tese di nuovo l’arco e lasciò immediatamente la corda. La presero per le spalle e le diedero un pugno in volto. Spinse via con il piede il suo assalitore. S’abbassò mentre provava a tirarle di nuovo un pugno, ma si ritrovò con il volto a terra. Kya raccolse l’arco. Tese la corda e disse:-Muoviti e muori.
Due occhi verdi la fissarono. Smeraldi. James. Abbassò la guardia e gli porse la mano. Lui l’accettò volentieri e si tirò su in piedi. Si fissarono per qualche istante poi James domandò:-Che cosa ci fai qui?
-Potrei farti la stessa domanda- ribatté lei. Inspirò profondamente e ritornò sui suoi passi, verso l’uscita. L’arco era tornato la fascia di metallo che le circondava il dito e la guancia, doveva aveva ricevuto il pugno, le faceva male. James la seguiva, anzi le correva dietro, e quando provò ad afferrarle la spalla, lei si voltò velocemente, gli afferrò il polso e lo storse. James si piegò in ginocchio. Kya piegava sempre di più il braccio del ragazzo. James la guardò con gli occhi colmi di lacrime e dolore. Lei non cedette la presa.
-Kya… per favore- mormorò talmente piano che anche la ragazza fece fatica a sentire. Gli occhi erano carmini, la rabbia cresceva con il desiderio di ferire quel ragazzo che sembrava la sua ombra.
-Kya… guardami.
Lo guardò negli occhi smeraldo. Rubino contro smeraldo. Il dolore negli occhi del ragazzo le toccò il cuore. Mollò la presa. S’accasciò per terra. Afferrò il braccio di James e lo guardò. Linee scure gli fasciavano i polsi come bracciali. Sentì i sensi di colpa arrivare. Sua madre chi era? Era una dea di che cosa? La violenza non era per lei.
-Hai scoperto chi è tua madre, vero?- domandò James mentre posava il suo giubbotto sulle spalle di Kya. La ragazza annuì e James l’abbracciò. La sollevò poi da sotto le ginocchi, prendendola in braccio. Uscì dal tempio e scese la scale, dirigendosi in infermeria. L’adagiò sul letto, ancora scioccata. Prese delle bende dal cassetto del comodino e le fasciò le mani scorticate. Delicatamente le posò un bacio sulla testa, come se fosse una piccola bambina e sussurrò:-Dormi. Domani è un altro giorno.
Si sedette sul letto, accanto alla ragazza confusa. Le accarezzò i capelli rosa delicatamente e iniziò a cantare una ninnananna, quella che aveva imparato da suo padre. Kya chiuse gli occhi, cullata dalla voce di James. La stanchezza prese il sopravvento e s’addormentò.

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Capitolo 22
*** TEST DI ASSEGNAZIONE ***


TEST DI ASSEGNAZIONE

Perché bisogna soffrire? Perché non si può avere della pace ogni tanto? Perché bisogna sempre fare ciò che è giusto per gli altri, ma per noi è sbagliato?
Quando si svegliò era mattina presto, la testa era appoggiata al petto di James che ancora dormiva. Posizione molto compromettente. Una coperta copriva loro solo le gambe. Kya lanciò qualche imprecazione mentalmente. Si ricordava vagamente che cosa era successo la sera precedente. La cosa che più le premeva era che aveva scoperto chi era sua madre, una madre che, tra parentesi, non esisteva, o meglio, non sarebbe dovuta esistere. Sbatté le palpebre diverse volte per abituarsi alla tenue luce del sole che entrava dalle finestre.
-James!
La voce di una ragazza riempì la stanza. L’infermeria era vuota ed era strano pensare che solo la sera prima fosse piena di gente. La ragazza chiamò di nuovo il nome di James. Kya si tirò a sedere e prese a scuotere James. Quello mugnò qualche parola incomprensibile, ma aprì gli occhi comunque.
-Che succede?- domandò con la voce impastata dal sonno. Kya gli fece segno di fare silenzio e sussurrò:-Ragazza che ti cerca.
Gli occhi di James diventarono enormi. Erano pieni di panico puro. Il ragazzo impallidì, poi sussurrò:-Okay, stenditi e fai finta di dormire.
Kya annuì e, senza protestare, si rimise sotto le coperte mentre James s’alzava e si sedeva sulla sedia accanto al letto. Si coprì fino al volto e decelerò il respiro.
-Eccoti, amore!- esclamò la voce della ragazza. Kya percepiva falsità nella sua voce. Falsità che James non riusciva a vedere, ma lei si. Avrebbe dovuto dirglielo? In fondo, però, chi era lei per immischiarsi nella vita di James? Era la ragazza a cui aveva evitato di morire, ma nulla di più. Quelle poche volte che si erano parlati non era finita bene. La sera prima era un buon esempio. L’aveva quasi ammazzato quel ragazzo. Eppure, sentiva il dovere di metterlo in guardia.
-Hey Kry. Come mai qui?- domandò James con il miglior tono da “giuro che non mi sono svegliato ora” che era riuscito a rimediare. Kya li sentì baciarsi e arricciò il naso. Le faceva schifo però il cuore che faceva male, come se qualcuno l’avesse trapassato da parte a parte con una spada. Una parte della sua mente s’immaginò tra le braccia del ragazzo, sul tetto della ziggurat a guardare le stelle. S’immaginò loro due che indicavano le stelle, o meglio, James le indicava e lei ascoltava. Poi arrivavano le parole dolci sussurrate nell’orecchio e i sorrisi. Si riscosse e si diede mentalmente della stupida. Lei e James erano impossibili, però qualcosa la spingeva a fidarsi del ragazzo, ad amarlo in un qualche modo. Chiuse gli occhi e respirò profondamente.
-Sono venuta a cercarti- rispose la ragazza- Sono passata per la Casa Due, ma mi hanno detto che non c’eri. Micky mi ha detto che eri tornato solo per poche ore poi eri venuto qui. Ha detto che eri venuto a vedere la ragazza dei pazuzu. La figlia della dea sconosciuta.
-Esatto- rispose James- Però non la chiamare “la ragazza dei pazuzu” o “la figlia della dea sconosciuta”, per favore. Ha un nome e sarebbe carino, da parte tua, che lo usassi.
-Stai scherzando vero?- domandò la ragazza- No ma dico, l’hai vista?!
-Si l’ho vista, Kristen. Ti assicuro che ha combattuto in una maniera che neanche Zoey e Anne riuscivano a starle dietro, quindi ti chiedo di portarle rispetto.
Kya sentì una mano afferrare la sua spalla e scuoterla. La spalla che era stata ferita dai pazuzu faceva male e anche tanto. La ragazza, Kristen, la chiamava a gran voce:-Hey tipa! Svegliati. È mattina il sole splende e tu ti devi alzare.
La voglia di schiaffeggiare la ragazza era tanta, come prendere l’arco e puntarglielo alla tempia e minacciarla di farle male. Contò fino a venti mentre Kristen continuava a chiamarla. James non si sentiva. Prima l’aveva difesa perché non lo face anche ora? “Codardo” pensò. Veloce come un fulmine afferrò il polso della ragazza e glielo portò dietro alla schiena. Le mise le gambe sulla schiena e la gettò a terra.
-Uno: nessuno mi sveglia alla mattina e sopravvive se non ha una tazza di cappuccino al cioccolato bello caldo con panna e scaglie di cioccolato e cannella. Due: non mi chiamo “tipa”, ma Kya. Mettitelo bene in testa. Terzo: porta rispetto, bionda.
La ragazza sotto di lei annuì con la testa e Kya si spostò. Si mise in piedi e si sistemò la maglietta. Guardò James, che intanto se la stava ridendo silenziosamente. Lo guardò con lo sguardo truce, che non ammetteva repliche. James non sorrideva più dopo che incontrò gli occhi ametista della ragazza. Kristen si tirò su in piedi. Era bionda, gli occhi azzurri, le labbra rosee e il corpo snello. Era bella effettivamente, ma era falsa. Falsa come una ladra. Una ladra di cuori. Kristen si appese al braccio di James come un koala e gli sussurrò qualcosa all’orecchio, poi si rivolse a Kya:
-Sappi che i Maestri verranno a sapere i questo tuo comportamento.
-Sai quanto m’importa?- rispose Kya incrociando le braccia.
-Ti metteranno a posto loro vedrai.
-Nessuno si può permettere di controllarmi. Non tu. Non i tuoi Maestri.
Kristen alzò le spalle e, dopo aver lasciato un bacio a James uscì dall’infermeria scuotendo il fondoschiena in una maniere che a Kya venne male solo a guardarla. Si gettò sul letto e guardò il soffitto. Sentì James sedersi accanto a lei e dire:-Ha ragione lei. Se lo verranno a sapere i Maestri sarai un’emarginata. Non immagini minimamente quanto potere abbia Kristen sui Maestri.
-Non m’importa nulla- rispose secca- A proposito: come si fa ad uscire da sto campo?
-O con un’impresa o per espulsione- rispose James- L’impresa è impossibile che la diano a te. Sei indeterminata, secondo loro. Non sanno se sei una minaccia o meno.
- E se io sapessi una cosa che loro non sanno? Che neppure gli Dei sanno? Otterrei in questo caso un’impresa?
-Improbabile.
Kya storse le labbra. James sorrise poi esclamò:-Vieni. Dobbiamo andare alla ziggurat.
Alzò gli occhi al cielo, ma seguì comunque James fuori dall’infermeria.
 
Il sole era debole fuori, ma tutto sommato piacevole. Avvolti in sciarpe di lana e cappotti pesanti, James condusse Kya verso un edificio bianco. Era alto quanto una palestra, con poche finestre quadrate e una porta in legno verniciata di nero. James aprì la porta ed entrò. Salì qualche gradino e Kya non poté fare altro che seguirlo. Salirono altre rampe di scale fino a giungere in un corridoio. James aprì un'altra porta e vi entrò. Il luogo era un altro corridoio illuminato dalle finestre della palestra. Dei ragazzi con poco più di vent’anni erano lì a parlottare. Avevano tutti armature nere sopra vestiti normali, ma la cosa che li rendeva particolari, oltre alle armi ai fianchi o sulle spalle, erano le fasce che avevano sulle braccia. Erano tutte di colori diversi, che per Kya non avevano senso. James tossicchiò, per attirare la loro attenzione. I cinque ragazzi si voltarono verso di loro e Kya percepì il panico assalirla. Che cosa sarebbe successo? Sarebbe finita male? L’avrebbero rimandata a casa?
Uno dei cinque ragazzi s’avvicinò. Era biondo, con occhi azzurri come il cielo e il fisico slanciato. Aveva la fascia al braccio di un rosso acceso che, tutto sommato, gli stava bene. S’avvicinò a loro esclamando:-Ed ecco il nostro James!
Lo abbracciò e si scambiarono qualche pacca sulla spalla. Kya rimaneva in disparte, cercando di capire che cosa stesse succedendo e perché James l’aveva portata in quella palestra.
-Tu sei Kya, vero?- domandò il ragazzo biondo- Piacere, Jacob.
-Ehm… Kya- mormorò sorridendo. Improvvisamente le punte delle scarpe divennero interessanti. Jacob le mise un braccio intorno alle spalle e Kya si colorò di rosso. La guidò verso il parapetto che dava sulla palestra. Non vi era nessuno. I quattro insegnati si erano spostati vicino a James, che era rimasto dietro.
-Sai perché sei qui, al campo?- domandò Jacob mentre fissava la palestra. Kya annuì:-Perché sono una semidea, una figlia di una dea.
-E sai anche quale?
Annuì di nuovo e sussurò:- Ishtar.
A Jacob si illuminarono gli occhi. Kya non capiva se quella luce che aveva il ragazzo negli occhi era una buona cosa o meno. Aveva visto la follia negli occhi delle persone la sera che era scomparsa fiducia che lei tendeva a riporre nelle persone. Quella follia, l’aveva portata ad un punto in cui non aveva più lottato per tornare quella di prima. Aveva lasciato che tutte le tenebre l’avvolgessero come una coperta. L’aveva uccisa dentro.
-Per entrare a far parte effettivamente del campo, dovrai essere messa in una delle cinque case e poi farai la tua vita in base a dove ti troverai. Se verrai sistemata nella casa rossa, la Casa 1, sarai una guerriera, sempre a combattere e ad allenarti; sistemata nella casa blu, Casa 2, studierai le stelle, le cure mediche, studierai le regole matematiche e cose così. La casa verde, Casa 3; ti occuperai della terra e nella Casa 4, quella gialla, dei commerci. Nella Casa 5, la casa bianca, sarai anima e corpo al servizio degli Dei, interpreterai i loro messaggi, leggerai il loro volere nelle stelle e scriverai poemi su di loro. Attraverso un test di abilità sceglieremo la tua casa. Capito tutto?
Kya annuì mentre le gambe iniziavano a tremare. I test non erano per lei.
-Martha!- esclamò Jacob- Accompagneresti la nostra amica a prepararsi?
Una ragazza dai boccoli ramati, gli occhi grigi e vispi, il corpo atletico e la fascia verde attorno al braccio s’avvicinò con un sorriso buono. Annuì e prese la ragazza per mano. Scesero le scale e entrarono in un piccolo spogliatoio. Martha storse il naso e disse:-Appena sei pronta, apri la porta e la prova inizierà automaticamente. Nella stanza accanto ci sono delle armi se vuoi. Buona fortuna, figlia di Ishtar.
Uscì sbattendo la porta. Il modo in cui aveva detto “figlia di Ishtar” a Kya non era piaciuto. Era stata acida come il succo di limone. Kya respirò e andò nella stanza accanto. Perlustrò tutte le pareti, cercando qualcosa di leggero da prendersi dietro. S’arrese e si ricordò dell’anello di sua madre. Respirò profondamente e spinse la porta che la separava dalla palestra. Fece due passi e si abbassò prima che una palla gigante di ferro la colpisse. Si domandò se avessero intenzione di ucciderla. In alto, sopra al canestro per il basket vi era un vaso di vetro. Si abbassò di nuovo. Robot dall’aspetto umano s’avventarono su di lei. L’anello diventò due pugnali dalla lama nera, affilati come denti di tigre. Mozzò la testa ad uno e il braccio destro all’altro. Poi ci fu un’esplosione e un robot azzurro e oro dall’aspetto di mostro le graffiò il volto. Kya sentì il suo corpo cambiare. Saltò verso il manichino e vi affondò le zanne, stracciando i fili di cui era composto. Balzò in avanti con agilità e corse verso il vaso. Mentre correva ritornò se stessa. Si lanciò tra le fiamme, con l’anello diventato lancia, colpì un robot distante, poi saltò e afferrò il vaso.
Mani che applaudono. Un unico suono.
Dolore sul viso. Sangue che scorre lungo la guancia. Paura di quello che si è. Il dolore è l’unica cosa che ti affligge. La testa gira. Ti senti mancare, poi ti trasformi perché senti quel rumore che senti ti ferisce. Ti colpisce sulla schiena. Ti colpisce ancora.
Dolore. Sangue che scorre lungo la tua schiena.
Si voltò digrignando i denti. La rabbia cresceva. Una figura imprecisata. Forse era una donna. Sì, le fattezze erano quelle. Aveva il corpo metà umano, metà di una lupa  e la coda di scorpione. Stringeva in mano una frusta. Intanto, il sangue scorreva sulla schiena dell’animale. Corse in contro al mostro, non curante del dolore sulla schiena. Mentre però l’animale saltava, quella scomparve. Il felino ringhiò. Il dolore si fece più vivido. Il felino tornò a terra. Le ossa scricciolarono e Kya tornò umana, con la maglietta dietro a pezzi, la schiena lacerata e l’adrenalina in corpo. Jacob e James erano lì, con le facce paonazze e le mani tremanti. Gli altri ragazzi erano poco distanti.
-Direi che la ragazza meriti la Casa 1- disse una donna mora, gli occhi azzurri e la fascia blu intorno al braccio. Jacob e gli altri Maestri annuirono.
James le portò un braccio intorno alle proprie spalle e l’accompagno negli spogliatoi. La distese su una delle panchine con la schiena rivolta verso l’alto. Afferrò una boccetta di vetro con del liquido verde dalla tasca della giacca e la verso sopra ai tagli. Kya urlò di dolore, lasciando che tutto il dolore che aveva provato quando quella frusta l’aveva colpita venisse fuori. Poco dopo non sentì più nulla. Il sangue che prima scorreva non si sentiva più, il dolore non esisteva più.
Kya s’alzò a sedere, con ancora la faccia fregiata dagli artigli del robot. James le sedette accanto, la testa appoggiata al muro e gli occhi chiusi e disse:- Per un momento, ho pensato che non ce l’avresti fatta.
-Simpatico da parte tua- rispose la ragazza- Sei pregato di riporre più fiducia in me, uomo di poca fede. Ho superato la prova credo, quindi, non hai di che lamentarti.
-Adesso sei in circolo, Kya. Sei in un gioco troppo pericoloso- commentò James guardandola negli occhi- Non dovevamo portarti qui. È stato un errore. Un errore che ci porterà alla distruzione.
-Un errore che però potrebbe salvarvi. So come si agisce in questo campo, mia madre me l’ha detto. È una società corrotta. Voglio aiutarvi.
James scosse la testa e esclamò:-Dai alzati, ti accompagno alla tua casa.
 
La palestra era dal lato opposto del campo, lontano dalla ziggurat e dalle case. Appena usciti dalla palestra, il vento soffiò sui loro volti. Percorsero tutto il campo senza parlare. Giunti davanti alla casa rossa, la Casa Uno, James bussò alla porta in legno scassata alla quale mancava anche la maniglia. Tutto tacque. Dentro alla casa, dove dentro vi era prima un casino, tutti tacquero. Aprirono la porta e Kya fu felice di trovare Anne sulla porta. La ragazza le saltò addosso e la strinse in un abbraccio stritolatore.
-Io lo sapevo!- esclamò la ragazza mentre la strozzava- Vieni chica, andiamo, ti faccio fare un giro della casa.
-Sono invitato anche io Anne, vero?- domandò James. Anne fece finta di pensarci su, poi disse:-Si Jamie, puoi entrare.
James sorrise. Un sorriso buono e smagliante. Anne li fece entrare nella casa rossa. Ragazzi di undici anni correvano in cerca delle loro armi urlando come dannati, ragazzi più grandi giocavano a freccine, mentre altri provavano bombolette spray sui muri creando disegni bellissimi. C’era chi usciva e chi entrava. Era il caos totale lì. I letti erano a castello, tutti difatti e le scrivanie erano in disordine.
-KYA!- gridò qualcuno dietro di lei. Si voltò e vide Zoey venirle in contro correndo. La stritolò in un abbraccio.
-Non respiro….- mormorò la ragazza mentre Zoey la stritolava ancora di più.
-Scusa tesoro, ma sono felice che tu sia qui.
Kya non era felice, anzi, era piuttosto terrorizzata, ma fece finta di non darlo a vedere. Sorrise e non rispose.
-Allora…- fece Anne- Stasera si festeggia.
-Esatto Anne- disse una voce maschile dietro di loro. Kya si voltò. Dietro c’era Jacob che sorrideva:-Benvenuta nella Casa 1, Kya.

Angolo Autrici
Eccoci, di nuovo qui, a scrivere di una ragazza che vieve a scoprire di essere una semidea. Brutta storia, povera tata. A breve si apriranno le iscrizioni per un qualche personaggio per la storia su Aztechi, Maya e Inca, Detto ciò ci si dilegua.
Zao carissimi,
Kiss
Kya

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Capitolo 23
*** MISSIONE ***


MISSIONE
 
 Quella sera, per la prima volta, Kya venne portata alla mensa. Poco distante dalle case vi era una casa in legno, bassa e rettangolare. La porta era spalancata e si vedevano cinque tavoli disposti in lungo. Non erano molti i ragazzi che erano al campo. Kya ne contò un centinaio, non di più. Si sedette con Anne e Zoey, mentre James si sedeva nel tavolo accanto. Solo quando gli ultimi ragazzi entrarono, i Maestri, che si trovavano a capotavola, s’alzarono. Jacob era felice, gli altri un po’meno. Jacob le sorrise da lontano, guardandola negli occhi. La fissava in una maniera inquietante da quando era arrivata alla palestra. Sembrava che il ragazzo volesse qualcosa da lei.
-Oggi diamo il benvenuto ad una nuova arrivata nella Casa 1: la figlia di Ishtar- disse Jacob sorridendo. Voci. Parole. Sussurri. Tutti parlottavano. Tutti la fissavano come se fosse un animale. Il cuore le salì in gola. Panico.
Jacob richiamò il silenzio e continuò:-Siamo lieti di averla qui. Ishtar è sempre stata la protettrice di Babilonia e così rimane tutt’ora, nonostante tutto. Ragazzi, mi raccomando, non siate cattivi. Detto questo, alziamo i calici e ringraziamo gli Dei.
Anche se con malavoglia, tutti alzarono i calici ed esclamarono:-Agli Dei.
I ragazzi presero a servirsi dalle ciotole sul tavolo e dalle brocche piene. Parlavano di ogni cosa: dell’allenamento, della loro arma preferita, della nuova arrivata, della politica della gente normale. Kya rimaneva in silenzio, seduta con Anne e Zoey che parlavano delle ultime notizie dei giornali. A quanto pareva, su Pierre, la loro città, si era abbattuto un temporale degno di nota e il Missisipi era straripato, inondando una parte della città e uccidendo mortali. Kya si domandò se tra loro vi fosse il padre.
-Secondo me, sono gli Dei- disse Anne mentre si cacciava in bocca della mollica di pane. Zoey abbassò lo sguardo sul suo piatto di riso e fagioli:- E se fosse un attacco degli altri?
-Gli altri chi?- domandò Kya infilandosi nella conversazione. Anne e Zoey la guardarono e si scambiarono un’occhiata, poi la guardarono di nuovo.
-Qualche anno fa, c’è stata una missione, un’impresa- disse Anne seria- Eravamo io, Zoey e James. Era una missione di massima importanza. Se quella cosa non fosse accaduta… arrggh.
-Due anni fa, siamo stati mandati in edificio che è stato costruito sopra all’ingresso dell’inferno- spiegò Zoey- Ci mandò lì tua madre, dicendo che c’era una cosa che dovevamo sapere e recuperare. Era per salvare, un giorno, il pianeta. Siamo andati. Abbiamo incontrato dei ragazzi dalle armi oro e dalle magliette viola con scritto sopra SPQR. Abbiamo combattuto, ma erano molto forti. Hanno preso ciò che dovevano e se ne sono andati. Si sono dimenticati un pugnale. Pensiamo che siano delle persone malvagie, che vogliano distruggerci.
-Peccato che non sapremmo mai chi sono e da dove vangano- disse Jacob sedendosi accanto a Kya. Odorava di pino e dopobarba. Jacob le mise un braccio sulle spalle e l’attirò verso il suo petto. Era caldo e Kya si sentiva protetta lì.
-Comunque… presto ci sarà una partita, chi viene?
-Una partita a che cosa?- domandò Kya mentre prendeva la forchetta e iniziava a mangiare. Jacob, Zoey e Anne la fissarono interrogativi. Kya mandò giù il boccone e batté le mani davanti ai ragazzi e quelli si ripresero. Jacob passò un dito sopra al calice e rispose:-Alla caccia. Si fanno delle squadre e si cacciano degli animali. Chi ne cattura di più vince.
-Io non partecipo- decretò Kya masticando altra insalata- Sono vegetariana. Non uccido piccoli animali innocenti.
-Quindi se un giorno un leone grande e grosso ti saltasse addosso, tu ti faresti uccidere?- chiese Zoey incarnando le sopracciglia come quando era solita a non capire un ragionamento. Kya annuì:-Comunque i leoni sono sacri ad Ishtar. Non mi dovrebbero attaccare
-Come fai a dirlo?
-Intuizione.
Cenarono in silenzio per il resto della serata e quando venne sparecchiato, ognuno tornò alle proprie case. Alla casa rossa, avevano assegnato a Kya un letto vicino alla finestra, all’ultimo piano, insieme ad Anne, Jacob e Zoey. Quella sera, però non ebbe modo di testare il letto. Gli abitanti della Casa 1 la tennero sveglia tutta la notte. Ballarono nella sala al piano terra, cantando a squarcia gola e issandola sulle spalle gridando:- ISHTAR! ISHTAR!
Zoey non si fece vedere tutta la notte. Dopo che aveva partecipato ad un ballo era scappata al piano di sopra con la scusa di essere stanca e di voler andare a dormire. La festa si prolungò fino a tardi. Alle due della mattina erano ancora a ballare e a cantare. Alcuni erano ubriachi fino al midollo, altri erano andati a dormire con il mal di stomaco e altri ancora avevano preso cinque o sei pasticche per il mal di testa. Jacob mandò tutti a dormire. Kya salì nella sua stanza con la testa che pulsava per via della musica alta che si era tenuta. Si mise il pigiama che le aveva prestato Anne e si nascose sotto le coperte. Il calore l’avvolse. Pensò a suo padre che era là fuori, probabilmente preoccupato per lei. Forse però lui sapeva, ma non aveva mai voluto dirglielo, perchè l’avrebbe costretto a portarla in quel luogo. O forse perché il segreto di Ishtar non doveva essere rivelato a nessuno finché non sarebbe giunto il momento giusto. E se fosse stato quello il momento giusto, se entro poco lei sarebbe servita per qualcosa di più grande di tutto? Non era pronta per affrontare qualcosa di più grande di lei. Non era neanche pronta per quella vita. Chiuse gli occhi e s’addormentò, sperando che fosse un incubo ciò che stava vivendo.
 
Un castello. Un lago. Una foresta. Un drago che volava nel cielo con in spalla dei ragazzi. Kya voleva urlare loro di stare attenti. La ragazza bionda che si stava per tuffare con un ragazzo dai capelli neri la guardò. Le chiese aiuto con lo sguardo. Mimò qualcosa con le labbra. Forse un nome. Scomparve nell’acqua con il ragazzo dai capelli neri. Kya voleva chiamarla, ma non sapeva il nome. Una luce d’oro illuminò tutto. Una donna dai capelli biondi, occhi azzurri come il cielo estivo e una toga bianca, comparve dalla foresta.
-Ishtar- mormorò Kya inchinandosi. Non sapeva perché si stesse inchinando a qualcuno, ma non badò molto a ciò. La dea s’avvicinò quasi fluttuando e le disse:-Questi ragazzi, sono importanti. Molto importanti. Cercali appena tornerai a casa. Parla con Jacob dell’impresa, lui ti capirà.
 
Kya si svegliò. Dopo che sua madre l’aveva lasciata davanti al castello, si era svegliata in un letto di lenzuola spolte di sudore. Si asciugò la fronte, respirò profondamente e si appoggiò al cuscino. Chiuse gli occhi. Era stata davanti ad un castello che probabilmente aveva venti secoli. Aveva parlato con una ragazza in un sogno, o meglio la ragazza aveva detto qualcosa ma non si era sentito nulla. Aveva scoperto che aveva in parente che non conosceva e sua madre le aveva parlato. Una serata entusiasmante.
Una sveglia suonò, disturbando la quiete della stanza. Una mano sbucò da sotto un piumone e smorzò il rumore della sveglia. Kya era sicura che provenisse dal letto di Jacob. Kya si tirò le coperte sopra la testa e attese. Sentì qualcuno camminare per la stanza poi chiudere una porta, probabilmente del bagno. Scostò le coperte e scese. Il letto di Jacob era vuoto, come quello di Zoey. Chissà dov’era.
Prese dei vestiti dalla valigia di Anne e li indossò. Una maglietta bianca del campo, dei leggins neri tutti rotti e macchiati di tempera e una felpa erano ciò che afferrò dalla valia di Anne. Mise delle scarpe da corsa della Nike e legò i capelli in una coda. Mentre stava per uscire dalla stanza, Jacob entrò. Era a torso nudo bagnato, forse si era alzato presto per una doccia. Gli occhi azzurri scintillavano e i muscoli erano tesi come molle. La guardò per qualche secondo poi sussurrò:-Dove vai tu?
-A correre- rispose lei uscendo dalla stanza rossa come un pomodoro e quasi sbattendo la porta. Imprecò e scese le scale. Silenziosamente chiuse la porta della Casa 1 e si diresse al campo da corsa. Era ancora buio, ma le torce di fuoco illuminavano il sentiero innevato. Kya prese a correre inspirando aria fredda mattutina. Corse sempre più veloce. Tutto si fece più definito. Sapeva che sarebbe successo. Gli occhi percepivano ogni movimento, il naso ogni odore e le orecchie ogni suono. Si scrollò il freddo di dosso e continuò a correre, sempre più veloce. Sembrava fosse passato un animale. Si ritrovò davanti ad una pista da corsa. Le ossa si spezzarono e ritornarono quelle di un essere umano. Non c’era nessuno. Terra rossa circondava un enorme campo di erba verde. Dieci righe bianche attraversavano la terra rossa. Sul prato verde erano impiantati diversi attrezzi per la ginnastica artistica. Kya si strofinò le mani per il freddo e si mise al lavoro. Era sempre stata brava in atletica e ginnastica, forse dovuto al fatto che sua madre prediligesse felini di grossa taglia e fosse una dea della guerra rispettata. Con delicatezza salì sulla trave e respirò diverse volte. Si concentrò. S’immaginò delle frecce che le venivano addosso, come nella palestra della prova. I suoi sensi scattarono come quelli di un felino. Fece dei movimenti di cui neanche si credeva capace di fare. Arrivò alla fine della trave e tornò indietro con ruote e salti. Saltò dalla trave alle parallele. Si aggrappò con tutta la sua forza e prese prima ad oscillare e poi a ruotare attorno all’asta. Saltò anche sull’altra e continuò a roteare. Aveva bisogno di staccare il cervello per un attimo e non fare altro che qualcosa che non la portasse alla sofferenza. Sapeva che il suo sogno, l’avrebbe portata lontano da tutti: da suo padre, dai suoi amici, dalla sua nuova casa e da tutto ciò che conosceva. Si gettò dalla parallela più alta alla trave. Era strano come tutto era diventato più chiaro da quando aveva scoperto di essere una semidea e aveva preso la cosa con filosofia. Aveva dato una spiegazione ai suoi capelli rosa e ai suoi occhi viola, al motivo per cui non aveva una madre, a perché suo padre l’aveva costretta a vivere a Pierre per tutta la vita e perché aveva quelle capacità che aveva sempre nascosto, ma che, quando stava in casa, da sola, usava senza ritegno. Scese dalla trave e si asciugò la fronte da quel po’ di sudore che aveva. Guardò il grande spazio che la circondava. Gli spazi erano vuoti e così anche il resto degli attrezzi e della pista. Non sapeva come fosse il campo durante la giornata. Non aveva avuto il tempo per vederlo veramente.
-Sei brava- commentò una voce maschile. Dall’angolo dietro il muro uscì Jacob. Si era messo una felpa bianca del campo, dei pantaloni da militare, la fascia rossa intorno al braccio e delle scarpe da ginnastica. Gli occhi brillavano ancora. Le sorrise.
-Grazie- rispose lei sorridendo debolmente. Le dava fastidio essere osservata, perché voleva dire esporsi, ed esporsi voleva dire che sapevano dove era il tuo punto debole.
-Ti va di correre assieme? Tutto è valido, tranne le armi.
-Ehm… okay.
Jacob si sistemò al numero uno e Kya al due. Si sentì un bip e i due scattarono in avanti. Correvano contro il vento. Veloci come nessun altro. Sentì le ossa spazzarsi. Si chinò e si ritrovò a correre su quattro zampe. Veloce. Più veloce del vento. Percepì Jacob avvicinarsi correndo. Non fece in tempo a scattare, che Jacob le fu addosso. L’atterrò, mentre lei si dimenava tornata umana. Gli mise i piedi alla base dello stomaco e gli diede una spinta verso l’alto che lo fece cadere a terra. Si alzò e prese a tirare calci a Jacob che schivava come una macchina da guerra. Lo colpì alla faccia, mentre lui la colpì allo stomaco. Kya afferrò il pugno di Jacob e girò la mano. Quello si piegò dal dolore, mentre la ragazza gli tirava una ginocchiata nello stomaco.
-Okay- mormorò il ragazzo- Hai vinto.
Kya sorrise vittoriosa. Gli occhi brillavano di una luce maligna. Si chinò e si sedette per terra. Jacob si mise accanto a lei e le chiese:-Quindi sei… un felino?
-Non credo sia così- rispose Kya giocando con i capelli che scendevano fino a metà schiena anche legati- Credo che sia un qualcosa che appartenga a mia madre. Credo che abbia la possibilità di trasformarsi un felino e io ho acquisito in parte questa abilità. Comunque, tu sei Jacob e basta. Non so nulla di te mentre tu sembri sapere ogni cosa.
-Mi chiamo Jacob Warpon. Ho diciannove anni. Vivo qui. Mio padre è Utu, dio della giustizia e del sole. Non ho fatto molto da quando sono al campo. Sono arrivato qui quando ero veramente piccolo. Avevo dieci anni. Mia sorella sei.
-Kristen?- domandò Kya sperando di ottenere una risposta negativa. Jacob era simpatico, ma Kristen non lo era per nulla. Come si era comportata la mattina precedente, le fece salire la rabbia e la voglia di prendere a pugni quella gallina.
-Si, lei- rispose Jacob- Poi non c’è molto da raccontare.
Kya annuì, preferendo non insistere con il ragazzo. Avrebbe peggiorato solo la situazione e non sarebbe riuscita mai ad uscire dal campo. Doveva partire, o la guerra sarebbe scoppiata da lì a breve. Una guerra tra Dei. La Terra sarebbe stata il campo di combattimento e loro avrebbero dovuto schierarsi. Doveva uscire e recuperare ciò che sua madre le aveva detto. In più, come se non bastasse, doveva cercare una ragazza dai capelli biondi e un ragazzo moro che erano chissà dove.
-Andiamo, ormai la colazione sarà già in tavola.
James s’alzò e camminò verso l’uscita, diretto verso la mensa. Kya lo seguì poco dopo. Camminarono senza parlare. Il sole illuminava un poco il cielo e i suoi raggi colpivano la ziggurat, che faceva ombra sulla neve e sulle case poco distanti. Alla mensa la colazione era già sulla tavola. Pancakes, biscotti di cioccolato, torta alle mele e vasi di cereali imbandivano le tavole insieme a caffé, tè, cioccolata calda e latte. Alcuni ragazzi erano già a fare colazione. Kya individuò una testa castana, al tavolo della Casa 2. Il cuore prese a battere con ritmo. Lentamente s’avvicinò e toccò la spalla del ragazzo. Incontrò due occhi color smeraldo. Sorrise, contenta di rivedere la prima persona che aveva conosciuto al campo: James. Era stato quello più sincero e si era affezionata a lui nonostante qualche problema. Lui s’alzò e la stritolò tra le sue braccia. Odorava di Cannella e limone, un abbinamento strano, ma piacevole.
-Dove sei stata? Ti ho cercato ovunque!- esclamò James cogliendo l’abbraccio. Kya arrossì un poco contenta del fatto che James si stesse preoccupando per lei.
-Era con me- rispose Jacob da dietro di lei. James storse il naso e per un momento Kya percepì la tensione che vi era tra i due. James e Jacob si fissavano con odio, lanciandosi sguardi di fuoco, e la ragazza era in mezzo a quel fuoco.
-Ora che hai salutato l’amico possiamo andare?- chiese Jacob- Avrei fame.
-Un attimo Jacob. Solo un minuto- disse per poi rivolgersi a James e sussurrandogli- Vieni alla ziggurat okay? Ti aspetto lì tra un’ora okay. È una cosa importante.
James annuì e le baciò la fronte. Kya lo salutò con la mano per poi sedersi accanto a Jacob che aveva già servito i pancakes e li guardava con sguardo assassino.
 
James era davanti alla ziggurat da parecchio. Aveva svolto due cose alla Casa 2, poi si era diretto al luogo d’incontro. Kya non era ancora arrivata. Chissà cosa voleva quella ragazza e perché l’aveva chiamato con così tanta urgenza. La vide arrivare da lontano con Anne e degli zainetti in mano. James andò subito in panico. Aveva capito che voleva fare quella ragazza. Più o meno.
-James- sorrise Anne- Pronto?
-Per andare dove?- domandò lui mentre con gli occhi domandava alla ragazza dai capelli rosa. Erano legati in una coda alta che si arricciava su se stessa. Gli occhi viola erano accerchiati da occhiaie profonde quanto il mare.
-Abbiamo due missioni: trovare Zoey e Logan e salvare il mondo. Per fare tutto ciò staremo via molto. Trovata Zoey, penseremo a salvare il mondo. Una pergamena perduta. A quanto pare può aiutarci a salvare il mondo. Tutto ciò molto in fretta. Sai cosa succede se si accorgono della nostra assenza.
Jacob le guardò male, poi vide gli occhi imploranti di Kya, e decise. Avrebbe trasgredito alle regole per lei. Avrebbe fatto ciò che era giusto. Sin dal primo momento aveva sostenuto che la scomparsa di Logan era un brutto segno e che era necessaria un’impresa. Così decise. Afferrò uno zainetto e domandò:-C’è tutto?
-Si, li abbiamo preparati ieri sera nella confusione- rispose Kya. James annuì poi disse:- Va bene, partiamo. Seguitemi.
 

Angolo Autrici
Siamo scomparse, ma siamo vive. Ora, dopo aver partorito ben cinque capitoli di questa stupenda *tossiscono* storia, siamo giunte al bimbo bello (che sarà poi dal sesto capitolo). Per quanto riguarda gli Eroi dell'Olimpo sono in correzzione, ancora, ma torneranno pimpanti e pronti a salvare il mondo. Anyway, speriamo entro il capodanno di scriverne altri di capitoli, ma non garantiamo. Per quanto riguarda questo, non succede molto. Abbiamo una Kya che accetta di essere una semidea, un Jacob che avrà un ruolo importante verso la fine e un James che, anche se non lo vuole ammettere e non ha intenzione di rivelarlo, gli piace molto la ragazza.
Detto ciò, buon natale a tutti.

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Capitolo 24
*** FUGA ***


FUGA
Camminarono fino al confine del campo, veloci con gli zaini nascosti sotto i cappotti invernali. Veloci e senza farsi notare attraversarono il campo. Arrivarono in cima alla collina. Fu in quel momento che l’allarme partì. Si guardarono alle spalle, vedendo già ragazzi armati venirgli dietro.
-Correte- mormorò James. Iniziarono a correre lungo il fianco della collina. L’esercito li seguiva, poco distante. Corsero verso la base della collina con i rami degli alberi che li colpivano e la neve che li faceva scivolare.
-Non riusciremo mai a scappare. Ci inseguiranno fino a che non ci prenderanno e giustizieranno- urlò Anne- Dobbiamo fare qualcosa.
-Andate avanti voi- disse Kya- Ci penso io. Se catturano me non sarà del tutto perso. Se catturano voi si. Andate. Nascondetevi nel bosco. Io vi raggiungo.
-Sicura?- domandò James- Sono in tanti, forse è meglio che ci pensiamo io e Anne.
-Andate!
Kya si fermò e si voltò verso l’esercito. Voleva diventare un animale, un grande animale. Un felino. Le ossa si ruppero e mutarono. Corse verso l’esercito. Saltò loro in braccio. Con la coda ne colpì altri. Non voleva fare loro del male, ma sapeva, che se non l’avesse fatto, li avrebbero seguiti fino alla morte. Saltò in avanti e ritornò umana. Si tolse l’anello e lo trasformò in un arco. Tese la corda e la lasciò. La freccia sfiorò il braccio di un soldato. Tese altre volte la corda andando a colpire qualche ragazzo. L’attaccarono alle spalle. L’arco mutò in un pugnale. Si mosse velocemente. Colpì le gambe del suo assalitore e gli piantò il gomito dello stomaco. La belva che c’era in lei stava uscendo. La parte cattiva di lei, quella che vuole fare del male, stava uscendo. Un pugno in faccia e un calcio negli stinchi, il pugnale che si muoveva a razzo era tutto quello che vedeva con i riflessi a mille. Il suo assalitore parava i colpi come una macchina da guerra. Quando la spada dell’assalitore la colpì in volto graffiandole sotto l’occhio, non capì più nulla. Ringhiò poi corse verso l’assalitore. Il pugnale era stretto nella mano e nell’altra artigli da leonessa erano già formati. Saltò e colpì in faccia l’assalitore, che cadde a terra. Kya s’avvicinò con il pugnale nella mano. Si trasformò in una spada dalla lama nera. La puntò al collo del ragazzo. Era uno dei Maestri. Forse quello dalla Casa 4.
-Quali sono i tuoi piani Kya?- domandò una voce dietro di lei. Jacob era lì che la fissava con la lancia puntata contro altri due ragazzi.
-Salvare il mondo, i miei amici e il campo- rispose secca mentre fissava il ragazzo a terra.
-Non puoi vincere da sola, lo sai vero?
-Lo so, ma devo provarci Jacob. È l'unico modo che ho per riavere la mia vita- spinse il ragazzo che aveva la sua spada alla gola, per terra.
-Avremo tutti contro- mormorò triste Jacob- Vengo con voi. Avrete bisogno di me. So dove potrebbe essere diretta Zoey.
-Non sono sicura che sia opportuno che tu venga.
-Se non venissi sarei costretto a seguirvi e se fossi con voi non ci sarebbe un vero esercito a darvi la caccia.
Kya riflettè. Jacob era a capo della Casa 1, poteva guidare un esercito di veri guerrieri contro di loro. Però forse stava facendo tutto ciò solo per informare gli altri Maestri della loro posizione, ma allora perché non l'aveva ancora fermata? A che gioco stava giocando il figlio di Utu?
-D'accordo- disse- Ma tradisci la mia fiducia e non esiterò a farti fuori. È un patto Jacob.
Jacob annuì e con l'asta della sua lancia colpì i due ragazzi. Kya si trasformò nella leonessa. Fece cenno a Jacob di salire sulla schiena. Il figlio di Utu montò sulla sua schiena e Kya prese a correre. Annusò l'aria in cerca dell'odore di Anne e James. Trovò una traccia. Si sentì una smorfia di dolore e odore di sangue. Kya accelerò la corsa. Sapeva che Jacob era stato colpito. Erano veloci come il vento. Giunsero in in una grotta. Era lì che l'odore di James, quello su cui Kya si era concentrata, terminava. Ruggì e Anne e James uscirono dall' oscurità. Le loro facce erano stupite di vedere Jacob e Kya li capì. Jacob non era nei programmi. Lo fecero scendere dalla sua schiena e Kya ritornò ad essere umana. Jacob aveva un coltello conficcato nella spalla destra.
-Cazzo-mormorò Kya. James lo distese per terra, mentre Anne prendeva le medicine dallo zaino di James.
-Tenetelo fermo- disse James mentre prendeva il manico del coltello. Kya afferrò le braccia di Jacob mentre Anne teneva fermi i piedi. James estrasse il coltello e Jacob urlò dal dolore, poi il figlio di Bau prese ago e filo e iniziò a cucire la pelle del figlio di Utu. Jacob urlava e nella grotta le sue urla rimbombavano. Quando James ebbe finito, passò un bicchiere contenente un liquido verde a Jacob che per poco non lo fece cadere.
-Entro domani possiamo partire. Per sta sera dovremmo rimanere qui- concluse James. Guardò male Jacob e gli domandò:-Come mai sei qui?
-È stata una mia scelta James- gli rispose Kya- Può aiutarci. E poi, se fosse rimasto al campo lo avrebbero costretto ad inseguirci con l’esercito no?
-Kya ha ragione James- la difese Anne- Se Jacob fosse rimasto al campo lo avrebbero costretto a perseguitarci e sai che la Casa 1 risponde solo ai comandi del suo capo e a nessun altro.
James rimase in silenzio, poi mormorò un “vado a prendere della legna”. S’alzò e uscì dalla grotta. Kya lo fissò uscire con il cuore pesante. Le aveva rivolto un’occhiata carica di disprezzo prima di uscire e Kya si era sentita ferita. Perché a lei? Il cuore le batteva quando guardava gli occhi di James. Avrebbe voluto che la tenesse tra le sue braccia e le sussurrasse che andasse tutto bene. Ma era già impegnato con un’oca. Poi c’era Jacob che era stato gentile con lei da quando l’aveva conosciuta. Aveva degli occhi blu che erano magnetici, non come quelli di James, ma simili. Il fatto che quella mattina l’aveva seguita al campo da corsa, aveva dato il via ai suoi sospetti che aveva già confermato la sera prima, quando si era intromesso nella chiacchierata con Zoey e Anne e che, per tutta la sera, avesse lanciato occhiatacce ai ragazzi che si avvicinavano a lei e le era rimasto incollato per tutta la sera. Era stato gentile, forse più di James. Però, con James era diverso. S’incatenava a suoi occhi smeraldo e lui nei suoi ametista e non si lasciavano. Nonostante il loro rapporto era per la maggior parte costituito da battibecchi, la faceva sorridere e si era preso cura di lei dal suo arrivo al Campo Mesopotamia.
-A che pensi Kya?- domandò Jacob con un sorriso. Stava sudando e Kya sapeva che quel sorriso gli stava costando parecchia fatica. La figlia di Ishtar scosse la testa e si rivolse ad Anne:-Prenditi cura di lui Anne. Devo parlare un attimo con James.
Anne annuì. Kya s’alzò e si diresse all’uscita. Il sole le scaldava la pelle. Seguì le orme di James e lo trovò poco distante dalla grotta a raccogliere della legna. Era bello, tanto bello, anche mentre imprecava a bassa voce. Respirò profondamente e disse:-Possiamo parlare un minuto.
James si voltò verso di lei con gli occhi lucidi, aprì le braccia come per dirle di abbracciarlo. Kya non se lo fece ripetere due volte. Lo abbracciò di slancio e affondò il viso nell’incavo del collo del ragazzo. Inspirò il suo odore di limone e cannella. Lui le accarezzò i capelli con fare premuroso.
-Perché l’hai portato?
-Te l’ho detto.
-Dimmi la verità Kya. Ti piace Jacob, vero?
Kya sciolse l’abbraccio e scosse la testa ripetutamente borbottando dei “no”. Come poteva pensare che le piacesse in quel senso? Okay, forse era un pochino vero, perché comunque Jacob era un gran pezzo di ragazzo: biondo con gli occhi azzurri, gli addominali scolpiti e una premura infinita. Ma no, Jacob non era ciò che lei voleva. Sentiva che se si fosse messa con Jacob, sarebbe finita nel giro di poco. Non erano complementari. Jacob non era il suo opposto. Kya credeva nella legge fisica degli opposti che si attraggono.
-Come….- iniziò la ragazza- Non è vero che mi piace.
-Ma non ti è neanche indifferente- le disse James alzando di un poco la voce. Kya strinse i pugni e fece:- E se anche fosse? Chi sei tu per dirmi chi mi deve piacere e chi no?
-Sto cercando di aiutarti!
-Beh, non ti sta riuscendo bene, sai?
-Non lo conosci neanche Kya! Come può… piacerti? -Infatti non mi piace. Sei tu che tu stai inventando tutto ciò. Tu non sai nulla di me James.
Con gli occhi che piangevano, Kya si voltò e gli disse:- E io che pensavo...
-Kya, io non volevo.
-Però l'hai fatto- gridò per poi incamminarsi verso la grotta. Prima di entrare si asciugò le lacrime con un fazzoletto. Scostó l'edera che nascondeva l'entrata e notò Jacob che dormiva con la testa sopra la spalla di Anne che dormiva a sua volta. Sorrise a quella scena. Jacob e Anne erano carini assieme. Prese il suo zaino e ci frugò dentro. Non c'era nulla per passare il tempo. Sentì un botto poi. Scattò in piedi. Corse da Jacob e Anne mentre James piombava nella grotta dicendo:-Sono fuori.
Kya impallidì. Scosse violentemente Anne e Jacob intimandoli a svegliarsi. James raccolse gli zaini e li lanciò a Kya e Anne. Kya si svilò l'anello che si trasformò in una spada dalla lama color inchiostro. James e Anne sfoderarono le loro armi. Jacob aveva il braccio fasciato e sorretto da una bandana di Anne.
-Anne, sta con Jacob- ordinò Kya- Scappate verso la città. Poco più avanti ci deve essere una fermata degli autobus. Prendetelo e raggiungete la città. Lì sarete al sicuro.
-Non credo- disse James- Quelli fuori non sono i ragazzi del campo.
-E chi sono?
-James... Sono loro?- domandò Anne mentre sistemava la giacca. James annuì e Anne e Jacob impallidirono. Kya li guardava confusi. Poi il braccio dove quasi una settimana prima l'avevano ferita prese a bruciare. Si piegò in due tenendosi il braccio. James s'accovacciò accanto a lei.
-James...- mormorò Jacob mentre si chinava accanto al figlio di Bau. James storse il naso e disse:-Il sangue di Bernard era intriso di magia nera e veleno. Ha collegato il suo sangue con quello di Kya.
-Ma.. è impossibile. Non esistono più i maghi da un pezzo James!- esclamò Anne. James scosse la testa mentre la figlia di Assur strinegeva il manico della lancia. Il dolore aumentò.
-Non può combattere così- esclamò Jacob- James fa qualcosa.
James  frugò dentro la tesca del giubbotto e estrasse un sacchetto di cuoio legato con un nastro bianco. Lo aprì, afferrò il braccio di Kya e vi versò sopra una polvere bianca. Jacob e Anne erano a bocca aperta mentre osservano James recitare parole magiche e versare quella polvere bianca. Non pensavano che esistessero ancora i maghi. Erano scomparsi quando i Persiani avevano sconfitto i babilionesi. Era stata una grave perdita e dopo nessuno era più riusito ad usare la magia, fino a quel momento. Si sentì un ruggito, ma non era Kya. Probabilemte era un orso o qualcosa del genere.
-Bisogna combattere se vogliamo arrivare vivi alla fermata- commentò Anne- Jacob e Kya seguite il piano. Ci pensiamo io e James.
-No...- mormorò la figlia di Ishatr- Posso combattere. Manteniamoci al piano orginale. Io e James li distraiamo, tu e Jacob andate alla fermata. Io e James vi raggiungermo.
Nessuno obbiettò. I primi ad uscire dalla grotta furono Kya e James. Disposti a semicerchio vi erano una decina di persone incappucciate dagli occhi rossi come il sangue. Uno aveva uno squalo sulla guancia, mentre un altro aveva sulla fronte, in mezzo agli occhi, delle frecce che partivano dalla testa. Nessuno era armato. Al centro c'era un ragazzo con gli occhi più rossi degli altri, molto più alto e muscoloso. Kya riconobbe quei occhi rubino. Le sue gambe tornarono. Nonostante negli ultimi giorni avesse scoperto di possedere molto più coraggio di quanto immaginasse, vedere quei occhi color rubino, la facevano tremare. Era colpa di quell'uomo se ora lei non aveva più la sua vita normale.
-La ragazza, James- disse il ragazzo al centro.
-Non posso Bernard. Lo sai- rispose James estraendo la sua spada. Bernard inclinò la testa di lato:- Perché dobbiamo sempre combattere, James? Non puoi darmi ciò che voglio?
-Non la consegnerò a voi infida gente!
Bernard storse le labbra e, con un gesto che non videro, i ragazzi incappucciati li attaccarono. Kya colpì uno con un calcio e l'altro con un pugno. Sfilò l'anello e quello assunse la forma di un pugnale nero. Diede libero sfogo alla sua rabbia, o almeno ci provò. Quei ragazzi erano delle macchina da guerra: schivano e paravano con le loro spade tutti i colpi. Sembrano progettati solo per fare quello. Anne e Jacob intanto stavano correndo verso il limitare del bosco. Nessuno faceva caso a loro, mentre erano tutti concentrati su di loro. Kya lo sapeva che sarebbe successo. Aveva messo nello zaino di Anne un biglietto dove le parlava del suo ultimo sogno, quello della ragazza bionda, e le chiedeva di trovarla. Era stata una mossa azzardata considerando che forse ne sarebbero usciti vivi, ma sapeva che se fosse stato il contrario, Anne doveva portare alla fine la missione che Kya le aveva illustrato prima di partire, senza parlare del sogno. Kya scontrò più volte il suo pugnale con la spada di Bernard. James affrontava gli altri, muovendosi come un demonio. La maggior parte si era ritirata dopo essere stata ferita gravemente. Non erano scappati. Si erano dissolti. Quando Bernard rimase solo, decise di ritirarsi anche lui. Si smaterializzò davanti agl’occhi dei due semidei. Il respiro era irregolare e il cuore batteva come se volesse uscire dal petto e non tornare più.
-Dobbiamo raggiungere Anne e Jacob- ansimò James mentre rifoderava la spada. Aveva un taglio sul giubbotto e le ginocchia sbucciate. Kya annuì. Pesò al felino che era in lei e le ossa scricchiolarono. Cadde a terra e si allungò sugl’arti. James sorrise e disse:-Così sei molto più mansueta.
Kya ringhiò e il figlio di Bau alzò le mani in segno di resa. La figlia di Ishtar gli fece segno di montare sulla groppa e lui seguì gli ordini. Strinse il pelo della leonessa con tutta la forza che aveva mentre lei correva come il vento. Giunsero sul ciglio della strada e proseguirono sull’asfalto, verso la città. Pierre comparve all’orizzonte dopo una decina di minuti. Farm Island era lontano ora. Il campo con lei. Quando giunsero vicino alle abitazioni, Kya si fermò e James scese. La ragazza ritornò umana, con i capelli rosa che le scendevano sulle spalle in boccoli e gli occhi viola brillanti.
-Andiamo- ordinò. Camminarono per i quartieri di Pierre finché non giunsero sotto il palazzo del padre di Kya. Sapeva che Anne e Jacob erano lì. Aprì la porta del palazzo e si precipitarono al quarto piano. Spalancarono la porta del condominio. Anne e Jacob erano seduti sul divano. Anne teneva la testa di un omo in grembo. L’uomo aveva i capelli castani e ricci, gli occhi castani coperti da lenti squadrate. Il volto non presentava la barba. Portava una camicia azzurra macchiata di rosso, dei jeans scuri e le scarpe da ginnastica. Sopra la camicia c’era il camice da laboratorio. L’uomo ansimava e sputava sangue quando tossiva. Robert Coliwher era un uomo di scienza, bello da mozzare il fiato e intelligente.
-Papà- urlò Kya correndo verso il padre e accovacciandosi accanto al divano. Il padre le portò una mano alla guancia. Gli occhi castani erano tristi e ormai vuoti. Le lacrime rigarono il volto del padre mentre accarezzava la figlia e le diceva:- Ti cercano. Ti bramano, come i vampiri bramano il sangue. Lui ti brama. Non devono prenderti. Proteggetela. Lui si sta svegliando. Mio piccolo diamante, cerca Percy Jackson. Cercali. Digli che ti mando io.
La mano cadde dalla guancia della figlia. La figlia di Ishatr urlò. Gridò. Pianse. Pianse sul corpo del padre, mentre quello non la guardava neanche più. Gli occhi chiusi. Il petto che non si alzava e abbassava più. Il cuore che non batteva. Urlò. Pianse. Imprecò contro gli Dei. Perché non avevano salvato suo padre? Perché sua madre non l’aveva salvato? Perché suo padre? Era l’uomo più buono del mondo. Era l’unica cosa che gli rimaneva. Ora non aveva nemmeno lui. Non aveva più l’uomo che l’aveva portata al museo della scienza a Boston, non aveva più l’uomo che le leggeva la favole alla sera e non aveva più l’uomo che era tutto il suo mondo. Quel uomo la faceva sorridere in quei giorni no, le preparava le frittelle la domenica mattina e le faceva scegliere il film del venerdì sera. Ora aveva perso anche lui.
-Kya?- la chiamò Anne- Forse dovremmo…
La figlia di Ishtar si voltò verso gli amici e annuì. Anne, Jacob e James avvolsero il corpo di Rober in un lenzuolo. Salirono sul tetto e accesero una pira e gettarono il corpo nelle fiamme. James iniziò a cantare in una lingua antica. Una preghiera era. Anne e Jacob si unirono a lui. Le lacrime scorrevano sul volto della figlia di Ishtar e il trucco colava sul volto. James le afferrò la mano e le sussurrò:- Lo vendicheremo. Te lo giuro sul mio nome.
Kya annuì. Avrebbe ucciso chiunque avesse ucciso il padre. Sapeva che era sbagliato, ma solo così sarebbe stata in pace con se stessa. Ripensò a ciò che il padre aveva detto: la cercavano. Volevano lei, per un qualche motivo che non conosceva. Non si sarebbe consegnata a loro. Avrebbe lottato. Respirò l’odore del fumo della pira e la osservò spegnere. Avrebbe cercato Zoey e Longan, poi la pergamena e infine Percy Jackson. Il nome le era familiare. E poi ricordò…
-Ma certo!- esclamò- Percy Jackson...

Angolo Autrici
Buon Natale e Santo Stefano a tutti! (anche se in ritardo)
Comunqueee.... Semidei fuggiti, mondo in pericolo e Percy Jackson che salta sempre fuori come un fungo. Ammettiamolo, il fatto che Jackson salti fuori non è una novità, ormai è ovunque. Vi giuriamo che mentre scrivevamo della morte del padre di Kya piangevamo. Voi non potete solo perchè non sapete che cosa è successo prima di quel giorno che cambiò la vita a Kya, ma presto scoprirete. Anyway, che cosa centra Jackson? Perchè Kya immaginava di essere già stata al Campo Mesopotamia? Tutto questo nel prossimo episodio.... A presto e buone vacanze...
Kiss,
Kya.

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Capitolo 25
*** CUGINI ***


CUGINI

-Quindi è... un cugino?- domandò Anne cercando di capire tutti i legami familiari dell'amica.
-È il cugino, Anne- rispose Kya- Mio padre non aveva altri fratelli o sorelle. La sua unica sorella era lei.
Indicò su una foto una ragazza dai capelli ricci e scuri. Era bella come una rosa rossa. Portava un bell'abito a fiori colorati. Il padre di Kya era accanto alla donna. Erano due gocce d'acqua. Gli stessi occhi blu e i capelli scuri, gli stessi lineamenti e lo stesso sorriso.
- Lui è l'unico cugino che ho. Se mio padre ci ha detto di cercarlo, vuol dire che è importante. Devo riunire la famiglia.
-La domanda è: dove si trova questo Percy e come mai lui è Jackson e tu Coliwher?
-Non lo so- rispose la figlia di Ishtar- Ma è legato al passato della mia famiglia e lo scoprirò non appena avremmo trovato Zoey e Logan e la pergamena. Per ora riposiamoci, domani sceglieremo dove andare.
Annuirono tutti e iniziarono a preparare i sacchi a pelo e la cena. Kya andò in camera sua. Le pareti erano bianche e il letto era addossato al muro a destra. Dal lato opposto c'era una finestra con le tende porpora, l' armadio era in mogano scuro tappezzato di poster e foto. Vi era la scrivania in mogano con sopra pile di libri di psicologia infantile e qualche spartito musicale. Nascoste dietro l'armadio, c'erano tre custodie di stoffa. Kya ne afferrò una e la scoperchiò. Erano ancora lì. Le corde di metallo partivano dal manico e terminavano al centro, passando sopra un buco. Il legno era chiaro. Kya ci passò la mano sopra, ricordando tutte le lezioni di chitarra. Disincastrò il plettro dalle corde e imbracciò lo strumento. La accordò come gli aveva insegnato Mark, il suo insegnate di chitarra, e iniziò a intonare note che si liberarono nella piccola stanza. Le note di Demons si fecero nella mente della ragazza. Nonostante rendesse meglio con la chitarra elettrica, anche con l'acustica non era male.
-Ehi principessa- la chiamò James- Vieni? La cena è pronta.
Kya alzò lo sguardo dalle corde e fulminó il ragazzo entrato nella stanza. Aveva bei occhi smeraldo che facevano contrasto con i suoi capelli castani. Perché non era un cesso di ragazzo? Perché non aveva la faccia coperta di brufoli e terribili nei marroni?Perché doveva essere così... non trovava neanche una parola per definirlo.
-Allora?- domandò James sorridendo- Vieni o pensi di rimanere incollata alla chitarra per il resto della tua vita?
La figlia di Ishtar strinse a se la chitarra. Il figlio di Bau s'avvicinò e prese la chitarra dalle mani della ragazza, la mise nella custodia e la richiuse. Si chinò e afferrò la ragazza per la vita mettendosela poi sulla spalla come un sacco di patate. La figlia di Ishtar prese a dimenarsi come un'anguilla in preda ad un attacco isterico.
-James lasciami!- urlò Kya scalciando e battendo i pugni contro la schiena del ragazzo. Il figlio di Bau la mise su una sedia delle sedie intorno all'isola della cucina. Anne e Jacob erano già seduti a tavola e mangiavano cheeseburgers grandi quanto sempre e ridevano sotto i baffi. James le appoggiò una ciotola d'insalata davanti e lei afferrò la forchetta posata sopra al tavagliolo di carta. James si sedette accanto a lei e afferrò un cheeseburger dal piatto centrale. Kya lo guardò in cagnesco.
-Domani partiamo all'alba- disse Jacob- Anne ha tracciato una pista sui movimenti di Zoey. Ha usato il cellulare per chiamare un numero sconosciuto. Inoltre, ha prelevato dei soldi e con la carta di credito ha pagato un motel fuori Boston
-È già a Boston?!- domandò Kya stupita, poi indicò Anne- Come cavolo hai fatto a trovarla?
-Si, è a Boston- rispose James- E poi Anne è un hacker fantastico. Devi vederla un giorno.
Kya sorrise ad Anne e quella divenne rossa in faccia. Anne era la sorella che non aveva mai avuto. Zoey era la sua migliore amica, ma non parlavano di ogni cosa. Con Anne era diverso. Da quando era giunta al campo, aveva parlato con la figlia di Assur di ogni cosa. Lei l'aveva aiutata a comprendere la sua semidivina. Zoey era scomparsa intanto, non preoccupandosi di lei. Si sentiva presa in giro. Zoey non l'aveva neanche avvertita. E dire che erano migliori amiche.... Finirono di mangiare e sparecchiarono. Jacob si gettò sul divano e s'addormentò a tempo di record. Anne si rifugiò in bagno con dei vestiti di Kya a farsi una doccia. James si nascose nel laboratorio di Robert Coliwher e Kya nella stanza del padre. Si gettò sul letto e ispirò il profumo del padre. Gli occhi si bagnarono e lacrime umide e salate presero a scendere e a rigarle le guance. Il padre che aveva sempre amato, ora non c'era più. Jacob le aveva raccontato che quando erano giunti a casa sua, il padre stava affrontando dei mostri da solo. Erano intervenuti tardi. Suo padre era morto colpito da stupidi mostri. Non erano riusciti a salvarlo. Sentì una mano accarezzarle la schiena. Riconobbe il tocco leggero del ragazzo. Era una droga ormai, ma non l'avrebbe mai ammesso.
-Mi dispiace per oggi- disse James accarezzandole i capelli rosa sciolti in ricci scomposti. La ragazza singhiozzò sul cuscino sopprimendo il loro suono.
-James- disse un'altra voce maschile, solo più profonda e leggermente metallica- Non ha bisogno del tuo conforto.
-E chi te lo dice Jacob?
-Lasciala stare James, non crearle ulteriori sofferenze. Ricordati mia sorella.
-Stai zitto Jacob! Non hai voce in capitolo! Ti devo ricordare anche i loro nomi: Marlen, Audry, Stephanie, Jean... Vuoi che continui?
-Basta!- gridò Anne piombando nella stanza come un uragano- Non vedete che sta male! Siete dei cretini. Uscite immediatamente!
Anne era arrabbiatissima. Aveva gli occhi d'oro che brillavano di una luce omicida. I due ragazzi, senza protestare, uscirono dalla porta. Anne li seguì mormorando mille volte scusa. Kya s'addormentò raccontandosi le storie che le raccontava suo padre.

Una ragazza dai capelli castani e occhi d'oro era davanti a lei. I capelli erano legati in una coda, gli occhi accerchiati da profonde occhiaie e il volto rigato da tagli. Era minuta. Le gambe erano strette al petto e testa appoggiata al muro. Era tutto buio. Solo la luce della luna permetteva a Kya di guardare la ragazza che ora piangeva.
-È tenuta prigioniera- disse una voce calda femminile. Kya si voltò e incontrò il volto della madre. I capelli biondi erano raccolti in una treccia e gli occhi viola erano truccati con polvere argentea. Aveva un vestito corto, che arrivava al ginocchio, e sandali. In vita la solita schiera di pugnali e sulla spalla arco e frecce, la facevano sembrare un'amazzone.
-Lei è... una persona importante per la tua missione successiva.
-Chi è?
-Non posso dirtelo. Ci sono cose che devi scoprire da sola. Devi trovarla prima dell'ultimo del mese, oppure sarà tardi per lei- Ishtar fissò la ragazza preoccupata.
-Madre- disse Kya- Cosa c'entra mio cugino, Percy Jackson?
-Lui è un semidio, mia cara- rispose la dea- Un semidio greco. È fondamentale che tu lo trovi. Lui è già partito per fermarlo. Tu dovrai fare altrettanto. Dovrai partire, aiutarlo e compiere il tuo destino.
-E se fallissi?
-Non è nelle opzioni, figlia mia.
Kya guardò la ragazza. Stava soffrendo da sola. Provava pena per quella ragazza dai occhi d'oro. Era sola, ad affrontare un qualcosa che la teneva in gabbia. Era terribile, forse di più che partire per una missione suicida per cercare un'amica che non ti aveva avvertito della sua partenza. Rimasero in silenzio a guardare la ragazza. Kya si decise a rompere il silenzio. Quella domanda avrebbe segnato il rapporto tra lei e sua madre.
-Papà sapeva tutto?- domandò Kya- Sapeva che tu...?
-Robert sapeva tutto. Vedeva attraverso il Velo, un potente strato di magia che divide i mortali dal nostro mondo. È una caratteristica di famiglia, Kya. Anche tua zia Sally ci riesce, è quello che ha attratto il padre di Percy e che ha catturato me.
A Kya tornò in mente il volto di zia Sally. Bei occhi blu che cambiavano con la luce del sole, i capelli ricci che le ricadevano ai lati del volto e il sorriso. In casa sua c'era sempre l'odore di biscotti al cioccolato. Poi c'era Percy, un bambino con un anno in più di lei, coi capelli neri sempre scompigliati, gli occhi di un verde intenso, come il mare, e il pigiama blu con i pesci. Dopo quel giorno, non l'aveva più rivisto. Era stato parecchio tempo fa, quando lei aveva tre anni, forse quattro. Era il giorno del ringraziamento e stavano festeggiando con il tacchino cucinato da Sally e la cheesecake di Robert. Erano di buon umore. Lei e Percy giocavano a farsi il solletico a vicenda. Attaccarono all'improvviso. Una donna con la coda di serpente e il corpo da donna e un mostro con fattezze di un enorme rapace e la testa di leone avevano deciso che avrebbero attaccato. Sally e Robert si erano parati davanti a loro con spade di bronzo nero. Avevano combattuto, ma i demoni li avevano battuti con poco. Percy l'aveva spinta dietro di lui, poi aveva urlato e gridato aiuto. Le bottiglie sul tavolo erano esplose e avevano inondato i due demoni, distraendoli per quel poco che bastava a Sally e Robert di trapassarli con le spade. Erano diventati polvere, poi, e si erano dispersi nell'aria. Sally li aveva abbracciati entrambi. Sciolto l'abbraccio, avevano parlato, i due adulti, e, alla fine, Kya e Robert presero le loro valige, cambiarono nome e si trasferirono a Pierre, come se Robert e Kya Jackson non fossero mai esistiti a New York. Non aveva più visto suo cugino e sua zia da quel giorno. Robert poi l'aveva portata da un dottore e lui le aveva tolto tutti quei momenti passati a New York. Ora erano ritornati, quei ricordi rubati che tanto aveva cercato.
-Perché non me l'ha mai detto?
-Perché non voleva lasciarti andare. Sapeva che eri fondamentale, ma non volle comunque. Voleva solo passare con te tutto il tempo necessario, finché non saresti stata obbligata ad andare al campo. Quando sei un semidio e giungi al campo, non puoi più tornare indietro.
-Percy è un semidio, perché non è al campo?
La ragazza scomparve e tutto prese a ruotare. Una collina, una fattoria e dei campi di fragole. La sabbia e il mare poco lontani. Kya riconobbe il luogo: Long Island. Ragazzi con una stramba maglietta arancione comparvero dal nulla. Scappavano. Erano muniti di archi, spade e lance. Una biga volò in cielo, trainata da cavalli alati.
-Sono pegasi?- domandò Kya cercando qualcosa di razionale a cui aggrapparsi per capire di non essere in un sogno. Beh, tecnicamente lo era, ma sapeva che quella scena stava realmente accadendo. Aveva bisogno di aggrapparsi a qualcosa di vero.
-Esatto, ma non ti ho portato qui per ammirare i cavalli alati- rispose Ishtar- Leggi le loro magliette, figlia.
Un ragazzo biondo correva verso di loro. Si concentrò sulla scritta sbiadita della maglietta. Era quasi illeggibile, ma con un po' di concentrazione riuscì a leggere: "Campo Mezzosangue"
-Ricordalo- le disse la dea- Dimenticatelo e non arriverai mai a tuo cugino. Ricordatelo.
Kya annuì con vigore. Tutto prese a sbiadire e Kya cadde in un pozzo nero.

Si svegliò mentre cadeva in quel pozzo nero. Sbatté gli occhi diverse volte e si mise a sedere. Parole come "Campo Mezzosangue", "Percy", "Cercare" e "Destino" vorticavano nella sua testa come se fossero in un uragano. Scese dal letto e si diresse in cucina. Jacob era già a fornelli che preparava la colazione e Anne e James stavano sistemando gli zaini per partire. Salutò e si sedette a tavola. James si mise accanto a lei e Anne dall'altro lato del tavolo. Poco tempo dopo Jacob servì i pancakes, caffé e torta al cioccolato, succo d'arancia e arancia rossa zuccherata. In un lato del tavolo c'erano delle vaschette di plastica piene di cibo. Jacob le spiegò che aveva approfittato del frigo pieno per preparare qualcosa da mangiare. Kya annuì distrattamente mentre pensava a casa sua. Come avrebbe fatto a pagare tutto se suo padre non c'era più. Ormai lei doveva rimanere al Campo Mesopotamia e la casa non le sarebbe servita a molto.
Senza proferire parola andò in bagno. Anne scosse la testa e i due ragazzi la guardarono male. Allora lei sbuffò e disse:-Non insistete con lei. Sta affrontando tutto con tutta la forza che ha, ma non le basta. Nel giro di una settimana ha scoperto di essere una semidea, sua madre è praticamente una dea amorevolmente assassina e ha perso il padre. Sta passando un momento difficile e voi che fate i...mortali davanti a lei non aiuta.
-Per tutti è stato difficile accettare tutto Anne- le disse Jacob sorseggiando il succo all'arancia. Anne gli cacciò un'occhiataccia:-Sua madre è lei, Jake! È la dea maledetta!
-Anne forse non era il caso di urlarlo ai quattro venti- commentò James. Anne lo guardò male. Okay, quei occhi color oro erano inquietanti.
-Stai zitto James- gli ordinò la figlia di Assur-Questa è una cosa importante Jacob! Sta passando un momentaccio e voi le girate attorno come mosche tze tze. Siete terribili.
James e Jacob abbassarono gli occhi. Anne aveva ragione, forse. Sparecchiarono e lavarono i piatti. Quando terminarono, Kya era in camera sua, sdraiata sul letto a guardare il soffitto. I capelli rosa erano pendenti dal materasso e così i piedi dal lato opposto. Anne si sdraiò accanto a lei e disse:-Siamo pronti.
-Arrivo- rispostfe piatta la figlia di Ishtar. Anne annuì e domandò:-È interessante il soffitto?
-Neanche un po'.
Scoppiarono in una risata. Anne era stanca di fare la dura con era abituata a fare. Al Campo Mesopotamia, se non ti facevi rispettare, eri sempre l'ultimo a mangiare a mensa e il primo a finire con la testa nel water. Anne  era stata riconosciuta da Assur appena entrata al campo e questo l'aveva aiutata parecchio. Tutti conoscevano Assur come il dio della guerra.
-Dai andiamo!- esclamo Anne affarrando Kya per il braccio e trascinarla in salotto. James e Jacob erano già pronti con i giubbotti e gli zaini. Kya e Anne indossarono i giubbotti e si misero gli zaini in spalla. Kya mise le chiavi in tasca e guardò per un'ultima volta la casa in cui era cresciuta. Uscirono dal palazzo. L'aria gelida li colpì in faccia. Alcune lucine di Natale erano accese. Giunsero alla fermata fermata degli autobus e quello arrivò subito. Salirono sull' autobus e timbrarono il biglietto. Andarono a sedersi in fondo al bus. Kya guardava fuori dal finestrino. Non sapeva dove l'avrebbe portata quell'autobus. Boston era lontano. Parecchio. Perché Zoey stava andando là?
-A cosa pensi, principessa?- domandò James seduto accanto a lei. Kya alzò le spalle:-A nulla.
James annuì e estrasse un libro dallo zaino. Jacob dormì tutto il viaggio e Anne passò il suo tempo con le cuffie, lasciandola sola ai suoi dubbi. Di dormire non se ne parlava, di leggere neanche e di ascoltare la musica neppure. Appoggiò la testa al finestrino e attese.

Giunsero a Boston la sera tardi. Ormai era ora di cena, così si ritrovarono in un parco pubblico a mangiare il cibo che Jacob aveva preparato quella mattina. Non parlarono molto. Anne era quella più allegra e nessuno ne capiva il motivo.
-Allora miei carissimi eroi- disse Anne- Zoey si sta spostando verso sud. Domani dovremmo seguirla, non abbiamo altra scelta. Mi scoccia seguirla come un cane, sapete?
-Dai Anne!- esclamò James- Sorridi alla vita.
Anne sorrise come una malata mentale. Jacob annuì e commentò:-Dovremmo trovare un posto dove dormire. Per la strada non mi sembra opportuno.
-Per la prima volta, sono d'accordo con Jacob- disse James alzandosi. Raccolse le cartacce e le buttò nel cestino poco lontano. Intanto, gli altri avevano radunato le loro cose. Si diressero verso il centro di Boston. James guidò il gruppo attraverso i vicoli e alla fine giunsero in una casa disabitata. Jacob li condusse dentro. C'erano polvere e ragnatele ogni dove. Salirono una rampa di scale in legno che scricciolò mentre salivano. Il corridoio era piccolo e stretto. In fila indiana passarono e giunsero in una delle tre stanze. Era spoglia, con le pareti bianche e polvere e ragnatele ovunque.
-Per sta sera potremmo rimanere qui- disse Jacob- È la casa di un mio amico... Cioè era...
-Si può fare- commentò Anne entrando e posando il suo zaino da una parte. Sfilò il sacco a pelo e lo stese per terra. Controllò qualche volta un tablet trasparente, poi si addormentò. James rimase sulla porta tremando.
-Tutto okay Jamie?- domandò Jacob sorridendo. James grugnì e rispose:-Tutto okay, Jake.
Jacob si coprì la testa col sacco a pelo e si mise a dormire. James stava in centro alla stanza a fissare i suoi amici che si sistemavano nei sacchi a pelo. Poteva sopportare di tutto tranne quei insetti a otto zampe.
-Hey James- disse Kya distraendolo dal suo piano di evasione- Paura dei ragni?
James annuì e la figlia di Ishatr sorrise:-Vieni qui. Ti insegno un trucco.
Il figlio di Bau andò a sedersi accanto alla ragazza. Lei gli sorrise e lui per poco non l'abbracció, come quel giorno alla mensa, due giorni prima.
-Allora, devi pensare che non ci siano- disse lei- Poi chiudi gli occhi e ti immagini un qualcosa di bello.
-Non sono sicuro che possa funzionare- commentò lui. Lei appoggió la testa alla spalla del ragazzo:-Se non ci credi tu per primo non ci riuscirai mai.
-Scusa per ieri e tutti gli altri giorni della settimana in cui mi sono comportato da...
-Idiota?
-Si, esatto. Mi dispiace.
La ragazza annuì e poi chiuse gli occhi. James si sorprese del fatto che fosse rimasta lì, con la testa appoggiata alla sua spalla. Non avevano mai avuto un rapporto così, nonostante si conoscessero da poco. Avevano passato una notte assieme in infermeria, certo, ma non era successo nulla ti così intimo. Stava cambiando il loro rapporto. Stava nascendo qualcosa. Forse la profezia si sarebbe avverata molto prima del dovuto. Ma era ancora tutto in ballo.

Angolo Autrice
Buongiorno grande popolo di EFP. Applauditeci perché in tre giorni abbiamo scritto un capitolo che per riusciamo a pubblicare solo ora. Applausi per noi.
In questo capitolo c'è poca action, ma dovevamo prendere questo capitolo per dare una qualche spiegazione. Kya fa i conti con un passato che le avevano tolto. Il fatto che lei e Percy fossero cugini ci è venuto in parte mentre studiavamo una biologia e l'altra francese e in parte mentre leggevamo Magnus Chase e gli Dei di Asgard: il martello di Thor (anche se nessuna delle due lo ha ancora finito). Comunque, abbiamo immaginato che anche Percy fosse stato sottoposto allo stesso trattamento della cugina, ma non lo avesse ancora scoperto e questo spiegherebbe il fatto che non se ne parla nei libri. Anne è il nostro personaggio preferito. La ragazza bruna non vi possiamo dire chi è. James è un bignè al cioccolato sappiatelo, ma ha questa armatura che non può, per ora, abbandonare. Solo per curiosità (abbiamo già le idee chiare) chi shippate?
1)James/ Kya
2)Jacob/Anne;
3)James/Kristen;
4)Jacob/Kya;
5)Zoey/Logan
Siamo troppo curioseee, quindi se ci volete bene ce lo scrivete :-)
Detto ciò. Auguriamo a tutti una buona giornara e vi lasciamo con una promessa: vi scriverò un capitolo il 31 sera e alle 00.00 (se riusciremo perchè siamo entrambe via) ve lo pubblicheremo. Siamo  brave persone? Molto.
Adios carissimi.
Kiss,
Kya

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Capitolo 26
*** VERSO GLI INFERI ***


VERSO GLI INFERI

Questo capitolo lo dedico a mia sorella, che il primo gennaio è nata facendo patire sofferenze a mia madre. Lo dedico a lei come regalo perché è lei che ha immaginato Kya, James, Zoey, Jacob e Logan sotto mia richiesta.
Grazie mille sorellina perché credi in loro.

Correva nell'ombra, come una sottospecie di Batgirl. Era difficile stare dietro a quel dannato toro. Si trovava nel New Jersey, ormai era vicina alla sua meta. Seguiva quel toro dalla bellezza di quattro giorni e ormai era stanca. Non le erano mai piaciuti i tori e le mucche. Le ricordavano gli anni passati in Kansas con la madre. Erano stati terribili. Era scappata con Jo da quella casa ed erano arrivate al campo. Jo poi era morta. O almeno così credevano gli altri. Lei sapeva che non era così. Corse più forte. Il toro era poco distante. Forse l'avrebbe portata nel luogo che voleva.

Si svegliò con due occhi verdi che la fissavano. Perché dovevano fissarlo sempre.
-Quando dormi stavi- sorrise James incrociando i suoi occhi ametista. Kya fece una smorfia e rispose:-È una cosa di famiglia.
James sorrise e le accarezzó i capelli:-Mi sa che è una cosa solo tua.
Kya gli fece la linguaccia e si spostò dalla spalla del figlio di Bau. Doveva scostarsi da lui prima di fare un qualcosa di cui si sarebbe amaramente pentita quando Kristen l'avrebbe scoperto. Non le faceva paura quella ragazza, ma temeva che la ragazza sarebbe stata male. Parecchio male. Non voleva che lei soffrisse. Aveva visto suo padre soffrire quando Ishtar l'aveva lasciato e non voleva che accadesse lo stesso a Kristen. Nonostante avessero avuto un incontro a dir poco sgradevole, non voleva farle del male. Anche se, doveva ammetterlo, quelle labbra rosa l'attiravano come una calamità.
-Mi stai fissando- commentò James eliminando quel silenzio che si era creato. Kya distolse lo sguardo con le guance rosse. Perché le sue emozioni sembravano amplificate quando stava con lui? Perché? Dannazione.
-Tu stai fissando me, James- ribattè la ragazza dandogli un pugno sulla spalla.
-Può darsi- rise il figlio di Bau battendole la mano sulla testa. Kya gli fece una linguaccia. S'alzò, si scrollò i vestiti e domandò:- Anne e Jacob?
-Anne è a fare la guardia- rispose lui- Jacob è andato a comprare delle ciambelle, il caffè e i biglietti per Atlantic City. Zoey sta andando là.
-Perché? Che cosa sta cercando?
-Non lo so. Probabilmente Logan. -E se stesse cercando qualcos'altro? O qualcuno.
-Impossibile- commentò Anne entrando nella stanza-Ha perso tutto. Madre e sorella. Per quanto riguarda il genitore divino... beh, nessuno ha avuto mai avuto fortuna su quello. Solo Logan è rimasto con lei.
-Zoey ha commesso molti errori nella vita Kya- commentò Jacob. Entrò anche lui nella stanza con un sacchetto di carta e un cartone con bicchieroni sopra. Appoggiò per terra i bicchieroni e aprì il sacchetto. Passò a Anne un croissant alla crema con pasta integrale e quella prese a divorarlo come se non mangiasse da giorni. La cosa era assai inquietante. James sbranò una fetta di torta al cioccolata e Jacob una torta di arance. Kya li osservò mangiare come animali la loro colazione altamente disgustata.
-Mi fate schifo- commentò Kya con una smorfia. I tre la guardarono con le bocche piene e sporche e la figlia di Ishtar rise di gusto. Sembravano tre bambini della materna. Rideva perché sapeva che non ci sarebbero stati altri momenti così. Quell'episodio non sarebbe riaccaduto e doveva approfittarne, prima che scomparisse per sempre. Lo aveva imparato a due spese. La morte del padre era come una pugnalata al petto ogni volta che pensava. Le passarono una ciambella coperta di glassa al cioccolato e un cappuccino con panna, scaglie di cioccolato e cannella. Un grande modo iniziare la giornata. Finita la colazione, raccolsero le loro cose e uscirono dal palazzo. L'aria invernale di Boston li colpì in volto. Sentirono un rumore, come un'esplosione, proveniente da poco lontano e si misero a camminare con passo sostenuto verso la stazione della metro. Scesero e presero la prima metropolitana che passò. Il viaggio fu un inferno. La metro era stipata di gente che si faceva i cavoli propri. Di posti liberi non ce ne erano e furono costretti a viaggiare in piedi. Anne indossò subito le sue cuffie e nessuno la sentì per tutto il viaggio. Kya non riusciva a capirla. Era avvolta in una nube di mistero, ma riusciva a parlare con lei come se si conoscessero da una vita. Anne era così. Ti catturava con il suo carattere da ribelle. Jacob fu il primo a trovare un posto. Si sedette e non abbandonò il posto fino al termine del viaggio. Giunsero fuori Boston e presero il primo treno per Atlantic City. A metà del viaggio, il tempo cambiò. Le nuvole diventarono nere come il buio. Jacob alzò gli occhi dalle sue scartoffie quando le luci del treno s'accesero. Guardò fuori e lanciò qualche imprecazione. Scosse Anne e James con una tale violenza che Kya ebbe paura che gli stesse facendo male. Jacob indicò fuori dal finestrino e i due impallidirono.
-Cacchiarola- commentò James chiudendo il suo libro- Siamo fregati.
-Sareste così gentili da dirmi cosa sta accadendo per favore- disse Kya guardando le facce preoccupate degli amici. Anne sbuffò e rispose:- Siamo in pericolo. Presto ci raggiungeranno e noi saremo fregati nella maniera più assoluta. Ora, qualcuno ha un piano?
-Scendiamo dal treno e li affrontiamo- propose Jacob. Il figlio di Bau scosse la testa e fece notare che il treno stava andando troppo veloce e che se fossero saltati giù, si sarebbero rotti tutte le ossa e a quel punto, "loro" li avrebbero uccisi senza troppa fatica. Il piano di Jacob fu scartato.
-Dovremmo aspettare che siano loro a trovare noi- borbottò Kya- Saliamo sul tetto.
-Due sul tetto e due nel vagone. Li costringiamo a dividersi così- disse Anne. Annuirono. Afferrarono gli zaini e tirarono fuori le loro armi dalle lame nere come l'inchiostro. Corsero fino all'ultimo vagone. C'era solo un signore, forse un barbone, che dormiva su una poltrona. Provarono a svegliarlo, ma non ci fu verso, il barbone continuava a dormire. Jacob e James salirono sul tetto del treno, mentre le due ragazze rimasero giù. Attesero per quella che parve un'infinità di tempo, poi li sentirono arrivare. Erano in molti. Uno stormo. Spalancarono le finestre e chiusero a chiave la porta che conduceva agli altri vagoni. Il barbone lo sistemarono sotto al tavolo, augurandosi che non gli accadesse nulla. Entrarono. Anne imbracciò la sua lancia e iniziò ad uccidere senza ritegno rapaci grandi quanto leoni. Avevano il corpo di rapace, la testa di leone e le ali d'aquila. Kya imbracciò l'arco e ne tese la corda. Prese la mira e scagliò la freccia argentata. Ne colpì uno, quelli però comparivano e se ne uccidevi uno, sembrava che da quello se ne generassero due. Erano infiniti ed era quello che preoccupava la figlia di Ishtar. I demoni creavano folate di vento che impedivano alle due semidee di combattere, tanto che erano potenti. Ogni tanto Kya lanciava occhiate al barbone, sperando che non si svegliasse e che non venisse colpito. Con il coltello in mano, Kya si fece strada a colpi. Il fatto che quei demoni sembrassero immortali, non aiutava. Sentì le ossa spezzarsi e tutto diventò chiaro. Balzò in avanti con le fauci aperte. Staccò con un morso la testa di un demone e con gli artigli graffiò il corpo di un altro. Gli occhi del felino erano rossi come il sangue. Anne vide quel cambiamento e approfittò della concentrazione dei demoni sull'amica per mozzare la testa. Aveva notato che, quando la sua amica aveva staccato la testa a morsi all'imdugud, il demone, non ne era comparso un altro al posto suo. Uno le graffiò il braccio e quello prese a bruciare. Un altro le colpì con gli artigli la cicatrice sul collo e lì dovette accasciarsi a terra per non svenire. Kya, sotto forma di leonessa, la proteggeva, ma anche lei era stanca e affaticata. L'avevano colpita al fianco e sudava a freddo. Poi una luce riscaldò tutto. Un uomo dai capelli castani, gli occhi d'oro e un arco affrontava i demoni. Le frecce si conficcavano nei collo dei imdugud. Era veloce e i demoni non riuscivano a scalfirlo. Gli ultimi si ritirarono guardando le due ragazze e l'uomo con il fuoco negli occhi. Kya tornò alla forma normale e Jacob e James scesero dal tetto. La figlia di Ishtar si sedette accanto ad Anne con una mano sul fianco sanguinante. L'uomo le guardò e disse:-Ciao figlia di Ishtar. Finalmente ci incontriamo.

Il panico era negli occhi della ragazza, mentre l'uomo, che si era presentato come Ninurta, faceva cadere una poverina d'oro sul suo fianco e ripeteva la stessa cosa con Anne. James fasciò con delle bende di Ninurta le loro ferite e le aiutò a sedersi sul pavimento del treno. Jacob fissava l'uomo, come se si aspettasse un attacco in qualunque momento. Ninutra servì loro un tè caldo apparso dal nulla.
-Allora- disse Ninurta interrompendo il silenzio- Perché state andando ad Atlantic City?
-Non ho ancora capito chi è lei- rispose Kya sorseggiando il suo tè verde. Ninurta rise, ma si ricompose subito, sistemò la sua felpa e la sua cuffia azzurra, poi pescò un biscotto da una ciotola comparsa dal nulla. Masticò e commentò:-Ricordi tanto tua madre. Comunque, io sono Ninurta, dio dei contadini, guaritore che toglie agli uomini le malattie e il controllo da parte dei demoni e del vento meridionale, tanto piacere di conoscerti Kya Jackson, figlia di Ishtar e Robert Jackson.
Il dio afferrò la mano della semidea e la strinse violentemente. Per poco la semidea non si strozzò con la saliva. Il dio le battè la mano sulla schiena per più volte.
-Lei è Anne Clark giusto?- chiese rivolto ad Anne. La figlia di Assur era pallida come un cadavere, ma annuì. Il dio le sorrise e posò lo sguardo sui due ragazzi:-James Bernson, impossibile non conoscere uno dei figli di mia moglie. E Jacob Warpeon, il figlio di Utu che ha deciso di mettere fine al comando di mio figlio sulla Casa 1. Curioso come sia antipatico il fato vero? I greci lo avevano capito.
-Non è stata una mia decisione quella di togliere a suo figlio il comando- disse Jacob stringendo i denti. Gli occhi del dio diventarono verde muschio. Erano piuttosto inquietanti. Assottigliò gli occhi e rise:-Pensi che io non sappia che cosa accade al Campo Mesopotamia? Marduk sarà anche il protettore di Babilonia, ma sono io che vi permetto di non ammalarvi e sono io che vi libero dei demoni. So cosa è successo a mio figlio Ashton, Jacob Warpeon. E ora, vorrei chiarire alcune cose con la signorina Jackson se non ti dispiace.
Jacob fece per rispondere,ma James lo fermò giusto in tempo. Kya fissò il dio negli occhi tornati oro e domandò:-Che cosa mi deve dire, signore.
-Giusto un paio di cosette. Normalmente questo compito non spetterebbe a me, ma questi sono dettagli.
Pescò una pergamena dalla cassetta del pronto soccorso e la srotolò. Si schiarì la gola e iniziò a leggere:-Uno: seguito alla consulta di Marduk, protettore di Babilonia, il consiglio degli anziani esilia dalla società Kata Natasha Coliwher, James Bernson, Anne Clark e Jacob Warpeon. A quanto pare hanno messo una taglia sulla vostra vita. Due: Marduk protettore di Babilonia, pretende che la figlia di Ishtar venga uccisa entro la fine dell'anno, in quanto figlia della dea maledetta. Terzo: tua madre ti chiede di salvare il mondo dalla distruzione.
Riarrotolò la pergamena e la mise nella cassetta. Si sentiva solo il rumore delle ruote del treno sulle rotaie. Lei non doveva esistere. Era figlia di una dea che era maledetta. Era sbagliata. Una figlia illegittima. Quando accetti qualcosa di assurdo che però è vero e ti ci affezioni, inizi a capire come funziona, anche quella cosa viene sconvolta e distrutta.
-Te lo volevamo dire...- sussurrò Anne- Ma non sapevamo come. Eri già traumatizzata per aver scoperto che eri una semidea e poi c'è stata la morte di tuo padre. Non sapevamo come dirtelo.
Le parole di Anne erano vuote, non avevano alcun suono. Fissava il vuoto mentre realizzava che era totalmente sbagliata. Ninurta guardava con occhi tristi i quattro semidei.
-Non te la devi prendere con loro Kya- commentò Ninurta- Volevano soltanto che non ti sentissi schiacciata da tutte queste cose. Credo in te come credo in tua madre.
Un tuono scosse il cielo e Ninurta sospirò:-Devo andare o finirà male. Tenete questo, vi aiuterà nella vostra ricerca. Ciao, belli.
Scomparve in un pouf  lasciando i quattro ragazzi sul pavimento del treno. James guardava il biglietto che gli aveva lasciato il dio. Era un pezzo di carta gialla stampato col nero. Recitava un bel motivetto:"A Nord cerchi, ma non mi vedi. A Sud mi guardi, ma non mi trovi. A Est sbagli perché da lì non scorgi. E a Ovest mi aspetti, ma faccio i dispetti. Cercando in alto erri e cercando  in basso mi vedi.

Il treno si fermò ad Atlantic City. James recitava le parole del biglietto come una filastrocca. Entrarono in un piccolo ristorante e ordinarono da mangiare. James continuava a dire la filastrocca e Jacob gli ordinava di tacere. Anne giocava con gli stuzzicadenti e Kya fissa fuori dalla finestra del lurido ristorante. Sua madre non le aveva detto nulla. Forse Ishtar non lo sapeva. O forse lo sapeva ma non voleva dirglielo. Non doveva fidarsi degli Dei. Non doveva fidarsi di nessuno. Neache i tre ragazzi che la stavano accompagnando le avevano detto la verità ed era sicura che loro sapessero.
-Dobbiamo capire di chi parla la filastrocca- commentò mentre gli altri addentavano il proprio cibo. Rimasero con la bocca aperta e il cibo a metà strada tra la bocca e la tavola.
-A Nord cerchi ma non vedi. A Sud guardi, ma non trovi. A Est sbagli perché da lì non scorgi. E a Ovest aspetti, ma fa i dispetti. Cercando in alto erri e cercando in basso vedi- la recitò la figlia di Ishtar- Avete idea di che cosa possa essere?
Anne scosse la Testa e addentò la pizza. Jacob e James fissavano il vuoto e questo voleva dire che sapevano, ma che non erano belle notizie. Kya li incitò con lo sguardo a parlare e loro abbassarono la testa.
-Pensiamo che si tratti degli Inferi- rispose James- Non sarebbe tanto bello andare laggiù.
Jacob annuì. Se Jacob e James erano d'accordo forse era vero. Kya respirò profondamente e chiese:- Dove è l'ingresso?
-Ovunque- rispose Anne- Ma è un suicidio andarci. Signora inferno non è simpatica.
-Come si entra negli Inferi?
-Sul coperchio di un tombino metti il pollice di un Ekimmu, che sono degli spiriti malvagi che non hanno ricevuto una degna sepoltura, sopra alla chiusura, quello si apre e possiamo saltarci dentro- rispose Jacob. Kya annuì:-Sta sera andremo negli Inferi. Poi cercheremo Zoey e Logan.
-Non dovremmo riposare?- domandò James. Kya scosse la testa:-Mancano solo tre giorni alla fine dell'anno e dobbiamo ancora trovare la pergamena e Zoey.
-Va bene.
Finirono di mangiare, pagarono e uscirono dal ristorante. Camminarono per Atlantic City con disinvoltura alla ricerca di un pub particolare. Jacob li conduceva. Camminarono per una stradina buia e giunsero davanti al pub. Aveva l'insegna al neon verde con la scritta "demon" in grande. Jacob spinse la porta ed entrò. Kya lo seguì. Il luogo odorava di alcool e fumo. Uomini di ogni genere guardavano il palco dove donne su tacchi a spillo e poco vestite si struciavano contro pali di metallo. A Kya gelò il sangue nel vedere una cosa così. Credeva fortemente nel fatto che le donne non fossero animali da maltrattare o animali del circo, bensì una parte della società che meritava rispetto. Quando vide quelle donne con solo reggiseno, mutande e tacchi a spillo, per poco non le venne da urlare. Uomini salivano sul palco e se le strusciavano contro, per poi prenderle sulle spalle e portarle dietro una tende, da dove provenivano urla di piacere e dolore. Le ricordavano quella notte. Quella notte in cui stavano per rubare una cosa a cui teneva. Poi un ragazzo l'aveva salvata. Non lo aveva visto in faccia. Aveva visto solo due occhi verdi, nulla di più. James la vide, pallida come un fantasma, l'abbraccio e le fece nascondere il volto nel petto. Le accarezzò i capelli e disse:-Vi aspettiamo fuori.
Jacob e Anne annuirono e James trascinò fuori la figlia di Ishtar, che teneva la testa bassa. Fuori, James le passò una bottiglia d'acqua e la ragazza la beve tutta. Si appoggiò al muro e mormorò:-Grazie James.
-Figurati principessa- rispose lui- Allora, vuoi dirmi eri paralizzata?
-Vedere quelle donne così, mi ha fatto pensare ad una cosa.
-Vuoi raccontare? Aiuta parlarne.
-Quattro anni fa, mi hanno quasi violentata in un vicolo vicino al ristorante in cui ero con mio padre. Mi hanno salvata grazie al cielo. Era un ragazzo della mie età circa. Non l'ho visto in faccia, ma aveva due occhi verdi che non mi dimenticherò mai.
Guardò James, coi suoi occhi color smeraldo la incantavano.
-Oh- commentò una voce- Che scenetta romantica. La bad girl che racconta il suo passato al principe azzurro. Disgustoso.
All'ingresso del vicolo vi erano tre figure incappucciate con lame nere sguainate. Attaccarono tutte assieme e Kya non ebbe il tempo per pensare. James le si parò davanti e bloccò tutti i fendenti degli avversari. Kya pensò alla fame che aveva e alla rabbia che aveva provato dentro al pub e le ossa si spezzarono. Si ritrovò a correre contro una figura su quattro zampe. Abbastanza vicino ritorno umana e con la spada trapassò il corpo dell'uomo. La estrasse e l'uomo cadde a terra come un sacco di patate. Trasformò la spada in coltello e attaccò da dietro una delle altre due figure. Le conficcò il pugnale nel cuore e quello cadde di pancia per terra. James uccise l'altro. I loro corpi si dissolsero come polvere.
-Grazie di nuovo- disse Kya dando una pacca sulla spalla al ragazzo. Lui scosse le spalle e rifoderò la spada. Stava per dire qualcosa quando Anne e Jacob uscirono con una donna coperta da un vestitino.
-Qualcuno ha ordinato un viaggio negli inferi?

