Of leather and gold

di neversaythree
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Opening ***
Capitolo 2: *** Million dollar bills ***
Capitolo 3: *** The love club ***
Capitolo 4: *** White teeth teens ***



Capitolo 1
*** Opening ***


Il suono della sirena della polizia è quasi sovrastato dal pulsare del cuore di Louis nelle proprie orecchie, da un paio di respiri affannati e due paia di scarpe a incespicare sul selciato. Louis sente Zayn dietro di sé e si volta ad afferrarlo per una manica della giacca di pelle. La sirena è sempre più vicina, ma è una sola, alle loro spalle. Ce la possono fare, pensa Louis, nonostante loro siano a piedi e la polizia no, nonostante i suoi polpacci brucino dalla fatica, nonostante né lui né Zayn sappiano dove stanno andando. Trascina Zayn in un vicolo sulla sinistra, la volante sparisce dietro l'angolo per pochi secondi. La presa sulla giacca di pelle scivola dalle sue mani sudate, quando Zayn inciampa sull'asfalto, un grido mozzato che sfugge dalle sue labbra, e le gambe di Louis non riescono a fermarsi se non metri dopo. Quando si volta, la polizia è alle spalle di Zayn. Louis esita per una frazione di secondo, prima di muoversi per raggiungerlo, ma quel momento di esitazione dà a Zayn il tempo di "Vattene!", gridare. Da lì in poi è tutto confuso. Louis sente delle mani spingerlo via, la voce di Zayn biascicare, concitata: "Ricordati le regole, vattene, cazzo, vattene" e gli agenti sono solo due, e Louis se ne va prima di vederli prendere Zayn. Se le ricorda bene, le regole. Continua a correre, senza fiato, gli occhi lucidi a impedirgli di vedere bene, un unico pensiero a rimbombargli in testa come un mantra: Torno a prenderlo, lo faccio uscire prima che chiunque lo sappia.

"Salve, desidera?"

"Vorrei pagare la cauzione per Zayn Malik, è stato arrestato stano-"

"Oh, non sarà necessario. La cauzione del signor Malik è stata pagata da suo padre poco meno di un'ora fa."

 

***

 

I wanna be your guilty 90s' playlist.
I wanna be that drink you sneak before dinner.
I wanna be that thing you tried in the shower that one time.
I wanna be the dirty photos you hide in your "documents" folder.
I wanna be the fake name in your cellphone.
I wanna be that Real Housewives episode you watched the all way through 'cause you said the remote control was too far away, but you could've reached it. 
You could've reached it. 
No, it doesn't make you lazy, it makes you human. 
Damn, damn human. 
We're all damn, damn humans.

[John Mayer, The late late show]

 

Of leather and gold

 

Vivere senza fissa dimora, in giro per gli Stati Uniti per quattro anni, tra le numerose cose, fornisce di una certa capacità di adattamento, se non un minimo di stamina per le situazioni spiacevoli. Quando Nick ferma la propria Opel Corsa davanti al cancello in ferro battuto, la prima cosa che lui ed Harry notano, ovviamente, è la lucida e dorata che troneggia sopra la serratura, in una grafia piena di fronzoli. Nick fischia, Harry ridacchia, poco impressionato. È qui per un lavoro. Uno di quelli provvisori che gli permettano di comprarsi da mangiare e mettersi un materasso sotto il culo per il periodo in cui soggiornerà a Manhattan. Non troppo breve, stavolta, ha deciso Harry. "Sono ricchi, pagano bene," gli ha detto Nick. Non che ad Harry importi. Quando i cancelli vengono aperti, Harry scende dall'auto, si volta all'inizio del viale per mandare un bacio canzonatorio in direzione dell'Opel Corsa, ricevendo un dito medio in risposta.

La casa è intimidatoria. L'uomo che gli apre la porta e lo scorta nel salone lo è. I soffitti troppo alti lo sono, così come i lampadari di cristallo eccessivi, i quadri alle pareti. Harry, lasciato da solo con un impersonale "Non tocchi niente, per cortesia", tocca pressappoco qualsiasi cosa. Le sue dita tracciano il pattern della spessa stoffa che riveste le pareti, i bordi dei mobili, il velluto dei divani, su cui si siede, accavallando le gambe. Tutto grida dorato, perfetto, costoso. Ed Harry, stretto nei propri skinny jeans e con una delle camicie di Nick, per la prima volta da molto non riesce a fare a meno di sentirsi leggermente fuori luogo. Fa in tempo ad abbassarsi tutte le cuticole della mano sinistra e ad annoiarsi, prima che qualcuno entri nella sala. Di primo acchitto sono due ragazzi, sui venti e qualcosa, ben vestiti. Harry si alza, più per cortesia che per etichetta, un "Oh, salve" formale e cortese al punto giusto.

"Salve. Devi essere Harry" fa il primo, porgendogli una mano da stringere. Ha i capelli perfettamente in ordine, un sorriso cordiale che non gli coinvolge gli occhi nocciola, imperscrutabili sotto un folto paio di sopracciglia.

"In persona."

"Liam," si presenta. Indica con un cenno l'altro ragazzo, "Questo è Louis," dice. E Louis solleva dal proprio cellulare lo sguardo più annoiato che Harry abbia mai avuto l'onore di incrociare, nonché gli occhi più azzurri. E se Liam appare ricco, Louis è l'incarnazione dello stesso aggettivo. Indossa un golfino nero, in qualche modo elegante, ed ha i capelli tirati indietro in un ciuffo alto, che fa guadagnare un paio di centimetri alla sua statura piccina. È più basso di Harry, infatti, ma è anche talmente bello che Harry non riesce ad evitare di sentirsi in soggezione. Un bello evidente ma composto, che grida dorato, costoso, perfetto.

Non dice una parola durante tutto l'arco di tempo in cui Liam descrive il tipo di lavoro che dovrà svolgere. Che a quanto pare è fare l'autista. Gli chiede se è disposto a rimanere a disposizione 24 ore su 24, a percorrere lunghe distanze, ad indossare una giacca. Harry ridacchia, all'ultima richiesta, prima di realizzare la serietà delle parole di Liam. Quest'ultimo, ad un certo punto, gli scrive su un rettangolo di spessa carta color crema la cifra che gli sarà consegnata in contanti mensilmente, ed è tutto così formale e ridicolo ed Harry non vede l'ora di raccontarlo a Nick. Quando legge il biglietto, però, l'umorismo viene sostituito da un leggero shock, ed evidentemente deve essere leggibile nella sua espressione, perché persino Liam sorride, in maniera passabilmente sincera.

"Ti sembra una cifra adeguata?"

"Sì, cioè, ehm" si schiarisce la voce, incerto se ridere o ingaggiare con Liam una seria discussione sui veri valori della vita. "Adeguata, sì" risponde invece, pensando distrattamente che, be', costano tanto, gli affitti a Manhattan. Vede Liam toccare la coscia di Louis per attirare la sua attenzione. Quello gli rivolge uno sguardo lungo giusto il tempo necessario a fare spallucce, come se non gliene fregasse niente. Harry comincia ad esserne vagamente irritato.

"Bene" fa Liam, battendo una volta le mani, "Dovrai mandare i tuoi recapiti e le fotocopie dei tuoi documenti a questo indirizzo e-mail, ed entro questa sera ti saranno messe a disposizione l'auto di servizio e la dependance-"

Harry aggrotta le sopracciglia, "Scusa, la dependance?"

Liam gli sorride, accondiscendente, "Be', sì. Disponibilità 24 ore su 24, no? La domenica è libera, a proposito. Non dovrai lavorare, ma puoi restare comunque all'interno della villa. Nick mi ha accennato della tua necessità di un alloggio."

Niente affitto, dunque. Uno sbuffo proviene dal lato del divano su cui è seduto Louis. Tiene gli occhi ancora sullo schermo del telefono, ed è così raro che Harry lanci occhiatacce alla gente, che quasi gli dispiace che non lo stia guardando. Liam finge spettacolarmente di non accorgersene: "Andrebbe bene, per te, iniziare lunedì?"

Harry non fa in tempo a pensarci, prima che il suono del maledetto iPhone di Louis li interrompa, portandolo a chiedersi come si possa apparire così maleducati senza un minimo sforzo. Sia lui che Liam si voltano a guardare Louis, che si è già alzato dal divano di velluto di fronte ad Harry, e da quell'angolazione, quasi per sbaglio, Harry lo vede, in piedi, annoiato, fiero, e perfettamente identico al giovane uomo raffigurato nel quadro sulla parete, alle sue spalle.

"Scusatemi," fa Louis, prima di voltarsi e uscire dalla stanza.

Un quadro di se stesso. Chi ha un fottuto quadro di se stesso in casa propria? Ad Harry sembra di trovarsi in un episodio di The Royals. Forse solo un pelino più trash.

"Allora, per lunedì?" chiede Liam, dando un taglio ai suoi pensieri.

"Sì. Lunedì va bene."

Non sarebbe andato bene, in altre circostanze. Si può dire che avere a che fare con delle persone che non salutano un estraneo appena lo vedono non è mai stato tra le massime aspirazioni di Harry. Di solito, quando nei posti in cui va si ferma più di qualche settimana, Harry opta per lavorare part-time come cameriere, o in una panetteria, o ad arrangiarsi in modi comunque molto più... pratici? Stavolta, però, Nick si è sentito in dovere di intervenire.

È successo al suo ottavo giorno a New York. Quando Harry è tornato da Nick con la metro, dopo un giro al centro a scattare foto ai palazzi ed ai passanti, Nick si è lamentato di nuovo per la sua ostinazione nel non possedere un cellulare, gli ha scaldato la pizza avanzata e gli ha detto che deve andarsene.

Harry ha sbattuto le palpebre, con un filo di mozzarella a fare da ponte tra la pizza e la sua bocca.

"Scusa, H" ha fatto Nick, con una pacca sulla sua spalla nuda ed un'aria neanche troppo dispiaciuta, "Io e Greg abbiamo bisogno dei nostri spazi."

Harry ha deglutito il più in fretta possibile senza strozzarsi e: "No, hai ragione, scusami, dovevi dirmelo prima-" ha iniziato a blaterare, perché se c'è qualcosa che fa ancora un po' di attrito nella sua vita orgogliosamente avventurosa, è il dovere inevitabilmente essere di peso, di tanto in tanto. Nick lo ha interrotto, però, sventolandogli davanti alla faccia la mano con la quale non stava scrollando la dashboard di Tumblr: "Figurati. È stato divertente averti intorno, davvero. Greg si è praticamente innamorato di te e dei tuoi tacos, e sai che puoi venirci a trovare quando vuoi, finché sei in zona" gli ha detto, con aria cordiale, e non sembrava seccato, solo onesto nella sua tipica maniera a tratti un po' brutale. Harry ha sparecchiato e lavato i piatti, come tutte le sere, mentre rifletteva sul da farsi. Avrebbe potuto chiamare Ed, chiedergli se avesse un posto per lui al negozio di vinili. Magari stare da Caroline finché non avesse trovato una stanza o un appartamento in affitto, o vivere da senzatetto per un po', come quella volta a Los Angeles.

La voce di Nick, poco dopo, lo ha riscosso: "Ti ho trovato un lavoro."
 

***


Il fatto è che Harry proprio non ce l'ha, una giacca. Ed è l'unico pensiero che lo preoccupa - ma neanche troppo - perché la dependance è confortevole, il frigo è pieno, c'è un gatto che si aggira nel giardino e quella di stanotte è stata senza margine d'errore la dormita migliore che abbia fatto in quattro anni. Eccetto forse per il fatto che era solo. Ah, e Liam è uno a posto. Gli ha portato ieri sera le chiavi dell'Audi che si appresterà a guidare e vaghe indicazioni sui suoi impegni per l'indomani mattina, ma per lo più ha riso dei vani tentativi di Harry di accarezzare il gatto rosso evidentemente aggressivo che ha trovato in giardino.

Harry parcheggia l'Audi di spalle alla villa, pronta ad immettersi sul viale che porta al cancello, e sta fischiettando al ritmo di Disturbia, alla radio, quando sente sbattere lo sportello posteriore ed una voce acuta, annoiata "Rihanna, sul serio?"

Harry sposta lo sguardo sullo specchietto retrovisore. E lì c'è il riflesso di nientepopodimeno che Louis, con i suoi zigomi pronunciati e il suo ciuffo tirato indietro ed Harry non sa esattamente cosa si aspettava, ma c'è qualcosa che non va.

"Che ci fai qui?" gli chiede, e la faccia inespressiva di Louis si fonde in puro scetticismo: "Mi prendi in giro?"

Harry scuote la testa.

"Quale passaggio ti sei perso da quando ti ho assunto come autista?"

"Liam mi ha assunto come autista."

"Liam è il mio assistente personale."

Certo che Louis ha un assistente perso-

Oh. Oh.

"Un insegnamento per la vita, amico: nessuno che può permettersi una casa così si occupa di assumere di persona i suoi dipendenti."

