Un giorno d'amore

di Alice Elle
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Il sogno ***
Capitolo 2: *** L'incontro ***
Capitolo 3: *** Strano ma bello ***
Capitolo 4: *** Il film ***
Capitolo 5: *** Le mura ***
Capitolo 6: *** Una notte d'amore ***
Capitolo 7: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Il sogno ***


Questo è un racconto lungo già terminato. L'ho scritto di getto in appena tre serate. La storia di Gaia e Daniele non ne voleva sapere di rimanere nella mia testa. 
Sono circa 70.000 battute e penso che in tutto saranno sei capitoli, al massimo sette. Fatemi sapere cosa ne pensate e se volete sapere come andrà a finire... grazie!

 

***
L’erba sotto la sua schiena è soffice, profuma di pane fragrante ed è di un delicato rosa, che vira al rosso sulle punte tenere. Il cielo le riempie gli occhi di riflessi cangianti, come le scaglie di una sirena.
L’aria è immota, piena di un silenzio innaturale ma perfetto, di una pace rasserenante. Un soffio leggero e fresco le muove i capelli, sollevandoli leggeri come le nuvole che mancano in quel cielo iridescente.
Nella mente le risuona una voce familiare, come zucchero filato le riempie le vene di una struggente dolcezza. Non riesce a distinguere le parole, ma sa che sono d’amore infinito.
Vuole voltare il capo, per vedere chi le sta parlando, ma è come se corde di velluto la tenessero prigioniera consenziente di quella dolce immobilità.
Risponde alle parole d’amore allo stesso modo, lasciando che i pensieri fluiscano dalla sua mente a quella della persona stesa a un soffio da lei. Ed è come se tutto in un attimo divenisse incredibilmente vivido e luminoso e caldo.
La riempie la consapevolezza che ora può muoversi. Con la lentezza di chi ha tutto il tempo del mondo, inizia a ruotare il capo verso il suo destino e…

 

Dannazione! Tutte le volte finiva allo stesso modo. Gaia sbattè le palpebre nel buio della sua stanza. Mise faticosamente a fuoco, nella penombra, il cuscino vicino al suo, sperando di trovare qualcosa, ma già sapendo che lo avrebbe trovato tristemente vuoto.
Ogni volta che faceva quel sogno, il paesaggio onirico che la circondava si arricchiva di particolari e di colori, ma il flusso si interrompeva immancabilmente sempre nello stesso momento: quando iniziava a voltare il capo e, fremente di aspettativa, realizzava che mancava poco, così poco, per vederlo!
Nell’infinitesimale attimo prima di aprire gli occhi, provava la certezza incrollabile che, nel momento in cui lo avrebbe fatto, avrebbe trovato qualcuno intento a fissarla di rimando, su quel cuscino che invece rimaneva dolorosamente vuoto.
Era a quel punto che la pace e la felicità fluivano via da lei, come sangue da un’arteria lacerata, e sopraggiungeva la tristezza e il senso di perdita. Si poteva essere innamorati di un sogno?
Non sapeva nemmeno che volto avrebbe desiderato trovare, su quel cuscino, ma le mancava come se fosse parte di lei da tutta la vita. Così si sentiva incompleta, imperfetta, come un corpo senza la sua ombra.
Fortunatamente la sensazione svaniva nel giro di qualche minuto, tra il dormiveglia e il ritorno completo della coscienza, altrimenti sentiva che sarebbe, con buona probabilità, impazzita.  
La languida spossatezza che, puntualmente, le lasciava quello strambo sogno la accompagnò per tutto il tempo che le occorse per prepararsi, fare colazione e uscire.  
Era una splendida giornata di primavera, nell’aria si avvertiva il timido odore dell’imminente fioritura.
Non era ancora quello stordente tripudio di profumi che caratterizzava la primavera nel pieno vigore vegetativo, ma un accenno timido della vita che riprendeva lentamente a scorrere, come un sottile ruscello di ghiacciai sciolti.
Il sole splendeva arrogante, quasi violento, nel cielo terso, ma l’aria era fresca. I colori della terra iniziavano a lasciare il posto al verde tenero dell’erba nuova.
Gaia per un attimo si fermò ad ammirare il meraviglioso scorcio del parco davanti casa, riflettendo su quanto i colori fossero completamente diversi da quelli del suo sogno.
Qualche tempo prima, aveva letto su qualche rivista che i sogni dovrebbero essere in bianco e nero, mentre le immagini che le rimanevano del suo erano decisamente a colori, peraltro bizzarri e del tutto assurdi.
“Che il mio subconscio processi in colori le sensazioni che provo nel sogno?”
Trovare una logica in una fantasia così illogica sembrava impossibile.
Improvvisamente provò l’irresistibile desiderio di andare a stendersi su quel prato di un ordinario verde brillante, non di un assurdo rosa, di osservare il cielo di un comune azzurro chiaro, non cangiante di mille riflessi inafferrabili.
Forse avrebbe finalmente riportato la calma nel suo trambusto interiore. Certo, il terreno sarebbe stato rugiadoso e poco confortevole, si sarebbe con ogni probabilità inumidita gli abiti, ma aveva bisogno di tornare sui consueti binari psicologici.
Con passo deciso si avviò verso il parco, cercando con lo sguardo un posticino libero al sole. Diverse persone stavano approfittando della bella giornata per rilassarsi sotto i tiepidi raggi primaverili.
Studenti buttati in gruppo sull’erba, senza nessun timore di sporcarsi; giovani mamme più previdenti che facevano giocare i loro bambini su teli buttati per terra; altre persone, più solitarie, erano sedute compostamente su soprabiti e giacche.
Gaia posò il proprio impermeabile sull’erba umida, vi si distese sopra, con le gambe piegate, e chiuse gli occhi, assaporando il momento.
Le membra che si rilassavano, i nervi che si scioglievano, il fresco del terreno sulla schiena, la carezza delicata dei raggi che le scaldava il volto e intiepidiva i vestiti.
Il rumore del traffico le arrivava attutito, così come l’indolente vociare delle persone intorno a lei e l’allegro cinguettio degli uccelli.
Si sentiva estraniata dal mondo, quasi come fosse sott’acqua, come quando nella vasca da bagno si immergeva completamente e le sembrava di tornare nel grembo materno. Il tempo e lo spazio non esistevano più, la sua mente era finalmente quietata, serena, quasi vuota.
Dopo un tempo che le parve insieme interminabile e brevissimo, sentì qualcosa muoversi tra i capelli, vicino all’orecchio.
Spaventata, si raddrizzò a sedere di colpo. Per un attimo vide tutto nero, poi dei puntini luminosi le danzarono davanti agli occhi e infine, quando il sangue le tornò finalmente a circolare come doveva, una distesa rosa.
L’inquietudine le fece rizzare i capelli sulla nuca. In un secondo, la sua mente riuscì a formulare cento diverse ipotesi. Si era addormentata e aveva sognato di nuovo? No, era sicura di non essersi addormentata, eppure per un attimo le era sembrato di vedere delle immagini incredibilmente rassomiglianti al suo sogno.
Infine, la realtà le si palesò in tutta la sua semplicità. Aveva davanti un ragazzo con una maglietta rosa (rosa!), che la fissava vagamente impaurito, con gli occhi spalancati.
«Scusa, non volevo spaventarti, ma avevi un insetto orribile che ti si stava arrampicando tra i capelli. Speravo di toglierlo senza svegliarti. Ti assicuro che non sono un maniaco» disse tutto d’un fiato, con i palmi alzati, per dimostrare la propria inoffensività.
Gaia lo fissò diffidente per qualche secondo, in silenzio sospettoso. La situazione era a dir poco inquietante. Le immagini del sogno si sovrapponevano a quanto appena vissuto, in una inconcepibile similitudine cromatica.
Appena prima di aprire gli occhi, la luce del sole dietro le palpebre chiuse le aveva ricordato il rosa e il rosso dell’erba del suo sogno, colore rafforzato poi da quell’assurda maglietta, i lampi luminosi provocati dallo sbalzo di pressione le avevano rammentato il cielo cangiante e poi lo smuoversi dei capelli, come se fossero stati mossi da una brezza... tutto le ricordava quello stupido sogno.
Non sapeva cosa pensare, probabilmente stava lavorando troppo con la fantasia, ma le coincidenze erano veramente troppe per la sua salute mentale.
D’altra parte, il ragazzo sembrava sincero, la fissava schiettamente con il paio di occhi nocciola più limpidi che avesse mai visto.
Con la coda dell’occhio notò i suoi amici, seduti poco distante, che li osservavano con curiosità, ma senza darsi di gomito o fare battutine, come avrebbero fatto se si fosse trattato di uno scherzo.
«Ok» fu tutto quello che riuscì a dire, complimentandosi ironicamente con se stessa per l’eloquenza.
Il ragazzo rimase accosciato vicino a lei, fissandola perplesso e incerto.
«Ok» rispose.
Beh, a quanto pareva, nemmeno lui era un genio nell’arte oratoria.
Rimasero a fissarsi ancora qualche secondo, in un silenzio che si faceva via via sempre più denso di imbarazzo.
«Ehm, ciao allora» si decise a dire lui, facendo il gesto di alzarsi.
Gaia per un attimo provo lo stesso angosciante sensazione di perdita di quando si svegliava e trovava il cuscino vuoto.
Come se fosse dotata di vita propria, la sua mano scattò ad afferrare l’avambraccio del ragazzo. Lui si immobilizzò e sgranò gli occhi, stupefatto.
«Ti ringrazio» disse lei, non sapendo come giustificare il suo gesto, ma desiderando disperatamente trovare un modo per tenerlo lì con lei ancora un istante, solo il tempo per riprendersi da quelle sensazioni inspiegabili.
Il ragazzo si rilassò impercettibilmente alle sue parole e tornò ad appoggiare il peso del corpo sulle punte dei piedi, i talloni sollevati. Appoggiò i gomiti sulle ginocchia e la fissò negli occhi, con quel suo sguardo sincero e pulito.
«Prego» le disse piano e, dopo un attimo di esitazione, continuò con cautela «mi chiamo Daniele.»
Rendendosi conto che intendeva rimanere, Gaia si sentì riempire di un sollievo così potente che per un attimo fece fatica a far scendere l’aria nei polmoni. In quel momento di smarrimento, l’abituale educazione le venne in soccorso.
«Piacere, io sono Gaia» rispose, la voce un soffio.
Le labbra le si stirarono in un incontrollabile e luminoso sorriso.
Il ragazzo inarcò le sopracciglia, in un’espressione buffa, come se non sapesse decidersi se giudicarla simpatica o semplicemente pazza. Lei stessa iniziava a propendere per la seconda ipotesi.
«Posso?» chiese lui, indicando l’erba al suo fianco.
Per un attimo Gaia si chiese cosa diavolo stesse facendo, ma poi si disse che aveva ventiquattro anni, era single e soprattutto in un luogo pubblico. Cosa mai poteva capitarle di male?
Al peggio Daniele si sarebbe rivelato un marpione antipatico e lei se ne sarebbe andata, archiviando l’episodio come uno dei più bizzarri della sua vita. Al meglio… al meglio cosa? Non ne aveva idea, sapeva solo che era un ragazzo carino, che le aveva tolto un insetto dai capelli e che aveva gli occhi buoni.
«Certo» rispose, spostandosi di lato e lasciandogli un po’ di posto per permettergli di sedersi al suo fianco, sul suo impermeabile.
Il ragazzo non se lo fece ripetere due volte, si accomodò vicino a lei, le lunghe gambe fasciate nei jeans che sfioravano le sue.
«Stai andando a lezione?» le domandò, adocchiando la borsa a tracolla traboccante di libri e quaderni.
«Sì, ma inizia tra mezz’ora ed è a cinque minuti da qui.»
«Cosa studi?»
«Economia. Tu invece?»
«Ingegneria meccanica. Mi mancano due esami.»
«Non ti ho mai visto da queste parti e la tua facoltà è dall’altra parte della città. Cosa ci fai qui?» Gaia si sentiva un po’ sfacciata, ma la città era piccola e le sembrava strano non averlo mai incrociato prima.
«Mi dovevo trovare con alcuni amici per scambiarci degli appunti e mi hanno trascinato in un bar qui vicino, assicurandomi che avevano le brioche migliori di tutta la città.»
«Se era il Vogue avevano ragione, sono le migliori» annuì, sorridendo.
«Purtroppo non posso confermare né smentire, visto che hanno adocchiato un paio di ragazze e hanno deviato verso questo parco.»
Si espresse con un tono tra l’esasperato e il vergognoso, massaggiandosi lo stomaco piatto e guardandola da sotto in su.
Gaia si alzò in piedi, spazzolandosi i pantaloni sotto lo sguardo interrogativo di Daniele.
«Non sia mai che dica di no a un croissant alla crema di Vogue! Andiamo!»
Allungò una mano, facendogli cenno di afferrarla. Lui la osservò divertito, le sopracciglia che si sollevavano in un’espressione che cominciava a intuire gli fosse abituale.
Dopo un attimo di esitazione, le afferrò la mano in una presa calda e sicura e si sollevò agilmente, superandola in altezza di tutta la testa. Quanto accidenti era alto? Non se ne era resa conto.
Sentì uno strano calore arrampicarsi su per il collo, mentre pregava di non arrossire.
Daniele si chinò e le raccolse l’impermeabile e la borsa, porgendoli con un sorriso gentile e malizioso insieme.
«Fammi strada, non so dove si trovi questo straordinario bar.»
«Certo, seguimi, è a due passi da qui, ci vado spesso a fare colazione. Si può dire che abbia scelto il mio appartamento solo perché era il più vicino al Vogue» ammise ridacchiando e guadagnandosi un’occhiata sfrontata dal ragazzo.
«Non si direbbe, hai un corpo da favola.»
Gaia arrossì per il complimento, chiedendosi come avesse fatto a dirle una frase del genere senza apparire un viscido e volgare piacione.
«Beh, grazie, anche tu non sei niente male.»
Tanto valeva ricambiare la sua schiettezza con la stessa moneta. Si premurò anche di dargli una bella guardata al fondoschiena che, dovette ammetterlo almeno con se stessa, era davvero notevole.
La sua sceneggiata si guadagnò una risata divertita e una nuova alzata di sopracciglia.
«Se stai tentando di mettermi in imbarazzo, sappi che è una battaglia persa in partenza. Sono del tutto sprovvisto di pudore. Mia madre dice che l’ha dato tutto a mia sorella maggiore e non ne è rimasto niente per me.»
«Il pudore è sopravvalutato, ma non la colazione! Dai, smettila di perdere tempo, che tra poco devo andare a lezione.»
Lo prese per mano e lo trascinò correndo verso il bar, entrarono ridendo e rischiarono di travolgere una vecchietta che li guardò storto, borbottando sulla mancanza di rispetto dei giovani d’oggi.

