Moonbeam

di iamnotgoodwithnames
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Chapter I : Ray Of Sun ***
Capitolo 2: *** Chapter Two : Follow The Unknown ***
Capitolo 3: *** Chapter Tree : Something Different ***
Capitolo 4: *** Chapter Four : Things Can Change ***
Capitolo 5: *** Chapter Five : A Deal Of New Hope ***
Capitolo 6: *** Chapter Six : Sensation ***
Capitolo 7: *** Chapter Seven : Meet Again ***
Capitolo 8: *** Chapter Eight : Someone will love you, but someone isn't me ***
Capitolo 9: *** Chapter Nine : Crawling Back To You ***
Capitolo 10: *** Chapter Ten : Secrets I Have Held In My Heart ***
Capitolo 11: *** Chapter Eleven : I Was Late But I Arrived ***
Capitolo 12: *** Chapter Twelve : I Overthink And Think Twice ***
Capitolo 13: *** Chapter Thirteen : Please Don't Leave, It's All Happening ***
Capitolo 14: *** Chapter Fourteen : So Sad, I Could Never Make You Stay. Too Bad, I Could Never Walk Away ***
Capitolo 15: *** Chapter Fifteen : I Wanted To Be A Better Adversay To The Evil I Have Done ***
Capitolo 16: *** Chapter Sixteen : I Don't Want To Lie, I've Been Relying On You ***
Capitolo 17: *** Chapter Seventeen : Doomed From The Start ***



Capitolo 1
*** Chapter I : Ray Of Sun ***


~ Chapter One : Ray Of Sun ~
 

Quanto meno, soffia cercando di distendere, con fatica, le gambe al sedile posteriore, questa notte soffia il vento ed una brezza gradevole filtra tra le fessure degli sportelli; rinfrescando l’aria consumata all’interno della vettura.
È comunque meglio, pensa rigirandosi al sedile, cercando la giusta posa, della soffocante afa delle notti precedenti.
Se accendesse la radio, com’era solito fare nelle prime sere, riuscirebbe a chiudere gli occhi cullato da note casuali di melodie sconosciute, ma ha tristemente constatato che, addormentarsi con la radio accesa, porta a drastiche conseguenze, come ha malauguratamente appreso alla seconda settimana; quando è stato costretto a forzare il garage di qualcuno e rubare energia dall’auto di estranei.
E considerando la già pressante insistenza della polizia una denuncia per violazione di domicilio è l’ultima cosa di cui necessita, anche se, forse, una cella sarebbe quasi più comoda dei sedili posteriori.

Inspira, inalando ossigeno che filtra dalle fessure delle finestre, stringendosi tra le braccia; incline al senso di colpa Theo non lo è mai stato, ma le cose sono cambiate dal suo sgradevole viaggio all’inferno.
Da quando il biglietto di sola andata si è tramutato in un ritorno improvviso la vita, le cose, lui; tutto è cambiato, mutato drasticamente.
Prima la sua personale tortura, il girone infernale in cui, ne è certo, prima o poi sarà costretto a fare ritorno, poi la Caccia Selvaggia, l’inaspettato, persino per lui, altruismo di Liam e l’altrettanto sorprendente aiuto che lui stesso, contro ogni sua immaginazione, è stato in grado di dare e poi, infine, la solitudine.
Intensa, assoluta, totale solitudine.
Non che si aspettasse abbracci, festoni di bentornato, sorrisi amichevoli ed ospitalità ad essere onesto con se stesso non sapeva, davvero, cosa aspettarsi.
Probabilmente l’ipotesi più plausibile, la teoria che si era fatta strada nella sua mente, somigliava ad una cella dalla spessa porta bianca, nell’ultimo corridoio, dell’ultimo piano, di un manicomio a lui sin troppo noto.
E, forse, anche in quel caso, i letti di Eichen House sarebbero stati comunque più comodi dei sedili posteriori della sua auto e, senz’altro, la sgradevole sveglia mattutina, la polizia che con assoluta e ripetitiva precisione, minaccia di sequestrargli il mezzo lì dentro, tra le mura del manicomio, non l’avrebbe dovuta sopportare e, magari, persino il cibo sarebbe stato migliore.

Se aveva dei dubbi sulle potenzialità del metabolismo accelerato nelle ultime settimane sono svaniti, se fosse stato umano, del tutto e completamente, ora avrebbe già acquistato dieci chili di insano grasso; sfamandosi con regolarità ogni sera al McDonalds più vicino.
E comunque, ci riflette poi, distendendosi supino, alla fine i dieci chili li avrebbe persi nel giro di pochi giorni, considerando la precaria quantità di denaro ancora a sua disposizione e la necessità, forzata, di dover sfruttare soldi per la benzina.

Sospira, ancora, chiudendo gli occhi, inutile sperare che sua sorella non lo venga a trovare nei suoi incubi anche questa notte, infondo è l’unica costanza che gli rimane; Tara che reclama il suo cuore, Tara che ha ragione, Tara che merita la vendetta, Tara che forse sarebbe ben lieta di poterlo accogliere nuovamente nel limbo infernale.
Prendere sonno, da quel giorno, è più difficile di quanto non sia mai stato, persino nelle notti più insonni, quando ancora era bambino e non sapeva bene come funzionassero i suoi poteri. 
Eppure, in qualche modo, deve riuscirsi; l’insonnia è dannatamente controproducente quando non si ha nulla.
E poi c’è sempre la speranza che, chiudendo gli occhi, possa quanto meno immaginare come sarebbe stata la sua vita se non avesse scelto ed intrapreso tutte le strada sbagliate, una dopo l’altra, scegliendo senza criterio, senza davvero averne la consapevolezza, continuando a percorrere la medesima strada, sempre sbagliata, sempre la stessa, anno dopo anno.
Magari, almeno nel buio della notte, potrebbe immaginare come sarebbe stata la vita se, per una volta, una sola, avesse scelto la strada giusta.
 

“Theo”

È vento di morte la voce di Tara, striscia a terra, carponi, un animale che caccia cauto la preda

“Theo”

Sussurra, ancora ed ancora, scivolando al rigido pavimento dell’ospedale e non c’è possibilità di fuga, non c’è possibilità di salvezza, è tardi per pensare alla redenzione, è tardi per rimediare agli errori

“Theo”

Non c’è respiro tra quelle labbra dischiuse che ripetono, eco distorto, il suo nome, non c’è il calore di una voce familiare ad animare quelle corde vocali che lo reclamano come prezzo, pegno da pagare per il male che ha fatto

“Theo”

Tende la mano ed è nell’attesa che risiede la vera agonia, non nel cuore, il suo, quello di sua sorella, strappato con forza da un petto che non lo merita

“Theo”

Picchietta, costante, scandendo il tempo della morte, il palmo di Tara al suolo, l’ora della vendetta che si avvicina lenta, in un’estenuante attesa che è dolore prima del dolore stesso.
Picchietta.
Picchietta.



Picchietta e si sveglia.

Improvviso, disorientato, sbattendo le palpebre ripetutamente per poter mettere a fuoco i contorni, sospirando già, prevedendo l’ennesimo incontro ravvicinato con la polizia locale.


“sì, sì – ripete soltanto, issandosi sulla schiena – ho capito, me ne va…”


Ed è costretto al silenzio Theo, non si aspettava di incontrare qualcuno che non fosse in divisa ed è la vergogna dell’orgoglio, acqua gelida che lo risveglia completamente; essere visto così, da qualcuno, qualsiasi persona, non era decisamente il risveglio che si augurava.
Il silenzio pesa, schiaccia l’aria nell’abitacolo, mentre occhi vivaci, del medesimo colore delle foglie secche d’autunno, lo scrutano con la curiosità d’una bambina invadente.


“vivi qui?”


La voce, ovattata dallo sportello che li divide, riesce comunque a sembrargli il suono più gentile che abbia mai sentito, da quanto è tornato tra i vivi


“da solo?”


annuisce soltanto Theo, cercando ancora di soffocare la vergogna nel cinismo dell’arroganza


“sei stato scacciato?”


In un certo senso, ci riflette per un po’ Theo, è così.
È stato cacciato, allontanato, prima per sua colpa, poi per vecchie colpe; ma il risultato è sempre il medesimo ed annuire, ancora, probabilmente è l’unica cosa che può fare.


“sei un traveller?* – domanda, con l’insistenza di una bimba sin troppo curiosa – perché sembri un traveller”


Non ha idea alcuna di cosa significhi, con esattezza, quell’inusuale affermazione e si costringe ad un’interazione sociale che giunge, con sorpresa, dopo settimane di silenzio assordante


“un cosa?”


Chiede schiarendosi la voce, portandosi a sedere al sedile, continuando a fissare la sagoma della giovane che sorride, un sorriso genuino come mai, forse, Theo ne ha ricevuti nell’arco di tutta un’intera vita


“oh sei un gorgie* – soffia con semplicità quest’ultima, sollevando un sacchetto bianco – ne vuoi un po’?”


L’odore tenue del pollo cotto al forno invade, come delicata fragranza, le narici di Theo che socchiude, per fugaci istanti, le ancora assonate iridi; quand’è stata l’ultima volta che ha mangiato qualcosa di diverso da carne tritata schiacciata in panini vecchi di giorni?


“mia sorella – continua la giovane, sorridendogli angelica – esagera sempre, se vuoi ti posso anche lasciare tutta la porzione”


La guardava sollevare quel piccolo sacchetto di bianca plastica ed attendere una risposta che Theo non sa darle, sarà l’orgoglio, sarà che la gentilezza per lui è sempre stato un concetto astratto, distante, incomprensibile a tratti; ma resta in silenzio ad osservarla


 “come ti chiami?”


Chiede poi, la giovane, inclinando appena il capo lateralmente, onde castane discendo tra le esili spalle in una cascata scompigliata


“io mi chiamo Esmeralda – brillano gentili le iridi nocciola – ma mi chiamano tutti Esme, puoi chiamarmi così anche tu”


Forse è perché non c’è abituato, forse è perché nessuno da tempo gli mostrava una simile, immotivata, spontanea e persino sconsiderata bontà, forse è perché non sa interpretarla che si sente disorientato


“non c’è nulla di male – dice Esme, intuendo che l’esitazione di Theo derivi dalla vergogna – nell’accettare un regalo”


E mentre l’analizza nel silenzio continua a cercare, in quel volto ovale, un segno d’inganno, uno scherzo, un miraggio, nel timore che forse, la sua mente, sta giocando con lui e presto si sveglierà da un sogno, perché magari sta ancora dormendo e nulla di tutto questo è reale, ma il sorriso genuino, angelicamente sincero, tra le labbra carnose della giovane sembra così vero che sarebbe un peccato non lo fosse


“va bene, non fidarsi, ma ti assicuro che questo è solo pollo – esclama solare Esme – e lo lascerò qui, davanti, se vorrai prenderlo”


Insiste, ma è un’insistenza gradevole, una sensazione di calore umano che, infondo, Theo non ha mai davvero provato sulla sua pelle, che forse neppure merita, che probabilmente non sarebbe neppure in grado di riprodurre.
La guarda chinarsi, svanire nascosta dietro le lamiere dello sportello e riapparire, ancora sorridente, ancora gentile al finestrino.


 “ecco, te l’ho lasciato qui – gli dice, indicando il suolo con l’indice – non mi hai ancora detto come ti chiami”


È un risolino allegro, melodia cristallina, quello che giunge come brezza leggiadra all’interno dell’abitacolo e c’è così tanta attesa, così tanta curiosità, in quelle iridi autunnali, vispe e vivaci, che Theo si chiede se forse non sia il caso di risponderle; ma l’orgoglio rema ancora contro di lui.
Ed Esmeralda scuote il capo solare, incastrando una ciocca castana dietro l’orecchio, tintinnano gli innumerevoli fili dorati che le contornano l’esile polso


“ti vedo sempre qui, passo spesso da queste parti – spiega semplicemente, picchiettando leggera al finestrino – posso tornare a trovarti? Se non ti disturbo”


E non lo sa Theo come dovrebbe rispondere, cosa dovrebbe fare, come ci si comporta quando qualcuno è genuinamente gentile? Cosa si fa quando qualcuno ti offre una gentilezza che non meriti, che non saresti neppure in grado di contraccambiare?
Forse, si dice guardandola aggiustarsi la tracolla della borsa, sin troppo grande per un corpo tanto minuti, è l’ingenuità della curiosità a spingerla a parlare con lui, un estraneo come tanti, uno sconosciuto che potrebbe persino essere pericoloso.
La domanda, lecita, che si è fatta strada nella sua mente sin dal primo istante in cui i loro sguardi si sono incontrati emerge, in un soffio incerto, dalle labbra di Theo


 “perché?”


Chiede soltanto, confidando che la giovane comprenderà 


“perché – sorride Esme, sollevando le spalle con assoluta semplicità – ti ho visto spesso qui da solo e mia nonna diceva sempre che è importante aiutare il prossimo”


E se da un lato l’orgoglio gli suggerirebbe di rifiutare, di allontanarla come si farebbe con una mosca indesiderata, dall’alto un incondizionato, innaturale, surreale bisogno di scacciare la solitudine di giornate lente, monotone, ripetitive gli suggerisce di accettare; per una volta, una singola volta, accettare un tenue raggio di sole tra le nubi che rendono scuro il cielo.
Ed alla fine, a prendere il sopravvento, è il bisogno


“sì – le corde vocali sembrano non essere più abituate a parlare, deve sforzarsi per lasciar fuoriuscire la voce – sempre qui”


Il volto di Esmeralda si plasma, c’è un mondo luminoso, una pagina di un libro allegro, tra la pelle olivastra


“allora ci vediamo domani – agita a mezz’aria la mano – gorgie”


Un sorriso si forma tra le labbra di Esme seguendo le note di quell’aggettivo che Theo non ha mai sentito, che non sa neppure cosa significhi, e mentre la osserva, ondeggiare pacata, allontanarsi lasciandogli in regalo una delizia racchiusa in una busta ed una ventata di fresco vento leggiadro si domanda se, invece, non la rivedrà mai più.
Ed infondo, forse, sarebbe persino giusto; non rivederla.
Infondo non dovrebbe meritarlo, un raggio di sole in una vita che lui stesso ha attivamente contribuito a rendere scura come il più nero dei cieli in tempesta.

Inspira, inalando l’odore gradevole del pollo ancora caldo che filtra tra le fessure dei finestrini, si guarda attorno, è solo di nuovo.
Apre, cauto, lo sportello sporgendosi appena a raccogliere quella sottile busta, afferrandola con la rapidità di un animale famelico, ritraendosi così velocemente da far persino riecheggiare tra gli alberi il suono dello sportello richiusosi alle sue spalle.
E decide, scartano con voracità l’involucro che riveste il cibo, che per una volta, una singola volta, si concederà il lusso ed il beneficio del dubbio di credere che, infondo, un piccolo raggio di sole potrebbe filtrare tra nubi dense di solitudine.


 


 
Homer sono io.
Perché ho già due interattive da portare avanti, due storie da elaborare, ma il mio cervello ha deciso che la 6x12 non andava bene e così eccomi qui, mentre aspettavo le ultime schede per l'interattiva, a scrivere qualcosa che forse è un po' AU forse un po' OOC, forse non c'entra nulla, non lo so; ma che comunque non sono riuscita ad impedirmi di pubblicare. 

L'unica cosa certa che so è che in questo fandom manca un po' di Theo ed io ho sempre avuto un debole per le storie lasciate a metà, per gli outsider e diciamocelo in questa 6B Theo è, a tutti gli effetti, un escluso, un emerginato. 
Ed il mio cervellino, non proprio sano, ha detto no; io non ci sto.
E così è nata lei, Esmeralda. 

Con precisione non lo so dove mi porterà tutto questo, se ne farò nascere una mezza roba romantica o se, invece, darò ascolto alla scimmietta sulla spalla che mi grida "Thiam". 
So solo che, intanto, voglio esplorare i mesi estivi che precedono di un po' la fatidica 6B e rendere meno solo quel complessato e sfaccettato personaggio che è Theo. 

Ditemi cosa ne pensate, se vi aggrada, se vi disgustata, sentitevi liberi di dirmi tutto ciò che volete; commenti e critiche sono sempre utili e ben accette. 
Intanto spero che, almeno un pochino vi sia piaciuto e vi abbia incuriositò. 
Grazie a tutti,
e a presto; spero. 

PS: oh già, gli asterischi 
1) Traveller = si tratta di un popolo nomade, prevalentemente di origine irlandese, che vive principalmente in Gran Bretagna, Stati Uniti D'America ed Iralanda
2) Gorgie = termine che trae le sue origini nella lingua roman
í ed è spesso usata dalle popolazioni nomadi per riferirsi a qualcuno che non fa parte della loro comunità e che quindi non ne conosce le tradizioni, gli usi e costumi; che quindi non è un gitano.

Ah e, se siete curiositi, vi allego il prestavolto usato per Esmeralda : http://www.wallpapers-web.com/data/out/96/4588261-hailee-steinfeld-wallpapers.jpg // http://1l045q3arhfy34hts1o7giah.wpengine.netdna-cdn.com/wp-content/uploads/2014/08/Shot-04-304C_CMYK-1000x1338.jpg

 

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Capitolo 2
*** Chapter Two : Follow The Unknown ***




~ Chapter Two : Follow The Unknown ~

 
 


Lo ha osservato per giorni, ogni volta che i suoi occhi curiosi si sono soffermati a seguire il profilo spigoloso dell’auto parcheggiata lì, tra i bidoni della spazzatura, al ciglio di quella strada che è solita percorrere.

Lo ha notato restare lì, sempre lì, giorno dopo giorno, quando passa è lì che lo trova, poggiato contro il cofano della vettura a fissare il cielo ed è quasi certa che lui non se ne sia mai accorto, che non l’abbia mai vista, una presenza inosservata, e si è chiesta, spesso, per quale motivo sia così solo quel volto puntato contro le nuvole e se lo è chiesta così tante volte che, alla fine, ha ceduto alla curiosità e gli si è avvicinata; seguendo l’istinto.

Non è riuscita a scoprirne il nome, ma il suono della voce quello le è sembrato così stanco da convincerla che non sbagliava, quando credeva che quel giovane solitario fosse un’anima sola tormentata dall’isolamento; un emarginato.
Sarà stato l’istinto, l’intuito, ma qualcosa dopo quel giorno le ha suggerito di avvicinarglisi ancora di più, conoscerlo, forse aiutarlo.
Infondo è questo il suo più grande difetto, il suo più grande pregio, glielo ricorda spesso suo fratello : tutta questa curiosità, un giorno, finirà col ferirti.
Eppure Esmeralda non riesce ad ignorare, guardare e passare oltre, l’indifferenza non è mai stata sua dote.
E questa volta, ne è sicura, la curiosità non la porterà a nulla di male.
Questa volta, ne è certa, l’istinto la guiderà alla positività e poi, sua nonna, se ora potesse vederla, sarebbe fiera di lei; aiutare il prossimo è sempre stato lo scopo ultimo della sua vita.

Ed è certa, mentre svolta a destra, proseguendo frizzante sin verso la vettura, che quel ragazzo di gentilezza ne ha bisogno; un muto grido di aiuto che, ne è sicura, è tormento di un’anima che chiede solo pace.
È già pronta a picchiettare al finestrino quando la nota una donna in divisa, i cappelli nascosti sotto al cappello da poliziotta, la sente dirgli di andarsene; che li non può restare e lo vede annuire soltanto scendendo dall’auto spostandosi al sedile del guidatore.
Non aspetta neppure che l’agente se ne vada, mette in moto ed ingrana la retromarcia.
Istintiva Esmeralda affretta il passo, inseguendo un auto che procede ancora, fortunatamente, troppo lenta per essere persa.


“aspetta – urla, gettando il braccio libero dalla busta in aria, agitandolo come bandiera – fermati Mike”


Forse l’ha sentita, forse l’ha vista, forse quel nome è giusto, non lo sa con esattezza Esme, ma le ruote stridono appena tra l’asfalto e si affretta, rapida, a raggiungere quella vettura ferma sul ciglio della strada


“conosco un posto – dice soltanto, poggiando le mani al bordo del finestrino chiuso – in cui puoi stare, nessuno ti verrà a disturbare”


Suo fratello, ne è ben consapevole la giovane, non apprezzerà eppure non ci riesce ad ignorarla, quella che sente come una silenziosa richiesta di aiuto, non ci riesce a pensare che sia meglio fingere indifferenza, passare oltre non curante.
Non lo conosce, non sa nulla, neppure il suo nome, ma sa che non ha nessuno, non una casa, non un amico, e questo è quanto le basta per decidere che vale la pena aiutarlo; perché nessuno merita di essere solo al mondo.


“fidati – sorride, sperando di riuscire a conquistare la fiducia di quell’estraneo – è qui vicino, puoi lasciare la macchina lì, non te la porteranno via e la polizia non verrà a disturbarti, credimi”


Lo vede titubare, guardandola con quegli occhi di cieli estivi, solo sospetti e incertezze ad animarli, ma lo sente espirare via l’orgoglio.
Il finestrino scivola sotto le mani di Esme, nascondendosi tra le lamine dello sportello


“ti ci posso accompagnare – inspira, poggiando le dita attorno al bordo scoperto – se vuoi”


È lieve, appena percepibile, l’annuire del giovane che si sporge cauto, aprendo lo sportello del passeggero in un muto invito ad entrare e sorride, solare, Esmeralda sedendosi veloce


“prosegui dritto per questa strada – indica allungando l’indice – poi, allo stop infondo, gira a sinistra”


Un istante, un battito di ciglia, il tempo che impiega Theo a decidere, a schiacciare l’acceleratore e partire diretto ovunque lei gli stia dicendo di andare, diretto verso l’ignoto, diretto verso la speranza di meritata gentilezza; malgrado tutto.
Gli mostra la via da percorre Esme, metro dopo metro, senza dirgli in che posto si stiano dirigendo, senza spiegare, aggiungere altro; mostrandogli solo la strada da fare e nulla più chiamandolo Mike di tanto in tanto.
E vorrebbe dirglielo, chiederglielo, Theo per quale motivo lo stia chiamando con un nome che non è suo, ma continua a tacere stringendo il volante nell’incertezza di un’ignota meta.


“ecco – esclama poi, d’un tratto, Esme – siamo arrivati, puoi parcheggiare dove vuoi”


Non crede di averla mai vista la piazzola di terriccio al confine di Beacon Hills, la riserva alle spalle e quattro roulotte, bianco sporche, posteggiategli di fronte ed altrettante auto, di forme, marche e qualità diverse.
Si domanda in quanti ci vivano lì e se anche lei abiti con loro o se sia solo a conoscenza di quel posto che Theo, nei suoi anni a Beacon Hills, non ha mai notato prima.

Un uomo, forse quarantenne, barba scura incolta ed una maglietta panna sgualcita, sporca d’olio nero di motore, un cipiglio scostante, diffidente, a plasmargli il volto, le spesse sopracciglia a rendere ancora più cupo lo sguardo, avanza verso di loro, passi rigidi, seguito come ombre minacciose da iridi canine pronte ad azzannare


“cine e tipul ăsta?”  (*chi è questo tipo?)


Grida, in una lingua che Theo stenta a riconoscere, che non ha mai sentito, ma è certo, da quell’indice puntato contro, dal ringhiare dei cani, che si stia riferendo a lui ed Esme inspira, scuotendo il capo soffiando parole dal suono agro dolce


“este nevoie de un loc de cazare” (*ha bisogno di un posto dove stare)


L’uomo la guarda, le labbra piegate in una smorfia di aspra disapprovazione, si avvicina a passo ferrato portandosele di fronte, sfilandole la busta dalle mani, uno dei cani le si ferma dinnanzi; in attesa


“el nu poate sta aici” (* non può restare qui)


Tuona perentorio, incrociando le braccia all’addome, analizzando inquisitorio la figura di Theo


“stii cine?” (*sai chi è?)


Esmeralda inspira, socchiudendo appena gli occhi, infossandosi nella spalle, chinando lo sguardo al suolo, carezzando dolcemente il manto scuro del pastore tedesco ai suoi piedi 


“nu într-adevăr (*non proprio) – sussurra, sollevando con fermezza la nuca - dar el este doar, și bunicul spune că oamenii ar trebui să ajute întotdeauna” (*ma è solo ed la nonna diceva sempre che bisogna aiutare le persone)


Sospira l’uomo, scuotendo il capo contrariato, volgendo le spalle alla giovane che trattiene il fiato, uno sguardo in tralice, fugace, di incomprensibile bontà rivolto a Theo che non comprende, non capisce, una gentilezza che gli è ancora oscura; persino più delle parole che quelle labbra carnose hanno pronunciato poco prima.
Sente ancora il peso di iridi canine su di sé, probabilmente, ci riflette Theo, sentono che c’è qualcosa di diverso nell’odore della sua pelle, probabilmente hanno compreso che d’umano in lui vi è rimasto solo l’aspetto


“non preoccuparti – sorride cordiale Esme, continuando a carezzare il cane – è un po’ burbero, ma ti permetterà di restare quanto vorrai”


S’infossa nelle spalle Theo, dicendosi che infondo non resterà molto, magari una notte, forse due, il tempo necessario per poter riposare indisturbato e poi se ne andrà, troverà un nuovo posto, uno diverso; magari persino fuori, lontano, da Beacon Hills.


“ma devo presentarti a loro – esclama poi la castana, drizzando la schiena – ufficialmente, è così che facciamo, un segno di rispetto”


Spiega sbrigativa e gli indica, con un cenno fugace del capo, tutti quegli occhi puntati addosso e Theo si chiede quando sono arrivati e come è riuscito a non accorgersene?
Lì guarda, uno ad uno, età diverse, sguardi differenti, una moltitudine di generazioni è riversa dinnanzi a lui, due bambini corrono in cerchio, la sua auto sembra essere decisamente più interessante per loro, i componenti più giovani sembrano, invece, studiarlo in attesa ed Esmeralda alla sua destra allunga il braccio in sua direzione; sfiorandogli appena il busto


“el este (*lui è) – si ferma, aggrottando le sopracciglia pensierosa – Mike el are nevoie…" (*lui ha bisogno)

“Theo”


È un sussurro, appena mormorato, quanto basta per essere udito da Esme che sorride lieve, annuendo spensierata


“el este Theo – si corregge rapida, lasciando ricadere il braccio lungo il fianco – are nevoie de un loc unde să stea, el nu ne va da probleme, el va fi singur pentru un timp, am granatirò pentru el” (*ha bisogno di un posto in cui stare, non vi darà problemi, è solo per un po’, garantisco io per lui)


C’è fermezza in quelle parole che Theo non comprende, c’è sicurezza nel tono della voce e la pelle della giovane odora appena di timore, giustificato dagli sguardi scettici che riceve in risposta dai presenti


“trebuie să vorbim”  (*dobbiamo parlare)


Interviene, suono aspro, duro, la voce di un ragazzo, forse non troppo più giovane di loro, le braccia possenti delineate dall’aderente canottiera, d’un intenso verde militare


“doar noi”  (*solo noi)


Aggiunge un giovane, simile al precedente in aspetto ed atteggiamento, fissando le scure iridi al volto di Theo che può sentirlo, in quel preciso istante, chiaro, nitido, l’odore del sospetto, della diffidenza.
Esmeralda inspira, annuendo debolmente, puntando l’indice alla penultima roulotte, macchiata di terriccio e vecchie piogge


“quella è la mia – dice soltanto, sorridendogli gentile – puoi aspettarmi lì, se vuoi, è più comoda di un auto”


E, forse, Theo deve darle ragione.
Forse lo fa perché, ne è consapevole, lì non è il benvenuto, non ora, e probabilmente l’unica cosa che gli resta da fare è seguire il consiglio di quella giovane e lasciare che i bambini continuino ad arrampicarsi sul suo pick-up.
Le rivolge un tiepido cenno del capo prima di volgergli le spalle ed assecondare la gentilezza offertagli, lasciandosi dietro un chiacchiericcio che ha assunto già sfumature animate dal dubbio e dal rimprovero.


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Siccome l'interattiva è in fase di scrittura ed avevo già pronto questo piccolo capitolo ho pensato di aggiornare velocemente.
La foto di "copertina" è un esperimento, provvisorio forse.
Inoltre per chiunque sia interessato ho fatto chiarezza sulla trama, in generale, e sulla sottotrama e sono arrivata ad una conclusione; ho deciso la ship (per così dire) da mandare avanti (anche se non sarà una grande sopresa)
Spero che il capitolo vi sia paciuto e che vogliate continuare a leggere.
Grazie a tutti coloro che aggiungo tra le preferite/ricordate/seguite.
Grazie ai silenziosi lettori.
Grazie a tutti, 

alla prossima. 

*1 = la lingua che ho usato è il rumeno, se ci sono grossolani errori è perché ho usato un traduttore online; nel caso scusatemi ma rientrava nel personaggio. 

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Capitolo 3
*** Chapter Tree : Something Different ***


 
 
~ Chapter Tree : Something Different ~

 
Ogni tanto, non lo nega, ha avuto l’istinto di scostare le sottili tendine girasole della piccola finestrella, che da sul cortile, e controllare che la sua auto sia ancora lì, che abbia ancora tutte e quattro le ruote, che abbia ancora tutti i pezzi al posto giusto; non è mancanza di fiducia, forse solo un po’, ma è più necessità.
Quell’auto è la sua casa, unico rifugio che conosce e possiede, senza non gli resterebbe più nulla.

Nel furtivo controllare ha notato l’agitarsi frenetico di braccia, l’udito sviluppato gli ha permesso di captare le parole, pur non comprendendole è certo che la discussione verta su di lui.
Un altro posto da aggiungere alla lista di luoghi da non poter mai più visitare, si convince Theo aggiungendolo alla lista personale, già sin troppo lunga, che continua inaspettatamente ad aumentare.
Sospira lasciando scivolare le tendine al vetro, guardandosi attorno.

C’è così tanto colore in questa roulotte da ferire quasi la vista, fiori variopinti abbelliscono ogni centimetro dei mobili, le lenzuola dell’unico letto presente sono tempestate di ghirigori pastello dalle forme geometriche, un divano d’un intenso arancio zucca accerchia un piccolo tavolino concentrico ed una porta, adiacente a quella d’ingresso, è rivestita di fotografie di animali, tramonti, albe e danze.
Ogni centimetro di questo posto sembra sprigionare vitalità e gioia, è come trovarsi inglobati in un raggio di sole e forse, per occhi abituati al buio come quelli di Theo è persino eccessivo, persino doloroso tutto quel colore, quella vitalità.

Un simbolo, un cerchio, dal cui centro si diradano raggi, si erge al centro della porta principale, rosso come il fuoco; gli ricorda la ruota di un carro.
Si avvicina Theo, cercando di studiarne le lettere che ne contornano la forma e sobbalza appena, ritraendosi rapido, quando la figura raggiante di Esmeralda fa capolino; richiudendosi la porta alle spalle.


“puoi restare”


Annuncia, sorridendo solare, oltrepassando la sagoma immobile della chimera che ne segue i passi, osservandola cercare bicchieri da quella che, ora lo sa, è una piccola credenza


“vuoi un po’ d’acqua – chiede, armeggiando tra le vettovaglie – o qualcos’altro, non ho molto, ma dovrei avere anche qualcosa di diverso, forse”


Theo deglutisce, si sente a disagio in una casa non sua, non è affatto abituato ad essere un ospite, né tanto meno ad essere trattato come tale, è passato del tempo dall’ultima volta che qualcuno ha cercato di essere ospitale con lui


“mi sbagliavo – ridacchia nervosa Esme, afferrando un bottiglia in vetro trasparente – ho solo acqua, spero possa andare bene comunque”


La chimera annuisce soltanto, accettando quel bicchiere ricolmo, colorato anch’esso, il braccio teso della giovane gli suggerisce di sedersi al divano


“puoi anche sederti – sorride gentile – se vuoi”


E magari è perché di posti comodi Theo non ne conosce più che, alla fine, decide di cedere e poggiare la schiena al sorprendentemente comodo tessuto del divano, decisamente più comodo dei sedili dell’auto.
La giovane lo guarda, occhi di cerbiatto sembrano studiarlo nell’innocenza della curiosità, cercando una storia, una traccia, qualcosa da associare al nome che, ora, Esme conosce


“e così – spezza il silenzio la castana, volgendo il busto alla chimera – non ti chiami Mike”


Dice soltanto e Theo annuisce, ancora, trattenendo domande nell’incertezza di una socializzazione che non sa più neppure come funzioni e pensare che si riteneva piuttosto abile con le parole, un tempo


“avevi una faccia da Mike – scrolla le spalle Esme, sorseggiando l’acqua – il tuo nome è un diminutivo di Theodore?”


Chiede poi, deglutendo, poggiando l’avambraccio al cornicione superiore del divano, inclinando appena il capo, in attesa di parole che non giungo.
Sembra quasi essere in grado di annuire soltanto la chimera, se non lo avesse sentito parlare Esmeralda sospetterebbe che sia muto, ma forse è normale, ci riflette la giovane, le persone sono restie a fidarsi; solitamente.
Elabora frasi con la stessa velocità con cui soffia il vento invernale, cercando tra le innumerevole parole che le attraversano la mente quelle giuste da dire ed infine decide che, forse, l’unico modo per ottenere fiducia è concederla


 “questa è casa mia”


Inizia, scegliendo di parlare di sé nel tentativo di riuscire a conoscere quel ragazzo che, continua ad esserne sempre più convinta, non ha nessuno disposto ad ascoltarlo


“da qualche anno, quando ci siamo traferiti qui mio padre me l'ha regalata – rotea il bicchiere vuoto tra le dita, poggiandolo al tavolo rotondo – e tutti gli altri sono la mia famiglia, viviamo qui, insieme, ci siamo stabiliti qui quando avevo quattordici anni, prima abbiamo girato vari luoghi, ma sono nata in Romania”


Theo la osserva parlare rapida, muovere le mani a seguirne le parole, come a voler disegnare la storia in aria, in una tela invisibile che le dita sfiorano lievi e tintinnano ad ogni movimento i bracciali dorati che le adornano il sottile polso, giocherella con ciocche castane di tanto in tanto, continuando a sorridere gentile


“Beacon Hills non è male, mi piace  – dice, lasciandosi sfuggire una risata leggera – è piena di persone interessanti e particolari”


E per un’istante, un attimo fugace, si domanda Theo se quelle parole si riferiscano a lui, a ciò che è, al branco di McCall, a tutte le catastrofi che, suo malgrado, la cittadina ha subito, si domanda se lei sappia, se conosca qualcosa in più degli altri abitanti; se sia a conoscenza dei segreti che si nascondo tra le strade di Beacon Hills.


“se vuoi – inspira Esme, indicando poi il letto alle sue spalle – puoi dormire qui, questa sera, probabilmente è un po’ più comodo della tua auto, ma se non vuoi posso capirlo, solo…vorrei esserti d’aiuto”


Se lo chiede, nuovamente, la chimera per quale motivo quella giovane sconosciuta desideri, con una tale insistenza, concedergli una gentilezza che dovrebbe venire da chi, invece, si è preso a suo tempo la responsabilità di sorvegliarlo ma che a quanto pare ha dimenticato di farlo.
Ed ancora una volta si domanda se, infondo, non dovrebbe approfittarne; considerando la scomoda fattura dei sedili e la fastidiosa polizia che continua ad impedirgli di riposare adeguatamente.
Delinea rapido una lista di pro e contro che non ha molti aggettivi, colma di spazi vuoti, che vede in netto vantaggio, non che ci voglia molto, i lati positivi della roulotte e dell’accampamento di quelli che gli sembrano zingari.
Inspira, annuendo debolmente, decidendo che un letto è comunque più comodo dei sedili posteriori di un auto ed Esmeralda sorride raggiante, una felicità quasi innaturale


“potrai sfruttarla per tutto il tempo che vorrai – aggiunge, balzando in piedi – io dormirò con mia sorella”


E si sente un po’ colpevole Theo, infondo è come se gli stesse rubando la casa, ma si dice che sarà solo per una notta; nulla di più.
 