Lo dice con tono di chi conosce il mondo, ed Harry si trattiene a stento dal chiedergli chi cazzo si creda di essere. Lo guarda invece con quello che spera sia uno sguardo altrettanto intimidatorio, "Lo terrò a mente, amico."

"Louis Tomlinson" si limita a precisare lui, e suona più come un chiarimento che come una formale presentazione. La T dorata del cancello torna alla mente di Harry. È definitivamente finito in The Royals.

"Harry Styles."

"Portami nell'Upper West Side, Harry Styles" fa Louis, pronunciando il suo nome in tono quasi canzonatorio, ma forse Harry sta diventando paranoico. "Devo stare alla Columbia tra quarantacinque minuti."

 


La prima settimana a casa Tomlinson, tutto considerato, procede bene. Harry deve ancora farsi una ragione del fatto che sta venendo pagato una somma vergognosamente alta per vivere in una villa e portare un tizio all'università. I soldi guadagnati, però, gli garantiranno un po' di tranquillità per gli spostamenti futuri, il che rende persino uno come Louis Tomlinson considerevolmente più sopportabile. Dire che il rapporto tra lui ed Harry si evolve, in questo arco di tempo, non sarebbe proprio esatto. Tutti i suoi primi tentativi di intavolare una conversazione vengono stroncati dalle risposte sporadiche ed asciutte di Louis, ma ad Harry non importa, e continua ad offrirgli commenti casuali e domande, destinate spesso a cadere nel vuoto, a voce alta, sopra il rumore della radio accesa.

Di giovedì Louis lo avverte che non andrà all'università, il giorno dopo, ma che gli servirà un passaggio ad un club per la sera. Harry passa la giornata di venerdì in boxer, parla con sua sorella Gemma su Skype dal computer della dependance, pianifica un brunch con Alexa per domenica e riesce a dare qualche avanzo al Gatto Rosso senza che lui gli stacchi a morsi le dita. Quando Louis sale in macchina, quella sera, non è solo. Ci sono una ragazza ed un ragazzo con lui, ed Harry sospetta che siano già ubriachi, dal modo goffo in cui entrano in macchina, incespicando e scoppiando a ridere sguaiatamente, all'unisono. Anche Louis ridacchia, il che sorprende Harry più di quanto dovrebbe. Una risatina leggera, che lascia l'ombra di un sorriso sulle sue labbra sottili, quando incrocia il suo sguardo nello specchietto.

"Parti pure, Harry" dice Louis. Harry parte.

Non dice una parola durante tutto il tragitto, limitandosi a lanciare occhiate nello specchietto retrovisore. È che non ha mai visto Louis interagire con terzi che non fossero Liam, ed Harry è curioso. Una curiosità prettamente scientifica, ma abbastanza pressante. 
Il ragazzo e la ragazza gli sono addosso da entrambi i lati, toccandolo attraverso la camicia costosa e sussurrandogli nelle orecchie. Louis non sembra esserne infastidito, né farci troppo caso, in effetti. Tiene le mani ferme sul proprio grembo e non pare esattamente lucido. Harry ha un fastidioso déjà-vu.

"Ti è piaciuto il regalo?" chiede il ragazzo, a voce più alta, nel momento in cui l'Audi incontra un semaforo rosso. Harry coglie l'occasione di dare un'altra occhiata allo specchietto, ma Louis lo sta già fissando di rimando, con sguardo vuoto, un po' sognante. Potrebbe fare finta di niente e tornare a guardare la strada, ma non lo fa e neanche Louis. Lo vede annuire.

"Bene" fa la ragazza, "ne abbiamo ancora per dopo."

Il semaforo torna verde ed Harry sente di avere la nausea. Non guarda più verso Louis e, quando dai sedili posteriori si inizia a sentire il suono umido di baci, accende lo stereo per coprirlo.

Non appena parcheggia l'Audi, gli amici di Louis schizzano fuori trascinandoselo dietro come un pupazzo. Sbattono forte la portiera ed Harry mormora un "Teste di cazzo" tra i denti, stranamente irritato. Segue i tre con lo sguardo, i quali varcano l'ingresso del club immediatamente, senza che la sicurezza o la numerosa gente in fila battano ciglio.

Ovviamente sapeva che avrebbe dovuto aspettare fuori per tutto il tempo, ma non immaginava sarebbe stato così snervante. Ha reclinato il sedile, ad un certo punto, riuscendosi a guadagnare un sonnellino di una ventina di minuti. I vetri in parte oscurati fanno il loro dovere, in certe situazioni. Ora è sveglio, però, ed è solo l'una e sta entrando in una strana paranoia che gli fa genuinamente credere che se rimarrà un altro minuto nell'auto consumerà l'ossigeno all'interno e morirà. Esce fuori, quindi, nell'aria pungente, decidendo mentalmente che la prossima volta porterà con sé un libro da leggere. Incrocia le braccia stringendosi nella giacca e si appoggia con la schiena contro lo sportello dell'Audi. Non riesce a smettere di pensare ai comportamenti di Louis e a come sia sempre più convinto che ci sia qualcosa che non vada in lui. Harry ne ha conosciute abbastanza, di persone tristi. Potrebbe anche affermare con una certa dose di oggettività di esserlo stato in prima persona, in passato. Tristezza, delusione e senso di colpa sono sentimenti che conosce e comprende bene, ma non sono esattamente ciò che emana Louis. La prima ed unica volta in cui l'ha colto a sorridere era evidentemente sotto l'effetto di stupefacenti. Non è tristezza quello che Harry vede quando lo guarda, - e, suo malgrado, lo guarda spesso - solo un totale, disarmante, annoiato vuoto. Si chiede quale trauma l'abbia portato all'apatia. Forse però non c'è nessun trauma. Forse Harry sta romantizzando la questione, per il bisogno recondito di trovare giustificazioni per tutti. Forse Louis è semplicemente uno stronzo con tutti i suoi dipendenti.

Vede con la coda dell'occhio qualcuno avvicinarsi prima ancora di sentirlo parlare.

"Ehi. Hai una sigaretta?"

È un ragazzo. Si ferma a poca distanza da lui, con le mani in tasca ed un sorriso in faccia. È di poco più basso di Harry, probabilmente anche più piccolo. Ha i capelli rasati cortissimi e i vestiti larghi. È piuttosto bello.

"No, mi spiace" fa Harry. Quello non sembra scoraggiato dalla risposta, ma si appoggia affianco ad Harry allo sportello della macchina.

"Che fai qui fuori a prendere freddo, se non fumi?"

Harry sorride, indica l'auto con un gesto della mano. "Faccio l'autista privato. Devo aspettare il mio capo finché non è pronto a tornare a casa" spiega, abbastanza sicuro che il ragazzo non conduca lo stile di vita che conduce Louis e che quello non sia esattamente il suo giro. Glielo conferma la confusione che gli si legge negli occhi, quando: "E non puoi prenderti una birra o farti un giro, mentre aspetti?" gli chiede.

Harry lo guarda in quel modo che fa quasi sempre arrossire le ragazze. Flirtare gli riesce bene, potrebbe farlo nel sonno. Forse è perché ha fatto tanta pratica. Flirta ovunque, con chiunque, sempre, da quando ha iniziato a rendersi remotamente conto di avere un qualche effetto sulle persone. Flirta nei pub, in fila alle casse dei supermercati, negli ascensori. È diventato quasi un vizio, col tempo, un riflesso incondizionato.

"Mi stai invitando a prendermi una birra o farmi un giro?"

"Sì" risponde il ragazzo, semplicemente, senza imbarazzo o malizia.

"Be', sappi che se potessi ci verrei. Però puoi farmi compagnia, se vuoi."

Un gesto d'assenso ed un sorriso compiaciuto: "Voglio. Come ti chiami?"

"Harry. Tu?"

"Tom."

Tom è al primo anno di college e gli sta parlando di un saggio di Debord che ha dovuto leggere per un esame. Harry La società dello spettacolo lo conosce praticamente a memoria, ma non glielo dice, per non farsi chiedere cosa ne pensa. Preferisce ascoltare, stasera. Le opinioni che Tom esprime in merito sono un po' incerte, prettamente scolastiche. Non dice niente di sbagliato, né di particolarmente brillante. Gesticola parecchio, toccandogli un braccio quando è particolarmente animato. Harry sorride, divertito, quando lo fa.
Tom si interrompe, ad un certo punto, distratto da qualcosa di fronte a loro. Segue il suo sguardo e vede Louis, solo, fermo a fissare Harry, il quale, dopo una durata di tempo che sembra troppo grande per essere socialmente accettabile: "Ehi" gli dice.

"Andiamo" fa Louis, e c'è qualcosa di vulnerabile nel modo in cui pronuncia quella singola parola, più una domanda che una direttiva. Harry annuisce e lui e Tom si scostano dall'auto affinché Harry possa aprire la portiera posteriore per Louis, che scuote la testa.

"Davanti" spiega, aprendosi da solo la porta affianco al posto del guidatore.

"Mi dai il tuo numero?" sussurra Tom, allora.

"Non ho un cellulare."

È la verità, ma Tom deve dargli una qualche interpretazione, perché annuisce e, senza aggiungere altro: "Allora ciao, Harry" fa, con un mezzo sorriso che Harry ricambia distrattamente.

"Ciao, Tom."

Quando entra, Louis ha la testa poggiata sul vetro, la camicia stropicciata e sta tremando leggermente. Non sembra ancora tornato del tutto in sé. Harry si chiede cosa abbia preso, ma non glielo domanda direttamente. Invece si toglie la giacca e la porge a Louis, che lo guarda confuso, per un attimo, prima di lasciarsi aiutare ad infilarla.

"Perché non gli hai dato il tuo numero?" mormora, con grande sorpresa di Harry.

"Non ho un cellulare" ripete, mettendo in modo l'auto. Louis lo guarda con gli occhi semi-chiusi, le palpebre pesanti.

"Neanche Facebook? Un'email?"

Harry sbuffa una risatina: "Fai troppe domande per essere fatto."

"Non fatto, stanco" risponde lui, biascicando le parole, portandosi un dito a toccarsi una tempia: "Qui dentro", ma sta sorridendo, con la guancia spiaccicata al poggiatesta del sedile.

"Certo."

E il silenzio che segue stavolta è rilassato anche senza lo stereo a riempirlo, solo le lievi fusa del motore dell'Audi ed il frusciare dei vestiti di Louis, con i suoi movimenti irrequieti.

 

"Grazie per la giacca" dice, a un certo punto, sorprendendo di nuovo Harry che, con la coda dell'occhio, lo vede rannicchiato su se stesso, gli occhi chiusi verso il finestrino.

"Non c'è di che.

 

 

///////////

NdA:

Hola! 
Qui è neversaythree, che spera che il primo capitolo di Of Leather and Gold vi sia piaciuto e che come al solito non è in grado di gestire lo spazio delle note.
Ma ci tenevo a dirvi che ho già pubblicato questa ff mesi orsono su wattpad, perché mi piace avere the best of both worlds e soprattutto perché wattpad mi canna spazi, corsivi e compagnia bella ogni tre per due, perciò ogni tanto ho bisogno di certezze.

In caso aveste voglia di contattarmi, farmi domande o incitarmi a muovere il culo ed aggiornare, mi trovate su Tumblr (purplemargarita) o su Twitter (_neversaythree). Mordo solo se me lo si chiede per favore. (?)

A molto presto tipo stasera con il prossimo capitolo, 
ciao! 

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Capitolo 2
*** Million dollar bills ***


2. Million dollar bills



There's nothing I want but money and time
Million dollar bills and a tick tick tick tick
There's nothing more cruel
Than only nine lives
A limit in spite
Will do the trick trick trick trick

 

Louis apre gli occhi con un mugolio infastidito, quando la luce che invade la stanza comincia a diventare troppo forte, trovandolo in qualsiasi rifugio cerchi in ogni angolo del cuscino. Impiega diversi minuti per uscire dal groviglio di lenzuola di seta indiana in cui si è arrotolato durante la notte e ne passano altri prima che si decida a smettere di fissare il vuoto ed alzarsi. Cammina a piedi scalzi sul pavimento riscaldato, verso il bagno. Piscia con un certo sollievo che gli inumidisce leggermente gli occhi. Si lava le mani e si sciacqua il viso e la bocca impastata dal sonno e dall'alcol della sera precedente, prima di contemplarsi allo specchio. Soppesa le occhiaie, i capelli disastrati, il segno del cuscino sulla guancia incavata.

"Sembri un fantasma" gli dice sempre sua madre, nelle rare occasioni in cui lo vede faccia a faccia. Ogni volta con tono di sorpresa, come se avesse dimenticato la precedente. Stamattina Louis non potrebbe non essere leggermente d'accordo.

Il brontolare del suo stomaco lo convince a rimandare la doccia a dopo la colazione. Indossa i pantaloni del pigiama, finiti in qualche modo sul pavimento durante la notte, e una vestaglia di seta.