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Capitolo 2
*** L'incontro ***


Daniele si incantò davanti al bancone, che esponeva una varietà incredibile di paste e brioche dai gusti più disparati.
«Allora non stavi scherzando. Questo posto è davvero la fine del mondo. Tu quale mi consigli?»
«Oh, io sono un’abitudinaria. Prendo sempre il cannoncino alla crema. Ma come vedi ce ne sono anche di più originali e golose. Che ne dici di quella con la crema di pistacchio?» gli disse, indicando una brioche che doveva avere il peso specifico del piombo.
Il ragazzo la guardò disgustato, poi si rivolse alla barista.
«Due cannoncini alla crema per favore. Cosa vuoi da bere?»
«Nulla, ho già fatto colazione!»
«Non vorrai mica farmi mangiare da solo! È da maleducati. Un cappuccino?»
Davanti al suo sguardo vitreo, alzò le spalle e ordinò due cappuccini.
Poi le afferrò la mano e la trascinò a un tavolino libero, ricominciando a parlare mentre aspettava che la cameriera portasse le bevande.
«Oggi è proprio una bella giornata, vero?»
«Sei serio? Hai ordinato dopo che ti avevo detto che non volevo nulla e poi mi hai trascinata al tavolo sapendo che tra poco devo essere a lezione. E vuoi parlare del tempo?»
Gaia non sapeva cosa pensare, le sue intenzioni erano accompagnarlo al bar, scambiare due parole e vedere se per caso riusciva a farsi chiedere il numero di telefono, mentre Daniele sembrava convinto che avrebbero passato la giornata insieme, da come si era svaccato sulla sedia.
«Dai, Gaia, è una giornata troppo bella per passarla chiusa in un’aula. È il primo giorno decente della primavera più piovosa di tutti i tempi. Davvero mi vuoi dire che preferisci andare a lezione piuttosto che fare un giro all’aperto, da qualche parte, con me?»
«Certo che non raccontavi balle quando hai detto di non sapere nemmeno cosa sia il pudore!»
«E tu non hai risposto che è sopravvalutato?» rispose pronto, facendole l’occhiolino.
Conosceva quel ragazzo da quanto… quindici minuti in tutto? Eppure le sembrava di conoscerlo da una vita. Sentiva un feeling immediato e insolito. Lei era diffidente di natura e andare a prendere un caffè con un tizio appena incontrato non rientrava nelle sue abitudini.
Eppure quando le aveva proposto di andare in giro, chissà dove, da sola con lui, la sua risposta istintiva era stata un grande e grosso sì.
Era così che le ragazze finivano ammazzate in un fosso? Perché si fidavano di un bel faccino acqua e sapone, con un ciuffo moro che ricadeva sugli occhi nocciola più lucenti che avesse mai visto? Erano davvero straordinari, sembravano liquidi.
«Cosa avresti in programma?» chiese, cercando di fare l’indifferente ma fallendo miseramente.
«Per cominciare direi di fare una passeggiata in centro, oggi c’è il mercatino dell’usato e potrebbe esserci qualcosa di interessante. Che ne dici?»
«Tu sei il male! Come facevi a sapere che adoro il mercatino dell’usato?»
Daniele fece un sorriso furbo, piegandosi sopra il tavolino per sussurrarle in un orecchio.
«Forse perché hai una borsa vintage ricoperta di spillette e l’aria di una che passa il suo tempo a rovistare tra robaccia vecchia?»
Gaia non sapeva se mettersi a ridere o offendersi. Giunse a un compromesso.
«Mi stai dando della barbona?» chiese, ridendo in modo incontrollabile.
Lui si riappoggiò allo schienale della sedia, soddisfatto come un gatto che si è mangiato l’uccellino.
«No, penso che tu sappia riconoscere la bellezza dove gli altri non la vedono.»
Le risate le si incastrarono in gola e si fermò a fissarlo. Da dove usciva quel ragazzo? In un primo momento le era sembrato un tipo qualunque, semplice e inoffensivo. Ma ogni volta che apriva bocca diceva qualcosa che la stupiva, la sconvolgeva, la faceva ridere o la faceva arrabbiare. A volte tutto quanto insieme.
«D’accordo. Ci sto.»
Daniele le rivolse un sorriso radioso e, solo vedendolo rilassarsi sulla sedia, capì che non era poi così sicuro che lei dicesse di sì, come voleva far pensare.
In quel momento arrivò la cameriera con i cappuccini e le paste.
«Prima che tu assaggi quella cosa divina, voglio che ti imprimi bene nella mente che sono stata io a portarti qui. Mi devi la tua verginità culinaria.»
Lui si bloccò con il cannoncino a un paio di centimetri dalle labbra, a bocca aperta. Lo sguardo che le rivolse le fece arricciare le dita dei piedi, Dio sa perché.
Lei fece finta di niente, diede un morso alla sua pasta e lasciò andare un gemito di puro godimento.
«Ok, direi che ti sei vendicata abbastanza per la mia assenza di pudore. Ora per favore smettila o le cose potrebbero farsi imbarazzanti» le sussurrò, con la voce roca e la punta delle orecchie che gli andava a fuoco.
Lo guardò sbattendo le ciglia.
«Non capisco cosa vuoi dire.»
Per tutta risposta, Daniele allungò una mano ad afferrarle un ricciolo e glielo portò dietro l’orecchio, sfiorandolo con le dita, il tocco leggero come una piuma. Lei provò a nascondere il brivido, ma dal ghigno che ricevette in risposta capì di non esserci riuscita.
«Ok, ok, ho capito. Mangiamo e basta. Questo gioco non può che finire male.»
«O benissimo. Dipende dai punti di vista» ribatté lui.
Le lanciò un ultimo sguardo malizioso poi, come se un colpo di spugna avesse portato via gli ultimi cinque minuti, la sua espressione tornò tranquilla e innocente.
«Quindi mercatino?» le chiese.
«Quindi mercatino» approvò, domandandosi dove l’avrebbe portata quella insolita giornata.
 
