~ M i s s M a n a g e r

di whitecoffee
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** ~ P r o l o g u e ***
Capitolo 2: *** I. New Life ***
Capitolo 3: *** II. New Rules ***
Capitolo 4: *** III. New People ***
Capitolo 5: *** IV. New Truths ***
Capitolo 6: *** V. Same Awkwardness ***
Capitolo 7: *** VI. Same Bad Choices ***
Capitolo 8: *** VII. Same Strength ***



Capitolo 1
*** ~ P r o l o g u e ***




P r o l o g u e

“The irony of life is that those who wear masks often tell us more truths than those with open faces.” 
Marie Lu, The Rose Society




 

Los Angeles, ore 17.45, 28 agosto 2018
 
 

«Hyung! Ho bisogno di te!»
«No, JungKook, sei senza vestiti!»
Mi voltai, sorseggiando il mio bubble tea in pace. Pessima idea. Perché Jeon JungKook stava correndo verso di me, indossando solamente un paio di aderenti Calvin Klein, armato del suo sorriso da coniglietto e l’espressione entusiasta da eterno maknae. La bevanda mi andò di traverso, mentre iniziai a tossire, girando la testa per non guardarlo. Nello stesso momento, dalla porta della stanza numero 13, apparve Kim TaeHyung, brandendo il suo choker lungo, riservandomi uno sguardo malizioso.
«Olivia, dove scappi? Avrei delle cose da farti prov… oh, ehilà, Kookie» lo salutò, con voce strozzata, nascondendo il choker e trattenendo una risata.
«Chi è Olivia? Una escort?» Chiese JiMin, sporgendo il capo dalla camera dove il maknae fosse appena corso via. Sbarrai gli occhi, lanciandogli un’occhiata sconvolta. Escort? E quante volte avevo detto a quel testa di rapa di non chiamarmi in quel modo, davanti agli altri? Udii il rumore di un’altra porta che si apriva e pregai che si trattasse di un qualsiasi altro cliente dell’albergo.
«Hyung» risatina. «Mi faresti uno dei tuoi discorsetti motivazionali prima di andare in scena? Pleaseu» intervenne anche HoSeok, giungendo le mani e frapponendosi fra TaeHyung e me.
«Ehm…» cincischiai, sentendomi mancare l’aria. Perché anche lui era, immancabilmente, a torso nudo? Credevo che ci avrei fatto l’abitudine, ma la verità è che non ti abitui mai.
«MinSoo, mi avevi promesso dieci minuti» aggiunse NamJoon, appoggiandosi allo stipite della porta e lanciandomi un occhiolino. Ah maledetto. Me l’avrebbe pagata, dopo.
«Manager hyung, ho fame!» Si lagnò SeokJin dalla sua stanza. «Cosa posso trovare, nel mini frigo?»
Il mio cervello, avrei voluto dirgli. Ma mi trattenni, incapace di produrre una frase sensata. Avevano deciso di accerchiarmi tutti quanti, prima dell’esibizione ai VMA? Volevano farmi perdere il lume della ragione ad una sola ora dallo show? Ci stavano riuscendo alla grande. Tuttavia, non feci in tempo a rispondere a nessuno, che sentii tirarmi il polso da una mano gelida, costringendomi a spostarmi contro la mia volontà.
«YoonGi hyung, c’eravamo prima noi, per MinSoo hyung!» Protestò JungKook.
«Baciami il culo» gli rispose il moro, levando un medio con la mano libera, non accennando a volermi lasciar andare. La mia voglia di piangere salì ai massimi storici, mentre sentivo chiunque chiamarmi in un modo o nell’altro, e l’unica cosa che fossi in grado di fare, era seguire il rapper come un cagnolino. Il quale esibiva un sorrisetto soddisfatto, al di sotto di quella pesante frangia corvina e l’aria stoica. Da quando aveva ammesso di sapere che fossi una ragazza, pareva divertirsi un mondo a bullizzarmi. Onestamente, gli unici a non averlo ancora capito, erano JiMin e JungKook, i quali erano fermamente convinti che io fossi un ragazzo. Ma andiamo con ordine.
Vi starete chiedendo come abbia fatto io, Sim Olivia, a trovarmi in questa situazione, fingendomi uomo per diventare il manager dei Bangtan Sonyeondan? Beh, è una storia lunga. Vi consiglio di sedervi e mettervi comodi, perché ci sarà molto, da raccontare. E ho tutta l’impressione che, quelle che per me saranno tragedie, per voi diventeranno irresistibili commedie. I miei occhi hanno visto cose che neanche le più accanite e fantasiose fan artists e fan writers sono mai state in grado di creare. Ho asciugato molte lacrime e regalato ossigeno a grandi risate, in parti uguali. Ho trovato sette delle più importanti persone della mia vita, sebbene uno solo di loro abbia il primato sugli altri. Ma questa è un’altra storia, ne parleremo più avanti.
Intanto, lasciate che vi narri come Sim Olivia è diventata Lee MinSoo e di come la protagonista del video di 21st Century Girl sia dovuta essere in due luoghi e identità contemporaneamente. Sì, è tutto parecchio confusionario, lo so bene. Perciò, vi conviene prestare molta attenzione e non perdere neanche un dettaglio. Siete pronti? E andiamo.



 



 


#Yah!: eccoci al mio primo inedito, dopo parecchi mesi di revisione di altre opere e di pausa dalla scrittura. Devo dire, che l'idea di scrivere questa storia c'era già da molto tempo, ne parlai anche su Wattpad. Beh, ho deciso di darmi da fare e quindi eccola qui! Premetto che è scritta soprattutto per divertire, non avrà molte pretese. Avevo tutta l'intenzione di renderla il corrispettivo scritto di un drama, poi mi direte se sono riuscita nel mio intento. Per adesso, questo è solo il prologo, il primo vero e proprio capitolo devo ancora pubblicarlo.
Ci tengo a dire che tutti gli eventi hanno luogo poco dopo l'uscita di Wings, quindi alcune cose rimarranno come sono già accadute, mentre altre le cambierò per mie esigenze. La protagonista è per metà americana, ecco spiegato il nome poco "coreano". E sì, sa un sacco di cliché (lo è, ovviamente), ma, come ormai sa chi mi conosce, io li adoro. E adoro ancora di più stravolgerli. Ve ne accorgerete. Bene, penso che per questa storia io abbia detto tutto.
Fatemi sapere se vi ha incuriosito o se proprio non vi è piaciuta, insomma, qualsiasi cosa. Giuro che non mordo (non ancora).
Alla prossima! (?)

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Capitolo 2
*** I. New Life ***


 

 track 01.  ► N e w   L i f e



“Masked, I advance.” 
René Déscartes



 
 

Dobondong-do, ore 15.30, 13 marzo 2017
 
 

La mia vita faceva schifo. E non si trattava di un qualche tipo di lamentazione a sfondo emo o avveniristico. Lo pensavo sul serio. Mi rigirai sul divano, coprendomi la faccia con la borsa dell’acqua calda. A ventidue anni suonati, vivevo ancora con mia cugina YooNa, tirando avanti come meglio potevo. Non avevo neanche un talento. Non sapevo cantare, scrivere o disegnare; non ero brava negli sports e neanche in matematica. L’unica disciplina che mi veniva facile, era imparare e parlare una nuova lingua, ma perché ero partita avvantaggiata a causa del mio bilinguismo. Studiavo lettere classiche all’università, senza avere una vera e propria certezza del perché mi fossi iscritta a quel corso di laurea, piuttosto che un altro. La mia vita sociale si riduceva al minimo, quando decidevo di voler guardare drama fino a tardi, o di aver bisogno di una maratona Netflix. Tutti i miei amici avevano già una vaga idea di quel che avrebbero fatto, una volta compiuti trent’anni. Io, invece, non ero in grado neanche di organizzarmi l’outfit per il giorno dopo. Okay, più che schifo, la mia vita era un disastro. Già meglio. I miei genitori vivevano negli States, ed avevano insistito affinché io avessi completato gli studi in Corea del Sud, poiché giudicavano i metodi d’apprendimento locali come più completi ed efficienti. Per carità, nulla da eccepire. L’unico vero problema, era che non riuscivo a brillare in nulla, perché non mi sembrava di trovare niente che mi facesse sentire realizzata. Ah, no, una cosa c’era.
Ero una fan sfegatata del kpop. Se avessi investito le stesse energie che mettevo nel supportare i miei gruppi, nello studio, probabilmente a quest’ora sarei premio Nobel. O almeno, era ciò che mia cugina mi ripeteva sempre. Ma andiamo con ordine.
Io non ero una qualsiasi fan occasionale che adorava la musica. Ero parte attiva dei fandoms. Sapete, quando di sera aprite Tumblr e cercate tutta quella robaccia sulle ship, i fake subs o le teorie per i mv? Perfetto. In mezzo alla spazzatura varia, c’ero anche io, che leggevo e piangevo. O ridevo, a seconda di ciò che mi capitasse sotto gli occhi. Al momento, il gruppo che stavo seguendo di più, era quello dei Bangtan Sonyeondan. Mi piacevano i loro testi, la loro casa discografica non li spremeva come limoni e, parliamoci chiaro, erano sette dei greci. E, indovinate un po’? Mia cugina YooNa lavorava come loro truccatrice. Alla Big Hit, già. Vi starete chiedendo come io non abbia fatto, ad approfittare di questo elefantiaco colpo di fortuna? Beh, lasciatemi dire che ci ho provato. Ma una ragazza di un metro e sessanta, dall’aspetto non propriamente ordinario e i tratti del volto sincretici fra oriente ed occidente, non passava inosservata. Lì dentro, soprattutto per quanto riguardasse il personale femminile, valevano regole ferree. Dovevano essere tutte già trentenni e sposate o in una relazione, per poter lavorare lì. E non importava quanto io avessi implorato anche solo di farmi lavare i pavimenti, non aveva funzionato.
Quindi, ero ancora da YooNa, sul divano a passare un’altra giornata inutile. All’università, avevo già dato tutti gli esami della sessione e i corsi non sarebbero ricominciati che ad Aprile. Ero ufficialmente in vacanza per un mese intero. Sarei stata alla disperata ricerca di un lavoro, ma a quanto pareva, nessuno aveva bisogno di cameriere, babysitters o bartenders, ultimamente. Fortunatamente, avendo lavorato per tutto l’inverno al centro commerciale di Seoul, avevo messo abbastanza soldi da parte, per non pesare economicamente sulle spalle di mia cugina. Tuttavia, rimanere ogni giorno a casa a non far niente, era davvero debilitante. Avevo già visto almeno due volte tutte le stagioni di Sex and The City, film compresi, e cominciato la nuova serie tv di Hilary Duff, “Younger”. Non stava uscendo nuova musica ed ero in pari con tutti i drama e le bands che seguivo. Non avevo, letteralmente, nulla da fare. Mia cugina mi aveva comprato l’edizione integrale della Ricerca del Tempo Perduto, ma a star dietro a Swann per troppe ore, poi ci lasciavo anche io il cervello. Avevo pure concluso tutte le fanfictions che avevo lasciato in sospeso. Davvero, non c’era mansione che non avessi completato. Ero talmente disperata, che avevo cominciato ad imparare le coreografie di quei pochi girl group che mi piacessero. Sapevo Boombayah a memoria, avrei potuto esibirmi nelle piazze.
«Okay Liv, la tua vita sta per cambiare» esclamò mia cugina, aprendo la porta d’ingresso e fiondandosi dentro di gran carriera. Non aspettandomi né lei, né la sua voce, a quell’ora, sobbalzai e caddi dal divano, urlando per il dolore della collisione con il pavimento. Ecco. Visto? Il momento prima ci si chiede se tutto abbia senso, quello dopo vostra cugina vi fa un agguato da lavoro, spalancando usci neanche fosse l’imperatore Kuzco. Boom, baby.
«YooNa, porca putt…»
«Tieni a freno il tuo repertorio da scaricatore di porto e guarda qua» m’interruppe, lanciandomi un oggetto di plastica addosso, mentre si dirigeva in cucina, in gran ticchettare di tacchi a spillo. Osservai quel che mi parve un badge, con tanto di cordino per appenderlo al collo, firmato “Big Hit Entertainment”. Che diamine…?
«Non capisco» le dissi, guardandola riapparire in soggiorno. Ella si gettò i lunghi capelli biondi alle spalle e si accovacciò alla mia altezza, posandomi entrambe le mani sulle spalle. YooNa era una gran bella donna, nel fiore dei suoi trent’anni. Sapeva come valorizzare i suoi tratti orientali senza apparire volgare né banale e poi aveva un ottimo gusto nel vestire. Mia madre, quando voleva sminuirmi, mi diceva sempre che non sarei mai stata come lei. E aveva ragione. Io vestivo con larghe felpe, jeans strappati e Vans. Mi truccavo impiegando fin troppo eyeliner e spesso e volentieri mi tingevo i capelli di colori strani. L’eleganza e la femminilità di YooNa erano mondi lontani anni luce, dal mio. E ne ero perfettamente consapevole. Ecco perché non me la prendevo mai più di tanto, quando le nostre differenze emergevano. Come in quel momento, per esempio. Lei indossava un impeccabile tailleur rosso e nero, abbinato a delle décolleté con poco tacco, ineccepibile. Io indossavo la vecchia felpa degli EXO, con il nome di Park ChanYeol sulle spalle e un paio di shorts slargati dai colori assurdi, uniti a dei calzettoni bianchi alti fino al ginocchio. Per non parlare dei capelli, i quali avevano ancora le punte blu, per il mio ultimo esperimento con le tinte.
«A te piacciono i BTS, vero?» Mi chiese lei, sorridendo. Annuii. «E faresti di tutto, pur di lavorare alla Big Hit, no?»
«YooNa, cos’hai combinato?» Le domandai, sollevando un sopracciglio. Allora, lei m’indicò il badge con un cenno del capo.
«Bang PD-nim ha appena assunto un aiuto manager che abbia più o meno l’età dei ragazzi, affinché possa comprendere meglio i loro bisogni ed assicurare loro un’esperienza più umana di popolarità» spiegò. Wow. E quindi? «Il punto è che questo qui è uno sfigato patentato, un idiota. E, Liv, il lavoro è così adatto per te, che… non ho resistito».
«YooNa…»
«Gli ho preso il badge e anche i documenti. Dovrai solo fingere di essere lui e tutto andrà bene. Nessuno si accorgerà della differenza, ci sarò anche io lì con te, andrà tutto bene».
Il mio cervello staccò la connessione a “documenti”. Mia cugina aveva preso l’identità a quel tizio… per farmi lavorare con i BTS? Era folle. Impossibile. Non riuscivo nemmeno a tradurlo in pensieri di senso compiuto. Erano solo vaghe immagini, che galleggiavano molle sulla superficie dei miei ricordi. Non poteva essere.
«Non abbiamo molto tempo, Liv. Dobbiamo andare a comprare dei vestiti da uomo e una parrucca decente, perché domani comincerai a lavorare con i ragazzi» m’intimò YooNa, prendendomi per un braccio ed aiutandomi a sollevarmi dal pavimento.
«YooNa, smettila di scherzare» commentai, avvertendo un leggero senso di nausea. Improvvisamente, sentii un dolore alla testa, segno che lei mi avesse appena colpita con la mano. Ouch.
«Sveglia! Io non scherzo mai, sul lavoro!» Esclamò. «Ti ho davvero procurato questa roba e faremo meglio a sbrigarci, perché se tu ti facessi vedere in major entro stasera, sarebbe cosa buona e giusta».
«Ma… non ha senso! Dov’è ora questo ragazzo? Come hai fatto a prendergli i documenti?» Chiesi, mentre lei mi spingeva verso l’ingresso, aiutandomi ad indossare le Vans prima di uscire.
«Ubriaco, in uno dei camerini inutilizzati dei ragazzi. Dovrebbe essere anche mezzo nudo e coperto di fiori, con almeno due bottiglie di Yamazaki vuote in braccio. Ho inscenato una piccola festicciola di benvenuto insieme alle altre truccatrici, che sono d’accordo con me per farti lavorare lì. Sono tutte madri di figli maschi, quindi non devi aver paura che svendano il tuo segreto. Mi hanno praticamente cresciuta, sono persone fidate» raccontò, sistemandosi i capelli ed aprendo la porta. «Con tutto quello che ha bevuto, è probabile che non si sveglierà fino a domattina. Dai, Liv, sbrigati. Ma lo vuoi o no, questo lavoro?» Mi chiese, appoggiandosi le mani sui fianchi e guardandomi con aria severa. Sembrava mia madre, quando faceva in quel modo. Mi arrotolai una ciocca castano-bluastra attorno al dito.
«Certo che lo voglio, ma… ma è legale? Si può fare?» Domandai, incerta. Sentii YooNa sbuffare, prendendomi per un braccio e sbattendomi fuori da casa sua.
«Ovvio che no. Ecco perché nessuno deve sospettare nulla. L’addetto che ha fatto il colloquio a MinSoo ha un problema nel riconoscere i volti e lui non ha ancora parlato con nessun altro. Con un po’ di fortuna, andrà tutto secondo i piani. Ti racconterò meglio in macchina, sbrighiamoci».

 

 
Gangnam-gu, ore 19.30
 

Dopo un pomeriggio in cui mia cugina mi ebbe espresso il suo piano e ciò che il mio nuovo lavoro mi avrebbe permesso di fare, ero terrorizzata. Per non parlare dello shopping. Non fraintendetemi, ero perfettamente conscia del fatto che avrei vissuto con i Bangtan per chissà quanto e che li avrei visti ogni giorno e in ogni momento della loro vita. Avrei, però, dovuto fingermi un ragazzo. Avrei dovuto indossare abiti maschili, la parrucca e perfino un binder, a causa della mia terza abbondante. Inoltre, avrei dovuto pianificare tutti gli attimi delle loro giornate, dandomi da fare affinché loro rispettassero le schedule e non rimanessero indietro sulla tabella di marcia. Avrei dovuto ricordare di rivolgermi a me stessa con il maschile e di andare nel bagno degli uomini. Inoltre, il mio nome sarebbe stato Lee MinSoo, non più Sim Olivia.
In sostanza, avrei dovuto fingere di essere qualcuno che non ero. Il tutto, perché mia cugina era convinta che quel lavoro fosse tagliato su misura per me ed era convinta che i ragazzi meritassero il meglio, per le loro vite. Ed, evidentemente, quel tizio al quale aveva sottratto badge e documenti, non aveva i requisiti necessari. Non che io mi credessi migliore di lui. Anzi, semmai era il contrario. Ma così non appariva per YooNa, la quale era arrivata a spendere una cifra esorbitante in abiti maschili, abbigliandomi come Park HyungSik in uno dei suoi drama, scegliendo solo vestiti di alta sartoria e dal taglio elegante. Perfino la parrucca, di un punto piuttosto naturale di nocciola, sembrava la vera capigliatura di un ragazzo. In macchina, mi aveva insegnato come metterla e come sistemare le forcine, di modo che non si notassero. Il binder mi stava stretto e mi comprimeva così tanto il seno, che credevo di svenire da un momento all’altro. Ma mia cugina mi disse che era normale, i primi tempi. Poi, ci avrei fatto l’abitudine.
Una cosa alla quale non avrei dovuto badare, era la postura. “Sei abbastanza uomo da non avere bisogno di altri suggerimenti”, mi aveva detto, ridacchiando. Il che era piuttosto vero, mio malgrado. Mia madre si lamentava sempre che mi sedessi come una scimmia, in barba ai precetti di femminile eleganza che si era sempre data pena d’insegnarmi.
«Allora, ripetimi come ti chiami» disse YooNa, mentre guidava verso il grande edificio della Big Hit. Erano le sette e mezzo di sera, il sole era da poco morto dietro agli alti grattacieli della metropoli, tingendo il cielo di rosso ad occidente, mentre ad oriente il nero inchiostro già mangiava il tenero azzurro del giorno. Ed io ero seduta accanto a lei, vestita da uomo di tutto punto, indossando la parrucca ed esercitandomi ad assumere un atteggiamento virile. Se mi fossi osservata allo specchio, non mi sarei riconosciuta. I miei vecchi abiti giacevano abbandonati sui sedili posteriori, in una massa informe di cotone misto. Incredibile come, fino a poche ore fa, pensassi che la mia vita fosse un inutile casino inestricabile.
«Lee MinSoo, ventidue anni, vivo a Dobondong-do e sto frequentando l’università. Ho fatto il colloquio con il signor Oh, questa mattina alle dieci. Sono stato assegnato ai Bangtan come apprendista manager. Conosco il kpop ma preferisco i girl group. Non sono gay e so parlare fluentemente almeno tre lingue: inglese, francese e coreano» elencai, sperando di non mancare alcun punto. YooNa annuì.
«Che rapporto hai, con me?» Domandò ancora.
«Nessuno. Sei la noona truccatrice che mi ha accolto in major, tutto qui» ribattei, pronta. Nel frattempo, ella svoltò, immettendosi nell’ampio parcheggio della Big Hit. Appena spense la macchina, mi posò una mano sulla spalla.
«Questa è l’occasione della tua vita, non sprecarla e non farti prendere dall’ansia. Capisco che comportarsi da ragazzo sia difficile, ma sento che un’opportunità del genere non tornerà mai più. Sono a conoscenza del punto che ciò che stiamo facendo è sbagliato, e che se qualcosa dovesse andare storto, passeremmo un sacco di guai. Ma voglio rimanere positiva. Okay?» Mi chiese, ed io annuii. Aveva ragione, vivere come un uomo era difficile, ma non impossibile. Era vero, non sapevo nulla di managerialità, ma avrei imparato. Potevo farcela. Lo sapevo. Non potevo deludere YooNa e mandare in fumo tutti i rischi che ella si fosse addossata, solo per me. Per la prima volta, nella mia vita, sentivo che sarei stata in grado di portare a termine un compito, perché ci ero tagliata e perché quella era la strada giusta per me. Okay, avevo una forte spiritualità, dovevo ammetterlo. E che c’era di male? Ai nostri giorni, ognuno poteva credere in quel che voleva. D’altronde, se davvero non ci fosse stato nessuno lassù a guardarmi, una botta di fortuna del genere, non mi sarebbe mai arrivata. Sembrava quasi un miracolo. Sentii le dita di YooNa stringersi alla mia spalla, al di sopra del tessuto del cappotto leggero.
«Si va in scena» decretò.
«E andiamo» ribattei, aprendo la portiera e scendendo dalla macchina. Ce l’avrei fatta. Avevo il mondo nel palmo della mia mano. Va bene, le mie tette erano strizzate in diverse bende ed un maledetto binder che non mi faceva respirare, ma potevo andare avanti. Mulan aveva salvato la Cina, fingendosi un uomo. Io avrei saputo gestire sette giovani adulti problematici. Vai, Liv. È la tua partita, e la giocherai al meglio. Lo sappiamo entrambe. Presi un gran respiro e seguii mia cugina nell’edificio. Non si tornava più indietro.