 

~~~~~~~~~~
 

Sono ore che lo guarda, correre avanti ed indietro, girare su stesso, stringendo la mazza da lacrosse con un tale vigore che Mason comincia a sospettare si possa spezzare da un momento all’altro.
Ha provato ad intervenire, ma l’unica risposta che Liam sembra in grado di dargli suona come un disco rotto, inceppato sul medesimo suono da minuti


“sono un’idiota”


Tutto quello che dice e Mason non riesce davvero a capire quale sia il problema.
La Caccia Selvaggia è già un ricordo da archiviare, Beacon Hills è di nuovo al sicuro, Corey sta bene, Lydia, Scott, Malia e Stiles sono riusciti, comunque, a diplomarsi e la vita va avanti; prosegue come sempre.
Probabilmente, lo giustifica Mason, il motivo del pigolare lamentevole dell’amico è da ricercare nella recente rottura con Hayden e nel suo imminente trasferimento.


“sono un’idiota”


L’eco delle parole del mannaro continua a giungere dal campo di lacrosse, incessante cantilena


“cosa c’è che non va?”


Esclama, infine, Mason cedendo al piagnucolare dell’amico che si ferma, all’improvviso, voltandosi e non ha bisogno di un olfatto sovrasviluppato per comprenderle le emozioni che annebbiano la vista di Liam, le legge benissimo, impresse in quelle iridi azzurre, dubbio e timore; lo conosce troppo bene per non notarle


“me lo dici oppure devo tirare ad indovinare – sospira, facendogli segno di raggiungerlo – sai che ho un buon intuito”


Cerca di sdrammatizzare, ma i passi statici di Liam, la serietà che ne appesantisce il volto, gli suggeriscono che sorridere non è tra le attività della giornata e sospira, volgendo il busto al mannaro


“allora?”

“allora – inspira, guardando i fili d’erba schiacciati dai suoi stessi piedi – sono un’idiota”

“questa parte – prova a riderne Mason – l’avevo già capita”


Continua a guardarsi i piedi Liam, balbettando monosillabi nel tentativo di formulare parole che possano spiegare ogni cosa chiaramente ed in sintesi, possibilmente, come è certo che voglia l’amico


“avevo un compito, uno solo – pigola appena il mannaro, infossandosi nelle spalle – un solo dannatissimo compito ed ho fallito”


Mason continua a non capire, anzi adesso è, se possibile, ancora meno chiaro, pensare che era solo venuto per sosetenerlo negli allenamenti estivi e invece si ritrova a fissare l’amico calciare fili d’erba in un’evidente nervosismo trattenuto


“Liam, ma di cosa stai parlando?”


Chiede allora, nel tentativo di fare chiarezza e cercare di aiutarlo come può, ma il mannaro sospira, trattenendo ancora parole che con fatica fuoriescono dalle labbra dischiuse


“dovevo occuparmene, io – le dita strette al bordo dell’ultima panchina sugli spalti – era il mio compito, lo avevano affidato a me, si sono fidati e io”


Trattiene il respiro Liam, ripetendosi mentalmente un mantra che spera possa funzionare, ma che non sta portando grandi risultati


“io non riesco più a trovarlo – espira, infine, sollevando appena lo sguardo – l’ho perso, non so più dov’è”


A Mason ci vogliono una manciata di minuti per collegare le parole, tracciare la linea che le unisce, dargli forma in un nome pronunciato nel dubbio


“Theo? – domanda in un soffio – stai parlando di Theo?”


Lo sbuffo che seguire quel nome è quanto basta a Mason per comprendere di aver interpretato correttamente le frasi, quasi sconnesse, di Liam che nasconde nuovamente il volto al suolo, quasi come se fosse la vergogna ad impedirgli di guardare le iridi scure dell’amico.
E non saprebbe, questa volta non saprebbe davvero come interpretarla, Mason tutta la confusione che balena in flash improvvisi tra gli occhi chiari di Liam, se sia colpa della sua bontà o del peso di responsabilità che sente gravargli sulle spalle, se sia la paura di non essere all’altezza del compito implicitamente lasciatogli da Scott o se, invece, vi sia altro; qualcosa di non detto, qualcosa che forse è persino difficile ammettere.
Spera che sia Liam, in qualche modo, a dirglielo, ma questi si erge in piedi, una molla impazzita, scatta in avanti, correndo via, lasciandosi dietro solo la scia di parole urlate


“sono un’idiota”


E Mason, istintivo, si alza rapido cercando di seguirlo, ma il mannaro ne precede le mosse gridando, senza neppure voltarsi


“devo controllare una cosa – farfuglia più al vento che all’amico – ti chiamo dopo, promesso”


Agita la mano a mezz’aria, dissuadendolo dal seguirlo e Mason comprende, forse più di quanto crede, che sarebbe solo d’intralcio se cercasse, provasse, a corrergli dietro.
Questa volta, solo per questa volta, deve lasciarlo andare da solo.
 

Inspira ed espira Liam, cercando di riprendere fiato, ha corso più veloce dei suoi pensieri ed ora si da dell’idiota, ancora, davvero credeva possibile trovarlo lì, magari immobile, quasi in attesa, sul ciglio di quel ponte dove lo incontrò un anno fa?
Decisamente un’idea stupida, si ripete, continuando a fissare il ponte vuoto e l’acqua sottostante scorrere lenta.
Onestamente lo aveva sperato, almeno un po’.
Trattiene il respiro, socchiudendo gli occhi, probabilmente sarà inutile, ancora, ma deve, vuole, provare comunque; scendere nei sotterranei e cercare qualcosa.

È stato così impegnato, maledettamente distratto, negli ultimi giorni tra la cerimonia dei diplomi, i complimenti e i festeggiamenti per l’inizio di un nuova vita, magari meno sovrannaturale, di buona parte dei suoi amici, del suo branco, l’allontanamento di Hayden, la rottura, la sua partenza; sono successe così tante cose, una dietro l’altra, in quel mese da avergli fatto perdere di vista l’unica cosa che non avrebbe mai dovuto smarrire.
Quando la Caccia Selvaggia è svanita, quando tutto è diventato solo un incubo da dover dimenticare, è stato allora che lo ha visto, per l’ultima volta, poggiato contro lo stipite della porta durante una riunione di branco di cui, poteva sentirlo Liam, non era affatto parte.
Lo ha visto restarsene nascosto nel silenzio e svanire, dissolversi come nebbia, senza salutare, senza essere neppure notato, senza dire nulla; neppure a lui che lo ha cercato ovunque.

C’ha provato, davvero, ma dopo due settimane senza risultati comincia a sentire la pressione del fallimento crescere e sarà per questo, perché aveva promesso, a sé, a Scott, al branco, che lui era una sua responsabilità, sarà per questo che mentre cerca tracce d’odore familiare tra i corridoi semibui dei sotterranei i suoi occhi brillano di bagliori gialli, zirconi che illuminano le iridi di Liam freneticamente impegnate in una ricerca che minaccia fallimento; ancora una volta.
Eppure, si dice stringendo i pugni lungo i fianchi, non può essere andato troppo lontano; può?

È un’irrazionale paura quella che gli fa tremare le dita, è un’immotivata rabbia quella che gli fa vibrare le iridi, non può essersene andato, non così, non senza dire nulla, non senza dirlo almeno a lui.
Non se ne rende neppure conto, colpisce il muro con il pugno teso ancor prima che la mente possa impedirglielo, lascia un segno tra la parate ancor prima che i pensieri possano formarsi, è il suono, incessante, del cellulare a ridestarlo, a fargli riassumere il controllo che non credeva neppure di aver perso.
Inspira, scuotendo il capo debolmente, controllando lo schermo del telefono; una chiamata in corso da Mason.
Giusto, si ricorda improvvisamente, lo ha lasciato al campo di lacrosse senza attendere neppure l’arrivo di Corey; probabilmente sarà preoccupato, infondo lo ha visto scattare dal nulla verso gli alberi.
Inspira, ancora, cercando di immagazzinare la maggior quantità d’ossigeno possibile, lasciando scorrere l’indice tra i cristalli liquidi


“pronto? – sussurra, portandosi il cellulare all’orecchio – no, no, tutto bene sono solo…dovevo fare una cosa”


Evidentemente essere evasivo non funziona, non con Mason che insiste dall’altro capo della conversazione


“non credo che…no, non…e va bene – sbuffa, stringendo il telefono tra le dita – ci vediamo dopo”


Cede all’insistenza di Mason, concedendogli una serata pizza e videogame, che sa già dove lo condurrà, conosce troppo bene l’amico per non sapere che, non appena sarà lì, a casa sua, verrà tempestato di domande in un interrogatorio mirato nell’intento di scucirgli la verità di bocca; una verità che infondo neppure Liam può dire di conoscere davvero.
Una verità che è solo confusione, rabbia, delusione e qualcosa, qualcosa di diverso; qualcosa che non trova ancora definizione. 


 
~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~
 
Era nata come una distrazione, è diventata una storia vera e proria che si sta delineando sempre di più nella mia testa. 
Come avrete notato ho inserito altri personaggi noti e, chissà se qualcuno tra i silenziosi lettori ne sarà felice, ho finalmente deciso di portare avanti una trama Thiam; che procederà un po' a piccoli passi.
Che ci posso fare quei due insieme fanno emergere il mio lato romantico, solitamente sopito. 

Spero che i personaggi non siano troppo OOC e che il capitolo vi sia piaciuto. 
Ringrazio tutti i lettori silenziosi, tutti coloro che hanno aggiunto tra seguite/ricordate/preferite la storia.
Grazie davvero a tutti, 

alla prossima. 

 

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Capitolo 4
*** Chapter Four : Things Can Change ***


~ Chapter Four : Things Can Change ~
 

Deve ammetterlo, quanto meno a sé stesso, il letto di una roulotte è definitivamente più comodo dei sedili posteriori della sua auto, da quando si è dato al vagabondaggio non ha mai riposato così bene, nessuna interruzione, nessun poliziotto a minacciare di sequestrare il mezzo, persino gli incubi sono stati decisamente più sopportabili.
A giudicare dall’orario, che segna le undici e mezza, deve aver dormito per più di otto ore e, ad ascoltare il silenzio che aleggia all’esterno, potrebbe anche essere l’unico già sveglio, ma un odore, ormai noto, che giunge debole dalla porta chiusa, lo fa ricredere.
Sbatte le palpebre un paio di minuti Theo, schiarendo la vista e la voce, prima di alzarsi ed aprire, ritrovandosi a fissare una piatto ricolmo di caramello


“vuoi dei pancake?”


Esordisce Esme, sorridendo allegra


“ne ho fatti alcuni in più – dice, posizionandoli sopra al piccolo tavolo concentrico – nel caso ne volessi”


Forse Theo non sa come reagire, né cosa rispondere, ma il suo stomaco ha idee ben più chiare, l’odore dolciastro dei pancake ancora caldi ne risveglia l’appetito, saranno almeno due settimane che non fa colazione, che non consuma pasti regolari a dire il vero


“immagino che sia un sì – ridacchia Esmeralda, udendo il lieve brontolio che proviene dal ventre della chimera – vuoi un caffè, un thè, dell’acqua?”


Chiede poi armeggiando tra le credenze della stretta cucina e Theo la osserva, in un’indecisione che è interrotta dalle parole della castana


“in genere bevo sempre un caffè, prima di cominciare la giornata, se vuoi qualcosa chiedi pure”


Probabilmente per necessità la chimera, infine, decide di rompere il silenzio e parlare, rispondero alla gentilezza


“sì – si schiarisce la voce, ancora impastata dal sonno – un caffè, va bene”


Esmeralda annuisce, sorridendo raggiante, volgendo l’attenzione alle tazze, le dita sottili si muovono rapide preparando la miscela ed un odore amaro, di chicchi di caffè macinati, si sprigiona nella roulotte.
In un bagliore involontario Theo ricorda l’ultima volta che qualcuno gli ha offerto qualcosa, in una notte in cui, esattamente come ora, non sapeva cosa dire o cosa fare, in una notte in cui osservava, come ora, mani ben più frenetiche armeggiare con maggior confusione tra le mensole di una cugina rischiarita solo da tiepidi raggi lunari che filtravano tra ciuffi castano scuri; scompigliati, arruffati da sospiri e sbuffi.
È involontario, il ghigno che dischiude le labbra della chimera, piegandone il lato destro verso l’alto, non se ne accorge neppure mentre addenta famelico un pancake, sporcandosi le dita di caramello ed educatamente Esme gli porge alcuni tovaglioli ed una forchetta, facendo sentire Theo quasi un’idiota per aver assalito la colazione, ma i bagliori di gentilezza che le animano le iridi nocciola rendono impossibile persino vergognarsi


“sembri felice”


Dice soltanto, poggiando le due tazze al tavolo e sedendosi a qualche centimetro dalla chimera


“devo dedurne di essere un’ottima cuoca?”


Scherza delicata Esme, stringendo la bevanda ancora fumante tra le dita, soffiando al bordo nel tentativo di raffreddarla


“grazie”


Mormora Theo, sollevando lo sguardo dal piatto al volto disteso della giovane che, per un’istante, un solo fugace istante assume le sembianze di un viso ormai lasciato nel passato, un viso che un tempo era solito preparargli colazioni confortevoli ogni mattina e si deve costringere a distogliere l’attenzione Theo, tornando a fissare i plumcake, cercando di scacciare ricordi lontani che preferirebbe poter dimenticare.
E deve essere riuscita a notarla, quell’ombra malinconica scurirne le iridi, Esme che della tristezza è, suo malgrado, abile lettrice


“mio nipote adora la tua auto”


Dice allora, cercando di prevenire e scacciare pensieri sgraditi dalla mente dell’ospite, agendo d’istinto, seguendo esperienze passate e, forse, ha funzionato perché iridi glauche la guardano animate da lieve curiosità ed Esmeralda ridacchia cristallina


“cosa ti sembra più strano – chiede, sorseggiando il caffè – che un bambino voglia un auto o che io abbia già un nipote?”


Theo inspira, afferrando la tazza tra le dita, decidendo di procedere lento in una socializzazione che, in un certo senso, si sente quasi in dovere di concedere


“siete in tanti”


Probabilmente, riflettendoci, dovrebbe rivedere le sue qualità da oratore, magari cercando di essere meno rude, ma infondo deve riprenderci l’abitudine, ha passato mesi interi in un ciclo infernale e quando ne è uscito non ha avuto molto tempo per socializzare, non come si dovrebbe, ma Esme non sembra esserne infastidita, anzi il sorriso, se possibile, è divenuto persino più sereno


“già – dice, giocherellando con il cucchiaio al bordo della tazza – tre fratelli, due sorelle, un nipote ed un altro in arrivo a breve, e mio padre”


Incredibilmente numerosa, è il primo aggettivo che Theo riesce a collegare a quella famiglia che sembra, malgrado il numero, enormemente unita


“Valerian si è sposato sette anni fa  – prosegue solare Esme – Eveline era incinta, i suoi genitori non la presero molto bene e così si trasferì con noi, in un certo senso è una delle poche tradizioni gitane che abbiamo rispettato"


Ride, impacciata, vagamente imbarazzata, scostandosi ciocche castane dagli occhi, incastrandole dietro le orecchie, sono una massa informe, aggrovigliata, i suoi capelli, scomposti, agitati e frizzanti; le si addicono


“comunque non preoccuparti per l'auto, non te la ruberà – scherza, arricciandosi fili castani tra le dita – ma proverà a contrattare, va forte col baratto deve aver ripreso da suo padre, gli ha insegnato troppi trucchetti”


E Theo l’ascolta parlare di quella famiglia che, malgrado il sospetto, malgrado la diffidenza, ha scelto di ospitarlo, di concedergli un posto in cui stare, senza fare domande, senza chiedere altro, fidandosi delle parole di Esmeralda, che senza neppure aver indagato a fondo ha deciso di garantire per lui, un estrano, uno sconosciuto incontrato per caso.
Gli sembra ancora assurdo, gli appare ancora innaturale, se fosse stato al loro posto, probabilmente, avrebbe ignorato, sarebbe passato oltre, l’egoismo lo avrebbe spinto a non concedere neppure la possibilità di una tenue fiducia e, di sicuro, se il Theo di un tempo fosse qui, se potesse vederlo, riderebbe di lui; che sembra persino in difficoltà nell’approfittare di una gentilezza così tanto manifesta.
Le persone cambiano, persino lui, a dispetto di quanto possibile, a differenza di quanto si crede, le persone malgrado tutto cambiano; forse è inevitabile.


“non voglio sembrarti invadente – soffia, titubante, Esme – ma sono incline ad una curiosità eccessiva”


È un risolino nervoso quello che le anima le labbra, tra le iridi nocciola una richiesta di permesso a cui Theo risponde appena, in un cenno fugace del capo, quanto basta per concederle di proseguire in una socializzazione che, infondo, le deve


“ecco, noi, la mia famiglia – balbetta, la difficoltà di parole che non sa come pronunciare – siamo gitani rumeni, siamo abituati a vivere in roulotte come questa, è parte della nostra cultura, ma…tu…non lo sei…io, insomma…sei mai andato a scuola?”


Si aspettava di tutto, ogni possibile imbarazzante domande, ogni scomoda verità, si aspettava davvero di tutto, tranne questo.
Tra le iridi glauche della chimera si delinea, chiaro e nitido, lo scetticismo di una domande che non è neppure certo sia possibile considere tale, arcua appena un sopracciglio chiedendosi come sia possibile che, tra le mille e più cose che avrebbe, di diritto, potuto chiedergli abbia scelto la più assurda ed impensabile; come dovrebbe rispondere?
Annuisce soltanto, del resto anche cercandole non le trova parole da aggiungere ed Esme lo guarda, occhi illuminati da infantile curiosità


“e com’è? Sai io ho sempre studiato qui, da autodidatta”


Chiede, mossa da un’innocenza fanciullesca e  Theo deve riflette un po’ prima di riuscire a parlare


“uno schifo”


Dice soltanto poi, sintetizzando i pochi anni in cui, lui stesso, ha frequentato un edificio di pubblica istruzione, è decisamente più facile che spiegargli come neppure lui, dopo tutto, possa davvero dire di aver sostenuto  una normale istruzione


“quindi è come nei film?”


Domanda ancora, evidentemente non soddisfatta dalla risposta, Esmeralda


“più o meno”


ci pensa Theo, cercando di far mente locale, ma di film che parlano di scuola ne ha visti davvero pochi, ad essere onesti di film non ne ha mai visti molti, gli unici che ha guardato risalgono all’infanzia, prima dei suoi nove anni, prima che abbandonasse una casa, la colazione mattutina, una scuola, la famiglia, la stabilità e i film.
A ben vederla, infondo, la loro vita non sembra poi troppo diversa; si stupisce la chimera aggrottando la fronte


“in realtà – soffia poi, spinto quasi dal bisogno di liberarsi di vecchie menzogne – non ci sono mai andato molto a scuola”

“nel senso che saltavi le lezioni?”

“nel senso – sorride sghembo, scuotendo appena il capo – che ho saltato molte cose, in generale”


Ad Esmeralda quello sembra il primo passo verso una conoscenza che sente necessaria, di cui in verità freme dalla curiosità di scoprire e non pensava che, con quella sua innocente domanda, sarebbe riuscita a giungere ad un simile sviluppo, inaspettato deve ammetterlo; ma che attendeva sin dal primo giorno in cui trovò il coraggio di parargli


“hai sempre vissuto – coglie l’occasione Esme – così, saltando cose?”


Ne sorride Theo, un sorriso flebile, lieve come la brezza estiva che allieta la mattina, un sorriso fugace, sincero, che in ben poche occasioni ha plasmato le sue labbra per impercettibili istanti


“in un certo senso – prova, allora, la chimera – sì, decisamente”


Ed è un inizio, si dice Esmeralda, guardando quel giovane aprirsi appena, scacciare il mutismo, rifiutare l’orgoglio, fidarsi lieve e si convince, sempre di più, che infondo sia solo questo ciò di cui abbia bisogno; parlare, parlare senza paura alcuna, senza il timore di giudizi, parlare soltanto.
E lo sente, è l’intuito che glielo suggerisce, la fiducia e le parole stanno arrivando; lentamente. 

 
~~~~~~~~~~
 

“perché non me lo hai detto?”


Esclama indignato Mason, essere lasciato fuori, così, dai problemi dell’amico è qualcosa a cui non è abituato, qualcosa a cui non ha neppure mai pensato di dover fare l’abitudine.
Liam s’infossa nelle spalle, un bambino indifeso, indossando un viso da angelo che non fa presa sull’amico


“credevo di poterlo risolvere – pigola, in un soffio – da solo”


E scrolla il capo Mason, massaggiandosi le tempie, sforzandosi dall’urlargli che, infondo, è davvero un idiota certe volte, soprattutto quando segue la testardaggine


“non sei riuscito a trovarlo, immagino”

“no – inspira, socchiudendo gli occhi il mannaro – non ancora”

“e non sai più dove cercarlo”


Liam mugugna infastidito, non è di certo piacevole dover ricordare i recenti fallimenti, né tanto meno dover ammettere che non sa più dove cercarlo, né come


“non può essere andato troppo lontano”


Ne conviene Mason, confermando le parole che il mannaro si ripete da ore ormai, deve essere ancora a Beacon Hills, deve trovarsi ancora nei paraggi, deve; non gli è permesso, concesso, neppure pensare di allontanarsi, non senza dirglielo.
Ed in realtà, se lo chiede improvvisamente Liam, chi ha concesso a lui il diritto di pretendere di sapere, di decidere per Theo, da chi gli è stato concesso l’arrogante diritto di dover essere al corrente di ogni suo spostamento?
Se lo è preso, da solo, quel giorno in cui scelse di liberarlo da qualsiasi posto in cui fosse rinchiuso, quel giorno in cui scelse di distruggere l’unica possibilità di rispedirlo indietro, quel girono in cui scelse di fidarsi; se lo è preso da solo il diritto di essere sempre a conoscenza degli spostamenti di Theo.
Ed, allo stesso modo, si è distratto dal suo stesso volere da solo; lasciando che altri pensieri ne offuscassero la responsabilità che, tiene a ricordarsi, ha scelto di prendersi.
Tutto questo, si ripete Liam, perché è un idiota.


“è così importante trovarlo? – esclama poi Mason, le sopracciglia aggrottate ed un’ovvia osservazione – insomma, andiamo, dopo tutto quello che ha causato non è meglio così?”


Non riesce neppure a trovarle le parole il mannaro, come può pensare che sia giusto, lasciarlo andare, ignorarlo, pretendere persino di dimenticare che sia mai esistito; come può riuscire a pensarlo?


“cosa? – il volto plasmato da confuso stupore – non credi che sia rischioso? E se, se facesse qualcosa di pericoloso? Non credi sia più…saggio, controllarlo?”


Cerca di ignorarla Liam, quella voce flebile che gli sussurra nelle orecchie che forse, proprio in quest’istante, potrebbe anche essere in pericolo e loro non avrebbero modo di saperlo, di fare qualcosa per impedirlo.
Cerca di concentrarsi, invece, sull’espressione d’innocente indifferenza che plasma il volto di Mason


“credo che in quel caso lo scopriremmo  e lo fermeremmo – scrolla le spalle con ovvietà l’amico – ma finché non farà nulla”


prosegue, dando quasi per scontato che potrebbe fare qualcosa da un momento all’altro


“non vedo perché dovremmo preoccuparcene”


Già, esattamente come pensava, sembra essere l’unico Liam a cui il pensiero di aver perso di vista Theo lo turba, in un modo incomprensibilmente persistente, s’infossa nelle spalle inspirando lentamente; probabilmente l’unica soluzione possibile è fingere.
Lasciare Mason fuori dalla situazione, per una volta, una singola volta, e risolvere la questione da solo; senza poter avvertire, né contare sull’aiuto di nessuno.


“Liam – mormora poi Mason, volgendo lo sguardo incerto al volto contratto da silenziosi pensieri dell’amico –  non ne abbiamo mai parlato”


Il mannaro lo guarda, arcuando le sopracciglia nella confusione di un’affermazione che giunge improvvisa, sconnessa dal precedente discorso che continua ancora a catalizzare la sua attenzione 


“di te ed Hayden – specifica allora Mason – perché vi siete lasciati? Non me lo hai mai detto, posso capire la distanza, le difficoltà che comporta, ma…c’è altro vero?”


C’è altro, si ripete quelle parole Liam, fissandosi il joystick tra le mani, deglutendo impercettibilmente; c’è altro.
Sì, c’è, forse c’è altro.
Cosa, questo, con esattezza, non saprebbe dirlo.
Sa solo che qualcosa, dalla Caccia Selvaggia, da quando tutto è finito, è cambiato; drasticamente eppure invisibilmente cambiato.


“non era più come prima”


Ammette, in una mezza verità che è tutto ciò che può concedere e Mason sembra studiarle, valutarle attentamente, quelle parole


“che significa?”

“quello che ho detto – soffia Liam, guardando in tralice l’amico – non, non sentivo più quel che sentivo prima e…lei ha capito, tutto”

“non l’amavi più? – chiede, animato da logici dubbi Mason – così, all’improvviso?”

“le cose cambiano – è un grido trattenuto la voce del mannaro, stringe il joystick tra le nocche pallide – lo hai detto anche tu, le persone cambiano, le situazioni cambiamo”


Il tonfo del controller al suolo riecheggia tra le pareti della camera, in una lancio che precede il balzo in avanti di Liam, tenere la rabbia sotto controllo, ultimamente, se ne rende conto sempre più spesso Mason, sta diventando davvero difficile; quasi come un tempo, quasi come quei primi giorni in cui ancora non potevano neppure immaginare cosa significasse essere una creatura sovrannaturale.
Si alza, avvicinandoglisi lentamente, poggiandogli cauto le mani tra le spalle tese e nelle iridi celesti dell’amico si posa un velo lucido che le fa tremare, smarrite e confuse


“le cose possono cambiare all’improvviso"


Sussurra Liam, aggrappandosi alle braccia dell’amico, lasciandosi cingere in un abbraccio che, per ora, è tutto ciò di cui ha bisogno; condividere un silenzio denso di domande a cui trovare risposte, è tutto ciò che al momento necessita. 
 



 
Piccolo avvertimento, per chiunque fosse interessato, l'interattiva che ho in questo forum sta procedendo e a breve assicuro che posterò il capitolo; lo sto solo revisionando. 
Tornando a questa storia invece ringrazio tutti coloro che leggono silenziosamente, recensisono e seguono; davvero grazie mille. 
Spero che il capitolo vi piaccia e che i personaggi siano abbastanza accurati. 
Come al solito qualsiasi commento o critica, purché costruttiva, è ben accolta. 
Grazie ancora, 
a presto

PS: la mia mente è un posto strano, per qualche assurdo motivo Liam e Theo mi fanno pensare un pochino a Spiderman e DeadPool. 
 
 
 

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Capitolo 5
*** Chapter Five : A Deal Of New Hope ***




~ Chapter Five : A Deal Of New Hope ~
 
“Iacoma – urla il bambino, lanciando una pallina di plastica alle spalle del cane – prezintă” (*riporta)


Questi corre, eseguendo l’ordine, ritornando poi trotterellando alle gambe del ragazzino, depositandovi l’oggetto sporco di terriccio e saliva canina


“bun” (*bravo)


Ride il bambino, raccogliendo il muso del cane tra le dita, arruffandogli il pelo.
Theo seduto sull’ultimo scalino della roulotte lo osserva; quando aveva la sua età sarebbe piaciuto anche a lui avere un cucciolo.
Non gli è mai stato permesso, sua madre diceva che sporcavano troppo, suo padre che non avrebbe avuto tempo per occuparsene, del resto per lui era già sin troppo difficile occuparsi dei figli.
Sempre lontano, per lavoro diceva la madre, sempre distante, perché stanco dal lavoro lo giustificava la moglie, eppure a Theo è sempre sembrato soltanto infastidito, da loro, dalla famiglia, dai figli che forse neppure avrebbe voluto.
Se lo chiedeva spesso, da piccolo, per quale motivo i suoi genitori si fossero sposati.
Per passare il tempo distanti? Per ritrovarsi solo per discutere di chi fossero le colpe maggiori? Per mettere al mondo figli che sembravano pesare così tanto su di loro?

Un giorno, qualcuno, gli disse che tutte le famiglie felici si somigliano, ma ogni famiglia è infelice a modo suo.*
Forse, si è detto crescendo col ricordo di quelle parole, è vero.
E forse la sua era un di quella famiglie infelici, nel proprio modo.
Chissà se questa, invece, sia una di quella famiglie felici che somigliano ad altre?

Se lo chiede Theo cercando di analizzarli nella distanza di un giardino consumato dall’incuria del tempo e mentre cerca di capirli, di comprenderli da lontano, passi frettolosi lo sorprendono alla sua destra e si ritrova a guardare un viso d’angelo, grandi occhi del colore di candide nubi lo fissano incuriosite


“salut” (*ciao)


La voce è un sottile cinguettio che ricorda una canto di dolci melodie fanciullesche, il sorriso innocente animato da infantile curiosità.
Non conosce il rumeno, ma la logica gli suggerisce che, probabilmente, quella bambina lo ha semplicemente salutato e, consapevole di non essere stata compresa, agita la piccola manina a mezz’aria e Theo abbozza un sorriso sghembo, cordiale, rispondendo al saluto nel medesimo modo


“non somigli al ragazzo di mia sorella – prende fiato la ragazzina, sbattendo le palpebre –  sei uno nuovo?”


Chiede poi, accigliandosi, lo aveva intuito sin dal primo istante la chimera, tutta la famiglia conosce la sua lingua, ma considerando la sua natura di estraneo hanno preferito rivolgersi in rumeno tra di loro; giusto per non lasciargli né modo, né possibilità di comprenderli


“no”


Riesce soltanto a risponderle Theo, ridendo di se stesso nel notare la fronte della bambina corrucciarsi confusa


“allora come mai  – arriccia il naso la ragazzina, incrociando le braccia al minuto ventre – dormi qui da una settimana?”


Questo, onestamente, se lo chiede anche lui e non è ancora riuscito a trovare risposta, probabilmente perché il letto è più comodo dei sedili, probabilmente perché Esmeralda è più gentile della gentilezza stessa, ma spiegarlo ad una bambina che non avrà più di undici anni è quanto di più difficile Theo si sia trovato ad affrontare nella sua, decisamente non normale, vita 


“perché tua sorella – prova, decidendo di affrontare la verità – è molto gentile, vuole aiutarmi”

“e perché?”


Inspira la chimera, non sa se sia la migliore delle decisioni che abbia mai preso, ma da quando ha lasciato il buco infernale in cui era stato rinchiuso, da quando sua sorella è tornata a tormentarlo solo nei peggiori dei suoi incubi, qualcosa gli impedisce di mentire, come se un’inspiegabile necessità di sincerità lo spinga ad agire persino contro il suo volere


“perché – sospira la chimera, sperando che la verità non turberà il viso d’angelo della bambina – nessun altro lo farebbe”

“oh quindi – è un soffio leggero, le iridi di nubi estive incupite da genuina tristezza – sei solo”


È una constatazione quella che giunge, semplice, diretta dalle labbra della ragazzina, una verità che Theo a lungo si è negato.
È solo, dannatamente, incredibilmente, solo.
Non lo ha mai avuto il coraggio di dirselo, di urlarselo, di ammetterselo.

La solitudine, quella, l’ha accettata da tempo, ma si è sempre detto che era una scelta, una volontà, un decisione personale, ponderata e voluta scelta di vita, ma la verità è diversa, la verità fa male esattamente come temeva; forse persino di più.
È una conseguenza, la solitudine, dell’essere solo.
Nessuno da cui tornare, nessuno a cui interessi, nessuno che si ricordi di lui, nessuno che senta la sua mancanza, nessuno che si accorga della sua assenza.

Nessuno, non c’è nessuno per lui.

E forse, forse in realtà, la solitudine l’ha davvero voluta, anni fa, conseguenza delle azioni compiute, delle scelte effettuate, del resto è questo che si ottiene quando si percorrono sempre strade sbagliate.
Infondo essere solo è la giusta conclusione per una vita sbagliata, distorta tra illusioni ed inganni, modellata tra l’egoismo di desideri di gloria e l’egocentrismo di narcisistiche decisioni, forse è semplicemente così che doveva finire, gettato all’inferno, masticato senza grazia e sputato senza cura, a vagare nel tormento di una solitudine animata dalla colpa e dalla paura di aver fallito nel morire e di aver sbagliato nel vivere.

Ed improvvisamente, il groviglio di pensieri, che agitati si intrecciano, viene arrestato dal tiepido calore di dita sottili che gli avvinghiano delicate la spalla destra; paralizzandolo


“se sei da solo allora  – dice con la semplicità che i bambini possiedono – puoi restare qui”


Non credeva che sarebbe mai stato in grado di poter sentire ancora un umano calore tanto innocente, ha quasi paura di macchiarlo guardando negli occhi d'angelo della bambina.
Un sapore salato gli inumidisce le labbra ed un odore salsedine gli invade le narici, in un’istante di confusione crede che provenga da lei, lo comprende poi, quando sente la voce di Esme giungere alle spalle della ragazzina, chiamandola a sé, lo comprende in quel preciso istante mentre si tasta il volto catturando tra l’indice ed il pollice una stilla, unica goccia sfuggita al controllo, singola lacrima; quell’odore salato proviene da lui


“Irina nu fi intruziv” (*non importunarlo)


Sorride Esmeralda, carezzando la nuca della sorellina, aggiustandole il sottile velo colorato che le contorna il viso


“du-te să te joci cu fratele tău” (*va a giocare con tuo fratello)


Le dice poi, carezzandole la guancia, soffermandosi per un fugace istante a guardala saltellare leggiadra verso il bambino che gioca ancora con il cane a rincorrere un pallone, indicando poi il bordo dello scalino su cui siede Theo, a voler chiedere il permesso, e la chimera si scosta soltanto lasciandole spazio.
Nel silenzio che ne segue Esmeralda si perde ad osservare i bambini giocare sereni tra l’erba essiccata dal caldo estivo e dai segni degli pneumatici lasciati dalle roulotte, inspira ed un sorriso sghembo le plasma le labbra


“Irina è molto curiosa – sospira, incastrandosi una ciocca castana dietro l’orecchio – vuole sempre sapere tutto, spero non ti abbia infastidito”

“no – risponde istintivo Theo, nascondendo il volto a fissare fili d’erba secca – non fa niente”

“vi ho sentiti – inspira Esme, guardandolo in tralice – ho sentito quello che le hai detto”


S’infossa nelle spalle la chimera, nel vano tentativo di camuffare orgogliosa vergogna, esposto Theo non lo è mai stato, l’abitudine di essere ascoltato l’ha smarrita mentre percorreva la strada sbagliata, la capacità di confessare pensieri l’ha persa errore dopo errore, è da così tanto che trattiene segrete le emozioni che ora non sa neppure più essere certo di quelle che prova o se ne prova 


“davvero non hai nessuno?”


La domanda che aspettava, sin dal primo giorno in cui Esmeralda gli rivolse la parola, sin dal primo istante in cui gli si avvicinò nell’ingenua volontà di aiutarlo, la domanda che temeva, per cui infondo si era preparato, cercando risposte, plausibili, che tuttavia ora non riesce più a trovare, perse in una confusione caotica di pensieri rumorosi


“già”


Risponde soltanto, scrollando le spalle nel tentativo di scacciare il peso di una solitudine che non credeva sarebbe mai divenuta una condanna, meritate e perpetua condanna


“non è così, ti sbagli – esclama decisa, la voce ferma di sicurezza – ora hai qualcuno, hai me, noi”


E Theo volge il capo, istintivo, iridi di cioccolata lo guardano nella bontà di sincera gentilezza


“sì lo so, ci conosciamo appena e so che non ne avrei neppure il diritto, né un motivo, ma – sorride, un sorriso che non cela altro se non generosa speranza – non ne ho bisogno, voglio conoscerti, ascoltarti, se vorrai parlare, se vorrai permettermi di aiutarti, in qualche modo”

“perché dovresti?”


Un mormorio di leciti dubbi dischiude le labbra della chimera e cerca, in quegli occhi di cioccolato fuso, una risposta, un’ancora che gli impedisca di fuggire ancora, di allontanarsi da un posto di cui, infondo, ha davvero bisogno più di quanto voglia ammettere


“in ogni luogo in cui ho vissuto siamo sempre stati trattati come rifiuti – un bagliore di malinconica luce rabbuia il volto di Esme – le persone tendono ad avere paura della diversità, secondo mio padre non vogliono neppure comprenderla vogliono solo evitarla”


Un sospiro amaro s’infrange tra le labbra della giovane, un velo triste le annebbia le iridi nocciola, scurendole


“ma mia nonna ci ripeteva sempre che dovevamo rispondere all’ostilità con la gentilezza – trattiene il respiro la giovane, l’odore acre della tristezza pizzica tra le narici di Theo – a lei piaceva aiutare, un giorno da piccola le chiesi perché lo facesse e mi rispose soltanto perché devo”


Un sorriso sghembo, melanconico, piega i lati delle labbra di Esmeralda, c’è un dolore che non sfugge alla chimera tra le iridi nocciola della giovane, può quasi percepirlo quanto difficile sia per lei parlare di quella donna che sembra essere così distante, un ricordo lontano che aleggia a perenne memoria


“era molto religiosa – continua, scuotendo il capo nello sbuffo di una triste risata – per mia nonna aiutare era un compito che Dio in persone le aveva affidato per redimersi, per aiutare noi stessi ed io…l’ho sempre ammirata, per questo, era la sua forza e quando ero piccola volevo essere come lei, da grande, e ora…immagino che ci stia provando, anche se abbiamo perso la fede voglio ancora essere come lei e tu…sembravi averne bisogno”


Inspira Theo, accogliendo lento una verità che si fa strada tra il groviglio di pensieri, forse Esme ha ragione, forse lui ha davvero bisogno di aiuto, forse ne ha persino sempre avuto, smarrito sin dal primo giorno in cui ha mosso passi nel mondo, forse fu per questo che seguì quegli uomini che gli promisero potere e forza; forse fu solo un disperato bisogno d’aiuto cercato nel posto sbagliato, nel momento sbagliato, a spingerlo ad agire.
E magari, questa volta, potrebbe concedersi di fidarsi d’un aiuto che sembra essere la speranza che non ha mai avuto, una redenzione che non avrebbe mai creduto di volere con tale intensità


“immagino sia questo, il motivo – sorride tiepida Esmeralda, incastrando le iridi glauche della chimera nelle sue – magari sono io ad aver bisogno di aiutarti”

“non ha molto senso”


Si lascia sfuggire Theo, passandosi le dita tra i capelli, sbuffando un sorriso sghembo al ridacchiare cristallino della giovane


“vero? – un odore agro dolce le pregna la pelle – aiutarmi ad aiutarti per aiutarmi, è così assurdo?”

“abbastanza – non credeva che sarebbe mai riuscito a sorridere con sincerità – ma presumo sia normale, nessuno aiuta senza un tornaconto personale”


E sa, meglio di chiunque altro, la chimera quanta verità sia racchiusa in quelle parole, del resto ha conosciuto un solo genere di aiuto nella vita, ha esperienza solo di ciò che è sbagliato, ma Esme continua a sorridere, a brillare di bontà


“già – ammette in un soffio, volgendo il busto all’ospite – ma non siamo tutti uguali, alcuni cercano di essere migliori di altri, suona arrogante?”

“è arrogante”

“a volte quello che crediamo sia solo negativo – schiocca la lingua tra i denti dischiusi dal tiepido sorriso – può rivelarsi utile per fare qualcosa, per spingerci ad essere qualcuno di…positivo”


Da quando l’ha incontrata Theo ha smesso di cercare di controbattere, trovare parole con cui esporsi è difficile con lei, che possiede la saggezza di chi ha il cuore immacolato, con lei che in qualche modo riesce sempre a metterlo in difficoltà, a rendergli difficile persino scrollare le spalle con indifferenza.
Non ha mai creduto al destino, né alle coincidenze, ma da quando l’ha incontrata ha cominciato a chiedersi se, forse, tutto questo dovesse accadere, prima o poi, in qualche modo; trovare qualcuno che fosse in grado di parlare ai suoi più profondi e segreti pensieri


“quindi – esclama Esme dopo istanti di condiviso silenzio – me la concedi l’arroganza di aiutarti?”


E questa volta non ha bisogno di rifletterci Theo, per una volta vuole decidere, vuole scegliere, provare ad intraprendere quella strada migliore che è sempre stato troppo cieco per vedere, questa volta vuole concedersi il beneficio del dubbio e provare, provare a percorrerla, non importa quanti dubbi incontrerà, quante domande dovrà porsi, quanti perché dovrà chiedersi, non importa quante risposte sarà costretto ad ammettersi; vuole, ha bisogno di provare


“se pensi di riuscirsi – dice, mascherandosi ancora un po’ dietro una sicuro cinismo – prova pure”

“affare fatto”


Sorride ironica Esmeralda, distendendo le gambe tra i fili d’erba sottostanti


“ma dovrai parlare, come una terapia – ride leggiadra, gettando la nuca all’indietro a fissare il cielo – tranquillo è tutto gratis”