 
***
 
Avevano passato la mattina gironzolando tra le bancarelle, lei incantandosi davanti a quelle che esponevano libri usati, spulciando tra i romanzi ingialliti, sfogliati da chissà quante mani, le copertine ormai sbiadite.
Lui attardandosi in quelle di arte del recupero, o così le definiva lui. A Gaia sembravano solo ammassi di fil di ferro e parti metalliche arrugginite, mentre Daniele li osservava come se fossero delle opere di straordinaria bellezza, facendola sorridere con il suo entusiasmo contagioso.
Alla fine non dovette neppure fingere di essere interessata alle sue astruse spiegazioni, perché era riuscito a comunicarle un briciolo della magia che lui vi vedeva.
Mentre si spostavano da un espositore all’altro, si tenevano vicini e parlavano a bassa voce, per avere la scusa di accostare la testa e sfiorarsi con le spalle.
A un certo punto, le aveva afferrato la mano per trascinarla con sé e mostrarle un pezzo particolarmente fantasioso e non l’aveva più lasciata andare.
Gaia si era stupita della naturalezza dei loro gesti. Di solito non era molto espansiva, anzi, tendeva a difendere con le unghie e con i denti il proprio spazio personale. Con Daniele invece si sentiva perfettamente a suo agio, come se fossero dentro una bolla che li escludeva dal resto del mondo.
Quando si furono stancati di curiosare tra le bancarelle, era ormai ora di pranzo.
«Cerchiamo un locale qui in centro? Di cosa hai voglia?» le chiese.
«Di tranquillità. C’è un ristorantino molto carino, due vie più avanti. Conosco i gestori e a quest’ora dovremmo trovare poca gente. Ti va?»
«A me va bene qualsiasi cosa, mangio di tutto.»
«Allora andiamo. È vicino e la cucina è ottima.»
Lui le sorrise e le lasciò la mano solo per mettere un braccio sulle sue spalle e attirarla a sé. Il calore del suo corpo contro il fianco le diede i brividi. Forse non si sentiva poi così a suo agio…
Un leggero nervosismo iniziò a scorrerle sulla pelle, ma del tipo buono. Quello che invece di allontanarti, ti spinge ad avvicinarti ancora di più. Le cose si stavano muovendo troppo in fretta. Gaia si sentiva come un masso che rotola giù per una collina, sempre più veloce, senza riuscire a fermarsi.
Scrollando le spalle, gli avvolse un braccio intorno alla vita e gli sorrise, decisa a non pensare a nulla che andasse al di là della prossima ora, dell’azione successiva.
Mentre camminavano a passo veloce verso il ristorante, Daniele le tolse di mano la busta con i libri che non aveva necessità di comprare ma, non si sa come, si era ritrovata a pagare senza quasi rendersene conto. Il suo gesto gentile la fece sorridere ancora di più.
«Sei proprio un gentiluomo. Tua madre deve essere fiera di te.»
Il braccio che la avvolgeva si irrigidì e una smorfia di sofferenza gli distorse il volto, ma si riprese in fretta e le rispose con un ghigno.
«Certo che sì, sono praticamente il figlio perfetto.»
«Addirittura? E tra le tue numerose qualità c’è anche la modestia?»
«Ovvio! Difficilmente potrai trovare un ragazzo migliore di me in tutta la città!»
Accompagnò le sue smargiassate con un’espressione talmente comica da farla scoppiare a ridere, con tanto di imbarazzante grugnito finale.
Lui si bloccò e la fissò con uno sguardo terrorizzato, facendola arrossire per la vergogna.
«Sono fregato.»
«Eh?»
Rimase zitto qualche istante, come se non sapesse se parlare o tacere. Come la faceva lunga! Aveva una risata buffa, glielo dicevano tutti, non c’era bisogno di fare tutte quelle storie…
«Sono fottuto, perché se fino a cinque minuti fa potevo fingere che tu fossi una bella ragazza qualsiasi, incontrata per caso, adesso non posso più farlo.»
Gaia era sempre più confusa.
«Cosa stai dicendo? Mi devo preoccupare? Hai dimenticato di prendere le tue medicine stamattina?»
«Smettila, sto cercando di dirti che ho appena scoperto che il colpo di fulmine esiste e tu mi prendi per il culo. Non è carino.»
Lei scoppiò a ridere, perché mentre lo diceva, Daniele aveva assunto l’espressione di un cucciolo di labrador messo in castigo. Aveva detto un sacco di sciocchezze, se fossero usciti dalla bocca di chiunque altro, probabilmente sarebbe scappata urlando, invece quegli occhi liquidi e quel sorriso sincero la conquistarono del tutto.
«E sentiamo, come lo avresti scoperto?»
«È del tutto evidente.»
«Ti sarei grata se lo spiegassi anche a me, perché ti assicuro che per me non lo è affatto.»
Daniele sbuffò, come se non riuscisse a credere che lei non ci arrivasse.
«Ho trovato sexy quell’orribile risata. Hai grugnito! Avrebbe dovuto inorridirmi, invece l’ho trovata adorabile.»
Non sapeva se offendersi perché aveva definito orribile la sua risata, imbarazzarsi perché l’aveva trovata sexy o sciogliersi perché, alla fine, l’aveva bollata come adorabile.
Decise di fare tutte e tre le cose: gli diede un pugno sul braccio, arrossì furiosamente e gli sorrise, prendendolo a braccetto, ricominciando a camminare verso il locale.
«Smettila di dire cretinate e andiamo. Ho fame!»
«E tu smettila di dire cose sexy.»
«Cos’ho detto adesso? Guarda che tu sei strano forte!»
«Hai detto di avere fame e si dà il caso che io trovi sexy da morire una donna che ammette di essere dotata di un apparato digerente.»
«Scusa, ma che razza di donne hai incontrato fino ad ora?» gli chiese sghignazzando. Non aveva mai riso tanto in vita sua. Con le sue amiche forse, ma mai con un ragazzo.
«Del tipo che hanno un palo, rigorosamente griffato, infilato hai capito dove, che morirebbero piuttosto che ridere come hai fatto tu prima o ammettere di nutrirsi di cibo vero?»
«Accidenti, ma in che postacci giri? Guarda che il mondo è pieno di ragazze normali come me.»
Le rivolse una strana occhiata e sussurrò: «Non credo proprio.»
Gaia fece finta di non averlo sentito, anche perché stavano entrando nel ristorante dei genitori di Elisa, una delle sue più care amiche. Sapeva che la sua presenza lì con un ragazzo le sarebbe arrivata alle orecchie in tempo zero, assicurandole un interrogatorio che avrebbe fatto impallidire gli agenti della Gestapo.
Lasciò andare il braccio di Daniele, riprendendo le distanze che aveva dimenticato di tenere per tutta la mattinata, e salutò Cristiana, la mamma della sua amica, che la accolse da dietro il bancone del locale con un sorriso da squalo, ricordandole in maniera impressionante la figlia.
“Sono fottuta” fu il suo unico pensiero.

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Capitolo 3
*** Strano ma bello ***