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Capitolo 3
*** II. New Rules ***


 track 02.  ► N e w   R u l e s



“I believe in my mask-- The man I made up is me
I believe in my dance-- And my destiny” 

Sam Shepard




 

Gangnam-gu, ore 20.00
 
 
Non ce l’avrei mai fatta. Appena ebbi messo piede in major, facendo scivolare il mio badge di fronte all’apposito dispositivo, fui braccata da un paio di omaccioni in divisa. Erano alti come gorilla, indossavano gli occhiali da sole in piena sera e i loro completi mi facevano pensare a Man in Black. Ecco, sono venuti a sbattermi in galera, pensai, mentre già non respiravo più e loro mi attorniavano. Con la coda dell’occhio, scorsi YooNa lanciarmi uno sguardo perplesso. Così, finiva la mia breve ma intensa esperienza con i Bangtan. Senza neanche un sorriso da parte di JungKook, o uno sguardo da TaeHyung. Ed io che avrei voluto discutere di libri con NamJoon…
«Sei Lee MinSoo?» Chiese uno di loro, con una forte voce baritonale. Mi limitai ad annuire, mandando giù un groppo di saliva che minacciava di tornare rapidamente su, unito al gelato che avessi preso quel pomeriggio insieme a mia cugina. L’uomo si limitò ad osservarmi per qualche istante, poi infilò la mano nella giacca. Strinsi gli occhi ed abbassai la testa, immaginandolo tirare fuori una pistola, per poi puntarmela alla testa come in una puntata di Criminal Minds. Invece, udii un semplice “pssst”, che mi fece sollevare una sola palpebra, incerta. Il gorilla stava sorridendo e mi tendeva una foto in primo piano di Jung HoSeok. Aprii anche l’altro occhio, stringendo le dita sull’immagine, senza capire. L’altro uomo ridacchiava.
«Mia figlia è fan di Hobi-ssi» disse quello, parlando a bassa voce. «Anche se, per noi è impossibile, avvicinarli. Mi domandavo se tu, avendo a che fare con loro, non potessi…» e lasciò cadere la frase, in maniera piuttosto eloquente. Il mio cuore iniziò lentamente a recuperare un ritmo stabile, mentre mi sentivo così sollevata che sarei potuta crollare a sedere da un momento all’altro. Annuii, sorridendo affabilmente.
«Certo, nessun problema» risposi e li vidi inchinarsi formalmente un paio di volte, prima di rivolgermi un cenno e girare sui tacchi. Rimasi lì ferma a guardarli tornare alle loro mansioni, camminando con passo marziale e le schiene diritte. E chi se lo sarebbe mai aspettato? Lanciai un’occhiata alla fotografia nella mia mano. HoSeok era impeccabile come sempre, armato del suo sorrisetto che sapeva di sole, l’espressione rilassata e i capelli scuri in ordine. Potevo permettermi di pensare che, da lì a poco, li avrei visti sul serio? E che non sarebbe stato un fansign del quale, dopo, non avrebbero neanche ricordato il mio volto? Eppure, una volta, scrissi una lettera così particolare per TaeHyung, da ridurlo in lacrime. Mi chiesi se ce l’avesse ancora e se ci pensasse, ogni tanto. Probabilmente no.
Sospirai ed infilai l’immagine nella tasca posteriore del jeans, guardandomi attorno. Dove sarei dovuta andare? Cosa avrei dovuto fare? Non potevo rimanere lì ferma per ore, mi avrebbero dato della stramba. Tuttavia, non feci in tempo a muovere un altro passo, che sentii un altro corpo scontrarsi contro il mio, a giudicare dal tonfo che avvertii contro le spalle. Mi voltai di scatto e lì mi paralizzai.
Dall’alto del suo metro e settanta, cappellino nero calcato in testa ed immancabile giacchetta di jeans, Min YoonGi mi riservava uno sguardo scontroso come quelli che regalava a chiunque osasse svegliarlo. Dal vivo, era ancora più esile e pallido che dalle foto, per non parlare dell’odore di menta che si portasse dietro. Le fanfictions non mentivano, allora. Lo vidi farmi un cenno con il capo, senza neanche sfilarsi la cuffietta.
«Cazzo fai, fermo in mezzo all’atrio?» Mi apostrofò, tradendo un accento mal soppresso di Daegu, per poi superarmi scuotendo la testa. Battei le palpebre, in shock. Agust D mi aveva parlato. Avevo sentito il suo turpiloquio senza alcun bip di censura ad oscurare la parolaccia. Mi portai una mano al cuore. Lui non era il mio bias, ma avevo sempre covato un’attrazione particolare, per quella noncuranza e sfacciataggine accidiosa che esibiva come una targhetta appesa al collo. Forse perché pensavo che, caratterialmente, mi fosse affine, chissà. Stava di fatto, che quelle poche parole mi avessero turbata così tanto, che ebbi l’impulso di andare a piangere da YooNa, dicendole che non sarei mai stata in grado di vivere insieme a quei sette, senza rischiare di farmi internare in manicomio dopo i primi dieci minuti.
«Chiudi quella bocca e ricomponiti, era solo YoonGi-ah. Non aveva neanche il trucco ed era vestito con gli abiti da training. Non puoi reagire in questo modo per così poco, Liv» mi rimbeccò YooNa, comparendo magicamente al mio fianco e sibilandomi quelle dolci parole di conforto a mezza bocca. Battei le palpebre ed annuii, cercando di non perdermi d’animo. Anche se, l’immagine di quell’incontro continuava a ripetersi in loop nel retro del mio cervello, all’infinito.
«Che devo fare, adesso?» Le chiesi, provando ad ignorare il pappagallino dalla pelle di zucchero che sfilava e ripassava sulla passerella degli occhi della mente.
«Saliamo su dal signor Oh, di modo che visualizzi il tuo volto» rispose, avviandosi verso l’altro lato dell’atrio, nella stessa direzione in cui era scomparso YoonGi. La seguii, guardandomi attorno come fossi stata Alice a Wonderland. L’interno dell’edificio aveva un’aria così futuristica ed ordinata, con un tripudio di superfici rettilinee e dai tagli puliti, gran dispendio di acciaio ed intonaco bianco. Gli impiegati che avevo incrociato, da che avessi messo piede lì dentro, avevano esibito tutti delle espressioni tranquille e rilassate; come se fare quel lavoro piacesse loro abbastanza, da non sentirsi sottopressione nello svolgere svariate mansioni. Non si respirava aria tesa, in quello stabile, e ciò mi sconvolse. Avevo sempre mantenuto un’idea poco carina delle majors, quasi come se fossero state una sorta di bunker-fabbrica, in cui segregavano gli idols e li calpestavano, affinché facessero tutto ciò che veniva loro ordinato. Un po’ come alla SM, su. Eppure, la Big Hit non aveva nulla, dell’oscuro antro delle torture che mi ero prefigurata in tutti quegli anni di fruizione dell’industria del kpop. Per la verità, l’unico che aveva fatto mostra di vibrazioni negative, era stato YoonGi. Ma pensai che dovesse essere piuttosto normale, considerato il soggetto. Perfino per le scale, si sentiva un vago sentore rilassante di sandalo, ed intuii che qualcuna delle addette alle pulizie aveva dovuto fare largo uso del deodorante per ambienti. Niente male, davvero. Proprio un bel posto, in cui lavorare.
YooNa salì l’ultimo gradino ed attese che la raggiungessi. Dal pianerottolo, si stendeva un lungo corridoio che connetteva alcune stanze, sia a destra che a sinistra. Il pavimento in parquet rifletteva la luce al neon in più punti, mentre alle pareti color crema erano appesi diverse cornici dal poco spessore. Deglutii nuovamente. Quelli dovevano essere gli uffici dei pezzi grossi, o comunque la parte amministrativa dell’intera baracca. Mi passai un dito nel colletto della camicia, allargandolo un po’. Iniziavo a sentire una certa pressione.
«Il signor Oh è nella terza porta a destra, partendo dal fondo. Bussa educatamente e fatti vedere. Chiedi se ha bisogno di qualsiasi cosa e ricordagli di essere Lee MinSoo. Va’» disse mia cugina, spingendomi gentilmente nel corridoio. Barcollai fino alla prima porta e mi voltai indietro, incerta. YooNa mi osservava, mordendosi l’unghia del mignolo. Agitò nuovamente la mano libera, intimandomi di fare come mi aveva detto. Presi un gran respiro. Dai, Liv. Sei arrivata fino a qui. Non puoi fartela addosso e scappare via piangendo. Non è il liceo, questa è la tua vita. Armata di una risoluzione fragile come un foglio di vetro, camminai fino allo studio del signor Oh e, dopo aver indugiato qualche istante con le nocche a mezz’aria, bussai. L’uomo mi rispose quasi subito, scandendo un “avanti”. Aprii la porta, sporgendo il capo oltre l’infisso.
«Signor Oh?» Chiesi, cercando di suonare più maschio e virile che potessi, sebbene non fossi poi così sicura di essere riuscita nell’intento. L’uomo, un cinquantenne dall’aspetto distinto e un’incipiente calvizie, sollevò la testa dai suoi documenti, riservandomi un’occhiata critica da sopra i suoi occhiali da lettura. Rughe di espressione solcavano il suo viso, incidendo la pelle olivastra attorno ai lati della bocca e degli occhi, relegandolo senza scampo alla mezza età. Tuttavia, non sembrava né cattivo, né aggressivo e la cosa mi rincuorò. Provai a sorridergli. «Sono Lee MinSoo… l’apprendista manager» gli ricordai, augurandomi di non suonare finta come il trucco di CL.
«Ah, sì, il nuovo arrivato» disse lui, annuendo con sicurezza. «Come ti stai trovando, qui da noi?» Domandò, affabile. Che razza di domanda? Che avrei dovuto rispondergli? “Benissimo, infatti fino a tre ore fa ero comodamente sdraiata sul divano di casa mia. Lo sa che sono una ragazza? Mi auguro di finire in doccia con Jeon JungKook”. No, Liv. Il tuo ultimate è Kim TaeHyung. Non puoi sbavare sul maknae, non è sano. Tieni gli ormoni a freno. Solo perché non hai un ragazzo da più di tre anni, questo non ti da’ il diritto di circuire gli idols. No. Serietà. Fa’ l’uomo.
«Meravigliosamente!» Esclamai, forse con un po’ troppa verve. «C’è proprio una bella atmosfera, qui».
«Vero? È il nostro vanto. Nelle altre majors si respira oppressione, ed è l’ultima cosa che noi vorremmo. Questo posto dovrebbe essere una seconda casa, per i nostri dipendenti. Pertanto, deve regnare l’armonia, così saranno tutti felici di lavorarci» mi spiegò, esponendomi il suo punto di vista. Annuii, non sapendo come ribattere ad un discorso simile. «Hai già conosciuto i ragazzi?» Mi chiese, poi.
«Uhm…» l’immagine di YoonGi mi attraversò la mente. «No. Non direi».
«Aspetta, fammi fare una telefonata» disse, sollevando una mano ed alzando la cornetta del ricevitore all’estremità destra della sua scrivania. Ne approfittai per lanciare un’occhiata al suo studio, ma ne rimasi piuttosto delusa. Non c’era ombra di personalizzazione, eccezion fatta per qualche libro stipato qui e lì, alcuni riconoscimenti appesi alle pareti e un solo disegno fatto da un bambino, al centro del muro alle sue spalle. Mi appoggiai allo stipite con la spalla, sospirando piano. Ero davvero io, lì nell’ufficio di un pezzo importante della Big Hit, che ascoltavo una telefonata del mio superiore, in attesa di lavorare con i BTS? Era tutto vero? Oppure il binder mi aveva finalmente spedito nell’incoscienza, e stavo vivendo i miei sogni da fanwriter?
«Sì, è qui… penso che sarebbe un’idea carina, fargli conoscere i ragazzi… dar loro modo di abituarsi alla sua presenza. Sì. Sì, sembra un tipo apposto… … va bene, gli dirò di aspettarti sul pianerottolo» e con quelle parole, riagganciò. Stava forse parlando di me? «Il manager Kang sta venendo a prenderti per presentarti ai Bangtan, puoi attenderlo sul pianerottolo» m’informò, ed io battei le palpebre, attonita, per alcuni secondi.
«Ah… oh… figo» esclamai, senza neanche pensarci. Poi, mi coprii la bocca con la mano, sbarrando gli occhi. «Volevo dire… interessante!…» Ma le risate del signor Oh interruppero la mia gaffe. Lo vidi scuotere la testa.
«Sta’ tranquillo, sei giovane. È il motivo per cui ti abbiamo assunto, d’altronde. Sento che andrete tutti d’accordo» commentò ed io gli sorrisi come meglio potei, mentre mi inchinavo prima di chiudere la porta. Ottimo, Liv. Sei qui da soli dieci minuti e già hai fatto la tua prima figuraccia. Way to go. M’incamminai verso il pianerottolo, dove YooNa stava smanettando con il suo cellulare. Appena mi vide, mise via il dispositivo.
«Allora?» Chiese, impaziente. Mi strinsi nelle spalle.
«Il manager Kang mi sta venendo a prendere, vogliono che conosca i ragazzi» le riferii e lei mi abbracciò, reprimendo un urlo di trionfo.
«Lo sapevo, che questo era il lavoro adatto a te» aggiunse, a mezza voce. Poi, mi sistemò rapidamente la parrucca, spostandomi qualche ciuffo dalla fronte. «Adesso vado. Sarebbe meglio se nessuno ci vedesse, insieme» aggiunse. Ma non feci in tempo a rispondere, che udimmo un urlo femminile provenire dal piano di sopra.
«Che diamine…?» Si chiese YooNa, ed entrambe ci precipitammo su per le scale. La scena che si prospettò ai nostri occhi, aveva dell’impagabile. Fermo in corridoio, stava quello che avrebbe dovuto essere il vero Lee MinSoo, impegnato a nascondersi le mutande dagli occhi esterni con una delle due bottiglie vuote di Yamazaki che mia cugina gli aveva lasciato in dotazione. Qui e lì, sulla pelle eburnea, spiccavano segni di rossetto e disegnini stupidi fatti con il lucidalabbra. Aveva i capelli in disordine e l’aria da cervo abbagliato dai fanali di una macchina. Alcune donne, che intuii dovessero essere amiche di YooNa, esibivano espressioni oltraggiate ed imbarazzate, mentre altre si divertivano apertamente, additandolo ed esclamando frasi di scherno.
«Sono Lee MinSoo, l’apprendista manager! Avete dato voi questa festa, non vi ricordate?» Chiese il poveretto, provando ad appellarsi ad un minimo della clemenza che nessuna di loro possedeva. Appena vide mia cugina, si lanciò verso di lei. «Noona, sono io, non mi riconosci?» Le domandò, sorridendo. Ma ella lo fissò, senza battere ciglio. Poi, mi afferrò per un braccio e mi spinse di fronte a lui.
«Questo è Lee MinSoo. Tu chi sei?» Gli disse, gelida come il vento di Siberia. Il ragazzo mi fissò per qualche istante, senza capire. Io iniziavo a sentirmi male per lui. Non ci somigliavamo per nulla e quello era alto almeno un metro e settanta, per di più. Non avrebbe mai funzionato. Fui quasi sul punto di levarmi la parrucca, quando udii una risata fin troppo familiare provenire dalle mie spalle.
«Yah, le noone danno una festa con lo spogliarellista e non ci dicono nulla!»
Lentamente, vidi Kim TaeHyung e Park JiMin farsi strada nel corridoio. Indossavano delle tute slargate e canotte così larghe che potevo vedere gli addominali scolpiti del ballerino di Busan, uno ad uno. Mi affiancarono, senza neanche notarmi. Oh Dio. Erano così vicini, che avrei potuto toccarli con un dito. Pareva che si avviluppassero di un alone divino, una sorta di luce che apparteneva a tutte le persone del mondo dello spettacolo. Era quella vaga consapevolezza che le loro vite non sarebbero mai state come le nostre, a rendere l’aria rarefatta, attorno a loro. Quasi mi dimenticai del ragazzo di fronte a me e di tutto il dramma che stava avendo luogo per colpa mia.
«Noona, perché questo ragazzo non sta ballando?» Chiese TaeHyung a mia cugina, lanciandole la sua tipica occhiata da cucciolo confuso, che mandò il mio cuore direttamente su Marte, senza bisogno di carta d’imbarco.
«Dev’essere qualche maniaco, arrivato fin qui chissà come» ribatté lei, ridacchiando.
«Non hai il fisico dello stripper. Va’ a casa» gli disse JiMin, incrociando le braccia al petto, esibendo il sorrisetto strafottente che gli vedevo sulle labbra solo nei music video. Mi scordai di respirare.
«Questo scherzo sta durando decisamente troppo. Quante volte devo dirvelo che sono Lee MinSoo?» Ripeté il ragazzo, perdendo quella sfumatura di vago terrore che aveva mostrato all’inizio, in favore di una latente rabbia. Ma YooNa era impassibile.
«Lui è MinSoo. Smettila di rubare l’identità agli altri» gli disse, e a momenti non scoppiai a ridere. Quella era forte.
«Chi è MinSoo?» Si unì anche TaeHyung, grattandosi la testa.
«Il vostro nuovo apprendista manager» rispose mia cugina, dandomi un calcetto e spingendomi fra le braccia di JiMin, mentre trasalivo in maniera molto poco virile. Il ragazzo mi prese al volo, lanciandomi un’occhiata perplessa. Se avesse continuato a fissarmi in quel modo, probabilmente sarei scoppiata a piangere. Sentivo le sue mani stringermi le spalle, per mantenermi in equilibrio. Dal vivo era ancora più bello: i tratti del suo volto perfettamente simmetrici, la pelle olivastra priva di imperfezioni, le labbra carnose. Per non parlare dei capelli, che gli finivano negli occhi frusciando, coprendoli di quando in quando. Nessun televisore in HD avrebbe mai potuto restituirmi la bellezza di cui mi stavo beando in quel momento, stentavo a credere che tanta avvenenza potesse essere umana.
«Quanti anni hai?» Mi domandò, sollevando un sopracciglio.
«Ventidue» risposi, con voce strozzata, ricordandomi per miracolo come si facesse a parlare.
«Quanto sei alto?»
«Un metro e sessanta… cinque» mentii, iniziando ad arrossire. Lo vidi illuminarsi.
«È più basso di me» disse, quasi a se stesso e non agli altri. «L’avete sentito? È più basso!» Esclamò ancora, mentre io riacquistavo stabilità e mi passavo un dito nel colletto della camicia, a disagio.
«Wow bro!» Gli fece eco TaeHyung, battendogli un cinque alto e scambiandosi una spallata fraterna. Ero finita in uno di quei film americani da confraternita, per caso?
«Per me è okay, rimarrà per sempre?» Domandò il biondo, guardando YooNa. Ella si strinse nelle spalle, sorridendo.
«Tutto questo è impossibile, lui non è Lee MinSoo…» provò ad intromettersi il vero MinSoo, ma JiMin si frappose fra me e lui, incrociando le braccia e riservandogli un’occhiata provocativa, alzando il mento. Sembrava il video di War of Hormone. Volevo solo piangere.
«Ti sei già reso abbastanza ridicolo. Ti suggerirei di prendere quel poco di dignità che ti è rimasta, ed andare via» gli disse, impassibile. Rapidamente, gli si affiancò anche TaeHyung, sprofondando le mani nelle tasche. Eccolo, il ragazzaccio di Run e I Need U. Deglutii.
«Il nostro apprendista manager non si farebbe mai trovare in mutande nei camerini, stringendo due bottiglie di liquore vuote» disse il castano, avvicinando il suo volto a quello di MinSoo, fissandolo come un gatto che osserva un uccellino morente al di sotto del proprio artiglio.
«Cosa sta succedendo, qui?»
Ci voltammo tutti, nell’udire una nuova voce comparire dal nulla. L’uomo ad aver parlato, aveva tutta l’aria di essere un tipo importante. Indossava un dolcevita scuro, abbinato ad un paio di pantaloni di alta sartoria. Al collo, portava appeso lo stesso badge che avevo anche io, e che sarebbe dovuto spettare al ragazzo semi-nudo contro il quale si stavano scagliando tutti. Dall’espressione dura dipinta sui lineamenti del nuovo arrivato, intuii che non ci si potesse scherzare molto, con un tipo come lui. Fine dei giochi.
Con ogni probabilità, lui aveva già visto il vero MinSoo. Mi avrebbe sbattuta fuori a calci, minacciandomi di citarmi in giudizio e far spendere trilioni ai miei genitori. La mia avventura era finita. Beh, almeno Park JiMin mi aveva difesa. E gli avevo visto gli addominali dal vivo. Lauto bottino, Liv. Complimenti vivissimi.
«Manager hyung, questo pervertito dice di essere il nuovo apprendista. Però, il vero stagista è lui» rispose il ballerino, prendendomi per un polso e sollevandomi il braccio. Manager hyung. Così, quello doveva essere il signor Kang. Egli riservò un’occhiata critica all’intera situazione, in silenzio. Poi, mosse un passo verso di noi. E un altro. E un altro ancora. Chiusi gli occhi.
«Mi chiedo come tu abbia fatto, ad eludere la nostra sicurezza. Con chi ti credi di avere a che fare? Solo perché siamo un’etichetta minore, pensi di poter entrare e fare quel che ti pare? Guardati, sei indecente ed osceno. Pensi davvero che il nostro nuovo apprendista possa farsi vedere in questo modo dai ragazzi e le truccatrici? Sei un disonore per il nostro paese…» esordì, acchiappando MinSoo per un orecchio e trascinandoselo dietro, giù per la tromba delle scale, incurante delle urla di dolore del malcapitato. Rimasi ad osservare la scena con la bocca spalancata, avvertendo il rilascio di adrenalina in tutto il mio corpo. Sarebbe potuto succedere anche a me. Avrei potuto esserci io, al suo posto.
«Hey» mi disse JiMin ed io sobbalzai, nel sentire il contatto della sua mano sulla mia spalla. Mi stava toccando. Park JiMin. Di sua spontanea volontà. Ah, mi sarei ricordata di quel momento per tutta la vita. «Non preoccuparti, robe del genere non succedono spesso», spiegò, cercando di darmi coraggio. Mi stava consolando. Io avevo rubato lavoro ed identità a quello sconosciuto e lui confortava me. Oh, era troppo puro, per questo mondo.
«Peccato però» s’intromise TaeHyung. «Sono sempre divertenti. Quasi quanto le tipe impazzite che si fanno trovare nei nostri letti. Non sarebbe male che me ne lasciassero qualcun…»
«Ragazze, tornate ai vostri affari. Lo spettacolo è finito» annunciò YooNa, battendo le mani e disperdendo la folla. Poi, si rivolse ai due rappresentanti dei Bangtan. «JiMin-ah, perché non presenti MinSoo al resto dei tuoi compagni? Sono sicura che era ciò che avrebbe dovuto fare anche il signor Kang» gli suggerì e il biondo non se lo fece ripetere due volte.
«Assolutamente» confermò. «Vieni, eravamo quasi tutti in sala prove» commentò, facendomi strada al piano superiore, seguito dal suo amico, che saliva i gradini a due a due. Lanciai un’ultima, apprensiva occhiata a mia cugina e la vidi ammiccare, sollevando un pollice nella mia direzione. In cosa mi stavo imbarcando, esattamente?