“ci perdi tu – sbuffa un sorriso sghembo la chimera, che somiglia ad un ghigno d’amara consapevolezza – ti avrei pagata in invitanti buoni sconti del fast food”


 
~~~~~~~~~~~~~~~~~~
 
 
Ha ignorato le chiamate di Mason, i messaggi di Corey, persino quelli del gruppo di lacrosse, non gli interessa sapere quando organizzeranno l’allenamento collettivo; attualmente gli sembra  un’idea incredibilmente stupida.

Ha liquidato ogni conversazione con un semplice okay, concedendo solo a Mason un più articolato : “scusa, ma non mi va di uscire”.
Ed in fondo è vero, non ha alcuna intenzione di lasciare camera sua, non oggi, non dopo la conversazione avuta appena una settimana prima, persino l’idea di rimpinzarsi di pizza ora come ora lo disgusta.

L’unica cosa che vuole fare è restare chiuso in camera, sdraiato supino a fissare il muro dal materasso ancora sgualcito, tra le coperte arruffate, lasciate in disordine dalla mattina, a cercare risposte tra l’intonaco e la tinta bianca del soffitto.
Rigirarsi tra il groviglio del piumone, nascondersi sotto di esso, trattenere il fiato e riemergere, annegare tra i pensieri e tornare a galla ancora più confuso.
Perché l’unica cosa che, a quanto pare, riesce a vedere quando chiude gli occhi sono iridi glauche, cieli invernali in tempesta, imperscrutabili oceani.

Quand’è cominciata la tortura?

O forse sarebbe meglio chiedersi perché non è mai cessata?

Se la ricorda ancora la prima volta in cui li ha visti quegli occhi d’onde, quando nascondevano ancora menzogne, già allora lo catturarono trascinandolo a fondo.
Se la ricorda ancora la prima volta in cui li rivide quegli occhi blu tristezza, quando si scoprì nel leggervi qualcosa che, mai prima d’ora, aveva intravisto; dolore, paura, fragilità.

È allora che tutto è peggiorato, quello che era solo un pensiero casuale, attimi di distratta debolezza se li giustifica inizialmente Liam, divenne una costante nella sua mente, una tortura dalla quale pare impossibile separarsi.
È stato allora che è caduto, definitivamente, in un buco d’onde azzurre in tempesta, come Alice nel Paese delle Meraviglie ad inseguire il Cappellaio Matto, a cercare di rifiutare un mondo capovolto privo di logica; senza mai riuscirci davvero, perdendovici sempre di più.

Poi, in un battito di ciglia, in un’istante, tutto ha assunto senso.

Ha avuto bisogno di una manciata di Ghost Riders, un ospedale, un ascensore ed una sola, singola, frase : “faccio l’esca” .
E c’è voluto solo un ruggito ed uno sparo, dall’altro capo di porte di spesso acciaio chiuse, per perdere la cecità intellettuale di pensieri repressi, con fatica ignorati, e vedere nella chiarezza di una certezza.

È bastato questo, solo un minuto, un battito di ciglia, per rendere chiara quella costante distrazione di iridi glauche nella sua mente.

Lo ha compreso allora, mentre respirava contro le porte chiuse dell’ascensore, mentre aspettava che si riaprissero, mentre sentiva crescere la consapevolezza di averlo perso, è stato allora che ha capito di non volerlo permettere.
E torna, ora, una costante, l’immagine di quei giorni di caccia e si mescola, rendendo quasi impossibile definirne i contorni, a tutto ciò che ne seguì poi inevitabilmente.
Fece di tutto, nei giorni che seguirono, per scacciare il tormento di occhi acquamarina, ma fu costretto, quando persino baciare la sua ragazza si tramutava in desideri inespressi, a discendere a patti con la sua mente ed ammettere che, per quanto provasse, non poteva impedirsi di pensarlo.

Quando Hayden se ne accorse era troppo tardi, non c’era più nulla che potesse fare, negare era diventato impossibile, cercò di fingere, dissimulare, Liam portando avanti, con testarda insistenza, una relazione già cessata da tempo.
In quei giorni se lo chiese spesso come potesse riuscire a toccare, abbracciare, baciare un corpo che non era ciò che desiderava e si accorse che, a quel corpo, ci si stava aggrappando nella cieca e folle convinzione di ricacciare in meandri inesplorabili della mente l’immagine di occhi glauchi che, come magneti, l’attiravano con prepotente bisogno.

E quando lo capì, quando comprese che a soffrirne erano entrambi, decise che, forse, era meglio restare a soffrirne soli, nel silenzio di segreti inconfessabili.

La rottura fu facile, più di quanto Liam credesse, bastò dirle una mezza vertià, bastò dirle di non provare più ciò che un tempo sentiva ed Hayden, sorprendentemente, comprese più di quanto si aspettasse.


“non puoi amare qualcuno se ami già qualcun altro”


Gli disse, un sorriso di triste rassegnazione ed una lacrima a rigarle il volto, forse è vero quel che si dice delle donne, che hanno un sesto senso per certe questioni o forse semplicemente lei lo conosceva meglio di sé stesso e chissà da quanto, magari, lo aveva compreso; ancora prima di lui.


“non scegliamo di chi innamorarci, accade e basta, non possiamo farci nulla”


Fu il suo addio, le ultime parole che Hayden gli concesse, risuonano ancora come un messaggio criptato tra la matassa di pensieri che aggrovigliano la mente di Liam.

Non possiamo scegliere, accade, semplicemente accade, a volte si cade in un buco cieco, senza preavviso, e si continua a precipitare, incessantemente, giorno dopo giorno, mentre si scava per emergere, ritrovandosi a gettarsi ancora più terra addosso, peggiorando soltanto, mentre si finge che tutto vada bene; aggravando ogni cosa.

Perché può mentire Liam, dire a chiunque che la rabbia che prova, lo smarrimento che sente, la confusione che lo attanaglia, dipende solo dalla fine di una relazione a cui tutti credevano, forse persino più di lui, è più facile che ammetterlo anche agli altri, un sentimento che stenta persino lui ad accettare.
Sa già come reagirebbe il branco, se sapessero, se scoprissero, non accetterebbero; forse non capirebbero e non gli concederebbero neppure occasione per permettergli di chiarire, di pregare per una possibilità che gli è già stata negata ancor prima di chiederla. 

Theo ha commesso troppi errori, Theo non è mai stato dalla parte dei buoni e non importa, sembra non importi a nessuno, quanto impegno c’abbia messo nel cercare di essere migliore prima di svanire nel nulla, nascondendosi come la luna tra le nuvole, Theo sarà sempre marchiato dai peccati del passato.
E se è una scelta quella che Liam deve fare allora deve scegliere il branco, deve scegliere Mason, deve scegliere Scott, deve scegliere loro; è la cosa giusta da fare.

Lo è davvero?

Reprimere, nascondere, sopprimere.

È questo ciò che deve fare, ciò che è giusto fare?

Sì, cerca di dirsi Liam, troppa la paura di deludere, troppo il coraggio che richiede provare, troppa l’incertezza, il timore, di perdere la fiducia.

No, urla una voce a cui cerca di non dare ascolto, loro capiranno, loro accetteranno, loro lo sosterranno perché forse preferirebbero saperlo felice piuttosto che vederlo agitarsi come una mina vagante; un fuoco d’artificio pericolosamente esplosivo.

Forse, gli suggerisce una seconda voce, flebile e tremula, infondo è meglio così, restare a struggersi per qualcosa di cui, infondo, non si ha la certezza che possa funzionare, vale la pena rischiare, esporsi, per qualcosa che non potrebbe comunque mai avere futuro?
Perché il rifiuto è un’ipotesi, forse l’ipotesi, che più lo terrorizza.

Nasconde il volto tra il cumolo di cuscini Liam, gridando alle federe ogni emozione, liberandosene nell’unico modo che può concedersi; nella solitudine della sua camera. 

 

 
Dopo la 6x16 non mi sento più la stessa. 

[mezzi spoiler!]

Lydia Regina, i Cacciatori con Gerard che ancora respira, purtroppo, ma stradega indiscusso, Scott e Malia che mi causano emozioni miste, sarò io, Corey mimetizzato da qualche parte non si sa dove, la scuola nel panico totale, Nolan che mostra segni di umanità, Ed Sheeran che fa una comparsata e, infine, THEO e LIAM.
C'era così tanto Thiam nella puntata che, ad una certa, io il bacio l'ho visto comunque. ("i'm impressed" is the new "marry me") 

Quindi, dopo tutto questo, non ho resistito; ho sentito il bisogno di scrivere di loro. 
Sì lo so, sono inaffidabile, ho un'interattiva, due probabilmente, da portare avanti; ma perdonatemi. 
C'è un'idea, ve lo giuro c'è, ma sto impiegando davvero molto tempo nel portarla avanti perché...perché l'ispirazione va e viene, forse non sono brava con le interattive, non lo so, spero che nessuno me ne voglia a male. 
Davvero, mi dispiace, credetemi. 
Chiedo umilmente scusa.


Detto questo vorrei, invece, ringraziare i silenziosi lettori e tutti colore che hanno aggiunto tra preferite/ricordate/seguite la storia. 
Sono felice che a qualcuno piaccia, spero che il capitolo sia abbastanza decente ed i personaggi ancora non troppo OOC. 

Grazie ancora, 
alla prossima. 

ps: ho apportato delle lievi modifiche alla famiglia Petrescu, meno componenti. Sotto l'influenza di Shameless probabilmente mi è venuto in mente che sarebbe stato più carino portare un po' dello spirito dei Gallagher a Beacon Hills; loro restano sempre dei gypsy, ma la cittadina assumene le fattezze di una città un po' più "umana" ed "americana"... già, magari non è proprio un'idea brillante. 
Ad ogni modo, per far chiarezza, ora sono in sette (in ordine) : il padre, Sebastian (53), i fratelli maggiori, Valerian (24) e Maximilian (22), la sorella maggiore Bianca (20), la mezzana, Esmeralda (18), ed i più piccoli, Timotei (12) ed Irina (11). 

 

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Capitolo 6
*** Chapter Six : Sensation ***


~ Chapter Six : Sensation ~
 

Ci sono notti in cui dormire è più difficile, chiudere gli occhi, lasciare che il buio lo avvolga, gli strappa brutalmente l’ossigeno dai polmoni, rendendo difficile respirare, la mente invasa da ricordi caotici, immagini sbiadite, suoni meccanici, sorrisi che non sono mai per lui, occhi chiari che non riesce a ricordare di dimenticare.

In notti come questa l’unica cosa che riesce a fare, per cercare di placare la confusione che minaccia di fargli esplodere la mente, è sperare che la lieve brezza serale possa dargli l’ossigeno che sente mancargli, reclinare il capo al cielo e contare le stelle, distrarsi cercando costellazioni di cui non conosce neppure la forma o il nome, fissare la luna e perdersi a guardare la volta celeste.

Inspira, inalando l’aria fresca di metà giugno, distendendo le gambe tra fili d’erba, poggiando la schiena alla porta chiusa della roulotte che, contrariamente ad ogni sua aspettativa continua ancora ad occupare, sentendosi inaspettatamente colpevole.
Esmeralda non ne ha ancora mai fatto parola, sembra persino che non le importi, ma Theo non può impedire di pensare che, infondo, possa sentire la mancanza di quella che, a tutti gli effetti, è la sua casa.
Vorrebbe dirle che potrebbe tornare a dormire in auto, che infondo è quello il posto giusto in cui dovrebbe stare, stretto tra scomodi sedili, ma le uniche volte in cui ha provato a lasciare la roulotte Esme lo ha fermato, implorandolo quasi di restare, di accettare l’ospitalità concessa, facendo persino appello a tradizioni che, forse, non sono neppure reali; ma in qualche modo è riuscita a convincerlo, forse sarebbe davvero scortese se decidesse di andarsene così, senza dire nulla.
O forse è solo la necessità, segreto bisogno, di scacciare in ogni modo quella voce, che ha lo stesso volto di Tara, che gli ricorda persistente quanto lui non meriti perdono, non meriti aiuto, non meriti neppure di essere ancora vivo.

Sospira la chimera, socchiudendo gli occhi, lasciandosi avvolgere per interminabili istanti da onde violente di immagini dai contorni sbiaditi, che si sovrappongono, si mescolano ed uniscono, creando una marea agitata di ricordi che gli strappano il respiro; può sentirlo il cuore battere frenetico nel petto, accelerare ad ogni flash.
Il rumore di passi silenziosi lo ridesta, improvviso, da ogni pensiero; non ha bisogno di voltarsi per capire di chi siano.


“disturbo? – chiede titubante Esme, attendendo un cenno di negazione prima di sedersi affianco alla chimera – soffri d’insonnia?”

“occasionalmente”


Esmeralda annuisce, tra le mani stringe un pacchetto di sigarette consumate, ne sfila una portandosela alle labbra, porgendone poi a Theo che scrolla le spalle accettando, infondo la nicotina su di lui ha l’unico effetto di lasciargli un aspro odore tra le labbra e nulla di più; come ebbe modo di constatare alcuni anni fa, prima ancora che tornasse a Beacon Hills 


“questa roba – soffia in una nube di fumo tossicchiato la chimera – non ti fa bene”

“neppure a te”


Già, la verità non è esattamente come Esme crede, l’altro lato positivo dell’essere una creatura sovrannaturale né sigarette, né alcolici sortiscono alcun effetto, niente catrame nei polmoni, niente pancreas gonfio, niente rischio cancro e niente cirrosi e, vedendola da un’altra prospettiva, una più affine all’attuale situazione della chimera, niente possibilità di annebbiare i pensieri; a ben pensarci preferirebbe che almeno l’alcool esercitasse quel gradevole effetto sbornia.


“e comunque – inspira una boccata di nicotina la castana – ormai ho il vizio, avrai notato che è di famiglia”


Scherza espirando in un velo di fumo, stringendo tra le carnose labbra il filtro della sigaretta, puntando lo iridi nocciola al cielo


“quello dev’essere il grande carro”


Dice, più a se stessa che a Theo, delineando i contorni della costellazione con l’indice


“mia nonna diceva che di notte le preghiere raggiungevano le orecchie clementi di Santa Sarah, che accoglieva i lamenti dei fedeli proteggendoli nel lungo viaggio verso la realizzazione della serenità”  

“è stupido”


Sfugge tra le labbra della chimera, trascinato da ghirigori di nicotina, lo scetticismo per quel bisogno che gli uomini hanno di credere in qualcosa di superiore


“forse – sorride mesta Esme, la cenere scivola tra l’erba – ma alcune persone vogliono crederci, li fa sentire meglio, alcuni si affidano alla fede, altri alla razionalità, ma c’è una cosa comune a tutti”


Soffia, nubi grigie formano figure astratte nella notte, dissolvendosi verso il cielo, annebbiando le iridi nocciola della giovane, Theo la osserva, animato da sincera curiosità


“pregano, tutti, indistintamente, per qualcosa o qualcuno – socchiude gli occhi Esme, gettando il capo all’indietro – fissano il cielo e sperano, chiedono, affidano al silenzio desideri, dubbi, speranze, dolore”


Quando riapre gli occhi una patina lucida le fa vibrare le iridi di caramello fuso e l’odore acro della nicotina si mescola al sentore acerbo della tristezza, non è mai riuscito a sopportarlo Theo il sapore dell’amarezza, arriccia il naso, cercando di coprire l’odore dietro la coltre di nicotina che fuoriesce dalle narici.
Ed Esmeralda inspira, stringendo il mozzicone ormai consumato dal fumo della sigaretta, scuotendo il capo nello sbuffo di un sorriso sghembo


“sai questa è la parte in cui mi confessi ciò che stavi pensando”

“dovrei?”


Un ghigno, l’ombra di un sorriso accennato, piega i lati della labbra della chimera ed Esme ride, leggiadra, nascondendosi dietro il palmo della mano, scuotendo impercettibilmente il capo


“no – si scosta una ciocca castana dagli occhi, volgendo l’attenzione a Theo – ma sarebbe carino, c’è la giusta atmosfera”

“non ricordavo di essere in un teen drama”


Ironizza, con quel pizzico di cinismo, unica cosa che forse non lo abbandonerà mai, sospirando tra le spalle infossante, roteando le iridi glauche al cielo


“comunque non stavo pensando a niente in particolare”


Esmeralda arcua un sopracciglio con fare scettico, schioccando la lingua al palato


“si capisce quando menti”


La risata che, spontanea, agita il ventre di Theo è la conseguenza di quell’affermazione che mai, nella sua breve vita, si sarebbe aspettato di sentire, non lui che delle menzogne si è sempre considerato abile maestro, non di certo lui che della manipolazione ne ha fatta la sua arte, ma forse questo era il Theo di un tempo, quello che continua a ridere di lui in un angolo recondito della sua mente, forse non ha perso soltanto alcuni dei suoi poteri quando è riemerso dal sottosuolo; forse ha perduto anche altro


“e va bene – sbuffa bonariamente Esme – giochiamo ad indovinare, io dico che stavi pensando a qualcuno”


Si aggiusta all’ultimo scalino, volgendo l’intero busto alla chimera, assottigliando lo sguardo in una smorfia che somiglia ad una buffa posa indagatoria


“forse – ci riflette, cercando nel volto della chimera indizi di verità – qualcuno d’importante, qualcuno per cui provi qualcosa, oh c’ho preso, vero?”


Si morde il labbro soddisfatta la castana, sollevando le sopracciglia in un moto di arroganza che contrasta incredibilmente con la naturale bontà che la contraddistingue e Theo sbuffa, infossandosi nella spalle, gettando il mozzicone spento ai piedi


“vuoi un premio ora?”

“sì – esclama, accorciando la distanza di qualche centimetro – sarebbe gentile”

“non ho mai detto di essere gentile”

“non hai mai detto un granché – puntualizza la giovane – a dire il vero”


È un lato nuovo, una sfaccettatura diversa quella che emerge ora, la dolce e solare Esmerlada si è trasformata, irradiata dai raggi lunari, in una versione decisamente più sfacciata ed arrogantemente più sicura, decisa, ferma nella propria testarda ricerca di una storia; se l’avesse incontrata quando era ancora il Theo di un tempo non avrebbe esitato a renderla parte del suo branco o ad ucciderla, forse.
Fortunatamente per lei l’inferno cambia davvero le persone e la chimera si ritrova a riderne, roteando lo sguardo al cielo, sbuffando monosillabi sconnessi, decidendo infine di premiare quel nuovo lato di Esme concedendogli spiragli di verità


“hai ragione – soffia in un ghigno beffardo – complimenti”

“sto ancora aspettando il mio premio – dice soltanto Esme, tornando a guardare il cielo – abbiamo un patto ricordi, terapia gratuita”


Sbuffa un sorriso acerbo Theo, passandosi le mani tra i capelli che lentamente stanno cominciando a crescere, lisciandosi alcuni ciuffi particolarmente ribelli


“una persona, qualcuno – non sa bene come proseguire, certe parole sono difficili da lasciar uscire – qualcuno che ho lasciato”

“chi?”

“nessuno”


Eclissa Theo, ritraendosi dal voler confessare parte di una storia ben più complessa e vasta, ma le labbra corrucciate di Esme glielo impediscono


“chi è?”

“qualcuno che credevo – trattiene il respiro la chimera, cedendo all’insistenza della giovane – qualcuno che doveva…guardarmi”


Esmeralda aggrotta le sopracciglia, la fronte rigata di domande e curiosità, lo sguardo acuto di chi è in attesa di rispostate


“diciamo che sono stato rinchiuso, per un po’, poi – chiarisce Theo, inspirando lentamente – poi questa persona mi ha tirato fuori e… mi ha aiutato in qualche modo ed io ho provato, ho provato ad essere utile, ma…non è servito a molto”

“eri in prigione?”


Nell’indecisione di una risposta Esme decide di lasciar decadere irrisolta la domanda, forse preferendo persino non sapere


“e questa persona, com’è?”


Cambia oggetto la giovane, puntando l’attenzione sull’altro punto in sospeso e nota, nelle iridi d’imperscrutabile oceano della chimera una traccia di tristezza


“un idiota – soffia in un sorriso mesto, tagliato a metà – ingenuo, troppo ingenuo e…altruista, troppo altruista, ha quest assurdo complesso del supereroe, sempre a voler aiutare, a fidarsi”

“si fida di te”


Giunge alla conclusione Esmeralda, leggendo la verità nelle iridi opache di Theo che non riesce neppure ad annuire, troppo difficile confermare qualcosa che non ha mai creduto neppure poter essere reale


“ti ha mostrato fiducia, non è così?”


Non lo sa, non lo ha mai saputo, erano altre le priorità in quei giorni di caccia, era altrove l’attenzione in quei giorni di lotta, ma per un’istante, un solo istante, si è concesso il lusso di crederlo possibile, illudendosi che forse, forse lui, almeno lui, soltanto lui, si fidava davvero; aggrappandosi ad una menzogna che si era creato nel cieco bisogno di poterlo credere possibile


“e tu ti fidi di lui, vero?”

“ha importanza?”


Ringhia tra i denti digrignati Theo, serrando i pugni lungo i fianchi, le gambe si muovono in scatti rigidi, si solleva dallo scalino con un tale impeto da farlo tremare


“sì, certo che ne ha – interviene, determinata e sicura Esme – per te, ha così tanta importanza da tenerti sveglio, cos’è successo poi?”


Deglutisce in fremiti d’ira la chimera, fissando le iridi pacate della castana, cercando di trattenersi dall’urlarle che non lo sa, non ha idea di cosa sia successo, trattenendosi dall’urlargli che probabilmente è così che doveva andare, semplicemente, che un motivo non c’è


“me ne sono andato”


Ammette soltanto, ricordando il giorno in cui decise di raccogliere le poche cose che aveva in un borsone, caricarlo nel sedile posterie dell’auto ed allontanarsi da Beacon Hills, per sempre, ma non c’è riuscito.
Alla fine ha fallito anche in questo, non ce l’ha fatta ad allontanarsi da lui, non riesce a restare, non riesce a fuggire, è sospeso in una linea sottile, tra il bisogno ed il rifiuto, si aggrappa ancora all’illusione di occhi chiari come cieli estivi, di una voce marcata di lieve preoccupazione che chiama il suo nome; si aggrappa ancora con cieco bisogno all’idea, all’immagine, al ricordo di Liam.


“perché?”


Chiede in un soffio Esmeralda, la verità di una triste malinconia si delinea tra le iridi in tempesta di Theo


“perché – ripete in un sibilo di irritata rabbia la chimera – gli eroi non aiutano quelli come me”


La castana si solleva, lentamente, dall’ultimo gradino della roulotte, un sorriso amaro le dischiude le labbra, l’odore della tristezza aleggia nell’aria e Theo non saprebbe definire, con esattezza, se provenga da lei o se, invece, sia dannatamente impresso nella sua pelle


“perché non provi a parlargli, a cercarlo – tenta con pacata calma Esme – magari manchi anche a questa persona, magari vorrebbe ancora aiutarti, magari…”

“magari, magari – ringhia in un sorriso di cinica amarezza la chimera – magari non gliene frega un cazzo, magari sta meglio così”

“o forse è solo…sai l’orgoglio, il timore, ci sono tante cose che…”

“non ha importanza – si costringe a placare il tono rabbioso della voce Theo, afferrando la maniglia della porta – non ha più alcuna importanza”


E prima che Esmeralda possa controbattere, dire qualsiasi cosa, l’eco della porta sbattuta con forza alle spalle della chimera sovrasta ogni parola e la castana si ritrova a fissare la roulotte, nel sordo silenzio di una notte che, forse, ha mosso qualcosa di incredibilmente intenso, intangibilmente doloroso tra i ricordi di Theo.
E per un attimo, un battito di ciglia, vorrebbe aprire quella dannata porta e cercare, in modi che ancora non conosce, che forse neppure è in grado di elaborare, di aiutarlo ma è la logica, la razionale deduzione, a spingerla a non agire, consapevole che la chimera ha bisogno di silenzio; ora che il coperchio del vaso di pandora in cui teneva racchiuse le emozione è stato definitivamente scoperchiato.


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Dopo cinque ore di estenuanti ripassi d’argomenti che avrebbe già dovuto sapere dal semestre appena passato non ha decisamente voglia di fermarsi fuori a pranzo, vorrebbe solo correre il più lontano possibile dalla scuola, chiudersi in camera e magari prendere a pugni qualche non morto alla playstation.
Eppure Mason riesce sempre a trovare un modo per impedirgli di chiudersi in una solitudine che, ne ha il sospetto da qualche giorno Liam, lo preoccupa.
E di certo il fatto che Corey sia sempre pronto a dare sostegno all’idee del fidanzato decisamente non aiuta il mannaro che si ritrova così, costretto, a spendere soldi che preferirebbe mantenere per qualche stupido videogame piuttosto che per rimpinzarsi di hamburger o pizze.

Da quand’è che mangiare persino lo infastidisce?

Inspira Liam, scivolando alla poltroncina in lucido rosso del fast food, attendendo l’ordine, cercando di ignorare gli sguardi fastidiosamente puntati su di lui degli amici, lo sente, non ha neppure bisogno di analizzarne i segnali chimici che i loro corpi emanano, lo sente perfettamente che vorrebbero parlare, chiedere, magari chiarire il perché ultimamente gli risulti così difficile mantenere il controllo; perché ultimamente la rabbia sembri prendere il sopravvento su di lui.
E, anche volendo essere sincero, non saprebbe come rispondergli, né come spiegarlo a nessuno, neppure a loro.
Non sa come spiegarlo a sé, sa soltanto che manca qualcosa, che i suoi occhi sono costantemente alla ricerca di qualcosa, che ogni senso è concentrato nel cercare di captare suoni ed odori di un qualcosa, di un qualcuno che dovrebbe solo imparare a dimenticare; ignorare come tutti gli hanno detto, come tutti preferirebbero.

Espira, cercando di alleggerire la tensione che sente irrigidirgli ogni muscolo, concentrando l’attenzione al monitor su cui lampeggia il numero che, fortunatamente, corrisponde a quello del loro scontrino; una buona scusa per alzarsi che Liam afferra prontamente senza neppure concedere agli amici il tempo di prevenirlo.
È talmente tanto concentrato nel ripetersi pensieri, nel vano tentativo di rassicurarsi, calmarsi, che non si accorge di una giovane che tenta, maldestramente di sorreggere un vassoio dall’equilibrio sbilanciato contro cui, inevitabilmente, finisce con lo scontrarsi.
Un hamburger rotola a terra, incastrandosi tra i divanetti, alcune gocce della bibita gassata macchiano la sottile canottiera dai colori variopinti, geometrici, della sventurata che stringe ancora il vassoio, ormai tristemente vuoto, tra le mani.
Liam boccheggia, passandosi una mano dietro al collo, cercando di trovare parole che possano farlo sentire meno colpevole


“mi dispiace”


Riesce soltanto a dire, perdendosi tra iridi nocciola, cioccolato fuso, illuminate da un sorriso bonario


“non importa”

“ti aiuto”



Si avvicina alla giovane, chinandosi a raccogliere ciò che resta del contenitore di plastica che, fino a pochi istanti prima, conteneva una coca cola ed un odore gli avvolge le narici, cerca di captarne la provenienza e si ritrova a fissare la ragazza dinnanzi a sé, balzando in piedi con agilità.
C’è un odore, questo odore, un odore che Liam è certo di conoscere, è appannato, sovrastato da mille altri, ma c’è una traccia, una piccolissima traccia, un odore familiare, sorprendentemente noto.


“tutto bene?”


Chiede titubante la giovane, scostandosi alcune ciocche castane dalle spalle, indicando con un cenno la cassa dietro di lei


“credo che quello sia tuo – sorride, sfilando il contenitore concentrico dalle mani del mannaro – grazie”


Liam, ancora perso tra le deboli note di quel gradevole odore familiare, scuote il capo, sbattendo le palpebre rapidamente, mettendo a fuoco il vassoio


“aspetta – esclama, volgendo per tre quarti il busto – posso almeno...ripagarti?”

“non fa niente, sul serio”


Insiste gentile, questo è il primo aggettivo che Liam le ha associato, poggiando il vassoio sopra al cestino del riciclaggio, strofinandosi le mani tra di loro


“e, tu – tituba il mannaro, lasciando vagare lo sguardo dalla cassa alle iridi nocciola della giovane – non prendi altro?”

“avevo un solo buono – spiega, senza imbarazzo, aggiustandosi la tracolla della borsa alla spalla – perciò…ma davvero non preoccuparti”


È abbastanza inutile, se lo concede, insistere eppure quell’odore, quella piccola traccia, la cercava, da giorni, non riesce a distinguerlo con chiarezza, non riesce a sentirlo nitidamente, eppure qualcosa nel profondo gli suggerisce che deve seguirlo, deve seguire quell’odore.
È l’istinto a guidarlo, a spingerlo ad afferrare il portafoglio ed avanzare a passo rapido verso il bancone del fast food, indicando un hamburger dalla lista, il più semplice, sperando che possa essere ciò che anche la giovane aveva ordinato


“aggiunga un menù grande, per favore”


La cassiera annuisce soltanto, sbuffando la richiesta agli addetti alle sue spalle e Liam abbozza un sorriso, volgendo l’attenzione alla giovane


“per favore, è...come…un gesto di scuse”


La castana si morde il labbro inferiore, torturandosi le dita tra di loro, annuendo impercettibilmente, seguendo poi il braccio teso del mannaro che gli indica il tavolo su cui siedono, parzialmente divertiti e vagamente incuriositi, Mason e Corey


“ciao”


Saluta educatamente quest’ultimo, rivolgendo un sorriso cordiale alla giovane che contraccambia, prima che possa dire qualsiasi cosa un vassoio si frappone tra i due e la giovane scivola al lato della poltroncina rossa lasciando posto a Liam


“grazie – dice poi in un soffio solare la castana – ma non ce n’era bisogno, davvero”

“è inutile – interviene allora Mason, ridacchiando tra le labbra dischiuse – Liam è così”


E lo capisce, lo legge nel risolino lieve che ne segue, l’intento del suo migliore amico, presentarlo senza essere troppo diretto; sbuffa un sorriso lieve il mannaro


“loro sono Mason – dice, optando per un approccio ben più schietto, indicando gli amici di volta in volta – e Corey”


La giovane si scosta una ciocca castana dagli occhi, incastrandola dietro l’orecchio, i cerchi dorati che le circondano il sottile polso tintinnano sprigionando una melodia di campanelli


“piacere mio, Esmeralda”


Sorride genuina, accettando ancora titubante l’hamburger, scartandolo con cura dalla confezione in cartone.

C’è solo silenzio, per i primi minuti, che sembrano durare un’eternità, eternità in cui Liam, o meglio l’olfatto mannaro, tenta di scendere gli odori che avvolgono la pelle di Esmeralda, dividerli, analizzarli singolarmente, ma sono troppi, una cascata di profumi differenti, l’acre sapore della nicotina, la freschezza dei pini selvatici, la dolcezza del caramello, l’asprezza degli alcolici, odori che si confondo e mischiano, rendendo quasi impossibile trovare quel sentore, appena percepibile, ma persistente, così incredibilmente familiare.

L’eco di un chiacchiericcio indistinto ne schiarisce i pensieri, per quanto è rimasta in silenzio? Evidentemente abbastanza a lungo da essere rimasto l’unico a dover finire il pranzo, ma nessuno dei tre sembra averlo notato


“quindi – chiede incuriosito Mason, l’attenzione completamente rivolta alla giovane – non vivi qui da molto?”


Come sono arrivati a scambiarsi confidenza Liam non se lo chiede neppure, si limita a prestare attenzione alle parole che fluttuano tra i timpani distratti


“già, da quattro anni circa”

“non ti ho mai vista a scuola – aggrotta la fronte Corey, aggiungendo – né da nessun’altra parte”

“ho studiato da autodidatta – spiega semplicemente la castana – e non vengo spesso in città, vivo un po’ fuori, ma mio padre ha un negozio d’antiquariato forse avrete visto lui o i miei fratelli”

“come si chiama, il negozio?”


Chiede Liam, spinto da una curiosità che non comprende appieno dettata da quel persistente odore familiare che continua ancora ad invadergli le narici, Esmeralda sorride, mordicchiando la cannuccia della bevanda


“Amintiri – dice poi, in un accetto dal suono aspro, estraneo alle orecchie del mannaro – è su questa via, tra il supermercato e la libreria”


Le lunghe dita affusolate seguono le parole, formando quadri e linee invisibili, sospese a mezz’aria, Liam decide, mosso da irrazionale istinto, di memorizzare le indicazioni.
C'è qualcosa in quell'odore, quell’odore che non è ancora riuscito a rendere chiaro, che gli suggerisce che deve, ha bisogno, di sapere altro, di sentire altro, di cercare ciò che non dovrebbe neppure pensare; tutto ciò che dovrebbe dimenticate.
Ma come può convincere l’istinto a tacere, come può azzittirlo ora che quel profumo familiare lo ha risvegliato con una tale intensità?

 


 
Inizio con il ringraziare tutti i silenziosi lettori e colore che hanno aggiunto tra ricordate/seguite/preferite questa storia. 
Grazie mille. 


Aggiungo che forse il capitolo non è un granché, probabilmente i personaggi canon sono un po' ooc, ma è un lavoraccio farli restare ic; a volte. 
Ad ogni modo spero che sia piaciuto e che non vi abbia annoiato troppo.
Ho cercato di rendere come meglio potevo il primo incontro tra Esmerelada e Liam, rendendola anche un po' ambiguo per così dire. 
So che nel canon, a quanto pare, nessuno fuma, ma (lo ammetto ho il vizio, incolpo lo stress) considerando che sto prendendo ispirazione da svariate fonti ed in tutte sono presenti le sigarette alla fine le ho inserite anch'io e poi, sinceramente, un Theo che fuma ha il classico fascino del cattivo ragazzo. (sto vaneggiando cercando di giustificarmi) 
Altra piccola cosa, nel caso non fossa chiara, dal primo incontro tra Theo ed Esmeralda è passata una settimana, quasi due; ma forse lo avevo detto nel capitolo precedente.
Comunque spero che sia stato gradevole leggerlo. 

Come al solito commenti e critiche costruttive sono sempre ben accette. 
Grazie mille a tutti, 
alla prossima. 


 

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Capitolo 7
*** Chapter Seven : Meet Again ***


~ Chapter Seven : Meet, Again ~
 


“quando lo hai capito?”


Esmeralda ha un’abitudine particolare, resta in silenzio per minuti e poi, d’un tratto, sputa fuori domande prive di contesto, lasciando fluttuare parole astratte nella confusione di minuti indecisi e Theo, alle stranezze della castana, si è abituato; ma a questa non riuscirà mai


“cosa?”


È costretto a chiedere, rovistando nel cassetto che è ormai diventato suo, cercando tra le magliette quella più scura da confondersi nella notte


“che preferisci i ragazzi – sorride priva di pregiudizi Esme, afferrando il pacchetto di sigarette lasciato giacere al tavolo – alle ragazze”

“non lo so – sospira la chimera, che una risposta davvero non ce l’ha – sempre saputo”


La castana arriccia il naso, in quella buffa espressione che assume ogni qual volta si sofferma a soppesare risposte, valutando se poterne essere soddisfatta


“e lo hai mai detto a qualcuno?”


Evidentemente, sorride sghembo Theo, la sua risposta non era sufficiente, solleva le spalle afferrando la maglietta più nera tra le tante


“a te”

“soltanto?”

“e a chi altro avrei dovuto dirlo? – si veste rapido, aggiustandosi i capelli arruffati – dovevo organizzare una festa?”

“si chiama coming out – ridacchia Esme, sfilando una sigaretta dal pacchetto – in genere sì fa”


Theo la osserva divertito, seguendola all’esterno della roulotte, afferrando le chiavi dell’auto prima di richiudersi la porta alle spalle e sedersi, alla vecchia poltrona sfilacciata e consumata dal tempo, in attesa


“è come se l’avessi fatto”


Dice poi, ricordando il giorno in cui si trovò costretto ad ammettere di non provare interesse, non sessuale quanto meno, nei confronti della mezzana delle sorelle Petrescu chiarendo i dubbi del capo famiglia ed ottenendo il permesso di condividere la roulotte senza rischiare di essere ucciso nel sonno


“uhm – cerca di farsi bastare le risposte Esme, portandosi la sigaretta alle labbra – però eri un po’…qual è l’equivalente maschile per puttanella?”


Soffia una risata lieve tra la coltre di fumo, sa perfettamente che la chimera non si offenderà, hanno imparato a conoscersi in quei quasi due mesi di convivenza


“non avevo di meglio da fare”


Arcua un sopracciglio scettica Esmeralda, inspirando nicotina tra le labbra carnose e Theo allunga indice e medio in una muta richiesta, prontamente assecondata, dalla castana che gli porge la sigaretta


“Clayton è stato il tuo unico e primo ragazzo?”


A volte, inspira catrame la chimera, le domande superano un confine invisibile che preferirebbe non dover oltrepassare.
È inconsapevole, è la curiosità, la spontaneità che spingono Esme a chiedere, se soltanto sapesse, se conoscesse tutta la verità che ancora si nasconde dietro i racconti del passato Theo è certo che non chiederebbe più, che resterebbe al margine di quell’invisibile confine.

Ma non può, non deve, perderebbe anche l’ultima, rinata, speranza se confessasse ogni peccato che macchia la sua pelle, ogni stilla di sangue che ha sporcato le sue mani, perderebbe Esmeralda, perderebbe i Petrescu; perderebbe una vita nuova che non credeva neppure di volere così tanto intensamente e non può permetterselo, non ora che ha compreso di averne davvero bisogno.


“non stavamo insieme – non ne hanno avuto tempo, si corregge la chimera – ma credo che…lo fosse”


Non ne ha mai avuto la certezza, gli è stato impedito saperlo, si è imposto di non chiederselo mai.
Si era persino giurato che non ne avrebbe conservato neppure la memoria, ma il subconscio è un parassita che infesta i sogni ed una notte, svegliatosi di soprassalto, soffocato tra ricordi che aveva con fatica rimosso si è visto costretto ad affrontare anche l’unica nota serena di un’adolescenza sporca di menzogne ed inganni


“eravat…”

“Theo muovi il culo – grida Maximilian, interrompendo qualsiasi cosa la sorella stesse per dire – e sbrigati, abbiamo solo un’ora”


Esmeralda sospira un sorriso, tornando ad impossessarsi della sigaretta, salutando la chimera con un cenno fugace del capo ed un solare


“qualsiasi stronzata stiate per fare non fatevi beccare, i soldi per la cauzione non ce l’ho”


Un ghigno di strafottente sicurezza è tutto ciò che ottiene in risposta da Theo, che ha fatto l’abitudine anche a questo, agli espedienti improvvisati per racimolare denaro, alle furtive rapine di mobili ed elettrodomestici e beni di prima necessità troppo cari per le economie dei Petrescu, agli incontri di box truccati, agli inganni innocenti di una famiglia che lotta contro la peggiore delle minacce prive di volto; la povertà.
E alla fine, si dice inserendo la chiave al cruscotto, non è poi così diverso da ciò che gli è sempre riuscito meglio nella vita, infondo non e poi così tanto male aiutare. 
 
 
~~~~~~~~~~

 
Non poteva prevedere che, nei suoi quattordici anni già sporchi di sangue innocente, avrebbe incontrato per la prima volta l’amore.

Non sapeva che forma avesse, che suono producesse, che aspetto possedesse, non sapeva e non credeva neppure esistesse davvero; l’amore.

Lo ha riconosciuto poi, nei mesi a venire, quando lo perse per sempre, quando lo sporcò  di sangue.

Era solo sesso, si è ripetuto così tante volte che non ci crede più.

Erano solo corpi da usare nella noia di giornate troppo lente, si è detto così tante volte da non crederci più.

La prima volta, la seconda, persino la terza era solo sesso, incontri occasionali, nascosti in luoghi improbabili, ma poi tutto cambiò; così velocemente che Theo neppure se ne accorse.

Ceco all’amore, ceco ai sintomi, alle conseguenze.

È stata colpa sua, colpa di Clayton, se lo è urlato contro nelle notti insonni di incubi; e non è mai riuscito a convincersene davvero.

Theo glielo aveva detto, non voleva sapere, nulla, neppure il suo cognome, né i corsi di studio, l’età o quanto alto fosse; non voleva sapere niente doveva restare un corpo privo d’identità.

Clayton, mai sottomesso, mai intimorito, Clayton col coraggio di un incosciente aveva, invece, deciso di dirgli tutto, ogni cosa, persino la più insignificante, persino il nome del suo gatto.

Lo ricorda ancora Theo, aveva riso davvero quel giorno.

E poi, era successo, gli aveva detto tutto, anche lui, ogni cosa, persino la peggiore, persino il nome di quella sorella a cui aveva rubato il cuore anni fa.

Si erano ascoltati, si erano compresi, trovati, senza paura, senza giudizi, senza timore alcuno si erano fidati, avevano demolito ogni barriera, sorpassato ogni confine, per incontrarsi in una terra di mezzo in cui loro, e loro soltanto, erano regnanti indiscussi; ma si paga a caro prezzo la libertà.

La verità, la sincerità, è un difetto da punire.

L’amore è un errore da correggere.

La cura migliore al fallimento è prevenirlo, è questo ciò che devono aver pensato i Dottori quando in una fredda notte di ottobre, come nel peggiore degli scherzi di halloween, glielo hanno fatto trovare legato ad una lastra di acciaio, terrorizzato ad implorare pietà, a gridare, a pregare di essere aiutato.

Ululava il vento, congelava l’asfalto, appassivano i fiori, si spegneva il mondo intero mentre Clayton moriva sotto lo sguardo impotente di Theo.

Altro sangue, innocente, a macchiare gli artigli per cui aveva commesso talmente tanti crimi da aver smesso persino di considerarsi poco più di un ragazzino.

Quella notte cessò d’essere persino umano, perché forse solo gli animali sarebbero in grado di uccidere la persona, l’unica, a loro più cara o, forse, neppure le bestie saprebbero farlo; nessun essere vivente potrebbe riuscirvi.

Ed ha smesso di essere anche vivo, quel giorno.

L’ultima catena da spezzare, l’ultimo difetto da rimuovere, l’inevitabile inganno dell’amore, quel giorno i Dottori l’hanno rimosso; l’errore.

Prima che potesse ammetterlo, prima che potesse provarlo, prima ancora che potesse percepirlo sotto pelle.

Glielo hanno portato via, come un giocattolo pericoloso da tenere lontano da bambini troppo piccoli ed ingenui che finirebbero con il soffocarvici; eppure Theo in quel sentimento mozzato, troncato a metà, ci è soffocato lo stesso quel giorno.

Ed i volti tornarono a perdere forma, i corpi tornarono ad essere privi d’identità.

E Theo tornò ad essere, migliorò persino, l’esca perfetta per prede ignare cavie da laboratorio; come topi intrappolati.

Non si fece più domande, non si concesse più la curiosità di provare cosa significasse essere umano, si dimenticò persino cosa fosse prima di divenire un esperimento riuscito.

Si disse che bastava, che con il mondo aveva chiuso.

Si disse che lo scopo segreto dei Dottori, ora, era anche il suo.

Si disse menzogne ed inganni.

Quel giorno Theo morì e rinacque.

Quel giorno, nei suoi quindici anni macchiati di sangue innocente, sporchi di sentimenti da buttare, nacque un Theo diverso; irriconoscibile persino nel riflesso allo specchio.