«Gaia, non ti aspettavo!»
“Ti prego, non chiedermi chi è lui. Ti prego, ti prego, ti prego.”
«Siete solo in due?» chiese la donna, dandole la speranza che qualcuno ci fosse davvero, lassù, ad ascoltare le sue preghiere.
«Sì, siamo solo noi. Hai un tavolo per due?»
«Ma certo, a quest’ora il locale è quasi sempre vuoto, lo sai. Venite con me.»
Li accompagnò in un tavolo appartato, vicino al camino spento e lontano dall’ingresso.
«Sapete già cosa volete?»
«Io prendo quello che prende lei» rispose Daniele con prontezza, stupendola.
Lo guardò per un attimo, ma lui era già passato oltre e si stava guardando attorno, curioso e rilassato.
«Va bene, allora portaci il solito.»
La sua ordinazione attirò l’attenzione del ragazzo, che le rivolse un’occhiata interrogativa.
Gli rispose con un ghigno dispettoso, mentre si accomodava sulla pesante sedia in legno massiccio, con il sedile rivestito da un morbido cuscino damascato.
«Sei un tipo avventuroso solo al ristorante o ti piacciono le sorprese?»
«Mi servi le battute su un vassoio d’argento, ma non voglio rovinare l’opinione che ti sei fatta delle mie buone maniere… quindi sì, adoro le sorprese. Ma soprattutto mi piace condividere un’esperienza e mangiare lo stesso piatto è un modo per farlo.»
«Tu sei davvero strano.»
«Strano bello o strano brutto?» la interrogò.
Quel ragazzo non mollava un secondo. Parlare con lui era un botta e risposta continuo e stimolante. Aveva un’intelligenza vivace, divertente, singolare. La mattina insieme era volata e non si era annoiata un solo istante.
«Strano bello, ma non montarti la testa, resti comunque uno strano.»
«Ma strano bello» ribatté, con un sorriso angelico.
«Sei insopportabile. Cambiamo argomento, hai detto che ti mancano due esami. Hai già deciso cosa vuoi fare dopo la laurea?»
«Noooooo! Non ho intenzione di parlare di cose noiose oggi, con te. Argomento bocciato. Ritenta, ti do un’altra possibilità. Tra le mie numerose qualità, sono anche magnanimo.»
«E irritante. Aggiungi anche irritante.»
«Hey!» esclamò offeso.
«Okey, okey! Mmm… Qual è l’ultimo film che hai visto?»
«Oh! Brava! Ottima domanda! Sei una che impara in fretta.»
«Smettila di fare l’idiota e rispondi alla domanda, una buona volta.»
«Che impazienza! Va bene, stai calma. La settimana scorsa ho visto quel film sul soldato che va in guerra, ma non vuole toccare un’arma. Hai presente?»
«Oh sì! L’ho visto anch’io. Un po’ svitato il ragazzo…»
Daniele si bloccò e la guardò come se lo avesse deluso per la prima volta da quando si conoscevano. Che erano poi poco più di tre ore, ma faceva male lo stesso.
«Io invece penso che dovremmo essere tutti svitati come lui» asserì con decisione, guardandola fissa negli occhi, sfidandola a distogliere lo sguardo.
Lei provò a giustificarsi.
«Poteva restarsene a casa, perché è voluto andare a tutti i costi?»
«Perché amava la sua patria e voleva fare qualcosa per difenderla, ma che non comportasse uccidere altri esseri umani. Lo trovi così folle?»
Gaia si agitò a disagio sulla sedia, consapevole di aver giudicato con troppa fretta e superficialità una questione che non era affatto semplice.
«No, non è folle… però è strano.»
Lui inaspettatamente le sorrise.
«Strano bello o strano brutto?»
La battuta sembrò levarle un peso dal petto. La velocità con cui Daniele cambiava umore la disorientava.
«Strano bello» ammise, ricambiando timidamente il sorriso.
«Strano bello è una cosa buona, Gaia. Anche tu sei strana e bella.»
«Strana io?» domandò stupita. Lei era il prototipo della ragazza normale.
«Sì, lo sei. L’ho capito dall’espressione che avevi quando sei arrivata al parco stamattina. Sognante. Sembravi una fatina che si era persa nel bosco. Ti sei distesa al sole e i tuoi capelli e la tua pelle hanno iniziato a brillare come se fossi ricoperta di polvere magica.»
Mentre parlava, Daniele aveva appoggiato un gomito al tavolo e aveva appoggiato il mento sulla mano. Con la testa inclinata e il ciuffo che gli ricadeva sugli occhi, sembrava giovane e indifeso. L’aria da sbruffone che aveva esibito poco prima era completamente evaporata.
Gaia rimase a fissarlo, senza sapere cosa dire. Nessuno le aveva mai parlato in quel modo. Ci voleva una buona dose di coraggio per esprimersi così apertamente, senza temere un giudizio.
«Grazie?» Invece che un’affermazione, il tono di voce faceva pensare a una domanda.
Si guadagnò un sorriso tenero, ma qualcosa alle sue spalle catturò l’attenzione di Daniele, che raddrizzò la testa e si mise a fissare con curiosità Cristiana che ritornava con i loro piatti.
Gaia non distolse l’attenzione dal suo viso, curiosa di vedere che faccia avrebbe fatto alla vista di quello che aveva ordinato.
Delusione.
«I cappellacci? Dici sul serio?»
«Perché? È il piatto tipico di questa città.»
«Ma sono ripieni di zucca!»
«Lo so, perché la cosa ti sconvolge tanto?»
«Perché in un primo non ci dovrebbe essere qualcosa di dolce. Il dolce si mangia alla fine, non all’inizio.»
«Li hai mai assaggiati?»
«Certo che no!»
«Ti garantisco che è uno strano buono» lo prese in giro, mettendolo alla prova.
Lo sguardo sospettoso che le rivolse la fece ridacchiare.
«Dai, non fare il bambino. Assaggiali. Se non ti piacciono, ordiniamo qualcos’altro. Promesso.»
Con un sospiro, Daniele raccolse la forchetta, tagliò in due uno degli enormi tortelli e guardò con disgusto la purea arancione che ne fuoriusciva.
«Aspetta!»
Gaia gli tolse la posata di mano prima che potesse portarsela alla bocca.
«Il boccone perfetto richiede anche un po’ di ragù.»
Si allungò verso il piatto e ne raccolse un po’, porgendogli poi la forchetta e annuendo, con approvazione.
«Ora è perfetto. Assaggia.»
Invece che prendere la posata, il ragazzo abbassò la testa e lentamente si fece scivolare il cibo in bocca, mentre Gaia rimaneva impalata ad osservare le sue labbra che si chiudevano attorno ai rebbi.
Daniele rialzò la testa, chiuse gli occhi e prese a masticare lentamente. Scombussolata, riappoggiò la posata sul tovagliolo e aspettò il giudizio, continuando a guardare la sua bocca morbida che si muoveva.
“Questa volta tocca a me dire che sono fregata. Da quando in qua un uomo è sensuale mente mastica un cappellaccio? È la giornata più assurda che abbia mai vissuto.”
Si schiarì la voce e fingendo che fosse tutto normalissimo gli chiese:
«Allora?»
Lui riaprì gli occhi, rivelandole una luce sorpresa e divertita.
«Allora è strano buono. Avevi ragione. Non lo avrei mai pensato, ma è davvero buonissimo.»
Gaia gli sorrise trionfante.
«Che ti avevo detto? La prossima volta devi fidarti di me.»
«Lo farò.»
La serietà con cui le rispose le spense il sorriso sulle labbra, come se avesse un significato recondito che al momento non riusciva a cogliere.
Finirono di mangiare parlando di altri film che avevano visto di recente e scoprirono che avevano gusti diametralmente opposti. Lui amava film d’azione mentre lei preferiva quelli drammatici. Un classico.
«Devi assolutamente vedere Io prima di te.»
«Non ci penso nemmeno! Perché a voi donne piace soffrire?»
«Ma non è vero che ci piace! Però ci emoziona. A volte piangere fa bene, aiuta a sfogare un po’ di tensione.»
«Ah, ma allora è un vizio il tuo! Smettila di servirmi le battutacce.»
Gaia scoppiò a ridere per l’ennesima volta, ormai aveva mal di pancia dalle risate.
«Hai detto che ti saresti fidato di me, ora pretendo che tu mantenga la parola. Promettimi che guarderai Io prima di te.»
Daniele si mise a fissarla, poteva quasi vedere le rotelle che gli giravano dietro la fronte, quindi non avrebbe dovuto stupirsi della sua uscita. Ma non fu così.
«Andiamo a vederlo.»
«Adesso?»
«Adesso.»
«Insieme?»
«Insieme.»
«Ma come? Dove?»
«Non dirmi che non hai il dvd di questa meraviglia di film.»
Gaia temporeggiò. Se avesse risposto di sì, la risposta alla domanda successiva li avrebbe portati dritti a casa sua. E quel ragazzo era un estraneo per lei.
Non importava che avesse la sensazione di conoscerlo da sempre e le ispirasse un’innata fiducia.
Regola numero uno: non portarsi mai a casa uno sconosciuto. Veniva anche prima della regola del sesso protetto.
«Ti giuro che non sono un maniaco, o un pervertito o un serial killer o qualsiasi altra cosa tu stia pensando in questo momento.»
«Che è esattamente quello che direbbe un maniaco, un pervertito o un serial killer. Te ne rendi conto, vero?»
«Ascolta Gaia, non voglio forzarti, ma non ho ancora voglia di lasciarti andare e adesso sono davvero curioso di vedere questo film. È pomeriggio, non hai qualche vecchietta vicina di casa che potrebbe accorrere in tuo soccorso in caso di bisogno?»
«In realtà ho di meglio. Il mio vicino è cintura nera di Taekwondo e lavora di sera, quindi il pomeriggio è sempre a casa. E ha una cotta per me.»
«Hey! Non c’è bisogno di terrorizzarmi! Giuro che sarò un perfetto gentiluomo.»
«Va bene dai, andiamo.»
Daniele le rivolse un sorriso radioso, che abbatté le sue ultime resistenze. Non aveva mentito, Nicola era davvero un maestro di arti marziali e se le avesse sentito emettere anche solo un fiato, sarebbe stato capace di sfondare la porta pur di aiutarla.
Sperava solo che il suo istinto non stesse sbagliando e che non ce ne sarebbe stato bisogno. Chi glielo avrebbe giustificato al padrone di casa una porta sfondata?
Scrollando le spalle, si alzò e chiamò Cristiana.
«Cri, stiamo andando! Vieni a farci il conto, per favore?»
Divisero alla romana, il che per assurdo la tranquillizzò ulteriormente. Un ragazzo che ci vuole provare quanto meno tenta di offrirti il pranzo, giusto?