Erano davanti a un tombino in vicolo da cui usciva una puzza tremenda. Jacob costrinse la donna a inserire le sue impronte digitali nel tombino. Quello si aprì in vortice rosso che andava verso il basso.
-Sparisci demone- ordinò Anne alla donna. Quella si dissolve in polvere bianca sibilando. Anne alzò gli occhi al cielo:-Andiamo prima che si chiuda. Chi va per primo?
-Jacob- dissero James e Kya contemporaneamente. Jacob sbuffò e borbottò:-Bei amici... davvero...
Saltò nel tombino. Lo seguì Anne. James si voltò verso la figlia di Ishtar e disse:-Prima le donne.
-Veramente...
-Prendi la mia mano, principessa.
Kya afferrò la mano di James tremante. Guardò il fondo, che però era assente. Chissà se Anne e Jacob erano già arrivati.
-Pronta?- domandò il figlio di Bau guardandola. Kya annuì. Saltarono nel tombino. Erano diretti negli Inferi. La prossima tappa era il luogo dei morti. Le venivano i brividi solo a pensarci. Guardò James e lui la strise a lui contro il suo petto. Gli Inferi erano la prossima tappa.

Angolo Autrici
BUON ANNO NUOVO!
Come promesso abbiamo scritto un capitolo in meno di quarantotto ore. Meritiamo un applauso. La dedica sopra è per la  sorellina di una delle che compie gli anni. Detto ciò diteci cosa ne pensate del capitolo e cosa ne pensate se aggiungessimo Aztechi, Maya e Inca (se volete inviare un personaggio creato da voi va benissimo. In tal caso seguite lo schema che lasceremo sotto). Detto ciò buon anno a tutti di nuovo.

Scheda per personaggi
*Nome:
*Cognome:
*Parenti (mortali e non):
*Aspetto fisco:
*Carattere:
*Storia finché non scopre la natura semidivina:

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Capitolo 27
*** SEMIDEI ATTRAVERSO GLI INFERI ***


SEMIDEI ATTRAVERSO GLI INFERI


Alla mia amica Sara, che oggi mi ha aiutato molto difendendomi da gente che per farsi accettare fa soffrire.
Al mio fidanzato che oggi mi ha fatto comprendere che non mi deve importare del pregiudizio degli altri.
Ai miei amici: Elisa, Cristian e Francy, che ultimamente mi fanno dimenticare i miei problemi.
Ragazzi, vi adoro

 Atterrarono in un campo dall'erba nera e alta. James le fece da cuscino quando giunsero negli Inferi. Kya cadde di sedere sopra al petto del ragazzo e quello gemette. La ragazza si affrettò ad alzarsi e aiutò il figlio di Bau. La luce era rossastra, quasi nera. Era buio e non si vedeva quasi nulla. Camminarono per una strada ghiaiosa guidati dalla torcia del demone. La donna aveva cambiato abiti e adesso portava una veste nera e i capelli erano legati in una bella composizione. Jacob e Anne erano accanto a lei, come se fossero delle guardie del corpo. James e Kya erano dietro. Vedevano demoni volare sopra le loro teste con anime tra le grinfie. Li lasciavano cadere nel fuoco e quelli urlavano. Kya rabbrividì.
-Capita a tutti così?- domandò la figlia di Ishtar. James scosse la testa:-Alcuni finiscono in paradiso, ma sono talmente pochi... La gente non ha più onore e coraggio.
Attraversarono un ponte che passava sopra ad un fiume di fuoco dove anime venivano divorate dalle fiamme, ma essendo già morte non venivano consumate. Lo spirito li guidò attraverso gli Inferi. Dovettero essere abbastanza vicini per vedere il castello. Era incastrato nella roccia e il terrazzo sporgeva verso i campi dall'erba nera e lingue di fuoco rosse. Urla di anime che venivano torturate riempivano l'aria sulfurea. Lo spirito aprì il portone di ingresso e appese alla parete la sua torcia. Le lingue infuocate erano verdi, mentre altre lungo le pareti del castello erano viola, gialle e blu. Rosse dovevano essere riservate alle anime dei dannati. La donna li guidò attraverso il castello. Questo aveva pareti nere come il buio e pavimenti bianchi come il latte. Giunsero in un salotto ben arredato, coi divani e poltrone rosso sangue, un tavolo da biliardo, tappeti persiani e tavolini in mogano scuro.
-Accomodatevi- disse lo spirito- A breve la padrona sarà da voi. Volete qualcosa da bere.
-No, grazie mille- rispose Kya con gentilezza. Sapeva che gli altri non avrebbero fatto altrettanto. Lo spirito fluttò via con grazia. Giunsero urla alle loro orecchie, ma non erano quelle dei dannati. Erano grida di rabbia. Come quando si litiga con i propri genitori. Erano due voci, una maschile e l'altra femminile.
-Non puoi sempre crearmi questi casini madre!- disse la voce maschile- Gli altri non devono temerti. Devi fare come ti dicono loro sta volta.
-Meglio essere temuti che amati! Lo sai. Guarda che cosa sta combinando quella ragazza. Sta facendo ciò che nessuno ha il coraggio di fare.
-Ci sta portando alla rovina madre!
Comparvero le due figure nel salotto. La prima era una donna dai capelli scuri legati in un opera complicata, gli occhi neri e la carnagione pallida. Portava una veste rosso sangue e dei sandali di cuoio. La parte superiore della veste era coperta da un'armatura nera come la notte dove c'erano incise scene di morte. L'altra Kya la riconobbe. Era il ragazzo che stavano cercando: Logan King. Kya gli corse in contro e lo abbracció. Lui l'abbracciò a sua volta.
-Dove eri finito?- chiese lei- Zoey to sta cercando.
Il volto di Logan si incupì e scosse la testa:-Non sta cercando me.
-E che cosa allora?- chiese James avvicinandosi. Logan alzò le spalle. Neanche lui lo sapeva e questo non rassicurava nessuno. La dea si sedette sul divano in velluto verde smeraldo e accavallò le gambe. Allo schioccare delle dita della dea, lo spirito che li aveva accompagnato attraverso gli Inferi, comparve dal nulla con una tazza da tè d'oro decorata con rubini. La dea sorseggiò e disse:-La mia nipotina è venuta a trovarmi.
Kya aggrottò le sopracciglia dubbiosa. Non credeva si aver portato dei nipoti della dea con sé, ma a quanto pare si era sbagliata. La dea la guardò con i suoi occhi neri simili a quelli del figlio:-Si, sto parlando di te Kya Jackson.
Kya sussultò quando la chiamò Jackson. Pensava che non si sarebbe diffusa così velocemente la notizia. La dea sorrise e disse:-Pensi che non lo sapessi? Tua madre si è nascosta varie volte qui. Si confidava sempre. Sapevo che aveva generato te con un uomo mortale e che questo mortale era uno dei Jackson. Persone speciali i Jackson. Hanno sempre attirato le divinità. Come i Chase del resto. Finalmente questa tradizione si fermera, forse. Comunque, come stai? Passate belle vacanze? Logan, perché non fai accomodare i tuoi amici?
Logan sorrise e fece accomodare gli amici sul divano. Spiriti portarono loro del cibo e delle bevande al comando della dea. A Kya non piaceva la gentilezza della dea. Temeva che da un momento all'altro si potesse trasformare in una persona pericolosa. Aveva letto miti greci e romani e sapeva che le divinità infernali non erano affatto simpatiche. Non toccò cibo, mentre gli altri presero ad abbuffarsi come chi non mangiava da giorni. Qualcosa le diceva di non lasciarsi ingannare dalla dolcezza della donna.
-Mangia qualcosa Kya- le disse dolce la dea. Kya fece un sorriso e rispose:-Sono a posto, grazie comunque.
-Temi che ti imptigioni qui come ha fatto Ade?- scherzò la dea-Non temere, quel metodo non mi piace. Se voglio che qualcuno rimanga qui per sempre, lo uccido sai? Personalmente non voglio che quattro mocciosi rimangano qui per sempre, non finché non giungerà la loro morte.
Mentre pronunciava quelle parole, la dea fece un sorriso inquietante, di quelli che ti fanno rabbrividire. A Kya venne la pelle d'oca, ma trovò la forza di parlare:-Non ho capito chi è lei.
La dea rise e guardò Logan, Anne, Jacob e James:-Non glielo avete detto?
Abbassarono tutti lo sguardo e la dea rise più forte:-Sono Ereshkigal, dea delle creature infernali e dei demoni e della Morte. Ogni creatura che risiede in questo luogo, appartiene a me. Tua madre, Ishtar, è mia sorella. La conosci meglio di me.
-Quindi lei é la regina degli Inferi?- domandò la figlia di Ishtar.
-Non esattamente- rispose Jacob- Suo marito, Nergal, diventò padrone di Aralu. Nergal offese Ereshkigal e lei lo costrinse a venire qui per espiare le sue colpe. Lo esiliò da Aralu, ma poi Nergal cercò di prendere il potere. Affrontò Namtar, il destino, e Ereshkigal per poco non ci rimise la testa. Poi però Nergal decise di prenderla in moglie e...
-Eccomi qui!- esclamò Ereshkigal con gli occhi che brillavano di pazzia pura. La dea non sembrava esattamente normale. Il fatto che la dea non fosse normale, ma fosse leggermente pazza, faceva preoccupare Kya. Forse era a questo che Anne si riferiva quando aveva detto che la regina degli inferi non era esattamente simpatica.
-Senta- disse Kya seria- Siamo venuti qui per chiederle se lei ha una vaga idea su dove possa trovarsi Zoey o una pergamena magica... se ha qualcosa per aiutarci.
-E perché dovrei mai farlo?- domandò Ereshkigal arricciando le labbra come una bambina. Kya guardòi suoi amici con sopracciglia aggrottate e loro le risposero con un'alzata di spalle.
-Perché è una brava dea e vuole aiutarci?- ipotizzò Kya sorridendo. Ereshkigal sembrò pensarci su, poi rispose:-No.
-No?- domandò James con aria di chi non si aspettava una risposta del genere. La dea sorrise e confermò:-No.
-Madre- intervenne Logan- Forse è il caso di aiutarli...
-No, Logan- urlò lei- Non li aiuterò! Ora andatevene!
-Mia signora- disse Anne- Davvero....
-GUARDIE!- gridò Ereshkigal a gran voce. Un'ondata di spiriti e demoni si precipitò nella sala. C'erano dei pazuzu, come quelli che Kya aveva visto la prima volta che era arrivata al Campo Mesopotamia, e imdugud, i demoni che li avevano attaccati sul treno. Il resto Kya non lo riconosceva. Jacob, Anne e James sguainarono le armi rapidamente e si prepararono allattacco.
-Per quale motivo lo fa?- urlò Kya con rabbia verso la dea- Siamo venuti qui in pace!
La dea rise e ordinò all'esercito di attaccare. Kya si sfilò l'anello e quello si trasformò in un coltello. Il primo ad attaccare fu James. Si muoveva più veloce del solito, tanto che sembrava il fratello gemello di Flash. Anne attaccò con la sua lancia dalla punta nera e Jacob con un coltello. Kya si fiondò sui demoni con rabbia. Quelli, però, come molte altre volte, sembravano immortali. Forse era dovuto anche al fatto che si trovavano negli Inferi, il luogo dove vengono creati i demoni.
-Dobbiamo andare via da qui- le sussurrò Logan mentre erano vicini. Nonostante fosse inquietante in una maniera assurda, con Logan, Kya si capiva. Era come se lui fosse il fratello che non aveva e che non avrebbe mai avuto. Prima di scoprire di essere una semidea e che il mondo era governato da Dei immortali e fuori di testa, Kya aveva costruito un rapporto con Logan basato sull'aiuto reciproco. Non sapeva neanche lei come aveva fatto a diventare sua amica. Si incontravano spesso e mangiavano gelato sul divano mentre guardavano film horror. Era così che la vita funzionava prima della scoperta della sua natura. Ovviamente, Zoey era gelosa, ma Kya considerava la cosa piuttosto normale considerato che erano fidanzati.
-Qualche idea?- chiese Kya, mentre con il pugnale trafiggeva uno dei tanti demoni presenti nella sala.
-Nella mia camera, c'è un portale per il mondo mortale.
-Va bene- commentò Kya- Raduna gli altri e correte di sopra.
-Perchè devi essere sempre tu che ti sacrifichi?- domandò James. Probabilmete aveva ascoltato tutta la conversazione sin dal principio. Kya sbuffò:-Va bene... Pensateci voi. James, Anne, seguitemi.
-Li lasciamo qui?- chiese Anne affondando la lancia nel corpo ormai a terra di un demone. Kya alzò le spalle e Logan rispose:-Posso teletrasportarmi di sopra e James può venire con me. Sempre che abbia abbastanza fegato ovvio.
-Ho abbastanza coraggio, Logan. Sei tu che hai sempre paura- ribattè James sorridendo. Logan fece una smorfia:-Proprio. Jacob sai come funziona. Portale fuori di qui.
Jacob annuì e spinse su per le scale le due ragazze. Logan e James tenevano impegnati i demoni. Quando James venne colpito e cadde, Kya urlò come una dannata. Si voltò e fece per scendere le scale, ma Jacob la fermò tenendola per le braccia. Si dimenò come un serpente, ma Jacob aveva dalla sua parte la forza. Tirò calci e pugni mentre urlava. Solo quando entrarono in una camera con la carta da parati rossa, il letto a baldacchino nero, un caminetto e uno specchio dalla latra di vetro nera con i riflessi verdi, Jacob la mollò. Anne chiuse la porta a chiave e la gettò nel fuoco del camino acceso.
-Perchè non mi hai dato lupportunità di aiutarli?- gridò Kya- Giuro, che se succede qualcosa a uno dei due, non te lo perdonerò mai, Jacob.
-L'ho fatto per salvarti Kya!- le urlò Jacob- Se ti fossi gettata nella mischia, saresti morta ora.
-Chi te lo dice?
-Ragazzi!- gridò Anne- Possiamo muoverci, per l'amor di Assur!
Jacob s'alzò e si diresse verso lo specchio nero. Anne e Kya lo raggiunsero. Jacob lo esaminò per un attimo, poi estrasse un coltello, afferrò il braccio di Kya e le provocò un taglio sul polso, facendo poi scendere del sangue sopra al vetro nero. Quello assunse un colore verdastro e ci saltò dentro senza dire una parola. Anne lo seguì e Kya fece altrettanto. Lo stomaco era sottosopra e sballottava dentro al suo corpo come una pallina da pin pong lanciata a razzo. Atterrò per terra di sedere. Ringraziò ogni dio e dea per non averla fatta atterrare in un contenitore per il pattume. Anne era caduta poco distante, ma a lei era toccato il pattume come a Jacob. Si mise in piedi e aiutò i due suoi amici ad alzarsi.
-Odio i portali- commentò Anne storgendo il naso mentre si annusava i vestiti. Poco lontanto, in fondo al vicolo, era comparison Login con James. Il figlio di Bau non aveva una bella cera e il profondo graffio che aveva sul petto non migliore a la situazione. Il ragazzo perdeva sangue come una cascata d'acqua. Logan si sistemó James sulle sue spalle e ordinó:-Seguitemi.
Senza contraddirlo lo seguirono lungo i piccolo viali. Non sapevano dove erano finiti e, pensandoci, forse era meglio non saperlo. Kya stava accanto a Logan e James. Non l'avrebbe Mai aammesso as alta voce, ma era lì solo per il figlio di Utu, se non sarebbe rimasta dietro a tutti, in disparte. Giunsero in una casa in marroni rossi, la staccionata bianco latte e la buchetta della posta rossa. Era la classica villetta fuori cittá. Troppo sfarzosa per i gusti della figlia di Ishtar. Era tutto troppo. C'era gente che moriva di fame e che era senza casa e questa gente viveva in case enormi. Non c'era giustizia. Logan fece prendere a Jacob le chiavi della casa nel suo giubbotto in pelle nero, quello che portava sempre. Kya si domandava se Logan vivesse lì. Entrarono appena Jacob aprì la porta. Logan posó James sul divano, mentre Anne tiró fuori dallo zaino del figlio di Utu il kit del primo soccorso. Dentro non c'erano normali bende a quanto vedeva Kya e neanche normali disinfettanti. Quelli mancavano proprio. Al loro posto c'erano delle siringhe riempite di roba viola. Kya non aveva la più pallida idea di che cosa fosse quel liquido strano. Anne ne afferrò una e, con estrema precisione, conficcó l'ago nella pelle di James. Lui urlò dal colore mentre la figlia di Assur gli immetteva il liquido nelle vene.
-Parlagli- le ordinó Jacob con rabbia. Kya annuì e iniziò a raccontare a James la volta in cui per sbaglio aveva dato al bancone del laboratorio di Chimica alle medie e di come aveva passato una settimana a casa mangiando cioccolato cercando di ingrassare un minimo per non sembrare un manico di scopa, gli parló dei suoi tentativi inutili con il francese e lo spagnolo e del fatto che sapesse parlare correttamente l'italiano. Suo padre aveva insistito a farle imparare l'italiano, il greco antico e il latino. Ora Kya capiva il perché delle scelte del padre. Lui sapeva che avrebbe dovuto incontrare di nuovo Percy. Un semidio greco, ecco cosa era Percy.
Anne terminó le cure al figlio di Bau e decise di fare una doccia. La sera era già scesa e ormai era notte. Mangiarono davanti al camino  acceso, visto che il riscaldamento non partí prima delle undici, quando Anne e Jacob si addormentarono abbracciati sullo stesso divano. Calò un silenzio strano tra Kya e Logan. Kya era sul divano con James, che era ancora incoscente. Anne diceva che si sarebbe ripreso presto probabilmente.
-È la casa dei miei nonni- ammise Logan. Kya lo guardò e chiese:-Non dovrebbero essere a casa?
Logan scosse la testa e rispose:-Sono morti. Uccisi. Fu un uomo ad ucciderli. Lo fece perché erano ebrei. Mio padre uccise l'uomo poco dopo, ma morí anche lui.
-Logan... -mormoró Kya- Non sentirti obbligato a...
-È tutto okay Kya. Sei la mia migliore amica sai? L'unica che non mi ha mai giudicato senza prima conoscermi. Non mi sorprende che James abbia una cotta per te. Sai essere dolce e comprensiva, ma anche forte e impossibile. Hai il fuoco nel cuore. Un fuoco che brucia e contagia. È una cosa che pochi hanno.
-Grazie Logan- sorrise la figlia di Ishtar- Dormi. Il primo turno è mio.
Logan annuì e si mise a dormire. Kya rimase nel silenzio della stanza immersa nei suoi pensieri, mentre lasciava che i suoi  istinti da leonessa le dicessero i pericoli imminenti. Ascoltó i vicini rientrare con la macchina e il rumore delle bottiglie di alcool che si rompevano a terra, diventando schegge di vetro. Sentí, poi, una mano stingere la sua e per poco non urlò dalla gioia.
-Hey- sussurrò James sorridendo. Kya si avvicinò a lui e gli posó un bacio sulla guancia. James la guardava confuso ma senza parole.
-Dormi ancora un po' James- gli ordinó- Quando to sveglierai saró qui. Non ti lascio un'altra volta.
James sorrise e richiuse gli occhi. Si, forse stava nascendo qualcosa, qualcosa che avrebbe superato anche le montagne e il mare infinito.

ANGOLO AUTRICE
*Da dietro al divano* ciao. Non uccidetemi, sono troppo young for die. Come a la vita popolo? A me male, molto male. Per poco non motivo oggi, quando mi hanno rubato il quaderno su cui sto scrivendo questa FF. Anyway, come va la scuola? Tutto a posto? Ragazzi, non fatevi mettere i piedi in testa mi raccomando, specialmente quando sono babbani. Comunque.... Parliamo del fatto che ho quasi ucciso James, ho creato una dea matta stile da manicomio e del fatto che Zoey non sta cercando Logan. Curiosi di sapere che combina Zoey? Dovete aspettare, sorry.
Passiamo alle informazioni di servizio:
1) Perdonate ogni errore di battitura, ma il tablet da cui sto scrivendo ha solo la tastiera in inglese. Per favore capitemi.
2)Gli eroi dell'Olimpo sono a casa di una mia amica (Faccia di gufo... Chiamo i lupi...)  e dovrebbero arrivare da un momento all'altro.... Spero....
3) Chiedo venia se scriveró molto lentamente, stile tartaruga terrestre, ma tra la scuola e tutto, c'ho voglia di morire. (La prof di italiano mi fa male se legge "c'ho" ma dettagli)
4) Per gli Atzechi, Maya e Inca, se mi sapere dire qualcosa, mi fate tanto piacere, perché così mi organizzo do conseguenza. La storia tratterebbe di una squadra di semidei che dovrebbero fare cose per evitarla una guerra. Tutto ancora da definire. Se volete inviare il personaggio o volete chiederete qualcosa (es: non avere capito, o volete che sia cugino di tot. grado o parente con Eroi dell'Olimpo, Harry Potter and co, The Kane Chronicles o anche i miei adorati personaggi... Insomma se avete dei dubbi) vi chiedo di farlo in privato.
Bene, detto ciò, grazie tante per after letto il capitolo e ci vediamo alla prossima.
Kiss
P.s: ho un account su weheartit (social simile secondo me a Instagram (che non ho perché non c'ho voglia)). Se volete scoprire i personaggi sono . (Nome: angelicaduti7310)

 

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Capitolo 28
*** PAURA ***


PAURA

La mattina dopo fu tremenda. Svegliarsi con le braccia di James attorno alla vita fu come una secchiata di acqua gelida. Il perché era un mistero per la ragazza. Il ragazzo la fissava con i suoi occhi color smeraldo e un sorriso stampato sulle labbra. Kya aggrottò le sopracciglia e ammise a se stessa il fatto che James non le era del tutto indifferente. Forse era quel sorriso o quei occhi smeraldini che l'attiravano come del ferro attirato dalla calamita. Però c'era qualcosa che la frenava dentro. Non sapeva se fidarsi o meno. Il suo cuore le diceva che era meglio di no, ma allo stesso tempo si. Il cervello diceva che era tutto un sogno, che nulla era vero e che sarebbe finito presto. Non era così. La figlia di Ishtar sapeva che non sarebbe finita con un pizzicotto sul braccio e il suo risveglio da quel sogno. Nonostante il cervello le dicesse che era tutto falso, la semidea sapeva che non era affatto così. Si tolse delicatamente il braccio di James dalla vita e si alzò. Non aveva ancora bene in mente che fare, ma in quel momento la doccia le sembrava la migliore opzione di tutte. Così, andò in bagno. Si svestì e entrò nella doccia. L'acqua le scivolava lungo la schiena e improvvisamente si sentì carica di energia, come se l'avessero collegata con una spina alla presa della corrente. Chiuse l'acqua e uscì dalla doccia e si asciugó, lasciando  che i capelli bagnati le cadessero lungo la schiena. Erano troppo lunghi forse. Afferrò le forbici da unghie e la massa di capelli. Taglió la massa riccia e rosa, facendola arrivare poco sopra del seno. Ciocche di capelli rosa caddero per terra. Si mise una bandana e indossó i suoi vestiti neri. Raccolse i capelli e li rispose nel cestino. Uscì dal bagno e si diresse in cucina in lunga di piedi. Lí, Jacob stava preparando la colazione. Nell'aria vi era odore di frittelle con mirtillo, come quelle che preparava zia Sally la mattina. C'era succo d'arance e arance con dello zucchero sopra, arance intere e arance tagliati a spicchi. Jacob era girato di spalle, a preparare frittelle dal buon odore. Sembrava indafffarato. Kya si sedette su una delle sedie intorno al tavolo e attese. Quando Jacob si voltó, per poco non fece cadere il piatto con le frittelle. Kya sorrise e poi scoppiò a ridere. Logan, Anne e James comparvero sulla porta armati e pronti a combattere.
-Santissimi Dei!- esclamò Jacob- Ma cosa to è saltato in mente?
Kya si ricompose e rispose:-Volevo fare colazione. Cosa sono tutte queste arance?
Jacob si grattó la testa imbarazzato e Anne commentò:-Ha un'ossessione per le arance il tipo qui. Sales ogni cosa sulle arance e praticamente ne fa mangiare a chiunqe, volente o dolente. Ne abbiamo una piantagione al Campo Mesopotamia, causa troppi soldi spesi in arance.
-Seriamente?
-Seriamente.
-La finite di parlare della mia ossessione per le arance?- protestó Jacob- Sedetevi e mangiate e non commentate.
Obbedirono al figlio di Utu ridendo sotto i baffi. Kya si riempí il piatto di frittelle. Scartò le arance, ma non per fare un dispetto a Jacob  per sprecare cibo... no, quello non l'avrebbe mai fatto, non sapendo che al mondo ci sono bambini che muoiono di fame ogni giorno. Era allergica alle arance. Quando era piccola, le era venuta una reazione allergica dopo aver mangiato delle arance. Ricordava la maestra che urlava dallo spavento, quando lei si era portata le mani alla gola e la bidella che chiamava l'autobulanza. Ricordava le grida del padre mentre la portavano all'interno dell'ospedale. Implorava di salvarla. Le avevano fatto un'iniezione ed erano riusciti a salvarla. Suo padre non aveva più comprato arance da quella volta. Mangiarono senza fretta, chiaccherando del più e del meno, come se non si trovassero in una missione suicida o non fossero semidei, figli delle divintà della Mesopotamia. Sparecchiarono e finirono di preparare le cose per il viaggio. Si sarebbero diretti ancora più a sud, dove si stava dirgendo Zoey. A quanto pareva stava andando in Florida al momento. Anne era riuscita a rintracciarla in base al suo conto bancario. Uscirono dalla casa e si diressero verso la stazione degli autobus. Per la strada, ragazzi e ragazze, uomini e donne, arrivavano in massa con costumi da principesse, maghi, cavalieri, principi e altri. Sembrava presto per il carnevale. Erano alla fine di dicembre e il carnevale era leggermente anticipato. Forse era una festa tradizionale di Atlantic City o forse era una festa privata. Si fecero largo a spintoni tra la folla che rideva e scherzava. Una donna col costume di Maria  Antonietta, li guardò e sorrise. Il suo sorriso, ricordò a Kya Ereshkigal, la regina degli Inferi psicopatica. La superarono e continuarono a camminare verso la stazione degli autobus. Stavano praticamente correndo quando giunsero all'autobus. Montarono sul primo autobus per la Florida. Si sederono lontano dalla gente, infondo all'autobus. Nessuno sembrò notarli quando partì il bus.
Il viaggio sarebbe stato lungo, lo sapevano, eppure l'avrebbero affrontato, per Zoey e per la loro famiglia. La Florida era lontana e, con lei, la loro amica.

Venti ore di viaggio. Venti lunghissime ore per giungere a Miami da Atlantic City. Kya si era messa a leggere un libro trovato nello zaino di James, mentre James si era appoggiato a lei e dormiva. Gli altri erano più avanti. Anne ascoltava musica rock a tutto volume mentre Jacob e Logan dormivano. Avevano preso un treno per la Florida non appena un gruppetto di Uttuku li aveva attaccati ed erano stati costretti a scendere. Kya posò il libro e guardò James dormire sulla sua spalla. Non era stato così facile resistere al svegliare il ragazzo per sgridato. Si era però abituata alla sua testa appoggiata sulla sua spalla. Era un angelo anche quando dormiva: semplicemente perfetto. James si svegliò sbattendo più volte gli occhi e alzando le braccia per stiracchiarsi. Mormorò un "buongiorno" anche se era tarda notte.
-Buongiorno anche a te James- sorrise Kya. Il cuore mancò di un battito quando lui le posò un bacio sulla guancia. Le sorrise e lei fece altrettanto.
-Che stavi facendo?- domandò James. Kya si riscosse dalle sue fantasie, si spostò i capelli dietro l'orecchio e rispose:-Ehm... nulla. Ho preso il tuo libro in prestito e leggevo. Nulla di particolare.
James rise e le sfiorò le mani. Le mani di Kya erano sudate, il cuore le batteva forte forte e non capiva il perché. Insomma, era James. Okay, era un gran pezzo di ragazzo, ma loro erano due poli opposti. Lui era intelligente e sempre perfetto, anche appena sveglio. Lei non era intelligente e non era perfetta. Erano su due frequenze diverse, ma forse era proprio quella diversità che le diceva che erano compatibili. Erano due calamite che si attiravano e la cosa era inquietante.
-Kya- la chiamò James alzandole il volto e incrociando gli occhi ametista della ragazza- Perché non ti fidi di me?
-Io mi fido di te James- ammise lei con la voce tremante- Forse anche troppo.
-Hai paura vero?
La figlia di Ishtar annuì e il figlio di Bau la strinse in un abbraccio. Lasciò che la ragazza si sfogassse sulla sua maglietta. Non gli piaceva che qualcuno sporcasse i suoi vestiti, ma lei era diversa. Stava diventanto il Sole, la Luna, la Terra... Tutto. La cosa non lo spaventava più di tanto. Era contento di aver trovato una persona che non lo guardava come il medico sexy della situazione stile Gray's Anathomy, ma come un ragazzo normale. Lei riusciva a tenergli testa ed era la cosa che forse lo attirava di più verso di lei, profezia o meno.
Le accarezzò la testa con delicatezza, mentre la ragazza piangeva sulla sua maglietta. Non sapeva il perché di quel pianto improvviso, ma sentiva il dovere di proteggere quella ragazza che fino a pochi giorni prima esisteva solo nelle sue fantasie. L'aveva sempre immaginata bionda e con gli occhi azzurri che si coloravano di viola, invece aveva una massa di capelli rosa e occhi viola brillante come l'ametista. Più la guardava più credeva che fosse lei la ragazza che stava cercando.
-Ogni uomo ha paura Kya. Avere paura è normale- mormorò James accarezzandole i capelli rosa- Non sei normale se non hai paura. La paura è ciò che ci fa andare avanti se la sfruttiamo. E sono sicuro che tu ce la farai.
Le passò un fazzoletto di carta con il quale la ragazza asciugó le lacrime che le rigavano il viso e le arrossavano gli occhi. La testa pulsar come un piccolo cuore.
-Non è solo paura James- ammise la figlia di Ishtar- Ci sono tante cose che... mi fanno star male. Mio padre è morto, James. Forse non potrai capirmi, ma fa male tutto ciò. Il fatto che mia madre mi abbia abbandonato sulla porta della casa di mio padre è il meno. Quello che mi fa male è che mi abbia condannato a qualcosa che neanche mi piace al momento. Ci sei anche tu in mezzo. Tu che mi fai soffrire di sbalzi d'umore in una maniera assurda. Un minuto prima sei gentile e carino, quello dopo mi tratto come se fossi la cattiva di un film. Ti chiedo soltanto di essere stabile, almeno con me.
James la guardava negli occhi, incantato dal movimento delle sue labbra, dallo sbattere delle suo ciglia e dall'incantevole suono della sua voce. Era come se il suo cervello fosse stato impostato per ammirare quella ragazza in tutta quella bellezza ipnotica. Non seppe quello che fece finché non lo realizzò completamente. Si avvicinò alla ragazza con una velocità che si fece paura da solo e la bació. Non sulla guancia però. Lui puntava a quelle labbra rosee che sembravano petali. La bació. Un bacio casto, ma importante per lui. Per un attimo, Kya si era irrigidita, ma poi si era lasciata andare. Forse anche per lei era importante. È ora cos'erano? Amici? Migliori amici? Amanti? Forse avrebbero iniziato ad ignorarsi. Erano questi i pensieri che frullavano nella testa di James. Era sempre stato riflessivo. Poi era arrivata lei e l'aveva trasformato un poco, rendendolo meno riflessivo e più impulsivo. Al Campo Mesopotamia c'era Kristen che lo stava aspettando, forse. Ora che ci pensava, però, forse Kristen non era fatta per lui. Kristen era una bellissima ragazza della Casa 3, ma non era per lui. Era anche la sorella di Jacob e non era bellissima come cosa. Jacob e James non si sopportavano. Il figlio di Utu aveva un sorta di aura che indicava il suo stato di leader, mentre James era solo il capo dell'infermeria. Non che gli dispiacesse, ma voleva di più. Voleva dimostrare di essere come Jacob e forse anche più bravo. Dal momento in cui l'aveva sconfitto in quel campo da gioco, James si era cimentato ancora di più nello studio e negli allenamenti imposti dai Maestri, ma non era ancora riuscito a dimostrare il suo valore.
-James...- mormorò Kya mentre si staccava. Lo guardò con occhi tristi ma luminosi e subito James prese a farsi dei viaggi mentali su ciò che la ragazza avrebbe potuto dire o fare. Grazie al cielo ci pensò Logan ad interrompere quei piccoli viaggi.
-Siamo quasi arrivati a Miami ragazzi- disse Logan sorridendo. Era la prima volta che Kya lo vedeva sorridere e non si meravigliava se assomigliava ad un angelo nero. Annuirono e iniziarono a prepararsi. Kya si spostò davanti con Logan e James non seppe come prendere la cosa. Parlavano sottovoce. Jacob e Anne erano già pronti e quando il treno si fermò si precipitarono fuori. Orami era tardi e la notte era già scesa. Camminarono per un po', sino a giungere in centro città. Lì, vagarono ancora un po' nella caotica Miami. Pierre era più tranquilla come città. James guardava Kya camminare davanti a lui con i capelli rosa raccolti in una coda rosa e la giacca nera con la sciarpa a righe blu e nere. Kya si guardava attorno con un sorriso mentre cercava di assorbire quanto più materiale possibile. Non era mai stata al di fuori di Pierre da quando lei e suo padre erano scappati da New York. Pensava a suo cugino intanto. Chissà se si ricordava di lei. No, probabilmente no. Anche Sally aveva nascosto la verità, lo sapeva, come sapeva che l'avevano fatto per proteggerli. Non aveva ancora ben capito il perché sua madre le aveva detto di cercare Percy e, onestamente, aveva paura di scoprirlo.
Trovarono un piccolo condominio dove affrontavano camere, una sorta di motel nel pieno centro di Miami. Presero due camere con i soldi che Logan aveva preso da sua madre negli Inferi. Quel viaggio fece pensare la figlia di Ishtar. La dea aveva nominato Ade, il dio degli Inferi greco e Kya continuava a pensare che c'era qualcosa che non tornava. Lei sapeva che suo cugino era un semidio greco e che di conseguenza anche gli Dei greci esistevano, ma c'era comunque qualcosa che non le tornava. Come potevano esistere più Dei degli stessi elementi e delle stesse cose? Di chi poteva fidarsi? Si stese sul letto, con la pancia per aria. Aveva già il pigiama e attendeva Anne per andare a dormire. La figlia di Assur tornò con il pigiama addosso e si misero sotto le coperte. Anche Anne pensava. Lei forse aveva capito a che gioco stesse giocando Zoey e che ruolo loro interpretavano in quella scacchiera. C'era però una pedina che mancava. Quella pedina era importante, lo sapeva e forse sarebbe stata la chiave di tutto. E quel pensiero la tormentava perché sapeva che quella persona era ciò che era stato tenuto nascosto per molto. Lei sapeva la verità su tutto. Aveva visto tutto, ma non era ancora pronta  per vedere Kya distrutta, non dopo che avevano stretto amicizia. Le tornarono in mente le parole dell'indovinello di Ninurta e capí. Non dovevano cercare negli Inferi, no. Loro dovevano cercare la terra. Non sapeva ancora come esattamente, ma sapeva che era così.
-Anne- la chiamò Kya- A che cosa stai pensando?
Anne si voltò vero l'amica, sospirò e rispose:- Forse, dovremmo cercare la terra, non trovi?
Kya la guardò con le sopracciglia affrontate e Anne commentò:- La terra, Kya. Abbiamo bisogno della dea della terra.

Non era così stanca, ma doveva concedersi del riposo prima di svenire. Non va bene superare sempre i propri limiti, questo le avevano insegnato al Campo Mesopotamia. Si arrampicò su un albero, mentre il toro si mise sul terreno bagnato del bosco. Faceva freddo, ma non lo sentiva così tanto da necessitare di una coperta pesante. Si era sottoposta a quello durante le ore libere al campo: sopravvivere e adattarsi in fretta al luogo dove ci si trovava. Era abituata, ormai. Tirò fuori dallo zaino un sacchetto di biscotti alla menta e cioccolato, come quelli che faceva sua sorella Jo, prima che accadesse tutto. Beh, non era stato così complicato dopo tutto. Non si sentiva neanche in colpa. Ormai il suo cuore non era puro. Appoggiò la testa contro il tronco e sospirò. Poteva farcela, tutto sommato. Guardò il toro che già dormiva come un ghiro e decise che poteva concedersi del riposo. Erano giorni che seguiva quel dannato toro e giorni che non chiudeva occhio. Chiuse gli occhi e si addormentò, con le orecchie che percepivano ogni rumore e il naso ogni odore. Non era dormire, ma erano dettagli. Chiuse comunque gli occhi e si addormentò.

Angolo Autrici
Buonasera a tutti! Lo sappiamo, siamo da linciare solo per il ritardo... siamo delle persone orribil...ci dispiace tanto. Comunque, sappiamo che a molti di voi sembrerà presto ciò che accade in questo capitolo, ma è giusto che accada ora, anche perché abbiamo poco tempo e tante cose da raccontare. In tutto ciò, speriamo che rimaniate con noi per scoprire ciò che accade. Vi volevamo chiedere di non traumatizzarvi se vedete degli errori grammaticali, non è colpa nostra. Detto ciò, diteci che ne pensate e buonanotte a tutti😘😘

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Capitolo 29
*** SENTIMENTI ***


SENTIMENTI


Il sole si alzava, brillando sul mare azzurro e colorandolo di arancione. Miami era già sveglia o forse non si era mai spenta.
Kya era sveglia, con una tazza di caffè bollente in mano e un pigiama costituito da pantaloncini e canottiera indecenti. Anne era andata a farsi la doccia, per poi prepararsi a partire alla volta della ricerca della dea della terra, Ninmah. La cosa divertente in tutto ciò, era il fatto che questa grande illuminazione era venuta alle undici di sera ad Anne, che intorno alle dieci e mezza disattivava il cervello e lo lasciava riposare. Kya sorseggió il suo caffè e aprì il giornale. Era il 28 di Dicembre ormai e loro dovevano portare a termine la missione entro l'inizio del nuovo anno. Quattro giorni per trovare Zoey e una pergamena.
Bussarono alla porta e Kya, scocciata, andò ad aprire. Si ritrovò a guardare gli occhi smeraldini di James e le sue labbra carnose. Gli saltò al collo abbracciandolo. Aveva bisogno di lui. Aveva immaginato tante volte quel momento durante la notte e si era imposta di dirgli che tra loro non ci poteva essere nulla e che sarebbero dovuti rimanere amici per il bene di tutti. Non lo fece mai e forse era perché aveva bisogno di lui come l'uomo ha bisogno dell'aria. È una cosa stupita da dire ad una persona che conosci da appena cinque giorni, ma Kya si sentiva così. Necessitava del figlio di Bau. Appoggiò la testa al petto del ragazzo e ascoltò il suo battito irregolare. Batteva forte e anche senza i sensi di leonessa riusciva a sentirli.
-Buongiorno!- esclamò James- Ho portato la colazione.
Agitó in aria un sacchetto e Kya fece per prenderlo. Sapeva cosa conteva e li voleva ad ogni costo. Quando stava per afferrarli, James spostò il sacchetto più in alto, ma era troppo in alto per la figlia di Ishtar, che non era chissà quale altezza. Neanche in punta di piedi ci arrivava. Ringhió e sentì l'adrenalina scalderle il corpo dandole una scarica elettrica. Saltò e afferrò il sacchetto, mentre il povero James rimaneva a mani vuote.
-Mai sottovalutarmi quando si tratta di muffin al cioccolato- borbottó Kya mentre spachettava il sacchetto e pescava uno di quei muffin calorici. Diede un morso al dolcetto e subito le sembrò di tornare ai tempi in cui suo padre gli preparava i muffin secondo un'antica ricetta di famiglia a cui la zia Sally aveva apportato delle modifiche colorate.
-Ho capito- si scusó James- Non ti sottovaluterò più.
Kya annuì sorridendo ed entrò nella stanza, seguita da James.
-Anne non uscire- urlò Kya-C'è James qui.
-Grazie-urlò Anne dal bagno. Probabilmente l'aveva salvata dalla vergogna eterna. Kya si accomodó sulla sedia e tirò fuori dal sacchetto i muffin al cioccolato che aveva portato James. Il figlio di Bau si sedette accanto a lei, sperando di parlare di quello che era successo il giorno prima sul treno. Lui voleva sapere che cosa erano loro due adesso. Anche Kya era curiosa di saperlo. Non che gli fosse dispiaciuto quel bacio, tutt'altro, ma era confusa. C'era Kristen, per esempio. Inghiottí il muffin come una macchina divoratrice e si pulí la bocca con un tovagliolo di carta, per poi bere il caffè che aveva preparato.
-Vuoi?- domandò a James indicandogli la tazza. Il figlio di Bau annuì e prese la tazza dalle mani della ragazza,per poi bere un lungo sorso di caffè bollente aromatizzato alla cannella. Kya aveva gusti assai strani.
-Possiamo parlare?- domandò James guardandola negli occhi. Kya invece fece di tutto pur di evitare lo sguardo smeraldino del ragazzo. Lei sapeva che cosa provava James per lei e, nonostante ciò, non gli aveva mai impedito di avvicinarsi sempre di più a lei e al suo cuore. Gli aveva confessato quei segreti che solo suo padre sapeva. Si erano addirittura presi cura l'uno dell'altro, in momenti difficili e si conoscevano da una settimana. La figlia di Ishtar si domandasse come fosse possibile legare così in fretta. Si conoscevano da poco e, nonostante qualche battibecco iniziale, erano diventati amici, come se il loro destino fosse stare insieme. La cosa distruggeva Kya. Non era che odiava James, no. Era perché sapeva che un destino così, avrebbe distrutto il cuore di Kristen, che all'apparenza era insopportabile, ma Kya aveva visto del buono in lei.
-Di che cosa vuoi parlare?- chiese la figlia di Ishtar- Del Sole? Dei disastri ambientali? Scegli tu.
-Non girarci attorno Kya.
Kya abbassò gli occhi. Si, dovevano parlare, ma non con Anne a portata d'orecchio. Dei, voleva bene ad Anne, ma non era il caso che venisse a sapere tutto, specialmente di loro.
-Dammi il tempo di vestirmi- mormorò la figlia di Ishtar per poi alzarsi e andare verso lo zaino. Pescò una vecchia maglietta bianca del Campo Mesopotamia. Si tolse il pigiama, fidandosi di schiena e dando le spalle a James. La indossò e chiese:-Puoi voltarti dall'altro lato, per favore?
James annuì e voltò il capo. Kya indossò i suoi jeans neri, gli anfibi neri e la giacca con tanto di sciarpa. Controlló di avere l'anello di sua madre e riprese in mano la tazza del caffè per metterla nel lavandino, come per dire ad Anne di lavarla.
-Andiamo- disse Kya. James annuì e insieme uscirono dalla stanza, chiudendosi la porta alle spalle.
Nonostante il Sole, fuori c'era freddo. Kya si strinse nella giacca, pensando che non aveva mai vissuto un inverno così freddo. Camminarono per un po', per poi fermarsi su un molo, seduti sul legno a guardare il Sole che brillava sul mare.
-Il mare è il mio posto preferito sai?- domandò Kya sorridendo e guardando con nostalgia il mare. Da quando aveva recuperato i ricordi su suo cugino, il mondo era più chiaro. Lei e Percy avevano sempre avuto una passione per il mare ed entrambi credevano che l'acqua fosse come l'amore. Credevano che se l'acqua e l'amore fossero state unite, allora nessuno avrebbe potuto saccapare al loro potere. Forse anche per questo li avevano divisi, i mostri erano stati solo un incentivo. Forse, Sally e Robert lo avevano già deciso.
-Anche tuo cugino è così?- domandò James. Kya annuì:-Anche lui è un semidio.
-Sembra che la cosa ti dispiaccia- commentò il figlio di Bau guardando il mare che brillava ancora della luce del Sole.
-Al contrario, mi fa molto piacere avere qualcuno con cui condividere questo problema. Ora che mio padre non c'è più non so con chi confidarmi e, forse, Percy potrebbe sostituire mio padre.
James posò la mano su quella della ragazza:-Sono sicuro che sarà così e magari mentre apsetti potresti parlare con me.
-James...- sussurrò Kya diventando rossa- Quello che è successo ieri non fa di noi fidanzati o che so io. Siamo diversi James. Tu sai cosa vuoi nella vita, io no. Tu hai una persona da amare, Kristen, e devi realizzare i tuoi sogni. Lo so che vuoi diventare medico e c'è tanto da studiare per laurearsi, anche se sono sicura che ce la farai. Attualmente, devi concentrarti su queste cose.
James la guardò negli occhi, ormai lucidi. Le lacrime avevano iniziato a bagnare gli occhi viola della ragazza, ma lei era stata attenta e per ora non ne aveva lasciata andare neanche una. James sapeva che la figlia di Ishtar non voleva dirgli addio, perchè anche lei, in fondo, voleva stare con lui. Nonostante questo desiderio, Kya metteva Kristen davanti a lei. A James non importava della sorella di Jacob. Era storia passata, anche se non aveva ancora chiuso e forse era ciò che alla figlia di Ishtar preoccupava. Non aveva mai pensato che il dolore sarebbe stato così facile da creare con delle semplici parole; parole che l'avevano però ucciso dentro. La prima lacrima dal volto della ragazza cadde e James l'attirò verso di lui, come il giorno prima, quando si era sfogata sul treno. Lei però lo respinse e tra i singhiozzi disse:-Non possiamo andare avanti così. Io... ho bisogno che tu faccia la tua vita e non ti comportassi come se avessi continuamente bisogno di te. Forse è vero: ho bisogno di te, ma non posso andare avanti così.
-La mia vita è legata alla tua- mormorò James. Prima che la ragazza potesse fare domande, si sentì un tuono da lontano. Kya si asciugò gli occhi con la manica e s'alzò in piedi. Vide un tornado ad arrivare da lontano e ordibnò:-Alzati James, dobbiamo andarcene.
James si alzò senza protestare e iniziarono a correre lungo il molo, schivando i pescatori e turisti. Spintonarono e sentirono la gente che li insultava da lontano, ma fecero finta di nulla. Continuarono a correre per la strada. James afferrò la mano della ragazza e se la trascinò dietro. Kya cadde per terra qualche volta e si sbucciò le ginocchia. Giunsero al motel e bussarono forte alla porta delle due stanze. La prima ad aprire fu Anne.
-Prepara la roba Anne- disse Kya- Dobbiamo andarcene.
-Perchè?
-Ci hanno trovato vero?- domandò Jacob irrompendo nella stanza con già lo zaino in spalla. James e Logan erano dietro di lui. Kya annuì, mentre Anne le lanciò lo zaino che prese al volo. Scesero le scale del motel e salirono su un pick-up che era lì. Anne collegò i cavi tra di loro, facendo partire l'auto. Jacob era l'unico ad avere la patente, perciò si sedette al posto del giudatore, pigiò l'acceleratore e sfrecciarono fuori dal parcheggio del motel, mentre un signore dall'aria particolare gli agitava contro un pugno e gli urlava dietro. Uscirono dalla città, ma la tempesta li segiuva. Non era una normale tempesta e Kya lo sapeva. Erano sicuramente dei demoni che li cercavano, che bramavano il loro sangue e la loro carne. Si avvicinava velocemente a loro e presto sarebbero stati al centro della tempesta. Kya guardò dal finestrino la tempesta e vide grandi uomini lebbrosi con le ali che la provocavano. Giravano in torno a formare un tornado.
-Sono uomini- esclamò Kya- Credo.
-Sono Alu- rispose Logan- Demoni sostanzialmente.
Kya guardò attraverso lo strato di vetro e capì che appena avessero voltato, i demoni gli sarebbero venuti addosso.
-James apri il tettuccio- gli ordinò Kya. Il figlio di Bau lo feceve senza commentare. La figlia di Ishtar guardò la figlia Assur e si capirono subito. Anne pescó dal suo zainetto una balestra ripiegabile con le frecce dalla punta nera, Kya si sfilò l'anello e si trasformò in un arco con le frecce. Si misero in piedi sui sedili della jeep e iniziarono a tirar le frecce contro gli Alu. Alcune venivano deviate dalla tempesta, mentre altre colpivano i demoni, colpendoli nel torace o nell'incavo delle ali. Cadevano come corvi cacciati da cacciatori.
-Accelera Jacob!- urlò Logan da dentro alla jeep. Jacob premette l'acceleratore con forza e le due ragazze rischiarono di cadere. Rientrarono dentro l'auto, ma i demoni non volevano morire. Sembravano immortali, come dei molti demoni che avevano incontrato.
-Qualcuno deve lanciarmi verso di loro- disse Kya mentre si sedeva. James la guardò male:- Che vuoi dire?
-Che mi dovrete scagliare contro di loro.Posso abbatterli solo da vicino e solo in forma animale.
-E un suicidio Kya!- urlò Logan con fare protettivo. Si guardarono, i due ragazzi, e si capirono. Era una cosa che dovevano fare.
-Vengo con te- disse Logan convinto. Kya scosse la testa:-Non puoi.
Logan annuì. Si tolse la maglietta e la figlia di Ishtar vide quel tatuaggio che sempre l'aveva attirata: il gufo con le ali spalancate. Si era sempre domandata che cosa rappresentasse quel tatuaggio, ma non aveva mai avuto il coraggio di chiedere spiegazioni, né a lui né a Zoey.
-E a cosa servirebbe?- domandò Kya guardando il fantastico gufo.
-Esistono semidei che attraverso la loro maturazione riescono a trasformarsi in animali- spiegò Logan- Questo non è un tatuaggio. È una cicatrice.
-Possiamo dare spiegazioni a Rosa quando siamo sicuri che siamo VIVI!- gridò James sterzando bruscamente. Logan annuì non appena ritornarono dritti. Kya salì sul tetto della jeep e Logan la seguì. Il vento soffiava tra i capelli scompigliandoli. Logan mosse il collo come se fosse posseduto, aprì le braccia e si trasformò in un grande gufo dal piumaggio bianco e nero. Prese Kya dalle braccia e volò verso il tornado. Lanciò la ragazza nella tempesta e lei approfittò del lancio per trasformarsi: le ossa scricchiolarono e i muscoli si tesero, gli occhi vedevano meglio e le orecchie percepivano tutti i suoni. Atterró sopra ad un Alu e affondò i denti nella pelle per poi strapparla a morsi. Avevano delle pustole su tutto il corpo e le labbra erano enormi e rosse. Avevano ali di corvo molto piccole, tanto che facevano fatica a volare. Squarció la gola ad un altro, mentre Logan graffiava loro la faccia con gli artigli da gufo. La ragazza ritornò umana, si sfilò l'anello e lo trasformò in una katana dalla lama nera. I suoi occhi cambiarono, trasformandosi in laghi di sangue. Tagliò il demone accanto a lei a metà e, mentre quello si dissolveva in polvere, saltò sopra ad una altro e tagliò anche lui a metà. Uno la prese per le spalle e la lanciò in aria. La prese un Alu più grande degli altri, probabilmente era il capo. La morse sul collo e lei urlò dal dolore. Nonostante ciò, trovò comunque la forza per calciarlo via e tagliarlo in due con la katana. Cadde nel vuoto. Si sarebbe spiacciacata al suolo, ma Logan la prese per le braccia e volarono verso la jeep che conteneva i loro amici e che proseguiva veloce sulla strada. A Kya bruciava tutto il corpo, come se l'avessero messa dentro ad una vasca con l'acido. Bruciavano le ossa e i muscoli e respirare era come essere sott'acqua. Logan atterró sopra al tettuccio della jeep. I demoni non c'erano più e tutto questo perché il loro boss era stato tagliato a metà da una katana nera. Ritornò umana e fece scendere la ragazza dalla piccola apertura. Mormorava parole, ma lui non riusciva a comprenderle. Calata la ragazza entrò anche lui, sedendosi in uno dei tre posti davanti e lasciando che James si prendesse cura di lei.

Viaggiarono per ore. Secondo le ultime ricerche di Anne, Zoey era diretta a Phoenix, in Arizona. Dovevano raggiungerla al più presto. La situazione di Kya non migliorò quella notte. Il morso che le aveva inflitto l'Alu era profondo e le aveva passato un sottoforma di lebbra, che James non riusciva a capire. Il figlio di Bau aveva provato medicine e incantesimi da mago, ma non era riuscito a fare molto. Si sentiva in colpa per aver permesso alla ragazza di affrontare gli Alu, ma nessuno gli dava la colpa. Jacob e Logan si alternarono al volante, nonostante il fatto che solo uno di loro avesse la patente. Anne era attaccata al portatile a monitorare gli spostamenti di Zoey. Nella jeep c'era un silenzio tombale e la cosa spaventava la figlia di Assur. Non avevano ancora parlato con nessuno del fatto che dovevano cercare la dea della terra. Temevano che non fosse una buona idea. Anne sapeva che la dea della terra era sulla strada per Pheonix e aveva intenzione di cercarla prima di continuare il loro viaggio. Probabilmente la dea della terra aveva la pergamena di cui avevano bisogno. Jacob guidava accanto a lei e per un attimo le sembrò si rivedere il bambino sorridente che era una volta. Perché Jacob non era sempre stato così. C'era stato un periodo della sua vita, quando lui era molto piccolo, che sorrideva di più. Si era perso quando aveva iniziato a frequentare i ragazzi più grandi e a prendere lezioni da loro.
-So cosa stai pensando Anne- disse lui brusco. L'acidità era piuttosto alta. Anne fece una smorfia:Non sapevo che sapessi leggere nella mente James.
Lui grugní:-Sai cosa intendo.
-Non ti puoi mettere tra loro- ribattè la figlia di Assur- Sono legati.
-Anche Melissa e Cameron lo erano- la rimbeccó lui. Anne scosse la testa scacciando il pensiero dei due suoi amici, poi disse:-Per loro è diverso. Loro hanno le stelle a loro favore e anche Ishtar, Melissa e Cameron no.
Jacob non riapose e rimasero in silenzio fino alla mattina. Anne guardò il Sole sorgere e colorare il cielo di rosso e arancione. Guardò indietro, dove Kya e James dormivano quasi abbracciati. La scena le scaldó il cuore. Forse era quello che persone chiamano amore.
Jacob si fermò bruscamente, svegliando tutti i presenti.
-Siamo arrivati- disse il figlio di Utu.
Erano in mezzo al nulla, ma la dea della terra era lì, ad aspettarli.

Angolo Autrici
Zaooooo. Come va la vita gente? Allora, questo capitolo è un nostro regalo per voi per San Valentino... un po' in ritardo... molto in ritardo okay....Kya e James fanno i conti con i nuovi sentimenti e tranquilli perché James non mollerà l'osso. Comunque, ora boh... zaoooo

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Capitolo 30
*** LA HEROES ***


LA HEROES
-Non portare sfiga Piper!- esclamò Leo quando, la mattina seguente, prima dell'inizio delle lezioni, Piper gli aveva rivelato i suoi presagi e i suoi timori.
-Leo, sono seria- commentò Piper- Ho una strana sensazione.
Leo non rispose. Si diressero a Babbanologia. Con loro c'erano Percy, Annabeth, Frank e Hazel. Volevano capire tutti il motivo per il quale Piper era sempre preoccupata nell'ultimo periodo. Leo, però, sembrava infischiarsene. Non voleva che nessuno dicesse cose sfortunate sulla sua nave.
-A proposito della Heroes- disse Leo- Dovrebbe arrivare oggi pomeriggio, attraverso Ermes Express. Avete delle dracme da prestarmi? Non voglio avere debiti con Ermes.
-Hai chiesto ad Hermes di portarti la nave qui?!- domandò Percy sbalordito- Costa un sacco!
-Per questo sto chiedendo se avete dei soldi da prestarmi. Vi giuro che ve lo ridaró e in più ci saranno delle vasche idromassaggio nelle vostre cabine.
Piper guardò il figlio di Efesto male per poi prendere un sacchetto e porlo nelle mani del semidio:- Sono metà mie e metà di Annabeth; cinquanta dracme. Vedi di mantenere la promessa, Valdez.
Leo guardò dentro al sacchetto ed esclamò entusiasta:-Siete fantastiche ragazze! Con queste posso mettere una vasca idromassaggio in ogni cabina, comprare i fili di cui Nyssa mi aveva parlato e costruire anche un robot che mi aiuti. Io vi adoro. Arrivarono a lezione, presero posto e attesero che la lezione finisse. Leo disegnò e progettò tutte le due ore. Disegnò una sezione di cavi che sarebbero stati collegati ai computer di bordo e disegnò la struttura interna dei computer. La lezione sembrò non finire mai, ma Leo seppe impiegare il suo tempo: prese dalla sua cintura degli attrezzi una scheda madre, qualche piccola vite e piccoli cavi elettrici e, senza far rumore, cominciò a montare i vari oggetti. Quando la campanella suonò, Leo raccolse le sue cose e aspettó Piper, Frank, Percy, Annabeth e Hazel davanti alla porta mentre l'onda di studenti ripiegava fuori. Lì si divisero. Piper e Frank seguirono il resto dei Tassorosso in Serra, dove li stavano aspettando Bianca, Silena e Beckendorf, mentre Leo, Percy, Annabeth e Hazel andavano a Difesa Contro le Arti Oscure. Giunsero nell'aula, dove Harry, Ron, Hermione e Ginny stavano parlando animatamente. Erano seduti alla scrivania di Harry e sembravano più pallidi del solito. -Che succede?- domandò Percy. Harry spostò lo sguardo sul semidio e disse:-Qualcuno sa perché c'è una nave nel giardino di Hogwarts?
A Leo si illuminarono gli occhi nel sentire Harry parlare di una nave. Sperava che fosse la Heroes, la sua nave, il suo nuovo progetto. Corse alla finestra, quasi inciampando nel mantello nero, e guardò fuori spiaccicando il naso contro il vetro freddo. La Heroes era lì con il Dio Ermes davanti che guardava l'orologio impaziente. La trireme greca era lì. Il ponte era in legno di quercia prodotta dai figli di Demetra, i tre alberi avevano già le vele bianche e gli oblò avevano vetro di prima qualità. Leo uscì dalla stanza come un fulmine, percorrendo la scuola sino al giardino, dove la nave e Ermes lo attendevano. Leo corse davanti al dio e quest'ultimo chiese:-Sei tu Leo Valdez?
Leo annuì emozionato, firmò un paio di fogli mentre il dio esclamava:-Ciao Percy! Annabeth come va? Tua madre ti manda questo. E Percy... i biscotti di tua madre sono davvero buoni.
Ermes passò a Percy una scatola di biscotti, mentre ad Annabeth diede un pezzo di carta e una pergamena piegata su se stessa diverse volte.
-Grazie divino Ermes- disse Annabeth- Le dobbiamo qualcosa?
-No carissima, solo il tipetto qua. Ah, a proposito: c'è Luke?
-Credo che sia a pozioni- rispose Hazel. Si sentì una voce urlare "papà" e si votarono tutti. Luke stava correndo incontro a loro, con un sorriso stampato sulle labbra. Si fermò a pochi metri dal dio, come se la sua sicurezza stesse vacillando.
-Ciao Luke- sussurró Ermes. Luke sorrise ancora, poi, con sicurezza, abbracció il padre. Ermes lo strinse tra le sue braccia. Padre e figlio di nuovo riuniti. Luke sciolse l'abbraccio imbarazzato, Ermes gli diede una pacca sulla spalla e disse:-È stato bello rivedervi, tutti quanti, ma ora devo andare.
Leo sapeva che Ermes sarebbe rimasto volentieri ancora un po'. Annabeth gli aveva parlato della sua chiacchierata con Poseidone e ciò che aveva detto il dio lo turbava. Il fatto che gli Dei fossero in pericolo, non lo stupiva più di tanto, ma il fatto che non si facessero vedere neanche nei loro incubi, lo impauriva. Voleva dire che erano soli.
-Arrivederci divino Ermes e grazie- salutò Percy. Il dio scomparve in un pouf azzurro dall'odore di carta imbustata. I semidei rimasero in silenzio per un po', ma ci pensò Leo a rompere il silenzio chiedendo:-Mi date una mano a spostarla nel lago?

Erano stati raggiunti dagli altri semidei e da Ernie, Draco e Luna. I maghi erano ancora paralizzati per una qualche ragione ai semidei sconosciuta. Cosa c'era di strano nel vedere un dio nel giardino della propria scuola? Percy non lo sapeva. Certo, vedere un dio in carne e ossa non era una cosa da poco, ma neamche una cosa per cui scandalizzarsi.
-Allora, mi aiutate o no?- domandò Leo indicando la nave. Annabeth si acciglió e chiese:-Perché l'hai fatta portare? Potrebbe essere soltanto un ulteriore preoccupazione. -Durante le ore di libertà voglio fare qualcosa- rispose Leo- E poi potremmo tornare a casa con questa. Sai che figurone faremmo? Calipso si tirò uno schiaffo in fronte. Leo, certe volte, era veramente stupido, in senso buono ovviamente. Sembrava che lui e Percy facessero a gara. Con qual che corrente d'aria e l'incantesimo Wingardium Leviosa, la nave fu sistemata nel Lago Nero. Mentre spostavano la nave, Percy era andato a chiedere alle creature del lago se potevano evitare di distruggere la Heroes. Suonò la campanella della pausa pranzo e i ragazzi si diressero alla Sala Grande. Ognuno andò al suo tavolo. Harry era di fronte a Percy. Il figlio di Poseidone stava mangiando un cheeseburger con molto formaggio e salsa al pomodoro. -Posso farti una domanda?- chiese Harry al semidio. Il figlio del dio del mare mandò giù il boccone che stava masticando e rispose:-A patto che tu risponda alla mia domanda.
Harry annuì e domandò:-Che ve ne fate di una nave?
-Leo è particolare. Ultimamente è fissato con le navi volanti. Comunque, per tornare a casa non possiamo prendere l'aereo o un qualunque mezzo mortale. Sarebbe troppo pericoloso, per noi e per i mortali. E poi, a Leo piace non annoiarsi. Dopo ti faccio fare il tour, promesso.
A Harry piacque molto l'entusiasmo del semidio. Nessuno dei due seppe mai dire che cosa li spingeva a fidarsi l'uno dell'altro; Harry in particolar modo e, mentre mangiava il suo pollo, se lo continuava a domandare, quasi come un disco rotto. I due ragazzi non mangiarono il dolce e, con una scusa, si dileguarono. Uscirono dal castello e quasi correndo giunsero al Lago Nero, dove la Heroes si trovava. Le vele bianche erano state tessute dai figli di Atena ed ora erano chiuse. Il legno non aveva alcun graffio e, a polena, c'era una testa di drago d'oro dagli occhi rubino vero. Gli scudi di bronzo celeste erano stati incantati dai figli di Hecate e ora fungevano da barriera protettiva, come quella del Campo Mezzosangue, e le grandi turbine permettevano di raggiungere un'elevata velocità sia in acqua che in aria permettendo a Jason e Percy di risparmiare energie. Salirono sulla nave e Harry rimase decisamente sorpreso. La nave, che da fuori sembrava già grande, da dentro lo era molto di più. Il pavimento era interamente in legno, come tutto il resto della nave, solo più chiaro; la cabina del capitano era assente e al suo posto c'era un'armeria. Davanti all'armeria, vi era un timone e dei computer, forse radar, e dei telecomandi come quelli della Wii. Harry ne prese in ano uno e Percy non esitò a rimporverarlo:-Non toccare i telecomandi, per favore. C'è il rischio che esploda tutto.
Harry lo mise giù con delicatezza e seguì Percy dietro ad una porta. C'era una rampa di scale di qualche gradino ben illuminata da luci al neon. Il corridoio era grande, con un tappeto rosso steso a terra. Sia a destra che a sinistra vi erano delle porte in legno con il pomello d'oro. Harry ne aveva contate una ventina. Percy aprì una delle prime porte in legno, dove in ottone c'era scritto "Cabina 3". Vi entrarono e a Harry sembrò di essere sprofondato nel mare. Le pareti della camera avevano i colori del mare più chiaro, i mobili erano in legno chiaro e donavano un aspetto molto elegante alla camera. La libreria conteva diversi libri, conchiglie e foto. A Harry piaceva molto, specialmente il grande quadro sopra la testa del letto. Le foto erano sparse un po' ovunque oltre che sulla libreria. Una foto in particolare attirò l'attenzione di Harry. Era una donna dai capelli castani e occhi blu col volto gentile.
-Chi è?- domandò Harry prendendo in mano una foto. Percy sorrise e rispose:-Mia madre.
A Harry venne un vuoto e un magone al cuore. Lui la mamma nonl'aveva. L'aveva persa a pochi mesi dalla sua nascita e l'aveva persa perchè lo stava proteggendo. Uccisi madre e padre, Voldemort era giunto a lui e, grazie all'amore della madre, Harry l'aveva privato dei suoi poteri quando il Signore Oscuro gli aveva scagliato la maledizione mortale. aveva vissuto da Dursely fino a quando non gli era arrivata la lettera di Hogwarts. Gli era morto il padrino, Sirius, pochi anni prima ed ora della sua famiglia non gli era imasto nessuno, a parte i Dursely che però erano... praticamente inutili? Si, forse si. Harry sentì qualcosa mordergli lo stomaco. Era invidioso di Percy.
-Ho... pensato che sarebbe stato meglio parlare qui che a Hogwarts- iniziò Percy- Volevo parlarti di una cosa che mi ha detto Annabeth, ma che hanno scoperto Reyna e Calipso. Harry s'immobilizò. che cosa voleva dirgli Percy di così importante che non poteva essere ascoltato dai muri della scuola?
-Ehm... certo- rispose Harry. Percy gli indicò una poltrona nell'angolo rigorosamente azzurra. Percy si accomodò sull'altra, intrecciò le mani e si sporse in avanti, posando i gomiti sulle ginocchia:-Harry so che sta cambiando molto in fretta quello che conoscevi. Forse pensavi che il mondo fosse solo di maghi, ti capisco, ma è giusto che io ti dica a che cosa stiamo andando incontro.
Harry stava cominciando a sudare. Percy voleva arrivare al nocciolo della questione, per la barba di Merlino!?
-Harry, ti sei mai chiesto perchè io e te siamo così simili? Pensaci: destini simili, simili fisicamente... per non contare il fatto che ci siamo già inocntrati. Credo, che io e te siamo legati da un filo invisibile.
Harry lo guardò strano. Non sapeva che pensare. Era stato legato a Voldemort per diciasette anni ed ora scopriva che era legato a Percy. Certo, Percy non era una persona malvagia e assetata di potere come Voldemort, ma a Harry non dispiaceva vivere senza un qualcuno che frugasse nella sua mente.
-E come l'hanno scoperto?- domandò Harry- Cioè...è...
-L'hanno letto su un libro, o meglio hanno letto su un libro come è possibile riconoscere le persone che sono legate, anche se non so da dove hanno preso questo volume. Harry, io non so cosa significhi nel tuo mondo "essere legati", ma nel mio non è esattamente di buon auspicio, specialmente quando ci sono di mezzo i Tre Pezzi Grossi.
-Chi?- domandò Harry non sapendo di chi il figlio di Poseidone stesse parlando.
-Zeus, Ade e Poseidone- spiegó Percy-I tre fratelli più potenti. Percy guardò Harry cercando una risposta alla sua domanda precedente. Harry scosse la testa e Percy sprofondó nella poltrona. Poteva esistere un mondo dove era tutto calmo e tranquillo? Percy sprofondo ancora di più nella poltrona. Doveva parlare con Annabeth e trovare una soluzione insieme.
-Devo parlare con Hermione riguardo questa cosa- disse Harry alzandosi. Percy annuì e aggiunse:-Io parlerò con Annabeth. Lei ha sempre una risposta.
-Hermione è uguale- sorrise Harry. Percy si alzò dalla bella poltrona azzurra e uscirono dalla nave. Mentre risalivano Hogwarts concordando che non avrebbero nulla del loro segreto tranne ad Annabethe e Hermione. Harry andò nella sua classe di Difesa Contro le Arti Oscure e Percy andò a Storia della Magia. Annabeth lo aspettava con una lettera. Il semidio guardò sul retro della busta, ma il mittente non c'era. L'aprì lentamente e ne trasse della pergamena quella che utilizzavano al Campo Mezzosangue.

Egregio signore Jackson, la informiamo che i suoi servigi al Campo Mezzosangue non sono più richiesti in quanto ha tradito il decreto di sicurezza e segretezza dell'Olimpo. Le chiediamo cortesiamente di liberare la cabina 3 al Campo Mezzosangue.
Signor Dioniso, n.12 residente al Campo Mezzosangue.


A Percy tremavano le mani. Non poteva essere stato espulso dal Campo....

Angolo Autrici
ZAOOOO CARII.... come va la vita? Qui tutto oke. Abbiamo di nuovo Hogwarts con i suoi abitanti, finalmente. Diteci che ne pensate gente. 
P.s: volevamo avvisarvi che non riusciremo sempre a pubblicare perché stiamo organizzando un Campo Mezzosangue con gli amici, quindi vi chiediamo di perdonarci se ci metterermo tantissimo. Kiss

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Capitolo 31
*** SPIEGAZIONI E CONVERSAZIONI ***


SPIEGAZIONI E CONVERSAZIONI


Nessuno riusciva a crederci ed Annabeth voleva scoprire che cosa stava accadendo. Provarono, nei giorni seguenti a contattare Chirone o gli altri ragazzi del campo, ma nulla. Intanto, ogni mattina o sera, un semidio veniva espulso dal Campo Mezzosangue o dal Campo Giove. Anche i ragazzi della Brooklyn House stavano facendo la stessa fine. Talia e Bianca non erano più tra le Cacciatrici di Artemide per una qualche strana e inspiegabile ragione, Will non faceva più parte dell'Associazione della Lira di Apollo e a Silena non arrivavano più le riviste di moda olimpica.
Una mattina, arrivò una biga trainata da pegasi bianchi che Silena riconobbe come DJ e Starlight. Dalla biga scesero tre figure che inizialmente Percy non riconobbe. Un secondo dopo il semidio stava correndo come un dannato verso di loro. Erano Clarisse LaRue, Chris Rodiguez e Rachel Elisabeth Dare. Erano graffiati e mal messi. Clarisse non si faceva problemi con le cicatrici, ma sembrava che quelle le dessero fastidio. Aveva una bandana tra i capelli castani, jeans mimentici sporchi e logori, anfibi neri incrostati di fango, come se fosse stata giorni in trincea, e una maglietta rossa. Normalmente aveva sempre un'arma in mano, spesso una lancia, ma al momento era nel fodero sulla schiena. Chris, il ragazzo ispanico di Clarisse, aveva quello che Silena chiamava "problemi di stile", anche se Percy non lo credeva affatto. Rachel era scossa da brividi. Aveva i capelli rosso fuoco raccolti in una coda, gli occhi verdi che luccicavano e i soliti vestiti sporchi di tempera.
Annabeth correca dietro di Percy che cercava di non inciampare nella divisa.
- Che cosa ci fate qui?- domandò Percy con il fiatone. Perché Chirone li aveva mandati qui.
-Sono successe delle cose, Percy- rispose Rachel aggrappandosi al braccio del ragazzo quasi fosse un'ancora- Chirone... il Signor D... Il campo...
Rachel svenne e il figlio del dio del mare la prese al volo. Chissà cosa era successo. Clarisse borbottó qualcosa che nessuno capí. Harry suggerrí di portare Rachel in infermeria e così fecero. Mentre passavano per i corridoi della scuola, gli studenti li guardavano male, incuriositi e terrorizzati. Lasciarono Rachel alle cure di Madama Chips e uscirono dall'infermeria, dove li avevano raggiunti il resto della squadra. Sadie e Ziah avevano gli occhi rossi e Walt teneva stretti i pugni dalla rabbia.
-Cosa è successo?- domandò Talia preoccupata a Sadie che continuava a singhiozzare. Sadie, con voce tremante, disse:- Ci... hanno espulso dalla Brooklyn House. Carter è andato a chiamare Amos per avere delle spiegazioni.
Percy non sapeva cosa stesse succedendo. Forse si erano sbagliati a scrivere. Che gli Dei si fossero bevuti qualcosa? Probabile, del resto esisteva un dio del vino.
-Rachel è in infermeria- disse Annabeth- O meglio: l'Oracolo di Delfi Rachel Elisabeth Dare è in infermeria.
-Perché hai usato il suo nome completo?- le chiese il figlio di Poseidone. Annabeth lo guardò ed esclamò:- Taci Testa d'Alghe.
La mattina passò lenta. Clarisse di messa nella casa di Grifondoro e Chris in Serpeverde. Rachel uscì dall'infermeria dopo pranzo e fu smistata in Corvonero dopo dieci minuti di indecisione del Cappello Parlante. Prima delle lezioni pomeridiane, si riunirono nel giardino di Hogwarts sotto un grande albero. Era pieno inverno e la neve si era sciolta a malapena. Si stava bene, nonostante il vento di Febbraio. Erano un gruppo di più di trenta ragazzi e certamente non passavano inosservati. Nessuno parlava. Forse, temevano di scoprire la verità. L'arrivo dei tre ragazzi non era stato programmato e la situazione turbava Percy. Chirone non li aveva neanche avvisati e le lettere che arrivavano non miglioravano la situazione.
-Che cosa sta succedendo, Clarisse?- domandò Percy. La figlia di Ares impallidì, diventando quasi color porcellana spento, e i suoi occhi erano velati dalle lacrime. Era giunta a Hogwarts con il volto rigato, come se avesse lasciato qualcuno a cui voleva bene e forse era così. A Percy spezzò il cuore nel vedere il volto della semidea a pezzi. Avevano avuto dei trascorsi lui e Clarisse, nonostante ciò avevano imparato a collaborare, anche se nessuno dei due l'avrebbe mai ammesso in tutta sincerità.
-Quando ve ne siete andati, Chirone è partito anche lui e il Signor D è stato richiamato sull'Olimpo. Eravamo persi e ognuno di noi voleva prendere il comando. È scoppiata una discussione. Mentre discutevamo, qualcuno ha abbattuto la barriera e ha permesso ai mostri di entrare.
-Chi era?- domandò Piper. Clarisse storse la bocca:-Una figlia di Ebe, Giuly credo che si chiami. Sta di fatto che ha iniziato a catturare tutti, cercando anche di prendere il comando. Abbiamo resistito per un po', ma non ce l'abbiamo data. Aveva mostri strani e potenti, diversi da quelli che siamo abituati a combattere. Malcom diceva che erano chimere. Ci siamo ridotti a poche persone e siamo scappati.
-Perché non siete andati al Campo Giove?- chiese Reyna- Vi avrebbero accolto.
Il Campo Giove non è messo meglio- rispose Chris serio- Anche lì non stanno andando bene le cose. L'unica cosa che potevamo fare era venire qui ad avvisarvi. A Brooklyn non sappiamo esattamente cosa stia succedendo, ma ogni giorno ci sono lampi di luce ed esplosioni.
Sadie si coprì la bocca con le mani e i suoi occhi iniziarono di nuovo a lascrimare e prese a borbottare nomi: Brooklyn House... Filippo di Macedonia... Khunfu... Bast...
Clarisse proseguì:- Quelli che sono sopravvissuti  saranno tornati alle loro case. Non vorranno fare nulla se non evitare di morire. Giuly ha mandato mostri alla ricerca di tutti i semidei in tutto il mondo. Ci vuole morti... tutti... Tranne voi e Rachel.
-Perchè vogliono vivi solo noi?- chiese Hazel in panico- Cioè, ci sono tanti semidei e vuole proprio noi?
-Non abbaimo scoperto che cosa voglia esattamente, ma per sicurezza abbiamo portato via Rachel- disse Clarisse. Percy era serio:- Gli altri? Dove sono quelli che sono tornati nel mondo dei mortali?
-Non lo sappiamo. Miranda e Katie staranno nascondendo in campagna con altri dei sopravvissuti. Michel Yew è partito alla volta di Washigton quasi subito essere arrivato portandosi alcuni con lui, sapendo che in pochi saremmo usciti vivi dal campo. Ha sparpagliato molti satiri a cercare semidei per tutta l'America. Adesso, però, dovete preoccuparvi di voi. Vi sta dando la caccia, la figlia di Ebe. Vi troverà e vi ucciderà.
Annabeth  pensò un po', poi disse:- Non possiamo rimanere qui. Metteremo in pericolo tutta la scuola e, a uanto ho visto, la scuola ne ha avute abbastanza per questo secolo...
-Non potete andarvene così!- esclamò Ginny-È molto pericoloso e poi, ormai, ci siamo dentro anche noi... Voldemort è tornato. Harry lo ha percepito e se siete qui, tutti voi, vol dire che dobbiamo collaborare. Percy, hai detto che facciamo che ora facciamo parte degli Eroi dell'Olimpo... Bene allora siamo una squadra e, in una squadra, nessuno si lascia indietro.
Ginny aveva detto una cosa vera: loro erano una squadra. Percy, però, non se la sentiva di condurli alla morte certe. Voleva davvero mandarli verso un destino ingnoto? No, quei ragazzi erano una nuova componente della loro famiglia e non li avrebbe condotti verso quel destino che era riservato ai semidei e a chi faceva parte di quel mondo governato da Dei. Eppure, sentiva che il loro aiuto fosse indispensabile e poi il fatto che lui e Harry fossero legati, voleva dire qualcosa no?
-Ci penseremo su- disse conclusivamente Annabeth- Entro la settimana dovremmo decidere: o andarsene o restare qui e combattere.
Percy non aveva dubbi: dovevano fuggire, ma questo voleva dire tornare clandestini, però se serviva per salvare i suoi amici... l'avrebbe fatto. Suonò la campanella e Percy si sentì sollevato. Voleva provare a dimenticare  quello che gli avevano raccontato. Era orribile. Il suo campo, casa sua, era stato ucciso ed ora era sotto una dittatura e questo non andava bene, neanche un po'. Andò a Pozioni non aprendo bocca e in aula non combinò nulla: si sedette su una sedia in un angolo e cercò di trattenere le lacrime e le lacrime si trasformarono in rabbia. Rabbia verso quella persona che gli aveva tolto la casa. Quando il professor Lumacorno gli chiese dov'era la sua pozione, Percy gli scoccò un'occhiata e metà dei calderoni slatò in aria. Lumacorno non lo sgridò e non lo mise neanche in punizione. Questo fece arrabbiare ancora di più il semidio. Dopo Pozioni andò a lezione di Volo. Lì, rimase seduto a stappare Vortice  a pensare. Voleva combattere, sfogare la rabbia e a allora sì che avrebbe pensato a tutto il resto. La professoressa lo guardava incuriosita. Percy sentiva il suo sguardo addosso. Alla fine della lezione, il figlio di Poseidone ricevette una pergamena dove la professoressa McGranitt gli diceva di andare subito nel suo ufficio e di portare con lui Harry. Percy andò a recuperare Harry ed, insieme, salirono nell'ufficio  della preside. Harry pronunciò la parola d'ordine e il gargoyle di pietra che faceva la guardia si mosse, rivelando una scla a chiocciola che portava su. Harry e Percy salirono le scale e bussarono alla porta dell'ufficio. La McGranitt era seduta alla scrivania e nella stanza c'erano altra tredici persone. A Percy per poco non venne un colpo. Erano tredici uomini e donne in armatura greca e armi micidiali.
-Perseus!- esclamò un uomo della barba e capelli neri, l'armatura d'oro, gli occhi blu elettrico e un'asta che mandava smette a destra e sinitra . Percy lo riconobbe subito: Zues. Di certo non passava inosservato con la bomba nucleare olimpica, meglio nota come Folgore. Percy s'inchinò e disse:-Salve divino Zeus.
Harry collegò velocemente le cosa. Se quello era Zeus allora gli altri erano...
-Inchinati Harry prima che ti fulminino- sentì Percy borbottare. Non se lo fece ripetere diverse volte: s'inchinò.
-E lui dev'essere il giovane Harry Potter- proferì Zues- Ti abbiamo osservato ragazzo e dobbiamo ammettere che hai creato non pochi problemi, ma siamo comunque orgogliosi di te. Hai fatto un ottimo in questo anni, anche se le Parche non hanno ancora finito con te, come con lui.
Il dio dei cieli indicò Percy che sbuffó come un treno a vapore. Harry capiva come si sentiva.
-Zeus- preferì un uomo dai capelli neri, gli occhi del colore mare, l'armatura argento e il tridente. Harry notò che quel dio, chiunque fosse, gli ricordava qualcuno.
-Forse dovremmo dirgli perché siamo qui- proseguì il dio.
-Padre- disse Percy- Io vorrei sapere cosa sta accadendo al Campo Mezzosangue.
Harry spostò lo sguardo da Percy al dio con gli occhi verdi e collegó le cose: il dio era il padre del semidio che gli era accanto. Come non aveva fatto a non notarlo subito la somiglianza tra i due? Harry non se ne rendeva conto. Erano praticamente due gocce d'acqua.
-Professoressa McGranitt- disse Harry- Che cosa sta succedendo?
-Te lo spiegheranno loro, signor Potter, sono qui a posta per parlare con voi- rispose la professoressa- Io sono qui perché c'è di mezzo la scuola, altrimenti non mi avrebbero mai permesso di stare qui. Mi ha avvisato Chirone del loro arrivo.
-Chirone come sta? È tutto okay? Perché se n'è andato dal campo?- domandò a raffica Percy sia alle divinità che alla direttrice. I loro volti si rabbuiarono e Percy urlò, vedendoli:-Allora?
-Percy- cominciò Poseidone- Chirone non lo troviamo più. Pensiamo che si sia dato alla fuga perenne. La sua ultima lettera, quella alla McGranitt risale a due settimane fa. Da quel momento non l'abbiamo più sentito. Potrebbe essergli accaduto qualunque cosa... compresa la morte.
-Padre, non può essere morto! Chirone è immortale, non può morire e soprattutto non ci avrebbe lasciato. Ade avrebbe sentito la sua morte nel caso, no?
Percy si rivolse ad un uomo dai lunghi occhi e capelli neri, una veste decisamente particolare e armatura completamente nera. Sotto il braccio aveva un elmo che mise paura a Harry con poco. Assomigliava molto Piton, ma Harry non ci pensò più di tanto. Non aveva dimenticato chi aveva dato la vita per proteggerlo, ma non era il momento per pensarci.
-Non è morto il tuo insegnate, semidio, non ti preoccupare- spiegò quello che Percy aveva capito essere Ade, il dio dei morti.
-Visto?!- esclamò Percy- Chirone non è morto.
Gli Dei si scambiarono alcune occhiate, poi una donna dai capelli neri e occhi grigio tempesta disse:-Non è per Chirone che siamo qui, padre.
Zeus annuì:-Hai ragione Atena, non è per parlare di Chirone che siamo qui. Perseus, Giuly ti sta dando la caccia, lo sai. Vuole te e i tuoi amici come trofeo. Non vogliamo dirti come affrontare la situazione, ma volevamo darti dei doni che ti potranno aiutare. Harry, per quel che ci riguarda, la tua vita non dipende da noi e non è direttamente dipendente dal nostro mondo, di conseguenza puoi fare le tue scelte.
Harry pensò che aveva sempre dovuto fare tutto da solo. Certo, c'erano stati Ron e Hermione con lui, ma non avevamo mai avuto un aiuto "divino". Suonò una campanella d'allarme e Harry sfoderó la bacchetta, pronto a difendersi.
-Ehi, ehi!- esclamò un signore alto, gobbo e un po' storpio- Posa quella bacchetta, ragazzo. È solo una sveglia. Indica che il nostro tempo è finito.
Riluttante, Harry abbassò la bacchetta:-In che senso?
-La figlia di Ebe ci sta dando la caccia e non abbiamo molto tempo per parlare- spiegò una donna graziosa dai capelli neri, occhi scuri e un abito verde e oro con la falce.
-Padre- disse Percy- Dove vi trovate?
-Percy, ascoltami, segui il tuo cuore.  Non cercarci, noi ce la caveremo. Riunisci le tue forze, estirpate Giuly dalla vostra casa e poi veniteci a cercare.
Percy annuì con poca convinzione. Poi, senza aggiungere altro, quasi contro la loro volontà, gli Dei sparirno sotto gli occhi di Harry in pouf colorati. Harry lanciò un'occhiata a Percy che era profondamente traumatizzato. Almeno a lui avevano dato molte più informazioni di quando lui aveva cercato gli Horcrux. Qui però c'era in ballo il modo, l'Olimpo, Hogwarts e l'equilibrio, Harry lo percepiva.
-Signor Jackson, signor Potter- li chiamò la McGranitt- Volete un po' di the?
Harry annuì e s'accomodó sulla sedia davanti alla scrivania della preside. Questa versò del the in due tazze di porcellana e le servì ai due ragazzi. Percy si guardava le mani. Harry non sapeva a che cosa stesse pensando il figlio di Poseidone e non non voleva chiederglielo, perchè glielo doveva dire lui, quando sarebbe stato pronto. Non glel'avrebbe mai chiesto, neanche sotto tortura. Percy, dal canto suo, non sapeva cosa fare. Tredici Dei erano piombati ad Hogwarts per dirgli delle cose che già sapeva e per porgli dei "doni" che non non gli avevano dato. Si era accorto che Dioniso non aveva detto nulla e la cosa lo intimoriva. Probabilemte, molto porbabilmente, non era stato lui ad inviare le lettere dal Campo mezzosangue e Giove, Artemide, Apollo ed Afrodite, non avevano fatto altrettanto. Che cosa doveva fare ora? Scappare da Hogwarts e affrontare la figlia di Ebe da solo? Nessuno gliel'avrebbe permesso, neppure Clarisse.
-Non possiamo rimanere ad Hogwarts- disse il figlio di Poseidone- La ringraziamo professoressa McGranitt di tutto, davvero, non pensavamo di causare così tanti problemi, mi dispiace.
Detto questo s'alzò e uscì dall'ufficio della preside. Corse giù per le scale e si diresse verso il dormitorio dei Grifondoro, ignorando harry che lo chiamava a gran voce. Passato il buco del ritratto, andò nei dormitori e iniziò a preparare le valige. Che cosa avrebbe fatto poi? Avrebbe cercato quella semidea che stava facendo male alla sua casa e all'intero mondo.
-Levicorpus.
Percy venne capovolto a si ritrovò a guardare Harry all'incontrario.
-Mettimi giù- ringhiò il figlio di Poseidone. Harry ignorò l'ordine del semidio e chiese:-Davvero te ne vuoi andare? Davvero vuoi lasciare tutti così? Non pensi ad Annabeth o a Talia o a Nico, Jason, Leo e Frank? Non pensi a noi?
Percy rimase in silenzio poi disse:-Si, me ne voglio andare.
Harry lo riportò lentamente con i piedi per terra e commentò:-Lo sai che è un suicidio? Dove pensi di andare? In America? Ti cercano, Percy, vi cercano! Vi vogliono morti!
-Harry, tu non capisci!- sbottò Percy i n preda ad un attacco di rabbia- Non vuole gli altri! Lei vuole me! Vuole uccidermi, lo so perchè è così! Da quando sono nato è così!
-E perchè proprio te!
-Perchè è la vita, Harry! Da quando sono nato che è così! Due profezie Harry! Nessuno sopravvive a due profezie.
-Percy, promettimi che non te ne andrai da solo da Hogwarts. Giuramelo sullo Stige.
Percy guardò harry negli occhi. come faceva a sapere del fiume infernale e del suo giuramento, percy non lo sapeva, ma annuì lo stesso. Harry sapeva essere pericoloso, quando voleva. Il grifondoro agitò la bacchetta e i vestiti che Percy aveva messo nella valigia tornarono al loro posto: alcune dentro al baule ai piedi del letto, altre nell'armadio. Il semidio si gettò sul letto e chiuse gli occhi, inspirando profondamente. Harry temeva di averla fatta grossa.
-Non sei arrabbiato vero?- chiese il mago ancora in piedi. Vide Percy scuotere la testa e continuò:-Sto solo cercando d'impedire che t'ammazzi percy. Vuoi che ti chiami Annabeth?
Scosse di nuovo la testa e mugnò:-Voglipo stare da solo se non ti dispiace.
Harry, a malincuore, si girò e uscì dal dormitorio lasciando il semidio da solo. Che avrebbe fatto ora che era solo? Ma era pazzo? Harry, senza quasi neanche pensarci, girò i tacchi e tornò sui suoi passi. Entrò nella stanza e vide che il ragazzo era ancora lì e stava guardando il suo album di fotografie. Si guardarono per un attimo, poi Percy disse tranquillo:-Vuoi sentire qualche storia divertente?
Gli angoli della bocca di Harry sì'alzarono verso l'alto. Si lanciò sul letto e ascoltò l'amico.

Jason guardava il soffitto sdraiato sul letto a pancia in su. Il cuscino non era comodissimo, ma si porteva usare senza problemi. Nel letto accanto al suo c'era Nico che era già caduto nel mondo dei sogni. Jason lo guardava dormire e si chiedeva come ci riusciva visto quello che stava accadendo. Tornò a fissare il soffitto. La luce della Luna penetrava poco, ma a Jason non dispiaceva quella penombra. L'immagine di Talia gli passò davanti agli occhi. Gli era sembrata così spaventata quando era arrivata la lettere delle Cacciatrici. Aveva trovato una famiglia in loro.
-Jason.
Il figlio di Giove si voltò a destra e vide Draco ancora sveglio. Questo s'alzò e andò a sedersi sul letto di Jason che intanto si era messo seduto.
-Dimmi tutto amico- disse il figlio di Giove facendo scorrere tra le sue dita un po' di elettricità per illuminare un minimo la stanza. il volto di Draco era pallido come quello di un fantasma e aveva profonde occhiaie sotto gli occhi.
-Cavolo amico, ma che hai?- domandò Jason. Draco era triste, lo percepiva e lo vedeva attraverseo quel sorriso triste che Draco, ogni giorno, s'ostinava ad indossare. Una volta, doveva essere stato un bambino più solare.
-Jason, voi volete davvero andarvene?- chiese Draco a bassa voce. "Non è una mia scelta" pensò, ma non lo disse mai veramente, perchè, in fondo, anche a lui mancava casa. Annuì e basta. Draco diventò ancora più triste, poi ammise:-Voglio venire con voi. Hogwarts non è la mia casa, non lo è mai stata e mai lo sarà. Magari, nel vostro campo, riuscirò a sentirmi meglio. Jason, per favore, portatemi con voi. Non vi causerò danni e problemi, mi comporterò bene, promesso.
Jason era scettico. Draco al Campo Mezzosangue? Forse non era una buona idea. Non percpè Draco fosse una brutta persona, ma perchè non si sarebbe trovato sicuramente bene. Insomma, lì erano tutti semidei e Jason credeva che un mago munito di bacchetta non sarebbe stato preso bene. Certo, poteva sempre dormire nella Cabina 20 e sistemarsi lì, ma anche loro non le utilizzavo molto.
-Draco, sei sicuro?- domandò guardandolo negli occhi grigi- Il Campo Mezzosangue è completamente diverso da Hogwarts. Lì non si studia. Se ti aspetti di studiare su una sedia ti sbagli e anche di molto. Qualche volta Annabeth o qualcuno della sua cabina insegnano il greco antico e il latino, ma solo quando non sono molto impegnati. Per il resto siamo sempre impegnati con gli allenamenti e le continue ricostruzioni. Fidati di me, il Campo Mezzosangue è molto diverso da Hogwarts. A Hogwarts puoi sbagliare e riprovare, al campo no. Poi c'è il Signor D., che è, senza offesa, un po' scocciante.
Il cielo, alle spalle di Jason rimbombó e il figlio di Giove scherzó:-E non puoi fare nulla senza che si metta a tuonare.
Draco sorrise e disse:- Torno a dormire... domani sarà un inferno.
Il figlio di Giove scoccó un'occhiata al suolo, poi rispose:-Buonanotte Draco.

Hermione trascorreva le sue giornate in biblioteca. Ormai aveva messo su un accampamento. Non sapeva esattamente che cosa stava cercando, ma era decisa ad aiutare Annabeth nella sua ricerca. Si rifugiavano sempre in biblioteca, saltando anche dei corsi. Hermione era troppo preoccupata per occuparsi delle lezioni e la voglia di sfamare la sua curiosità non aveva fine. Quella sera erano lì, dopo cena. Annabeth sfogliava un libro in greco antico mentre la grifondoro leggeva un mattone del reparto proibito.
-Niente- esclamò la semidea chiudendo il grande libro con un tonfo- Nemmo qui.
-Che cosa stiamo cercando esattamente?- chiese Hermione per la decima volta. Annabeth era molto misteriosa in quei giorni. Aveva raccontato alla maga della chiacchierata con Poseidone, ma Hermione non riusciva a collegare nulla. Era come se la figlia di Atena fosse avvolta dal mistero e, con lei, la situazione. Hermione non la capiva.
La sera dopo, Hermione si trovava a girovagare per i corridoi, intenta a tornare alla sua stanza. Aveva cinque libri sotto il braccio e faceva fatica a camminare da quando, qualche giorno prima, si era storta la caviglia durante l'allenamento. Nonostante ciò, camminava a passo svelto perché non si poteva correre per i corridoi, ma Hermione avrebbe voluto correre. Imbucó la scorciatoia per la Torre del Grifondoro. Salì le scale e, davanti al ritratto, sussurró la parola d'ordine e s'infilò nel buco.
-Hermione!- esclamò Annabeth non appena la strega mise piede nella Sala Comune. Con lei c'erano Sadie, Ziah, Hazel, Talia e Clarisse. Ginny era andata probabilmente a dormire o a terminare o compiti di Pozioni.
-Ciao ragazze- disse Hermione un po' imbarazzata, da come era piombata nella stanza. Talia s'alzò dalla morbida poltrona rossa e andò a prendere i libri che la strega teneva tra le braccia.
-Cosa stai cercando?- domandò Talia scorrendo i nomi dei libri.
-Herm, sei sicura di star bene?- domandò Hazel. Hermione rivolse uno sguardo ad Annabeth, la quale scosse la testa. Non doveva dire nulla. Hermione si chiedeva come mai la semidea avesse tanti segreti con le sue amiche.
-Si- mentì Hermione- Sto benissimo, ho solo bisogno di dormire un po'.
Prese i libri dalle mani di Talia e andò nella sua stanza. La strega posò i libri sul tavolo e iniziò levarsi la mantella.
-Grazie per non aver detto nulla Hermione.
La figura di Annabeth comparve nello specchio. I capelli biondi e gli occhi grigi della semidea facevano sentire Hermione una ragazza senza speranze. Annabeth era bellissima e Hermione iniziava a capire perché Percy avesse una cotta brand quanto una casa per lei: bella e piena di risorse.
-Figurati- rispose Hermione legandosi la cravatta soffocante.
-Hermione, mi dispiace per quello che stiamo causando. Non l'avevamo in programma un'altra guerra. È già la terza che combatto. Prima Crono, poi Gea e ora lui. Io non ne posso più...
Ad Hermione venne il magone. Lei aveva combattuto una sola guerra. Lunga era stata, certo, ma era stata una sola. Annabeth ne aveva combattute due e ora stava andando in contro alla terza.
-Comunque- disse la semidea asciugando le lacrime- Per ora dobbiamo solo trovare una soluzione a quello che abbiamo scoperto. Se è davvero lui, e secondo me è così, non abbiamo alcuna possibilità è vittoria.
Hermione s'infilò la vestaglia e chiese:-Ma perché ora?
-Il fatto è che, secondo Rachel, le forze primordiali sono state inattive troppo a lungo, covando rancore negli Dei che stanno ancora governando e vogliono vendetta. Noi semidei siano i guerrieri degli Dei e di conseguenza....
-Ma non tutti combattono per gli Dei- commentò Hermione- Giusto?
Annabeth annuì cupa e Hermione capí che non voleva parlarne e che l'argomento doveva chiudersi lì. La strega si mise sotto le coperte e provò a dormire, cercando di trovare senso alle parole di Annabeth, ma non riusciva a cogliere nulla. Inoltre, il modo in cui la figlia di Atena aveva chiuso il discorso faceva sospettare Hermione. C'era qualcosa nel passato della ragazza che le aveva cambiato radicalmente la vita. La grifondoro era confusa. Provare a capire le persone non era facilissimo, anche Se i semidei la facevano sembrare una cosa facile.
Sentì Annabeth singhiozzare nel letto vicino. Sapeva che erano lacrime di tristezza e che non sarebbero terminate presto. Scostó le coperte e andò ad abbracciare la semidea. Non sapeva perché aveva reagito così, l'aveva fatto per istinto o forse si sentiva in debito con Annabeth.
I ricordi affiorarono lentamente.
Lei che correva in campagna da sola, poi si perdeva a New York, quell'estate quando aveva sette anni. Venne aiutata da una ragazza dai capelli oro della stessa età. Altri due ragazzi c'erano: un ragazzo dai capelli biondi e occhi azzurri e la principessa punk. Vide poi l'Empire State Building che si sbagliava alto verso il cielo e una mano gentile che le sfiorava la fronte, mentre la bambina buona le teneva la mano.
Il sogno che Annabetha aveva fatto alla Tana aveva acquistato un senso nuovo, anche se molti pezzi del puzzle mancavano ancora, ma erano comunque un inizio. Non ne parlò con Annabeth quella sera. Già stava male e altri problemi non voleva causargliene.