A Louis non piace la monotonia. Non si è mai rassegnato del tutto alla routine delle sue giornate autunnali, alle ore tediose trascorse all'università ad autoimporsi di prestare attenzione alle lezioni e prendere appunti, e forse c'entra la sua leggera iperattività o il fatto che quando ha deciso di studiare architettura se la immaginava più come qualcosa tipo "progetta una villa a tre piani" e non tipo "studia per il tuo estenuante esame di matematica". Oggi dovrebbe essere diverso, perché oggi non c'è lezione e c'è una festa a casa Tomlinson, come sempre alla vigilia di una corsa. È stata un'idea di Louis, anni fa, perché ha sempre amato le feste e le attenzioni, ed è stata altrettanto sua l'idea di smettere, quando Zayn se n'è andato. Liam non gliel'ha permesso, e ben presto anche quello è diventato parte di una routine fastidiosa.

Quando scende al piano di sotto, trova Liam già perfettamente presentabile e forsennatamente al lavoro. Sta dando istruzioni ad un paio di sconosciuti su come e dove spostare le casse dell'impianto stereo, mentre i camerieri tolgono l'argenteria dai mobili ed i quadri d'autore dalle pareti.

"Buongiorno" gli fa, appena lo vede. È nella sua tenuta casual, e Louis trova vagamente ingiusto che alle otto del mattino, in un paio di jeans larghi ed una felpa che gli arriva alle ginocchia, Liam Payne trovi il modo di apparire impeccabile, fresco di una lunga notte di riposo e apparentemente di buon umore. Quindi glielo fa notare.

Liam scuote la testa, ma l'ombra di un sorriso gli tende le labbra: "Divisione consapevole del tempo, Louis. Dovresti provare."

Louis sbuffa un "Sì, come ti pare", incamminandosi verso la sala da pranzo, conscio della presenza di Liam alle sue spalle. La colazione è già lì, al suo solito posto sul lungo tavolo in noce. Louis si fionda sul tè come su una sorgente d'acqua nel deserto.

"Ho appena chiamato il deejay, ha detto che non dovrebbero esserci problemi per stasera" dice Liam, mentre Louis spalma il burro su un toast. "Hai creato l'evento su Facebook?"

"Sì."

"Hai avvertito Perrie?"

Prende un morso del toast, soppesandolo. Aggiunge altro burro. "Sì."

Liam si avvicina di più, ad un certo punto, guardandolo per un attimo con aria improvvisamente seria, senza dire nulla, ed è troppo presto per la suspense, e sta per dirglielo in modo piuttosto colorito, quando lui: "Hai telefonato a Niall per la Lamborghini?" gli chiede. E, be', no. Louis impreca tra sé, con la tazza a metà strada tra il tavolo e le sue labbra.

"Louis" fa Liam, ed ha su quell'espressione da mammina costernata che gli fa alzare gli occhi al cielo per riflesso incondizionato.

"Non farmi la paternale, lo farò più tardi."

"Sai che giorno è domani?"

"Lo so, Liam. E abbiamo ancora un giorno di tempo."

Liam sospira, rassegnato, un "Bene. Chiama Harry" e Louis lo guarda con un'espressione che vuole essere oltraggiata e minacciosa, ma che evidentemente non ha l'effetto desiderato, perché Liam non fa una piega.

"Chiamalo tu."

"Sono impegnato" fa, e Louis sta per ricordagli chi è che ha insistito per continuare questa farsa della festa e chi è causa del suo mal pianga se stesso eccetera, ma in quel preciso istante il maggiordomo annuncia l'arrivo del catering che hanno assunto e Liam se la squaglia, il maledetto.

Louis, quindi, è irritato. Sta borbottando tra sé sul fatto che dovrebbe licenziare tutti, mentre si infila sotto la doccia con una certa fretta per andare personalmente fino alla dependance, perché il suddetto Harry non risponde al telefono. Percorre il viale del giardino come se ogni filo d'erba lo avesse personalmente offeso e quando arriva alla meta, quello che vede lo gela sul posto. Sbatte le palpebre, più perché gli si stanno seccando gli occhi a forza di fissare, che per assicurarsi di star vedendo bene.

In primissimo piano nel campo visivo di Louis, infatti, c'è la figura di Harry in posizione perfettamente triangolare. E in boxer. Louis è piuttosto sicuro di non avere mai visto niente di così ridicolo. Ha il sedere puntato in aria come ad indicare il cielo, con le mani e i piedi nudi che gli fanno da sostegno sul suolo erboso, i ricci raccolti in una cipolla disordinata sulla testa rivolta verso il basso, gli occhi chiusi.

"Che cazzo stai facendo?" chiede Louis, facendolo sobbalzare leggermente. Harry si volta a guardarlo con aria scioccata, neanche fosse Louis quello seminudo e col culo al vento.

"Il cane con la testa in giù" spiega, come la cosa più ovvia del mondo.

"Scusa?"

"Yoga."

Si guardano per un attimo. Harry ha il viso leggermente arrossato, probabilmente per la posizione, ma rimane immobile, i muscoli delle braccia tesi.

"Sei bloccato?" gli chiede Louis, allora: "Faccio chiamare qualcuno?"

E qualcosa nella sua espressione deve essere piuttosto divertente, perché Harry scoppia a ridere, rimettendosi lentamente in posizione eretta e "No, sono a posto" fa, mentre Louis è leggermente impegnato a notare che è in forma. Tipo, parecchio.

"Grazie della preoccupazione, però."

"E' la prima e ultima volta che vengo fino a qua nei tuoi giorni di servizio."

Le sopracciglia di Harry si sollevano: "Ti aspetterò di domenica, allora" gli dice, spiazzando Louis per un paio di secondi, durante i quali si domanda seriamente se Harry sia un idiota.

"Sei un idiota?"

La domanda non sembra turbarlo minimamente: "Vuoi un caffè?"

"E' casa mia, Harry. Non puoi offrirmi un caffè in casa mia."

Harry gli sorride con aria furba, quasi provocante: "Lo sto facendo."

"Non voglio un caffè, voglio che tu sia reperibile. Ho telefonato alla dependance una dozzina di volte e tu eri qui a fare il cane seduto -"

"Il cane con la testa in giù."

Louis sta per colpirlo in testa con un sasso, ma opta invece per contare fino a cinque, prendere un respiro profondo e dire, con estrema calma: "Non mi interessa. Vieni pagato per questo. Devi farlo, se non vuoi essere licenziato."

Harry sembra sorpreso. Lo guarda e sembra stia cercando qualcosa nell'espressione del suo viso: "Hai ragione. Scusa" dice poi.

Louis alza un sopracciglio a tale arrendevole dichiarazione. Harry si gratta distrattamente un punto di pelle sotto l'ombelico.

"Bene."

"Cosa sei venuto a chiedermi?" gli chiede Harry, curioso.

"Dovresti andare a prendere una persona" inizia, e si accinge a spiegare ad Harry i dettagli, ad aspettare pazientemente che recuperi carta e penna - come se fossero nel fottuto '800 - prima di dettargli l'indirizzo, rifiutando con tono asciutto l'invito di Harry ad entrare nella dependance.

"Dovrà essere qui entro le dieci di stasera" conclude, per poi voltargli le spalle e tornare alla villa con passo misurato, consapevole dello sguardo di Harry che lo segue. 

 

***

 

There's nothing as fun as coming untied
And running with the kids in the park park park park
There's nothing that hurts like letting you go
Tiger burn eyes in the dark dark dark dark
We can leave the house lead the party let the people know
Go drown the colors of our minds and watch the cards go

 

Perrie, come sempre in certe occasioni, arriva alla villa prima degli altri, ufficialmente per "aiutare Louis con i preparativi", ma in pratica per parlare del più del meno e farsi dare consigli sull'outfit per la festa. Non che Louis sia molto utile, a conti fatti, non trovando la benché minima differenza tra i due tubini neri che lei gli mostra, ed essendo per lui la moda femminile qualcosa di genericamente oscuro.


 

"Cadono addosso in modo completamente diverso" gli sta dicendo lei, esaminandoli uno di fianco all'altro, in piedi con fare pensoso, in biancheria intima.

"Perrie, francamente" comincia Louis, a un certo punto, saltellando leggermente sul posto per infilarsi i propri skinny jeans, ma lei lo anticipa, con uno sbuffo: "Non te ne frega un cazzo, lo so. Resto dell'idea che avresti più amici, se ti sforzassi un po' ad essere gentile."

"Stavo per dire che ti stanno bene entrambi" mente Louis, sorridendo, "e ho gli amici che mi servono."

Perrie alza gli occhi al cielo, avvicinandoglisi per abbottonargli la camicia, e Louis si ritrova, come spesso accade, a prendersi un momento per apprezzare la sua presenza nella propria vita.

"Domani vieni da me?" gli chiede lei, a voce bassa, esaminando la sua camicia per poi slacciare un paio di bottoni, annuendo tra sé.

"Sono a Brooklyn, domani" fa Louis, e il broncio che le si dipinge in faccia è quasi tenero, "Non guardarmi così."

"Tu non andarci."

"Perrie" sospira.

"Sono preoccupata!"

"Non c'è niente di cui preoccuparsi" le assicura Louis, come mille altre volte prima di oggi, e lei si allontana per infilarsi il proprio tubino, dandogli le spalle e, con tono piccato: "Certo, come ti pare" dice.

E Louis non può permettersi di litigare con Perrie, perciò le alza la zip del vestito senza che lei glielo chieda e: "Vieni con me" fa. E l'espressione di lei, quando si volta, è di puro scetticismo, "Fai sul serio?"

"Certo."

"E a che pro?"

"Così vedresti che non c'è da preoccuparsi" fa Louis, con tono sicuro. Lei non si volta, e Louis poggia il mento sulla sua spalla, cingendole i fianchi con le braccia, "E voglio che tu venga."

Quando Perrie sospira, lui sa già di aver vinto, "Non lo so, Lou..."

"C'è una festa subito dopo. Ci divertiamo."

"Ti odio."

Louis ridacchia al suo tono esasperato, le stampa un bacio su una guancia, "Ti faccio fare un giro sulla Lamborghini."

Perrie ride, scuotendo la testa, e torna a guardarsi allo specchio, "Facciamo anche di no."

Lascia gli ultimi dettagli dei preparativi nelle mani esperte di Liam, il quale sembra felice o quanto meno abituato a non avere Louis tra i piedi, limitandosi semplicemente a ricordargli che a breve sarà suo il compito di accogliere gli ospiti. Louis rimane in camera e accende il computer, mentre ascolta le chiacchiere di Perrie con scarso interesse. Lei non pare farci troppo caso e sembra semplicemente felice di avere qualcuno a cui parlare mentre si trucca alla scrivania davanti alla finestra. Louis risponde velocemente ad una mail del proprio tutor alla Columbia, che gli propone un progetto per qualche credito extra. Louis neanche finisce di legge prima di fargli sapere che no, non è assolutamente interessato. Acquista un iPhone dallo store online, in compenso, e finisce di vestirsi. Indossa una giacca scura di Givenchy che sa che perderà da qualche parte prima della fine della serata, come l'ultima volta, e quella prima ancora. Ai piedi, un paio di scarpe italiane, senza calzini. Perrie si complimenta e Louis nasconde in un sorriso il pensiero che, se Zayn non se ne fosse andato, lei non sarebbe qui a sostituirlo. Se Zayn non se ne fosse andato, con molta probabilità, neanche Louis sarebbe qui. Si chiede distrattamente chi o cosa potrebbe sostituire. Forse sostituisce il se stesso di un anno fa, forse è davvero il fantasma di cui parla sua madre.

"Vuoi un po' di coca?" chiede a Perrie, per scacciare il pensiero, e si allunga ad aprire il cassetto del comodino prima ancora che lei accetti, con il suo entusiasmo familiare. Louis tira fuori la bustina dal solito portagioie d'argento, una di quelle porcherie che ti ritrovi casualmente in giro per casa.

"Milady" le fa nel porgerle la droga, ostentando il suo accento inglese, di solito a malapena percettibile. Lei ridacchia e si inumidisce un indice fresco di manicure, prima di infilarlo nella bustina, catturando la polvere fine.

"A noi" dice, con tono sarcastico, e procede a strofinarsi la cocaina sulle gengive superiori con cautela, attenta a non sbavare il rossetto. Louis ripete l'azione con gesti più sbrigativi, meno cerimoniosi. Più urgenti, forse.

"A noi."




 

Un'ora più tardi la festa è iniziata, Louis è stato avvicinato da così tanti ospiti, invitati e non, che ha la gola secca per le urla sopra la musica alta. Le pareti ed il pavimento sembrano tremare sotto i suoi piedi, e quelle vibrazioni sembrano irradiarglisi dalle suole delle scarpe fino a dentro le ossa. La gente balla, beve e scopa sui divani e nei bagni, e Louis è deliziosamente euforico e si sta strusciando addosso a qualcuno, quando Liam lo raggiunge.