Quel giorno Clayton Curtis, occhi di bosco e capelli d’ali di corvo, pelle di luna e labbra di ciliegia, morì trascinandosi nella tomba l’ultimo briciolo, l’ultima stilla, d’umanità rimasta incastrata nel petto di una chimera trasformata nell’incubo da cui mai più si sarebbe potuta liberare. 

 
~~~~~~~~~~

 
L’unica cosa di cui, attualmente, Liam sente il bisogno è mettere qualcosa tra i denti, masticare ed azzittire l’incessante brontolio che ne agita lo stomaco.
Da quando Scott lo ha morso ha cominciato a capire quel modo di dire : “avere una fame da lupi”
A quanto pare è una conseguenza, la meno spiacevole, dell’essere un mannaro.
Se esiste un Dio che benedica il genio che ha inventato la pizza, si dice Liam, azzannando la fetta stretta tra le dita, la lieve musica che aleggia all’interno del diner fa da sottofondo alle parole che si scambiano, da minuti di incessante chiacchiericcio, Mason e Corey.
Qualche pettegolezzo che il mannaro non ha alcuna voglia di ascoltare, non finché non avrà divorato almeno altri quattro o cinque pezzi di pizza che, seppur surgelata e precotta, riesce comunque ad attenuarne la fame.
E  continuerebbe ad ignorare gli amici se soltanto non si sentisse costretto, quanto meno, a sollevare lo sguardo e fissare un Mason sorridente, stringergli le dita attorno all’avambraccio ed indicare con un cenno rapido della nuca la cameriera


“te la ricordi? – sussurra, mentre il mannaro volge l’attenzione al soggetto in questione – è quella del vassoio”

“sì, sì – biascica Liam, deglutendo un boccone di mozzarella ed impasto – me la ricordo”


Anche la giovane, sorriso cordiale e capelli raccolti in una crocchia sformata, passo leggiadro ed allegro,  ora ferma al loro tavolo, con una caraffa colma di caffè,  sembra ricordare


“ehi”

“ciao”



Sorride impacciato il mannaro, afferrando un tovagliolo, pulendosi via olio dalle dita ancora unte


“posso portarvi altro?”


Chiede la castana, la voce servizievole di chi è abituata a lavorare come cameriera, i tre clienti scuotono il capo all’unisono


“solo il conto – aggiunge Mason – per favore”

“no, offro io – un tiepido sorriso le plasma gli angoli delle labbra – per quella volta…”


Spiega poi impacciata, fili castani ondeggiano incorniciandole il volto in onde delicate, e Liam vorrebbe dirle che non è necessario, ma l’incessante suono meccanico che giunge ovattato dalla piccola tasca al lato del corto grembiule bianco panna glielo impedisce.
Esmeralda tituba, guardandosi attorno, accertandosi che il direttore non possa vederla rispondere alla chiamata


“pronto?”


Esita in un soffio sottile, tra le iridi nocciola si formano nubi inquiete


“come? Sì…sì arrivo subito”


La caraffa in vetro poggiata al tavolo, le dita ancora strette attorno al cellulare, le tremano le mani e Liam riesce a sentirlo il sentore della paura impregnare ogni centimetro di quella pelle olivastra, i sensi sviluppati captano ogni mutamento d’emozione nel silenzio che li circonda.


“Greenberg”


Grida Esmeralda, volgendo il busto al collega, questi si volta sfoggiando un sorriso sornione che affievolisce non appena si scontra con il tremolio che agita le iridi della giovane


“puoi coprirmi? – chiede in un sussurro – devo andare, per favore inventati qualcosa”

“casini in famiglia?”


Chiede soltanto Greenberg, il tono pacato di chi sa cosa sta accadendo, di chi conosce situazioni che altri non possono neppure riuscire ad immaginare e la castana sospira, socchiudendo gli occhi


“vai – le dice poi – Esmy”


La richiama prima che questa possa voltargli le spalle


“metà della paga resta a te comunque, appena finisco qui ti chiamo, okay?”


Si scambiano un sorriso lieve, tenue, delicato e l’odore della paura scivola leggero sulla giovane, coperto dal profumo della calma, anche se non avesse avuto i sensi di un mannaro Liam sarebbe stato comunque in grado di intuire, di leggere, in quelle iridi nocciola illuminate da fioca luce di gratitudine la sicurezza che, quelle poche parole, sono stata in grado di infonderle.

E senza neppure concedersi il tempo di respirare Esmerlada scioglie il fiocco che le cinge la vita, gettando il grembiule affianco alla caraffa di vetro, ancora poggiata al tavolo, le gambe si muovono veloci, corre lasciando che la porta d’ingresso sbatta, tra i cardini che la sorreggono, alle sue spalle.
Gli occhi di Liam riescono a seguirla, attraverso i vetri trasparenti che lo circondano, per alcuni minuti ed è certo, mentre la guarda correre tra le auto parcheggiate, che l’unico mezzo che possiede sono le sue stesse gambe.

Che sia la follia del colpo di fulmine, si chiede Corey cercando di giustificare il frenetico tentativo di Liam di calcolare il prezzo esatto della cena, decidendo infine di lasciare forse più del dovuto al tavolo


“dove stai andando?”


È costretto ad urlarglielo Mason, balzando in piedi come una molla agitata, avanzando rapido verso la sagoma dell’amico che, magari perché è così che funzionano gli amori a prima vista si dice ancora Corey, è già all’esterno del locale.
Non ha neppure bisogno di chiederlo la chimera, si lascia trascinare da Mason tra le macchine ferme di fronte al piccolo locale, a seguire un Liam improvvisamente sordo ai richiami.


“aspetta”


Grida Mason, aggrappandosi alla portiera del lato passeggeri dell’auto dell’amico, aprendola ancora in movimento, saltando quasi al suo interno, millimetricamente imitato da Corey


“dove stiamo andando? – chiede, aggiustandosi al sedile posteriore – e perché abbiamo così tanta fretta di andarci?”

“già, esatto – concorda Mason, volgendo l’attenzione all’amico – che ti prende?”


Non risponde Liam, lo sguardo concentrato alla strada, a scrutarne ogni angolo, le dita strette attorno al volante ed il piede premuto, decisamente troppo, al pedale dell’acceleratore.
Le domande degli amici non raggiungono neppure i timpani, ogni suono è escluso, l’intero udito è alla ricerca di passi nella notte, l’olfatto setaccia l’aria dal finestrino aperto, sperando di trovarvi il medesimo odore che ha Esmeralda.
Quel sentore di un qualcosa, qualcosa di noto, di incredibilmente ed indefinibilmente conosciuto, qualcosa che l’istinto mannaro reclama, che cerca, che vuole raggiungere contro ogni logica ed ogni tentativo di resistenza; l’istinto non segue più la razionalità.

E poi, finalmente, lo sente, lo trova; quell’odore che il lupo interiore ha setacciato.
Non c’è voluto poi molto, solo qualche metro, il locale è ancora visibile dallo specchietto retrovisore.
Una frenata brusca, Mason deve spingere i palmi contro il cruscotto per evitare di scontrarvisi, Corey decide che, almeno questa volta, la cintura di sicurezza va assolutamente allacciata


“Es…Esta…Essie – maledice la sua pessima memoria Liam, gridando nomi casuali dal finestrino, sbracciandosi verso la giovane – vuoi un passaggio?”


Rinuncia alla fine, passando direttamente all’offerta d’aiuto che la castana, senza neppure esitare, accoglie annuendo energicamente.
Il fiato corto, il respiro mozzato, il cellulare stretto tra le mani poggiate al petto, l’odore pungente della paura, dell’ansia, della disperata angoscia colpisce come un pugno allo stomaco i sensi del mannaro non appena Esmeralda si siede affianco a Corey


“dove devi andare?”

“Beacon Hills Hospital”


Mormora tra un respiro e l’altro e Liam annuisce soltanto, ingranando la marcia, accelerando forse più del dovuto.
È breve, silenzioso, pesantemente denso il tragitto.

E la preoccupazione che anima le iridi nocciola della giovane le impediscono persino di notare i tre seguirla sin all’interno della sala d’accettazione del pronto soccorso, lo sguardo cerca tra i presenti volti noti ed in un sospiro spezzato, in un singulto nascosto dietro al palmo delle mani premute contro le labbra, l’intero mondo si ferma in quel singolo istante


“Esme!”


Un ragazzino, occhi neri come pozze scure velati di lacrime, le corre incontro cingendole i fianchi


“come sta? Dove sono gli altri?”


Un bisbiglio appena percepibile la voce di Esme rotta da singhiozzi, iridi appannate da lacrime trattenute scrutano la sagoma di un ragazzo, di qualche centimetro più alto di lei, che affianca il bambino ancora avvinghiato alle sue gambe


“Bianca è con Irina, sta cercando di tranquillizzarla – dice, poggiando una mano alla spalla del più piccolo – e Max…non sappiamo ancora come sta”


È un soffio amaro quello che dischiude le labbra del ragazzo, Esmeralda inspira, innumerevoli volte, strofinando via alcune lacrime dagli zigomi, la mano ancora poggiata alla nuca del bambino stretto a lei


“Val, che cazzo avete combinato?”

“un cazzo di niente – vibrano d’ira le iridi caramello del giovane – ha detto che quelli sono spuntati dal fottuto nulla e…l’hanno conciato male, ma…Theo gli ha fatto il culo, l’ha portato lui Max qui, mi ha chiamato appena l’hanno portato dentro”


Un fulmine, una saetta nel cielo scuro, un flash che abbaglia le iridi, i pensieri, la mente di Liam.

Una coincidenza, si ripete.

Una banalissima casualità, si dice.

Eppure negli occhi di Mason legge il medesimo dubbio che attanaglia la sua mente, eppure l’istinto gli suggerisce la logica deduzione a cui Corey persino sembra essere giunto.

Ed un tratto quell’odore, quell’odore sottile, quasi impercettibile, ma persistente che aleggia attorno alla sagoma di Esmeralda assume un significato specifico, cessa di essere solo un odore, un sentore, e si trasforma, diventa l’odore, il suo odore; l’odore di Theo.

Quasi come se la sua mente l’avesse chiamato nel silenzio la sagoma della chimera s’avvicina a passi rapidi, un bicchiere in plastica marrone stretto tra le dita ed un gesto di gentilezza in cui Liam non avrebbe mai immaginato di poterlo raffigurare; neppure nelle più rosee delle sue fantasiose speranze.
E resta paralizzato, incatenato al suolo, il mannaro ad osservarlo chinarsi lieve, sfiorare appena la spalla del minore tra i presenti e porgergli una cioccolata ancora fumante tra le dita, sollevandosi poi a poggiare una mano all’esile spalla della castana.

È tutto così intimo, così strano.
Liam i sente di troppo, si sente invadente, fuori luogo, estraniato ed esterrefatto da ogni piccolo dettaglio.
Come guardare in uno specchio che riflette un universo differente, alternativo, in cui loro sono ancora loro, ma diversi; si dice Mason affiancando l’amico.


“dovremmo lasciali soli”


Mormora, cercando di mantenere un tono di voce appena percepibile, sperando di non spezzare l’intimità che è certo necessiti la situazione, ma non è abbastanza; non per orecchie geneticamente modificate.
È un guizzo fulmineo, un’istante di smarrimento, un bagliore d’azzurro oceano che colpisce il volto di Liam, uno schiaffo che lo fa ricadere, bruscamente, alla realtà.
Deglutisce a vuoto Theo, impossibilitato a distogliere l’attenzione da quelle iridi di cieli sereni traversate da nubi di tempesta.


“chi cazzo sono questi?”


Chiede allora, nel confuso silenzio, Valerian indicando, senza mascherare fastidio, i tre estranei.

Ed il mondo cessa ancora una volta di girare, tutto si ferma nuovamente, e a Theo sembra quasi di poterla sentire una voragine aprirsi sotto i suoi piedi, e a Liam pare quasi di poterlo udire il suono del suo cuore che lotta tra le costole; minacciando di squarciargli il petto. 


Amici.

Così li ha chiamati, difficile leggerne il battito cardiaco, ma è piuttosto certo Theo che siano poco più che conoscenti per Esmeralda; ma infondo ha importanza? 
Inspira la chimera, poggiato contro il muro, chiedendosi da quanto stanno attendendo notizie che sembrano non voler giungere, volge lo sguardo ad Esme seduta al suo fianco, indossa ancora la divisa da cameriera


“lo conosci?”


Chiede la castana, sentendo lo sguardo di Theo su di sé, un fugace segno in direzione di Liam, ancora immobile, quasi fastidiosamente piazzato, tra il corridoio d’ingresso e le sedie in sala d’attesa.


“sì – annuisce lieve la chimera – Esme…”


Il concitato movimento dei presenti in attesa spezza le parole tra le labbra di Theo, l’attenzione rivolta al dottore appena sopraggiunto, una cartella ricolma di scritte tra le mani, gli occhi stanchi, si sfila la mascherina dalle labbra schiarendosi la voce


“come sta?”

“sta bene?”

“possiamo vederlo?”


“fortunatamente non ha riportato fratture gravi – spiega il dottore, cercando di placare l’oceano di domande – ma dovrà restare a riposo ed evitare sforzi per i prossimi giorni”

“può tornare a casa?”


Prende la parola Valerian, momentaneo capofamiglia, l’uomo dinnanzi a loro scuote il capo, abbozzando un piccolo sorriso rassicurante


“preferiamo che resti qui questa notte, per ulteriori accertamenti – allunga la mano in direzione del maggiore dei figli Petrescu – domani mattina verrà rilasciato”

“la ringrazio”


Un sospiro di sollievo si leva nell’aria, Timotei stringe le minute dita della sorellina, ancora avvinghiata al ventre di Bianca che sorride ad occhi socchiusi, poggiando una mano alla spalla del fratello


“resterò io – dice questi, scostando una ciocca bionda dal volto della sorella – riportali a casa, saranno stanchi”


Bianca annuisce soltanto, mimando un grazie tra le labbra dischiuse, volgendo poi il busto ad Esmeralda


“vieni con noi?”


La castana tituba, scambiandosi uno sguardo fugace, di muta complicità, con Theo


“vi raggiungiamo lì”


Chiarisce poi, scompigliando i corti capelli color cioccolato di Irina, osservandoli allontanarsi lentamente.
Nel silenzio che ne segue gli occhi glauchi della chimera si posano per istanti interminabili alla statica sagoma di Liam, Mason e Corey ancora al suo fianco, nell’imbarazzo di una situazione che avrebbero preferito evitare.


“grazie”


Spezza il silenzio Esmeralda, sorridendo grata al mannaro


“vi ho rovinato la cena – si scosta una ciocca castana dagli occhi, tossicchiando una risata impacciata – ve ne devo una”


Le labbra di Liam si muovono, ma solo silenzio ne fuoriesce, boccheggia imbarazzato, grattandosi il resto della nuca, abbozzando un tiepido sorriso di cortesia


“figurati”


Dice Mason, afferrando le spalle dell’amico


“credo sia meglio andare – aggiunge poi, lo sguardo ondeggia dalla giovane al mannaro – è stato un piacere incontrarti di nuovo, ci vediamo in giro”

“certo e grazie ancora”


Sorride gentile Esmeralda, osservandoli trascinare Liam oltre le porte d’uscita, è sempre stata piuttosto abile nell’intuire emozioni inespresse, questione d’abitudine, ed il titubare del mannaro, le iridi chiare attraversate da un tempesta di sentimenti, lo sguardo tremulo, l’incertezza dei passi; qualcosa di non detto.
Qualcosa che forse può trovare voce tra le corde vocali di Theo, le iridi dell’amico hanno la medesima tempesta in loro


“lo conosci bene – afferma, affiancandolo sino al parcheggio – non è vero?”


Annuisce soltanto la chimera, cercando le chiavi dell’auto tra le tasche dei jeans sgualciti


“quand’è stata l’ultima volta che vi siete visti?”

“circa tre mesi fa– inspira Theo, posizionandosi al sedile del guidatore – credo”


No, ne è certo.
Ha contato i giorni, le ore, i minuti trascorsi dall’ultima volta in cui i loro sguardi si sono incrociati.
La mente lo ha fatto, senza neppure aver bisogno del suo permesso, un conteggio inconsapevole di una mancanza nostalgica taciuta dall’orgoglio.
Il ricordo tenuto muto, segreto, nascosto in angoli della mente che Theo si era ripromesso di non esplorare; mai più.


“è un tuo amico?”


Una domanda che non ha risposta certa, qualsiasi cosa la chimera possa dire suonerà come una menzogna comunque.


“non lo so”


Con Esmerlada ha smesso di mentire, da mesi, è diventata la famiglia che non si è mai dato la possibilità di avere, la seconda opportunità che non merita, la redenzione che non credeva di poter avere, il giusto cammino che non ha mai percorso.
Con lei non vuole mentire, ma ci sono parole, frasi, verità che è difficile dire.
Ci sono sentimenti che è difficile ammettere, persino a sé.
Un tempo le raccontò di un ragazzo, di qualcuno d’importante, di un rapporto mai definito lasciato sospeso nello spazio di silenzi e spera, mentre la guarda aprire la porta della roulotte che condividono, che possa collegare i pezzi mancanti tra le sue parole; che possa riuscirsi senza che la sua voce debba farlo.


“è molto gentile”


Dice la castana, sedendosi al bordo del letto, lanciando le scarpe consumate al suolo


“sembra il tipo di persona che aiuterebbe chiunque – sorride, raccogliendo i capelli in una coda storta – tipo eroe d’altri tempi”


Forse, si dice Theo guardandola svestirsi, ha collegato ogni tassello del puzzle che le ha lasciato


“credo somigli un po’ al ragazzo di cui mi hai parlato”


Si distende al letto Esmeralda, la maglietta verde militare, troppo grande per l’esile figura, le copre appena l’inguine, poggia la schiena alle fredde lamiere della vettura, la nuca adagiata alla piccola finestra e lo sguardo perso ad analizzare il cielo che s’intravede dalla sottile fessura


“gli somiglia – conclude poi, accavallando le lunghe gambe – perché è lui”


Ne era certo, era sicuro che lo avrebbe capito, qualsiasi sia il suo segreto riesce sempre a leggere tra le righe, tra gli sguardi, tra i pensieri inespressi, di persone Theo nella sua vita ne ha incontrate tante, ma abili a leggere segnali invisibili come lei mai molte; forse è persino l’unica che abbia mai conosciuto ad essere in grado di svelarne ogni menzogna o inganno.
Deglutisce annuendo la chimera, adagiando le scarpe al lato destro dello stretto letto, indossando la solita tuta logora, sedendosi al fianco della castana


“non lo hai salutato”


Gli fa notare, lanciandogli una fugace occhiata in tralice, di quasi materno rimprovero e Theo sbuffa un sorriso sghembo, acerbo


“mancanza di tempo”

“cazzate – soffia Esmeralda, afferrando il cellulare poggiato tra le coperte – ti è mancato il coraggio”


Lo corregge, rigirandosi il telefono tra le dita, una chiamata persa e tre messaggi, fa scorrere l’indice tra i cristalli liquidi sbloccando lo schermo


“e anche a lui – aggiunge, picchiettando frasi di risposta – ma credo gli abbia fatto piacere rivederti”


Sarebbe bello, davvero, poterle credere.
Dirle che forse, solo forse, ha ragione.
Ma i segnali che il corpo di Liam mandava era troppi, troppo intensi, troppo confusi, persino per i sensi sviluppati di Theo, c’erano così tanti odori che distinguerne il significato era quasi impossibile.
Rabbia, stupore, ansia, tristezza, gioia.

Forse Esme ha ragione, magari Liam era davvero felice di vederlo, ma è certo Theo che lo era solo per quell’assurda e fastidiosa questione della responsabilità; lo stesso motivo per cui gli aveva detto che non poteva andarsene da lui.
Ed una felicità simile non è ciò che vuole, se lo era detto anche la sera in cui se ne andò.
Il suono sgradevolmente acuto di una chiamata in arrivo distrae i pensieri della chimera, riportandolo alla realtà


“è Greenberg – sorride lieve Esme – tutta questa faccenda è solo rimandata”


Dice, lasciando scorrere la cornetta verde tra i cristalli liquidi, portandosi il telefono all’orecchio


“ehi”


Il cuore della castana compie un salto, una capriola nel petto, si ferma e poi riparte, al ritmo di un tamburo impazzito; sbuffa un sorriso sghembo la chimera passandosi le dita tra i capelli ormai divenuti quasi fastidiosi che gli ricadono alla fronte.
La osserva disegnare cerchi a terra, in un avanti e indietro sovrappensiero, le labbra piegate in un espressione di luminosa spensieratezza è l’abilità innata di Greenberg, pensa Theo, in qualche modo sa sempre come farla stare meglio; potrebbe crollare loro il mondo addosso eppure riuscirebbe comunque a farla ridere.
A volte, involontariamente, qualcosa, un pensiero insidioso, si fa strada nella mente della chimera; l’invidia.
Invidia quello che loro hanno, perché Theo sa, conosce la verità della sua vita, che non c’è un Greenberg anche per lui, nascosto da qualche parte nel mondo; non c’è, semplicemente non può esserci.

Resta a fissare il soffitto della roulotte, ricoperto di foto, c’è l’intera famiglia Petrescu appesa con fili di nastro adesivo colorato, c’è tutta la loro storia, ogni posto in cui hanno vissuto, ogni istante immortalato lì; su pellicola lucida.
Chissà che fine hanno fatto le sue di foto, se lo chiede da un po’ Theo se esistono ancora tracce della sua infanzia da qualche parte o se, invece, sono andate perdute assieme a tutto ciò che prima era.
Quando ha scelto di fidarsi dei Dottori, quando ha scelto di seguirli, di diventare ciò che è stato, ha dovuto abbandonare la casa in cui era cresciuto, i luoghi a cui si era abituato, se li è dovuti lasciare alle spalle e la famiglia, quella, l’ha dovuta distruggere.
Spezzarla, schiacciarla, calpestarla, nei primi mesi si ripeté che andava fatto, che infondo era persino giusto, una vendetta, una rivincita, per anni il senso di colpa è rimasto muto, sepolto da altro, poi è arrivato il tempo di morire, di venire trascinato all’inferno, di guardare negli occhi vitrei di Tara, di sentire le costole spezzarsi e piegarsi ed il cuore, il cuore di sua sorella, pulsare tra le mani della legittima proprietaria.

E ad ogni costola rotta, ad ogni risveglio, un pezzo di coscienza tornava, un ricordo riaffiorava, la memoria risorgeva, la triste primavera di un condannato all’eterna dannazione; è lì che lo ha trovato il senso di colpa.
Da quando l’inferno lo ha sputato, rigettandolo con violenza, le colpe sono diventate macigni pesanti da trascinare, le memorie ferite destinate a sanguinare in eterno, forse, si dice lisciandosi il petto, è questa la vera condanna.

Passare la vita nella consapevolezza di ciò che è stato, del dolore che ha causato, delle sofferenze che ha generato, della paura che ha rappresentato.
Passare il resto dei suoi giorni a chiedersi come sarà, quando davvero morirà, per sempre, tornare lì, all’inferno, nella certezza che ad attenderlo ci sarà ancora Tara che brama il suo cuore; quel cuore che le spetta per diritto di nascita.
Magari è questa la condanna, la giusta condanna.

Inspira, schiarendosi la voce, aggiustandosi al materasso


“voleva sapere se stavo bene – dice Esme, sdraiandosi affianco alla chimera – e ricordarmi che domani passerà a portarmi lo stipendio”


Farfuglia un “gentile” di circostanza Theo, scivolando tra le coperte


“grazie – soffia la castana, poggiando la nuca al cuscino – per aver aiutato Max, se sta bene è solo grazie a te”

“dovreste dirgli di smetterla d’immischiarsi con i Madison”

“i Mad Son – ridacchia amara Esme, sistemandosi sul lato sinistro – ci abbiamo provato, è inutile, al cuore non si comanda”


Sbuffa un mezzo sorriso acerbo la castana, chiudendo gli occhi, cercando di scacciare l’angoscia della serata appena passata, rifugiandosi nei sogni.
Theo inspira, annuendo impercettibilmente, ripetendosi quelle parole.

Al cuore non si comanda, non c’ha mai creduto ai modi di dire, non li ha mai voluti prendere neppure in considerazione, assurde frasi dette, ripetute così tante volte, da così tante bocche diverse, da perdere significato; da diventare banali cliché.
Eppure, alla fine, c’è rimasto incastrato anche lui in uno stupido cliché.

Al cuore non si comanda, si ripete, cercando di perdersi nel buglio di sogni che non sono mai piacevoli, cercando di dimenticare che, suo malgrado, la sua intera vita, per colpa di due iridi d’un pungente azzurro cielo, è diventata un banalissimo, insopportabile, cliché.



 


 
Salve, eccomi di nuovo qui...
Premetto che questo capitolo non mi convince un granché, ma era da tempo che volevo pubblicarlo ed è abbastanza di passaggio, direi. 
Finalmente Theo e Liam si sono incontrati, in una cirostanza non proprio piacevole, grazie ad Esme che è diventata una specie di punto d'unione tra i due personaggi. 
E, non me ne vogliate, ma non potevo lasciar fuori Greenberg da tutto ciò; gli ho voluto dare un ruolo. Inoltre ho deciso, arbitrariamente, che in questa storia Theo ha avuto già esperienze con lo stesso sesso e che è, iù o meno, dichiaratamente gay; se volete tirarmi addosso pomodori fate pure. 

Spero che il capitolo possa piacervi e che i personaggi siano ancora sufficientemente IC. 

Grazie a tutti coloro che aggiungono tra i preferiti/seguiti/ricordati e grazie ai reconsori. 
Grazie anche ai silenziori lettori,
grazie a tutti
e alla prossima. 

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Capitolo 8
*** Chapter Eight : Someone will love you, but someone isn't me ***


~ Chapter Eight : Someone will love you, but someone isn't me ~
 

Non ne ha voluto parlare Liam, è rimasto in silenzio per tutto il tragitto di ritorno, in un rigoroso mutismo interrotto solo per un fugace saluto quando ha lasciato Mason e Corey fuori dalle loro case.
Non ha voluto spiegare alla madre il perché i suoi occhi sembrassero rossi e gonfi, non le ha voluto dire che è rimasto fermo, sul ciglio della strada, a lottare contro la rabbia, a ferirsi i palmi ricacciando gli artigli sotto pelle, a prendere a pugni il volante cercando di non distruggerlo; perché l’auto ancora gli serve, perché spiegare l’incidente sarebbe stato impossibile.

Non ha voluto dire nulla a nessuno, tenersi tutto dentro, come al solito, come consuetudine.
Soffrire nel silenzio, quel dannatissimo silenzio che lo perseguita.
I sentimenti mai detti sono i peggiori, scavano fosse nella mente, si annidando tra i pensieri, riecheggiano, logorano.

Mason c’ha provato, più e più volte nell’ultimo mese, a chiedergli, a ricordargli che con lui può parlare di tutto, dal sovrannaturale all’allenamento di lacrosse andato male; può raccontargli ogni cosa, come quando erano bambini ignari del mondo e si confessavano segreti innocenti.
È diverso, si è detto Liam, ignorando la richiesta dell’amico.
È diverso, si ripete, gettandosi al materasso.

Questa non è una cosa di cui può parlare, questo è un segreto che nessuno potrà mai sapere, che neppure lui stesso dovrebbe conoscere; sarebbe più sano convivere senza la consapevolezza.
Stringe il cellulare tra le dita, controlla l’orario, i messaggi che ha ignorato, tra tutti lo sorprende quell’unico “ciao” di Hayden.
Da quando si sono lasciati non ha più avuto il coraggio di cercarla, si erano ripromessi che sarebbero rimasti in ottimi rapporti, un’amicizia che avrebbero potuto gestire meglio grazie alla distanza, ma Liam non c’è riuscito, dopo quell’ultima volta, a contattarla.

Le dita tamburellano incerte al bordo del cellulare, quel “ciao” lampeggia tra i cristalli liquidi, l’indecisione di risponderle, un lieve sorriso sghembo, malinconico, plasma le labbra del mannaro.
Infondo, forse, con lei, così lontana, così distante, con lei che lo conosce così bene, con lei con cui ha condiviso così tanti momenti, potrebbe aprirsi; alleggerirsi la mente da pensieri opprimenti.


 
“ciao – decide infine di risponderle – come stai?”


Cosa fanno le persone alla nove di sera? Si chiede Liam, temendo che possa averla disturbata, ma la vibrazione che ne segue gli lascia intuire che Hayden, forse, stava aspettando quel suo messaggio da tutta la giornata

 
“tutto bene, tu?”


Dovrebbero dirlo, qualcuno dovrebbe farlo, che rispondere ad una semplice simile domanda è dannatamente difficile.
Inspira, picchiettando i pollici allo schermo


 
“abbastanza bene”


Bugia.
Non sta né abbastanza, né bene.


 
“non molto bene”


Si corregge soltanto, lasciando che sia Hayden a capire, a chiedere, concedendole il tacito permesso di farlo
 

“qualcosa non va?”

“niente di ché”


Può essere sincero, si ripete Liam, c’è la distanza di chilometri a proteggerlo, cerca di farsi coraggio
 

“vuoi parlarne? Sai che puoi dirmi tutto, non ti giudicherò, promesso”


Questo c’è sempre stato tra di loro, forse è questa l’unica parte vera della loro intera relazione, potevano dirsi tutto, potevano parlarsi di ogni cosa, c’era solo un unico segreto a rendere meno valide le parole, meno vere le emozioni, a macchiare, sporcare l’unica verità del loro rapporto
 

“non riesco a gestire la rabbia, è come se…come se mancasse sempre qualcosa”


Ammette, infine, i primi passi per liberarsi di quell’ultimo ostacolo verso la sincerità totale ed assoluta che, forse, Hayden più di tutti merita
 

“è sempre stato difficile Liam – ha ragione, a gestire la rabbia non c’è mai riuscito davvero, persino quando stavano insieme doveva lottare per riuscirvi almeno un po’ – una volta pensavo di essere la tua ancora, volevo pensarlo, ma non credo di esserlo mai stata”


Può vederla, anche da lontano, anche dietro lo schermo del cellulare, può vederla comunque la tristezza di Hayden, li vede gli occhi velarsi di lacrime, le guance imporporarsi di rossore, può vederla anche da qui
 

“mi dispiace”

“non devi, va bene così, non eri costretto a scegliere me, infondo lo abbiamo sempre saputo, l’ancora è qualcosa che non dipende totalmente dalla nostra volontà”


Un giorno, quando ancora era nuovo al sovrannaturale, quando aveva bisogno di chiarezze, Scott persino glielo disse, è il lupo che sceglie, l’istinto mannaro che stabilisce, che si affida ad un pensiero costante e persistente che possa placarlo.
E Liam non c’ha mai riflettuto troppo a quello che il suo istinto aveva scelto, lo aveva dato per scontato che fosse Hayden la sua ancora; infondo per Scott lo era stata Allison a lungo, perché per lui, il suo beta, doveva essere diverso?

 

“e se non riuscissi a trovarla, se non riuscissi ad avere un ancora?”

“Liam, non devi pensarci troppo, è qualcosa di istintivo, prova soltanto a chiudere gli occhi, tutti abbiamo qualcosa per cui lottare, qualcosa che ci da forza”


Inspira il mannaro, eseguendo quasi inconsciamente il suggerimento di Hayden.
Chiudere gli occhi è semplice, fare ordine tra il marasma di pensieri che illuminano il buio è difficile, immensamente difficile.
Trovare quell’unico, costante, pensiero fisso è impensabile.

Per cosa lotta, si chiede Liam ad occhi chiusi, dov’è la sua forza?
Lotta per se stesso, per il branco, per i suoi genitori, per la sicurezza che ogni cittadino merita, si risponde meccanicamente.
Lotta per avere calma, pace, quiete, una vita che possa considerarsi tranquilla.
Lotta per iridi glauche di oceani in tempesta.

Apre gli occhi, terrorizzato quasi dai suoi stessi pensieri, stringe il cellulare tra le dita

 

“lotto per me stesso”


Digita rapido, è una mezza verità, ancora una volta, l’ennesima

 
“allora sii tu, la tua ancora”


Deglutisce a vuoto Liam, chiedendosi se basterà, se funzionerà, se sia davvero tutto qui, se placherà la rabbia, l’animale che ruggisce dentro.

 
“ci proverò Hayden, grazie”

“non devi ringraziarmi, siamo amici e gli amici si sostengono, se avrai ancora bisogno di me sai come trovarmi”

“certo, grazie”


Un piccolo spiraglio, un tenue sorriso sghembo, tremulo, dischiude le labbra di Liam.
Forse un giorno troverà anche il coraggio di dirle che aveva ragione, quando gli disse che non si può scegliere in amore, che non si può fingere di amare qualcuno, non mentre si ama qualcun altro e, forse, un giorno troverà anche la forza di dirle la verità nascosta dietro la loro, inevitabile, separazione.
Per ora, si dice sollevandosi lentamente ad afferrare gli abiti da notte, gli basta sapere che, almeno a lei, potrà parlare senza timore, senza paura alcuna; confessarsi come ad un muto ascoltatore che non può ferirlo in alcun modo.
Per ora questo è quanto dli basta per stare un po’ meglio. 

 
 

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(piccoli consigli per l'ascolto :https://youtu.be/4bwGqfUst30)

È stato lui, è stato Theo ad avvicinarsi pericolosamente alle labbra del mannaro, è stato lui a schiacciarlo contro il muro, credeva fosse l’impeto della discussione, il punto cruciale dell’intera lite, il momento esatto in cui avrebbe dovuto sopportare un pugno; ma il pugno non è mai arrivato.
Solo il respiro affannato della chimera ad inumidirgli il volto, solo l’odore del desiderio a stordirlo, a fargli perdere la razionalità.

È stato lui, è stato Liam ad azzerare l’esigua distanza, a far scontrare le loro labbra in un fugace sfiorarsi, in un’unione improvvisa, delicata, timorosa, bisognosa.

Ed è stato Theo a non allontanarlo, a stringere le dita, affondarle tra la stoffa della maglietta, attorno alle spalle del mannaro, a premere il busto contro quello di Liam.

Ed è stato Liam ad accoglierlo, il calore che ne è conseguito, la piacevole sensazione di benessere che ne è scaturita, la dolce calma che ne è derivata, è stato lui ad assecondarla inclinando il capo impercettibilmente.

Sono state le dita di Theo a scivolare lente, risalire la curva del collo, perdersi tra i capelli del mannaro.

Sono state le labbra di Liam a lasciar fuoriuscire un sospiro, un mugugno sottile incastrato tra le labbra della chimera.

Si sono arresi, entrambi, quel giorno, a quel contatto travolgente come solo le cose inaspettate sanno esserlo.
La necessità d’ossigeno, è stata colpa sua se poi, dopo minuti incalcolabili, le labbra ancora gonfie, rosse ed umide, si sono separati perdendosi l’uno nello sguardo smarrito dell’altro.

Theo, lui è stato il primo, a voltare le spalle a qualsiasi cosa fosse avvenuta tra di loro, a fingere, a pretendere di non ricordare.
Lo ha lasciato lì, ancora poggiato contro il muro a fissare una finestra aperta.

Liam, è stato lui a decidere, a stabilire che forse era giusto così, assecondare, fingere, dirsi che non era successo nulla; convincersi di aver vissuto un sogno e potersi svegliare.

Quella notte il mannaro l’ha trascorsa nel silenzio di una camera ancora avvolta dall’odore della chimera, rigirandosi tra coperte fastidiose come mai prima d’ora.

Quella notte la chimera l’ha passata nella solitudine della sua auto, a leccarsi le labbra, a voler cancellare il sapore del mannaro.
Ha cercato di convincersene, di dirsi che quello era il momento perfetto per fuggire, l’occasione giusta per svanire, dissolversi nel nulla e lasciare Beacon Hills.
E poi, gli è sembrato quasi di sentirla la voce di Liam ricordargli che non poteva, che gli doveva almeno un avvertimento, che doveva concedergli quanto meno un addio.

Lo ha fatto, la notte successiva, la finestra ancora aperta, Liam in attesa di qualcuno che non credeva davvero possibile poter rivedere.
Si è fermato al bordo del davanzale Theo, intenzionato a non accorciare, neppure di pochi impercettibili passi, la distanza che li divide.

Ha guardato Liam, i capelli arruffati, gli occhi stanchi, le dita tremule, ne ha catturato l’immagine perfetta, imprimendosela a memoria, marchiandola a fuoco, nella mente.
Ne ha annusato l’odore, quell’odore inconfondibile che solo la pelle del mannaro possiede, registrandolo tra i ricordi, quei pochi ricordi degni di poter essere considerati preziosi.


“me ne vado – ha detto poi, cercando qualcosa tra le iridi azzurre di Liam – lascio Beacon Hills, per sempre, una preoccupazione in meno per voi”


Ha provato a giocare, scherzare con l’ironia, ma negli occhi del mannaro ha trovato solo rabbia, amara tristezza, nessun indizio di sollievo, né di gioia, solo l’opposto di quanto, forse, avrebbe dovuto di norma provare


“non puoi”


Lo ha detto di getto Liam, scattando in avanti quasi a volerlo afferrare, fermandosi poi in bilico tra l’avanzare ed il ritrarsi


“sei ancora una mia responsabilità”

“consideralo un regalo, ti libero dal peso”


Ha scherzato ancora Theo, c’ha provato di nuovo, ma la rabbia è sorda all’ironia e le dita del mannaro strette in pugni parlando più di quanto non facciano le parole


“non puoi andartene – trattiene il respiro il mannaro, magari la voce trema meno così – non puoi…”

“cosa?”


Stille di sangue rigano le nocche di Liam, il picchiettare di gocce al suolo è l’unico suono che agita il silenzio.
Un sorriso sghembo, un ghigno, l’ultimo, aspro, sincero, assottiglia le labbra della chimera in un addio sussurrato, lasciato alle spalle.

È solo il vento e l’odore di Theo a restare, ad avvolgere il mannaro in una brezza che ha il sapore di un addio indesiderato, che libera la rabbia, che fa risplendere di bagliori gialli le iridi di Liam.

Sono le parole non dette a ferire di più, sono le frasi nascoste tra le righe, tra i silenzi, a lasciare spazi vuoti incolmabili; buchi nel cuore.

Qualcuno lo amerà, si ripete Theo, correndo il più lontano possibile, ma non lui, non può essere lui, si urla contro perdendosi tra gli alberi.
 Ad ogni passo si grida, tra i pensieri, che gli dispiace, ma non può crederlo possibile, non può pensare che sia reale.
Urla mute che riecheggiano nella mente di Theo, ad ogni falcata che lo spinge sempre più lontano da Liam, ancora immobile, il sangue macchia ancora il pavimento.
La finestra è rimasta aperta, finché sarà aperta potrà rientrare, potrà tornare.

È nella mente del mannaro la vera lotta, diversa dalla rabbia che riversa al mobile della scrivania, è stato così cieco, non è mai riuscito a comprenderli gli sguardi di Theo, ogni volta che si posavano su di lui; ma il suo più grande errore è stato non essere in grado di comprendere neppure i suoi, di sguardi.
Ha fallito, sin dall’inizio.
Sin da quanto si è costretto a diventare cieco a qualcosa che non era, non poteva, forse non voleva, contrastare.
Sono scuse, richieste di perdono, tutto ciò che gli resta.

Ed è un quasi amore tutto ciò che resta, ad entrambi, da poter conservare in ricordi che non saranno mai in grado di cancellare.
Sono le emozioni inespresse quelle a durare più a lungo, a graffiare, squarciare, tagliare, ferire l’anima più a fondo.

Sono i sentimenti resi muti dalla paura, dall’orgoglio, a restare intrappolati, incompiuti, incompleti, avvinghiati alla memoria di ciò che sarebbe potuto essere se soltanto qualcosa fosse andato diversamente. 

Inizio subito con il ringraziare i lettori silenziosi e tutti coloro che hanno aggiunto tra preferite/recensite/ricordate. 
Ed un ringraziamento anche alle splendide recensioni che mi fanno sempre sorridere di gioia, sono davvero felice di ricevere i vostri consigli e parerei; perciò grazie mille. 

Mi scuso se il capitolo è un po' troppo corto, noioso o triste oppure tutte e tre insieme, ma la mia mente sa essere un po' crudele. 
Spero, ad ogni modo, che possa essere gradevole e che non sia eccessivamente OOC. 
Non ho molto altro da dire, Hayden la vedo perfetta nel ruolo dell'amica e la scena tra Theo e Liam è vagamente ispirata ad un episiodio di una serie tv ed alle note della canzone che vi coniglio vivamente di ascoltare. 
Detto questo grazie ancora a tutti, 
alla prossima. 

 

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Capitolo 9
*** Chapter Nine : Crawling Back To You ***


~ Chapter Nine : Crawling Back To You ~


Dalla notte dell'incidente e dell'inaspettato incontro all'ospedale Esme continua a domandargli se quel ragazzo dagli occhi chiari e confusi fosse lo stesso di cui le aveva raccontato e perché non voglia rivederlo e Theo non sa neppure se volesse davvero lasciarlo, infondo da Beacon Hills non è riuscito ad andarsene, da quel branco che un tempo desiderava distruggere non è riuscito ad allontanarsi, forse voleva davvero incontrarlo ancora; magari in fugaci istanti inosservati.
Forse sperava davvero di poterlo rivedere, magari impegnato in qualche partita di lacrosse o dall’altro lato della strada, un incontro così effimero da durare il battito di ciglia; forse per questo era rimasto in una città che non gli serviva più, a cui non apparteneva e non era mai appartenuto davvero.
Ha così tante domande che cercare di rispondere a quelle di Esme è impossibile, è solo altra confusione, un ulteriore uragano d’emozioni che Theo non è abituato a gestire, a cui non sa come reagire, si chiude nel silenzio ed impegna la mente in ogni cosa che possa distrarlo da quelle iridi di cieli estivi che gli rubano il sonno.

La verità è che forse, una parte di sé, un istinto a cui non può ribellarsi, vorrebbe davvero sollevare quel dannato telefono e far quel che Esme, da giorni, gli suggerisce; contattare Liam.
Se sia la paura a bloccarlo o il rifiuto di una certezza, di essersi aggrappato ad un’illusione, Theo non saprebbe dirlo e respira nicotina, rigirandosi il cellulare tra le dita, maledicendo gli effetti della mutazione genetica che gli impediscono di alleggerirsi la mente bevendo litri di birra scadente


“Greenberg lo conosce – insiste Esme, che ormai da ore sta cercando di far parlare la chimera – giocavano a lacrosse insieme, cioè lui era una riserva, non credo stesse troppo simpatico al coach, comunque lo conosce, ha detto che gli sembra di ricordare si chiami Liam”


La chimera soffia nicotina al cielo, poggiando la nuca allo schienale del divano, cercando d’ignorare le parole che scivolano come torrente in piena dalle labbra della castana o la sgradevole capriola che il cuore ha deciso di compiere tra le costole, resta impassibile nascondendosi dietro il velo di grigio fumo


“o meglio così gli sembra, sai ho provato a descriverglielo e dice che gli ricorda un ragazzino che girava sempre intorno ad un certo McCall, non ho idea di chi sia, frequentavano alcuni corsi insieme, questo tipo, non il ragazzino, e Greenberg – una cascata di parole confusionarie che la chimera preferirebbe evitare – ad ogni modo, è il ragazzo di cui mi parlavi, questo Liam dico, è lui il ragazzo?”


È la decima volta che prova a chiederglielo ed è la decima volta che Theo grugnisce un "no" poco convincente, schivando senza neppure troppo impegno la conversazione


“oh andiamo – soffia un sorriso sottile Esme, strappandogli la sigaretta dalle labbra, infossando le ginocchia tra la logora stoffa del divano – se me lo dici giuro che smetto di infastidirti, giuro”


Marca la castana, inspirando nicotina, puntando le iridi nocciola al volto, plasmato da fittizia indifferenza e scetticismo, della chimera che scuote il capo, passandosi una mano tra i capelli


“dubito – trattiene il respiro Theo prima di riuscire a pronunciare quell’unica, singola, frase che forse riuscirà a liberarlo dalla tortura – sì, contenta adesso?”

“decisamente meglio”


Ridacchia soddisfatta Esme, stringendo le affusolate dita alla spalla della chimera, drizzando la schiena d’orgoglio


“dove lo tieni? – chiede, la sigaretta incastrata tra le carnose labbra, tastando le tasche dei jeans  scuri di Theo che arcua un sopracciglio – dai tirarlo fuori, ci serve”

“diretta – dopo ore di apatica indifferenza un sorriso sghembo è riuscita a strapparglielo, anche se Esme non ne coglie la causa – sei molto carina, ma non sono interessato”


Nel tono sarcastico la castana coglie l’ambiguità della frase da lei pronunciata e rotea lo sguardo al cielo, trattenendo una risata


“già, fossi stata diciamo un bel ragazzo di Beacon Hills, magari biondo con gli occhi azzurri, sarebbe stato meglio, vero?”


Ammicca cercando di scherzare, ma l’irrigidirsi della chimera le permette d'intuire che, forse, si è spinta troppo oltre, ha nuovamente parlato troppo, ha sempre avuto quest’insopportabile, a detta dei suoi fratelli, difetto di non pensare prima di aprire la bocca


“scusa – pigola, ritraendosi, gettando il mozzicone di sigaretta al suolo – è solo che…secondo me…insomma dovresti contattarlo, incontrarlo ecco”

“ottima idea, lo faccio subito”

“davvero?”

“no – sibila, sollevandosi rigidamente Theo – è un’idea stupida”


Esmeralda balza in piedi, la gonna floreale svolazza leggiadra ricadendole alle pallide cosce, cinge le braccia al minuto seno, mordicchiandosi il labbro inferiore


“nascondersi è un’idea del cazzo – esclama, cercando di soffiare via alcuni ciuffi che le coprono gli occhi – ignorarlo è un’idea del cazzo, non sono una stupida Theo, ho visto come vi guardavate, cazzo pure un cieco sarebbe stato in grado di notare la tensione, cioè magari non proprio, ma avrebbe sicuramente sentito l'elettricità statica che c'era tra di voi, mi si sono rizzati i capelli per quanta ce n’era”


Gesticola animatamente, un fiume di parole ne agitano rapide le labbra, punta l’indice alla sagoma della chimera che s’infossa nelle spalle, mascherandosi dietro un ghigno di sfacciata indifferenza


“e non puoi fingere di non averla notata, tu te ne sei andato, tu hai deciso di non vederlo più, la cazza l’hai fatta tu – puntualizza, enfatizzando quel tu con eccessiva veemenza – il minimo che lui può fare è essere incazzato con te, ma non potete continuare così, a che porta ignorarsi? Quindi adesso muovi quel grazioso culo che ti ritrovi e lo contatti! Chiamalo, mandagli un messaggio, una mail, un piccione viaggiatore, quel che ti pare, ma fallo, ora”


Conclude, lasciando ricadere pesantemente le braccia ai fianchi, assottigliando lo sguardo come farebbe una madre in procinto di punire il figlio per qualche idiozia commessa e, per un fugace istante, a Theo ricorda la sua, di madre, quella donna che era solita preparargli pancake ogni mattina, che lo sgridava quando tirava i capelli alla sorella e che, forse se fosse ancora viva, se fosse qui, probabilmente gli diriebbe qualcosa di simile, estremamente simile, a quello che Esme gli ha quasi urlato contro.
Inspira, socchiudendo gli occhi, infossando le mani nelle tasche dei jeans


“vedi cose che non esistono e non chiamerò nessuno, è una pessima idea”

“non sono pazza Theo, okay forse un po’, ma questa volta no, questa volta ho ragione – grida Esme, seguendolo sino alla porta della roulotte – e lo sai, smettila di essere così…così…spaventato”


Si ferma la chimera, la mano tesa a mezz’aria poggiata alla maniglia, si sbaglia, non è paura quella sente, non è il timore che gli impedisce di agire, Esmeralda si sbaglia.
È la consapevolezza, la certezza di non poter essere la persona che Liam meriterebbe, di aver commesso troppi, imperdonabili, errori.
Non c’è rimedio per i peccati del passato, non c’è soluzione per le colpe di cui si è macchiato e non può semplicemente chiedere al mannaro di accettare ogni singola macchiata di sangue di cui si è sporcato; non può fargli questo.
E' migliorato, non è più soltanto un'egoista che pretende ciò che vuole. 


“Theo – mormora la castana, poggiandogli una mano alla spalla – devi farlo anche, soprattutto, per te o vuoi vivere nel rimpianto chiedendoti cosa sarebbe successo se avessi provato a parargli?”


Non risponde la chimera, non c’è risposta che possa concederle, che possa darsi, sono così tanti i rimorsi che ha, può sopportarne altri; può riuscire a resistere ad ogni rimpianto, infondo vi è abituato.
Scrolla le spalle, è più facile fingersi indifferente senza il peso di iridi nocciola a studiarne ogni angolo del volto, stringe la maniglia svanendo oltre la porta della roulotte, Esme non lo seguirà, lo conosce abbastanza bene da sapere che ha bisogno di stare solo; per un po’.
 
 
~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~

 
Liam ha cercato ogni scusa, alcune se l’è persino inventate, ha addirittura aiutato nelle faccende domestiche, pur di non pensare a quelle iridi glauche che credeva non avrebbe mai più rivisto.
Le aveva immaginate così tante volte, ogni singolo istante in cui chiudeva gli occhi, ogni notte, ma averle di nuovo così vicine, è stato strano, come elettricità statica, come fiamme a bruciare tra i succhi gastrici, a rendere instabile l’equilibro, a far vacillare ogni certezza, gli è bastato perdersi, per fugaci istanti, in quelle iridi di oceano per annegare, nuovamente, nei dubbi che si era convinto di poter respingere con ostentata indifferenza.