 

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Capitolo 4
*** III. New People ***


 track 03.  ► N e w   P e o p l e



“Every time you name yourself, you name someone else.” 
Bertolt Brecht


 

Gangnam-gu, ore 20.40

 

La scena del vero MinSoo continuava ad apparirmi davanti agli occhi, mentre seguivo due settimi dei Bangtan su per le scale. Non avrei potuto permettermi neanche un passo falso. Abbassare la guarda, avrebbe significato la pubblica umiliazione e persecuzione legale: conoscevo fin troppo bene il modo in cui le majors si tutelavano, contro chi abusasse della loro benevolenza. Avrei dovuto prestare il triplo dell’attenzione, con i ragazzi, con i superiori e anche con le truccatrici. Sebbene YooNa mi avesse detto che c’era da fidarsi, avrei comunque fatto meglio a guardarmi le spalle.
Presa com’ero dai miei pensieri, neanche mi accorsi del fatto che JiMin si fosse voltato a guardarmi, e avesse sollevato un sopracciglio, attendendo una mia risposta. Battei le palpebre, confusa.
«Come, scusami? Potresti ripetere?» Domandai, iniziando ad arrossire. Lui ridacchiò, superando l’ultimo gradino poco dopo TaeHyung.
«Ti avevo chiesto da quanto tempo fossi arrivato alla Big Hit» disse, affabile. Il cuore mancò un battito. Cosa avrei dovuto dirgli? Ero arrivata solo quel giorno, non avevo idea di quanto tempo il vero MinSoo fosse stato lì. Ma, d’altronde, quel ragazzo era stato appena sbattuto fuori. Dipendeva tutto da me, ormai. Misi su un’espressione riflessiva, portandomi l’indice al mento.
«Uhm, questa mattina ho fatto il colloquio» mentii, basandomi sull’informazione di mia cugina. «E beh, ora sono qui».
«Aspetta che YoonGi hyung sappia che avremo un nuovo manager» commentò TaeHyung, ridacchiando. L’immagine del corvino che mi fissava ostilmente, nell’atrio, ripassò dinanzi agli occhi della mia mente. Già, aspetta che YoonGi hyung lo sappia. Deglutii.
«Non è un tipo amichevole, eh?» Tentai, raggiungendoli sul pianerottolo. Un buon odore di kimchi si diffondeva nell’ambiente, scivolando al di sotto di una porta bianca, lasciata aperta per mezzo di uno spiraglio. Al di sopra di essa, una foderina di plastica trasparente era attaccata alla superficie con dello scotch. All’interno della bustina, v’era un foglio bianco con dei caratteri stampati alla maniera occidentale. “Bulletproof Boyscouts”. Originale. Così, quello era il loro dormitorio. Mi domandai perché avessero deciso di scrivere il nome in quel modo e poi mi confusi. JiMin non aveva detto che si trovavano quasi tutti in sala prove?
«In realtà, si comporta in maniera ostile solo con chi potrebbe ridurre le sue ore di sonno» mi disse il ballerino, spingendo la porta con la sua piccola manina perfetta. Rimasi a guardare quelle dita minute, adornate da anelli in metallo sull’indice, medio e pollice, le unghie curate e l’incarnato privo di calli. Mi chiesi quanto potessero essere morbide, distrattamente.
«Quindi, ti odierà a morte» concluse TaeHyung, fingendo di darmi un pugnetto sulla spalla, amichevolmente. Emisi una risata talmente finta, che nemmeno il più grande attore cane di teatro mi avrebbe lasciata vivere in pace. Mi allargai il colletto della camicia con un dito, a disagio. Il nostro primo incontro non era stato un’esplosione di affetto e stima reciproca, anzi. E non si trattava neanche di partire con il piede sbagliato. Era un “non partire” e basta. Che gioia. Sarebbe stato facilissimo, lavorare come loro nuovo manager! Già iniziavo a pentirmene.
«Non dovevamo andare in sala prove?» Domandai, seguendoli dentro. JiMin annuì, togliendosi le ciabatte all’ingresso e procedendo in calzini lungo il corridoio. L’imitai, depositando con imbarazzo le mie piccole scarpe accanto alle loro calzature da casa, tutte visibilmente più grandi delle mie. Mi augurai che nessuno di loro ci facesse mai caso. TaeHyung aveva ovviato il problema, camminando direttamente scalzo. Stranamente, mi aspettavo esattamente un comportamento del genere.
«Sì, ma dobbiamo recuperare Jin hyung e YoonGi hyung» mi rispose il biondo. «Yah, mammina!» Chiamò poi a gran voce, alla ricerca del suo compagno di gruppo più grande. Mi guardai attorno distrattamente, notando una moltitudine di mura color crema, un parquet lucidissimo e luci calde incassate nel soffitto. Di quando in quando, un disegno fatto a matita incrociava il mio sguardo, dalla parete. Riconobbi le firme dei due giovani che mi avevano portata fin lassù, ai piedi di un ritratto di BoA e sul tetto di una casetta di campagna realizzata nello stesso stile di Van Gogh. Che particolarità. Non mi sarei mai aspettata di trovare simili decorazioni, nel loro dormitorio. Ma poi, pensai che quei poveretti dovessero passare quasi la totalità della loro esistenza, lì dentro. E che quindi valesse la pena di sistemarlo nella maniera più piacevole possibile.
Intanto, l’odore di ottima cucina era ormai diventato un’entità a sé stante, che ammaliava gli avventori come una sirena, promettendo gioia per il palato e soddisfazione per lo stomaco. Raggiunsi i due ragazzi, affiancando TaeHyung sullo stipite della porta. Trovai Kim SeokJin di spalle, intento a dilettarsi nel suo passatempo preferito: la cucina. Un ovvio, ma piacevole cliché. Se avessi scritto una fanfiction del genere, piazzandolo subito ai fornelli, i miei lettori si sarebbero fatti una risatina, roteando gli occhi. Eppure, eccolo lì, che fischiettava allegramente un motivetto a me sconosciuto, mentre rimestava il kimchi nella pentola.
«È sempre uno spettacolo, guardarlo preparare qualcosa» disse il castano, incrociando le braccia. «Si immerge completamente, come se entrasse in un mondo tutto suo. Non fa nemmeno caso a noi» aggiunse. Mi presi qualche attimo per osservarlo. Le sue spalle erano ampie come l’antica muraglia cinese, dritte e vaste quanto l’oceano. Ed io che pensavo che JungKook le avesse ancora più grandi, mi sbagliavo. Aveva il capo lievemente chinato in avanti, i lisci capelli biondicci in perfetto ordine. Indossava un maglioncino leggero beige, sopra ad un paio di jeans scuri, che fasciavano la parte inferiore del suo corpo in maniera impeccabile. L’intera scena sembrava tirata fuori da un drama, dove il male lead s’impegnava a preparare una lauta cena per la ragazza che voleva corteggiare. E invece era solo Kim SeokJin in tenuta da casa, che cucinava kimchi.
Se mai avesse deciso di intraprendere una carriera culinaria e fare programmi per la televisione, io li avrei guardati di sicuro. Ogni episodio, diligentemente. Era ipnotico vederlo muoversi attorno alle pentole, assaggiare, condire, abbassare o alzare la fiammella del gas. Una poesia anatomica di armonie in movimenti. Mi sarei premurata di filmarlo mentre si metteva ai fornelli, se fossi davvero rimasta a lavorare con loro. Il mondo aveva bisogno di bearsi dello stesso spettacolo a cui stessi assistendo anche io.
«Jin hyung, c’è qualcuno che vorremmo presentarti» disse JiMin, interrompendo il rustico idillio. Il giovane smise di fischiettare, volgendo il capo verso il biondo, che aveva acchiappato una mela, mordicchiandola seduto su uno dei ripiani liberi della cucina. Stava facendo dondolare i suoi piedini da ballerino nel vuoto, come un bimbo. Mi sentii inspiegabilmente attaccata dalla sua purezza, sebbene non avesse fatto proprio nulla, intenzionalmente.
«La tua ragazza, JiMinie? Allora esiste, ne hai una per davvero?» Chiese il più grande, incredulo. L’altro trasalì, avvampando. Si coprì il volto con la mela, oltraggiato.
«Ma che stai dicendo? Non possiamo avere fidanzate, è scritto nel contratto!» Si difese, scuotendo la testa. Ma Jin gli rivolse un sorrisetto malizioso.
«Certo» ribatté, allungando le vocali, asciugandosi le mani in quello che, notai, fosse un grembiule. Era rosa, con tanti gattini stile manga disegnati sopra. Oh, ma che carino. Avrei voluto vederci JungKook, con solo quello indoss… basta, Liv. Non è lui il tuo ultimate. Stop.
«Sul serio, hyung, è lui che devi conoscere» riprese il ballerino, indicandomi con un braccio.
«Lui chi?» Chiese Jin, voltandosi di tre quarti. Sentii TaeHyung darmi una leggera gomitata.
«Lee MinSoo, il nostro nuovo apprendista manager» mi presentò, mettendo in mostra le sue doti da MC. Il più grande m’inchiodò con lo sguardo, non comprendendo. Sentendomi tre paia di occhi addosso, iniziai ad arrossire. Mi allargai il colletto della camicia con un dito e sventolai una mano, provando a sorridere nel modo più convincente che conoscessi. Sperai di non aver fatto una smorfia.
«Ciao» pronunciai, dandomi mentalmente dell’idiota. Ciao? Quanti anni avevo, quattro?
«Che storia è questa? Avete di nuovo portato a casa una persona conosciuta per strada? Quante volte vi ho detto che non potete raccattare i passanti…» riprese il più grande, non bevendosi neanche una parola del suo amico.
«No, no» si difese JiMin, interrompendolo e scendendo dal ripiano con un silenzioso ed agile balzo. L’atterraggio di una fata. «Lui è davvero lo stagista del signor Kang, l’abbiamo incontrato giù dalle truccatrici».
«E perché mai dovremmo avere bisogno di un apprendista manager? Oltretutto, mi sembra molto giovane, quanti anni hai?» Mi chiese.
«Ve-ventidue» balbettai, arrossendo sempre più. Non era in quel modo che mi ero prefigurata il nostro incontro. Decisamente no. Mi sarei aspettata un’accoglienza più… tranquilla. Come quella di JiMin e TaeHyung. Provai a salvare il salvabile. «Il signor Kang dice che la mia presenza dovrebbe aiutarvi ad avere un’esperienza più “umana” della popolarità. Essere giovane era uno dei requisiti principali, perché così potrò comprendere meglio i vostri bisogni ed organizzare gli appuntamenti di conseguenza» spiegai. Sembravo un robot. Premio automa duemiladiciassette.
«Ma guarda, allora sa parlare».
Ci voltammo verso la nuova voce, il cui timbro mi ricordò inevitabilmente la raucedine tipica del sonno. Rividi Min YoonGi osservarci dal corridoio. Quando era arrivato? Non l’avevo sentito camminare. Aveva tolto il cappellino, lasciando che i disordinati ciuffi corvini gli ricadessero sulla fronte, coprendo quasi gli occhi. Si avvicinò di poco, con il suo passo silenzioso, rimanendo comunque ad una certa distanza. Mi scrutò, alla ricerca di qualsiasi elemento che potesse risaltare ai suoi occhi, per chissà quale motivo. Sentii che lui sarebbe stato lo scoglio più difficile da superare, lì dentro. La sua naturale diffidenza non gli avrebbe permesso di fidarsi di me e la mia insicurezza cronica ci avrebbe subito fatto il paio. Ottimo.
«Comunque, non sta dicendo cazzate. L’ho incrociato prima, nell’atrio. Sembrava un coniglietto sperduto, ma aveva il badge ufficiale» aggiunse il corvino, sprofondando le mani nelle tasche. Inaudito, stava prendendo le mie parti. Mi voltai verso SeokJin, incerta. Lui sollevò un sopracciglio, incredulo.
«Quindi non è un’altra delle vostre trovate fuori di testa?» Chiese a JiMin, il quale scosse la testa con vigore, in un fruscio di grano ondeggiante. Avrebbe potuto rifarlo, diciamo… all’infinito? Come una gif di Tumblr?
«No, hyung. È da venti minuti che cerco di dirtelo».
«Aish!» Esclamò lui, sollevando una mano e muovendo un passo nella sua direzione, facendolo schizzare dietro la sedia. Quello scatto mi spaventò. Allora era vero, quando i membri parlavano dei suoi attacchi di isteria latente, nelle interviste. Non che non lo avessi visto sbraitare nei videolog, ma pensai che si trattasse di una scena a puro beneficio delle telecamere. Risposta sbagliata. «Mi avete fatto fare la figura del burbero inospitale!» Aggiunse, alzando di molto i decibel del suo tono di voce.
«Yah, non è colpa nostra se non ti fidi di quel che diciamo!» Ribatté JiMin, urlando a sua volta.
«E te ne sorprendi pure? Dopo tutto quel che mi avete fatto passare?» Aggiunse. Sembrava uno di quei pupazzi del Muppet Show, quando davano di matto. Mi feci piccola piccola, aspettando che lasciasse defluire la rabbia. Evidentemente, scene come quelle succedevano quotidianamente, poiché YoonGi aveva iniziato a smanettare col cellulare, TaeHyung giocava con le sue stesse dita e il ballerino, ancora nascosto dietro la sedia, gli mostrava la lingua. Che manica di matti. Iniziai a pensare che YooNa non avesse realmente idea di come fossero, i Bangtan Sonyeondan, dietro le telecamere. Improvvisamente, vidi SeokJin sospirare e chiudere gli occhi. Inspirò profondamente, giungendo le mani.
«Zen» decretò, espirando e ripetendo l’operazione un altro paio di volte. JiMin si arrischiò a fare capolino dal suo nascondiglio, tenendo d’occhio la situazione. Giudicando il pericolo ormai cessato, si rimise in piedi, cercando di fare meno rumore possibile. Mi raggiunse, rannicchiandosi di poco dietro la mia spalla, usandomi come scudo. Gli lanciai un’occhiata confusa.
«Non può farmi male, se mi nascondo dietro di te» bisbigliò, direttamente nel mio orecchio. Lo spostamento d’aria ed il calore del suo respiro mi fecero venire la pelle d’oca. Cercai di distrarmi, evitando di pensare a Park JiMin a meno di un centimetro da me, mentre il suo profumo di lavanda mi stordiva. Intanto, Jin aveva riaperto gli occhi ed esibiva lo stesso pacifico sorriso delle statue di Buddha. Sentii TaeHyung tirare un sospiro di sollievo, spostandosi dallo stipite ed andandosi a sedere dove il suo amico si fosse nascosto fino a qualche minuto fa.
«Mi scuso per il modo brusco con cui ti ho trattato, prima» disse il più grande, inchinandosi di fronte a me. «Sono stato estremamente maleducato» aggiunse. Quello fu troppo. Iniziai ad avvertire il panico sulla pelle. Kim SeokJin che si fletteva a novanta gradi per scusarsi con me? No. Impossibile.
«Uhm… è tutto okay, non c’è bisogno…» balbettai, sfiorandogli la spalla con la mano, cercando di comunicargli che avrebbe potuto raddrizzarsi in ogni momento. Lo vidi tirarsi su, sorridendomi con gentilezza.
«Facciamo finta che questo sia il nostro primo incontro, va bene?» Chiese, ed io annuii. «Mi chiamo Kim SeokJin e sono il più anziano del gruppo. Piacere di conoscerti» si presentò, con un inchino decisamente meno formale. Lo imitai, a disagio.
«Lee MinSoo, nuovo apprendista manager».
«Ma che carini, benvenuti al primo giorno di scuola materna. Possiamo andare avanti? Vorrei cenare e tornare in camera ad editare il mixtape di Hobi-ah, se non vi dispiace» s’intromise YoonGi, dal corridoio.
«One verse, one verse» canticchiò JiMin, mentre Jin gli lanciava un’ammonitrice occhiataccia materna.
«YoonGi, non essere sgarbato» lo redarguì, ottenendo solo di fargli roteare gli occhi e scuotere la testa. Il mixta… oh mio Dio. Allora esisteva. Era in cantiere. Ci stavano lavorando. Agust D ci stava lavorando. Avrei voluto urlare e correre e saltare, abbracciare tutti quanti, aprire Twitter e fare una live reaction di quella notizia bomba, perché cavolo, il mixtape di HoSeok era in fase di editaggio! Ma rimasi lì. A grattarmi la tempia con aria confusa, come se non sapessi esattamente di cosa stessero parlando. Già mi pareva di udire la mia candidatura all’Oscar. Mi spiace, Leo, anche quest’anno la statuetta non l’avrai.
Improvvisamente, sentimmo un frastuono provenire dall’ingresso. Vedemmo la porta spalancarsi e lanciarsi all’interno uno dopo l’altro i restanti componenti dei Bangtan Sonyeondan. Kim NamJoon, vestito completamente di nero, che entrò sbadigliando; seguito da Jung HoSeok che lo sorpassò sprintando, un’espressione eccitata dipinta sul bel volto dai tratti armonici. Infine, richiudendosi la porta alle spalle, arrivò Jeon JungKook. E mi si mozzò il respiro. Il principale protagonista delle mie più selvagge ed indicibili fantasie si trovava a meno di cinque metri da me, vivendo e respirando il mio stesso ossigeno. Avevo rivolto più insulti a lui, nel corso della mia vita, che ai mostri nei videogiochi, a causa della sua strafottenza e della perfezione con la quale avesse l’ardire di camminare sulla terra. Il mondo si eclissò, quando lui sollevò la testa, notandomi e mettendo su un’espressione confusa. No, dovevo andarmene. Non sarei mai riuscita a lavorare, in quelle condizioni.
 I ragazzi si stiparono lungo il corridoio, scambiandosi delle strette di mano fraterne con YoonGi ed esibendo le stesse facce perplesse.
«Che vuol dire “il nostro nuovo manager ha la stessa età di TaeHyung”?» Chiese NamJoon, ad alta voce, sventolando il suo cellulare.
«E perché, “nuovo manager”? Kang hyung non va più bene?» Gli fece eco JungKook.
«Dov’è? Voglio vederlo!» Esclamò HoSeok. In sincrono, sia SeokJin che JiMin mi additarono, in silenzio. Tre paia di occhi scuri m’inchiodarono. Il ballerino di Jeju si fece avanti, mettendosi le mani sui fianchi e chinandosi affinché i nostri volti fossero alla stessa altezza. Mi arrischiai a lanciargli un’occhiata, per poi incollare lo sguardo al pavimento, con vergogna crescente. Caspita, il parquet brillava. Potevo sentire il profumo di muschio del deodorante del ragazzo che mi stesse di fronte. Avevo smesso di respirare.
«Ma che carino, che è! Sembra una bambolina, ha i lineamenti più delicati perfino di TaeHyung!» Quasi urlò HoSeok, gettandomi le braccia al collo e stringendomi in un abbraccio da orso. Sbarrai gli occhi e, nello stesso momento, il signor Kang entrò nell’appartamento. Rimase fermo sull’uscio, squadrando sia Hobi che me, sollevando un sopracciglio. Per quel che mi riguardava, avrebbe potuto lasciarmi lì a vita. Era l’abbraccio più bello di sempre, come non ne avevo ricevuti mai. E la gente si permetteva di scrivere commenti offensivi su di lui, dicendo che non aveva talento e mancandogli continuamente di rispetto. Folli. Avrei fatto in modo che lui ottenesse l’attenzione che si meritava. A qualunque costo.
«Perché fate tutto questo chiasso?» Chiese, richiudendo nuovamente la porta e facendosi strada fra i corpi assiepati in corridoio. «Sedetevi in salotto, ci sono delle cose di cui parlare. E, HoSeok, l’apprendista mi serve vivo. Lascialo respirare» disse, sparendo in un’apertura a destra.
«Ops» commentò il ballerino, sciogliendo la stretta e restituendomi alla vita terrena. Mi sorrise, ammiccando e seguì i suoi compagni di gruppo, dandomi le spalle. Mi lasciai sorpassare dai ragazzi, ancora sconvolta. Udii solamente TaeHyung dire, a mezza bocca, “potevano darci una ragazza”. Ah, beata ignoranza. Pensavano davvero che io fossi uomo. Nessuno si era accorto di nulla.
«MinSoo, aspetti una convocazione ufficiale, o ci degni della tua presenza?» Tuonò il signor Kang dal salotto. Mi scossi immediatamente.
«Sì signore. Arrivo, signore» risposi, affrettandomi a raggiungerli. Perché sembravo una matricola dell’esercito americano, in ritardo per la sessione quotidiana di addominali e flessioni? Ma, soprattutto, come avevo fatto a vivere, tutti quegli anni, senza mai essere stata abbracciata da Jung HoSeok?