"Louis" lo chiama, facendolo voltare nell'abbraccio appiccicoso di uno tizio alto che non ricorda di conoscere. Quello ne approfitta per leccargli il lobo dell'orecchio e: "Quanto cazzo sei bello" sussurrargli.

"Ciao, Liam," delle mani gli si posano sul sedere, strizzandogli le natiche, "Sto accogliendo gli ospiti."

Liam lo guarda con aria accondiscendente, come si fa con un bambino da trattare con molta pazienza, e Louis vorrebbe afferrarlo per le spalle e scuoterlo forte.

"Sono arrivati Harry e Niall, sono alla porta" gli sorride divertito: "Fossi in te accoglierei anche loro. In modo meno tattile, magari, ma vedi tu."

Il tizio fa salire una mano sudaticcia su un lembo di pelle tra l'orlo dei pantaloni e la t-shirt di Louis, il quale si divincola dall'abbraccio, con una maestria attribuibile agli anni di assidua frequentazione dei club di New York, e si allontana con Liam senza guardarsi indietro. Si fanno largo insieme tra la gente sudata, e Liam lascia passivamente che Louis lo prenda a braccetto finché non raggiungono la porta del piano inferiore. Louis intercetta il sorriso brillante e gigantesco di Niall anche a distanza.

"Tommo! Bastardo!" gli fa, in qualche modo facendosi sentire sopra la musica senza sforzo.

"Anch'io sono contento di vederti, Niall" risponde in tono sarcastico, facendosi stritolare in un abbraccio con un entusiasmo non attribuibile esclusivamente alla cocaina di prima, il cui effetto è perlopiù già scemato. Incrocia per un attimo lo sguardo di Harry oltre la spalla di Niall. La sua espressione è illeggibile, le sopracciglia leggermente aggrottate.

"Potresti anche farti sentire, ogni tanto."

Louis sta per dare una casuale giustificazione, ma il broncio di Niall si ritrasforma in un sorriso, quando si volta verso Harry, tirandolo a sé e mettendogli un braccio intorno alle spalle: "Almeno hai mandato Hazza."

Hazza.

"Mi piace, dovremmo tenerlo. Liam, possiamo tenerlo?" le parole di Niall vengono accompagnate dallo sguardo di puro affetto che rivolge ad Harry, il quale sembra ricambiare e wow, si conosceranno da, cosa? Dure ore?

La domanda è per Liam, ma Harry sta guardando Louis, di sottecchi, nel tentativo di essere sottile. Probabilmente si aspetta una risposta scortese da parte sua. Louis ammette tra sé, in un pensiero distratto, di non essere stato esattamente un esempio di affabilità, dal suo arrivo. Quasi se ne dispiace, prima di ricordarsi che non ha importanza quello che pensano gli altri.

Raggiungono i divani vicino al tavolino da caffè, ed un gruppetto di ragazzi e ragazze si scansa prontamente per farli sedere, benché con una goffezza nei movimenti tipica di una sbronza. Louis siede sul divano più grande tra i due e Niall sul più piccolo, di fronte a lui, con Liam incollato al suo fianco. Harry ha un attimo di esitazione, prima di prendere posto a sua volta vicino Liam. Louis ghigna al gesto, pensando divertito che deve esserci un qualcosa di metaforico nella situazione: ha il divano più grande, ma è destinato a restarci seduto da solo. Forse la droga non ha ancora perso del tutto il suo effetto, pensandoci bene.

"Come va con Barbara, Nialler?" chiede. Niall fa spallucce, come per ostentare nonchalance, ma il suo sorriso entusiasta lo tradisce: "Quella donna mi ucciderà."

"Non ne sembri troppo addolorato" ridacchia Harry, nel tono di voce la leggerezza con cui si parla ad un vecchio amico.

"Devi conoscerla, Hazza."

"Non viene a trovarci, stavolta?" chiede Liam, scambiando una breve occhiata con Louis, evasivo al punto giusto. Sembra incerto se parlare o no delle corse davanti ad Harry. È un bene, perché neanche Louis è troppo sicuro. Non si è interessato molto ai dettagli in merito all'assunzione di Harry, ma gli sembra di aver capito che avesse bisogno di un lavoro per un breve periodo di tempo. Di norma, lo staff della villa lavora per loro per anni, se non decenni, ma a quanto pare Liam doveva un favore a Nick Grimshaw. La domanda particolarmente generica garantirà che Harry non faccia troppe domande e che Louis rimandi la decisione, insieme alle altre questioni a cui non ha voglia di pensare.

Niall scuote la testa mestamente, con un'espressione intristita che contribuisce a rinsaldare la convinzione di Louis sul fatto che quella ragazza lo sta rendendo forse felice, ma soprattutto tragicamente scemo.

"È tornata a Budapest per il compleanno di sua madre."

La conversazione va avanti sui più svariati argomenti, ed è perlopiù incentrata sulle ultime ridicole vicende della vita di Niall, che sembra averne da raccontare tante, considerando che non lo vedono da un mese al massimo. Vengono interrotti, qualche volta, da ospiti che vengono a salutare Louis, alcuni conosciuti, altri no, e altri ancora amici di amici che vogliono presentarsi. Louis è abituato alle attenzioni, e rifiuta le richieste di chiunque gli chiedi di ballare, o di uscire a fumare, ma ben presto Niall, Liam ed Harry cominciano a parlare tra loro, senza più fare caso se Louis stia ascoltando o meno. Niall sta blaterando dell'incombente laurea di Barbara in fotografia, ed Harry fa domande pressanti e interessate, perché a quanto pare "ama" la fotografia. Louis sta considerando di alzarsi e andare a cercare Eleanor o Calvin o una pasticca d'acido. L'arrivo di qualcuno, però, lo solleva dalla decisione. È Bressie, il fanboy di Niall. Ha con Niall in comune il nome di battesimo, il mestiere di meccanico e le origini irlandesi, e questo gli fa credere di essere legittimato a chiamare Niall fratello. Louis non ricorda di averlo invitato, né di averlo visto una sola volta nell'ultimo anno e mezzo.

"Louis!" fa, porgendogli un pugno, che Louis colpisce col proprio con scarso sentimento, "Quanto tempo."

"Ciao, Bressie."

"C'è anche Niall, ehi, Niall!"

Niall lo abbraccia e lo sguardo di Louis cade quasi per caso su Harry, che sta assistendo alla scena con un bicchiere di champagne tra le dita lunghe, piene di anelli, con le quali tiene la base del flûte in bilico sulla propria coscia sinistra, fasciata da un paio di jeans strettissimi. Harry si accorge che lo sta guardando, ad un certo punto, e Louis lo vede sorridere consapevole, come per dire "ti ho beccato", ma lui non è niente se non ostentatamente sicuro di sé e non distoglie lo sguardo, e per un attimo è come un gioco, una sfida a chi ride per primo, ma l'aria è carica di impalpabile tensione e nessuno dei due sembra aver voglia di ridere, finché le parole di Bressie non distraggono Louis.

"E Zayn dov'è? È un po' che non lo vedo in giro."

È quasi comico il modo in cui Liam, Niall e Louis stesso si voltano contemporaneamente a guardarlo. Passa qualche secondo di assoluto silenzio in cui Louis vede distintamente la sorpresa negli occhi di Liam lasciare posto ad un'espressione di totale gelo. Niall sembra nel panico, Harry confuso, e Louis ha un nodo doloroso alla bocca dello stomaco, perché è passato un anno e l'assenza di Zayn è ancora qualcosa di cui non si può parlare, il suo nome ancora un tabù.

Liam afferra Niall per un braccio, mormora un "Noi andiamo a prenderci uno scotch" e se lo tira dietro verso dall'altra parte della stanza.

"Ho detto qualcosa di strano?" chiede Bressie, con le sopracciglia aggrottate, inconsapevole.

Louis si alza con un sospiro, mettendo su un sorriso, e gli dà una pacca sulla spalla: "Scusa, Bressie. Ci vediamo più tardi."

La musica è troppo alta per sentire i passi di Harry dietro di sé, ma Louis percepisce la sua presenza alle sue spalle e sa che lo sta seguendo, ma non si volta e continua a camminare, fino ad attraversare il corridoio che dà al giardino interno e il porticato che ne circonda il perimetro. Ci sono due ragazze che si baciano vicino la piscina riscaldata, convenientemente chiusa, ma sono lontane e Louis siede su una delle panchine di marmo, il freddo della pietra che gli attraversa i jeans, e tira fuori il proprio portasigarette dalla tasca della giacca di Givenchy che, toh, non ha ancora perso.

"Posso?" chiede Harry, indicando la panchina. Louis lo guarda per un momento, senza rispondere, e vorrebbe dirgli di lasciarlo solo, ma questo equivarrebbe all'ammettere che c'è qualcosa che non va, qualcosa che lo turba, perciò distende la propria espressione in una maschera di indifferente tranquillità e: "Ma certo, Harold" risponde.

Harry sembra compiaciuto: "Non mi chiamo Harold."

"Meglio così, non si può sentire" fa, facendolo ridacchiare. Gli porge una sigaretta, che Harry accetta, e gliela accende col proprio zippo d'argento. Il viso di Harry è vicino, e si illumina tenuamente al divampare della fiamma. Sembra fatto di porcellana.

"Grazie."

"Figurati."

Fumano per qualche secondo in silenzio, con lo sguardo all'altro lato del giardino. Louis guarda le ragazze in lontananza e riconosce, senza grande sorpresa, che una delle due è Kendall Jenner, la figlia del notaio di suo padre.  

"Mi sento leggermente inopportuno a stare a guardare" dice Harry, attirando l'attenzione di Louis, che si gira verso di lui. Ha un'espressione pensierosa, come se stesse soppesando la situazione, ma non sembra molto impressionato dalla scena. 

"Non farlo, allora."

"È che sono sulla traiettoria dei miei occhi."

A quelle parole, Louis allunga senza pensare la mano con la quale non tiene la sigaretta. La porta a toccare la guancia di Harry, muovendogli il viso delicatamente per farlo voltare verso di sé, finché i loro sguardi non si incrociano. 

"Ora non più" gli dice, ed è un gesto privo di implicazioni, senza particolari secondi fini. È un gesto che avrebbe compiuto verso chiunque senza pensare troppo alle conseguenze, ma la reazione di Harry è comunque curiosa. Lo guarda per un attimo con gli occhi sgranati, senza traccia della spavalderia di prima. Di norma Louis ne approfitterebbe per farglielo notare o per prenderlo in giro, ma non è dell'umore adatto e si limita ad allontanare la mano, tornando a fumare in silenzio.

"Che è successo a Liam, prima?" fa la voce di Harry, a un certo punto, vanificando fastidiosamente la speranza di Louis di cavarsela senza domande. Si pente di aver permesso che Harry si sedesse con lui. Poi maledice mentalmente Liam per aver reagito in quel modo. E poi Zayn per essersene andato. E poi se stesso per averlo lasciato fare.

Con Harry opta per ostentare nonchalance e rispondere con leggerezza: "Prima quando?"

"Dentro. Parlavano con quel tizio e Liam se l'è filata. Sembrava arrabbiato."

"Non lo so, Harry."

"Sì che lo sai, eri strano anche tu." Gli dà leggermente di gomito, quando Louis non risponde, e: "Guarda che se fai così sono ancora più curioso" dice. Il sorriso nelle sue parole è piuttosto irritante e Louis non ha idea di cosa dirgli e sta cominciando ad agitarsi. Cerca di non darlo a vedere, mentre si alza in piedi e pesta quello che rimane della sigaretta sotto la suola della scarpa. Sta per andarsene e lasciarlo lì, senza un'altra parola, in una straordinaria prova di autocontrollo, ma poi Harry lo nomina.

È una domanda semplice, fatta con lo stesso tono canzonatorio di prima.

"Chi è Zayn?"

Una domanda non dissimile a quella di Bressie, altrettanto inconsapevole.

Più tardi, durante la serata, Louis incolperà la stanchezza, per la sua reazione. Incolperà il tono leggero di Harry, la sua insistenza. Incolperà la consapevolezza che Liam non vorrà parlargli, l'indomani, perché Liam non gli vuole mai parlare quando si ricorda di quello che è successo.

"Fatti i cazzi tuoi, Harry" le parole lasciano la sua bocca quasi spontaneamente, velenose, e Louis si volta a guardare Harry in tempo per vedere il sorriso spegnerglisi sulle labbra.

"Scusa" si affretta a rispondere lui, con tono sorpreso ed incerto: "Non volevo essere invadente, ti stavo solo stuzzicando un po'."

Per qualche motivo la sua ultima affermazione contribuisce solo ad infastidire ulteriormente Louis.

"Pensi che perché Niall ti ha rivolto parola adesso siamo amici?" non alza la voce, non stringe i pugni. Semplicemente lo guarda, dall'alto verso il basso, e gli parla con voce tagliente: "Non siamo amici. Rimani al tuo posto e non ficcare il naso in cose che non ti riguardano."