Nascondersi dietro muri silenziosi non funziona più, i tentativi di Mason, di cercare di farlo parlare, si sono fatti più insistenti da quella notte all’ospedale e Liam non riesce quasi più a respingerli, forzarsi al mutismo, dare la colpa agli allenamenti estivi di lacrosse, alla lontananza di Scott, al peso d’un branco che non sente di poter gestire non basta più; sono scuse che non hanno più senso.
Ne è consapevole Liam, lo legge negli sguardi titubanti dell’amico, nei messaggi che persino Corey ha cominciato a mandargli, e la rabbia è sempre più difficile da gestire.

La notte che è tornato dall’ospedale, dopo l’incontro inaspettato, ha quasi rischiato di distruggere il volante dell’auto, di frantumare il cellulare tra le dita, si è sfogato al cuscino e ne ha nascosti i resti spennacchiati sotto al letto, maledicendosi nell’istante successivo, rendendosi conto di doverlo sostituire con quello stesso cuscino su cui, per notti, aveva dormito Theo; ha ancora il suo odore impresso tra la stoffa.
Così intenso e fastidiosamente persistente che Liam, alla fine, si è costretto a comprarne un altro.

Ha passato le ultime ore a chiedersi se, forse, non sia giunto il momento di confessare tutta la verità, ogni singolo aspetto della scomoda verità, ad Hayden.
Si sta rigirando il cellulare tra le dita da così tanti minuti che i polpastrelli, ormai, sono appiattiti alla sagoma del telefono e lo schermo s’illumina ad intervalli, accecandolo all’improvviso, sospira di nuovo scorrendo l’indice tra i cristalli liquidi; ha bisogno di dirlo a qualcuno.
Di confessare quell’impellente necessità che ha sentito di colpire quel viso impassibile, colpevole di avergli fatto credere di essersene andato per sempre


 
“ho bisogno di parlarti – digita rapido, arruffandosi i capelli – disturbo?”


Aggiunge, un po’ per educazione ed un po’ per timore, ha bisogno di ordinare i pensieri, di dargli un senso, uno diverso che non siano occhi d’oceano imperscrutabili.
Inspira, stringendo il cellulare tra le dita, gettandosi al materasso a fissare il bianco soffitto, in attesa di una risposta, ma il telefono tace per minuti, tanto da far sospettare Liam che forse, le una di notte, non siano l’orario migliore per confessarsi; poi una lieve vibrazione lo fa ricredere.

Sblocca lo schermo con frenetica impazienza, affrettandosi a leggere la risposta di Hayden, preparandosi il lungo, quanto breve, discorso che ha, ma ciò che i suoi occhi notano non è quel che si aspettava.

Resta a fissare quelle parole, che lampeggiano tra i cristalli liquidi, per interminabili istanti in cui, persino il cuore, sembra essersi fermato e l’ossigeno si blocca tra i polmoni, il sangue congela nelle vene e poi un battito, un’ondata d’aria, fiamme sotto cute ed un intenso fastidio, persistente, come un macigno incastrato tra le corde vocali lo costringe a deglutire a vuoto; cercando di ricacciare nel fondo dello stomaco quel peso che ne intralcia la trachea.

Non ha mai cancellato quel numero, non c’è mai riuscito, ed ora si ritrova a fissarlo, lampeggiare chiaro in quel piccolo schermo che sembra essere divenuto ancora più minuscolo tra le dita tremule, di rabbia e stupore, del mannaro.
Le iridi azzurre ripercorrono quelle poche parole dalla prima all’ultima, persino all’incontrario, sono un’illusione?
E' la stanchezza accumulata dalle notti insonni che lo sta ingannando?
No, è reale, si convince sbattendo energicamente le palpebre.
È tutto vero.


 
“da Patsy’s alle nove, domani"


Conciso, chiaro, sbrigativo, perentorio; tipico di Theo si ritrova a sbuffare il mannaro, in un sorriso che non si accorge neppure di avere incastrato tra le labbra dischiuse.

Scuote il capo, nascondendolo nel tessuto del cuscino, e quella rabbia che con fatica sta cercando di gestire da giorni riemerge con violenza, gli artigli pizzicano sottocute e le zanne fremono, s’impone di respirare,
respiri profondi, resistendo alla tentazione di infrangere il cellulare alla parete di fronte a sé.

Ispira più volte, digitando parole confuse tra i cristalli liquidi, cancellandole e ripetendole, vorrebbe dirgli di no, vorrebbe rispondergli che qualsiasi cosa senta, proprio ora, il bisogno di dirgli è troppo tardi, può pure risparmiarsi la fatica, vorrebbe mandarlo a quel paese ed ignorarlo come lui è stato in grado di fare negli ultimi mesi; ma quello che le sue dita picchiettano allo schermo non è ciò che si era imposto di dire


 
“va bene”


Stenta persino a crederlo, le sue dita devono averlo tradito, non era questo ciò che voleva dirgli, la mente era stata chiara, gli aveva ordinato di mandarlo a quel paese ed ignorarlo; come sono riuscite le dita a ribellarsi?
Forse, si vede costretto ad ammettere Liam, semplicemente aspettava da troppi mesi il coraggio di poterlo rivedere, di urlargli contro tutta la rabbia che sente, di colpirlo sino a rompergli il setto nasale, di perdersi in quell’oceano d’acquamarina, di respirare quell’odore inconfondibile che solo la pelle di Theo possiede.

Stringe il cellulare tra le dita, gettandolo da qualche parte tra le lenzuola, non attende neppure una risposta che sa già non arriverà, si nasconde tra la federa del cuscino e si costringe a non pensare al sapore, ancora persistente tra i ricordi, di quelle labbra carnose e al calore, dannatamente intenso ed avvolgente, di quel corpo pressato contro il suo; a come poi fu tutto trascinato via dal vento e solo la brezza d’inizio primavera rimase ad insinuarsi tra le ossa di Liam ed il freddo fu tutto ciò che restò.
 



 
E dopo non so più neppure quanti giorni o, forse, addirittura mesi di assenza sono tornata a disturbare. 
Chiedo scusa per il ritardo, ma avevo una lieve crisi, chiamiamolo pure blocco (incolperò il finale di stagione e di tutto, per questo) e non riuscivo proprio a far uscire nulla di buono dal cervello, per lo più inutile, che mi ritrovo. 
Alla fine sono riuscita a buttare giù qualcosina, spero che possa essere quanto meno vagamente interessante
Probabilmente i personaggi stanno cominciando ad essere più OOC, ma necessità di trama. 
Ad ogni modo, come al solito, grazie mille a tutti coloro che hanno aggiunto tra seguire/preferite/ricordate la storia, ai silenziosi lettori e alle magnifiche recensioni; davvero grazie infinite. 
Come al solito critiche e commenti sono ben accette, tiratemi pure contro la frutta marcia se volete. 

Grazie ancora, 
alla prossima (spero di metterci meno tempo) 

 
 
 

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Capitolo 10
*** Chapter Ten : Secrets I Have Held In My Heart ***


~ Chapter Ten : Secrets I Have Held In My Heart ~
 

Per quel che Theo ne sa il branco di McCall si è riunito, quella sera stessa, probabilmente a complimentarsi per aver salvato, ancora una volta, Beacon Hills dallo scampato disastro sovrannaturale e di certo lui non sarebbe stato comunque invitato, neppure se fosse rimasto dopo lo scontro alla riserva, perciò se n’è andato, semplicemente, inosservato.

Da quando l’inferno lo ha sputato fuori, senza un posto in cui stare, si è ritrovato a condividere la camera di Liam e vagare per le stanza di casa Dunbar, una momentanea sistemazione dettata dall’emergenza sovrannaturale che aleggiava su Beacon Hills; ora che è stato tutto risolto Theo non può non chiedersi cosa ne sarà di lui.
Certo non possono rispedirlo all’inferno, almeno crede, ma di sicuro non lo vorranno neppure nei paraggi, figuriamoci nella stessa camera di Liam, infondo nessuno si fida di lui, non li biasima,  se fosse al posto loro, probabilmente, neppure lui si fiderebbe.

Inspira poggiando la nuca alla parete, molleggiando al materasso gonfiabile disteso al suolo, la risposta ad ogni domanda sta per entrare, ne sente già l’odore aleggiare nella stanza.


“oh, ciao”


Esclama Liam, richiudendosi la porta dietro di sé, sfilandosi le scarpe sporche di fango, gettandole in un angolo della camera senza troppa cura, ricadendo come peso morto al letto


“ah per…insomma per prima – farfuglia il mannaro, fissando il soffitto – i Ghost Riders e tutto il resto io…volevo…ecco…”

“non c’è bisogno che mi ringrazi – taglia corto Theo, camuffando un risolino – e sei pessimo”

“ehi – Liam non riesce a nascondere un lieve sorriso dietro lo sbuffo teatralmente offeso – comunque...adesso, cioè…la Caccia Selvaggia è finita”

“avete già trovato un modo per rispedirmi all’inferno?”


La voce della chimera è impregnata di cinica ironia, iridi glauche si scontrano ed incontrano con occhi azzurro cielo, Liam si solleva rapido portandosi a sedere al materasso, la schiena poggiata alla testiera del letto


“Malia propone l’omicidio – dice, forse dovrebbe essere una battuta grottesca, ma la serietà che plasma il viso del mannaro la fa risultare inquietantemente reale – Stiles è d’accordo”

“fantastico, quando? Devo venire preparato, mi vesto di nero?”


Risponde con cinico sarcasmo Theo, è l’unico innato talento che ha sempre posseduto, inoltre può capirli, al posto loro avrebbe agito nel medesimo modo, anzi forse lui neppure si sarebbe liberato dall’inferno; neppure se fosse stata l’ultima speranza possibile per salvare tutti.
Liam inspira, roteando lo sguardo al cielo, chiedendosi come sia possibile che una sola singola persona sia in grado di spazientirò con una tale facilita


“è stato deciso che nessuno ti ucciderà e che – prende fiato, distogliendo lo sguardo dal volto incuriosito della chimera – che sei, cioè resti una mia responsabilità, quindi…”


A concludere la frase il mannaro non ci riesce, c’è una sensazione, una strana sensazione, una morsa alla bocca dello stomaco, la salivazione svanisce e la gola si seccha ed un fastidioso formicolio s’agita nel ventre e ne consegue calore, un’intensa ondata di calore che risale ogni centimetro della pelle, che sembra fermarsi tra gli zigomi e bruciargli il volto ogni volta che Liam si sofferma per troppi minuti perdendosi nelle iridi acquamarina della chimera


“stai cercando di dirmi che devo restare – sogghigna beffardamente arrogante Theo, picchiettando il palmo al materassino su cui siede – qui?”


Liam sbuffa, incrociando le braccia al petto, annuendo impercettibilmente, sembra un bambino impacciato e la chimera non riesce a trattenere un risolino cristallino che sorprende persino lui, ma è un suono così melodioso, così gradevole che riecheggia tra i timpani del mannaro come una melodia angelica. 
Non sa neppure quando o da quanto stia fissando quelle labbra dischiuse e quei denti perfettamente bianchi, ma non appena ne diviene consapevole sente le gote infiammarsi ed il cuore perdere un battito, volteggiare nella gabbia toracica, e si costringe a scivolare tra le lenzuola, volgendo le spalle alla chimera, sospirando nel vano tentativo di convincersi che non ha davvero pensato che il sorriso di Theo fosse l’immagine più bella che abbia mai visto; no è colpa della stanchezza, lo fa vaneggiare.
 



Le gambe, quella sera, si sono mosse autonome, Liam non ricorda di avergli ordinato di fargli scendere le scale, né di premere l’acceleratore, né tanto meno di farlo entrare nel locale e paralizzarsi poi di fronte alla sagoma di Theo, placidamente seduto al divanetto rosso e, a giudicare dallo sguardo che la chimera gli rivolge, ne deduce che deve avere l’aspetto di un buffo fantasma; deglutisce a vuoto scivolando lento tra la plastica cremisi sedendogli di fronte.
Theo è imperscrutabile, stringe la tazza ricolma di caffè, ed è impossibile decifrarne un qualsiasi segnale, distoglie rapido lo sguardo dal mannaro, concentrandosi su una chioma castana che si agita affrettandosi a porgere una caraffa ricolma di amara miscela anche a Liam


“posso portarvi altro?”

“che significa?”



Chiede secco, le glauche iridi incastrano quelle nocciola di Esme che sospira, scostandosi una ciocca dietro l’orecchio


“vi consiglio la torta alla ciliegia è molto…”

“non ignorarmi – sibila la chimera, l’odore pungente dell’agitazione aleggia nell’area – che significa?”

“da solo non l’avresti mai fatto, avevi bisogno di una spinta”


Dice semplicemente la castana, lo sguardo di Liam saetta dalla sagoma di Theo a quella della giovane, non si è mai sentito tanto stupido come ora, davvero l’aveva creduto possibile? Seriamente aveva creduto che fosse stata la chimera ad inviargli quel messaggio?
Certo è consapevole di essere troppo ingenuo, decisamente troppo, ma non pensava di poter essere anche così dannatamente stupido ed il calore che sente divampare sotto pelle è rabbia, solo rabbia.
Per averlo creduto possibile, per avervi persino sperato, per essere stato vittima di un crudele inganno.
Sente già gli artigli premere sotto le unghie ed il lupo graffiare e ringhiare, si ripete lo stupidissimo mantra cercando di respirare, profondi respiri, dicendosi che, infondo, non gli importa, non ha alcuna importanza, fissa il bordo del tavolo, stringendolo tra i polpastrelli con una tale intensità che Theo teme possa spezzarlo


“vi porto subito una fetta di dolce”


Esclama la castana, sorridendo lieve, impacciata, allontanandosi rapida con una scusa poco credibile, senza concede alla chimera il tempo di ribattere, di urlarle contro che non vuole una dannatissima torta, che non vorrebbe neppure trovarsi qui, che di essere incastrato in un incontro a cui non era preparato non lo aveva previsto e che, adesso, la gola è una distesa arida ed ogni parola, ogni sillaba, è incastrata tra le corde vocali e tutto ciò che riesce a percepire è il fastidioso odore dell’ira, dell’agitazione, della tristezza che aleggia tra di loro.

Cosa dovrebbe dirgli?
Cosa c’è da dire?

Se n’è andato e non aveva in programma di tornare, né tanto meno di ritrovarsi a fissare iridi azzurro cielo attraversate da bagliori fulminei di pura rabbia, che si colorano di lampi gialli, scintille che minacciano esplosione e Theo sa, perfettamente, che se vuole spezzare quel denso silenzio che gli mozza il respiro nei polmoni dovrà parlare.
Inspira, stringendo la tazza tra le dita, il caffè trema all’interno formando cerchi concentrici


 “perché sei qui?”


Non ha tempo, né voglia, Theo di girare attorno a quell’unica domanda appropriata, prima gli risponderà e prima potrà andarsene o meglio potranno, entrambi, liberarsi dal peso di un incontro che, probabilmente, nessuno dei due desiderava o forse è una menzogna, una dannatissima menzogna che la chimera continua a ripetersi da mesi


“mi hai chiesto di vederci”

“non sono stato…”


“lo so – soffia Liam, le nocche pallide ed i polpastrelli pressati al bordo del tavolo – non sono così stupido”

“non risponde alla domanda”


Ha bisogno di sapere Theo, vuole sentirlo, vuole credere possibile che quel desiderio, per mesi ricacciato in meandri inesplorabili della mente, non sia unicamente suo, ha bisogno di sapere che anche Liam, una piccolissima parte di Liam, desiderasse rivederlo, ma non avesse il coraggio o peccasse d’orgoglio, come lui, per poterlo ammettere persino a sé.

Il mannaro sente il peso di quegli occhi, quegli occhi di tempesta, su di sé e non riesce a controllare il cuore, un organo impazzito che pulsa frenetico, incolpa la rabbia, incolpa il lupo che graffia chiedendo di poter emergere, incolpa quella dannata domanda a cui non sa come rispondere, che si è posto lui stesso, che non ha trovato giustificazione, che è stata seppellita da così tante scuse che ora Liam non sa neppure più come spiegarsela, inspira ed espira, il legno scricchiola sotto la morsa delle dita


“perché volevo – sibila, maledicendo la dannatissima sincerità, un punto debole – volevo farlo, volevo vederti”


Theo è cresciuto imparando a controllare ogni singola reazione, ogni emozione, è sempre stato in grado di gestirle, controllarle, simularle e, persino, negarle, ma questa volta, questa singola volta, non ci riesce, perde un battito e per quanto possa impegnarsi il cuore non vuole rispondere agli ordini e continua a pulsare impazzito nel petto, trattiene il respiro concentrando lo sguardo alla tazza che rischia di spezzarsi tra le mani


“perché?”


Sussurra, è tutto ciò che riesce a dire, tutto ciò che vuole sapere è racchiuso in quella singola, semplice, domanda e l’odore dell’agitazione pizzica tra le narici, si mescola alla rabbia, alla tristezza, all’ansia e Theo non sa più dire se provenga da lui o da Liam che s’agita nervoso al divanetto, chiedendosi se sia più saggio andarsene oppure se sia meglio ignorare i clienti presenti e far collidere le nocche al volto della chimera.

Come diamine dovrebbe risponderli?

Che ha passato gli ultimi mesi a chiedersi quando, come, dove poterlo incontrare di nuovo?
Che non è mai riuscito a scacciare il sapore di quell’unico, insensato, bacio?

Cosa dovrebbe dirgli?

Che si sente un perfetto idiota per aver sempre cercato di negare qualcosa che non poteva fingere di non sentire?

Alzarsi ed andarsene, come fece Theo quella dannata notte, è l’unica cosa che  Liam riesce a fare, colpirlo lì, davanti a tutti, sarebbe stato soddisfaziente, ma non saggio e, con quel poco di lucidità che gli resta, prima che la rabbia prenda il sopravvento, prima di esplodere come una bomba fuori controllo, decide che lasciarlo lì, seduto a quel dannato tavolo, fuggendo via da quel locale, da quelle iridi glauche, dal suono di quel cuore che è un tamburo impazzito; andarsene lontano da Theo è la cosa migliore da fare.

Gli occhi della chimera ne fissano la sagoma allontanarsi rapida, paralizzato tra la plastica rossa del divanetto, la tazza ancora stretta tra le dita, è difficile respirare, è difficile muoversi, è difficile sopportare l’eco di quei battiti frenetici, percepisce il calore di una mano femminile che gli stringe debolmente la spalla, non volge il capo, non cerca le iridi nocciola di Esme, sembra essersi dimenticato come ci si muova


“va da lui – gli dice soltanto la castana, sfiorandogli lieve la spalla – digli quello che senti, Theo”


Scivola dolcemente la mano di Esme, sfilandogli la tazza dalla morsa, incastrandosi poi tra le dita della chimera, guidandolo ad alzarsi


“vai – sorride dolce, carezzandone appena le nocche – vai da lui”


Una spinta, lieve, come il soffio d’una brezza sottile, smuove Theo e le gambe sembravano non attendere altro, si muovo autonome, passi lenti, incerti, che divengono poi ampie falcate, sempre più veloci, sempre più frenetiche, sino a tramutarsi in una maratona non appena la porta del locale sbatte tra i cardini alle spalle della chimera e si lascia guidare, dall’odore di Liam, dalla traccia che è rimasta ad aleggiare nell’aria, si lascia guidare dall’istinto di un desiderio testardamente respinto per troppi mesi. 


 


 
Innanzitutto ringrazio tutti i silenziosi lettori e coloro che hanno aggiunto e stanno continuando ad aggiungere tra i seguiti/preferiti/ricordate la storia; grazie mille. 
Passando al capitolo mi spiace che sia un po' corto o che non sia molto "allegro", ma sono quel genere di persona che va molto a rilento; perdonatemi. 
Ad ogni modo spero che possa esservi piaciuto lo stesso, come al solito ogni commento o critica costruittiva è ben accetta. 

Grazie ancora a tutti,
alla prossima 

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Capitolo 11
*** Chapter Eleven : I Was Late But I Arrived ***


Chapter Eleven : 
I Was Late, But I Arrived


 “lo hai fatto davvero?”
   
“sì, ho dovuto”


“hai la sindrome da cupido, Esmy”

“mi avrai contagiata tu, Greenberg”
 



I muscoli dei polpacci bruciano, percorsi da formicolii di fiamme, la milza minaccia d’esplodere ed i polmoni si contorcono cercando ossigeno, ha corso così tanto Liam da essere riuscito nella difficile impresa di affaticare il fisico a dispetto delle capacità sovrasviluppate; a rifletterci meglio gli sembra così ironicamente ridicolo, che genere di abilità migliorate sono se non riescono a resistere per più di qualche metro?
È assurdo, come se Flash potesse stancarsi di correre per una manciata di minuti, ma la verità è che Liam ha corso per più di qualche minuto e pochi metri e la riserva che si staglia dinnanzi ai suoi occhi ne è la conferma; deve aver percorso chilometri, per ore, inconsciamente spinto dalla necessità d’una fuga.

Quando siano emersi gli artigli, da sotto la cute, sostituendo le unghie non lo sa con certezza, li infossa tra i palmi, ferendosi, stille di sangue colorano l’erba sottostante, la luna alta nel cielo è un mezzo sorriso che si prende gioco di lui; le stelle puntini luminosi che si perdono nell’orizzonte dell’infinito, dove vorrebbe perdersi anche lui.
La quiete della notte, si dice Liam, lo aiuterà a respirare, placare il lupo interiore, fissa il cielo ripetendosi quel mantra che gli è stato insegnato, ma un odore sin troppo familiare ne impedisce l’effetto desiderato ed un ringhio baritonale si forma istintivo tra le corde vocali, incastrandosi nella gola, perdendosi in iridi d’oceani in tempesta, in quegli occhi Liam potrebbe annegarci, boccheggia cercando l’ossigeno che ora manca ancora più di prima.

Theo è lì, immobile, gocce di sudore ne imperlano la fronte, il busto s’agita nel tentativo di recuperare il respiro e regolarizzare il battito cardiaco, deve aver corso quanto, se non più, di Liam.

Con quale scopo?

Se lo chiede il mannaro, mentre rivoli di sangue ne macchiano le nocche pallide e bagliori di gialla ira s’incastrano tra iridi glauche tremule


“se non avevi soldi per il caffè bastava dirlo, Dunbar”


Quel ghigno sfacciato Liam vorrebbe strapparglielo dal viso, lo ha seguito per potersi prendere gioco di lui?
Ha corso per chilometri con l’unico scopo di deriderlo?

Il ringhio rimasto incastrato nella trachea emerge riecheggiando tra gli alberi, lontano dagli sguardi della cittadina, per chiunque lo udirà sarà solo un lupo adirato impegnato in qualche scontro ed è così che Liam si sente, un lupo irato pronto a scattare in difesa.
Theo, che nel leggere le emozioni ha basato buona parte della vita, deve averlo compreso ed il ghigno scema rapido, le labbra si distendono in una linea sottile, seriosa


“sei scappato”


È una constatazione tanto sciocca che Liam si stupisce persino provenga dalla bocca della chimera, la lingua batte tra i canini ed ogni pensiero si focalizza sul desiderio, persistente, di scagliarsi contro Theo e lasciare che sia la rabbia di pugni ben assestati a parlare, ignorando tutto ciò che si nasconde dietro quel costante pensiero di collera, Liam non permetterà di certo alle sue labbra di scontrarsi con quelle della chimera, no, saranno le sue nocche a scontrarvisi


“non ti ho invito quel messaggio – inspira Theo, avanzando cauto, sollevando le mani al busto, i palmi rivolti al mannaro – ma avrei…voluto”


La sincerità è una qualità nuova della chimera, continua ancora a sorprendere e stupire Liam, nei momenti meno prevedibili, ogni volta, come ora che persino la rabbia e la furia del lupo ne sono spiazzati al punto da placarsi


“ma non lo hai fatto, mai”


È un sussurro la voce del mannaro, un eco che suona così distante da spingerlo a domandarsi se abbia davvero parlato o se l’abbia solo pensato, ma il pungente sentore della tristezza, amara, aspra, colpevole tristezza che pregna la pelle di Theo può soltanto significare che quel flebile soffio era la sua voce che palesava ciò che per mesi aveva atteso


“te ne sei andato – è un’accusa, densa di rabbia sopita, quella del mannaro – senza dire nulla”

“come se non fosse quello che volevate tutti”


Sibila la chimera, astio e cinismo si mescolano nella voce, è il dannato orgoglio che rovina sempre ogni singola parola che fuoriesce dalla sua labbra, è nei lampi gialli che attraversano le iridi di Liam che Theo maledice la propria lingua, percepisce già il dolore di un pugno che, a breve, gli frantumerà il setto nasale con una tale violenza che forse riuscirà persino a bloccare il sovrannaturale processo di guarigione e sa, sa già, di meritarlo davvero; questa volta 


“ma non te ne sei andato davvero – ringhia il mannaro, i pochi centimetri che li dividono rendono ancora più intenso l’odore pungente della rabbia che li circonda – sei ancora qui, purtroppo”


Più doloroso di qualsiasi pugno, fa più male d’una coltellata al petto, è una lama che si conficca nel cuore, venire risucchiato e trascinato all’inferno sarebbe persino meno doloroso, le fiamme che ne divorerebbero la pelle brucerebbero meno di quelle parole che ne stanno incenerendo il cuore, al punto che Theo teme abbia cessato di battere eppure sa di meritare anche questo, sopratutto questo, non si stupirebbe se anche Liam, alla fine, come tutti, avesse scelto di odiarlo per ogni singolo errore che Theo ha commesso 


“prenditela con te stesso – sono grida di cinico dolore le parole della chimera – potevi lasciarmi in quel buco”


Ed è allora, nel riecheggiare della sua stessa voce, che quel pugno, che Theo attendeva già da minuti, s’infrange con furia contro la superficie del naso, sente distintamente l’osso spezzarsi, scariche d’elettrico dolore gli percorrono la spina dorsale, vacilla perdendo l’equilibrio, riuscendo a poggiare i palmi tra l’erba, attutendo appena la caduta, rivoli di caldo sangue scivolano macchiandone le labbra, il respiro si mozza schiacciato sotto al peso del corpo di Liam, che preme contro il ventre della chimera, Theo potrebbe spingerlo via, scagliarlo al suolo, ma un altro pugno, all’altezza della mascella, gli appanna la vista ed il sapore ferroso del sangue si espande al palato


“non riesci proprio a gestirla – sputa sangue e bile Theo, macchiando l’erba sottostante, volgendo poi il capo alle iridi, punti gialli nelle notte, del mannaro –  la rabbia, ragazzino”


È masochismo, si dice la chimera, mentre l’eco delle sue stesse parole gli risuona nella mente, a quanto pare gli è impossibile evitarsi problemi.
Afferra i polsi del mannaro, prevedendo ulteriori colpi densi di violenta ira, lotta contro l’agitarsi collerico di Liam, sforzando la schiena nel tentativo di capovolgere la situazione, impiega svariati minuti prima di riuscire a sovrastare il mannaro che continua a muoversi, lo sguardo annebbiato dalla rabbia, sotto al peso di Theo, ne tiene i polsi incastrati tra le dita, stretti al suolo, sedendoglisi cavalconi sopra al ventre 


“devi impegnarti di più, se vuoi uccidermi”


Soffia, chinando il volto a sfiorare quello di Liam che ringhia, mostrando canini appuntiti pronti a mordere ogni centimetro di pelle, ma c’è un odore, lo stesso che notti fa spinse Theo a fuggire, che pregna l’area circostante, che li avvolge, che ne invade con insistenza le narici, l’inconfondibile odore dell’eccitazione, del desiderio, assurdamente sconveniente si dice la chimera mentre un ghigno mellifluo si forma spontaneo tra le labbra.

C’è qualcosa di incredibilmente malsano in tutto ciò, c’è sangue, rabbia, dolore, tristezza, c’è eccitazione, desiderio, se dovesse ragionare nella norma di un romanticismo che non possiede Theo oserebbe persino dire che è insano o, quanto meno, anormale Liam che s’agita, si contorce sotto di lui, ringhiando ira, odorando di lussuria.
Insano, pensa Theo, quasi quanto ignorare gli artigli del mannaro, i cani appuntiti, le gialle iridi e premere, con la stessa violenza di un pugno, lo stesso impeto d’un colpo ben assestato, le labbra contro quelle di Liam.

Come quella notte, un'immagine che si ripete.

È istintivo, è impulsivo, è frenetico, lo scontro d’umide lingue che s’intrecciano tra palati dal sapore ferroso, è adirato, bisognoso, impaziente, infuocato lo scontrarsi di labbra sporche di sangue, di denti chiazzati di cremisi, la necessità d’ossigeno è l’unico motivo che li costringe ad interrompere quel bacio di passione repressa da mesi.
Le iridi del mannaro sono cieli limpidi attraversate da fulmini, degli artigli sono rimaste solo tracce rosse tra i palmi, del setto nasale rotto Theo riporta solo linee di sangue grumoso, le bocche di entrambi sporche di macchie cremisi, gonfe ed umide, le pupille dilatate della chimera ne rendono scuro di desiderio lo sguardo


“non scappi?”


Soffia Liam, il respiro irregolare ed il cuore che pulsa impazzito, agitandosi tra la gabbia toracica, minacciando di implodere, le labbra di Theo sfiorano ancora le sue, un ghigno sfacciato ne fa risplendere i denti


“dovrei?”

“l’ultima volta lo hai fatto”



C'è ancora rabbia tra le iridi azzurre del mannaro, il lupo si è soltanto placato, e la chimera inspira, socchiudendo gli occhi, sfiorandone il collo con la punta del naso, risalendo poi sino al lobo destro


“vuoi che sia come l’ultima volta?”


Il caldo respiro della chimera s’infrange tra le pelle del mannaro ed un brivido scivola lungo la spina dorsale di Liam, il sangue ribolle tra le vene, non saprebbe neppure definire se sia ira o desiderio, tutto ciò che sa è che le sue mani si muovo ancor prima che possa ordinarglielo, incastrandosi tra i capelli di Theo, il mannaro issa le spalle quel tanto che basta a permettergli di far collidere, nuovamente, le loro labbra e tornare ad assaporare, con la violenza e l’impeto di una passione ignorata per troppo tempo, quella bocca che per troppe notti si è accontentato di sognare soltanto.

No, non vuole che sia come l'ultima volta.

Cosa vuole Liam, anche a chiederselo, non saprebbe dirselo, tutto ciò che sa è che non vuole smettere di provare quel groviglio d'emozioni caotiche e confuse che sente ogni volta che i loro occhi s'incontrano e le loro bocche si scontrano, ogni volta che pensa, che sente, che vede Theo. 

Tutto ciò che Liam sa è che ora, in questo preciso istante, se qualcuno dovesse chiedergli come si sente potrebbe rispondere, con la consapevolezza di non essere compreso affatto, che si sente felicemente arrabbiato; e non è mai stato meglio e peggio di così. 
 



 
“ehi, Miss Cupido, vuoi un passaggio?”
 
“ah sì, se aspetto quel coglione si fa giorno”


“dici che…”

“ovviamente, si staranno già accoppiando come animali in calore”

“Dio mio Esmy! Per favore…perché devi farmi immaginare certe cose? Dio…”

“e chi ti costringe Greenberg, non è mica colpa mia se hai una mente perversa, mio caro” 


 


 
Comincio con lo scusarmi se i personaggi risultano un po' OOC, si fa quel che si può.
Continuo con il ringraziare tutti colore che aggiungono ed hanno aggiunto tra preferite/seguite/ricordate la storia ed anche tutti i silenziosi lettori, spero vi stia piacendo. 
Ringrazio anche, ovviamente, gli splendidi recensori che mi riempono il cuoricino di gioia, davvero grazie mille ogni volta mi strappate un sorriso ebete. 
Spero che il capitolo non sia troppo noioso e che abbia soddisfatto un po' , almeno un pochino, le aspettative lasciate nel precedente capitolo. 

Grazie ancora a tutti, 
alla prossima 

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Capitolo 12
*** Chapter Twelve : I Overthink And Think Twice ***


~ Chapter Twelve : I Overthink And Think Twice ~



Voleva aspettarlo, restare sveglia, attenderlo al rientro, ma evidentemente la stanchezza deve aver avuto la meglio su di lei ed Esmeralda si è ritrovata a crollare, la fronte poggiata agli avambracci, incrociati al bordo del tavolo, e le gambe distese al divano, rannicchiate ed intrecciate tra di loro, in una posa tanto innaturale che ora, massaggiandosi il retro del collo, rimpiange d’aver assunto; si è risvegliata di soprassalto, le ciglia ancora incastrate tra di loro e le labbra screpolate, quando la porta della roulotte si è richiusa lentamente alle spalle di Theo


“che ore sono?”


Chiede, la voce impastata dal sonno interrotto, uno sbadiglio camuffato dietro un tiepido sorriso assonnato, la chimera fruga tra le tasche dei jeans cercando il cellulare


“quasi le una”


Dice quando riesce a trovarlo e ad Esmeralda non sfugge l’ombra d’un sorriso, maldestramente camuffato dietro uno sbuffo, né sfuggono i capelli arruffati ed i vestiti stropicciati della chimera 


“serata movimentata?”


Nasconde un risolino furbo la castana, scostandosi ciocche dagli occhi, sistemandosi in una posa più comoda, stiracchiando le gambe indolenzite e Theo distoglie rapidamente lo sguardo


“allora – trascina le lettere con fare infantile Esme – com’è andata?”


Non ha bisogno di guardarla per sentire l’insistenza d’iridi nocciola indagare alla ricerca di dettagli che Theo non ha intenzione di fornirle, ma che, comunque, finirà per raccontarle, a volte sospetta che anche lei nasconda sovrannaturali segreti, possibile che riesca sempre a scucirgli parole dalle labbra serrate?


“okay, faccio da sola – ridacchia cristallina la castana, incrociando le gambe, la schiena ritta poggiata al divano – è andata bene, più che bene, ma…ti ha dato un pugno?”


Sì, deve avere decisamente qualche strano potere, se ne convince la chimera, perché si è pulito ogni minima traccia di sangue dal volto e non ha idea di come possa essere riuscita a scorgere residui che, ne è certo, non dovrebbero neppure esserci


“un po’ te lo sei meritato – schiocca al palato la castana, assottigliando lo sguardo, arrampicandosi allo schienale del divano per poter studiare meglio le micro espressione di Theo – ma almeno vi sarete baciati, presumo, forse avete fato anche altro, rabbia e passione eh?”

“come ci riesci?”


Esclama alla fine la chimera, sul serio è da mesi che se lo chiede, come diamine ci riesce, com’è possibile che Esme sembri sempre sapere la verità ancor prima che venga enunciata?
La giovane scrolla le spalle con fare ovvio, incastrando una ciocca dietro l’orecchio


“osservo, semplice deduzione Watson”

“allora posso anche non parlare, Sherlock”



Ribatte sarcastico Theo, spogliandosi dei vestiti, nel rigirarseli tra le dita nota qualche piccola traccia, macchie d’erba e fango, talmente insignificanti che gli pare ancora più impossibile che Esme possa essere riuscita a notarle, ma a quanto pare quella ragazza ha davvero una lente d’ingrandimento naturalmente incorporata alla vista


“è più divertente se me lo racconti – s’imbroncia infantilmente la castana, volgendo il busto alla chimera – e mi risparmi la fatica di dover andare per deduzioni...dai, per favore”


Intreccia le dita nella smorfia di una preghiera, fissando Theo intento nel sistemarsi la tuta sgualcita con cui è solito dormire, questa è un’altra di quelle cose strane che solo Esme sembra essere in grado di fare, da quando hanno cominciato a condividere la roulotte non l’ha mai vista indugiare sul suo aspetto, non è narcisismo, ma semplice consapevolezza e Theo sa, perfettamente, d’avere un aspetto alquanto attraente eppure Esmeralda non l’ha mai guardato, neppure per un singolo istante, nello stesso modo in cui la maggior parte della popolazione femminile e, spesso, anche maschile lo hanno guardato nel corso della vita; lei semplicemente lo guarda, perfettamente indifferente.

Non guarda il corpo, gli addominali, i bicipiti, Esme lo guarda fisso negli occhi, lo guarda al di là dell’aspetto e, a volte, Theo ne è persino segretamente terrorizzato; ha il timore che un giorno riuscirà a vedergli persino quell’anima sporca che con fatica ha nascosto per tutto questo tempo.
A volte pesano quegli occhi disinteressati che lo guardano come se fosse sempre stato lì, in quella roulotte, come se sia sempre stato parte di quella famiglia numerosa, come se sia un fratello ritrovato ed ha il sospetto che, infondo, Esme sappia già quanto nera sia la sua anima e, per qualche assurdo motivo, abbia scelto di non darvi alcun peso e, in fondo, è piacevole.

Essere guardato come un essere umano la cui vita possiede ancora un barlume di speranza, di valore, dopotutto è confortevole e Theo c’ha fatto l’abitudine; ci si è persino scavato un rifugio negli sguardi da sorella di Esme.
Forse, se non si fosse mai macchiato l’animo e le mani di sangue innocente, è questo quel che avrebbe potuto avere con Tara.


“Theo?”


Lo richiama la castana, inclinando appena il capo, la voce vibra d’impercettibile preoccupazione e la chimera sbatte le palpebre, focalizzando l’attenzione al volto della giovane che sussurra un tenue


“va tutto bene?”


Cosa succederebbe se le rivelasse la verità, quell’unica verità, che forse ancora le sfugge? 
Cosa succederebbe se fosse completamente, totalmente, sincero con lei?
Se soltanto a lei concedesse la possibilità di vederlo, vederlo davvero, oltre ogni maschera, inganno e finzione?
Preferisce non avere risposta a nessuna delle domande, preferisce restare così, in bilico, nella sicurezza che si è creato 


“ehi Watson, so dedurre, ma non leggere tra i pensieri – ironizza la castana, poggiando i gomiti al bordo dello schienale, il mento sorretto tra i palmi – non sono il professor Xavier, se vuoi…non ti giudicherò, lo sai, al massimo ti insulterò un po’, soprattutto se sei scappato, di nuovo”


Riesce a scucirgli un sorriso tirato, visibilmente incerto, e per un’istante Theo si convince che, forse, a lei potrebbe davvero raccontare ogni terribile azione di cui si è macchiato le mani  e non essere odiato comunque, forse lei sarebbe davvero così folle da riuscire a guardare oltre ciò che un tempo è stato; infondo lo accolse e lo aiutò quando ancora non sapeva neppure quale fosse il suo nome


“non sono scappato”


Soffia camuffando un sorriso sghembo la chimera, distendendosi al materasso, gli avambracci intrecciati dietro alla nuca poggiata alle lamine di freddo ferro rivestito della roulotte


“com'è andata allora? – chiede Esme che, a quanto pare, è incredibilmente abile nel leggere emozioni inespresse, avanzando rapida sino al letto – va più in là”


Lo scaccia infantilmente gettandosi al materasso con la medesima grazia d’un elefante che si tuffa da un trampolino, com’è possibile che un corpo tanto minuto possa creare così tante confusione si dice Theo spostandosi a sinistra, lasciandole un ampio spazio al fianco che la castana occupa puntellando il gomito al cuscino, inclinando il capo in quell’espressione, una smorfia concentrata, che assume ogni volta che vuol cercare di scavare tra i silenzi di Theo


“avevi macchie di fango tra i jeans e sono piuttosto certa ti abbia tirato un pugno – ridacchia Esme – o mi dici che c’ho preso oppure continuo a parlare per supposizioni finché non ti sfinisco e sappiamo entrambi che ci riuscirò, molto presto”


Schiocca la lingua al palato con assoluta certezza, incastrando il braccio sotto la nuca, la chimera inspira, sollevando le sopracciglia, annuendo impercettibilmente, ha ragione, ci riesce sempre, tanto vale parlare si dice


“sì, mi ha tirato un pugno – ammette, lanciando un’occhiata in tralice alla castana – non capisco come tu ci riesca, ma è successo”

“non ti sei pulito bene dal sangue – chiarisce semplicemente la giovane, l’indice volteggia a mezz’aria, indicandogli il naso – e…poi? Lo avete…sì, insomma…avete…eh?”


A Theo fanno quasi sorridere le smorfie imbarazzate che plasmano il volto di Esme, vorrebbe quasi risponderle di sì, per il gusto di vederla arrossire e poi squittire come uno scoiattolo sotto effetto d’allucinogeni dalla gioia, perché è certo che quella sarà la sua reazione e la cosa lo diverte, è teneramente infantile e, se non avesse ormai da tempo accettato il nuovo lato, più umano, di sé, penserebbe di essere completamente uscito di testa; ma da quando ha incontrato Esmeralda ha lentamente cominciato a divenire consapevole d’ogni minimo cambiamento che l’inferno ha contribuito a generare e non tutti sono negativi


“no – dice invece, l’ombra di un sorriso smaliziato a dischiudergli le labbra – ma avremmo potuto”

“cazzo, non te ne sarai mica andato sul più bello?”


È un rimprovero, la chimera può leggerlo nel tono esterrefatto e vagamente esasperato della giovane, si passa una mano tra i capelli, scostandosi alcune ciocche che ne ricadono alla fronte


“innocente – sbuffa, è ancora infastidito dalla prematura e brusca interruzione avvenuta solo pochi minuti prima – l’hanno chiamato, è dovuto andare di corsa”

“fanculo – esclama tra i denti Esme, sollevando appena il capo, le iridi nocciola brillano di genuina serenità – ma almeno adesso non hai più scuse, dovete vedervi di nuovo, prendi il telefono”


Gli ordina e Theo, deve ammetterlo, comincia a sospettare sempre di più che quella figura minuta, se soltanto lo volesse, potrebbe uccidere qualcuno rivolgendogli il giusto sguardo, c’è una tenue minaccia che si nasconde dietro quegli occhi di cioccolata, una minaccia che la chimera non sente la necessità di scoprire, sospira teatralmente afferrando il cellulare dalla tasca della tuta stropicciata, restando in attesa a fissare i cristalli liquidi dello schermo accecarlo


“non ti consiglierò di augurargli la buonanotte, non sei decisamente il tipo – a quanto pare Esme lo conosce meglio di quel che crede, si sistema al cuscino la castana, battendo la lingua ai denti – digli quel che vuoi, basta che gli lasci capire che vuoi rivederlo perché tu vuoi farlo”

“credo di s…”

“Theo non era una domanda – ridacchia cristallina la castana, rannicchiando le ginocchia al petto, armeggiando con le coperte – so che vuoi farlo, adesso scrivigli quel che ti pare e poi spegni la luce per favore, sto crollando dal sonno”


Conclude infine, riuscendo nel difficile compito d’infilarsi sotto le coperte, allungando nuovamente le gambe ed aggiustandosi al materasso, chiudendo già gli occhi e Theo, può scommetterci, è certo che tra qualche minuto dormirà come una bambina serena.
Scuote il capo ritrovandosi a sorridere, mai avrebbe immaginato di poter essere tanto umano, non lui che l’umanità era certo di non averne mai posseduta o di averla svenduta in cambio d’un effimero potere che, alla fine, non era neppure riuscito ad ottenere; forse Esme ha davvero qualche strana capacità, una specie d’influenza positiva, qualcosa che lo aiuta a lasciar emergere il meglio di sé, quel meglio che non credeva neanche di avere.

Sfiora lo schermo del cellulare, picchiettando parole incerte, cancellando e ricomponendo un messaggio che non sa davvero come scrivere, decidendo infine di essere semplicemente quel che è


 
“la prossima volta spegni il cellulare Dunbar, non mi piace essere interrotto”


Nell’attesa che il messaggio giunga a destinazione Theo si dice che, se Liam non aveva già il sospetto che fosse un perfetto idiota quelle parole possono decisamente esserene la conferma, dannazione poteva scrivere qualcosa di meno arrogante, ma chi vuol prendere in giro, non ci sarebbe riuscito neppure se avesse cercato su google come poterlo fare.
Al diavolo, si dice, cercando di scivolare cautamente tra le coperte, facendo attenzione a non svegliare la già dormiente Esmeralda, quanto meno è stato chiaro, ci sarà una prossima volta, la vuole, diamine se la vuole. 

 
 
~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~
 

“la prossima volta spegni il cellulare Dunbar, non mi piace essere interrotto”


No, la prossima volta si ricorderà di dovergli rompergli il setto nasale almeno altre due volte prima di lasciarlo parlare.

È già sufficientemente imbarazzante essere stati interrotti dalle grida, decisamente isteriche, di sua madre che urlava in un misto confusionario, tra il preoccupato e l’irato, una sequenza di imprecazioni e plausibili punizioni per il semplice motivo che Liam, da bravo adolescente, si era dimenticato di avvertirla che avrebbe ritardato, a dire il vero non le aveva neppure detto che sarebbe uscito.
Come se tutto questo non fosse bastato a farlo avvampare di vergogna c'ha pensato il risolino di Theo, un ghigno sfacciato, e, probabilmente, gli zigomi dovevano aver assunto il colore di pomodori molto maturi, decisamente maturi se si aggiunge il piccolo dettaglio che lo stronzo stava ridendo di Liam mentre si aggiustava, con assoluta disinvoltura, la lampo dei jeans.

E adesso questo, il messaggio che il mannaro inserirà nella sua nuovissima e personale classifica dei cento motivi per cui Theo Raeken è una testa di cazzo e Liam Dunbar un dannato idiota; una lista che probabilmente dovrà persino allungare perché sospetta già che cento motivazioni non siano abbastanza.


“vaffanculo Raeken, la prossima volta non ti darò neppure il tempo di guarire prima di fratturarti il naso, di nuovo”


Digita così rapido, inviando così freneticamente quel messaggio al mittente che ci riflette solo poi, dopo minuti trascorsi a fissare le sue stesse parole lampeggiare tra i cristalli liquidi, di aver implicitamente ammesso che ci sarà una prossima volta.

Primo motivo per cui Liam Dunbar è un idiota : non si sofferma a riflettere, non ne è in grado.

È evidente, se lo fosse non si sarebbe mai lasciato trascinare in una simile situazione, a torturarsi la mente per quello che, neppure troppo tempo fa, era stato il nemico pubblico numero uno del suo branco e che, non lo ha dimenticato, lo ha semplicemente accantonato in un angolo per motivi sconosciuti, lo ha quasi portato ad uccidere il suo stesso alpha; manipolandolo.

E cos’ha fatto Liam?

Lo ha tirato fuori da qualsiasi posto Kira l’avesse rinchiuso, lo ha persino ospitato in casa sua e si è lasciato intossicare da qualche strano incantesimo, perché è indubbiamente così che è andata, Theo deve avergli fatto qualcosa, qualcosa che Liam non riesce a capire, qualcosa che riporta ogni pensieri, tutta l’attenzione, ogni singola cellula del corpo del mannaro alla chimera.
Qualcosa che lo ha spinto, pochi minuti prima, a provare l’irrefrenabile desiderio di mandare al diavolo, per una volta, sua madre, che è la donna che lo ha messo al mondo, che adora e che proteggerebbe persino dalla naturale morte, perché la voglia di staccarsi dalle labbra della chimera, di allontanare le mani di Theo, incastrate tra i suoi capelli, era decisamente scarsa; anzi assente per essere precisi.

E se questo non è un qualche genere di strano incantesimo, allora significa che Liam è davvero un idiota e, alla fine, c’è cascato, il suo peggior sospetto si è tramutato in verità, innegabile verità, Liam Dunbar è caduto in un buco, metaforico questa volta, che ha un nome ed una spiegazione che, in tutta onesta, preferirebbe evitare ripetersi.

Sbuffa rumorosamente, gettando il cellulare al comodino, lasciandosi cadere al materasso che cigola sotto al peso del mannaro


“vaffanculo Raeken”


Soffia tra le labbra dischiuse, se potesse osservarsi noterebbe l’ombra di un sorriso increspargli gli angoli della bocca e, molto probabilmente, si prenderebbe a schiaffi da solo, ma infondo è spontaneo istinto, del resto, per quanto Liam si sia sforzato di negarselo, è da quella fatidica notte in cui le labbra di Theo si scontrarono con le sue che non ha mai smesso, neppure per un istante, di chiedersi come sarebbe stato andare oltre, approfondire il bacio, gettare a terra i vestiti ed approfittare del letto.

E questa sera, finalmente grida una vocina nascosta da qualche parte nella mente del mannaro a cui Liam prova a non dare ascolto, l’immaginazione è stata messa da parte e la realtà l’ha colpito in pieno, così forte che gli rimbomba ancora il cuore nel petto, e la lucidità è andata a farsi una passeggiata nel bosco lasciandolo lì, in balia di desideri repressi e labbra incredibilmente soffici.

La fortuna per Liam è stata che Theo, a quanto pare, era forse persino più impaziente di lui e lo stupore, per il mannaro, è stato scoprirsi incredibilmente audace.