 

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Capitolo 5
*** IV. New Truths ***


Warning!: in questo capitolo, ci saranno molte battute squallide alla Jin ed umorismo discutibile. Io vi ho avvisati.
 


 track 04.  ► N e w   T r u t h s



“No matter how "normal" people look, living "ordinary" lives, everyone has a story to tell. And may be, just like you, everyone else is a misfit too.” 
Sanhita Baruah



 
 

Gangnam-gu, ore 21.10

 

Avrei voluto tirare fuori il cellulare, e registrare le facce che i Bangtan stavano facendo, in quel momento. Il signor Kang aveva appena finito di spiegare la necessità di un apprendista manager che avesse un’età molto vicina alla loro, a causa degli svariati “problemi” relativi alla carriera, riportati fino ad allora. Onestamente, non avevo idea di quali fossero, tali “problemi” che l’uomo aveva evidenziato, aiutandosi mimando delle virgolette con le dita. Nelle esibizioni erano sempre energici, i video divertenti, le interviste piene di sorrisi e gags. Tuttavia, non potevo certo evitare di pensare ai testi di alcune canzoni che NamJoon aveva scritto e pubblicato, gli stessi che erano finiti nell’album e di alcune dichiarazioni rilasciate, di quando in quando. Evidentemente, la loro esperienza di fama, aveva dei risvolti negativi grandi quanto le gioie che si era capaci di ricavare. Ed era perfettamente normale e comprensibile. Solo loro sapevano il quantitativo di pressione da sopportare ogni giorno, i sacrifici continui, per mantenere pulita l’immagine. Forse, la mia presenza avrebbe potuto aiutarli a sentirsi compresi dalla loro stessa agenzia, chissà.
In ogni caso, alle parole “vivrà insieme a voi” e “lui sarà il vostro primo referente per qualsiasi impegno o richiesta”, la mimica facciale di quei sette ragazzi aveva raggiunto limiti epici. NamJoon faceva del suo meglio per non mostrarsi impressionato, mettendo su la sua espressione da alta comprensione dell’inglese, con tanto di mento poggiato sulla mano chiusa a pugno. Un vero intellettuale. YoonGi, invece, era il ritratto della seccatura. Teneva gli occhi fissi al pavimento, le braccia incrociate al petto e quell’adorabile broncetto che metteva su ogni volta meditasse l’omicidio di massa. HoSeok sembrava molto interessato e più che entusiasta, di avere un nuovo compagno di viaggio. Di quando in quando, mi rivolgeva un sorrisetto d’incoraggiamento, al quale rispondevo arrossendo. SeokJin esibiva l’aria più marziale e concentrata di cui disponesse, come se stesse udendo il piano per la sopravvivenza mondiale in caso di apocalisse. TaeHyung si distraeva spessissimo, fissando il proprio sguardo su questo o quel soggetto, perdendo il filo del discorso, ma annuendo comunque nei momenti sbagliati. JiMin aveva la postura rilassata e lo sguardo attento, ben felice di avere un ragazzo più basso di lui nella comitiva, assolutamente positivo. Non riuscivo, però, a guardare JungKook. Aveva l’aria completamente smarrita. Gli occhioni sbarrati e le labbra dischiuse, l’immagine speculare della contemplazione mistica dell’entità del dubbio, il volto della costernazione. Un meme vivente. Proprio non riusciva a capire il perché di quella novità, e di come fosse possibile mettere in pratica un’idea del genere. Non era nemmeno sfavorevole, non ce la faceva e basta. E nemmeno io. Ogni volta mi prendessi la libertà di regalargli un’occhiata, dovevo mordermi la lingua per non scoppiare a ridere. Dal vivo era centomila volte meglio che dai meme su Tumblr. Jungshook at his finest.
«MinSoo, vuoi presentarti ai ragazzi? Dire qualcosa di te? Rapidamente, non ho tutta la serata» mi disse il signor Kang, dandomi una lieve gomitata. Caddi dalle nuvole, battendo le palpebre.
«Come?»
«Nome, cognome, occupazione e musica preferita, massimo cinque secondi» ripeté YoonGi. «Uno…» ed iniziò il conto alla rovescia. Andai in panico.
«Lee MinSoo, studio lettere all’università di Seoul, prediligo l’hip hop e il rock alternativo» sparai, confusa al massimo. Lo vidi annuire, tirando di nuovo fuori il cellulare.
«Artista hip hop preferito?» Domandò HoSeok, a bruciapelo.
«Epik High».
«Attore preferito?» Si aggiunse JiMin. Che cosa stava succedendo? Avevano creato un nuovo gioco a mie spese, ed io non ne sapevo nulla? Confondi l’apprendista? Cento punti se piange?
«Eddie Redmayne».
«Scrittore?» Chi se non NamJoon avrebbe potuto farmi una richiesta del genere?
«Dostoevskij».
«Artista?» TaeHyung si rianimò, chiudendo la comunicazione mentale con la sua astronave madre. Mi grattai la testa, a disagio.
«Klimt».
«Piatto?» Ovviamente, SeokJin.
«Cheesecake» decretai, sicurissima.
«Anime?» Allora, si voltarono tutti a guardare male il maknae.
«Ma cos…?» Gli chiese il leader, sollevando un sopracciglio.
«Non sono mica tutti nerd come te» rispose YoonGi, riemergendo dall’oltretomba digitale.
«Tokyo Ghoul» risposi invece, con massima tranquillità. Il volto del giovane s’illuminò, sentendosi finalmente compreso.
«Giochi online?» Azzardò nuovamente. Gli sorrisi, scuotendo la testa.
«No, ma voglio imparare. Soprattutto per Overwatch e LOL», confessai. Era vero. Si trattava dei due videogames dell’anno, ed io non ci sapevo giocare. Una vera vergogna, soprattutto per la mia autostima videoludica. Lo vidi annuire, portandosi la grande e nodosa mano al petto. Quel petto così largo e scolpito e… niente, Liv. Guarda i suoi occhi, che è meglio.
«Lascia fare a me. Sarò il tuo sensei» decretò, annuendo. Dopo quelle parole, i ragazzi si produssero in versi d’esclamazione, strattonandolo e riempiendolo di pacche, fra le risate. Improvvisamente, il signor Kang si alzò in piedi, sollevando le mani in segno di resa.
«Bene, ormai non è più un mio problema» commentò, ridacchiando.
«Ma come, hyung» lo rimbeccarono HoSeok e JiMin. «Sarai al nostro fianco comunque, no?»
«Dall’alto. Come un giocatore di The Sims, riderò nel vedervi imprecare contro i muri e piagnucolare perché il bagno è occupato» commentò, divertendosi al suo stesso umorismo. L’unico a seguirlo fu Jin, applaudendo alla sua battutaccia. Ovviamente. «Coordinerò le vostre azioni tramite MinSoo, deve imparare a fare bene il suo lavoro. Quindi» e l’uomo fece una pausa, puntando il dito contro ognuno dei ragazzi, a rotazione. «Non azzardatevi a venire a frignare nel mio studio, salvo questioni di vita o morte. Sono stato chiaro? Non voglio più vedervi» scandì e gli altri annuirono, sorridendo divertiti.
Pensai che dovessero essere molto attaccati, a quell’uomo. D’altronde, egli doveva ricoprire molteplici ruoli in un colpo solo, ed era anche il principale responsabile del loro benessere, lì dentro. Normale che dicesse frasi del genere, anche per rincuorarli un po’. Mi augurai di riuscire ad essere alla sua altezza, col tempo.
«E tu» riprese, mettendo me sotto l’Inquisizione dell’Alto Indice. «Ci vediamo giù, fra venti minuti, per discutere delle scartoffie burocratiche. Il mio ufficio è di fronte a quello del signor Oh. Non farmi aspettare, ho tutta l’intenzione di non perdermi la puntata di Weightlifting Fairy Kim BokJoo, sono rimasto indietro» mi disse, mentre i ragazzi scoppiavano a ridere ed io annuivo, quasi terrorizzata dalla marzialità con cui finiva per dire cose di massima idiozia. Lo guardammo uscire dall’appartamento, facendo un cenno di saluto e sparendo dal salotto. Dopo che si fu tirato la porta alle spalle, un imbarazzante silenzio calò sui presenti. Alcuni si sistemarono meglio sul divano, YoonGi sbuffò, TaeHyung iniziò a giocherellare con le sue dita.
«Perché il calendario è sempre triste?» Chiese SeokJin, di punto in bianco, spezzando l’alone di mutismo sceso sulle nostre spalle come un velo.
«No, Cristo» protestò il rapper corvino, dimenandosi sul sofa.
«Perché ha i giorni contati» risposi, distrattamente. Sei paia di occhi m’inchiodarono, esibendo altrettante sfumature di sdegno o sorpresa.
«Perché ha i giorni contati, sì!» Esclamò il biondo, dandosi una potente manata sulla coscia e cominciando a ridere. Poi, realizzò l’accaduto. E si spense. «Aspetta… la sapevi?» Chiese. Annuii.
«Una mucca entra in un caffè…»
«Splash» conclusi, per lui. Mi fissò, impassibile. Gli altri erano attentissimi, sebbene non sapessero se gioire per la fine del bullismo di battute, o preoccuparsi del fatto che io gli rispondessi a tono.
«Cosa fa un cammello in un budino?» Riprese. Ormai era una questione di principio.
«Attraversa il dessert».
«È sparito il riso».
«Te l’hanno soffiato».
«Ministro dei trasporti cinesi?»
«Furgoncin».
«Il colmo per un cestino?»
«Rifiutarsi».
«Che fa una vacca con un fucile?»
«Vaccaccia».
«Ne abbiamo ancora per molto?» Chiese YoonGi, interrompendoci. SeokJin lo fulminò con un’occhiataccia.
«Questa è l’ultima» concesse, prendendosi qualche istante per rifletterci su.
«Ottimo. Quando avrò voglia di soffrire, ricordatemi di chiedervi di fare a gara di battute» commentò il corvino, chiudendo gli occhi.
«Shhh, hyung, adesso voglio sapere chi vincerà» disse JiMin.
«Io punto una birra su MinSoo» disse TaeHyung.
«Andata» JungKook gli strinse la mano, sistemandosi meglio sul divano, per non perdersi l’ultimo round. Non mentirò: iniziavo a prenderci gusto.
«Ho esaurito tutte le battute che avevo in serbo…»
«Falle in croato» risposi e vidi il biondo portarsi una mano al cuore, mostrandomi un’espressione sofferente.
«Abbiamo un vincitore!» Esclamò HoSeok, e tutti si prodigarono ad applaudirmi, emettendo esclamazioni goliardiche, sorridendo. Arrossii e mi coprii il volto con le mani, ridacchiando. A qualcosa mi era pur servito, allora, passare pomeriggi interi a leggere battute idiote su internet. Non avevo buttato il mio tempo. Certo, mai avrei immaginato che, un giorno, avrei fatto a gara con Kim SeokJin. Vincendo, anche. Lo guardai, mentre si spazzava una finta lacrima dall’occhio, con l’indice, commosso. Poi, si alzò e venne ad abbracciarmi, con impeto. Profumava di lavanda.
«Benvenuto nella famiglia, Lee MinSoo» disse, stringendomi maternamente.