Lo strano, malato sollievo che invade Louis se ne va un secondo dopo essere arrivato. Non attende una reazione di Harry e si volta senza un'altra parola, rientrando in casa per cercare quella pasticca di acido che aveva in programma.

Harry non lo segue. Louis non saprebbe dire se sia meglio così oppure no.

 

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Capitolo 3
*** The love club ***


"Aspetta, forse se mi giro va meglio."

"Niall, per favore, smettila di muoverti."

"È che sei troppo duro, mi stai facendo male."

Gli dà una gomitata accidentale allo stomaco nel tentativo di spostarsi, per finire a pancia sotto, sdraiato sopra il corpo nudo e assonnato di Harry, che tossisce un rantolo e lo guarda truce.

"Perché sei già sveglio?"

Niall lo guarda con un sorriso serafico, appena sfocato nella luce soffusa della dependance: «È l'una del pomeriggio."

Harry riflette sul da farsi. Non può muoversi, perché Niall ha deciso di svegliarlo buttandoglisi addosso come un sacco di patate, visto che a quanto pare non gli è mai stato spiegato cosa sia uno spazio vitale. Harry è sempre un fan del contatto fisico e Niall è un tipo a posto, ma è nel mezzo di un post-sbornia epocale e non è esattamente di buon umore.

Si porta un braccio a coprirsi gli occhi: «Possiamo parlarne più tardi?"

"Non stiamo parlando di niente, Hazza."

Harry realizza improvvisamente che, se Niall ha ragione sull'orario, ha perso il brunch con Alexa, che a questo punto sarà probabilmente incazzata con lui. Il senso di colpa si fa sentire, ma si farà perdonare. Alexa non riesce mai ad avercela seriamente con Harry. In pochi ci riescono, a conti fatti.

"Mi sa che è il caso che mi trovi un altro lavoro" mormora, quasi più tra sé che a Niall.

"È perché hai discusso con Louis ieri sera?"

Harry si scosta il braccio dagli occhi per guardare Niall, decisamente troppo vicino. «Te l'ha detto Louis?"

"Me l'ha detto la faccia che avevi quando sei rientrato in casa subito dopo" fa Niall, con l'aria sicura di chi la sa lunga: "E me l'hai detto tu quando ti ho accompagnato qui, dopo che hai cercato di vomitarmi sulle scarpe."

Harry è preso da un'ondata di vago imbarazzo e borbotta uno "Scusa" tutto sommato sentito. Niall annuisce comprensivo sopra di lui, e la situazione è piuttosto ridicola ed evidentemente se ne accorge o decide che Harry è abbastanza sveglio per smettere di molestarlo, perché rotola dall'altro lato del letto con sorprendente grazia.

"Non penso tu debba andartene" dice, "Non per questa ragione, almeno." 

"Non è solo questo" comincia Harry, cercando al massimo delle sue forze di non suonare come un bambino lamentoso e probabilmente fallendo in pieno. Pondera per un attimo come articolare una ragione più sensata e matura di "Mi dà fastidio che Louis faccia lo stronzo con me", ma Niall lo solleva dalla decisione.

"Louis può risultare un po'... ruvido, certe volte" gli dice, e l'espressione di Harry deve essere evocativa, perché il biondo sorride e si affretta a proseguire: "È molto bravo a proteggersi."

Il peculiare tipo di affetto che evidentemente li lega trasuda dalle parole di Niall, come la sera prima, quando si sono salutati. Harry vorrebbe chiedergli da cosa deve proteggersi, perché è dannatamente curioso, forse troppo, quando si tratta di Louis Tomlinson, ma adesso sa anche bene qual è il limite da non superare e Niall non argomenta e non lascia trapelare dettagli, aggiunge solo: "E ancora più bravo a non fidarsi degli altri."

Harry si limita ad ascoltare, con una certa ammirazione per la cautela nelle parole di Niall, l'attenzione impiegata nel passare il messaggio senza raccontare i fatti di Louis.

"Ci ha messo tanto a fidarsi di me" rivela, sorprendendo Harry.

"Bisogna avere un po' di pazienza con lui," Niall fa spallucce: "Certo, non devi sentirti costretto a rimanere o a fare niente che non vuoi. Ma ti assicuro che non è veramente uno stronzo. E per quello che vale, penso che con un po' di tempo vi piacereste."

"Non ne sarei troppo sicuro" ribatte Harry, suo malgrado con un sorriso che Niall ricambia, allungandosi per pizzicargli una guancia. Harry gli schiaffeggia la mano e Niall ride, balzando in piedi.

"Pensaci su e vieni alla corsa, stasera."

"Cos'è questa storia della corsa?" chiede. L'ha sentita nominare almeno una decina di volte, alla festa, e tutti sembravano sapere di che si trattasse tranne Harry, ovviamente. Niall cambia di colpo espressione ed i suoi occhi si illuminano di una luce abbastanza folle.

"Oh, vedrai, ti piacerà. Fatti trovare pronto per le otto, prendiamo l'Audi" fa, sorridendo con convinzione, prima di voltargli le spalle e fare per andarsene, salvo aggiungere, appena prima di varcare la soglia della camera: "E mangia qualcosa, ci sarà da bere."

 

***

Be a part of the love club
Everything will glow for you
You'll get punched for the love club
For the love club

 

Brooklyn è piuttosto grande. No, in realtà è piuttosto piccola. Ma ti ci puoi perdere facilmente. Prima di cominciare il viaggio, Niall era già un po' ubriaco. Harry l'ha visto, attraverso lo specchietto retrovisore dell'Audi, emergere dall'ingresso della villa ed inciampare un paio di volte sul brecciolino, tra le sue risate. Si è infilato sul posto del passeggero con un "Oplà" strascicato e non necessario e sono partiti. Non vuole dargli spiegazioni sulle corse – "E' una sorpresa", dice – ma Harry ha il grande sospetto che non si tratti di una pista di go-kart. Non è esattamente abituato all'illegalità e di norma la prospettiva gli causerebbe una certa ansia, ma le chiacchiere di Niall non gli danno il tempo di fermarcisi a pensare troppo.

"E' una cosa che fai spesso, questa delle corse?" gli chiede semplicemente, mentre Niall sta smanettando con tutti i pulsanti della radio. Riceve un gran sorriso in risposta.

"Almeno due volte al mese." 

 

Niall è pessimo con le indicazioni, ed arrivano a destinazione più tardi del previsto. Dicasi destinazione un parcheggio a pochi metri da una strada larga, stranamente poco trafficata per una domenica sera a Brooklyn, pieno di persone e macchine sportive. Un coro di strane urla si leva dalla folla alla vista di Niall, che sembra conoscere seriamente chiunque, ovunque, sempre.

Harry, in qualche modo, si rilassa. Cominciano ad essergli presentate persone con cui si ferma a chiacchierare, gioviale e vagamente divertito, ma di cui dimentica il nome dopo due minuti contati. Rifiuta ogni tipo di alcolico gli venga offerto.

"No, grazie, devo guidare."

La ragazza vestita completamente in pelle rossa con cui sta parlando fa spallucce e: "Anch'io" dice, prima di bere a canna dalla bottiglia di birra che Harry ha rifiutato. Fine del momento di relax. 

"Da quant'è che corri?" gli chiede Greg, un tizio presentatogli dalla ragazza presentatagli da Niall, ed Harry si affretta a scuotere la testa: "No, no, accompagno soltanto un amico. È la mia prima volta qui."

Greg fa un sorrisetto, prende un sorso della propria birra e "Capisco" fa, con l'aria di chi la sa lunga, "Ti piacerà."

Harry viene distratto, ad un certo punto, dall'apparizione di una faccia conosciuta, alle spalle di Greg. La segue con lo sguardo per accertarsi di aver visto bene ed a momenti non gli viene un colpo secco.

In jeans larghi, felpa extra large e berretto con visiera, Liam Payne stringe mani e regala i suoi sorrisi perfetti e poco sentiti. Sembra così diverso, così fuori contesto, ed Harry è talmente sorpreso che dimentica per qualche istante quale in effetti sia, il contesto. C'è Liam Payne ad una corsa clandestina. Harry biascica uno "Scusami" probabilmente un po' brusco a Greg e, sperando, distratto, che non se la sia presa, sgomita tra la gente per raggiungerlo. 

Quando Liam lo vede, la sorpresa sembra cogliere anche lui e dipingere per un istante i suoi occhi inespressivi.

"Che ci fai qui?" gli chiede.

"Stavo per chiederti lo stesso."

Liam non risponde, sembra soppesarlo. Di colpo nella mente di Harry affiorano tre domande: lo dirà a Louis? Louis sa che lui è qui? Verrò licenziato?

Optando per la nonchalance, Harry fa spallucce: "Mi ha portato Niall."

Liam alza gli occhi al cielo, con un mezzo sorriso tra il divertito e il rassegnato. Non sembra sia sul punto di licenziarlo.

"Be', sarebbe carino se mantenessi una certa riservatezza riguardo questa cosa" gli dice, e forse no, Louis non sa che è qui.

Ha un segreto in comune con Liam Payne, adesso. Qualcosa di illegale di cui forse Louis Tomlinson non deve sapere. 

Cos'è diventata la mia vita?

Harry riflette su cosa potrebbe pensare Louis di lui se in qualche modo lo venisse davvero a sapere, ma è solo per un millesimo di secondo, il tempo di realizzare che probabilmente non gli importerebbe. Che cazzo ci fa Harry lì, in effetti? E se dovesse finire nei casini? Dovrebbe sul serio smetterla di seguire le persone simpatiche ovunque. E se lo arrestassero?

Liam sembra notare la preoccupazione nei suoi occhi, perché gli rivolge un sorriso bonario e: "Tranquillo" fa, "Finché nessuno si fa male non avremo problemi."

"E capita spesso che qualcuno si faccia male?"

Il suono assordante di una trombetta ad aria, di quelle che si usano negli stadi e le successive urla dei presenti, privano Harry del piacere di una risposta.

Liam gli indica la schiera di macchine e lui annuisce, lasciandolo andare.

La gente si disperde. Alcuni entrano nelle auto, che vengono allineate sul ciglio della strada, ed è tutto così in stile Fast and Furious che Harry fa quasi fatica a crederci. Ci sono auto di tutti i tipi, Mercedes, Porsche, ma Harry non fa in tempo a vederle tutte, e si chiede se Niall abbia controllato la Lamborghini di Louis a questo scopo. Si chiede se sia Liam a guidarla, e di nuovo se Louis lo sappia, se gli importi. Magari ci ha scommesso dei soldi, magari è per questo che è d'accordo.

Come in un terribile cliché, una ragazza poco vestita abbassa una bandana nel bel mezzo della strada, e le auto cominciano a sfrecciarle intorno. Harry sente le grida di giubilo di quelli rimasti ai lati, sente gente gridare dei nomi, come una sorta di tifo, inutile dal momento che le persone nelle macchine non lo sentiranno, ma in qualche modo eccitato, coinvolgente. Harry si fa spazio tra la gente per arrivare davanti, con una visuale decente della corsa. Fa in tempo a vedere la Lamborghini sfrecciare davanti alle altre, il flusso d'aria provocato dal passaggio delle auto che lo colpisce in faccia e gli fa salire il cuore in gola. Si alzano dei cori, a un certo punto, troppo rumorosi e confusi perché Harry possa capirne le parole. Quando qualcuno gli passa una canna, si ritrova ad accettarla sorridendo, qualsiasi preoccupazione dissolta tra i fumi dei motori.

Quando Niall lo raggiunge, gli passa un braccio intorno alle spalle, anche lui sorridente e con un filtro tra le labbra.

"Be'? Che ne pensi?" gli chiede, urlando per farsi sentire sopra le grida e il rumore dei motori.

"Sembra pericoloso." Deve star sorridendo, perché Niall annuisce, eccitato: "Se vuoi ti procuro una macchina e ti metto in lista."

Harry ride, tutto sommato considerando la sua proposta.

"Come funziona il percorso?" 

 

"Il giro dura all'incirca quindici minuti" fa Niall, prima di indicare con un cenno della mano il lato opposto della strada, dove un ragazzo decisamente su di giri tiene tra le mani una bandiera a scacchi dall'aspetto consunto: "Si parte e si taglia il traguardo nello stesso punto."

"Non posso credere che mi hai portato ad una corsa clandestina, Niall" dichiara allora Harry, quasi riflettendo ad alta voce. "E non posso credere di aver appena visto Liam."

Niall ride come se la sua ultima affermazione fosse esilarante: "E' uno dei più forti qui."

 

Da allora il tempo comincia a scorrere più velocemente. Harry fuma e beve qualsiasi cosa gli venga passata, e qualcuno mette su della musica e sono tutti lì, cinquanta, sessanta persone sul ciglio di una strada a cantare, gridare, baciarsi. L'eccitazione rende l'aria densa ed Harry ride anche quando qualcosa non fa ridere, canta con gli altri anche quando non conosce le parole.