S'affacció alla finestra, appoggiando le mani sul piccolo balcone interno. Si sentiva male solo al pensiero di lasciare Hogwarts, ma era necessario.
-Tranquillo Ernie- gli disse Frank Zhang appoggiandogli una mano sulla spalla- Se tutto andrà bene rimarrete ad Hogwarts. Annabeth sta idealizzando un piano.
Ernie s'impose di non piangere. Hogwarts era come una seconda casa. Annuì piano, impedendo alle lacrime di uscire. Frank gli stava promettendo un qualcosa d'impossibile. Nonostante il rifiuto di lasciare Hogwarts, Ernie voleva vedere il Campo Mezzosangue con i suoi occhi. Lo incuriosivano quei due campi estivi dove andavano i suoi nuovi amici durante l'anno.
-Andiamo a dormire Ernie- lo incitó Frank amichevolmente. Ecco, ora, aveva bisogno di una persona come Frank Zhang: forte come una roccia, ma tenero come un panda. Aveva bisogno di un amico come lui che lo riportasse a lezione quando si annoiava, che gli insegnasse ad usare arco e frecce  facendole sentire parte del proprio corpo e che gli sollevasse il morale. Ecco chi era Frank Zhang per Ernie MacMillian: un amico sul quale si può sempre contare.
-Dai che Sonno passa una sola volta- esclamò il figlio di Marte sbaragliando.
-Chi?- domandò Ernie.
-Il Sonno o Morfeo. Io sono romano e lo chiamo Sonno.
-Ahah.
Salirono le scale del dormitorio maschile. Entrarono nella camera, indossarono i pigiami senza svegliare gli altri che già dormivano. L'ultima cosa che volevano era una guerra in dormitorio.
Ernie era stanco, ma non riusciva a smettere di pensare alle scelte che avrebbe dovuto compiere da lì pochi giorni, del resto i semidei sarebbero partiti nel giro di una settimana o due, puntuali per le vacanze di pasqua. Mentre ascoltava Frank dormire, fece la sua scelta.
 

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Capitolo 32
*** PARTENZA ***


PARTENZA

Hogwarts era bellissima, ma non potevano rimanere lì per sempre, nonostante la bellezza dei paesaggi e gli amici trovati. Annabeth aveva ideato un piano per liberare il Campo Mezzosangue non appena giunti a New York, per poi andare alla Brooklyn House ed infine al Campo Giove. Sadie di era sentita un po' sottopressione però. La guerra l'aveva già combattutta e aveva battuto Apophis, forse. Avrebbe voluto sprofondare nelle viscere della Terra. L'aveva detto ad Annabeth, un giorno, e la semidea le aveva detto seria di non fare più pensieri del genere. Sadie non conosceva tutta la storia, ma sapeva che c'era di mezzo la terra, ma non come elemento naturale. La terra con la "T" maiuscola. Erano lontano dalla soluzione deii problemi, molto lontano. Le guerre che avevano combattutto, non avevano risolto niente. Avevano fatto arrabbiare chi gli stava contro e Sadie sapeva chi era. L'aveva sentito dire da Nico di Angelo e Frank Zhang e da lì aveva collegato le cose
-Hey Sadie- la chiamò Crater- Tutto okay?
-Certo, sto solo riflettendo un po'. Mi stavo chiedendo in che cosa ci siamo imbarcati. La nostra vita era così tranquillaed ora siamo incasinati sino al midollo osseo. Carte, non ce la posso fare... Sono stanca.
Carter le passò un braccio intorno alle spalle. Avevano costruito un bel rapporto durante il loro soggiorno a Brooklyn e durante le loro missioni, ed ora erano veri e propri fratelli. se potevano, non si separavano specialmente durante le imprese, perchè uno aveva bisogno dell'altro.
-Sta tranquilla Sadie. Vedrai che ce la faremo anche questa volta. Non siamo soli. Ci sono Percy, Annabeth e i loro amici. Loro sono dalla nostra parte.
Sadie si lisciò la maglietta di lino e sistemò la bacchetta attaccata alla corda che aveva in vita, poi tirò fuori la collana che le aveva regalato il padre e se la rigirò tra le dita. I ricordi delle loro avventure vennero a galla, passandole nella mente come immagini di un film. Essere una maga egizia le aveva portato molti guai, ma aveva conosciuto persone fantastiche che erano andate a comporre la sua famiglia.
"Ora o mai più" si disse . La sua mente aveva già scelto, come il suo cuore. Aveva deciso che fare. Aveva paura, ma l'avrebbe affrontata. Si sarebbe buttata di pancia in quella guerra e avrebbe cercato di sopravvivere. Doveva almeno provarci.
-Andremo con loro Carter. Combatteremo e ci riprenderemo la Brooklyn House, anche a costo di morire. Io voglio tornare a casa, ma deve essere libera.
Carter sorrise alla sorella e Sadie lo prese come un "sono con te". Scattò in piedi come una molla e con gli anfibi che scricchiolavano sul marmo di Hogwarts, andò a cercare Annabeth per comunicarle la scelta della Brooklyn House.

Gli occhi erano puntati su di lui. Diciotto occhi che lo fissavano come se apsettassero una risposta ed era proprio per quello che erano lì: decidere cosa fare.
-Che facciamo Harry?- domandò Ron- Andiamo con loro o stiamo ad Hogwarts.
Harry ci pensò su. RImanere ad Hogwarts avrebbe significato fare un esame, diventare Auror e mettere su famiglia, rimanendo fuori dai problemi degli altri. Avrebbe, però, significato abbandonare i suoi nuovi amici e tagliare i legami con il mondo semidivino, in particolar modo con Percy Jackson. Era l'unica persona che gli aveva concesso una svolta nella sua vita, una nuova opportunità. Aveva bisogno di quel ragazzo, perchè era l'unico che lo capiva a fondo.
-Ragazzi, voi non siete obbligati, ma io... io devo andare con loro. Devo risolvere delle faccende...- ammise Harry quasi sconsolato. Non voleva lasciare i suoi amici di scuola, ma doveva partire con i semidei, lo sentiva. Il giorno prima aveva chiesto consiglio a Rachel e lei gi aveva risposto che la scelta doveva essere soltanto suo. L'Oracolo era fuori d'uso, ma la rossa sembra percepire lo stesso il futuro.
-Vengo con te, Harry- disse Hermione- Anche io devo chiarire un paio di cose e ho bisogno di Annabeth per riuscirci.
-Anche io voglio venire- intervenne Draco- Hogwarts non è la mia casa, senza offesa, e vorrei provare a vivere al Campo Mezzosangue.
-Se viene il biondo, vengo anche io!- protestò Ron Weasley- Ginny? Vieni anche tu?
La rossa annuì confermando la sua presenza, il gorno dopo, sulla Heroes. Luna, Neville, Hannah Abbotte e Ernie MacMillian s'unirono al gruppo, chi per una ragione, chi per un'altra. Avevano sentito belle parole sul Campo Mezzosangue, sul Campo Giove e sulla Brooklyn House e avevano voglia di provare quelle voci. Altri volevano combattere per liberare una città intera, ma la verità era che tutti volevano rimanere nella vita di quei ragazzi speciali.
-Vado a dare la presenza- disse alzandosi Harry. Un po' contento e un po' alterato dai commenti dei suoi amici. Uscì in giardino e andò al Lago Nero dove sapeva che i semidei e i maghi stavano a guardare o aiutare Leo con la Heroes. Da lontano vide i semidei diveritrsi. Era giusto rovinare quel momento?
Harry continuò a camminare. Sì, non era il momento giusto, ma doveva parlare con loro. Era urgente. Annabeth e Percy parlavano sul ponte, Leo era al timone e trafficava con i fili, Clarisse e Frank s'allenavano fuori dalla nave, in riva al lavo, mentre il resto della squadra non si vedeva. Harry salì l'ascia in legno ritrovandosi così a bordo della navee. Era come essere ad Hogwarts ed Hogwarts era difficile da eguagliare. Le vele erano ancora di un bianco splendente e il legno luccicava alla luce del Sole. Da favola. Doveva fare i complimenti a Leo, prima o poi.
-Harry- esclamò Percy- Tutto okay?
Harry si voltò verso il figlio di Poseidone. Gli occhi verdi del ragazzo erano accerchiati da profonde occhiaie violacee. Harry vedeva la sua stanchezza, ma non sapeva cosa fare. Percy gli parlava raramente degli incubi che lo tormentavano.
-Certo- rispose Harry- Volevo solo dirvi che noi ci saremo.
-Noi chi?- doamdò Annabeth.
-Io, Ron, Hermione, Draco, Ernie, Neville, Luna, Ginny e Hannah.
-Oh Harry... Siete sicuri al cento per cento? Non vorremmo che ve ne pentiste. Le imprese non hanno mai un buon fine.
-Siamo sicuri, Annabeth. Verremo con voi, avete bisogno del nostro aiuto.
-Benvenuti a bordo allora!- esclamò Percy- Partiamo domani mattina, dopo la lezione delle dieci. La McGranitt sarà informata.

Il sole faceva brillare la neve delle montagne intorno ad Hogwarts rendendo tutto magico, ma Percy non riusciva a godersi il panorama. Stava per allontanarsi da Hogwarts, un'altra casa lasciata. Probabilmente non sarebbe più tornato lì e gli dispiaceva. Se mai sarebbe tornato, era sicuro che non sarebbe stata così. Era giusto così però. Il Campo Mezzosangue e il Campo Giove avevano bisogno di lui e dei ragazzi. Pensava a Lupa e alla legnata che gli avrebbe dato non appena arrivato sul suolo americano.
-Non preoccuparti.
Jason gli comparve a fianco. Erano come fratelli, nonostante i piccoli rancori che portavano l'uno per l'altro. Avevano però messo da parte quello che era accaduto con Gea.
-Non sono preoccupato Jaz. Pensavo a quante case ho lasciato e che sto lasciando.
-Non devi fartene una colpa, Perce.
Percy non ne era molto convinto. Jason stava solo cercando di tirargli su il morale.
-Andiamo Perce, tra poco si parte.
Jason aprì la bototla e ci cadde dentro. Percy, sbuffando, lo seguì. Scesero per le scale della Torre di Astronomia. Arrivarono all'ingresso, poi andarono in giardino, , dove la squadra di eroi li attendeva con le valige, bauli e zaini. Annabeth stava parlando non Leo del viaggi. Percy non riusciva a capire che cosa si stessero dicendo e preferì non indagare. La Heroes era illuminata dai raggi del Sole. La nave sarebbe stata come una nuova casa. Il figlio di Poseidone lo sapeva, come aveva sempre saputo che loro avrebbero formato una famiglia.
-Siamo pronti a partire, Jackson!- gli urlò Clarisse scattando in piedi. Percy non l'aveva mai vista reagire così e rimase sorpreso da quel comportamento. Nonostante ciò trovò il sorriso per risponderle:- Grazie Clarisse.
Guardò i volti dei suoi compagni, uno ad uno. Reyna aveva i lineamenti da regina, una regina che ha combattuto tutta la vita. Nico era triste come al solito, nonostante Will cercasse di tirargli su il morale facendo delle barzellette decisamente scarse. Talia fulminava con lo sguardo Luke Castellan per un qualche motivo che doveva rimanere oscuro. Hazel stava spiegando a Ginny e Luna, le quali l'ascoltavano ammrate. La figlia di Plutone sorrise a Percy, infondendogli una certa sicurezza. Frank si stagliava alle spalle di Hazel, come se volesse farla sprofondare nel suo corpo. Il resto del gruppo, stava sistemando le ultime cose prima di partire.
-Ragazzi, venite un attimo- li chiamò Percy. Tutti si fermarono e si riunirono attorno al semidio, puntandogli gli occhi addosso.
-Siete le persone migliori che io conosca; è stato un piacere conoscervi- disse loro guardandoli negli occhi- Vorrei avessimo avuto più tempo per allenarci, ma... mi dispiace, non era mia intenzione cacciarvi nei guai.
-Taci, Percy- lo rimproverò Annabeth- Sappiamo tutti che non è colpa tua e sappiamo a che cosa andiamo incontro.
Annabeth gli afferrò la mano sinistra e fece intrecciare le dita dicendo:-Non ci abbandoneremo mai.
Percy sorrise, anche se non era convinto. Molti dubbi aveva e pochi stavano trovando risposta. Il viaggio verso casa avrebbe potuto chiarire qualcosa, ma solo ritornando a New York avrebbe avuto tutto ciò che voleva sapere. In quel periodo, troppe volte sognava la stessa ragazza. Una ragazza dai capelli rosa, occhi viola e il volto familiare che gli ricordava troppo qualcuno.
-Allora? Andiamo? Tutti a bordo gente!- gridò Leo entusiasta. Salirono sulla nave. Erano pronti a partire e combattere per la propria casa. Sarebbero arrivati vivi a New York? Sperare non costava nulla, forse. Leo schiacciava pulsanti sulla sua "barra dei pulsanti colorati". Alzò i pollici e la nave si sollevò in cielo. Iniziarono a navigare nel cielo azzurro del mattino. Jason stava già comandando l'aria, facendo sì che alla nave fosse facilitata la modalità aerea. Accanto a Percy, Annabeth tirò fuori un pezzo du carta che era arrivato con la Heroes, lo aprì, rivelando una mappa digitale mondiale Made in Efesto.
-Va bene Leo, rotta per Oxford- gridò Annabeth al figlio di Efesto.
-Okay Annabeth.
Leo schiacciò dei pulsanti, alzò i pollici sorridendo e tornò a lavorare.
-Perchè Oxford?- domandò Piper.
-Lo vedrai.

Quella notte, la Luna brillava sopra di loro, ma solo Percy ne stava cogliendo la bellezza in quel momento. Quella notte era si guardia sul ponte con Leo, che ormai era perennemente attaccato alla console. Percy guardava le campagne inglesi sotto di loro. Non erano belle quanto una distesa di acqua salata, ma avevano comunque un loro fascino. Percy non era mai stato in Inghilterra. O meglio: non se lo ricordava. I suoi sogni, oltre a fargli vedere la ragazza dai capelli rosa, gli dimostravano che lui era già stato lì, in quell'isola, e che aveva già conosciuto Harry Potter. Non si ricordava nulla però.
-Ti piace molto l'Inghilterra o sbaglio?
Carter era accanto a lui. Indossava un completo di Lino grande per lui. Sulla spalla aveva una borsa di cotone dove probabilmente teneva la sua "attrezzatura da mago" e dalla cintura pendeva la sua spada curva: il kopesh. -Sbagli, Carter. L'America sarà sempre la mia casa- rispose Percy. Non gli rispose con un "si è molto bella", no. Carter aveva fatto una domanda sottintesa e lui l'aveva saputa cogliere.
-Capisco- disse Carter. Percy lo guardò con le ciglia aggrottate:-Amico, se vuoi un consiglio, evita di scendere dalla nave conciato così per favore.
Carter rise. Doveva fare un discorsetto a Percy, prima o poi, sugl'indumenti idonei per l'utilizzo della magia divina. In un certo senso, Carter invidiava il figlio di Poseidone. Lo invidiava per la sua stupidità e stoltezza. Quando conosci troppo, ogni cosa è più terrificante. La conoscenza è un'arma a doppio taglio.
-Hai mai provato quella senzazione di vuoto quando ti occupano la tua casa e ne fanno quello che ne vogliono loro e tu non puoi farci nulla?- domandò Carter a Percy. Il semidio annuì senza pensare. Aveva passato quasi nove mesi lontano da casa, lontano dal Campo Mezzosangue e dalla sua amata città: New York. Sì, sapeva come ci si sentiva quando la propria casa veniva presa e quasi distrutta. L'aveva vissuto per due volte e la terza sembrava peggiore di tutte le altre.
-Sì,lo so come ci si sente. Il mio campo è andato vicino alla distruzione diverse volte- disse Percy. Ogni cellula del suo corpo gli stava dicendo di non rivelare molto al mago. Forse era perché gli Dei greco- romani non erano mai andati d'amore e d'accordo con le divinità Egizie. Se c'era di mezzo un'altra statua, Percy si sarebbero buttato giù dalla nave, schiantandosi contro il suolo. Un'altra statua era l'ultima cosa di cui aveva bisogno.
-Comunque è un piacere avervi qui- continuò Percy cercando di colmare quel silenzio imbarazzante che era calato tra i due- Qui siamo come una grande famiglia.
Famiglia era quello di cui Carter Kane aveva bisogno. Sua sorella era con lui su quella nave, ma passava tutto il tempo con Hazel, Ziah, Ginny e Luna a sostenere le difese magiche che li proteggevano. Suo zio, Amos, era in Egitto, probabilmente come fuggitivi e i nonni materni non volevano vedere nè Sadie nè lui. Famiglia era quello che gli servia.
-Grazie Percy- rispose Carte con un sorriso- Volevo parlarti un attimo della Brooklyn House e della Casa della Vita.
-I luoghi da cui proviene tu, giusto?- scherzó Percy ricordando la prima volta che si erano conosciuti. Era stato un incontro strano: entrambi stavano dando la caccia ad un coccodrillo gigante , un figlio di Sobek.
-Esatto-confermò Carter- La Casa della Vita è composta da Nomi, ovvero proviance sparse in tutto il mondo. Quello più importante è in Egitto, al Cairo. Volevo chiederti se prima di tornare a New York, potevamo farci un salto. Vorrei vedere se va tutto bene.
-Certo Carter. Non ho mai visto l'Egitto e questa sarà una buona occasione.
-Grazie mille,Percy.
-Figurati. Ora va a riposare. Domani saremo ad Oxford- lo incoraggiò Percy dandogli delle pacche sulle spalle.
Carter gli sorride e disse:-Grazie, Percy. Se fossero tutti come te,il mondo sarebbe un posto migliore.
Il mago ritornò nella sua cabina, lasciando il figlio di Poseidone da solo a riflettere. Il mondo non poteva essere come lui. C'era bisogno di equilibrio e lui non lo era. Era solo un adolescente semidivino. Al mondo, c'era bisogno di persone come Annabeth, Leo, Piper e Jason. Gente anche come Hazel, Frank, Reyna e Nico. Lui non poteva formare da solo l"equilibrio.
Sospirò poi estrasse Vortice e se la girò tra le dita, per stapparla dopo averle fatto fare qualche giro. Osservò l'impugnatura in cuoio. Era antica quella spada e a brave sarebbe stata l'arma più potente semidivina, solo perché era sua. Aveva sentito Annabeth e Leo che ne parlavano una sera a casa dei Wesley. Leo e Annabeth avevano scoperto qualcosa, su di lui, che però non gli volevano dire. Non gli piaceva molto la cosa.
-Percy, tocca a me fare questo turno-gli disse Frank. Il figlio di Poseidone annuì e prima di andare chiese:-Frank, se tu sapessi qualcosa di importante si qualcuno, con un potere speciale, me lo diresti?
Frank impallidì un pochino, poi rispose:-Certo,Percy.
-Buonanotte Frank.
Mentre scendeva le scale, Percy capì che non solo Annabeth e Leo gli stavano nascondendo qualcosa, ma tutti gli abitanti della Heroes lo stavano facendo.

Odiava la sveglia con tutta sè stessa. Bianca odiava essere svegliata a quell'ora dall'aggeggio infernale che aveva sul comodino. Controvoglia, buttò le coerte lontano da lei, per non essere tentata a ritornare sotto a quel caldo piumone, e si alzò. La sua cabina sulla Heores era praticamente vuota. Negli Inferi, non aveva avuto il tempo di preparare le valige. Nell'armadio c'era solo qualche vestito delle ragazze e qualcuno suo che aveva recuperato dal suo zainetto argentato. La faretra e l'arco erano a terra, insieme alla serie di pugnali e la giacca delle Cacciatrici era appesa all'attaccapanni. Le mancavano, le Cacciatrici. Non pregava Artemide, perchè gli stessi Dei gli l'avevano proibito, a tutti loro, ma lei voleva. Talia stava male, ma aveva avuto una reazione diversa da Bianca. Talia aveva sperimentato i poteri che aveva come figlia di Zeus e sapeva usarli. Bianca poco, anzi quasi nulla. Li aveva usati qualche volta, prima che venissero richiusi nel Casinò Lotus. Li aveva usati solo poche volte, per difendere suo fratello, quando erano piccoli, ma lo faceva quasi inconsciamente. Dopo, non aveva avuto l'opportunità di utilizzarli di nuovo. Era morta prima di scoprire chi fosse suo padre.Era entrata nelle Cacciatrici, perchè aveva paura della morte. Aveva lascito Nico da solo. Se ne era pentita dopo. Adesso, però, aveva l'opportunità di rimediare.
Prese una maglietta arancione del Campo Mezzossangue, un paio di jeans mimetici, la gicca argentata e gli stivali. Si mise la cintura coi coltelli in vita e l'arco e la faretra in spalla. L'arco e le frecce non scomparvero come sempre. Bianca setestava quella situazione.
Uscì dalla cabina, percorse il corridoio in silenzio e salì le scale. Bianca DiAngelo non era mai stata su una barca volante come la Heroes. Una nave molto grande, forse anche troppo. Era alta quasi nove metri, senza contare l'albero maestro. C'erano due piani di cabine, tra l'altro abbastanza grandi e una mensa, dove potevano mangiare tutti assieme. Il ponte era lungo quasi dieci metri e largo sette. L'albero maestro era altissimo e appesa vi era una vela bianca.
-Hey Bianca!- la salutò Leo con il sorriso- Dormito bene?
-Certo- rispose la Cacciatrice- La cabina è davvero bella. Grazie Leo.
-Tranquilla ragazza- le sorrise nuovamente il figlio di Efesto- Grazie a te per usufruire della Heroes, proprietà della Leoflight.
Bianca rise. Leo era un fenomeno.
-Non ci provare con mia sorella- lo rimproveró Nico comparando accanto a lui.
-Tranquillo Re dei Fantasmi. Sii felice una buona volta!
-Spero che tu non abbia intenzioni strane Valdez. Giuro sull'elmo di Ade che se è così, ti distruggo. Andiamo Bianca. Devi allenarti.
Bianca si allontanò con il fratello dal figlio di Efesto, che tornò a sistemare programmi e bulloni.
-Sorella- la chiamò Nico- Sta attenta.
Ora era lui il più grande, quello che aveva vissuto di più. Bianca però era nata prima. Questo contava qualcosa no?
-Nico, non preoccuparti. So badare a me stessa.
-Bianca- disse il fratello ancora più serio- Se adremo laggiù... Devi saperti difendere e non devi concederti distrazioni.
Bianca strise i pugni. Non doveva impugnare l'arco, incoccare un freccia e puntarla verso il fratello. No. Doveva calmarsi. Lei era una Cacciatrice di Artemide. Era una donna forte e indipendente che non cedeva alle tentazioni.
-Muoviamoci- ringhiò Bianca. Nico annuì e iniziarono la lezione. Biaca ce la metteva tutta, ma none era molto brava. I viaggi nell'ombra, però, non la sfinivano così tanto, come accadeva al fratello. Bianca si chiedeva come mai proprio figlia di Ade e non di Demetra o Afrodite. Essere figli del dio della morte non era tanto facile e Bianca voleva solo smetterla di fare tutti quei esercizi per evocare spiriti. Quando Annabeth indusse una riunione, Bianca fu contenta. Era stanca di viaggiare attraverso vuoti oscuri. Erano sopra ad Oxford e la figlia di atena sembrava particolarmente agitata, per una qualche ragione che, se faceva tremare la figlia della dea della saggezza, doveva far nascondere sotto le coperte chiunque.
-Okay- esordì Annabeth- Siamo sopra ad Oxford. Ho bisogno di consultare la bibliotecca e poi abbiamo bisogno di un minimo di provviste. La Heroes necessita anche di qualche aggiustatina prima di continuare il viggio.
-Non potevi consultare la biblioteca di Hogwarts?- domandò Percy.
-Li ho già consultati e non ho trovato nulla. Oxford ha una delle librerie più antiche al mondo e so che troverò quello che cerco. Sarà un'impresa al femminile. Sadie e Hermione, venite con me?
-Io, Ziah, Luna e Ginny continueremo a sostenere le difese della nave finché non sarenno stabili- disse Hazel- Mentre Leo e Beckendorf faranno le riparazioni bisognerà che la nave non venga danneggiata.
-Io, Jason, Talia, Piper, Reynam Carter, Silena, Harry, Ron e Draco andremo a fare una spesa e ci divideremo in due gruppi: uno per gli alimenti e l'altro al resto.
-Bianca, Will ed io ci uniremo a voi- comment Nico- Avrete bisogno di noi. Penseremo ai farmaci.
A Will brillavano gli occhi a sentir parlare di farmaci. Bianca sapeva che il ragazzo di suo fratello (le faceva ancora strano chiamare Will "il ragazzo di suo fratello") era un figlio di Apollo debito alla medicina. Ora, lei non aveva nulla contro i figli di Apollo, né tanto meno con gli omosessuali, ma Will era una cosa che non riusciva a capire. Se doveva stare con Nico quel ragazzo, doveva prima vedersela con lei. Era una questione importante.
-Io, Chris, Luke, Talia e bè... tutti gli altri... rimaremmo qui a proteggere la nave- disse Clarisse- Tutti d'accordo?
Il gruppo annuì e chi doveva scendere andò a prepararsi. Hazel, Ziah, Ginny e Luna scesero sottocoperta. Percy e il suo gruppo si calarono sulla città da una corda, atterranod sui tetti per poi scomparire tra i camini della città. Sadi evocò un portale che ort lei, Hermione e Annabeth alla biblioteca di Oxford. Nico chiamò la Signora O'Leary, la quale comparve sul ponte dopo pochi secondi. Nico ordinò a Bianca e a Will di montare in groppa al segugio infernale, poi sussurrò qualosa all'orecchio del cane e, dopo aver ululato, corse verso un'ombra. Il seguugio infernale correva nelle tenebre. Bianca non aveva paura del buio e non le davano fastidio i brvidi che le scorrevano lungo la schiena, ma i rumori stranu le provocavano una certa paura. Afferrò con due mani il pelo della signora O'Leary. Will era una statua di marmo, in confronto a lei. I capelli biodi erano tutti all'indietro, la mani stringevano talmente forte la pelliccia del segugio infernale che le sue nocche erano diventate bianche. Bianca rivide la luce del Sole un secondo dopo. Erano in un vicolo, vicino ad una farmacia. Nico era accanto a loro, con due croccantini extralarge in mano. Li lanciò alla Signora O'Leary che li azzanò a mezz'aria e li amndò giù velocemente. Bianca e Will scesero dal segugio infernale. Il figlio di Apollo era ancora traumatizzato dal viaggio nell'ombra. Aveva uno strano colorito verdognolo, ma per il resto sembrava stare a bene.
-Giuro sugli Dei che non farò mai più una cosa così!- esclamò Will dopo essersi avvicinato a un cassonetto e averci vomitato dentro. Bianca estrasse dalla tasca un pacchetto di gomme da masticare alla menta e glielo porse. Will ne prese qualcuna e se le cacciò in bocca masticandole con energia.
-Se vuoi tornare sulla nave, ti conviene viaggiare nell'ombra. Siamo fuori Oxford, caro Solace.
-Perchè siamo venuti qui?- chiese Bianca.
-Primo: volevo parlarvi. Secondo: questa è l'unica farmacia nel raggio di chilometri e chilometri adatta a noi.
-Okay. Cosa volevi dirci?- chiese Will fissando intensamente Nico coi suoi occhi azzurri.
-Abbiamo un problema a bordo- rispose Nico- Percy.
Will fece una smorfia e fece rude:-In che senso?
-Will, quante volte te lo devo dire che non è il mio tipo!- esclamò il figlio di Ade- Comunque, sapete cosa sta succedendo. Percy avrà uno dei suoi attacchi a breve. Vortice si sta scandando e questo è un avviso.
-Come fai a saperlo Nico?- domandò la sorella cercando di non urlare. Percy era come un fratello per lei. Gli doveva parecchio, del resto aveva aiutato Nico quando lei era morta. Aveva cercato di portarlo al Campo Mezzosangue in ogni modo e alla fine ce l'aveva fatta, anche se Nico non era certamente rimasto al campo per lui, bensì per Will Solace.
-Ho visto nei suoi occhi. Tendono a cambiare colore come quelli di tutti noi figli dei Tre Pezzi Grossi. Erano arrivati al blu profondo... se fossero arrivati al nero sarebbe avvenuta una strage.
-Ma non doveva succedere cos presto!- esclamò WIll- Secondo i miei calcoli doveva avvenire tra qulache giorno l'inizio del cambiamento.
-Non so cosa dire... davvero- ammise Bianca.
-Dobbiamo tenerlo d'occhio- continuò Nico- Solo noi possiamo. Gli altri non se ne accorgerebbero. Forse Annabeth perchè è troppo legata a lui che potrebbe notare anche se ha una ciglia mancante. Dobbiamo impedire cge quello che dovrebbe accadere, avvenga il più tardi possibile.
-Nico, è rischioso- lo avvertì Will massaggiandosi i polsi.
-Lo so Will, ma è un rischio che dobbiamo correre.

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Capitolo 33
*** LASCIAR ANDARE ***


LASCIAR ANDARE

La donna era lì. Aveva lunghi capelli castani e occhiali da sole tondeggianti che le coprivano gli occhi. Portava una corona di margherite sulla testa e una gonna larga con maglietta e sandali di cuoio. Sembrava una hippie degli anni Settanta. Nonostante il suo look da figlia dei fiori, la dea portava un pugnale attaccato alla cintura insieme ad un sacchetto di cuoio.
Scesero dal veicolo, rimanendo comunque a distanza debita. La dea, nonostante l'aspetto pacifico, era comunque inquietante. Nessuno si fece avanti. Rimasero lì: loro da una parte e la dea dall'altra. Anne sentiva il dovere di fare qualcosa. Kya e Logan avevano già subito abbastanza danni e James sembrava a pezzi. Il figlio di Bau aveva utilizzato la sua magia e questo gli aveva causato non pochi problemi.
Anne si avvicinò lentamente alla dea. Teneva la mano pronta ad afferrare la lancia che portava sulla schiena. Non si era mai fidata delle divinità, neanche si suo padre. Suo padre, che aveva abbandonato sua madre già incinta di lei, era forse anche peggiore degli altri. Prediligeva la guerra lui, il sangue e il dolore. Aveva creato un mostro:lei. Era così che Anne si sentiva. La dea le sorrise in un modo inquietante. Forse sapeva che lei, la figlia di Assur, si sarebbe fatta avanti e forse sapeva anche il perchè. Anne teneva lo sguardo sulla dea, seria e concentrata, mentre l'altra rideva.
-Anne- la chiamò Kya. La figlia di Assur si voltò verso l'amica e quella la guardò come per dirle di non comportarsi in modo intraprendente, ma di agire pensando. Avevano bisogno dell'aiuto della dea e Anne lo capiva. Doveva fidarsi dei suoi amici. Anne annuì e Kya le sorrise.
Ki, la dea, continuava a sorridere. Anne ispirò e s'avvicinò ancora, quasi ad arrivare davanti alla dea. Allora s'inginocchió e disse:-Oh dea della terra, abbiamo bisogno del tuo aiuto.
-Lo so figlia di Assur- commentò la dea- Ninurta mi ha avvertito del vostro arrivo.
Anne storse le labbra al pensiero del dio che diceva loro la profezia e porgeva loro il biglietto. Lo odiava ora... non che fosse una novità per lei... odiava tutti gli Dei, perché sapeva che erano egoisti e superficiali.
-Immagino- commentò la semidea-Vorremmo chiederle aiuto.
-Cos'hai da offrirmi semidea?- chiese la dea con fare superiore. Anne guardò la terra rocciosa e secca. Che cosa avrebbe offerto alla dea in cambio del suo aiuto. Non poteva certo darle un oggetto qualunque... serviva qualcosa di personale, perché gli Dei amano quando cedi loro qualcosa a cui tieni. Anne non teneva a niente se non ai suoi amici e a quel bracialetto in argento che aveva al polso. Avrebbe mai potuto cederlo? No. Era l'unica cosa che le era rimasta di sua madre e non voleva perderlo. Sua madre... L'unica persona che l'avesse mai amata. La carnagione pallida risplendeva sotto la luce e gli occhi verdi erano sempre scintillanti, come stelle. Era morta sua madre. Morta durante il servizio alla caserma dei pompieri. Un edificio era esploso in fiamme e sua madre si era gettata in quel falò gigantesco per salvare un bambino con sua madre. Nessuno l'aveva vista tornare indietro, ma il bambino e la madre sopravvissero. La mamma di Anne non era mai stata trovata. Bruciata dalle fiamme e consumata fino all'ultimo. Anne aveva pianto, giorni e notti, finché non erano arrivati Zoey e James e l'avevano portata al Campo Mesopotamia, dove aveva trovato qualcosa che le tenesse impegnata la mente: la guerra. Si tolse il bacciale e lo porse alla dea, senza rimpianti. Era il momento di allontanare il passato e andare verso il futuro. Aveva trovato degli amici e una famiglia, ora doveva accettarla. Doveva lasciare che sua madre fosse morta, perchè Anne aveva sperato con tutta sé stessa che sua madre, in quei anni, si facesse viva. Non successe mai e mai sarebbe successo.
La dea le sorrise e disse:-La cosa a cui tieni di più, Anne Clark?
-Lo accetti e basta, per favore- commentò la ragazza sollevandosi da terra e pulendosi le ginocchia. La dea lo prese e se lo infilò nella tasca della gonna, poi alzò il volto e fece segno agli altri quattro ragazzi di avvicinarsi. Senza porsi troppe domande, ma timorosi, i quattro si avvicinarono. Kya era appoggiata a James mentre camminava. La gamba della figlia di Ishtar era stata ferita gravemente durante il combattimento ed ora l'appoggiava a malapena. James la sosteneva, pronto a prenderla nel caso cadesse. Si guardavano negli occhi qualche volta e Anne vedeva solo quello che provavano l'uno per l'altra. Doveva fare qualcosa non appena avessero lasciato la dea alle sua faccende terrose.
-Cari semidei- iniziò la dea- L'unica risposta che vi serve è un nome: Utu. Lui è il Sole e vede tutto. Colui che cercate è a Phoenix in Arizona.
Anne guardò Jacob, sbiancato e pallido. Chissà se il semidio era pronto a conoscere suo padre, ma dai suo comportamenti, Anne credeva di no.Però il semidio non aveva tutti i torti... insomma, chi vuole veramente conoscere il genitore, divino o meno, che ti ha abbandonato?
-Grazie mille- disse Anna con gentilezza- La ringraziamo per il suo aiuto.
Mentre si voltavano per andarsene, la dea li chiamò a gran voce, che rimbombò ovunque:-Figlia di Ishtar!
-Marduk ha commesso uno sbaglio a mettere una taglia sulla tua testa. Sei l'unica che può salvarci tutti.
Kya annuì e rispose:-Spero di farcela, o mia Signora.
La dea li congedò e loro risalirono sul pick up. Logan, Anne e Jacob si misero davanti, lasciando James e Kya dietro. Li guardava ogni tanto Anne e sperava che prima o poi smettessero di giocare a rincorrersi.

Presero il primo volo per Phoenix su un jet privato, imbucandosi nella piccola stiva. Dopo qualche ora di viaggio, giunsero a destinazione. Il rporietario dell'aereo, un tipetto giovane e pimpante, si accorse di loro quando scesero dall'aereo. Li chiamò e loro come stupidi si voltarono. Il signore si avvicinò e disse loro:-Chi siete ragazzini?
Kya, col suo bel sorriso che avrebbe steso un toro, gli rispose:- Salve, stavamo cercando proprio lei. Volevamo farle qualche domanda sull'inquinamento se è possibile. Siamo giornalisti proffessionisti, che lavorano per il CM, una rivista molto famosa che tratta di ambientalismo e moda. Possiamo, allora?
Il signore, a sentir nominare "una rivista famosa", acconsentì. James is domandava come facesse la figlia di Ishtar ad avere sempre un piano. Un piano che però aveva molte falle. Appena il signore si sarebbe reso conto che non esisteva nessuna rivista famosa chiamata CM, si sarebbe infuriato e avrebbe chiamato la polizia, denunciandoli. Kya però sembrava avere la situazione sotto controllo. Prese una penna e un blocknotes, scrivendo ciò che il signore le diceva. Scriveva velocemente, con la calligrafia elegante e precisa. Finita questa farsa, Kya lo salutò e si diresse verso l'uscita, con passo svelto. Loro la seguirono. Salirono su un bus che passava di lì, che li condusse a Phoenix. Fu Jacob a guidarli nella città questa volta. James aiutava Kya a camminare. Entrambi erano distrutti, sia fisicamente che psicologicamente. Kya aveva messo dei paletti alla loro relazione, che stava sbocciando, piano piano, e James non riusciva a capire perchè la ragazza fosse così sempre altruista. Perchè non voleva fare qualcosa per lei, per una santissima volta! Era cocciuta e testarda, ma era proprio per quello che a James piaceva tanto. Giunsero davanti ad una bel edificio, dai mattoni rosso fuoco e le finestre bianche. Jacob prese fuori dalla sua tasca un mazzetto di chiavi. Con una ci aprì il portne d'ingresso e con l'altra una porta all'ultimo piano. Jacob, entrando dalla porta, ispirò quell'odore di arance che aveva sempre caratterizzato quel luogo. Buttò lo zaino in un angolo e lasciò entrare i suoi amici in quella che, una volta, era casa sua. Non era molto lo spazio: una piccola cucina, con un piccolo tavolo, un balcone, un bagno di piccole dimensioni e tre camere da letto minuscole. Anne, stanca per il viaggio, entrò nella camera dalle pareti rosa e gialle, chiuse la porta e si mise a dormire. Tutto ciò senza dire una parola. Gli altri fecero lo stesso: scelsero una camera e andarono a dormire. Jacob rimase lì, a guardare la sua vecchia casa, che in realtà non lo era mai stata. Era stata la nonna a prendersi cura di lui e di Kristen. Era un passato doloroso quello che portava Jacob dietro di sé. Sua madre non li aveva mai voluti, mentre l'attenzione del dio Utu sì. Voleva solo essere al centro dell'attenzione, lei. Organizzava feste e la maggiorparte a casa loro, in quel piccolo appartamento. Chiamava sempre molta gente, specialmente uomini, che si faceva durante la serata. Era morta, sua madre. Accoltellata per la strada. Jacob aveva ritracciato colui che gli aveva portato via sua madre, non appena gli avevano detto che era un semidio. Aveva cercato colui che gli aveva portato via la madre e l'aveva ucciso, non curante del fatto che magari avesse una famiglia. Si era lasciato andare. Aveva seguito la vendetta.
Rimase alzato fino a tardi a pensare a quei momenti della sua vita, a quei demoni che lo seguivano da lontano, ma che non lo lasciavano andare. Era ancora lì quando Anne si alzò per bere un bicchiere d'acqua. Lo salutò stropicciandosi gli occhi e prendendo un bicchiere da sopra il lavandino. Si domandava come facesse a sapere che erano lì. Neanche lui, dopo tutti gli anni passati a vivere lì, si ricordava dove fossero. Invece lei sì.
Anne trangugiò un bicchiere d'acqua e lo appoggiò sulla mensola, poi incrociò le braccia e disse:-Pensi ancora a tua madre vero?
-Come fai a saperlo?- chiese il figlio di Utu sorpreso. Sì, perchè nessuno riusciva a leggere i suoi pensieri, tranne Anne. Lei scava dentro di lui, senza che non se ne accorgesse.
-Anche mia madre è morta, sai? Le volevo tanto bene e non ho mai smesso di volergliene. Devi lasciarla andare però. Anche i morti devono allontanarsi. Il passato che nascondi... è il caso che tu lo lasci andare- confessò Anne. Poi sorrise e ritornò a dormire. Jacob la seguì, dopo un paio di minuti, durante i quali rimase a fossare il vuoto. Scostò le coperte  e si sdraiò accanto alla figlia di Assur. L'abbracciò e poi s addormentò, cullato dal respiro dolce della ragazza

La mattina dopo, Logan si svegliò di buon umore. Quella notte era passata tranquilla, per una volta dopo anni. Da quando era scomparsa lei, non riusciva chiudere occhio. Erano anni che andava avanti così. La cercava senza sosta da cinque anni. La cercava perché l'amava. Amava il suo sorriso, i suoi modi di fare e la sua forza. Voleva riabbaracciarla e vedere i suoi occhi oro che brillavano alla luce del Sole. Quella notte, aveva dormito dopo cinque anni. Sentiva che stava per trovarla, finalmente.
Si alzò e andò in bagno, dove si sciacquó il volto e lavó i denti. Si vestí e preparò lo zaino. Kya e James erano svegli, in cucina che preparavano la colazione. Scherzavano e giocavano. Logan era felice di vedere la sua migliore amica felice e scherzare con James. Il figlio di Bau era una persona d'oro, che sapeva prendersi cura delle persone. Logan era disposto ad affidare Kya a James.
-Buongiorno Logan- lo salutò Kya sorridendo. Gli porse una tazza di caffè bollente aromatizzato alla menta. Logan si sedette al tavolo e si gustó la colazione preparata da Kya e James. Presto arrivarono anche Anna e Jacob, che si sederono al tavolo e mangiarono le frittelle al miele di James. Jacob interruppe il silenzio dicendo:-Sta mattina andremo dal dio Utu. Prima sapremo dove andare, prima torneremo a casa.
Anne aveva parlato con lui quella sera, Logan lo sapeva. Aveva ascoltato la conversazione per puro sbaglio. Si era alzato per andare in bagno e aveva ascoltato un po' della loro conversazione. Anne, aveva ragione. Aveva chiarito i suoi dubbi. Li aveva confermati.
-Ce la possiamo fare!- esclamò Kya entusiasta. Logan la guardò. Il suo sorriso splendeva come un Sole. Chissà se il sorriso della ragazza sarebbe durato ancora per molto. Le avrebbe fatto male, sicuramente.
Finirono di fare colazione e iniziarono a prepararsi. Logan, appena Kya uscì dalla camera dove aveva dormito, entrò. Doveva parlare con James della situazione. Lui poteva aiutarla. E forse era l'unico.
-James- lo chiamò serio. Il figlio di Bau si voltò, spaventato:-Ciao Logan. Hai bisogno di qualcosa?
-Volevo parlare con te, di Kya- proseguì il figlio di Ereshkigal, più convinto che mai a portare a termine la conversazione.
-Non ho intenzione di farle del male, Logan. Non la lascerò andare. Non posso e non voglio.
-James, non è di questo che ti volevo parlare. Riguarda il rapporto che Kya ha con Zoey. Sopettiamo, che sia lei a...
-Non l'avrebbe fatto- commentò James- È impossibile. Distruggerebbe Kya saperlo.
-Esatto- ammise Logan- Per questo volevo dirti di... proteggerla... avrà bisogno di te.
-Certo. Puoi contare su di me.
Logan sorrise e uscì dalla camera, raggiungendo Kya, Anne e Jacob. Poco dopo arrivò anche James. Uscirono dal condominio, nell'aria fredda del mattino di dicembre. Camminarono, finché non raggiunsero il centro città. Erano appena le sette, giusto puntuali per vedere sorgere il Sole. La dea della terra aveva indicato il Campidoglio di Phoenix come luogo in cui il dio del Sole sarebbe sceso dal suo carro. Ed erano lì, ad aspettare l'arrivo del dio del Sole. Jacob era calmo e pacato, mentre Logan era in ansia. Non gli era mai piaciuto il Sole e il dio del Sole gli piaceva ancora meno. Preferiva l'oscurità, lui. Così, tremava lui. Spaventato dall'incontro col dio del Sole.
Atterrò davanti a loro una moto nera, con a cavallo un signore con il casco e la tuta da motociclista. Scese dalla moto, il tipo, si levò il casco e chise:-Siete vo i semidei in cerca di aiuto?
Annuirono, in silenzio. Logan guardava a moto. Era una bella Kavasaki nera, dai cerchioni in argento e il sedile in pelle. Aveva sempre sognato una moto così, Logan. Voleva una moto per andare lontano, viaggiare e scappare, magari con lei.
-Bene!- esclamò- Seguitemi!
Lo seguirono dietro al Campidoglio, in un giardino. Il dio si era levato il casco, rivelando una capiliatura castana e occhi azzurri. Si era slacciato la giacca da motocilista e i ragazzi vedevano la maglietta dei Pink Folyd spiccare. Si sederono all'ombra di un albero, su una tovaglia a scacchi rossi che il dio aveva fatto comparire insieme a del cibo.
-Allora- disse Utu con entusiasmo- Siete venuti qui per...?
-Può aiutarci a capire dove si sta dirigendo la nostra amica Zoey- parlò Kya, senza pensare. Voleva riabbracciare la sua amica, quella che l'aveva portata al Campo Mesopotamia, quella che per tutti gli anni della sua infanzia le era stata vicino.
-Cara- rispose il dio- Sei sicura che sia veramente tua amica?
-Sì, ne sono convinta. Perchè mi fa questa domanda?
A Logan tramavano le mani. Kya stava per scoprire tutto? Se il dio avesse parlato, che cosa sarebbe successo? Logan era tormentato da queste domande. Forse doveva parlare con la sua amica, dirle che cosa pensavano loro di Zoey e che forse era meglio concentrarsi sul recupero della pergamena. Però voleva dire perdere lei... Forse per sempre.
-Sarà...- commentò il dio- Sta andando nello Stato di Washington... A Seattle, per l'esattezza. Troverete tutte le risposte lì. La pergamena è lì. Posso anche dirvi chi ce l'ha.
-Sarebbe così gentile?- domandò James. Il dio scoccò un'occhiata al semidio:-Io sono gentile, figlio di Bau. Porta rispetto.
-Certo- succurrò James- Mi scusi.
Logan si torturava la maglietta. Seattle... così lontana ma così vicina... Stava per trovarla dopo tanto tempo. Chissà se era cambiata, se i suoi occhi brillavano ancora e le sue labbra sapevano ancora di cioccolata e cannella. Non ascoltò cosa il dio avesse da dire loro, anzi aveva smesso di ascoltarlo da un pezzo. Mangiarono qualcosa con il dio, perchè insistette, poi si dileguarono, lasciando il dio alla sua moto e ai suoi problemi all'interno del Campidoglio. Aveva detto loro che lui era anche il dio della giustizia e, di conseguenza, si fermava diverse volte a controllare come procedeva la città di Phoenix, la sua città americana preferita. Così, i semidei, presero il primo volo per Washington, finanziato dal dio Utu. Jacob non aveva aperto bocca per tutto il tempo. Era stato vicino ad Anne, in silenzio, senza muoversi se non fosse strettamente necessario. Sull'areo, si sedette vicino al finestrino e guardò le nuvole che correvano sotto di loro. Il cielo limpido sopra e sotto la pioggia.
Atterratrono a Seattle, dove nuvole temporaleche minacciavano il cielo grigio, ma sereno della città. Camminarono per ore, alla ricerca del luogo giusto. Si guardavano attorno, quasi spaesati.
Logan sentì qualcosa tappargli la bocca ad un certo punto. Cercò aria, ma non la trovò. Si sentì macare. L'aria non c'era. Annussò il fazzoletto con cui gli avevano coperto la bocca e capì: stavano per essere portati nella tana del lupo.

 

Angolo autrice
Ciao bella gente! Come va? Ve li ricordavate questi ragazzi che avevamo lascito ad Atlantic City? Spero di si... comunque.... vi piace? Lo so, è troppo corto, ma non ho tempo. Prefrisco che leggiate piccoli pezzi e apsettiate di meno... comunque, lasciate commenti e stelline.
Baci

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Capitolo 34
*** ANGELO NERO ***


ANGELO NERO

Annabeth giurò a sé stessa che non avrebbe mai più attraversato un portale fatto di sabbia. Non sarebbe mai più accaduto. Non le era piaciuto il viaggio attraverso la Duat. Le si era capovolto lo stomaco diverse centinaia di volte. Sadie e Hermione stavano benissimo in confronto a lei, che a mala pena si reggeva in piedi.
Attterrarono in uno stanzino buio e stretto. Annabeth attterrò sopra al lavandino arruginito e bagnato di acqua stagnante e finì per bagnarsi il sedere. Sadie si ritrovò sopra a un mobile impolverato ed Hermione capitò in una ragantela. Ad Annabeth era andata bene, in confronto ad Hermione. Meglio il lavandino, sicuramente. Sadie scese dal mobile e andò a cercare la maniglia della porta. L'aprì lentamente e sbiriò fuori. C'erano diversi ragazzi in divisa scolastica, dei professori che bevevano caffé e un bidello che spazzava il corridoio, borbottando parole incomprensibili contro gli studenti.
-Ragazze- disse Sadie- O usciamo di qua o ci manderanno in galera.
Hermione asciugò i vestiti della figlia di Atena e uscirono dallo sgabuzziono. Non passavano inosservate, ma fecero del loro meglio per evitare di dare nell'occhio. Grazie al cielo, pensò Annabeth mentre camminavano per i corridoi, Hermione si era tolta la divisa di Hogwarts e si era messa una camicia scozzese rossa, dei jeans blu scuro e le All star bianche. Al collo, sotto la camicia, teneva la sua giratempo, quella che non aveva mai restituito al Ministero della Magia. Teneva la bacchettain mano e Ananbeth sperò che le menti dei mortali fossero ben ofuscati dalla Foschia da vederla come un cellulare. Anche Sadie , grazie agli Dei, si era cambiata, sostituendo la sua tuta di lino con una maglietta mimetica di cotone, jeans di cotone e scarpe di tela. Continuava ad avere sempre la sua borsa magica, il boomerang, la bacchetta e il bastone, ma tutto sommato era normale, forse. Annabeth voleva credere che sarebbe andato tutto bene, ma in cuor suo sapeva che sarebbe andato tutto a rotoli prima o poi. Aveva scelto Sadie e Hermione perchè erano così una squadra mista, quindi, nello sfortunato caso in cui si sarebbe presentato un problema che solo una di loro poteva risolvere, avrebbero potuto continuare l'impresa. Continuarono a camminare verso la biblioteca. Annabeth si voltò a giardare indietro diverse volte. Sentiva gli occhi di qualcuno puntati su di lei. Nessuno però le stava seguendo e questo faceva preoccupare la semidea molto di più, perchè lei si sbagliava lo 0,01% delle volte, quindi praticamente mai. Spinsero la porta della biblioteca e iniziarono la ricerca disperata. Hermione provò a fare un incantesimo di appello, ma non funzionò; Sadie si strasformò in un nibbio per provare a raggiungere i libri più in alto, ma quando giunse a metà si ritrasformò in umana e cadde giù. Hermione e Annabeth afferrarono la ragazza  e la posarono a terra.
-Sembra stregata- disse Hermione scrutando gli scaffali davanti a lei.
-Non è stregata- affermò Annabeth- I libri più in alto sono quelli che dobbiamo rpendere, ma senza usare la magia. Questa biblioteca era nata per i smidei. Fungeva come la biblioteca di Alessandria d'Egitto.
-Quindi?- domandò Sadie.
-L'unico modo è scalarla.
-Fantastico- borbottò la maga- Qualcuno ha una corda?
-Non serve la corda, Sadie- le disse Annabeth mentre appoggiava una amno su uno scaffale e i piedi su quello sotto. Iniziò a scalare la libreria, cercando il libro che sua madre le aveva indicato. Le ragazze l'aspettavano giù. Forse avevano paura dell'altezza, come Talia. Ananbeth non lo sapeva.
-L'ho trovato!- gridò Annabeth dallo scaffale più alto- Al volo!
La figlia di Atena lanciò il libro e poi si lanciò dallo scaffale. Atterrò con grazia e raggiunse le due ragazze che si erano sedute ad un tavolo delle biblioteca vuota. Aspettavano lei. Il libro aveva la copertina d'oro puro e le pagine ingiallite. Uno strato di polvere copriva la bella copertina. Sadie ci soffiò sopra, innalzando una nuvola di polvere. Hermione tossicchò e aprì il libro.
-Allora Annabeth, cosa cerchiamo esattamente?- domandò la strega. Quando voleva, hermione sapeva essere antipatica, anche se la maggior parte delle volte non lo era. Sadie, invece, era sempre energica, pronta all'azione, completamente diversa dalla strega.
-Stiamo cercando queste- disse Annabeth mentre andava nell'indice e cercava il capitolo. Andò alla pagina giusta e mostrò alle due amiche ciò che dovevano cercare. Sadie assottigliò gli occhi e lesse il titolo:-Le armi del Caos?
-Esatto!- esclamò la semidea- Sono questa la nostra unica possibilità di vittoria, probabilmente. Voi sapete cosa stasuccedendo, vero? I presagi di Rachel, nonostante l'Oracolo non parli più, il fatto che, di nuovo, i maghi e i semidei siano di nuovo assieme, gli Dei muti... Lo senti Sadie, vero?
La maga annuì, abbassando lo sguardo. regnò il silenzio nella sala. Sadie era triste, Annabeth lo vedeva. La maga non aveva più lo sguardo che brillava e aveva occhiaie pesanti intorno agli occhi. Sembrava uno zombie.
-Sadie, sei sicura di sentirti bene?- le domandò Hermione. Sadie annuì e disse:-Procedi Annabeth.
-Le armi dei Caos furono costruite dai Ciclopi durante l'inizio dell'Olimpo, in comune accordo con le divinità di altre civiltà, come gli egizi. Ogni Dio aveva la sua, ma potevano essere impugnate solo dai semidei o dagli ospiti. Solo chi ha una discendenza diretta divina o chi segue il loro percorso può impugnarle. Abbiamo un problema però: sono nel Tartaro al momento. Sappiamo, però, anche che una volta ogni anno, loro si fanno vedere sulla Terra. Il caso vuole che inizino proprio da Londra e continuino lungo un tragitto definito. Questo è il motivo per cui Chirone ci ha mandato in Inghilterra e perché voi maghi della Casa della Vita siete stati attratti da questo luogo.
Le due ragazze seguirono il ragionamento della semidea senza fiatare. Poteva essere un piano e tanto valeva provare, in fondo, non avevano molte possibilità. Poteva essere un'ipotesi. Secondo i calcoli di Annabeth, il Caos avrebbe assunto una forma il 21 giugno. Avrebbero dovuto tornare a New York prima di quella data, per organizzare le truppe e magari liberare i campi.
-Non abbiamo altra scelta- mormorò Sadie- Dobbiamo tentare. Dobbiamo raggiungere Londra. Esattamente dove?
-Trafalgar Square:la piazza più famosa d'Inghilterra- rispose Annabeth- È dobbiamo arrivarci prima che sorga il Sole.
-Non credo che Leo e Beckendorf abbiano finito di riparare la nave- commentò Hermione- Rischiamo di rimanere scoperti 'sta notte.
-Daremo loro il tempo necessario. Mi fido di Leo.
Hermione e Sadie annuirono, poi la maga disse:-Va bene. Prendiamo questo libro e andiamocene. Ora.
Hermione mise il libro dentro la sua borsa senza fondo e Sadie aprì un portale, dove le tre ragazze vi saltarono dentro, atterrando sul legno scuro della Heroes. Vi era Nico, segno che erano tornati, mentre Leo e Beckendorf non si vedevano da nessuna parte. Videro Hazel salire le scale e comparire sul ponte superiore dicendo:- C'è bisogno di aiuto giù.
Le tre ragazze si guardarono e seguirono la figlia di Plutone sotto coperta.

Okay, trovare la figlia del dio della morte non era nei piani, mentre il resto era andato più o meno come se l'aspettavano.
Erano scesi a fare una spesa abbondante e magari comprare qualcosa di utile. Piper avrebbe preferito andare in biblioteca con Annabeth, ma la semidea aveva portato la maga e la strega. Camminarono per la città, cercando disperatamente un supermercato. Si erano divisi in due gruppi: uno per gli alimenti e l'altro per vestiti e cose così. Piper era con Percy, Carter, Jason, Harry e Reyna e stavano cercando il supermercato. Quando ne trovarono uno, vi si fondarono dentro, afferrarono i carrelli e si diressero giù per le corsie, riempiendo tutti i carrelli.
-Ho dimenticato una cosa!- esclamò Percy correndo giù per la corsia della colazione. Tornò pochi secondi dopo con una decina di pacchi di Oreo.
-Io ti lodo Percy-commentò la figlia di Afrodite. Afferrò un pacco e lo sventoló davanti al figlio di Giove:-Ha preso gli Oreo!
Jason sorrise e le mise un braccio intorno alle spalle. Harry, intanto, aveva spinto il suo carrello verso la cassa e Carter l'aveva seguito. Avevano appena iniziato a mettere gli alimenti dentro a delle sportine, quando l'allarme prese a squillare violentemente. Percy estrasse Vortice e Piper la sua spada del boreale Zeto. Per quanto Katropis fosse importante per lei, la spada seghettata lo era ancora di più. Era stata una prova, quella di affrontare Chione e i boreali, e lei era riuscita a vincerla. Tutto si fece freddo e i cinque ragazzi capirono che sarebbero dovuti fuggire.
-Non possiamo lasciare la spesa qui!- esclamò Piper rivolgendosi poi alla cassier- Mi ascolti attentamente. Ora prenda una borsina e la riempia.
La cassiera, come ipnotizzata, prese una sportina e iniziò a riempirla, senza fare domande.
-La tua lingua ammaliatrice è peggio della maledizione Imperium- disse Harry mettendo del formaggio in una borsa di tela. Piper sorrise, ma quel sorriso sia spense quando gli spiriti incappucciati entrarono nel negozio. Dissennatori. Piper aveva il sangue che sembrava gelato e il cure che batteva all'impazzata. Aveva paura.
-Piano B- disse Jason- Io e Percy ci occupiamo di loro. Voi pensate a tutto il resto.
Jason prese il suo gladius e, con Percy, si buttò nel combattimento. Piper, Carter, Harry e Reyna continuarono a riempire le sportine con la commessa che li aiutava. Il negozio era vuoto per fortuna, così i semidei non si dovettero occupare dei mortali indifesi. Jason, volò dall'altro lato del supermercato insieme a un Dissenatore. Piper impugnó la sua spada e s'avventó sul Dissennatore che aveva messo Jason al tappeto. Lo colpì alle spalle, con un balzo e lo trapassó da parte a parte. Il Dissennatore scomparve sotto la sua vista.
-Grazie Pips- le disse Jason mentre si alzava e afferrava il gladius, per tornare al fianco del figlio di Poseidone. Piper rispose la sua spada nel fodero e riprese a riempire le borsine. Reyna, Harry e Carter avevano già messo le borsine dentro alla borsa di Carter. Ci aveva messo un po' per capire come funzionava la cosa. La borsa di Carter era come quella di Hermione, solo che la sua era legata alla Duat mentre quella di Hermione era stregata.
-Harry!- gridò percy- Un patronus farebbe comodo.
Erano umentati, i Dissennatori e i due semidei non riuscivano più a terli occupati. Harry prese la sua bacchetta e urlò l'incantesimo. Un cervo argento uscì dalla bacchetta e si parò davanti ai due ragazzi, creando come un muro tra i Dissennatori e loro.
-Andiamo!- gridò Percy correndo fuori dal supermercato. Gli altri non esitarono a seguirlo. Percorsero qualche metro prima che i Dissennatori li raggiungessero.
-Correte!- girdò Carter. Correvano forte, ma i Dissennatori li stavano alle calcagna. Il fiatoe ra sempre meno e i polmoni di Piper presero a bruciare. Nonostante ciò, continuava a correre. Girarono in un vicolo e Piepr and a sbattere contro una ragazza. Aveva capelli e occhi neri, tranne per le punte dei capelli che erano rosso carminio. La pelle era del colore del teak e aveva i lineamenti angelici.
-Dannazione!- esclamò la ragazza alzandosi. Quando vide i Dissennatori gli urlò:-Andante via!
I Dissennatori volarono via. Piper s'alzò in piedi, mentre Percy domandava:-Chi sei tu?
-Sono Amanda McLaren, figlia di Thanatos e so cosa state cercando.

-Quindi tu sei figlia di Thanatos? Io non credevo che potesse avere figli!- esclamò Leo. Quando Percy, Jason, Piper, Harry, Reyna e Carter erano tornati, avevano con loro una ragazza, che poi Leo aveva scoperto essere Amanda McLaren, una figlia di Thanatos mai stata al Campo Mezzosangue e orfana di madre.
-Si sono una figlia di Thanatos, la morte- rispose Amanda spostandosi i capelli dietro le spalle- Ora posso andarmene? Vorrei tornare alla mia vita.
-Andrai da amici- disse Percy- Non tornerai mai alla tua vita, ma ne avrai una nuova. Ti addestrerai e compirai imprese. Fidati, andrà tutto bene, te lo prometto.
-Lo disse anche mia madre prima di morire, ma è andato tutto a rotoli, quindi non fare promesse che non puoi mantenere.- sputò acida Amanda.
-Percy sa quello che fa, Amanda- difese Annabeth- Ho imparato a fidarmi e non me ne pento.
-Sadie, riesci ad aprire un portale per Manhattan? Upper East Side? Intanto io chiamo Grover e gli chiedo se può madare un satiro o qualcuno- disse Percy- E, Amanda, pensa quello che vuoi di me, ma sappi che ti aiuterò in ogni modo possibile.
Amanda sbuffò e Percy se ne andò sottocoperta con Annabeth. Carter e Harry montarono di guardia, mentre Piper e Jason rimanevano con Leo e Amanda. Beckendorf era di sotto ad attendere che Leo sistemasse un programma per poi fare altrettanto.
-Amanda- disse Leo- Posso raccontarti una storia?
-Fa come ti pare- rispose la ragazza mentre si sedeva su una botte di legno. Leo narrò della morte della amdre e di come si fosse sempre cacciato nei guai solo per non rimanere troppo in un luogo, perchè tendeva ad affezzionarsi e aveva paura di perdere tutto. Narrò del suo arrivo al Campo Mezzosangue e dell'impresa in Grecia. Amanda sembrava presa dalla storia di Leo. Quando il figlio di Efesto terminò, Amanda sembrava più tranquilla.
-Grazie Leo- ringraziò la figlia di Thanatos- E non preoccuparti, andrà tutto bene ora.
-Lo so mia cara Amanda- rispose Leo con un sorriso- Insomma, se non va bene, la mia vità è disastro. Cioè, poi guarda che figo che sono.
Amanda rise e Leo con lei. Jason e Piper erano in disparte vicino alla poppa, ma riuscivano a sentire ciò che i due si dicevano. Percy e Ananbeth tornarono sul ponte con un sorriso sulle labbra.
-Partirai al tramonto- disse Percy sempre sorridente- Ti verranno a prendere dei semidei.
-Anche noi andremo- intervenne Silena mano nella mano con Beckendorf- Qui serviamo a poco. Con noi verranno Julian, Neville, Hannah, Clarisse e Chris.
-Silena, ne sei sicura?- domandò Piepr- Ti ho incontrata da poco e non mi piace l'idea di non vederti.
-Tranquilla Pips, me la caverò- rispose Silena abbracciandola- E poi, vi aiuteremo in un altro modo: andremo in America a cercare alleati. Ne avremo bisogno.
-Se ne sei sicura tu.
Silena sorrise e tornò sotto coperta a preparare le valige. Piper sbuffò sonoramente e seguì la sorella. Jason, Leo, Annabeth, Percy e Amanda rimasero soli. Harry e Carter erano scesi ad aiutare con la barriera finchè la nave non fosse stata messa completamente a posto.
-Prima di impugnare le armi del Caos, dovrete superare le vostre più grandi paure- disse Amanda fredda- Per questo i semidei non sono mai partiti alla loro ricerca. Ti logorano dentro. Se posso darvi un consiglio: non usatele, a meno che non sia strettamente necessario. Come vi ho già detto: ti distruggono, lentamente.
-Perchè ci stai dicendo questo?- domandò Leo guardandola negli occhi sfidandola a mentire.
-Perchè se cìè una cosa che ho imparato dalla mia vita è proprio che ogni vita è importante e che voi potreste essere una famiglia per me.
Leo e Jason sorrisero e Amanda con loro. Forse Amanda aveva trovato una nuova famiglia, come era capitato a Leo mesi prima. Aveva vagato in lungo e in largo cercado qualcuno che lo accettasse nonostante tutto e l'aveva trovato: il Campo Mezzosangue e Calipso.
-Leo?- lo chiamò Jason- Tutto okay?
-Certo amico!- esclamò Leo dandogli delle pacche sulla schiena- Godiamoci la tranquillità prima della tempesta.

La mattina e il pomeriggio passarono in fretta. I semidei s'allenarono tutto il tempo sul ponte della nave, i maghi della Casa della Vita studiavano antiche scritture, mentre i maghi di Hogwarts facevano sclerare Clarisse. Leo e Becjenderf stavano finendo di riparare le ltime cose. Amanda stava a guardare i semidei sperando dhe uno di loro le si avvicinasse e le chiedesse di allenarsi con lei.  La figlia di Thanatos doveva ammettere che lei non aveva mai utilizzato un'arma. Aveva sempre usato i suoi poteri da figlia della morte.
-Amanda- la chiamò qualcuno- Vieni.
Era Nico DiAngelo, il figlio di Ade. Lui la capiva probabilmente, del resto era un figlio degli Inferi. Nico era un bel ragazzo, ma era  troppo tenebroso e, cosa più importante, era gay. Sia chiaro, Amanda non aveva nulla in contrario all'unione omossessuale. Lei aveva bisogno di una persona solare e colorata. Non come Will Solace, certo. Lui era troppo solare.
-Certo- esclamò. S'alzò e savvicinò al figli di Ade.
-Prendi questa- le ordinò porgendole una spada nera come il buio. Amanda afferrò l'impugnatura della spada. Era equilibrata ed era della lunghezza giusta.
-Ascolta, è ferro dello Stige. Aumenterà i tuoi poteru in una maniera sporporzionata. La spada è potente già di suo, me se viene usata dai figli della morte, come me, te, Bianca e Hazel, è ancora più potente.
Amanda annuì e Nico continuò:- Ricordati: sei forte.
Nico sollevò la sua spada e la colò su Amanda. La ragazza  sollevò l'arma , parndo il colpo, ma il figlio di Ade aveva colpito troppo forte e Amanda fu costretta ad inginocchiarsi.
-Sei forte, puoi farcela- urlò Nico. Amanda impugnò saldamente la spada  e oppose resistenza. Si diede la spinta con il piede, fece una giravolta, graffinado con la spada il volto del figlio di Ade. Nico sorrise e attaccò con più foga.
-Evoca le anime, Amanda!- urlò Nico. Amanda sussultò. Nessuno conosceva i suoi poteri. Il figlio di Ade le sorrise ancora di più. La ragazza stava reagendo, piano, ma stava reagendo. Doveva scoprire tutte le sue potenzialità.
-Eddai Amanda- la provocò- Non riesci ad evocare una piccola anima? Sicura di essere figlia della morte e non di un dio qualsiasi delle tenebre?
Amanda ringhiò e Nico vide spuntare i canini. Attaccò con rabbia. Nico parava i colpi cercando di non farsi ammazzare e intanto continuava a provocare la ragazza. Dal canto suo, Amanda, reagiva con la rabbia e mostrava i suoi canini, che non sapeva di avere. Gli occhi erano rossi e brillavano come fuoco e, piano piano, ali nere iniziarono ad uscirle dalla schiena.
"Un ultimo sforzo" si disse Nico parando un altro fendente della figlia di Thanatos.
-Dai, Amanda. Non riesci neanche a colpirmi? Sono troppo veloce per te? Lumaca!- gridò Nico pregando Thanatos di perdonarlo. Le ali  di Amanda si spalancarono. Erano larghe circa due emtri, con piume nere come il buio. I semidei si bloccarono con le loro armi a mezz'aria a guardare la figlia di Thanatos, che si era avventata su Nico. Erano caduti a terra, la spada lontano. Will incoccò una freccia, tese l'arco e la lanciò poco distante dal volto della ragazza. Si andò a conficcare nel parapetto e Amanda lo guardò torva. Si lanciò sul figlio di Apollo con rabbia.Will schivò la ragazza abbassandosi e rotolando di lato.
-Stupeficium!- gridò Hermione con la bachetta puntata contro Amanda. Colpì la ragazza , che cadde come un sacco di patate. Nico s'alzò da terra e corse da lei. La schiaffeggiò, ma no si riprendeva. La prese da sotto le ginocchia. e scese di sotto. LA portò in infermeria seguito da Will, Percy, Annabeth e Hermione. La strega aveva le lacrime agli occhi e le mani tremavano. Nico aveva vogli di ferle del male, am si trattenne. Non sapeva perchè reagiva così, ma Amanda gli sembrava importante. Sentiva che aveva bisogno di lei, forse perchè era una di quelle persone che veniva allontanata solo perchè era strana. Nico ci era passato. Lui era voluto andare via dal Campo Mezzosangue perchè si sentiva solo. Dopo Gea era cambiato tutto: aveva rivelato di essere omossessuale, essere innamorato di Percy, per poi scoprire che gli piaceva Will Solace, aveva vissuto con Reyna e il Coach Hedge un'impresa che poi l'aveva fatto sentire una persona migliore. Aveva trovato delle persone che gli volevano bene per ciò che era e non avevano paura di dimostrarlo.  Voleva che per Amanda fosse lo stesso.
-Poggiala sul letto- ordinò Will aprendo un armadietto e prendendo fuori delle pasticche. Nico fece ciò che gli aveva ordinato il figlio di Apollo. Will comparve a fianco del letto, prese una pasticca dalla scatola gialla che aveva in mano  e la cacciò in bocca alla ragazza, seguita da un po' di acqua.
-Dovrebbe stare meglio- mormorò WIll- Si può sapre cosa diavolo ti è saltato in mente?
-Volevo aiutarla- disse Nico stringendo i pugni- L'avete vista no? Questa ragazza è potente.
-Nico- sussurrò Percy- Potevate farvi male.
-saebbe riuscita a fermarsi. Non dovevate intervenire- ringhiò quasi mangiandosi le parole. Hermione era quasi in lacrime, ma a Nico non importava più di tanto. Poteva piangere quanto voleva, che a Nico non sarebbe imortato nulla.
-Starà meglio. Dovremmo aspettare però a lascianrla andare a New York. Probabilemte dovrà rimanere con noi ancora per molto- disse Will.
-Usciamo e lasciamola riposare- propose Annabeth aprendo la porta. Hermione uscì per prima, per tornare sul ponte superiore. Si scontrò con Sadie che stava scendendo. Hermione scomparve su per le scale. mentre Sadie slatava l'ultimo gradino e entrava in scena:-Allora, il portale si aprirà da ambo i lati, così gli diamo più stabilità. Amanda è pronta? Si parte a breve.
-Sadie, Amanda non potrà affrontare il vaggio. L'incatesimo  le ha fatto male sia psicologicamente che fisicamete- disse Will cercando di essere cortese.
-Oh- sussurró la maga- Gli altri però vogliono andare a casa.
-Gli altri ci andranno. Amanda rimarrà qui con noi- ordinò Annabeth- Non abbiamo altra scelta. Amanda non può affrontare questo genere di viaggio.
Sadie annuì ed esclamò:-Vi aspettiamo su per gli ultimi saluti.
Sparì su per le scale. I quattro semidei si guardarono, poi seguirono la ragazza su per le scale.
 

Angolo Autrice
Zhao carissimi. Avete visto che rapidità? Modestamente. Allora... siamo giunti ad Oxford, conosciuta le la sua università e per la sua biblioteca dove le nostre ragazze hanno trovato informazioni importantissime. Vi avverto che i capitoli prossimi saranno un po' noiosetti. Infine giungeremo alla battaglia finale... forse.... Il nuovo personaggio che vi presento oggi è Amanda McLaren, detta anche Angelo Nero. Beh, su di lei scoprirete tutto più avanti. Vi lascio un piccolo pezzettino del prossimo capitolo.

"Corse verso il portale, spinse via i nuovi arrivati e ci saltò dentro. Cadde col sedere per terra, o meglio sul legno..."

Chi sarà? Tutto questo nel prossimo episodio. Lasciate tanti commenti.
Kiss💙💙😙😙

 

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Capitolo 35
*** LIBERA ***


LIBERA

A chi ha amato, ma ha tradito
A chi vuole troppo e fa del male, per fargli capire che non c'è malvagità che tenga


Erano seduti da quel pezzo e per ora nessuno aveva ancora rivolto la parola a loro. L'aria era umida e fredda. Tremavano. Li avevano catturati non appena giunti a Seattle. A Kya batteva il cuore. Sentiva l'acqua battere sulle pareti. Pioveva fuori. Le mani erano legate dietro alla schiena e gli occhie erano coperti, un bavaglio in bocca e le caviglie legate. Kya si sentiva un salame. Si domandava perchè capitassero tutte a loro. Da quanto erano lì poi? Un giorno? Qualche ora? Ormai aveva perso il conto. Sentì un rumore metallico e il sapore del sangue le salì in bocca. La leonessa che era in lei voleva liberarsi, mordere e uccidere. Aveva provato a trasformarsi, ma quelle corde sembravano incantate. Qualcuno si avvicinò a lei, le tolse la benda dagli occhi e il bavaglio dalla bocca. Occhi rossi come il rubino la guardavano. A Kya tremarono le gambe. Lui era lì, di fronte a lei, con un sorriso stampato sugli occhi. Si guardarono, poi la semidea provò a mordergli in naso, ma quello le tirò un pugno in volto. James urlò, mentre la ragazza sbatteva la testa per terra. Le colava il sangue dal naso e dallo zigomo. Bernard si pulì il pugno di ferro che aveva sulle nocche con la T-shirt della figlia di Ishtar e brobottò:-Ti credevo più intelligente del resto della tua famiglia.
Kya si alzò a fatica:-Coglione. Se mai incontrerai mio cugino non ne uscirai vivo, sappilo.
-Oh, ma a lui stanno già pensando altri... No... io parlavo degli altri tuoi parenti ragazzina- susurrò Bernard all'orecchio della semidea. Il cuore della ragazza batteva fortissimo. Voleva uscire dal petto. Altri? Quali "altri"? Chi erano questi parenti che lei non sapeva di avere. Suo padre gli aveva detto di cercare solo Percy, nessun'altro. Quanti altri cugin aveva lei? Era possibile che la sua famiglia fosse così grande? Dov'erano stati poi tutti questi parenti per tutto questo tempo?
-I Jackson sono un po' come i Chase, gli Zhang o i McLean o anche i Brendson. Incredibile vero? I Jackson attirarono gli Dei sin dal principio, diventando una delle famiglie più potenti. Si sono sparsi per il mondo, sperando che, dividendosi, avrebbero fermato tutto ciò. Non ci sono riusciti. Siete nati voi sporchi mezzosangue o maghi, che si vuol dire. I Jackson hanno sempre cercato di fermare il male e ci sono sempre riusciti, secolo dopo secolo. Ma questa volta no. Questa volta vinceranno coloro che sono stati sconfitti troppe volte.
E poi fu tutto veloce. Anne scattò in piedi, liberandosi delle corde che la tenevano legata. La sua lancia affondava nei corpi degli schiavi di Bernard. Intanto, anche Logan si era liberato, aiutato dalle ombre, che avevano tagliato le corde. Corse a liberare Jacob, che andò ad aiutare Anne nello scontro con Bernard, mentre Logan finì di sciogliere i nodi delle funi. Anne e Jacob cadder a terra, travolti dalla lancia di Bernard. Kya si trasformò in leonessa e il suo avversario, vedendola, si trasformò in orso dal pelo bruno e artigli affilati. Kya ringhiò, ruggì ed attaccò. Bernard era forte e la fece volare via con un colpo della mano. Spattè la schiena sul muro, ma si rialzò in piedi, ingnorando il dolore che le scorreva lungo tutta la colonna vertebrale. Sentì James urlare qualcosa, una parola magica, qualcosa che fece sì che l'orso fosse accerchiato dalle fiamme. Ritornò umana, Kya. Il dolore alla colonna vertebrale aumentava, ma non le importava. Urlò soltanto:- Andiamocene subito!
La seguirono. Corsero lungo un corridoio. Sentirono un ruggito e, mentre correvano, Anne si fermò, perchè ormai Bernard era alle loro calcagna. Prese la sua lancia la figlia di Assur e la scagliò contro l'orso, che non potè fare altro che provare a schivarla. Il corridoio, però, era troppo stretto perchè lui riuscisse a schiavare quella lancia lanciata con estrema precisione. Si conficcò nella sua spalla e Anne riprese a correre, raggiungendo i suoi amici. Sentiva la felicità giungere l'apice. Si era venticata. Quanti anni passati ad aspettare quel momento che ora era arrivato. La morte di sua madre era avvenuta perchè lui, quello stronzo di Bernard, aveva appiccato l'incendio. Sentirono poi delle urla di disperazione e Logan si bloccò, si girò e salì una piccola scala a chiocciola, seguendo la voce. Era lei, l'aveva trovata. Sentì Kya urlare il suo nome, ma lui non la stava ad asoltare. GIunse davanti ad una cella dove c'era una sedia immersa nell'acqua con una ragazza sopra. Aveva occhi d'oro e capelli castani. Il volto era scorticato, bruciato e pieno di tagli, ma aveva conservato la sua bellezza. Logan la vide prendere la scossa e urlare. Si lanciò verso i ragazzi che erano lì con lei, a manovrare l'intensità delle scariche elettriche. Estrasse la spada, Logan, e infilzò come due kebab i due ragazzi. Caddero a terra, senza vita, coperti di sangue. Staccò la presa della sedia, Logan, liberò la ragazza, che cadde tra le sue braccia, mormorando solo:-Sei arrivato, finalmente.
-Ci ho messo un p' di tempo, lo so- rispose il ragazzo. La prese poi da sotto le ginocchia, mentre i suoi amici arrivavano. Anne sorrise tra le lacrime, sorridendo però, e con lei anche Jacob e James. Kya la guardava, la ragazza, studiandola. Disse poi:-Lei è la sorella di Zoey, vero?
Le lacrime le arrivarono agli occhi e pianse, la figlia di Ishtar. James l'abbracciò, perchè non poteva farne a meno. Kya piangeva sulla sua maglietta. Non sapeva perchè sentiva che la sorella di Zoey fosse proprio lei, lo percepiva e basta. Si domandava soltanto perchè Zoey l'avesse fatto. La voce dell'amica le arrivò da dietro:-E voi che state facendo qui?
Kya si voltò. La sua amica aveva un bel vestito oro, corto sino alle ginocchia, sandali impreriali impreziositi da pietre preziose. Era lì, la sua amica. Il volto era serio o forse peoccupato. Non si capiva. A Kya batteva il cuore. Perchè Zoey era lì? Perchè era partita dal campo senza preavviso?
Si sentirono afferrare le braccia. Ragazzi incappucciati dagli occhi rossi come sague, li afferrarono per le braccia e li condussero lungo uno stretto corridoio. Con loro, avevano anche preso la ragazza castana che avevano trovato, la sorella di Zoey. Camminava accanto a Logan, come se entrambi avessero paura di lasciarsi di nuovo. Kya li aveva visti poco prima, quando Logan l'aveva salvata. Non capiva però perchè era stato con Zoey per tutto l'anno, se poi amava la sorella. James era accanto a lei, che cercava in tutti i modi di liberarsi senza riuscirci. Anche con lui, Kya doveva mettere le cose a posto. Zoey era in capo al gruppo che camminava leggera, come se fluttuasse. Giunsero in una sala circolare, con una sedia in pietra al cetro. Sotto di loro, fuori, Kya scorgeva boschi infiniti. Probabilmente erano al confine col Canada. Ci era sata una volta, con suo padre. Le mancava, suo padre. Aveva fatto di tutto per dimenticare la sua morte e andare avanti negli ultimi giorni, ma non c'era riuscita. Piangeva a volte, nel cuore della notte, perchè così nessuno la sentiva. James però negli ultimi giorni se n'era accorto e ora, la notte, dormivano assieme, perchè tra le braccia del ragazzo, Kya si sentiva bene, al sicuro.
Si sedette Zoey sulla sedia in pietra. Una ragazza incappucciata le servì del té, che però la figlia di Marduk non accettò.
-Volete spiegarmi cosa ci fate qui?- domandò calma Zoey, con le mani in grembo e il sorriso stampato sulle labbra. Kya mosse le labbra, senza parlare, poi sputò per terra, ai piedi di quella che era stata la sua migliore amica. Un ragazzo col cappuccio le tirò un pugno in volto, con le nocche metalliche, come quelle che aveva usato Bernard poco prima. Il sangue riprese a sgorgare dallo zigomo e dal naso. Kya veloce come un felino, gli diede una testata e quello cadde svenuto a terra. Aveva capito, Kya. Aveva capito tutto.
-Qualcuno di più razionale?- chiese Zoey. Guardò James, con foga, come se avesse voluto fare cose poco concie con pubblico. Zoey stava guardando la sua cena.
-Perchè non mi uccidi, eh?- domandò la figlia di Ishtar- Perchè mi vuoi viva?
-Perchè lui possa risorgere, Kya- rispose la figlia di Marduk- Almeno, la nostra parte.
-Spiegati meglio.
Zoey scosse la testa, continuando a guardare James:-Il tuo sangue, Kya, è la chiave. Tuo cugino, inconsciamente ha versato già la sua parte. Solo i Jackson possono avere potere su di lui. Solo coloro che l'hanno sconfitto per secoli possono attivare il suo cammino e fermarlo. Accetta di essere al suo servizio Kya.
-Non so di chi tu stia parlando, ma non ho intenzione di essere al servizio di nessuno- ribatté la semdea. Fece un cenno ad Anne, che era stava aspettando. Veloce come un fulmine, Kya mise a terra il ragazzo incappucciato che la teneva ferma. Corse verso Zoey, come un ghepardo: veloce. Mentre faceva ciò, si sfilò l'anello di sua madre, che si trasformò in una katana dalla lama nera e l'elsa in argento. Zoey si sfilò un coltello nero dalla cintura e lo lanciò contro di lei, ma lo schivò, e allora afferrò una spada nera. S'incrociarono più volte le due spade, quella notte di pioggia. Kya combatteva come il cuore le diceva. La guidava sua madre, lo sapeva. La stava proteggendo da quando era partita. La stava aiutando. Quando le due ragazze erano vicine, Kya diceva:-Traditrice.
Zoey le rispondeva a tono, senza mai usare termini volgari:-Serva degli Dei.
La figlia di Marduk le afferrò il polso, facendola cadere per terra. La trascinò verso la finetra che dava sul bosco. Si sfilò un coltello dalla cintura e le fece un taglio sul polso. James urlava, Jacob, Anne, Logan e la sorella di Zoey pure. Urlavano, mentre Zoey recitava parole antiche. I suoi occhi diventarono neri, completamente neri. Continuò a piovere, ma una nuvola di polvere s'alzò comunque in cielo. Fulmini rimbombavano nel cielo. La pioggia scendeva più velocemente. La massa di polvere assunse il corpo di un uomo, calvo, la pelle caffelatte e gli occhi sangue. Calciò Kya lontano da lui. Zoey s'inginocchiò e così fecero tutti i suoi servitori. James, Jacob, Anne, Logan e la sorella di Zoey, erano a terra, svenuti. Kya li scorgeva. Aveva la vista sfocata. Forse non si reggeva neanche in piedi. Lo fece comunque, però. Si sfilò di nuovo l'anello di sua madre e diventò una spada. Non era una spada qualunque però: era bella, a doppio taglio, dalla lama nera, l'elsa argentea, con rubini e diamanti incastonati. Si liberò anche un'armatura nera, bella come poche. L'uomo la guardava inorridito e urlò:-Una Jackson con un'arma orginale? Impossibile! Come hai potuto, figlia di Marduk?
-Mi dispiace, signore- mormorò lei- Non lo sapevo.
-Dovrei ucciderti, ma mi servi ancora. Uccidila. ORA!- tuonò l'uomo, scomparendo poi in una nuovola di fumo. Zoey guardò la sua ex migliore amica con rabbia. Afferrò dei coltelli e li tirò contrò di lei. Kya rotolò di lato. Afferrò arco e frecce, la figlia di Marduk. Ne scagliò una dietro l'altra, cercando di colpire la figlia di Ishatr, senza riuscirci. Quando Kya giunse di fronte a lei, aveva gli occhi rosso sangue. Bramava sangue. Alzò la spada e colpì l'arco, che si ruppe in due.
-Ritirata!- ordinò Zoey. Gli incappucciati, si dissolsero in nuvole di fumo grigio e scomparvero dalla vista della semidea.
-Ci rincontreremo Kya, lo prometto- urlò Zoey mentre scompariva nella nuvola di fumo. Lanciò lontano la spada, Kya, e corse dai suoi amici. La sorella di Zoey era svenuta, ma Logan si stava prendendo cura di lei. Anne e Jacob erano seduti, abbracciati, mentre James era ancora a terra che si muoveva a malapena. Corse da lui, Kya. Si accovacciò accanto a lui e gli accarezzò il volto, coperto da un filo di barba.
-Hey- disse la figlia di Ishtar- Come stai?
-Sono stato meglio- mormorò lui. Gli diede una mano a mettersi a sedere, poi s'appoggiò al petto del ragazzo, come faceva ormai sempre. Lui le accarezzava i capelli. Doveva farsi una doccia. Anzi no, prima dovevano tornare al campo. Passarono lì la loro ultima notte. Prima di partire fecero saltare in aria il luogo, un piccolo catello abbandonato. Bruciava tra le fiamme, il castello, lentamente. Johanna, la sorella di Zoey, diede loro una pergamena il giorno dopo. Disse che l'aveva salvata dagli antichi testi del Campo Mesopotamia prima che sua sorella la rapisse. L'aveva portato con lei, sempre ed era per questo che erano dovuti andare lì. Quando si chiesero come tornare a casa, Jo disse:-Vi ci porto io.
Fischiò e un carro trainato da drghi serpentini. Johanna fece segno di montare sul carro, mentre lei spiegava enormi ali bianche, diventando quasi un angelo. Volava accanto a loro, come se l'avesse fatto altre mille volte. Era libera ora e nessuno le avrebbe tolto la libertà che ora aveva guadagnato. Sarebbero dovuti partire prima o poi, ma Johanna ora vedeva soltanto giorni di libertà da quella che era stata la sua prigione per anni.

Atterrarono al Campo Mesopotamia e tutti li assalirono, armati, pronti per la guerra. Jacob scese per primo dal carro, che avevano scoperto essere il carro del dio Marduk, il padre di Jo. Jacob spiegò cos'era successo, con calma senza fretta. Presto, tutti buttarono a terra le armi e chi non le buttò si dissolse in una nuvola nera. Quella sera, sulla ziggurat del campo, Kya pensava .Adorava pensare che se c'era una cosa certa era la morte. Alla fine tu morivi. Morivi e basta. Il tuo nome si sarebbe dimenticato, i posteri avrebbero solo avuto foto sbiadite di te e magari la tua vecchia coperta di pail violetto, quella che usavi da bambino. Lei però sentiva l'innato senso di voler vivere. Vivere davvero. Non le importava tanto del nome ricordato, delle foto sbiadite e delle coperte violetto che i suoi figli o i figli dei suoi figli si sarebbero tramandato. Voleva solo vivere. La vita è un viaggio, anche se sai già ciò che ti aspetta. Quella sera, mentre il sole calava dietro alla ziggurat, Kya pensava a ciò. Pensava anche ai suoi amici, quelli che erano rimasti e a Zoey, che nonostante fosse una traditrice, era comunque sua amica. Come avrebbe fatto ad affrontarla? La sua migliore amica... Aveva paura che non sarebbe riuscita a fermare i suoi piani di conquista, a fermare il demone che c'era in lei, l'oscurità che l'aveva trasformata. Il tradimento della sua amica era stato fatale. L'aveva uccisa dentro. Ma Zoey aveva i suoi motivi. Zoey era sempre stata ambiziosa. Continuava ad avere comunque fiducia in lei. Il sole era calato, lasciando posto alle stelle e alla luna. Il tempo le mancava. Le mancavano i minuti e le ore necessarie per progettare, costruire e difendere, quella che ora era sua casa. Il tempo era un dono, ma anche una maledizione. Inspirò l'aria che odorava di grano. Nonostante fosse inveno, c'era sempre odore di grano.
-Ecco la mia eroina- sussurrò James comparendo da dietro. I Maestri, tranne Jacob, erano andati via. Si erano schierati con lui. James era divento un Maestro, forse il più giovane da anni. Si tolse la giacca e la posò sulle spalle della ragazza, poi l'abbracciò. Aveva sistemato tutto con Kristen, James. Ora anche lei e Kya erano buone amiche. Si parlavano e si aiutavano. Non era cambiata nel carattere, Kristen, ma era diventata un'amica sul quale Kya poteva contare. La figlia di Ishtar sentiva il cuore di James battere come un tamburo. Era amore quello che condividevano. Un amore reciproco. Destinati o no, loro sarebbero stati insieme. Scelte sbagliate o giuste sarebbero stati insieme. Anne salì gli ultimi gradini e li raggiunse. Li guardò un momento e poi s'unì all'abbraccio. La fiducia che aveva riposto in quelle persone non aveva paragone. Il coraggio che aveva trovato grazie a loro era una risorsa che non poteva permettersi di abbandonare. I sogni, le speranze, la libertà che Kya tanto aveva voluto erano lì, con lei. La speranza era ciò che non voleva abbandonare; la speranza che, un giorno, Zoey sarebbe stata di nuovo con loro; la libertà che un giorno avrebbe restituito al popolo della Mesopotamia. Mentre la notte calava definitivamente, Kya pensava che si, tutto sommato la voglia di vivere ce l'aveva. Adesso doveva solo trovare Percy, poi tutto il resto della famiglia.

Angolo Autrice
Heylà popolo. Devo dire che sto doventando bravissima. Oggi è partita l'ispirazione e non mi sono più fermata e tatan! Ho partorito questo capitolo. Mi sento realizzata. Allora... è finito il racconto di Kya individuale, ma questa ragazza e i suoi amici torneranno presto, ve lo prometto. So che mi state odiando male perché sono una persona orribile, ma è così. Ditemi che cosa ne pensate okay? Presto arriverà anche l'altro capitolo degli eroi e magari ci sarà anche una sorpresa per voi... chissà...
Baci😙😙💙💙

 

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Capitolo 36
*** CASA JACKSON ***


CASA JACKSON

Valentina si trovava bene al Campo Mezzosangue, ma sentiva la necessità di andar fuori e affrontare la sua prima impresa. Ciò si era semiavverato quando Giuly, la figlia di Ebe, generale delle armate del Caos, aveva preso il comando del campo e aveva iniziato a perseguitare i semidei che non volevano unirsi a lei e che erano amici di Percy Jackson. Avevano resistito per un po' di giorni, poi, però, era diventata insopportabile la situazione. Le forze del Caos avevano iniziato ad ucciderli i semidei che catturavano, riducendoli così in un pugno di semidei. Erano arrivati anche aiuti dalla California e Clarisse era partita poi, con Rachel e Chris, per Hogwarts, della quale Chirone aveva parlato ai semidei fidati. Erano arrivate anche le Cacciatrici di Artemide, poi una parte delle Amazzoni, ma Giuly aveva le sue armi. Aveva mandato in rovina prima il Campo Giove, poi, dopo aver concentrato tutto il potere a New York, aveva eliminato il Campo Mezzosangue. I semidei si erano nascosti nelle campagne e nelle città. Alcuni di loro erano tornati dai genitori mortali, altri si erano organizzati in gruppi. Valentina era riuscita ad aggregarsi al gruppo di Travis e Connor Stoll, due figli di Hermes che sembravano gemelli. C'era poi Rick, Miranda e Katie Gardiner, Alec (un semidio, figlio di Cupido), Lou Ellen, Clovis e qualcun'altro. Si erano nascosti dalla mamma di Percy, Sally Jackson, una donna dai capelli castani e occhi a azzurri, e dal patrigno del figlio di Poseidone, Paul, insegnate della Good High School. Sally aveva dato loro un letto, un pasto e delle coperte, oltre all'opportunità di dormire sotto un tetto, con il riscaldamento. Lou Ellen aveva eretto una barriera potente contro i mostri, ma questo comportava non uscire mai dall'appartamento. Sally era una donna fantastica. Vedeca attraverso la Foschia, il velo che separa il mondo immortale dal mondo mortale. Ogni giorno tornava dal negozio di dolci dove lavorava con un sacchetto di caramelle e le regalava ai semidei. Travis e Connor Stoll passavano le loro giornate a ideare piani su piani con Micheal Yew e Lee Fletcher grazie ad una radio che i figlio di Efesto avevano costruito prima di lasciare il Campo Mezzosangue. Travis e Connor, in quelle settimane, vennero a sapere, in un modo che Vale non capì, che esistevano anche discendenti di Faraoni e, correndo un rischio mortale, andarono ad aiutarli, a Brooklyn. I superstiti li avevano seguiti a casa Jackson, così Sally si era ritrovata con un sacco di ragazzi ad aiutarla. Era contentissima. Sapeva che erano tempi duri. Ogni notte, la donna, rivolgeva delle preghiere a Poseidone, chiedendogli di aiutare loro figlio. Valentina si era messa d'accordo con delle ragazze e, insieme, aiutavano Sally con le faccende domestiche. Quando un ragazzo della Brooklyn House ricevette un messaggio da Sadie Kane, a Vale sembrò di vivere un sogno. I ragazzi erano via da quasi due mesi e si loro, a parte le informazioni che avevano portato i ragazzi arrivati durante le vacanze di Natale, non si sapeva nulla. Grover Undewood, un giorno, passò a casa di Sally Jackson. Grover, come tutti i satiri e le ninfe, si era nascosto lontano dal campo. Anche alle creature della natura, la figlia di Ebe aveva iniziato a dare la caccia ed a ucciderli senza pietà.
-Ciao Sally- disse Grover- Come stai?
-Grover!- gridò Vale non appena vide il satiro entrare in casa. Gli corse in contro e lo abbracció. Il satiro era stato una delle poche persone che le era stato vicino quando era finita in quel collegio dove il padre l'aveva mandata. Ancora non capiva come Grover si trovasse lì, visto che doveva essere in Texas ed era arrivato a Chicago. Era stato trovato dai servizi sociali che lo avevano scambiato per un ragazzino, perciò l'avevano portato lì, nello stesso collegio di Valentina e Rick. Avevano stretto subito amicizia con il satiro che, ad ogni pasto, raccontava della sua vita, che aveva costretto i due amici a fidarsi.
-Hey Vale!- esclamò lui- Come va?
-Bene, Grover- disse la semidea-Hai delle notizie da...
-Si,porto notizie e non sembrano positive.