 

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Capitolo 4
*** Il film ***


«Vieni, abito al terzo piano» gli comunicò, mentre prendeva il fiato per salire le nove interminabili rampe di scale.
Sì, non era una sportiva. Qualche problema?
«Devi avere una vista stupenda sul parco.»
«Sì, non è male. Soprattutto d’estate c’è un bel ricircolo d’aria che rende più tollerabile l’afa.»
Ecco, aveva già il fiatone e non erano nemmeno a metà.
Sentì Daniele ridacchiare, di fianco a lei, mentre affrontava i gradini senza il minimo affanno.
«Non è affatto carino ridere di me in quel modo.»
«Scusa ma sei adorabile, avremo salito quanti… venti gradini? E hai già le guance tutte rosse. Da quanto tempo abiti qui?»
«Circa tre anni.»
«E ancora non ti sei abituata alle scale?»
«Uffa… sei un gran rompiscatole. Se non la smetti giuro di non offrirti i popcorn. Li mangerò tutti da sola mente tu sarai costretto a guardami.»
«Guardarti non sarà una gran punizione, però non puoi ricattarmi così. Le schifezze dovrebbero essere protette dalla dichiarazione universale dei diritti dell’uomo.»
«Allora finiscila, o mi costringerai a macchiarmi di crimini di guerra.»
«Ah, è così? È la tua ultima parola? Ti consiglio di pensarci seriamente o ci saranno rappresaglie.»
Gaia alzò gli occhi al cielo e lo guardò con sufficienza.
«Come se potessi fare qualcosa con quegli stecchini che ti trovi al posto delle braccia.»
Non ebbe nemmeno il tempo di scattare (non che il suo scatto fosse niente di che, ma non fece in tempo nemmeno a pensarlo) che si ritrovò le mani di Daniele che le facevano il solletico ai fianchi.
«Te la sei voluta tu, ragazzina. Ora pagherai per la tua insolenza.»
Gaia prese a dimenarsi, scossa dalle risate, mentre con le mani cercava di allontanarlo, scoprendo che le sue braccia non erano affatto degli stecchini. Tutt’altro.
Dopo un paio di minuti di guerra senza quartiere, si ritrovò senza fiato, appoggiata al muro, con Daniele che le incombeva addosso, i capelli spettinati dalla lotta, che non la smetteva di farle il solletico.
«Basta ti prego!» gridò, con l’ultimo respiro che aveva nei polmoni.
Daniele si fermò subito, ridacchiando e dandole della pappamolle.
Presero a risalire le scale, quando sentirono un trambusto venire dal piano di sopra e pochi istanti dopo si videro piombare addosso un armadio quattro stagioni.
«È tutto a posto Nicola!»
La sua rassicurazione finì inascoltata, mentre il corpo muscoloso del vicino di casa travolgeva quello molto meno massiccio di Daniele.
Gaia lo afferrò per la vita e tirò indietro con tutte le sue forze, senza riuscire a muoverlo di un centimetro. Vedendo che le cose si stavano per mettere male, prese fiato e gridò nuovamente.
«Fermati Nicola! Subito!»
Il bestione parve finalmente recepire il messaggio e si voltò a guardarla, preoccupato.
«Stavamo giocando, scusami se ti ho fatto preoccupare. È tutto okey, davvero. Puoi lasciarlo andare.»
Nicola gettò un’occhiata torva a Daniele, che aveva mantenuto un invidiabile sangue freddo e lo stava tenendo a bada con le sue braccia lunghe, poi si allontanò e le chiese conferma.
«Allora posso andare? Sei sicura che non hai bisogno di me?»
«Sicurissima. Ti ringrazio tanto. Adesso saliamo da me e ci guardiamo un film, quindi se senti un po’ di rumore non ti preoccupare. Va bene?»
«Va bene, ma se hai bisogno basta che bussi alla parete e io arrivo. D’accordo?»
«Certo Nicola, d’accordo. E grazie ancora.» Gli sorrise rassicurante e gli diede una botta sulla spalla incredibilmente muscolosa.
L’uomo annuì e si voltò per tornarsene in casa, lasciando i due ragazzi sul pianerottolo, a guardarsi increduli.
«E io che credevo ti fossi inventata tutto solo per spaventarmi.»
«Eh no, non scherzavo affatto.»
Si guardarono ancora per qualche istante in silenzio, poi le spalle di Daniele iniziarono a sussultare. Gaia si schiaffò una mano davanti alla bocca, cercando di trattenere le risate. Alla fine però si dovettero arrendere e presero a ridere come due matti, sostenendosi a vicenda e barcollando su per le scale.
Davanti alla porta di casa erano ormai appoggiati l’uno all’altro, fiaccati dal ridere e dallo spavento. Gaia prese a tentoni le chiavi dalla borsa e in qualche modo riuscì ad aprire il battente. Entrarono sempre sostenendosi a vicenda, mentre le ultime risate li scuotevano.
A un tratto però realizzarono di essere in casa e di essere, per la prima volta, completamente soli. Il silenzio calò su di loro e si staccarono un po’ imbarazzati.
Gaia gettò le chiavi sulla mensola vicino all’ingresso e iniziò a togliersi il soprabito.
«Lo puoi appendere lì.»
Gli indicò un appendiabiti sulla destra e lui si affrettò a togliere il giubbotto, poi si mise le mani in tasca e iniziò a guardarsi attorno, come aveva fatto al ristorante. Le piaceva la sua curiosità innocente, guardava tutto come se fosse interessante.
Non che ci fosse molto da vedere. Il suo era un monolocale per studenti, arredato in modo semplice e funzionale, quasi spartano, con un divano letto, un mobile tv e una cucina a vista. Per quanto avesse cercato di ravvivarlo con qualche stampa e qualche pianta, rimaneva un ambiente piuttosto freddo.
«Accomodati pure, metto i popcorn nel microonde e arrivo subito.»
Non se lo fece ripetere due volte, si avviò verso il divano e arrivato davanti al tappeto, si tolse le scarpe e poi si sedette ad aspettarla, il corpo rilassato contro lo schienale, il lieve imbarazzo di poco prima del tutto scomparso.
Gaia invece era ancora un po’ nervosa, quindi si diede da fare per tenere le mani impegnate. Mise il sacchetto dei popcorn nel microonde e aprì il frigo, piegandosi per guardare che bibite aveva a disposizione.
Senza rialzarsi si voltò per chiedere a Daniele di cosa avesse voglia e lo sorprese a fissarle il sedere. Si raddrizzò di colpo, le orecchie che le andavano a fuoco e gli domandò precipitosamente:
«Ho della coca, della birra e dell’acqua. Cosa preferisci?»
«La coca va benissimo, grazie.»
Era una sua impressione o la sua voce si era abbassata di un’ottava?
Decise che era meglio fare finta di nulla, si schiarì la gola, prese le lattine, un paio di bicchieri e si avviò verso il divano, mentre dal forno iniziavano ad arrivare i suoni allegri dei chicchi di mais che scoppiavano.
Appoggiò il tutto sul tavolino e tornò verso la cucina per prendere una ciotola capiente, dove riversò le profumate palline bianche. Porse quelle meraviglie salate a Daniele, che era diventato stranamente silenzioso.
«Te le sei meritate. Chiunque non scappa urlando alla vista di Nicola che gli si precipita addosso, merita quanto meno una dose doppia di popcorn.»
Il ragazzo scoppiò a ridere, l’atmosfera di nuovo rilassata come lo era stato durante il resto della giornata.
«Dai, metti su il film. Non vedo l’ora di vederti piangere.»
Gli rifilò un pugno sul braccio.
«Ma che bastardo!»
Mise su il dvd e poi si accoccolò sul divano, appoggiandosi al bracciolo e raccogliendo le gambe sotto di sé, stando attenta a non toccare Daniele, che invece se ne stava stravaccato come se il divano avesse le dimensioni di un campo da calcio.
Quando Louisa Clark fece la sua comparsa sullo schermo, con i vestiti bizzarri e la faccia buffa, Daniele si sporse verso di lei e le sussurrò: «Mi ricorda un po’ te.»
«Io non mi vesto così male!» rispose piccata.
«No, è vero, però il sorriso è uguale.»
Mentre lo diceva, allungò una mano ad accarezzarle una guancia e con il pollice le sfiorò l’angolo della bocca, mandandole brividi in tutto il corpo.
«Hai freddo?»
Non poteva dire di no senza sputtanarsi vergognosamente, quindi annuì.
«Dai, girati e appoggiati a me.»
Con il cuore che le batteva davvero troppo forte, fece quello che le aveva chiesto. Si addossò al suo fianco e lui le mise un braccio sopra le spalle, avvicinandola ancora un po’.
Non erano più vicini di quando si erano presi a braccetto per strada, ma ora la situazione era completamente diversa, nel silenzio della sua casa vuota.
Gaia attese che la mano di Daniele si muovesse dalla sua spalla, ma dopo qualche minuto lo sentì ridacchiare per una battuta del film e iniziò a rilassarsi.
Un’oretta dopo aveva perso ogni dignità e stava singhiozzando senza ritegno contro il suo maglione, il naso affondato nella sua spalla.
«Se pensi di usarmi come fazzoletto, sappi che potrei rivedere la mia idea iniziale sul fatto che tu sia assurdamente sexy.»
La voce di Daniele rimbombò sotto il suo orecchio, un suono rassicurante che per assurdo la fece piangere ancora più forte. Si sentì afferrare per le spalle e staccare con delicatezza.
Lo trovò che la fissava, gli occhi lucidi a dimostrazione che il film non aveva lasciato insensibile nemmeno lui.
«Sì, sono decisamente, assolutamente fregato.»
Le asciugò le lacrime con dita, la pelle le bruciava per il sale e il suo tocco.
«Se ti trovo sexy anche con gli occhi gonfi e il naso che ti cola, sono proprio fottuto.»
Il mix di rassegnazione e sconforto sul suo volto, le fece venire da ridere, finendo per sembrare definitivamente pazza.
«Ora la smetto» promise, con voce tremante, mentre cercava di ritrovare il controllo.
«Aiuterebbe se ti baciassi? Perché a me aiuterebbe tantissimo a dimenticare il film più triste della storia.»
Il modo in cui lo disse, la fece scoppiare di nuovo a ridere.
«Quindi farei un’opera di bene, lasciandomi baciare da te, giusto? Niente di speciale.»
«Oh, di sicuro faresti del bene, a me nello specifico. Ma se dopo dirai che è stato niente di speciale, vorrà dire che in venticinque anni non ho imparato proprio niente.»
Le ultime parole furono un sussurro sulla pelle del viso, un attimo prima che la bocca di lui si appoggiasse sulla sua, in un tocco tenero e morbido, assolutamente delizioso.
Fu un contatto breve, ma che la lasciò tremante, le palpebre abbassate sugli occhi, il sangue che le rombava nelle orecchie, assordandola.
Mentre lui si ritraeva, lei si sporse e ristabilì la frizione tra le loro labbra. Una mano corse ad afferrargli il collo, mentre i capelli le solleticavano i polpastrelli. Profumava di popcorn e zucchero. Chissà se il sapore era altrettanto buono? Prima che riuscisse a razionalizzare e fermarsi, la lingua guizzò ad assaggiarlo. Delizioso.
Un gemito risuonò nella stanza e le riverberò sotto le dita della mano che gli aveva appoggiato al petto, senza nemmeno rendersene conto. Fu come il colpo di pistola che viene sparato all’inizio di una corsa.
Le mani di lui, che fino a quel momento erano rimaste lontane e strette a pugno, la afferrarono per la vita, la sollevarono e la trascinarono a cavalcioni sul suo grembo. Le braccia la strinsero forte e un altro gemito si alzò nel silenzio.
Questa volta era stata lei, a lasciarselo sfuggire, in risposta alla lingua di lui che le aveva invaso la bocca e ora la stava saccheggiando, ubriacandola di eccitazione. Si aggrappò alle sue spalle forti e rispose al bacio con tutta la passione che si sentiva scorrere nelle vene, avvertendo i muscoli contrarsi sotto le sue dita.
Sentì le sue mani percorrerle la schiena, premendo con i palmi ben aperti, come se volesse toccarla il più possibile in una volta sola. Se la premeva addosso, così tanto che le sembrava che ogni centimetro dei loro corpi fosse in contatto. Sentiva le sue gambe dure che premevano contro le sue cosce morbide, il seno schiacciato contro il suo petto muscoloso, le bocche incollate che non lasciavano spazio ai respiri.
Quando lo sentì sollevare i fianchi, nella testa le esplosero dei fuochi d’artificio accecanti, che la lasciarono stordita. Un morso al labbro inferiore la riportò al presente, al ragazzo che la stava toccando come se sapesse esattamente cosa fare per accenderla come una torcia umana.
E lo conosceva da nemmeno otto ore. Quel pensiero avrebbe dovuto scuoterla, farla rinsavire, invece si rese conto che non le importava, non le importava nulla a parte quel mare di emozioni fortissime che la sommergevano, un’ondata dopo l’altra, sempre più alte, sempre più impetuose.
Fu lui che, a un tratto, si fermò e, strattonandola piano per i capelli, la staccò dalla propria bocca.
«Ti ho promesso che mi sarei comportato bene, ma forse le cose mi sono leggermente sfuggite di mano» ammise, con voce roca.
Gaia si allontanò di qualche centimetro e lo fissò, confusa, incapace di credere che si fosse fermato. Che avesse trovato la forza e la lucidità per farlo. Le cose erano due: o aveva un autocontrollo davvero straordinario o non era nemmeno lontanamente presa quanto lo era lei.
Fece per sollevarsi dalle sue gambe, ma la mano di lui non le lasciò i capelli, trattenendoli in una morsa decisa e delicata al tempo stesso.
«Riesci a immaginare cosa provo guardandoti in questo momento?»
Scosse la testa.
«Ti ricordo che ho trovato sexy la tua risata con grugnito e la tua faccia tutta a chiazze per il pianto.»
Gaia inarcò le sopracciglia, non capendo dove volesse andare a parare.
«Hai le labbra gonfie e rosse per i miei baci e i capelli spettinati dalle mie mani. Ti guardo e sembra che tu abbia appena fatto sesso e questo è molto più che sexy. È letale.»
Arrossì furiosamente, incapace di distogliere gli occhi dai suoi, nonostante l’imbarazzo e il calore che le sue parole non avevano fatto altro che alimentare.
«Quindi che facciamo adesso?» gli chiese, la voce ridotta a un sussurro appena udibile.
Daniele rimase in silenzio qualche secondo, allentò la presa sui suoi capelli e iniziò a massaggiarle la cute, disegnando morbidi cerchi con i polpastrelli.
«Non lo so, so solo che non ho voglia di salutarti. Non ancora.»
Si sentì sommergere dal sollievo.
«Nemmeno io».
Lui assunse un’aria pensierosa, mentre la mano continuava ad accarezzarla, scendendo sul collo e premendo i tutti i punti giusti, allentando la tensione dei muscoli e dei nervi tesi.
«Abbiamo visto un film che è piaciuto a te, ora dovremmo compensare facendo qualcosa che piace a me.»
Gaia gli sorrise maliziosa e lui scoppiò a ridere.
«Per quanto mi piacerebbe rimanere qui a rotolarmi con te sul divano, o magari sul tappeto… ha un aspetto davvero invitante, te l’ha mai detto nessuno?» Non le diede il tempo di rispondere, che proseguì. «No, pensavo a qualcosa che ci porti fuori da queste quattro mura tentatrici. Abbiamo ancora un paio di ore di luce, che ne dici di fare una passeggiata sulle mura?»
Lo fissò a bocca aperta.
«Stai scherzando, vero?»
«No, perché? Questa città ha delle mura storiche e bellissime. Adoro camminarci sopra e immaginare come doveva essere secoli fa, al tempo degli Estensi, quando le strade erano fatte di terra battuta e percorse da cavalli e carri.»
Quel ragazzo continuava a stupirla.
«Sicuro che stai studiando ingegneria e non storia dell’arte? O architettura?» lo interrogò, sorridendo.
Lui scoppiò a ridere.
«Ammetto che, se fosse per me, frequenterei tutte le facoltà di questo mondo. Sono un tipo curioso e mi piace studiare le cose. Ognuna ha il suo fascino, se la guardi da vicino.»
Osservando il suo bel volto a pochi centimetri dal proprio, fu costretta ad ammettere che aveva ragione. Era affascinata dai suoi lineamenti, dalla grana della sua pelle, la barba che iniziava ad annerirgli la mandibola forte.
Allungò una mano per accarezzargli una guancia, desiderosa di sentirla scorrere sotto le sue dita, quando lui si alzò precipitosamente, tenendola per le braccia per non farla finire con il sedere per terra.
«Hey!»
«Dobbiamo uscire di qui, Gaia. Dai, prendi le scarpe» le comunicò, mentre si affannava per infilare le sue, come se la casa stessa improvvisamente andando a fuoco.
«Ma che diavolo…»
Era davvero strano. Con un’alzata di spalle, si voltò per andare a fare quello che le aveva suggerito. Indossò le sneakers e si infilò il cappotto; si mise in tasca portafoglio e cellulare e abbandonò la borsa sul bancone della cucina, preferendo viaggiare leggera, se dovevano passare il resto del pomeriggio scarpinando sulle mura di cinta della città. Erano lunghe diversi chilometri e non aveva idea di cosa Daniele avesse in mente.