 

 

Ore 21.30

 

Scesi giù dal signor Kang con il sorriso. Dopo quella stramba accoglienza, i ragazzi avevano stappato alcune birre per festeggiare, mettendo la musica ad alto volume per fare atmosfera. Erano tutti molto gentili ed affabili, facendomi sentire immediatamente a mio agio. L’unico con il quale non potevo dire di trovarmi bene, era YoonGi. Tuttavia, mi ero ripetuta più volte che lui, un abitudinario allergico alle prese di potere, avrebbe semplicemente dovuto abituarsi alla novità. Che si sarebbe sistemato tutto nell’arco di una settimana o poco più. Volevo essere fiduciosa. E poi, stavo troppo bene, per lasciarmi abbattere da un’inezia come quella. Così, fu con un umore decisamente sollevato che bussai alla porta del manager, entrando dopo aver ricevuto il suo permesso. Lo trovai seduto alla scrivania, impegnato a digitare su un Macbook pro, con l’espressione concentrata. Il suo studio era molto simile a quello del signor Oh, fatta eccezione per i disegni alle pareti, visto che lui non ne esibiva. L’ambiente aveva un aspetto molto meno personalizzato e vissuto, in effetti.
«Accomodati, MinSoo» mi disse, senza sollevare gli occhi dal pc. Mi sedetti alla sedia di fronte a lui, sorprendendomi di quanto potesse essere comoda.
«Allora, come ti sono sembrati?» Chiese, con tono neutro. Era una domanda a trabocchetto? C’era una risposta giusta, da dare? Mi strinsi nelle spalle, a disagio.
«Sembrano molto affabili ed ospitali» dissi, cercando di essere il più neutra e diplomatica possibile. Lo vidi annuire, sempre intento a battere le dita sulla tastiera.
«Senz’altro» concesse. «D’altronde, ti conoscono da soli dieci minuti».
Sollevai un sopracciglio. Cosa intendeva dire…?
«Non ci girerò intorno: il tuo sarà un lavoro da cani, MinSoo» disse, privo di inflessioni nella voce. «Dovrai svegliarli tutti i giorni e prenderti almeno due insulti da Min YoonGi per ogni tuo tentativo di tirarlo fuori dal letto, se ti va bene. Dovrai avere il pugno di ferro e fare in modo che si presentino agli allenamenti, che non disertino le lezioni di canto e recitazione; soprattutto dovrai fare in modo che abbiano almeno sei ore di sonno sulle spalle, a testa. Li vedrai piangere ed arrabbiarsi, li ascolterai fare discorsi che potrebbero turbare una qualsiasi ragazzina del liceo, soprattutto da parte di YoonGi e NamJoon» e fece una pausa, smettendo di scrivere. «Spesso, dovrai raccoglierli dal pavimento e riportarli in stanza, perché troppo stanchi per arrivarci da soli con le loro gambe. Dovrai eliminare qualsiasi messaggio offensivo dalla inbox di Twitter e controllare i vari fan café, avendo cura di non lasciarti mai scoprire a togliere la polvere dal loro nome. Alla fine di ogni fansign, sarai tu a dover raccogliere i regali delle loro fans, così come assicurarsi che nessuno di loro abbia una relazione con qualche ragazza» seguitò, chiudendo il laptop e concentrandosi su di me. «Sarai il fratello maggiore che io non posso essere, poiché troppo vecchio per non guardarli con occhio paterno. Dovrai farti rispettare, MinSoo, e non sarà facile. Soprattutto con TaeHyung e YoonGi. E farai anche in modo che JungKook non lavori il triplo, poiché convinto di non essere abbastanza grande per allenarsi tanto quanto basta agli altri. Ti assicurerai che JiMin mangi almeno tre pasti bilanciati al giorno, e che non si chiuda in bagno a vomitarli. Ti chiedo inoltre di stare vicino a SeokJin e di ritagliarti almeno dieci minuti del tuo tempo per ascoltarlo. Stesso discorso per NamJoon, sebbene le sue conversazioni saranno molto più impegnative, e le sue domande esistenziali dure da digerire. E poi, HoSeok. È fragile come un foglio di vetro. Tanto più luminosa è la sua figura, quanto più grande la sua ombra. Non dimenticartene» disse, sfilandosi gli occhiali. «Ovviamente, non ti chiediamo di dedicare la vita alle loro, gratis. Il tuo compenso sarà molto alto e provvederemo alla retta della tua università, visto che, per il momento, non potrai comunque frequentare i corsi, né dare esami. Qui» e allungò la mano su un iPad, spento. «Ci sono le loro schedule per i prossimi tre giorni e i vari appuntamenti settimanali per questo mese. Organizzali secondo lo schema già pronto, che dovrai seguire fino a giovedì» m’istruì. «Ogni quindici del mese, hanno le visite mediche. Il martedì, lo psicologo. Un fine settimana al mese, sono liberi di tornare a casa, a patto che il lunedì successivo siano pronti in major alle otto del mattino. Prima di dar loro qualsiasi farmaco che non prendano già da soli, chiama il dottor Wang, c’è il numero in rubrica. In cucina, è appeso un foglio con tutte le allergie alimentari dei ragazzi. Generalmente provvede SeokJin ai loro pasti, ma non è un ruolo fisso. JungKook è un soggetto molto allergico e soffre d’asma. A volte dimentica i suoi antistaminici, ricordaglieli sempre. Che altro manca?» Si chiese, fra sé, passandosi una mano sulla faccia. Già avevo iniziato a confondere parte delle cose che mi aveva detto, sperai che avesse finito, altrimenti avrei presto iniziato a piangere in silenzio. «Oh, TaeHyung non ha ancora pienamente maturato il lutto per sua nonna. Ogni venti del mese subisce una sorta di eclissi e vorrei che tu gli stessi vicino. È forte e può farcela, ma ha ancora bisogno di tempo» commentò. «Bene. Tutto ciò che ti ho detto, è comunque scritto nel file “info”, all’interno dell’iPad. Ogni ragazzo ha la sua scheda, dove potrai leggere gli appuntamenti individuali settimanali, allergie e altre annotazioni utili. Ovviamente, io sono disponibile giorno e notte, in situazioni estreme puoi sempre chiamarmi» mi rassicurò. «Sappi che per i primi due giorni, ti seguirò da vicino, di modo che tu capisca come muoverti. Poi, dovrai spiccare il volo, in autonomia» scherzò, ridacchiando. Probabilmente, aveva notato il mio pallore cinereo e la più totale assenza di ilarità, poiché mi lanciò una lunga occhiata di comprensione. «Non volevo spaventarti, MinSoo. È che sono sette individui così particolari e delicati, che occorre sapere fin dall’inizio quale sia il modo migliore per assicurarsi il loro benessere. Sono impegnativi, ma ti daranno tante soddisfazioni. Ognuno di loro è fatto per stare dov’è e te ne accorgerai. Su, andrà bene» e si sporse dalla sua sedia, per darmi una pacca sulla spalla. «Mi sembri un tipo sveglio, e a me piacciono le persone intelligenti. Io mi occuperò comunque delle pratiche legali, di prendere accordi con le reti televisive, le radio, i giornalisti per le interviste e tutte le altre noie burocratiche. Tu avrai la parte umana e divertente dell’esperienza, stare con loro ed assicurarsi che rispettino gli impegni e vivano bene. Ci terremo in contatto per email, comunque» aggiunse, affabilmente. «Puoi andare a casa, per oggi. Da domani, vivrai in dormitorio con loro, nella stanza che usavo io. Ci vediamo domattina alle otto in punto, qui in ufficio da me. Buona serata» e, con quelle parole, mi congedò. Mi alzai, inchinandomi brevemente, e uscii dal suo studio. La testa mi doleva e sentivo una sorta di pesante magone attanagliarmi il petto. Possibile che quei giovani così propensi all’allegria e al buon umore, nascondessero tutti quei problemi, dietro i volti sorridenti? Ed io, sarei stata in grado di avere spalle forti abbastanza da reggere parte dei loro pesi? Iniziai a chiedermi per quale esatta ragione YooNa avesse pensato proprio a me, per un simile lavoro.
Sbadigliai sonoramente ed iniziai ad incamminarmi verso il basso. L’unico desiderio che possedevo, in quel momento, era di tornare a casa e farmi una soda dormita, fino all’indomani. Qualcosa mi diceva che avrei dovuto dare un bacio d’addio alle mie ore di sonno, perché si profilavano giorni d’insonnia all’orizzonte.

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Capitolo 6
*** V. Same Awkwardness ***


 track 05.  ► S a m e   A w k w a r d n e s s



“Reality continues to ruin my life.”
― Bill Watterson




 

Dobondong-do, ore 6.00, 14 Marzo 2017 

 

«Sveglia pigrona! Il sole è già alto e stai per cominciare il lavoro della tua vita!»
Sobbalzai e caddi urlando direttamente dal letto, tirandomi dietro le coperte. YooNa era entrata nella mia camera come un uragano, spalancando porte, tirando su serrande e battendo le mani neanche fosse un’addetta allo sgombero dei piccioni nelle piazze d’Italia. Mi rifiutai di sollevare la testa, seppellendola ulteriormente nel groviglio di lenzuola e braccia che avevo sotto la faccia.
Ero arrivata a casa alle undici e mezza, la sera prima, grazie ad un malfunzionamento dei trasporti pubblici. La cena, preparatami da mia cugina e lasciata a congelarsi nel microonde spento, era divenuta ormai fredda. L’avevo mangiata senza neanche scaldarla, stanca com’ero. Ma non era certo finita là. Senza nemmeno levarmi la parrucca, ero filata in camera mia, raccattando tutti gli indumenti maschili comprati quel pomeriggio, con la bella e divertentissima speranza di riuscire a ficcare tutto nella valigia. Ero convintissima che l’intera operazione mi avrebbe richiesto al massimo venti minuti. Ebbene, all’una e mezza, stavo ancora saltando sull’oggetto, per riuscire a chiudere la zip senza che il braccio mi volasse via nell’impresa. Preparare i bagagli quando dovevi fingerti uomo, non era per niente facile. Perché c’era bisogno di nascondere tutte quelle cosine da ragazza dalla quale non ci si sarebbe mai separati, nel doppio fondo della valigia. Insieme all’intimo, ovviamente. Mi ero rifiutata di indossare i boxers, tenendomi le mie mutandine con i disegni di gattini e le fantasie strane. Non mi avrebbero portato via me stessa. Non gliel’avrei permesso. Così, con quell’impeto di trionfo, ero andata a dormire. Saranno state le tre, più o meno. E, in quel momento, YooNa credeva che mi sarei alzata con una celerità degna di Flash? Non ci pensavo proprio.
«Yah, sono le sei e mezza!» Infierì la bionda, scuotendomi per le spalle. «Ti ricordo che alle otto hai appuntamento con il signor Kang, dovrai anche sistemarti nella tua nuova stanza» aggiunse, e i ricordi m’investirono con la potenza di un meteorite. La conversazione avuta con il manager, prima di tornare a casa, mi era sembrata un vago ricordo lontano. Era un’immagine sfocata e lattiginosa, le cui parole mi erano riecheggiate nella testa, durante il dormiveglia. Eppure, era tutto vero. L’uomo mi aveva realmente parlato dei problemi fisici ed emotivi dei Bangtan, chiedendomi di essere un fratello maggiore, per loro. Non me l’ero sognato, né inventato. Sollevai lentamente il capo, stropicciandomi gli occhi.
«Finalmente, stavo per tornare qui con un bicchiere d’acqua da tirarti in faccia» disse YooNa, ferma in piedi accanto a me.
«Dammi cinque minuti, okay?» L’implorai, con una voce da oltretomba. Avevo bisogno di passare in rassegna tutti i motivi per i quali avevo deciso di imbarcarmi in quella pessima, pessima vicenda. E necessitavo di giustificazioni più forti degli addominali di Jeon JungKook ed il sorrisetto assassino di Kim TaeHyung.
«Non ce li abbiamo» ribatté quella, iniziando a togliermi le coperte di dosso, provocandomi il primo trauma mattutino del giorno. Trasalii, levandomi immediatamente a sedere e fulminando mia cugina con la più mortale delle occhiatacce presenti sul mio repertorio da Oscar.
«Yah!» Strillai, sentendomi esattamente come Jin, ieri a cena. «Devi lasciarmi fare le cose con calma, okay? È praticamente l’alba, a quest’ora il mondo neanche esiste!» Aggiunsi, barcollando e tirandomi su, rischiando di cadere nuovamente a sedere sul letto. Sospirai, chiamando a raccolta le forze che non avevo. Avanti, Liv. Sei o non sei una vera dura?
«Devi imparare a sbrigarti, la mattina. Sappi che dovrai svegliare tu, i ragazzi, alle otto in punto. Questo vuol dire che dovrai prepararti vestiti e parrucca prima che scatti l’ora di andare a bussare alle loro porte. Tanto vale che ti abitui» mi riferì, puntandomi in volto il suo perentorio indice dalla perfetta manicure ed impeccabile smalto rosso “morte in discoteca”. Mi passai una mano sulla faccia: aveva ragione. Ma ciò non m’impedì di lanciarle un altro sguardo maligno, desiderando di tingere di nero quei suoi capelli biondi. Maledetti ragazzini dai corpi perfetti.

 

 
Gangnam-gu, ore 8.00



Arrivai in major indossando un paio di pretenziosi occhiali da sole. Non potermi truccare voleva dire evitare anche il correttore. Ed io sembravo un panda. Decisamente poco professionale, per il mio primo giorno di lavoro. Quindi, entrai nell’atrio dell’etichetta discografica sentendomi Chanel Oberlin nella nuova stagione di Scream Queens. Mi trascinavo dietro un’enorme valigia rossa, senza contare la borsa appesa alla mia spalla.
L’unico aspetto di cui andassi fiera, oltre ai capelli impeccabili, erano i miei abiti. Indossavo un cappottino leggero modello trench, sopra ad un dolcevita baby blue e dei jeans senza strappi. Sembravo un idol, non mentirò. Altro che airport fashion. Camminai ostentando una sicurezza che sarebbe crollata appena uno qualsiasi dei miei superiori avesse lasciato la sua ombra profilarsi sul pavimento. Tuttavia, provai a non lasciarmi abbattere dal peso delle possibilità e cercai un ascensore libero. Lo trovai appena in tempo, poco distante dalle scale, fiondandomi dentro qualche istante prima che le porte scorrevoli scivolassero nei binari per chiudersi.
Dov’era, l’ufficio del signor Kang? Primo piano? Mi augurai che fosse quello, premendo il dito sul bottone corrispondente. Lasciai andare un sospiro, guardando fisso dinanzi a me. Un ragazzo, probabilmente venticinquenne, smanettava con il cellulare, accanto a me. Pareva non essersi nemmeno accorto della mia presenza, preso com’era dalla sua stessa home di Facebook. Non l’avevo mai visto prima, neanche nell’atrio. Sbirciai il suo badge da sopra ai miei occhiali da sole, leggendo “Cha SungYeol”. Avrei volentieri letto anche la sua specializzazione, ma un discreto trillo mi annunciò che fossi giunta a destinazione. Le porte si aprirono silenziosamente, ed io mi tirai dietro la valigia, incerta se rivolgergli o meno un cenno di saluto. Tuttavia, “SungYeol” non levò gli occhi dal telefonino nemmeno quella volta ed io mi adeguai alla sua scarsa abilità di socializzazione, uscendo dall’ascensore senza voltarmi indietro. Eccoci di nuovo dinanzi allo stesso corridoio. Con la differenza che, quel giorno, il mio ruolo fosse stato definitivamente accettato e riconosciuto.
Prima che potessi muovere un passo, vidi proprio la porta dello studio del signor Kang aprirsi, rivelandone l’uomo, con un’espressione emblematica della stanchezza dipinta sul viso. Cercava di tenere gli occhi aperti, stringendo un grosso bicchierone di caffè nella mano, riconobbi il logo dello Starbucks aperto nei pressi della major. Provai una vaga compassione, per lui. Chissà quanti drammi aveva dovuto sopportare o evitare, nel corso della sua vita. Quanto duro lavoro, quante ore di sonno perse. Di nuovo, sarei stata in grado di sostituirlo? Appena mi vide, fece un cenno con il capo.
«MinSoo, in perfetto orario» disse, richiudendosi la porta alle spalle. Mossi un passo verso di lui, ma sollevò una mano, intimandomi di rimanere dov’ero. «Tranquillo, devo comunque arrivare fin lì» spiegò, ed io rimasi ad attenderlo, tamburellando le dita sul manico della valigia.
«Allora, dormito bene?» Chiese, superandomi e premendo il dito sul pulsante per richiamare l’ascensore. Voleva essere una battuta?
«Abbastanza» mentii, senza perdere un grammo della faccia tosta che mi portavo dietro, a non volermi togliere gli occhiali. Chanel Oberlin. Una regina. Mento alto e binder in fuori.
«Le occhiaie non sono poi un gran problema, qui da noi. Giusto per fartelo sapere» disse, nascondendo un sorrisetto dietro il grande bicchiere di caffè. Il trillo dell’ascensore m’impedì di balbettare una o due parole senza senso, in mia legittima difesa. Scelsi di arrossire in silenzio, sollevandomi gli occhiali sulla testa e fissando il pavimento, sconfitta. D’altronde, ero lì per fingermi un uomo, non per ammaliare qualcuno dei Bangtan con il mio fascino sincretico. Ah, che dolore.
«Li ho già svegliati io, questa mattina, di modo che tu possa andare a sistemarti tranquillamente in stanza per i prossimi venti minuti» m’informò. Molto gentile, da parte sua. «Tuttavia, da domani in poi, sarà compito tuo» precisò. Annuii, rischiando di farmi volare via gli occhiali dalla testa. «Un breve riepilogo sugli impegni di oggi: alle nove hanno un’intervista radiofonica, alle undici lezione di canto fino a mezzogiorno. Nel pomeriggio, dalle tre fino alle cinque, allenamento per le coreografie da concerto; dalle cinque alle sette, lezione di musica. Dopodiché, sono liberi di spendere la serata come meglio credono, a patto che le luci si spengano alle undici in punto, non un minuto prima, né dopo» concluse, evidenziando l’ultima parte del discorso con una certa enfasi. «Bene?»
«Tutto chiaro» risposi, mentre l’ascensore trillava e le porte scivolavano silenziosamente, aprendosi. Il manager mi superò, sorbendo il suo caffè in silenzio. Un ottimo modo per cominciare il nuovo lavoro, con una giornata piena di appuntamenti. Non vedevo l’ora.
Mi trascinai dietro la valigia, mentre il signor Kang bussava alla porta del dormitorio. Lo affiancai, sentendo la voce di HoSeok, che lo salutava con brio.
«MinSoo hyung!» Esclamò poi, sollevando il palmo affinché gli battessi un amichevole cinque di benvenuto. Sorrisi a disagio, congiungendo la mia mano alla sua, grande e vellutata. Nonostante fosse più anziano di me, usava comunque l’onorifico, a causa della mia posizione professionale. Che paese affascinante, la Corea del Sud. Lo guardai meglio, notando l’assenza di qualsiasi tipo di trucco sul suo volto e alcuni ciuffi della pesante frangia cioccolato ancora scompigliati. Come faceva ad essere così energico, appena sveglio? Io necessitavo di almeno dieci minuti di solitudine, per convincermi a riconnettermi pacificamente col mondo. E spesso non ci riuscivo. Lui, invece, sorrideva gentilmente ed accoglieva gente alla porta. Che meraviglia.
Entrai nell’appartamento, seguita dal signor Kang. Hobi si fece strada fino in cucina, dove anche JungKook e YoonGi erano ancora impegnati a fare colazione. Che visione, il maknae appena sveglio, con gli occhi ancora gonfi per il sonno, il cappuccio della felpa alzato e le labbra dischiuse. Reggeva una fetta biscottata nella grande mano nodosa, la quale minacciava di cadere nella tazza piena di latte da un momento all’altro, inzuppando il velo di marmellata di fragole con il quale fosse ricoperta. Povero cucciolo. Provai l’impeto di abbracciarlo fino a che non si sarebbe svegliato del tutto, ma mi trattenni. Nessuna pietà. YoonGi, invece, faceva ondeggiare il caffè nel suo bicchiere, con le palpebre abbassate e una fascia scura a tenere indietro i ciuffi corvini. Senza alcun tipo di trucco, gli scuri segnacci violacei sotto le sue palpebre inferiori erano ancora più evidenti, facendo sembrare i miei uno scherzo da ragazzini. Accidenti. Ed io che credevo utilizzasse ogni momento libero per dormire.
«Vuoi sederti con noi?» Mi chiese HoSeok, accomodandosi a quello che doveva esser stato il suo posto, infilzando il pancake rimasto nel piatto con la forchetta, apprestandosi a tagliarne un pezzo con il coltello. Scossi la testa, sorridendogli.
«Ho già mangiato, a casa» gli dissi, guardandolo annuire e portarsi il cibo alle labbra.
«Ragazzi, avvertite gli altri che alle nove meno venti c’è il van ad attendervi, giù» ricordò il signor Kang. «MinSoo prenderà la mia stanza e, a partire da oggi, vivrà nel dormitorio con voi» aggiunse. «Vieni, ti faccio vedere la camera» seguitò, dirigendosi verso il corridoio che collegava gli alloggi singoli. Tirò fuori una chiave dalla tasca posteriore dei jeans, ed aprì la penultima porta sulla destra.
«Eccoci qui. I tuoi vicini saranno NamJoon e TaeHyung, mentre di fronte avrai YoonGi» m’informò, mentre non sapevo se gioire per un motivo o piangere per un altro. Nel dubbio, non mostrai alcuna espressione, se non interesse. L’uomo mi consegnò la chiave, con una certa marzialità. «Sistemati come meglio credi, da oggi questa stanza è tua» concluse, tornando in cucina.
Mi guardai attorno, prendendo nota dell’ambiente. Quattro mura color crema, prive di alcuna decorazione; un letto, addossato alla parete e con i piedi rivolti alla finestra, un grosso armadio e una scrivania con tanto di sedia. Una porta in legno di noce collegava la zona riposo con il bagno in camera e fui molto felice di constatare la presenza di una doccia, che mi avrebbe risparmiato l’imbarazzo di scendere giù, ai bagni comuni. Tutto sommato, nonostante fosse molto anonimo, lo spazio non mi sembrava affatto male. La stanza era comunque molto ampia, per essere una singola. Sorrisi, soddisfatta. Avrei disposto i miei vestiti nel guardaroba e gli oggettini in bagno solo dopo, con molta calma.
Lasciai la valigia ancora chiusa accanto al letto ed uscii, richiudendo la porta a chiave. Tornai in cucina, dove lo scenario non era cambiato di una virgola, eccezion fatta per il maknae che beveva il suo latte ad occhi chiusi e YoonGi che lanciava un fazzoletto sporco appallottolato nel cestino, facendo centro. HoSeok si stiracchiava sonoramente sulla sua sedia, sporgendo in alto i pugni chiusi, inarcando la schiena come un gatto.
 «Vi aspetto giù, non fate tardi» concluse il manager, mentre i tre settimi dei Bangtan annuivano con testa pesante e lui usciva dalla stanza, facendomi un cenno di saluto con il capo. Ricambiai, rendendomi conto che sarei rimasta sola con i ragazzi. Improvvisamente, mi resi conto di avere sete.
«Dove sono i bicchieri?» Chiesi, guardandomi attorno. Il corvino protese un braccio, indicando la credenza in alto. Seguii la direzione da lui mostrata e mi venne da ridere. Non ci sarei mai arrivata, lì sopra. Mi sarebbero occorsi almeno altri dieci centimetri, che ahimè non possedevo. Molto divertente. Mi grattai la tempia, a disagio.
«Okay, ne farò a men…» esordii, ma il rumore di una sedia che grattava il pavimento mi zittii. JungKook si alzò in piedi, affiancandomi ed aprendo l’anta, procurandomi un bicchiere di vetro senza sforzo. Mi mise l’oggetto in mano, in silenzio. Dopodiché, tornò nuovamente a sedersi, crollando sulla seduta come un pupazzo senza vita. Battei le palpebre, rendendomi conto di quel che fosse appena successo. Era accaduto davvero? Era la mia vita, o un nuovo drama della KBS?
«G-grazie» balbettai a mezza voce, non realmente sicura che lui mi avesse sentita. Lo vidi sollevare un segno di vittoria, senza voltarsi. Inspirai profondamente, concentrandomi sul riempire il bicchiere d’acqua e non sul fatto che Jeon JungKook si fosse alzato per prendermi un bicchiere, avvicinandosi così tanto che avevo potuto sentire il profumo del suo bagnoschiuma al cocco e il calore della sua persona. Basta, Liv. Sei un uomo. Un uomo etero. Tieni la fangirl con gli ormoni a palla dove dovrebbe essere: nascosta nel profondo, sotto la parrucca, le bende ed il binder. Uno degli uomini dei tuoi sogni ha fatto un’azione positiva nei tuoi confronti, e allora? Al mondo esiste Park ChanYeol e non sa della tua esistenza. Chill.
«Ho ragione io!»
«Non è vero!»
Mentre bevevo la mia acqua, cercando di dissociarmi dalla vampa di calore che mi aveva trafitto le guance, un paio di voci si sovrapponevano una all’altra, in corridoio. Riconobbi immediatamente TaeHyung e JiMin, i quali stavano visibilmente discutendo per qualcosa.
«Oh, no» commentò HoSeok, scuotendo la testa.
«Ci risiamo» aggiunse YoonGi, passandosi una mano sulla faccia, senza voglia di vivere. Non capii. Il maknae rimase in silenzio. Dopo pochi istanti, li vedemmo irrompere in cucina, spintonandosi a vicenda.
Sembravano freschi e riposati come due boccioli, attivi ed energici anche più di Hobi. Avevano i capelli ancora umidi ed indossavano degli indumenti leggeri, canotte e magliette slargate, unite a pantaloncini di tute. Mi obbligai a fissarli in volto, e a non percorrere le loro intere figure con lo sguardo.
«MinSoo hyung!» Mi chiamò JiMin, fraternamente. «Ci serve il tuo giudizio. Non ci fidiamo degli altri» disse, mentre il corvino si lasciava scappare un verso sarcastico dalle labbra e HoSeok sollevava un sopracciglio.
«Okay» mi limitai a rispondere, stringendomi nelle spalle e portandomi il bicchiere alle labbra, prendendo un altro sorso d’acqua.
«Chi ce l’ha più grosso?» Chiese TaeHyung, ed improvvisamente accadde qualcosa di molto spiacevole. Entrambi, in perfetta sincronia, si tirarono su le magliette con una mano e spinsero giù gli elastici dei pantaloni con l’altra. Prima che potessi vedere dove andavano a parare, per lo shock avevo già sputato l’acqua, direttamente addosso a JungKook.
«Porca puttana!» Esclamò quello, scattando in piedi e rendendosi conto di quel che fosse appena successo. Mi portai una mano alle labbra, sbarrando gli occhi, sconvolta. Cosa avevo fatto?
«Barattolo delle parolacce, cinquemila won» si limitò a dire YoonGi.
«Ma hyung…!» Protestò il maknae, passandosi una manica della felpa sul viso e scuotendo via l’acqua in eccesso raccolta dal tessuto.
«Frega un cazzo. Vai» ribadì il corvino, esibendo un sorrisetto maligno. Il castano sbuffò, uscendo dalla cucina pestando i piedi.
«MinSoo hyung, ma che combini?» Chiese JiMin, ed io lo guardai, avendo eliminato dalla mente il motivo per il quale avessi innaffiato il povero Kookie. Il ballerino teneva la maglietta sollevata per un lembo, proprio come per il video di We Are Bulletproof, e aveva scoperto il ventre con l’altra mano, spingendo in giù l’elastico dei pantaloncini, fermandosi all’osso corrispondente al fanco. Medesima situazione per il suo amico, accanto a lui. Battei le palpebre, senza capire. Quindi, non si erano levati le mutande? No? Ah. Che peccato.
«Di chi è l’ombelico più grande?» Chiese TaeHyung, impaziente.
«Io amo il mio lavoro, io amo il mio lavoro…» mormorò YoonGi come un mantra, alzandosi ed uscendo dalla cucina. HoSeok mi fissava, quasi volendomi implorare di non assecondare la loro follia. Deglutii.
«Mi… mi sembrano uguali» dissi, incerta.
«Oh, andiamo, è palese che il mio sia più grosso» protestò il castano, avvicinandosi a me. A torso semi-nudo. Indietreggiai, finendo con la schiena contro il bancone della cucina. Ero in trappola. Dopo qualche istante, anche JiMin raggiunse il suo compagno, occhieggiandone il ventre e comparandolo visivamente con il proprio. Iniziarono a parlottare, come quelle coppie di amici che si misuravano i bicipiti a vicenda, in palestra. Profumavano di perdizione. E di Liv che perdeva il suo lavoro prim’ancora di cominciare.
«Ragazzi, è tardi. Il signor Kang ci aspetta giù e voi siete ancora in tuta» provai a dissuaderli. Li udii sbuffare, tirandosi giù le magliette. Mi avevano davvero dato retta? Sul serio?
«Sappi che ho vinto io» bisbigliò il biondo al castano, voltandosi e dandogli di gomito. L’altro rispose con un verso sarcastico, mentre uscivano dalla cucina. Incredibile. Era così facile?
«Considerali come i due figli problematici di una grande famiglia» disse HoSeok, notando la mia espressione sconvolta. «Ci farai presto l’abitudine» aggiunse, sorridendo. Annuii, guardandolo alzarsi, stiracchiarsi nuovamente e sparire in corridoio, fischiettando Boombayah delle BLACKPINK. Avrei dovuto scusarmi con JungKook, più tardi. Se mai avessi trovato abbastanza coraggio, ovviamente.