Sally fece accomodare Grover sul divano nel piccolo salotto. I semidei e i maghi si riunirono con la mamma di Percy e il satiro lì, che operava di biscotti e liquirizia. Il salotto era diventato un accampamento fatto di sacchi a pelo e cuscini un po' ovunque. Sally aveva proposto loro diverse volte di dormire nella stanza del figlio, ma loro non volevano invadere la privacy del figlio di Poseidone. Anche Travis e Connornon avevano osato entrare nella stanza del figlio di Poseidone, forse perché lo rispettavano molto di più di quanto Vale credesse. La figlia di Chione era entrata solo una volta nella stanza e solo per un attimo. Aveva le pareti azzurre, con una grande bacheca di sughero vicino alla finestra. Sulla bacheca, appese con delle puntine, vi erano migliaia di foto. La maggiorparte erano di Annabeth o lui e la figlia di Atena, poi c'erano quelle con i Sette della Profezia con Nico, Will e Reyna dopo la vittoria su Gea. Tra le foto, spiccava una fatta di recente, con un signore dai capelli scuri e occhi verde mare che Vale avrebbe riconosciuto. Poseidone abbracciava il figlio, felice come non mai. Vi erano tanti libri di biologia sulla scrivania sotto la bacheca di sughero, la maggior parte scritti in greco antico. Vale sapeva che il semidio studiava per entrare all'università di Nuova Roma,ma non credeva che lo stesse facendo per davvero. Opposto alla finestra c'era un armadio bianco latte enorme e un letto singolo dalle coperte azzurre. Quando era uscita dalla stanza, Vale non si sentiva in colpa, anzi, si sentiva meglio, forse perché aveva scoperto di piú su Percy. Ormai era diventato il suo idolo. Voleva essere come lui: un ragazzo che metteva gli amici e la famiglia,prima di qualunque cosa.
-Percy mi ha contattato poco fa dicendomi che la ragazza fu e doveva arrivare, quella nuova, ha subito un trauma e non può muoversi dalla nave. Gli altri arriveranno a breve, sul tetto dell'edificio. Sally, potrebbero stare da te?
-Oh, Grover... Io non so come fare... Insomma, questo appartamento non è così grande e loro sono già in molti, poi ci sono le bollette da pagare e il cibo... Non credo di poter fare molto altro.
-E se lavorassimo?- propose Travis- Un lavoro onesto,ovviamente.
-Tipo?- domandò Rick.
-Ad esempio camerieri o giardinieri.
-Sì, perché qua a New York ci sono molti giardini- borbottó Katie incrociando le braccia e sbuffando come un palloncino. Travis le mise un braccio intorno alle spalle e le diede un bacio sulla guancia. La ragazza, però, non accennó ad un sorriso.
-Potremmo lavorare in un supermercato o in un museo- propose uno dei ragazzi della Brooklyn House- Potremmo utilizzare le nostre conoscenze in mitologia a nostro vantaggio.
-Si potrebbe fare- disse Malcom- Abbiamo bisogno di lavorare. Domani porterò i curriculum in giro per New York. Abbiamo solo bisogno della tua approvazione Sally.
-Dovrei parlarne con Paul, ma d'accordo,potete rimanere.
Scoppiarono urla di gioia. Sally era una donna fantastica.
-D'accordo ragazzi, calmatevi!- esclamò la donna cercando di calmare i ragazzi senza risultati. Vale abbracció di slancio la mamma di Percy. Sua madre, Chione, era una dea, una dea malvagia e fredda, letteralmente. Da quando l'aveva lasciata sulla porta di casa del padre, Vale aveva sempre vissuto con lui, sino al Collegio. Mai, in tutta la sua breve vita, aveva visto la madre. Sally stava diventando ciò che Chione non sarebbe mai stata: una madre. Percy era stato fortunato su questo. Dopo tutte le sfortune che gli erano capitate e che gli stavano capitando, la madre era l'unica cosa di cui aveva bisogno per tornare alla normalità. Il figlio di Poseidone ne aveva passate di cotte e di crude, sfruttato dalle divinità a sua insaputa e combattuto contro pazzi scatenati che volevano conquistare il mondo. Era stato nel Tartaro, in Grecia e lontano da casa per nove mesi senza neanche sapere come si chiamasse sua madre.
-Grazie mille Sally- sussurró Vale alla donna. Sally l'abbracció a sua volta.

Erano sul tetto del palazzo, con il vento che soffiava e faceva rabbrividire. Le ossa erano come ghiaccio e i muscoli non si muovevano se non costretti. Espiravi e usciva la nuvola di fumo, che sembrava che avessi la sigaretta in mano. Era probabilmente l'inverno più freddo che New York avesse mai visto. Vale si strinse nel cappotto caldo e soffocó la faccia nella sciarpa di lana. Aveva anche iniziato a nevicare. Fiocchi di neve giganti scendevano dal cielo, coprendo i tetti dei palazzi.
-Apriremo il portale da due lati, in modo da dargli più stabilità- disse Cassie, una giovane maga che stava apprendendo il percorso di Bast, la dea gatto. Si erano procurati un piccolo obelisco di pietra con dei geroglifici incisi sopra. Cassie iniziò a recitare una formula in lingua antica e il portale si aprì. Vale sentì l'impulso di correre verso il portale e saltarci dentro. Non era per i colori di cui risplendeva il portale, no. Quando aveva origliato a Natale la conversazione di Chirone con i semidei, era giunta alla conclusione che anche lei avrebbe dovuto partecipare all'impresa. Quando poi Giuly era venuta a sapere che lei saoeva dove si trovavano gli Eroi dell'Olimpo, aveva cercato di catturarla e ci era riuscita. L'aveva torturata con ogni mezzo possibile. Aveva anche usato il fuoco per minacciarla, ma Vale non aveva parlato. Le cicatrici le facevano ancora male, nonostante fossero passati diversi mesi. La prima ad arrivare fu una ragazza dai capelli neri e occhi azzurri. Era bella, caspita se lo era. Probabilmente era figlia di Afrodite, la dea dell'amore. Fu segiuta da un ragazzo con la pelle scura e capelli e occhi castani. Aveva braccia muscolose come se avesse pssato la sua vita a sollevare pesi. Arrivarono altri dieci ragazzi con le loro valige da viaggio. Vale voleva passare attraverso il portale. Voleva partecipare all'impresa suicida alla quale erano sottoposti anche gli altri. Sentiva che ne aveva bisogno. Corse verso il portale. Veloce come un ghepardo. Il cuore batteva fortissimo. Spinse via i nuovi portali e ci saltò dentro. Voricò per un po', poi cadde col sedere per terra, o meglio sul legno. Si sentiva osservata. Comparvero altre quattro persone, che caddero su di lei.
-Ahia!- esclamò Vale con rabbia. Cercò di scostarsi i ragazzi che erano caduti sopra di lei. Li aveva riconosciuti: Rick, Alec, Miranda e Lou.
-Toglietevi ragazzi!- esclamò- Mi state schiacciando!
La schiena le faceva male, molto male.
-Ma che Tartaro...?- iniziò Percy mentre rimaneva il cappuccio alla sua spada. Non fece in tempo a finire la frase che si sentì qualcuno urlare:- Attenzione!
La schiena della figlia di Chione supplicava pietà e iniziò a piangerequando altri ragazzi le atterrarono sopra. Si lamentò e imprecò in russo contro quei dannati dei suoi amici. Sì, perchè lei era russa. Suo padre era russo di nascita e, dopo pochi anni, si erano trasferiti in America. Era cresciuta con la lingua russa e non aveva smesso di parlarla quando si erano trasferiti. Era un modo per non farsi capire quando voleva. Oltre ai tre che erano arrivati con lei, c'erano Butch, il figlio di Iride, Clovis, il figlio di Ipno, e Poulloce, il figlio di Dioniso.
-Ma che vi è saltato in mente?!- gridò Annabeth mentre altri li aiutavano ad alzarsi- Se abbiamo mandato indietro gli altri è perchè non volevamo che correste dei rischi!
-Ma Annabeth, noi dobbiamo partecipare- le disse Butch- Voi avete bisogno di noi, solo che non lo sapete.
-Annabeth- intervenne Reyna- Forse hanno ragione. Dobbiamo accettare il fatto che siano qua e aspettare. Magari...
Annabeth fece una smorfia e Vale ebbe paura di averla fatta arrabbiare e anche parecchio. La figlia di Atena sapeva essere una persona poco simpatica quando si arrabbiava.
-D'accordo- ringhiò la ragazza per poi scendere le scale e andare sottocoperta. Okay, l'avevano fatta arrabbiare. Percy sospirò e disse:-Vado io...
Scese sotto coperta anche lui e VAle ebbe paura di aver fatto arrabbiare pure lui. Sorrise comunque a Reyna per averli difesi dalla furia di Annabeth. La figlia di Bellona sorrise a sua volta.
-Bene ragazzi!- esclamò Leo Valdez- Benvenuti a bordo della Heroes!

Angolo Autrice
Zao carissimi.... Vi avevo detto di tener a mente della gente? Se è sì, sono una bravissima persona. In caso contrario, sono una persona orribile... Comunque, vi piace? Lo so che ci sono molte persone sulla nave, ma ho bisogno che siano lì. Ditemi cosa ne pensate.
P.s: sto guardando Avatar: la leggenda di Aang. Solo io shippo la Zutara?
Kiss
 

 

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Capitolo 37
*** TRAFALGAR SQUARE ***


TRAFALGAR SQUARE

Poteva andare peggio. Annabeth o sapeva che poteva andare peggio. Erano arrivati a Londra quella mattina. Mentre la sorvolavano, Carter e Sadie avevano i volti cadaverici. La figlia di Atena non sapeva che cosa prendesse ai due ragazzi. Non sapeva che c'erano state lotte famigliari nella città.Londra era meravigliosa. Il Bigban si affacciava sul Tamigi e la London Eye effettivamente assomigliava ad un occhio che guardava il London Bridge. Era uno spettacolo. Annabeth si affacciò al parapetto e osservò la città dall'alto. Le strade tagliavano gli edifici e le macchine sfrecciavano sul catrame solido a velocità impressionante. Londra era vecchia, ma conservava un fascino che solo quelle città antiche avevano. Annabeth aveva visto Roma e Atene e le erano rimaste nel cuore non solo per ciò che vi aveva passato, ma anche perché erano stupende. Sentì una mano sulla schiena e labbra calde tra i capelli biondi, lasciati al vento. Appoggiò la testa sulla sua spalla, continuando a guardare la città sotto di loro.
-Un giorno- disse- Torneremo e ti prometto che ti porterò ovunque tu voglia andare.
Annabeth annuì. Sapeva che Percy lo faceva solo per lei, perché per lui, lei, era speciale. Gliel'aveva detto tante volte e la figlia di Atena ci credeva. Percy non avrebbe promesso nulla con quella serietà a qualcun'altro, se non a lei.
-Non sappiamo neanche se sopravviveremo, Percy- gli disse- Torniamo prima a casa.
-Torneremo a casa, vivi o morti, ma sempre insieme.
-Insieme.
Percy appoggiò le labbra sulle sue e Annabeth fu felice che l'avesse fatto o sarebbe scoppiata a piangere. Sapeva che, una volta tornati a casa (se fossero mai tornati), li aspettava la guerra. Ormai, Annabetha ve va combattuto tantissime battaglie, che non voleva più saperne. Una volta avrebbe fatto di tutto pur di partecipare ad un'impresa, ora voleva solo tornare a casa e vivere una vita normale, possibilmente.
-Capitano Annabeth- la chiamò Leo interrompendo quel momento magico- Devi dirmi dove vuoi che mi fermi, Annie.
-Poco distante da Trafalgar Square, Leo- gli gridò la figlia di Atena- Andiamo nella piazza più famosa dell'intero Regno Unito. I figli di Poseidone la dedicarono al padre quando gli Inglesi vinsero contro Napoleone Bonaparte. Molti soldati erano figli di Poseidone, altri, in particolar modo i generali e i capi dell'esercito erano figli di Atena.
-Non mi dire- commentò Percy-Perché stiamo andando lì?
-Perché c'è una cosa che ci appartiene di cui abbiamo bisogno- rispose Leo. Annabeth lo ringraziò con lo sguardo, poi si rivolse a Percy:-Vai a chiamare tutti.
Percy annuì e scese sottocoperta. Annabeth e Leo si guardarono. Il silenzio era una cosa imbarazzante e per fortuna non toccò alla figlia di Atena spezzarlo.
-Dovresti dirglielo- le disse il figlio di Efesto mentre smanettava con i comandi- È giusto così.
-Ho paura Leo- gli confessò la figlia di Atena abbassando gli occhi- Ho paura per lui, per voi e per me.
-Annabeth, non puoi lasciare che che paura ti cambi. Lui, insieme a te, può superare anche le torture più terribili, lo sai come sai che lo ami e che io ho ragione.
Annabeth annuì e lo abbracció.
-Grazie mille Leo.
Lei sorrise e pensò che un'amica come la figlia di Atena non la poteva trovare.

-Andiamo?- domandò Percy prendendola la mano. Annabeth annuì. Scesero dalla scaletta che Leo aveva calato giù dalla nave e giunsero a terra. Non c'era nessuno con loro. Avevano deciso che era meglio così. Alcuni sarebbero andati al British Museum a controllare che non mancasse nulla nella collezione egizia, mentre il resto sarebbe rimasto sulla nave. Erano poco lontani da Trafalgar Square, perciò non presero la metro. Camminarono per le strade di Londra con sicurezza, come se avessero sempre vissuto lì. Erano mano nella mano, con un sorriso sulle labbra, ma che era una maschera. Annabeth faceva notare al figlio di Poseidone ogni elemento architettonico, descrivendogli ogni caratteristica nelle varie epoche storiche. A Percy piaceva ascoltarla.
-Annabeth, per quanto rigurda l'università...- cominciò Percy- Nuova Roma... so che il campo è casa nostra, ma forse al Campo Giove...
-Lo so Percy- lo interruppe lei- Al Campo Giove potremmo studiare, avere una famiglia, avere un via tranquilla.... Il Campo Mezzosangue però.. è la cosa migliore che abbiamo. Sono lì da quando ho sette anni. Undici anni che vivo lì.
-Sapientona- la chiamò Percy costringuendola a guardarlo negli occhi- Ovunque tu voglia andare, io ti seguirò, anche se fosse in capo al mondo. Riguardo alla famiglia, scegli tu okay? Rispetterò le tue scelte e i tuoi tempi.
-Ti amo Testa d'Alghe.
S'alzò sulle punte, la ragazza, e lo baciò. Ogni molecola del corpo di Percy voleva essere con lei, da soli, al Campo Mezzosangue, ma la realtà è una brutta bestia.
-Andiamo ora. Abbiamo una cosa da recuperare- esclamò Annabeth sorridendo. Percy sapeva che stava sorridendo per lui. Era un sorriso falso. Dovevano essere lacrime, quel sorriso, Percy lo sapeva. Aveva imparato a leggere la sua ragazza, solo guardandola negli occhi.
-Fammi strada, Sapientona.
Quando giunsero davanti a Trafalgar Square, la piazza era piena. C'erano turisti, londinesi, con le loro valigette e telefoni appoggiati tra la spalla e l'orecchio, che attraversavano la piazza in velocità. Bambini che correvano intorno alle fontane e genitori che si divertivano a guardare la piazza nella sua intera bellezza, facevano sembrare tutto una fotografia. Le due fontane, a lato, e la colonna al centro, facevano sembrare tutto molto antico e moderno al contempo.
-Maledizione!- esclamò Annabeth. si guardò attorno, come alla ricerca di una soluzione momentanea. Lo sguardo della ragazza vagò per tutta la piazza, poi esclamò:-Dentro al museo!
-Annabeth- la chiamò il figlio di Poseidone- Mi sa che abbiamo un problema.
Annabeth si voltò. Erano in molti, forse più di quanti, loro due soli, potevano affrontare e poi c'era lei: Kelly, un demone che Percy sperava di non rivedere mai più. Era seguita da altre Empuse e le arai, le maledizioni. Annabeth impallidì, poi disse:-Fai esplodere le fontane, Percy. Dobbiamo far evacquare la piazza.
-Ne sei sicura Annabeth?- domandò il figlio di Poseidone, preoccupato. Nonostante avessero affrontato, nel Tartaro, centinaia di mostri. Percy sapeva che a tutto v'era un limite.
-Fallo- gli ordinò la ragazza annuendo. Percy si concentrò sull'acqua nelle fontane. Una morsa allo stomaco arrivò subito e le fontane esplosero. La gente urlò e si disperse per la piazza. Molti presero a correre verso il museo poco lontano. Percy prese la sua penna dalla tasca e la stappò. Metà della sua energia era impegnata a formare nuvole cariche d'acqua che sarebbero servite per far scomparire i mortali dalla piazza definitivamente. Sentiva il cuore pulsare, come se sapesse che ormai era giunta la fine. No, lui era Percy Jackson, figlio di Poseidone, eroe dell'Olimpo, non poteva morire. Non voleva morire.
-Insieme?- domandò Percy. Annabeth lo fissò con i suoi occhi grigio tempesta e rispose:-Insieme.
Un temporale in piena regola iniziò. L'acqua scendeva velocemente, mentre la gente correva a mettersi al riparo. Annabeth aveva attaccato, intanto. La sua velocità e precisione stupivano sempre Percy ogni volta che la vedeva combattere. La seguì a combattere senza troppi complimenti. Percy incrociò diverse volte gli arigli affilati di Kelly, ma ogni volta le dava un calcio e quella cadeva a terra come una pera cotta. Le Empuse si erano tutte concentrate su Annabeth mentre le arai si tenevano in disparte, forse aspettando il momento buono per attaccare.
-Tu morire mai, eh?- gli chiese Kelly mentre cercava di graffiarlo con gli artigli. Stava incominciando ad essere stanco. Il fiato iniziava ed essere corto e i muscoli doloranti.
-Mi vogliono bene.
Con un colpo di spada, Percy bloccò gli artigli dell'empusa, poi, molto velocemente, gliela conficcò nello stomaco.
-Sono il figlio del mare, Kelly. Ho la forza dell'oceano dentro di me.
Kelly diventò polvere d'oro che si disperse nel vento. Le arai attaccarono. Percy sperava che rimanessero nel Tartaro per sempre, una volta distrutte.
-Annabeth!- urlò il figlio di Poseidone vedendo la ragazza accasciarsi per terra circondata dalle arai. Percy corse verso di lei con la spada alzata. Menò fendenti contro la prima manciata di arai e una fitta allo stomaco lo colpì. Si portò una mano allo stomaco e si ricoprì di sangue, rosso.  Quella volta non ci sarebbe stato Bob a salvarsi. A quel pensiero, Percy si fece coraggio, strinse l'elsa della spada e menò fendenti uno dietro l'altro eliminando le arai, che morendo lanciavano le maledizioni contro il figlio del dio del mare. Molte volte, Percy ebbe la tentazione di arrendersi in quel momento, ma il ricordo di Bob, al quale aveva segretamente promesso di vivere anche per lui, e Annabeth, che era ancora a terra, evidentemente spaventata, lo fecero andare avanti. Quando ne colì un'altra, si sentì svenire, il cuore non batteva, il sangue non arrivava.
-Via figli della notte!- urlò la voce du una ragazza- Ve lo ordina la figlia di vostra madre.
-Kate...- mormorò un'altra voce femminile- La luce...
-No, aspetta il mio ordine Zeyla.
Percy sentì le arai mormorare parole in greco antico e mano a mano scomparire. Sentiva i wish delle ali quando si dissolsero nel vento.

-Percy!-urlò qualcuno tirandogli una sberla. Percy spalancó gli occhi e mise a fuoco, vedendo un volto femminile. Aveva occhi neri e capelli neri ma con le punte carbonio, la pelle del colore del cioccolato e le cicatrici sul collo.
-Finalmente! Grazie agli Dei!- esclamò Amanda con occhi che brillavano. Percy si tirò su a sedere e si meraviglió dell'assenza del mal di testa. Aveva ancora i vestiti insanguinati e il fiato corto, ma per il resto stava bene.
-Annabeth?- domandò il figlio di Poseidone con voce strozzata. Amanda gli indicò due ragazze con Annabeth, ancora sotto shok. Una ragazza dai capelli neri, tratti indiani e occhi blu e un'altra ragazza, bionda dagli ochi ambrati, si stavano occupando della figlia di Atena con molta premura, come se fosse la più piccola tra le tre.
-Annabeth- mormorò Percy alzandosi e correndo verso la semidea. Amanda, intanto urlava:-No Percy, non lo fare!
Percy non l'ascoltò. Voleva abbracciare la figlia di Atena e sentirsi dire che andava tutto bene. Annabeth s'alzò e, appena Percy le fu abbastanza vicino, gli diede un sonoro schiaffo in volto. Le due ragazze che poco prima si erano occupate della ragazza, mormorarono un debole "uuh".
-Perchè lo hai fatto?- urlò Annabeth- Perchè non me l'hai detto prima?! Che cosa ti costava?
-Annabeth, di che cosa stai parlando?- domandò Percy con calma. Evidentemente le arai le avevano fatto vedere delle cose che non esistevano. Forse, Annabeth era solo confusa. LA figlia di Atena sbuffò come un palloncino:-Fai anche colui che non sa di che cosa si stia parlando? Sei un'idiota Jackson.
-Annabeth, di che cosa stai parlando per l'amor degli Dei?!
-Del fatto che tu stia uscendo con un'altra, Percy! Ci sei andato anche a letto, immagino.
-Annabeth, come puoi solo pensare queste cose? Non ti tradirei mai, Sapientona. Sei tutto per me: il Sole, la Luna, le Stelle e il mare. Rinuncerei a tutto pur di stare con te, anche al mare, una delle poche cose che mi rendono felici. Annabeth Chase, non pensare mai più cose del genere, qualunque cosa ti dicano gli altri, mai più.
-'Fanculo- mormorò. Percy, allora, le afferrò il volto con rabbia e la baciò con passione e forza. Fece scivolare le mani lungo la vita della figlia di Atena, mentre lei le accarezzava i capelli fecendogli passare le dita sottili in mezzo. Nonostante la rabbia, Annabeth aveva bisogno di Percy. Era un po' come una droga, ma una droga buona. Aveva bisogno di quei capelli corvini che le facevano solletico al collo quando dormivano, di quel calore e quell'odore di salsedine che emanava lui e di quei occhi, poi, dove ti veniva la voglia di affogarci dentro.
-Scusate, ma avremmo un'impresa da portare a termine- disse Amanda picchiettando sulla spalla di Annabeth. La figlia di Atena sorrise e rispose:-Amanda ha ragione.
-Sono le undici e due minuti- commentò la ragazza dai capelli neri guardando l'orologio al polso. Annabeth annuì. Guardò le due fontane, poi ordinò:-Kate, Zeyla, andate a est e a ovest. Percy, comanda all'acqua di formare un arco.
-Sei sicura, Annabeth?- chiese Percy- A che cosa servirebbe, inoltre?
-Le figlie degli opposti collaborare dovranno, se la tua ricerca iniziare vorrai- recitò Annabeth.
-Questa è una profezia?
-Può essere, ma ora muoviamoci.
-Appena torniamo sulla nave voglio delle spiegazioni.
-Si, Testa d'Alghe. Muoviamoci, mancano pochi secondi.
Nel cielo, ora pulito dalle nuvole temporalesche di prima, splendeva il Sole. La ragazza coi capelli neri iniziò a mormorare parole in greco antico. Percy vide la Luna comparire in cielo e questo dividersi come in due: una parte il giorno e dall'altra la notte. Anche la ragazza bionda prese a cantare in greco antico e il Sole e la Luna s'avvicinarono, quasi a sovrapporsi.
-Percy...- disse Annabeth- Ora.
Percy annuì e pensò ad un arco d'acqua che andava da fontana a fontana. Quando l'acqua venne colpita dai raggi oro del Sole e da quelli argento della Luna, iniziò a brillare, poi a solidificarsi. Un pezzo d'acqua si staccò e brilló. Annabeth cantò anche lei in greco antico, ma più antico, che Percy non riusciva a comprendere. L'acqua cadde a terra con un tin-tin. Una pallina rotonda rotoló fino ai piedi di Percy. Si chinó e la raccolse con le mani tremanti. La rigiró tra le dita cercando di non farla cadere.
-Sono bellissime- mormorò Annabeth da dietro Percy- I libri non ne rendono la bellezza effettiva.
Ne rotolarono altre tre ai piedi del figlio di Poseidone. Erano tutte simili: piccole sferette colorate diversamente. Annabeth si chinò a raccogliere quella grigia come i suoi occhi.
-Fu l'unica cosa su cui i nostri genitori furono d'accordo- spiegò Annabeth- Londra era una città che piaceva ad entrambi, stavano bene qui. Tuo padre aveva il fiume e i cittadini di Londra lo sfruttavano spesso. Mia madre aveva l'architettura, la strategia militare, la conoscenza. Poseidone e Atena furono i patroni della città, collaborando per la prima volta dopo secoli di storia.
-Continuo a non capire, Sapientona.
-Tranquillo Testa d'Alghe. te lo dico appena torniamo sulla Heroes.
-La profezia si sta avverando, vero?- domandò la ragazza con i capelli neri. Annabeth e Amanda annuirono, gli occhi tristi rivolti verso il basso. Percy non capiva di che cosa stessero parlando. Sembrava che la sua vita, ora, fosse fatta di enigmi. Forse stava parlando della profezia che c'era sul libro di mitologia di Annabeth, quella ad inizio capitolo, ma non credeva che le ragazze stessero parlando di quella profezia. Era un'altra, ne era sicuro. Avrebbe costretto Ananbeth a rivelargli tutto.
-Verremmo con voi- disse la ragazza bionda- Avrete bisogno di tutto l'aiuto possibile.
-Non ho ancora capito cosa siano questi oggettini e non ho capito neppure chi siete voi due- disse Percy guardandola negli occhi, provando a sfidarlo.
-Sono quattro delle armi più potenti del mondo intero- rispose la ragazza bionda- Quanto a noi... Io sono Zeyla, la figlia di Emera. La ragazza qui è Kate, la figlia di Nyx.


 

Angolo Autrice
BUONA SERA, signori e signore.  Siamo a Londra, ancora. Trafalgar Square fa da sfondo all'inizio della ricerca impossibile. Due ragazze, figlie di entità primordiali. Cosa ci fanno lì? Cosa nasconde Annabeth? Perchè Amanda lo sa? Percy manterrà la promessa? Tutto questo lo scopirete continuando a leggere. Buona serata e possano gli Dei essere sempre con voi.

 

 

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Capitolo 38
*** CONFUSIONE ***


CONFUSIONE

-Volete che io faccia rimanere due figlie di due entità primordiali sulla mia nave?
-Leo, non sono cattive persone- disse Piper- Sono nostre alleate.
-Un nome: Madre Terra.
-Leo...- mormorò Calipso-No.
-Uffa, va bene. Possono rimanere.
L'equipaggio scoppiò in grida di gioia e Leo non poté fare altro che sorridere alla gioia dei suoi amici. Poteva funzionare, ce la potevano fare. Era un obiettivo tornare a casa.
-Quanti semidei ci sono a Londra?- domandò Annabeth seduta sulle gambe di Percy, seduto a terra con la schiena contro l'albero maestro. Si erano seduti in cerchio sul ponte della nave, mentre fuggivano dalla città inglese diretti a Lisbona. Annabeth, Percy, Zeyla, Kate e Amanda erano arrivati con il fiatone, braccati da ogni tipo di mostro. Erano saliti sulla nave e, inserite le coordinate, avevano dato inizio ad un viaggio verso Lisbona. Quando Leo aveva scoperto che le due ragazze erano figlie di entità primordiali (Emera e Nyx), si era preoccupato. Sapeva che le entità primordiali erano decisamente peggio degli Olimpi per il semplice fatto che erano più antiche e covavano rancore da molti secoli. Temeva che quelle quelle due ragazze li portassero alla rovina.
-Parecchi- rispose Zeyla- Principalmente divinità minori. Non troverete figli di Zeus, Ade o Poseidone, ma potresti trovare figli di Nemesi, Ecate, Iride o qualche personificazione. Se sei fortunato anche qualcuno di entità primordiali.
-Si stanno dando da fare gli Dei- fischiò Leo  mentre rideva. Scoppiarono a ridere. Non si sapeva perchè, come non si sapeva neanche il come, ma si erano liberati da qualcosa che faceva male. Ridere era la migliore medicina.
-Comunque- disse Kate mentre cercava di trattenersi dal ridere ancora- Non sono tutti in Inghilterra. Sono un po' in tutto il mondo. Siamo fortunati ed essere figli di divinità che non sono così importanti come gli Olimpi, quindi abbiamo pi possibilità di vita anche senza addestramento.
-Non è giusto!- gridarono Percy e Jason al contempo. Annabeth e Piper li guardarono sorridendo. Quei due ragazzi erano cambiati durante gli ultimi mesi, diventando più fratelli che amici. Tra di loro si capivano con uno sguardo che Annabeth e Piper non riscuivano a decifrare. Erano più complici, più uniti. Erano loro, con Reyna, Frank e Hazel per i romani e Nico, Annabeth, Piper e Leo per i greci, che tenevano uniti i due campi.
-Insomma- riprese Percy- Dovrebbero stare al Campo Mezzosangue o al Campo Giove, al sicuro, nei nostri limiti ovviamente.
-Dovrebbero ricevere un addestramento, per sovravvivere- continuò Jason- È una questione di principio.
Risero, pure Jason che non ne conosceva il motivo di quella risata. Forse era per quello che aveva detto, ma lui lo pensava davvero. L'addestramento che aveva ricevuto , gli aveva diverse volte salvato la vita. C'era qualcosa di cambiato però in lui, da quando aveva iniziato a frequentare a tempo pressochè pieno i greci. La sua razionalità e la sua calma, avevano lasciato spazio all'intraprendenza.
-Siamo seri- disse Frank asciugandosi una lacrima felice- Dovremmo fare qualcosa.
-E cosa? Non abbiamo tempo per cercarli tutti- commentò Nico chiudendo gli occhi, per poi riaprirli subito dopo. Era strano quel ragazzo, ma Frank sapeva che aveva ragione. Eppure ci doveva essere un modo, un modo per riunirli tutti, portarli tutti a New York, dirgli che non erano soli.
-Mandiamogli delle lettere- propose Harry- Come ad Hogwarts.
-Non sappiamo gli indirizzi, però- fece Rachel mentre si pitturava le scarpe con dei pennerelli indelebili colorati.
-Faremo un incantesimo che farà sì che le lettere giungano ai semidei. Faremo un appello. Ogni mago e semidio verrà a New York, ne sono certa.
-Il Caos è alle porte- disse Annabeth seria- Dovremo radunare quanti più alleati possibili... forse Magnus...
-Chi è Magnus?- domandò Piper con le sopracciglia agrottate. Non poteva farle una cosa così Annabeth. Non poteva distruggere così la relazione con Percy. Insomma, erano la Percabeth, loro, la coppia pù shippata del Campo Mezzosangue. Lei di queste cose se ne intendeva, del resto era figli di Afrodite e soprattutto una fan della Percabeth.
-Mio cugino- rispose la figlia di Atena. Piper tirò un sospiro di sollievo. Annabeth si torturò la collana con le perle del Campo Mezzosangue:- È una persona molto importante per me. Potrà darci una mano. Gli invierò una lettera il prima possibile.
-Scusami Annabeth- iniziò Percy- Ma come potrà, tuo cugino, aiutrci?È un mortale... non può.
-Mio cugino non è un mortale, Percy. È un semidio. Suo padre è un dio nordico a quanto pare- rispose la figlia di Atena torturando ancora la collana con le perle del campo.
-Pure i nordici mancavano!- esclamò Ron- Mancano Inca, Maya, Aztechi e Mesopotamici e possiamo giocare a tombola tutti insieme appassionatamente.
-Non è da escludere che esistano anche loro- mormorò Reyna seria, guardando il legno della nave- Potrebbero esistere benissimo, come esistiamo noi.
-Non starai pensando a quello che è successo a Pierre due anni fa vero?- chiese Jason dubbioso. Piper incarnò le sopracciglia e fissò Jason con intensità, forse con rabbia. Tutti gli occhi, eccetto quelli di Reyna, erano sul figlio di Giove. Lo guardavano incuriositi. Reyna gli fece cenno dir accontare così fece. Jason, con le mani tremanti e il sudore che gli colava a lato, raccontò:- Beh, due anni fa siamo andati in missione. Era una missione top-secret, nessuno lo doveva sapere. Dovevamo recuperare la cintura di Venere. Non sappiamo come sia finita a Pierre, ma andammo là. Eravamo in tre: io, Reyna e Dakota. Quando entrammo nell'edificio dove avevamo scoperto trovarsi la cintura, ci attaccarono. L'edificio venne bruciato dalle fiamme, ma non fiamme normali. Erano magiche. Dal fumo, comparvero tre figure con armi dalle lame nere. Non era Ferro dello Stige. Era roccia. Ci siamo scontrati. Dopo aver preso la cintura siamo scappati. Abbiamo solo un indizio: un pezzo di maglietta di uno di loro. Nonostante ciò, non siamo mai riusciti a trovarli.
Calò il silenzio sulla nave. Nessuno fiatava. C'erano delle possibilità che altri popoli esistessero, oltre a loro, ma erano minime. Percy era preoccupato. C'era qualcosa che, attraverso il racconto di Jason, gli era tornato in mente. Ricordava una valle, come quella del Campo Mezzosangue, ma con meno edifici. Ricordava una chioma di bambina rosa e occhi giocosi viola, ma erano solo lampi, di quelli che dimentichi se ci pensi troppo. Ricordava anche lame nere, sì, nere come quelle di cui Jason raccontava. Che cosa significava tutto ciò? Lui apparteneva vermante al Campo Mezzosangue oppure era di un altro luogo, un'altra citta?
-Pensiamo ai semidei, maghi e Nomi, poi agli altri. Non sappiamo con chi abbiamo a che fare nel campo "altri popoli"- disse Carter. Tutti furono d'accordo e il consiglio di guerra si sciolse

Hermione camminava per i corridoi della Heroes. Non avrebbe mai pensato che si sarebbe ritrovata in viaggio verso luoghi sconosciuti fino a raggiungere poi New York. E dopo? Dopo probabilemte avrebbero dovuro affrontare una guerra.
Aveva bisogno di dormire, Hermione, e anche parecchio. Non aveva dormito molto nelle ultime ore. E fu mentre camminava verso la sua stanza che sentì la sua voce. Le fece gelare il sangue quella voce.
-Devi agire Draco!- disse qualcuno- Prima che sia troppo tardi.
-Ma... mio signore... non le sembra troppo presto per distruggerli?- doamndò Draco spaventato. Hermione s'attaccò al muro, vicino alla porta. Era sbagliato origliare, ma ne andava del futuro della nave. Draco aveva un passato alle spalle che ad Hermione non piaceva e che le faceva salire dei dubbi sul ragazzo. Da quando era arrivato si chiedeva se era vermante loro amico o stava facendo il doppio gioco, tradendoli.
-Draco!-urlò la voce- La sengue marcio è qui.
Hermione impallidì. Sfoderò la bacchetta e aspettò che Draco uscisse dalla sua cabina. Quando lo fece, Hermione urlò:-Stupeficium!
Draco andò a sbattere contro la parete di fronte. Nella stanza non c'era nessuno. Probabilmente era stato un messaggio Iride o qualcosa di simile. Hermione era sicura però di aver sentito la voce di Voldemort.
-Traditore!- urlò Hermione- Traditore! Harry ti ha perdonato, ti ha offerto la sua amicizia, ti ha portato con lui su questa nave e tu lo ricambi così? Sei un'opportunista senza cuore. Mi fai schifo!
Hermione stava piangendo e non sapeva neanche il perchè. Si sentiva tradita nel profondo. Stava tornando a galla quel sentimento che aveva sopresso per troppo tempo, ma che era sempre stato lì. Quel sentimento per la quale si sentiva uno schifo assoluto. Non le face schifo quel ragazzo, anzi l'esatto opposto, ma non poteva permetterselo. Doveva tener a bada i suoi sentimenti. Sbuffò e uscì dalla cabina. Era diretta al ponte superiore per parlare con Ron, Ginny o Harry.
-Hermione aspetta!- la chiamò Draco. Non l'aveva mai chiamata Hermione. Era sempre stata Granger o Sanguemarcio, ma mai Hermione, non per lui. Non si fermò, non finché Draco non l'afferrò per il polso obbligandola. La spinse contro la parete della nave, le mise le mani sulle guance e sussurrò:-Per favore Hermione, non dire nulla agli altri. Lui non sa che sto facendo il doppio gioco. 'Sta volta sarà lui a perdere. Non vi tradirei mai, non tradirei mai te, non dopo avermi salvato.
Hermione era senza parole. La bocca era secca e le mani tremavano. Le gambe stavano per cedere. Erano troppo vicini. Il cuore batteva troppo forte. Troppo vicini.
-Non so di che cos tu stia parlando Malfoy- sbottò Hermione. S'abbassò per superare il braccio di Draco, ma quello la prese per le spalle e posò le labbra su quelle della ragazza. Hermione s'abbandonò a quel tocco. Le mani del serpeverde scesero sulla vita delle grifondoro e l'attirarono verso il corpo del ragazzo. Si muovevano all'unisolo ed Hermione era al settimo cielo, ma non sapeva percè. Era per caso quel sentimento che aveva nascosto per tanto tempo. Come ogni cosa, quel momento finì.
-Capito cosa intendevo, Granger?- domandò Draco tenendola ancora per la vita. Hermione abbassò lo sguardo e disse:- Èstato uno sbaglio Draco, non dovevamo. Mi dispiace.
La grifondoro, con le lacrime agli occhi, se ne andò correndo. Avevano sbagliato entrambi: Draco non doveva baciarla e lei non doveva assecondarlo. Lui le aveva fatto male. Le aveva fatto male quando l'aveva chiamata sangue marcio, quando si era messo contro di loro e quando li aveva traditi per Voldemort. L'aveva uccisa dentro quel giorno, il giorno in cui aveva lasciato Hogwarts. Aprì la porta della sua cabina e se la richiuse con la chiave. Si gettò sul letto a baldacchino, come quello della sua stanza a Hogwarts, e pianse. Aveva tradito Ron, lo sapeva. Avrebbe mai avuto il coraggio di dirgli ciò che era successo? No, non ce l'avrebbe mai fatta.

Harry era sul ponte con Percy, che attualmente era impegnato a muovere l'acqua di una caraffa per gioco. Stava facendo una scultura con  l'acqua, ma al momento non aveva ancora assunto una forma precisa. Harry era seduto contro il parapetto e osservava l'acqua giocare in cielo.
-Cos'hai Harry?- domandò Percy mentre riposava l'acqua nella carraffa. Si sedette accanto al grifondoro e si mise a guardare il cielo azzurro aspettando una risposta.
-Torneremo vivi?
-Non lo so Harry. Non so neanche cosa sia questa!- rispose il figlio di Poseidone prendendofuori dalla tasca una sfera  del colore del mare grande quanto una biglia. La mise tra le mani Harry, ma quella scomparve e ricomparve in grampo al semidio.
-Torna sempre a me, come se fossi una calamita- disse il semidio rimettendola in tasca. Harry sorrise e Percy con lui, poi scoppiarono a ridere.
-Cosa avete voi due da ridere?- domandò Rachel passando. Rachel era una ragazza che assomigliava vagamente a Ginny. Avevano gli stessi capelli rossi e occhi che brillavano alla luce del sole e una spruzzata di lentiggini sul volto. Tutte le volte che Harry la vedeva portava un jeans macchiato di tempere, Vans che colorava lei stessa e una maglietta arancione colorata con le tempere del Campo Mezzosangue.
-Niente Rachel- rise Percy. Rachel si avvicinò, scopigliò i capelli del figlio di Poseidone come fa una mamma con suo figlio e gli disse:-Vieni Percy, parliamo un attimo.
Percy si alzò ed esclamò:-Ci vediamo dopo Harry!
Seguì Rachel, il figlio di Poseidone. Harry si sentì solo. Aveva lavorato molto sul concetto di "solitudine", del resto aveva avuto modo da quando Hermione e Ron si erano messi assieme e lui era diventato il terzo in comodo. Per fortuna c'era GInny  con lui, ma anche lei aveva sempre molti impegni: il Quiddich, la scuola e gli esami. Poi erano arrivati i semidei e gli avevano sconvolto la vita. Gli erano entrati sotto la pelle e dentro al cuore. Percy era dventato come un fratello, un fratello che non aveva mai avuto.
-Harry!- lo chiamò Ron dal timone. Accanto a lui c'erano Leo, Percy e Rachel. Harry s'alzò e s'avvicinò a loro.
-Che cosa succede?- domandò il grifondoro. Percy rispose indicando il mare che si estendeva all'infinito:-Abbiamo un problema.
Un pesce gigante saltò fuorì dall'acqua per poi rituffarcisi dentro, come un delfino. L'onda che sollevò, mosse la nave e un'onda ginatesca, per poco, non si abbatté su di essa. Poi si sentì un tonfo e la nave quasi si rovesciò. Harry scivolò di lato e per poco non cadde in mare. Rachel lo afferrò in tempo e, con l'aiuto di Ron, lo tirò su.
-Che cos'è?- domandò ROn. Rachel e Leo scossero la testa. Percy, invece, era serio in una maniera assurda. Guardava l'acqua dell'oceano, piatta come una tavola.
-Tu sai cos'è, vero Percy?- chiese Harry attirando l'attenzione del semidio. Incrociarono gli occhi e Harry vi lesse solo paura e terrore.
-Èuna creatura mitologiaca marina. Nessuna leggenda  sulla terra ne parla, ma gli abitanti del mare hanno sempre avuto molta paura di lui. È un pesce gigante, simile ad una carpa koi, così dicono gli antichi testi del mare, nato dall'unione di Urano e Ponto, il vecchio del mare. Quando Urano venne detronizzato e i suoi resti finirono in mare, Ponto creò il pesce mischiando i genitali al sangue di Urano.
-È disgustoso- commentò Rachel- Come si uccide?
-Non si può- rispose il figlio di Poseidone- Non si può uccidere, ma lo si può addormentare.
-Tutto okay?- chiese Valentina, la figlia di Chione, arrivando sul ponte della nave- Che cosa sta succendendo, per tutti i fiocchi di neve?
Il pesce schizzò fuori dall'acqua, oltrepassando la nave e ricadendo dall'altro lato, colpendo brutalmente l'albero maestro, poi con la pinna, affilata come un rasoio, segnò la fiancata dellla nave. Un'onda ginate s'alzò quando quello ricadde in acqua. Vale alzò una mano e la trasformò in ghiaccio.
-Chiamate i ragazzi!- ordinò Percy- Harry e Vale con me.
Harry prese una delle lance che c'erano sul punte e seguì Percy in acqua. Vale saltò oltre il parapetto, ma non cadde in acqua: creò uno scivolo di ghiaccio e li seguì da lì. L'acqua era gelata. Subito, Harry non vide nulla, poi, quando una bolla trsparente gli circondò il volto, lo sfondo si schiarì. Percy stava picchiettando sulla bolla come se fosse il vetro di un auto mobile e lo stesse chiamando.
-Puoi respirare Harry!- gli disse da fuori- È una bolla di ossigeno.
Hary rilasciò l'aria e Percy sorrise:-Ora andiamo, abbiamo un pesce di grossa stazza da addormentare. Harry prese a nuotare dietro a Percy, che sfruttava le correnti e lo facevano andare più veloce. Il grifondoro lo vide per primo, giungere da destra, verso di loro. Aveva gli occhi vitrei, i baffi lunghi e le squame oro. Le fauci aperte averebbero potuto inghiottirlo in un solboccone. Con n movimento della mano, Percy lo spostò di pochi metri e Harry si mosse verso l'alti. Il figlio di Poseidone, intanto, rimaneva giù. La bolla che aveva intorno alla testa, lo portò su e Harry brovò a bucarla diverse volte, ma non vi riuscì. Percy gli sorrideva, come per rassicurarlo. La bolla lo portò vicino  alla nave. La bolla,a l contatto con laria scoppiò, Harry sollevò la bacchetta e gridò:-Accio scopa.
La sua scopa uscì da un oblò e s'abbassò fino al pelo dell'acqua. Ci montò sopra, Harry. Volò nel cielo azzurrò, alzò di nuovo la bacchetta e gridò:-Periculum.
Sperò che Hermione lo vedesse, nel caso Ron e Leo non li avessero ancora avvsati. Si sporse in avanti e raggiunse Valentina, che stava attaccando il muso del pesce con dei pugnali di ghiaccio. La lancia in mano, prese la mira e la lanciò come Clarisse gli aveva insegnato, prima di tornare a New York. Centrò il naso del pesce, ma quello non scomparve nè sanguinò. Si rituffò in acqua, quando frecce d'oro e d'argento piombarono su di lui. Percy, che aveva seguito il pesce gigante fuori dall'acqua, sbuffò e si rituffò. Jason andò con lui. Vale sbuffò anche lei e tornò sulla nave. Harry la seguì. Scese dalla scopa e chiese:-Ora che facciamo?
-Aspettiamo- disse Leo guardando Annabeth e Piper- Sperando che tornino vivi.
-Non possiamo aiutarli?- domandò Hermione. Annabeth scosse la testa:-Non possiamo scendere là sotto.
-Aspetteremo che il pesce XXXL torni qui e lo addormenteremo- continuò Piper- Will userà l'arpa e buonanotte a tutti.
Harry pregò. Pregò che andasse tutto bene, che JAson e Percy tornassero vivi o mezzi svenuti, ma vivi con tutti gli arti al loro posto magari, ma non morti. Tutto tranne morti

Jason e Percy erano stanchi, ma erano riusciti a far addormentare il pesce gigante ed ora riposava sul fondo dell'oceano in una grotta gigante.Will aveva suona l'arpa, mentre Piper cantava una ninna nanna della sua tribù. Erano a pezzi.
Percy era sdraiato sul letto della sua cabina quando bussarono alla porta. Il figlio di Poseidone  mormorò un avanti mentre continuava a guardare il soffitto di legno. Sulla porta c'era Draco Malfoy. Era spettinato e aveva delle profonde occhiaie sotto gli occhi che erano rossi, come se avesse pianto per ore. A Percy non dispiaceva parlare con il ragazzo, ma di solito era Jason che stava con il serpeverde, mentre lui stava con Harry. All'inizio, gli era sembrato un ragazzino viziato, di quelli che aveva conosciuto alla Yancy Accademy. Dei, quanti anni erano passati. Ne aveva anche lui passate tante da quando andava a quella scuola. Era divento un semidio a tutti gli effetti, con un addestramento, una squadra e il sangue freddo durante situazioni pericolose. Certo, anche ora aveva paura qualche volta, ma la ignorava per la maggiorparte delle volte, ceracando di essere il leader che tutti sulla nave si aspettassero che lui fosse, perchè lì, anche se nessuno lo diceva apertamente, aspettavano sempre un suo comando, un suo ordine. Percy non aveva mai capito il motivo, perchè c'erano Annabeth, Reyna e Jason che avrebbero fatto sicuramente meglio di lui, eppure tutti lo seguivano.
-Percy- disse Draco solutandolo- Posso parlarti un attimo?
Percy annuì e smise di pensare ai suoi problemi. Si mise a sedere e fece spazio sul letto al serpeverde. Draco s'accomodò accanto al semidio e gli chiese:- Hai mai provato a fare qualcosa di buono senza però riuscirci?
Percy annuì e rispose:-Pensa a tutti coloro che non sono riuscito a salvare, Draco. Luke, Silena, Beckendorf, Zoe, Bianca, Ethan... loro sono qui solo perchè c'è qualcosa di grande da affrontare. Ho servito gli Dei ed è per questo che mia madre è ancora viva, ma solo che io faccia di testa mia per una volta e tutto potrebbe andare a rotoli.
-Ma...
-Drac, un eroe è un eroe che riesce a salvare tutti... Io non sono un eroe.
Calò il silenzio nella stanza. Draco pensava a ciò che gli aveva detto Percy. Rifletteva su quello che il semidio aveva fattp da quando era arrivato ad Hogwarts. Aveva salvato la scuola dai Dissenatori, conducendoli in una battaglia che altri non sarebbero riusciti a vincere, aveva fermato Medusa e li aveva addestrati, dicendogli di utillizare sempre al massimmo le loro capacità. Aveva dato loro una possibiltà in più, a lui in particolar modo.
-Secondo te, ci si può far amare da una persona che ti odia? domandò Draco rompendo quel silenzio che si era creato.
-Si, certamente. Annabeth ed io... non eravamo esattamente amici. Io figlio del mare, lei figlia della saggezza. Siamo maturati poi col tempo ed ora non so come farei senza di lei. L'odio è più vicino all'amore di quanto pensiamo.
-Grazie mille Percy- disse Draco. Percy sorrise e poi Draco corse fuori dalla porta. Si, Percy aveva ragione. L'odio è molto vicino all'amore.


Angolo Autrice
*da dietro al divano* ciao carissimi, vi chiedo di non tirarmi coltelli, anche perchè se no non saprete mai come finirà. Allora, abbiamo un pezzo Dramione. Vi chiedo di non incazzarvi male, perchè non ce n'è bisogno, perchè si sistemerà tutto. Ho già dei progetti in mente *faccia malvagiosa*. Comunque, ditemi che cosa ne pensate. BYYYEEEE

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Capitolo 39
*** LISBONA ***


LISBONA

-Si prega a tutti i passeggieri di recarsi sul ponte!
La voce di Leo rimbombò nelle orecchie di Sadie. Sbuffò e, con molta alavoglia, s'alzò dal letto caldo. Indossò i suoi indumenti da maga, afferrò il bastone e salì sul ponte. Clarisse era già lì, con l'armatura e tutto. Probabilmente dormiva con la lancia vicino al cuscino, l'armatura indosso e l'elmo in testa. Sadie non aveva mai provato a dormire con un'armatura graca indosso, ma era sicura che non fosse comoda.
-Che cosa succede, Leo?- domandò Zeyla non appena arrivò sul ponte seguita da praticamente tutti. Ora, tutta la nave era sul ponte ad aspettare gli ordini del capitano Leo.
-Signori e signore, benvenuti a Lisbona!- esclamò il figlio di Efesto allargando le braccia e sorridendo. Sadie si sporse dal parapetto, affacciandovisi. Il vento le scompigliava i capelli, mentre il Sole illuminava la città, facendola risplendere alle prime luci dell'alba. L'acqua del mare luccicava e creava giochi di luce con i raggi del Sole. Sadie non era mai stata nella capitale portoghese. Aveva visto tante città ed ora, paragonandole tutte alla città a cui si trovava davanti, non riusciva a trovarne una più bella.
-Gettiamo l'ancora- ordinò Annabeth- Manderemo due squadre da tre a terra. Il caso di aiuto, utilizzerete queste.
Mostrò un sacchetto di monete. Calipso aggrottò le sopracciglia e chiese scettica:-Monete
-Monete- affermò Hermione- Monete magiche per l'esattezza. Le abbiamo modificate un pochino. La moneta riesce a percepire, attraverso gli impulsi nervosi, se siete in pericolo o meno, si riscalda e manda l'impulso anche alle altre.
-Forte!- commentò Butch- ora bisogna fare le squadre. Io proponso un mago, un semidio e un altro mago.
Sadie vide la figlia di Atena riflettere, le rotelle del suo cervello muoversi e mettersi a lavorare, per poi esclamare:-D'accordo. Butch, guiderai una squadra. Frank, te prendi l'altra.
Frank annuì, Butch anche e disse:-Sadie e Luna.
Sadiì capì che era arrivato il momento di scendere dalla barca dopo tanto tempo. Annuì e Luna anche. Frank scelse Hermione e Walt. La squadra di Frank partì subito, dovendo fare dei rifornimenti. Sadie non credeva che fosse così dispendioso gestire una nave volante gigantesca.
-Partirete a breve- disse Percy- Seguite il vostro cuore.
Mentre chi non doveva partire tornava a dormire, Annabeth prese da parte sadie. Leo era tornato al timone, Calipso era accanto a luie il Sole si stava alzando nel cielo. Annabeth camminò verso di loro, con Sadie che la seguiva, senza commentare. Le facce dei tre erano cadaveriche e per questo Sadie era preoccupata.
-Sadie- la chiamò Annabeth- quando sarai a Lisbona, dovrai condurre Butch in un luogo preciso. Sarà di massima importanza che tu crei la situazione giusta.
-Forse dovresti spigarle di che cosa stai parlando Anne- commentò Leo vedendo la giovane maga confusa. Annabeth annuì e si cacciò una mano nella tasca della giacca, da dove pescò una pallina grigia come i suoi occhi ma dai riflessi bianchi:-questa è un'Arma Orignale. Attualmente sonon tutte nel Tartaro, ma compaiono sulla Terra qualche volta e, se create le giuste condizioni nel luogo giusto, si riescono a trovare facilmente. Determineranno la nostra vittoria o la nostra sconfitta. Bisogna solo sperare che Nyx non se ne accorga.
-Quindi cosa bisogna fare?- domandò la maga carcando di capire che cosa la figlia di Atena volesse dirle.
-Dovrai arrivare al centro della città e aiutare a prendere la sua sferatta magica- rispose Calipso-Èdi massima importanza.
-Come farò?
-Questo non lo sappiamo- disse Leo- È una cosa che devi sentire tu. Sappi, però. che alle 9.05 quella cosa apparirà. Perduto il tempo, perduta la pietra e addio salvataggio del globo.
-Bello- mormorò Sadie con umorismo- Una corsa contro il tempo.
-Lo so che ti sto chiedendo tanto, Sadie- disse Annabeth appoggiando una mano sulla spalla- Ma è importante.
-Lo so Annabeth e non ve ne faccio una colpa. Siamo tutti sulla stessa barca, dobbiamo aiutarci.
-Per essere sulla stessa barca mi sembra ovvio- commentò Leo. Sadie sorrise al figlio di Efesto. Stava per dire qualcosa quando Butch la chiamò:-Andiamo Sadie?
La maga annuì, salutando i tre ragazzi con cui stava parlando. Raggiunse Butch e Luna vicino all'albero maestro. Scomparvero nel nulla non appena Luna sfiorò il braccio dei due ragazzi. Vorticavano in un luogo indefinito e lo stomaco di Sadie si stava rivoltando a destra e a sinistra. Voleva regurgitare la cena della sera prima. Erano sulla sabbia bianca di Lisbona. Da lontano si vedeva la Heroes  con le vele bianche che brillavano alla luce del Sole.
-Andiamo- disse Sadie alzandosi in piedi e scrollandosi la sabbia di dosso- Butch, che ore sono?
-Le nove meno dieci- rispose il figlio di Iride controllando il suo orlogio da polso di Topolino.
-Dobbiamo muoverci, allora- mormorò Luna nascondendo la bacchetta nella piumino. Sadie si sistemò la borsa sulla spalla e proseguì sulla sabbia bianca. Luna e Butch la seguirono sino al ciglio della strada. Sadie sentiva l'adrenalina  scorrerle nelle vene come un fiume in piena.
-E adesso?- domandò la corvonero.
-Prendiamo l'autobus- rispose Sadie mentre controllava, attaccato ad un palo della luce, gli orari degli autobus.
-Non faremo in tempo- commentò Butch. Solo in quel momento Sadie si  rese conto che lui sapeva a che cosa stavano andando in contro.
-Corriamo allora- disse Luna con la sua voce dolce come il miele. Sadie annuì e presero  a camminare con passo sostenuto verso la piazza. Butch controllava continuamente l'orario sull'orologio da polso. Giunsero in piazza con il fiatone e i polmoni che bruciavano come fuochi accesi nella notte fredda. La piazza era bella, con una colanna di marmo al centro e le mattonelle dalla forma di onde bianche e nere. Due fontane erano ai lati della colonna e qualche albero si trovava sui lati lunghi della piazza. Davanti alla piazza c'era un edificio bianco dalla facciata simile ad un tempio greco, probabilmente un museo. Sadie odiava i musei. Si guardò in torno alla ricerca di un segno che le dicesse che era nel posto giusto. Aveva fato ciò che Annabeth le aveva detto: aveva portato Butch al centro della città. Era giunta lì, ma non era sicura di trovarsi nel luogo giusto. Vide un ibis volare nel cielo. Luna lo guardò incuriosita e disse:-Strano.
-Che cosa?- domandò Butch fissando Luna curioso.
-Un ibis. Non ci sono ibis a Lisbona.
Sadie spalancò gli occhi e capì'. Voleva un segno e gli Dei le avevano mandato un segno. Si guardò intorno e nel timpano del museo notò qualcosa che brillava. Corse verso la facciata e si aggrappò ad una colonna.
-Non ce la farai così Sadie- le disse Luna- Dovresti fluttuare fin lassù.
Sadie annuì e Luna agitò la bacchetta. La gente stava iniziando a fermarsi per osservare. Luna non perse la concentrazione neanche un millisecondo, neanche con tutta la gente che la osservava.
-Che cosa sta succedendo?- chiese un uomo vestito di blu. Butch gli tirò un pugno sul volto e quello cadde a terra con del sangue che gli usciva dal naso. Butch strinse i denti e mormorò un "scusa" affrettato. Sadie giunse sul timpano e si aggrappò alle statue. Si arrampicò su teste e braccia finchè non giunse lì. Afferrò la piccola pietra  che brillava. Con forza tirò e quella cosa brillante si staccò. Era una cosa piccola e squadrata bianca e viola. Sadie la guardò contro luce e una scarica di adrenalina le passò nella spina dorsale.
-Luna! Prendimi!
Sadie saltò giù come se fosse una pazza suicida. Luna agitò la bacchetta e urlò:-Arresto momento!
Sadie si bloccò a mezz'aria, poco distante dal terreno. Butch aveva sguinao la lancia e uno scudo con al centro un arcobaleno. A Sadie, lo scudo, non faceva molta paura, ma da come lo gestiva Butch, iniziava a temere gli arcobaleni. Davanti a Butch c'era un grande serpente, con le squame verdi, grandi ali, gli artigli d'argento e i denti che assomigliavano al titanio. Gli occhi erano rossi come il sangue e le ibridi bianche come il latte e le pupille piccole.
-Stiamo per morire, vero?- domandò Luna guardando l'enorme drago.
-Siamo positivi, ragazzi- commentò Sadie- Luna, io e te distraiamo. Butch, vai alla colonna. Qualunque cosa accada, rimani lì.
-Ma...
-Vai!- urlò Sadie iniziando poi a cantare parole antiche. Butch la guardò poi decise che era meglio fare ciò che diceva la giovane maga. Con una voce profonda, Sadie disse a Luna:- Prima lo immobiliziamo poi lo uccidiamo.
Luna annuì e afferrò saldamente la bacchetta, poi iniziò a scagliare incantesimi come una furia. Comparve una lepre azzurra, che il drago iniziò ad inseguire, ma che poi mangiò, mentre luci azzurre e verdi provenivano dalla strega bionda. Sadie intanto continuava a recitare parole magiche, parole che, lei sapeva che era così, avevano potete. Strinse quella cosa squadrata nella mano. Si trasformò in un bastone, come quello che Sadie aveva. A differenza dell'altro, però, era d'oro con zaffiri, diamanti e smeraldi, con geroglifici  e parole con lettere che Sadie non conosceva. Lo guardò e fece la cosa più stupida che le fosse mai passato per l'anticamera del cervello:lo lanciò verso la colonna di marmo. Mirò alla vede della statua in rame, dove vi era un piccolo buco, dove Sadie sapeva che sarebbe entrato quel bastone d'oro. Era come una chiave che permetteva di aprire una porta. Avrebbe potuto farlo Butch, ma quel bastone sentiva che poteva impugnarlo solo lei. Aveva come le impronte digitali. Afferrò il suo bastone e colpì il drago con forza. Lanciò diversi incantesimi, ma sembravano non funzionare. I polmoni di Sadie non volevano bruciare ora, ma scoppiare. Il cuore era a mille e il respiro sembrava di fuoco. Il drago aprì le fauci.
-Sadie!- gridò Luna schiantata a terra dalla coda del drago. Sadie era stanca. Era anche lei a terra con il labbro che sanguinava e il sudore che le colava dalla fronte. Non la mangiò, il drago. Si sentì un verso strozzato. Sadie aprì gli occhi. C'erano Butch, Carter e Percy che colpivano il drago. Fu Butch a dare il colpo finale... gli piantò la sua nuova lancia nel collo. Percy utilizzò Vortice per tagliargli un'ala e Carter fece lo stesso con il suo kopesh. Il drago si sgretolò trasformandosi in sabbia bianca. Sadie, in seguito, ricordò soltanto la voce di suo fratello che la chiamava e le ordinava qualcosa, forse di non morire.

Angolo Autrice
Allora, chiedo venia per il ritardo, ma si sente che è arrivato maggio perchè non ci sono momenti per respirare. Quindi chiedo perdono, però davvero, non so dove sbattere la testa. Quindi perdonatemi se aggiornerò dopo secoli.
A voi come va? Vi è piaciuto il capitolo? Quale sarà la prossima tappa? Provate ad indovinare, sono curiosa di sapere. Buona fortuna per tutto. Baci.
P.s: dovete sapere che sono anche una fan della Marvel e volevo chiedere se siete del team Iron Man oppure di Captain America? Io sono del team Cap.

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Capitolo 40
*** SEGRETI SVELATI ***


SEGRETI SVELATI

Il mare era calmo quella sera. Frank, Hermione e Walt erano tornati nel tardo pomeriggio con qualche provvista e rifornimenti necessari per continuare il viaggio. Sadie era nell'infermeria alla nave con la febbre alta, causata dal troppo potere utilizzato in una sola volta. Will non sapeva come agire e temeva di non poter far molto. Hermione era stat aggredita durante la missione da frecce avvelenate lanciate da lontano e perciò era in infermeria pure lei. Will temeva di peggiorare le cose con il nettare e l'ambrosia, perciò era ricorso ai metodi mortali. Sul ponte, Leo era al timone a programmare con Annabeth e Piper la nuova destinazione. Il resto era a dormire o ad allenarsi nella stalla, dove Beckendorf e Leo avevano installato dei programmi di allenamento. Annabeth appoggiò il suo libro di mitologia su un tavolo lì vicino e disse:-La prossima è Barcelona. Leo, è per te.
-Credevo che la mia fosse più lontano, tipo Turchia o Polonia- commentò il figlio di Efesto. Annabeth scosse la testa preossupata:-Abbiamo bisogno di Rachel ora. L'oracolo non funzionerà, ma abbiamo bisogno di lei.
-Vado a chiamarla- disse Piper sorridendo- Al momento è di sotto. Posso convincerla a salire.
Annabeth annuì e la figlia di Afrodite scese sottocoperta a cercare Rachel. lao guardò la cartina dell'Europa.L'ago della bussola d'oro puntava verso Barcelona. Era un regalo del dio Ermes al figlio Luke. Gliel'aveva data in sogno e la mattina si era svegliato con quella in mano, insieme alla mappa che ora stavano usando. Sambrava una vecchia cartina immobile, ma in realtà era digitale. Potevi guardare ovunque e in più ti indicava tutti i semidei che erano sulla terra. La gente normale era nera, mentre i semidei erano bianchi e brillavano di una luce colorata in base al loro genitore divino. Lou Ellen, alla mattina, li contattava attraverso lettere magiche con l'aiuto di Ziah e Ginny. Dicevano ai semidei dove andare e chi cercare: Sally Jackson, l'unica che li capiva e che poteva aiutarli.  Si erano messi d'accordo con Silena e Beckendorf attraverso un messaggio Iride. Ogni volta che arrivavano maghi e semidei, loro li ospitavano e cercavano di metterli in uno dei gruppi sparsi per l'America. Frank e Reyna avevano ricevuto delle lettere da parte dei centurioni, che si erano uniti ai greci e si erano sparsi per New York. I ragazzi più grandi si erano infiltrati un po' ovunque. Alcuni erano stati assunti all'Empire State Building, altri in musei e librerie, mentre altri in negozi vicino all'Olimpo. Silena era riuscita a convincere suo padre a comprare un appartamento vicino all'Empire. Dakota e Gwen avevano aperto una palestra con i figli di Ares e Marte. New York era diventata la città con la più grande quantità di magia al mondo.
-Imposta le coordinate Leo. Barcelona è dove dobbiamo andare- gli ordinò Annabeth. Leo era preoccupato per la sua amica, che era quasi una sorella per lui. Annabeth non stava bene. Leo sapeva che la figlia di Atena stava attraversando un brutto momento e voleva aiutarla.
-Anne- la chiamò- Vuoi parlarne?
La figlia di Atena scoppiò in lacrime e Leo l'abbracciò. Le accarezzò la schiena e le sussurrò:-Presto finirà tutto, Anne.
-Leo... è sempre più difficile mentirgli. Questo segreto lo ucciderà- singhiozzò la semidea- Luke dice che dovremmo fare qualcosa.
-Per una volta, sono d'accordo con quel pazzo spadaccino.
Annabeth sorrise al semidio. Piper tornò con Rachel al seguito. Aveva gli occhia arrossati dal pianto. In pochi sapevano che cosa stava succedendo all'Oracolo di Delfi. Rachel  non stava passando un bel periodo. Si sforzava di essere felice per gli altri , ma quando era da sola piangeva soltanto. Annabeth sapeva che Rachel vedeva ancora il  futuro, solo l'oracolo non funzionava, ma lei guardava i sogni e si sapeva che i sogni di Rachel mostravano l'innevitabile.
-Cosa hai visto Rachel?- chiese Annabeth. Rachel tirò su con il nasoe si asciugò la lacrimache le stava per uscire dagli occhi:-Non è molto chiaro. Sto mettendo insieme i pezzi, ma non vedo molto per ora. C'è sangue e cadaveri. Non vedo dove sono.
-Rachel, questa cosa ti sta uccidendo- commentò Piper- Forse non è il caso di continuare.
-Pip... è l'unica cosa per cui sono utile. Devo farlo- rispose la rossa guardando il basso. Annabeth le appoggiò una mano sulla spalla e le chiese:-Se te la senti, Rachel... se non vuoi, non devi continuare.
Rachel annuì e si sedette contro il parapetto della nave. Piper la guardò con occhi tristi, le si avvicinò e l'abbracciò. Rachel ricambiò l'abbraccio e iniziò a piangere sulla spalla della figlia di Afrodite. Annabeth guardò Leo. Gli occhi grigi della ragazza mandavano ordini al ragazzo. Leo annuì:-Andiamo a Barcelona

Percy guardava il suo album fotografico con gli occhi tristi. Era ormai tardi e Annabeth era ancora sul ponte superiore a discutere con Leo e Piper. Era preoccupata per la figlia di Atena. Ultimamente era molto strana. Passava molto tempo con Leo e poco con lui. Temeva che Annabeth lo stesse lasciando, in un certo senso. Chiuse il suo libro e lo posò sul comodino. Stava per mettersi le scarpe e andare a cercare la ragazza, quando lei entrò nella stanza. I capelli biondi erano raccolti in una crocchia scombinata, i jeans le fasciavano le gambe, la maglietta del campo era sotto una giacca blu e gli stivaletti le arrivavano poco sopra le caviglie. Chiuse la porta e gli sorrise. Percy fece altrettanto.La figlia di Atena si tolse gli stivali e sedette sulle sue gambe del ragazzo. percy le mise le mani sulla vita e la baciò.
-Allora?- disse il figlio di Poseidone- Di che cosa avete parlato?
-Della prossima tappa: Barcelona- rispose la ragazza nascondendo il volto nell'incavo del collo di lui. Annabeth era confusa. Doveva dirgli dei problemi di Rachel, dei nuovi poteri di lui e delle loro conseguenze? Lui le aveva sempre detto tutto. Non le aveva mai mentito. Lei però lo stava facendo e si sentiva in colpa.
-Devo dirti delle cose, Percy- disse lei guardandolo negli occhi verdi. Dopo tanto tempo, non aveva ancora imparato a nuotarci dentro.
-Dimmi tutto, Sapientona.
Annabeth sospirò:-Tu sei molto più forte di quello che pensi. Tuo padre ha un potere innato, lo sai. Ogni corpo vivente è fatto in parte d'acqua e tu puoi controllare l'acqua al suo interno. Viene chiamato il dominio del sangue. È un potere molto antico e chiunque l'abbia avuto... beh, non è andata finere bene... Secondo tuo padre, questo potere, se troppo usato, porta alla distruzione interna di colui o colei che usa il dominio. Questo vuol dire che, se troppo usato, muori. Ora mi odierai a  morte perchè non te l'ho detto prima, ma l'ho fatto solo per te. Secondo alcune informazioni, se si viene a conosciuenza di questo potere, lo si tende ad utilizzare. Ti prego, perdonami.
Percy era lì lì per piangere. Gli occhi erano umidi e rossi. Annabeth si corpì la bocca con la manica per nascondere un singhiozzo. Percy aveva lo sguardo vuoto, perso:-Cos'ha Vortice.
-Pensiamo che stia cambiando, percependo il tuo mutamento.
-Va bene, ho capito. Gli incontri con Leo erano per questo...?
Annabeth annuì, accarezzando il volto di lui:-Percy, io ti amo, non pensare che io possa in una qualche maniera tradirti.
Il figlio di Poseidone guardò la ragazza, le afferrò il volto e la baciò. Non gl'importava se gli aveva nascosto delle cose importanti. Gli aveva detto che l'aveva fatto per lui e ci credeva. Se non si poteva fidare di lei, non si poteva fidare di nessun'altro. E mentre pensava a questo, sentì nelle sue orecchie un nome e nella sua testa comparve l'immagine di una ragazza dai capelli rosa, le guance rosa e il sorriso dolce. Si staccò dalla figlia di Atena e mormorò:-Kya.
-Chi?- chiese Annabeth aggrottando le sopracciglia. Che il suo fidanzato avesse un'altra?
-Kya... Mia cugina- rispose Percy- Lei... Sta arrivando, lo sento.
-Percy, tu non hai una cugina. Tua madre non ha fratelli o sorelle.
-No, è tutto falso. Mia madre ha un fratello e lui ha una figlia, mia cugina. Non la vedo da tantissimo tempo. Avevo cinque anni, l'ultima volta che l'ho vista. Avav i capelli rosa raccolti in due treccine e gli occhi viola che parevano ametiste. Mi raccontava che tutti i bambini dell'asilo le facevano dei regali, dicendole che era bellissima, come una principessa. Lei rifiutava sempre i loro regali. Diceva che aspettava qualcuno di speciale, qualcuno che compariva solo nei suoi sogni.  Ci separarono da piccoli a causa di un attacco di mostri. Non so se fosse colpa mia o mano, ma ci separono. Mia madre pochi giorni dopo la sua partenza, mi portò da qualche parte e mi cancellarono i ricordi su di lei- raccontò Percy. Annabeth scosse la testa:-Non credo che tua madre farebbe mai una cosa del genere.
Percy negò con la testa. L'immagine di Kya da bambina l'aveva riportato ai vecchi ricordi, prima che li separassero. Sapeva che, sua madre e suo zio, li avevano separati per proteggerli.
-Perchè sta venendo qui?- chiese Annabeth- Potrebbe farsi male.
-Aspettiamo e decidiamo, Annabeth. Non deve mancare molto al suo arrivo.

Leo era sul ponte superiore con Carter, Jason, Piper, lou e Ziah. Era freddo fuori, ma non avevano molti problemi su questo aspetto. Avevano fame. Era l'ora di cena che non mangiavano e i sei ragazzi iniziavano ad avere fame. Quello che avevano preparato Harry e Ron non li aveva riempiti molto. Si erano posizionati vicino al termosifone per allontanare il freddo, ma ormai era tardi per imedire al freddo di penetrare nelle ossa. Si sentirono poi dei rumori. Una ragazza dai capelli rosa raccolti in una coda atterrò sul ponte della Heroes. Puntò la katana verso Leo e urlò:-Dov'è Percy Jackson?
Dietro di lei arrivarono altri sei ragazzi. Una ragazza aveva i capelli corti  del colore del verdeacqua  e occhi oro, un ragazzo assomigliava a Jason e un'altro aveva i capelli castani e occhi verde smeraldo. Poi ce ne erano due, in fondo, una ragazza dai capelli casatani corti e occhi oro e un ragazzo che assomigliava a Nico, che si tenevano per mano.
-Ho fatto una domanda!- gridò la ragazza dai capelli rosa con grinta.
-Di sotto- intervenne Lou con calma- Andiamo a chiamarlo?
-No- rispose la ragazza coi capelli castani- Kya, chiamalo tu.
-Non ce n'è bisogno.
Percy comparve sul ponte in pigiama con Vortice in mano. La ragazza coi capelli rosa sorrise al semidio:-Ciao Percy
La ragazza coi capelli rosa corse verso il semidio non appena lui le fece segno di abbracciarlo. Rimasero tutti spiazzati quando la ragazza non lo uccise con la katana nera.
-Mi sei mancato tanto- disse la ragazza- Finalmente ti ho ritrovato.
-Anche tu mi sei mancata tanto cuginetta.
-Cuginetta?- chiese Carter con le sopracciglia aggrottate in modo buffo. Percy annuì e rispose:- Lei è mia cugina, Kya Natasha Jackson.
-Non credo sia una mortale- commentò Nico che aveva raggiuntol gruppo non appena aveva percepito l'odore di morte
-Infatti siamo semidei- disse il ragazzo con gli occhi verde smeraldo. Percy guardò la cugina e lei annuì, in conferma di quello che aveva detto l'altro.
-Loro sono Anne, Jo, Jacob, James e Logan- presentò Kya- Sono miei amici.
-Piper- chiamò Percy- Li accompagneresti nelle cabine vuote? Lou, va a riposarti e chiamami Harry, ho bisogno di parlargli.
La figlia di Afrodite facendo segno a di seguirla. I cinque nuovi arrivati la seguirono  sotto coperta. Lou annuì e andò a chiamare Harry. Annabeth raggiunse Leo e Jason che avevano guardato la scena senza parlare. Kya prese per un braccio il cugino e disse:-Dobbiamo parlare.
-Lo credo anche io, ma voglio che ci sia anche Harry- rispose il figlio di Poseidone. Harry giunse sul ponte con la bacchetta in mano. Percy , Harry, Jason, Carter, Leo, Annabeth, Ziah e Kya si sedettero sul legno della nave e Kya iniziò a raccontare. Raccontò di come si fosse trovata  a scoprire di essere una semidea, del Campo Mesopotamia e la ricerca di Zoey, per poi scoprire che la sua migliore amica era una sporca traditrice. Raccontò come si era ricordata di Percy e di come la terra l'avesse giudata lì. Percy non era stupìto, il coraggio nella sua famiglia era ereditario. Gli altri ascoltavano senza parlare, ma con ammirazione il racconto della semidea babilionese, figlia di Ishtar. Raccontò loro che cosa sua madre, la dea Ishtar, le aveva detto nel suo ultimo sogno. Il fatto che lei e Percy, insieme, erano potenti come un dio immortale, non faceva che porre domande a Leo. Dove sarebbe giunto il potere dei due se combinati? Non sapeva neanche come combinarli. Percy gli aveva sempre detto che l'acqua era metefora di amore, un amore puro. La cugina di Percy era la figlia della dea dell'amore e della guerra babilionese, forse, su quel lato, potevano combinarsi. Leo, però, non pesava che fosse così. Ci doveva essere qualcos'altro sotto. Forse riguardava le armi originali. Avrebbe parlato con Annabeth, Sadie e Hermione. Loro l'avrebbero aiutato a capire la situazione.
-Quindi tu e Percy siete onnipotenti?- domandò Harry mentre giocava con la sua bacchetta.
-Non lo so- rispose Kya- Non so neanche come si combinino i nostri poteri, a dirla tutta. Brancolo nel buio da due mesi ormai. Ho consultato pergamene, incisioni e dipinti... niente.
-Adesso però dovresti andare a riposarti, Kya. Hai viaggiato molto.  Domani saremo a Barcelona.
-Già a Barcelona siete?!- esclamò la figlia di Ishtar sorpresa. Leo annuì e Jason chiese:- Ha ragione Percy, dovremmo riposare  tutti.
Il figlio di Giove s'alzò e scese sotto coperta, diretto nella sua stanza. Carter, Annabeth e  Ziah lo seguirono.
-Quando sarai a Barcelona, Leo, porta con te Logan e Jo. Fidati okay?
Leo annuì e scese di sotto, lasciando i due cugini  soli. Scese nella sua cabina e si gettò sul letto. Si addormentò con poco, pensando a quello che avrebbe dovuto affrontare il giorno dopo.

Angolo Autrice
Mi sento geniale, modestamente. Questo è l'incontro che molti di voi aspettavano. Kya incontra suo cugino e vengono svelati i veri poteri di Percy. Come continuerà la storia? Cosa accadrà a Barcelona? Percy riuscirà a gestire i suoi poteri? Cosa succederà se non ci riuscisse?
Passiamo ai vostri pareri. Cosa ne pensate? Io dico che non è venuto male, dai. Giuro che con il tempo spiegherò tutto. Chi è colui o colei che ha preso la memoria di Percy e non solo. Nei prossimi capitoli darò molto spazio ai Jackson... chissà quanti altri ce ne sono.... Lasciate commenti.
Kiss

 

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Capitolo 41
*** BARCELONA ***


BARCELONA

La mattina Leo s'alzò al suono della voce di Kya che parlava all'autoparlante. Si vestì velocemente e salì sul ponte superiore, salendo i gradini due a due. Quando giunse sul ponte, Barcelona era all'orizzonte. Percy e Kya avevano attraccato in acqua, in modo che il figlio di Poseidone potesse difendere la nave attraverso il suo elemento. Leo sorrise quando vide all'orizzonte la città. Corse ai comandi e fece sì che la nave si dirigesse verso il porto. Ancorò la nave e tirò un sospiro di sollievo quando vide che era riuscito a non graffiare il legno lucido della nave. Intanto, l'intero equipaggio si era radunato. Mancavano solo Sadie ed Hermione, le quali erano ancora in infermeria.
-Barcelona vero?- chiese Jaz. Leo annuì. La ragazza era triste, Leo lo vedeva, ma non si sapeva spiegare il perchè e forse era dovuto al fatto che la conoscesse da poco. Forse era solo preoccupata. Avrebbe chiesto a qualcuno di parlare con lei.
-Questa sera sono arrivati dei nostri alleati- disse Percy all'equipaggio- Sono semidei, figli della mesopotamia.
-Quindi esistete veramente-  commentò Reyna con scarso entusiasmo.
-E voi pure- ribattè Jacob stringendo i pugni. I due si scambiarono occchiate di fuoco. Piper, ridendo, esclamò:-Siete così carini insieme.
Ginny e Luna si unirono alla sua risata. Reyna scoccò un'occhiata alle tre ragazza, ma Piper le seppe tener testa.
-Va bene gente- chiamò Ron in modo da spezzare la tensione che si era creata- Passiamo oltre. Chi tenta la ruota della morte oggi?
La nave diventò una tomba. Nessuno parlava. S'alzò in piedi Leo, con tutto il coraggio che aveva in corpo. Calipso s'alzò con lui. Anche Jo e Logan fecero lo stesso. Leo sorrise a loro. Il coraggio che avevano i due ragazzi era incredibile: dopo quello che avevano affrontato, quei due, si stavano unendo ad una missione pressochè suicida. Quello era coraggio e Leo li ammirava.
-Va bene- disse Leo- Andremo noi quattro. Voi rimarrete qui a proteggere la nave. Ah, giusto! Ho bisogno di un centinaio di queste viti.
Tirò fuori dalla tasca una vite, non più grande di un'unghia. Reyna strinse gli occhi cercando di mettere a fuoco quell'oggetto minuscolo:-Più piccolo no, Leo eh? È minuscola!
-Lo so! È così carina!- esclamò il figlio di Efesto con gli occhi a cuoricino- C'è solo una ferramenta  che le vende e, guarda caso, è proprio in questa città.
-È una cosa pericolosa?- chiese Walt con le braccia incrociate. A Leo faceva paura lui e non solo per la stazza enorme, ma anche per tutte le catene e ciondoli che aveva al collo.
-Molto- rispose Annabeth- Sono uniche nel loro genere. Sono un misto di bronzo celeste e oro imperiale, forgiate con la magia e il fuoco blu.
-Fuoco blu?- chiese Ziah. La figlia di Atena annuì:-È un fuoco particolare. Le sue fiamme sono blu e funziona unicamente sott'acqua, alimentato dai coralli secchi. Una pira si trova nel palazzo di Poseidone, sotto custodia, ovviamente. Un'altra pira la usano i telchini al servizio di Poseidone. Una volta i telchini lo usavano per forgiare le loro armi. È una missione suicida Leo, lo sai. Questa volta non si potrebbe tornare in dietro.
-Esatto Annabeth, non sbagli un dato, ragazza- rispose Leo- E so che cosa vi sto chiedendo, ma queste viti sono indistruttibili, non si arruginiscono e non si schiodano più. Potrebbe essere la fine delle riparazioni continue.
-Dove si trova la ferramente?- chiese Jason incrociando le braccia. Leo spostò lo sguardo su Percy e rispose:-Sott'acqua.
-Tu vuoi uccidermi Leo, ammettilo- commentò Percy serio. Leo abbassò lo sguardo e scosse la testa:-Non voglio costringerti Percy.
-Lo farò Leo, tranquillo. Quando tornerai avrai le viti- sorrise il figlio di Poseidone abbracciando il figlio di Efesto sperando che sopravviesse a quello che stava per afforntare. Forse Annabeth aveva nascosto pure a Leo delle informazioni o forse il ragazzo cercava solo di nascondere il suo nervosismo. Harry appoggiò una mano sulla spalla di Leo e gli disse:-Organizzeremo qualcosa, ma ora voi dovete andare.
-Harry ha ragione. Ormai dovete andare. Alle 8 è l'incontro, dentro la chiese più famosa di Spagna: la Sagrada Familia- snocciolò Annabeth ad una velocità super sonica. Continuò a dare dati sulla chiesa senza fermarsi. Fu Jo a bloccarla:-Va bene, possiamo farcela.
-Questo è d'obbligo- mormorò Calipso. Leo respirò a fondo, pensò a cosa potesse andare storto, cioè tutto,  e contò fino a dieci, poi disse:-Okay, andiamo.

Scesero dalla nave e si diressero alla prima fermatra della metro. Senza farsi notare dagli agenti della polizia, scavalcarono i girelli e scesero sottoterra. Jo era impallidita mentre attraversavano gli stretti corridoi della metropolitana e Logan dovette sostenerla, senza farla sembrare un'ubriaca. Aspettarono la metro per una decina di minuti, ma quella non si decideva ad arrivare. Leo guardava l'orologio costantemente, timoroso di perdere l'appuntamento.Non aveva ancora un'idea chiara del perchè non si trovassero nel Tartaro, quelle dannate armi originali, e del perchè  gli Dei le avessero nascosto o del perchè toccasse sempre a loro rischiare la pellaccia, ma aveva imparato, col tempo, ad accettare ciò che le Moire decidevano. Non era stato così brutto incontrare Piper, Jason, Frank, Hazel, Percy e Annabeth. Non era stato così brutto incontare Calipso, costruire Festus, poi l'Argo II. Viaggiare verso la Grecia con quella che ora era la sua famiglia, non gli era dispiaciuto. Era stata un'esperienza fantastica. Certo, avrebbe fatto volentieri a meno di morire e rischiare la pelle ogni tre per due, ma rimaneva ugualmente un'esperienza fantastica. Giunsero alla fermata giusta, scesero e corsero su per le scale mobili, facendosi largo tra la gente. Sbucarono davanti alla Sagrada Familia e corsero alla biglietteria. Mancavano poco più di cinque minuti alle otto e, davanti all'imponente chiesa, c'era una fila chilometrica. Leo fissò le imponenti torri cercando una soluzione per salatre tutta quella fila.
-C'è un'entrata sotterranea- disse Logan- Potremmo passare da lì.
Leo annuì e seguirono Logan verso l'entrata della metro. Calipso dovette aiutare Jo a camminare. Presero una via secondaria e arrivarono davanti ad una porta chiusa con un lucchetto. Logan fece spazio a Leo che, con una forcina per capelli di Jo, smanettò un po' e riuscì ad aprire la porta.
-Lo scassinatore- disse Logan con un sorriso-Da grande potresti fare lo scassinatore.
Leo a sua volta gli sorrise e ammise:-Ti assicuro che è il lavoro della mia vita. Mi sa che io e te andremmo molto d'accordo.
-Mi sa anche a me.
Entrarono nella stanza, realizzando che era uno stanzino delle scope. Logan si diresse verso la scaffalatura in metallo e disse:-Qui dietro. Mi dai una mano, Leo?
Il figlio di Efesto s'avvicinò alla scaffalatura e aiutò Logan a spostare la scaffalatura pesante. Calipso, intanto, aveva fatto sedere Jo su uno scatolone e le aveva fatto bere un sorso d'acqua. Leo era contento di aveva una ragazza premurosa come Calipso. Non era solo premurosa. Era anche bella e intelligente e piena di risorse. Annabeth l'aveva anche istruita nel combattimento mentre si scambiavano nozioni sulla tessitura, cosa che sconvolgeva Leo. La figlia di Atena più intellgente dei figli di Atena aveva scoperto una passione per la tessitura, oltre che per l'architettura. La cosa scoinvolgeva Leo. La parete era un muro e non sembrava accessibile, ma Leo era sicuro che ci fosse un passaggio.
-C'è un ordine logico- commentò Leo- C'è una macchina qui dietro.
-Una password a mattoni?- chiese perplesso Logan. Leo annuì, appoggiò l'orecchio sul muro e ascoltò i clik e i ding che provenivano da dentro. Porbabilmente era molto di più di una semplice macchina. Pensò a tutto quello che era successo a Roma. Non avrebbe evocato nuovamente Nemesi. Non avrebbe rischiato nuovamente la vita dei suoi amici.
-Leo- lo chiamò Calipso- La luce intorno ai mattoni...
-Non c'è nessuna luce, Calipso- disse Leo continuando a guardare la parete. Logan gli posò una mano sulla spalla:-Amico, è per tre quarti dea, forsi dovresti ascoltarla.
Leo lo guardò, poi annuì:-Dimmi quali mattoni sono.
Calipso s'alzò e raggiunse il figlio di Efesto e Logan davanti alla parete di matini. Ne sfiorò alcuni  e il muro si spostò. Logan aiutò Jo a correre per il lungo tunnel. Alla fine, era sbarrato da una roccia. Logan indicò il soffitto mentre sorreggeva Jo. Leo spostò lo sguardo sul soffitto, notando una botola di metallo.
-Troppo in alto- mormorò Leo pensando a come raggiungerla. Calipso, intanto, saltò e spinse la botola verso l'alto, facendo saltare il lucchetto e atterrando sul pavimento della chiesa. Lanciò una corda di sotto, permettendo ai tre di salire. Quando furono tutti su, si ritrovarono in una grande sala  dalle alte colonne  che sembravano giganti di pietra a forma di sedano. Le volte sul soffitto erano impressionanti e le grandi finestre colorate facevano entrare la luce.  Erano dentro. Ora dovevano solo cercare quella piccola pietra che li avrebbe aiutati a vincere quella guerra che sembrava impossibile vincere.
-Su...- mormorò Leo- Sulla torre.
Prese a correre verso la rampa delle scale spingendo i turisti che gli urlavano dietro in diverse lingue. Logan, Calipso e Jo lo segivano, ma lui non ci satava badando più di tanto. Sentiva la voglia di tutte le sue cellule di prendere fuoco e non era a causa su. Giunse più in alto che potè, in una zona non concessa ai visitatori. Arrivò davanti ad una porta  dal pomello d'oro con inciso il simbolo di Efesto: un incudine con il martello. Leo afferrò il pomello e quello iniziò a surriscaldarsi. Il figlio di Efesto aprì la porta ed entrò senza esitare. Forse era l'adrenalina che gli stava facendo compiere quei gesti senza pensare. Era come se gli avessero fatto un'iniezione di sostanze stupefacenti. Sul fondo della parete c'era un mattone dove vi era incastonato un qualcosa di marrone e arancione dalla forma squadrata, circondato da facce raffiguranti mostri urlanti. Leo si avvicinò alla pietra, l'afferrò e tirò. Quella si staccò  e cadde tra le mani del semidio. La guardò  e per un attimo gli sembrò che anche lei lo guardasse. Anche i suoi amici si erano avvicinati per osservarla. Era piccola e squadrata, ma brillava come un fuoco nella notte più buia. Le mani di Leo presero fuoco, ma non un fuoco che bruci, un fuoco che dona la vita. Lanciò le fiamm ai lati della stanza. Due mattoni caddero a terra frantumandosi, facendo precipitare  altre due sfere grandi come ciondoli.
-Giù- gridò Calipso. Si buttarono a terra comprendosi la testa con le mani, mentre uno dei muri esplodeva facendo un gran fracasso. Sopra alle loro teste volarono cocci e mattoni, tubi e schegge di vetro. Leo non sentivapiù da un orecchio e Calipso urlava di stare in guardia. Jo aveva fatto sbucare dalla sua schiena due enormi ali bianche da angelo e teneva in mano coltelli affilati dalle lame nere come l'oscurità. Logan aveva sguainato una spada enorme nera, simile a quella di Nico, solo meno inquietante. Leo s'alzò da terra a fatica con un orecchio ancora dolorante. Qualcuno urlò forte e una decina di frecce arrivarono dalla nuvola di polvere che si era creata. Quando la nuvola si dissolse, Leo vide Drew Tanaka in groppa da un pegaso insieme ad un esercito di mostri e semidei. 
-All'attaccò- disse Drew. I mostri, come le arpie attaccarono i quattro semidei.  Logan le tagliò a metà con la sua spada e Jo piegò le ali in modo che lanciassero piume bianche affilate come rasoi e afferrò i pugnali, iniziando a smozzare teste a non finire. Calipso aiutò Leo a rialzarsi. Il figlio di Efesto, oltre a non sentire da un orecchio, non riusciva a reggersi in piedi. Forse si era slogato una caviglia o si era stirato un muscolo. Calipso lo aiutò più che potè, ma con le arpie che li attaccavano le veniva complicato. Jo e Logan iniziavano ad essere stanchi, soprattutto la figlia di Marduk. Allora Leo riscaldò le mani e quella pietra che aveva ancora in mano diventò un martello d'oro e di bronzo. All'apparenza pesante,  Leo non trovò difficoltà a sollevarlo. Con tutta la forza che avav, poi, lo lanciò verso il pegaso di Drew. Il martello fece come Leo aveva pensato: si schiantò contro il pegaso in mezzo agli occhi. Il pegaso svenne e precipitò con Drew in groppa che urlava al suo esercito di aiutarla. Le arpie e i semidei si concentrarono su di lei, correndo ad aiutarla. Jo  caddea terra in ginocchio, stanca e a pezzi. Logan raccolse le altre due sfere cadute quando Leo aveva deciso di dar fuoco alle mura e se le mise in tasca.
-Come facciamo a tornare alla nave senza farci vedere?- domandò Calipso preoccupata. Leo sorrise e rispose:-Festus, ovviamente.
Estrasse un fischietto dalla tasca e ci soffiò dentro. Pochi minuti dopo, un drago di bronzo dagli occhi rubino, ali enormi e artigli affilati, comparve nel cielo. Leo s'avvicinò zoppicando e accarezzò il muso del drago.
-Andiamo, torniamo dalla nostra famiglia- disse Leo e montò sul drago.

 

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Capitolo 42
*** SENSI DI COLPA ***


SENSI DI COLPA

Hazel sapeva che Leo nascondeva il drago di bronzo nella pancia della nave, da utilizzare per le emergenze, e non si stupì quando lo vide arrivare sul drago di bronzo. Forse, la cosa che la stupì fu Jo con le ali da angelo, ma decise di ignorare  questa strana cosa. Loro non potevano giudicare: non erano normali e non lo sarebbero mai stati. Festus atterrò vicino alla nave e si richiuse a valigia dopo che i passeggeri scesero. Jo ripiegò le ali da angelo e svenne. Leo e Jo furono portati in infermeria dove c'erano già Hermione e Sadie. Il Sole era alto nel cielo. Con Leo in infermeria non potevano partire, in quanto unico a saper come governare la nave. Annabeth aveva paura di sbagliare e perciò aveva deciso di non fare nulla. Il tempo passava lentamente sulla nave tra allenamenti e chiacchere. A pranzo Piper preparò qualcosa da mangiare, rigorosamente vegetariano. Mangiarono in silenzio. hazel temeva che presto o tardi sarebbero arrivati i mstri ad attacarli, nonostante la magia protettiva. Erano più forti ulimamente e si rigeneravano in fretta. Hazel lo aveva notato e ne aveva parlato  con Nico. Entrambi pensavano che le Porte della Morte fosero di nuovo aperte. Era una cosa di cui preoccuparsi? Sì, Hazel credeva di sì. Dovevano scendere di nuovo nel Tartaro? La figlia di Plutone sperava di no. Sentiva il dovere di capire il perchè, i mostri,  tornavano così velocemente. Quel pomeriggio, salì sul ponte superior con la spada appesa al fianco. Stava  per scendere danna nave, quando Percy la chiamò:-Non puoi andare da sola, Hazel.
Con lui c'era la cugina, Kya. Hazel aveva visto tante cose particolari da quando era tornata in vita, ma quella ragazza era forse quella più strana. Forse  erano i capelli rosa e gli occhi viola che aveva sin dalla nascia o forse le sue abilità da guerriera, che facevano piuttosto paura.
-Non volevo...- mormorò Hazel- Volevo essere d'aiuto.
-Nico mi ha detto ciò che pensate e forse avete ragione- commentò il figlio di Poseidone. La cugina lo prese per mano e gli disse:-Percy... Non vorrai tornare laggi0, spero.
-No, non sarò così pazzo da scendere senza prove certe- rispose lui sorridendo- Ma potrei aiutare Hazel e scoprire che sta succedendo.
-Vengo con voi, allora- protestò la figlia di Ishtar- Non che non mi fidi di Hazel, ma voglio venire con voi.
-Ti ho appena ritrovata, Kya, non voglio perderti di nuovo.
La ragazza fece una smorfia:-So badare a me stessa, Percy. Dai per favore, voglio venire anch'io.
Percy guardò Hazel, come per chiederle il permesso e lei annuì. Kya sorrise ad Hazel ed esclamò:-Allora andiamo!
Prse Hazel sottobraccio e lasciò suo cugino indietro. Percy sorrise a quella scena e seguì le due ragazze.