 

Incredibilmente, l'urlo di Niall è il più forte di tutti, quando la Lamborghini taglia per prima il traguardo, seguita a breve distanza da una Porche grigio metallizzato. La folla si accalca per raggiungere il punto in cui le auto sono arrivate, metri e metri oltre il traguardo, ed Harry segue Niall in prima fila. Quest'ultimo ride, gettando la testa all'indietro, alla vista della Lamborghini che disegna cerchi sull'asfalto in segno di vittoria, come un calciatore dopo un goal. O una versione Transformer di un calciatore.

"Bastardo vanitoso" fa Niall, ed il sorriso di Harry si altera un po', quando vede Liam Payne uscire dalla Porsche, accolto da pacche sulle spalle e con i capelli spettinati. Arrivano a destinazione altre macchine, ma Harry neanche le nota, e a quanto pare neanche la folla, che continua a gridare quello che Harry distingue essere "Tommo! Tommo! Tommo!" come un mantra.

L'automobile vincente si ferma, e il sangue di Harry gli si gela nelle vene, quando vede uscirne Louis. 

 

Lo perde di vista dopo pochi secondi, perché la folla si accalca verso di lui ed Harry non la segue, rimanendo al suo posto insieme a pochi altri. Non aveva neanche considerato la vaga idea che Louis potesse partecipare ad una cosa del genere. Non riguardava neanche lo status sociale della sua famiglia: Harry aveva conosciuto abbastanza persone ricche da non illudersi che fossero tutte uguali e conformi agli stereotipi, ma Louis. Con la sua carriera universitaria brillante, il suo fare da perfetto santone triste con un possibile problema con la droga.

Amy, la ragazza vestita di pelle rossa di prima, lo riscuote con una gomitata: "Qualcosa non va?" gli chiede, ispezionando la sua espressione con aria preoccupata, "Hai fumato troppo?"

Harry scuote la testa: "No, no. Sto bene."

Non ha fumato troppo, ma ha decisamente fumato, ed è probabilmente questo che gli suggerisce che potrebbe essere una buona idea chiedere ad Amy cosa sappia riguardo Louis, giusto così, per sapere cosa possa pensare questa gente di lui e del fatto che ha letteralmente talmente tanti soldi da potersi comprare la casa di ognuno di loro. Non è carino come pensiero, Harry è pronto a riconoscerlo, ed a conti fatti non ha niente contro le persone ricche, né alcun particolare interesse nei loro confronti, ma vuole quasi disperatamente sapere di Louis. 

"Chi è il tizio che ha vinto?" chiede, perciò.

"Mi pare si chiami Louis. È una specie di leggenda qui perché vince tipo ogni volta e non si prende mai i soldi della vincita. O forse era Lewis. O forse no. Sono un po' una sega con i nomi."

"E come mai non li prende?"

"Non ne ho idea. Probabilmente non gli servono. Hai visto la macchina che si tira dietro? Dicono sia davvero sua."

Ad Harry viene quasi da ridere.

"Lo conosci?"

"No."

"Perché ti sta fissando."

Harry si volta di scatto. E, be', Louis è di nuovo in vista e, sì, lo sta fissando. Dalla sua nuova posizione, seduto sul fottuto tettino della Lamborghini, a fianco ad un altro paio di persone che Harry non si degna di guardare. Non abbassa lo sguardo quando Harry incrocia il suo. Ha le sopracciglia leggermente aggrottate in un'aria confusa che non gli ha mai visto addosso. Si fissano per un lungo, intenso momento. Lungo abbastanza, che Amy si congeda con una risatina. È una tipa a posto, decide Harry.

Louis fa un cenno con la mano nella sua direzione, come a chiedergli di aspettare, prima di voltarsi a dire qualcosa al suo stuolo di fan. Ed Harry aspetta, con la calma di chi per una volta è in vantaggio. In quale gioco, non sarebbe in grado di dirlo.

Impiega un sacco di tempo a raggiungerlo. Harry si sta girando un'altra canna, quando lo sente arrivare.

 

"Ehi" gli dice, e non suona scontento di vederlo. Il suo tono è quasi privo di inclinazione, a dire il vero. Harry alza gli occhi su di lui e china il viso per leccare la cartina, mantenendo il contatto visivo. È diverso, rispetto al solito. Indossa un paio di jeans neri e strappati ed una felpa rossa. I capelli non sono tirati indietro, ma sistemati in una sorta di ciuffo disordinato che non ha alcun diritto di stargli così bene. Nota che anche Louis lo sta squadrando, con un mezzo sorriso, ed Harry non riesce mai a capirlo, ma forse è proprio questo il loro gioco.

Chiude la canna, sospira: "Ehi."

Louis indica un punto del muretto al suo fianco: "Posso?" e di colpo sono di nuovo a casa di Louis, sulla panchina di marmo sotto il portico. Harry annuisce, ma non ha intenzione di fare domande inopportune, né di farsi trattare da cani, questa volta.

E quando Louis si siede la sua espressione non cambia, ma Harry in qualche modo sa che sta pensando alla stessa cosa.

"Non mi aspettavo di vederti qui" gli dice.

Harry sbuffa una risata: "Fidati, nemmeno io. Hai da accendere?"

Louis sorride, mentre gli porge lo stesso zippo d'argento di ieri. Harry vede per la prima volta le sue iniziali incise nel metallo e non riesce a fare a meno di alzare gli occhi al cielo. 

Louis lo nota: "E' un regalo di mio padre" fa, come per giustificarsi, ma non c'è animosità nelle sue parole. "Suppongo di doverti chiedere scusa per ieri."

"Non devi fare niente, Louis. Non ho bisogno delle tue scuse, se ti senti in dovere di farmele."

Louis sembra colpito. O confuso, Harry non ne è troppo sicuro.

"Voglio chiederti scusa per ieri, allora."

"Stai cercando di compiacermi? Perché non funziona così-"

"Sto cercando di chiederti scusa, Harry, cazzo. Non rendermelo più difficile di quanto già non sia, per favore."

Per favore. Harry tace.

"Anche se ti stavi immischiando in fatti che non ti riguardano, non avrei dovuto risponderti in quel modo-"

"Mi piace come ci tieni a puntualizzare la mia parte di colpa mentre ti stai scusando."

Louis alza le sopracciglia con fare canzonatorio ed il suo tono è quasi affabile, quando: "Siamo un po' orgogliosi, eh?" dice.

"Senti chi parla."

"Hai ragione, scusa."

Harry scuote la testa, la mente un po' annebbiata: "Basta con le scuse. Va bene così."

Prende un altro tiro e poi gli passa la canna come un'offerta di pace. Louis la accetta. Il silenzio che cade allora è rilassato, per niente imbarazzante. Per Harry, almeno. Louis è imperscrutabile come al solito. È lui il primo a romperlo.

"Vai parecchio d'accordo con Niall, eh?" gli chiede e quando Harry si volta verso di lui lo vede guardare lontano, al gruppo di persone sempre meno numeroso. Non saprebbe dire secondo quale logica, ma non suona come una domanda di cortesia. Harry vuole chiedergli cosa gliene importi, perché. Non lo fa.

"Non che sia difficile. Persino tu vai d'accordo con Niall" dice invece, con leggerezza.

Louis sbuffa una risata: "E tu che ne sai di cosa penso degli altri?"

Harry suo malgrado si trova ad annuire, ma è con tono carico di ironia e melodramma, che "Hai ragione. Forse mi piace pensare che non vai d'accordo con nessuno per convincermi che non sono solo io" fa.

Louis non sembra voler rispondere, inizialmente, ed Harry per un attimo teme che l'abbia preso eccessivamente sul serio. Lo vede prendersi il suo tempo per riprendere la canna e aspirarvi un tiro, sempre impassibile, sempre senza guardarlo. Alla fine risponde, però.

"Ci sono persone con cui vado meno d'accordo che con te."

Per qualche motivo quell'affermazione colpisce Harry, nel suo stato mentale non esattamente lucido, più di quanto dovrebbe.

"Dovremmo tornare dagli altri" gli dice, e Louis annuisce.

 

 

I joined the club and it's all on
There are fights for being my best friend
And the girls get their claws out
There's something about hanging out with the wicked kids

 

Trovano Liam e Niall vicino alla Lamborghini. Niall in qualche modo è finito al volante.

"C'è una festa a casa di Danielle" fa Liam, sorridente: "Vieni anche tu, Harry?"

Niall "Certo che viene. Ormai è uno di noi. Vero, Lou?"

Tutti gli sguardi si spostano su Louis, che alza gli occhi al cielo, ma sembra divertito. Guarda Harry, quando risponde.

"Suppongo di sì."

 

Harry sgrana gli occhi. Gli altri non sembrano particolarmente impressionati, né paiono far caso al suo momento di crisi interiore. Niall si scansa per lasciare la Lamborghini a Louis, e lui e Liam si congedano con un indirizzo.

"Beh," fa Harry a Niall, rimasti soli: "andiamo" e fa per raggiungere l'Audi parcheggiata. Niall gli tira una gomitata appena è alla distanza adatta, con un ghigno da un orecchio ad un altro.

"Suppongo di sì, eh?"

"Già. Che risposta del cazzo, vero?" 




 

//////////////

 

NdA:

Prendo atto di tutte le inaccuratezze presenti per quanto riguarda i riferimenti a luoghi e situazioni reali: Of leather and gold è un'opera di fantasia che in nessun modo pretende di essere completamente realistica e verosimile. 

Spero però che il capitolo vi sia piaciuto :)

In caso aveste voglia di contattarmi, farmi domande, incitarmi ad aggiornare, o semplicemente parlare un po’ della bellezza esponenziale di Louis Tomlinson, mi trovate su Tumblr, Twitter e Facebook.
Ciao ♡

 

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Capitolo 4
*** White teeth teens ***


4. White teeth teens
 
We wouldn't be seen dead here in the day, yeah
I guess you're lucky that it's dark now
And if I like it then we'll stay
Impress the empress, take a shot now
 

Louis Tomlinson è possibilmente destinato al successo. Il suo nome, la sua casa, le sue conoscenze, l’orologio che porta al polso, non sono altro che opportunità. Louis Tomlinson è nato in un mondo perfettamente proporzionato al palmo della sua mano, una pallina da golf che può rigirarsi tra le dita, un mero accessorio per la sua grandezza. Tutto è possibile per Louis; ogni strada gli si spiana di fronte dritta ed in attesa di una sua pigra alzata di spalle ed un suo primo disinteressato passo verso un obiettivo qualunque.

La solitudine è solo un possibile effetto collaterale. Ai Tomlinson è stato insegnato che se non c’è nessuno che ti invita nel suo castello, tu te ne costruisci uno. Louis ha il castello e pure la possibilità di darlo per scontato. 

Potrebbe lasciare gli studi, se lo volesse. Potrebbe rovinarsi la reputazione, farsi arrestare, correre a trecentodieci chilometri orari su una macchina sportiva e non temere niente, neanche la morte.

Louis è un gigante in un mondo troppo piccolo per darvi valore.

A volte è difficile crederci. Quando l’adrenalina finisce e le pacche sulle spalle diventano fastidiose, le risate assordanti. Allora Louis sceglie la prima stanza vuota che trova, per trovare un po’ di silenzio, per odiarsi un po’ in pace. A volte porta con sé qualcuno e fa finta che la solitudine sia solo intimità.

Anche adesso non è solo. La luce è troppo forte nella stanza, l’emicrania lo costringe a tenere gli occhi chiusi, e Louis più che vederlo riesce a sentirlo, ovunque intorno a sé. Lo precede il suo profumo, quello forte di Gucci per cui Louis lo prendeva sempre in giro. Sente le sue labbra sfiorargli l’orecchio, il suo respiro solleticargli il collo e, quando parla, la sua voce è quella di sempre, l’accento inglese sporcato dai soldi dell’East Side, il tono un po’ canzonatorio, un po’ adorante. Louis tiene le palpebre sigillate.

“Abbiamo troppe cose in sospeso” sussurra Zayn. Ed è vero. Louis accoglie le sue parole con un sospiro di sollievo, sente le proprie, di labbra, distendersi in un sorriso. Risolveranno anche questo. Zayn e Louis sono così, loro risolvono tutto. Louis improvvisamente si vede dall’esterno, si vede camminare svelto, con le mani in tasca, incazzato, di ritorno dalla villa dei Malik. Si vede trattenersi dall’urlare, dal prendere a calci i sassi sul selciato, giusto così, come valvola di sfogo. I Tomlinson non si scompongono.

Ma adesso è diverso. Adesso lui e Zayn risolveranno tutto, come sempre.
 

Quando apre gli occhi, la stanza è buia. Gli fa male la testa, e non riesce a mettere a fuoco niente per la mancanza di luce, così comincia a tastare con le mani il lembo di materasso al suo fianco.