Ha ignorato il sangue, conseguenza delle sue stesse azioni e della rabbia, la radura e la remota, ma plausibile comunque, possibilità che qualcuno potesse vederli ed ha lasciato che le sue mani agissero, prima ancora che la mente potesse riuscire a formulare barlumi di pensieri vagamente lucidi, nel battito di ciglia i jeans di entrambi sono scivolati lungo i fianchi, fermandosi oltre le ginocchia, le dita del mannaro non hanno indugiato, dimenticando ogni minima traccia di pudore hanno accarezzato il membro eretto della chimera, stringendosi poi delicate, in un lento su e giù che Theo, a giudicare dai mugugni soffiati nell’incavo del collo di Liam, deve aver gradito al punto da decidere di imitarne i gesti.

E al mannaro il paradiso non è mai sembrato tanto vicino e gli sarebbe bastato anche questo per potersi considerare la persona più felice, se non del mondo, di tutta l’America, ma poi il paradiso lo ha visto, nella penombra rischiarata da lievi raggi lunari, l’ha visto chiaramente, l'ha sentito su pelle, ad ogni tocco, ad ogni carezza e, fluttuando in una nuvola di pura estasi, in paradiso c’è entrato non appena quelle labbra dannatamente carnose gli hanno avvolto la superficie, già umida, dell’intimità e la ruvida lingua di Theo si è soffermata a degustare ogni singolo centimetro di pelle.

In paradiso Liam, poi, ci si è perso, aggrappandosi con forza alle sbarre, rifiutandosi di uscirne, quando la chimera, senza battere ciglio, senza neppure dargli tempo d’essere avvertita, si è riempita la bocca di sperma, ingollando senza esitare, quando Liam è riuscito a riaprire gli occhi un’ondata d’improvvisa pudica vergogna l’ha invaso, mentre le iridi glauche di Theo lo fissavano smaliziato, leccandosi le labbra come se avesse appena assaporato il più delizioso dei nettari.

Ed in quel preciso istante, ormai rimpiombato a terra, Liam ha mandato a quel paese ogni vergogna, ogni timore, ogni dannato dubbio ed ha afferrato, letteralmente, il momento; sfruttando quel poco che aveva avuto modo di apprendere in una calda estate di molti anni prima.

Ha ignorato lo sguardo titubante di Theo, che sembrava volergli chiedere se ne era sicuro, che nessuno lo costringeva a farlo, né ha azzittite le inespresse parole baciandolo con una tale foga da capovolgere la situazione e ricadergli sopra, approfittandone rapidamente per sfilargli i boxer e avvolgere, con studiata lentezza, l’erezione della chimera tra le umide labbra.

E se le invocazioni ad un ipotetico Dio, il respiro affannato, il rimbombare del cuore della chimera nei timpani di Liam non hanno mentito allora Theo deve aver apprezzato, più di quanto il mannaro immaginasse, quel maldestro tentativo di emulare la maestria dimostrata poco prima.

Molto probabilmente, se sua madre non l’avesse chiamato, Liam si sarebbe anche concesso molto volentieri ad una seconda sessione, ben più approfondita, ma è risaputo che le madri è meglio non farle alterare mai troppo, più pericolose di qualsiasi creatura sovrannaturale, quanto meno non ha lasciato incompleta l’opera; il retrogusto del sapore di Theo al palato ne è la conferma definitiva.
Non era un sogno, neppure nel migliore dei suoi sogni lucidi il mannaro sarebbe stato in grado di provare un tale piacere da esserne completamente inebriato, ancora adesso, a distanza di minuti.

Al diavolo, si dice rigirandosi tra le lenzuola, armeggiando al comodino


 
“domani sera, da me, alle otto”


Digita sintetico, ignorando l’ora tarda e la stanchezza che ne appesantisce le palpebre.

Motivo numero due da aggiungere alla lista : non si sente minimante in colpa.

Perché, non importa cosa dirà il branco, quando e se sapranno, Liam Dunbar non ha alcuna intenzione di rinunciare, né spezzare o far cessare in alcun modo, qualsiasi genere d’incantesimo Theo Raeken eserciti su di lui; l’inferno non è mai stato così dannatamente paradisiaco. 


 

 
Salutate Craig e Tweek che sono adorabili e trovavo particolarmenti adatti per questa storia. 

Ringrazio tutti i silenziosi lettori e coloro che hanno aggiunto tra preferite/seguite/ricordate questa roba qui, un grazie enorme anche alle splendide recensioni; che fa sempre piacere leggere. 

Spero che il capitolo non vi abbia né deluso, né annoiato troppo e che i personaggi risultino ancora un pochino IC. 

Grazie ancora a tutti, 
alla prossima 

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Capitolo 13
*** Chapter Thirteen : Please Don't Leave, It's All Happening ***


~ Chapter Thirteen : Please Don't Leave, It's All Happening ~


TRE MESI PRIMA


“sei sicura?”


Le chiede, per la millesima volta, Bianca sedendole affianco, al penultimo scalino della roulotte che Esme, da un anno, ha scelto come propria personale dimora, la castana inspira annuendo vigorosamente


“e va bene – sospira la maggiore delle sorelle, aggiustandosi la lenta crocchia che ne racchiude i lunghi capelli biondi  – ma promettimi di fare attenzione, ricorda che è difficile”

“lo so, ma – esclama con fermezza Esme, sorridendo entusiasta – andrà tutto bene”

“lo spero – le sussurra Bianca, avvolgendole le spalle sotto l’avambraccio destro, attirandola a sé – ma è un’aura difficile, così scura e spezzata”


La castana inspira, volgendo l’attenzione a quel fascio di luce che guizza, sgraziato, nel cielo, a chilometri di distanza da loro, che s’agita disarmonico, tormentato, una nube nera, dai contorni sgretolati, avvolta in un fascio violaceo, percorsa da punti giallastri che si confondono e mischiano ad altri grigi e rossi, attraversata da così tanti fili sbiaditi che si perdono nel cielo e da un unico, intenso, filo dorato.
È l’aura più martoriata che Esme abbia mai visto e non può ignorarla, da quando l’ha notata, due settimane fa, per pura casualità, mentre insegnava ad Irina come poter controllare il potere con cui è nata, ne è rimasta incantata e, la sua stessa natura, le ha imposto di sorvegliarla ed infine agire


“già – ammette alla sorella maggiore, in un tiepido sorriso che nasconde una lieve incertezza – ma che genere di zână(*) sarei se la lasciassi così? Ricordi, la mamma diceva sempre aiutiamo gli alti per aiutare noi stessi perché siamo...”

“custodi della fortuna meritata – conclude Bianca, scostandole una ciocca castana dal volto, carezzandole dolcemente la guancia – ma fa comunque attenzione, non voglio che ti accada la stessa cosa”


È un sussurro di malinconico dolore la voce della sorella, Esme inspira, poggiando la fronte alla spalla della bionda.
Il ricordo di quel tragico evento di dieci anni fa è ancora un’immagine insopportabilmente vivida, impressa, marchiata a fuoco nella memoria, ad eterno avvertimento che il dono con cui sono nate può portare sventura solo a loro stesse; espira melanconica la castana


“non accadrà, puoi vederlo anche tu”


Dice soltanto, tornando a scrutare quell’aura che, malgrado il tormento, malgrado gli innumerevoli punti rossi, le linee un tempo dorate sbiadite e macchiate di grigio, non ha traccia alcuna di pericolo


“lo vedo, ma questo non m’impedisce di preoccuparmi per te, promettimi che farai attenzione”

“te lo prometto e poi – sorride mesta Esme, sollevando il capo, le iridi nocciola incastrate in quelle smeraldo della sorella – lo poterò qui, se dovesse accadere qualcosa mi aiuterete voi”

“certo – rovista tra le tasche Bianca, afferrando un pacchetto consumato di sigarette stropicciate – ricorda però, sii cauta, alcune persone hanno bisogno di tempo per fidarsi”


Esmeralda annuisce, appuntandosi l’ennesimo suggerimento da sorella maggiore, alzandosi poi rapida dallo scalino della roulotte, sistemandosi la tracolla della borsa, tra le mani stringe una busta in plastica bianca e l’odore di delizioso pollo al forno che emana è così gradevole che, ne è certa, riuscirà a conquistarsi già un briciolo di fiducia solo mostrandoglielo


“per qualsiasi cosa chiamami”


Le ricorda Bianca, guardandola svanire rapida lungo la strada, seguendo quell’aura che Esmeralda sa già appartenere al ragazzo dagli occhi d’oceano che vive in un auto, vagando per la città senza meta.
Sorride annuendo frettolosamente alla preoccupazione della sorella, fissando il cielo, affrettando il passo verso quell’aura a cui deve ancora riuscire a capire come potersi avvicinare senza confessare la propria natura, non può mica dirgli quel che è, sembrerebbe inquietante e strano ed Esme non vuole allontanarlo; vuole solo aiutarlo ad ottenere la serenità che cerca disperatamente, la gioia di cui ha un disperato bisogno.
E, si dice, avvicinandoglisi sempre di più, anche se non sa ancora bene come è certa che ci riuscirà; in qualche modo.
 

 
PRESENTE (TRE MESI DOPO)  
 
La casa è silenziosa, molto più silenziosa del consueto, i coniugi Dunbar hanno lasciato al figlio le ultime utili direttive, tra cui una lista di numeri d’emergenza, della lasagna avanzata dal pranzo da riscaldare in forno, dell’insalata già condita in frigorifero ed un’invitante torta al cioccolato ricoperta di cocco, circa un’ora fa e Liam, da qualche minuto ormai, sta facendo del suo meglio per non divorare l’intero dolce, sotto l’effetto di una strana ansia che non riesce ad ignorare in alcun modo, concentrando l’attenzione al rumore incessante dell’acqua che scivola tra le pentole ed i piatti da lavare, strofinando disattento la superfice della teglia in vetro con una tale foga da farla risplendere di luce propria.

Per quanto si stia sforzando, comunque, non riesce a non udire l’incessante ticchettio delle lancette dell’orologio, affisso alla parete alle sue spalle, che scandiscono senza pieta alcuna lo scorrere del tempo, segnando le otto e quindici, ricordandogli crudelmente che l’ospite che sta attendendo, che per qualche assurdo motivo si rifiuta ancora di nominare, è in ritardo; di ben quindici minuti, sedici ora sospira poggiando anche l’ultima stoviglia nel ripiano sopra il lavandino.
Si asciuga le mani, gettando lo strofinaccio al tavolo della cucina, ponderando l’ipotesi di chiamare Mason e dirgli che ha cambiato idea e che se vuole venire, accompagnato da Corey, a guardare un film a casa sua non c’è alcun problema.
Ha già il telefono tra le dita quando il campanello trilla riecheggiando nell’ambiente ed il cuore salta un battito, fermandosi.

Diciassette minuti di ritardo, si ripete Liam che ha improvvisamente dimenticato come si respira, cercando di far tornare l’ossigeno nei polmoni ad ogni passo che lo divide dalla porta d’ingresso, afferrando la maniglia, aprendo meccanicamente, ritrovandosi a fissare iridi glauche che lo scrutano incuriosite.
Immobili, l’uno di fronte all’altro, trascorrono altri due minuti, prima che una voce tra i pensieri del mannaro gli ricordi che è decisamente scortese far attendere un ospite al portico


“entra pure”


Lo invita educatamente, come la madre gli ha insegnato ad essere sin dalla tenera età, e Theo tituba appena oltrepassando l’ingresso, fermandosi ad ascoltare il silenzio che avvolge la casa, interrotto soltanto dalla porta che si richiude alle sue spalle, come si respira? Bisogna prima inalare ossigeno, è così che si fa?
Si chiede cercando di non lasciar notare la rigidità di movimenti impacciati.
Dannazione, gli grida contro una voce nella mente, che ne è stato del Theo arrogante, sfacciatamente sicuro di sé?
In un moto di orgoglio inspira, riprendendo il controllo delle proprie azioni


“c’è un mot…”

“vuoi una fetta di dolce?”


Lo interrompe, tagliando a metà le parole della chimera, Liam grattandosi il retro della nuca, ripassando le nozioni di perfetto padrone di casa che la madre gli ha impartito quand’era piccolo, Theo arcua un sopracciglio, trattenendosi dal ridere, ghignando vagamente divertito; ha il sospetto che il cuore del mannaro fuggirà dalla gabbia toracica da un momento all’altro


“no, grazie”


Qualche piccola nozione da buon ospite deve averla appresa anche la chimera, in che modo e quando Liam non lo sa, ma c’è della studiata educazione nella sua voce e, sorprendentemente, si ritrova a constatare che, effettivamente, non conosce nulla del passato di Theo e si stupisce ad esserne curioso; ma sarebbe una menzogna neppure troppo credibile se si dicesse di non esserlo mai stato prima.


“posso offrirti qualcosa?”


Chiede, maledicendo il cuore che non vuole saperne di assecondare gli ordini che la mente gli impartisce e continua a pulsare impazzito, ancora qualche minuto e sarà costretto a raccoglierlo dal suolo e risistemarselo tra le costole pregandolo di restare calmo; come quello della chimera.
E, d’un tratto, le iridi del mannaro si velano d’incertezza, non dovrebbe essere così, il cuore di Theo dovrebbe battere quanto il suo, dovrebbe esplodergli nel petto, come accadeva ad Hayden ogni volta che s’incontravano, come accade a lui ogni volta che si perde tra le iridi glauche della chimera e se non lo fa, se non batte come un tamburo impazzito, allora significa che non può provare le stesse emozioni di Liam.


“no, grazie”


Gli ripete ancora una volta Theo, studiandolo dall’alto dei pochi centimetri che li dividono, nascondendosi poi nuovamente nel silenzio che li avvolge.
Cos’è che gli ha detto Esmeralda, prima di lasciarlo finalmente andare? Di usare precauzioni, già camuffa una risata la chimera, serrando la mascella, ma prima, cosa gli ha detto prima?
Di essere sincero, se lo ricorda bene, lo ha praticamente minacciato di farlo partecipare, contro ogni sua volontà, ad uno scontro di pugilato improvvisato nel giardino di fronte alle roulotte se tornerà da lei senza dargli la soddisfazione di poterlo considerare, finalmente ed ufficialmente, impegnato a conquistare Liam; Liam che se ne sta lì, immobile, rigido come una statua di marmo.


“non c’è nessuno in casa?”


È una constatazione ovvia ed una domanda fraintendibile, stupida persino, quella della chimera, ma è l’unica cosa che è riuscito a dire per cercare di sciogliere il giacchio che sembra aver paralizzato entrambi, ancora fermi nel mezzo del corridoio d’ingresso


“ah, uhm…no – deglutisce a vuoto Liam, lo sguardo vaga da un punto indefinito all’altro – mio padre aveva un convegno da qualche parte, mi madre ne ha approfittato”


La scarsa salivazione e la sensazione di secchezza alla gola sono un chiaro sintomo dell’agitazione e del panico che stringe in una morsa incredibilmente fastidiosa lo stomaco del mannaro, ma come può riuscire ad ignorarle se gli occhi d’oceano della chimera continuano a guardarlo con quell’espressione che Liam non  riesce a decifrare in alcun modo?

Indifferenza?

Noia?

Eppure la sera prima il mannaro si era convinto, così spontaneamente da non rendersene neppure conto, che Theo volesse rivederlo; per motivi che adesso sembrano sfuggire.


“bene”


Dice soltanto la chimera, cercando di trovare qualcosa, qualsiasi cosa, con cui poter approcciare una conversazione di senso compiuto, possibilmente qualcosa di leggermente più intelligente del tempo che fa fuori o delle recenti disavventure con i Ghost Riders; magari potrebbe seguire il suggerimento di Esmeralda e parlargli di quel che prova.
Ci pensa qualche minuto, cercando di mettere ordine tra i pensieri, studiando le giuste parole da poter dire, ma è inutile, neppure se avesse a disposizione un manuale di psicoterapia riuscirebbe a confessare così apertamente, di punto in bianco, ogni singola emozione che vortica caotica nella mente; non è decisamente nel suo stile confessarsi, non attraverso le parole.
C’è solo un modo possibile, un unico metodo che conosce : agire.

Liam è lì, di fronte a lui, boccheggia, le labbra dischiuse cercano di lasciar fuoriuscire suoni incerti e Theo decide, in quel preciso istante, che l’unico modo che hanno entrambi di liberarsi di un muto imbarazzo che pesa sulle loro spalle è ripetere, dal principio, le medesime azioni della sera precedente; evitando il pugno possibilmente, si dice Theo ghignando sfacciato.

Non anticipa le mosse, non concede spiegazioni, si limita a spingere il mannaro al muro alle spalle, pressandoglisi contro, imprigionandone le labbra nelle sue e, per un attimo, teme che l’improvvisa accelerazione nel battito cardiaco di Liam sia dovuta alla rabbia e che si ritroverà nuovamente a doversi pulire sangue dal naso, ma l’odore inconfondibile dell’eccitazione lo colpisce dritto in faccia con la medesima forza di un colpo ben sferrato e tutto ciò che riceve in risposa da quel bacio improvviso sono le mani di Liam che, frenetiche, gli afferrano le spalle spingendolo lungo il corridoio.

La camera da letto, prova a riflettere il mannaro senza trovare la forza d’interrompere il contatto tra le labbra, è decisamente troppo distante e le scale da salire rappresentano, al momento, un ostacolo insormontabile; il divano è decisamente più vicino e se lo farà bastare, ne conviene spingendo Theo all’interno della sala principale. 
Solo quando respirare dal naso diviene quasi impossibile, loro malgrado, le lebbra dei due si distaccano e pupille, come cerchi neri in un cielo sereno, scrutano dilatate dal desiderio la reazione della chimera, perdendosi in un ghigno malizioso ed il sangue di Liam ribolle tra le vene, rabbia e passione si confondono in un sottile confine che il mannaro non sa distinguere.
Qualsiasi parola sarebbe superflua, d’intralcio, infondo non era questo lo scopo principale, sin dall’inizio?

Sì, lo era, si risponde senza esitazione Liam, catturando nuovamente le labbra della chimera tra le sue, lasciando che siano le loro lingue a parlare, danzando tra i palati, le salive si miscelano e le mani si muovono all’unisono spogliandosi dei vestiti, stoffe ingombranti, gettandoli sgraziatamente al suolo; spargendoli ovunque capiti.
Il divano è lì, alle spalle di Theo, ed un improvviso dubbio attraversa come un fulmine a ciel sereno la mente del mannaro.

Liam sa cosa fare, certo non è un esperto, ma la svariata quantità di video a sfondo pornografico che ha guardato nel corso dell’adolescenza ed il ricordo di quelle uniche, poche, esperienze avute lo rendono ben consapevole di quel che sta per accadere e di come poterlo rendere possibile; ma Theo?
Se dovesse basarsi sulla memoria della sera precedente si direbbe che sì, senza ombra di dubbio, la chimera sa decisamente cosa fare, ma può dirselo con certezza?
Infondo cosa conosce del passato di Theo?
Nulla, figuriamoci le precedenti esperienze sessuali, per quel che ne sa potrebbe anche essere rimasto rinchiuso nei sotterranei con i Dread Doctors e non averne mai avute.

Che cosa dovrebbe fare?

Dovrebbe fermarsi, magari chiedere?

Si domanda indugiando al bordo dei boxer della chimera, continuando a sfiorare quelle labbra carnose tra le sue, beandosi del sapore, delle carezze tra le lingue che giocano a rincorrersi tra di loro, mentre i suoi di boxer scivolano al suolo senza che Liam se ne renda neppure conto, le labbra della chimera gli sfiorano il collo, risalendo sino al lobo sinistro


“l’hai mai fatto?”


Chiede in un sussurro di trattenuta eccitazione, senza vergogna alcuna, lasciando scivolare le mani a carezzare l’addome del mannaro che deglutisce impacciato riuscendo soltanto ad annuire imbarazzato, d’un tratto le dita della chimera si fermano lungo i fianchi di Liam, ritrae il volto concentrando le iridi d’oceano al volto del mannaro.
Non se l’aspettava, credeva, anzi era piuttosto certo, che Dunbar non avesse mai avuto simili esperienze, si era convinto che fosse sempre stato troppo pudico per sperimentare e che la sua prima relazione l’avesse vissuta assieme a quella moretta, la fastidiosissima moretta, quella che avrebbe dovuto lasciare morire precisa mentalmente Theo, a quanto pare, sogghigna poi mellifluo, anche il mannaro nasconde qualche piccolo segreto.


“e… – boccheggia Liam, le dita ancora incastrate tra l’elastico dei boxer della chimera – e…tu…”

“sì – umetta le labbra Theo, decidendo di aiutare il mannaro, liberandosi dell’ultimo indumento rimastogli addosso – spesso”


Ed il modo in cui lo dice, con quella sfacciata arroganza, la sicurezza di un narcisistico egocentrismo, fa decisamente ribollire di rabbia ogni centimetro della pelle di Liam che, sebbene lo sospettasse, non era preparato a quella risposta.
Per motivi insondabili lo infastidisce più di quanto dovrebbe ed in un impeto d’ira spinge Theo al divano, facendolo ricadere pesantemente a sedere, chinandosi poi nello spazio tra le ginocchia, impegnandosi senza preavviso, né seduttivi preliminari, a racchiuderne l’erezione tra le labbra giù umide; perché se è vero che l’ha fatto così spesso allora Liam deve, è l’orgoglio che glielo impone, mostrarsi il migliore.

Un mugugno strozzato risale la trachea di Theo, socchiude gli occhi e per un istante gli sembra di poter sfiorare soffici nubi in un cielo limpido, di esserne avvolto, ed un calore, persino più intenso delle fiamme infernali che ha sperimentato in prima persona, gli infiamma ogni centimetro di pelle, le dita scivolano rapide perdendosi tra i capelli del mannaro, aggrovigliandosi attorno fili biondo cenere, vorrebbe non interromperlo, ma deve se non vuole rischiare di far finire tutto troppo velocemente.
Costringe Liam ad allontanarsi bruscamente dal membro che sta, con una dedizione che Theo non può non ammirare, assaporando e le iridi azzurre del mannaro lo guardano, le pupille dilatate, occhi liquidi d’incertezza, il pungente odore del timore invade le narici della chimera che si concede un sorriso sghembo, guidando Liam a distendersi al divano, lasciandogli il posto necessario.

Con qualsiasi altro ragazzo Theo non si sarebbe mai neppure posto il problema di chiedere, avrebbe agito da attivo e non avrebbe concesso né tempo, né tanto meno preliminari e preparazione, ma quello che ha difronte non è un ragazzo qualsiasi.

Inspira la chimera, puntellando le ginocchia al piccolo angolo che si è ritagliato all’estremità del divano, i talloni sfiorano il bracciolo in ruvida stoffa nocciola, la mano sinistra risale, lentamente, dal ginocchio del mannaro sino all’interno coscia, l’altra è invece impegnata nel processo inverso, portando la gamba di Liam a pendere all’eterno del divano, poggiata allo schienale, creando un varco sufficiente in cui Theo si lascia scivolare, poggiandogli le labbra alla superficie dell’erezione.
E la chimera si perde, per fugaci istanti, ad osservare di sotterfugio l’estati dipingersi al volto di Liam, si umetta poi l'indice e il medio, scivolando lentamente a sfiorargli il perineo, prestando attenzione ad ogni reazione fisica, stimolando con studiata delicatezza la superficie, limitandosi a far scivolare dolcemente l’indice all’interno continuandogli a carezzare con la lingua il membro stringendolo tra le labbra; beandosi dei rumorosi gemiti, del respiro affannato e del cuore impazzito di Liam.

E, dopo minuti di quelli che dovevano essere solo dei preparativi, la chimera decide che, infondo, non ha fretta e non vuole giungere subito al dunque, non questa sera, non ora, vuole tempo, quasi come se temesse che, concludendo tutto subito, poi Liam svanirà e non potrà più avere la possibilità di fargli capire, con muti gesti densi di parole, tutto quello che non è in grado di dirgli; non adesso, non ancora, ma che un giorno, forse, se sarà abbastanza folle, riuscirà a dirgli.
E così decide di lasciare immutata la situazione e non proseguire oltre, non portare il rapporto, che ancora non sa come definire in altro modo se non bisogno, al sesso e Liam sembra non darvi troppo peso, ma accettare con enfasi tutto quello che la chimera vuole offrirgli adesso


“Theo – la voce rauca, rotta dal piacere – io…sto…”

“lo so”


Mugugna in risposta la chimera, ma prima che possa riconcentrare l’attenzione all’erezione del mannaro questi solleva la schiena bruscamente, afferrandogli le spalle, costringendolo a ricadergli addosso, facendo scontrare le loro intimità, la mano di Liam avvolge completamente il membro turgido della chimera che ne imita i movimenti, sincronizzandoli in un su e giù incalzante, perdendosi l’uno nelle labbra dell’altro, gemiti di puro piacere riecheggiano intrappolati tra i palati ed il vischioso calore di sperma si espande sullo stomaco del mannaro, creando un quadro astratto d’umori miscelati ed odori congiunti.

Nell’interrompersi del bacio svanisce l’incanto che proteggeva Liam dagli effetti collaterali del pudore ed una scarica elettrica di adrenalinica rabbia risale la colonna vertebrale del mannaro non appena nota Theo armeggiare tra i vestiti sparsi al suolo e rivestirsi rapido, svanendo oltre lo stipite della porta.
Non può crederlo possibile, non può davvero essersene andato così, non può farlo.

Ancora immobile, tremante d’ira in procinto d’esplodere, Liam lo vede poi riemergere, una manciata di tovaglioli tra le mani 


“rilassati – sogghigna beffardamente sfacciato, poggiandogli la carta proprio sopra la gora di sperma che s’espande allo stomaco  – serviva qualcosa per pulire”


Neppure se fosse Liam in persona a raccontarselo riuscirebbe a crederci, ma tutta la rabbia che sentiva crescergli dentro è scemata, grazie ad un occhiolino smaliziato, tornando a tramutarsi in improvvisa lucida vergogna, si sfrega frettolosamente lo sperma via dallo stomaco, portandosi a sedere, afferrando i boxer ed i jeans ai piedi del divano; aggiustandosi rapidamente i vestiti, ricadendo poi rumorosamente affianco a Theo.

Cos’è opportuno fare, ora?

Più cerca di rifletterci il mannaro e meno riesce a darsi una risposta, infondo quelle poche esperienze che ha avuto le ha sempre interrotte con un ciao imbarazzato, evitando ogni genere di conversazione post sesso; ma questa volta è diverso, persino divero da quando era con Hayden, questa volta ci sono dei sentimenti inespressi di mezzo, ormai ne è consapevole.


“c’è ancora quel dolce?”


Prorompe Theo, liberando Liam dall’incombenza di dover parlare ed è un ghigno sfacciato quello che plasma le labbra della chimera, un ghigno che il mannaro colpirebbe volentieri, dannazione hanno appena terminato e questo è tutto ciò che ha a dirgli, ma non riesce ad ingannarsi, quel ghigno lo bacerebbe di nuovo perché forse questa, tra le tante cose che potrebbero dirsi, al momento l’unica giusta per loro


“è in cucina – farfugli, alzandosi velocemente dal divano – vuoi qualcosa…da bere?”

“acqua, grazie”


Il mannaro annuisce, scomparendo rapido, lasciando a Theo il tempo sufficiente per poter elaborare un discorso che possa chiarire i sentimenti che, ormai da mesi, ha accettato di provare per quegli occhi azzurro cielo, ma quando lo vede tornare, stringendo l’intera teglia del dolce ed una bottiglia d’acqua, ogni parola si vaporizza, lasciandogli la gola secca ed un’improvvisa sensazione di smarrimento contro cui lottare per cercare di far fuoriuscire dalle labbra, quanto meno, un grazie.

E per quanto invitante sembri la torta che Liam ha poggiato al piccolo tavolino dinnanzi al divano Theo ha completamente perso anche l’appetito, lo stomaco bloccato ed un turbinio caotico di emozioni da ordinare


“quello che… – balbetta incerto il mannaro, fissando l’acqua oscillare nella bottiglia – che è successo…prima e…ieri…insomma è…io…”

“pensare che credevo fossi tu quello bravo a parlare di certe cose – ridacchia nervosa la chimera, mascherandosi dietro un ghigno di fittizio cinismo – non dobbiamo per forza dargli una spiegazione, no?”

“no, non credo – sospira sollevato Liam, perché davvero non saprebbe come definirlo quel che c’è tra di loro, qualsiasi cosa sia – non siamo obbligati”

“possiamo continuare così”

“sì, possiamo”


È la soluzione migliore, si dice il mannaro, versandosi dell'acqua nel bicchiere, infondo è la cosa che gli riesce meglio; lasciare che siano i gesti a parlare per loro e, prima o poi, riusciranno anche a dargli voce.


“quindi – si schiarisce la gola Theo, decidendo d’interrompere il silenzio che sente già incombere su di loro – conosci Esmeralda?”

“sì, non proprio, ma sì – tentenna impacciato Liam, cercando di rilassarsi ed abituarsi all’idea di poter parlare del quotidiano – e tu...la conosci bene?”

“vivo da lei”


Sorride la chimera ed è un sorriso così sereno che il mannaro vi si perdere per alcuni istanti, un battito di ciglia, e si sorprende a pensare che potrebbe passare intere giornate a guardarlo ed un tratto ogni angoscia svanisce, ogni dubbio si affievolisce, un’assoluta tranquillità ne scioglie i muscoli tesi ed una gradevole sensazione di piacevole routine, di pace e quiete, l’avvolge


“da quanto?”

“più o meno tre mesi”

“come vi siete incontrati?”

“storia lunga”



Liam abbozza un sorriso, di sincera curiosità, sistemando al divano, la gamba destra incastrata sotto la sinistra ed il busto completamente rivolto alla chimera


“abbiamo tempo “


Dice, allungandosi per afferrare il bicchiere, concentrando poi l’attenzione nuovamente a Theo, c’è ancora quel sorriso disteso e sereno a dischiudergli le labbra, qualcosa di così nuovo e sorprendentemente prezioso che Liam non può non restarne ammaliato ogni istante di più


“ne abbiamo”


Ne conviene la chimera e non sa più se stanno velatamente parlando di loro, di quel che avrebbero da dirsi, ma non riescono a farlo, o se si stiano semplicemente riferendo alla conversazione, in ogni caso per Theo non ha alcuna importanza, tutto ciò che conta è che sono lì, seduti allo stesso divano, a condividere il tempo, tutto il tempo di cui hanno bisogno, tutto il tempo che vogliono, insieme e che nessuno dei due sembra intenzionato a volervi rinunciare e questo è tutto ciò che basta a Theo, a Liam, ad entrambi; tempo da condividere.

Inspira serena la chimera, cominciando a raccontare gli eventi bizzarri che l’hanno portato ad incontrare e condividere quei tre mesi assieme alla famiglia Petrescu e ad Esmeralda che, ne è certo, se potesse vederli ora, se potesse vedere l’espressione rilassata e sinceramente interessata di Liam e la tranquillità con cui Theo stesso riesce a parlare ne gioirebbe come una bambina il giorno di Natale e li eleggerebbe già a coppia dell’anno.

Dovrà ringraziarla, si appunta mentalmente, sarà la prima persona a cui concederà un simile onore da quando è riemerso dall’inferno, ma Esmeralda se lo merita, infondo se non fosse stato per lei questa sensazione che, forse, osando, potrebbe definire felicità la chimera non sarebbe mai riuscita a poterla provare così intensamente; da fargli desiderare di non smettere mai d’esserlo. 


 


 
Credo di essere stata davvero troppo descrittiva, mi scuso se ho fatto errori e/o sono stata troppo noiosa.
Spero, ad ogni modo, che il capitolo non faccia troppo schifo e che i personaggi siano ancora IC
Mi auguro non vi infastidisca la piccola parentesi sovrannaturale di Esmeralda, l'avevo in mente sin dall'inizio, ma non sapevo quando farla emergere e come; comunque per chiunque se lo stesse chiedendo (*)
Zână è una figura leggendaria della mitologia rumena che, in sintesi, corrisponderebbe più o meno alle Grazie Greche e, in poche parole, si dice sia portatrice di buona fortuna e gioie; in futuro presumo spiegherò meglio questo lato.
Oh e spero anche non vi dispiacce se, nella mia personale immaginazione, Theo sia sempre stato gay e Liam abbia avuto già in passato qualche piccolissima esperienza omosessuale
; diciamo che andando avanti racconterò come 

Comunque, per tornare a noi, ringrazio i silenziosi lettori, tutti coloro che hanno aggiunto tra preferite/seguite/ricordate la storie e le splendidi recensioni a cui m'impegnerò a rispondere a breve. 

Grazie a tutti, 
alla prossima 

 

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Capitolo 14
*** Chapter Fourteen : So Sad, I Could Never Make You Stay. Too Bad, I Could Never Walk Away ***


~ Chapter Fourteen : So Sad, I Could Never Make You Stay. Too Bad, I Could Never Walk Away ~
 


“no – impallidisce, scuotendo teatralmente terrorizzato il capo, Greenberg – poi mi uccide”


ed Esme prorompe in una risata cristallina, catturando l’attenzione di Theo, placidamente seduto all’estremità destra del tavolo in plastica ingiallita, le gambe distese al suolo ed una lattina di birra tra le dita, arcua un sopracciglio in direzione dei due che, da qualche ora, si bisbigliano pettegolezzi e supposizioni, scompostamente seduti al divano, ridotto a brandelli, di fronte alla roulotte


“dai, fifone – incita la castana, sgomitando al fianco del moro – chiedi”

“perché proprio io?”


Mormora questi, cercando di divincolarsi dall’insistenza della giovane che sorride furba, schioccando la lingua tra i denti


“perché se tu quello scettico, io conosco già la risposta”


E Theo sbuffa, roteando le iridi al cielo sereno, è una storia che va avanti da due, quasi tre, settimane ormai, ovvero da quella sera in cui tornò, dopo essersi incontrato con Liam, ed Esmeralda come suo solito intuì ogni cosa e, tra lei e Greenberg, si generò una spirale di supposizioni e deduzioni azzardate su come poi la situazione sia proseguita perché la chimera, quasi più per divertimento che altro, si è sempre rifiutata di concedere altri dettagli; a suo dire superflui.
Infondo le deduzioni di Esme sono concrete, lei lo sa, Greenberg dovrebbe esserne consapevole allo stesso modo e darle ragione, a prescindere dalle prove 


“Theo – comincia il moro, torturandosi le dita impacciato, sul serio gli incute così tanto timore? Si chiede la chimera guardandolo agitarsi – io…noi…noi ci stavamo chiedendo…ehm…con…sì, be…con…”

“quello che questo adorabile imbranato – taglia corto Esme, schiacciandosi contro il fianco di Greenberg, poggiandogli l’avambraccio alla spalla –  sta cercando di chiederti è se tu e Liam siete finalmente ufficiali?”


La chimera sbuffa, ancora una volta, rumorosamente, poggiando la lattina vuota al tavolo, è la quinta del pomeriggio e, se non fosse geneticamente modificato, forse ora potrebbe essere persino leggermente annebbiato dall’alcool e, se fosse circondato da persone che non sono abituate a bere sin dalla mattina, forse ora qualcuno potrebbe anche dirgli di smettere anziché tacere osservandolo aprirsi la sesta lattina di birra.
E, comunque, non li ascolterebbe neppure se ci provassero, l’unica cosa che vorrebbe è che l’alcool potesse agire, nuotare tra le vene ed annebbiargli i pensieri, liberarlo da quel costante dubbio, un chiodo fisso, quella domanda che, lui stesso, nelle ultime settimane, si è posto più frequentemente di quanto vorrebbe ammettersi e a cui, malgrado gli innumerevoli tentativi di rispondersi, non è ancora riuscito a trovare una soluzione; sono ufficiali?

Non sa neppure cosa significhi, con esattezza, essere ufficiali per loro.

Urlarsi contro un giorno sì e l’altro pure, rompersi il setto nasale a fasi alterne e aspettare che guarisca inebriandosi di preliminari, umidi baci ed odore di sperma, intervallare estenuanti sessioni di pugilato improvvisato con tranquille cene a base di pizza preconfezionata e chiacchiere distratte su qualche film trovato online, passare con estrema facilità dalla rabbia alla passione, dall’addormentarsi nello stesso letto al tirarsi addosso libri è considerabile essere ufficiali per loro?


“fatevi gli affari vostri, piccioncini”


Cerca di liquidare sbrigativamente Theo, sperando che questo basti a farli azzittare e che il loro silenzio possa aiutarlo a scacciare quello stesso, costante, dubbio dalla mente ed altri ad esso correalti.
Esmeralda sorride sottile, colpendo debolmente la nuca di Greenberg facendogli, conseguenzialmente, mordere la lingua tra i denti e pigolare nel trattenere il dolore


“tanto lo sappiamo già che lo siete – aggiunge, schioccando un bacio alla tempia del moro – ma devi concederci un’uscita a quattro”

“è ridicolo – soffia la chimera, che sa perfettamente quanto la castana invece sia seria – scordatelo”

“me lo devi – ribatte questa, imbronciandosi come una bambina capricciosa – e poi voglio conoscerlo”

“lo conosci già, inventati una scusa migliore”


Si limita a controbattere Theo, anche se, infondo, sa perfettamente che Esme meriterebbe davvero una cena, pagata, in qualche ristorante che non accetti buoni sconto, se non l’avesse mai incontrata, probabilmente, avrebbe continuato a vivere nell’auto, tra gli scomodi sedili posteriori, mangiando avanzi, rubando benzina e racimolando denaro in qualche modo, presumibilmente illegale, e di sicuro non avrebbe mai avuto il coraggio di tornare da Liam e, forse, sarebbe stato meglio, lui non merita tutto questo, gli ripete da giorni una vocina sottile accucciata in una angolo della mente, a spargere confusione tra pensieri già aggrovigliati, ingolla un sorso di birra Theo maledicendo l'impossibilità di non poter annegare quella vocina tra i fumi dell'alool 


“voglio conoscerlo davvero – precisa la castana, portandosi una sigaretta tra le labbra – intendo per bene”

“sono curioso anch’io – gli da man forte Greenberg, porgendole l’accendino – non c’ho mai parlato, ma sembrava un tipo apposto”

“dai Theo – lo supplica Esme con fare infantile, che stona incredibilmente con il fumo che ne annebbia il volto – solo una volta, una sola uscita, decidete voi dove, e poi giuro che non vi infastidiremo più”


La chimera inspira, arcuando scettico un sopracciglio, è piuttosto sicuro che non cesseranno mai d’infastidirlo ed un sorriso sghembo ne solleva l’angolo destro delle labbra, tutto sommato è piacevole poter parlare, liberamente, di cose così quotidiane, semplici, adolescenziali, come non è mai riuscito e non ha mai potuto fare quando avrebbe dovuto; recuperare gli anni di vita persi a rincorrere strade sbagliate, si dice 

“dubito – sospira Theo, nascondendosi dietro la lattina di birra – e non accadrà mai”

“vorrà dire che glielo chiederò io e accetterà, vedrai”


Ed Esmeralda sorride certa in una cortina di grigio fumo, facendo collidere il palmo a quello teso a mezz’aria di Greenberg che ridacchia, tossicchiando via nicotina dagli occhi, rubandole la sigaretta dalle labbra, sostituendola poi con un fugace bacio e, in quello sfiorarsi leggero di labbra, le glauche iridi della chimera s'incupiscono smarrendosi in un orizzonte di pensieri che non lo lasciano respirare.
Tutta quella felicità, tutta quella fiducia, quel volore, credere, confidare in un futuro migliore, nella versione migliore di sé, di quel che è stato, è tutto troppo e Theo sa, accade sempre, arriva un momento in cui, non importa quanto provi ad evitarlo, distrugge ogni cosa e si ritrova a camminare tra le macerie di reliquie che lui stesso ha generato. 
E Theo sa che è solo questione di tempo prima che accadrà, ancora una volta, deluderà Esmeralda come deluse Tara, rovinerà Liam come rovinò Clayton.
Non tutti possono essere destinati al lieto fine, si dice la chimera rigirandosi la lattina tra le dita, forse, semplicemente, non c'è lieto fine per lui, infondo non lo meriterebbe neppure e decide, nella testarda convinzione d'un pensiero tossico tramutatosi in indiscutibile dato di fatto, che questa volta non sarà tanto egoista e salverà Liam; lo salverà da Theo Raeken.  

 



Casa Dunbar, pomeriggio 

Sono ore che Liam continua a fissare l’amico, prestando scarsa attenzione, se non nulla, al videogame che scorre, tra i cristalli liquidi del televisore, inosservato, persino Corey, questa volta, è un giocatore migliore del mannaro e Mason comincia, seriamente, ad esserne preoccupato; soprattutto se si considera che, usualmente, ogni partita persa per più di tre volte di fila comporta uno scatto d’ira da parte di Liam che, oggi invece, sembra non darvi alcun peso.

Ultimamente, ci riflette meglio Mason, osservando di sottecchi l’amico, il problema dello scarso, quasi inefficiente, controllo della rabbia sembra essersi placato, non azzerato, ma quanto meno tenuto sotto controllo con maggiore facilità, come quando c’era Hayden e, da qualche settimana, Corey ha persino avuto la brillante teoria che, forse, il motivo di un tale cambiamento nel mannaro può essere simile; magari Liam ha trovato una nuova ancora e Mason vorrebbe davvero sapere chi o cosa sia.
Vorrebbe chiedere, ma ha il sospetto che sarà l’amico stesso a dirglielo, magari proprio oggi, infondo si conoscono da anni, da quando erano poco più che bambini, e l’umano non ha bisogno di sensi sovrasviluppati per interpretare le emozioni di Liam, glie vede dipinte in volto naturalmente; diretta conseguenza degli anni passati a crescere insieme.

E Mason capisce di non aver intuito male quando il mannaro interrompe bruscamente il gioco, inalando così tanto ossigeno da sembrare quasi in procinto di immergersi in acqua profonde


“c’è una cosa che devo dirvi”


Dice poi senza tutto d'un fiato, fissando il menù principale del videogame in pausa che lampeggia nello schermo televisivo, sente lo sguardo degli amici puntato su di sé e la terra, per un’istante, trema sotto di lui, sta per scatenare un terremoto, ne è sicuro


“ultimamente…da qualche giorno – inciampa tra le parole, cercando di trovare tutto il coraggio di cui necessita, ma la verità non è mai stata tanto difficile da dire – mi…mi vedo…frequento…”

“Liam, respira – gli suggerisce Mason, poggiandogli una mano alla spalla, non l’ha mai visto tanto agitato, neppure nelle peggiori delle disavventure passate – ti vedi con qualcuno, lo sappiamo”

“cos...come?”

“è evidente – chiarisce l’umano dinnanzi allo stupore che plasma il volto dell’amico – sono quasi tre settimane che ci liquidi con scuse assurde e…”

“il tuo cellulare squilla di continuo”


Aggiunge Corey, sporgendosi improvvisamente oltre le spalle di Mason, tranquillamente seduto al bordo del letto, non è esattamente questo ciò che l’umano voleva dire, ma 
sorride comunque, annuendo energicamente, confermando quel che il fidanzato ha appena esposto


“è quella ragazza – chiede aggrottando la sopracciglia la chimera, sinceramente incuriosita – quella dell’ospedale?”


Deglutisce a vuoto Liam, il fatto che, inconsapevolmente, siano arrivati così incredibilmente vicini alla verità, in qualche modo, lo pietrifica dalla paura, paura per tutto quel che scaturiranno le parole che fremono tra la lingua ed il palato per poter fuoriuscire in un soffio tenue


“no, ma…ma è…quella sera l’ho ritrovato e…”

“no – lo interrompe Mason prima ancora di lasciarlo terminare, la voce impregnata di velata preoccupazione – ti prego, dimmi sto sbagliando”


Vorrebbe poterlo fare, vorrebbe davvero Liam, ma che senso ha continuare a nascondere una verità che ora, finalmente, vuole vivere, vuole ammettere a sé stesso, al branco, al mondo intero?
Scuote il capo e negli occhi confusi di Corey, che saettano da lui al fidanzato, trova la forza d’aggiungere un flebile


“no, non sbagli”

“è uno scherzo? – esclama l’umano, stringendo il joystick tra le dita – è uno scherzo vero?”


Il silenzio s’impregna d’agitazione, preoccupazione, rabbia e l’aria diviene satura, opprimente, c’è così tanto d’inespresso che Corey sente quasi la necessità di ricordare, ad entrambi, che non tutti sanno comprendere i soggetti sottintesi con la loro medesima facilità, soprattutto quanto, a quanto pare, vengono esclusi dal quadro generale e, dopo istanti di denso silenzio, la chimera stabilisce che vuole sapere


“cosa? Chi è?”

“diglielo – è una provocazione quella dell'umano, getta il joystick alle spalle, tra le lenzuola, incrociando le braccia all’addome – diglielo, dai”


Il mannaro deve lottare contro l’ira di parole che fremono, scalpitano tra i denti, protestando per uscire, deve infossarsi le dita tra i palmi, ferendosi sino a mordersi la lingua, per impedirsi di urlare contro il suo unico e migliore amico di sempre che tutta quest’assurda scenata è fuori luogo e priva di significato


“qual è il problema Mason?”


malgrado stia resistendo egregiamente alla rabbia quella domanda si mescola ad un ringhio baritonale che fa sobbalzare l’umano


“il problema – gli urla contro questi, puntando l’indice verso la finestra, indicando un ipotetico punto imprecisato – è che quello lì è un menefreghista, doppiogiochista, traditore, manipolatore, stronzo, mal…”

“non più, è cambiato”


È un ruggito di pura ira la voce di Liam, sovrasta ogni altro suono, azzera ogni altro rumore, persino quello dei respiri, immobilizza l’intera stanza in una crisalide di sbigottimento ed incredulità interrotta soltanto dal profondo sospiro di Corey che poggia le mani alle spalle del fidanzato, stringendo le dita tra la stoffa della maglietta, trascinandolo delicatamente a qualche centimetro di distanza dal mannaro, non per timore, né per paura, sa perfettamente che Liam non potrebbe mai ferirli in alcun modo, ma sa anche che nessuno dei due è abbastanza lucido da affrontare la situazione, situazione che ora gli è perfettamente chiara, e che, nelle attuali condizioni, qualsiasi altra parola potrebbe solo peggiorare ed aggravare la tempesta che si è già generata


“è meglio se andiamo”


Soffia, aggirando il busto di Mason, frapponendosi tra i due, spingendo i palmi ai pettorali dell’umano, le cui iridi attraversate da preoccupazione e sconcerto continuano a fissare incredule l’amico, ma le cui gambe seguono inconsciamente i suggerimenti della chimera che, prima di lasciare la stanza, si volta, un mezzo sorriso a plasmargli le labbra gentili


“ero con Theo all’inizio e, se sono ancora vivo, credo di doverlo anche a lui e poi tu ti sei fidato di me, ma  – cerca di rassicurarlo, aggiungendo poi in un bisbiglio sinceramente divertito – da quanto ti piacciono i ragazzi?”


Ed il mannaro inspira, ritrovando una precaria tranquillità nella pacata gentilezza di Corey, infossandosi nelle spalle, la chimera gli sorride intuendo che quella sarà la futura conversazione che avrà assieme al fidanzato nel tentativo di poterlo calmare e placarne l’immotivata preoccupazione che ne impregna ogni centimetro di pelle


“ci sentiamo dopo”


Saluta sereno, proclamandosi implicitamente paciere tra i due amici e promettendo di, se non risolvere totalmente, quanto meno appianare la situazione per entrambi; infondo non riesce sinceramente a capire cosa ci sia di così terrificante e sconvolgente in tutta questa situazione.
Del resto Theo è davvero cambiato, recentemente gli ha persino inviato un lunghissimo messaggio di scuse a cui Corey non ha neppure saputo come rispondere, completamente impreparato e sorprendentemente colto alla sprovvista; forse, si dice trascinando dolcemente il fidanzato alla macchina, dovrebbe farlo leggere a Mason, magari riuscirebbe a fargli capire che anche le persone come Theo, a volte, possono cambiare in positivo.

 
 
 
Casa Dunbar, sera (piccoli suggerimenti per l'ascolto : https://youtu.be/Zfyz-3rXpG0)

È un pensiero così stupidamente sentimentale che Theo prova persino imbarazzo ad averlo mentalmente enunciato, ma non può azzittire le parole che gli affollano la testa e non può neppure negare che, da minuti ormai, non presta più alcuna attenzione al televisore, né al documentario che continua a scorrere immagine dopo immagine tra i cristalli liquidi dello schermo, guardare Liam mordicchiarsi le labbra, leccandosi i residui di sale lasciati dalle ultime patatine rimaste, è decisamente più interessante e spaventoso, incredibilmente spaventoso, quella voce, quella sottile voce continua a ricordargli che non è all'altezza, non sarà mai all'altezza, che lo rovinerà, rovinerà tutta la purezza, la bellezza spontanea, l'umanità che fa risplendere di luce naturale le iridi azzurro cielo di Liam ed è così dannatamente difficile trovare la forza necessaria per infliggergli un male necessario che Theo, negli ultimi minuti, è riuscito soltanto ad osservarlo estaiato; imprimendosi, marchiandosi, l'immagine del mannaro alle retini che, presto, non potranno più vederlo


“è assurdo”