Camminavano da ore.
Ormai erano stanchi, molto stanchi. Avevano camminato per tutta Barcelona e ormai non ne potevano più. Avevano controllato ogni edificio sospetto, ma non avevano trovato nulla. Si sedettero ad un tavolo davanti ad un bar, sfiniti e affannati. Annabeth, Frank e James erano sicuramente preoccupati per loro, probabilmente si stavano domandando come ucciderli non appena tornati
-C'è qualcosa che non mi torna- commentò Hazel-È impossibile.
Percy appoggiò la testa sul tavolo di metallo freddo e mormoò qualcosa di incomprensibile alle due ragazze.
-Che cosa hai detto?- chiese Hazel. Percy alzò lo sguardo e ripetè. Hazel lo guardò con le sopracciglia aggrottate, non riuscendo a capire, probabilmente perchè aveva parlato in greco antico. Kya aveva capito. Suo cugino era pazzo probabilmente.
-Sei fuori di coppo, tu!- esclamò Kya. Percy la guardò:-Ma potresti farlo. Insomma, mi hai raccontato che...
-Si, ma per le emergenge!
-Di che cosa state parlando?- domandò Hazel con gentilezza. Era sempre stata gentile con tutti e non avrebbero smesso ora. Lei era Hazel Levesque e, prima di tirare fuori la spada, avrebbe fatto di tutto pur di essere gentile ed evitare una guerra.
-Percy vuole che contatti mia madre o sua sorella- soffiò la figlia di Ishatr- Solo che non comprende il pericolo.
Scoccò un'occhiataccia al cugino degna di nota, stile Talia Grace. Hazel non sapeva perchè la cugina di Percy non volesse contattare sua madre e la zia, ma non fece domande.
-Kya, so che è pericoloso- iniziò Percy- Ma è necessario o non capiremo mai che cosa sta succedendo.
La figlia di Ishtar sbuffò e si guardò in torno, poi annuì:-Dobbiamo andare altrove però.
S'alzò e si diresse verso l'ingresso del bar. Hazel e Percy la seguirono. Kya entrò nel bagno delle donne. Il cuore batteva forte... era paura? Forse. Non vedeva sua madre dall'inizio dell'anno e ormai era febbraio. Hazel entrò con lei, mentre Percy rimase fuori, promettendo di entrare solo in caso di necessità.
-Madre!- urlò Kya-Io ti invoco. Ho bisogno di te. Ti prego... rispondi a questa mia preghiera.
Hazel guardò la cugina di Percy, poi sentì un tuono rimbombare e una donna bellissima, dai capelli biondi e occhi viola, comparve dietro di loro. Aveva un'armatura nera con in cintura pugnali sul lato sinistro e una spada sul destro. Sulla schiena, invece, teneva arco e frecce e una lancia in mano. Hazel spalancò gli occhi. la carnagione della dea era del colore del caffelatte e faceva contrasto con i capelli biondi.
-Madre!- esclamò Kya- Grazie per essere venuta.
-Grazie per avermi chiamato- risponde la dea sorridendo- Non ne potevo più di quegli idioti... Vieni ad abbracciare la mamma, tesoro.
La semidea non se lo fece ripetere due volte. Abbracciò la madre con affetto e Hazel pensò ai suoi genitori: la madre era morta, mentre il padre era il dio dei morti. Gli era sempre piaciuto pensare che alla sua famiglia come una famiglia unita, ma quel pensiero non si era mai avverato, né nel 1940 nè nei tempi moderni.
-Allora- disse la dea- Chi abbiamo qui?
Hazel diventò rossa come un peperone:-Hazel Levesque.
-Figlia di Plutone, giusto? La tua aura è forte, sei potente... come mai mi avete chiamato?
-Madre, volevamo chiederti  se sapevi qualcosa sui mostri. Abbiamo notato che sono molto avventati nell'ultimo periodo e volevamo chiedere se ne sapevi qualcosa, appunto- chiese la semidea, tornando seria. La dea si rabbuì subito:-Non ne so molto, se è questo che chiedi. Ho solo qualche mera informazione, qualche voce probabilmente che girano tra gli immortali della guerra. Gli Dei greci e romani hanno abbandonato l'Olimpo. Gli Dei dell'Egitto sono dispersi, rifugiatisi nella Duat. Gli Dei di Asgard hanno chiuso i confini, Odino non vuole rischiare, e gli Dei Mesoamericani sono in conflitto tra loro, molto di più del solito. Noi stiamo subendo degli attacchi continui e ci stiamo disperdendo anche noi. Assur crede che il Caos vuole che voi rimaniate soli, crede che così sia più facile battervi. Ha un potere enorme ed è per quello che state cercando: le armi originali. Tra gli Dei si racconta che il Caos, all'inizio di tutto, fosse buono, ma aveva l'oscurità dentro di sè e sapeva che, presto o tardi, avrebbe preso il sopravvento dentro di lui. Allora, creò delle armi che giungessero solo ai suoi nipoti mortali, incidendovi i nomi di chi le avrebbe potute impugnare. Noi Dei le nascondemmo nelle città a noi sacre o nei luoghi sacri. Il Caos è divenuto cattivo, ma riuscì a ritirarsi prima che fosse troppo tardi e obbligò i suoi figli a legarlo con delle catene indistruttibili al centro del mondo. Si manifestò in piccole forme durante i secoli e ora sta tornando, per impossessarsi del mondo.
-E questo come ci aiuterebbe?- chiese Hazel.
-Conosci il tuo nemico Hazel Levesque- rispose la dea-I mostri sono a causa sua a quanto pare. Tornano più velocemente a causa sua. Quando tornerete a New York, affronterete la guerra più lunga della vostra vita e noi Dei non potremmo aiutarvi. È per questo che Zeus, Marduk, Osiride, Odino e Quetzalcóatl hanno deciso di unirvi, perchè così sarete più forti.
Le due ragazze ascoltavano la dea. Si trattava del loro futuro e la dea stava dando loro preziose informazioni.
-Ora devo andare- disse Ishtar- Mi raccomando...
Scomparve in un pouf. Le due ragazze, ancora sotto schok, uscirono dal bagno e Percy tirò un sospiro di sollievo quando le vide. S'avvicinò a loro:-Allora?
-Torniamo alla nave- disse Hazel- Dobbiamo partire alla svelta.
-Va bene- rispose- Mi spiegherete tuto sulla Heroes.
Uscirono sal locale e ritornarono al porto di corsa. james e Annabeth erano sul ponte della nave. La ragazza urlava come una dannata, come se fosse posseduta. Percy s'affrettò a correre da lei. Quando lo vide, la figlia di Atena gli corse in contro e lo abbracciò. Hazel stava a guardare. Kya era corsa tra le braccia di James ed era felice, ma Hazel no. Si guardò intorno, alla ricerca di Frank. Annabeth abbracciò la figlia di Plutone. Aveva capito che c'era qualcosa che non andava.
-Dov'è Frank?- chiese Hazel. Annabeth aveva le lacrime agli occhi. La prese per mano, la figlia di Atena, e la condusse sottocoperta. Camminarono per i corridoi con un passo felpato. Giunsero in infermeria. Annabeth aprì la porta e Hazel  vide Frank, steso sul lettino bianco degli ospedali. Aveva una gamba rotta e una cucitura sulla spalla. Dormiva, forse. Hazel non lo capiva. Aveva il respiratore. Hazel era sconcertata. Corse dal figlio di Marte, si sedette sulla sedia accanto al letto e prese la mano del ragazzo tra le sue. Erano fredde, come quelle di Nico. Nel letto accanto c'era Sadie, ancora metà incoscientente. Annabeth le si avvicinò e le mise una mano sulla spalla.
-Mi dispiace- disse Annabeth mentre le posavaun bacio tra i capelli. Annabeth era come una mamma un po' per tutti. Era lei che aveva il comando dentro alla nave.
-Cosa è successo?- domandò la figlia di Plutone. le lacrime scendevano, come fiumi in piena.
-Siamo usciti a cercarvi. Pensavamo che vi avessero rapito. Ci siamo imbattutti in un gigante che non mangiava da un po'. Abbiamo combattuto. Frank è rimasto ferito gravemente ferito. Nonostante le cure di Will e James, non abbiamo potuto fare molto.
Era colpa sua, Hazel lo sapeva. Non sarebbe dovuta uscire, di sua spontanea voltontà, senza avvisare. Era colpa sua se Frank stava così. Non doveva comportarsi così. Sapeva che aveva sbagliato, ma ora era troppo tardi per tornare indietro. Hazel voleva piangere e pianse, perchè era così che doveva sentirsi. Si stava piangendo addosso, lo sapeva, ma non le importava. Era colpa sua e la sua colpa doveva rimanera.
-Si sveglierà, Hazel. Non devi preoccuparti, faremo ciò che è in nostro potere per salvarlo.
Hazel l'ascoltava. Annabeth la salutò, lasciandola sola. Hazel s'appoggiò al letto e si addormentò, sperando che sua padre non avesse intenzione di portare via il ragazzo che amava.

Rinchiusa nella sua stanza, Amanda guardava il soffitto. Non usciva molto da quella stanza. Aveva paura di essere giudicata dopo quel giorno in cui si era trasformata in un mostro. Si girò su un lato e guardò la spada che le aveva dato Nico. Una spada nera che trasmetteva paura. Il figlio di Ade le aveva dato quell'incipit che le serviva per esere forte. Soffriva, ma da quelle sofferenze poteva far nascere il potere. Bussarono alla porta. Amanda, scocciata dal doversi alzare dal suo comodo letto, andò comunque ad aprire la porta. Alec era lì. Ci aveva parlato poche volte da quando erano arrivati sulla nave.
-Hai bisogno di aiuto?- domandò Amanda diretta. Lasciò Alec entrare nella camera e lei si avvicinò a gettare sul letto della stanza. Il figlio di Cupido s'avvicinò a lei e con voce tranquilla, come se non avesse paura di lei, disse:-Ho bisogno del tuo aiuto.
-Di che cosa avresti bisogno?
Si sentì un fruscio di ali e Amanda si voltò verso Alec. Ali bianche, da angelo, erano sulla schiena del ragazzo: belle ali  dal piumaggio candido.
-Insegnami a controllarle- disse lui in tono supplichevole- Ho visto quando ti alleni. Tu le controlli.
Non poteva negare aiuto a chi, come Alec, aveva bisogno di aiuto. E poi, suo padre diceva sempre che amore e morte andavano sempre a braccetto e, se lo diceva lui, che era il dio della Morte, chi altro poteva affermarlo.
Amanda annuì:-Ti aiuterò.

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Capitolo 43
*** PARIGI ***


SENSI DI COLPA

Il Sole nasceva e risplendeva sui campi di lavanda che si stavano preparando a fiorire. Piper si sporse dal parapetto per osservare la città su cui stavano passando sopra. Erano giunti all'alba in Provenza e si stavano dirigendo a Parigi, dove sarebbe toccato a lei. Aveva paura. Temeva di non farcela, perchè non era come Annabeth o Reyna. Lei era meno potente. Non aveva la loro forza o la loro furbizia. Lei aveva un pugnale sfortunato e una bella voce... nulla di più. Aveva già deciso chi portare con lei: Kya e Alec. Non sapeva  perchè avesse scelto loro, ma era convinta che solo con il loro aiuto avrebbe potuto farcela. Leo era al timone, con la pietra che aveva trovato a Barcelona tra le mani, come se il calore che essa gli donava gli servisse per vivere. 
Piper aveva paura di non farcela e temeva che, per questo suo sbaglio, la guerra l'avrebbero persa e, allora, il loro lavoro non sarebbe servito a nulla. Mancavano ancora molte tappe prima di tornare a casa. Il viaggio era lungo e piene di insidie. Piper aveva paura di essere colei che avrebbe mandato tutto a rotoli.

Amanda e Alec erano nelle stalle dei pegasi ad allenarsi. Amanda era cresciuta con la consapevolezza di essere una semidea e di avere doni specifici e particolari. Alec non aveva avuto questa possibilità. Arrivato al Campo Mezzosangue, Alec era scappato con il resto dei semidei a New York, dalla mamma di Percy e non aveva avuto modo di sviluppare questi doni.  Aveva avuto una vita avvolta nel lusso, Alec, ma si era sempre nascosto sotto vestiti vecchi e con i buchi. Non era il classico ragazzo straricco che si pavoneggiava, no. Lui aveva preferito negare tutto e vivere una vita con il minimo indispensabile, senza andare a comprare vestiti ogni giorno, come sua madre, imprenditrice di grande successo, era solita a fare. A lui piaceva la semplicità e, quando era giunto al Campo Mezzosangue, si era sentito, per la prima volta dopo molto, felice e libero. Aveva scoperto il suo posto, la sua casa e aveva abbassato le sue difese, perché, lì al campo, si era sentito parte di qualcosa e libero da tutte le regole che la società, al di fuori delle barriere magiche, gli imponeva. Gli avevano detto più volte, però, che la sua vera casa era il Campo Giove, ma a lui non importava, voleva rimanere al Campo Mezzosangue. Quando, poi, Giuly aveva attaccato quella che era diventata la sua casa, aveva conosciuto Valentina e Rick, all'inizio due personaggi schivi e poco calcolati al campo, ma bravissimi nelle attività. Era stato torturato, lui. Giuly aveva, nelle sue schiere, scienziati del mondo mortale. Avevano fatto degli esperimenti su di lui e avevano provato anche a strappargli le ali. Lui aveva combattuto, sfoderando anche il suo demone interiore. Aveva ucciso quel giorno, per la prima volta, poi era stato trascinato via dai semidei delle schiere di Clarisse che aveva ufficialmente preso il posto di comando, per poi affidarlo a diversi di loro, di cui era sicura della fedeltà, lasciando il campo con Chris e Rachel. Era stati tempi bui, quei giorni al campo, e Alec sapeva che non era finita lì. 
Amanda, intanto, non riusciva a capire perchè Alec non riuscisse a far uscire il demone che c'era in lui. Aveva provato di tutto: rabbia, paura e desiderio. Nulla, Alec era impossibile. A breve sarebbero arrivati a Parigi e Alec avrebbe dovuto affrontare la sfida che aspettava ai figli dell'amore e Amanda temeva che il figlio di Cupido non fosse pronto. 
Era sera tardi e la mattina successiva sarebbero giunti a Parigi. Avevano fatto una sosta in una delle piccole città della Provenza per fare rifornimento di cibo. Erano in molti su quella nave e dovevano spesso fermarsi a comprare gli alimenti. Di solito mandavano Frank, Hazel e Jason che spesso tornavano feriti e a mani vuote, allora mandavano altri. Erano braccati come prede. 
Amanda colpì  con il pomo della spada lo stomaco del figlio di Cupido  e quello cadde a terra. La figlia di Thanatos si soffiò via una ciocca di capelli dal viso e disse:-Non va bene.
-Dici?- ribatté lui ironico. Si asciugò con la manica della felpa la fronte sulla quale cadeva il ciuffo biondo. Gli occhi erano azzurri come il cielo e aveva i lineamenti duri e spigolosi, come suo padre. Amanda aveva visto solo una volta nella sua vita il Dio dell'amore e non era stato un bell'incontro, ma quella era una parte della sua vita che non le piaceva raccontare. 

-Due giorni che ci alleniamo ed inizio a stancarmi di questa situazione!- sbottò la giovane. La porta della stanza di aprì e Amanda, per riflessi, lanciò il suo pugnale. Non si sentì il pugnale si conficcarsi nel legno. Dalla penombra, uscì Kya, la figlia di Ishtar, con il pugnale nero di Amanda in mano. Lo scagliò contro il bersaglio e lo centrò, nell'ultimo cerchio. 
-Sbagli il movimento del polso ma ci possiamo lavorare- commentò la figlia di Ishtar. Amanda ribolliva di rabbia. Questa rabbia, prese il sopravvento e le sue ali si spalancarono, spuntarono i canini e gli occhi divennero rossi, come il sangue. Kya rimase calma e pacata e, quando Amanda attaccò, saltò e assunse la forma di leonessa dal manto oro  e occhi rossi. Ruggì e Amanda ripiegò le ali nere e mano a mano scomparvero dalla schiena. La figlia di Ishtar tornò umana, si avvicinò alla figlia di Thanatos e disse:-Le emozioni ti controllano, così finirai per farti male. Non deve essere il demone a controllarti, devi essere tu a controllare lei. Devi predominare.

-Cosa ne sai tu dei demoni?- domandò Amanda con rabbia. Kya si sedette accanto alla figlia di Thanatos . Sorrise ad Alec e gli fece cenno di sedersi accanto a lei. Alec, con grazia, si sedette a gambe incrociate e prese a dondolarsi avanti e indietro.
-Sai Amanda, solo perchè ti conosci da più tempo, non vuol dire che sai come far uscire il demone. Io ho dovuto imparare da sola. Nessuno al Campo Mesopotamia è nato con l'animale dentro di sè, te lo devi guadagnare. Magari Alec ha bisogno di sentimenti positivi e non negativi.
-L'animale è diverso dal demone- commentò Amanda. Kya scosse la testa:-Entrambi hanno bisogno di sangue. Bisogna dominarli però. Avremmo bisogno di voi al pieno delle vostre potenzialità quando verrà l'ora. Detto ciò, ragazzi, vi do la buonanotte.
S'alzò e andò verso la porta. Amanda voleva che qualcuno l'aiutasse, qualcuno che la capisse e che capisse il demone dentro di lei.
-Aiutaci, per favore- disse la figlia di Thanatos. Kya si voltò verso i due ragazzi e annuì.

Parigi era bella vista dall'alto. La torre Eiffel l'avevano vista da lontano e i sobborghi della città li avevano accolti. Erano giunti di notte, ma dovevano aspettare ancora molto per lascire la città, dirigendosi verso la meta successiva.  L'incontro era stabilito per le dieci, sulla cima della torre. La città brillava sotto la luce della luna e le luci la rendevano un gioiello prezioso. Piper si sporgeva dal parapetto a guardare la città, rimuginando sui tempi passati al campo a pensare che nulla si sarebbe più messo tra loro e felicità. C'erano lei e Percy. Leo era andato sottocoperta, nella sala motori ad aggiustare qualcosa di cui Piper non sapeva nulla, se non che serviva per riscaldare la nave, proteggendola dal freddo che c'era fuori.
-Sei preoccupata, vero Pip?- domandò Percy. Avevano costruito uno strano rapporto loro due ed erano diventati come fratello e sorella. Si confidavano ogni cosa ed erano inseparabili. A Piper non dispiaceva quel rapporto, anche perchè lei e Percy avevano molto in comune. Percy non la giudicava, la capiva, cosa in cui anche Jason faceva fatica, alcune volte.
-Non sono pronta a ciò- rispose la figlia di Afrodite. Percy sorrise:-Nessuno di noi lo è, Pip.
-Non tutti sono potenti come te, Percy. Non tutti hanno la tua stessa forza o coraggio.
-Ma tu sei forte, Piper. Ricordi ciò che disse tua madre, prima che partissimo per la Grecia? Tienilo a mente e non scordartelo. Tu sei coraggiosa. Ti sei opposta a Chione, grazie a te ci siamo uniti e siamo arrivati ad Atene, sull'acropoli. Ce la farai, Piper. Se avrai bisogno, urla. Ti sentiremo e verremo ad aiutarti.
Piper abbracciò il figlio di Poseidone. Annabeth era fortunata, glielo aveva sempre detto. Mentre il sole sorgeva, Piper guardava l'orizzonte e la torre Eiffel, dove avrebbe dovuto affrontare la sua sfida. Fece una colazione abondante con frutta, pane e marmellata e succo d'arancia. Presto, anche Kya e Alec arrivarono e Percy preparò i pancake blu, come piacevano a tutti. Finita la colazione, Piper andò a farsi uan doccia e iniziò a prepararsi. Jason dormiva ancora e Piper lo guardava dormire dallo spioncino della porta. La spinse ed entrò. Lasciò un bacio sulla fronte del semidio e uscì dalla stanza. Sperava di ritoranare. Salì sul ponte. Il vento era freddo e la luce era ancora poca, ma abbastanza. In molti erano lì. Reyna e Valentina combattevano furiosamente, Jo era sull'albero maestro insieme ad Anne, Hermione e Annabeth disctevano sui libri e informazioni. La grifondoro si era ripresa poco a poco e Will le aveva dato il permesso di uscire dalla stanza dell'infermeria. Lou Ellen e Ziah Rashid si esercitavano con la magia e Zeyla e Kate parlavano tra di loro. Kya e Alec la stavano aspettando vicino alla polena, insieme a Percy. Piper si avvicinò e Annabeth la seguì. Era lei quella che comandava lì.
-Sapete cosa dovete fare, vero?- chiese la figlia di Atena. Annuirono tutti e tre e Annabeth ammise:-Non voglio mentirvi... Abbiamo Drew alle calcagna, quindi dovrete stare molto attenti. Ha una schiera di mostri e semidei, con lei. Evitate di farvi catturare e, o, uccidere. Siate prudenti ragazzi.
Piper annuì, poi scese dalla scaletta che Annabeth aveva calato. Percy abbracciò la cugina di slancio, ordinandole di tornare viva. Scesero dalla nave e si diressero verso la Torre Eiffel. La gente camminava velocemente, quasi correndo. Loro si facevano largo a spintoni. Correvano, perchè mancava poco, giusto il tempo per salire sulla torre. Correvano, senza pensare a nessuno. Scavalcarono la staccionata di ferro dietro la torre. Il tempo scorreva e loro, di tempo, non ne avevano. Presero l'ascensore e salirono sino in cima. Il vento, lì, era impetuoso, come se Eolo ce l'avesse con loro. I mortali guardavno dall'alto Parigi, ammaliati dalla bellezza della città. Piper era preoccupata. Non si era ancora visto nella di pericoloso. Alec le toccò la spalla e le indicò un puntino nero che andava verso di loro.
-Te pareva!- esclamò la figlia di Afrodite- Va bene, facciamo sloggiare i mortali. Non è un posto adatto a loro.
Kya annuì e urlò:-Va bene gente, la visita è finita, prendete l'ascensore e dirigetevi all'uscita. Grazie.
La gente, come iptonizzata, eseguì gli ordini della semidea: si diressero all'ascensore e scesero. Rimasero solo loro tre: tre figli dell'amore.
-Adesso ci si diverte- commentò la figlia di Ishtar. Aveva trasformato il suo anello in una katana dalla lama nera. A Piper ricordava il ferro dello Stige, quel materiale con il quale i figli della morte (Ade, Thanatos e le altre divintà infernali) costruivano le loro armi. Alec era sbiancato completamente, ma aveva comunque preso fuori il suo arco e lo teneva stretto tre le mani. Piper aspettava. Aspettava che il puntino nero fosse abbasanza vicino per attaccare. Il puntino nero si avvicinava sempre di più rivelandosi un pegaso bianco con a cavallo Drew, seguita da un esercito di arpie e giganti iperborei. Drew se li era fatta amici probabilemte e li aveva condotti a Parigi. La città avrebbe affrontato il più lungo e gelido inverno della sua storia. Rideva Drew, come una pazza. Piper si domandava se le avessero fatto il lavaggio del cervello. Non era da escludere.
-Che razza di mostri sono?- chiese Kya. Piper mantenne lo sguardo sull'orizzonte:-Arpie e giganti iperborei.
-Bene. Polli e giganti. Sono cattivi?
-Solo le arpie. Solitamente i giganti sono tranquilli, se non vengono aiziati- rispose Alec tramando.
-Fantastico- borbottò la ragazza spostandosi i capelli dal volto. Drew era molto vicino, ormai. Piper sfoderò Katropis e corse verso l'altra figlia di Afrotide. Piper colì il finaco del cavallo di Drew, la quale ferì l'altra con la lancia. Kya cose in suo soccorso, con la katana nera in mano. Drew scese da cavallo e attaccò la figlia di Ishtar con rabbia e Kya rispondeva con la calma. Alec era impegnato a combattere contro le arpie e Piper si occupava dei giganti iperborei. Pensava che non ne sarebbero usciti vivi. Drew era forte e aveva alleati forti. Loro erano semidei... solo semidei. Il Sole intanto faceva sempre più luce sulla città e il loro tempo stava per scadere. Piper lo sapeva. La katana di Kya colpiva la lancia di Drew con forza. La figlia di Ishtar era forte e veloce, probabilmente dovuti al costante allenamento. Infatti, appena arrivata sulla nave, on aveva perso occasione per seguire un allenamento complesso e faticoso. Piper aveva paura di scoprire che cosa c'era vermente dietro. Drew era lenta rispettoa Kya, ma riusciva comunque a tenerle testa. La figlia di Afrodite nemica, però, aveva altre armi da usare contro la figlia di Ishtar. La voce, probabilmente, era la sua arma più potente.
-La tua amica ti ha abbandonato- disse Drew-Ti senti ferita, immagino... Sei stata una stolta... Insomma, anche uno stupido se ne sarebbe accorto.
Kya piangeva in silenzio, mentre colpiva Drew, infatti, lacrime limpide le scorrevano sul volto. La katana sferzava veloce l'aria mentre la figlia di Ishtar urlava:-Non è mia amica.
Piper osservava la semidea, poi notò che la luce del Sole colpiva esattamente la punta della Torre Eiffel. Era arrivato il momento. Piper corse più forte che potè. Alec, che era libero al momento, saltò con lei, spalancò le ali bianche e la prese da sotto le ascelle. Piper sorrise. Volarono in cima, sulla punta, ma solo Piper ci arrivò. Alec era stato afferrato da un gigante iperboreo, il quale lo stringeva nella sua enorme mano di ghiaccio. Gli stava facendo male. Le ossa erano fragili, specialmente quelle delle ali. Piper si rivolse al gigante:-Lascialo.
Mise in quella parola tutta la sua disperazione e la sua forza. Il gigante non lasciò andare il figlio di Cupido che urlava dal dolore. Il cuore di Piper batteva forte. Non voleva che nessuno si facesse male. Urlò, urlò forte questa volta. Urlò come mai aveva urlato prima. Sotto, i vetri, degli edifici intorno, esplosero. Drew si tappò le orecchie. Alec riuscì a liberarsi e Kya stese Drew con una mossa di karate.La figlia di Afrodite smise di urlare e tutto rimase in silenzio. La luce sopra di lei brillava ancora. Piper allungò la mano affondandola nella luce rosata. Pescò due sfere e si domandò perchè. Alec la raggiunse volando, la prese da sotto le ascelle e la portò giù. Kya aveva riposto la sua katana, trasformandola in un anello argentato.
-Tutto okay?- domandò la figlia di Ishtar. Piper scosse la testa:-Ne manca una.
-Quale?- chiese Alec ripiegando le ali.
-La tua, Kya.
-Io ce l'ho già- commentò la ragazza, sfilandosi l'anello. Pensò alla spada , quella bella che aveva visto solo una volta a doppio taglio bella, dalla lama nera, l'elsa argentea, con rubini e diamanti incastonati. Piper la guardava a bocca aperta. L'aveva avuta sempre lei. Piper quella notte si era fatta mille domande, perchè aveva sentito qualcosa dentro di lei che le diceva che non avrebbe trovato tutto ciò di cui aveva bisogno. Ora capiva.
-La vera domanda è un'altra- commentò Alec-Come hai fattp Pip a lanciare quel potente urlo?
Piper scosse la testa. Non lo sapeva. Percy invece sì. Era lui che le aveva detto di urlare. Doveva fargli delle domande e trovare risposte. Il Sole venne oscurato e un'immensa nave volante comparì sopra di loro. Dal parapetto, si sporsero un ragazzo biondo e uno moro. Piper sorrise e salì dalla scaletta di legno che aveano battuto giù i ragazi. Giunta sulla nave, baciò Jason a stampo e abbracciò Percy, perchè era giusto così. Le aveva salvato la vita, in fondo. Doveva però capire come fosse possibile. Era una ccosa che potevano fare i figli di Apollo, come Will, non i figli di Afrodite. Sciolse  l'abbracciò e lasciò che la figlia di Ishtar abbracciase il cugino.
-Com'è andata?- domandò i figlio di Poseidone. Alec storse le labbra:-Poteva andare meglio.
-Abbiamo incontrato Drew- commentò Piper- Abbiamo tutti i mostri contro. La lingua ammaliatrice non funziona. Forse...
-Le chimere- disse Alec- Le hanno sguinzagliate... Sarà difficile arrivare alla fine del viaggio.
Percy era pensieroso e triste:-Indite una riunione. Nella sala di allenamento, Tra dieci minuti.
Annuirono tutti e si dispersero nella nave. Kya rimase lì, per parlare con il cugino. Pensave, Percy. Pensava che se esistevano loro, gli egizi, gli asgardiani e i mesopotamici, dovevano esistere anche i mesoamericani.
-Pensi a quello che sto pensando io?- chiese la semidea. Percy incrociò le braccia:-Non lo so... Pensi che mi stia sbagliando?
-Penso che tu abbia ragione, Percy. Piper... viene da lì?
-Non lo so, cuginetta. È possibile che suo padre o qualcun'altro ne derivi. I cherokee sono indiani, non indigeni... però...
-Può essere. Vuoi proteggerla, vero?
-È come se fosse una sorella, Kya.
La semidea annuì. Percy l'abbracciò e Kya ricambiò l'abbraccio. Aveva bisogno di stare vicini, insieme. Insieme, poi, si diressero nella sala di allenamento, dove avrebbero deciso cosa fare.

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Capitolo 44
*** DISTRUZIONE ***


DISTRUZIONE

Era giunto il tempo, orai. La cosa migliore per tutti. Avevano già deciso. Reyna ci stava male, ma era necessario. Mancavano si e no nove mesi alla grande guerra e loro erano ancora in Europa. Dovevanoa ndare lontano, viaggiare per tutto il globo e tornare a New York, poi andare a San Francisco. Dovevano fare presto. Era il 21 marzo. tre mesi per girare il mondo... poco. Ed era lì, sul ponte, a guardare Parigi. Non le era mai piaciuta la città dell'amore, ma solo in quel momento riuscì ad apprezzarla. Alex la raggiunse sul ponte. Stavano assieme da qualche mese, ma solo Reyna sembrava metterci tutta sè stessa in quella relazione. Lui sembrava essere interessato solo al potere della semidea. Perchè la figlia di Bellona aveva potere al Campo Giove e Alex sembrava essere interessato solo a quel potere. Reyna credeva di dover sistemare le cose. Così erano sul ponte. reyna era seria e lo guardava. Guardava i capelli castani che arrivavano poco sotto il mento e gli occhi color rame, che l'avevano catturata la prima volta.
-Tutto okay, Reyna- chiese lui. Reyna scosse la testa. No, non era tutto okay. Avevano dei problemi, loro due. Problemi che dovevano risolvere, perchè Reyna non poteva andare avanti così, a dubitare costantemente della fedeltà di lui.
-Dimmi che cosa ti turba- le disse e allora Reyna buttò fuori tutto quello che provava, i dubbi, senza trattenere nulla, perchè era stanca di trattenere i suoi sentimenti, Si era pentita quando non aveva detto a Jason che cosa provava per lui. Era stata gelosa di Piper per qualche mese, per poi scoprire che Jason non le piaceva così tanto. Doveva buttar fuori tutto. Alex l'ascoltava annuendo e poi, quando la ragazza finì, disse:-Hai ragione Reyna. Forse è il caso di finirla qui. Voglio solo precisare un fatto: io non stavo con te per il potere... no. Io stavo con te per le informazioni. Sapevo che Annabeth ti avrebbe confidato tutto e devo ammettere che all'inizio puntavo a lei, ma c'era già Percy, perciò sono venuto da te.
Reyna spalancò gli occhi neri. Era lui che passava le informazioni ai nemici, perchè era da un po' che sapevano dove si dirigevano e attaccavano non appena ne avevano l'opportunità. Reyna lo sapeva che qualcuno passava le informazioni ma non sapeva chi. Ora, conosceva il volto della spia. Sfilò la spada, Reyna, dal fodero e la puntò contrò Alex, alla gola. Con le lacrime agli occhi, Reyna urlò:-Scendi dalla nave. ORA!
Il suo urlo rimbombò sulla nave. Si sentì la porta sbattere e vide Johanna correre verso di loro con dei coltelli in mano. Alex, intanto, aveva sfilato dal fodero un gladius e aveva attaccao Reyna. La figlia di Bellona era veloce, ma Alex era un discendente di Noto, un dio del vento, e questo gli tornava utile contro la figlia di Bellona. Johanna corse, con i coltelli in mano e si unì alla battaglia. Presto giunsro Jason, Percy, Talia e Annabeth al seguito. Quando li vide, Alex saltò sopra al parapetto, ormai messo alle strette dalle due ragazze, e saltò giù, gettandosi di schiena, salutando prima i semidei e lasciandoli con la promessa che si sarebbero rincontrati, prima o poi. Scomparì, poi, nel vuoto. Reyna era arrabbiata con lui, con sè stessa. Aveva permesso ad Alex di controllarla. e sfruttarla per fare il doppio gioco. Era così che Reyna si sentiva: usata. Strinse forte l'elsa della spada. Appena si sarebbero scontrati, non avrebbe avuto pietà per il ragazzo. Lui non sarebbe uscito vivo dalla battaglia, la prossima volta, perchè nessuno poteva giocare con i sentimenti di Reyna Avila-Ramirez Arellano. Avrebbe combattuto per vendicarsi.
-Reyna- la chiamò Johanna- Non senirti in colpa, okay?
Reyna annuì, ma lo fece solo pe far contenta òa figlia di Marduk. Reya si sentiva in colpa e avrebbe voluto tornare indietro nel tempo, ma non poteva.

Hermione stava uscendo dalla sua cabina. Aveva pianto per l'ennesima volta. Ron non riusciva a capirla e lei ci stava male. Soffriva, Hermione. Mentre usciva dalla cabina, si asciugò l'ultima lacrima. Sentì la porta accanto alla sua chiudersi e lo vide: Draco Malfoy. I capelli platino gli cadevano sul viso, gli occhi ghiaccio erano arrossati e il volto era quasi scheletrico.
-Hey- la salutò Draco. Un sorriso si fece spazio sul volto del ragazzo. Hermione abbozzò un sorriso:-Hey.
Perchè era così attratta da lui? Perchè voleva sentire le sue labbra sulle sue? Perchè voleva essere abbracciata da lui.
-Come stai, Hermione?- domandò il serpeverde  avvicinandosi. Hermione prese a tremare come una foglia:-Bene.
-Non è vero, Hermione. Hai qualcosa e non vuoi parlarne con nessuno. Perchè non parli?
Draco le aveva preso le mani della ragazza tra le sue, fredde. Hermione non le ritrasse. Aveva bisogno di qualcuno che l'aiutasse ad uscire da quell'orribile situazione. Draco, al momento, era l'unica, la peggiore probabilmente, ma l'unica.
-Draco- mormorò la grifondoro- Ho bisogno che...
-Che io ti stia lontano?- chiese lui- Hermione, non lo capisci, eh? Io ho bisogn di stare con te. Ho bisogno che tu sia felice perchè solo quando sorridi, sorrido anche io. Vederti stare con Weasley, che ti fa soffrire così, mi uccide dentro.
-Draco... Dio santissimo, perchè ti comporti così?!- sbottò la ragazza sfilando le mani- Perchè prima sei dolce e comprensivo e dopo antipatico?
-Hermione... Non capisci che ti amo?
-Non posso, Draco.
E mentre stava per andarsene, Draco l'afferrò per il polso, l'attirò a se e siguardarono negli occhi. Poi, il serpeverde la baciò e Hermione non capì più nulla. Muoveva le labbra in sintonia con lui. Era quasi magico. L'energia che trasmetteva quel bacio, l'attraversava. Tutto il suo corpo era percorso da quella carica elettrica. Draco le chiese di schiudere la bocca, una domanda muta, mentre passava la lingua sulle labbra della ragazza. E lei rispose di sì a quella domanda, facendo sì che diventasse tutto ancora più magico. Draco la prese in braccio, continuando a baciarla con foga.
-O Dei santissimi!- esclamò una voce femminile. hermione interruppe il bacio, si voltò, incontrando il volto paonazzo di Annabeth. La bionda era lì che li guardava con occhi spalancati, mentre Percy era un gradino più in alto e stringeva la spalla della figlia di Atena. Annabeth aveva i lunghi capelli biondi scioldi sulle spalle che cadevano davant agli occhi, come se volesse non vedere quello che stava succedendo. Il figlio di Poseidone, invece, teneva stretti i pugni , come se stesse sopprimendo la voglia di picchiare qualcuno. Hermione era preocupata. Che cosa stava accadendo? Perchè era così impulsiva nell'ultimo periodo?
-Hermione- disse Annabeth- Perchè?
-Annabeth, posso spiegarti... davvero...- mormorò Hermione in procinto di piangere. Annabeth la guardava e basta, senza emozioni e Hermione non sapeva che cosa fosse peggio, se lo sguardo gelido della bionda o i pugni serrati del suo compagno.
-Non c'è nulla da spiegare- commentò la semidea- Se vi amate...
-Non possiamo farci nulla- terminò Percy- Vi chiedo soltanto di dirlo a Ron, il prima possibile.
Percy si girò e salì le scale, senza voltarsi indietro. Annabeth lo seguì, ma lei chiese scusa, enormente imbarazzata. Hermione li guardava salire e si chiedeva che cosa avesse combinato. Si scostò da Draco e gli disse:-Devo mettere a posto delle cose...
-Hermione, perchè nascondi i tuoi sentimenti?- le chiese il serpeverde. Già... perchè? Hermione se lo chiedeva spesso. Perchè nascondeva  sempre tutto? Affondò le mani nelle tasche della felpa che le aveva prestato Annabeth. Si voltò e corse via, lasciando Draco in mezzo al corridoio a guardare la ragazza, mentre scappava da lui.

Dovevano andare via, lontano. dovevano lasciare la nave. Almeno loro.
Ziah camminava avevanti e indietro lungo la sua cabina. Che cosa stava facendo? Perchè era andata a cercare risposte sulla sua famiglia? Che cosa aveva fatto? Ora, come avrebbe dovuto comportarsi? Il cuore le batteva troppo forte ogni volta che ci pensava.
Al bussare della porta, Ziah sussultò. Comparvero dei capelli rosa e un viso dolce. Kya, la figlia di Ishatr, la cugina di Percy.
-Hey- la saluò lei- Come stai?
-Bene- rispose Ziah acida- Hai bisogno di qualcosa?
Forse era stata troppo brusca. Kya scosse la testa, mantenendo sempre il sorriso, poi aggiunse:-Volevo solo parlarti, prima che partiate.
Il cuore di Ziah batteva forte. Che la semidea avesse scoperto il segreto che Ziah s'ostinava a nascondere a tutti i suoi amici? Possibile, la ragazza era sveglia e non si lasciava sfuggire nulla, su quella nave.
-Ah... O-Okay- mormorò l'Occhio di Ra, quasi balbettando. Kya le sorrise e s'accomodò sul letto. Ziah era preoccupata, il cuore le batteva troppo fore e Kya sembrava percepirlo. Ziah non aveva mai visto una semidea così potente, senza considerare Percy, ovviamente, ed temeva la giovane che si trovava davanti a lei. Inoltre, temeva che anche tra le forze nemiche ci fossero semidei potenti come la figlia di Ishatr e si domandava come sarebbero riusciti a fermarli.
-Ziah... io so che è scioccante quello che hai scoperto... ma è la verità- disse piano Kya. Ziah scoppiò a piangere. La figlia di Ishatr l'abbracciò, accarezzandole i capelli scuri. Perchè era così complicata la sua vita? Perchè doveva sempre andare così? E così, Ziah confessò tutto alla ragazza. Le parlò del villaggio, di chi era suo padre: un Jackson a quanto sembrava. Le disse he aveva paura. Temeva che il Caos l'avrebbe cercata per farle versare anche il suo sangue ed era per quello che il padre l'aveva tenuta nascosta finchè poteva, cambiandole anche il cognome. A quel punto, Kya le mostrò il suo bracciò, dove solo pochi mesi prima Zoey le aveva procurato il taglio per farle versare il suo sangue sulla terra, per risvegliare la parte mesopotamica del Caos. Le disse che non era nulla, solo un taglio, inflitto da persone malvagie. Non doveva aver paura, ma Ziah non ce la faceva. Dei, se aveva paura... nelle sue vene, scorreva il sangue dei Jackson... ecco perchè era riuscita a fermare Apophis, bandendolo per un po' da questo regno.
-Kya- la chiamò percy entrando in camera. Le vide lì, una in lacrime e l'altra che la consolava.
-Che succede?-chiese il semidio- Ziah... che ti prende?
- Èuna di noi, Percy- mormorò Kya- Lei è una Jackson.
-Ma credevo che...
-Suo padre è nato da una relazione segreta tra nostro nonno e una donna del Nord Africa, ma è una di noi. Nel suo sangue c'è il gene dei Jackson.
Si guardarono negli occhi, i due cugini: viola e azzuro. S'aggiunsero anche gli occhi oro di Ziah. Assomigliavano tanto a delle pepite d'oro che brillavano alla luce del sole. Entrò poi Annabeth che li guardava fissarsi. si capivano. Ziah iniziava a leggere i loro occhi interpretando i pensieri dei due cugini. La figlia di Atena, intanto, rimaneva in silenzio. Forse anche lei leggeva i loro sguardi. Lei, effettivamente, era molto vicina all'essere una parte della famiglia Jackson, rimanendo, però, una Chase. Eppure, ormai, era una loro e faceva parte della famiglia.
-Si stanno preparando a partire- disse infine la figlia di Atena. Ora cosa doveva fare? Doveva andare, seguire Sadie e Carter, o rimanere sulla nave con i suoi parenti? Era confusa. Kya e Percy le stavano dicendo di andare, con gli occhi. Le stavano dicendo che quello era il suo posto, vicino a Carter e Sadie, perchè loro avevano bisogno di lei, come lei di loro. Non parlò, l'Occhio di Ra, voleva che il silenzio l'avvolgesse, solo per riflettere.  Voleva avere il Sole sul volto, sentendo il calore sulla pelle scura.
-Andiamo- mormorò Ziah, alzandosi da letto. Afferrò la borsa e uscì dalla cabina, seguita da Percy, Kya e Annabeth. Si diresse sul ponte, dove la stavano aspettando. Avrebbero viaggiato grazie ai portali, mentre gli altri avrebbero proseguito con la Heroes. Il luogo di ritrovo era New Delhi, in India. Da lì, tutti asieme, avrebbero raggiunto l'Australia, risalendo, poi, l'America Latina, arrivando, infine, a New York, entro il solstizio d'estate. Una lotta contro il tempo.
-Buona fortuna- disse Percy a Carter. Erano lui, Sadie, Ziah, Walt, Jaz, Cleo, Butch, che si era offerto volontario per andare con loro, Luna, Zeyla, Kate, Logan e Jo. Loro avrebbero viaggiato in Africa, mentre gli altri affrontavano le insidie dell'Europa.
-Che gli Dei siano con voi- disse Carter stringendo la mano del semidio. Leo, mentre abbracciava Sadie, mormorò:-Speriamo bene.
-Ci rincontremo a New Delhi e poi torneremo a casa, finalmente- mormorò Sadie abbracciando Annabeth. Si salutarono, un po' tristi, poi saltarono dentro al portale che Sadie aveva aperto con la magia di Iside. Percy sospirò, per poi urlare:-Tutti ai vostri posti! Facciamo rotta per Berlino.

Atterrarono in mezzo ad una grande folla urlante, riunita vicino ad un grande blocco nero. Erano circondati da una grande costuzione bianca, dalle alti e sottili torri e cupole d'oro.
-Dove siamo?- chiese Logan.
-Alla Mecca- rispose Carter- Siamo nel centro della religione Islamica.

Angolo Autrice che chiede cortesiamente di leggere, perchè si.
Allora, buon salve a tutti, come state? Io bene. Finalemente sono riuscita a pubblicare, applausi per me. Allora, che ne pensate? Voglio solo chiedervi di non abbandonare la storia solo perchè ci sono delle scene Drarmione o coppie che non sono canon, per favore, perchè non rimarrà tutto così, okay? Grazie mille. Ma ora, passiamo alle cose serie. Allora, mi è stato fatto notare che, siccome ci sono molti personaggi, è difficile ricordarsi tutto, quindi a fine di ogni capitolo (sempre se me ne ricorderò), farò una sorta di breve descrizione dei personaggi che appaiono oppure che appariranno, ma che conoscete già, magari allegerherò anche delle foto di persone molto simili ai personaggi. Allora, oggi affrontiamo Alex, Kya, James e Valentina.

Alex Smith: nato il 12 Settembre e suo padre è Noto, il dio del vento del sud per i romani. Appartine alla II coorte del Campo Giove, o almeno vi ci apparteneva. Prima di questo capitolo, era fidanzato con Reyna, anche se per scopi puramente malefici, come avrete capito sicuramente.

Kya Natasha Jackson (Colinwhere):  nata il 7 Novembre. Sua madre è Ishatr la dea dell'amore e della guerra per i babilionesi. Si riconosce per i capelli rosa, gli occhi viola e il carattere dolce e privo di tatto allo stesso tempo. Suo padre la nascose a Pierre dopo un attacco alla casa di Sally Jackson ( sorella del padre della figlia di IShatr), cambiando anche il cognome in Coliwhere. Appartiene alla casa 1 del Campo Mesopotamia. I suoi poteri vanno dall'amore alla guerra. Ha l'abilità di percepire i sentimenti, riesce a trasformarsi in una leonessa quando è senza armi. Inoltre è un'ottima combattente, l'unica, oltre ad Annabeth, che riesce a tener testa a Percy Jackson. Ha instaurato una relazione con James Brenson.

Kya Natasha Jackson

Kya Natasha Jackson

James Brenson: nato il 30 maggio. Sua madre è Bau la dea della medicina per i sumeri. Ha i capelli castani e occhi verde smeraldo. Ama la torta al cioccolato e il cappuccino con la panna. Appartiene alla casa 2 del Campo Mesopotamia. Esperto in medicina, James ha sempre un rimedio per ogni ferita. Inoltre, è anche uno degli ultimi maghi mesopotamici del mondo. Ha instaurato una relazione con Kya Jackson.

Valentina Romanov: nata il 21 dicembre, la ragazza, appena quattordicenne, è la figlia di Chione, la dea della neve

Valentina Romanov: nata il 21 dicembre, la ragazza, appena quattordicenne, è la figlia di Chione, la dea della neve. Capelli bianchi e viola e occhi azzurri come il ghiaccio.Ha l'abilità di creare neve e ghiaccio con le mani (Elsa approva). Di origine russa, la giovane si trasferì in America con il padre per questioni di lavoro. Parla correttamente americano e russo.

Valentina Romanov (più o meno)

Valentina Romanov (più o meno)

Bene, per oggi è tutto, gente. Baci e abbracci 😘💙

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Capitolo 45
*** LUCE ***


LUCE

Berlino: città che aveva fatto la storia nel 1900. Prima la Prima Guerra Mondiale: scatenata dagli austriaci ed espansasi in tutta Europa, vedendo l'Austria e la Germania contro quasi tutto il resto d'Europa. Era stata persa quella battaglia e la Germania era caduta in ginocchio. In seguito era arrivato Mr. Baffo ed aveva tentato un colpo di stato, ma era finito in galera. Quando però prese il potere diventarono cavoli amari e scoppiò la Seconda Guerra Mondiale. Una guerra con troppi morti e senza giustizia. Vi fu, dopo, il muro di Berlino e il suo abbattimento diversi anni dopo. Berlino, una città di storia. Il bel Palazzo del Reichstag, il parlamento tedesco, era sotto di loro e l'isola dei Pavoni laggiù, vicino all'acqua. Jason era in panico da prestazione. Di solito non era così. Normalmente era più calmo e rilassato, ma quella volta no. Sapeva che quello era il suo momento, non poteva fallire. C'era in gioco il mondo. Con lui, c'erano Draco, perchè gli voleva bene a quel ragazzo, e Jacob, che conosceva a malapena. Annabeth stava dando loro le ultime indicazioni per affrontare l'impresa. Era mattina presto, il Sole doveva ancor sorgere e anche se fosse stato già in cielo, i ragazzi non l'avrebbero visto, causa le nuvole grigie che coprivano il cielo. La giornata perfetta. Così, finite le ultime spiegazioni, Annabeth li lasciò andare. Leo li lasciò lì, vicino alla Porta di Brandeburgo, ma abbastanza lontano e in alto, da non poter vedere quello che accadeva laggiù. Erano cose personali, quello che succedeva sulla terra. La sfida era personale, per ogni gruppo di eroi. Percy e Annabeth avevano avuto sia la sfida fisica che mentale: la resistenza, la separazione e l'accetazione; un miscuglio che li aveva resi più forti. Sadie, Butch e Luna avevano dimostrato il loro valore diventando una squadra. Leo, Jo, Logan e Calipso avevano imparato a fidarsi gl'uni degli altri anche se si erano cconosciuti la sera prima. Piper, Alec e Kya, invece, avevano abbattuto ancora di più quella barriere che diceva che anche se sei un figlio dell'amore e della bellezza, tu non possa combattere come un figlio di Ares o Marte. A loro, cosa sarebbe toccato?
Raggiunsero a piedi la Porta di Brandeburgo. Era una grande porta di marmo. Non sembrava una porta, ma più un monumento di trionfo, come quelli che costruivano i romani. Sopra, c'era una statua di bronzo, probabilmente della dea Nike, la vittoria, su un carro trainato da pegasi.
-Ci dobbiamo arrampicare?- chese Draco torturandosi le mani. Jason annuì, afferrò il gancio per l'arrapicata e volò in cima, agganciandolo ad un perno, facendo sì che i due ragazzi potessero salire. I due sembravano scimmie. Draco ci provava, ad arrampicarsi, ma era piuttosto imbranato, anche dopo tutte le ore di allenamento. Jason si ripromise di farlo lavorare di più sul muro dell'arrampicata. Giunsero in cima, i due ragazzi, stanchi e sudati, come se avessero passatp pre a correre sotto il Sole. Jason passò loro una bottiglia d'acqua, che bevvero avidamente.
-Ora cosa dovrebbe succedere?- chiese Draco brusco. Jacob scosse la testa, finendo poi la bottiglia d'acqua. La terra tremò e, con lei l'edificio. Un qualcosa di enorme scese dal cielo. Era un volatile dal piumaggio nero e occhi gialli. Jason afferrò il suo gladius, pronto a combattere. Draco era spaventato, tanto che gli tremavano le mani. Sapeva che la magia non poteva nulla contro i mostri che stavano affrontando e non era pronto per un corpo a corpo. Jacob  sembrava non aver paura e, se ne aveva, non lo dava a vedere. Il corvo, perchè per Jason assomigliava ad un corvo, si appoggiò con le sue zampe giganti e gialle al parapetto del monumento. Aprì il becco nero e parlò:-Semidei dalle menzogne facili, perchè disturbate il mio riposo?
I tre si guardarono confusi. Jason non sapeva chi fosse o che cosa fosse quell'enorme corvo e, una parte di lui, non voleva scoprirlo.
-Allora?- chiese di nuovo il corvo. Fu Jacob a rispondere, inchinandosi davanti alle enormi zampe da volatile:-Siamo qui per ricevere le armi originali di Zeus e Utu. Puoi darci una mano?
-Stolti?- gridò il corvo- Solo chi è libero da ogni bugia può possederle. Per alcune armi bisogna essere forti, per altre intelligenti, altre ancore buoni di cuore. Zeus e Utu sono Dei che governano la legge e l'ordine. Voi, voi figli loro, non avete ancora il loro potere, il loro ordine interiore.
Jason scoppiò a ridere. Suo padre, Giove, o Zeus che si voglia, ordinato? Giove faceva la legge, ma difficilmente la rispettava. Era stato il primo a tradire quel patto che aveva sugellato con i fratelli Ade e Poseidone.
-Cosa ridi semidio?!- girdò il corvo. Jason s'inzittì immediatamente e guardò il corvo negli occhi e gli disse:-Nulla, ma volevo chiederle, mio signore, se fosse possibile sottoporci subito alla prova.
-Vuoi essere sottoposto alla prova, eh figlio di Giove?- chiese avvicinandosi a loro con il becco, gli occhi e tutto. Jason annuì e il corvo si ricompose:-E prova sia! Draco, perdonami per ogni cosa, ma necessito della tua mente e del tuo corpo.
Draco non fece in tempo a protestare che qualcosa, come uno spirito, s'impossessò del suo corpo. Jason fece per avvicinarsi all'amico, poi si ricordò della prova. Non doveva far trapelare nessun'emozione, nessun sentimento. Nessun sovrano l'avrebbe mai fatto, Jason lo sapeva.
-Spiegaci la prova- gli disse, al corvo, Jason. Il corvo si dondolò sulle zampe e disse:-Salvatelo, se riuscite.
Jason aggrottò le sopracciglia, però annuì. Non era una prova degna di Giove. Era confuso, Jason. E mentre Jason cercava una risposta, Draco s'avvicinò al bordo e saltò giù. Jacob urlò, attirandò l'attenzione del figlio di Giove, che evocò i venti e si lanciò all'inseguimento del serpeverde. Draco correrva veloce per le strade di Berlino, mentre Jason lo seguiva come poteva. Sapeva che se avesse sfruttato troppo i suoi poteri poi non avrebbe potuto usarli più, perchè troppo stanco. Correva anche lui, schivando vecchiette con la spesa, turisti che facevano foto e gente al cellulare che non guardava dove metteva i piedi. Sentì qualche vecchietta urlargli contro in tedesco, probabilmente insultandolo. Ad un semaforo, rosso, ovviamente, Jason s'appoggiò sulle ginocchia, cercando di respirare profondamente, preparandosi per riprendere quella corsa che pareva infinta. Cercò Jacob ovunque, ma non lo vide. Quando però una Ferrari rossa si fermò davanti a lui, capì perchè il suo amico non aveva corso con lui. Sorrise e saltò dentro la deccappottabile. Frecciarono per le strade di Berlino, superando i limiti di velocità e passando con il rosso. Quando Jason sentì le sirene della polizia non si meravigliò. Probabilemte avevano tutta la polizia di Berlino dietro di loro. Cercarono Draco ovunque. Erano sicuri che fosse uscito ad parco in cui era entrato, ma l'avevano perso di vista. Jason era proeccupato. Draco sembrava un sonnabulo e Jason non sapeva che cosa fare. Ad un certo punto, Draco si sarebbe acasciato a terra, privo di forze o morente per carenza di zuccheri e acqua. Dovevano agire in fretta.
-Qualche piano, Jason?- chiese Jacob mentre sterzava sbrucamente, evitando una mamma con il passeggino. Jason scoccò un occhiattaccia all'amico:-Ma ce l'hai la patente, te?
-Ti sembro una persona che prende la pantente?- ribettè l'altro. Jason alzò gli occhi. Si ricordò di quando aveva avuto una discussione con Percy sul prendere la patente, poi si era intromessa Annabeth, che aveva chiesto al figlio di Poseidone di ascoltarla un attimo, su una sua ricerca sul cervello. Aveva detto che i semidei usavano il 15% del loro cervello, mentre i mortali solo il 10%, che però i dottori mortali consideravano come 100%. Era per questo che soffrivano di dislessia, deficit dall'attenzione e iperattività, perchè era troppo per un'unica persona. Jason ricordava anche quando Annabeth aveva detto che in uno stato di sonnabulismo, un semidio non andava svegliato, a meno che non ne andasse della sua vita. Aveva aggiunto altro, ma Jason non ricordava. Perchè si era addormentato? Perchè non aveva prestato attenzione, dannazione!
-JASON!- urlò Jacob-Trova una soluzione, porca miseria!
-Ci sto provando! Annabeth una volta aveva parlato di sonnambulismo, ma non mi ricordo cosa disse- esclamò Jasob portandosi le dita alla testa.
-Amico, non credo che quello sia sonnambulismo. James saprebbe cosa fare. Lui ha la magia!
Schiavarono le macchine che arrivavano verso di loro.
-Facciamo il punto: Draco è posseduto, io e te siamo su una Ferrari e la polizia tedesca ci insegue. Forse Annabeth si arrabbierà parecchio. Aveva detto segretezza totale. Adesso che ci penso siamo già ricercati in mezza Europa- commentò Jason mentre contava con le dita i punti fondamentali. Jacob sterzò a sinistra:-Sai che novità. Io e gli altri siamo ricercati un po' in tutta America. Negli ultimi mesi abbiamo dato filo da torcere a Caos e questo è il risultato. Provi a salvare il mondo e il mondo ti viene contro. Che bel ringraziamento, davvero.
-DRACO!- gridò Jason indicandolo- Prendiamolo!
Jason aprì lo zaino che si era portato e prese la corda, poi spiccò il volo verso il serpeverde, mentre Jacob proseguiva in auto. Con una folata di vento, fece cadere il serpeverde a terra, poi gli legò i piedi e le mani, prendendolo in spalla e volando verso la macchina parcheggiata a lato della strada. Jacob era sceso e li stava aspettando. Jason posò l'amico a terra e Jacob s'avvicinò con la mano, raccogliendo la luce che c'era intorno. La posò sulla fronte di Draco, che urlò e si dimenò come un'anguilla, per poi rilassarsi. Jason scolse i nodi alle corde, liberando Draco.
-Perchè mi fanno male le gambe?- chiese il mago. Jason e Jacob sospirarono: il loro amico era salvo, per fortuna.
-Ce la fai a smaterializzarci?- domandò Jacob, mentre osservava la polizia accerchiarli. Draco sorrise e prese i due amici per le braccia. Cadderò poi in un vortice scuro e Jason dovette fare d tutto pur di tener lo stomaco dov'era e soprattutto la colazione, che minacciava di uscire. Atterrarono sulla Porta di Brandeburgo. Il corvo era ancora lì che si stava arruffando le piume. Jason s'avvicinò a passò svelto e puntò il dito contro il volatile nero:-Abbiamo salvato il nostro amico, ora dacci ciò che ti abbiamo chiesto.
-Semidio dall'animo puro, se avessi aspettato, avresti notato che non l'avete salvato. Bensì, avete peggiorato soltanto la situazione- rispose il corvo prontamente indicando con l'ala il mago che si stava contorcendo a terra- Il figlio di Utu che hai portato con te non è degno di prendere l'arma del padre. Non ha la luce interiore.
Jacob spancò gli occhi. Era vero, lui non aveva la luce interiore o sarebbe riuscito a purificare l'anima di Draco. Sua sorella, lei si che l'aveva, la luce interiore. Solo a pochi figli di Utu veniva concesso questo potere, il potere di creare la luce dal nulla. Kristen poteva, lui no. Era stato uno stupido. Parecchio stupido. Aveva obbligato la sorella a rimanere a casa, considerandola inadeguata per questa impresa, quando era lui quello indaguato. In realtà voleva solo proteggerla, nulla di più. Draco stava giungendo alla pazzia, quando da una luce comparve Kristen. Aveva le gambe sottili, i capelli biondi legati in una coda e gli occhi azzurri erano illuminati dalla luce da cui era sbucata fuori. S'avvicinò al mago e posò la mano sopra alla sua fronte e la tenne lì fino a che un rivolo scuro non gli uscì dalla bocca e cadde sul tetto. Kristen s'alzò e disse:-Dagli quello che vogliono pennuto.
-Semidea, seguirai i tuoi amici nella battaglia contro il male, perchè tu hai la luce dentro, ma hai ancora l'immaturità di una principessa ribelle. Tuo fratello ti aiuterà a trovare l'ordine e allora potrai evocare il potere di Utu. E ora, prendete e andatevene.
Il corvo s'alzò in volo e i ragazzi lo guardarono andarsene mentre due sferette, una oro e l'altra blu, cadevano dal cielo. Jason corse a prenderle, prima che si rompessero, afferrandole per pochi centimetri. Vide Jacob e Kristen parlare e sentì poco e nulla, ma era sicuro che il figlio di Utu avesse chiesto scusa alla sorella. I due s'abbracciarono, per poi entrare in un cortice di luce. Jason guardò Draco e gli disse:-Andiamo amico. Qui due ci hanno abbandonato.
-Santo cielo!- esclamò il biondo- Ho la testa che pulsa come una pneumatico.
-Non fare il melodrammatico. Aggrappati su- gli ordinò Jason aiutandolo ad alzarsi. Draco sbuffò:-Mi sento una principessa in pericolo.
-Felice di essere il tuo cavaliere- scherzò Jason mentre spiccava il volo. Draco lo guardò male:-Taci Grace, voglio dimenticare questa giornata.
-Ai suoi ordini mia signora- rise Jason mentre il serpeverde sospirava. Sarebbe stata una lunghissima missione, ma almeno si sarebbe divertito.

La giornata non era iniziata bene e non era finita come s'aspettavano. Ziah era stanca, parecchio stanca. Aveva scoperto di essere una Jackson e aveva accettato la cosa, in un certo senso. Ora non sapeva che cosa doveva dire quando le chiedevano come si chiamava e le era sorto il dubbio di dover mettere Rashid- Jackson quando avrebbe firmato per affittare un appartamento a Brooklyn tutto suo. Ovviamente se sarebbe tornata a casa viva, perchè non era tanto convinta. Da quando erano giunti alla Mecca, non avevano fatto altro che aspettare che scendesse la notte per agire. Avevano trovato ospitalità da amici del padre di Sadie e Carter. Avevano dato loro da mangiare, dei vestiti consoni al luogo e un posto dove riposare in pace. L'appartamentino era poco distante dalla moschea e si trovava al quarto piano di un edificio che non sembrava proprio stabile. Nonostante ciò, si erano adattati. Tutti si erano fatti un bagno caldo e avevano indossato i vestiti che la donna aveva portato: ovvero lunghi abiti scuri per le ragazza con velo incluso e vestiti bianchi per i ragazzi. Ziah si sistemò l'hijab e si sedette al tavolo basso intorno a cui si erano riuniti. Jo prese la mappa e la bussola incantate, posandole sul tavolo e stendendo la mappa. Mostrava l'Arabia e stava indicando in rosso la loro tappa. Carter utilizzò l'orologio per cronometrare quanto tempo la lancetta rossa della bussola rimaneva puntata sullo stesso punto. Dopo una ventina di minuti in cui Sadie e Luna andarono a prendere il the nella stanza accanto e Logan iniziò a sfogliare un libro in arabo, la bussola si mosse, indicando Ziah, che annuì sorpresa, accettando la missione. L'Occhio di Ra scelse di prendere con sé solo Jaz, quella sera. Quando venne la notte, le due ragazze si coprirono i volti con gli hijab, salutando i loro amici e sperendo di rivederli. Non si poteva mai dire, quando si era uno di loro. Le due ragazze calarono una fune lungo il palazzo e scesero. Quando toccarono terra, si lisciarono la gonna nera e controllarono che le armi fossero tutte a loro posto, per poi imbucarsi nella strada principale, affollata come poche. Camminavano a passo sciolto, non parlando. Quando giunsero davanti alle porte dell'edificio, Ziah si chiese come avrebbero fatto ad entrare senza che la polizia, o qualcun'altro di ostilile, le notasse. Il portone era chiuso, ma forse c'era un'entrata sul retro. Ziah fece cenno alla bionda di seguirla e lei così fece. Ziah camminó sino ad un vicolo poco distante che aveva adocchiato in precedenza. Lì, coperte
dall'oscurità, si tolsero le gonne scure e gli hijab, riponendoli nella Duat. Era una fortuna avere delle divise da ninja, come le chiamava Sadie, scure. Stavano per imboccare le scale antincendio, quando una voce maschile le fermò. Entrambe si votarono verso chi aveva parlato. C'era un ragazzo dalla pelle color caffelatte, capelli scuri e occhi che sembravano argento fuso. Ziah aggrottó le sopracciglia e chiese:-Cosa vuoi?
-Siete della Brooklyn House, vero?- domandò lui spostando lo sguardo dalla mora alla bionda e viceversa. Jaz assottigliò lo sguardo e borbottò:-Dipende da chi lo chiede.
-Io sono Fuad, giovane mago della Casa della Vita, Occhio di Shu. Vi sto seguendo da parecchio tempo- rispose il moro. Ziah lo guardò con le sopracciglia aggrottare e chiese:-Cosa vuoi da noi
-Unirmi alla vostra impresa, ovviamente. I maestri ci nascondono ciò che sta succedendo e puniscono chiumque cerchi risposte o un collegamento con gli Dei. Molte cose sono cambiate da quando ve ne siete andari.
-E tu come hai fatto a fuggire?- domandò Jaz- Non dovresti esser qui, se è vero quello che dici.
-Fortuna e un aiuto divino. Shu è il dio dell'aria, del resto- affermò lui incrociando le braccia e sorridendo. Ziah lo guardò con occhi che, nonostante il colore caldo che avevano, sembravano di ghiaccio, poi annuì, constatando che il giovane stava dicendo la verità:-Muoviti. Abbiamo un lavoro da svolgere.
Salirono le scale antincendio, arrivando sul tetto. Corsero sulle coperture delle case, fino ad arrivare alla casa più vicino alla Mecca. Si accucciarono, aspettando il miglior momento per agire. Ziah si voltò verso il nuovo arrivato e gli chiese:-Sai volare?
-Si- rispose lui- E sì, posso trasportarvi, se è quello che sta chiedendo. Però dobbiamo essere rapidi e il tragitto dev'essere corto.
-Il cornicione- commentò Jaz- Fino a lì ci riesci?
Il giovane annuì, poi prese le due ragazze per la vita e volò sino al cornicione, rischiando di cadere di sotto. Appoggiate le due ragazze si chinò sulle ginocchia, per riprendere fiato. Jaz gli porse una boccetta con un liquido azzurro e gli disse:-Bevi, ti aiuterà.
-Siamo sicuri che non mi ucciderà?- domandò il ragazzo, ma dopo l'occhiataccia della bionda bevve senza protestare. Ziah fissò di sotto e disse:-Dobbiamo scendere di sotto. Jaz, le corde.
Jaz prese dallo zaino due corde, porgendole all'Occhio di Ra, che le legò a degli spuntoni che erano sul cornicione, poi si calò giù atterrando in uno dei corridoi. Jaz e Fuad la seguirono, atterrando vicino a lei. Ripresero le corde e corsero ai pieni inferiori, quando dei rumori attirarono la loro attenzione. Gente, tanta gente, stava entrando nell'edificio. S'appiattirono al muro, cercando riparo tra le ombre.
-Che cavolo sta succedendo?- chiese Ziah. Fuad assottigliò gli occhi e rispose:-La preghiera... Che ore sono?
-Le dieci e un quarto- rispose Jaz. Fuad sbuffò e Ziah con lui, ma la ragazza era pronta per ciò, perchè speva che non poteva essere così facile. Ziah prese il velo e lo indossò, facendo segno a Jaz di fare lo stesso. Fuad ciolse la sua cintura di stoffa e se la mise sul capo, legandola con uno spillo. Risalirono le scale, cercando di non dare troppo nell'occhio. Ziah si guardava intorno, cercando un modo per portare a termine la missione. La gente riempì gli spalti e il piano terra, poi si tolsero tutti le scarpe e s'inginocchiarono sui tappetini. I ragazzi fecero lo stesso, senza però dire niente. Ogni volta che Ziah alzava lo sguardo, sperava che nessun mostro o dio assetato di potere fosse lì, per ostacolarli. Ma non poteva pretendere più di tanto, del resto erano ricercati, sia nel mondo reale che nel mondo divino. Quando alzò lo sguardo per l'ennesiama volta, vide sul cornicione delle persone, vestite con le tuniche bianche della Casa della Vita. Una in particolare attirò la sua attenzione e forse era dovuta al fatto che era lei. Ziah spalancò gli occhi e urlò:-Via! Tutti via!
Chi era vicino a lei alzò lo sguardo e, vedendo la gente sul cornicione opposto, corse via e presto divenne confusione pura. Ziah prese il suo bastone e saltò. La sua sosia, perchè non poteva essere altro, saltò anche lei. Ziah rotolò, atterando con grazia, poi corse verso il sosia e il sosia verso di lei. I loro bastoni si scontrarono. All'Occhio di Ra sembrava di vedersi allo specchio. Era lei, ma non sebrava lei. C'era qualcosa che le diceva che quella che era davanti era solo una pallida imitazione di lei. Era qualcosa dentro di lei che le diceva lei. L'Occhio di Ra non avrebbe mai pensato cose simili. Stava ragionando in terza, per caso? La Ziah falsa invocò il fuoco, mentre quella vera creava uno scudo magico. Jaz e Fuad li guardavano dall'alto con le sopracciglia aggrottate. Quando Jaz, però, alzò lo sguardo e vide il resto dell'esercito venirle addosso, sperò di non venir infizata da una di quelle lance affilate. Pregò qualche divintà e si lanciò di sotto, seguita da Fuad. Ziah, poco distante, combatteva sempre più agguerrita. Dentro di sè, sentiva una voce che le diceva di uccidere la sua sosia. Ci stava provando, ma sembrava che la sua gemella riuscisse a prevedere tutte le sue mosse.
-Liberalo- le diceva la voce dentro di lei- Liberalo.
Ziah invocò il fuoco e lanciò sfere infuocate verso quella che aveva soprannominato la Ziah malvagia. Il medaglione sul suo collo iniziava ad essere incandescente e a bruciare.
-LIBERALO!- gridò la voce dentro di lei. La riconbbe quando le sue mani iniziarono a brillare. Era Ra, il dio dentro di lei. Ziah urlò, sentendosi bruciare dentro, mentre una luce inondava tutto. La Ziah malvagia si sbriciolò davanti ai suoi occhi, cadendo in una pozza d'argilla. L'Occhio di Ra cadde a terra, sentendosi ancora bruciare le visciere. Jaz e Fuad l'accorsero, mentre i nemici si ritiravano e dal cielo cadevano tre sfere di diversi colori. Ziah si sentiva a pezzi e le gambe sembravano non sorregerle. Strisciò finò alle tre sfere e le afferrò stringendole nella mano. Guardò Jaz. Un graffio profondo era lungo tutto il suo braccio e il sangue le macchiava tutto l'arto. Fuad non era messo meglio: sembrava essere uscito da un tornado.
-Ottimo lavoro- mormorò Ziah prima di contorcesi dal dolore- Ora raggiungiamo gli altri e andiamocene da 'sta città.
Fuad prese l'amica in braccio, mezza svenuta. Aveva liberato tutto il potere di Ra ed ora ne pagava le conseguenze. Forse, non avrebbe dovuto utilizzare tutta quella luce. Era stata una pessima mossa.

Li osservavano, mentre erano lì, dentro alla Mecca. Lui si sporse un poco, osservano i tre uscire di fretta. Lei sembrava poco interessata, invece. I capelli violetti le incorniciavano il volto, tenuti fermi dalla spilla della luna. Una cuffia nera le copriva la testa, mentre la felpa era troppo leggera per impedirle di avere freddo. La conosceva da un sacco di tempo, eppure non l'aveva mai vista come una sorella o una semplice amica.
-Potresti concentrarti, per favore?- le chiese. Lei gli scoccó un'occhiataccia degna di nota con i suoi occhioni azzurri.
-Stai zitto, Seb- rispose lei acida. Lui alzò gli occhi al cielo e commentò:-Dove è Olive?
-Al momento è andata a comprare del pane o come cavolo lo chiamano qui. Sai, dobbiamo mangiare. La missione non è tutto- commentò la ragazza coi capelli viola morsicando una mela. Sebastian guardò l'amica e commentò:-Sì, è tutto. Ti ricordo che c'è il mondo a rischio.
Si sentirono dei passi e i due si voltarono, vedendo la loro amica con del pane azzimo in mano e delle carote. Lanciò la verdura al ragazzo e commento:-Brooke ha ragione, Sebastian.
-Idiozie- commentò il ragazzo- Lo sapete cosa succederà, vero?
-Secondo me stiamo solo peggiorndo le cose- commentò Brooke finendo la sua mela. Sebastian le scoccò un'occhiataccia e la giovane gettò il torsolo di mela a terra andando a colpire la testa di un passante, ma, con un movimento della mano, la ragazza rese, lei e i suoi amici, invisibili.
-Andrà a finire male questa storia- fece Olive spostandosi i capelli dal volto. Brooke annuì:-Confermo.

Angolo Autrice
*da dietro lo scudo di Captain America* Ciao, bella gente! Questo scudo? Nulla di personale, davvero. Tengo solo alla mia vita. Comunque, probabilmente è uno dei capitoli più lunghi che io abbia mai scritto. D'ora in avanti sarà così: vedremo sia i personaggi sulla Heroes si gli altri a cui devo dare un nome. Quindi... Beh, chi sono i tre ragazzi che vi ho presentato? Ditemi chi sono, secondo voi, e da che parte stanno. Detto ciò, vado, perchè se no mia sorella mi lincia male. Prima, però, i tre personaggi di oggi: Anne, Zoey e Logan

Anne Clark: nata il 31 gennaio. Suo padre è Assur il dio della guerra per gli assiri. Ha i capelli corti con sfumature verdi e occhi oro. Appartiene alla casa 1 del Campo Mesopotamia. Esperta in combattimenti, Anne non ha paura di niente, se non del suo passato. Ha un braccialetto d'argento donato dalla madre ceduto a Ki, dea della terra. Sua madre è morta in un incendio nella città, dove lavorava come pompiere. Prova un'attrazione verso Jacob, anche se non l'ammetterebbe mai.

 Prova un'attrazione verso Jacob, anche se non l'ammetterebbe mai

Anne Clark

Zoey Nightmare: nata il 4 marzo. Suo padre è Marduk, re degli Dei a Babilonia. Ha i capelli castani e lunghi e occhi che sembrano ambra. Apparteneva ala casa 1 del Campo Mesopotamia, ma si è unita al Caos per il potere, arrivando a catturare la sua stessa sorella. Non ha sentimenti dentro di se, questo perchè vi ha rinunciato quando era molto giovane. Ha avuto una relazione con Logan, rivelatasi poi una relazione falsa.

 Ha avuto una relazione con Logan, rivelatasi poi una relazione falsa

Zoey Nightmare

Logan King: nato il 31 ottobre. Sua madre è Ereshkigal, dea degli inferi. Ha i capelli e gli occhi scuri. Non ha una casa al Campo Mesopotamia, ma quella dove gli piace stare è la casa 2, insieme a James. La sua anima gemella è la sorella di Zoey Nightmare, Johanna Nightmare. L'ha cercata in lungo e in largo, trovandola solo quando ha deciso di seguire Kya nella ricerca della pergamena magica.

 L'ha cercata in lungo e in largo, trovandola solo quando ha deciso di seguire Kya nella ricerca della pergamena magica

Logan King (Dylan può)

Bene, e per oggi è tutto. Se avete delle domande da fare ai personaggi nominati la scorsa volta o oggi, fate pure, saranno contenti di rispondere. E ora, ciao!

 

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Capitolo 46
*** SPALLA A SPALLA ***


SPALLA A SPALLA

La giornata era iniziata peggio del solito, il che era tutto un dire. Avevano viaggiato su dromedari sporchi, lavato loro i denti, seguito un venditore ambulante per tutta la città e, in cambio, avevano ottenuto solo una porta sbattuta in faccia. Questo si che era rincuorante. Si sederono sui gradini e sperando che l'anziana signora li accettasse in casa. Almeno, Carter ci sperava. Non aveva lavorata come un mulo per poi ricevere una porta in faccia. Alzò lo sguardo al cielo e, con rammarico, disse:-Possiamo anche scordarci un pasto caldo per sta sera.
Sadie gli si avvicinò e gli tirò una sberla sulla testa facendo poi esplodere da bolla che aveva fatto con la gomma da masticare:-Arrenditi e te ne arriva un'altra, fratellone.
-Ahia!- esclamò Walt ridendo sotto i baffi. Carter le guardò male, ma l'Occhio di Anubi continuava a ridere, insieme a Sadie. Ziah gli prese la mano e, timida, lo incoraggiò:-Troveremo qualcuno, promesso. E la Casa della Vita non saprà mai che siamo stati qui, spero.
Carter annuì, poi alzò il velo che la ragazza portva e si s'alzò in piedi, incitando gli altri a seguirlo. Era passato solo un giorno da quando erano stati alla Mecca e Ziah sembrava riprendersi, lentamente, però. Quella luce l'aveva vista tutta la città ed era stata talmente potente che aveva messo a tappeto tutto l'esercito che si era scagliato contro di loro. Ziah l'aveva descritta come fuoco puro che bruciava. Carter aveva contattato Percy allora e lui aveva suggerito di lasciarla riposare, che si sarebbe ripresa di lì a poco. L'Occhio di Horus sapeva che Percy e la cugina, Kya, stavano cercando risposte per capire come mai il sague dei Jackson poteva risvegliare il Caos e come funzionasse "l'unione" delle loro abilità speciali. Carter aveva una mezza idea, ma sperava di sbagliarsi. Proseguirono per le strade camminando tra la folla, mentre il Sole calava all'orizzonte. Presto la Casa della Vita si sarebbe accorta della loro presenza e sarebbero stati cavoli amari per tutti, specialmente per loro. Continuarono a camminare finchè non sentirono i piedi stanchi e affaticati, allora si sedettero sul ciglio della strada, aspettando di riprendersi, concendendo ai piedi un attimo di tranquillità. Il giorno dopo, Carter avrebbe dovuto affrontare la sua sfida contro il tempo. Non sapeva bene ancora cosa avrebbe dovuto fare, ma conosceva il luogo d'incontro: le piramidi. Erano ancora distanti da dove si trovavano loro. Altra strada da fare. Carter non ne poteva più. E quelle piramidi le odiava. Le odiava parecchio.
-Dovremmo almeno arrivare a Giza, in modo da essere più vicini alle piramidi- commentò Jaz- Mi chiedo perchè la mappa ci ha fatto vvenire qui, quando potevamo andare direttamente a Giza.
Carter scosse la testa. Era quello che si stava chiedendo anche lui. La mappa li aveva mandati dove c'era l'arma originale, sempre. Perchè quel giorno doveva essere diverso? Oppure era diversa la questione. Forse la mappa li aveva mandati dove c'era bisogno di loro, dove c'erano i cattivi. Carter scosse la testa, scacciando via i pensieri:-Al momento dobbiamo preoccuparci di andarcene via da questa città. La Casa della Vita potrebbe rintracciarci con un semplice incantesimo.
Annuirono tutti e ripresero a camminare verso il confine della città. Ziah camminava accanto a lui e a Sadie, accanto a Walt. Ogni tanto Carter si girava per guardare la ragazza accanto a lei, incontrando i suoi occhi d'oro e il sorriso rassicurante che la giovane aveva messo su da quando erano andati via dalla Mecca.
-Hey!- esclamò Walt richiamando l'attenzione di tutti- Che ne dite di usare questo?
Indicò un pick-up in un vicolo. Era messo male, ma poteva funzionare. Avevano ancora tanta strada da fare e dovevano arrivare alle piramidi prima che il cielo si tingesse completamente di blu e si riempisse di stelle. L'incontro era previsto per mezzogiorno del giorno dopo, ma, come al solito, loro sarebbero stati impegnati sino a poco prima e sarebbe già stato tanto non perdere l'incontro. Carter annuì e Walt s'avvicinò al pick-up, guardando poi Sadie:-Ce la fai a rimetterlo in funzione?
-Posso provarci- rispose la bionda- Se non funziona tenetevi pronti a correre.
-Perchè?- chiese Luna, che, con i suoi occhioni innocenti, non faceva paura, ma Carter sapeva che era molto più pericolosa di quello che si pensava. Sadie storse le labbra:-La Casa della Vita ha sentito la presenza di magia e hanno già mobilito i maghi.
-E tu come fai a saperlo?- chiese l'Occhio di Horus alla sorella, che sorrideva furba. Sadie aveva sempre quel sorriso stampato sulle labbra che la maggior parte delle volte irritava Carter in una maniera assurda. La sorella appoggiò una mano sulla sua spalla e rispose:-Tu non lo sai, ma Jaz vede il futuro. A tratti, ma lo vede. Forte eh?
Carter si voltò verso Jaz che annuì, confermando ciò che l'altra aveva detto. Sadie aveva, intanto, appoggiato una mano sul cofano della macchina e diceva parole antiche che le fluttuavano attorno sottoforma di geroglifici d'oro, mentre una nebbiolina oro le girava intorno. Il pick-up fece uno strano rumore e poi partì. Walt scoccò un bacio alla bionda e, sorridendo, esclamò:-Sei fantastica.
La bionda si strinse la coda in cui aveva legato i capelli ed esclamò:-Lo so.
La ragazza montò poi sul pick-up accanto al ragazzo, che faceva segno agli altri di salire. Con un po' di difficoltà si sistemarono dietro, mentre Carter si sistemava davanti insieme alla sorella. Walt premette l'accelleratore e uscirono dal vicolo in cui il pick-up era incastrato, imbucandosi nel traffico. Nonostante Walt non avesse la patente, sembrava capace di guidare una macchina, almeno Carter lo sperava. Siccome però Walt non fece incidenti nei primi dieci metri, decise che era la persona adatta a guidare il pick-up. Sfrecciavano per le strade con velocità, mentre il Sole scompariva definitivamente dall'orizzonte. Si vedeva comunque la sua luce che tingeva il cielo più lontano di rosa e arancione, come se fosse stato infuocato. Chissà dov'era zio Amos o come stava. Sadie sorrise al fratello, rincuorandolo. Quando fratello e sorella erano spalla a spalla, chi aveva probabilità di vittoria? Nesssuno. Almeno così Carter sperava. Sadie appoggiò la testa sulla spalla del fratello e gli disse:-Andrà tutto bene. Siamo imbattibili quando siamo insieme.
-Speriamo che sia come dici tu. Al momento non mi sento invincibile- rispose Carter accarezzando le guace della sorella. Avevano imparato a prendersi cura l'uno dell'altro durante il tempo che avevano passato insieme ed ora erano diventati inseparabili: dove andava uno, andava l'altro.
-Positività, Carter, positività- ribattè la sorella prendendogli la mano e stringendola-Ce la faremo, vero Walt?
-Amico, se lo dice Sadie è così e basta- commentò il ragazzo sorridendo all'Occhio di Horus- Questa volta non siamo soli, perciò abbiamo più probabilità.
-Visto!- esclamò la bionda- Pensa positivo, Carter, come un protone: sempre positivo.
Carter ridacchiò mettendo un braccio intorno alle spalle della bionda e chiedendole:-Da quando ti intendi di chimica, Sadie?
-Credo che Annabeth abbia una buona influenza su di me- fece lei prendendo un cuscino dalla sua borsa e appoggiandolo sul grembo del fratello-Ora lasciami dormire, se no il prossimo incantesimo lo fai tu.
-Sai che non sono capace- ribattè prontamente il fratello dandole un bacio sulla fronte, mentre la ragazza si addormentava. Carter si scambiò uno sguardo con Walt, che tornò subito a concentrarsi sulla strada. Carter appoggiò poi la testa al finestrino e chiuse gli occhi, addormentandosi.

Leo non ne poteva più di fare avanti e indietro dalla palestra. Basta, veramente. Erano quasi arrivati a Copenaghen, per fortuna, e i ragazzi si sarebbero radunati presto nella palestra per decidere il da farsi. Il cielo era grigio sopra di loro e la pioggia minacciava di scendere. Prese una cima, sciogliendo il nodo per poi rifarlo, tirando la meglio la cima. Sbuffó e tornò ai comandi, maledicendo i cavi appena cambiati. Gli si avvicinò Harry con un sorriso stampato in facci:-Hey Leo.
-Ciao Potter!- lo salutò il figlio di Efesto-Allora, che mi racconti?
-Quanto durerà questo viaggio?- chiese il mago scompigliandosi i capelli e sistemandosi la sciarpa della sua casa ad Hogwarts. Odorava ancora di quel luogo intriso di magia che era stato la sua casa per anni.
-Non lo so Harry- rispose il semidio- Prima del solstizio d'estate, sicuramente. La battaglia finale sarà là, a New York. Perché chiedi?
Harry sospirò e guardò la città che iniziava ad estendersi sotto di loro:-Così, per chiedere.
-Dai Harry, tranquillizzati- gli sorrise Luke, appena salito sul ponte- C'è di peggio nella vita, sai.
-Davvero?- chiese Harry anche se sapeva già la risposta. Luke fece per pensarci su, poi rispose:-No, non credo ci sia di peggio, ma è rassicurante serntirselo dire, non credi.
Harry sorrise al figlio di Ermes, mentre Leo annuiva al commento del biondo, rispondendo:-Luke ha ragione. Pensa positivo, Harry.
Era quello che Luke si diceva spesso, anche se non sempre gli riusciva, non quando Talia gli lanciava delle occhiatacce fulminanti con quegli occhioni blu elettrico, che gli facevano mancare il fiato ogni volta che li guardava. Dal canto suo, però, Talia faceva come se lui non esistesse, cosa capibile siccome aveva tradito sia la fiducia di Annabeth che quella di Talia, con la differenza che Annabeth l'aveva perdotato, mentre Talia no. Provava ancora qualcosa per la figlia di Zeus, anche se lei non ricambiava. Probabilmente lei l'aveva dimenticato, invece.
-Cos'hai, Luke?- chiese Leo sorridendogli. Luke sorrise a sua volta:-Si, tutto okay. Andiamo. Annabeth sta per iniziare la riunione.
Leo e Harry annuirono, seguendo il figlio di Ermes di sotto, nella stalla, ora palestra per i semidei. Erano tutti seduti per terra chi a gambe incrociate e chi con le ginocchia al petto e il mento appoggiatovi sopra. Davanti a tutti c'era Annabeth con le braccia incrociate al petto e la  mappa e la bussola ai suoi piedi. Sorrise quando vide i tre entrare e iniziò il discorso non appena si sedettero per terra:-La tappa è Copenaghen. Luke è tua questa volta. Scegli chi portati.
Luke fece vagare lo sguardo sui presenti e ne vide solo uno che poteva fare al caso suo. La testa bionda spiccava tra quelle altre e il volto chino anche. Luke fece un sorriso sghembo e rispose:-Rick. Solo tu. Io e te, ci stai biondino?
Rick alzò la testa di scatto e sorrise al biondo:- Ne sei sicuro?
Luke annuì:-Preparati ragazzo. Oggi si lavora. C'è altro Annabeth?
-Uhm... no. Solo qualche informazione base- commentò la bionda ridacchiando-Dovrete andare al Ny Carlsberg Glyptotek. È un museo d'arte. Tra due ore.
-Scusa, ma cosa ci facciamo in un museo d'arte?- domandò Luke. Annabeth scosse la testa:-Non lo so.
Luke annuì, poi tutti iniziarono a disperdersi sulla nave. Luke scomparve dalla vista di Rick uscendo dalla stanza. Gli si avvicinò Vale, la sua migliore amica sin da quando si erano incontrati.
-Starai attento, vero?- gli chiese appoggiandosi con la testa alla spalla di lui. Rick accarezzó i capelli bianchi e viola dell'amica annuendo:-Tu promettimi che non farai niente di stupido.
-Tranquillo- rispose la figlia di Chione- C'è Talia che mi blocca.
-Tu e lei mi spaventate- commentò il biondo ridacchiando. La ragazza lo abbracció ispirando il suo profumo fresco come una ventata estiva.
-Ti voglio bene Richard- disse la ragazza contro la felpa di lui. Il figlio di Eolo strinse a se la ragazza. Sperava di tornare, per Vale.

Carter si chiese che cosa avesse fatto di male per meritarsi di venire colpito ripetutamente al petto da un bastone. Era giunto, la mattina tardi, vicino alle piramidi. Aveva deciso di andare da solo. Sapeva che non era stata una grande idea con i tempi che correvano. Aveva bevuto l'ultima goccia del caffè che aveva ordinato, poi aveva lasciato i soldi sul tavolo e se ne era andato. Era poi andato a sbattere contro una ragazza che era sicuro di aver già visto. I capelli lunghi erano raccolti in una treccia che cadeva sulla schiena e gli occhi da gatto erano gialli come il miele fresco. Non era altissima ma era magro e atletico, come quello delle ginnaste. Furono gli occhi che attirarono l'attenzione di Carter Kane, perchè non esistevano in natura occhi di quel genere.
-Cassie- mormorò lui- Che cosa ci fai qui? Dovresti essere a Manhattan con gli altri.
Cassie scosse la testa:-Bast mi ha detto di seguirti ed è quello che sto facendo. Inoltre, Bast è sempre stata la protettrice del faraone e tu, mio caro, sei il faraone, quindi non rompere le scatole. Ora seguimi, ti devo presentare una persona.
Cassie uscì dal bar e Carter la seguì. Si fidava dell'Occhio di Bast, perchè la dea era sua amica o non sarebbe riuscito a fidarsi. Non si fidava neanche di Fuad. Aveva capito qual'era il compito del Caos solo in quei giorni, quando aveva iniziato a dubitare della lealtà dei suoi amici. Si era dato anche dello stupido, mentalmente. Da quanto tempo conosceva quei ragazzi? Forse anche troppi anni, ormai, e nessuno di loro aveva mai osato tradirlo e non vedeva il motivo per cui avrebbero dovuto iniziare in quel periodo. Certo, stavano trascorrendo tempi difficili, ma non era una buona scusa. Alex era malvagio sin dall'inizio, così come Drew Tanaka. Erano malvagi sin dal principio, non si potevano cambiare. Fuori dal bar li aspettava un'altra ragazza con i capelli neri e gli occhi azzurri con sfumature d'oro: una combinazione inquieante. Aveva arco e frecce sulla schiena e abiti normali, non la solita divisa di lino che loro portavano. Parlava al telefono molto velocemente in una lingua che assomigliava molto al latino. Possibile che stesse parlando in italiano? Carter comprendeva solo poche parole, ma erano abbastanza per capire che stava parlando con un mago dall'altro capo del telefono. Appena vide Cassie le sorrise, salutò chi parlava con lei e mise giù, mettendosi il telefono in una tasca interna della giacca di cotone leggero.
-Allora- esclamò la giovane- Tu devi essere Carter Kane. Io sono Nicole, piacere di conoscerti.
Nicole gli porse la mano e lui l'afferrò:-Con chi stavi parlando.
-Andrea, un mio amico, Occhio di Khonsu. Non diffidare di me Carter Kane, o inizierò a dubitare della tua natura di leader.
-La leader è mia sorella in realtà- precisò Carter. Nicole storse le labbra:-Tua sorella è fortunata ad avere un fratello come te, Carter.
-Sono io ad essere fortunato- borbottò sotovoce il giovane- Ora andiamo. Non abbiamo tempo da perdere.
Carter strinse la cinghia della sua borsa a tracolla e fece strada alle due ragazze che lo seguivano. Carter stava pensando su quale, delle tre piramidi, avrebbe dovuro salire. Pensava con il cuore in gola. Ricordava le parole del capello parlante, quel giorno ad Hogwarts. Era come se si fossero scolpite nella sua mente, da quando gliele aveva sussurrate all'orecchio. Cassie e Nicole parlavano, mentre lui rimaneva zitto e continuava a camminare. Giunsero rapidamente davanti alle tre piramidi. La più piccola, quella di Micerino, era la prima, seguita da quella di Chefren e, infine, quella di Cheope. Ad est c'era la sfinge e tutt'intorno alle piramidi si eregevano altri edifici che Carter conosceva come le tombe delle regine. Suo padre gli raccontava che quelle piramidi erano state costruite in base ad un ordine preciso. Gli diceva, quando era bambino, che le primidi erano le ali cadute del cigno. Col tempo Carter aveva capito che si trattava dell'allineamento con le stelle delle ali della costellazione del cigno. Una cpsa che il giovane trovava solo contorta. Pura casualità, ecco c'era.
-Guardate!- esclamò Cassie fissando il cielo, mentre sulla punta delle piramidi cadevano delle gocce di luce- Ora che facciamo?
Carter scosse la testa:-Potremmo dividerci.
-Con quale criterio, scusa?- chiese Nicole- Ci stiamo buttando in una cosa che non conosciamo. Okay, è vero, il nostro mondo è fattto di cose sconosciute e di gente che non dovrebbe esistere, ma...
-Cassie a sinistra e Nicole destra- la interruppe Carter- Non fate niente che non farei io, o Sadie.
Cassie schizzò a destra, verso la piramide di Micerino, mentre Nicole corse verso la piramide di Cheope. Carter sospirò e corse verso la piramide di Chefren, spingendo la gente e affrettandosi. Iniziò a salire i gradoni di pietra velocemente, sperando di riusicre ad arrivare velocemente. Quando la terra tremò, Carter cercò un appiglio e afferrò un masso con entrambe la mani, cercando di non cadere. Oramai era giunto fin lì e non poteva tronare indietro. Si mosse velocemente, saltando di gradone in gradone. Era quasi giunto sulla cima, quando una palla di fuoco per poco non lo investì, scaraventandolo di sotto. Guardò verso l'alto e vide demoni che non aveva mai visto in vita sua. Erano infuocati, completamente fatti di fuoco. Carter si concesse un'occhiata verso le due amiche. Cassie stava combattendo con dei demoni d'acqua, mentre Nicole stava scagliando frecce contro demoni della terra, entrambe senza risultato però. Gurdò di nuovo in alto e sospirò. Cavolo quanto avrebbe voluto avere i poteri di Percy. Afferrò il kopesh e s'avvicinò ai demoni. Quando li tagliava a metà, loro si moltiplicavano e Carter iniziava a credere che fosse impossibile. Gli venne poi un'idea. Un involucro azzurro lo avvolse e Carter si ritrovò nel suo avatar azzurrino. Aprì le mani e schiacciò i demoni tra di esse facendoli diventare vapore. Troppo semplice, pensava. Guardò poi Cassie, che era in difficolta. Afferrò uno dei demoni d'acqua e lo fece scontare con i demoni di fuoco, ma niente. ritornò a guardare in alto e vide da dove erano arrivati quei cosetti: un portale che non riconosceva. Smaterializzò l'avater e si trasformò in un falco. Okay, forse non doveva farlo, almeno non prima di aver recuperato un minimo di energie. Richiamò l'attenzione dei demoni di fuoco con un battito d'ali e volò sino alla piramide di Micerino, richiamando l'attenzione degli spiriti dell'acqua. Quando non la ottenne, afferrò l'Occhio di Bast per le braccia e la sollevò in aria, facendosi seguire, così, anche dagli spiriti dell'acqua. Volò poi sino alla piramide di Cheope, dove Nicole combatteva ancora contro i demoni della terra. Quando li vide, si aggrappò alle gambe di Cassie. Volarono sino al grande portale. Carter lanciò in aria le due ragazze, mentre lui continuava verso il portale seguito dai demoni. Li fece entrare, poi, con grande velocità uscì, mentre Cassie recitava parole magiche chiudendo il portale, aiutata dalla magia dell'Occhio di Neith. Carter atterrò vicino alle due ragazze, entrabe riuscine ad aggrapparsi alla punta della piramide di Chefren. Ritronò ad essere Carter. Era privo di forze, ma stava bene tutto sommato. Guardò le due ragazze: Cassie sudava ed era pallida come un fantasma e Nicole sembrava essere uscita da una battagia contro i demoni del formaggio. Non c'era niente di peggio i demoni del formaggio. Nonostante ciò, gli sorrisero più spesso. Carter salì gli ultimi gradini e prese tra le mani la sferetta che gli era stata ceduta, o meglio: che si era guadagnato.
-Andiamo a prendere le altre due, forza- esclamò Carter. Cassie e Nicole lo guardarono, poi alzarono le spalle e seguirono l'Occhio di Horus.