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Capitolo 5
*** Le mura ***


Lo scoprì mezz’ora dopo.
«Te lo chiedo un’altra volta: stai scherzando vero? Saranno più di dieci chilometri!»
«Esagerata! Solo nove.»
«Ah! Allora va bene, certo. Se sono solo nove non c’è alcun problema.»
«Ma davvero sei così pigra? Non si direbbe a guardarti. Sì, hai un bel culo rotondo, ma sembra disegnato con il compasso. Non può essere tutto merito di madre natura.»
Per l’ennesima volta Gaia si sentì le guance andare a fuoco. Con lui era un continuo alternarsi di emozioni: la faceva ridere, la imbarazzava, la irritava, la affascinava e la spiazzava. In un ciclo continuo che la lasciava stremata.
«Devo essere impazzita.» sospirò. «Va bene, andiamo. Spero che ne valga la pena.»
Le sorrise soddisfatto, di nuovo entusiasta come un bambino.
«Vedrai, è bellissimo. Non riesco a credere che abiti qui da più di quattro anni e non sei mai venuta a passeggiare in questo posto. A certe ore del giorno puoi incontrarci tutta la città.»
Gaia si guardò attorno e dovette ammettere che era davvero bello. L’aria era fresca e profumava di erba. Ai lati del camminamento delle mura, piantati nel terrapieno, si innalzavano alti e robusti pioppi che avevano già messo le tenere foglie primaverili.
Il prato che costeggiava la fortificazione sembrava appena tagliato, di un verde intenso. In lontananza di intravvedeva un torrione di pietra, che si ergeva tra la vegetazione.
Daniele le prese nuovamente la mano, come aveva fatto quella mattina, e impresse un ritmo regolare e costante al loro passo.
«Hai mai visto una foto dall’alto della città? O una piantina?»
Lei scosse la testa. Si sarebbe vergognata della propria ignoranza, se lui non fosse apparso così felice di colmare le sue lacune.
«Devi rimediare, sono ancora più belle viste dall’alto, anche se ormai hanno perso la precisione della forma che avevano in origine.»
«Perché? Che forma avevano?»
«Più o meno quella di una stella, ma poi furono in parte abbattute. Vedi da quel lato? Lì c’era il fossato che girava attorno a tutta la città. Era una fortificazione notevole per quei tempi. Ma d’altra parte era la residenza degli Este, una famiglia nobile e potente.»
«Come fai a sapere tutte queste cose?»
«Te l’ho detto, sono curioso, mi piace leggere e studiare, soprattutto le cose che vedo con i miei occhi. Mi piace conoscerle.»
«Fai così solo con le cose o anche con le persone?»
«Con entrambe, anche se con le persone è più difficile. Le cose non mentono.»
L’inflessione triste della sua voce le fece capire che aveva toccato un argomento scomodo, come qualche ore prima, quando aveva accennato alla madre.
Qualcosa le diceva che Daniele non era semplice come voleva apparire, o come i suoi occhi limpidi lasciavano pensare.
«Anche tu menti?» gli chiese.
«No, al massimo ometto. Non è proprio la stessa cosa, giusto?»
«Dipende dai punti di vista.»
Vedendolo aggrottare la fronte, preferì lasciar perdere e cambiò argomento.
«E quel bastione là in fondo cos’è?»
Il ragazzo non se lo fece chiedere due volte e ricominciò a raccontarle della storia e dell’architettura della città, arricchendolo di aneddoti divertenti che la fecero ridere.
Più di un’ora dopo, Gaia era esausta e, anche se si stava divertendo, non vedeva l’ora di sedersi e togliersi le scarpe.
«Manca ancora molto?»
«Ancora un paio di chilometri, ma se sei stanca possiamo tornare a casa.»
Lo guardò inorridita.
«Oh mio Dio! Non ci avevo pensato! Ora dobbiamo rifarci tutta questa strada?»
Daniele scoppiò a ridere.
«Devi proprio iniziare a fare un po’ di sport! Hai ventiquattro anni non novantaquattro. Non puoi essere così distrutta dopo un’ora di passeggiata a passo rilassato.»
«Hey! Io sono una studentessa, passo un sacco di tempo con il sedere attaccato alla sedia e non ho tempo per queste sciocchezze. Il poco tempo libero che ho lo uso per le cose davvero importanti: leggere romanzi e guardare Netflix» gli rispose piccata, scherzando solo in parte. In minima parte.
«Dai pigrona, andiamo a casa mia. È proprio qui vicina. Ti offro un bicchiere d’acqua, ti riposi un po’ e poi ti accompagno a casa in auto. Ma devi giurarmi di non guardare il disordine, non aspettavo visite.»
C’era solo una cosa più stupida di portarsi a casa uno sconosciuto, ed era andare a casa di uno sconosciuto.
Il male ai piedi vinse la battaglia contro la prudenza in due secondi netti.
«Va bene, andiamo.»
 