“Zayn?” chiama. E c’è solo silenzio a rispondergli. Non ci sono odori a parte il copriletto pulito ed il fumo che gli si è impregnato nei vestiti. Non c’è nessuno. Si porta le dita all’orecchio destro, quello contro cui ha sentito la voce del suo migliore amico così distinta, così vera, chiedendosi distrattamente cosa pensa di ottenere. È freddo, un normalissimo orecchio.

Si tira su a fatica e sente la nausea rigirargli le viscere. Non ricorda neanche di essersi addormentato. Probabilmente era solo un’allucinazione. Può definirsi allucinazione, se avevi gli occhi chiusi? Può essere un sogno, se non stavi dormendo? Le gambe gli tremano, quando si alza. Accende la prima luce che trova, si avvicina allo specchio per soppesarsi. Gli ha sanguinato il naso. Ci passa sotto la manica della felpa sperando, senza troppa enfasi o interesse, senza neanche controllare, di non aver sporcato le coperte di Danielle. Dovrebbe smetterla di tirare cocaina. I capelli sono un casino, gli occhi vitrei, circondati da occhiaie scure. Gli piace guardarsi allo specchio, quando sa di ritrovare questo. Non il Louis delle giornate all’università o delle strette di mani importanti. Gli piace vedere quanto è facile buttarsi via.

“Sembri un fantasma” gli ricorda ancora nella sua testa la voce apprensiva di sua madre, quel poco che rimane della sua coscienza. Un’altra persona che manca. Ridacchia tra sé, come un completo idiota, imbarazzato dai propri stessi pensieri, finché il peso sullo stomaco si allevia un po’.

Si volta, dando le spalle alla superficie riflettente, e tira fuori il cellulare dalla tasca posteriore dei jeans. Scrolla l’elenco dei contatti preferiti con aria assente. Non vuole parlare con Liam o Niall, non se la sente di avere a che fare con qualcuno che gli voglia bene. Eleanor e gli altri sono da escludere a meno che non si cerchi sesso o droga, e Louis ha avuto abbastanza di entrambi, per stasera. Preme il pollice contro il contatto di ‘Harry autista’ senza concedersi tempo per pensarci bene.

Risponde al secondo squillo.

“Louis?” La sua voce sembra lontana, un po’ soffocata dalla musica. Louis si pente quasi immediatamente di averlo chiamato.

“Ehi. Sei con Liam e Niall?”

“No, sono andati a cercare Danielle, penso vogliano andare via. Vuoi che te li cerchi?”

“No, no, lascia stare” si affretta a rispondere, per poi azzardare: “Aspettami fuori, ti raggiungo.”

Per qualche motivo immagina un secco No come risposta, perché all’effettivo sarebbe esattamente ciò che Louis stesso si risponderebbe, ma Harry deve essere molto annoiato o molto confuso, e si limita ad un “Perché?” atono.

“Che vuol dire perché?”

“Perché vuoi uscire fuori?”

Louis si stringe la radice del naso tra il pollice e l’indice, chiudendo gli occhi, e mette su il suo miglior tono beffardo: “Per fumare? Cos’è, hai paura che ti uccida? Se non vuoi uscire vado per conto mio-“

“No, no, esco” lo interrompe Harry.

“Bene.”

“Bene.”

“Arrivo.”

“Bene.”

Louis sbuffa: “Sei ubriaco o ti sei rotto?”

“Un pochino.”

Non fa in tempo a chiedergli quale delle due cose, che la linea cade.
 

 Lo trova in giardino, seduto a terra sull’erba umida, con la fronte poggiata sulle proprie ginocchia. I suoi arti sono evidentemente troppo lunghi perché una posa del genere sia efficace, ma in qualche modo c’è una certa grazia nella linea delle sue cosce lunghe, nel collo pallido e teso che emerge dal colletto della sua camicia da cinquantenne ad un barbecue. Louis è quasi affascinato.

“Hai delle gambe lunghissime” gli dice, perché evidentemente non è un buon momento per quella questione annosa del pensare prima di parlare: “Tipo una rana.”

Harry solleva lo sguardo su di lui. Ha gli occhi lucidi e le guance arrossate. Sorride, mostrando un paio di fossette: “Una rana?”

Louis gli si siede affianco, ma non tira fuori le sigarette. “Hanno le zampe lunghe, no?”

“Tanti animali hanno le zampe lunghe, perché una rana?”

Louis fa spallucce: “Perché no?”

“Non riesco a inquadrarti” dichiara Harry, ed è la classica frase a cui Louis non saprebbe come rispondere, perciò è quasi sollevato quando lo vede portarsi una mano alla fronte e corrucciarsi.

“Ti senti bene?” 

“No. Tu?”

Ci pensa un attimo, prima di rispondere: “No.”

Harry torna a guardarlo. Apre la bocca per dire qualcosa, poi sembra ripensarci e cambiare idea.

“È stata fichissima, la gara” fa, semplicemente. “Complimenti per la vittoria.”

“Fa tutto la macchina.”

“Ti dona parecchio, la modestia.”

“Sei ubriaco.”

Harry abbassa gli occhi mestamente, con aria come di preoccupazione: “Scusami, è che pensavo fosse più facile tenere il passo con Niall.”

Louis non è certo di cosa si stia scusando, perciò “È un irlandese” è ciò che si limita a dire.

“Liam ha detto che può lasciare la Porche insieme alla Lamborghini da Niall e poi passarci a prendere con l’Audi” fa Harry, in una sola emissione di fiato, prima di aggrottare le sopracciglia, gli occhi rossi fissi in quelli di Louis: “O forse non era così. Sono un po’ confuso.”

Ah, la questione dell’autista. Louis se n’era quasi dimenticato. È facile dimenticarsi che Harry lavori per lui, dopo averlo visto ballare per ore con i suoi più vecchi amici. Forse perché è più giovane di qualsiasi suo dipendente. O forse è semplicemente uno che si integra bene.

“Senti-“

“Oppure possiamo aspettare un pochino, tanto mi sta già passando-“

“Harry-“

“A meno che tu non abbia fretta, certo. Possiamo-“

“Harold” fa Louis, alzando un po’ la voce, sentendosi segretamente più divertito che esasperato: “Sta’ zitto un secondo.”

Se Harry fa caso al nomignolo, non lo dà a vedere. Fa con una mano il gesto di chiudersi la bocca con una chiave. Louis alza gli occhi al cielo.

“So guidare, in caso non l’avessi notato” si concede una nota di compiacimento nel tono della voce, giusto per rimanere nel personaggio, per restare comodo. “Lasciamo la Lamborghini da Niall. Liam prende la Porche, io guido l’Audi. Tu fai quello che ti pare. La domenica è il tuo giorno libero, dopotutto.”

Prevedibilmente, il giochetto della chiave non funziona: “Sono le tre del mattino, non è più domenica.”

“Ti piace trovare problemi pure dove non ce ne sono?”

L’arrivo di Niall e Liam gli risparmia una risposta. Louis li sente blaterare e cerca di concentrarsi sull’aria fresca per sentirsi un po’ meno uno schifo, visto che deve guidare. L’ha fatto in condizioni peggiori, ma domani ha due ore di diritto urbanistico ed un qualche pranzo sociale del cazzo con suo padre, quindi per quanto sarebbe il momento più conveniente per finire all’ospedale, non sarebbe certo quello più propizio.

“Eh, Tommo?”

Si riscuote, alza gli occhi verso gli altri. “Eh?”

“Andiamo?”

Louis accetta la mano che Liam gli porge, ci si fa leva per sollevarsi da terra.

“Andiamo.”

Raggiungono il parcheggio e Louis impiega qualche secondo per spiegare a Niall e Liam la situazione delle macchine, poi decidono tutti di camminare in prossimità della Lamborghini e della Porche, parcheggiate vicine, prima che Louis raggiunga l’Audi poco distante. Liam e Niall cominciano a raccontare alcuni degli eventi apparentemente straordinari della serata appena trascorsa, con il contributo sbiascicato di Harry.

“E tu dove sei sparito, Lou?”

“Perché, ti sono mancato?” chiede lui, ed è un modo convincente e leggero di evitare la domanda, non come il fallimentare tentativo di Liam, che si finge occupato con la portiera della Porche per qualche balzana ragione. Finisce col sembrare solo un cretino, visto che l’auto ha la chiusura centralizzata e non è verosimile impiegare più di mezzo secondo per premere il pulsante di un telecomando.

“Sei a posto per guidare?” gli domanda, il tono così carico di sottintesi che se Louis non lo conoscesse direbbe che lo sta facendo di proposito.

“Non sono ubriaco.”

Niall, visibilmente stanco, gli dà una pacca sulla spalla e va a sedersi al posto del guidatore della Lamborghini. Harry, visibilmente ubriaco, rimane fermo dov’è.

“Sei stato via parecchio” fa Liam, con tono secco, passivo-aggressivo, e Louis ormai è abituato ad avere questi picchi di fastidio nei suoi confronti, ma al momento avrebbe comunque voglia di sbattergli la testa contro la portiera. Si sforza di rispondere con calma: “Ero a scopare.”

Non è completamente vero, ma non è neanche proprio una bugia. Si è imbattuto in Danny mentre vagava per il piano superiore e si è lasciato fare un pompino veloce nel bagno. Non è stato sicuramente questo ad averlo trattenuto.

Liam non sembra comunque trovare altro da dire.

“Principesse, io vado” annuncia Niall, attraverso il finestrino abbassato. Harry corre letteralmente a baciarlo sulle guance, sotto lo sguardo affettuoso e sorridente di Liam.

“Tommo, stronzo, non sparire.”

Louis annuisce e “Ciao, Boo. Guida piano” fa, facendoli ridere.

“Harry, con chi torni?”

“Col cavallo vincente, Liam, che domande.”

Louis ne è genuinamente sorpreso, ed il suo sguardo incontra quello di Harry, che chiede, come conferma: “Va bene?”

“Sì.”

Salgono in macchina e si congedano con Liam con un breve lampeggiare di fari. Louis lascia che Harry smanetti con lo stereo mentre lui esce dal parcheggio con una manovra disinvolta. Harry interrompe lo zapping sulle note di Hey There Delilah dei Plain White T’s ed a Louis, suo malgrado, scappa un involontario verso di sofferenza.

“Che c’è?” chiede Harry, “è un gran classico.”

“Brutti ricordi.”

Il suo tono si fa serio: “Vuoi che cambi?”

“No, è una cosa stupida. Tipo sei anni fa ho deciso di partecipare a una sorta di provino di canto, a scuola. L’ho completamente rovinata.”

“Davvero?”

“Mutilata e uccisa. Non l’ascolto d’allora.”

Harry sembra essere lieto per questa informazione: “Dimmi che ci sono testimonianze filmiche.”

“Ho fatto distruggere ogni prova.”

“Non ci credo.”

“Che ho fatto distruggere le prove o che ho cantato Hey There Delilah ad un provino?”

“Forse entrambe.”

“Perché?” chiede Louis, ed è quasi incerto di volerlo sapere.

“Perché sembri così… serio e composto, e questa sembra una cosa poco seria e composta da fare” parla cautamente, come se temesse di farlo arrabbiare, e per qualche ragione un accenno di rammarico si fa strada nello stomaco di Louis.

“Ero giovane.”

“Lo sei ancora.”

Eppure Louis si sente un centenario. Sarebbe facile smettere di rispondere, lasciare che la conversazione muoia, ma ha bisogno di qualcosa che lo distragga dal mal di testa.

“Portavo le bretelle, ai tempi.”

Harry scoppia a ridere e Louis, mentre svolta senza freccia per immettersi sulla superstrada, lo vede con la coda dell’occhio portarsi una mano alla bocca, in un gesto quasi timido.

“Io i papillon” ammette: “Tempi bui.”

“Ew.”

“Li mettevo sempre al posto della cravatta, con la divisa della Winchester.”

Louis si volta di scatto a guardarlo: “Andavi alla Winchester?”

“Sì.”

Quella Winchester?”

Harry sorride divertito: “Quella, sì.”

“Hai perso un po’ l’accento inglese.”

“Il tuo invece è forte e chiaro.”

“Hai avuto una borsa di studio?”

“No.”

Louis non sa assolutamente nulla su Harry, salvo il fatto che è una sorta di nomade, ma sa che per entrare alla Winchester bisogna essere notevolmente abbienti, oltre che estremamente dotati.

“E poi che è successo?” gli chiede, senza neanche pensarci, e per un attimo teme che Harry possa prendere le sue parole nel modo sbagliato e si affretta a pensare a qualcosa da aggiungere, ma lui fa solo spallucce, si scosta i capelli da davanti alla fronte.

“Poi me ne sono andato di casa.”

Il suo tono è come conclusivo, e Louis non chiede altro. Non saprebbe dire per quale motivo dovrebbe essere una rivelazione sconvolgente, non vuole che lo sia, ma da che ha memoria Louis è sempre stato ricco, ha sempre avuto amici ricchi, e non ha mai contemplato l’idea di poter rinunciare a ciò che ha, al punto da non credere neanche che fosse possibile.