Luke non ne poteva più di star seduto sulla panca posta davanti a quella dannata faccia. Respirò profondamente, contò fino a dieci e disse:-Bisogna che prendiamo questa faccia o addio fermiamo il Caos e salviamo il mondo.
-Siamo in un museo, Luke, non credo che sarà così facile- commentò Rick fissando una statua poco distante. Luke sorrise:-Mio padre è il dio dei ladri, posso farcela, però tu devi aspettarmi fuori. Quando sarà il momento dovremmo scappare.
-Illuminami, quando sarà il momento?
-Lo capirai- rispose solamente Luke-Ora vai e aspettami fuori, okay?
Il figlio di Eolo non controbattè e si diresse verso l'uscita. Luke aspettò una decina di minuti, poi afferrò la testa di Pompeo, facendo scattare gli allarmi. La guardia era scattata in piedi e ora guardava il semidio. Il figlio di Ermes sorrise, stringendo la testa di Pompeo e maledicendo chiunque avesse deciso una prova così stupida. Ah, giusto, suo padre. Gliene avrebbe dette quattro non appena l'avrebbe incontrato. Seriamente, Ermes doveva rivedere le sue priorità.
-Hey ragazzino- urlò la guardia, con la pistola puntata contro il semidio- Metti giù quella testa.
-Scusa amico- replicò Luke- Ma ne ho un urgente bisogno. Sai, salvare il mondo e cose del genere. Ma che parlo a fare?! Tanto non puoi capire. Ora, posso andare. Non ho molto tempo, davvero e il mio amico mi sta aspettando. Dobbiamo seriamente andare oppure Leo ci lascia qui e non mi piacerebbe, davvero, anche perchè la mia cabina ha un letto che è fantastico.
-Ma che cosa stai dicendo?- fece una seconda guardia. Luke sbuffò:-Pure i rinforzi, davvero? Okay, beh, io vado. MAIA!
Sulle sue scarpe comparvero delle picole ali e Luke s'alzò in volo, mentre le due guardi sparavano contro di lui. Il figlio di Ermes sentì un dolore allucinante sulla spalla e, quando controllò, vide del sangue scendere. Bello, era stato anche colpito da un proiettile. Luke prese la prima finestra che trovò e, rompendo qualche vetro, saltò fuori, nell'aria fresca di marzo. Era incredibile come passasse in fretta il tempo. Sembrava che il tempo fosse contro di loro. Dannato Crono, mai una volta che non s'intrometteva. Luke atterrò sulla ghiaia traballando, chiamando Rick a gran voce. Il ragazzo stava parlando con altri tre giovani, uno diverso dall'altro. Erano due ragazzi e una ragazza. Il primo ragazzo aveva i capelli cioccolato e gli occhi gialli, il secondo i capelli e occhi blu, mentre la ragazza assomigliava a Talia, tranne per i capelli castano-biondo, ma per il resto era uguale. Parlavano animatamente e, ad un certo punto si voltarono verso Luke. Lui scosse la testa, mentre teneva una mano sulla spalla, cercando di fermare il più possibile il sangue, e disse:-Dobbiamo andare, Rick.
-Okay- rispose il figlio di Eolo, rivolgendosi poi ai tre ragazzi-Venite con noi. Sarete al sicuro, dico davvero. Potreste vivere una vita tranquilla.
La ragazza sorrise e parlò in un inglese non perfetto ma comprensibile:-Quando ci sono arrivate le lettere, sapevamo che vi sareste fermati qui e sapevamo anche sareste venuti qui. Vi seguiremo, ma, per oggi, non verremmo con voi.
-Vi copriremo le spalle, oggi- proseguì il blu- Abbiamo visto la nave. Dovete sbrigarvi a raggiungerla e là potrete aprire la testa di Pompeo. Noi vi raggiungeremo, promesso.
-Ora andate!- proseguì l'altro- Ce la caveremo, figlio di Eolo, davvero.
Rick abbracciò i tre, poi corsero via. Luke richiamò le ali delle scarpe e Rick s'alzò in volo, comendando i venti come gli aveva spiegato Jason. Atterrarono sui su un tetto e iniziarono a correre su di esso. Saltavano come gatti sui tetti delle case, cercando di raggiungere la anve. La testa di Pompeo era pesante ed era come se stesse assorbendo tutta l'energia del semidio, ma nonostante ciò continuava a correre. Se aveva imparato una cosa da suo padre era che ogni lavoro andava portato a termini, nonostante tutto, anche se stavi per morire. Prima c'era la causa e poi la tua vita. Certo, non era uno dei princìpio che preferiva, ma aveva sempre agito così e continuava a farolo. Rick, correva davanti a lui, veloce come Flash e Luke faticava a stragli dietro. Luke notò un elicottero della polizia che volava in alto nel cielo, ma ancora due o tre metri e loro erano arrivati. Rick afferrò un coltello dalla cintura e lo lanciò contro un altro eliccottero, sicuramente di un qualche giornale, centrando l'obbiettivo della videocamera del cameramen. Continuarono a correre e quando giunsero alla scaletta che portava sul ponte della Heroes furono felici. Videro scendere Jason, per aiutarli, sollevando Luke e portandolo sino in cima, seguito da Rick. Il figlio di Giove urlò di accendere i motori e Leo lo fece senza protestare, capendo che non era il momento di protestare. La nave partì, inizando a solcare il cielo blu e salendo di quota, allontandosi dalla città di Copenaghen. Un'avventura breve ma intensa. Subito accorsero Annabeth e Percy, seguiti da Will Solace con il kit del pronto scoccorso in mano. Si sedette accanto al figli di Eolo e iniziò a fasciargli il polso, mentre Annabeth disinfettava la ferita che Luke aveva sul braccio. Annabeth strappò la maglia del semidio e prese ago e filo dalla scatola rossa. L'ambrosia era quasi finita e non avevano altra possibilità che curarsi come mortali. Non potevano chiedere nulla ai semidei a New York, siccome le comunicazioni erano bloccate. Quando comunicavano con il gruppo di Carter utilizzavano Clovis oppure il collegamento che Percy e Carter avevano deciso di creare a loro rischio e pericolo. Erano stati dei pazzi, Luke lo sapeva, ma era una cosa che avevano voluto fare, siccome era un modo per comunicare in cui nessuno riusciva ad ascoltare quello che dicevano. Annabeth iniziò a cucirgli il taglio, anche se le mani della ragazza tremavano.
-Luke!- sentì chiamarsi il figlio di Ermes. Voltò lo sguardo e vide Talia correre contro di lui e abbracciarlo:-Vedi di tenere gli occhi aperti, razza di idiota che non sei altro. Guai a te se mi abbandoni okay? Non farlo di nuovo, va bene? Ho bisognoche tu sia di nuovo accanto a me.
Luke sorrise e annuì, non riuscendo a parlare. Will si sostituì ad Annabeth, finendo prima di quanto la ragazza avrebbe fatto. Luke aveva mantenuto per tutto il tempo lo sguardo su Talia e lei aveva fatto altrettanto con il figlio di Ermes. Luke fu portato in infermeria, per la prima volta vuota dopo tanto tempo. Aveva lasciato la testa di Pompeo a Rick ed era felice di essersene liberato. S'addormetò, lasciandosi cullare dal silenzio della stanza, fino a quando, non sentì qualcuno prendergli la mano e dire:-Ti amo idiota che non sei altro.
Dentro di se era felice. Aveva ritrovavo la ragazza che aveva cercato per tanto tempo. Erano di nuovo spalla a spalla, finalmente.

Angolo autrice
Hey, bella gente, come state? Io bene.

Okay, torniamo alle cose serie. Che ne pensate del capitolo? TALUKE IS REAL! *saltella felice per la stanza* Ditemi che ne pensate e se vi piace lasciate le stelline. Io e la mia amica pazza (sì, colei che mi aiuta, grazie cara, ti invio tanti bacini), volevamo chiedere per l'ultima volta se qualcuno voleva inviare un personaggio semidio Maya, Azteco o Inca oppure anche Greco, Romano o Egiziano. Vogliamo specificare una cosa: non tutti verranno scelti, sia chiaro. Comunque se volte mandarli o per messaggio privato o anche per mail ( se volete partecipare vi do la mia). Okay, detto ciò, facciamo che per oggi vi lascio due personaggi che tutti conosciamo: Luke Castellan e Talia Grace (ovviamente faccio un riassunto riassuntoso (?)).

Talia Grace: nata 22 gennaio. Figlia di Zeus e luogotenente di Artemide, sorella di Jason Grace. Trasformata in un pino all' età di dodici anni, ritornò umana dopo che fu recuperato il vello. I suoi migliori amici sono Luke e Annabeth. Ha la capacità di creare fulmini e ha paura di volare. Ragazza punk e forte, Talia non si lascia abbattere da nulla. La si riconosce per i suoi occhi blu e capelli neri e corti con ciocche blu.
 

 La si riconosce per i suoi occhi blu e capelli neri e corti con ciocche blu

Talia Grace

Luke Castellan: figlio di Ermes, nato da una relazione tra May Castellan e il dio Ermes. Cresciuto con la madre pazza perchè aveva provato ad ospirare l'Oraclo di Delfi. Scappò di casa iniziando a provare un odio profondo verso il padre e gli Dei in generale ed è statp proprio questo che l'ha spinto ad aiutare Crono, pentendose poi e diventando l'Eroe della Profezia. Lo si riconosce per la cicatrice sul volto rimasta da uno scontro con il drago Ladone. Ha gli occhi azzurri e i capelli biondi. Abile ladro e truffatore, ma anche ottimo spadaccino.

Luke Castellan

Luke Castellan

Bene, gente e per oggi è tutto. Vado via, addio.
Bacci.

 

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Capitolo 47
*** ESTREMI ***


ESTREMI

Hazel sentiva freddo, ovunque persino dentro le ossa. Era una cosa orribile. Si strinse nel cappotto. Ma chi gliel'aveva fatto fare di rimanere sul ponte? Frank le passò la sua berretta gialla e nera alla figlia di Plutone, che la indossò senza troppi complimenti sopra ai capellii ricci, coprendosi anche le punte delle orecchie. Strofinò le mani tra di loro e vi soffiò in mezzo aria calda. Perchè suo padre aveva nascosto la sua arma originale in Norvegia? Perchè?! C'era troppo freddo. Non poteva scegliere un luogo tipo i Caraibi o le Hawaii? No, ovviamente no, doveva scegliere la Norvegia, un luogo freddo. Hazel si domandava come fosse possibile una cosa del genere. Affondò le mani nella tasca della giacca, passandosi poi la lingua sulle labbra screpolate, ammorbidendole. Erano quasi ad Oslo e sentivano già freddo. Frank strinse la figlia di Plutone a se, in un abbraccio forte e possente, riscaldandola un pochino. Il figlio di Marte bació la fronte della giovane, lasciando che tutta la preoccupazione fluisse lì. Dèi, se era preoccupato per la ragazza! Già normalmente sentiva l'impulso di proteggerla, anche se lei aveva già dimostrato parecchie volte che non ne aveva bisogno, e adesso che si trovavano in un pericolo costante, Frank era ancora più protettivo. Non se la sentiva di lasciare andare la ragazza in città da sola con tutti i pericoli che c'erano. Okay, sarebbero andati con lei Clovis, il figlio di Hypno, e Lou Ellen, la figlia di Hecate. Okay, i due semidei sapevano il fatto loro e Hazel era potente e brava con la spada, perciò non aveva motivo di preoccuparsi, ma non ce la faceva a non farlo. S'avvicinò a loro Percy con un sorriso. Anche lui si strinse la sciarpa oro e rossa attorno al collo, sperando che lo coprisse un po'di più, specialmente sul naso che stava diventando rosso.
-Nocciolina- la chiamò Percy. Hazel odiava quel soprannome, ma adorava il figlio di Poseidone e non poteva offenderlo dicendogli di non chiamarla così. Aveva iniziato quando aveva scoperto, a causa di un certo programma chiamato Google Translete, che il nome della ragazza, in italiano significava nocciola e, perciò, da allora chiamava la figlia di Plutone "nocciolina", rigorosamente in italiano.
-Fammi un favore, okay?- proseguì il figlio del dio del mare- Torna viva.
Era quello in cui Hazel sperava. Erano quasi giunti al porto, dove avrebbero attraccato e, mentre Hazel, Lou e Clovis andavano nel luogo indicato da Annabeth, un altro gruppo composto da Harry, Percy, Draco e Hermione sarebbe andato in giro a cercare qualche provvista. Hazel si era fatta coraggio già dalla sera prima, quando la figlia di Atena le aveva comunicato che sarebbe toccato a lei. Si era detta che era un suo dovere e che non poteva farne a meno. Gli altri avevano rischiato la pelle e lei non sarebbe stata da meno. Avrebbe fatto ciò che andava fatto.
-A che ora partirete?- chiese Frank con una certa riluttanza. Hazel mantenne lo sguardo fisso nel nulla:-Appena attracchiamo. Andremo a prima con una scialuppa e poi a piedi. Basteranno otto minuti di corsa e poi saremo sul luogo. Annabeth ha calcoltato tutto.
-Non avevo dubbi- commentò il figlio di Poseidone voltandosi verso la figlia di Atena che s'avvicinava a passo svelto. Hazel poteva vedere i cuoricini negli occhi di Percy. Annabeth afferrò la mano del semidio e sorrise agli altri due.
-Pronta Hazel?- chiese la figlia di Atena. Hazel annuì e si tolse la berretta gialla e nera di Frank, cedendogliela, e nascose la spada sotto il cappotto. Lou e Clovis erano appena arrivati sul ponte e aspettavano solo lei. Jason calò una scialuppa in mare e sorrise ai tre. Hazel Sperò che tutto andasse come previsto dalla figlia di Atena, o sarebbero stati cavoli amari per tutti. Hazel scese dalla scaletta di legno dopo Lou e Clovis, seguita da Percy, Harry, Draco e Hermione. Percy mosse la mano e la barca si mosse, schizzando verso la riva. Era tutto silenzioso sulla piccola imbarcazione. Percy era concentrato e gli altri sembravano star pregando gli Dei o Dio. Hazel era assorta nei suoi pensieri quando attraccarono e si separarono. Lou controllava una piccola mappa e Clovis si stava stringendo i lacci delle scarpe. Hazel si guardava attorno, cercando di concentrarsi, ma con tutto quel casino le era impossibile.
-Andiamo- commentò Lou iniziando a correre- Muoviamoci.
Hazel seguì la figlia di Hecate per le strade di Oslo, mentre cercava di non morire congelata. Il freddo le colpiva sulla faccia facendola rabbrividire come non mai. Avrebbe fatto due chiacchere con suo padre sui luoghi delle vacanze non appena sarebbe tornata a New York. Certo, prima doveva sopravvivere alla grande battaglia e poi avrebbe potuto parlare con suo padre. Arrivarono davanti all'entrata della fortezza nel giro di una decina di minuti. La fortezza di Akershus era imponente e sembrava un castello medievale. Annabeth le aveva raccontato che era stato costruito nel 1299 e che nessuno era mai riuscita a conquistarla, se non nel 1940 quando le guardie s'arresero all'esercito tedesco. Hazel ricordava quel periodo, anche se ormai a tratti. Aveva imparato che doveva vivere nel presente, non nel passato. Adesso, quel castello era sede del Ministero della Difesa ed era anche il Museo delle forze armate delle Norvegia. Afferrò la mano di Lou e quella di Clovis, trascinandoli tra la folla, spintonando i mortali, che borbottavano al loro passaggio. Dietro di lei, Lou chiedeva scusa alla gente, mentre Clovis si limitava a correre. Passarono i militari all'ingresso e prosrguirono attraversando sale su sale sino a raggiungere un luogo appartato, dove riflettere. Dopo aver passato i militari, Hazel aveva diminuito la velocità, finchè non si era fermata, dopo aver passato la porta d'ingresso. Adesso erano nascosti in una rientranza a parlare. Hazel sosteneva che dovessero scendere verso le segrete, perchè Hazel era sicura che ci fossero, mentre Clovis pensava che bisognasse andare verso l'alto, come tutti gli altri: Piper sulla Torre Eiffell e Jason sulla Porta di Brandeburgo, Leo sulla Sagrada Familia e Sadie sul Museo in Piazza Rossia a Lisbona.
-No- protestò Hazel- Dobbiamo andare giù.
Clovis alzò le spalle e commentò:-Okay, sei tu il capo Hazel. Ora, come facciamo ad andare giù?
-Con delle scale, Clovis- ribattè Lou. Il figlio di Hypno alzò un soracciglio e chiese:-Vedi per caso delle scale, Lou?
-Le posso creare, caro Clovis- fece Lou muovendo le dita, mentre la Foschia compariva tra di esse. Hazel non aveva mai visto nessuno usare la nebbia magica così alla leggera. Sapeva che Lou Ellen era brava, perchè riusciva sempre a fregare i fratelli Stoll con la sua magia, almeno così dicevano i campeggiatori, ma non pensava che le voci del campo fossero vere. Accanto a loro comparvero delle scale e Lou sorrise, facendo segno loro di seguirla. Mentre scendevano, diventava sempre più buio e Hazel si chiese se fosse così anche la discesa negli Inferi: buio e freddo. Si strinse nel cappotto, per l'ennesima volta. Lou fece comparire una torcia dal nulla e continuò a fare stranda con la fiaccola in mano.
-Lou, sai quando devi fermarti, vero?- chiese Clovis alla figlia di Hecate. L'altra alzò gli occhi al cielo, anche se sapeva benissimo che il figlio di Hypno non poteva vederla:-Sto aspettando che Hazel mi dica di fermarmi. Non possiedo ancora il profondimetro interiore o il metal detector, sai. Hazel sorrideva, mentre i due litigavano. Sembravano una coppia di sposini, ma ovviamente non l'avrebbe mai detto ad alta voce, non davanti ai due semidei. Sentì qualcosa vibrare e obbligò i due a fermarsi. Lou fece apparire una porta dal nulla e l'aprì. La torcia che Lou teneva in mano, si spense e tutto diventò ancora più buio. Hazel non aveva mai desiderato così tanto Leo al suo fianco. Per quanto irritante fosse, il figlio di Efesto sapeva i fatto suo e sapeva sempre come risolvere la situazione. La figlia di Plutone sentì un fruscio vicino all'orecchio e subito sguainò la spada, pronta a colpire chiunque si fosse avvicinato. Riaccadde. Menò fendenti al vuoto, mentre gli occhi si abituavano all'oscurità, o almeno ci provavano. Era strano: una figlia degli Inferi che non voleva stare al buio, il loro elemento naturale. Sembrava quasi una barzelletta. Lou provò a ricreare una fiaccola, ma il risultato fu insoddisfacente.-VIA!- sentì Clovis gridare- Andate via, bestie!
Hazel spalancò gli occhi, azione che non servì a molto, e si ricordò delle parole di suo fratello, Nico. Avrebbe dovuto affrontare i nemici dei figli delle ombre: i fantasmi, le creature che nessuno dei figli di Ade avrebbe mai voluto incontrare. Erano morti, che non erano stati seppelliti correttamente e, siccome non potevano pagare il traghettatore Caronte, erano costretti a vagare sulla terra per l'eternità, aspettando il giorno in cui il Caos avrebbe dominato e loro sarebbero entrati negli Inferi e infestando il castello di Ade, vendicandosi così del Dio dei Morti.
-Hazel!- urlò Lou- Mandali via, per favore!
-Non so come fare!- protestò la figlia di Plutone- Non sono potente come Nico e non ho il controllo sui fantasmi.
Hazel sentì qualcosa trapassarla, ma senza ferirla. Fece male dentro. Non aveva mai combattuto contro i fantasmi e tremava al solo pensiero. Non poteva ucciderli, erano già morti. Forse no poteva neanche confonderli con la Foschia, che non era potente come quella di Lou Ellen, inoltre le risucchiava molta energia e dopo non sarebbe stata in grado di combattere. Un verso strozzato di Lou le fece capire che doveva prendere una decisione alla svelta e senza troppi ripensamenti. Non poteva vedere i fantasmi, ma poteva sentirli. Chiuse gli occhi e sentì un fruscio provenire dalla sua destra e un altro alla sua sinistra. L'aria diventava sempre più umida intorno a lei. Con la sua spada tagliò l'aria, sperando di colpire solo i fantasmi. Sentiva urla strazianti e si chiese come fosse possibile. Lou e Clovis non erano di certo, perché quelle urla, le ricordavano quelle dei morti in agonia nei Campi delle Pene. I fantasmi erano, invece, spiriti immortali che viaggiavano sulla terra, aspettando. Eppure, Hazel era sicura che fossero i fantasmi. E poi, giunse alla conclusione. Come loro avevano creato le scale dal nulla, anche chi costudiva le tre armi ne aveva creata una. Hazel pensò alla luce che filtrava dalle finestre delle Heroes, alla luce del Sole, all'umidità che c'era nelle celle sotterrane dei castelli medievali e all'odore nauseante dei cadaveri. Identificò il rumore di catene e fu quasi come tronare indietro nel tempo. Seguiva delle guardie in armatura di ferro lungo un corridoi e, mentre passava, guardava dentro alle celle. Poteva vedere l'agonia dei prigionieri e la loro voglia di morire. C'era chi guardava fuori, attraverso la piccola finestra, oppure guardava il soffitto, sdraiato sulla paglia secca che fungeva da letto. Hazel si chiese se esistesse un modo peggiore di morire. Sentì una voce, maschile, per l'esattezza. Proveniva da una cella poco distante, dove un vecchio giaceva a terra, con la schiena contro il muro. Gli occhi sembravano spenti, nonostante fossero di un bel color grigio che assomigliava vagamente all'argento. Aveva la barba che gli arrivava a metà del petto, anch'essa grigia e incolta. Nonostante la camicia lunga, Hazel poteva vedere quanto gli stesse larga e riuscì a scorgere le ossa del petto. Il vecchio non la degnò di uno sguardo, invece.
-Per conoscere il futuro, bisogna conoscere il passato- ripeteva l'uomo- Tic-tac, tic-tac-tic-tac. Il tempo scorre e la fine è vicina. Tic-tac, tic, tac, tic-tac. Il Caos risorgerà e la terra tremerà davanti alla sua potenza. Solo i fedeli potranno assaporare quel potere e la vita eterna, mentre gli altri, lasceranno questo mondo. Tic-tac, tic-tac.
Un vortice di energia, strappò Hazel dal passato, facendola ritornare al presente. Il luogo dove si trovavano era cambiato, ma Hazel lo riconosceva lo stesso: le prigioni. S'accasciò a terra come un sacco di patate. Non riusciva a capire che cosa era successo, ma sapeva che era strano, molto strano. Lou era affianco a lei, con un pugnale in mano e la Foschia che le danza tra le dita dell'altra. Clovis sembrava voler prendere tutti a cuscinate e nel vederlo, con il cuscino alzato, pronto a colpire, Hazel, per quanto fosse sfinita, fece fatica a trattenersi dal ridergli in faccia. Lou l'aiutò ad alzarsi e le porse la spatha. Probabilmente era caduta quando era tornata nel passato. Hazel si scrollò i vestiti e afferrò la propria arma, per poi indicare la fine del corridoio che sembrava distante secoli:-Là, dobbiamo andare laggiù.
-Hazel, non credo che sia una buona idea- fece Clovis- La Foschia è scomparsa laggiù.
-Ed è proprio per questo che ci andremo- ribatté la ragazza iniziando a correre verso la fine del corridoio. Lou alzò le spalle e seguì la figlia di Plutone, mentre Clovis rimaneva indietro, per poi anche lui seguire le due ragazze. Solo dopo Hazel si rese conto che più cercavano di avvicinarsi, più il fondo si allontanava. Un'altra illusione, sicuramente era così.
-Lou- gridò Hazel- Fai in modo che non s'allontani.
Le mani di Lou s'intrisero di magia e Foschia. Mentre evocava l'incantesimo, Lou sentì le goccioline di sudore scenderle lungo la tempia e correre sino a sotto la maglietta. Doveva ammettere che non aveva mai evocato così tanta magia e, se era successo, era stata aiutata dai suoi fratelli. Adesso, però, non c'era nessuno che potesse aiutarla. Sperò che il suo corpo non iniziasse a bruciare o a congelare, oppure a diventare terra, o anche solo semplice aria. I figli di Hecate, una volta morti, si trasformavano nella magia primordiale, ovvero quella della natura, in base a come erano nati. Lou non aveva mai capito come funzionasse e cercava di pensarci il meno possibile, perché meno ci pensava, meno aveva voglia di scoprire in che cosa si sarebbe trasformata dopo la morte. S'aggrappò alla vita con le unghie, sperando che quell'incantesimo non le costasse la vita, come temeva. Pronunciò le parole magiche e la magia che era nelle sue mani penetrò nella terra, spezzando l'illusione che era stata messa contro di loro. Con fatica, la figlia di Hecate si rimise in piedi, sperando che l'incantesimo avesse funzionato. Hazel s'avvicinò con cautela e il corridoio rimase dov'era. La figlia di Plutone tirò un sospiro di sollievo e s'avvicinò al muro. Era poco distante quando un fantasma le comparve davanti agli occhi. Clovis spalancò gli occhi e si chiese come quella pazza avesse fatto ad uscire dagli Inferi. Melinoe fluttuava nell'aria, trasparente come beh... un fantasma. La dea dei fantasmi era subdola e dannatamente irritante. Clovis l'aveva incontrata durante uno dei suoi sogni e, grazie al cielo, era stata la prima e l'ultima volta. Melinoe sorrise e Clovis pensò che non esisteva un sorriso più inquietante di quello. Batteva anche il sorriso diabolico di Joker, il che voleva dire essere sopra ad ogni limite possibile.
-Buonsalve Melinoe!- esclamò Clovis cercando di far capire alle sue due compagne che dovevano trovare un modo per scacciare la dea dei fantasmi- Qual buon vento ti porta qui? Pensavo che un giorno saremmo potuti uscire insieme, che ne dici? Oppure potrei chiedere a mio padre se ne ha voglio, se ti piacciono quelli più vecchi, anche se di solito piacciono quelli più giovani. Devo ammettere, mia cara, che sei uno schianto e quel color cadavere ti dona.
Hazel intanto si chiedeva che cavolo stesse facendo il semidio. Stava per caso flirtando con la dea? La figlia di Plutone sperava vivamente di no o ne sarebbe rimasta sconvolta. Forse però il figlio di Hypno stava cercando di guadagnare tempo. Ma certo! Come aveva fatto a non capirlo subito?
Si guardò intorno, cercando qualcosa che potesse aiutarli. Sentì il suo metal detector interiore scoppiare, segno che sotto di loro c'erano dei metalli preziosi.Si concentrò su di essi, cercando di evocarli tutti. Schegge di ferro scattavano nell'aria intorno alla figlia di Plutone, che li scagliò contro la dea, intappolandola in una morsa di ferro.
-Lou! Dietro di lei!- esclamò Hazel mentra stringeva le catene di ferro intorno alla dea. Stava sudando. Sentiva le goccioline di sudore scenderle lungo la tempia e le mani tremavano, ormai, pronte a lasciare la presa e darsela a gambe. Lou saltò dietrò la dea e tirò una scultura a forma di fiamma, rivelando un corridoio illuminato da torce dal fuoco verde.
-Andate!- gridò Hazel- Muovetevi!
Clovis trascinò Lou sino alla fine del corridoio, afferrando il cofannetto che era posto su un piccolo altare. Hazel li aspettava all'ingresso, trattenendo la dea, che si dimenava come un'anguilla, cercando di fuggire dalla morsa della semidea. Il figlio di Ipno, afferrò la bruna, trascinandola via insieme alla figlia di Hecate ancora mezza stordita dall'incantesimo che aveva fatto per distruggere l'illusione di Melinoe. Era già tanto se la ragazza riusciva ancora a reggersi in piedi. Melinoe si liberò dalle catene di ferro e fluttuò verso di loro con velocità.Clovis chiuse gli occhi, sognando la Heroes, sperando che, ciò che aveva in mente, funzionasse. Si sentì scomparire e subito sentì il Sole sul volto e le gambe cedere, mentre sentiva una voce familiare dire:-Questa non me l'aspettavo, davvero.

Cleo appoggiò il mento sul palmo della mano, guardando i suoi amci parlare, mentre lei rimaneva zitta, sperando che quel conflitto finisse presto. Aveva letto dieci volte il menù da quando si erano seduti in quel piccolo ristorante e rileggerlo non le sembrava un'idea divertente, neanche un po'. Carter e Sadie discutevano sugli ultimi aggiornamenti dalla Hereos e gli altri commentavano. C'era chi pensava di dover andare a sud e chi a est. Cleo pensava che dovessero andare a sud, ma era chiaro che a nessuno importava di lei, o almeno del suo parere. La cameriera porse loro i piatti che avevano ordinato e Cleo si perse nei suoi pensieri e nel suo cheeseburger. Sadie morse il suo panino e disse:-Sei stranamente silenziosa, Cleo.
L'Occhio di Thot mandò giù il boccone che stava masticando e disse:-Vorrei farvi notare che la mappa ci ha detto dove andare. Abidjan in Costa d'Avorio. Sono l'unica che conosce la città?
-Sì, Cleo, sei l'unica- commentò Walt- Quindi? Che si fa?
-Io seguo Cleo, scusatemi- fece Sadie- Lei sa cosa fare, mentre voi sembrate vagare nel buio.
Carter annuì, facendo segno alla ragazza che anche lui l'avrebbe seguita. Cleo appoggiò il suo cheeseburger e si sistemò gli occhiali sul naso, pulendosi poi le mani e prendendo un libro dalla sua borsa di tela. Lo accarezzò e mormorò delle parole magiche, facendo sì che s'aprisse.
-Ho fatto delle ricerche e credo che dovremmo andare al Musée des Civilisations a Abidjan, in Costa d'Avorio. La bussola ha inidicato me, perciò, Thoth e credo che il Musée des Civilisations sia il luogo giusto. In molti papiri Thoth ne parla implicitamente, perciò credo che sia lì ciò che cerchiamo.
-Sei grande, Cleo!- esclamò Sadie dandole un pugno scherzoso sul braccio- Sei un genio!
Le guance di Cleo si tinsero di rosso, imbarazzata dal complimento dell'amica. Poi chiuse il libro e lo ripose nella borsa:-Vorrei andarci da sola, se per voi va bene.
La guardarono con occhi preoccupati, mentre Cleo li fissava determinata. Sadie e Carter annuirono, sperando che la loro amica e miglior libraia della Brooklyn House riuscisse ad uscirne viva. L'Occhio di Thoth sorrise ed esclamò:-Prometto che ce la farò.
-Non abbiamo dubbi, Cleo- disse Jaz- Temiamo solo per te, tutto qui.
-Lo so, ragazzi, ma dovete fidarvi di me, promettetemelo- mormorò Cleo seria, mentre fissava il suo panino, per poi afferrare la forchetta e togliere il cetriolo. Odiava i cetrioli.
-Sai già a che ora devi essere là?- chiese Logan. Cleo annuì. Doveva essere là per l'apertura pomeridiana del museo, entrare poi cercare l'oggetto, che non veniva indicato, ovviamente, nelle pergamene. Cleo afferò la sua borsa e disse:-Ci vediamo più tardi qui, okay? Se per le quattro non mi vedete tornare, speriamo che non sia così, andatevene e proseguite con il viaggio, okay? Promettimelo, Carter.
-Non posso, prometerti ciò, Cleo- commentò l'Occhio di Horus. Cleo lo guardò determinata e Carter fu costretto a cedere. Li salutò e uscì nell'aria calda della città. Si sistemò meglio la borsa sulla spalla e iniziò a camminare per le strade della città. Mentre era distratta, sentì qualcuno afferrarle il polso e trascinarla in un vicolo. Si ritrovò davanti una ragazza e un ragazzo, diversi. La giovane aveva i capelli neri legati in un chignon alto, gli occhi verdi che risaltavano sulla pelle scura. Indossava una maglietta bianca con sopra una giacca di jeans e pantalancini corti che lasciavano scoperte le gambe snelle e lunghe. Sovrastava l'Occhio di Thoth di parecchio e anche il ragazzo. Lui aveva i capelli scuri, gli occhi cioccolato e la pelle caffè. Era vestito simile alla ragazza ed era lui che teneva ferma Cleo.
-Sei tu Occhio di Thoth?- chiese la ragazza. Cleo annuì sicura:-Io sono Cleo. Voi siete?
-Io, Wanda- disse la ragazza inidcandosi- Lui, Ras.
-Ehm... okay- fece Cleo- Che lingua parlate voi?
-Francese- rispose Ras. Aveva una voce profonda che a Cleo ricordava tanto quella del padre. Certo, come non aveva fatto a pensarci? Parlavano francese e lei il francese lo sapeveva. Ringraziò mentalmente suo padre per averla costretta ad imparare diverse lingue.
-Io parlo il francese- disse in francese- Possiamo comunicare nella vostra lingua, non preoccupatevi. Credo di essere poliglotta, sapete?
I due la guardavano male e Cleo sbuffò, facendo poi segno ai due di seguirla. Camminarono sino al museo, dove i due ragazzi padarono i biglietti per tutti e tre. Erano in anticipo di quasi un ora, ma Cleo doveva avere il tempo di cercare l'oggetto dove erano nascoste le armi. I due ragazzi, duerante il tragitto, le avevano spiegato che lei stava seguendo i percorso di Seshat, la consorte di Thoth, dea della saggezza, mentre lui stava seguendo il percorso di Ptha, il dio degli artigiani.
-Per l'amor degli Dei!- esclamò Cleo guardandosi attorno- Come faremo a trovarle?
-Il nostro maestro ci ha detto che solo ciò che è intelligente attira l'attenzione degi Dei della Saggezza- disse il ragazzo. Wanda lo guardò male e commentò:-Ha aggiunto che solo una ragazza che è l'Occhio di Thoth poteva trovarla. Ci ha detto che una ragazza di nome Cleo sarebbe arrivata e che ci saremmo dovuti unire alla sua squadra.
-Uhm, è inquietante tutto ciò. Mi viene da pensare che il vostro maestro sia un profeta o qualcosa del genere- pensò Cleo fissando poi un quadro esposto. Due gambe scendevano dalla cornice e sotto c'era una libreria, stracolma di libri. Li sfiorò con le dita sentendo un brivido lungo la schiena. La sia mano affondò negli scaffali dipinti e un bagliore si propagò nella sala vuota. Pescò dal quadro un libro. Se lo rigirò tra le mani, sperando in un qualcosa, poi ggaurdò i suoi due compagni e disse:-Ditemi che è uno scherzo, vi prego.
Wanda e Ras alzarono le spalle. Cleo li guardò poi spostò lo sguardo sul suo orologio da polso e guardò l'ora. Il libro si surriscaldò e Cleo lo fece cadere per terra, mentre un bagliore di luce faceva cadere i tre per terra. Le pagine del libro svolazzarono non fermandosi. Cleo arrancò sino al libro, ma la corrente la spingeva indietro. Pescò una pergamena dalla sua borsa e iniziò a recitare, cercando di fermarmare il vortice di energia. Sentì la voce di Wanda unirsi a lei, con un altro incantesimo, ma senza risultati. Vide Ras guardarsi intorno, poi afferrare una grande ciotola e lanciarla sopra al libro. La ciotola interruppe il flusso di magia, lasciando solo confusione nella sala. Cleo s'appoggiò a terra, dicendo:-Spero che sia finita qui.
Poi vi fu un'altra espolosione e Cleo si coprì la testa con le mani, sperando che tutto finisse presto. Alzò lo sguardo e vide che la ciotola usata per coprire il libro non vi era più, così come lo stesso libro. Cleo corrugò le sopracciglia. Al posto del libro vi erano tre sfere, come quelle che aveva visto in mano agli altri. Ne afferrò una e fu come se la sua mente s'ampliasse. Sentiva di conoscere tutto. Riuscì a guardare oltre la galassia, a leggere il giapponese non avendolo mai studiato, a capire che cosa ci fosse sotto terra solo gaurdandola, mentre scoli di storia le passavano sopra. Si riscosse da quelle immagini, mentre sfere, lentamente, diventava polvere che entrò dentro di lei attraverso il naso. Odorava di carta e inchiostro. Wanda s'avvicinò a lei:-Stai bene, Cleo?
Mentre gli occhi le luccicavano come stelle, Cleo rispose:-Si, sto bene.

Brooke s'avvicinò alla scaletta che cadeva dalla nave. Sentiva voci provenire da lassù. La temperatura era bassa quella notte. Afferrò il primo piolo e iniziò a salire. Sebastian e Olive non l'avevano seguita, grazie al cielo, o si sarebbe già ritrovata di fronte a lui, mentre le assorbiva la sua forza vitale. Aveva scelto la notte perchè sapeva che sua madre la proteggeva e sapeva che i suoi amici, senza la luce del Sole, erano deboli, mentre lei era forte. Atterrò sul ponte con grazia e subitò si ritrovò la lama di una spada alla gola, mentre un braccio muscoloso la bloccava.
-Chi sei?- le chiese. Brooke ritrasse la gola e deglutì:-Mi chiamo Brooke Moon, sono la figlia di Selene. Ho delle informazioni che potrebbero esservi utili.

 

Angolo autrice ( VI CHIEDO DI LEGGERE LA PARTE SOTTOLINEATA)
Buon salve. Sappiate che ho il cervello in fonduta. Produrre questo capitolo è stato un parto, soprattutto la seconda parte, quando parlo di Cleo, infatti non mi piace, ma lo pubblico lo stesso perchè al momento non voglio più pensare a questo capitolo.
PUNTI DELLA SITUAZIONE (intelligente eh?)

I° punto della situazione: Hazel torna indietro nel tempo, Lou praticamente s'uccide con quell'incantesimo e Clovis decide di smaterializzarsi, se così lo possiamo chiamare.
II° punto della situazione: Cleo diventa un genio, mentre gli altri seono ignari di tutto. Che cosa sarà mai questo potere. Se pensavate che le armi originali fossero solo armi, vi sbagliavate di grosso.
III° punto della situazione: chi è veramente Brooke Moon? Questo ve lo svelo nel prossimo capitolo. Sono malvagia.
IV° punto della situazione: cosa sarà successo a Percy, Hermione, Draco e Harry in missione?
Parliamo un attimo di cose serie: volevo dirvi che, siccome non mi è arrivata nessuna richiesta per i personaggi OC, li ceerò io. Ovviamente, se vorrete mandarli (TRA OGGI E MARTEDì) potete, ma poi dico basta perchè se no non parto più.
Passiamo ad altro. I personaggi di oggi sono...... *rullo di tamburi*..... Hazel, Lou e Clovis, che voi tutti conoscete già, ma details.

Hazel Levesque: nata il 17 dicembre 1928 e morta nel 1942. Risorta dai morti grazie a Nico. Figlia di Plutone. Vive al Campo Giove ed è fidanzata con Frank Zhang. Ha gli occhi oro, la pelle scura e i capelli caramello. Ha la capacità di evocare metalli e pietre preziose dalla terra (è considerata una maledizione, perchè chi le tocca muore), inoltre, sa evocare la Foschia e utilizzarla a suo vantaggio. Hazel è una ragazza dolce e premurosa, ma che sa essere forte quando ce n'è bisogno.

 Hazel è una ragazza dolce e premurosa, ma che sa essere forte quando ce n'è bisogno

Hazel Levesque

 

Lou Ellen: figlia di Ecate. Ha i capelli scuri e occhi chiari. Siccome è figlia della dea della magia, Lou riesce a manovrare la Foschia e a fare incantesimi.

Lou Ellen

Lou Ellen

Clovis: figlio di Hypno. Di lui si sa che è biondo e che ha il controllo sui sogni, siccome figlio del dio dei sogni.

 Di lui si sa che è biondo e che ha il controllo sui sogni, siccome figlio del dio dei sogni

Clovis

Bene. Per questa settimana è tutto. Ciaociao.

 

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Capitolo 48
*** MOON ***


MOON

Brooke s'appoggiò contro lo schienale della sedia Da quant'è che la stavano interrogando? Troppo, decisamente troppo. Neanche quel pazzo di Alex faceva interrogatori così lunghi. Davanti a lei c'erano il famoso Percy Jackson e la famosa Annabeth Chase, insieme a Piper McLean che, con la lingua ammaliatrice, l'aveva fatta cantare come un uccellino. Nonostante ciò, erano ancora lì, a parlare. I tre la guardavano e lei guardava loro. Brooke si sentiva come la prima volta che l'avevano portata alla base, dove l'avevano addestrata per diventare una ragazza spietata, però non senza risultati, perchè Brooke sapeva cosa voleva dire perdere qualcuno che si ama. Sebastian, in compenso, era diventato un killer provetto, senza sentimenti.
Alla fine, le due ragazze uscirono e Brooke si ritrovò per poco da sola con Percy, finchè una ragazza dai capelli rosa e occhi viola entrò. Quella giovane faceva paura e non era solo per lo sguardo determinato che aveva. Si posizionò sul tavolo a gambe incrociate e disse:-Tu sei Brooke Moon, figlia di Selene. Sei una semidea dalle grandi abilità, quindi. Addestrata dalle forze del Caos da quando hai cinque anni. Orfana di padre. Perchè sei qui?
Brooke sbuffò. Era la decima volta che rispondeva a quella domanda:-Non voglio stare dalla loro parte. Conosco i progetti del Caos e voglio aiutarvi a fermarlo. E poi, tu chi sei?
-Kya Jackson, piacere di conoscerti- rispose la ragazza con i capelli rosa sorridendo- Voglio sapere dove si trova la base greco-romana del Caos.
-Come fai a sapere delle basi?- chiese Brook curiosa di conoscere. Poi si ricordò dell'avviso che avevano emanato poco dopo il primo di gennaio: la base nello stato di Washigton, al confine con il Canada, era stata distrutta da una Jackson e i suoi amici. Il genarale Nightmare aveva fallito. Brooke indicò la ragazza e domandò:-Sei tu che hai distrutto la base sul Silver Lake.
Kya annuì e si sporse verso la ragazza:-Meritava di essere bruciata, quella prigione. Adesso dimmi dove si trova l'altra.
-Petit Bois Island- rispose Brooke- Ma è praticamente impossibile accedervi, se non si è autorizzati. L'unica sarebbe farsi catturare, ma poi è praticamente impossibile uscirne, a meno che non si conosca il luogo o si abbia una mappa.
Kya guardò il cugino che scuoteva la testa, intimandola a non proseguire, perchè sapeva che sarebbe stato un suicidio quello che la ragazza voleva fare. Brooke provò a capire qualcosa da quegli suardi che i due si lanciavano, ma senza risultati. Il moro sbuffò e disse:-Tu sai ambientarti, lì, Brooke?
-Volete entrare lì dentro?- chiese la giovane sopprimendo una risata isterica- Non ne uscirete mai vivi. Hanno semidei potenti, spinti al massimo delle loro capacità. Il mio amico, Sebastian, può incanalare la luce e farlo diventare ossigeno, per lui, inoltre potrebbe passare ore al Sole e non si scotterebbe mai. Olive può creare l'aurora a suo piacimento, solidificando anche i raggi, nonostante essa sia solo luce. Là c'è chi controlla il tempo, chi ti fa invecchiare con lo sguardo e chi ti fa combattere contro la persona che ami di più.
Kya e Percy guardavano la ragazza, sbigottiti. Aveva raccontato loro, nell'interrogatorio precedente, che i semidei nelle forze del Caos erano potenti. Lei stessa poteva rendersi invisibile a suo piacimente, cosa che le veniva meglio quando c'era la Luna.
-Ci voglio andare lo stesso, Percy- disse la ragazza con i capelli rosa al moro-Farò una squadra e andrò là. Tornerò in America e distruggerò tutte le basi.
-Non credo che sia una buona mossa- commentò il semidio- Potrebbero attaccare prima del previsto, Kya.
-Percy, pensaci- fece la cugina- Potrebbe essere l'unica possibilità per salvare i semidei tenuti là contro la loro volontà.
-Continuo a pensare che non sia una grande idea, ma in strategia non sono mai stato un asso, perciò chiedi ad Annabeth e a Frank, loro sapranno cosa fare- la ragazza annuì, scese dal tavolo e uscì dalla cabina e Percy si rivolse alla ragazza che aveva di fronte-Vieni, ti mostro la tua cabina.
Brooke sorrise e seguì il figlio di Poseidone.

Sebastian si chiedeva dive fosse finita la sua amica. Era da quando era sorto il Sole che la cercavano, lui e Olive, ma non la trovavano. Probabilmente era andata a spiare i loro avversari. Eppure, non la vedevano sui tetti vicini ad osservare la nave. Alzò lo sguardo e vide una chioma violetta pralare con una ragazza dai capelli rosa vicino al parapetto. Sebastian spalancò gli occhi, mentre gli saliva la rabbia. Come aveva potuto Brooke Moon, uno dei migliori soldati, tradirli così. Olive seguì lo sguardo del giovane sino alla nave, dove vide la sua amica parlare con la ragazza con i capelli rosa, che aveva già visto in una delle cornici alla base. Sorrise mentre le vedeva parlare e disse:-Ha fatto la sua scelta e, personalmente, credo che abbia fatto la scelta giusta. I Jackson si stanno riunendo e lui verrà fermato, lo sai.
-Non potrà essere fermato se ne manca uno, perchè la stella non sarà completata- ribatté secco Sebastian- E Brooke si pentirà della scelta che ha fatto.
-Oh, Seb- protestò l'altra- Non dirai davvero. Insomma, lei è Brooke, non puoi farle del male. La ami, ricordi.
-Ti sbagli Olive. Io non la amo- rispose il ragazzo nascondendosi dietro l'ennesimo camino. Guardò la ragazza, che scuoteva la testa, facendo muovere i capelli ricci e scuri. Poi, la figlia di Eos indossò gli occhiali da sole scuri e disse:-Vado a fare un po' di shopping, se non ti dispiace.
-Vedi di tornare, Olive- la minacciò il ragazzo. La ragazza alzò gli occhi al cielo:-Altrimenti cosa mi farai? Non potete togliermi nulla. Ciò a cui tenevo me l'hanno portato via, perciò non ho niente da perdere, Seb. E non usare più quel tono con me.
Saltò giù dal tetto e scomparve tra la folla, diretta ai negozi, probabilmente. Sebastian vide la sua chioma scura scomparire definitivamente, poi s'appoggiò al muro del camino e iniziò a piangere. Sin da quando era nell'esercito del Caos aveva imparato a nascondere i suoi sentimenti, ma ora che si sentiva tradito lasciò che le lacrime bagnassero il suo volto, mentre la rabbia per il tradimento cresceva.

Harry era arrabbiato e anche parecchio. Non ce l'aveva con Percy, ma con Hermione e Draco, specialmente con Hermione per avergli detto ciò che stava succedendo tra lei e Draco. Adesso, anche lui si trovava in mezzo e non sapeva se dire la verità a Ron o meno. Erano stati messi alle strette da Philotes, la dea dell'affetto e della passione, che costudiva una pozione che Lou Ellen aveva chiesto esplicitamente. Erano andati a fare un minimo di spesa, siccome erano in molti sulla nave, e poi erano andati in un negozio di cianfrusaglie, indicatogli dalla figlia i Hecate. Lì avevano incontrato la dea, la quale aveva detto loro che poteva dargli la pozione solo e soltanto se tutte le bugie venivano a galla. Harry non aveva capito che cosa a dea intendesse con quelle parole. Aveva guardato Percy,che era diventato scuro in volto, mentre Draco e Hermione erano impalliditi. Aveva capito che nascondevano qualcosa, in particolare Hermione e Draco. La dea li aveva invitati a rivelare tutto e Harry doveva ammettere che l'avevano fatto in un modo piuttosto singolare. Draco aveva afferrato il volto di Hermione e l'aveva baciata con passione davanti a tutti e Harry aveva capito. Quando erano tornati sulla nave, si era rifugiato subito in cabina, cercando una spiegazione plausibile. Hermione e Draco, due persone completamente diverse, stavano insieme? E Ron, lo sapeva? Una parte di Harry sperava che il suo amico ne fosse a conoscenza, mentre l'altra parte di lui sperava di no. Voleva bene a Ron e a Hermione e non riteneva apportuno immischiarsi nella loro relazione. I loro problemi, dovevano rimanere tali. Sentì bussare alla porta e mormorò un "avanti" scocciato. Sulla porta comparve l'unica persona che non voleva vedere: Draco Malfoy. Il biondo chiuse la porta e disse:-Dobbiamo parlare, Harry.
Il grifondoro aggrottó le sopracciglia e Draco sbuffó:-A volte mi chiedo se sei tonto o cosa.
-Non voglio parlare di quello che è successo- realizzò Harry- Non sono affari miei.
-Invece parleremo eccome, Potter. Voglio che arrivi a fidarti completamente di me- ribattè Draco con grinta. Harry gli fece gesto di continuare:-Sono tutt'orecchi allora.
Draco alzò gli occhi al cielo:-Ascolta, Voltemort sta radunando maghi intorno a sé a dir poco potenti.
-E tu come fai a saperlo?!- sbottó Harry mentre scattava a sedere. Draco rimase vicino alla porta e continuò:-Non è come pensi, Harry. Passo informazioni fasulle a Voldemort, in modo che non ci possano trovare facilmente.
Per quanto rigurda Hermione... io la amo, davvero. Non so se lei ricambi o meno, ma io la amo come non ho mai amato nessuno in vita mia.
-La tua è un cotta passeggera, Draco- commentò Harry giocando con una pallina di plastica rimbalzate. Il serpeverde scosse la testa:-Ti sbagli Harry. Hermione è speciale e piena di vita. Durante gli anni a scuola, mi comportavo da stronzo solo per attirare la sua attenzione, perché sapevo che era l'unico modo per farmi notare da lei. Non sai quante volte vi guardavo da lontano e vi invidiavo: voi tre eravate amici senza sforzi. Io avevo Tyler e Goyle, due amici forzati, per così dire.
-Non lo sapevo...- mormorò Harry- Mi dispiace.
Rimasero in silenzio per un poco. Harry non avrebbe mai creduto che gli sarebbe dispiaciuto per Draco Malfoy. Se glielo avessero detto una cosa del genere pochi mesi fa, prima di incontrare i semidei, se ne sarebbe andato ridendo come un matto. Afferrò la pallina di plastica e disse:-Non mi interessa che cosa farete tu Hermione, ma vi chiedo di dirlo a Ron, se continuerete a frequentarvi.
-Io e Hermione non ci stiamo frequentando. Lei non mi vuole vedere in faccia- precisó il ragazzo biondo chinando la testa. Harry si sistemò gli occhiali sul naso:-Su questo non posso farci niente, Draco. Per quanto riguarda il resto, invece, credo che non ci siano problemi a farti diventare parte del team a tutti gli effetti.
Draco fece un debole sorriso, mentre Harry s'alzava e diceva:-Niente più segreti, Malfoy?
-Niente più segreti, Potter- rispose il biondo, dando una pacca sulla spalla al grifondoro, come lui aveva fatto poco prima.

Mentre la luna s'alzava in cielo, loro si stavano preparando per partire per l'ennesima missione. Sarebbero scesi Brooke, James e Talia. Erano giunti in Romania due giorni dopo l'arrivo di Brooke Moon, la quale aveva rivelato loro informazioni importanti sui semidei che servivano il Caos. Adesso sapevano che c'erano due semidei, Olive e Sebastian, al loro seguito, che li tenevano d'occhio per conto del Dio stesso. Ormai si fidavano completamente di lei, specialmente Talia e Bianca. 
Mentre sorgeva la Luna, i tre ragazzi si stavano preparando per far visita al castello del conte Dracula, tra la Valacchia e la Transilvania. Brooke si mise la borsa sulla spalla e chiese:-Siete pronti?
Talia e James annuirono e Brooke si bagnò le labbra, per poi mordersi il labbro inferiore e dire:-Quello che troveremo là sarà più spaventoso di ogni altra cosa che abbiate mai visto. Il castello è un luogo pieno di malvagità. Tutte le creature della notte vi vivono o dentro o intorno.
-Questo cosa vuol dire?- chiese Talia stringendo l'impugnatura del suo arco. Brooke alzò la maglietta e fece vedere le cicatrici che aveva:-Queste me le hanno fatte le creature della notte. I licantropi se vogliamo essere precisi. Loro sono i peggiori.
-Li ho già sconfitti una volta, non mi fanno paura- commentò Talia, mentre James pensava a che cosa si riferisse la figlia di Selene. Ci pensò un po' su, poi si ricordò di quando, a tavola, si era parlato dei mostri geneticamente modificati. Guardò Brooke e chiese:-Sono stati modificati geneticamente.
-Esatto. Sono più bestie che uomini- rispose la ragazza dai capelli violetti- Il loro unico obiettivo è uccidere e non si fermeranno davanti a nulla. L'unico modo per fermarli è cavargli gli occhi e mozzargli la testa, poi dare le loro anime alla Luna. Sembra facile, ma è più difficile di quanto si creda.
-L'ultima parte non mi è chiara- disse James- In che modo daremo le loro anime alla Luna?
-A questo ci penserò io, voi non preoccupatevi- fece Brooke cercando di non tremare davanti ai suoi nuovi amici. Riabbassò la maglietta e, mentre gli altri gli auguravano buona fortuna, gettò la scaletta di legno. Talia salutò il fratello e James la propria ragazza, per poi iniziare a scendere la scaletta. Brooke fu l'ultima a mettere piede per terra. Questa volta erano in mezzo ad un bosco. L'aria era umida intorno a loro e s'appiccicava alla pelle del viso. Le giacche, al momento, facevano solo del gran caldo. Brooke osservò la scaletta a pioli tornare su, sperando di riuscire a rivederla. Il suo ultimo incontro con le creature della notte, non era stato particolarmente piacevole ed era quasi finita in mille pezzettini.

Brooke aveva paura. Era sull'elicottero che l'avrebbe portata sul luogo della sua prova. Il vento era freddo e premeva sulle sue guance pallide come la luna. Doveva essere Natale, quel giorno, perchè tutte le case erano illuminate da piccole lucine colorate. C'era chi cantava le canzoni di Natale e chi si scambiava i regali, poi c'era chi spalava la neve e chi correva per i marciapiedi cercando di non scivolare. La Luna brillava nel cielo stellato, mentre fiocchi di neve candidi scendevano lentamente. Era fantastico e tutto molto... magico. Da quanto tempo non passava un Natale in famiglia? Nove anni. Invidiava i bambini correre per dai genitori e indicargli il giocattolo che volevano per Natale. Lei i genitori non li aveva. La madre era una dea, una titanide per la precisione, della Luna, che non si faceva mai vedere. Il padre era morto quando lei aveva tre anni ed era stata messa in un orfanotrofio, perchè nessuno la voleva. Era stata presa dai generali del Caos, addestrata per nove anni ed ora doveva superare la prova che le avrebbe concesso un posto da soldato nell'esercito. Non era molto allettante come idea, ma era l'unica cosa che poteva fare. La donna che era con lei, Ivy, una figlia di Deimos, la personificazione del terrore, sedeva di fronte a lei. Era stata sua maestra per anni e sperava che Brooke uscisse vittoriosa da quello scontro. Era un po' come prendere il diploma, dalla loro parti. Ivy era una bella ragazza sui vent'anni, dai capelli corti e neri come i suoi occhi, che mettevano paura solo a guardarli. Era molto misteriosa, capace di far spaventare la gente con solo lo sguardo. Certo, non era come la cugina Winter, ma anche lei era spaventosa.
Guardò Brooke negli occhi e annuì. La ragazza indossò il paracadute e, al cenno della sua insegnate, si lanciò nel vuoto, aprendo il paracadute al momento giusto e atterrando sui piedi. Quello che doveva fare sembrava semplice: entrare in un covo di lupi mannari e rubare loro uno dei loro cuccioli. S'incamminò verso la loro tana. La neve scricchiolava sotto i suoi scarponcini di cuoio, che ormai metteva sempre, anche perchè non davano altro ai ragazzi sotto addestramento, a parte la tuta che Brooke portava. Quando diventavi soldato, ti davano pagavano e più andavi in alto, più venivi pagato. Brooke non portava neanche la giacca quel giorno freddo. Il suo coltello era appeso alla cintura, e ne aveva altri due negli stivali, mentre, tra i capelli legati in uno chignon, nascondeva un aculeo di istrice intriso di veleno, mentre il sacco per il cucciolo era nascosto tra la tuta e la sua pelle. Entrò senza fatica nella tana, dove i lupi mannari dormivano. A Brooke sembrò strano tutto ciò, siccome, durante gli studi, aveva scoperto che, con la Luna piena, i lupi mannari correvano per i boschi e ululavano al satellite. Brooke entrò senza fare rumore, prese il sacco e ci mise dentro uno dei cuccioli che dormivano, cercando di non svegliarlo. Peccato che la madre se ne accorse subito e spalancò gli occhi, per poi ululare, svegliando tutti gli altri La ragazza ebbe un attimo di terrore, mentre si chiedeva come avrebbe fatto ad uscire da quelle situazione a dir poco impestata. La figlia di Selene si voltò di scatto, iniziando a correre, con il sacco di iuta in spalla. I lupi mannari la stavano inseguendo ed erano veloci. Sapeva che il suo potere non avrebbe funzionato, siccome i lupi non avevano bisogno della vista per sentirla, a loro bastava l'olfatto. Mentre correva, capì che la sua prova non consisteva nel catturare un lupo mannaro, ma sconfiggere un'intero branco di lupi mannari assetati di sangue. Brooke fece cadere il sacco e l'animale uscì. Brooke sfoderò i coltelli dagli stivali, impugnandoli con convinzione. Era lei contro un branco intero di lupi mannari che volevano cibarsi di lei. Si fece coraggio e aspettò che loro attaccassero. Si ricordava di quando Ivy le aveva spiegato che i lupi mannari, per essere sicuri che morissero, bisognava cavargli gli occhi, tagliargli la testa e farne un bel falò con i raggi della luna. Non bastava colpirli con l'argento, come le leggende mortali sostenevano. Infilzò i coltelli nei colli dei lupi che le passavano accanto. Salì sulla schiena di uno e gli piantò uno dei coltelli nella colonna vertebrale, mentre l'altro lo lanciava con forza verso il petto di un altro. Poi l'afferrarono, graffiandole la schiena, poi la pancia, facendo uscire parecchio sangue. Un lupo mannaro, più grande di altri, le si avvicinò con la bocca spalancata, pronta a divorarlo. Gli altri, intanto, stavano guarendo e Brooke non aveva più molto tempo. Mentre le faceva male ovunque, s'alzò in piedi con un balzo e tirò un calcio sul muso al lupo alfa, per poi prendere il suo coltello preferito e tagliargli la testa con rabbia. La testa cadde, poi Brooke s'avvicinò e, con riluttanza, strappò gli occhi dalla testa, mentre vedeva che l'intero branco si ritirava. Brooke fece un sospiro di sollievo. Allungò poi la mano verso la Luna, catturandone i raggi e facendo sì che una fiamma bianca illuminasse la sua mano, per poi gettarla sul corpo dell'alfa. Si piegò in due dal dolore e cadde a terra vicino a colui che aveva ucciso. Solo dopo scoprì di essere diventata un soldato dell'esercito del Caos e, solo dopo, scoprì che tutto quello che il Caos stava facendo voleva dire distruzione.

-Brooke- la chiamò Talia- Tutto bene?
La ragazza scosse la testa, scacciando via i ricordi di quella notte:- Si, tutto okay, Tals.
La mora la guardò seria, cercando qualcosa che non andasse, ma, non trovandolo, annuì e basta, per poi aggiungere:-James dice che dobbiamo entrare nel castello.
-Brutta idea, ma se è lì che troveremo ciò che serve, non ci rimane altra scelta, giusto?- commentò la ragazza. Sapeva che il castello era infestato da qualsiasi creatura della notte e temeva che ne avrebbero trovato di più orribili rispetto ai lupi che lei aveva dovuto affrontare. Ricordava perfettamente la loro pelliccia ispida, i loro artigli affilati e le zanne bianche che sembravano essere lame di un rasoio.
-Esatto- rispose James. Così, s'avvicinarono al castello, trovando una finestra aperta. Talia scoccó una freccia, alla quale era legata una fune di acciaio, con precisione, facendola conficcare nel muro. Rassicuró i due amici, i quali temevano che la freccia si spezzasse, ma la cacciatrice assicuró loro che la corda e la freccia avrebbero retto. Iniziarono a scalare. Brooke notò che la figlia di Zeus cercava di non guardare il basso e spesso faceva respiri profondi. Soffriva di vertigini. Era quasi esilarante, davvero. James entrò per primo dalla finestra e aiutò le due ragazze a fare altrettanto. Scesero lungo rampe di scale, cercando di non fare rumore, però questo non bastò. Brooke fu la prima a vedere il vampiro puntare i suoi occhi rossi su di loro. Se c'era qualcosa più orribile dei lupi mannari erano i vampiri. Brooke non li aveva mai affrontati prima d'ora, ma aveva sentito da Ivy che erano quasi impossibili da battere. Erano veloci, molto veloci e questo era un vantaggio. Il vampiro si mosse ad una velocità irraggiungibile da ogni essere umano e in poco tempo, Brooke si ritrovò una mano sul collo che stringeva. Alzò un piede e lo colpì tra le gambe, facendolo cadere in ginocchio. Vampiro o meno, lì faceva sempre male.
-Corriamo- disse Brooke imboccando le scale seguita dai due compagni. Si fermarono nella piazzetta al centro del castello. Evidentemente, le creature della notte sapevano che lei lo aveva tradito. Dopo era venuta in Romania per la sua prova, aveva scoperto che le creature, come i vampiri, lupi mannari e demoni di ogni tipo, rispondevano a lui,il Caos. Infatti, stavano a debita distanza da loro, i semidei del Caos, tranne quando si trattava di prove con adolescenti che potevano mangiare se si arrendevano. Era crudele.
-Fantastico- borbottó James-Vampiri e licantropi. Come si uccidono?
-I vampiri sono esseri immortali- disse Brooke- Perciò è complicato ucciderli.
-Noi siamo semidei- ribattè Talia- E possiamo farlo. Siamo tutt'orecchi, Moon.
-Staccategli la testa e mozzate loro mani e piedi- spiegò la figlia di Selene- Poi strappategli via i canini.
-Ai canini e agli occhi ci penso io- fece James prendendo un coltellino. Le due ragazze partirono alla carica, seguite dal ragazzo che, con una velocità assurda, strappava i canini e gli occhi. Brooke tagliava teste e mani, mentre Talia scoccava frecce ferso i punti scoperti delle bestie. Un lupo mannaro inseguiva la cacciatrice, che cercava di evitare di farsi prendere dalle zampe artigliete del lupo. Poi sentirono un corno e i vampiri e i lupi rimasti si voltarono cercando la direzione del suono. James, che era accovacciato per terra, s'alzò di scatto, riponendo il coltellino sotto la felpa e prendendo la spada dal fodero appeso al fianco. Talia si trovava un cornicione del castello, con una freccia inserita nell'arco, pronta per essere usata all'evenienza. Tutti e tre riportavano ferite piuttosto gravi ovunque. Brooke guardò il cielo, ma vide soltanto la luce della Luna che brillava. Sapeva che al suono del corno, le creature della notte avrebbero attaccato senza risparmiarsi e loro non ne sarebbero usciti vivi, davvero questa volta. I lupi mannari ringhiarono, mentre i vampiri facevano vedere i loro canini affilati. Brooke si ricordò a pezzi la lotta che coinvolse loro tre semidei e le creature della notte. Ricordava i fasci di luce che James invocava, le frecce argentate di Talia che facevano cadaveri a non finire. Ricordava bene però le urla che la figlia di Zeus aveva fatto quando il lupo mannaro le aveva morso il braccio e il dolore suo quando il vampiro con cui stava combattendo, aveva conficcato i suoi canini nel suo collo, lacerando la pelle. Per il resto, poi ricordava poco e niente, a parte la distesa di cadaveri di creature della notte che avevano creato. Brooke evocó il fuoco bianco, lanciandolo sui cadaveri, mentre tre sfere delle dimensioni di una noce cadevano dal cielo. Fu Talia ad afferrarle prima che cadessero. James raccolse i canini dei vampiri e li ripose in un sacchetto di plastica.
-Posso trovare un antidoto ai loro morsi- disse il figlio di Bau- Per ora dovrai accontentarti della magia guartiva, Brooke, sperando che il veleno non si diffonda ulteriormente.
Brooke annuì. La mutazione in vampiro non era immediata. Richiedeva molti giorni, se non addirittura mesi. Mentre i morsi di licantropo potevano rilasciare o meno il veleno, il morso di vampiro aveva dentro il veleno sempre e comunque. Talia mise in un piccolo sacchetto le tre sfere e chiese:-Torniamo alla nave?
I due semidei annuirono ancora, per poi seguire la cacciatrice fuori dal castello. Brooke guardò di nuovo il castello, mentre attraversavano il bosco, pensando che non sarebbe mai più tornata in Romania per nessuna ragione al mondo.

-Spero che tu stia scherzando!- esclamò Sebastian. Olive scosse la testa, osservando l'amico:-Non voglio più stare con lui, non dopo ciò che ha fatto.
-Brooke ha fatto la sua scelta. Sapeva a che cosa andava incontro- ribatté Sebastian. Olive si morse il labbro e chiese:-Davvero non provi più niente per lei? Era la tua migliore amica, Seb.
-Brooke ha tradito tutti: me, te e lui. Non ti mettere anche tu su quella strada, Olive- la imploró il biondo. Olive scossa la testa e, con le guance che venivano attraversate dalle lacrime, disse:-Io vado con lei Seb. Tu fai quello che vuoi.
Olive si voltò e scomparí prima che il biondo potesse dire qualcosa. Sebastian urlò e iniziò a prenderea pugni il legno degli alberi. Non solo Brooke l'aveva tradito, ma anche Olive. La sua giornata non poteva essere migliore, davvero. Afferrò il coltello che Brooke e Olive gli avevano regalato per la promozione e lo scagliò lontano. Si sarebbe vendicato, questo era certo.

Angolino dell'Autrice
Che ve ne pare? Brooke Moon lo trovo un personaggio interessante, davvero. Oggi non ne ho voglia di mettere i personaggi qui alla fine, anche perché sto scrivendo dal telefono e non so come fare. Io odio scrivere dal telefono, meglio il computer. Comunque, fatemi sapere cosa ne pensate e boh... Io ora vado a lezione di mate. Buona giornata, piccoli panda.
Baci.
Sara.

 

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Capitolo 49
*** DEBOLEZZA ***


DEBOLEZZA

Quando Carter vide l'Occhio di Osiride e l'Occhio di Seth insieme, in una stessa stanza senza cercare di uccidersi a vicenda, si disse che il mondo stava davvero per finire.
Erano appena giunti a Kinshasa, nella Repubblica Democratica del Congo e nessuno di loro pensava che i quattro ragazzi che si trovavano davanti li stessero aspettando da... tanto, a quanto diccevano. Carter non era mai stato in Congo, per ovvie ragioni, e non aveva mai pensato di andarci, a dire la verità. Erano apparsi in un piccolo vicolo della città, in mezzo ai sacchi della spazzatura, perciò ora non avevano un odore fantastico. I quattro ragazzi li stavano aspettando lì, come se avessero sempre saputo che sarebbero atterrati lì. Erano due ragazze e due ragazzi. Le due giovani erano completamente diverse. La prima, quella che poi Carter scoprì essere il nuovo Occhio di Seth, aveva i capelli neri e bordoux e gli occhi rossi come il sangue, per non parlare degli abiti, abbastanzanza inquietanti. La seconda sembrava più normale, con i capelli rossicci, gli occhi verdi, la carnagione caffelatte e gli abiti tradizionali da mago. I due maghi rietravano negli standar. Uno sembrava la copia più giovane di Julius Kane e l'altro era simile alla maga dai capelli rossicci, tanto che sembravano parenti, oppure era solo ha coincidenza. Sta di fatto che i quattro si erano avvicinati al gruppo e avevano fatto segno loro di seguirli. Li avevano portati in un edificio basso, dalle finestre bloccate da legno scuro e solo una piccola porta che sembrava chiusa a chiave. Non avevano parlato per tutto il traggitto, mantenendo un religioso silenzio. Carter non si fidava di quei quattro ragazzi, soprattutto della ragazza dai capelli bordoux, siccome gli trasmetteva negatività e caoticità. La copia più giovane di Julius Kane aprì la porta con una vecchia chiave arrugginatia, la spinse e fece entrare il grande gruppo nella casa. La rossa fece segno loro di seguirla, mentre il ragazzo richiudeva la porta dietro di loro. Carter  sussultatò quando sentì la porta chiudersi e la chiave girare, bloccando definitivamente l'unica via d'uscita. Deglutì e seguì il resto del gurppo. Li fecero accomodare in un salotto, o almeno era quello che sembrava. Dalle finestre entrava pochissima luce a causa dai pannelli di legno e non vi era alcuna lampadina per fare luce. Il divano era impolverato e le molle fuoriuscivano, eppure si sedettero lo stesso, troppo stanchi anche per lamentarsi. Erano stati seguiti dai demoni del formaggio e poi da una criosfinge impazzita. Il ragazzo rosso aprì il frigo e prese fuori una ciotola contenente qualcosa che assomigliava vagamente a della pasta asciutta. La mise nel microonde a fece partire, mentre tutti loro rimanevano in silenzio rigoroso. La ragazza con i capelli in parte bordoux si acciambellò su una poltrona libera, stappando una bottiglia di birra, per poi dire:-Che ci fate qui? Intendo in Congo.
-A chi lo stiamo dicendo?- chiese Ziah risoluta. La ragazza bevve un sorso dalla bottiglia verde che teneva in mano, per poi rispondere:-Qui in Congo vengono mandati i maghi che sono pericolosi. Certo, adesso che ci sono i Kane al comando, nessuno ce li manda più. Prima, però, venivano mandati qui, a morire, vorrei sottolineare. I ragazzi che avevano affinità con le divinità, che sin da piccoli nascevano con un pezzo di dio, o dea, dentro di loro, venivano spediti qui.
-Perchè?- chiese Sadie, mentre prendeva il piatto di plastica che le porgeva la ragazza rossa. La copia più giovane di Julius Kane, scosse la testa e rispose:-Perchè, come ha detto Soledad, siamo pericolosi. Voi avete sperimentato la divinità dentro di voi, immaginatela averla per tutta la vita, sin da quando siete nati. Non è carino, ve lo assicuro.
-Non vi siete mai ribellati?- domandò Walt. Soledad annuì:-Fino a poco tempo fa eravamo nelle file del Caos, poi però siamo scappati, riuscendo a tornare qui.
-Chi ci dice che non lavorate ancora per lui?- domandò Carter cercando di essere il più gentile possibile. Il ragazzo rosso lo guardò male, per poi rispondere:-Perchè non vi abbiamo ancora distrutto. La domanda che mi pongo è: come mai siete in Congo?
-Per le armi orginali- rispose Jaz- Ma immagino che voi le conosciate già, giusto?
-Esatto biondina- affermò Soledad alzando il braccio, mostrando loro un bracciale d'oro, con una sfera al suo interno di un colore rossiccio, mischiato all'oro. Anche gli altri tre ragazzi alzarono un braccio mostrando un gioiello simile a quello della ragazza. Soledad s'alzò dalla poltrona con la bottiglia ancora piena di birra. Disse qualcosa agli altri tre ragazzi, per poi dire, con voce flevole:-Amos Kane è morto.

Valentina non ne poteva più di dire addio. Era stanca di dover lasciare andare via delle persone a cui voleva bene. Non poteva farcela. E non poteva lasciare andare lui. Non lui. Tutti tranne lui. Era stato deciso che, un gruppo, una parte di loro, sarebbe andata a Petit Bois Island per fare saltare la base che era lì, per poi passare alle altre nel mondo. Valentina non era molto sicura di quella missione, praticamente suicida, che alcuni di loro avrebbero compiuto. Non avrebbe lasciato andare il suo migliore amico. Afferrò la spada di ghiaccio e fece diventare l'ennesimo mostro un kebab. Rotolò di lato e ne mise un altro fuori gioco, lasciando che si sgretolasse. Erano stati attaccati quella mattina ed era da più di un'ora che combattevano come dei dannati e ancora non avavano concluso niente. C'era chi era stato ferito, ed era stato mandato in infermeria, e chi continuava a combattere nonostante le ferite superficiali che riportava. Vale era stanca di infilzare mostri. Sperava che sarebbe finita presto. Talia le lanciò una corda e Vale l'afferrò, saltò alle spalle di uno dei mostri, atterrandogli sulla schiena, per poi stingergli il collo con la corda, fino ad ucciderlo definitivamente, tagliandogli la gola e macchiandosi la maglietta di sangue rosso e con riflessi d'oro.
-Stupidi lupi mannari- commentò Talia- Non poteva andarci peggio.
-Talia- la chiamò Reyna- Devo la criosfinge? Quanto tempo ci abbiamo messo per abbatterla?
-Non l'abbiamo abbattuta- ribattè Jason- Se n'è andata prima che la uccidessimo. Io dico: ma perchè tutte a noi?
-Oh, sai, stiamo solo cercando di sventare i piani  di Caos e salvare il mondo, cosa di cui lui vorrebbe impadronirsi per non so fare cosa. Bro, è ovvio che capitano tutte a noi. Siamo i buoni, lui è il cattivo. La vita non è rosa e fiori, sfortunatamente, aggiungerei- rispose Percy uccidendo gli uccelli dello stinfalo. Leo evocò una fiammata ed esclamò:-Momento di applauso per Percy, signori e signore. Devo dire che i tuoi discorsi d'incoraggiamento fanno proprio schifo, amico.
-Leo, taci e combatti, per favore- lo rimproverò Piper, proteggendolo da uno dei volatili maledetti.
-Immobilus!- esclamarono i maghi contemporaneamente, bloccando le creature malvagie. I loro amici semidei li guardoro stupiti, chiedendogli con lo sguardo perchè non l'avevano fatto prima.
-Vi muovete ad ucciderli, per la barba di Merlino!- esclamò Ron- L'incantesimo non durerà a lungo!
-Ron ha ragione- lo sostenne Harry- Muovetevi.
Mentre uccidevano i mostri rimanenti, Vale si chiedeva perchè era nata semidea. All'inizio, il fatto di poter combattere contro i mostri, creare il ghiaccio dalle mani ed avere una vita spericolata, l'aveva eccitata, ma adesso che conosceva la verità, voleva solo essere una ragazza normale, con una vita normale. Rick l'aiutò ad uccidere l'ultimo lupo mannaro, mentre Brooke dava l'anima del mostro alla Luna. Erano giunti a Mosca poche ore prima che il Sole calasse dietro gli edifici della città. Nonostante fosse quasi Aprile, fuori c'era un freddo che non ci si stava. Portavano ancora i cappotti, le sciarpe e le cuffie di lana. Vale non aveva freddo, di solito, ma quell'inverno, per la prima volta in vita sua, ebbe bisogno di coprirsi con indumenti caldi. Sapeva che quel freddo non era quello di sua madre. Era diverso, più caotico. I fiocchi di neve cadevano dal cielo grigio, appoggiandosi sul legno del ponte dove si trovavano. Hazel scese in cucina per preparare una cioccolata calda per tutti, mentre altri si dirigevano in infermeria o a farsi un bagno per togliersi il sangue di dosso. Vale rimase sul ponte, con Leo, Calypso e Kya. La ragazza coi capelli rosa, puliva la sua unica arma dal sangue, mentre il figlio di Efesto e la ninfa parlottavano velocemente tra di loro. Vale guardò la città che una volta era stata casa sua. Non le era mai mancata la Mosca. C'era freddo e lei stava bene, certo, ma non era mai stata veramente casa sua. Aveva trovato casa al Campo Mezzosangue ed era lì che voleva stare. In realtà, non pensava veramente a ciò. Pensava a Rick, che sarebbe partito con una squadra, per assaltare le basi del Caos. Non voleva lasciarlo andare.
-Tutto okay?- chiese la figlia di Ishatr avvicinandosi alla ragazza. Vale annuì e Kya la sorrise, per poi appoggiarsi al parapetto e dire:-So che non vuoi lasciarlo andare, Vale. Forse, dovresti dirgli quello che provi. Io sono stata una stupida, sai? Ho soppresso i miei sentimenti, credendo che fosse meglio per tutti. In realtà mi sbagliavo. Devo dire che ha avuto lui non si è mai arresso, questo glielo concedo. Ha saputo dimostrarmi che ci teneva a me.
-Parli di James?- chiese la figlia di Chione, sciogliendosi i capelli e mettendosi gli elastici al polso. Kya annuì:-Dovresti parlare con Richard e dirgli quello che provi per lui. Sono certa che ricambierà. E non dovrai avere paura per lui, se è questo che temi. Sa cavarsela.
-Ho paura di perderlo- sussurrò la giovane, per poi lasciare che delle lacrime calde le rigassero le guance arrossate. Kya l'abbracciò, lasciando che la più piccola si sfogasse con lei. Le accarezzò i capelli, come se fosse sua sorella maggiore.
-Davvero, va a parlargli- mormorò la ragazza coi capelli rosa- In questi casi è la cosa migliore.
Vale annuì, asciugandosi le guance con la manica del cappotto, per poi salutare la ragazza e scendere di sotto. Kya sorrise nel vederla andare via. Si sentì afferrare per la vita, mentre labbra calde si posavano sulla sua guancia. Sorrise nel riconoscere le sue labbra.
-Mi sento importante, sai?- disse lui mettendosi accanto alla sua ragazza- E quello che hai detto a Vale è stato molto bello.
-Mia madre è la dea dell'amore, oltre che della guerra, ricordi? Le situazioni amorose sono la mia specialità- scherzò la giovane guardando i tetti sotto di loro. James rise:-Sì, come no. Ti assicuro che  più probabile trovarti con una spada in mano che a giocare a fare Cupido. Inoltre...
-James, guarda!- lo interruppe lei, inicandogli una ragazza che sventolava le braccia verso l'alto- Leo, blocca la nave.
Kya legò una corda all'albero maestro e la lanciò di sotto, raggiungendo la ragazza. Aveva la pelle scura, i capelli color cioccolato fondente e gli occhi erano coperti da occhiali tondi. Sorrise quando li vide arrivare. La ragazza si tolse gli occhiali da Sole, rivelando dei bellissimi occhi dalle sfumature rosate. Kya si bloccò davanti alla ragazza, la quale sorrise ancora di più e chiese:-Beh... mi avevano detto che c'era Brooke qui.
-Brooke è a riposo. Chi sei tu?- chiese la ragazza dai capelli rosa. La bruna prese il portafogli ed estrasse una carta d'indentità, mostrandola ai due semidei:-Olive Sanchez, molto piacere di conoscervi. Sono figlia di Eos e, fino a ieri pomeriggio, servitrice del Caos.
-Come possiamo crederti?- chiese James guardando la figlia di Ishatr, che scosse la testa e, interrompendo la ragazza, disse:-Seguici.
James camminava affianco della ragazza dai capelli rosa, chiedendosi che cosa fosse successeso alla giovane. Perchè aveva deciso di fidarsi di Olive. Non era mai stata una ragazza che si fidava facilmente, bastava pensare a quanto tempo lui aveva impiegato per conquistare il suo cuore. Perchè ora si fidava ciecamente della gente? S'arrampicarono sulla fune che scendeva dalla barca. Il ponte, ormai, si era ripopolato, con gente che andava e veniva, mentre altri tiravano funi per le vele, oppure si divertivano a giocare ad acchiapparello. Diversi occhi vennero puntati su di loro. Olive cercava la sua amica, ma non la vide da nessuna parte. Un ragazzo con i capelli neri e gli occhi verdi, abbastanza muscoloso, s'avvicinò a loro, abbracciando la ragazza dai capelli rosa e squadrando la figlia di Eos.
-Lei è?- chiese indicandola. Kya la prese il ragazzo per il braccio e gli sussurrò:-Dobbiamo parlare. Ora.
Kya trascinò il cugino sino alla sua camera, quella che condivideva con James. Chiuse la porta dietro di sè, sperando che nessuno li disturbasse. Intanto, sul ponte, Olive aspettava che i due cugini finissero di parlare. Le si avvicinò una ragazza dai capelli ricci, scuri e occhi che sembravano pepite d'oro. Hazle Levesque. Olive già la conosceva. Alla base c'erano le loro facce ovunque, classificati come nemici del mondo. Eppure, quella ragazza non sembrava così minacciosa, anzi, sembrava così innocente. Olive aveva visto i filmati. Sotto la faccia di ragazzina innocente, Hazel Levesque era pericolosa. Era un'ottima cavallerizza e spadaccina. Insomma, non era poi così innocente. Le porse la mano, Hazel, e, con un sorriso stampato sulle labbra, esclamò:-Ciao. Io sono Hazel. Piacere di conoscerti.
-Olive- rispose la figlia di Eos, cercando di sorridere. C'era qualcosa, nel sorriso della ragazza, che la faceva stare male. Lei aveva una famiglia. Olive no. Certo, conosceva la storia di Hazel, ma la figlia di Plutone aveva trovato una famiglia negli Eroi dell'Olimpo. Olive cos'aveva? Aveva Brooke e Sebastian. Nessun'altro. Eos? Eos era la solita dea, titadine per la precisione, che non cagava minimamente i suoi figli. Solo due persone s'erano interessate a lei: Sebastian e Brooke.
-Dov'è Brooke?- chiese Olive ad Hazel. La figlia di Plutone s'irrigidì, per poi fare un sorriso e sussurrare:-Seguimi.
Hazel s'incamminò verso delle scale interne, che, probabilmente, conducevano ai piani inferiori. Olive la seguì, ammirando l'interno della Heroes. Magnifica. C'era chi correva nel corridoio per raggiungere altri piani, mentre animali di luce azzurra fluttuavano nell'aria. Un ragazzo coi capelli rossi litigava con una brunetta, mentre una ragazza rossa e un ragazzo dai capelli neri con gli occhiali li guardavano tristi. Harry Potter e i suoi amici, ovviamente. Vide una ragazza bionda e riccia afferrare delle carte e correre via. Annabeth Chase, la ragazza di Percy Jackson, figlia di Atena e l'unica che è riuscita a recuperare l'Athena Partheneos. Considerata la semidea più intelligente e scaltra da tutti, persino dal Caos stesso. Hazel aprì l'ultima porta del corridoio, rivelando un'infermeria attrazzatissima. Sulle brandine c'erano diversi ragazzi. Olive cercò una chioma viola e la trovò vicino all'oblò. Parlava con un ragazzo biondo, dagli occhi azzurri, molto simile a Sebastian. Olive s'avvicinò alla sua amica, la quale si meravigliò di vederla. I suoi occhi argentei erano colmi di lacrime nel vedere la sua amica. Olive abbracciò la ragazza, mentre il biondo se ne andava, passando ad un'altra ragazza dai capelli scuri e occhi blu notte, quasi neri.
Quando sciolsero l'abbraccio, le due giovani si guardarono a lungo negli occhi. Olive si sedette sul letto e prese la mano dell'amica, stringendola un poco:-Stai bene?
-Non molto- rispose Brooke, per poi mostrare il morso di vampiro che si era procurata in Romania. Olive spalancò gli occhi:-Mi dispiace, Brooke. Hai provato con... l'acido?
-No, Olive, personalmente non ci tengo ad usare quel medoto- commentò il biondo che prima si occupava di Brooke- Molto piacere. Io sono Will, figlio di Apollo e infermiere di primo livello.
-Sì, molto interessante- borbottó Olive. Non era abituata ad essere gentile con la gente, anche perché nessuno l'aveva trattata con gentilezza e amore durante la sua vita. Hazel s'avvicinò e mormorò:-Vuoi qualcosa da mangiare Olive?
-No, grazie- disse la ragazza- Sono a posto così. Quindi non hai provato l'acido.
Brooke scosse la testa:-Stanno cercando un rimedio meno doloroso dell'acido nelle vene. Credo una pozione, ma non sono sicura. Sebastian? Come sta?
Olive abbassò il volto, cercando nella sua mente una possibile scusa, che, però, non trovò. Come poteva dire alla sua amica che Sebastian Sun voleva ucciderle, che era innamorato, un'amore che non sembrava ricambiato, sostituito, ora, dalla vendetta più dolce e amara che si potesse assaporare. Olive prese un respiro profondo e piano piano, come se non volesse farsi sentire, disse:-Seb è... ancora con loro. Dice che stiamo sbagliando e che non ci sarà possibilità di vittoria. Sa che la stella non è completa senza l'ultimo Jackson. Probabilmente, a quest'ora, avrà già avvisato Ivy, che avrà avvisato Samuel, il quale avrà avvisato il Caos e avranno messo guardie ovunque intorno alla cella. Probabilmente sarà troppo tardi per intervenire, in una qualunque maniera.
-Olive, calmati- le ordinò Brooke scuotendola per le braccia- Ce la faremo, tranquilla. Stiamo già pensando ad una spedizione, per distruggere le basi. Dobbiamo liberare l'ultima Jackson, lo so.
-Sicuramente l'avranno spostata in una delle altre basi- commentò Olive- Conoscendo Ivy avrà mandato sicuramente la ragazza lontano, molto lontano.
La porta dell'infermeria si splancò, facendo entrare i cugini Jackson. La ragazza coi capelli rosa, con voce seria, disse:-Tutti sul ponte, riunione d'emergenza.
Olive aveva percepito solo freddezza nella voce della ragazza, tanto che le erano venuti i brividi. Sentiva che c'era qualcosa che non andava, siccome sembrava esserci tensione. Quando Kya incrociò gli occhi di Olive, la figlia di Eos sobbalzò. Erano trermendamente terrificanti gli occhi della figlia di Ishtar, di un color rosso rubino. In compenso, il ragazzo accanto a lei sembrava tranquillo, anche se l'unica cosa che faceva pensare il contrario erano gli occhi blu scuro. Olive si disse che forse era la fine, veramente. Annuirono tutti e i due sparirono. Brooke guardò la sua amica preoccupata. Era la fine. Che cosa sarebbe successo, ora?

Guardava le stelle e pensava. C'era una vista magnifica da lì. Fuochi purpurei illuminavan il cielo, donando luce a tutto. Si sentiva strano quella sera. Era forse perchè era appena tornato da una missione suicida, durante la quale aveva scoperto che era un Jackson e che doveva fermare il Caos? Sì, probabilmente sì. Insomma, non era mica normale. Da poco di buono al campo, era diventato un eroe a tutti gli effetti. E dire che prima lo volevano uccidere, il malo modo, tra l'altro. Appoggiò la testa sulle ginocchia e si chiese il perchè. Che cosa aveva fatto di male? Non bastava essere un semidio? Un semidio impacciato e imbranato, per la precisione. Perchè sua madre doveva essere una Jackson, eh? E soprattutto, perchè non gliel'aveva mai detto, in tutti quegli anni? Quindici anni erano passati da quando era nato e neanche una volta aveva menzionato quel cognome, poi, arriva un ragazzo, al campo, e, dopo varie peperizie, alta fuori come se fosse un fungo. Incredibile.
-Cameron- lo chiamò una voce femminile- Che cavolo stai facendo?
Cameron alzò lo sguardo sulla sua amica. Judith era vicino a lui, con un bellissimo abito da sera, i capelli castani legati abilmente in una particolare acconciatura e la parte superiore del volte colorata di un rosso sgargiante. Judith, o semplicemente chiamata Judy, era semplicemente magnifica. Ovviamente, Cameron non poteva dirle che aveva una cotta per lei da quando l'aveva salvato dai leoni. Doveva ammettere che la ragazza sapeva il fatto suo. Judy era un abile guerriera, figlia di Mextli, dio della guerra e delle tempeste. La ragazza era in grado di creare temporali degni di nota ed era abile con la lancia. Era veloce quasi quanto lui. Quasi. Judy si sedette accanto a lui ed, insieme, ammirarono il campo. C'era un silenzio tombale tra i due giovani, che neanche le musiche provenienti dal padiglione potevano riempire. L'aria del New Mexico era tiepida, tanto che si stava bene anche in maglietta a maniche corte. Fuori dalle mura del campo, c'era solo il deserto, tagliato da una linea ferroviaria che portava lì, utilizzabile solo dai ragazzi. Cameron ricordava perfettamente il giorno in cui vennero a prenderlo a casa della madre. Aveva appena dieci anni, neanche. L'avevano preso con la forza e portato lì. Niente di più terribile. Aveva sviluppato i suoi poteri, ma non aveva mai imparato a combattere veramente. Lui era veloce, punto e basta. Guardò Judy e decise di sganciare la bomba che, sicuramente, avrebbe disintegrato la loro nativa amicizia:-Io devo partire, Judy.
Era quasi un sussurro, ma la ragazza lo sentì lo stesso. Judy annuì:-Lo sapevo che volevi partire. Da quando siamo tornati non fai altro che pensare e stare da solo. Personalmente sono preoccupata per te. So che sei andato nell'archivio, Cam, dimmi il perchè.
-Sto cercando la mai famiglia, Judy- fece lui guardando la catenina che gli aveva dato sua nonna, Merilyn Jackson. Una stella di metallo. Solo quello gli era rimasto di sua nonna.
-Verremo con te, Cameron- mormorò seria Judith, afferrandogli la mano- Faremo gioco di squadra, come ci hai insegnato tu. Lo sconfiggeremo e troveremo la tua famiglia.
Cameron annuì, sussultando quando la ragazza si appoggiò alla sua spalla, cadendo in quello che sembrava un sonno profondo. Doveva radunare i suoi amici, aprire un portale e correre dietro ai Jackson. Nulla di più facile.

Sadie si chiedeva che cosa avesse fatto di male per essere sballottata da un luogo all'altro. Due sere prima erano arrivati a Kinshasa, incontrando quattro tipi particolari e ricevendo la notizia più terrificante che Sadie avessere mai sentito. Aveva pianto per ore e aveva smesso di mangiare. C'erano voluti tre giorni per farla alzare dal letto della stanza buia in cui si era rifugiata. Carter aveva reagito con rabbia, devastando mentà casa. I loro amici erano rimasti in silenzio, quasi fossero un cimitero. Avevano lasciato che i due fratelli si sfogassero, praticamente. Alla fine, Sadie e Carter avevano accettato la morte dello zio, anche se la ragazza ancora non toccava cibo e più tentavano di farla mangiare, più lei non voleva, mentre il fratello si era isolato dal gruppo, cacciando tutti con rabbia, tranne Ziah, che sembrava l'unica che potesse avvicinarsi senza essere aggredita. Soledad, Joe, Lupe e Uriel si erano uniti a loro, o almeno ci provavano. Ancora rubacchiavano dalle bancarelle, oppure usavano la magia a loro piacimento, senza pensare alle conseguenze.  Erano giunti a Città del Capo ed era notte fonda. Solo la Luna illuminava la loro strada. Sadie era stanca e quando le dissero che era ora di dormire, non se lo fece ripetere due volte. S'infilò nel sacco a pelo e chiuse gli occhi, mentre sentiva le dita di Walt che le accarezzavano la fronte pallida. L'occhio di Anubi sorrise debolmente, guandando la sua principessa che s'addormentava. Bella come poche era. Le diede un rapido bacio sulla guancia, incrociando mentalmente e dita. Sperava, lui. Erano tutti tornati vivi, perchè per lui doveva essere diverso? La voce di Anubi lo rimproverò, dicendogli che era ora d'andare. Diede l'ennesima carezza alla bionda, salutandola, sperando in un arrivederci e non in un addio. S'alzò e prese la sua borsa. Cleo lo guardava da lontanto. Gli occhi della ragazza sembravano fatti d'argento, ora, e si era tagliata i capelli in un caschetto scombinato. Lo guardò e annuì. Era ora di andare in scena.

Vale stava per scendere dalla corda che aveva lanciato di sotto, poco prima, sperando che andasse tutto bene. Forse non era una buona idea, già, ma era una cosa da fare. La bussola d'oro che avevano in dotazione aveva smesso di funzionare quando erano giunti in Russia e nessuno sapeva il perchè. Siccome la bussola non funzionava, non si era deciso chi dovesse andare, perciò erano bloccati lì. La figlia di Chione sentiva che era lei, perchè c'era la sua patria lì sotto. Certo, definirla patria era eccessivo, ma era sempre il paese dov'era nata. Che poi doveva ancora spiegarsi come aveva fatto Chione a finire lì.
Si sistemò lo zaino sulle salle e scese lungo la corda. Atterrò sul tetto di un edificio, per poi correre verso la piazza principale. Era stanca, molto stanca, eppure lo doveva fare. Si trovava poco distante dalla Cattedrale di San Basilio. La osservava. Scese dal palazzo, camminando per la strada, cercando di passare inosservata. Si sedette su una panchina e attese l'ora giusta. La neve non scendeva, non ancora almeno. Sarebbe stato quello il segnale. Quando la neve avrebbe iniziato ad attecchire, allora sarebbe iniziato in countdown. Poteva farcela, nonostante fosse sola. Si avvicinò a lei un ragazzo biondo e si sedette sulla panchina accanto a lei. Aveva gli occhi castani ed era alto, bello, come il Sole. La semidea chiese in Russo:-Necessita di qualcosa, signore?
-Non c'è bisogno che parli in russo- le disse il giovane in americano- Parlo la tua lingua. O meglio, sono inglese.
-Chi sei?- domandò Valentina spostandosi verso la fine della panchina di metallo. Si sentiva impotente vicino a lui. Era debole, molto debole. Dentro di lei, sembrava che la magia della neve che risiedeva in lei venisse a meno. Doveva andarsene. Eppure, il ragazzo l'attraeva, forse anche troppo. Il biondo fece un sorriso che sembrava quasi malvagio:-Sebastian. Sebastian Sun.

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Capitolo 50
*** IDENTITA' ***


IDENTITÁ

Era tardi ormai e Valentina sapeva che doveva andare a dormire, ma voleva aspettarlo. Doveva venire. Non l'avrebbe delusa, ne era sicura. Da quando aveva conosciuto Sebastian a Mosca non faceva che pensare a lui e sapeva che non era bene. Poteva essere benissimo un nemico o chissà che cosa, persino un mutaforma. Eppure, era come se quel ragazzo le fosse entrato dentro, lasciando un segno indelebile nel suo cuore. Ormai era un chiodo fisso, tanto che lo sognava persino di notte. Non c'era nulla di normale. Era arrivata, in pochi giorni, a dimenticare i sentimenti nascenti per il suo migliore amico che, ora, vedeva solo come tale. Vide qualcuno, da un tetto, salutarla e lei sorrise. S'assicurò che nessuno la vedesse e scese dalla nave volante. Il biondo la salutò e fece cenno di sedersi accanto a lui. Sebastian iniziò a parlare e, per l'ennesima volta, Vale gli chiese perché non venisse con loro. Era da giorni che si chiedeva perché il ragazzo la volesse incontrare solo di notte, quando non c'era nessuno. Le aveva proibito di parlare di lui, a chiunque. Aveva detto che era come il loro piccolo segreto, anche se la ragazza non capiva. Il ragazzo, prontamente, rispondeva che non poteva, perchè non voleva essere rifiutata. Vale leggeva tristezza in quelle parole. L'aveva aiutata a Mosca e lei non aveva potuto fare a meno di iniziare a fidarsi di lui. Rimasero in silenzio per un po' finchè non le chiese di raccontare qualcosa su di lei che ancora non sapeva. La figlia di Chione gli raccontò così dei nuovi progetti che avevano in mente i suoi amici, senza però andare troppo nei dettagli. Sapeva che potevano esserci spie ovunque e anche quando Sebastian insistette, la ragazza non cedette. Gli disse che alcuni di loro erano appena partiti per l'America, per distruggere alcune della basi dei loro nemici e che era una missione suicida. Sebastian non batteva ciglio e ascoltava la ragazza rapito, come se stesse prendendo appunti nella sua testa. Sapeva che era sbagliato ingannare quella ragazza in quella maniera, ma doveva avere le informazioni di cui necessitava. Nonostante ciò, sentiva che qualcosa lo attirava verso quella ragazzina di appena quattordici anni. Era come se lo avesse incantato. Sapeva però come erano fatti i figli di Chione: freddi, spietati, insensibili... insomma, l'amico che tutti vorrebbero avere. Eppure, Valentina Romanov gli era sembrata totalmente diversa: simpatica, generosa incredibilemente bella, nonostante la sua giovane età.
-Hey Seb, tutto bene?- chiese Valentina guardandolo con i suoi occhi color ghiaccio: bellissimi e gelidi. Sebastian sobbalzò. Quella ragazzina gli stava causando non pochi problemi senza rendersene conto.
-Hey, tranquillo, tranquillo, non ti mangio- gli sussurrò la ragazza accarezzandogli il braccio muscoloso- Sono io. Non devi avere paura.
Sebastian sorrise alla ragazzina che gli stava accanto. Vale si allungò e abbracciò il ragazzo, timorosa, però, della sua reazione. Temeva di essere respinta, di essere cacciata via in malo modo. Aveva osservato Sebastian durante quelle poche ore in cui si erano visti: sempre attento, un po' rigido e distaccato. All'inizio credeva che fosse perchè lei era un'estranea che aveva conosciuto da poco, ma poi si era resa conto che quello era il suo carattere e che non poteva cambiarlo. L'unica cosa che poteva fare era accettarlo per come era e lo avrebbe fatto, perchè lei era una brava amica. Sebastian non si ritirò dal suo abbraccio e la figlia di Chione ne fu conteta. Il figlio di Elio, intanto, si stava domandando perchè quella ragazzina lo facesse sentire così amato, così protetto. Era tutto troppo smielato per lui. Il fatto era, però, che non voleva lasciarla andare. Voleva abbracciarla ancora più forte, facendo toccare il corpo esile della ragazzina con il suo, grande e muscoloso. Era strano come, in quei giorni, avesse ripreso ad amare. Durante giornate intere passate a riflettere, era giunto alla conclusione che quello che provava per Brooke era amore, ma un amore diverso da quello vero. Era più simile all'amore fraterno. Aveva iniziato ad amare la ragazza che ora lo stava abbracciando, anche se non aveva ancora capito il modo in cui ci fosse riuscita. Era da tanto che non amava. Gli era stato strappato tutto a lui e non gli era rimasto niente, dopo quella notte calda e afosa di metà agosto. Se la ricordava troppo bene per essere dimenticata, come se gli Dei, per fargli un dispetto, gli avessero inciso quella notte. Scacciò dalla mente quei pensieri. Voleva godersi il momento, perchè sapeva che quando la ragazzina avrebbe scoperto chi era lui e per chi lavorava, l'avrebbe odiato come non mai e avrebbe voluto ucciderlo e lui, troppo in colpa per quello che aveva fatto, l'avrebbe lasciata fare, ponendo fine alla sua vita. Doveva dirle la verità, allontanarla prima che si scottasse, salvarla e poi scappare, il più lontano possibile.
-Vale...- la chiamò lui sciogliendo l'abbraccio. La ragazzina lo guardò con i suoi occhi color ghiaccio, che lo lasciavano sempre ammaliato, lo catturavano e non lo lasciavano andare più. Che stregoneria è mai questa?, si chiedeva ogni volta e ogni volta si rispondeva con il silenzio più totale. Valentina sorrise:-Stai zitto, okay? Non voglio sapere nulla questa sera, mi dirai tutto domani.
Domani. Troppo lontano era il domani. Avrebbe potuto non esserci un domani per loro, come nessun altro. Era difficile da accettare, eppure, quando stava con Valentina apprezzava anche quella parola che fin da piccolo gli aveva dato fastidio: domani. Forse era innamorato. Forse però era una magia che la figlia di Chione gli aveva fatto. Impossibile, non ne era capace. Intanto, quella parola, gli rimbombava nella testa. Domani, domani le avrebbe detto la verità.
-Va bene- le disse con la voce tremante- Domani sia.
-Ci spoteremo in Turchia domani- sussurrò Valentina tornando a sedersi sul tetto fatto di coppi di terracotta- La rotta è Instambul. Sei sicuro di riuscire a starci dietro?
-Posso essere più veloce di voi, ragazzina- scherzò Sebastian vedendo la ragazza accanto a lui scoccargli un'occhiataccia degna di nota- Immagina la luce, la sua velocità. Io posso andare a quella velocità.
-Scherzi vero?- chiese lei con gli occhi che s'illuminavano. Aveva sempre amato la luce, il suo calalore, la sua variazione di colori, insomma, tutto. Forse era dovuto al fatto che lei avrebbe dovuto odiare la luce. Si domandava perchè s'innamorava di ciò che non poteva avere, come la luce. Era successo la stessa cosa con una cane. Suo padre le aveva detto di no, siccome abitavano in una casa non sufficientemente grande, e lei si era innmorata di quel cucciolo. Finiva sempre così. Non poteva e s'innamorava. Ma chi cavolo glielo faceva fare? Soffriva e basta alla fine, ma era stato quel dolore a renderla sempre più forte.
-No che non scherzo- rispose Sebastian ridendo, mentre guardava gli occhi della ragazza, luminosi come non mai- Dai, torna sulla nave. Vai a dormire e riposati un poco, okay?
Valentina annuì, s'alzò e, prima di andarsene, disse:- Mi hai chiesto di raccontarti qualcosa su di me che non sapevi. Il mio vero nome è Alexia Romanov.
-Quindi il tuo vero nome è Alexia- mormorò il figlio di Elios- E perchè non lo usi. Credo che sia molto più bello di Valentina, senza offesa.
-Valentina era il nome di mia sorella- sussurrò la ragazzina. Sebastian vide il suo volto inscurirsi ed era certo di aver visto una lacrima scendere lungo la guancia candida della giovane, prima che ella l'asciugasse con il palmo della mano. Il figlio di Elio s'alzò in piedi e raggiunse la giovane, accarezzandole la guancia, poi i capelli, abbracciandola, infine. Lei singhiozzava contro il suo petto in silenzio, senza produrre alcun suono. Lui le accarezzava i capelli candidi e lei piangeva, bagnando la maglietta del biondo. Valentina s'aggrappò alla sua T-shirt, come se fosse un'ancora di salvezza. Era falso. Sebastian sapeva di starla ingannando. La stava usando e basta. Come avrebbe fatto, poi, a dimenticarsi di lei, ad ucciderla? Non l'avrebbe fatto. Sciolse l'abbraccio e la lasciò andare, asciugandole le ultime lacrime che solcavano le sue bellissime guance candide e perfette. Valentina lo salutò, creando poi una scala di ghiaccio, ritornò sulla nave, salutando un'ultima volta il biondo che la guardava. Stava per scendere sottocoperta, quando venne intercettata dal suo migliore amico, forse uscito dalla sua cabina per andare a fumare l'ennesima sigaretta. Per l'ennesima volta, vide Sebastian al posto di Rick. Scosse la testa, immaginandosi poi i due ragazzi a fumare una sigaretta sul ponte, a parlare come se fossero amici da sempre.
-Hey Vale- la chiamò Rick sottovoce, in modo da non svegliare coloro che stavano riposando prima del loro turno di guardia- Che ci fai alzata a quest'ora?
-Volevo prendere solo un po'aria- rispose la ragazza aprendo la porta della sua cabina- Ci vediamo domani, va bene?
Senza dargli il tempo di rispondere, Valentina chiuse la porta di scatto, lasciando senza parole il amico. S'avvicinò alla piccola cassettiera che teneva in camera e dove aveva sistemato alcuni vestiti. Aprì uno dei cassetti, pescando la sua giacca fortunata e schiudendo la tasca interiore, prendendo una fotografia. Era vecchia. Aveva i lembi rovinati ed i colori erano sbiditi. La guardò per un poco, incorntrando gli occhi della sorella: violetti. I capelli lugnhi erano biachi e azzurrini. Il suo contrario. Pianse, quella notte, la figla di Chione, versando tutte quelle lacrime che aveva trattenuto per troppo tempo.