 




 


#Yah!: eeeee rieccoci anche di qua! Perdonate il ritardo, ma fra le tantissime cose che succedono ogni Settembre (esami, esami, esami), conciliare tutto è sempre difficile. Inoltre, visto che questa storia è un'inedita, e non un re-post, come le altre che ho in corso, ho deciso che l'aggiornerò con un po' meno frequenza (aka, mi serve tempo per mandare avanti la trama in maniera decente)! Per quel che riguarda il capitolo... sappiate che questo sarà solo l'inizio delle figuracce, per la povera Liv. Ho tutta l'intenzione di metterla molto in difficoltà, hehehe! Bene, dopo questo spoiler che manco il vero finale di GoT, posso concludere questo spazio autrice.
Come sempre, grazie mille a tutti i lettori silenziosi, a chi preferisce/segue/ricorda e anche a chi recensisce, ricevere feedback è sempre super positivo! 

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Capitolo 7
*** VI. Same Bad Choices ***


 track 06.  ► S a m e   B a d   C h o i c e s



“Don’t take life too seriously. You will never get out of it alive”
Elbert Hubbard



Verso Hongdae, ore 9.00 

 

L’esperienza del van era proprio come mi capitava di vedere alla televisione, di tanto in tanto. E anche come i ragazzi stessi avevano mostrato durante i loro videolog. Si sedevano in maniera ordinata, rumoreggiando come bambini sovreccitati al loro primo giorno di scuola. Ogni tanto, qualcuno lanciava un’esclamazione, o YoonGi si lasciava sfuggire un insulto a voce alta. Dal mio posto accanto al signor Kang, riuscivo a catturare pezzi di conversazione, di quando in quando. In quel momento, NamJoon stava parlando a JungKook di un film indipendente di produzione giapponese, che aveva visto la sera prima. Distrattamente, mi domandai quanto eclettici potessero essere i suoi gusti, da spingerlo a cercare proprio quel tipo di pellicola. Non avevo ancora avuto modo di conoscerli a fondo, uno per uno. Certo, possedevo comunque l’idea delle loro personalità, costruita in anni di militanza nel fandom, di ascolto attento e consapevole di canzoni e di sedute di video, quando gli esami universitari me lo permettevano. E ciò, veniva poi unito alle mie riflessioni personali. Tuttavia, non avrei mai potuto ammettere di sapere di che colore fossero fatte le loro anime, basandomi solo su ciò che essi mostravano alle telecamere. Avrebbe potuto benissimo trattarsi di un’esagerazione, di un insieme di costrizioni scaturite dai loro contratti. Anche se, la major mi era sembrata, fino a quel momento, particolarmente accorta alle loro esigenze da esseri umani, abbastanza da non avere bisogno di obbligarli a recitare la parte delle allegre superstars per il pubblico.
Sospirai, impercettibilmente. Liv, pensi troppo. E quello era sempre stato un grosso problema, per me. Soprattutto, perché tendevo a ragionare molto su questioni perfettamente inutili, che mi avrebbero permesso di vivere al meglio e a lungo, se non considerate con così tanta apprensione.
«Quale sarà il tema dell’intervista?» Domandai, per distrarmi. Il signor Kang mise in stand-by il suo iPad, prestandomi attenzione.
«Una domanda, finalmente! Pensavo che non mi avresti mai chiesto nulla» commentò lui, con un mezzo sorrisetto sulle labbra. Ammutolii, arrossendo. Realizzai che fosse sempre stato lui a comunicarmi informazioni e a delegarmi impegni, e che io non avessi sollevato neanche una questione, in merito. Non ero una tipa che parlava molto, le domande me le ponevo in testa, non le esternavo mica.
«In ogni caso, parleranno di ragazze» rivelò. «L’etichetta sta lavorando al rilascio di 21st Century Girl come nuovo singolo, prima del repack. Sai, per la connessione che ci sarà con il prossimo album» aggiunse. Wow, amico, frena. Già conoscevano il concept del nuovo album? E non era uscito nemmeno il repack? Mi prendevano in giro? Non ci avevo ancora capito un accidente, io, fra teorie, video e short films, e quello lì mi veniva a parlare di “connessioni” e “prossimo disco”? maledizione, avrei dovuto aprirmi un account twitter per seminare incertezza e terrore nel fandom.
«P-prossimo album…?» Balbettai, ancora in shock da quel che avessi sentito. Lo vidi annuire, riaprendo la schermata dell’iPad. Minimizzò alcune app ed aprì un nuovo foglio di word. In cima, prima del corpo del testo, lessi “BTS 7 _LOVE YOURSELF”. L’indice nodoso del signor Kang scorse la pagina, mostrando bozze di disegni, concetti, scritte fitte in ideogrammi stretti ed allungati. Qui e lì, colsi le parole “fiore”, “autostima”, “prevenzione contro il suicidio”. Sbarrai gli occhi. Eccoci qua. Un nuovo comeback super emo con almeno cento riferimenti ad ambiti ed aspetti diversi, dove il tema principale si frammentava in altre sottocategorie collegate. Il mio cervello da elaboratrice di teorie stava già partendo in quarta, quando un nuovo scroll del manager mi spinse sotto gli occhi il disegno di una ragazza, pieno di annotazioni. Ma chi si occupava della grafica, lì dentro? Lo sapevano che gli esseri umani non erano così magri, né alti?
«Questo è il nostro target, la 21st Century Girl per eccellenza. Dopo la scuola, il sistema e la ribellione, analizzati nei loro precedenti album, abbiamo dato un taglio più maturo ai contenuti, e collegato un po’ di cose. Per esempio, l’amicizia, la fratellanza, il peccato, il tradimento e via discorrendo. Sono comunque argomenti di una certa levatura emotiva, non è roba per ragazzine. Ed è proprio questo che ci differenzia dalle altre majors: noi vogliamo raccontare una storia, la loro e anche quella di chi guarda il video. Soprattutto, lasciare sempre l’impressione sospesa che anche le situazioni più brutte, alla fine volgono per il meglio» spiegò. «Ah, un’altra parte del tuo ruolo, sarà quella di cercare teorie costruite dalle ARMYs in giro per la rete. E di farti un falso profilo twitter, per lanciare ami e smentirli subito dopo. Insomma, creare confusione attorno alle loro pontificazioni. Non possiamo permettere che qualche fan con abbastanza fantasia da poter competere con i nostri creativi, spoileri l’andazzo della storia, capisci che intendo?» Chiese, sollevando un sopracciglio e cercando la mia complicità. Feci del mio meglio per non scoppiargli a ridere in faccia, concludendo il mio accesso d’ilarità in un pianto disperato. Allora era vero, la Big Hit conosceva le teorie, e dava spunti per poi demolirli l’attimo dopo, seminando labirintite nel cervello già più che andato delle loro fans. Ci si divertivano proprio, a sguazzare nel mare che loro stessi si erano dati tanta pena di creare. E come biasimarli: l’avrei volentieri fatto anche io. No, rettifica: avrei dovuto farlo anche io. Proprio io, che mi prendevo giornate sabbatiche all’università ed occupavo un posto in biblioteca, per collegare quello che quei sette disgraziati facevano nei loro video. Molto, molto divertente.
«Non temere: diventerà tutto più chiaro dopo la tua prima riunione con Bang PD-nim e il team di creativi, giovedì. Discuteranno del nuovo mv e potrai osservare come funziona la loro progettazione sul campo. In caso avessi anche qualche tua idea, potrai esporla: ascoltiamo tutti, presenziano pure i ragazzi» commentò, e quella notizia non contribuì affatto a calmarmi, casomai sortì l’effetto contrario. Una riunione vera, con il team dei creativi? Con le menti bacate dietro quel gran disagio che erano i video dei Bangtan Sonyeondan? Avrei potuto scuotere qualcuno di loro per le spalle, urlandogli in faccia che i suoi deliri mi avevano rovinato la vita? No? Peccato.
«Ah, siamo quasi arrivati», notò il manager. Poi, si slacciò la cintura e salì con le ginocchia sul sedile, voltandosi indietro. Mi sporsi anch’io per osservare la scena, curiosa di quel che stesse per accadere.
«Gente, mancano cinque minuti» richiamò l’attenzione, facendo immediatamente calare il silenzio nel van. «Sapete benissimo che la vostra originalità è la nostra forza, e che il lavoro di squadra fa raggiungere i sogni» recitò. «Ma, vi prego, l’argomento dell’intervista ruoterà attorno alle ragazze…» e si sollevarono un paio di esclamazioni e risatine, seguite da goliardiche pacche. «Mi sta bene che diciate che la vostra tipa dei sogni ha i capelli lunghi e cucina nuda in tacchi a spillo» altre urla. «Ma per l’amor di Dio, TaeHyung-ah, menziona anche solo alla lontana che la tua donna dovrà saperti legare al letto e ti prendo a calci da qui fino al dormitorio» lo minacciò e quasi mi strozzai con la mia stessa saliva. Che cosa?
«Hyung, ma è vero» protestò lui, mettendo il broncio. Ancora: che cosa?
«Non m’interessa. Le stranezze da BDSM tienitele per te».
«Diciamo tutti una preghiera per la futura moglie di Tae, ragazzi» s’intromise HoSeok.
«Diamogli Wonder Woman, è brava con la frusta» aggiunse JungKook.
«L’unica corda che ti legheranno mai addosso, sarà il cappio» commentò poi YoonGi, scatenando le risate generali.
«Sbellicatevi pure. Quando io avrò almeno tre orgasmi a notte, non venitemi a piangere al telefono, dicendo “le mie scopate non hanno senso, buu huu”» ribatté il castano, incrociando le braccia e guardando fuori dal finestrino, mentre gli altri lo strattonavano o gli lanciavano addosso fazzoletti e cuffiette.
Ero completamente sconvolta. Probabilmente, non mi sarei mai ripresa da un trauma del genere. Legare? BDSM? Kim TaeHyung? Quell’adorabile piccolo pupazzo fuori di testa, che saltellava sul palco e creava elefanti pizzicandosi la sua stessa ciccia? Quel Kim TaeHyung? Erano proprio sicuri? Notando la mia costernazione, il signor Kang si sentì in dovere di scuotere la testa.
«Il ragazzo è pieno di strane manie» bisbigliò. «Detto fra noi, non penso esisterà mai una donna disposta a tanto, pur di stare con lui» concluse, mentre l’autista si accostava al marciapiede ed io perdevo il contatto con la realtà sempre di più. Il mio ultimate era un pervertito. Sì, lo erano un po’ tutti gli uomini, ma quello lì era un pro. Gli piacevano le corde. E io a stento sapevo allacciarmi le scarpe in maniera socialmente accettabile. Iniziai seriamente a considerare l’ipotesi di scegliere NamJoon, come ultimate. Almeno, ci saremmo fatti lunghe conversazioni sul senso della vita al tramonto, sorseggiando vino rosso come veri intellettuali sofisticati.
«Si scende» comunicò l’uomo, mentre la sua voce veniva coperta dal rumore di cinture che venivano slacciate, e qualcuno ancora ridacchiava per le raccomandazioni di poco prima.
 