***
Daniele abitava in una palazzina di cinque piani, ma grazie al cielo abitava al primo, altrimenti sarebbe stramazzata al suolo. Iniziava a prendere sul serio il suo suggerimento di fare più attività fisica. In quel momento si sentiva una cariatide.
«Siediti sul divano e mettiti comoda, ti porto un po’ d’acqua.»
«Fai pure un secchio! Sto morendo disidratata.»
«Melodrammatica!» la accusò ridendo, poi le voltò le spalle ed entrò in un cucinino angusto, mentre lei si accomodava sul divano, che le parve la cosa più comoda su cui avesse mai appoggiato le chiappe. Si tolse le scarpe, sperando che non le puzzassero i piedi, ma le pulsavano troppo e non aveva alcuna intenzione di tenerle un solo secondo di più.
Daniele tornò con una bottiglia d’acqua e due bicchieri e le si sedette accanto.
Poi, stupendola, si chinò per afferrarle le gambe e portarsele in grembo. Stava per protestare quando le tolse i calzini e iniziò a massaggiarle i piedi.
Oh beh, se non importava a lui, non lo avrebbe di certo fermato lei. Era il paradiso.
Aveva le mani calde, che premevano con energia e scioglievano le contratture, le prendeva ogni singolo dito e glielo ruotava con delicatezza, per poi manipolarlo con forza, mandandole delle scariche elettriche su per le gambe.
Dovette mordersi la lingua per non mugolare in modo osceno. Si lasciò scivolare in basso con la schiena, appoggiò la testa al bracciolo e chiuse gli occhi, godendosi ogni istante di quella meraviglia.
Dopo essersi prese cura di ogni centimetro dei suoi piedi, le mani iniziarono a scivolare verso l’alto, accarezzando l’osso sporgente della caviglia e premendo con i polpastrelli sul muscolo contratto del polpaccio, aumentando e diminuendo la pressione, fino a che non le sembrò di avere le gambe fatte di nuvole, invece che di pelle, carne e ossa.
Scivolò nel sonno senza nemmeno rendersene conto.
Si risvegliò lentamente, come quando si riemerge da un’immersione in profondità, la coscienza che riaffiorava piano.
Confusa si guardò attorno, ricordando che non era a casa propria, ma da Daniele. Spiò l’orologio e si accorse di aver dormito per un paio d’ore. Questo la diceva lunga su quanto si trovasse a suo agio in sua compagnia. O su quanto fosse una stupida incosciente. Delle due, l’una.
Guardò in direzione dei piedi, che sentiva belli caldi, e vide che il ragazzo dalle mani d’oro si era addormentato a sua volta, la testa in un’angolazione strana, che non doveva essere per niente comoda.
Con attenzione, ritirò le gambe e si mise a sedere. Poi prese a fissarlo come una stalker. Era davvero carino. Aveva lineamenti regolari e una bella pelle, la bocca era morbida e sensuale, il naso troppo perfetto per trovarsi sul viso di un uomo. Era alto e atletico, il ricordo della sensazione dei suoi muscoli sotto le mani le fece venire caldo. Doveva piantarla, e subito.
«Daniele» lo chiamò piano, toccandogli un braccio.
Senza aprire gli occhi, il ragazzo alzò un braccio e glielo avvolse attorno, stringendola al fianco.
«Dammi dieci minuti» rispose, la voce assonnata.
«Va bene.»
Alla fine non aveva tutta questa fretta… Gli si spalmò addosso e appoggiò la testa nell’incavo tra la spalla e il collo, posandogli la mano sullo stomaco. Mmm…
Era legale che un ragazzo fosse così confortevole? Stava per riaddormentarsi, quando sentì la sua mano accarezzarle la testa, facendo scorrere i capelli tra le dita.
«A te era mai capitata una cosa del genere?» le chiese.
No… non le era mai successo, ma finse di non capire.
«Cosa intendi?»
«Lo sai. Provare questo feeling immediato. Non sono mai stato così bene in compagnia di una ragazza. Mi sembra impossibile di conoscerti solo da poche ore.»
«No.»
«No cosa?»
«Non mi era mai capitato.»
«Quindi lo senti anche tu?»
«Sì.»
«Quindi che facciamo?»
«Non lo so. Tu cosa vorresti fare?»
«Ah, Gaia… continui a lanciarmi l’amo. Prima o poi abboccherò.»
«Magari è quello che voglio.»
Lo sentì trattenere il fiato, mentre gli addominali si contraevano sotto le sue dita.
«Vorrei passare la serata a baciarti e toccarti. Vorrei che passassi la notte qui, con me, e domani mattina andare insieme a fare colazione al Vogue. E ricominciare tutto da capo.»
«Non posso rimanere qui stanotte, ci siamo appena conosciuti.»
Daniele rimase in silenzio qualche istante.
«Fai economia, giusto? Allora dimmi se ho fatto bene i conti. Ci conosciamo da circa dieci ore, giusto? Minuto più minuto meno.»
«Giusto, dove vuoi andare a parare?»
«Sei proprio un’impaziente, eh? Fammi finire. Com’è la regola? Terza base al quinto appuntamento. Se consideriamo che un appuntamento dura in media un paio d’ore, si può dire che è come se noi fossimo esattamente a quel punto, giusto?»
Il suo ragionamento contorto la fece scoppiare a ridere di gusto.
«Sei terribile.»
«Terribile buono o cattivo?»
«Non lo so ancora.»
«Vediamo se riesco ad aiutarti.»
Gaia si ritrovò distesa sul divano, con un fantastico corpo maschile che le premeva addosso e una bocca morbida che le sfiorava le labbra.
Avrebbe dovuto spaventarsi per quella mossa repentina, ma lui si era appoggiato su un gomito, dalla parte dello schienale, lasciandole modo di sgusciare via, se la cosa non le fosse andata a genio.
Inoltre le sue labbra erano delicate e non la stava toccando da nessun’altra parte, come se volesse farle capire che potevano smettere quando lo avesse voluto. Era passionale, ma non aggressivo e la faceva sentire al sicuro.
Gli avvolse le braccia attorno alla testa e iniziò a ricambiare il bacio con foga, la sua delicatezza che agiva come alcool sulla fiamma del desiderio. Schiuse le ginocchia e gli fece spazio tra le proprie gambe, poi gliene avvolse una attorno, per fargli capire che faceva sul serio e no, non voleva fermarsi.
Come se gli avesse dato l’autorizzazione che aspettava, Daniele iniziò a far viaggiare le mani sul suo corpo, toccandola ovunque, sensibilizzando la pelle e facendola impazzire.
«C’è un letto in questa casa?» gli chiese, sfacciata.
Per tutta risposta, lui si avvolse l’altra gamba attorno ai fianchi e, con un colpo di reni, si sollevò dal divano, trascinandola su con sé, come se pesasse nulla. Senza smettere di baciarla, sbattendo ovunque, la portò in camera da letto e la adagiò sulle lenzuola, che sapevano di pulito e di uomo.