Ziah aveva iniziato a maledire chiunque incontrasse dopo l'ora di pranzo. Era inziato bene e stava andando male, parecchio male. Si chiedeva perchè non erano ancora morti, a volte. Lanciò l'ennesimo incantesimo, sbuffando e maledicendo il mago che l'aveva attaccata. Già, stava andando proprio male. Era stanca, parecchio stanca. Ma cosa c'era che non andava nel mondo in cui vivevano? Proprio durante la loro "epoca" il Caos doveva decidere di volere vendetta? Non andava bene tra... qualche secolo o anche mai. Erano ancora a Città del Capo, ad aspettare non si sapeva cosa. Walt era riuscito nella sua impresa da solitario ed era tornato vivo. Peccato che poi li avevano ritracciati, più o meno verso l'ora di pranzo, così era iniziata un lotta su due fronti: la Casa della Vita e le forze del Caos. La cosa che più le dava fastidio era il fatto che li avevano interrotti nell'ora di pranzo e a questo Ziah non piaceva. Almeno il suo cheeseburger potevano lasciarglielo mangiare. No, ovviamente no, dovevano attaccare in quell'esatto momento. Era lì, che si portava il panino alla bocca per addentarlo, poi BUUM!, la vetrina rotta, il ristorante per metà saltato in aria e il pranzo era saltato con il ristorante. Perciò aveva iniziato a maledire tutti, anche chi non le aveva fatto niente. Stanca di tutto quel casino, evocò, attraverso un leggero sfioro sul bracciale, il potere di Ra. In quei giorni aveva imparato solo quello. Uno sfioro al bracciale d'oro e tutto diventava luce pura. Dopo arrivava la parte difficile: rimanere in piedi. Fu Carter a prenderla al volo, quella volta. Le spostò i capelli sudaticci dalla fronte e le posò un bacio sulla fronte sudata e accaldata. Ziah sorrise al lieve contatto, lasciandosi cullare anche dal silenzio che ora regnava,
-Sei un'incosciente- commentò Carter sottovoce- Sei davvero un'incosciente. Non farlo mai più okay? Lo sai che se lo usi troppo potresti...
-Lo so, Carter, ma era necessario- rise debolmente lei accarezzandogli la guancia. Con l'aiuto dei due fratelli Kane, Ziah si rimise in piedi e camminó sino ad ad una piccola scaletta che portava ad una porta di metallo vecchia e arruginita. Si sedette sul primo scalino e tirò un sospiro, come se cercasse più aria di quanta gliene servisse effettivamente. Si lasciò cullare dal piccolo alito di vento fresco, che interruppe per poco quel caldo afoso e appiccicoso che c'era. Cosa avrebbe dato per un minimo di caldo? Tutto. C'era troppo caldo.
-Bevi- le ordinò Sadie porgendole una bottiglia d'acqua. Ziah prese la bottiglia e bevve avidamente, cercando conforto in quell'acqua fresca che le scorreva giù per la gola. Mise il tappo e la passò alla bionda, ringraziandola. Sadie le sorrise e la ripose nella sua borsa di tela. Soledad si passò una mano tra i capelli scuri e, con voce stanca, disse:- Bene, direi che possiamo anche andarcene da qui, ora che il nostro lavoro è finito.
Con fatica, s'incamminarono verso la periferia della città. Presero il treno che conducevano fuori dalla capitale, sedendosi sui vecchi seggiolini del mezzo pubblico o stando in piedi, aggrappati ai pali colorati di ferro. Ziah appoggiò la testa al finestrino di vetro, inciso di nomi di persone che lei non conosceva. Ripensó all'ultima chiamata con Percy e Kya. Una parte di loro sarebbe andata in America, di nuovo, per distruggere diverse basi del nemico. Ziah non credeva che fosse una grande idea, ma lasciò che i suoi due cugini facessero ciò che cresessero giusto. Era gelosa dei suoi cugini, gelosa di quel rapporto cosí profondo che li faceva sembrare due telepatici. Non avrebbe mai fatto completamente parte della famiglia Jackson, lo sapeva, ma ci aveva sperato, almeno un poco. Ascoltò le ruote del treno stridere sulle rotaie, mentre il mezzo si fermava e apriva le vecchie porte, permettendo a coloro che lo aspettavano di entrare al suo interno. Tra loro c'era silenzio. Solo i due gemelli, Lupe e Uriel, si scambiavano qualche parola, probabilmente sugli ultimi videogiochi usciti. Due nerd, ma utilissimi. Erano in grado di evocare il potere di Nefti e di hackerare ogni computer possibile, inoltre erano bravi ad ideare piani in maniera rapida e veloce. Guardò fuori, mentre si fermavano all'ennesima fermata. Si spostò una ciocca di capelli dietro l'orecchio e sospirò, chiudendo poi gli occhi e lasciandosi cullare dai ricordi che volevano farsi strada nella sua mente. Rimpiangeva quei tempi in cui era tutto tranquillo, che sembrava quasi noioso. Perché non si era goduta quei momenti? Era stata una stupida a pensare che sarebbe stato tutto tranquillo. Adesso non si sentiva più nemmeno lei, era come se qualcosa si fosse aperto, forse una porta, rivelando la vera Ziah, quella che nessuno, neppure lei, conosceva. Una questione d'identità era. Chi era lei? Ziah. Cogn Sbuffó, scacciando via i pensieri con uno spolverino immaginario, pensando che presto sarebbe tutto finito, addormentandosi.

Percy cadde sulle ginocchia, appoggiando le mani sul legno scuro e cercò aria, respirando affannosamente. I muscoli gli facevano male, troppo male. Il cervello gli sembrava che si fosse ridotto ad una frittata e lo stomaco chiedeva una sola cosa: zuccheri e un bel cheeseburger degno di nota, con tanto formaggio e ketchup, contornato da patatine fritte. Il rumore che fece il suo stomaco gli fece capire che non doveva pensare al cibo, non ora che era sotto allenamento. Gli sembrava di essere tornato alla prima estate come semidio, quando ancora era tutto assurdamente facile, quando ancora, però, non erano una famiglia. Respiro profondamente ancora un paio di volte, come se volesse assicurarsi che i suoi polmoni funzionassero ancora. Sì, funzionavano ancora.
-Alzati, Percy- lo rimproveró Luke- Il Caos non ti lascerà riposare, lo sai.
-Sono a pezzi, Luke- rispose il figlio di Poseidone- Mi stai affaticando troppo e non mi lasci riposare.
-Devi spingerti a più del tuo massimo, Percy. È l'unico modo per riuscire ad avere un minimo di possibilità contro il Caos. Forza, rialzati e continuiamo.
Luke alzò con forza il figlio di Poseidone da terra, mettendolo in piedi, mentre lui sbuffava come un treno a vapore. Erano settimane che si allenavano ed non erano giunti a niente. Percy ancora faticava ad utilizzare il dominio del sangue e il troppo utilizzo lo stava sfinendo. Annabeth era preoccupata, ma Luke diceva che era necessario e lei ci credeva. Nonostante i suoi precedenti, Luke era una brava persona, che ti sapeva aiutare nel momento del bisogno e sapeva cosa bisognava fare in quei casi.
-Riprova Percy- dichiarò Luke. Il figlio di Poseidone si concentrò, lasciando che quella poca energia che aveva in corpo fluisse lungo la sua spina dorsale, lasciandola fluire nel sangue. Lui era acqua. Lui era un ocerano in tempesta, un uragano che distruggeva, ma che dava la possibilità di creare nuovamente, perché senza distruzione non c'è la creazione. Sentì l'umidità andare verso di lui, attirata dal suo richiamo. Una calamita era. Respiró diverse volte e pensò alla rabbia che aveva. Assolutamente niente. Come al solito. Annabeth gli aveva parlato della facilità con cui altro figli di Poseidone avevano utilizzato quel potere. Una facilità che, però, a lui era estranea.
-E se non avessi questo potere?- chiese- Se non...
-Impossibile- lo interruppe Luke con le braccia incrociate al petto, lo sguardo azzurrino che guardava solo e unicamente lui- So che è difficile. Secondo me, quello che ti blocca è la paura. Tu hai paura di quello che può succedere. Quando hai salvato Annabeth dai Dissennatori, non stavi ragionando. Avevi abbandonato tutti le tue emozioni, tenedoti aggrappato alla rabbia.
-Io so cosa può succedere se uso il dominio del sangue, Annabeth me l'ha spiegato. Io... Non voglio essere come loro.
-Non lo sarai- lo rassicuró Luke dandogli una pacca sulla spalla- Ci siamo noi con te.
-Già... È proprio quello che mi preoccupa- sussurró Percy mentre afferrava un asciuamano appoggiato lì vicino e asciugandosi la fronte dal sudore. Non ce la poteva fare. Sarebbe stata colpa sua se il Caos avrebbe vinto e questo lo sapeva. Si sentiva inutile. Tutti su quella nave sapevano cosa fare, come utilizzare i propri poteri. Tranne lui.
-Hey ragazzi!- li salutò Piper entrando nella stanza- Come procedono gli allenamenti?
-Non male- rispose Percy mentre Luke gli scoccava un'occhiataccia degna di nota. Piper rise alla vista di quell'occhiata:- Luke, Talia ti vuole di sopra.
-Vado subito- esclamò il biondo afferrando la felpa e dirigendosi verso l'uscita. Percy, ridendo, urlò all'amico:-Sei cotto marcio, amico!
-Questo l'ho sempre saputo!- ribattè il figlio di Hermes correndo su per le scalette di legno e sparendo dalla vista degli altri due semidei. Piper scosse la testa, poi guardò il figlio del Dio del Mare. Doveva parlargli. Ora, o non avrebbe più avuto il coraggio. Voleva sapere. Aveva pensato di chiedere a Kya, ma era partita, perciò doveva fare domande a Percy. Contò fino a dieci e si sedette per terra, mentre Percy prendeva una bottiglietta d'acqua dal minifrigo posto a lato della stanza.
-Percy...- lo chiamò Piper con voce flebile. Era quasi impossibile sentire la sua voce, ma Percy si voltò nel sentirsi chiamare. Sorrise alla figlia di Afrodite e si sedette accanto a lei, aprendo la bottiglietta d'acqua e bevendone un lungo sorso. Richiuse la bottiglietta di plastica con il tappo rosa fluo e Piper si chiese dove cavolo le avessero comprate: possibile in Romania? Ma cosa importava, in quel momento? Niente, doveva sapere che cosa era successo a Parigi. Era passato troppo tempo da quando avevano passato la città e Piper non aveva ancora avuto risposte.
-Dimmi Pips- dichiarò Percy sorridendole, con quel sorriso che faceva innamorare tutte le ragazze del campo di lui, ma che in realt era solo un sorriso che rassicurava, nulla di più. Piper si passò la lingua sulle labbra:-Devi darmi delle risposte. Cosa è successo a Parigi? Come ho fatto a fare...
-Pip- la interruppe percy- Stiamo ancora cercando di saltarci fuori, ma supponiamo che tu discenda da una qualche divinità diversa da quelle che conosciamo. Probabilmente legata anche al tuo passato. Per il resto, posso solo dirti che ci stiamo lavorando. Kya andrà a trovare mia madre e le chiederà spiegazioni sulla nostra famiglia e, probabilmente, sarà tutto collegato.
-Se c'è qualche novità me lo dici, vero?- chiese timorosa la figlia di Afrodite. Percy le passò un braccio intorno alle spalle e l'abbracciò:-Certo Pip. Non preoccuparti. Ne verremmo a capo, te lo prometto.
Piper si lasciò cullare dal calore di quello che ormai considerava un fratello. Stava abbandonando la sua vecchia identità per arrivare a ciò che era veramente. Chiuse gli occhi, poi chiese:- Ti va se ti aiuto con i tuoi allenamenti? Magari potremmo provare nuove tecniche.
-Illuminami Pip- scherzó Percy lasciando andare la ragazza, che lo tirò su in piedi tirandolo per la mano. Si misero uno di fronte all'altro, poi Piper gli fece mettere le mani congiunte e congiunse anche le sue.
-Ho frequentato un corso di yoga prima durante l'autunno, forse può aiutarti- disse la ragazza con il sorriso stampato sulle labbra, mentre metteva il piede destro sulla gamba sinistra, assumendo la posizione dell'albero. Respiró molte volte, ispirando ed espirando, cercando di mantenere il suo equilibrio interiore.
-Rilassati Percy- gli disse- Mantieni la calma e sii tutt'uno con l'aria.
-Ti ricordo che il mio elemento è l'acqua- le rispose il giovane, mentre la copiava, assumendo la posizione del guerriero.
-Ma concentrati sull'aria- sussurró la mora- Senti l'aria e l'umidità. Prendine il controllo. Tu sei acqua e aria.
Piper poi si mosse velocemente, cambiando posizione: un piede avanti e uno indietro e le braccia, con i palmi aperti, rivolte verso Percy. Il figlio di Poseidone fece come gli era stato detto, assumendo la posa che aveva Piper. Fece come la figlia di Afrodite gli aveva detto, lasciando che l'energia che lui era, che ciò che lui era, la sua vera natura, fluisse. Calma e pace. Niente uragani, oceani in tempesta, solo pace e calma. Lui era la parte buona dell'oceano. Non era come i suoi fratelli defunti, lui era diverso.
Piper sorrise. Ce l'aveva fatta. Aveva accettato chi era.

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Capitolo 51
*** IL TEMPO NON È MAI ABBASTA ***


IL TEMPO NON È MAI ABBASTA


Kya sbuffò, passando il binocolo al ragazzo accanto a lei. Le mura erano circondate da un fossato, riempito con ogni tipo di mostro marino, mentre in alto, oltre ai mutaforma, c'era il filo spinato, che conduceva corrente elettrica. Alzò gi occhi al cielo, sperando in un qualche aiuto divino. Niente. Come al solito del resto. Le guardie giravano in torno. Ragazzini erano, di pochi anni in meno di lei. Come avrebbe fatto ad ucciderli, per passare? Ne avrebbe davvero avuto il coraggio? Sicuramente no. Si morse la lingua, mentre pensava a come agire. Normalmente sarebbe entrata senza farsi troppe paranoie, ma quello non era il caso. C'era in ballo la vita dei suoi amici e li voleva tutti vivi. Aveva scelto una piccola squadra, per quanto piccola potesse essere una squadra d'assalto. Le avevano detto che non era una buona idea, ma lei era partita lo stesso, stanca di stare con le mani in mano, ad aspettare di arrivare a casa. Doveva fare qualcosa o sarebbe impazzita. Brooke guardò la piantina che avevno disegnato sulla sabbia del deserto del New Mexico. Era solo il primo piano, o meglio: l'unica via d'ingresso. Brooke era stata molto chiara sulla pericolosità della missione, ma era stata la prima ad accettare di andare, praticamente, a morire. Aveva detto che doveva chiudere con il suo passato, per questo aveva accettato.

-Entriamo da qui, senza farci vedere- disse la figlia di Selene indicando un segno più spesso degli altri, che indicava la presenza del muro di calcestruzzo-Andrà solo qualcuno di noi, oppure tutti ci noteranno. Dall'altro lato, c'è una porta: il resto del gruppo passerà di lì. Dopo di chè, entreremo da una porta che si trova all'incirca qui, scenderemo diverse rampe di scale e giungeremo alla base vera e propria. Salveremo i ragazzini e ce ne scapperemo via. Dopo ciò, faremo saltare tutto in aria.
-Ci rendiamo conto che stiamo andando a morire, praticamente- commentò Alec indicando la mappa. Tutti annuirono e il figlio di Cupido annuì e alzò le spalle, incassando la testa tra di esse:-Bene, era solo per chiedere.
-Prepariamoci- ordinò la figlia di Ishatr, indossando la cintura con un piccolo pugnale appeso. la sua squadra annuì e i giovani semidei iniziarono a prepararsi, prendendo le proprie armi. Fatto ciò, s'incamminarono per raggiungere ciò che consideravano la prima vittima. Giunsero abbastanza vicini e si separarono. Il piccolo gruppo formato da Kya, Brooke, James e Jacob si diresse verso il primo punto d'entrata, mentre il resto, campeggiato da Kristen, si dirigeva verso la seconda entrata localizzata. Brooke manteneva loro invisibili, mentre camminavano verso il fossato abbasatanza profondo e largo da ospitare una bestia di notevoli dimensioni. Kya sperava che non ci fosse colei che temeva d'incontrare. Non sarebbe stato un incontro piacevole, neanche un po'.
-Come facciamo ad entrare?- chiese Jacob facendo scorrere lo sguardo sul muro di calcestruzzo. Brooke gli indicò una piccola porta, vicino allo scorrere dell'acqua:-La nostra entrata.
-Mi pento di avertelo chiesto, sai- commentò il giovane sbuffando. S'avvicinarono alla riva del fossato, ancora invisibili grazie alla magia di Brooke. Kya non si sentì al sicuro. Neppure un poco. Sentiva che c'era qualcosa che non andava ed era sicura che non fosse ciò che li stava aspettando dietro il calcestruzzo. Guardò l'acqua, troppo limpida per essere popolata da mostri. Vide delle bolle salire e scoppiare ed era sicura di aver visto un'ombra passate sotto il filo dell'acqua.
-Lanciamo una corda e poi attraversiamo- propose Brooke. I due ragazzi annuirono mentre la figlia di Ishatar guardava ancora l'acqua. I tre lanciarono una corda attaccata ad a una lancia dall'altro lato del fossato. Kya rivide quell'ombra ed i suoi sensi scattarono. Si sfilò l'anello d'argento, facendolo diventare una katana dalla lama nera e si mise sull'attenti, pronta a combattere. Vide di nuovo l'ombra passare veloce sotto l'acqua e alzò la spada giapponese. Poi fu tutto rapido: un serpente marino uscì fuori dall'acqua, spezzando la corda che avevano mandato dall'altro lato. Tiāmat, la dea delle acque salate primordiale, colei che Kya non voleva incontrare, neanche se l'avessero pagata oro. La dea serpentina  munita anche di corna fece un altro salto fuori dall'acqua, accendoli con i raggi del Sole che riflettevano sulle su scaglie d'oro. Ecco, siamo finiti, pensò Kya, mentre la sua mano iniziava a tremare come una foglia. Che cosa le stava prendendo? Impugnò con fermezza la spada giapponese e aspettò che la dea tornasse fuori dall'acqua per colpirla, o almeno provarci. Tiāmat non perse tempo ad attaccarli una seconda volta, scagliando però loro contro un'onda gigantesca. In quel momento, Kya avrebbe voluto Percy con lei. Che cosa poteva fare lei contro una dea dell'acqua? Niente. Non era il suo elemento. L'onda non li colpì e Kya alzò lo sgaurdo pe vedere James, con le mani tese in avanti, intento a reggere una barriera trasparente che impediva all'acqua di passare.
-Via, passate dall'altro lato!- gridò con voce tremante- Liberate i ragazzini. Forza!
-Non ti lascio qui da solo James!- urlò la ragazza dai capelli rosa ormai bagnati fradici. Non l'avrebbe lasciato, non con l'onda che poteva travolgerlo da un momento all'altro, non con una dea serpente che voleva mangiarselo a pranzo. Non voleva.
-Vai via per l'amore degli Dei!- protestò il figlio di Bau mentre lacrime salate gli rgavano il volto, perchè sapeva che non sarebbe sopravvissuto. Kya scosse la testa, mentre anche sul suo volto le lacrime iniziavano a scorrere:-Non voglio. Non senza di te.
-Jacob!- urlò James mentre le mani tremavano- Portala via. Subito. Vi troverò io, promesso.
Jacob annuì, prendendo poi la figlia di Ishtar sulle spalle contro la sua volontà, caricandola come se fosse un sacco di patate, mentre lei urlava scalciando, non volendo abbandonare il ragazzo che amava. Tiāmat si concentrò sul ragazzo che stava fermando la sua onda, non notando gli altri tre semidei che attraversavano il fossato. James lasció cadere la barriera e l'acqua lo investì. Kya, ancora sulle spalle di Jacob dall'altro del fossato, urlava il nome del figlio di Bau. Nel cuore della ragazza qualcosa si era spezzato, come se quel filo che li univa fosse stato tagliato. Sentiva che batteva troppo forte, il suo cuore, troppo per essere messo a tacere. Intanto, la sua mente, consciamente o meno, stava eleborando i momenti che avevano passato assieme: i baci, le carezze, le lacrime che lui tendeva ad asciugarle durante uno di quei pianti notturni, gli abbracci sulla ziggurat mentre guardavano le stelle, i combattimenti e le gare vinte assieme, come una squadre. Lei non era nulla senza di lui. Se non fosse stato per lui, avrebbe ceduto alla vendetta, lasciato il Campo Mesopotamia e, magari, avrebbe cercato di morire, per il troppo dolore, dopo la morte del padre, perchè lei, aveva covato quei sentimenti, nonstante gli amici. Adesso lui se n'era andato, o forse no. Non lo sapeva questo. Non poteva essere sopravvissuto, solo per il fatto che le portate dell'onda erano molto grandi. Si sentì spezzare definitivamente: dentro e fuori, ogni parte di lei era spezzata. Era vero: l'amore ti uccideva dentro. Lasciava scivolare via la parte migliore di te. Lasciava che, la tua unica sicurezza, sparisse definitivamente, mentre un fuoco chiedeva vendetta. Vendetta contro coloro che gli avevano tolto lui.
-Andiamo- disse Brooke. Jacob si limitò ad annuire, trascinando via anche la ragazza che James gli aveva affidato. Credeva in lui, certo, ma sapeva che c'erano minime probabilità di sopravvivenza. Era stato suo rivale per anni, ma sperava che fosse vivo. Nonostante i loro continui battibecchi, erano amici, in una maniera tutta loro. E poi, era l'unico che riusciva a tenere a bada la ragazza che, adesso, si stava portando dietro.
-Dobbiamo tornare indietro!- urlò la ragazza coi capelli rosa- Dobbiamo andare ad aiutarlo.
-Calmati!- la rimproverò Jacob scuotendola per le spalle- James sopravviverà, te lo prometto. Ora, però, devi concentrarti sulla missione. Abbiamo bisogno di te.
-Ed io ho bisogno di lui!- gridò la figlia di Ishatar- Io...io...
La ragazza scivolò via dalle braccia di Jacob, cadendo a terra, piangendo. Ogni cosa era perduta. Lui era perduto. Jacob si chinò e l'abbracciò, mentre lei piangeva sulla sua felpa, bagnandola con le lacrime. Era morta dentro. Lasciarono che si sfogasse un poc, incoraggiandola poi a camminare, per proseguire la missione. Kya strisciava i piedi, incapace di camminare come si deve. Il dolore che la stava affliggendo era troppo. Ogni tanto, una lacrima scendeva, come se non fossero abbastanza quelle che aveva versato prima. Certamente, piangere non sarebbe servito a riportalo indietro e doveva smetterla di comportarsi come la bambina che non era mai stata. Però il suo volto, quello di lui, con gli smeraldi al posto degli occhi, non poteva non farla piangere. La cosa assurda era che più ci pensava, più quelle immagini si facevano chiare nella sua mente, come se qualcuno volesse farle provare solo dolore.
-Siamo arrivati- mormorò Brooke indicando una piccola porta nascosta abbastanza bene da occhi indiscreti. La figlia di Selene aprì piano la porta, svelando un grande piazzale, dove ragazzi in mimetica verde con i fucili sulle spalle e armi sulla schiena, camminavano velocemente, per dare il cambio alle altre guardie. Jacob si voltò verso la figlia di Ishatr:-Credi di farcela a terminare la missione?
Kya annuì debolmente, neanche lei convinta. Jacob annuì a sua volta:-Contiamo su di te, ricorda. Sei ciò che può salvarli.
Avrebbe voluto urlare che lui non era riuscito a salvarlo, che James era morto, probabilmente. Lei non poteva salvare quei ragazzi. Eppure, nonostante tutti questi pensieri, annuì. Brooke fece segno di seguirli e i due fecero come gli venne detto dalla ragazza. La figlia di Selene colpì sul naso una delle guardie dietro la porta, nascondendosi, poi dietro una colonna. I due al suo seguito la seguirono, percorrendo il muro, stando attenti a nonn fare danni che avrebbero potuto far attirare l'attenzione su di loro, nonostante fossero invisibili. Giunsero alla porta che dava sul retro, aprendola, per lasciare che gli altri della squadra entrassero. Kristen si fermò a guardarli, mentre il resto seguiva Brooke in una battaglia all'ultimo sangue per entrare nella base.
-James?- chiese Kristen. Kya abbassò lo sguardo e Kristen l'abbracciò di slancio, versando lacrime salate:-Mi dispiace.
La figlia di Ishtar annuì, staccandosi dall'abbraccio dell'amica, passandosi la lingua sulle labbra e impugnando saldamente la sua katana, sentendo Jacob che le chiamava a raccolta. Le due giovani corsero in aiuto del resto della squadra, facendosi largo a colpi di fendenti, ferendo solo superficialmente coloro che provavano ad ucciderli. La figlia di Ishtar combatteva con rabbia, cercando in una qualche maniera di reprimere la leonessa che c'era in lei e che voleva uscire a tutti i costi. Una battaglia che le sembrava infinita dentro di sè.
-Occhio agli arceri sulle balconate- urlò Alec dall'alto, mentre lanciava, con Amanda che gli copriva le spalle, piume bianche affilate come rasoi.
-Jake, vieni con me!- urlò la ragazza con i capelli rosa aprendo la botola che conduceva ai piani inferiori. Scesero all'interno delle base, lungo la scaletta di metallo. Era tutto buio e solo dopo le luci al neon bianche s'accesero, abbagliando i due ragazzi. S'incamminarono lungo il corridoio, prendendo la prima porta a sinistra, girando poi nel corridoio lungo e largo che si trovava alla loro destra. Avevano imparato la mappa a memoria, ma faticavano lo stesso a trovare la via giusta. Corsero ancora più in fretta, cercando di sbaragliare le guardie che li assalivano. I polmoni di entrambi facevano male, bruciavano come fiamme dell'Inferno. Scesero diverse rampe di scale, fino a giungere in un largo e lungo spazio, che assomigliava ad un parcheggio gigantesco, con la differenza che vi erano sacchi da box e tappeti rossi per ipedire di farsi male con l'asfalto freddo e grigio.
-In fondo e dovremmo essere arrivari- disse Jacob contento di essere finalmente arrivato dopo la lunga corsa. Vide la ragazza annuire, per poi correre assieme verso la porta di metallo pesante. Spinsero i maniglioni rossi con forza, entrando in un secondo abitacolo, dove letti a castello stavano in quattro file lunghe tutto il grande spazio. Ragazzini dall'età di cinque anni si stavano divertendo, ognuno a modo proprio. Si voltarono tutti verso i due ragazzi che erano piombati nella stanza.
-Hey, giovanotti!- esclamò Jacob- La prigionia è finita! Si ritorna nel mondo!
-Sbagliato principino- disse un qualcuno alle loro spalle. La lama lo trapassó da parte a parte, facendogli un foro all'altezza dello stomaco. Sangue rossastro iniziò a scendergli dalle labbra, mentre la figlia di Ishtar sopprimeva un urlo. Alzò la katana e trafisse l'assassino del biondo, il quale cadde a terra, ansimando. La ragazza s'accasció accanto al corpo del giovane, il quale alzò la  mano intrisa di sangue, volendo accarezzare la guancia della ragazza.
-Jake...- sussurró  la ragazza cercando di fermare l'emorragia- Rimani qui, ti prego. Non chiudere gli occhi... Non posso perdere anche te.
-Ma ci sarò sempre con te, ragazzina- mormorò il biondo stanco e affaticato- Lo sai che la morte è irreversibile e dannatamente certa nella vita.
Lacrime salate scorrevano sulle guance pallide di lei. Non era riuscita a proteggere nessuno dei due: prima James e adesso Jake. Sarebbe mai finita questa tortura?
-Mi dispiace... Io...- singhiozzó Kya- Non sono riuscita a proteggere nessuno dei due e... E adesso ho perso lui e sto perdendo te.
-Devi dire una cosa a Anne, per me- chiese Jake e, vedendo l'amica annuire,  continuó:- Dille che la amo e l'amerò sempre e ovunque.
-Jake...-lo chiamò urlando, mentre lui sospirava,  lasciando andare anche l'ultimo alito di vita che lo teneva legato al mondo. La ragazza urlò e le pareti tremarono.  Pianse sul corpo del giovane amico che giaceva accanto a lei. Gli chiuse gli occhi con le mani tremanti e li coprì con un lenzuolo, sotto lo sguardo attento dei giovani semidei. Un ragazzo delle sua età le si avvicinò,  con passo felpato. Le appoggiò una mano  sulla spalla e le disse:-Mi dispiace per il tuo amico.
-Non me ne faccio niente delle tue scuse. Adesso andiamo, abbiamo altro da fare.
Si trasformò  in una leonessa, facendosi carico del corpo di Jacob, per poi iniziare a correre verso l'uscita, con i giovani  semidei alle calcagna. Percorse la strada all'indietro, mentre pensava che non era un'eroina lei, ma solo un ragazza che giocava  a fare l'eroe. Non aveva salvato due delle persone a cui teneva di più.  Cosa avrebbe detto a Kristen o ad Anne? Sarebbe stato difficile da accettare e da superare. Il tempo avrebbe aiutato? No, anzi l'avrebbe solo distrutta. Jacob e James avevano  entrambi dei sogni che nascondevano nei cassetti della mente. Il biondo  voleva entrare all'università  di legge, la scuola che aveva frequentato lo zio, mentre il castano voleva affermarsi come medico. Nessuno dei due sogni si era realizzato. Il tempo non era stato abbastanza.
Giunsero all'aria aperta e della base rimanevano solo macerie. Kristen, con il dono della luce. Non mancava nessuno di loro. Kya appoggiò  il corpo di Jacob per terra e ritornò nella  sua forma umana. Vide Kristen caderea terra, singhiozzando, mentre gattonava, poi, verso il corpo senza vita. Brooke s'avvicinò  al gruppo di semidei nuovi riconoscendo la chioma castana dell'amico di guerra.
-Sempre uguale Theo, vero?- chiese la figlia di Selene avvicinandosi. Il ragazzo annuì:-Mi dispiace per lui.
-Era un bravo ragazzo.
Il rumore di elicotteri  li interruppe. Alec alzò  lo sguardo al  cielo, afferrando la mano di Amanda, la figlia di Thanatos, e, in un mormorio, disse:-Andiamocene da qui.
Tutti furono d'accordo. Il loro cammino fu illuminato dalle fiamme che mangiavano la base del nemico, inghiottendo anche il corpo del figlio di Utu. Kya si voltò  a guardare indietro, mentre il posto che le aveva portato via due ragazzi fantastici bruciava. È come l'inferno, si diceva. All'inferno, però, eri già morto.
-Vorrei che tutto finisse presto- pregò a bassa voce, ignara del fatto che Theo la stesse ascoltando. Il ragazzo sorrise e disse:-Sei fortunata che tu abbia a disposizione un figlio di Crono, ragazzina.

Angolo Autrice
ALLORA. Avevo perso la password e non la trovavo più, ma oggi l'ho ritrovata, perciò ecccomi qua. Non so che dire, davvero. Forse molti di voi avranno già letto l'intera storia su Wattpad, dove mi trovate come angelicaduti7310, ma fa lo stesso, ho intenzione di pubblicare tutto anche qui in questi giorni, poi non so...Comunque, esprimetevi pure, sarò felice di rispondere alle vostre domande sulla storia e cose così. E niente...CIAUUU

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Capitolo 52
*** L'INIZIO DELLA FINE ***


L'INIZIO DELLA FINE


Ed eccoli lì, sotto l' Empire State Building, l'Olimpo, stesi sull'asfalto caldo. Il cielo era nuvoloso, ma faceva un caldo assurdo, comunque. E c'era qualcosa che non andava. Kya si tirò a sedere mentre si massaggiava la testa dolorante. Ricordava tutto ed sicura di aver fatto la scelta giusta. Era ciò che aveva chiesto a Theo: un viaggio nel tempo, l'orologio più veloce. Si tirò su in piedi, braccolando un poco, raggiungendo i suoi amici. Aiutò Brooke ad alzarsi e la figlia di Selene, a sua volta l'aiutò a svegliare gli altri. La figlia di Ishtar si guardò intorno, notando, in lontananza, una nave di legno scuro che riconobbe come la Heroes. Guardò il suo orologio. Il 17 luglio. Solo quattro giorni prima della fine. Era veramente giunta? Sì, purtroppo. Theo le aveva spiegato che le Parche gli permettevano solo di arrivare lì, perchè ci sarebbero state delle scelte importanti nell'avvenire, perciò bisognava vivierle, senza omissioni. Theo aveva parlato di ricordi fittizzi, sia per lei che per i suoi compagni e tutto il mondo, ricordi per i quali aveva collaborato con la sua ragazza, una giovane semidea di quindici anni, figlia di Mnemosine. Era stato un lavoro duro, ma ce l'avevano fatta, del resto erano lì. Kya vide dei ragazzi dentro l'Empire, decidendo così di dirigersi lì. Entrando, l'odore di sangue e disinfettante le invase le narici, travolgendola. Vide diversi ragazzi supini, mentre altri medcavano le ferite. Kya si fece largo, ascoltando lo scricciolio dei suoi anfibi neri sul marmo della hall dell'edificio. Il cugino era seduto su una sedia, che si faceva medicare con ago e filo da una ragazza con arco e frecce sulla schiena. Tratteneva insulti contro nemici, mentre la ragazza lo cuciva sulla schiena.
-Stai bene?- chiese Kya. Percy trattenne un altro insulto:-Ti sembra che stia bene?
-Okay, non stai bene- ribattè la ragazza- Se anche la tua genitlezza è andata a quel paese, allora non stai bene.
-Hanno attaccato dopo la ritirata, mentre ci ritiravamo- commentò Percy- Una falsa ritirata, mai vista roba del genere. Giuro che appena metto le mani su quel generale gli stacco ogni arto che possiede.
-Non credo che gioverebbe alla tua salute, Percy- fece Annabeth passando di lì, con li cappellino da baseball in mano- Le vie laterali sono libere. Talia si sta occupando ancora del ponte a sud, ha detto che ci vorrà ancora un po'. Il Brooklyn Bridge era pieno a quanto pare.
-Non mi sorprende- rispose Percyò- Buona idea metterci sia le Cacciatrici, un quarto di Legione e le Amazzoni.
-Sono una figlia di Atena, ricordi- sorrise la ragazza dandogli un bacio sulla guancia, per poi imboccare le scale e sparire. Kya scosse la testa, quei due trovavano il modo di punzecchiarsi un po' ovunque. Si voltò verso il cugino, che si era rimesso la maglietta arancione, logora e sporca, con la scritta sbiadita. Si spettinò i capelli e sorrise alla cugina, ancora in attesa di parlare con lui. Le fece il segno di seguirla e così fece. Chiamarono l'ascensore e vi salirono, per poi premere il tasto seicento e schizzare verso l'alto. Quando le porte s'aprirono, Kya rimase sorpresa. L'Olimpo era bellissimo. Vi erano grandi templi e giardini bellissimi, con i fiori sbucciati e le foglie verdi. Le statue d'oro degli Dei fungevano da decorazioni per la cittadella, rendendola solo più bella. Percy la guidò sino al tempio più grande, dove una vasta sala con tredici troni regnava sovrana incontrastata. Vide Ziah che torturava la sua collana con lo scarabeo in zaffiro e un ragazzo, dai capelli biondi, quasi bianchi, gli occhi azzurri coperti dalle lenti squadrate degli occhiali e il copo snello e secco. Cameron, uno di loro, un ragazzino di appena quindici anni. Dai ricordi falsi riusciva a ricavare solo quello e poco altro, come la discendenza con Ehēcatl, una delle forme di Quetzalcóat, il serpente mitologico piumato. Di lui sapeva solo questo.
-Perchè ci siamo riuniti sull'Olimpo?- chiese Ziah smettendo di giocare con la sua collana- Non era pericoloso?
-Sì, è pericoloso, ma è l'unico luogo dove possiamo parlare senza essere disturbati- commentò Percy sedendosi per terra, accanto all'Occhio di Ra. Kya prese posto accanto al cugino, mentre nella sua testa iniziavano a formularsi ipotesi su ipotesi. Percy fece un cenno a Cameron e quello si slacciò la collana che teneva al collo, passandola al figlio di Poseidone, che la prese per i capi del laccio di cuoio, mostrandola a tutti i presenti:-Questa sarà la nostra unica possibilità di vittoria.
-Una collana?- chiese Kya guardando scettica il ragazzo accanto a lei. Questo scosse la testa, facendo segno di no:-La collana è l'indizio, mentre la forma è la soluzione. La stella può essere ciò che porterà alla vittoria.
-Lo sai vero che noi siamo in quattro, mentre la stella ha cinque, e voglio sottolineare cinque, punte. Rimarrebbe un buco e non credo ci siano altri Jackson in giro- fece Cameron rimettendosi la collana al collo. Percy sorrise triste:-Harry ed io pensiamo che l'ultima, la quinta punta, l'abbia il Caos, nella sua prigione, o da qualche parte.
-Se così fosse- lo interruppe Kya- Dovremmo averla già trovata. Abbiamo assaltato tutte le basi del nemico.
Il dolorore al cuore la invase, mentre il ricordo di James e Jacob l'assaliva. Aveva passato gli ultimi mesi a nascondere il dolore, o almeno era quello che gli diceva il cervello, che sembrava confuso quanto lei. Di James non c'era traccia, aveva detto così Logan, nè sulla Terra nè sotto, negli Inferi.
-Ti sbagli. Brooke vi ha guidato in quelle che conosceva, ma ce n'è una, in Canada, su Victoria Island, dove non vi ha portato. L'ha scoperto solo ieri dell'esistenza di questa basa nascosta, quindi ti chiedo di non prendertela con lei, per favore.
Kya annuì, facendo cenno al cugino di procedere con il discorso:-Pensiamo che la tenga con lui, probabilmente nel loro campo militare. So che è una missione suicida, ma abbiamo bisogno di lui.
-O lei- lo corressa Ziah- A parte questo, per me va bene. Ma chi andrà? Non possiamo rischiare i ragazzi o diminuiremo troppo in fretta e poi, dopo l'ultima battaglia, non credo che abbiano voglia di partecipare ad un'impresa suicida.
-Voi lasciate fare a me- ribattè Percy- L'importante è che teniate impegnato l'esercito, sperando che il piano funzioni.

Annabeth era stanca e si era appena sdraiata sul letto dell'hotel che avevano occupato, proprio di fronte all'Empire State Building quando uno dei suoi fratelli piombò nella stanza dicendole di correre al piano inferiore. La figlia di Atena, sbuffando, s'alzò dal comodo letto, afferrando il berretto degli Yankees, per poi seguire il ragazzo al piano terra, dove si fece largo a suon di gomitate tra i semidei accalcati all'entrata, dove diversi ragazzi, campeggiati da un giovane dai capelli biondi che arrivavano al mento, si stavano entrando nell'hotel. Annabeth guardò male il ragazzo, per poi dirigersi verso di lui a passo spedito e tirargli una sberla sulla nuca:-Ma sei deficiente? Ti mando una lettera, firmata, con la scritta "urgente" e tu arrivi solo ora.
-Anche per me è un piacere vederti, cugina- commentò il biondo massaggiandosi la testa- Comunque, sono stato impegnato a cercare un modo per non farci morire.
-Ti rendi conto che sei già morto vero?- lo riprese una ragazza, o era un ragazzo, con i capelli verdi e un maglioncino rosa. Magnus scosse la testa:-Non è questo il punto Alex. Annie, seriamente. Forse è il caso di parlarne in privato.
Annabeth annuì, chiamando una figlia di Mercurio, dicendole di mostrare le stanze ai nuovi arrivati, per poi prendere fa parte il cugino, seguito da due ragazze, o forse una era un ragazzo, che mettevano paura. Salirono nella stanza della figlia di Atena e s'accomodarono sul letto. Annabeth appoggiò il cappello sul comodino vicino al letto e, più seria che mai, guardò il cugino, sedersi di fronte a lei. Si guardò intorno diverse volte, il ragazzo, notando le diverse mappe e schemi di battaglia sparsi un po' ovunque. Sorrise nell'immaginare la cugina cervellarsi per ideare un piano che potesse funzionare. La vedeva stanca, con le occhiaie sotto gli occhi grigi e non potè fare a meno di chiederle:-Da quanto non dormi?
-Più o meno, ad occhio e croce, direi tre giorni- rispose la ragazza sciogliendosi i capelli biondi e ricci- Ma tutti e sette siamo messi così. Abbiamo scoperto che cosa comporta usare in maniera pesante le Armi del Caos: notti insonnie, ecco cosa comporta.
-Vi stanno uccidendo dentro- commentò la ragazza, o raagazzo, ad Annabeth non era ancora chiaro- Alex, molto piacere.
-Non vorrei sembrare indiscreta, ma sei un ragazzo o una ragazza?- domandò la figlia di Atena, cercando di non essere maleducata. La ragazza con l'hijab sorrise, ma sembrò più uno sbuffo, mentre Alex sorrideva, come se la situazione fosse divertente:-Dipende da come mi gira. Al momento sono una ragazza.
-Sei per caso la fidanzata di mio cugino?- fece la bionda guardando come metteva il braccio intorno alle spalle di Magnus, il quale sembrava quasi felice. La ragazza coi capelli verdi sorrise, rivolgendosi al biondo:-Tua cugina mi piace, sai? Comunque, sì. Abbiamo scoperto poco tempo fa che questo ragazzo qui è bisex.
-E tu sei una genderfluid, immagino- constatò Annabeth vedendo la ragazza annuire- Beh, mi fa molto piacere, insomma, sono felice per voi.
-Lei- disse Magnus mentre indicava la ragazza musulmana- Si chiama Samirah al-Abbass. Sono sorelle, anche se non si direbbe.
-Interessant- commentò la figlia di Atena, mordendosi l'interno della guancia- Comunque, parlando di cose serie. Abbaimo occupato tutta l'isola di Manhattan prima che voi arrivaste, lasciando scoperta solo la zona a Nord, oltre Central Park. Purtroppo non avevamo abbastanza ragazzi per colpire su tutti i fronti. Percy, insieme ai figli delle divinità marine e alle ninfe, dell'acqua sta cercando di respinger chi arriva dall'acqua, mentre abbiamo posizionati degli squadroni sui ponti e nei tunnelm bloccando, o almeno provandoci, ogni via d'accesso alla città, o qualunque cosa avrebbe potuto portare all'Empire. Come già detto prima, solo la zona Nord è scoperta e da lì è un attimo arrivare qui, soprattutto con l'esercito che hanno, molto superiore al nostro. Inoltre abbio perso molti ragazzi in battaglia oggi e il nostro numero è calato.
-Io avrei un'idea- disse Magnus guardando le due ragazze che erano con lui- Potremmo fare uno squadrone noi e andare a nord. Sono sicuro che riusciremo a bloccarli in parte.
-Ho i miei dubbi- commentò Samirah- Per quanto le Valchirie e i guerrieri del Valhalla siano forti, ho i miei dubbi. Senza gli elfi, tra l'altro, sarà molto complicato. Non ho visto neanche i centauri e i ciclopi nelle vostre schiere.
Annabeth si morse il labbro inferiore, sapendo che quella di Samirah non era una sgridata, bensì una constatazione:-Chirone è scomparso da quando siamo stati mandati in Inghilterra ed è da molto che non si hanno sue notizie. Per quanto riguarda i ciclopi, Percy ha provato a contattare il fratello, ma non risponde a nessun messaggio. Sembra che abbiano tagliato i cavi del telefono, per così dire. Niente viene, niente va. Siamo soli. Semidei contro mostri.
-E chi sopravviverà avrà campo libero con la Terra- finì Alex passandosi una mano tra i capelli verdi- Possiamo tentare, però. Sarà difficile...
-Però dobbiamo- terminò il biondo guardando la cugina- Hai un piano vero? E Percy, dov'è, ha qualche idea per battere l'esercito nemico? Sta bene?
Annabeth distolse lo sguardo realizzando che, forse, era stata una stupida a non aver seguito Percy sull'Olimpo, dove i quattro Jackson stavano tenendo una riunione, a quanto pare top-secret. Continuò a mordersi l'interno della guancia, mentre il cugino la guardava speranzoso.
-Non so cosa abbia in mente- sussurrò la figlia di Atena- Al momento è sull'Olimpo con i suoi parenti. Non ho la più pallida idea di che cosa voglia fare, ma ho il sospetto che abbia a che fare con l'ultimo dei Jackson. Ho sentito che ne parlavano lui ed Harry, il suo... possiamo definirlo doppelgänger, anche se è sbagliato. Si sono legati, qualche giorno fa, utilizzando l'acqua dello Stige, mischiando il loro sangue. Adesso condividono la stessa anima. In breve, non sta bene.
-Il tuo ragazzo è un pazzo- commentò Samirah. Annabeth scosse la testa:-Era l'unico modo per salvare entrambi, dalla morte. Stavano entrambi per morire. Siamo state egoisti noi, è vero, ma eravamo troppo codardi per lascirli morire, perciò abbiamo rischiato il tutto per tutto. Unire le anime è sembrata l'unica soluzione.
-Non cambia ciò che penso, ovvero che è stata una fol...
Samirah non riuscì a finire la frase che si sentì un rumore assordante provenire da fuori. Annabeth si coprì le orecchie con le mani, ma il rumore era troppo forte e sembrava volerla distruggerla. Sembrava provenire dalla strada, quel rumore assordante. Annabeth afferrò il suo berretto e la spada che aveva lasciato sul comodino. L'armatura l'avrebbe recuperata in un altro momento. Scese al piano terra, con i tre che la seguivano. Si fece largo a spintoni tra coloro che cercavano di preparando per uscire a combattere, nonostante il rumore assordante. Malcom l'affiancò con l'armatura indosso e l'elmo sotto il braccio. Il fratello della bionda aveva le mani sulle orecchie come volersi proteggersi da quel rumore. Mimò qualcosa che la ragazza non capì. Malcom sbuffò, pestando i piedi, facendo poi segno alla sorella di avvicinarsi. Lei le porse l'orecchio e lui urlò:-I ragazzi non possono combattere.
-Dobbiamo trovare una soluzione prima che sia troppo tardi!- rispose la ragazza all'orecchio del fratello, vedendolo annuire convinto. Annabeth ci riflettè, ma non fece in tempo a trovare la soluzione che il rumore terminò. Con uno scatto felino, Annabeth era corsa fuori dall'hotel e stava guardando l'esercito nemico che solcava i cieli. Imprecò e chiamò i semidei a raccolta. Mandò Jason e i figli dei venti in cielo, insieme a qualche ragazzo in su bighe trainate da pegasi. Mandò il resto delle Cacciatrici a Central Park, con i figli di Demetra, Ares e qualche divinità minore Romana. Sapeva che Piper aveva notato l'attacco improvviso e sperava che il Lincon Tunnel fosse al sicuro. Montò sul primo pegaso che gli capitò a tiro e si diresse verso il Manhattan Bridge dove parte della casa di Atena, quella di Efesto e parte della casa di Ermes a stava aspettando. La battaglia era già cominciata su quel versante. Scese a terra, mise il cappellino in testa, subito dopo essersi fatta vedere da Leo, che aveva annuito e sorriso nel vederla, e iniziò a fare stragi. Da lonano vedeva Leo mandare fiammate contro i nemici, urlando, ogni tanto ai fratelli di azionare le catapulte, che colpivano parte dell'esercito nemico, che veniva distrutto. Annabeth si ritrovò di nuovo davanti a lei, colei che l'aveva fatta ammattire, trascinandola nel Tartaro: Aracne. Voleva fargliela pagare con tutta sè stessa. Sfilò il cappellino e lo legò ai pantaloncini, si tolse l'elmo che aveva recuperato prima di partire per il ponte e si sfilò l'anello argentato che in realtà era l'arma originale di sua madre. Avrebbe ucciso Aracne e spedita nel Tartaro. La donna-ragno la vide da lontano e iniziò a farsi strada verso di lei, mentre la figlia di Atena cercava di mantenere la calma. Insomma, stava solo per affrontare la nemica di sua madre, colei che aveva tenuto l'Athenea Partheneos nascosta per tutti quegli anni. La spada seghettata del mostro e quella della semidea s'incrociarono. Si guardarono negli occhi e Annabeth vide solo odio, verso di lei e tutti i figli di Atena. La ragazza mandava stoccate e fendendti contro il mostro che bloccava tutti i suoi attacchi, mentre cercava d'imprigionarla con la sua tela. Annabeth era una furia, in un'armatura argentea dalla maniffattura incredibile. Aracne però era veloce e Annabeth, in contronto, era lenta. Più volte il mostro colpì la ragazza, ferendola superficialmente. Solo poche volte Annabeth riuscì a ferire il mostro, mentre la donna-ragno la colpiva più volte. Aracne l'atterrò al suolo, afferrandola poi per la t-shirt arancione e sollevandola, facendole sbattere poi la schiena contro il ferro del ponte. annabeth si lasciò sfuggire un sussulto di dolore, mentre la sua nemica sorrideva:-Ricordati di chi ti ha spedito negli Inferi, figlia di Atena.
-Hai cinque secondi per lasciarla andare, Aracne- commentò una voce maschile che la ragazza aveva riconosciuto come la voce di Leo. Aracne si voltò e Annabeth ne approfittò per afferrare uno dei suoi coltelli appesi alla cintura e piantarlo nella giugulare del mostro, che sibilò e urlò, svanendo poi in una polvere oro, portata via dal vento. Annabeth cadde a terra tossendo violentemente, togliendosi poi le ragnatele del mostro dalle gambe e dalle braccia. Sollevò lo sguardo e sussurrò:-Grazie Leo.
-Figurati- le rispose il figlio di Efesto mentre le porgeva una boccetta oro- Adesso però devi bere questo. Abbiamo bisogno di te sul campo.
Annabeth annuì e bevve il nettare, respirò e s'alzò da terra, afferando il coltello e riponendolo nella cintura:-Andiamo a distruggere questi bastardi.

Percy, Nico e Talia erano sicuramente pazzi. Erano entrati nell'accampamento nemico di nascosto. Pazzi, ma anche i pazzi servivano a 'sto mondo. Nico li aveva portati sino a lì con l'aiuto delle ombre, avevano sbaragliato un po' di nemici, poi si erano ritrovati in gattabuia. Divertente? Neanche un po'. Talia aveva provat a fulminare le sbarre, ma sembravano a prova di elettricità. Nico aveva provato anche a uscire con l'utilizzo delle ombre, ma niente. L'unica cosa che Percy era riuscito a fare era colpire con Vortice le sbarre, ma quelle non volevano rompersi. Così, era dalla bellezza di mezz'ora che si trovavano lì. Talia faceva avanti e indietro per la piccola cella urlando bestemmie e insulti pesanti contro l'esercito del Caos, mentre Nico giocava con i suoi anelli a forma di teschi e Percy scuoteva le sbarre come se sperava che, scuotendole, si rompessero, come per magia.
-Dov'è Harry quando serve?- si lamentò Percy. Nico lo guardò male:-Povero ragazzo. Deve risolvere il triangolo amoroso tra i suoi amici e adesso deve occuparsi anche di te.
Talia rise, spostandosi i capelli da davanti agli occhi:-Dai ragazzi, troviamo un modo per uscire da qui.
-Le abbiamo provate tutte, Tals- rispose Percy incrociando le braccia al petto. Talia scosse la testa. Prese per mano i due ragazzi, intimandoli a prendersi a loro volta per mano. Percy si concentrò su quello che stava succedendo giù, nelle profondità nel mare, sentendo il richiamo dentro di sè. Il mare lo chiamava ed era bellissimo. Il rumore delle onde nelle orecchie, la pace sottomarina che lo faceva sentire vivo. Pensò a ciò che Piper gli aveva insegnato: a calma, come il mare durante i suoi giorni di pace, in cui non tirava un alito di vento e Poseidone era felice, oppure solo clemente con i marinai che solcavano le superfici del suo regno. Il sangue, poi, ciò che sentiva. C'era un altro cuore, lì, poco distante, che batteva troppo velocemente, forse impaurito o affaticato. Le inferiate si ruppero e i tre si sorrisero.
-Seguitemi- disse Percy facendo strada per i corridoi bui di quel luogo tetro e intriso di malvagità. La porta in ferro davanti a loro era terrificante, con segni di graffi ovunque. Che lì dentro ci fosse un mostro. Eppure il battito proveniva da lì. Nico sfiorò la barriera di ferro con la sua mano, ancora intrisa del potere mortale, quello che lo stesso figlio di Ade chiamava "la distruzione". La porta si sbricilò davanti ai loro occhi, rivelando una ragazza dai capelli rossi rannicchiata su sè stessa, che tremava. Percy s'avvicinò, mentre i suoi cugini gli coprivano le spalle. Appoggiò delicatamente la mano sulla spalla della ragazza, la quale si voltò di colpo, rivelando gli occhi cioccolato. La ragazza lo guardò male, sorridendogli subito dopo.
-Sei al sicuro- le disse il figlio di Poseidone, mentre faceva passare un braccio pallido e coperto da lentiggini della ragazza intorno al suo collo- Adesso ti portiamo al sicuro. Io sono...
-So chi sei. Ti ho cercato per molto tempo, sai?- rispose la ragazza con un'accento strano. Accento britannico. Percy annuì:-Quanti anni hai.
-Non lo so- rispose la ragazza- Sono troppi gli anni passati qui dentro. Che anno siamo?
-Duemilaesedici- rispose Talia- Piacere, sono Talia Grace, figlia di Zeus e Cacciatrice d'Artemide. Tu sei...?
-La quinta punta- completò la ragazza con un sorriso sforzato dal dolore che provava- Sono Jeanette Bridgette Jackson, figlia di Baldr, signore della luce, della primavera e della bellezza.
-Sai quando sei nata?- chiese Nico mentre cercava un'ombra adatta per raggiungere i loro amici. Jeanette annuì:-Nel millenovecentoquarantacinque.
 

 

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Capitolo 53
*** NEMICI E AMICI ***


NEMICI E AMICI


Jason li vide arrivare da lontano, con un'armata degna di nota. Fluttuava nell'aria calda di quelle sere di giugno. Girava con il cappotto, lui, invece, troppo infreddolito dai giganti iperborei che ghiaciavano l'aria e gli spiriti dei venti, che, guidati da Chione, raggelavano tutto. Per non parlare dei Dissennatori, che scorrazzavano per i cieli di New York. Era una pessima situazione. Nonostante la pessima situazione, scese a terra, ad abbracciare l'amico che sorreggeva una ragazza con i capelli rossi: l'ultima Jackson, non c'erano dubbi.
-Come va, qui?- chiese Percy aiutando la rossa a sedersi sul marciapiede. Jason scosse la testa:-Non va bene Bro. Ci sono i Dissennatori ovunque e gli spiriti dei venti non danno tregua.
-Noto- commentò Percy con una smorfia fissando il cielo, dove i figli dei venti combattevano una guerra di dominio con gli spiriti malvagi- Mi serve un figlio di Apollo, immediatamente.
-Ci dovrebbe essere Will ancora dentro all'Empire, ma non garantisco- suggerì Jason mentre vedeva Vanille in difficoltà, allungando poi la mano e richiamando un fulmine che centrò il Dissennatore. Vanille gli sorrise, ringraziandolo, per poi schizzare via con sue ali color caramello. Jason si morse le labbra:-Non ce la possiamo fare, Percy, questa volta finisce male.
-Positività, Jason, positività- lo incoraggiò Percy, mentre s'allontanava- Continua a combattere e vedi che ce la faremo.
-Spero che tu abbia ragione- sospirò il figlio di Giove con sguardo preoccupato. Talia gli battè una manata sulla spalla ed esclamò:-Nel caso si muore, che vuoi che ti dica?
-Incoraggiante, sorellina, davvero- assentì il fratello scuotendo la testa- Mi aiuti a fare piazza pulita, sorellina?
-Non mi tiro mai indietro davanti ad una cosa del genere- proferì Talia afferrando l'Egida e la lancia- Iniza tu, ci si vede in fondo alla via.
Jason rise, salutando Percy, che si diresse dentro all'Empire State Building con la rossa. Il figlio di Giove spiccò il volo, ritrovandosi in una battaglia aerea senza esclusione di colpi. Draco guidava l'esercito aereo dei maghi, spingendo i Dissennatori tra le lame dei semidei, che li facevano diventare polve di colore oro. Jason prese il gladius e si diresse, con le correnti dei venti che lo spingevano, verso il serpeverde, che cercava di combattere con una spada dalla scopa, anche se il figlio di Giove doveva ammettere che non se la cava così male. Jason mozzò la testa ad un Dissenatori, colpendolo alle spalle. Schizzò da parte a parte del cielo, poi la vide arrivare. Era grande e rosa, con delle ali sulla schiena. Spalancò gli occhi. La Scrofa di Crommio era lì, a New York e voleva farli a pezzi, ne era sicuro. Guardò Draco e la sua squadra. Sì, avrebbero potuto resistere, doveva prendere quella scrofa prima che facesse dei casini seri. Impugnò il gladius con forza, per poi lanciarsi all'inseguimento, schivando gli Anemoi thuellai come poteva. Scorse due chiome nere correre nella stessa direzione in cui stava andando lui, facendosi largo a colpi di spada. Percy e Harry, sicuramente. Li vedeva correre verso la scrofa, cecando di prenderla. Atterrò poco distante da loro, evocando i venti, sbaragliando i mostri che li stavano assalendo. Percy allungò le mani verso le fogne, utilizzandolo l'acqua come arma e scudo, mentre Harry, chissà come, riusciva a coordinare perfettamente la spada e la magia: con la spada spediva i msotri nel Tartaro, mentre con la magia schiantava i nemici.
-Dobbiamo prendere la Scrofa di Crommio prima che distrugga New York- commentò Jason infilando la spada nella pancia di un'arpia. Percy decapitò l'ennesima Blemme:-So chi può occuparsi di lei, ma devo giungere a loro o non posso attivarle.
-Di chi stai parlando?- chiese Harry. Percy sorrise quali malignamente:-Delle statue di Dedalo in città. Le abbiamo usate anche durante la battaglia contro i Titani. Spero solo che sia sempre la solita opzione di comando.
-E se non lo fosse?- domandò preoccupato il moro con gli occhiali. Percy si voltò vero il mago scoccandogli un'occhiataccia:-La smettete di essere negativi? Per favore, ho bisogno di po-si-ti-vi-tà, va bene?
I due ragazzi lo guardarono male, aggrottando le sopracciglia e il figlio di Poseidone passò sulal difensiva:-Che c'è? La positività mi aiuta.
-Ma se non fai altro che dire "moriremo tutti!" da tre giorni. Inoltre sono piuttosto sicuro che molte volte, durante le tue innumerevoli battaglie, tu abbia pensato in negativo- ribattè Jason continuando a correre verso la scrofa.
-Zitto Jas, zitto che dopo si arrabbia- lo rimproveró Harry vedendo che Percy annuiva energicamente. Arrivarono davanti alla Public Library, dove Percy s'avvicinò ai leoni che siedevano sui rialzi in marmo.
-Sequenza di comando Dedalo 23, distruggere la Scrofa di Crommio- disse il figlio di Poseidone alle statue, le quali si alzarono e presero ad inseguire la scrofa volante. Il ragazzo corvino sorrise nel vedere i leoni di pietra inseguire la scrofa, certo che avrebbero fatto il loro lavoro. Annabeth non sarebbe stata contenta della sua scelta. L'ultima volta avevano dovuto inseguire le statue attivate per tutta New York per spegnarle, una cosa non semplice se considerati i mortali che gironzolavano per la città.
-Sicuro che la prenderanno?- chiese Harry mentre puliva la lama della spada con lembo di maglietta rovinato che si stava staccando. Il figlio di Poseidone annuì, facendo poi segno di tornare indietro. Mentre correvano per le vie laterali nascondendosi dai mostri, Percy pensava a cosa doveva ancora fare. Era troppo simile alla Battaglia di Manhattan, come era solito essere chiamata la guerra combattuta contro i Titani al Campo Mezzosangue. Chirone era già arrivato, con, questa volta, pochi centauri al seguito, i quali erano troppo spaventati per combattere contro l'esercito del Caos. In compenso, si erano aggiunti i maghi delle scuole di magia di molte parti del mondo, come Beauxbatons e Durmstran, al quale la professoressa McGranitt aveva mandato una lettera con richiesta d'aiuto a New York contro Voldemort, che, intanto, aveva deciso bene, di farsi possedere dal Caos. Ormai era diventata una moda farsi possedere, pensò Percy, troppo concentrato sui suoi pensieri per notare il grifone che scendeva in picchiata verso di lui. Harry lo scansò, lanciando entrambi a terra. Percy alzò lo sguardo sul gruppo di grifoni che stava calando in picchiata verso di loro. No, non poteva essere, non ancora. perchè queste sfortune toccavano sempre a lui?
-Ma Carter non aveva detto che i grifoni erano buoni, carini e simpatici?- chiese Jason aiutando i due corvini ad alzarsi da terra. Percy controllò le ennesime sbucciature sulle ginocchia e sui gomiti. Doveva procurarsi delle bende, al più presto, ma prima doveva disfarsi dei grifoni.
-Sì, quelli simpatici toccano a lui e quelli antipatici a noi- ribattè il figlio di Poseidone alzando lo sguardo al cielo, mentre l'ennesima mandria, se così si poteva definire, di grifoni panava sopra le loro teste- Bene, si torna al lavoro.
-Perchè, abbiamo fatto una pausa?- scherzò Jason- Perchè io non ho ancora preso il mio caffè giornaliero, sai com'è.
-Ma voi scherzate sempre mentre andate incontro a morte certa?- domandò Harry perplesso. Percy annuì, lasciando senza parole il grifondoro, ancora sconvolto per quello che gli avevano rivelato. Nonostante avesse acquisito una certa confidenza con il figlio di Poseidone e la squadra, ancora non gli veniva abituale pensare che loro, mentre stavano per andare a morire, facevano battute, per lo più squallide. Ed erano passati sei mesi da quando li conosceva, sei mesi in cui aveva imparato che non c'era solo il suo assurdo mondo, ma un'altro, composto da divinità impazzite e mostri assassini. Aveva imparato che i semidei erano una parte essenziale del mondo, una parte che serviva a manetenere in piedi il tutto. Ananbeth li aveva definiti come una colonna, solida e robusta, che serve per non far cadere l'intero templio. I maghi, loro, erano solo una conseguenza di quel mondo tanto antico. Un dono fatto all'umanità, l'aveva definito Annabeth indicandolo, perché i maghi erano l'ultima speranza degli umani se i semidei sarebbero mai scomprsi. Harry lo credeva impossibile, ma era meglio prevenire che curare, no? Harry schivò l'incantesimo di un mago, contraccambiando subito dopo. Jason si sollevò in aria e creò un quantitativo di fulmini che avrebbe steso chiunque, anche persino lui, che però continuò a combattere nonostante le forze che venivano, ad ogni colpo, a meno. Percy, invece, era una furia, come se qualcosa si fosse impossessato di lui. Il bracialle d'argento, che era l'arma originale di Poseidone, adesso era tra le sue mani, in una spada dalla lama argentea, molto simile a Vortice, con un tridente alla base, simbolo del Dio del Mare. Quando guardava Percy, ad Harry sembrava di vedere un figlio di Ares pieno di rabbia. Harry non aveva mai incontrato il Dio della Guerra, ma conosceva i suoi figli, come Clarisse, e sapeva che quando combattevano erano furiosi come Percy in quel momento. Sembrava volesse fare a pezzi il mondo. Il figlio di Poseidone corse verso il grifone più grande, quello che aveva indentificato come il "capo" di quella mandria, se così si poteva definire. Scivolò sotto le gambe di un gigante iperboreo, mentre vedeva delle corde magiche afferare le caviglie del gigante e tagliarle di netto. Si voltò per osservare chi avesse fermato il gigante iperboreo e vide Lou Ellen con un sorriso sghembo e una ragazza, o forse era un ragazzo, con i capelli corti e verdi, un pullover rosa e verde e dei jeans verde militare con un filo sottilissimo in mano, di quelli che tagliavano tutto, persino il diamante. Percy ringraziò con lo sguardo la figlia di Ecate, che fece scomparire lei e l'altra in una nuvola viola, prima di ricomparire poco più in là. Percy tornòa concentrarsi sul suo obbiettivo: il boss dei grifoni. Prese la rincorsa, chiamò a sè l'acqua delle fogne e saltò, atterrando sull'onda che lui comandava. Si fece scaricare sulla groppa del boss, che volava basso tra i grattacieli della città, producendo il verso di un'acquila che assomigliava troppo ad un richiamo per altri di loro.
-Stai zitto piccione troppo cresciuto!- protestò il semidio, cercando di non essere disarcionato, mentre il grifone, che aveva notato la sua presenza, aveva iniziato a muoversi verso l'alto, aumentando di quota, sempre di più, mentre richiamava quelli della sua specie.
- Non è carino disarcionare, lo sapevi?- gli diceva il figlio di Poseidone- Soprattutto se si trovano ad un'altezza, da cui si spiaccicherebbero al suolo. Che ne dici se la finiamo qui, eh? Tu porti via i tuoi amichetti e noi non vi uccidiamo.
Percy frugò nelle tasche della felpa, mentre con una mano s'aggrappava al pelo dell'animale. Iniziava seriamente ad odiare le guerre apocalittiche come quella. Frugò ancora un po' nelle tasche, trovando ciò che la cara Lou gli aveva fornito: un fantastico sonnifero. Una goccia e chiunque sarebbe caduto in un sonno profondo finchè non sarebbe arrivata lei, che, con un rimedio, delle rape magiche, avrebbe risvegliato tutti. Percy stappò la boccetta con i denti, sputando il tappo di sughero lontano, sperando che arrivasse in testa ad un qualche mostro malvagio. Sì, un bel tappo di sughero in testa, avrebbe fatto bene a tutti. Il grifone si precipitò in picchiata verso il suolo e tutto il sangue freddo di Percy andò a farsi benedire. Cacciò un urlo degno di nota, per tonare a respirare quando il grifone ritornò a muoversi verso l'alto. Pregò che Jason fosse nei paraggi per prenderlo al volo.
-Apri la boccuccia che la mamma ti da un po' di camomilla- disse al grifone sorridendo come una mamma fa con il suo bambino- Arriva l'areoplanino.
Sperò che nessuno lo stesse guardando, perchè sarebbe stato assai imbarazzante. Fece cadere una goccia del sonnifero nel becco dell'animale, che continuava a mandare suoni che facevano spaccare i timpani. Il grifone cadde in picchaita verso il suolo e Percy con lui.
-Arresto momento!- girdò Harry con la bacchetta puntata verso di loro. Percy cadde delicatamente sul cemento del marciapide, si asciugò il sudore dalla fronte e s'alzò da terra, aiutato da Harry, il quale gli aveva porto la mano e il figlio di Poseidone l'aveva accettata di buon grado. Recuperò l'arma originale del padre e la fece tornare bracciale. Avrebbe usato Vortice: era più sicuro, per lui e per chi gli stava attorno.
-Grazie, Harry- disse il semidio guardandosi attorno, vedendo che c'erano ancora troppo grifoni da mettere a nanna- Jason?
-Mi ha detto di dirti che ha avuto una chiamata da Piper dal Lincol Tunnel ed è andato là- rispose il mago in fretta. Percy guardò il cielo grigio di quel giorno. Chissà quanti ragazzi morti ci sarebbero stati quel giorno. Era una guerra troppo dura e complicata.
-Prendi il comando delle truppe aeree, Harry- gli ordinò il figlio di Poseidone- Non un Dissennatore, mostro o canchero vario deve avvicinarsi all'Olimpo.
Il grifondoro annuì, lanciando un incantesimo di appello e la scopa gli arrivò in mano. Vi salì e volò alto nel cielo. Percy entrò veloce nell'Empire State Buildig, con ancora la spada in mano e metà dell'armatura che si era messo al volo prima di inseguire la Scrofa di Crommio per New York. Will stava facendo cucendo uno dei feriti in battaglia, mentre Nico copriva con un telo l'ennesimo cadavere. Jeanette era seduta su una branda, con diverse ferite bendate e un cerotto che le attraversava la guancia, sul taglio che aveva in volto e che le attraversava quasi mezzo viso e che continuava anche sulla testa, mancando di poco l'orecchio. Percy non aveva fatto domande su come se l'era procurata o anche solo come avesse fatto a sopravvivere per tutto questo tempo e la ragazza semprava non avere neanche intenzione di parlarne. Percy si sedette accanto a lei, facendola sobbalzare. Il figlio di Poseidone comandò l'acqua che stavain un recipiente e la fece scorrere lungo tutto il suo corpo, curandosi in parte le ferite. Sapeva che sarebbero rimaste le cicatrici, ma era il modo più veloce per guarire che conosceva senza rischiare la combustione. Aveva paura a mangiare nettare e ambrosia, così come molti ragazzi, che ormai preferivano le bende ai rimedi divini. Percy si rilassò sotto lo scorrere dell'acqua, poi guardò la rossa e chiese:-Solo per sapere, te la senti di combattere?
La rossa annuì:-Ero una delle guerriere di Odino più capace, spero ancora di ricordarmi come si fa. Avete arco e frecce o un pugnale?
-Uhm... sì, se non hanno svuotato l'armeria- rispose il figlio di Poseidone alzandosi e facendo segno di seguirla, per poi dirigersi nello sgabuzzo dove avevano messo tutte le armi dell'armeria del campo. Jeanette individuò un arco dalla manifattura antica, senza faretra: magico. Le ricordava quello che aveva durante quel giorno, quello che si portava dietro da quando era entrata al Valhalla, diventando un einherjar. Si morse il labbro, pensando a lui, il ragazzo di cui si era innamorata, il quale aveva dato la vita, per proteggerla. Lei era inglese e lui francese. L'aveva protetta mole volte, ma quel giorno l'aveva protetta con il corpo, prendendosi una lancia nel petto al posto suo, poi era stata catturata e messa a marcire in una cella senza tempo. Piangeva ogni giorno e notte, cercando di dimenticarlo, ma la solitudine non aiutava. Aveva anche perso la concezione del tempo in quella cella. Era il duemilasedici e lei era stata imprigionata per quasi cinquant'anni e il mondo si era dimenticato di lei, a quanto pareva, o forse l'aveva solo messa da parte. Scosse la testa, sperando di cacciare quei brutti ricordi dalla mente. Afferò l'arco e lo mostrò al ragazzo dietro di lei:-Prendo questo.
-L'arco di Atalanta- sorrise Percy- Non avevo dubbi. Annabeth ne saprebbe dire di più, ma sorvoliamo su ciò e andiamo, prima che i nostri amati nemici si ritirino.
Jeanette sorrise, seguendo il cugino fuori, dove infuriava la lotta.

Cameron stava tornando all'Empire, quando si ritrovò faccia a faccia con Tlaltecuhtli. Si torvava a Central Park, dov'era stato mandando insieme alla Casa del Serpente Piumato. Spalancò gli occhi, realizzando che non voleva assolutamente combattere con Tlaltecuhtli e morire. Ricordava bene ciò che si diceva sul mstro che si trovava di fronte a lui: nessuno sopravviveva e lo dimostravano i fatti. Semplicemente, la gente non tornava. E quando c'era stato l'attacco al campo? Quanti morti c'erano stati a causa di Tlaltecuhtli? Troppi, lo ricordava bene nonostante fosse ancora piccolo. L'avevano nascosto nel templio di Quetzalcóatl, durante l'attacco, siccome era incapace di difendersi, non avendo ancora iniziato gli allenamenti. Era intervenuto Quetzalcóatl insieme Tezcatlipōca per fermarla, spedendola chissà dove. Era stato un avvenimento assurdo, ma ce l'avevano fatta lo stesso. Adesso, Cameron sapeva che nessun Dio avrebbe potuto aiutarli. Loro erano da qualche parte, probabilmente nelle mani del Caos oppure su un altro pianeta, sta di fatto che non potevano aiutarli. Camero si guardò le scarpe da corsa: una volta erano bianche, mentre adesso erano marroni a causa della polvere del parco. Potevano correre ancora un po', quelle scarpe. Il mostro dalle sembianze di coccodrillo, con zampe artigliate e ossa e teschi ai fianchi, caricò e Cameron si mosse velocemente, spostandosi di lato appena in tempo, aiutato dalle correnti dei venti. Si sentiva come Pietro Maximoff, il suo personaggio preferito dei fumetti. Sorrise a Tlaltecuhtli, incoraggiandola a provare a prenderlo. Cameron sapeva che rischiava grosso, ma doveva tentare. Certo, aveva paura, non poteva neagarlo, ma non poteva di certo ritirarsi indietro. Se si fosse ritirato indietro davanti a lei, come avrebbe fatto quando sarebbe giunta l'ora di affrontare il Caos? Doveva concentrarsi e smetterla di fare film mentali come se fosse una fangirl. Ma lui era un fanboy. Stava divagando troppo e doveva concentrarsi se non voleva trovarsi a Mictlan, l'inferno, se si volevano usare parole più facili. Okay, ora però Tlaltecuhtli stava ringhiando e caricando contemporaneamente. Sangue, ecco cosa voleva la bestia contro cui stava combattendo: il sangue. No cosa buona, pensò il ragazzo. Cameron iniziò a correre, cercando di seminare il mostro, la quale sembrava appena aver deciso la sua cena a base di sangue semidivino. Il semidio, figlio di Ehēcatl, si chiedeva dove fosse Judy quando serviva. Era onnipresente quella ragazza e, adesso che aveva bisogno di lei, non c'era. Inciampò e cadde per terra, graffiandosi le ginocchia e i palmi delle mani, mentre Tlaltecuhtli, che gli era stata dietro tutto il tempo, s'avvicinava sempre di più. Ora era davvero la fine, pensò il figlio di Ehēcatl vedendo le fauci della bestia aprirsi per staccargli la testa. Era nei guai? Sì. Voleva morire? Ovvio che no. Era un semidio? Sí. Con una mossa, che anche a lui sembrò impossibile, prese il coltello che aveva sotto la maglietta, quello che portava con sè solo per sicurezza, per non essere sprovveduto del tutto. Mentre la bestia si avvicinava alla sua testa, Cameron impugnò il coltello con entrambe le mani, chiuse gli occhi, sperando di colpire il suo obbiettivo, e calò la lama. Si sentì un urlo nel parco, un tonfo e poi un pouf. Cameron aprì gli occhi, piano, non trovando nessuno. Che fosse morto lui? La lama però era lì, sporca di sangue blu. Che se la fosse portata a Mictlan? Nah, impossibile. Tirò un sopsiro di sollievo e guardò il cielo. L'aveva rischiata grossa questa volta. Era stato un pazzo e mai più avrebbe riaffrontato la bestia. Sentì dei rumori provenienti dalla foresta e s' alzò di scatto, impugnando la lama sport di sangue nuovamente. S'avvicinò cautamente e scostó il fogliame, mentre il cuore batteva forte. Si ritrovò faccia a faccia con un ragazzo, alto, di circa diciassette anni, gli occhi verdi, infossati con sotto pesanti occhiaie, una profonda ferita all'addome e i cappelli castani, ricci, che gli cadevano davanti agli occhi. Il ragazzo cadde e Cameron lo prese al volo, facendo passare un braccio intorno al collo.
-Amico- lo chiamò Cameron- Non mi sembra il momento adatto per svenire. E da dove salti fuori? Tutti i mortali sono fuori, come mai tu sei qui?
-Magari perché non sono un mortale?- domandò il moro- E fidati, mi sto chiedendo anche io perché sono qui. Dovrei essere morto, in teoria.
-Positivo, vedo- commentò- Procuriamoti un medico, poi pensiamo a come mai non sei morto.
Cameron sospirò, per poi iniziare ad camminare verso l'Empire State Building. Anche quel giorno era andato e lui voleva solo dormire, ma a quanto pare neanche quel giorno l'avrebbe fatto.

 

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Capitolo 54
*** SOPRAVVISSUTI ***


SOPRAVVISSUTI


Brutta era stata la giornata e brutto era stato anche il pisolino che si era fatta dopo che i nemici si erano ritirati. Aveva voglia di tornare a dormire, ma non riusciva a chiudere gli occhi, perciò si alzò dal letto e si mise gli anfibi dai lacci rovinati, indossò la giacca di pelle e scese nell'altrio, pronta per uscire a prendere una boccata d'aria. Prese l'ascensore, premette il pulsante del piano terra e scese. Si guardò allo specchio, meravigliandosi anche lei della sua immagine. I capelli rosa erano legati in una coda scombinata, gli occhi avevano diverse tonalità di colore che andavano dal viola al rosso, i graffi sul viso non erano molti, ma neanche pochi, mentre le sue mani erano piene di calli. Si spostò i capelli che erano sfuggiti all'elastico dietro alle orecchie, mentre l'ascensore faceva il suo solito dlin acuto. Le porte s'aprirono e la ragazza scese, dirigendosi verso l'uscita. Ma che cosa le era passato per la testa? Era pericoloso uscire adesso, anche se il nemico dormiva. Da quando era sorto il Sole, i nemici si erano ritirati, abbandonando le strade di Manhattan. Kya spinse la porta di vetro uscendo nell'aria tiepida di del 18 giugno. Era passato solo un giorno. Con le mani in tasca, la ragazza camminava senza far rumore per Manhattan. Se Percy l'avesse scoperta questa sua momentanea fuga, si sarebbe arrabbiato. Diceva che era pericoloso uscire anche di giorno, ma lei aveva bisogno di pensare e stare da sola. Calciava i sassi che trovava in strada, facendoli andare lontano da lei. Perchè doveva capitare a James? Perchè non era stata lei a fermare l'ondata che la dea aveva messo contro di loro? Perchè lo aveva abbandonato lì? Sapeva che il rimorso la stava divorando, ma non poteva far a meno di pensare a quel ragazzo dagli occhi verdi. Lo vedeva nei suoi sogni, quando dormiva. Lo vedeva morire lentamente, senza che lei potesse fare nulla. Avrebbe dato qualunque cosa per riaverlo accanto a sè. Si schiaffeggiò mentalmente: doveva stare attenta a ciò che desiderava.
-Principessa- la chiamò una voce dietro di lei. Si voltò di scatto prendendo la katana che si portava dietro sempre ormai, da quando le era capitato di perdere il controllo dopo aver utilizzato l'anello che le aveva dato Ishtar. Solo grazie a lui era riuscita a superarlo e questo era quello che faceva più male di ogni altra cosa.

Stava dormendo prima che l'allarme suonasse a tutto volume nella nave. Che ora era non lo sapeva dire neanche lei. Ancora in pigiama, si diresse al piano superiore, dove stava infestando  la battaglia contro gli ennesimi mostri: arpie, pazuzu e qualche demone del formaggio. Si era sfilata l'anello che portava ovunque, sfoderando la solita katana, lanciandosi poi nella mischia. Si faceva largo a colpi di spada, ma non erano sufficienti per sbarazzarsi di coloro che stavano infestando la nave. Si trasformò in nella leonessa che era dentro di lei, facendo cadaveri di mostri al suo passaggio azzannando tutto quello che trovava sul suo percorso. E anche quando fu finita, aveva ancora voglia di sangue, sangue che adesso le ricopriva gli artigli e la bocca. Vedeva i suoi amici allontanarsi da lei, impauriti. Solo James era rimasto nella posizione in cui si era fermato. Era vicino, ma c'era qualcuno di più vicino: Annabeth e Reyna. Le guardò, passandosi la lingua sulle labbra, balzando, ma non giungendo mai a loro. Si dimenò, mentre delle braccia la stringevano forte. Percy, probbabilmente, perchè il suo profumo di salsedine lo sentiva troppo forte.
-Calmati per la miseria!- esclamò il ragazzo tenendola ferma- Frank, fa qualcosa!
-Non posso fare niente Percy- protestò il figlio di Marte- Non risponde al leone, la sua leonessa, per il semplice fatto che sua madre è la protettrice dei leoni. Mi dispiace.
-James! Aiutala tu!- urlò Percy per poi lasciare la presa su di lei, dopo che l'aveva graffiato dul braccio. James s'avvicinò a lei, con passo deciso, si chinò e la guardò negli occhi. Smeraldo e rubino. Non poteva sorreggere quello sguardo intenso. Con un palzo s'allontanò da tutti, dirigendosi verso la sua cabina. Entrò e chiuse la porta, in una qualche maniera, tornando poi umana. Girò la chiave e s'accasciò contro la porta, iniziando a piangere. Si guardò intorno, inziando poi a scaraventare tutto per terra. Così, i bei vasi posati sul mobile, i foglia sulla scrivania, i libri di medicina di James e i suoi colori a matita, caddero a terra con dei tonfi pesanti. In quel momento, Percy era sicuramente in infermeria, e Kya dubitava che avrebbe ottunuto il perdono dal resto dell'equipaggio della nave, dopo quello che aveva fatto.  Si chiedeva che cosa era andato storto durante quella battaglia, dopotutto non aveva fatto nulla di nuovo o pericoloso. Sentì bussare alla porta, ma non rispose. Bussarono di nuovo e lei non rispose ancora una volta. Si sentiva un mostro per quello che aveva fatto. Provare ad attaccare la fidanzata del cugino e una sua amica? Ferire il cugino? Non gliel'avrebbero mai perdonato, lo sapeva, perchè era troppo da perdonare. Gattonò sino al letto e vi si stese sopra, mentre chi era fuori dalal porta continuava a bussare ininterrottamente.
-Avanti, Kya, so che sei lì- le disse James da dietro la porta leggermente scocciato- Ho portato i muffin al cioccolato.
Il ragazzo non ottenne risposta. La figlia di Ishatr si domandava come a James potesse ancora importare di lei dopo quello che aveva fatto. Era stata un mostro. La porta si aprì e il ragazzo entrò nella stanza con un sacchetto di muffin al cioccolato e un succo d'arancia. Si sedette sul letto che condivideva con la giovane, mentre lei si allontanava, verso l'altra sponda. Il figlio di Bau sbuffò scocciato, posando il sacchetto sul comodino e stendendosi accanto a lei.
-Perchè ti sei nascosta qui?- chiese il ragazzo allungando la mano per accarezzarle le guance, ricevendo però solo una sberla sull'arto proteso. Allora intrecciò le gambe con quelle della ragazza, legando poi le braccia alla sua vita, facendo scontrare la schiena della giovane con il suo petto. Kya provò a disincastrarsi da quella situazione. Non voleva far male anche a lui.
-Hey- disse il ragazzo immobilizzandola- Calmati principessa. So che hai paura di fermi male, ma, fidati, mi farai più male così che in un qualunque altro modo.
-Non sai di che cosa parli- ribattè lei sfilando i polsi dalle mani del ragazzo, anche se lui la teneva ancora ferma alle gambe. James alzò un sopracciglio:-Sicura? Conosco molto bene sia te che il felino che sei, quindi so di che cosa parlo. Non ti devi preoccupare, va bene?
-Non posso stare tranquilla quando posso fare del male alle persone che mi circondano!- sbottò liberandosi completamente dalla presa di lui- E adesso vattene, per favore.
-Non ti lascio qui da sola- protestò lui alzando di un poco la voce- Non sapendo che potresti fare delle pazzie. Puoi urlarmi contro finchè vuoi, ma non ti lascerò, non ora, e neanche tra un migliaio di anni. E che cavolo, sembra di stare in quelle storie tutto zucchero che vendono adesso in libreria ed io mi sento terribilmente in imbarazzo, quindi...
-Stai zitto- lo interruppe lei zittendolo con lo sguardo- Davvero, stai zitto, ti scongiuro.
-Grazie mille- rispose lui sorridendo- Adesso riposati, pricipessa. Più tardi troveremo una soluzione, te lo prometto. Ne usciremo, te lo giuro, cascasse il cielo.
-Stai zitto James- gli ordinò la ragazza cercando di non ridere- Abbracciami e stai zitto.
-Vero che poi metti a posto ciò che hai combinato?- chiese lui baciandole la testa e stringendola più a se, come se volesse farle da scudo. Kya si voltò, con lo sgaurdo severo:-Taci.
-Ai suoi ordini principessa!- esclamò lui facendo segno di chiudersi le labbra con una zip immaginaria. La figlia di Ishatr sorrise, tornando a sdraiarsi accanto al ragazzo, sicura che, finchè lui sarebbe stato accanto a lei, sarebbe andato tutto bene.

Vide Cameron da lontano, con un ragazzo, più alto e grande di lui, dai capelli castani, un po'lunghini, gli occhi verdi come smeraldi, con qualche livido e graffio qua e là. La katana della ragazza cadde a terra, producendo un rumore metallico contro il marciapiede di pietra su cui camminava. Il ragazzo con gli occhi verdi sorrise, mentre lacrime cristalline scendevano dagli occhi della ragazza. I suoi muscoli non si muovevano, come se fossero stati paralizzati, mentre le farfalle facevano la loro comparsa nello stomaco. Cameron lo accompagnò sino a lei, ancora paralizzata, forse troppo emozionata per quello che stava succedendo. Non sapeva neanche lei che cosa provava. Certamente era confusa, ma anche felice, eppure c'era qualcosa che la bloccava. James era davanti a lei, ora, e la guardava con i suoi occhi color smeraldo. Con qualche difficoltà, si sporse in avanti, catturandola in un abbraccio. Solo dopo molto tempo la ragazza ricambió l'abbraccio del giovane, mentre lacrime salate le pungevano agli angoli degli occhi.
-Sapevo che eri qui- sussurró lui al suo orecchio, come se fosse un loro segreto che non potevano dire a nessuno. Cameron tossí imbarazzo, attirando l'attenzione su di lui. Con le gote un pochino rosse u balbettando, il ragazzo s'allontanò lentamente:-Io, ehm, vado da Percy.
Corse poi via, facendo sorridere la ragazza, osservando colui che aveva di fronte. Gli spostò una ciocca di capelli dietro le orecchi, mordendosi le labbra. S'alzò poi sulle punte dei piedi, appoggiando delicatamente le labbra su quelle di lui, ancora morbide, forse con qualche screpolatura qua e là, ma ancora morbide, mentre le sue sembravano aver subito le peggiori torture. Così era, ma non lo avrebbe mai ammesso davanti a qualcuno. Era un segreto della sua testa e basta. James la circondò con le sue braccia, mentre lei stringeva la maglietta di lui tra le mani, come se riuscisse a farla rimanere in quel mondo per non precipitare in un altro.
-Non credo di avertelo mai detto- disse la figlia di Ishtar staccandosi per respirare- Ti amo James. Ti amo perchè sei tu, perchè senza di te mi manca un pezzo, perchè senza di te, io non sono nessuno, un'anima disperata. E ti chiedo scusa per non essere venuta a cercarti, spero che riuscirai a perdonarmi, un giorno.
-Ti perdono se lo dici un'altra volta- ribattè il ragazzo sorridendo, un sorriso che trasmetteva calore. Kya aggrottò le sopracciglia:-Che cosa dovrei ripetere?
-Che mi ami, mi sembra ovvio no?- commentò il bruno accarezzandole le guance calde. La figlia di Ishtar rise, afferrando il volto di lui, incastonando gli occhi viola in quelli smeraldo di lui, formando un'armonia perfetta:-Ti amo, James.
-Credo che non mi stancherò mai di sentirtelo dire- sussurò estasiato lui, finendo poi per dare un bacio a fior di labbra alla ragazza davanti a lui. Era di nuovo con lei e, adesso, andava tutto bene.