Esclama questi, strofinandosi le dita, briciole ricadono al suolo, sporcando il tappetto sottostante, le molle del materasso cigolano leggermente, molleggiando lievi


“com’è riuscito ad uccidere così tante persone prima di essere arrestato?”


Theo lancia un’occhiata in tralice allo schermo, non ha seguito neppure metà del documentario, ma questa è l'occasione perfetta, il pretesto migliore da cui cominciare, un segnale, si dice, sforzandosi di parlare 

“profilo basso – dice, sentendo lo sguardo corrucciato del mannaro su di sé – l’esperienza da elettricista gli permetteva di disattivare gli allarmi e gli garantiva la fiducia delle future vittime, una volta ottenuta analizzava la casa, controllava la famiglia e poi agiva, stordiva le vittime, le strangolava utilizzando dei guanti, indossava scarponi di tre taglie più grandi, ripuliva ogni traccia del proprio passaggio e, una volta concluso l’omicidio probabilmente portava il furgone in demolizione, si spostava di almeno cinque ore dal luogo del delitto, credo avesse più di un’identità falsa”


Nel silenzio improvviso che avvolge la stanza riecheggiano, come tacite ammissioni di colpevolezza, le parole della chimera a cui manca, forse per la prima volta nella vita, la sfacciataggine o il coraggio di volgere l’attenzione a Liam, iridi azzurre attraversate da mute domande dubbiose, si schiarisce la gola, deglutendo nel tentativo di lasciar risalire tra le corde vocali parole rimaste incastrate, ma è dalle labbra di Theo che scivolano domande che il mannaro non sarebbe stato in grado di porre


“sono un esperto – cinica ironia e colpevolezza si fondono, i confini tra rimpianti e assenza d’empatia si perdono tramutandosi in semplice ammissione – è facile, analizzare un assassino quando si è come loro”


E mentre le parole scivolano lente tra le labbra dischiuse quella consapevolezza, sempre la stessa, prende prepotentemente possesso d’ogni pensiero della chimera e si ritrova a precipita al suolo, schiantandosi contro la dura realtà, è giunto il momento, sta per commettere il suo ultimo peccato; un male necessario.
Ha giù privato Liam di quell'umana purezza che lo contraddistinque come un ladro accecato da egoistico bisogno, quella stessa purezza che continuerà a corrompere ad ogni tocco, ogni carezza, e non può, semplicemente non può farlo, non più, non può, non vuole, rovinarlo, distruggerlo, intossicarlo, sporcarlo dei medesimi peccati che lo macchiano indelebili da anni.

Non merita Liam e le colpe che possiede sono un peso che non può lasciargli portare, in un battito di ciglia è tutto chiaro e Theo sa, con certezza assoluta, che, per la prima volta, sta facendo l’unica cosa possibile; la cosa giusta


 “è quello che sono”


Il mannaro non l’ha dimenticato, una parte di sé, un’esigua parte del suo io, lo odia ancora, ma è così debole, così insignificante, che con il trascorrere dei mesi ha cessato d’essere importante, si è rannicchiata in una angolo della mente, ammutolita, una memoria ignorabile e, forse, se dovesse rifletterci per ore Liam potrebbe nuovamente sentirla urlare, ricordargli che ora pesano anche su di lui le morti, chissà quante, di cui la chimera si è macchiato le mani, ma il mannaro sa già cosa rispondersi, se l’è detto così tante volte negli ultimi mesi.

Theo è cambiato, Theo merita fiducia, Theo è più importante di un passato tormentato in cui, forse, non era neppure completamente consapevole delle proprie azioni e Liam continua ad incolpare i Dread Doctors, si ribadisce che sono stati loro i fautori, i colpevoli, i manipolatori che sin dal principio hanno trasformato un bambino innocente in una macchina omicida da sfruttare per riprovevoli scopi e ne ha la convinzione, assoluta e certa, che se Theo potesse tornare indietro nel tempo s’impedirebbe di commettere il medesimo errore e fidarsi di quegli uomini che, senza vergogna, né traccia d’umanità alcuna, l’hanno usato come un pezzo d’un meccanismo inumano; una marionetta 


“non lo sei”


Mormora, con la sicurezza di un cieco si dice la chimera, deglutendo rumorosamente, le parole risalgono con fatica la trachea, indugiando tra la lingua, incastrandosi tra i denti, costringendo Liam ad espirarle pesantemente, quasi gettandole con fretta fuori dalla bocca


“sono stati i Dread Doctors a far…”

“è una scusa comoda, una giustificazione facile, ma – inspira Theo, soffiando un ghigno cinico, iridi glauche vitree fisse allo schermo del televisore, è più facile ferire così – la verità è che nessuno mi ha costretto, sarei potuto scappare, andarmene, fuggire da loro, ma non l'ho fatto, ho scelto di restare, di compiere ogni singola orribile azione”

“non è così, non ti credo”


O non vuole credergli, si è costruito un castello perfetto il mannaro sopra quelle stesse giustificazioni che ora la chimera sta cercando di far crollare, minacciando la stabilità di una dimora in cui Liam ha imprigionato ogni singolo dubbio, ogni singolo ripensamento e non vuole, non può, permettergli di demolirlo così facilmente, quelle mura devono resistere, quei pensieri devono restare ignorati in celle inesplorabili


“dovresti – sussurra debole Theo, è sfiancante, dolorosamente sfiancante – non sono una brava persona Liam, non lo sarò mai, ho fatto cose orribili, ho commesso atti terribili e l’ho fatto perché lo volevo”

“no, non è…”

“vero? Smettila di ripetertelo – ringhia la chimera, balzando in piedi in uno scatto di pura rabbia, contrastare i propri stessi desideri è più difficile di quel che credeva – e accetta la realtà, sono un assassino, volevo uccidere, volevo il potere, volevo il branco di McCall e l’unico rimpianto che ho è di non esserci riuscito, non mi pento di ciò che sono stato, non accadrà mai”


È abile, dannatamente abile nel mentire, è la qualità, forse l’unica, migliore che possiede, mantiene le pulsazioni cardiache basse, regolari, nasconde ogni possibile traccia che possa tradirlo, confondendo persino i chemiosegnali, convincendosi di non provare né tristezza, né dolore, né vergogna, né paura, cercando d’ingannare se stesso, perché il segreto per la riuscita di una buona menzogna è crederla reale si ripete la chimera in un mantra statico.

E sarebbe riuscito a mentire magistralmente se soltanto non avesse commesso l’errore di scontrarsi con le iridi azzurro cielo del mannaro, vibranti come mari agitati, lucidi di lacrime testardamente represse, incastrate tra ciglia che s’agitano, scontrandosi freneticamente, il tangibile odore della rabbia è insopportabilmente miscelato a quello della delusione e del dolore, un dolore che Theo conosce, che prova nel silenzio, nascosto dietro la menzogna, un dolore sordo, che giace nel profondo di parole spezzate, infrante ancor prima di poter essere dette. 

Deve voltare le spalle al mannaro se vuole riuscire a fuggire, come il ladro che è, dalla vita di Liam dopo avergli rubato, senza ritegno alcuno, sorrisi che non ha mai meritato, afferra la maniglia della porta sapendo che il mannaro non lo fermerà, ma Liam non fa mai quel che ci si aspetta, imprevedibile ed irrazionale, le emozioni hanno sempre avuto una poter ingestibile su di lui, infondo era per questo che i Dread Doctors lo volevano


“stai mentendo - lo accusa tremando impercettibilmente di trattenuta ira - non è vero, tutto quello che hai detto sono...sono solo cazzate, non mentirmi Theo, non...”


Un disperato bisogno, ingiustificabile, ne fa tremare la voce ed è un suono di straziante agonia che riecheggia tra i timpani della chimera, un sussurro di masochistico desiderio


“non andartene, non... – è una cantilena stordente di malsana necessità la voce del mannaro – non di nuovo”


C’è sempre un emozione che prevarica le altre, questo Theo lo sa, lo ha appresso da tempo, ed in Liam è un’insondabile, intensa, stordente tristezza a prevalere, una tristezza che graffia il silenzio, che lacera quel che resta dell’anima della chimera, una tristezza che si tramuta in un bacio, disperato, afflitto, un'ultima illusione prima dell'addio.
Un bacio che diviene rabbia, intensa, dirompente, distruttiva rabbia non appena le mani di Theo carezzano lente, per un ultima volta, gli zigomi del mannaro volgendoli poi le spalle, oltrepassando la soglia, resistendo all'impulso di guardarlo per un'ultima volta, chiudendosi la porta dietro di sé, correndo all’esterno; fuggendo da quella casa, da Liam, da tutto quello che non potrà mai avere, che non meriterà mai.

E lo sente, a chilometri di distanza, il ruggito straziante di Liam.

E lo sente, quel cuore che non gli appartiene, incastrato nel costato, cambiare ritmo, appassirsi, morire per istanti, cessare di battere e tornare poi a pompare sangue in un eco sterile; è questo il suono che produce un cuore rotto, un meccanismo che funziona a metà?  


 


 
Buonsalve, 
comincio subito con il ringraziare le splendide recensioni che mi avete lasciato negli ultimi capitoli, purtroppo mi dimentico sempre di rispondere, perdonatemi sono davvere un disastro, un concnetrato di distrazione, ma voglio comunque che sappiate quanto felice mi abbiano resa e quanto abbia apprezzato ogni singola parola. 
Ringrazio anche i silenziosi lettori, sperando che la storia vi piaccia, e tutti coloro che hanno aggiunto tra preferiti/ricordate/seguite. 


Passando alla storia spero che non sia troppo OOC , che non sia eccessivamente bipolare (cosa che mi riesce difficile, purtroppo) e che, sopratutto, non vi abbia annoiato
Critiche costruttive sono sempre ben accette, sopratutto se consideriamo il fatto che non ho aiuti e che pubblico un po', errore mio, di getto; quindi scusate eventuali e possibilissimi orrori. 
Mi preme ammettere che stiamo per giungere alla fine, quindi...già, forse, se tutto va bene, per la prima volta riuscirò a concludere una storia. 

Grazie ancora a tutti, 
alla prossima 

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Capitolo 15
*** Chapter Fifteen : I Wanted To Be A Better Adversay To The Evil I Have Done ***


~ Chapter Fifteen :  I  Wanted To Be A Better Adversary To The Evil I Have Done ~

 
(piccolissimo consiglio "scenico" , verso la fine, se volete, ci sarebbe una canzone da ascoltare : https://youtu.be/JDZaiM8oAOU)


Non chiude mai la porta, è un difetto che Theo cerca da mesi di correggerle, ma la giovane ribatte dicendogli che nessuno proverebbe a derubarli e che, inoltre, si fida e la chimera non riesce, e non riuscirai mai a capire, che genere di follia affligga Esmeralda; come può fidarsi del quartiere in cui vive?
Cerca di essere silenzioso, richiudendosi piano la porta alle spalle, ma la fioca luce bluastra che illumina il volto della castana rischiara l’intero ambiente circostante.
La gitana issa la schiena, poggiandosi contro le fredde lamine di metallo che rivestono la roulotte, 
osservando Theo muoversi lentamente, sedersi al materasso dandole le spalle, senza neppure curarsi di cambiarsi i vestiti o togliersi le scarpee e l’odore pungente della preoccupazione satura l’aria


“cos'è successo?”


La chimera serra i pugni al bordo del letto, stringendo lembi di lenzuola ed Esmeralda inspira, poggiandogli una mano tra le scapole, è calda, così calda da sembrare fuoco ardente, innaturalmente calda, supera la temperatura corporea umanamente possibile e pizzica, come piccole scintille che esplodono in quell’esatto punto cui sono poggiate le esili dita, così fastidiosamente da costringere Theo a ritrarsi dal contatto e voltarsi, istintivo, a controllare che non stia andando davvero a fuoco


“vuoi parlarne? – lo incita dolcemente la giovane, incrociando le gambe –  sei teso”


Theo ha smesso di chiedersi come faccia a notare ogni singola emozione e ha smesso persino di sospettare che nasconda sovrannaturali segreti, ne è quasi certo, perché c’era qualcosa di inumano in quel tocco e c’è qualcosa di magico, forse, in quelle iridi nocciola che sembrano leggerlo dentro e ne ride, cinico e sgraziato, ne ride amaramente la chimera, scacciando bruscamente il polso della castana, proteso nel tentativo di sfiorargli la spalla, allontanandosi dal materasso, rubando le sigarette lasciate sopra al tavolo; richiudendosi in un sonoro tonfo la porta alle spalle.

Non ha voglia, non ha bisogno, di leggere la delusione scurire anche le iridi di Esmeralda.

Ricade pesantemente al divano esterno, eroso dal tempo, stringendo il filtro tra le labbra, inalando nicotina illudendosi che, in qualche modo, possa uccidere il vuoto che sente danzargli nel petto


“Theo – mormora la gitana, ovviamente lo ha seguito, impossibilitata a lasciarlo semplicemente sprofondare nel nulla – ascoltami soltanto”


Anticipa, prima che la chimera possa scappare nuovamente da lei, sfilandogli il pacchetto di sigarette dalle dita, accendendosene una


“qualsiasi sia la tua paura – soffia in una nube grigia, sedendoglisi accanto – sappi che meriti la felicità, l’amore, la fiducia, la speranza, meriti una vita migliore di quella che hai avuto e lo so, non mi credi, ma la meriti davvero”


Ed è tardi perché la chimera possa evitarle quelle dita esili che si posano, delicata, alla spalla e quel calore, inumano, questa volta non brucia, non pizzica come fiamme incandescenti, ma scivola lento avvolgendo ogni centimetro di pelle, insinuandovisi al di sotto, e la chimera socchiude gli occhi, istintivo, gli sembra quasi di aver sempre respirato male e soltanto ora abbia assaporato, per la prima volta, ossigeno puro e quel vuoto, quel vuoto che sente espandersi tra le costole, si placa, arrestandosi, non svanisce, resta lì, quasi in attesa di essere vomitato fuori e, spontanee, parole prendono forma tra le corde vocali


“non sono la persona che credi – mormora, esalando nicotina – qualsiasi cosa tu creda di me è sbagliata”

“no – c’è fermezza, sicurezza, nella voce 
della castana, una melodia quasi materna – non lo è”

“come fai ad esserne certa? – sputa d'impeto, stringendo la sigaretta tra le dita tremule – non sai niente di me”

“so quello che mi hai mostrato di essere fin ora e la persona che conosco è…”

“finta – sibila la chimera, inspirando così tanta nicotina da sperare di riuscire comunque ad annerire i polmoni – non mi conosci”

“sì che ti conosco e non ti credo – è così dolce e pacata, così surreale la voce di Esmeralda, da riuscire a placare persino la rabbia – ma se è vero che non ti conosco, allora dimmelo tu chi sei”


Le iridi glauche indugiano per istanti d’interminabile silenzio a quel sorriso, flebile luce di assoluta bontà, che illumina il volto della castana 


“niente”


È un sussurro affranto, la voce rotta da lacrime orgogliosamente incastrate tra le ciglia, ad annebbiare la vista, la gitana inspira, avvolta in una coltre di nicotina scuote il capo, soffiando un tenue


“voglio mostrati una cosa, posso?”


Non è previsto, è una legge implicita quella che la castana sta per violare, una violazione necessaria, ha incontrato così tante persone e ne ha aiutate altrettante, tutte quelle che ha potuto, tutte quelle che la sua natura l’ha portata ad aiutare, ma mai si era sentita così coinvolta da oltrepassare quel sottile confine e rivelarsi, mostrarsi nella speranza di portare a termine un compito che non può lasciare incompiuto, la logorerebbe, la indebolirebbe sino a farla appassire


“chiudi gli occhi – è tremula la voce, c’è timore tra le parole – non ti farò nulla di male, promettimi solo di non spaventarti”


E Theo indugia, la sigaretta si consuma tra le dita, non si è mai fidato di nessuno, quando vieni plasmato per ingannare cominci a dubitare di chiunque e la paranoia diviene la compagna d’ogni giornata e tutti diventano il nemico, ma di lei, di Esmeralda, delle sue iridi nocciola brillanti di bontà, può fidarsi, inspira, assecondandone la richiesta.

Sente le dita della giovane sfiorargli le palpebre socchiuse e gli occhi bruciano, sembrano sciogliersi tra le cavità oculari, e nel buio s’irradia accecante un fascio di luce bianca ed immagini, un susseguirsi rapido di colori, riflessi, fili luminosi correre verso volti, volti di persone passate, presenti, le iridi bruciano così intensamente, da costringere Theo a spalancare gli occhi smarrito, tastandoseli, quasi a volersi assicurare che siano ancora integri, ma ciò che sente è solo l’umido residuo di lacrime che si seccano tra gli zigomi; quando ha pianto?

E perché Esmeralda sta piangendo?

Parole strozzate escono dalla gola della chimera


“che significa?”

“è ciò che vedo – spiega in un sussurro mozzato da singulti la gitana – la tua essenza, i legami, quella che hai visto è la tua aura, te l'ho detto Theo, ti conosco”


E se non fosse esso stesso una creatura sovrannaturale non le crederebbe, troverebbe una scusa razionale e l’accuserebbe d’essere una bugiarda, ma lui è una chimera ed ha visto così tante creature inumane che è difficile non crederle e, d’un tratto, ogni dubbio, ogni supposizione, diviene verità


“cosa sei?”


Esmeralda sembra studiarlo incredula, forse si aspettava una reazione differente, forse credeva che si sarebbe spaventato, che non le avrebbe creduto così velocemente, ma ispira, sorridendo sottile


“la mia gente ci chiama zâne, dicono che portiamo fortuna e gioia”


Theo a corto di parole non lo è mai stato, ma questa volta non sa davvero cosa dire, credeva fosse uno scherzo, architettato dal suo stesso cervello, un modo per spiegarsi la gentilezza e l’assoluta, surreale, bontà della gitana, non si aspettava certo che fosse tutto vero, ma di creature strane, di fate, arpie, mannari e persino sirene ne ha letto negli innumerevoli libri, unica cosa che poteva trovare nei sotterranei, dei Dread Doctors e, forse, ora che sente quel nome qualcosa riaffiora tra i ricordi di vecchie letture.
Forse c’era una pagina, in qualche manuale, una categoria specifica, una sottospecie di fate, qualcosa che solo in un dato territorio si poteva incontrare e, senza rendersene neppure conto, si ritrova ad annuire


“ho letto di voi”


Dice poi, infondo non ha più alcun senso nascondersi, Esmeralda aggrotta le sopracciglia, strofinandosi via residui di lacrime, le iridi nocciola illuminate da genuina curiosità


“dove?”

“bestiari – chiarisce rapido, troppo rapido Theo, sospirando una spiegazione più articolata – enciclopedie di creature sovrannaturali”

“esistono davvero?”

“ne ho lette molte quindi direi di sì, esistono”

“e cosa dicono di noi?”


Un tiepido sorriso dischiude le labbra della castana, getta la sigaretta ormai fumatasi sino al filtro e si scosta una ciocca dagli occhi, sistemandosi al divano, accavallando le gambe


“non molto – ammette la chimera, cercando di ritrovare le informazioni tra la memoria – non ricordo”

“se vuoi posso spiegartelo”


E Theo annuisce, distratto, concentrando lo sguardo ai fili bruciacchiati d’erba rada sotto i loro piedi, chiedendosi se sia il caso di confessarle che non è umano neppure lui, in nessuno dei possibili significati


“percepiamo l’aura di una persona, ne leggiamo i legami, la storia emotiva – inspira Esmeralda, sfiorando la spalla della chimera – possiamo assorbirne dolore, ma solo emotivo, o far provare altre emozioni, anche positive, ma ha ripercussioni su di noi e la nostra stessa natura ci porta ad aiutare”

“lo stai facendo anche ora?”

“sì – sorride leggera Esme, ritraendo le esili dita – funziona?”

“abbastanza”


Si sforza di sorride Theo, ma tutto ciò che riesce a creare è l’ombra di una smorfia mal riuscita e la castana sospira, reclinando la nuca al cielo costellato da puntini luminosi in lontananza


“purtroppo a volte non possiamo fare molto, quando c’è troppo dolore”

“non sentirti in colpa”


Si sente in dovere di dirle la chimera, sfilando una seconda sigaretta dal pacchetto, seguendo lo sguardo della gitana che si perde tra le stelle nel firmamento


“fumi troppo – dice in un risolino leggero, bonario – ti fa male, rovina i polmoni”


Lo sguardo di Theo si perde a rincorrere puntini luminosi troppo lontani, a cercare costellazioni che non conosce, a dare nomi inventati al cielo e sfiorare la luna affidandole un segreto, una paura, prima di sospirarla dietro nicotina che volteggia


“non possono”


Ed Esmeralda aggrotta le sopracciglia, scrollando le spalle, volgendo impercettibilmente il capo alla chimera, aspettandosi una spiegazione emotiva, una macabra metafora di malinconica tristezza, ma quel che riceve in risposta è inaspettato quanto una stella cadente che sfiora l’astro celeste sopra le loro teste


“si rigenerano”


Per spiegarlo a Theo basterebbero le parole, ma parlare è difficile, è diventato difficile si corregge mentalmente, sicuramente da qualche parte, in qualche angolo impolverato nella scatola cranica c’è ancora il Theo di un tempo che ride di lui, canzonandolo, accusandolo d’essere diventato pateticamente fragile, disgustosamente debole, ne ghigna cinica la chimera rigirandosi la sigaretta tra le dita, pressandone la punta infiammata tra le nocche della mano sinistra


“che cazzo fai?”

“guarirà”

“sì, tra settimane”

“guarda”



Le suggerisce la chimera, fissandosi la lieve ustione rossa, pulsante, che lentamente diviene sempre più chiara, sino a svanire in una manciata di minuti e lasciare solo un cerchio di cenere che Theo soffia via, preparandosi già a sentire l’odore pungente della paura impregnare la pelle di Esmeralda che, contrariamente, si lascia sfuggire una risata cristallina, avvolgendo l’aria di dissonante gioia


“sei come me, cioè no, nel senso…cosa sei?”


Inspira nicotina Theo, passandosi una mano tra i capelli, alcuni ciuffi sono diventati ingombranti ormai, ricadono costantemente tra gli occhi, ci riflette, così intensamente, ripetendoselo in un ciclo che assume sfumature differenti ogni volta, cos’è?


“una chimera – e, se pensa al termine, alla derivazione latina, forse lo è sempre stato, perso a rincorrere costantemente qualcosa d’irraggiungibile – metà licantropo e metà coyote mannaro”

“non credevo fosse possibile”


Ammette, più a sé stessa, la gitana, respirando fumo passivo, non avrebbe bisogno di chiedere, sa già che dietro quella semplice parola si nasconde l’origine di un’aura tanto straziata, ma necessità di sapere, di sentire ciò che non può vedere


“lo sei dalla nascita?”


È disperato cinismo la risata di Theo, l’eco di rimorsi, persino la sua vecchia essenza giace, raggomitolata nell’angolo, è una verità che fa male anche a quello che un tempo era


“esperimento scientifico – sogghigna freddo, vetri blu negli occhi, spenti – geneticamente modificato”


Esmeralda vorrebbe potergli risparmiare tutto quel dolore che lo pervade, neppure lei può nulla, ma deve provare, inspira, poggiandogli delicata la mano alla spalla e la chimera sussulta, impercettibilmente, è un tocco leggero di fiamme bianche, aria nei polmoni, socchiude gli occhi istintivo, non c’è più spazio per verità nascoste


“avevo nove anni, giocavo tra gli alberi dietro casa  – soffia una risata amara, la sigaretta pende tra le labbra – si stava facendo buio e decisi di tornare dentro, sentii dei rumori e pensai che fosse mia madre, ma…c’era un uomo, era strano, aveva una maschera antigas, parlava come un dannatissimo robot e…mi disse che mi avevano scelto …mi risvegliai in una stanza ammuffita, c’erano altri come lui intorno a me, ripetevano il mio nome, soltanto il mio nome…mi fecero capire che potevo guarire”


La voce di Theo è un sussurro distorto dal dolore di rimorsi che non avrebbe mai creduto d’essere in grado di provare, le dita della castana gli stringono istintive la spalla ed aria, pura, fresca, invade i polmoni permettendo ad altre parole di scivolare trascinate dalla nube di nicotina


“sono…ero nato con una malattia genetica rara al cuore, un nome così lungo che non sono mai riuscito a ricordarlo e comunque non avrei avuto tempo d’impararlo – sospira tra la coltre fumosa, nell’ombra di un sorriso sterile, d’amara colpevolezza – il lato destro del cuore non funzionava come doveva, era ostruito e…non potevo fare nulla, non potevo giocare, non potevo correre, dovevo stare attento persino a respirare, le cure erano costose, non potevamo permettercele, ma loro…loro erano dottori”


Tra le iridi glauche della chimera una luce fredda, distacco emotivo, quegli anni andati, perduti per sempre, quegli anni sbagliati, non importa quanto possa desiderarlo non potrà mai tornare indietro, cambiare ciò che è stato, i morti restano tali e le sue mani non si puliranno mai dal loro sangue ed Esmeralda la sente tutta la tristezza nascosta dietro quelle iridi vitree ed una lacrima le riga silenziosa il volto, le esili dita ancora serrate attorno alla spalla di Theo


“potevano aiutarmi, dovevo solo fare quello che mi ordinarono ed io…io lo feci – vacillano le parole tra le labbra della chimera, vibrano fragili come mai prima d’ora, una debolezza che non credeva poter provare – mi dissero che volevano un cuore, dissero che mia sorella voleva darmi il suo, gli credetti e quando Tara cadde in quel dannato fiume restai a guardarla svenire,  successe tutto velocemente, i Dottori la portarono via, mi fecero intuire che sarebbe sopravvissuta, mi aprirono il petto e misero il suo cuore al posto del mio, non l’avevo mai visto, era…inutilizzabile”

“ti operarono da sveglio?”


Si lascia sfuggire in un sussurro smosso da singulti di empatica tristezza Esmeralda, la risata di ghiaccio che ne consegue in risposta è una stalattite che taglia l’anima


“non sentii nulla, per quel che conta – nicotina avvolge il volto della chimera, ma non ne nasconde il velo di lacrime che giace tra le palpebre – mi fecero credere a molte cose, persino a non sentire dolore”


Ed è chiaro alla castana cosa celino quelle parole di vento freddo, cerca di respingere il disgusto e la rabbia per quegli uomini privi di scrupoli ed umanità, concentrandosi ad assorbire il dolore emotivo della chimera, ma come può ignorare la disumana meschinità di persone che, senza esitazione alcuna, ingannarono un bambino così piccolo, creandogli un’illusione che potesse guidarlo a compiere ogni loro volere per miserabili, orribili, scopi; approfittandosi di 
un ragazzino facilmente condizionabile, bisognoso d’aiuto, senza ritegno alcuno.

Il vuoto nel petto della chimera è un cuore, un cuore rubato, che batte debole e, se fosse meno egoista, lo strapperebbe a mani nude, rompendosi le costole, ma egoista Theo lo è sempre stato, forse non era solo il suo cuore, quello vero, ad essere sbagliato, forse lo era lui stesso, lo è sempre stato, un errore sin dalla nascita; un fallimento come gli dissero poi anche i Dread Doctors.

Troppo egoista per essere buono, troppo spaventato per essere cattivo; inutile ed inutilizzabile, come il cuore che la natura, macabra ironia, gli donò alla nascita.

Aveva ragione suo padre, quando lo sentiva urlare contro fogli di carta stropicciati, perché i soldi non bastavano mai e le cure non funzionavano, aveva ragione a dire che, in fondo, sarebbe stato meglio non averlo mai fatto nascere.
Aveva ragione la madre, quando piangeva rannicchiata oltre la porta del bagno, perché il figlio non poteva crescere, aveva ragione, in fondo, a pregare Dio di prenderlo con sé finché era ancora troppo piccolo per capire cosa significasse davvero morire.
Aveva ragione Tara, quando invitava gli amici e rideva solare, perché lei poteva farlo, era libera di esserlo, aveva ragione, in fondo, a sussurrare loro che suo fratello era troppo debole per vivere e troppo fragile per sopravvivere.
Avevano ragione, tutti, ed aveva ragione Theo, il Theo bambino invidioso del mondo mai visto, dei prati mai calpestati, dei compleanni mai festeggiati, degli amici mai avuti, aveva ragione ad odiarsi.

Se soltanto avesse saputo dove l’avrebbe portato tutto quell’odio, forse, ora non sarebbe seduto in un divano rosicchiato da animali e logorato dal tempo a contemplare la mezza luna, un sorriso tagliente che lo schernisce ricordandogli che, in fondo, è un errore; l’unica cosa che è sempre stato.


“non colpevolizzarti – sussurra la castana, tra singhiozzi di lacrime d’umana compassione – eri solo un bambino, loro ti ingannarono, ti illusero, si approfittarono di te, la colpa non è tu…”

“e tutto il resto? – esclama tra i denti, incastrandovi la rabbia – come le giustifichi tutte le altre cose che ho fatto, che io ho voluto fare?”


Esmeralda non sa neppure di cosa stia parlando la chimera, ma nei lampi di rabbia, ira per un passato immutabile, sono elencate tutte, una dopo l’altra, le azioni di cui parla ogni inespresso pensiero


“un anno dopo – ride di freddo cinismo Theo, gettando il mozzicone al suolo – sono diventato come loro, ero un esca per ragazzini, li guardavo morire, sperimentavano su di loro, alcuni sopravvivevano, altri morivano soltanto, non ho mai fatto nulla per aiutarli, non volevo”

“non potevi”

“non volevo – ribadisce, la voce trema d’ira, un ringhio baritonale si perde tra le corde vocali – non avevo aiutato mio sorella, perché avrei dovuto aiutare loro?”


Lampi gialli ne fanno risplendere le iridi di lucida rabbia, le dita della gitana si ritraggono improvvise, ombre di pallido bianco ai polpastrelli, sbiadiscono lente, il battito cardiaco della giovane è convulso, rivoli salati si rincorrono scivolando agli zigomi, le labbra dischiuse e l’odore, pungente, della sofferenza avvolge l’aria


“eri poco più di un bambino, hai reagito razionalmente, hai fatto quel che dovevi per sopravvivere e – Esmeralda deve pensare intensamente alle possibili conseguenze, inspira triste – ti sei adattato a loro, Theo sei cresciuto circondato da negatività, paura, rabbia, dolore, confusione, lo vedo, le vedo tutte”


Dice ferma, iridi nocciola incastrate in oceani in bufera, trattiene il respiro per non affogare


“chiunque avrebbe reagito peggio, tu sei stato tenace e sei sopravvissuto, hai fatto quel che credevi giusto per te, eri solo, ti sei protetto – c’è una sicurezza quasi folle nelle parole della gitana, così folle che potrebbe persino convincere una parte, una piccola parte, della chimera – quei dottori, loro erano i mostri, ti hanno usato, ingannato, Dio ti hanno persino rapito…”


Le parole si spezzano tra le corde vocali della castana, strofina via lacrime dalla guance, i dorsi delle mani umidi e le labbra salate, una verità inesprimibile satura l’aria; nessuno, in tutti quegli anni, lo ha mai cercato


“si sono traferiti – soffia in un ghigno di sprezzante cinismo, sputando parole dense di disgusto – la polizia indagò, ipotizzarono un rapimento, forse mi cercarono, poi si arresero, mesi dopo lasciarono Beacon Hills, c’è un’incisione, nella lapide di mia sorella, metaforicamente mi hanno seppellito con lei, ironico non trovi?”


È un dolore a cui non era preparata, non sarebbe mai potuto esserlo, Esmeralda.
Quante cose può dimenticare una cittadina, quanti fantasmi, quanti invisibili possono essere ignorati dagli sguardi troppo affrettati a rincorrere il tempo degli abitanti?


“quando sono tornato ho dovuto persino ritirare la denuncia di scomparsa – ne ride impassibile, un suono di ghiaccio – e fingere che due truffatori da strapazzo fossero i miei genitori, che fossimo tornati la famiglia felice che non siamo mai stata”


Non lo aveva mai detto a nessuno, neppure a se stesso nei giorni più soli, chiuso tra pareti ammuffite e topi indaffarati a racimolare briciole di pane rinsecchito cadute a terra, non è mai stato in grado di raccontarla la vergogna di una vita che non avrebbe mai voluto, che ha cercato di migliorare, sbagliando ogni tentativo, una vita che ora pesa come mai prima, sente le colpe pressare come macigni tra i polmoni ed il cuore, quel cuore rubato, strappato dal petto di sua sorella ed intrappolato nel costato, picchiare in protesta; a ricordargli che questo è ciò che merita.

Non ha mai fatto nulla e nulla avrà, né bene, né male, continuerà a strisciare inosservato tra le strade di una città che non l’ha mai voluto, attendendo l’ascesa, definitiva, verso l’eterna dannazione infernale; unica cosa che merita o, forse, non meriterebbe altro se non dissolversi, svanire come un fantasma ed essere dimenticato, come se non fosse mai esistito. 


“me ne andrò, questa volta davvero”


È un soffio spontaneo, inconscio, la voce della chimera e le iridi nocciola di Esmeralda si dipingono di paura, lo sguardo indugia ad osservare quel sottile filo perlaceo, creatosi da giorni, che oscilla a mezz’aria tra di loro, un segno che solo lei può vedere, che solo lei può capire


“non farlo, ti prego”


Esclama, paura e ansia ne fanno vibrare nervosamente la voce, così sottile da sembrare sul punto di spezzarsi, un suono tanto agitato da catturare l’attenzione della chimera che deglutisce impreparato alla vista di quelle iridi nocciola tremule, velate di lacrime


“se te ne andrai – le lettere s’incastrano tra i denti, spaventate all’idee d’essere udite – appassirò”


Theo si chiede se non sia una metafora, una scelta estrema nell’utilizzo delle parole, ma c’è così tanto terrore negli occhi della gitana che non ha neppure bisogno di sentirne l’odore


“accade raramente, avevo paura a dirtelo – ammette in un sussurro la giovane, chinando lo sguardo al suolo – ma…se…se te ne andrai…fu mia madre a spiegarmelo prima di…di morire, può accadere che una persona ci invochi o che ci scelga involontariamente come protezione e a quel punto…si crea un legame indissolubile per noi, la persona può decidere di spezzarlo…le conseguenze però portano…è come se…perdiamo lo scopo della nostra natura e appassiamo, ci spegniamo lentamente sino a…a morire”


E la chimera, per la prima volta, trema spaventato, d'una paura che ne paralizza persino il respiro, il sangue nelle vene e blocca anche quel cuore che non gli appartiene, per la prima volta sente la colpevolezza d’azioni che non ha ancora compiuto, di sangue di cui non si è ancora macchiato le mani e, per la prima volta, sente chiare, personali, le emozioni di quella che non avrebbe mai voluto rendere l’ennesima vittima.

I pensieri viaggiano veloci, si susseguono frenetici, in un groviglio confuso di sentimenti contrastanti.

Vorrebbe restare, farlo per lei e per se stesso, non sopporterebbe di sentire il peso della sua morte, la più innocente creature, a rubargli il sonno e l’ossigeno in eterno.
Vorrebbe andarsene, farlo per Liam e per se stesso, impedirsi che desideri di impossibile speranza possano illuderlo, impedirsi di rovinarlo e dover convivere nella consapevolezza di aver macchiato il mannaro di nero. 

E nell’incertezza d’un silenzio denso di paure e timori la voce di Esmeralda è un soffio fragile


“non sei costretto a restare – è brezza autunnale che la chimera sente già appassire – ma…Liam vorrebbe che restassi, il legame che avete, posso vederlo, è sincero e forte, tra i più forti che abbia mai visto e so con certezza che, che lui…non è allontanandoti che lo aiuterai…vi farete solo del male, se te ne andrai”


La chimera deglutisce a vuoto, tastando il sapore di un’unica, singola, lacrima scivolargli tra le labbra dischiuse a cercare parole che non possiede, per la prima volta incapace di rispondere, è difficile respirare ed il guazzabuglio confuso che gli stringe in una morsa la mente gli sta rubando tutte le energie


“Theo, qualsiasi cosa deciderai promettimi soltanto che ti ricorderai sempre che – mormora la castana, cingendogli le braccia al collo in uno slancio di spavento e bisogno – meriti di essere felice”


Gli sussurra nascondendoglisi nell’incavo del collo, stringendolo tra quelle minute braccia, nella paura che, risvegliandosi, non lo troverà più accanto a lei.
E la chimera sente il cuore, quel cuore trafugato e maltrattato, contorcersi ed incastrarsi tra le ossa, fermarsi e divenire ancora più silenzioso e si chiede, ancora una volta, se è questo il rumore che produce un meccanismo arrugginito, per troppo tempo inutilizzato, nel tentativo di azionarsi e funzionare; funzionare nel metodo migliore.


 

 
Buonsalve, 
strano, ma vero, siamo giunti già al capitolo quindici, il che significa che mi restano solo due capitoli e poi, forse, se tutto va bene potrò dire di aver finalmente concluso una storia.
A tale proposito, spero che questo capitolo, decisamente troppo lungo,  non sia stato troppo noiso, poco chiaro o frettoloso (che è un mio difetto enorme) e che Theo non risulti troppo OOC, anche se lo è comunque...Ad ogni modo ho pensato di dargli una storia dietro, un motivo per cui abbia fatto quel che ha fatto quando aveva nove anni, l'idea dello psicopatico non mi è mai piaciuta, non ha i giusti tratti distintivi, quindi ho giocato un po' sull'egoismo, la paura, la famiglia e i Dread Doctors stessi; mi auguro non sia stato un azzardo sin troppo eccessivo. 
(Ah la malattia di cui soffriva il piccolo Theo si chiama : Displasia Ventricolare Destra Aritmogena, ARVD) 
Ho anche voluto aggiungere alcune informazioni in più sulle capacità di Esmeralda ed inserire l'elemeto dei legami e delle conseugenze.
Comunque spero vi sia piaciuto, almeno un pochino. 

Ringrazio tutti i silenziosi lettori, coloro che hanno aggiunto tra preferite/ricordate/seguite e le splendidi recensioni che sono sempre una gioia, non posso rispondere a tutte quelle che mi sono lasciata indeitro per distrazione e scarsa memoria, ma rimedierò con quelle del capitolo precedente. 

Grazie, 
alla prossima

 

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Capitolo 16
*** Chapter Sixteen : I Don't Want To Lie, I've Been Relying On You ***


~ Chapter Sixteen : I Don't Want To Lie, I've Been Relying On You ~
 


Casa Dunbar, ore 5.00 

C
’è sempre stata la rabbia, distruttiva, intensa, a predominare sopra ogni altra emozione, è istintivo, quand’era bambino il patrigno gli spiegò che, a volte, poteva capitare di sentirsi così tanto arrabbiati da voler sfogare, in qualche modo, tutta l’energia e, per alcuni, era più difficile e potevano fare del male a loro stessi o agli altri se non imparavano a gestirsi; ma Liam non riusciva mai a capire ciò che il patrigno cercava di dirgli.
Comprese poi, quando divenne grande, quando i cuscini spennati, strappati, si tramutarono in peluche smembrati, ridotti a brandelli di peluria artificiale ed imbottitura, quando le nocche cominciarono a tingersi di rosso, macchiando le mura della camera, distruggendo specchi colpevoli di riflettere l’immagina di un volto deturpato dalla rabbia, quando lo espulsero da scuola; fu allora che tutto divenne più chiaro.
Era come se qualcosa, qualche sinapsi o neurone, non funzionasse come dovere ed ogni singola, anche la più minima, situazione di stress emotivo, si tramutasse in furente ira che bruciava ogni cellula del corpo ed infiamma la pelle al punto da costringerlo a lasciar esplodere le fiamme prima di restarne bruciato.

Impiegò anni, ore di terapia, soldi in medicine, prima di riuscire a trovare un barlume di controllo che gli permettesse di condurre una vita sana, o quanto meno non nociva per sé e per le persone che gli gravitavano attorno che rischiavano, ogni volta, di divenire vittime indesiderate d’un esplosione e cominciò a sentirsi una mina vagante, una bomba ad orologeria mal funzionante.
L’ansia divenne una compagnia giornaliera, un’ombra che lo seguiva ovunque andasse, ricordandogli in ogni istante che qualsiasi persona, qualsiasi situazione, era un pericolo costante da evitare e Liam iniziò a chiudersi in casa, passando le giornate a guardare documentari storici, leggere libri, giocare con videogame in cui poteva picchiare avversari senza sentirsi colpevole, chiuso nella solitudine a distrarsi dal mondo.

L’unica eccezione è sempre stata Mason.

Forse perché era così diverso da lui, calmo, pacato, persino cauto e fu facile, per entrambi, attrarsi come poli opposti, da una parte c’era l’impulsività, la rabbia e dall’altra la pacatezza, la tranquillità; insieme, in qualche modo,  si bilanciavano.
Con lui Liam si sentiva un ragazzo come chiunque, persino quando litigavano riusciva a trovare il controllo necessario per colpire il muro, Mason si spaventava, ma sapeva che non aveva nulla da temere, se così non fosse stato il suo naso sarebbe già stato rotto più d’una volta e l’ambulanza lo avrebbe già scortato all’ospedale in più occasioni; come Brett, una mattina, al campus estivo, quando commise l’errore di provocarlo.
E poi, quando Liam aveva finalmente imparato, trovando la forza necessaria per controllarsi, le cose precipitarono rovinosamente, costringendolo a ripartire dalle basi; ed incolpò Scott.

Se ne vergogna persino, ora che quei giorni sembrano essere ricordi lontani, ma quando tutta la verità, sul sovrannaturale, il morso, la licantropia, la luna piena e ciò in cui era stato trasformato divenne realtà, odiò ed incolpò Scott McCall per avergli causato la peggiore ed irrimediabile delle disgrazie possibili ed averlo reso ciò che aveva, a lungo, sperato di non essere mai; una minaccia, un pericolo costante.

Si sentì un mostro, per così tanti giorni, e si sentì tale anche quando poi, col tempo, apprese maggiori informazioni ed il legame con quello che, gli dissero, essere il suo Alpha s’intensificò, ci vollero mesi, altre ore di terapia e medicinali, inefficaci ormai, prima di riuscire ad accettare la nuova realtà che gli si palesava dinnanzi ed anche in quei giorni, malgrado l’instabilità, malgrado la paura e la confusione, Mason era lì; era lì con lui a sostenerlo e sorreggerlo.

Ed ora che ogni singolo libro giace al suolo, tra assi di legno di quella che un tempo era una libreria, ora che le nocche guariscono lente dai graffi e le iridi brillando gialle, ora che la stanza è un campo di guerra, le medicine non funzionano e Liam è solo, raggomitolato tra le ginocchia, accasciato al suolo come un reduce di battaglia, artigli conficcati tra i capelli e fiato erratico, i genitori lontani miglia e parole d’abbondono a riecheggiare tra la mente; Mason non c’è.

Forse ha perso persino lui, per cosa poi?

Per inseguire un illusione, si grida contro il mannaro, per rincorrere una chimera, ringhia stringendo la nuca tra le dita e lacrime tra le ciglia.

Come la spiegherà quella crepa nel muro, affianco allo stipite della porta?

Come riparerà la libreria ridotta a macerie di legno?

Cosa racconterà alla madre quando, tra due giorni, tornerà e Liam non vorrà lasciare la camera, annegando tra le coperte?

La colpa, questa volta, è solo sua.

Avrebbe dovuto saperlo, sin dall’inizio, da quella prima volta in cui incontrò quelle dannate iridi glauche, dal primo istante in cui sentì quell’odore, inconfondibile, quando si lasciò ingannare; avrebbe dovuto capirlo, le persone non cambiano.

Dovrebbe cominciare a crederci, dovrebbe ripeterselo sino allo sfinimento.

Si è lasciato intrappolare, per l’ultima volta si dice cercando di stabilizzare il respiro, da quel dannato inganno universale che è l’amore.

Si è lasciato ingannare, per l’ultima volta si ripete raccogliendo le forze necessarie a strisciare sino al telefono, dalle parole di una bocca che non è mai stata in grado di dire la verità.

Forse se Hayden non se ne fosse mai andata, se fosse rimasta con lui, tutto sarebbe stato diverso.
Cerca di incolparla, ma conosce bene, sin troppo bene, la verità, ed ingannarsi riflettendosi negli occhi di Hayden non funzionava neppure prima che la chimera precipitasse in un cratere tra la terra e non funziona neppure ora che da qual buco Liam lo ha testardamente protetto, ignorando valide motivazioni per rispedirlo all’inferno, e non funzionerà neppure domani; né tra tre giorni.

Non funzionerà mai.

E quel che succede, conosce i meccanismi che muovono gli ingranaggi della sua mente, ha impiegato anni, mesi, a capire cosa lo spingesse a cercare, sempre, le iridi glauche della chimera e, col senno di poi, rivalutando la sua unica relazione sentimentale, degna di nota, avrebbe dovuto comprenderlo meglio tutto quell’odio che provava per Theo; è così che inizia, è così che la mente lo avverte che sta per cadere nella trappola universale dell’amore.
Avrebbe dovuto prestare maggiore attenzione, ma distratto Liam lo è sempre stato, certi segnali, basilari, sono sempre stati un mistero ed ora che si ritrova a ripercorrere le fasi che l’hanno portato a distruggere la libreria, gli resta una sola speranza : che Mason risponda. 

L’incessante attesa logora lentamente, ogni suono si prolunga tra i timpani del mannaro, trascinandosi come una melodia stanca, le dita tremano strette attorno al cellulare, finché la voce, impastata dal sonno, dell’amico non sopraggiunge dall’altro lato della cornetta; Liam deve aver perso, tra le tante cose, anche la cognizione del tempo


“hai idea di che ore sono?”


Biascica infatti Mason, l’eco di uno sbadiglio in lontananza, il mannaro poggia la schiena al bordo del letto


“mi... – soffia debolmente, reclinando la nuca al materasso – ...scusa…sono un’idiota”


Fissa il bianco soffitto, le iridi vagano da un punto indefinito all’altro, senza riuscire a trovare nulla che possa distrarlo dal caotico groviglio di parole che s’intrecciano tra le corde vocale, costringendolo a tossicchiare un singulto


“Liam – la voce dell'umano è un suono sottile, preoccupato, forse non tutto è perduto – cos'è successo?”


Inspira il mannaro, cercando di sbrogliare il nodo alla gola, deglutendo rumorosamente, gli occhi bruciano di lacrime inespresse, socchiude gli occhi lasciando fuoriuscire parole tremule in un sospiro amaro


“avevi ragione – dice, salsedine pizzica tra le guance, incastrandosi tra crepe nelle labbra screpolate – avevi ragione”


Silenzio, insopportabile silenzio è tutto ciò che ne segue, interrotto solamente da rumori distanti, di coperte gettate a terra e passi frettolosi, una confusione gracchiante di azioni che il mannaro può solo intuire e che trovano risposta nel respiro affannato dell’amico


“tra dieci minuti sono lì – lo informa, il tintinnio di chiavi ed il suono d’una porta che si chiude piano, minimizzando il rumore – Liam…avrei preferito sbagliarmi”


Il mannaro trattiene il respiro, nel vano tentativo di nascondere singhiozzi che ne scuotono le spalle, ma il sapore delle lacrime che scivolano furtive tra gli zigomi, perdendosi tra le labbra, inasprisce la lingua e le parole che fuoriescono in un sussurro strozzato


“anch’io”


Riesce soltanto a dire, prima di lasciar cadere il cellulare al materasso, non interrompe neppure la chiamata, resta immobile, una statua vuota, la nuca così pesante che ha il timore di poter perdere l’equilibrio e scivolare al suolo nel tentativo di alzarsi dalla scomoda posizione assunta, ma le gambe sono macigni distesi al suolo e le spalle zavorre che lo inchiodano al bordo del letto; neppure lo sguardo riesce più a spostarsi da quella chiazza grigiastra che accerchia il lampadario pendente al soffitto.

Minuti, forse più dei dieci promessi, trascorrono prima che il campanello trilli lieve ed altrettanti ne trascorrono prima che Liam riesca a sollevarsi, forzando i talloni al pavimento, tra i libri sparsi, strisciando lungo la parete, arrivando faticosamente alla porta d’ingresso e deve avere un aspetto decisamente stanco, forse sfinito, perché gli occhi di Mason indugiano, guardandolo come si guarderebbe uno morto che cammina; comparso dal nulla


“mi dispiace – è lui, il primo a spezzare il silenzio, richiudendosi la porta alle spalle – non volevo…sono stato…un stronzo”

“ma avevi ragione – sembra tutto ciò che il mannaro è in grado di ripetere, seguendolo, stanca sagoma, sino al salotto – su tutto”

“Liam…”