 



Hongdae, ore 10.10

 
«Yo, a tutti i nostri ascoltatori! Lo sappiamo che stavate aspettando solo questo momento, e che non siete qui per la voce sexy del sottoscritto…» disse lo speaker, scatenando l’ilarità generale. I ragazzi erano seduti attorno all’ampio tavolo dello studio di registrazione, ognuno munito di cuffie e microfono mobile. Non ero mai stata in un luogo del genere, prima di quel momento. I muri erano coperti da un materiale soffice al tatto, che ricordava molto le confezioni di cartone in cui si conservavano le uova, al supermercato. Immaginai che servisse per ottenere un’acustica migliore, in fin dei conti. E anche la disposizione degli ambienti era particolare: gli speakers e i Bangtan si trovavano in una stanza, separata da quella in cui fossimo il manager ed io, da una parete per metà costituita in vetro. Intuii che dovesse occorrere per l’insonorizzazione, ma chiedere informazioni in merito era fuori discussione. Avrei dovuto sembrare professionale, non la versione mascherata da uomo di Alice in Wonderland, andando a sfiorare qualsiasi altro strumento tecnologico dall’aspetto sufficientemente astruso. No. Me ne sarei rimasta dall’altro lato del muro trasparente, con il mio paio di cuffie e il foglio sul quale erano annotati i topic dell’intervista. Lessi “situazioni sentimentali”, “donna ideale” e “turnazione”. Interessante. Mi sarei proprio divertita, a sentire che tipo di ragazza avrebbe voluto Min YoonGi. E temevo per TaeHyung. Se il suo sogno era quello di farsi legare, non potevo neanche permettermi di indovinare che razza di relazione si aspettasse, con l’altro sesso.
Un brivido mi corse lungo la spina dorsale e riportai l’attenzione sui Bangtan, che ridevano e chiacchieravano come se fossero seduti al bar, di fronte ad un caffè. Probabilmente, erano così abituati, a quel tipo di esperienze, che ormai si trattava di una sorta di normalità, per loro. In una situazione analoga, io non avrei saputo cosa rispondere o come comportarmi. “Cosa ne pensi del nuovo singolo degli EXO?”, pausa imbarazzante di due minuti. Risposta: “mi farei Park ChanYeol”. Visto? Ingiudicabile. Inenarrabile. Per fortuna che l’apprendista manager non aveva voce in capitolo.
«JiMin-ah» lo chiamò lo speaker, e lui rispose con un cenno del capo. Ancora una volta, i suoi morbidi capelli biondi ondeggiarono, imitando le spighe di grano al vento. Mi venne in mente il meme di Pacha, delle Follie dell’Imperatore, quando parlava delle “colline che cantano”. Immaginai la mia versione, dello stesso meme: “e quando Park JiMin muove la testa… i suoi capelli cantano”. Che squallore. Ma perché pensavo a quelle cose?
«Ho letto parecchi commenti sotto al tuo short film, su YouTube… hai un sacco di fans» seguitò l’uomo, che si chiamava Kwon MinHyuk ed aveva venticinque anni, quindi perfettamente cosciente di come una fangirl con gli ormoni in palla ragionasse, soprattutto dopo aver ricevuto il magnifico super potere di una tastiera sotto le proprie dita. Il ballerino arrossì, coprendosi il volto con le piccole dita.
«Ah, che tenero» intervenne la seconda speaker, Kim YouRa, ventiquattro anni ed assurda somiglianza con Dara delle 2NE1. Veramente, sarebbe potuta passare per sua sorella, o per l’imitatrice ufficiale. Aveva una carriera spianata, di fronte a sé.
«JiMin-ah è quello che riscuote più successo fra le giovani» disse NamJoon, prendendo in mano la situazione.
«È colpa del suo faccino carino, quando sorride chiude quasi completamente gli occhi, come uno Shiba Inu» aggiunse HoSeok, facendo ridere gli speakers.
«Yah, non sono un cane» protestò il biondo, lanciando una matita addosso ad Hobi.
«Colgo la palla al balzo: preferiresti che la tua ragazza avesse la tua stessa età, o che fosse più piccola? Magari più grande…?» Domandò, mentre risatine vaghe si diffondevano in sottofondo. Posai il foglio con i topics sul banchetto di fronte a me, dove altri addetti al suono erano appollaiati, seguendo la trasmissione radio, e presi la bottiglietta di plastica che il signor Kang mi aveva portato dal distributore automatico. Sperai di poterla bere in pace, senza essere interrotta da frasi moleste.
«Oh, no, a me vanno bene sia piccole che coetanee. L’importante è che abbiano una personalità gentile, dei modi amorevoli… e che i loro lineamenti rientrino nei miei gusti» spiegò il biondo, mentre bevevo. «È Kookie, quello a cui piacciono grandi. Soprattutto di circa due anni più di lui, più o meno della mia età» aggiunse, ed io sputai nuovamente l’acqua. Il vetro s’inzuppò, mentre un paio di addetti saltavano giù dal ripiano, sibilando. Mi coprii ancora la bocca con la mano, dispiaciutissima e sorpresa allo stesso momento, mentre il signor Kang mi lanciava un’occhiata al massimo della costernazione.
«L’ha fatto di nuovo!» Esclamò JungKook, puntando il dito contro il vetro, dalla saletta. Mi aveva visto?
«Che cosa?» Domandò YouRa, guardandosi attorno.
«Abbiamo un nuovo apprendista manager, ha l’età di Tae e JiMin-ah» esordì il maknae, facendomi cascare le braccia. Ma che voleva, dalla mia vita? Avevo delle reazioni particolari, e allora? La gente sveniva senza motivo, io avrei potuto sputare dell’acqua per non affogare, o no?
«E, ogni tanto, mentre beve, sputa via l’acqua… in maniera molto teatrale…» seguitò, iniziando a ridere.
«Sembra un idrante rotto» aggiunse YoonGi. Gli speaker stavano ormai sghignazzando, mentre Jin e NamJoon si guardavano confusi, non seguendo la situazione. Io, dall’altra parte del vetro, avevo ormai raggiunto lo stesso colorito del ketchup. Avrei potuto finalmente gareggiare negli States come “più gran pomodoro dell’anno” e vincere il titolo senza sforzo. I medesimi tecnici del suono che avevano testimoniato l’accaduto, stavano provvedendo a pulire il vetro con uno straccio, lanciandomi occhiate sospettose. In mia difesa, avevo posato l’acqua ben lontano dalle mie mani, e sprofondato il volto nel colletto della camicia, fingendomi interessatissima al foglio dei topic. Pubblica umiliazione il primo giorno di lavoro? Check. Voglia di scavarmi un tunnel sotterraneo e non salire mai più in superficie? Double check.
«Yah, portate rispetto al manager hyung!» Li redarguì HoSeok. Luce dei miei occhi, unico neurone sano in quella moria d’intelligenza. L’avrei lasciato dormire dieci minuti in più e gli avrei preparato il piatto più abbondante, a pranzo.
«Ma che cosa state dicendo?» Chiese NamJoon, guardando i suoi compagni con un sopracciglio sollevato. JungKook era ormai fuori dai giochi, avendo seppellito il volto nelle braccia sul tavolo, mentre le spalle sussultavano ritmicamente, YoonGi ridacchiava con aria di superiorità e JiMin e TaeHyung ridevano perché il maknae rideva. Non c’era speranza di salvare quell’intervista, ormai.
«Possiamo chiamarlo in sala? Abbiamo un altro microfono? Voglio saperne di più su questa storia» disse MinHyuk e gli addetti mi fecero cenno di entrare in studio. Che cosa? E, prima che potessi oppormi in ogni modo, mi avevano già tirato per un braccio e sbattuta in saletta, sotto gli occhi di tutti. Appena superai l’uscio, la maknae line scoppiò di nuovo a ridere ed io sentivo la voglia di vivere scivolarmi via di dosso, velocemente. Perché avevo dato retta a YooNa? Perché non ero rimasta a piagnucolare sul divano, in santa pace?
«Eccolo qua, il nostro famoso apprendista!» Mi accolse lo speaker, sfoggiando un sorrisone incoraggiante e facendomi cenno di raggiungerlo, con la mano. In altre occasioni, avrei anche potuto pensare che fosse un ragazzo carino: volto ovale, lineamenti delicati, capelli corvini in piega perfetta e aria malandrina alla Seo InGuk. Ma, in quel momento, sentivo solamente le risate dei maknae e i fallimentari tentativi della hyung line di farli stare buoni.
«Ma guarda che carino, che è! Potrebbe tranquillamente essere l’ottavo Bangtan» commentò YouRa, mentre mi sentivo ancora più male. Ottavo cosa, probabilmente mi avrebbero licenziata nell’arco di tre ore. E poi ero una ragazza, diamine. Mia cugina aveva fatto veramente un ottimo lavoro, nel trasformarmi in un uomo, niente da eccepire.
«Siediti…» ed attese che pronunciassi il mio nome, battendo la mano su una sedia libera accanto a sé.
«L-Lee MinSoo» balbettai, prendendo posto fra lui e NamJoon, nell’apogeo dell’inadeguatezza sociale.
«Vuoi raccontarci la storia fin dall’inizio, MinSoo-ah? Questi tre non fanno altro che ridere» mi esortò, mentre la maknae line riprendeva ossigeno e scuoteva mani e teste, cercando in tutti i modi di non esplodere nuovamente. Li avrei presi così tanto a calci, se fossi stata in un modo parallelo, che probabilmente ognuno di loro avrebbe potuto sfoggiare un sedere alla Jennifer Lopez in almeno venti minuti. Mi grattai la testa a disagio per qualche attimo, vedendomi arrivare un microfono sotto il naso, mentre il silenzio calava nello studio e tutti si aspettavano che io prendessi parola. Dall’altro lato del vetro, vedevo il signor Kang farmi cenno di procedere. In fretta.
«Il punto è che succedono degli episodi molto particolari, ai quali io… uhm… non sono abituato. Casualmente, accadono sempre quando sto bevendo, così… per non strozzarmi con l’acqua, devo sputarla via…»
«In faccia a JungKook» concluse YoonGi e risero di nuovo, perfino gli speakers.
«Davvero?» Chiese MinHyuk e il corvino annuì al mio posto.
«Stamattina, per esempio».
«E perché?»
«Perché i nostri maknae hanno delle personalità esuberanti e si comportano come se avessero tre anni» concluse HoSeok, salvandomi dall’imbarazzo.
«Yah!» Protestarono JiMin e TaeHyung, non sapendo se indignarsi o continuare a ridere.
«Dicci un po’, MinSoo, come sono i Bangtan quando si tratta di ragazze?» Domandò YouRa ed io sbiancai. L’unica cosa che mi veniva in mente, era la discussione sul BDSM. Non riuscivo a pensare ad altro. Oh mamma saura. Non avrei potuto spiattellarlo in diretta radiofonica nazionale. Doveva pur esserci un modo diplomatico di chiudere la questione.
«Sono arrivato solo ieri, non ho ancora avuto modo di presenziare a nessun fansign…» mi giustificai, cercando di sorridere e non scoppiare in lacrime. Potevo tornarmene dall’altra parte del vetro, in silenzio?
«Ah, perfetto. Allora, facciamo così: a partire da NamJoon, descrivete qual è, il tipo ideale, della persona alla vostra destra. Così aiuterete il povero MinSoo a conoscervi meglio, senza inzuppare nessuno» propose MinHyuk. Altre risatine. Ma che simpaticone! C’era davvero bisogno di parlare di acqua ogni volta?
«Uhm…» esordì il leader, sistemandosi il berretto sulla testa e sorridendo, impacciato. «Non parliamo spesso di ragazze, anche perché Jin hyung ha standard molto alti» disse, e l’altro annuì, solenne. «Ovviamente, tutte le nostre ne ARMY fanno parte, sia chiaro» specificò, facendo ridacchiare gli speakers. «Però… penso che il suo ideale di donna sia qualcuno di impeccabile, che abbia una grossa forza di volontà ed ottimo gusto nel vestire. Ah, e che sappia cucinare, ma che sia comunque disposta a lasciare a lui i fornelli, di quando in quando. E che adori le battute. Molte battute» concluse, ridendo. L’altro gli batté le mani, in segno d’approvazione.
«NamJoon-ah mi conosce veramente bene, devo ammetterlo» commentò, trattenendo una risata. «Ma per lui è stato facile. Io ho paura di YoonGi-ah» rivelò, facendo ridere tutti. Il corvino si strinse nelle spalle, esibendo la sua espressione di superiorità. «Da quel che ho potuto capire, a lui non importa molto l’aspetto esteriore. A lui interessa che questa persona abbia qualcosa da dire, una storia da raccontare. E che nutra un interesse vero per la musica, altrimenti non potrebbe capire niente, di lui» provò, ottenendo un’espressione colpita dal suo dongsaeng, ed un pollice alto.
«A YoonGi hyung piacciono le donne forti che non hanno paura di niente» s’intromise TaeHyung.
«Black Widow, della Marvel» sottolineò JungKook.
«Una supereroina!» Esclamò YouRa, fra le risate. «Una tipa indipendente».
«Abbastanza, sì» riprese Jin. «Basta che lo lasci dormire in pace» concluse. Spostammo lo sguardo sul corvino, che si passò una mano fra i capelli, scompigliandone i lunghi ciuffi d’ebano.
«Uhm, a JiMin piacciono le ragazzine intraprendenti» sparò, e scoppiammo tutti a ridere. Io per prima, finalmente. Qualcun altro alla gogna, che goduria. Il ballerino era diventato viola dalla vergogna, iniziò a levarsi le cuffie e fece per alzarsi.
«Dove vai, torna qui» gli disse NamJoon, fermandolo prima che uscisse dalla saletta. Il biondo tornò sui suoi passi e si sedette, incrociando le braccia al petto, al di sotto dell’ampio golfino leggero. Con ogni probabilità, si sarebbe volentieri sotterrato anche lui, in quel momento. Ancora una volta, mi meravigliai di quanto potente fosse il karma. Incredibile.
«Dicevo, lui ha un debole per le collegiali. Sai, quelle col faccino pulito, sempre sorridenti, che ti chiamano “oppa” e con le quali andresti a prendere un gelato? Loro» descrisse YoonGi, lanciando un’occhiatina divertita all’amico, il quale si stava mordendo l’interno della guancia, sollevando un sopracciglio.
«Che bravo ragazzo» commentò MinHyuk. «Perché sei così imbarazzato? È una bella cosa» gli disse, provando a rincuorarlo.
«JiMinie è sempre timido, quando si parla di lui ed è presente» disse HoSeok, ridacchiando.
«Uhm» si schiarì la gola il biondo, prendendo la parola per il suo turno di descrizione. «TaeHyung ha gusti eclettici» e iniziò a ridacchiare. Oh no. Oh no, no, no. Iniziai ad avvertire il panico, mentre gli altri sembravano tranquillissimi e il castano gongolava nel suo stesso brodo. Solo io vedevo la catastrofe imminente? «A lui piacciono molto le ragazze brave a… stringere legami» e scoppiò a ridere, seguito a ruota da JungKook e NamJoon, mentre io sbarravo gli occhi e il resto dei ragazzi ridacchiava, scuotendo la testa. Ecco qua. Sapevo che sarebbe finita in quel modo.
«Quindi, ragazze socievoli?» Tentò YouRa. JiMin annuì.
«Oh sì. Tantissimo» concluse, gettando un braccio attorno alle spalle del suo amico, trattenendo un’altra risata. Mi passai una mano sulla faccia. Folli. Erano tutti folli.
«Ad Hobi hyung piacciono le donne di cuore» disse TaeHyung, annuendo, fiero della sua frase formulata con tanta poesia. «Le persone gentili e solari, che mettono l’anima in tutto, un po’ come lui».
«È la cosa più intelligente che abbia detto in due settimane» commentò YoonGi, spezzando l’atmosfera romantica calata sui presenti.
«Sento del bullismo nell’aria?» Commentò MinHyuk, ridacchiando. Il corvino si strinse nelle spalle.
«Lo hyung dimostra affetto in questo modo» disse il castano, come se nulla fosse accaduto.
«JungKookie-ah s’imbarazza molto, con le ragazze» ammise HoSeok, mentre l’altro accusava il colpo, annuendo e sorridendo. «Però, JiMinie aveva ragione, a lui piacciono più grandi, con esperienza» e scoppiò a ridere.
«Forse gli manca la mamma?» Chiese Jin, infierendo.
«Gli piace quello che non può avere» aggiunse NamJoon, rigirando il coltello nella piaga.
«Suvvia, lo state distruggendo» intervenne YouRa, in sua difesa. Ma JiMin si oppose.
«No, no! Deve ricordarsi qual è il suo posto» commentò, mentre l’altro si copriva la faccia con le mani, senza più dignità. «E chi è nato a Busan per primo».
«Ancora, hyung?» Ebbe solo il coraggio di dire, liberando il volto e mostrando le guance rubiconde dalla vergogna.
«Sempre» ribatté quello, annuendo. Era proprio vero che i diss più potenti ai Bangtan, li facevano i loro stessi membri del gruppo.
«Kookie-ah, parla di NamJoon hyung, così chiudiamo il cerchio» gli disse MinHyuk. Il maknae tamburellò con le dita sulle grandi cuffie, radunando i pensieri. Aveva l’aria parecchio assorta, quasi stesse facendo un monologo interiore con la sua coscienza.
«Lo hyung andrebbe d’accordo con un’altra anima grande quanto la sua» disse, scegliendo con cura le parole. «Qualcuno a cui piaccia leggere, che abbia un sacco di domande da fare e voglia di vedere il mondo, conoscere altri esseri umani. Una bella persona, insomma. Che abbia anche molta pazienza, per tutti gli oggetti rotti che si ritroverà in casa» aggiunse, facendo ridere di gusto il leader.
«Ben detto» commentò quello, mentre un paio di minuscole voragini di allegria si aprivano nelle sue guance, guarnendo il candido sorriso del giovane. Come faceva, la gente, a dire che non fosse bello? In quel momento, Kim NamJoon era un piccolo pezzo d’arte imbarazzata, uno spettacolo per pochi. Il mondo andava proprio male, per non rendersene conto.
«MinSoo-ah» mi richiamò lo speaker, strappandomi ai miei pensieri.
«Eh?» Dissi, distratta.
«Adesso pensi di conoscere un po’ meglio il tuo team?»
«Direi di sì» ammisi, lanciando loro uno sguardo circolare. «Ci sono ancora degli aspetti sui quali sarebbe meglio non indagare, ma sento di averne proprio approfondito parecchi altri» conclusi, cercando di essere il più diplomatica possibile. Gli speaker annuirono, per poi indire dieci minuti di pausa, durante i quali avrebbero mandato delle canzoni in onda. Mi alzai, stiracchiandomi, felice di non dover più contribuire attivamente all’intervista, desiderosa di tornarmene al mio posto dietro le quinte, dove nessuno poteva vedermi, né udirmi.
Sentii i ragazzi rumoreggiare, fra cui JiMin che si lamentava con YoonGi a causa delle “ragazzine intraprendenti”, con relativo gestaccio e linguaggio colorito in risposta. Dovetti comunque ammettere che fosse divertente, trascorrere il tempo insieme a loro. Magari, mi ci sarei anche abituata. 



 



 


#Yah!: per vostra informazione, io sono realmente convinta che a Tae piacciano quelle cose. E' da Run che lo penso.

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Capitolo 8
*** VII. Same Strength ***


 track 07.  ► S a m e   S t r e n g t h



“Courage is found in unlikely places.” 
J. R. R. Tolkien


Gangnam-gu, ore 11.20

 