Clarisse lo vide arrivare da lontano, molto lontando, almeno così aveva capito Ziah Rashid. Non che un serpente gigante, chiamato anche Dragone, fosse così invisibile. Sta di fatto che Clarisse diede l'allarme dalla sua biga mentre attraversava New York per raggiungere il luogo dove avrebbe dovuto giudare la sua squadra. Ziah era poco lontano e, sentendo la figlia di Ares dare l'allarme, si era precipitata subito sul luogo. Da pazzi. Il Dragone la guardava dall'alto in basso e lei si sentiva piccolissima, in confronto a lui, nonostante fosse a qualche metro di distanza. Vedeva le sue fauci, gigantesche e liquido verde che fuori usciva e cadeva sull'asfalto, corrodendolo. Aveva recepito il messaggio: lontano da quel liquido verde. Era pronta ad attaccare, quando una mano la fermò. Ziah si voltò, incrociando lo sguardo di Percy, che scuoteva la testa:-Non attaccarlo da sola. L'ultima volta non è andata a finire bene.
-Qualche idea?- domandò lei guardando la bestia volare verso il centro della città. Percy le mostrò una fionda:-Mai provato a giocare a Mario Galaxy?
-Veramente non ho mai giocato ai videogiochi- precisò la ragazza, guadagnandosi un'occhiataccia dal ragazzo. Alzò le spalle e ribattè:-Non ho molto tempo. Non riesco a farmi un bagno, figuriamoci giocare ai videogiochi. Cosa c'entra ciò con la fionda?
-Se sopravviviamo faremo una serata videogiochi- fece Percy- La fionda serve per non avvicinarsi troppo. Rachel dice che questo Dragone è diverso da quelli dell'ultima volta. Dice che bisogna stare attenti e che può essere ucciso solo se si è abbastanza vicini e abbastanza lontani, allo stesso tempo, e serve più di un colpo, come nei videogiochi.
-Non ho capito niente, ma fa lo stesso- rispose l'Occhio di Ra- Spiega il piano, sono tutta orecchi.
-Hai una buona mira?- chiese porgendole la fionda e un sacchetto di cuoio contenente palline viola e verdi. Ziah alzò lo sguardo sul ragazzo, chiedendogli con lo sguardo che cavolo fossero quelle palline colorate che assomigliavano quasi a biglie colorate, ma lui scrollò le spalle e rispose:-Idea dei mesoamericani, mischiate ad un po'di magia dei maghetti, con un po' di chimica da parte di Cleo e qualcuno della casa di Atena. Dicono che faranno un bel fracasso.
-Speriamo di non rimanerci anche noi nel fracasso- ribattè Ziah appendendosi il sacchetto alla cintura insieme alla fionda. Percy scosse la testa:-Mira alla bocca. Se le ingerisce funzionano meglio a quanto pare. Io lo distraggo.
Ziah annuì, montando poi sul pegaso del figlio di Poseidone, insieme a lui, spiccando poi il volo, inseguendo il dragone. Percy si calò sulla schiena del rettile, salendogli in groppa, mostrandosi poi al dragone. Sorrise alla bestia e quella scosse la testa, facendo perdere l'equilibrio al ragazzo, che si aggrappoò ad uno dei suoi baffi che pendevano ai lati del muso. Ziah incitò Blackjack a raggiungere il semidio, ma quello scosse la testa, obbligandola a stare lontano. Con fatica, Percy s'arrampicò sul baffo del dragone, ritornando sul muso dell'animale. Impugnò la spada e cercò di manternere l'equilibrio, cosa quasi impossibile, siccome l'animale muoveva il capo cercando di far scendere il ragazzo. Con non si sa quale trucco, Percy riuscì a far aprire la bocca del dragone, dando la possibilità a Ziah di prendere la mira e fiondare una di quelle palline colorate nella bocca del dragone. Quello la ingoiò, piccola com'era. Si sentì una piccola esplosione, proveniente dal suo stomaco e Percy saltò giù dalla bestia, atterrando sull'asfalto in piedi. Il dragone aprì di nuovo la bocca, ma Ziah non fece in tempo a prendere la mira. Sentì la pelle buciare e urlò dal dolore. Fuoco. La pelle bruciava e così anche gli edifici sotto di lei. Strinse i denti, cercando di sopportare quel dolore atroce. La sua divisa di lino era rovinata, bruciata, come la sua pelle, sulla quale si stavano formando delle piccole pustoline che bruciavano ancora di più dello stesso fuoco. Blackjack la riportò a terra, raggiungendo così Percy, il quale utilizzava il suo potere sull'acqua per spegnere le fiamme. O almeno ci provava. Sembravano inestinguibili, quelle fiamme dai colori caldi. Il figlio di Poseidone s'avvicinò a lei, controllandole il braccio, prendendo poi parte della divisa della ragazza bruciata e legandola intorno alla parte bruciata. Ziah urlò, mentre il ragazzo stringeva quel pezzo di stoffa leggero. L'Occhio di Ra si morse il labbro, fino a farlo sanguinare, cercando di non urlare ancora più forte, mentre il ragazzo versava dell'acqua gelida sulle bruciature.
-Rimani qui- le ordinò lui- Chiamerò un figlio di Apollo o un guaritore e ti farò venire a prendere.
-Non ci penso proprio- ribattè la ragazza, mentre con una certa difficoltà s'alzava in piedi- Ti aiuto a farmarlo. Non puoi farcela da solo.
-Allora ti manterrai a giusta distanza, va bene?- le disse Percy guardandola serio negli occhi. Ziah annuì, salendo in groppa al pegaso del ragazzo, mentre il proprieterio correva tra le fiamme in una barriera d'acqua. Percy si ritrovò in un mare di fiamme e buchi sull'asfalto. Fu in quell'inferno personale che si ritrovò circondato da serpenti. Imprecò in greco o latino, neanche lui lo sapeva dire. Proprio i serpenti? Chi era stato quel genio? Vide anche loro tra le fiamme: i Mangiamorte. Sorrise a loro, ma loro indossavano le maschere e non ptè vedere la loo espressione. Guardò i serpenti e rise:-Uhm... signori Mangiamorti, credo che siano vostri questi cuccioletti, quindi vi chiedo di riprenderveli.
Lo attaccarono, ovviamente, e al figlio di Poseidone toccò affrontarli. La loro magia sembrava più potente, rispetto a quella di maghi che erano dalla sua parte. La sua spada, Vortice, colò lontano dopo un incantesimo di disarmo. Sapeva che gli sarebbe tornata in tasca, ma ci voleva tempo. Guardò i Magiamorte e i serpenti, bestie all'apparenza innocente, ma che gli avevano già trasformato in cenere metà degli indumenti. Percepiva i loro cuori battere, il loro sangue scorrere e l'acqua scivolare lungo le loro tempie e sulle mani che stringevano le bacchette di legno. Deglutì e cercò di non pensarci. Non voleva uccidere, ma poteva ferirli. Dentro di lui si stava combattendo una battaglia sul giusto e sul sbagliato. Guardò i Mangiamorte e poi i serpenti di fuoco. Doveva uscire da lì. Allungò le mani e con una allontanò i Mangiamorte, mentre con l'altra strozzó i serpenti in una morsa di ferro. Si sentiva un mostro, ma sapeva che doveva farlo se voleva sopravvivere e se voleva rivedere Annabeth la mattina. La sera era inoltrata e la Luna era oscurata da nuvole temporalesche portate degli spiriti dei venti. Le fiamme continuavano a bruciare senza sosta, facendo di quella piccola parte di Manhattan un focolare gigantesco. Vide la carcassa del dragone poco lontano. Ziah era un genio. La vide svolazzare in groppa a Blackjack nel cielo scuro. Gli sorrise e lui sorrise a lei. L'Occhio di Ra scese dal pegaso nero, facendo poi segno al ragazzo di allontanarsi dalle fiamme. La ragazza s'avvicinò alle lingue di fuoco e iniziò a cantare, assorbendo l'elemento dentro sé stessa, rilasciandolo verso il cielo notturno in fiamme blu, quelle più calde. Ziah sorrise ancora al figlio di Poseidone. I suoi occhi erano di un castano scuro, molto diverso dal colore oro che solitamente portavano. Si guardarono intorno, osservando i palazzi intorno a loro bruciati dalle fiamme e cortosi dalla bava acida del dragone che ora giaceva a terra, morto. Ziah si morse le labbra, osservando il ragazzo accanto a lei stringere i pugni in una morsa ferrea. Si sentiva impotente e sapeva benissimo chenon sarebbe riuscita a tirargli su il morale. Percy teneva a quella città più di chiunque altro tra di loro.
-Andiamo- ringhiò il figlio di Poseidone. Ziah annuì, montò sul pegaso, che, con un battito di ali, si sollevò in volo, verso il cielo della città.

Era stata un'idiota a credergli sulla parola. Lei non doveva farlo, eppure l'aveva fatto. Doveva dare retta al suo istinto, quando aveva dovuto scegliere. Adesso, si ritrovava facccia a faccia con lui e i suoi occhi castani di cui si era innamorata. Lui aveva la spada sfoderata e lei pure e si guardavano negli occhi. Azzurro contro castano, in una guerra che sembrava solo fare loro del male.
-Perchè?- chiese lei triste- Dimmi il perchè Sebastian. Che cosa ti hanno fatto gli Dei di male e che cosa ha fatto il Caos per te?
-Mi ha reso più forte- ribattè lui scocciato, anche se nei suoi occhi vi era una nota di preoccupazione, mista alla tristezza che provava- Devo combattere per lui e non sarai tu a fermarmi, Alexia.
-Ti prego...- sussurrò lei, ma lui scosse la testa, versando una lacrima, mentre faceva cenno agli arceri di fare fuoco. La ragazza rotolò di lato, schiando parte delle frecce del nemico, mentre ordinava alla sua squadriglia di attaccare. Si lanciò in avanti anche lei, tagliando l'aria con la sua spada di ghiaccio. Incrociò la lama di molte persone e altrettante la ferirono superficialmente. E mentre combatteva pensava che non poteva essere stata così stupida da credere a lui. L'aveva ingannata e adesso si trovava a pochi metri da lui. Fece schioccare la gomma da masticare che aveva in bocca e che torturava solo per stress. Corse verso di lui, saltandogli sulle spalla, mettendogli la spada alla gola. Lui afferrò le caviglie di lei, togliendosela di dosso, facendola cadere a terra. L'asfalto faceva male. Valentina ringhiò, toccando l'asfalto con la mano gelata, trasformandola in una pista ghiacciata. Sorrise soddisfatta, quando vide il ragazzo correre verso di lei e scivolare, sbattendo il sedere per terra. Con una mossa agile, s'alzò di scatto, calando la spada su di lui. Non avrebbe mai avuto il coraggio di ucciderlo, lo sapeva, ma poteva fargli male, parecchio male. La spada di ghiaccio venne bloccata dalla spada di bronzo dell'altro e si guardarono negli occhi, con l'odio misto all'affetto che provavano l'uno verso l'altro. Sentiva il cuore battere forte, la figlia di Chione. Sebastian sfiorò l'asfalto anche lui, sciogliendo il ghiaccio che aveva creato la giovane. Vale alzò il piede calpestandogli la mano, facendolo urlare dal dolore. Si allontanò di un minimo, sollevando la spada, pronta a fargli male, molto male. Non meritava pietà, neanche la morte, solo dolore. Inspiró l'aria calda di giugno e caló la spada, mentre lacrime umide e salate iniziavano a farsi strada sul suo volto. Poi un urlo squarció il cielo, mentre un dolore alla spalla si faceva largo. La lama cadde e lei si portò una mano alla spalla,  colorandosi le dita di un rosso cremesi. Si morse il labbro e cadde a terra. Sebastian si avvicinò a lei, con le mani tremanti e gli occhi umidi.
-Scusa- le disse singhiozzando- Io... Non...
-Hai fatto la tua scelta- ribattè la figlia di Chione, togliendosi la lama dalla spalla. Sebastian non fece in tempo a rispondere che venne spazzato via da una folata di vento freddo. Braccia avvolte da un giaccone la presero in braccio e lei riconobbe l'odore di fumo e menta che conosceva benissimo. Rick s'alzò in volo e lei venne portata via dalla persona che amava, mentre la spalla bruciava incredibilmente. Sarebbe guarita da quella ferita, ma dalle altre, non ne era molto sicura. Venne delicatamente appoggiata sul pavimento di marmo del Empire State Building e subito una figlia d'Apollo l'andò ad aiutare. Le disinfettó la ferita e con ago e filo chiuse la profonda ferita che aveva. Si sentiva uno straccio e sdraiata su quella branda pensava ancor di più al tradimento di Sebastian. Non si sarebbero ricucite in fretta quelle ferite. Forse non si sarebbero mai chiuse del tutto.

 

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Capitolo 55
*** MOSTRO ***


MOSTRO


Erano tutti stanchi, ma a breve sarebbe sorta l'alba. Intanto, però, bisognava arrivarci a quel momento. Erano tutti sudati e coperti di sangue ormai secco, sporchi di polvere o terra. Frank allungò la mano verso il suo arco, mentre la ragazza di fronte a lui lo guardava con cattiveria, circondata da quella dannata nuvola verde, che aveva spedito la maggior parte di quelli che l'avevano affrontata a terra. Strinse l'impugnatura dell'arco, cercando di alzarsi in piedi. la ragazza rise, con cattiveria. Fantastico. Prima che Frank potesse fare qualcosa, una spada trapassò la ragazza, uccidendola. Dietro di lei comparve Hazel, con le mani insanguinate e il volto tra lo spaventato e la serietà. Frank gattonò sino alla ragazza, tirandola in un abbraccio. Hazel singhiozzò contro l'armatura del figlio di Marte, mentre quello le accarezzava i capelli color caramello.
-Come si può uccidere un mostro senza diventarne uno?- chiese Hazel quasi in un sussurro. Frank scosse la testa, mentre uno del suo squadrone gli passava l'arco. Lo ringraziò con lo sgaurdo e gli fece cenno di andarsene:-Non si può Hazel, ma dobbiamo farlo o... sai benissimo cosa succederà.
-Lo so Frank- ribattè Hazel alzando gli occhi- L'ho visto, con i miei occhi. L'uomo dell'orologio, il figlio di Crono me l'ha mostrato. Lui l'aveva predetto. Aveva predetto tutto, ottocento anni fa.
-Hazel devi calmarti- la rimproverò il ragazzo scuotendola per le spalle- Devi stare calma. andrà tutto bene, noi ne usciremo vincitori.
-Frank, ho appena ucciso una ragazza!- esclamò Hazel- Una semidea come me, come te. Una semidea, una figlia degli Dei. Sono...
-Hai dovuto farlo- precisò il figlio di Marte, mentre si tirava su in piedi e l'aiutava ad alzarsi dall'asfalto freddo- Adesso non pensarci più.
Hazel annuì, seguendo poi Frank in un'altra battaglia, poco lontano. Frank dava ordini alla Quinta e Quarta Coorte con fermezza, incitandoli a fare il meglio che potevano. Hazel combatteva al suo fianco e il figlio di Marte sentiva di poter fare tutto con la ragazza al suo fianco, come se fosse invincibile. Una freccia gli passò vicino all'orecchio, colpendo l'ennesimo semidio. Frank si voltò di scatto, per vedere chi aveva scagliato tale arma, e intravide il volto di sua madre. Spalancò gli occhi nel vederla. Ella scomparve dalla sua vista e Frank si chiese perchè. Il figlio di Marte strinse l'arco e seguì la donna. Era molto vicino al confine dei nemici. Sentiva l'adrenalina scorrergli nelle vene, mentre si mischiava al timore che sua madre, colei che aveva sempre comattuto per il bene sin da quando lui ne aveva memoria, stesse dalal parte di colui che voleva solo il male per l'umanità e il mondo. No, non poteva essere sua madre, lei non l'avrebbe mai fatto. Sentì qualcosa di duro colpirgli la faccia, ritrovandosi a pochi centimetri dal suolo. Si alzò in piedi, o almeno ci provò, sentendo una pressione alla base della schiena. Sentì il clik di un fucile e non si mosse. Alzò solo lo sguardo su chi lo stava minacciando: capelli scuri e corti, occhi a mandorla e castani, divisa da militare.
-Madre?- chiese Frank in un sussurro spaventato. La donna non rispose, ma si morse il labbro e Frank capì di aver fatto centro. Sua madre era lì. Un po' pallida, ma era lì. Frank provò a muoversi, ma l'anfibio della madre lo costringeva a rimanere a terra.
-Perchè lo fai, mamma?- chiese lui mentre gli occhi pungevano. La madre scostò lo sguardo. Non voleva rispondere e Frank non capiva, gli sembrava tutto così assurdo.
-Mamma- la chiamò ancora, ma ella non rispose, lasciando il semidio senza parole, con tante domande le cui risposte erano così scontate, ma allo stesso tempo assurde. Emily Zhang posò il dito sul grilletto, pronta a sparare. Frank non voleva reagire, non voleva fare male a sua madre, ma non voleva neanche morire. Sapeva che, in una qualche maniera, uno dei due non sarebbe uscito vivo da quello scontro. Non voleva diventare un mostro, ma non voleva lasciare i suoi amici, nè Hazel. Non voleva neppure uccidere sua madre.
-Scusami, Frank- disse Emily. Frank si preparò a ricevere il colpo, a lasciare il mondo, ma non accadde. Il proiettile l'aveva mancato. Il fucile era lontano e Clarisse era in posizione di lancio. Frank scattó come una molla, facendo lo sgambetto alla madre, la quale ricadde a terra, mentre il figlio di Marte s'alzava. Emily si trasformó in un'orsa, dal pelo bruno e artigli affilati, iniziando colpire il figlio, che cercava in ogni modo di schivare quei rasoi. Una zampata e dal suo braccio inizió a scendere del sangue, che scorreva sino alle dita delle mani, cadendo poi sull'asfalto. Deglutí. Non poteva trasformarsi in quelle condizioni. La lancia di Marte, o Ares, era tra le sue mani, pronta ad eseguire il suo volere. Ma lui non voleva ferire la madre. No, non poteva. Rotoló di lato, dopo l'ennesimo tentativo di ferirlo della donna, afferró una scudo di metallo e lo scaglió contro il muso della madre, la quale indietreggó di un poco, ancora confusa e stordita dalla botta. Frank fece per attacare, per metterla a tappeto senza ucciderla, ma non fece in tempo che vide Clarisse piantare un coltello tra le scapole. Non un colpo mortale, ma abbastanza da ferirla gravemente. Avrebbe fatto male a chiunque quel colpo, ma non a Emily Zhang, la quale scrolló le spalle e attaccó la figlia di Ares con rabbia. Allora, con male al petto e al braccio, Frank impugnó la lancia del padre e la scaglió verso quella che una volta era stata sua madre, ma che adesso era solo un mostro, proveniente da chissà dove e chissà dov'era la sua vera mamma. Hazel aveva ragione: come si poteva uccidere un mostro, senza diventarne uno. Frank adesso si sentiva un mostro. Il corpo della donna cadde sul suolo con un tonfo sordo, mentre i respiri dei due figli della guerra si facevano sempre piú pesanti. Frank strappó un pezzo della sua maglietta logora e si bendó il braccio in una qualche maniera. Clarisse s'avvicinó a lui e gli appoggió una mano sulla spalla buona:-Sei stato molto coraggioso Frank.
-Era mia madre- si rimproveró lui trisre, guardando ancora il corpo di sua madre. Clarisse scosse la testa:-Una madre non avrebbe mai attaccato suo figlio, per nessun motivo al mondo.
Clarisse lo allontanó da quel corpo senza vita, ma anche mentre combatteva contro altri avversari, il corpo di Emily Zhang gli tornava alla memoria. Quale figlio avrebbe ucciso la madre? Era un mostro. Un mostro senza cuore.

Piper era appena uscita da un combattimento contro delle empuse e si domandava come cavolo avesse fatto a sopravvivere, ma quando la vide, sul pegaso bianco, smise di preoccuparsi delle ferite e si diresse, correndo, verso di lei. Drew si accorse di lei, solo quando fu molto vicino. Si guardarono negli occhi, con odio. Solo allora Drew decise di scendere dal pegaso bianco. Piper si strinse la coda in cui aveva legato i capelli e respiró, mentre afferrava Katropis con le mani tremanti. Era la resa dei conti tra loro due. Drew attaccó per prima, utilizzando arco e frecce. Codarda, pensó Piper, mentre schiva a l'ennesima freccia. Una freccia le graffió la guancia, da cui inizió a scendere del sangue. Se la toccó con le dita sottili, vedendo il liquido rosso tingerle le dita. Lo sguardo malefico di Drew la colpí. Piper prese uno dei suoi tanti coltelli dalla cintura e, con estrema precisione come le aveva insegnato Annabeth, lo lanció,ma Drew lo schivó scansandosi di lato. Allora, Piper corse verso di lei, con il suo pugnale saldo nella mano. La lama del pugnale di Piper e quella della spada di Drew si scontrarono, producendo un rumore metallico che rimbombó nel Lincon Tunnel. Drew menava fendenti, secchi e precisi, mentre i colpi di Piper erano solo veloci, nulla di piú. Le due lame caddero lontano e le due iniziarono a combattere in un corpo a corpo. Entrambe erano veloci e combattevano senza stuzzicare l'altra. Piper era distratta, lo sapeva e lo percepiva. Il suo corpo era stanco, dopo una lunga notte passata a combattere. Lo sapeva perchè il suo corpo non era veloce come doveva essere. I suoi colpi erano piú lenti e, cosí, anche le sue reazioni. Drew l'aveva già colpita diverss volte e, adesso, Piper si trovava faccia a faccia con l'asfalto, mentre il respiro era sempre piú pesante e il cuore pompava sangue sempre piú velocemente. La gamba, dove una delle tante empuse l'aveva colpita, faceva una male assurdo,ma adesso era l'ultiml dei suoi problemi. Sputó il sangue che si era accumulato nella gola e s'alzó lentamente, un po' traballante. Drew fece un sorriso malvagio, di quelli che aveva sempre riservato solo e unicamente a lei:-Non ti arrendi mai, vero?
-Sono testarda- ribattè Piper mentre si metteva in posizione per combattere-Fatti avanti, Drew.
Drew attaccó con forza e rabbia, mentre Piper si limitó a schivare gli attacchi. Drew la bloccó, tenendo il braccio attorno al collo e stringendo, e Piper si sentí subito l'aria mancare. Scalció, cercando di libersi, ma urló soltanto. Il suo urlo, riecheggió nella galleria e Drew si tappó le orecchie, lasciandola andare. Piper cadde a terra, sbucciandosi i palmi delle mani. Afferró Katropis, poco lontano da lei, mentre Drew si era lanciata su di lei, afferrandola per la gamba, trascinandola verso di lei. Non riusciva a parlare, Piper. Era come se le sue corde vocali si fossero bloccate. Dalla sua bocca uscivano soltanto mugolii, che la facevano assomigliare ad un gatto. Drew l'afferró per le braccia, di nuovo, tirandola poi per i capelli lungo la larghezza della galleria, verso la parete piú vicina, lontano da Katropis. La sbattè contro il muro, mentre un rivolo di sangue le colava a lato della testa, la quale pulsava, come se il cuore avesse ceduto il suo compito di pompa al cervello di Piper, il quale non riusciva ad elaborare alcun piano utile. Non avrebbe dovuto affrontare Drew da sola, anche perchè la sua nemica sembrava molto piú forte di lei, cosa che Piper non sospettava minimamente. L'aveva sottovalutata e adesso ne pagava le amare conseguenze. Drew s'era armata di una sciabola e la teneva a pochi millimetri dalla gola di Piper.
-Ecco come cadde una degli Eroi dell'Olimpo- sussurró Drew poco distante dal volto di Piper- Trafitta.
Piper chiuse gli occhi, in una preghiera silenziosa, una preghiera dove chiedeva perdono per ogni cosa che aveva fatto di sbagliato. Non sentí niente e si chiese se morire era cosí facile. Ricordava quando Harry le aveva riferito la citazione del suo patrigno la mattina in cui erano arrivati a New York: morire era piú facile che addormentarsi. Aprí gli occhi, chiedendosi perchè fosse ancora nel Lincon Tunnel. Guardó avanti e vide Silena, che combatteva con determinazione contro Drew, come se fosse una figlia di Ares. Piper spalancó gli occhi, gattonando fino alla prima spada che le capitó di vedere. Afferró l'elsa e si tiró su in piedi, camminando verso le due ragazze. Silena colpiva Drew, o almeno ci provava. Piper afferró una delle spalle di Drew e la spinse verso la spada, trafiggendola da parte a parte. Il respiro di Drew si ruppe, mentre le mani di Piper si tingevano di un colore rossarstro: il sangue della ragazza. Piper lasció l'elsa della spada, ma aiutó lo stesso Drew a stendersi per terra. Piper e Silena la guardavano con tristezza, mentre l'asiatica cercava di respirare, di rimanere in vita.
-Avremmo potuto essere una famiglia- sussurró Silena mentre guardava la sorellastra morire. Drew scosse la testa:-Tu... tu hai abbandonato la via di Afrodite... non avremmo... mai potuto essere una famiglia.
-Afrodite è amore, ballezza, gentilezza e soprattutto amore reciproco, verso gli altri- ribattè Silena- Sei tu che hai perso la via, Drew.
Drew non fece in tempo a rispondere che una freccia le colpí la fronte, uccidendola definitivamente. Piper alzó lo sguardo su Silena, che, con volto severo, teveva l'arco davanti a se.
-Meritava questa fine- sbottó la corvina riponendo l'arco nella faretra e togliendo la freccia da Drew. Piper annuí triste, lasciando poi il corpo lí, sapendo che, quella mattina, tra le fiamme, ci sarebbr stato anche il corpo di Drew Tanaka.

Quando sentirono la prima scossa, nessuno si preoccupó piú di tanto. Forse era qualche figlio della natura che si era divertito a creare un bel terremoto, o forse era stato Percy. Insomma, dopo la scossa, tornó tutto come prima, con semidei contro semidei e mostri. Il bene contro il male. L'ordine contro il Caos. Quando peró sentirono la seconda scossa, tutti i bloccarono, buoni e cattivi. Talia Grace era su uno dei tanti tetti di Manhattan con parte delle Cacciatrici al seguito e un bel gruppetto di figli di Ermes capitanati da Luke Castellan. Si stavano dirigendo ad ovest, al Brooklyn Bridge, perchè c'era bisogno di loro, quando la terra tremó per la seconda volta. Talia rischió di cadere, ma Luke la sorresse per il braccio. Talia lo ringrazió con lo sguardo:-Va bene gente, dobbiamo capire chi è stato e distruggerlo, prima che distrugga Manhattan. Bianca, prendi il comando delle Cacciatrici. Luke, tu vieni con me.
Bianca annuí, facendo segno alle Cacciatrici e ai figli di Ermes di seguirla, mentre il figlio di Ermes sorrise:-Un'avventura solo io e te, Tals?
-Ahimè, mi tocca- ribattè la giovane facendo segno al ragazzo di seguirlo. Saltarono sui tetti, diretti chissà dove. Poi vi fu un'altra scossa e Talia si gaurdò intorno, alla ricerca di un qualcosa a cui potesse dare la colpa. Vide qualcosa di roseo uscire dall'acqua, qualcosa di grande, abbastanza grande da provocare un terremoto. Scosse la testa e, veloce come pochi, Talia balzò di tetto in tetto, sino a raggiungere il mare. Luke la seguiva preoccupato, anche lui timoroso di che cosa stavano per affrontare. A contenere i danni c'era Percy, il quale bloccava l'acqua, prima che inondasse la città. Occhi neri fissavano i tre semidei, in particolare Percy. Il figlio del dio del mare sembrava stanco e ferito, cosa che Talia riuscì a constatare non appena gli fu vicino. Un taglio profondo gli attraversava in lunghezza il braccio, mentre una cicatrice gli partiva dall'orecchio e arrivava sino al collo. Talia pensò che era stata fortunato a non rimetterci la vita.
-Vi presento il Kraken, signori e signore- disse Percy sorridendo, un sorriso beffardo, di quelli che tirava fuori qundo la situazione o era grave oppure c'era qualcosa di cui voleva farsi perdonare. Talia impugnò l'arco argenteo:-Questo è colui che ha causato i terremoti?
-Probabilmente, sì- rispose il figlio di Poseidone scocciato- E più che terremoto lo definirei maremoto, cuginetta adorata.
-Ebbene, come lo rispedisco nei fondali oceanici?- domandò la ragazza mentre Percy respingeva un'altra onda gigantesca e il sudore gli scendeva lungo tutta la fronte. Il Kraken non demordeva, sembrava solo aver voglia di allagare la città. Che poi per quale scopo? Perchè il Caos avrebbe voluto Manhattan allagata? Non aveva senso tutto ciò. Luke ci arrivò prima di lei e spostò violentemente il figlio di Poseidone dal trattere un'altra ondata. Talia aiutò i due ragazzi ad alzarsi, mentre guardava l'acqua del mare, entrare in città. Non potevano permettersi di far crollare Percy, o la stella non sarebbe stata completa.
-Vai via, Percy- gli disse Talia severa, con Luke da dietro che annuiva, sostenendo la Cacciatrice d'Artemide- Qualunque cosa succeda, tu non bloccare l'acqua.
-Talia, lo scontro con lui è tra due giorni, posso bloccare gli attacchi del Kraken, davvero- protestò Percy. Talia scosse la testa e lo guardò negli occhi:-Fidati di me. Vai da Annabeth, lei avrà più bisogno di te. Al calamaro di pensiamo io e Luke, vero?
Il biondo annuì, già con Vipera alla mano, gli occhi chiari luminosi dalla voglia di uccidere il Kraken. Percy si morse le labbra e annuì, fischiando, richiamando Blackjack. Appena il pegaso giunse sul posto, Percy vi montò sopra, allontanandosi dai due semidei, che lo guardarono andare via con nostalgia, sperando di rivederlo. Tornarono a concentrarsi sul kraken e Talia doveva ammettera di non aver mai incontrato creatura marina più disgustosa. Era un calamaro, con occhi neri, vacui, ma pieni di voglia di distruggere. I tentacoli rosa si muovavano in aria senza uno schema preciso, pericolose come fruste. Era orrendo.
-Schiafata, Talia?- chiese Luke sorridendo, osservando la faccia schifata della ragazza, la quale annuì, per poi stringere l'arco e dire:-Io destra, tu sinistra.
Luke annuì, correndo a sinistra, imitando Talia, quando ella saltò sopra al parapetto e atterrò sopra a un tentacolo, che si muoveva nell'aria, cercando di disarcionare al semidea, la quale s'arrampicava con maestria. Luke la imitava da poco lontano, capendo dove la ragazza volesse arrivare. Voleva distruggerlo in un sol colpo, cosa impossibile da dove si trovavano. Il tentacolo su coi lui era aggrappato ricadde nell'acqua. L'acqua del mare era fredda e Luke sentì subito l'aria nei polmoni mancare. Ritornò fuori dall'acqua, infreddolito, e Talia tirò un sospiro di sollievo, vedendolo riemergere dall'acqua. Fu il turno della ragazza finire in acqua, aggrappata al tentacolo e intenzionata a non lasciarlo per nessun motivo. L'acqua salata le pungeva gli occhi, mentre il freddo la fece rabbrividire. Vide, sfocata, la bocca del Kraken, fatta di denti aguzzi. Ne contò due file: due file di denti grigi e giallognoli, affilati come rasoi. La Cacciatrice d'Artemide riemerse dall'acqua, tornando a respirare, sempre più convita ad avvicinarsi al mostro. Fece un cenno a Luke di continuare con il piano. Talia si mosse piú velocemente, cercando appigli tra le ventose. Era quasi giunta alla testa del calamaro, quando non vide più Luke sul tentacolo. Si spaventò, cercandolo con lo sgaurdo, ma non trovandolo. Si staccò dal tentacolo e si lanciò n acqua, nuotando in quell'acqua fredda e scura. Tornò fuori dall'acqua, prese un bel respiro e si immerse un'altra volta. Sentì qualcosa avvolgerle la vita e incontrò Luke, con una bolla trasparente intorno al volto. Sorrise e anche lei venne avvolta dalla bolla magica. Sentì l'ossigeno ritornare nei polmoni e sorrise a Luke, ringraziandolo. Lui le fece segno di seguirlo e così la ragazza fece. Nuotarono mentre il gelo li avvolgeva e Talia si chiedeva come facesse il cugino a vivere in quell'elemento. Luke le mostrò ciò che Talia aveva già visto: la bocca del calamaro, che risucchiava acqua e ne lanciava fuori altrettanta. La figlia di Zeus annuì, capendo ciò che dovevano fare: uccierlo dall'interno. Il figlio di Ermes sorrise, mentre la ragazza cercava una soluzione alternativa. Sapeva come andavano a finire queste cose: uno di loro ci avrebbe lasciato le penne. Quando vide il sorriso, Talia scosse la testa violentemente e per un attimo la bolla sembrò staccarsi dalla sua testa. No, non poteva perderlo di nuovo, non così. Bucò la bolla di Luke e quello la guardò male, ma fu costretto a risalire, lo stesso. Talia ne approfittò per sfiorare il suo bracciale d'argento e avvicinarsi al Kraken. Aspettò che la gigantesca bocca s'aprisse e vi si lanciò dentro, sperando di sopravvivere in una qualche maniera. Vide qualcosa muoversi e socchiuse gli occhi, sperando di vederci meglio. Quando capì di che cosa si trattava, sorrise: stava andando nella direzione giusta, il cuore era vicino. Lo vide, lì, in mezzo a qualcosa, mentre i vasi sanguigni pompavano sangue ovunque. Deglutì, strinse la lancia e si lanciò, conficcando la lancia elettrica nel cuore. Talia cadde, gli occhi chiusi, mentre tutto esplodeva.

Hermione guardava la città da dove si trovava. C'era un bel venticello mattutino che le scompigliava i capelli e le accarezzava il volto. Sentì poi una presenza accanto a lei, ma non si voltò. Sapeva già chi era e non si stupì quando le prese la mano e la portò alle labbra, lasciandole un dolce bacio. Sorrise al rosso accanto a lei. Aveva chiarito con Draco: non erano fatti l'uni per l'altra. Lei amava Ron e nessun'altro. Ron le sorrise timido:-Anche oggi è andata.
-Un altro giorno- confermò Hermione osservando il cielo grigio. Non si aveva notizie di Talia da quando le forze del Caos si erano ritirate. Percy era andato subito a cercarla, ma per adesso non si sapeva ancora niente. Hermione sperava che la ragazza venisse trovata, possibilmente viva.
-Ron- lo chiamò la ragazza preoccupata, rigirandosi la bacchetta spezzata di uno della casa dei Griffondoro tra le mani- Torneremo mai a casa?
-Certo, Herm!- esclamò il rosso prendendo per mano la ragazza, che si voltò verso di lui e sorrise, un sorriso timido- Ne sono più che sicuro.
Hermione annuì, abbracciando il ragazzo, il quale la strinse a se, sperando che nessuno interrompesse quel momento magico. Ovviamente, le preghiere del rosso non furono esaurite: Harry li fece sobbalzare, quando entrò sull'attico. Il moro s'avvicinò ai due amici, circondando entrambi con le braccia:-Tutto okay?
-Se per okay intendi vivi, sì- ribettè Ron sorridendo all'amico, mentre Hermione rideva di gusto. Harry scosse la testa:-Percy ha trovato Talia. Will si sta occupando di lei.
-Ottimo- rispose la bruna, felice. Harry abbracciò entrambi, per poi guardarli negli occhi e dire:-Voglio essere sincero, con voi ragazzi. Non sta andando bene. Percy è sempre più debole a causa dell'...
-Acqua dello Stige che vi ha legato- finì la ragazza- Per non contare il fatto che usa sempre il dominio del sangue e l'arma del padre, che lo indeboliscono sempre di più.
-Hermione, devi trovare una cura- affermò Harry mentre posava entrambe le mani sulle spalle della ragazza- Devi trovare una cura che possa permettere ad entrambi di vivere.
-Non esiste- borbottó la ragazza- L'abbiamo già cercata.
Harry scosse la testa:-Ci deve essere un modo, un modo per mettere fine a questa dannata maledizione. Io... io...
Hermione scosse la testa, mentre l'amico sbuffava. Ron era lì, ma non fiatava. Hermione abbracció il moro, chiedendogli scusa. Harry ricambió il gesto, chiedendo perdono per essere stato cosí insistente. Ron si diresse verso i due amici, catturandoli in un abbraccio. Era ció di cui tutti e tre avevano bisogno.
-Abbraccio di gruppo- dichiaró il rosso, sorridendo, mentre gli altri due ridevano. Se c'era qualcosa che potevano superare, era proprio quella guerra, quella guerra che sembrava infinita. Poi fu tutto troppo veloce per poterlo comprendere. Due voci, un unico urlo che squarció il cielo. Harry cadde a terra, mentre si teneva il cuore e cosí, poco distante, Percy. Entrambi alzarono lo sguardo al cielo e videro la nebbia nera cadere poco distante da loro. Il mostro era arrivato.

 

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Capitolo 56
*** INSIEME O NIENTE ***


INSIEME O NIENTE


Nessuno lo notò, finchè non entrò in città. Percy e Harry erano in prima fila e lo stavano aspettando. Sadie fece esplodere la sua gomma da masticare, creando ancora più tensione. Sembrava di essere in un vecchio film western: i due avversarsi opposti, uno di fronte all'altro. La mantella nera gli arrivava ai piedi nudi, la testa era pelata e il naso serpentino li faceva rabbrividire tutti. Si poteva essere più brutti? Gli occhi rossi come il sangue li scrutavano tutti, uno per uno e sembrava che li potessero leggere dentro, capendo le loro paure, facendole sembrare reali. Rise. Una risata agghiacciante, che rimbombó in tutta la città, vuota e silenziosa. Harry guardó la McGrannit, poi Percy, che stringeva con forza i pugni, conficcandosi le unghie nei palmi delle mani. Quel ragazzo lo preoccupava ogni volta di piú. Afferró la mano di Ginny, accanto a lui, che lo incoraggió con lo sguardo determinato che la contraddistingueva dalle altre ragazze ad Hogwarts. Harry sentivail cuore battere forte. Aveva paura, parecchi paura. Si sentiva debole. Davanti a lui, si sentiva debole. Le forze sembravano mancargli quando lo fissava negli occhi. Si trattenne dall'urlare, ma strinse la mano di Ginny con prepotenza facendola sussultare. Si fermó poco distante, Voldemort, sorrise con cattiveria e prese la sua bacchetta da dentro la manica della tunica. Harry fece per prendere la sua, ma fu bloccato da Percy, che lo guardava serio. Il grifondoro vedeva le mani del semidio tremare, ma non disse niente. Lo sguardo del semidio era sul nemico, che gli puntava la bacchetta contro, abbassandola poi sino a procurarsi un profondo taglio sull'avambraccio. Fece cadere il liquido rossastro sull'asfalto, il quale brució, disintegrandosi.
-Siete ancora in tempo per schiaravi dalla giusta parte, piccoli eroi- disse Voldemort con una voce che non era la sua- In caso contrario, brucerete e vi disintegrete. Sono qui, per chiedervi, chi tra di voi eroi, volesse cambiare schieramento. State bene attenti, perchè potrebbe essere la vostra unica possibilità di essere salvati e vivere in un nuovo mondo di cui voi sarete padroni.
-Taci- sbottó Percy con rabbia facendo un passo avanti- Nessuno passerà dalla tua parte. Nonostante la nostra inferiorità numerica, noi abbiamo qualcosa per cui combattere, qualcosa che ci dà la forza per continuare. Adesso sparisci, Voldemort, Caos o come diavolo i chiami.
-Sempre presuntuos, Jackson?- domandò il mago inclinando la testa di lato. Percy ringhiò, pronto ad attaccare. Voldemort sorrise e gaurdò il resto dei ragazzi, sorrise ancora e scomparve in una nuvola nera, dall'odore di sangue e cadarveri. Percy strinse i pugni, guardando con rabbia il punto in cui, solo poco tempo prima, vi era Voldemort, o Caos, che si volesse. Harry lo guardò preccupato. Sapeva che Voldemort li aveva studiati. Il cambio di schieramento era solo una pretesa per osservarli, analizzarli, capire dove andare a colpire. Il collegamento che aveva con Percy, gli permise di sentire quella rabbia che il ragazzo teneva dentro e che, in fondo al cuore, teneva anche lui. Annabeth s'avvicinò al semidio, ancora fermo con i pugni serrati:-Andiamo via, Percy. Dobbiamo pensare a rimetterci in sesto prima della sera.
Il figlio di poseidone annuì soltanto, rimanendo zitto. Si voltò, prese un respiro profondo e ordinò:-Clarisse, prendi i ragazzi che ti servono e fai la ronda. Nessun mostro deve essere vivo. Travis e Connor, abbiamo bisogno di un rifornimento di medicinali. Andate nelle farmacie e prendete quello che vi dicono i ragazzi della casa di Apollo. Mi raccomando, lasciate comunque qualcosa nelle casse, per favore. I capo-cabina e i vari rappresentanti, sull'Olimpo, dobbiamo fare una riunione di emergenza.
La gente iniziò a disperdersi. Clarisse radunò una manciata di ragazzi e iniziò ad ispezzionare la città. Travis e Connor si fecero dare la lista delle cose da prendere e si diressero alla farmacia più vicina, mentre i capo-cabina seguivano Percy sull'Olimpo. L'aria era fredda lassù e le torce erano tutte spente. C'era buio, un buio che nessuno si sarebbe aspettato di vedere, non sull'Olimpo. Con Leo in capo al gruppo che faceva luce, stile torcia umana, giunsero nella Sala del Trono. S'accomodarono per terra, con le gambe incrociate e in cerchio. Un brusio si sollevò nell'aria, causando troppa confusione. Il focolare di Estia era spento. Qualcosa vi risplendeva accanto. Era piccolo, come un vaso per le ceneri, ma Percy sapeva benissimo cos'era. Prese il piccolo vaso tra le mani e lo guardò con nostalgia. Era caldo. La speranza era ancora lì dentro.
-Il vaso di Pandora- sussultò Annabeth. Percy si sedette accanto a lei, con il vaso in mezzo alle gambe incrociate:-La speranza è ancora qui. Gli Dei credono in noi.
-E se fosse un'illusione del Caos?- chiese Hazel timorosa, guardando il figlio di Poseidone, il quale scosse la testa, in segno di negazione. Non era un'illusione, ne era sicuro. Sentiva il calore della speranza avvolgerlo, mentre teneva il vaso tra le gambe.
-Se è davvero il Vaso di Pandora, e credo che lo sia, dovremmo nasconderlo- suggerì Magnus Chase, il cugino di Annabeth- Solo per non correre rischi.
-Lo terrò io- sussurrò il figlio di Poseidone- Sino alla fine di questa dannata guerra, poi lo ridarò ad Estia, la dea del focolare, l'unica che può prendersene cura. Passiamo però alle cose importanti. Annabeth, vuoi illustrare?
La figlia di Atena annuì, stese la cartina che aveva in mano per terra, afferrò un pennarello e disegnò delle frecce verso l'interno:-Arretriamo e lasciamogli prendere del territorio. Dobbiamo occuparci di difendere l'Olimpo, non tutta Manhatta. Teniamo i ponti e i tunnel più vicini. Potrebbe essere l'unico modo di vittoria. Organizzeremo squadroni misti, più di quanto non lo siano già, per avere la massiama efficacia sul campo. Sull'Olimpo posteremo Peleo, in modo che lo difenda in caso qualcuno vi arrivasse. Qualche domanda?
Diverse mani si alzarono. Annabeth li guardò preoccupata, dando poi la parola a Leo. Il figlio di Efesto masticò la gomma che gli aveva dato Sadie e chiese:-Come pensi di portare Peleo quassù? Non ci sta nell'ascensore, te lo posso assicurare.
-A questo ho già pensato, Leo- rispose la bionda sorridendo. Il figlio di Efesto annuì, continuando a masticare la sua gomma.
-Gli squadroni come saranno organizzati?- domandò Talia con le labbra ancora blu. Aveva passato troppo tempo nell'acqua gelida del fiume Hudson, dopo lo scontro con il Kraken. Era ancora debole, ma aveva insistito per partecipare alla riunione.
-Non lo so- rispose Annabeth- Pensavo di sorteggiare o cose del genere, qualcosa di semplice, in modo da non perdere tempo.
-Per il 21 giugno...- iniziò Piper timorosa- Cosa... come...Sì, insomma...Cosa faremo?
Il volto dei cinque Jackson si rabbuiò subito. Avevano pensato a qualcosa, ma non era perfetto. Mancavano un sacco di dettagli, forse anche troppi. Tutto ciò che avevano erano: delle armi originali, una magia che solo Ziah comprendeva e il loro sangue di Jackson.
-Non lo so- rispose prontamente Annabeth aiutando i cinque ragazzi- Per ora facciamo come ci siamo detti. Informate tutti, mi raccomando. La riunione è conclusa.

Era entrato dalla finestra, mentre lei era sul letto a leggere un libro. La spalla era fasciata e, con lei, tutto l'addome. Già, si era procurata una bella ferita. Qualche volta passava una figlia di Apollo per assicurarsi che stesse bene e per cambiare il cerotto e le bende. Lui però non doveva essere lì. Una spada di ghiaccio si formó tra le sue mani e la puntó contro il ragazzo, il quale, con un tonfo sordo, cadde ai piedi del letto, in ginocchio e con la testa china. Valentina aggrottò le sopracciglia, aspettandosi di tutto, tranne quello. Credeva che fosse venuto lì per darle il colpo di grazia, ucciderla, ora che era debole.
-Uccidimi- mormoró lui coprendosi il volto con il cappuccio della mantella nera che indossava, stando attento a non incrociare lo sguardo della ragazza- Ti prego.
-Dovrei concederti la morte?- chiese lei scettica, osservando il semidio, il figlio di Helios, per terra, in ginocchio, mentre le chiedeva di morire. Sebastian non rispose. Vale lo guardava con i suoi occhi color ghiaccio e le sembrava di morire mentre lo osservava. Non aveva mai pensato che si potesse soffrire solo osservando la persona amata chiedere di morire. Sentiva la voglia di vomitare, buttare fuori tutta quell'ansia, quel timore che aveva. Sebastian aveva le lacrime agli occhi. La figlia di Chione s'alzó dal letto su cui era sdraiata e gattonó sino al punto in cui si trovava il biondo.
-Perchè mi stai chiedendo di morire?- chiese la ragazza prendendo le mani di lui tra le sue. Sebastian alzó lo sguardo scuro, mostrando le profonde occhiaie sotto gli occhi, segno che anche lui stava male:-Sono un mostro.
-No, non lo sei- ribattè la ragazza in un sussurro che solo lui sentí, cercando di indrociare i suoi occhi con quelli del ragazzo, che aveva abbassato lo sguardo, evitando accuratamente ogni contatto visivo con lei- Non sei ció che dici.
-Ti ho quasi ucciso, Vale- protestó lui- Solo perchè me l'ha detto lui. Credevo che l'amore fosse tutta una bugia, un qualcosa di inutile, poi sei arrivata tu, mi hai mostrato che ció che credevo inutile, serve per andare avanti. Nonostante tu mi abbia insegnato ció, io ti ho quasi ucciso. Se non sono un mostro io, non so proprio cosa sia tale.
-È il quasi, che fa la differenza- disse la ragazza mentre gli accarezzava il volto abbronzato- Io so che se avessi voluto uccidermi l'avresti già fatto. Tu mi hai protetta, Seb, a modo tuo. Non ti daró in pasto alla Morte, non così giovane, non senza una ragione vera, perchè questa è solo bugia.
-Perchè ti ostini a volermi bene?- chiese il ragazzo osservando la giovane negli occhi. Vale sorrise teneramente, asciugandogli le lacrime che gli rigavano il volto:-Non si può smettere di amare le persone da un giorno all'altro, Seb. E amare significa perdonare. Ed io ti amo Seb, anche dopo tutto ciò che è successo.
E fu un attimo. Sebastian si ritrovò a baciare le labbra calde della ragazza. Era una cosa nuova per lui. Aveva amato la ragazza in silenzio, distruggendosi ogni giorno, cercando di decidere se seguire o meno quello che provava. Aveva commesso degli sbagli, su questo non c'erano dubbi, ma sperava di rimediare, per lei. Affondò le mani tra i capelli bianchi della ragazza, confermandone la morbidezza. Se c'era qualcuno per cui voleva lottare era lei. Solo per lei, per il suo sorriso. Valentina sorrise, mentre appoggiava la fronte contro quella del biondo. S'alzò e lo prese per mano, aiutandolo ad alzarsi, trascinandolo sino al letto matrimoniale della stanza. Scostò le coperte, mettendosi sotto il lenzuolo bianco, facendo segno al ragazzo di seguirla. Sebastian si sdraiò accanto alla ragazza, che si accoccolò al suo petto. Ne fu sorpreso, non si aspettava un perdono così veloce, anzi, credeva che la ragazza l'avrebbe condannato a morte, consegnato a Percy Jackson per essere giustiziato. Era stato uno stupido a pensare ciò di Vale, un vero idiota. Le accarezzò capelli chiari che le cadevano sulle spalle e scendevano sino a metà schiena.
-Vale- la chiamò lui osservando la parete opposta, colorrata di bianco e oro- Sei sicura che...
-Stai zitto Seb- protestò la ragazza abbracciandolo- Stai zitto e goditi il momento. Davvero, devi pensare a goderti il momento.
-Ma...- protestò il ragazzo, non facendo in tempo a finire la frase perchè la ragazza lo stava congelando con lo sguardo- Sto zitto, ho capito.
-Bravo- esclamò la giovane sorridendo appena- Vedi che impari in fretta. Adesso, spegni la luce e dormi, per favore.
Sebastian allungò la mano e spense la luce, sentendo poi la ragazza girarsi dal lato opposto della finestra. Si distese, allungò le braccia, abbracciando la giova, attirandola verso di sé, facendo scontrare la schiena della giovane con il suo petto. Posò le labbra tra i capelli della ragazza, sentendola sorridere un poco. Valentina si girò, affondando il volto nel petto del ragazzo. Afferrò la maglietta con entrambe le mani e sussurrò:-Non andartene mai più, promettimelo.
-Non me ne andrò più, ghiacciolo- ribattè lui abbracciandola dalla vita- Te lo giuro sullo Stige e che Zeus mi fulmini se non mantengo tale promessa.
La figlia di Chione sorrise:-Adesso non puoi più tornare indietro, quindi preparati, perchè non ti libererai più di me, biondino.
-Direi che mi va più che bene- commentò, chiudendo poi gli occhi e addormentandosi con la ragazza, che era già entrata nel mondo dei sogni. Adesso, nessuno li avrebbe più divisi.

Anne guardò il cielo diventare scuro, mentre comparivano le prime stelle e la luna piena. Era da giorni che non vedeva un cielo così bello. Sentì degli ululati, dei ringhi e poco altro. Strinse la lancia, poi guardò Brooke e si chiese perchè, perchè loro, perchè la guerra. Doveva ammettere, però, che se non vi fosse stata questa guerra, loro due non si sarebbero mai incontrate e non avrebbero mai scoperto l'amore che provavano l'una per l'altra. Alzò lo sguardo, vedendo la sua migliore amica, Kya, dire qualcosa agli arceri, i quali annuivano fiduciosi. Si sentirono altri uluati, ringhi e le ruote di un carro e gli zoccoli di cavallo che pestavano l'asfalto. Anne si mise in posiziò d'attacco, ispirando, osservano che nell'aria vi era odore di cane bagnato e sangue marcio. Aveva capito cosa li aspettava, anche se volava sperare che fosse tutto opera della sua fantasia. Anche Brooke era in allerta. Lo aveva percepito anche lei l'odore nauseante che infestava quella strada.
-Arcieri!- gridò la figlia di Ishtar dalla strada raggiungendo le due ragazze- Mirare! Fuoco!
Una pioggia di frecce cadde sui nemici, non uccidendoli, ma permettendo al resto della squadra di attaccare, quando Anne diede l'ordine. Brooke si lanciò all'attacco, con rabbia e ferocia, lasciando il resto indietro. Veniva attaccata da ogni lato, ma riusciva a bloccare gli attacchi, o almeno ci provava. Anne sbuffò, maledicendo la ragazza per la sua eccessiva intraprendenza, lanciandosi poi nella mischia. Si mise schiena contro schiena con la ragazza dai capelli violetti, traffiggendo i lupi mannari da parte a parte, mentre la ragazza tagliava loro la testa e cavava loro gli occhi. Alzò lo scudo, quando vide gli artigli di uno di loro cercare di ucciderle. Sentiva l'adrenalina scorrere come un fiume in piena. La ragazza con i capelli verdi si guardò intorno, cercando con lo sguardo una chioma viola, trovandola molto distante da lei. Ringhiò e si lanciò verso di lei. Sapeva cosa stava facendo: stava cercando l'alfa, mentre dava le anime dei mostri in pasto alla luce della Luna, più intensa che mai, quella sera. Il cuore le batteva forte, mentre si faceva largo tra le creature della notte, saltando e correndo cercando di arrivare alla ragazza, schivando spade e frecce, pronte ad ucciderla. I polmoni bruciavano. Sentì un grido, quasi un lamento, un verso strozzato e un tonfo. Guardò la ragazza dai capelli viola, caduta a terra, con la schiena appoggiata al muro, tremante e piena di graffi sulle braccia. Anne corse più forte, mentre il lupo mannarro alfa prendeva per la gola la figlia di Selene, sbattendola contro il muro, conficcandole gli artigli nella pelle, facendola urlare dal dolore. La figlia di Assur, prese il coltello che aveva alla cintura, dandosi la spinta con i piedi e saltando, atterrando sulle spalle della creatura, tagliandogli la testa e cavandogli gli occhi con una mossa rapida, mentre il suo corpo cadeva all'indietro. Brooke cadde a terra con un tono sordo. Il sangue le usciva dal collo e sembrava non avere intenzione di smettere. Anne s'accovacciò accanto a lei, mentre la battaglia continuava alle sue spalle. Brooke alungò la mano, accarezzando il volto della giovane, che aveva iniziato a piangere.
-Non devi piangere- sussurrò la figlia di Selene- Staremo sempre insieme, ricordi? L'avevamo promesso, perciò non disperarti okay?
-Brooke- sussurrò la figlia di Assur mentre la ragazza cadeva in quel sonno da cui sapevano non si sarebbe più risvegliata- Ti amo.
La ragazza sorrise, chiudendo gli occhi per sempre. Anne strinse il corpo della ragazza, sporcandosi di sangue. Sentiva un forte dolore dentro di sé, come se le avessero conficcato una lancia nel cuore. E questo dolore era misto alla rabbia, che cresceva sempre di piú mentre osservava il corpo della figlia di Selene steso a terra con il collo insanguinato come non mai. Afferró la lancia e corse verso la biga nera da cui Zoey Nightshade osservava la guerra. Si lanció su di lei con rabbia. Scagliando l'arma contro la figlia di Marduk, la quale la schivó prontamente, scansandosi di lato. Iniziò così una battaglia tra le due ragazze, una volta amiche. Anne era arrabbiava e voleva vendetta, perchè solo la morte della nemica avrebbe potuto farla sentire meglio. Fu cosí, che accecata da desiderio di vendetta, si lanció su di essa. La figlia di Marduk era calma e si difendeva bene, mentre Anne faticava a rispondere agli attacchi. Piú volte sentì la lama fredda dei coltelli ferirle il corpo, ma non si fermó, animata dallo spirito di vendetta. Fu un attimo, in cui vide il cielo stellato per l'ultima volta. Cadde a terra, con un buco all'altezza dello stomaco, dal quale scorgava sangue color cremesi. Singhiozzó, o almeno ci provó, m ne uscí un verso strozzato, simile ad un lamento. Non vide piú niente e il buio la circondó. Kya, poco distante, urló, nel vedere l'amica cadere a terra, morta. Guardó quella che era la sua nemica con rabbia, avventandosi su di lei con la katana pronta a fare vittime. La sua spada incroció quella dell'altra, creando uno scontro senza esclusione di colpi, in cui nessuna delle due sembrava darsi per vinta. Non si dicevano niente, perchè entrambe sapevano che l'altra non avrebbe cambiato schieramento. I colpi della katana difficilmente andavano a segno, ma questo sembrava non preoccupare la sua proprietaria, che continuava a combattere con furia. Zoey era spaventata, ma continuava a rispondere agli attacchi dell'avversaria. La figlia di Marduk colpí la giovane in volto, ferendole la guancia, ma all'altra non sembró importare. Le saltó dietro e, nel mentre, le conficcò la spada giapponese nel petto. La vita della figlia di Marduk era finita. La figlia di Ishtar si voltó e tolse la spada dal petto della ragazza, mentre il sangue macchiava la maglietta della giovane. La figlia di Marduk cadde a terra, nel bel mezzo del campo di battaglia, con un tonfo sordo, gli occhi spalancati, le pupille dilatate e un rivolo di sangue che scendeva al lato della bocca. Tutto si fermò. I vampiri ringhiarono e i vampiri ulularono, per poi sparire nella notte, senza più un capo a cui fare riferimento. La schivarono, mentre correvano via, verso una meta che alla figlia di Ishtar non era ancora chiara e forse non le importava veramente saperlo. I cadaveri dei morti, sia amici che nemici, infestavano la strada. Kya cadde vicino ad uno, abbracciandolo e piangendovi sopra.

Carter e Sadie erano a pezzi, sentivano le ossa a pezzi dopo lo scontro. Combattere contro una delle parti di Apophis, che a sua volta era una parte del Caos, non era stata una grande genialata. Impossesatosi di Cassie, che, per proteggere Sadie, si era messa tra lo spirito malvagio e la ragazza, facendo sì che la parte di Apophis, che Cleo aveva chiamato "il lato tartarugoso", entrasse a far parte della ragazza, Occhio di Bast. I due fratelli non volavano fare del male alla loro amica, ma presto si erano ritrovati a rispondere ai suoi continui attacchi di magia nera, magia pericolosa, che aveva distrutto metà dei palazzi della strada dove si trovavano. Ovviamente non era solo lo spirito: aveva portato l'allegra brigata che aveva messo in difficoltà i giovani maghi della Casa della Vita. I fratelli Kane si erano concentrati sulla loro amica, che sembrava soffrire dentro, a causa della presenza malvagia. Non potevano contare su Jaz e i suoi poteri curatori perchè era ad occuparsi dei feriti. Non potevano contare su Ziah, che era da altra parte, con Cameron o Jean, non lo sapevano. Tutti gli altri erano impegnati a respingere l'ondata di nemici. Cassie li attaccava con la magia, magia di cui neanche Sadie conosceva l'esistenza. Carter provava a respingere la magia della ragazza con le proprie armi, ma sembrava tutto inutile. Era inutile. La magia del Caos era forte, molto forte, e loro sembravano delle nullità di fronte a quella magia. Uno scudo di energia le comparve davanti, proteggendola. Sadie si guardò alle spalle, Soledad con le braccia tese, cercando di proteggerla come poteva, mentre con un piede spingeva via uno degli spiriti maligni che giravano per la zona. Sadie la ringraziò con lo sguardo, sfiorando l'anello che aveva nella mano sinistra, fecendo comparire il bastone che si portava dietro da Lisbona. Lo piantò al terreno, tenendolo inchiodatato ad esso con tutta la forza che aveva. Iniziò a cantare, neppure lei sapeva cosa, ma sapeva che doveva cantare ciò che il bastone diceva, perchè lui era la più grande fonte di incantesimi egizi mai esistita. Era come un libro, a cui solo lei poteva accedere. Le gambe le tremavano mentre svolgeva il rituale. La terra crepò dove il bastone appoggiava  e luce azzurra e bianca illuminava la ragazza. C'era una voce nella sua testa, un sussurro, che non riuscì a sentire, troppo distante e troppo concentrata per distrarsi. Cassie per un attimo ritornò normale, il tempo di dire qualcosa, qualcosa che Sadie identificò solo dopo che ella l'ebbe ripetuto più volte. Le orecchie dell'Occhio di Iside erano tappate, come se vi fosse stata un'esplosione a cinque metri da lei e le avesse danneggiato l'orecchie. Morte, chiedeva Cassie, prima che lo spirito s'impossessa di nuovo di lei e iniziasse a fare vittime. Carter provò a fermarla, mentre con lo sguardo chiedeva aiuto alla sorella, ancora tremante e priva di forze. Sadie s'alzò, senza energia, con l'aiuto del bastone d'oro, che scomparve poco dopo, ritornando un semplice anello. Camminò a passo lento verso il fratello, mentre la gamba destra e il cervello facevano male. Raccolse una lancia da uno dei caduti, chiudendogli gli occhi prima di andarsene. Aumentò il passo, e raggiunse in fretta i due, che combattevano con grinta. Carter era in difficoltà, ma sembrava non volersi arrendere. Sadie strinse i denti, mettendo la lancia tra le due spade. Gli occhi di Cassie erano su di lei e riversavano odio e Sadie sentiva le forze venire a meno ogni secondo che passava. Era come se le stesse rubando la forza. Carter si mise davanti a lei, respingendo la lama dell'Occhio di Bast. Il fratello la spinse via, dando vita all'ennesimo combattimento con la ragazza. Sadie guardó preoccupata la situazione. Non lo voleva fare, ma ne sentiva il dovere. Era l'unico modo per liberarla e distruggere il male che si era impossrssato di lei. Afferró la prima cosa tagliente che le capitó sotto gli occhi: una scheggia di vetro, dalla punta affilata. S'alzó e prese la rincorsa, mettendosi tra il fratello e la ragazza posseduta e, con forza, piantó la lama improvvisata nello stomaco della giovane. Giró la scheggia di vetro e Cassie sussultó dal dolore. Sadie, intanto, piangeva e indietreggiava, mentre il sangue dell'amica le sgocciolava dalle mani. Cassie cadde a terra, mentre una nuvola nera si distruggeva davanti ai loro occhi. Carter s'avvicinó alla ragazza, prendendole le mani e rassicurandola, in una qualche maniera. Quando Cassie rilasciò l'aria per l'ultima volta, Sadie scoppió in lacrime. Carter abbracció la sorella, mentre lei s'aggrappava alla sua T-shirt chiara.
-Hai dovuto farlo Sadie- sussurrò il fratello, mentre afferrava la ragazza per le spalle e la guardava negli occhi, cercando di rassicurarla in una qualche maniera.
-Io...io...- balbettó lei. Carter l'abbracció, chiedendo poi a Soledad di riportarla all'Empire State Building con il cadavere di Cassie, il quale avrebbe avuto degna sepoltura. Soledad sparí in un vortice di sabbia rossa e Carter lo guardó scomparire, mentre la preoccupazione per la sorella aumentava sempre di più. Voleva proteggerla, ma non sapeva come fare, non con la guerra in corso. Pensó a Cassie, morta per salvare loro, morta perchè il Caos si era impadronito di lei. Le ultime parole della ragazza, un sussurro che si era perso nel vento, erano state una richiesta: rimanere sempre insieme, permettere a tutti di incontrarsi, interagire, senza più segreti, perchè era stata la loro debolezza. Carter avrebbe mantenuto quella promessa.

Angolo Autrice
Cosa ne dite? Troppe morti? (Prendetevela con il mio compagno di classe fanboy) Devo ammettere che all'inizio avevo pensato di far mettere insieme Anne e Jacob, poi mi sono detta che Anne era meglio omosessuale, anche se in realtà è bisex. Brooke e Anne mi sembrava una coppia che funzionava, anche se adesso sono entrambe morte. Zoey è morta *ride*. Mi è piaciuto come personaggio, anche per il suo carattere complesso e oscuro che si nasconde sotto il volto di una brava ragazza. Cassie é stata coraggiosa, non c'è che dire. Sadie avrà delle ripercussioni? Ovvio che sí. Il vaso di Pandora sarà importante, quindi memorizzatelo. Ormai siamo agli sgoccioli. Stimo altri sei capitoli ( epilogo compreso )e poi abbiamo finito. Pensavo di fare degli One-Shot o degli Spin-Off su questa FF, ma non ne sono ancora sicura, anche perchè mi piacerebbe dedicarmi anche ad altri progetti. E... niente.
Byebye.

 

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Capitolo 57
*** TENTARE E SPERARE ***


TENTARE E SPERARE


Percy camminava serio lungo le vie di New York. Il Sole era in alto nel cielo ed illuminava ciò che poteva, nonostante le grandi nuvole che a volte gli passavano sopra, creando una sensazione di disagio al figlio di Poseidone. Le pire si erano spente prima di mezzogiorno e si stavano riposando tutti, in una qualche maniera. C'era chi lucidava le armi, chi mangiva e beveva, chi dormiva e chi passava i momenti liberi con la persona che amava o con i fratelli, oppure ideava nuove strategie di battaglia. Quel giorno era stata una sconfitta, nonostante avessero respinto l'attacco nemico. Tutti avevano perso qualcosa, quel giorno. Era un giorno da dimenticare e presto lo sarebbe stato anche quello. Il 20 giugno era quello che avrebbe segnato molti e il destino del mondo. Era tutto un "se", un "se" che racchiudeva sia speranza che distruzione, un "se" che poteva decidere tutto. Percy passeggiava, calciando anche qualche sasso poco lontano da lui. Sentiva le mani, dentro le tasche, tremare, mentre si rigirava Vortice in versione penna. Quando si sentì toccare la spalla, sobbalzò e afferrò la spada, scappucciandola e puntandola alla gola di chi l'aveva disturbato. Appena vide gli occhi grigi, abbassò la lama bronzea, rimettendole il cappuccio e mettendola in tasca. Annabeth sorrise, prendendo la mano del moro e intrecciando le loro dita. Percy sorrise nel vedere la ragazza, sempre più bella ai suoi occhi. Aveva sempre più bisogno di lei, come l'uomo ha bisogno di ossigeno e lei era il suo ossigeno, un qualcosa che non gli potevi togliere. Necessitava di lei, ogni secondo di più, perchè, alla fine, era la figlia di Atena che lo teneva in quel mondo fatto di guerra. Sapeva che, in parte, anche lei avrebbe voluto scappare da quello che era il loro mondo, ma non lo faceva, per il semplice fatto quel mondo era parte di lei, come era anche parte di lui. Per tutti è difficile allontanarsi dalla propria casa e per loro lo era particolarmente. Annabeth lo guardò preoccupata:-Tutto okay, Testa d'Alghe?
Percy si riscosse dai suoi pensieri, incrociando per l'ennesima volta gli occhi grigi della ragazza, preoccupati come non mai:-Sì, tutto okay Sapientona.
-Sicuro?- domandò lei, accarezzandogli la guancia, mentre lui annuiva, per poi alzarsi sulle punte dei piedi e dargli un dolce bacio sulle labbra. Il figlio di Poseidone pertò le mani sui fianchi della ragazza, mentre lei intrecciava le mani tra i suoi capelli neri.
-Adesso sto ancora meglio- borbottò il ragazzo, facendo incontrare le loro fronti, mentre i loro respiri si fondevano- Andiamo a fare un giro?
-Sei sicuro di non voler riposare?- chiese la giovane, mentre lui le passava un braccio intorno alle spalle- Oggi è la grande notte, Percy. Dovresti davvero riposare.
-Voglio stare con te, Sapientona- commentò il figlio di Poseidone guardo la ragazza negli occhi, come se volesse fare capire che, al momento, c'era solo lei, nessuna guerra, nessun esercito da incoraggiare, solo lei- Sei l'unica cosa di cui ho bisogno.
-E passeggiata sia, allora!- esclamò la ragazza, intrecciando le mani a quelle del ragazzo, per poi iniziare a camminare fianco a fianco, per la città. Il silenzio reganva tra i due ragazzi, ma stavano bene anche così, perchè, a volte, il silenzio vale più di mille parole, parole che si sarebbero perse nel vento, mentre il silenzio che avevano costruito insieme, fatto di sguardi, parole che leggevano senza doverle anche ascoltare, sarebbe rimasto. Non c'era bisogno di creare rumore in un'armonia perfetta. Il braccio del ragazzo copriva le spalle della ragazza, facendola sentire protetta, come se avesse uno scudo sulla schiena. A loro bastava, bastavano quei piccoli momenti in cui stavano in compagni l'uno dell'altra, senza timore. Fu Percy ad interrompere il silenzio, proponendo alla giovane di salire sul tetto di un palazzo. Salirono sul palazzo, sino in cima, e da lì si vedeva gran parte della città. Certo, era una città segnata, rovinata, al momento, ma era pur sempre bellissima. Era la loro città. Si appoggiarono al parapetto, osservando il Sole proiettare ombre sulle strade di New York. Percy posò la mano su quella della ragazza, attirando la sua attenzione. Percy sorrise e, per un attimo, ad Annabeth sembrò di vedere il ragazzino che era stato e era ancora, e che, probabilmente, sarebbe rimasto per sempre. Annabeth s'avvicinò al petto del ragazzo, appoggiandovici la testa, continuando a guardare l'orizzonte, mentre le braccia del ragazzo la circondavano, chiudendoli nel loro piccolo mondo felice, dove c'erano solo loro e nessun'altro.
-Hai paura, Percy?- chiese la ragazza non staccando lo sguardo dagli edifici che delineavano l'orizzonte- Intendo, hai paura di quello che potrebbe succedere questa notte?
-Ho paura di perderti, Annabeth- rispose lui, scuotendo le spalle- Potrei sopravvivere a mille apocalissi finchè tu sei al mio fianco.
-Io ho la tua stessa paura- disse in un sussurro la ragazza dopo un attimo di silenzio. Il figlio di Poseidone sorrise, un sorriso tenero, ma furbo:-Non devi temere, Sapientona. Io e te ci ritroveremo sempre, in ogni luogo, in ogni spazio e in ogni tempo. Nessuno ci può dividere, okay?
-Tutto tranne la morte- mormorò la figlia di Atena incrociando gli occhi di Percy. Il corvino scosse la testa:-Neppure la morte. E nel caso le Parche vogliano tenerci lontani... beh, andrò da loro e gli ricorderò chi ha salvato i loro divini sederi.
Annabeth scoppiò a ridere davanti alla faccia seria del ragazzo, quella faccia che non ammetteva repliche e che era dannatamente buffa. La figlia di Atena fermò la sua risata, abbracciando il ragazzo, venendo subito ricambiata. Nonostante la promessa del ragazzo, Annbeth aveva paura, paura che lui potesse lasciarla e che potessero dividersi per sempre. Lei non voleva questo. Non voleva dividersi da lui, per il semplice fatto che, senza di lui, non riusciva a vivere. Al diavolo l'architettura, gli Dei, il mondo... tutto, perchè un mondo senza Percy era un mondo nel quale lei non voleva vivere, un mondo senza senso, senza filo logico.
-Che ne dici se andiamo a mangiarci un hamburger?- propose il ragazzo subito dopo averle posato un bacio sulla tempia. Annabeth annuì, ancora cullata dal piccolo gesto del ragazzo. Stava per dirigersi verso l'uscita, quando il ragazzo la strattonò indietro e la guardò negli occhi:-Qualunque cosa succeda, promettimi che cercherai di salvare il mondo.
-Non può esistere, per me, un mondo senza te, Percy. Senza di te, per me, il mondo è solo una prigione in cui sono costretta a vivere, perchè tu sei il mio mondo- ribattè la ragazza fissando il colore degli occhi del corvino, mentre i suoi minacciavano di far scendere le lacrime- Ma, se questo è il tuo desiderio, ci proverò.
Il figlio di Poseidone sorrise, asciugandole le lacrime che avevano iniziato a solcare il viso della bionda:-Neanche io riesco ad immaginare un mondo senza di te, Sapientona, perchè anche tu sei il mio mondo. Non devi piangere, va bene? E adesso, andiamo a mettere qualcosa sotto i denti, okay?
La condusse sino all'Empire State Building. Entrarono in quella che era diventata una mensa, dove tutti i ragazzi, di solito, mangiavano e stringevano amicizie. Si sedettero ad un tavolo e chiesero ai piatti incantati di servire loro degli cheeseburger. Mangiarono in silenzio finchè Leo non si accomodò sulla panca accanto ad Annabeth, seguito da Jason, Piper, Hazel, Frank, Reyna, Nico e Calypso. Il figlio di Efesto prese una forchetta e iniziò a pigarle il manico:-Allora piccioncini, siamo al capitolo finale, non è vero?
-Potresti essere più delicato, Leo?- lo rimproverò Piper seduta di fronte a lui, guardandolo con uno sguardo truce. Leo fece un sorriso sghembo:-Più delicato di così non posso essere, dolce Pip.
-Leo ha ragione- s'intromise Annabeth- Questo è l'ultimo capitolo. Questa sera...beh, non c'è bisogno che vi dica cosa accadrà.
Il silenzio regnò nella stanza per un poco, sino a quando Nico non scoppiò a ridere. Tutti si guardarono preoccupati. Nico non rideva mai. Anche Jason s'unì alla risata, contagiando, poi, tutto il resto del gruppo. Il figlio di Ade s'asciugò le lacrime di gioia:-Scusate, ho perso un attimo il controllo. In ogni caso, in qualunque modo finisca questa storia, voglio dirvi che è stato un piacere conoscervi, lavorare con voi, creare... tutto ciò, quella che definiamo una famiglia.
-Beh- sussurrò Hazel- Anche per me è stato un piacere. Ne abbiamo affrontate tantissime assieme e, ragazzi, non mi dimenticherò mai di voi.
-Io vi devo ringraziare per tutto quello che avete fatto durante questo anno- sorrise Reyna indicando Percy e Jason- Senza di voi, non vi sarebbe l'unità di adesso.
-Abbiamo ancora tanti progetti, vero Bro?- esclamó Jason porgendo il pugno al moro accanto a lui. Il figlio di Poseidone, peró, continuava a guardare il suo cheeseburger.
-Percy?- lo chiamó Annabeth. Il ragazzo alzó lo sguardo verde:-Eh?
-Tutto okay, Bro?- chiese il figlio di Giove. Percy annuì, alzandosi da tavola e, scusandosi, si diresse all'hotel di fronte. Non gli piacevano gli addii e non voleva continuare ad ascoltare. Tutto poteva andare male quella notte, ogni cosa. Lui non voleva dire addio, non cosí. Voleva sperare. Salì le scale dell'hotel e giunse in camera, togliendosi le scarpe e mettendosi a pancia in su sul letto. Doveva calmarsi e riposarsi, se voleva sopravvivere quella notte.

Ziah aveva appena finito di asciugarsi i capelli e vestirsi, quando Carter entró nella stanza, lanciando la borsa da qualche parte e togliendosi le scarpe da tennis. Il ragazzo si lanciò sul letto, rimbalzando a causa del materasso morbido. L'Occhio di Ra lo guardò male, suscitando, così, le risate del ragazzo mulatto bellamente rilassato. Carter alzò le spalle sorridendo e domandò:-Tutto okay?
-No- rispose secca la ragazza sedendosi sul bordo del letto, sfilandosi l'anello magico, contenente l'arma originale di Ra. Carter sorrise timidamente, passando poi un braccio intorno alle spalle della ragazza, abbracciandola:-Dovresti riposare.
-Non riesco- ribattè Ziah girandosi e guardandolo negli occhi- Non riesco sapendo che questa notte potrebbe essere l'ultima.
Bussarono alla porta e subito dopo comparì Sadie, con un vassoio di muffin in mano, seguita dai ragazzi della Brooklyn House, i quali presero tutti posto nella stanza. Il vassoio venne posato sulla scrivania di legno, insieme ad una cassetta di plastica contenente bottiglie d'acqua. Ziah guardò il gruppo entrato con occhi curiosi, ma allo stesso tempo severo. Voleva stare sola e pensare, pensare a come uscire viva da quella notte.
-Siamo venuti qui per passare del tempo assieme prima della battaglia finale no?- rispose Sadie alla domanda muta di Ziah. Carter battè il cinque alla sorella, la quale sorrideva come se ignorasse il fatto che quelle avrebbero potuto essere le loro ultime ore vive. Sadie mosse le mani, facendo volteggiare i muffin, ricoperti di glassa al cioccolato. Carter ne afferrò due e ne porse uno all'Occhio di Ra, la quale, però, sembrava neanche accorgersi del fatto che i suoi amici, la sua famiglia, fosse lì per sollevarle il morale. Era assorta nei suoi pensieri, pensieri che, da qualche giorno, non facevano altro che tormentarla.
-Andrà tutto bene- commentò Jaz con la sua solita gentilezza che la distingueva da tutti gli altri. Ziah alzò lo sguardo sull'amica, scuotendo la testa:-C'è la possibilità che nessuno dei cinque sopravviva, che il Caos prenda piede e distrugga tutto e voi verrete spazzati via, con il resto dell'umanità.
-Evviva la felicità!- esclamò Sadie girando sulla sedia girevole davanti alla scrivania di legno chiaro. Nella stanza calò il silenzio totale, interrotto dal rumore di Sadie che sgranocchiava i biscotti. Cleo si alzò in piedi e scrollò le spalle:-Qualunque cosa accada, combatteremo. Non possiamo lasciargli prendere il mondo.
-Sono d'accordo con te, ragazza!- esclamò l'Occhio di Iside, mentre deglutiva, mandando giù il biscotto- Non possiamo permettergli di metterci i suoi sudici piedi in testa. Forse in un altro universo, ma non in questo.
-Quello che lo può uccidere è il sangue dei Jackson, Sadie, versato direttamente da loro- commentò Walt posando le mani sulle spalle della ragazza- Però se dobbiamo morire, allora mi va bene provare a fermarlo.
Sadie si voltò espirando forte, cacciando un'occhiataccia al ragazzo dietro di lei:- Devi sempre fare il pessimista? Quale parte di "positività" non vi è chiara?
Walt sorrise nel vedere la ragazza gesticolare velocemente, tanto che faceva fatica a seguire le mani pallide di lei. Si chinò e posò un bacio in mezzo ai capelli biondi, facendo arrossire la ragazza, la quale fermò le mani a mezz'aria, balbettando:-Ti picchio con una ciabatta.
Il gruppo scoppiò a ridere, mentre la bionda diventava sempre di più color pomodoro. Sadie incrociò le braccia al petto, borottando qualcosa. Ziah s'alzò e andò alla finestra dalla quale riusciva a vedere l'Empire State Building. Lo osservò con nostalgia, un po'di tristezza e forse con anche della rabbia. Era lassù che avrebbero sconfitto il Caos, sull'Olimpo, davanti ai troni degli Dei. Non c'era nulla di pronto, nulla di calcolato, solo sperato. Il sangue, il loro sangue, avrebbe posto fine a quella guerra. Lei e gli altri erano portatori di ordine, ma anche di Caos. Come il sangue dei Jackson poteva svegliare il Caos, così esso poteva addormentarlo, senza però mai distruggerlo, perchè, come Annabeth aveva spiegato loro, non si può uccidere qualcosa che regola tutto, perchè se ci fosse troppo Maat, ordine, allora non ci sarebbe vita, così il contrario: l'eccessivo Caos non avrebbe portato la vita. Cameron aveva riassunto il concetto in Yin e Yang. Dovevano solo addormetarlo.
-Ziah?- la chiamò Carter, abbracciandole la vita e posando il mento sulla spalla, non sentendo la risposta della ragazza arrivare- Stai tranquilla, va bene? Andrà tutto bene, te lo prometto.
-Non lo so, Carter- rispose la giovane accarezzandogli i capelli- Se fallissimo sarà stato tutto inutile, tutto questa ricerca e così tutto quello che abbiamo passato.
-Sono certo che ce la farete- ribattè il ragazzo- Ho fiducia negli altri e, in particolar modo, in te.

James entrò di soppiatto nella camera, cercando di fare il meno rumore possibile per evitare che la ragazza si svegliasse. Kya era distesa sul letto, a pancia in giù, mentre abbracciava il cuscino, sul quale aveva posato la testa. Aveva un'espressione rilassata, che James non vedeva da mesi sul volto della ragazza. La bocca era socchiusa e un rivolino sottile di bava le scendeva dall'angolo della bocca. Il figlio di Bau sorrise, stendendosi accanto a lei, passando un braccio intorno alla vita della ragazza, che si voltò dall'altro lato, mugnando qualcosa di incomprensibile. James sorrise ancora di più, mentre osservava la giovane voltarsi verso di lui, con gli occhi semiaperti e lo sbadiglio pronto ad arrivare.
-Buongiorno- borbottò la ragazza strofinandosi gli occhi sotto lo sguardo attento del- Che ore sono?
-Circa le due del pomeriggio- rispose il ragazzo dagli occhi verdi- Hai dormito, sì e no, cinque ore, tanto per la cronaca. Adesso stai meglio?
-No-ribattè la ragazza con i capelli rosa abbassando il volto- Ancora non riesco a credere che Anne sia morta. Io... io... non voglio lasciarla andare.
James abbracciò la ragazza, che aveva iniziato a piangere sul suo petto, come se fosse il cuscino su cui prima dormiva beatamente. Il figlio di Bau strinse a sé la ragazza, cercando di confortarla, ma lei non faceva altro che piangere. James le accarezzó i capelli soffici mentre lei stringeva forte la sua maglietta bianca.
-Anne...- inizió il ragazzo- Era una buona amica. Sarà difficile da dimenticare.
-Io non la voglio dimenticare- sussurró tra i singhiozzi la giovane. James annuí:-Allora non la dimenticheremo, te lo prometto. Scriveremo il suo nome sulle mura della ziggurat, lo giuro.
-A lei sarebbe piaciuto un mazzo di fiori sulla sua tomba- confessó- Nulla di gigantesco, solo quello.
James sorrise timidamente, cercando, nella sua mente, un modo per farla sorridere. Sapeva a quello che la ragazza andava in contro. Quella notte avrebbe decretato la vittoria o la sconfitta, la vita o la morte e, in entrambi i casi, lui avrebbe rischiato di perderla. Avrebbe voluto portarla via, oppure prendere il suo posto. Quanto desiderava vivere come i mortali, senza divinità che vogliono separarti dalla persona che ami ogni qualvolta che ne hanno l'occasione.
-Vado a farmi la doccia- disse la ragazza spostandosi dal ragazzo, ascuigandosi le ultime lacrime, alzando il lenzuolo per uscire e dirigersi verso il bagno annesso alla stanza- Tu riposati.
James alzó le sopracciglia, mentre osservava la giovane scendere dal letto, con la maglietta, che usava come pigiama, mezza alzata che lasciava intravedere la biancheria intima nera della figlia di Ishtar. Le fissó le gambe toniche, desiderandole intorno alla sua vita, mentre erano sdraiati sul letto a fare cose poco concie.
-James?- lo risveglió Kya con lo sguardo preoccupato- Mi stai ascoltando?
Il ragazzo scosse la testa e la figlia di Ishtar seguí lo sguardo verde del castando fino al punto in cui stava guardando. Afferró un cuscino e glielo lanció contro con forza, rossa in faccia, come se le avessero gettato in volto un barattolo di vernice color rosso:-Brutto pervertito che non sei altro!
James si tolse il cuscino dalla faccia, ridendo:-È normale che io faccia pensieri sconci su di te, principessa.
-Va a quel paese, James- ribattè la ragazza mentre si dirigeva verso la porta del bagno con il cambio di vestiti in mano. Sentì le risate del ragazzo giungere a lei, poi un cuscino le colpí la schiena. Si voltó, facendo cadere i vestiti che teneva in mano, guardó in cagnesco in castano, il quale pensó che non era stata una grande idea stuzzicare la ragazza, ma ormai era troppo tardi per tornare indietro. Kya si avventó su di lui, bloccandogli le mani a lato della testa, ringhiandogli in faccia. Il sorriso furbo di lui fece capolino sulle labbra. Approfittó della situazione e capovolse le posizioni, trovandosi così sopra la ragazza dai capelli rosa, la quale aveva smesso di ringhiare come una leonessa ed era diventata color porpora sulle guance. James le bloccó le mani sopra alla testa, impedendole di fuggire, poi si chinó e posò le labbra su quelle della ragazza, che, meccanicamente, rispose al bacio impetuoso del ragazzo, il quale inizió ad accarezzarle i fianchi con la mano libera. Poco a poco, James liberó i polsi della figlia di Ishtar e le mani di lei si catapultarono tra i suoi capelli castani morbidi. Il figlio di Bau infiló le mani sotto la t-shirt della giovane, accarezzandole la pelle liscia. James sapeva che, prima o poi, lei lo avrebbe fermato, l'aveva sempre fatto, ogni volta che lui ci provava. Quella volta, peró, sembrava diverso, perchè non l'aveva ancora fermato. Dentro al corpo della ragazza, invece, c'erano un miliardo di emozioni contrastanti. Il suo corpo era una fornace, all'interno. Ogni sua molecola stava prendendo fuoco e, ogni minuto che passava, quel fuoco che divampava dentro di lei, si faceva sempre piú grande. Le magliette di entrambi ora erano a terra, in un qualche luogo indefinito della stanza di quell'hotel di New York. James baciava ogni lembo di pelle della ragazza, a partire dal collo sino al basso ventre, fin dove il bordo della biancheria gli permetteva. Non si erano mai spinti oltre il bacio ed era nuovo per entrambi, tutto ció. Certo, Kya sapeva che James non era esattamente una persona dai pensieri casti, ma era nuovo anche per lui. La stanza odorva di sudore, adesso, ed era riempita dai gemiti della ragazza. Tra i due corpi non c'era piú distinzione: uno completava l'altro. I respiri dei due semidei erano un solo respiro affannato e i loro cuori sembravano avere lo stesso ritmo. Il silenzio tornó a regnare nella stanza dell'hotel. Kya e James erano stesi uno accanto all'altro, sotto le coperte, mentre le loro pelli nude si toccavano. James accarezzava i capelli rosa della ragazza, che circondavano il suo volto come una aureola colorata, mentre Kya disegnava fugure immaginarie sul suo petto. James s'alzó sui gomiti e guardó negli occhi la ragazza, accarezzandole le guance ancora accaldate:-Sei bellissima, principessa.
La ragazza sorrise timidamente:- Anche tu non sei male, Mr.Muscolo.
-Siamo in vena di complimenti- commentó lui, mentre lei annuiva- Allora ti dico una cosa.
Si sporse avvicinandosi all'orecchio della ragazza, sussurrandole qualcosa che sapevano solo loro. Kya diventó rossa, spostó il ragazzo, scese dal letto e si diresse in bagno, per farsi quella famosa doccia. Mentre sbatteva la porta, insultò il ragazzo, ancora disteso sul letto, che rideva. Mentre rideva, pesava che, senza di lei, non poteva essere felice.

Harry camminava per l'hotel, cercando di fuggire dai suoi pensieri. C'era probabilità di sopravvivere? No e, se c'erano, erano scarse. Pensó che forse doveva calmarsi. Insomma, quante volte gli era capitato di pensare negativamente e poi, in realtà, era andato tutto bene. Ma a chi voleva mentire! Le cose non erano mai andate bene, o almeno, non del tutto. Poteva sperare adesso? Adesso che combattevano contro il Caos? No, non poteva sperare, ma se c'era una cosa che aveva imparato da Percy era non perdere la speranza, ma lui non ci riusciva.
-Hey, Harry- lo chiamó Ron dalla fine del corridoio. Lo raggiunse velocemente, camminando poi affianco a lui, scendendo le scale assieme, uno accanto all'altro, come quando attraversavano i corridoi della scuola di magia e stregoneria di Hogwarts. Dio, quanto gli mancava quel posto intriso di magia! Era stata la sua casa per anni, anni in cui era cresciuto, era maturato ed era diventato un uomo. Gli sarebbe piaciuto raccontare, un giorno, le sue avventure ai suoi figli, partendo da Voldermort sino a quel momento. Voleva raccontare di come aveva girato il globo terrestre, affrontando divinità, mostri e creature maligneche cercavano d'impossessarsi del mondo. Voleva raccontare come erano riusciti a fermare le forze del male, se mai questo fosse accaduto. No, dovevano riuscirci.
-Dovresti smetterla di pensare- disse Ron sempre accanto a lui con le mani in tasca e lo sguardo serio, rivolto verso la fine del corridoio- So che sei preoccupato, anche io lo sono, ma davvero, rilassati.
-Sono molto preoccupato, Ron- ribattè il moro- Potremmo non tornare a casa e il mondo che conosciamo finirebbe. Al momento, non riesco ad essere positivo. Inoltre, i Jackson rischiano pesantamente e ti ricordo che sono gli unici che possono fermarlo.
-Non dimentichiamoci che tu sei collegato con uno di loro- rammentò il rosso abbassando lo sguardo- E quindi rischi anche tu Harry.
-Sarebbe una novità se non fosse così giusto?- chiese una voce femminile dietro di loro. Hermione li raggiunse, mettendo le braccia intorno alle loro spalle. Era più bassa dei due ragazzi, ma per lei non sembrava essere un problema effettivo: si alzava sulle punte dei piedi e spesso si faceva portare in braccio.
-Buongiorno Herm!- la salutò Harry sorridendo, o almeno provandoci- Dormito bene?
-Non è andata male- rispose la ragazza- Madama Chips è passata poco fa a vedere come stavo e mi ha dato delle pastiglie per non so cosa, poi mi ha detto di uscire, per prendere una boccata d'aria e allora sono venuta a cercarvi. Allora? Cosa vi stavate dicendo?
-Niente di particolare- rispose il rosso- Ciò che c'era di importante l'hai sentito.
-Ancora arrabbiato?- domandò la bruna imbronciando lo sguardo, attendendo la risposta del ragazzo, che non arrivò mai a causa di Harry che s'intromise nella conversazione, obbligandoli a stare zitti e a non procedere con quella che sarebbe stata l'ennesima discussione. Dovevano seriamente smetterla i suoi amici. Non potevano discutere ogni tre per due. Erano accadute tante cose sulla Heroes e, per quanto i due ragazzi ci avessero messo una pietra sopra, Harry era convinto che Ron ce l'avesse ancora con Hermione e Draco, per aver trattenuto un quasi relazione segreta. Draco era stata un'ancora per la ragazza, per superare un momento difficile con il rosso, che invece era assente, in quel momento. Era stato naturale abbastanza del resto gli opposti si attraggono in una qualche maniera. Adesso, però era chiaro: Hermione non amava il serpeverde. Il serpeverde aveva trovato una nuova ragazza da amare, ma era ancora sconosciuto a loro il suo nome. Sapevano soltanto che era una ragazza e che aveva i capelli neri, nulla di più.
-Ho voglia di cioccolata, voi?- disse Hermione, girandosi e camminando all'indietro, per osservare i volti dei due migliori amici- So che Ginny, Luna, Draco, Ernie e Neville sono al piano di sotto a mangiare qualcosa. Che ne dite se ci uniamo a loro?
-Direi che è un'ottima idea, Hermione!- esclamò Ron, prendendola sottobraccio e affiancandola- Harry, vieni con noi vero?
-Sì, certo!- esclamò il ragazzo moro, sistemandosi gli occhiali sul naso e sorridendo ai due amici. Insieme, presero l'ascensore, dirigendosi al piano terra e poi alla sala pranzo, dove trovarono i loro amici attorno ad un tavolino da bar, intenti a mangiare qualcosa. Harry prese posto accanto a Ginny, la quale posò la testa sulla sua spalla, inondando le sue narici del suo profumo dolce. Le posò un bacio tra i capelli rossicci e circondò la sua vita con un braccio, mentre con la mano libera prese la tazza colorata che era posata davanti al posto dove era seduta la ragazza. Inspirò l'odore di caffè e cioccolata, bevendone un sorso, mentre l'amaro del caffè si faceva strada nella sua bocca. Draco era di fronte a lui e chiaccherava con Ernie e Neville, mentre sorseggiavano un tè ormai freddo. Il biondo gli sorrise e Harry non potè fare a meno di ricambiare, ammettendo che, per quanto il passato del ragazzo fosse traumatizzante e influente su di lui, era una brava persona che era riuscita ad uscire dall'oscurità che la circondava. Forse avrebbe dovuto capirlo prima, per aiutarlo, ma Draco si era alzato da solo e aveva cambiato direzione, imboccando la strada del bene. Non avrebbe potuto trovare amico migliore, eccetto Ron, ma lui era più un fratello, come Hermione era più una sorella che un'amica. Poi c'era Luna che leggeva un libro. Aveva tagliato i capelli biondi e adesso le arrivavano poco sopra le spalle, ricci come quelli di Ananbeth. Gli occhi brillavano ancora e, la ragazza, non aveva perso la sua aria innocente e da bambina che era sua caratteristica da quando Harry la conosceva. Era assorta nel suo libro, tanto che non si era accorta dell'arrivo del trio. Ginny aveva chiuso gli occhi e si stava addormentando sulla sua spalla, invece. Era carina mentre dormiva.
-Stai comoda?- le chiese il ragazzo accarezzandole il fianco. La rossa annuì, ancora mezza addormentata:-Mi sono bevuta almeno cinque caffè, ma non riesco proprio a rimanere sveglia.
-Veramente ne hai bevuti sette di caffè- precisò Luna non alzando lo sguardo dal suo libro dalla copertina antica- Non ti fa bene tutta questa caffeina, Ginny.
-Questo lo so anche io, Luna- ribattè la Weasley strofinandosi gli occhi con le mani- Ma sembra essere l'unico rimedio per non crollare. In ogni caso, parliamo di altro.
-Tipo?- chiese il fratello mentre assumeva anche lui la sua dose di caffeina- Non abbiamo molto di cui parlare, Ginny, non senza deprimerci.
La stanza piombò nel silenzio totale. Nessuno parlava. Le mani di Harry e Ginny erano unite e sembravano non volersi staccare, ma a loro andava bene così.

Cameron osservava la città dall'alto, senza toccare terra. Era sul tetto dell'hotel e gaurdava la città distrutta. C'era solo della malinconia in quella città che una volta era stata piena di vita. Nonostante fosse cresciuto in una città in mezzo al deserto, Cameron conosceva la città dalle mille luci, quella che non dormiva la notte. A volte, quando era piccolo, saliva sulla grande piramide e gli sembrava di vedere le luci di New York arrivare sino a lì. In quei giorni, invece, sperava che i lampioni funzionassero, solo per permettere a loro di vedere durante le ore notturne. Era una cosa complicata la sua vita. La collana che aveva al collo lo dimostrava. La stella dei Jackson, la stella a cinque punte, gli cadeva sul petto, ricordandogli del peso che portava sulle spalle. Lui era una di quelle punte. Lui era l'aria, l'aria del rinnovo, del cambiamento, ma anche della distruzione. La punta alla sua destra era Kya, la terra,  che porta possibilità di crescere, ma anche lei porta distruzione. E poi, ai lati opposti, Ziah, con il suo elementi caldo, da cui, per secoli, si pensasse fosse origine di vita, cosí come l'acqua, l'elemento di Percy, dalla quale, effettivamente, si era originata la vita. In alto, distante da tutti, vi era Jean, la luce, che poteva essere sia buona che cattiva. La luce poteva essere buia, oscura, ma poteva essere anche luminosa, brillante. Governava tutto, la luce. Si rigiró il medaglione tra le dita, iniziando a giocarci. Era un anti stress.
-Hey nanetto!- lo chiamó una voce femminile. Si voltó e vide Jean, vicino alla porta, i capelli rossi legati in una treccia e gli occhi circondati da un filo di mascara, come se volessero essere ancora piú belli e profondi. Era una bellezza antica e, i suoi occhi, sembravano raccontare il passato, il passato che lei aveva vissuto. La ragazza s'avvicinò, appoggiandosi al muro con i gomiti e guardando anche lei la città sottostante, con occhi tristi.
-Sai- disse Jean iniziando il discorso- Non credevo che avrei rivisto il mondo. Inoltre, credevo che non fosse cambiato più di tanto... invece...
-Ti sei ambientata bene, però- commentò Cameron cercando di sollevarle il morale, senza ottenere nulla però, se non un sorriso da parte della giovane. Jean fece un tenero sorriso rivolto al cugino:-Era meno complicato ai miei tempi, senza Internet o cose simili. Però i vestiti sono molto più comodi. Adoro i jeans e come calzano. Non sai che tortura era per me portare le gonne.
Cameron rise, mentre Jean gesticolava con le mani, cercando di disegnare una gonna a ruota nell'aria. Jean sbuffò divertita come non mai: le piaceva parlare con Cameron. Era un ragazzino molto simpatico, con divertenti orecchie leggermente appuntite, tanto che sembrava un piccolo elfo biondo, con occhi chiari e gli occhiali sul naso. Era forse colui con cui si trovava meglio. Neanche tra i suoi compagni einherjar si trovava così bene.
-A me piacerebbe vivere in un'altra epoca- disse il ragazzo- Penso che mi sarei trovato meglio, per come sono fatto, intendo. A volte credo di non appartenere neanche a questo mondo.
-I semidei non sono sempre guerrieri, Cam- ribattè la ragazza dai capelli rossi appoggiando il mento sui palmi delle mani- C'è bisogno anche di persone intelligenti, anzi, c'è più bisogno di persone che sanno come agire in situazioni difficili che di persone di stampo guerriero.
-Parli per esperienza vero?- chiese il figlio Ehēcatl, osservando la ragazza annuire e sospirare:-Ci sono cose che non dovrei raccontare, o meglio, devono rimanere segrete. Per quanto i segreti possano essere terribili ed insopportabili, a volte sono necessari.
-Ho capito: il passato deve essere tale. Va bene così- la rassicurò Cameron- So che ci sono cose che devono rimanere nascoste e, se non ti senti pronta a parlarne, va bene così. Sappi, però, che se avrai bisogno, io ci sarò.
Jean annuì, abbracciando il ragazzo di slancio, facendolo cadere a terra. Entrambi risero. Cameron si mise in piedi mordendosi l'interno della guancia, come faceva quando pensava. Era preoccupato, parecchio preoccupato, ma sapere Jean accanto a lui, pronta a sostenerlo, gli dava forza. Nonostante si conoscessero solo da qualche giorno, avevano instaurato un bel rapporto, iniziando a comportarsi come fratelli. Alle volte, dopo le battaglie, si sedevano uno accanto all'altro e, magiando pop-corn, parlavano del più e del meno. Jean gli aveva raccontato molto del suo passato. Era una storia triste, parecchio triste. Era nata poco prima della fine della guerra. All'epoca viveva in Inghilterra, ma fu costretta a trasferirsi in Francia, con più precisione in Normandia, dove, insieme alla madre, visse per circa quindici anni. Morì, diventando una einherjar e incontrò un ragazzo, un figlio di Thor, di cui si era innamorata, ma lui era morto poco dopo, traffitto da una freccia, diretta a lei. Jean si era poi scontrata con il Caos ed era stata catturata e rinchiusa in una cella dove il tempo non passava. Era una storia triste, che in un primo momento aveva fatto scendere qualche lacrima a Cameron. Jean non voleva pietà, credeva fosse inutile. Ormai era successo e non si poteva cambiare e la pietà non sarebbe servita a niente.
-Forse- disse Cameron alzandosi da terra e sedendosi sull'aria- Potresti chiedere agli Dei di riportare in vita il tuo fidanzato, il figlio di Thor.
-La morte è morte, Cam, specialmente per gli einherjar- rispose la rossa alzando le spalle- Non si può tornare indietro, non da una doppia morte.
Cameron annuì serio, rimanendo in silenzio. Capiva le ragioni della ragazza: non voleva veder soffrire l'uomo che amava ancora una volta, magari in un'epoca a lui sconosciuta. Jean sorrise timidamente, dandogli una pacca sulla spalla:-Andiamo, nanetto, devi riposare.
-Ma no!- esclamò il ragazzo biondo- Non sei mia madre, Jean.
-No- ribattè la ragazza rossa- Ma sono più vecchia di te, perciò decido io. Andiamo, Cam.
Il biondo sbuffò e scese a terra, guardando male la ragazza, che se la rideva. La figlia Baldr mise un braccio intorno alle sue spalle, sorridendogli. Insieme scesero le scale che portavano ai piani inferiori, continuando a chiaccherare del più e del meno. Erano tranquilli, anche se sapevano che mancava poco alla battaglia finale. Forse c'era speranza, forse no, ma loro avrebbero combattuto, su questo non c'erano dubbi. Avrebbero combattuto fianco a fianco, con la speranza di vincere, anche se c'erano poche probabilità di vittoria, ma ci avrebbero provato.

 

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