“no, non…  – le parole, come frammenti di specchi che rifletto immagini distorte, sono suoni confusi – avevi ragione, sono un’idiota…ho creduto…era cambiato…era…e poi…una menzogna dietro l’altra…tutto quello che ha detto, sono stronzate, non gli credo…lui…noi…”


Mason non ha mai desiderato tanto intensamente come ora d’essersi sbagliato, avrebbe preferito doversi scusare, dover ammettere che Theo era cambiato, davvero, poter dare ragione a Corey, a Liam, schierarsi dalla parte dell’amico contro il branco intero ed accettare, lentamente, una relazione che, infondo, aveva già intuito sarebbe nata, prima o poi.
Ed ora, specchiandosi in quelle iridi azzurre velate di lacrime, farebbe di tutto per poter riavvolgere il tempo e fare qualcosa, qualsiasi cosa, per impedire tutto questo.
Istintivo stringe il mannaro in un abbraccio fraterno, non lo ha mai visto tanto fragile, eppure hanno superato così tante difficoltà, così tanti ostacoli, fa male vederlo così fragile 


“risolveremo tutto”


Liam soffoca un sorriso triste, scivolando dalle braccia dell’amico, iridi rosse, gonfie, cieli carichi di pioggia, scuote il capo, mordendosi il labbro tremulo


“non è un mostro – dice, senza sapere neppure a cosa esattamente voglia riferirsi – o una catastrofe sovrannaturale, non puoi risolverla, non c’è niente da risolvere, non c’è…non c’è più niente”

“andrai avanti, come hai sempre fatto, non puoi lasciarti abbattere da quello stron…”

“non siamo mai stati niente?”


Le parole dell’umano si bloccano tra la trachea, deglutisce rumorosamente, quella domanda rivolta all’eco di un uomo che non c’è ed il peso di quelle iridi di cieli in tempesta lo costringono a distogliere lo sguardo, cercando qualcosa nella stanza che gli impedisca di urlargli contro che, in fondo, una parte di sé, crede ancora che sia meglio così; soffrirà, ma forse meglio ora che poi, quando inevitabilmente Theo l’avrebbe abbandonato dopo chissà quanti mesi, usandolo come un giocattolo perché, la verità è che, Mason non riesce a credere al cambiamento della chimera.
Non ci riesce, non ora che ne vede, per la millesima volta, i disastrosi effetti del passaggio, nel peggiore degli scenari, avrebbe potuto sorvolare sui passati crimini, ma questo, questo non può perdonarlo, non Mason; maledice il giorno in cui ha permesso all’amico di distruggere quella dannata spada.


“Liam – tenta, cauto – starai meglio, ora ti sembra impossibile, ma credimi starai meglio senza di lui”


Non sfugge un bagliore di fulmini nella tempesta che s’agita tra le iridi azzurre del mannaro, incastra le unghie ai palmi, trattenendo lo scalpitare furioso della rabbia, sua e del lupo che ulula, graffia, ferisce sottocute, un dolore incalcolabile, che nessuna parola mai sarebbe in grado di esprimere


“non ho controllo, Mason – ringhia tra i denti, respingendo artigli che premono tra i polpastrelli – la rabbia…io…non ho controllo, non riesco ad averne…è…lui...è riuscito a calmarmi, una sera, è bastato...l’odore, sapere che era…senza è come se…tutto è troppo, non riesco…mi sembra di poter esplodere da un momento all’altro come quando ero a Devenfort…è…l’odore, la voce, pensare a…è come se mancasse…”

“come se ti mancasse un’ancora?”


Un’intuizione timorosa dischiude le labbra dell’umano, com’ha fatto ad ignorarlo?
Come può essere stato tanto cieco?
Persio prima che Hayden lasciasse Beacon Hills, persino mentre si frequentavano, il controllo di Liam mostrava chiari segnali di cedimento, quando poi se n'è andata tutto è rovinosamente precipitato, sino al giorno in cui Theo non comparve, inaspettatamente, nelle loro vite; di nuovo.


“è la tua ancora?”


Una constatazione così ovvia, si dice Mason, che avrebbe preferito omettere, avrebbe fatto meno male tacere delle lacrime, rivoli silenziosi d’amara consapevolezza, che scivolano tra le gote arrossate del mannaro, che sfiorano le labbra gonfie di morsi, aggiungendo un motivo in più per odiare Theo Raeken come l’umano non ha mai odiato nessun altro prima d’ora


“non hai bisogno di lui – esclama, sicuro, poggiando una mano alla spalla dell’amico – puoi essere l’ancora di te stesso, lui non ti serve”


Credergli, per Liam, è impossibile.
Non è mai stato in grado di controllarsi, ne è consapevole, non c’è mai riuscito, è sempre stato difficile e la sola forza di volontà non è mai bastata, né prima né dopo la trasformazione in licantropo, eppure con Theo è differente, come tutte le cose che lo riguardano, riusciva a trovare un modo, a tratti incomprensibile, per essere la sua unica eccezione, punto debole e di forza, con lui riusciva ad incanalare la rabbia, a controllare il disturbo intermittente esplosivo, a placare l’agitazione; con lui ne era in grado come mai era riuscito prima


“Mason – soffia piano, quasi spaventato, incastrando le iridi a quelle dell’amico che trema impercettibilmente, già consapevole di quel che seguirà – io…credo, no…io so, so che…io…”


È terribilmente doloroso permettere a quelle singole lettere di lasciare quell’angolo tra le corde vocali che si sono scavate da giorni ed emergere, spaventosamente fragili, terribilmente spezzate, dinnanzi alla persona sbagliata, ad essere udite da orecchie errate, ma deve dirlo Liam, se vuole liberarsene prima che lo soffochino


“io lo…lo…”

“lo so – lo interrompe Mason, egoisticamente impreparato a sentire quel verbo,
 rivolto ad uomo che non lo ha mai meritato,  fuoriuscire dalle labbra del mannaro, avvicinandolo a sé, lasciando che poggi la fronte nell’incavo del collo – lo so, Liam”


La schiena di quest’ultimo è scossa da fremiti e singulti, lacrime scavano solchi salati tra zigomi già secchi, inumidendo la sottile maglietta dell’umano che stringe, istintivo, le braccia attorno al busto del mannaro e, in qui sussulti mozzati, in quel respiro stanco, privo d’energie, prosciugato da un’insondabile dolore si dirada l’eco d’una verità senza voce da troppo sepolta e l’aria si avvolge di densa melanconica tristezza; cristallizzandosi in un bozzo che fa mancare il respiro.


Campo Gypsy, ore 5.20
 
 Il primo raggio solare filtra tenue tra le tende della piccola finestrella, una linea sottile di luce illumina le coperte ed Esmeralda stiracchia le gambe, intorpidite, non è riuscita a dormire, ha passato la notte insonne a monitorare il respiro della chimera, ancora dormiente, alla sua destra.
Non è la paura dell’abbandono, d’appassire come un fiore secco privato dell’acqua, non è la paura di morire ad averla tenuta sveglia sono stati i sussulti, l’agitarsi tormentato di Theo, da mesi non lo sentiva più lottare contro incubi che, ora, hanno volti, nomi, un contesto così vivido che persino la mente di Esmeralda ne è spaventata quando chiude gli stanchi occhi e conosce, più di quanto vorrebbe, la causa di una drastica ricaduta.
Vede quel legame, quell’intenso filo dorato, spesso e brillante, perdere lucentezza, tinteggiarsi lentamente di grigio, sbiadire nella nebbia dei legami distrutti e non può permettere a quell’unico filo di speranza che resta alla chimera di dissolversi e rinsecchire come tutti gli altri che ne circondano l’aura straziata, è già sin troppo spezzata e frastagliata quell’essenza martoriata.

Deve fare qualcosa, e non è solo la natura ad imporglielo, è il suo stesso desiderio ad obbligarla ad agire, un dovere morale ed un bisogno quasi fisiologico quello di aiutare la chimera che, col trascorrere del tempo, è diventato parte della famiglia; qualcuno che non può e non vuole perdere.

Scivola cauta tra le coperte, poggiando lieve i piedi al suolo, rabbrividendo per alcuni istanti al contatto con la fredda superficie, raccoglie silenziosa gli abiti lasciati al bordo del letto la sera precedente, nel tempo di una breve doccia si cambia, controllando poi che la chimera dorma ancora, sospira un sorriso di dolce tristezza prima di lasciare la roulotte; la borsa pende a tracolla dalla spalla destra e le gambe si muovono rapide seguendo quel filo dorato che volteggia a mezz’aria, sa dove deve andare.

Col senno di poi avrebbe potuto chiedere ad uno dei suoi fratelli di farsi portare dall’altro lato della città, inspira affaticata Esmeralda, ritrovandosi a fissare una porta in bianco legno rifinito, in un quartiere elegante che non credeva neppure esistesse, indugiando incerta al campanello; riflettendoci avrebbe anche potuto attendere qualche ora.
No, si dice risoluta, decidendo di suonare, piuttosto correrà il rischio di svegliarlo alle sette del mattino, d’un pigro mercoledì estivo, ma non può attendere oltre.
Attende minuti, prima di ripetere la procedura, intenzionata ad insistere finché non otterrà risposta e quando, finalmente, la porta si apre il sorriso, speranzoso, che aveva scivola rovinosamente dalle labbra non appena le iridi nocciola s’incontrano con quell’azzurro di cieli spenti, privi di luce.


“ciao, scusami per il disturbo ma... – si sforza di ricreare un sorriso che, tuttavia, non riesce ad assumere la forma corretta – posso entrare? Devo parlarti, urgentemente”


Il mannaro solleva le spalle, tanto debolmente da darle l’impressione che non si sia neppure mosso, ma poi le fa spazio, invitandola silenziosamente ad avanzare, richiudendole la porta alle spalle non appena Esmeralda prende posto al divano nella sala principale; gambe tamburano al pavimento impazienti ed agitate


“non ti sarai mica dimenticato di me, mi offenderei un po’ sai”


L’ironia, le ha detto Bianca una volta, è sempre un buon punto d’inizio, ma la malinconia nel volto del mannaro è invalicabile e la gitana inspira, sbattendo le lunghe ciglia nere


“immagino tu sappia perché sono qui – comincia pacata, giocherellando con la cerniera della borsa nocciola – e...negli ultimi mesi lui è...è diventato parte della famiglia e so quanto ha sofferto, so quanto orribile è stata la sua vita prima di…”


S’arresta improvvisamente chiedendosi quanto sappia quel ragazzo dagli occhi tristi di Theo, quanto gli abbia raccontato e quanto invece gli abbia nascosto, del suo passato, di quel che è stato e di quello che è diventato, avrebbe dovuto chiederlo, in qualche modo, ma la disattenzione è sempre stato un punto debole, la sorella non manca mai di farglielo notare, sospira decidendo che, comunque, deve proseguire, non può arretrare 


“prima di incontrarti – le iridi del mannaro vibrano d’impercettibile tristezza e l’istinto della gita le implora di allungare la mano e liberarlo, per quanto può, da tutto quel dolore intrappolato, ma si costringe a desistere – so quanto è testardo ed orgoglioso, si è convinto di non meritarti, ha paura, paura di…di rovinare tutto e si costringe a…a rinunciare, pensa di…pensa che sia meglio così, che sia meglio per te, lui…”

“a che serve dirmelo?”


Sibila il mannaro, vittima di una rabbia trattenuta, preda d’emozioni contrastanti che giocano con la sua mente, che ne annebbiano di lacrime i pensieri, le iridi chiare, la vista resa cieca da una patina di dolore che ne sta indurendo il cuore ed Esmeralda trattiene, ancora una volta, l’istinto di sfiorarne la spalla e catturarne quanto più possibile di quella densa tristezza che lo rende pietra intoccabile


“perché  – esclama, iridi di cioccolato fuso si incastrano in mari saturi di gocce salate – perché so quanto…quanto voi due…il legame che…non può rinunciare a te solo perché è spaventato da una paura irrazionale e tu…tu non puoi permettergli di lasciarti così, senza…senza…dovete lottare, entrambi”


Conclude, la voce di qualche ottava troppo elevata, le dita strette tra di loro, nel tentativo di placare l’impellente necessita di assorbire quel dolore e gli occhi sicuri di chi sa di condurre una giusta battaglia.
Liam s’irrigidisce, stringendo i pugni lungo i fianchi, una stilla di sangue picchietta al suo riecheggiando nel silenzio, catturando l’attenzione della castana, e prima che il lupo prevarichi la parte razionale ed umana volta le spalle alla gitana, rifugiandosi in cucina, secondi dopo l’eco d’un pugno che s’infrange alla parete, facendo tremare lo stipite della porta, fa sobbalzare Esmeralda


“Liam – sussulta, affrettandosi a soccorrere il mannaro – stai…”


Le parole muoiono in gola e la gitana maledice, ancora, la distrazione per non essersi accorta, prima, che anche quel ragazzo dai capelli biondo miele nascondeva un segreto sovrannaturale, come lei, come Theo, forse come l’intera città si dice espirando un tiepido sorriso bonario


“va tutto bene – gli dice pacata, portando in avanti i palmi delle mani, cercando di ricordare quello che Bianca le ha raccontato dei licantropi privi di controllo – non ho paura”


Nelle iridi giallo topazio accesso di Liam c’è così tanta confusione che Esmeralda non ha neppure bisogno di seguirne l’aura agitarsi sgraziata sotto l’influsso d’emozioni contrastanti, rabbia, smarrimento, dolore e timore ne animano la sagoma e la castana comprende che è il mannaro ad aver paura; paura di poterla ferire


“non mi farai male – lo rassicura, in un soffio gentile – va tutto bene, so cosa sei, sono come te…cioè non proprio così, specie diversa, ma…il sovrannaturale non mi spaventa”


Decide di optare per una sintesi estrema di quel che è la sua natura, rilassando gli avambracci, avvicinandosi cauta a Liam che resta, come statua di fragile vetro, immobile, i canini ne graffiano il labbro inferiore, le iridi topazio scrutano confuse la sagoma della giovane, le nocche ancora serrate con ferrea ira alla parete ed una crepa che si dirama al di sotto


“voglio aiutarti – le dita di Esmeralda possono quasi sfiorarne la spalla tesa – per favore, fidati di me”


Liam inspira ed è il lupo a suggergli di ascoltarle quella voce gentile, a ricordargli che se la chimera si è fidata allora può farlo anche lui, quella giovane dal tocco di brezza fresca ed ossigeno non rappresenta un pericolo, non può rappresentarne, c’è l’odore di Theo incastrato tra la pelle della castana ed il lupo si placa sotto quel lieve contatto creatosi e, lentamente, gli artigli si ritraggono, i canini si ridimensionano e le iridi degradano verso il naturale colore


“meglio?”


Il mannaro riesce soltanto ad annuire, ancora confuso, ci sarebbero così tante cose che vorrebbe chiederle, così tante domanda da fare, ma la mente riesce a concentrare l’attenzione soltanto alla traccia, esigua, dell’odore di Theo che aleggia debole nell’aria e Liam si chiede se sia stato questo ad aiutarlo o se, invece, sia stato merito del tocco, la voce calma, della gitana che gli sorride dolcemente


“io non… – boccheggia agitato il mannaro, ritraendo il pugno dall’impronta di nocche nel muro – mi dispiace, io…”

“non devi scusarti  – scuote bonariamente il capo la castana, distendendo le braccia ai fianchi – è stata colpa mia, non avrei dovuto essere così…dura, ma...non voglio che Theo soffra, non voglio che nessuno di voi due soffra, ma se lui…se lui non lotterà per se stesso, per voi, accadrà e…ti prego, non permetterglielo”

“non so cosa…io…che dovrei fare?”


Tituba in un soffio tremulo, stringendosi nelle spalle, respingendo lacrime che non hanno mai smesso di solcarne il volto dalla notte precedente, trattenendo il respiro nel vano tentativo di contrastare singulti di dolorosi dubbi


“puoi convincerlo, puoi fargli capire che ti merita – nelle iridi nocciola di Esmeralda si dirada una luce di speranza che s’incastra tra gli occhi gonfi di stanche lacrime del mannaro – ti prego Liam, devi…forse siamo le uniche due persona al mondo che gli restano che non vogliono vederlo soffrire, ti prego…devi venire con me”


Ed il cuore del mannaro bussa tra le costole, chiedendo prepotentemente d’essere ascoltato, ed il lupo graffia, ringhia la verità che ha letto nelle parole della gitana, e l’istinto, un disperato bisogno, un sentimento che non ha mai avuto possibilità d’esprimere, prega d’essere accolto, seguire Esmeralda e lottare, con ogni singola forza che gli resta, per tutto ciò a cui non è disposto a rinunciare;  non ora che sentiva così vicina la feclitià. 

 


 
Buonsalve, 
siamo già al capitolo sedici, mi fa strano, non ero mai riuscita ad arrivare così lontana e infatti sono piena di dubbi. 
Ad esempio non so se sia troppo presto per questione "ancora" o se abbiamo avuto troppo poco tempo insieme (le già citate tre settimane, più il periodo della Caccia Selvaggia che ho ipotizzato essere di qualche giorno abbondante) per poter già parlare di certi sentimenti, insomma tendo ad essere un paradosso, uno strano incricio tra frettolosa e lentissima e giunti quasi alla fine sono assalita da dubbi. 
Comunque spero che, almeno a voi, non sia sembrato orribile questo capitolo e che la storia possa continuare ad interessarvi comunque. 

Per chiunque fosse potenzialmente interessato ho scritto una One Shot che si collega a tutta questa storia qua, lo dico tanto per darvi notizie inutili; ma comunque, in caso, ve la linko : https://efpfanfic.net/viewstory.php?sid=3724067&i=1

Ringrazio i silenziosi lettori, tutti coloro che hanno aggiunto tra preferite/ricordate/seguite e le magnifiche recensioni. 

Spero di non aver deluso troppo, grazie ancora, 
alla prossima 

 

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Capitolo 17
*** Chapter Seventeen : Doomed From The Start ***


~ Chapter Seventeen : Doomed From The Start ~


“Esmy, cos’hai?”

“niente, sto…stavo pensando”



Soffia in una nuvola di nicotina, poggiando i gomiti al bordo del davanzale, Greenberg le scosta dolcemente una ciocca castana dalla fronte, incastrandogliela dietro l’orecchio


“a Theo?”


Chiede dondolando una gamba oltre il davanzale del secondo piano, assicurandosi di non cadere incastrando il tallone destro al termosifone sottostante, la gitana annuisce, inspirando fumo ed il ragazzo sospira comprensivo


“non puoi costringerlo a stare con lui, se non lo vuole”

“ma lo vuole – esclama sicura la castana, sospirando dietro la sigaretta – ha solo troppa paura di non essere all’altezza ed è uno stupido perché io so…”

“Esmy, alcune persone hanno bisogno di molto tempo prima di riuscire ad accettare un legame del genere, dovresti saperlo meglio di me”


Le sorride lieve, una mezza luna più luminosa del sole che brilla alto nel cielo e la gitana socchiude gli occhi, poggiando la nuca all’addome del moro


“davvero li hai chiusi nella roulotte?”


Ridacchia sottile, bonariamente, Greenberg, giocherellando tra i capelli di Esmeralda che solleva lo sguardo, dischiudendosi in un tiepido ghigno volpino


“Esmy, Esmy, Esmy – cantilena il moro, scuotendo divertito il capo, agitando i disordinati ricci scuri – la vita sarebbe incredibilmente noiosa senza di te”


Dice poi, chinando la schiena sino a raggiungere la fronte della giovane, depositandovi un fugace e pudico bacio, intossicandosi di fumo passivo e d’un lieve riso cristallino che rischiare la coltre di dubbi e timori che dipinge l’aria ed il cielo all’orizzonte.
 
 
(piccoli consigli per la lettura : https://youtu.be/qqXjt5WFPgc)

Ha cercato una via di fuga la chimera, ha persino pensato che sfondare la porta della roulotte non sarebbe stata una pessima idea, ma il sospirare concitato di Liam, stretto in un angolo della minuscola cucina, infossato tra le spalle, nel vano tentativo di mimetizzarsi o farsi assorbire dalle pareti d’acciaio e plastica, lo ha costretto a convincersi che, forse, scappare non rientra tra le possibilità


“dovrebbe esserci una chiave…”

“perché?”



Esclama, d’un tratto, Liam sovrastando le parole della chimera che si bloccano a mezz’aria, sospese, come il respiro tra i polmoni, arcua un sopracciglio non riuscendo a comprendere quelle lettere che aleggiano nell’atmosfera


“per aprire la porta”


Dice semplicemente, convincendosi che quella domanda si riferisca al suo cercare un mazzo di chiavi di riserva, sicuramente lasciato da qualche parte, perso tra altre cianfrusaglie o, peggio, nella borsa senza fondo della gitana


“perché sei così stronzo?”


Soffia il mannaro sollevano lo sguardo ed iridi azzurre trafiggono quelle di Theo, lame che si conficcano tra le costole, il cuore si blocca per istanti interminabili e persino il sangue tra le vene sembra fermarsi, l’aria diviene improvvisamente densa riducendo l’ossigeno presente


“che vuoi, Dunbar?”


Un abile bugiardo sa come nascondersi dietro le parole e la chimera di menzogne ed inganni ne ha vissuto così a lungo da esserne divenuto esperto, dissimulare emozioni è l’arte che padroneggia ormai inconsciamente, ma c’è sempre un punto debole in ogni menzogna persino nella migliore e Liam dev’essere il suo, le spalle tese e le braccia rigide ai fianchi, lo sguardo fisso al centro del petto, a cercare segnali impercettibili nel battito controllato della chimera


“ti costringi a non notarlo, ma sei cambiato – sibila, è disperata ira che ne muove le labbra – sei diverso…sei…non vuoi può fare del male, ti importa delle persone ora”


Il ghigno cinico che dipinge il volto della chimera è un quadro distorto di triste melanconia ritinteggiata per fingersi indifferenza


“sei sempre stato troppo ingenuo, ragazzino”

“sta zitto – la voce del mannaro è un tremolio di rabbia e tristezza, sorretta soltanto da cieca convinzione – ammettilo”

“cosa?”

“che ti importa, che sei cambiato”



Non ha bisogno di sentirlo, non Liam, è la chimera ad averne la necessità, è Theo a doverselo dire, quel che non vuol credere possibile, quel che non crede di meritare, è racchiuso tutto in quelle poche parole che restano testardamente incastrate tra le corde vocali, ricacciate con forza nel fondo dello stomaco, a ferirne le pareti, a distruggere lentamente sotto pelle


“non è la veri…”

“ti importa di me?”



È la rabbia nell’incertezza d’un disperato bisogno a rendere la voce del mannaro un grido che sovrasta ogni altro suono in una domanda che non doveva essere tale, stringe i pugni, infossando gli artigli che premo contro la cute, graffiandone i palmi, l’acre odore salato di lacrime orgogliosamente respinte punge tra le narici della chimera, è una lotta contro l’istinto di stringere quelle spalle tremule e sussurrare parole di conforto quella che si svolge tra i pensieri di Theo


“no”


Richiede impegno costringersi a pronunciare quella singola sillaba, concentrazione ed alienazione da ogni altro suono esterno che non sia l’eco di quella menzogna che rimbomba tra i timpani della chimera, infrangendosi tra le iridi cristalline del mannaro, spezzandone l’orgoglio che le manteneva lucide, inondandole di rivoli salati che scivolano contro ogni volontà perdendosi tra le labbra screpolate


“stronzate – i canini affilati affondano nel labbro inferiore e passi incerti portano il mannaro ad azzerare i pochi centimetri che li dividevano – guardami in faccia e dillo di nuovo”


Se vuole liberarlo, se vuole lasciargli la possibilità d’avere ciò che merita, deve farlo, Theo deve spostare lo sguardo dalla parete alle loro spalle e concentrare le glauche iridi velate di stille salate a quelle ferite da lacrime infiammate del mannaro, mentire non è mai stato tanto difficile


“non – tenta, deglutendo a vuoto, sforzandosi di mantenere quel magnetico contatto visivo – non può importarmi nulla di te”


Neppure la migliore delle bugie può resistere se sorretta da una totale assenza di minima verità e Theo lo sa, ne è consapevole, e Liam deve averlo imparato, forse grazie a lui, e forse è per questo che ne graffia il colletto della sottile maglietta stringendolo tra le dita, sollevando il mento a far collidere nella rabbia d’un bacio le loro labbra, in uno scontro dal sapore agrodolce di lacrime e speranza; un ultima tenue speranza che affievolisce lenta ad ogni sfiorarsi tra le ruvide lingue.

Prima che muoia, spegnendosi come l’ultimo raggio d’un sole troppo lontano per irradiare ancora calore, le mani della chimera scivolano lente tra i capelli del mannaro, le cui dita ne carezzano frenetiche l’addome, sfilando prepotentemente la maglietta, stringendosi poi attorno agli avambracci sollevati di Theo, spingendoli al bordo dei propri jeans, in un richiesta urlata nel silenzio d’un ultimo addio di avere ciò che resta del tenue calore che irradia ancora le loro pelli.
Razionalmente la chimera si ritrarrebbe dal ferire ulteriormente l’unica bellezza rimastagli nella vita, ma la ragione è lontana dalla mente ed è l’istinto del bisogno ad assecondare il volere di Liam.

È impregnato d’arroganza disillusa ogni gesto del mannaro, i vestisti cadono al suolo come pezzi di vetro che s’infrangono, le molle del materasso cigolano come porte che si chiudono rumorosamente, le dita carezzano la pelle graffiando come lame infuocate e le labbra disegnano scie di fiamme in ogni centimetro, creando uragani di confuso dolore ogni volta che si congiungono.


“non mi importa niente di te”


Sussurra Theo, mordendo il lobo destro del mannaro, stringendone i fianchi con una tale pressione da lasciare segni rossastri che svaniscono già


“bugiardo”


Ribadisce Liam, inarcando la schiena, allacciando le gambe attorno al busto della chimera, costringendone il sesso turgido a sfiorargli il deretano, pressandovisi contro nell’urgenza di congiungersi per un ultima volta prima di lasciare morire la speranza.
Le mani del mannaro si muovono rapide, arcua la schiena a raccogliere le dita della chimera, ancora strettegli attorno ai fianchi, se le porta alle labbra inumidendole, saliva scivola tra le nocche di Theo, non ha mai avuto bisogno d’essere guidato, ma non si è mai sentito tanto impreparato come ora, e mentre lascia che sia Liam a trascinargli la mano sino al perineo socchiude gli occhi, affondando le dita al suo interno e la nuca tra le scapole del mannaro; non era così che aveva immaginato la loro prima volta


“sei uno stronzo”


Gli soffia tra i capelli Liam, poggiandovi il mento, trattenendo gemiti al lento muoversi di dita esperte che precedono ciò che, malgrado il dolore, attende impaziente stringendo le caviglie al busto della chimera


“sei un stupido”


Gli mormora Theo, il respiro s’infrange al petto del mannaro che si costringe a mordersi la lingua non appena le dita lasciano il posto al solido sesso della chimera che si perde, con estenuante lentezza, in lui


“ammettilo – sussurra Liam, aggiustando il peso al materasso, mentre fitte di dolore si fondono al piacere – ti importa di me”


Non c’è spazio per gli ansimi di piacere, non c’è benessere in ciò che sta accadendo tra le coperte candide della roulotte, le labbra della chimera sfiorano come fiamme fredde il collo del mannaro, risalendo sino al lobo


“non posso – sospira, continuando a muoversi in contrastante delicatezza stretto tra le gambe di Liam – non posso farlo”


Le dita del mannaro si stringono tra i capelli della chimera, costringendolo a scontrarsi con quelle iridi di mari agitati da gocce salate che scivolano tra le labbra pressate contro quelle di Theo, le lingue danzano tra le fiamme della rabbia e del bisogno, distruggendosi e ritrovandosi si scontrano i corpi, ferendosi e curandosi si sfiorano le pelli.
Non era così che l’aveva immaginata la loro prima volta Liam, non era così che l’aveva sognata Theo, ma è quel che si ottiene quando si decide di donare il cuore a qualcuno che, un cuore suo, non lo possiede più da troppo tempo.
Ed in singulti trattenuti, in mugugni sporchi di lacrime, in un piacere tenuto segreto, conservato tra le memorie indelebili, si nasconde tutto ciò che non possono dirsi, quel che non potranno mai avere, la speranza che muore in quell’ultimo orgasmo che lascia vuoti i corpi e spoglia l’anima d’entrambi. 


“sei un bugiardo”


È il resta con me che Liam non riesce più a dire, mentre scivola tra le coperte come un verme, ripulendosi della vergogna di un addio contro cui non ha potuto nulla, sentendosi ancora più nudo nel rivestirsi


“sei uno stupido”


È il resta che Theo non è mai riuscito a dire, accasciandosi al materasso tra la rabbia d’un addio inevitabile, sentendosi nudo oltre la pelle


“e se non volessi smettere di esserlo? – soffia il mannaro, poggiandosi contro la parete rivestita di plastica bianca, cercando la strada per quelle iridi glauche perse a fissare un orizzonte invisibile – se non volessi smettere di provare quel che sento?”

“devi farlo – inspira pesantemente la chimera, portandosi a sedere al bordo del materasso, poggiando i gomiti alle cose – non essere idiota, smettila di sprecare speranza per le persone sbagliate, non serve a niente, non mi farà cambiare”

“e se non potessi farlo, se anche volendo – deglutisce rumorosamente Liam, assaporando salsedine dalle labbra – o provandoci non ci riuscissi comunque?”

“ci riuscirai”


Soffia soltanto Theo, poggiando la nuca tra i palmi dischiusi, tirandosi ciuffi di capelli tra le dita nel vano tentativo di arrestarne il tremolio


“ci vorrà tempo, ma dimenticherai quel che pensi di provare”

“non lo penso – sibila in risposta Liam – lo so, so quello che provo, l’ho sempre saputo, ho impiegato giorni ad accettarlo e…”


Le iridi della chimera si velano di lacrime testardamente incastrate tra ciglia stanche di chiudersi e riaprirsi, una luce d’inappropriata serenità irradia gli occhi del mannaro


“non me ne pento, malgrado tutto”


Rabbia e gioia si congiungono generando un suono straziante che ferisce i timpani di Theo, ogni forza è perduta, alzare lo sguardo è impensabile


“Liam – un soffio debole, un alito di vento sottile di brezza invernale – non essere così idiota da continuare a…”


E tra le labbra del mannaro si forma un ghigno d’ira distorta da un cinismo disilluso di triste consapevolezza mentre ascolta la chimera far fatica a pronunciare quell’unica parola che conta, sottintesa in ogni loro discorso


“non posso – glielo urla contro, senza sapere più se sia adirato con se stesso o con quell’uomo che sta brutalmente schiacciando tutto quel che rimane di loro – e non voglio neppure farlo, non sono mai stato così bene come lo sono con te”


Ammette infine ed i palmi tornano a rigarsi di sangue ed artigli a graffiare la pelle, stringe il labbro inferiore tra i denti cercando di desistere alla richiesta del lupo di prevalere, volta le spalle alla chimera, ne sente l’odore acre delle emozioni, più intense della tristezza stessa, avvolgerne ogni centimetro di nuda pelle


“se soltanto fossi meno testardo, meno stronzo, meno – soffoca un ringhio, serrando la mascella – meno terrorizzato, capiresti che non sei una persona orribile come credi e che…potevamo essere felici”

“Liam…”


Muoiono nella trachea le parole della chimera, spezzate e scacciate dal sonoro rompersi della serratura della porta che continua ad oscillare, battendo tra i cardini che la sorreggono, per minuti interminabili rimbombando tra i pensieri di Theo, affollati dall’eco di parole già distanti; una singola lacrima ne solca il volto, non è mai stato in grado neppure di piangere.
 


 
“Esmeralda”


Le grida preoccupato Greenberg, osservandola correre al ciglio della strada, ignorando le macchine che passano ed i vicini che portano a spasso il cane


“scusa – le urla la castana, agitando le braccia in aria in segnali caotici di saluto – ma devo andare, è urgente”


Ed il moro sospira, grattandosi il retro della nuca, scuotendo bonariamente il capo


“ti chiamo dopo – le dice, poggiandosi poi, ad imbuto, le mani ai lati delle labbra – fa attenzione”


Urla, rivolgendo il busto alla porta d’ingresso, scontrandosi con il sorriso pettegolo della vicina di casa che ha deciso, strana coincidenza, di gettare l’immondizia proprio in quel momento


“signora Hooper”


Saluta garbatamente, sorridendo impacciato, ritraendosi il prima possibile, sfuggendo alle prevedibili parole, impregnate di insignificanti chiacchiericci, dell’anziana vicina che scuote il capo, sbuffando un civettuolo


“quanta confusione fa l’amore”


 
UN MESE DOPO
 

C’è qualcosa di strano nell’aria, Esmeralda non fa che ripeterglielo, vede aure agitarsi spaventate e rabbia ovunque volga lo sguardo, qualcosa d’incontrollabile ed irrazionale le ha spiegato qualche giorno fa e Theo le crede e crede anche alla preoccupazione, comprensibile, di Bianca e alle lacrime di Irina, dev’esserci qualcosa di sovrannaturale nell’area di Beacon Hills; e non sarebbe neppure una grande novità pensa la chimera ascoltando silenzioso le precauzioni dettate dal patriarca.

L’egoismo gli imporrebbe di non dare ragione hai fratelli Petrescu, ma quel lato umano che Esmeralda ha contribuito a lasciar emergere in lui gli ordina di ripeterle, per la millesima volta, che è l’unica cosa giusta da fare


“potrebbe essere pericoloso”


Si sente in dovere di ribadirle, sedendosi al divano della roulotte, osservando la gitana agitare nervosa le mani a mezz’aria, farfugliando frasi sconnesse


“non voglio andarmene”


È tutto ciò che comprende nella confusione di parole, la sente sospirare lasciandosi cadere pesantemente al suo fianco, poggiando la nuca alla spalla della chimera


“non voglio – farfuglia incerta, torturandosi di morsi le labbra –non hai altro posto in cui stare e non voglio lasciarti da solo, non dopo…”

“ho ancora il mio fuoristrada”


Sorride sghembo Theo, nascondendo la nostalgia che sente già avvolgerlo in una coperta di calda tristezza che si porta addosso da quell’ultimo giorno che condivise assieme a Liam.
Malgrado l’insistenza della castana, i consigli amichevoli di Greenberg ed quelli vagamente casuali di Bianca e Maximilian non ha più cercato di contattarlo in alcun modo, lo ha evitato, restando sempre lontano dal centro cittadino, schivando i luoghi in cui di certo avrebbe rischiato d’incontrarlo, testardamente convinto nella decisione presa; Liam Dunbar non si merita una simile condanna.

Alla fine Esmeralda si è vista costretta ad accettarlo, non senza mancare di ricordargli quasi giornalmente quanto sbagliato sia, e forse è stata dura, dolorosa persino, anche per lei, un fallimento di quello che dovrebbe essere il suo naturale compito, la sua indole ed il suo potere, gli ha persino confessato che, la sera in cui ha detto addio alla speranza, ha percepito l’intenso dolore che pervadeva l’anima della chimera; per questo poi corse l’intera città tornando alla roulotte.
E Theo si sentì, forse per la prima volta, sinceramente colpevole, maledice ancora l’inconscio per averlo condannato a ferire una creatura tanto innocente, per essersi legato a lei senza chiedergli il permesso e, se fosse possibile, la libererebbe da una simile disgrazia; ma più d’una volta Esmeralda gli ha sorriso ripetendogli di non essere così stupido.


“non voglio che tu dorma in auto, di nuovo – esclama fermamente, raggomitolando le gambe al divano – e non voglio andarmene, ma la mia famiglia…loro devono allontanarsi, qualsiasi cosa ci sia là fuori sembra pericoloso, per noi”


La chimera inspira, aggiustando il busto al poggia schiena, permettendo alla castana d’incastrargli maggiormente la nuca nell’incavo della spalla


“e dovresti andare anche tu, non sai lottare”

“magari non ce ne sarà bisogno, risolveranno tutto loro”



Sospira, è un soffio sottile la speranza racchiusa in quelle parole, cerca di fidarsi delle informazioni che Theo, in giorni casuali di noia e risate spensierate, le ha fornito di quel branco che, un tempo, provò a distruggere


“allora dovresti andartene  – dice, trovano ancora difficile fidarsi delle abilità di McCall – è più sicuro”


La gita inspira, sbuffando poi come una bambina capricciosa, rannicchiandosi contro la spalla della chimera, socchiudendo gli occhi stanchi dalle notti insonni.
Da quando l’aria di Beacon Hills è stata avvolta da qualcosa di misteriosamente incomprensibile non è più riuscita a chiudere gli occhi e risposare, è tormentata da sonni irrequieti, qualsiasi sia la minaccia sembra essere in grado di insediarsi tra i pensieri e una creatura, percettiva ed empatica, come Esmeralda ne è particolarmente sensibile; forse persino più e prima di chiunque altro in città.


“non avrei mai dovuto spiegarti come funzionano i legami”


L’ombra d’un mesto sorriso ne addolcisce le carnose labbra e Theo si lascia sfuggire una risata lieve, di sincero affetto, gettando la nuca all’indietro


“ma fortunatamente sei una pessima bugiarda”


C’ha provato la gitana, tre giorni fa, ad ingannarlo convincendolo che la lontananza avrebbe spezzato il legame creatosi e ne sarebbe appassita lentamente, ma sfortunatamente per lei l’udito della chimera ha percepito l’assenza di verità ed Esmeralda si è vista costretta ad ammettere che, un legame, può esserle nocivo solo qual ora venga rifiutato o rinnegato o, peggio ancora, ignorato ed abbandonato, ma che, in altri casi, quali ad esempio la lontananza giustificata, non avrebbe rappresentato alcuna minaccia e, forte delle nuove conoscenze, Theo ha, quasi, cominciato ad ordinarle di seguire i consigli del padre e fuggire da Beacon Hills; prima che possa essere troppo tardi. 


“a mia discolpa ho avuto un maestro pigro”

“non è un dono per tutti – ghigna ironica la chimera – certi allievi non sono portati”

 “darò comunque la colpa all’insegnante”


Ridacchia cristallina, sollevandosi improvvisamente, rannicchiando le ginocchia al petto, poggiandovi il mento


“Theo – brezza sottile, incerta, tremula la voce della castana – promettimi che troverai un posto in cui dormire che non sia la tua auto, che chiamerai Liam e gli implorerai di essere perdonato, gli confesserai tutto quello che senti e che mi hai detto di provare per lui e…promettimi anche che, ogni tanto, controllerai che quell’imbranato di Carl non finisca nei guai, promettimelo”

“impossibile, la sfiga è naturalmente attratta da Greenberg”


Prova a sfuggire da tutte quelle promesse Theo, sa già non riuscirà a mantenerle, ma la gitana ingenua non lo è mai stata, neppure quando poteva ancora smembrarlo, e sa perfettamente quanto impossibili siano tutte le richieste fatte, sa persino che forse la chimera manterrà solo l’ultima, ma ha bisogno di sentirglielo dire, ne ha bisogno o non riuscirà a lasciarlo, non da solo, in un posto in cui non gli resta più nulla se non rincorrere vecchie memorie di malinconica tristezza, infanzia distrutta ed adolescenza sporcata


“Theo, promettimelo”


Non riesce a reggere alla paura che fa vibrare quelle iridi nocciola, non riesce a sorreggere il peso del timore che le vela d’un luce di lucida angoscia, ma sa ancora mentire


“va bene”

“dillo”

“te lo prometto, contenta?”



Si morde il labbro inferiore la castana, inspirando tristemente, stringendosi tra le ginocchia, schiacciandovi il petto smosso da sospiri affranti


“sì – mente anche lei e non è brava quanto la chimera, il rumore di quel cuore gentile la tradisce – ma non voglio comunque andarmene”

“devi farlo – le sorride, un sorriso vero, raro – sarà momentaneo, fidati di tuo padre”

“non ho scelta, vero?”


Chiede in un respiro amareggiato dallo scuotere del capo di Theo, nasconde uno sbadiglio tra le ginocchia la gitana, stropicciandosi le stanche palpebre


“è tardi – constata la chimera, controllando l’orario nello schermo del silenzioso cellulare, non ha più nessuno che lo cerchi – devi svegliarti presto domani”


Le ricorda, dischiudendosi in un sorriso tagliato a metà nell’osservare la smorfia capricciosamente contrariata della castana che stiracchia controvoglia le snelle gambe, strisciando pesantemente i talloni al suolo, sino a raggiungere il materasso su cui cade senza grazia, contorcendosi nel tentativo di immergersi tra le lenzuola.
Theo le emozioni non è mai stato in grado di esprimerle e l’unico modo che riesce a trovare per dirle che, neppure troppo infondo, le mancherà è lasciarla addormentare senza lamentarsi, per una sera, delle gelide ginocchia pressate contro la schiena o del chiassoso parlottare o di qualche calcio di troppo che, inevitabilmente, gli impedisce di farsi pacificamente cullare dal sonno; condividere l’ultima notte senza rubarle le lenzuola è tutto ciò che Theo riesce a fare per dirle quel che a parole non saprebbe manifestare.
 

 
Tutto ciò che resta di quella rumorosa famiglia di gitani senza patria è una piazzola di terra consumata dai solchi di penumatici, tutto ciò che resta di Esmeralda Petrescu è una risata gentile che riecheggia ancora tra gli alberi circostanti, una collana di fiori secchi stretta tra le dita di Greenberg ed un abbraccio dall’odore di rose selvatiche e rugiada fresca che impregna ancora le narici di Theo.
Tutto ciò che resta di quella giovane gitana dai capelli capricciosi e gli occhi del colore della resina è una manciata di terra secca ed erba bruciacchiata, alle spalle d’un divano consumato dal tempo e rosicchiato dagli animali su cui siedono, a condividere un silenzio rumoroso, una chimera ed un umano. 


“tornerà”


Sospira in un sorriso incerto Greenberg, custodendo gelosamente quel pezzo di Esmeralda tra le mani, le ha lasciato un ti amo sussurrato tra le labbra ed una promessa che non aveva bisogno di parole


“lo farà”


Si ripete, più a sé stesso che alla chimera che annuisce distratta, rigirandosi le chiavi del fuoristrada tra le dita, un numero di cellulare e promesse da mantenere è ciò che Esmeralda gli ha lasciato e sa già che non riuscirà a mantenerne nessuna, forse, si dice seguendo l’umano alzarsi lentamente dal divano, una ci riuscirà


“Greenberg – lo richiama Theo, inserendo le chiavi nell’apertura dello sportello, questi si volta, un sorriso sottile, di lieve malinconia e tenue tristezza ne plasma le labbra sottili – non fare cazzate, le ho promesso che ti avrei controllato”

“non sono mica un bambino”


Protesta il moro, tastandosi le tasche dei pantaloni alla ricerca di chiavi smarrite, grattandosi poi impacciato il retro del collo


“no, infatti”


Borbotta la chimera, roteando le iridi al cielo, non nascondendo un ghigno di sincero divertimento, scrutando la zona circostante cercando di scorgervi il luccichio di un portachiavi, ma il ridacchiare fanciullesco del moro interrompe la vaga ricerca


“ritrovate – esclama, agitando il braccio in aria, indicando l’interno dell’auto – le avevo lasciate sul cruscotto”


Ammette senza vergogna, salutando solare la chimera.
Forse persino l’ultima delle promesse fatte ad Esmeralda sarà difficile da mantenere, si dice sedendosi, dopo mesi, al posto guida del fuoristrada rimasto spento per quasi tutta l’estate.
 
 
QUALCHE GIORNO DOPO 

(altri piccoli fastidiosi consigli per l'ascolto : https://youtu.be/lWph0IAic14)

Senza la stella fortunata che ne illuminava il cammino Theo ha passato notti a rannicchiarsi tra gli scomodi sedili dell’auto, ma non è mai riuscito a dirlo ad Esmeralda; anche se ha il sospetto che Greenberg possa averla informata.
L’aria a Beacon Hills sembra ancora calma e la gitana lo ha appena salutato, rimproverandogli di chiamare qualcuno del branco di McCall, possibilmente Liam gli ha detto, ricordandogli che non smetterà mai di ripetergli quanto meriti la felicità e quanto, malgrado Londra sia splendida, gli manchi Beacon Hills e la vita che aveva.

E Theo ha mentito, ancora una volta, ripetendogli che chiamerà Scott, fosse anche soltanto per chiedergli se il cielo preannuncia sovrannaturali pericoli, ma è stato sincero quando ha ammesso, velatamente, che le manca litigare per l’ultimo puncake mattutino, le coperte rubate, le risate racchiuse nel fumo di sigarette e tutto ciò che Esmeralda si è portata via con sé.

Non si sono detti mi manchi, non si sono detti ti voglio bene, non ce n’è mai stato bisogno, eppure quella sera la gitana ha voluto sussurrarglielo comunque e Theo si è lasciato sfuggire un sottile


“anch’io”


Prima di chiudere la chiamata e restare a fissare i cristalli liquidi dello schermo lampeggiare di accecante luce blu, indugiando tra i pochi numeri presenti nella rubrica, sfiorando appena la sagoma d’una cornetta verde affianco al nome di Scott, cercando di trovare il coraggio di mantenere quella promessa che si tramuta, giornalmente, in un bisogno che non riesce più ad ignorare; che grida rimpianti tra i pensieri chiassosi nel denso silenzio dell’auto.

Forse non è ancora giunta l’ora, si dice, inspirando ed un rumore ne cattura l’attenzione, un fascio di fastidiosa luce artificiale ne stordisce la vista, non può essere qualche addetto alla giustizia, né tanto meno qualche controllore, altre luci ne accecano le iridi ed armi sin troppo professionali appaiono come visioni confuse, l’ultimo suono che Theo sente è il riecheggiare di spari che s’infrangono alla fiancata del fuoristrada.

Come spiegherà ad Esmeralda di non essere stato in grado di mantenere neppure quell’unica promessa implicita?

Come le chiederà scusa?

È l’ultimo pensiero che attraversa le mente della chimera, annebbiata, l’eco del dolore che s’espande dal fianco è lancinante, sangue scivola dal foro all’altezza della coscia ed un rivolo caldo discende lungo l’avambraccio.

Non potrà farlo, sente l’ossigeno farsi debole e le forze abbandonarlo lentamente, non potrà chiederle scusa e non potrà mantenere nessuna promessa. 

Non potrà neppure chiederne a Liam, forse, si dice la chimera chiudendo le pesanti palpebre, è così che doveva andare, sin dall’inizio e, questa volta, non saranno iridi di cieli estivi la prima cosa che rivedrà al risveglio; ma la giustizia e la punizione per ogni sbaglio commesso racchiusa tra le iridi vitree di Tara.

Ed è ad iridi azzurre, di celestiale luce, che dona l’ultimo respiro prima di perdere i sensi e precipitare nell’oblio di un incubo che si ripete infinito.  

 


 
Siamo giunti alla fine, non so se vi ho coinvolto almeno un pochino, se la storia vi è piaciuta, se sono stata troppo descrittiva, troppo poco interessante, insomma non so niente, so soltanto che sono riuscita a finire una storia; è la prima volta in partica. 
Scusate gli errori e la scrittura un po' bipolare, sempre altalenante, cercherò di migliorare. 

Ci terrei a ringraziare particolarmente le splendide recensioni che mi hanno fatta andare avanti nel percorso di scrittura, davvero siete state così gentili ed utili; grazie mille. (non voglio fare favoritismi, ma un grazie particolare va a Morgana9 e ILOVE2BAND che sono sempre state qui, a recensiere ogni capitolo dandomi la spinta necessaria per andare avanti nella storia e ad un lettore segreto che lasceremo nell'ombra, il mio personale aiutante; grazie)
Ovviamente ringrazio anche tutti colore che hanno continuanto, sino alla fine, ad aggiungere tra preferite/ricordare/seguite, siete stati così tanti, non me lo aspettavo affatto e non sapete quanto felice sia stata. 
E, non dimentichiamoci, gli splendidi e silenzosi lettori; un grazie anche a loro. 


Mi dispiace se non c'è il lieto fine che molti avrebbero voluto, ma a mia discolpa posso soltanto dire che, forse, ci sarà un seguito. 
Inoltre, per chiunque volesse, sto pensando che, se ci sono richieste particolari, potrei anche decidere di scrivere qualche One Shot dedicata alla storia, magari alle tre settimane in cui Liam e Theo sono stati effettivamente una coppia; non so ditemi voi cosa ne pensate. 


Mi dispiace anche se sono andata fuori tema o se i personaggi, alla fine, sono stati troppo ooc; ho fatto del mio meglio, giuro. 

Spero comunque che la storia vi sia piaciuta, almeno un pochino. 
Grazie a tutti coloro che sono arrivati fino a qui, insieme a me, 
spero di sentirvi presto


ps: per chiunque fosse interessato ho seriamente intenzione di tornare a scrivere su questi due, ve lo dico così, a titolo informativo e, lo ammetto, per farmi un po' di coraggio.  

 

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