Dopo l’intervista radiofonica, i ragazzi avevano un’ora di lezione di canto, il che voleva dire prezioso tempo di solitudine per me. L’avrei volentieri impiegato tutto per gettarmi sul letto e dormire sonoramente fino ad ora di pranzo, ma non potevo. Dovevo essere una figura professionale. Ragion per la quale, dopo che loro fossero saliti in aula, io mi fossi fiondata ad aprire il frigo.
Avevo tutta l’intenzione di preparare il pranzo per i Bangtan, impiegando i minuti morti per qualcosa di costruttivo. Fortunatamente, qualcuno doveva aver fatto spesa sufficiente per un paio di giorni e trovai tutto quel che mi serviva. Tirai fuori la docking station dalla valigia e vi sistemai l’iPod al centro, facendo partire una delle mie playlists Spotify preferita, quella con i successi degli anni 2000. Misi l’acqua a bollire con “Crazy in Love” di Beyoncé, sentendomi una vera sorella del ghetto che preparava soul food al suo uomo. Ovviamente, il dessert non avrei avuto bisogno di cucinarlo. Perché sarei stata io, il suo dolce preferito. Ah, che femme fatale, che ero. Mi arrischiai perfino a cantare, disponendo gli ingredienti sul bancone. Se c’era almeno una cosa che fossi in grado di portare a termine, quello era cucinare. Avevo passato quasi metà della vita a guardare programmi di chefs, leggere ricette, osservare i video di pagine Facebook come Tasty o Cookat. Ad un certo punto della mia esistenza, dovevo aver assimilato quel che i miei occhi avevano imparato, essendo stranamente in grado di combinare materie prime e spezie. C’erano ancora problemi con le cotture, di quando in quando, ma non potevo certo essere perfetta. Altrimenti, avrei potuto tranquillamente aprire un ristorante a Seoul e sbarcare il lunario cuocendo cibo tutto il giorno sul retro. Però, tutto sommato, me la cavavo più che bene. Soltanto i ragazzi che non avevano accettato i miei dolci a san Valentino, sapevano quel che si perdevano. E così, sentendomi l’erede per metà asiatica di Gordon Ramsay, trascorsi l’intera ora a friggere, bollire e saltare in padella. Mentre spadellavo, aggiungevo inframmezzi coreografici, in cui, cantando e ballando, apparecchiavo anche. Iniziai ad udire il tipico chiasso dei Bangtan proprio mentre stavo per trasportare tutto il cibo sulla tavola.
«Cos’è questo buon profumo? Jin hyung, hai imparato a clonarti?» Sentii esclamare, da TaeHyung. Poi, rumore di ciabatte e calcagni in corsa, e i ragazzi si assieparono sulla porta, sporgendosi oltre le spalle dei più alti per osservare con i loro occhi. Rimasero a bocca aperta, mentre mi osservavano sistemare un pentolone di dolsot bibimbap*, facendo attenzione a non scottarmi, permettendo agli ingredienti di cuocere ancora, in autonomia. Quando riposi anche il tteokbokki*, qualcuno di loro iniziò a commuoversi.
«MinSoo hyung, hai fatto tutto tu?» Domandò HoSeok, con gli occhi che brillavano. Annuii, finendo di disporre salsine, contorni e altre pietanze, per poi asciugarmi le mani sul grembiule di gattini rosa.
«Sapevo che occuparsi dei pasti fosse compito di Jin-ah, ma eravate impegnati con la lezione e volevo farvi trovare il pranzo già pronto» mi schermii. «Se dovesse essere un problema, dit…» e non finii di parlare, che Hobi e i maknae corsero ad abbracciarmi, mozzandomi il respiro. Gli altri tre rimasero sulla porta, ad applaudire soddisfatti.
«Riconosco ufficialmente Lee MinSoo come mio legittimo figlio ed erede» decretò il più anziano del gruppo, scostando una sedia con eleganza.
«Ragazzi, sto per iperventilare» mormorai, facendo sciogliere la stretta ai giovani, permettendo all’ossigeno di fluire nuovamente nei miei polmoni.
«È che il massimo che ha sempre fatto Kang hyung, è stato quello di comprare street food in giro per la città» commentò JungKook, mettendo su un’espressione stanca.
«In cucina era negato» convenne TaeHyung.
«Ricordo ancora il mal di stomaco di quando ha provato a cuocere il pollo fritto» riferì JiMin, passandosi una manina sul ventre piatto, storcendo i lineamenti al ricordo.
«E quando Jin hyung non poteva provvedere al pranzo, dovevamo sempre scegliere fra quello o la pizza» concluse Hobi. Mi grattai una tempia, a disagio. Ma come avevano vissuto, fino a quel momento? Se i miei calcoli fossero stati esatti, il loro manager avrebbe dovuto provvedere al cibo almeno quattro giorni su sette. E tutti quei pasti con pietanze d’asporto e pizza? Va bene, si allenavano in palestra per almeno due ore ogni giorno, ma non era il modo più adatto di nutrirsi in ogni caso. Ed io che pensavo avessero una dieta bilanciata da seguire per ognuno. Invece no.
«Gente, io vi avviso che state posticipando l’incontro d’amore delle vostre vite: quello fra me e il cibo» ci avvisò Jin, facendo in modo che ci sedessimo tutti attorno al tavolo. Allora, lo vidi giungere le mani. Pregava?
«Buon pranzo!» Esclamò invece, per poi agguantare le bacchette e riempirsi il piatto, imitato anche dagli altri ragazzi. Li lasciai fare, servendomi solo quando tutti fossero stati impegnati a masticare.
«Paradiso!» Esclamò il più grande di tutti, parlando con la bocca piena ed emettendo versi di gioia sofferente, come accadeva nei videolog. «Sono forse morto? Adesso arriverà Emma Watson a servirmi pollo fritto in tacchi a spillo?» Aggiunse, facendo ridacchiare tutti. Io lo guardai costernata, portandomi il tteokbokki alle labbra. Emma Watson? Davvero?
«Lo hyung è un grande fan» mi aggiornò TaeHyung, sporgendo un braccio davanti a me, per prendere della verdura con le bacchette.
«A tutti noi piacciono le europee, in realtà» aggiunse JungKook, riempiendosi il bicchiere d’acqua.
«A te piace chiunque respiri e che sia separata da te da uno schermo HD» lo rimbeccò YoonGi, sollevando un coro di “uuuh” e “brucia” fra gli altri membri del gruppo.
«Questa storia deve finire» borbottò il maknae, riempiendosi la bocca di riso e lanciando occhiatacce ai suoi amici.
«Kookie-ah ha un problema con le donne» disse NamJoon, cercando di trattenere le risate come meglio poteva.
«Non con i porno, però, facciamo attenzione» specificò YoonGi, facendomi andare di traverso il cibo. Non volevo visualizzare il ragazzo davanti al computer, intento ad osservare una documentata rappresentazione di coiti complessi, ne avrei fatto volentieri a meno. Eppure, eccolo bell’e dipinto nella mia mente, mentre prendeva perfino appunti. Liv, il pranzo. Mangia e finiscila.
«Sai, Kookie-ah è sempre stato un tipo timidissimo. All’inizio, non faceva nemmeno la doccia insieme a noi» descrisse HoSeok, mettendosi altro bibimbap nel piatto. «Con le lezioni di ballo e portamento, ha imparato a sciogliersi un po’. Adesso è molto più aperto, nonostante sia comunque una persona riservata. Non parla spesso e quando qualcosa non va, non lo dice mai».
«Con le ragazze, però, è rimasto fermo ai quattordici anni» intervenne JiMin, lanciandogli un’occhiata divertita. «Appena ne vede una, entra in panico».
«Yah, la smettiamo? Mi state facendo passare per uno psicopatico» si lamentò il maknae, dando una gomitata al ballerino biondo, accanto a sé. «È che le ragazze sono così belle e perfette, e… io mi sento inadeguato e goffo. Cosa accadrebbe, se dicessi qualcosa di stupido? Se mi comportassi da idiota? Che penserebbe, una ragazza? Crederebbe che Jeon JungKook dei BTS, international playboy e golden maknae, è un idiota» concluse, stranamente serio. Gli lanciai un’occhiata perplessa.
«A volte, essere semplicemente goffi è molto meglio di credersi una divinità onnipotente solo perché si è belli. Alle ragazze non piacciono le superstars montate che credono di poter avere chiunque. A loro basta una persona su cui poter contare e che le faccia sentire ascoltate e comprese, ma soprattutto amate» conclusi, per poi radunare un po’ di riso nelle bacchette e portarmi il boccone alle labbra. Mentre masticavo, mi resi conto del silenzio che fosse sceso a tavola e sentii sette paia di occhi puntati su di me.
«Cosa?» Chiesi, parlando a bocca piena.
«Sei così saggio, parlaci ancora di ragazze» mi chiese TaeHyung, avvicinandosi a me, per udire meglio.
«Hai una sorella? È per questo che sai tante cose su di loro?» Domandò il maknae.
«Quante donne hai avuto? Voglio essere un pro come te!» Esclamò JiMin. Mi coprii la faccia con la mano. Quanta innocenza. Beata ignoranza.
«NamJoon aiutami» implorai, incerta se ridere o piangere. Il leader si portò l’indice al mento, osservandomi attentamente.
«Tu devi avere molte amiche, vero?» Domandò, aggiungendo legna al fuoco, al posto di spegnere le braci. Lo fissai, cercando di comunicargli tutto il mio sentimento di fiducia tradita.
«Gente, le persone vere socializzano. Non sono costrette a vedere le donne in cartolina, per mantenere un’immagine. Come se poi voi non foste mai andati a scuola» intervenne finalmente YoonGi, ed io annuii, lieta di aver spostato il riflettore via da me. In parte, aveva ragione. O forse, lui aveva una memoria più vivida dei contatti con l’altro sesso, avendo fatto l’audizione quando era relativamente grande abbastanza da aver avuto il tempo di costruire relazioni vere. Ad ogni modo, sentii qualcuno dei ragazzi sospirare.
«Le donne sono degli esseri molto particolari» commentò il leader. «Ah, quanto sono solo» esclamò, teatralmente, fingendo di piangere.
«È per questo che nessuna ti vuole, le spaventi tutte» gli disse JiMin, prendendo altro tteokbokki.
«Io ho ventun anni e non ho mai scopato» asserì TaeHyung, facendomi sbarrare gli occhi. Come poteva uscirsene, in quel modo?
«E menomale» rispose YoonGi, bevendo. «Sai che brutta, l’astinenza, per uno come te? Dieci a uno che andresti a piagnucolare dalle truccatrici, affinché ti presentino qualche loro parente» concluse, e lì rischiai nuovamente di strozzarmi col cibo. A quante morti violente ero già scampata, fino a quel momento? Stavo proprio mettendo alla prova la mia buona sorte.
«Senti, devi affrontarla, questa cosa. Hai un problema nel deglutire? Soffri di reflusso? È una condizione psicologica? Parliamone, perché è una complicazione che limita la tua esistenza» disse JungKook, posando le bacchette e sporgendosi dal suo posto, fissandomi. Battei le palpebre, respirando nuovamente in maniera regolare.
«Come, scusami?»
«È la seconda volta che ti va di traverso il cibo, così come per l’acqua. Vuoi necessariamente morire soffocato?» Si preoccupò ed io arrossii. Pensava fosse una questione clinica. Non si era reso conto che io fossi una ragazza sotto mentite spoglie, costretta ad ascoltare commenti maschili allucinanti proprio dai suoi idols preferiti. I quali, fra l’altro, avessero incarnato l’ideale di perfezione, nel mio cervello, fino a ventiquattrore prima. Tutte illusioni. La canzone “Lie” di JiMin mi rimbalzò nel cervello, partendo direttamente dal ritornello.
«No, è che… a volte deglutisco troppo velocemente. Dovrei mangiare e bere più lentamente, tutto qui» inventai, sperando che la bevesse. Mi guardò, impassibile. «È così da quando sono piccolo, niente di che. Ho imparato a conviverci» spiegai, stringendomi nelle spalle e sorridendogli a bocca chiusa. Lasciò andare un mezzo mugugno e tornò al suo cibo, in silenzio. E anche quella volta, scampato pericolo.

 



Gangnam-gu, ore 14.30
 

Dopo pranzo, Jin ed HoSeok mi aiutarono a lavare i piatti e a sparecchiare, mentre gli altri impiegavano le loro ore libere come meglio potevano. YoonGi si era chiuso in camera appena concluso il pasto, mentre la maknae line aveva deciso di sfidarsi a Overwatch, potevo sentire le loro esclamazioni frustrate di quando in quando, insieme a degli “JiMin muovi il culo” o “TaeHyung spara e levati”. Hobi aveva proprio ragione, erano dei bimbi troppo cresciuti. NamJoon, invece, aveva preso un libro e leggeva con le cuffiette nelle orecchie sul divano, sottolineando dei passaggi di quando in quando.
Appena finimmo di sistemare la cucina, filai in stanza ad occuparmi della valigia. Avevo ancora un’ora di tempo, prima degli allenamenti dei ragazzi, e mi diedi da fare. Cambiai le lenzuola al letto, mettendoci le mie con fantasia autunnale, piene di foglie colorate. Non mi piaceva, dormire in un letto immacolato. Mi faceva stranamente pensare agli ospedali, ed era un collegamento piuttosto penoso da fare, prima di dormire. Avere coperte e federe variopinte, invece, mi rilassava. Avevo riempito il guardaroba con gli abiti maschili comprati insieme a YooNa, sistemando le scarpe nell’apposito scomparto, ordinandole in fila. In bagno, avevo disposto sulla mensola dello specchio tutti i miei prodotti per la cura della pelle, che sicuramente non avrebbero destato sospetti. Gli unici oggetti equivoci, sarebbero potuti sembrare il rasoio rosa e lo shampoo con balsamo e maschera per capelli colorati, rigorosamente femminili. Ma quelli, erano stipati nella doccia, generalmente chiusa. Avevo, inoltre, lasciato l’intimo femminile nel doppiofondo della valigia, da dove l’avrei preso quando mi sarebbe servito, senza bisogno di disseminare mutandine coi gattini in giro per la camera.
In capo ad una mezz’ora, la stanza aveva un aspetto più che civile. Mi ero perfino azzardata ad appendere un poster di Machine Gun Kelly ad un muro. Era uno dei miei rappers preferiti, nonché figo spaziale. Non mi sarei mai sentita a casa, senza vedere il suo volto come prima e ultima cosa, al mattino e alla sera. Soddisfatta, uscii dalla stanza, riponendo la chiave nella tasca dei jeans. Arrivai mugugnando un pezzo di una canzone di Taylor Swift, quando trovai YoonGi sul divano, intento a leggere dei messaggi sul cellulare. Ciò che mi stranì di più, fu la sottile sigaretta che teneva fra indice e medio, che spargeva il suo caratteristico odore di tabacco chimico bruciato nella stanza, sebbene la finestra fosse più che spalancata. Quando mi vide, non batté ciglio. Anzi, mi osservò apertamente, attendendo una mia qualsiasi reazione.
Gli era permesso, fumare? Cosa avrei dovuto fare? Togliergliela? Lasciargliela? E se quello fosse un suo segreto? Anche io ne avevo uno, con quale faccia avrei dovuto punirlo, per quello? Alla fine, risolsi per il fare finta di nulla. Procedetti verso la cucina e lo lasciai lì, a fumare in tranquillità, senza dirgli niente. Arrivai al lavello con il cuore che mi rimbombava nelle orecchie, sbattendo contro lo sterno senza posa.
Min YoonGi fumava. Ecco da dove arrivava quel tono rauco e graffiante, come perennemente impastato dal sonno, incrinato nelle note alte. Era il fumo. Gli altri lo sapevano? Avrei dovuto dirlo al signor Kang? Però per mettersi lì in bella mostra, sapendo che chiunque sarebbe potuto arrivare, voleva soltanto dire che non si trattava di un suo segreto. Maledizione, quanto odiavo quelle situazioni. E non mi era stato detto nulla, riguardo a quella particolare abitudine, dal manager. Presi un bicchiere -che avevo deciso di spostare al piano più basso, di modo che potessi arrivarci anche io- e lo riempii d’acqua. Il fresco liquido trasparente sciabordò, bagnandomi le dita e donandomi un minimo di presa sulla realtà. Bevvi, con il vuoto mentale. Rimasi qualche minuto in cucina, arrovellandomi su come comportarmi, scegliendo comunque di tenermi tutto per me. Quando tornai in salotto, YoonGi non c’era più. Sospirai, scuotendo la testa. Decisi di non perdermi d’animo, lanciando un’occhiata al mio orologio da polso.
«Gente, sono le tre meno un quarto! Uscite dalle vostre stanze, avete gli allenamenti!» Dissi, a gran voce, nel corridoio delle camere.
«Oh, hyung, lasciaci finire la partita» si lamentò TaeHyung. Entrai nella sua stanza, aprendo la porta con foga.
«Signor Kim, Dio ha pietà di tutti i suoi figli. Io no. Perciò, o chiudi quel computer, o farò in modo di trasformarti in un esclusivo personaggio del videogioco. Hai presente d.va? Tu sarai k.illed. Il punto fra la “k” e la “i”. Voglio vederti in salotto fra tre minuti» lo minacciai, ferma, e lui mi riservò una strana occhiata sconvolta. Lo lasciai lì a meditare sulla sua esistenza, andando a bussare alle altre porte. Dovetti svegliare gentilmente NamJoon, che si era addormentato con il libro in faccia; quasi staccare la spina al computer da pro gamer di JungKook e vedere JiMin imprecare male contro un avversario americano, insultandolo come solo un vero scaricatore di porto sarebbe stato capace di fare. Lo spedii a mettere diecimila won nel barattolo delle parolacce, minacciandolo che al prossimo episodio avrebbe dovuto offrire una cena a SeokJin. In capo a dieci minuti, erano tutti radunati in salotto, vestiti con comodi abiti da gym. Fui stranamente fiera di essere riuscita a radunarli lì, senza piangere neanche una volta, o aver dovuto ricorrere a qualche strano ricatto. Feci mostra del mio migliore autocontrollo, per non mettermi a strillare osservando alcuni dei loro completi, i quali lasciavano scorgere molto più di quanto ce ne sarebbe stato bisogno. Improvvisamente, udii una chiave girare nella toppa, e il signor Kang fece il suo ingresso in dormitorio.
«Bene, rifiuti della società dittatoriale nordcoreana, siete tutti pronti e svegli?» Domandò, facendosi strada fino in salotto. Alcuni dei ragazzi si portarono la mano alla fronte, in saluto militare.
«Signorsì, generale Kang» esclamarono. Ridacchiai, a quello strano rito, mentre l’uomo annuiva, affabile.
«Pensavo che avreste dato filo da torcere al povero MinSoo, invece vi vedo qui al completo. Perfino tu, YoonGi» commentò, colpito. HoSeok annuì.
«Ci ha preparato il pranzo ed è stato estremamente gentile, con noi. Sarebbe stato stupido, complicargli il lavoro» disse, stringendosi nelle spalle. Lo amai profondamente per la seconda volta in una giornata sola. Piccola palletta di sole e gioia di vivere.
«Spero che sia un cuoco migliore di me» convenne allora, dandomi di gomito. Mi schermii, arrossendo.
«Assolutamente. Compete con Jin hyung» intervenne TaeHyung. L’uomo fece per dire qualcos’altro, ma si bloccò a metà frase. Inspirò profondamente, sollevando un sopracciglio.
«Ragazzi» esordì, guardandosi attorno. «Qualcuno di voi ha fumato, qui?» Chiese, serio. Un silenzio gelido e mortale scese nella stanza, mentre nessuno rispondeva alla domanda. YoonGi teneva lo sguardo fisso a terra, muto. Gli altri non muovevano un muscolo, solidali con il loro hyung o dongsaeng. Sapevano. Ma nessuno di loro si discolpava, passando tutti per papabili colpevoli. Rimasi affascinata dal loro senso di fratellanza. Perfino la maknae line era silente. Tuttavia, qualcuno doveva pur risolvere la situazione. Non saremmo potuti andare avanti in quel modo, all’infinito. Take one for the team, come dicevano i Simple Plan.
«Sono stato io» dissi, guardando il signor Kang in volto. Lui sollevò un sopracciglio, spostando l’attenzione su di me. Colsi una serie di espressioni costernate, con la coda dell’occhio.
«MinSoo, non devi…» esordii, ma io scossi la testa.
«Ogni tanto, fumo qualche sigaretta. Non è un’abitudine, però qualche volta succede. Vuoi vedere il pacchetto? Ce l’ho di là in stanza» gli chiesi e feci per muovermi, ma lui mi fermò.
«No, no» scosse la testa, deciso. «Al colloquio col signor Oh, però, non era emerso quest’aspetto» sottolineò. Mi strinsi nelle spalle, esibendo una faccia tosta che, in realtà non avevo. Ormai, stavo diventando bravissima, a mentire.
«Te l’ho detto, perché non è un’abitudine. È più un modo per scaricare la tensione, come masticare una gomma. Mi ero messo vicino alla finestra, ma l’odore deve essere ancora rimasto. Mi dispiace, non succederà più» e m’inchinai, concludendo la mia apologia. Il signor Kang mi guardò a lungo, con espressione critica. Non mostrai altre emozioni, se non il rammarico. Allora, egli inspirò.
«Bene» concluse, facendo schioccare la lingua. «I coach vi aspettano al piano di sopra. Andate, andate» esortò i ragazzi, che non se lo fecero ripetere due volte, uscendo dal dormitorio in silenzio. L’uomo si attardò, aspettando che ognuno di loro fosse per le scale.
«MinSoo, sei sicuro…» riprese, ma io annuii con convinzione. Ero inamovibile. Se avessi portato avanti quella recita ancora per qualche momento, avrei finito per crederci io stessa.
«Sicuro» ribadii. Lo vidi sospirare.
«Allora non posso dirti nulla. Solo, magari, evita di farti vedere dai ragazzi. Potrebbero chiederti una sigaretta, o sentirsi a loro volta autorizzati a fumare e questo è un male per le loro corde vocali. Tutto qui» mi spiegò ed io feci buon viso a cattivo gioco.
«Chiaro, capo».
«Stai facendo un buon lavoro, non perderti nelle piccole sciocchezze» mi disse, battendomi paternamente una mano sulla spalla ed uscendo a sua volta, mentre l’ambiente sprofondava di nuovo nel silenzio. Ah, che fatica. E tutto per parare il sedere a Min YoonGi, quindi una causa persa. Avrei fatto meglio ad aspettarmi che il muro iniziasse a parlare, piuttosto che il corvino collaborasse con me. In ogni caso, non l’avevo fatto per tornaconto. Non volevo che il signor Kang se la prendesse con loro. Avevano già un mare di divieti, nel contratto. Non permettergli nemmeno di fumarsi una sigaretta in santa pace, mi pareva assurdo. E lì, capii che non sarei mai stata in grado di fare l’idol. Avrei dato scandalo in una settimana, o poco meno.
 Sospirai, grattandomi la parrucca. Quanto avrei voluto bruciarla. Lanciai un’occhiata all’orologio da polso, realizzando di avere un sacco di tempo per me. Ne avrei approfittato per una lunga doccia anti-stress. E al primo che avessi sentito dire che lavorare con le celebrità era una passeggiata, avrei cavato un occhio.



 


 


*dolsot bibimbap: bibimbap servito in una ciotola ancora bollente, di modo che gli ingredienti continuino a cuocersi.
(Il bibimbap è riso misto coreano, servito con altri piatti tipici della cucina locale e una selezione di salsine)

*tteokbokki: gnocchi di riso glutinoso e conditi con varie salsine.

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