Hey There Delilah lascia il posto ad un pezzo che neanche Harry sembra conoscere, e Louis si concede un po’ di tempo per pensare ai suoi anni in Inghilterra, a vivere con sua madre senza neanche un quarto di ciò che possiede adesso. Non riesce a ricordare, per quanto si sforzi.

“Ti prego, di’ qualcosa” fa Harry, ad un certo punto, a voce bassa, l’ombra di un sorriso nelle sue parole.

E Louis non ha niente di interessante o di particolare da dire, perciò con gli occhi fissi sulla strada ed il tono di voce casuale: “Ti va se acceleriamo un po’?” chiede.

“Sei serio?”

Louis si volta di nuovo a guardarlo. È già girato verso di lui, ha le sopracciglia sollevate, ma sta ancora sorridendo. Lui non risponde, semplicemente preme un po’ di più il piede sull’acceleratore, non abbastanza da permettere all’Audi di slittare in avanti, ma abbastanza affinché si senta il rombo del motore, come una promessa.

Vede Harry muoversi per allacciarsi la cintura di sicurezza.

“Ok.”

“Ok?”

“Sì.”

“Non sembri molto sicuro.”

“Vai, prima che ci ripensi.”

Louis sorride, cambia marcia, e va.
 


If you want we'll help tonight to split his schemes
Give the bruises out like gifts
You'll get the picture of your dreams
I won't be smiling but the notes from my admirers
Fill my dashboard just the same
 

 
“Dici che l’abbiamo presa, quell’autovelox?”

Harry si sente ancora come se gli mancasse il respiro. Hanno spalancato i finestrini a discapito dell’aria gelida, perché Louis ha detto che sarebbe stato più bello col vento in faccia. Aveva ragione.

“Probabilmente” gli risponde, e suona un po’ senza fiato anche lui. Hanno rallentato, in prossimità di casa, superata l’ultima superstrada. Harry fissa il profilo sorridente di Louis e gli sembra così strano e così giusto allo stesso tempo.

È ancora piuttosto ubriaco.

“Ti è piaciuto?”

Hanno raggiunto casa Tomlinson, e Louis si volta a guardarlo nell’attesa che i cancelli si aprano. Harry vede con la coda dell’occhio la T dorata e vorrebbe dire qualcosa, ma non sa cosa.

“Un casino.”

Il tono di voce di Louis è compiaciuto: “Sulla Lambo è un’altra cosa.”

Varcano i cancelli in silenzio. Il selciato sul viale scuote leggermente la macchina, ed Harry tiene gli occhi chiusi finché non la sente fermarsi.

Louis si è messo una sigaretta tra le labbra, lo guarda con espressione indecifrabile.

“Grazie” fa Harry, mentre esce dall’auto facendo particolare attenzione a non inciampare e morire. Louis, come sempre logorroico, annuisce senza dire niente.

 
Nella dependance, Harry recupera il cellulare dalla tasca dei jeans e si ritrova a guardarlo per qualche secondo, un po’ diffidente, un po’ rapito, prima di riporlo con delicatezza sul comodino, tra le bottiglie di acqua vuote ed un paio di libri. Fa a stento in tempo a spogliarsi, prima di mettersi a russare, con lo sfrecciare dei lampioni ed il rumore del vento ancora in testa.
 

***
 
La prima volta che Harry e Louis si scambiano un sms, è Harry a cominciare, ironia della sorte. Succede precisamente la mattina dopo la festa di Danielle, quando apre gli occhi con la raggelante consapevolezza di essersi dimenticato di mettere la sveglia. Questo è il primo pensiero di senso compiuto che la sua mente assonnata riesce ad articolare, quando recupera con un grugnito le coperte per infilarci sotto i propri piedi ghiacciati. Si solleva di scatto malgrado tutto, salvo prendersi qualche istante per fare i conti con le vertigini che seguono il movimento brusco. Quando dà un’occhiata disperata alla radiosveglia e vede brillare un minacciosissimo 9:56 in led rosso, si butta dal letto come se fosse in fiamme.

È piuttosto rapido a prendere atto del fatto che Louis lo ucciderà, e corre a fare pipì sorprendentemente disposto a lasciarglielo fare. C’è un forte margine di possibilità che Louis possa non meritarsi niente, in generale, ma Harry sa di essere nel torto, perciò si lava i denti in 0.3 secondi, si infila i vestiti sporchi della sera prima e va a cercare Liam.

Lo trova sotto il portico. Indossa gli occhiali da sole, ed ha tra le mani quello che sembra essere il New York Times. Lo abbassa per guardarsi intorno, evidentemente sentendo l’ansimare di Harry anche ai dieci metri di distanza che li separano.  

“Buongiorno” gli fa, quando Harry lo raggiunge.

“Buongiorno. Sono in ritardo.”

Liam sorride deliziato: “Oh, lo so.”

“Potevi svegliarmi.”

“Ho un sacco di cose da fare, stamattina.”

“Stai leggendo il giornale” gli fa notare Harry. Liam lo guarda come se non capisse il suo punto.

“Louis è a casa?”

“No, suo padre ha mandato una macchina a prenderlo un paio d’ore fa.”

Cazzo. “Sono licenziato?”

Liam si solleva gli occhiali sulla fronte: “No? È stato Louis a decidere di non chiamarti. Ha detto che ti avrebbe lasciato riposare.”

Harry sgrana gli occhi, incerto su cosa fare di questa informazione.

“Avete dei problemi di comunicazione, comunque” è ciò che dichiara Liam, per poi prendere il suo New York Times e rientrare in casa, lasciando Harry solo con la propria piccola e probabilmente immotivata crisi.

Il Primo Sms
viene inviato in queste circostanze, poco dopo.
 
Avresti dovuto svegliarmi, è ciò che scrive Harry, mentre si versa i cereali nella tazza della colazione. Fa in tempo a finire di mangiarli prima che arrivi la risposta.

Non “devo” fare niente, in realtà.

E ok, Harry non può neanche dire di essere sorpreso. A caval donato non si guarda in bocca, però, quindi si limita a digitare un casuale “Posso venire a prenderti da qualche parte più tardi?” mentre ripone il cucchiaio appena lavato nel cassetto delle posate, tutto sommato divertito.

No.

Prenditi il giorno libero.


Non è certo di cosa potrebbe farci, con un giorno libero. Sicuro?

Sì, tanto non torno prima di stanotte.

Allora buona giornata :) 
 

Louis, prevedibilmente, smette di rispondere.
 
 
***
 
I’ll let you in on something big
I’m not a white teeth teen
I tried to join, but never did
The way they are the way they seem
It’s something else, it’s in the blood

 
“San Francisco.”

Harry prende un sorso del proprio Margarita, si lecca via il sale dalle labbra: “Ci sono già stato.”

“Sei stato dappertutto, non è un fattore di scelta” sbuffa Taylor, le mani strette attorno alla sua tisana. Harry ha smesso di fare commenti a riguardo un paio d’ore fa. È ancora difficile.

“Ci sono stato anch’io, e ci ritornerei.”

“Non lo so, Ed.”

In realtà la decisione è già presa. Lo sa Harry, per cui un posto vale l’altro finché c’è compagnia; lo sa Taylor, che ha troppo tempo tra le mani e troppo cervello per starsene a casa di sua zia, nel Queens. Ed ha un contratto discografico tra le mani e la smania di libertà gli accende gli occhi. Lui lo sa più di tutti.

“Dai, l’ultima avventura prima che me ne vada a ‘fanculo.”

Harry alza gli occhi al cielo, divertito: “Dio, quanto sei tragico.”

Non ha bisogno di essere convinto, ma lascia che Ed ci provi lo stesso, perché gli piace starlo a sentire sempre, ma specialmente quando è così emozionato.

“Ci pendiamo un appartamento a Castro” propone, con una mano sull’avambraccio di Harry, “un mio amico ha un ristorante in zona, posso trovarvi un lavoro.”

Harry incontra lo sguardo di Taylor, che sta sorridendo.

È la parte che preferisce: la scelta, le proposte, le possibilità.

“Castro, eh?”

“Castro.”

Finge di pensarci su per tirarla per le lunghe, finisce il Margarita e controlla il cellulare per l’orario o per, che so, un sms di Louis. È ora di andare via e l’unica notifica è un messaggio whatsapp di Nick, l’emoji di una melanzana.

“Ok” dichiara, alla fine.

Taylor batte le mani, Ed scoppia a ridere: “Ok?”

“Appena ho finito dai Tomlinson.”

Ne conseguono le loro grida di giubilo, un abbraccio da parte di Taylor. Lei ed Ed sono amici d’infanzia, le prime persone che Harry ha conosciuto arrivato in America. Condividere una casa ed un altro pezzetto di vita con loro gli sembra sensato, se non entusiasmante.

Ne parlano finché non è ora di salutarsi. Harry continua a pensarci anche in macchina, di ritorno alla villa, si chiede se Niall si unirebbe a loro. Probabilmente no. Ha una vita piena a Brooklyn, un lavoro, degli amici, una ragazza. Magari, però, Ed e Taylor gli piacerebbero. Dovrebbe presentarli.

Impiega poco a tornare alla villa, perché quando Ed ha proposto di uscire, Harry ha accettato a patto che non facessero troppo tardi e che fosse un pub vicino, per compensare la giornata di lavoro saltata con un po’ di autodisciplina.

Ferma la macchina davanti al cancello, come sempre, in un gesto che è quasi diventato automatico, ma quando fa per sporgersi dal finestrino per suonare il citofono, vede un’altra auto accostarsi al posteriore dell’Audi. Harry assottiglia lo sguardo per assicurarsi che quello che vede attraverso lo specchietto laterale sia effettivamente un cavallino rampante e non un’allucinazione dovuta alla scarsa illuminazione. Chiunque sia alla guida spegne i fari e le portiere rimangono chiuse.

Harry è momentaneamente incerto sul da farsi. Potrebbe essere che Louis è tornato prima, o che sia suo padre, oppure Louis e suo padre insieme in una combinazione fatale e spiacevole, perché Harry lavora alla villa da quasi un mese e non ha mai conosciuto il Signor Tomlinson, né muore dalla voglia di farlo ora. Esce dalla macchina, però, per farsi vedere ed eventualmente annunciarsi.

Appena lo fa, succedono due cose. Primo, la posizione migliore gli rivela che sì, l’auto bianca e meravigliosa che vede è effettivamente una Ferrari. Secondo, ne esce l’essere umano più attraente su cui Harry abbia posato gli occhi in ventun anni di vita. Senza esagerazioni.

È vestito di nero, ha i capelli rasati corti ad esporre completamente gli angoli perfetti del suo viso, e gli si sta avvicinando.

“Ehi” fa, fermandosi a poca distanza, con qualcosa di bianco tra le mani: “sai se Louis è in casa?”

Non è formale né cortese, ma Harry non riesce a farci troppo caso. Cerca di darsi un contegno.

“Non credo, mi spiace. Dovrebbe esserci più tardi.”

Il tipo sospira, abbassa gli occhi sull’oggetto che tiene in mano. Sembra una lettera, o una busta.

“Peccato” dice soltanto, come a sé stesso.

“Volevi lasciargli qualcosa?” Harry sceglie con cura le proprie parole, cercando di non risultare indiscreto: “C’è la buca per le lettere, o posso chiedere al maggiordomo di prenderla.”  

Il tizio si riscuote, lo guarda. “Tu chi saresti, scusami?”

“Harry. L’autista.”

Quello sorride come se fosse divertente, ed è un sorriso così perfetto che Harry è in stato di shock.

“Ok, Harry l’autista. Digli solo che sono passato, ok?”

Lui appoggia con un gomito al muro adiacente al cancello, in un modo che spera sia fico ed attraente e non goffo come se lo sente addosso: “Chi sarebbe passato, esattamente?”

Il tizio riapre la portiera della Ferrari, prima di rispondere. “Zayn.”
 

Oh, cazzo. 




 
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NdA
In caso non lo si fosse notato, tutti i capitoli di OLAG prendono il titolo da canzoni dell’album Pure Heroine di Lorde, che ascoltavo ininterrottamente nel periodo in cui ho plottato questa storia. Quindi parecchio tempo fa, sì, perché poi è arrivato Melodrama a cambiarmi la vita XD
Oggi voglio anche prendermi un attimo per ringraziare Manu, la mia compagna di malefatte e di ansia sociale, che mi beta e sopporta il mio deplorevole e francamente ridicolo frignare. XD Love you, bitch.
Come sempre, spero che il capitolo vi sia piaciuto e che vi vada di farmi sapere che ne pensate :3
In caso aveste voglia di contattarmi, farmi domande, o sclerare insieme per il fatto che su Mystic Messenger la route di V costa trecento clessidre, mi trovate su Tumblr ; Twitter ; e Facebook.
Ciao ♡
 
 

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