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Capitolo 6
*** Una notte d'amore ***


Penultimo capitolo! Poi seguirà l'epilogo. 
Questo capitolo contiene una scena lemon, ma non mi sembra così spinta da dover alzare il rating a rosso. Nel caso me lo fate sapere? Grazie! 
E grazie a voi che state leggendo la mia storia. Speri vi stia piacendo e che vi piaccia la sua conclusione. Se avete consigli o suggerimenti, lasciatemi un piccolo commento. ^_^ 

 

Si fermò in piedi vicino al letto, fissandola con il petto che si muoveva su e giù con affanno. Lei annuì e lui si tolse la maglietta, tirandola dal collo, in un gesto così virile che la lasciò senza fiato, ad ammirare il suo busto, così bello da far venire l’acquolina in bocca.
Allungò una mano, gli afferrò la cintura e lo attirò sul letto, di nuovo tra le sue gambe, dove sentiva che doveva stare.
Daniele le accarezzò la coscia avvolta dai jeans e si infilò sotto la maglietta, toccandole la pelle del ventre e spedendole brividi per tutto il corpo.
«Che ne dici di pareggiare i conti?» le chiese, sollevando l’orlo della maglia e tirando piano.
Gaia alzò le braccia e, un secondo dopo, l’aria le sferzò la pelle.
Daniele la guardava con gli zigomi arrossati e prese ad accarezzarla in punta di dita, gli occhi che sembravano bere la sua immagine, ma che tornavano sempre al suo viso, per controllare come stava, se le piaceva, se poteva continuare o doveva rallentare.
La stava torturando, ma la sua attenzione la commuoveva. Infilò un braccio dietro la schiena e slacciò il reggiseno, per poi gettarlo da qualche parte, non importava dove. Gli prese una mano e la posò su un seno, premendo forte.
«Voglio che mi tocchi come se fossi tua.»
Lo vide deglutire e chiudere gli occhi, prima di lasciarsi andare e sommergerla con la sua passione. La baciò in profondità, la sua lingua sembrava volesse possedere ogni millimetro della sua bocca.
Si appoggiò con più decisione su di lei e le fece sentire quanto fosse duro, dentro i pantaloni. Per tutta risposta si sentì diventare liquida e gli strinse le ginocchia contro i fianchi, sollevando il bacino e aumentando il contatto, le mani che vagavano sulla sua schiena, una distesa infinita di pelle liscia e soda, con i muscoli che guizzavano al passaggio delle dita e per i piccoli movimenti che faceva, assestandosi su di lei.
«Dio, quanto sei buona. Voglio assaggiarti tutta.»
La sua voce era così roca da essere quasi irriconoscibile. Abbassò la testa e iniziò a baciarla sul petto, scivolando verso il seno e prendendo una punta in bocca, succhiando piano ma con decisione, facendola impazzire.
Si ritrovò ad agitare la testa su cuscino, eccitata come non si era mai sentita in vita sua, le gambe che lo trattenevano, il bacino che accompagnava i suoi movimenti lenti e profondi. Era già sull’orlo di un orgasmo e avevano appena cominciato.
Daniele sollevò la testa e parve capirlo, perché abbassò una mano e la infilò nel jeans, massaggiandola proprio dove ne aveva bisogno. Bastarono un paio di tocchi portarla al limite, il corpo che le pulsava dolorosamente, come se fosse sul punto di esplodere, eppure rimaneva ferma lì, non riusciva ad andare oltre.
«Lasciati andare piccola» le sussurrò all’orecchio, la mano che andava più veloce.
«Non ci riesco.»
«Sì che ci riesci, lo sento sulle dita, ci sei quasi.»
La mano si mosse verso il basso e un dito si infilò dentro di lei. Fu sufficiente. L’orgasmo le deflagrò in tutto il corpo con la potenza di una bomba. Perse completamente il contatto con la realtà e riemerse dopo un tempo infinito, trovando Daniele che la fissava con un sorriso di pura soddisfazione maschile, ancora sospeso sopra di lei.
Aveva la mandibola contratta e un leggero strato di sudore gli ricopriva la fronte. Si rese conto che doveva essere in condizioni pietose, eppure stava immobile, ad aspettare che si riprendesse, gustandosi ogni sua contrazione. Non aveva tolto la mano da dentro le sue mutandine.
Si abbassò a baciarle le labbra.
«Sei bellissima mentre vieni. Sei bellissima sempre.»
Gaia voltò il capo, nascondendo il viso nel braccio di lui, affondato nel cuscino vicino alla sua testa, ma Daniele mosse la mano, costringendola a riportare lo sguardo nei suoi occhi.
«Ancora?» le chiese ammiccando, lasciandola senza fiato.
«E tu?»
«C’è tempo, abbiamo tutta la notte. Adesso voglio baciarti.»
Capì cosa intendeva esattamente quando iniziò a slacciarle i jeans. Un pensiero le sfrecciò nella mente e iniziò a divincolarsi.
«Aspetta, aspetta un secondo.»
Lui si ritrasse, guardandola incuriosito.
«Che succede?»
Non sapeva come dirglielo, non avevano ancora raggiunto quell’intimità di coppia che ti permette di parlare di certe cose, nonostante quello che avevano appena fatto.
«Devo andare un attimo in bagno.»
Lui le rivolse un’occhiata, facendo due più due.
«A me non interessa, hai un profumo fantastico.» Si portò una mano al viso e aspirò, socchiudendo gli occhi e facendole contrarre il ventre, per l’erotismo sfacciato disegnato sui suoi lineamenti.
«Comunque, se ti fa sentire più a tuo agio, vai pure.»
Non se lo fece ripetere due volte, sgattaiolò giù dal letto e si infilò nel bagno, l’unica porta che non aveva ancora oltrepassato. Si lavò in fretta e tornò da lui il più velocemente possibile.
Era disteso sul letto, a pancia in su, il petto nudo e bellissimo, i pantaloni tesi sull’erezione che non aveva ceduto nell’attesa. Si alzò pigramente, le passò vicino, sfiorandole il fianco e si chiuse a sua volta in bagno.
Gaia sentì scorrere l’acqua e si chiese se le sue paranoie avessero smorzato l’atmosfera perfetta che si era creata. Daniele ritornò con solo un paio di boxer neri e attillati addosso. Vederlo praticamente nudo le seccò la gola, le sembrava di sentire gli ormoni scorrere impazziti nelle vene.
La raggiunge e la fece alzare, ricominciando da dove si era interrotto, ossia la lampo dei suoi jeans.
«Adesso posso baciarti? O c’è qualcosa che dovrei sapere?» indagò.
Rimase un attimo perplessa, non capendo cosa intendesse, poi sussultò. Non le era nemmeno passato per la testa.
«No, sono sana.»
Lui aspettò che gli facesse la stessa domanda, ma vedendo che taceva la sollecitò.
«È un tuo diritto saperlo, non devi vergognarti a chiederlo.»
Gaia deglutì, si fece coraggio e glielo domandò.
«E tu?»
«Anch’io, ma userò comunque il preservativo. Te lo chiedo perché ho intenzioni di farti un sacco di cose e volevo essere tranquillo. Capisci cosa voglio dire?»
«Sì» esalò, lo capiva eccome e non vedeva l’ora.
«Bene.»
Finalmente le sue mani continuarono quello che avevano interrotto, finendo di abbassarle i jeans lungo le sue gambe, mentre con le labbra inseguiva la pelle che piano piano portava allo scoperto.
Vederlo inginocchiato ai suoi piedi le diede un capogiro e si lasciò crollare poco elegantemente sul letto, mentre le sfilava i pantaloni dai piedi, lasciandola coperta solo dalle mutandine nere.
Non fece in tempo a ringraziare non sapeva quale divinità per aver indossato un intimo carino, che lui lo fece scomparire. Un attimo prima le aveva addosso, un attimo dopo non c’erano più, sostituite da un paio di labbra bollenti che la fecero ansimare, inarcare e aggrappare alle lenzuola.
La barba corta le graffiò l’interno coscia, acuendo il contrasto con la lingua morbida, che la frugava e la vezzeggiava, riducendole la spina dorsale in un conduttore di energia, che le esplodeva direttamente nel cervello.
Non riusciva a credere di essere di nuovo sull’orlo di un orgasmo. L’aveva eccitata così tanto e così in fretta, da sentirsi quasi in imbarazzo per la propria reazione incontrollata. Imbarazzo che dimenticò all’istante, non appena Daniele aggiunse le dita alla sua deliziosa tortura. Con la bocca la stuzzicava all’esterno e con le dita la stimolava all’interno.
Sentì la schiena flettersi così tanto da chiedersi se si sarebbe spezzata, ma una mano calda le si posò sul ventre, riportandola ad appoggiarsi al materasso e tenendola ferma con decisione.
In quel mare di sensazioni devastanti, una piccola parte di lei si chiese come potesse quel ragazzo sapere esattamente cosa fare e in che momento. Sembrava conoscerla meglio di lei stessa.
Sentendo che stava per esplodere di nuovo, gli afferrò i capelli e lo strattonò con forza.
«Con te» riuscì ad articolare, in qualche modo, provando un’urgenza incontenibile. «Fai presto» lo sollecitò, quando vide che non si muoveva.
Finalmente Daniele si alzò, la afferrò per la vita e la trascinò più in su, al centro del materasso, dandole un bacio infuocato, che sapeva di lei.
Allungò una mano, prese un preservativo dal comodino e lo indossò, dopo essersi disfatto dei boxer. L’aveva presa in parola, fece in fretta e in pochi istanti era disteso tra le sue gambe, il viso a pochi centimetri dal suo, gli occhi piantati nei suoi e le braccia che gli tremavano per lo sforzo di trattenersi.
«Ti prego» gemette, l’attesa che la straziava, le contrazioni che erano già iniziate e la torturavano.
In risposta, lui premette forte le labbra contro la sua bocca e la penetrò, nello stesso istante. Un movimento lungo e fluido, assolutamente perfetto. Daniele strappò la bocca dalla sua, gemendo forte.
«Dio, sei perfetta.»
Poi nascose la testa nel suo collo e iniziò a muoversi così come era entrato, con movimenti lunghi e profondi, che stimolavano ogni centimetro di lei, facendola impazzire. Le contrazioni divennero così forti da essere quasi dolorose.
Gli morse una spalla, cercando di resistere, ma lui non doveva essere d’accordo, perché infilò la mano tra i loro corpi e con un solo tocco la mandò in paradiso.
Se poco prima aveva creduto di aver avuto un orgasmo esplosivo, era solo perché non aveva la più pallida idea di quello che l’aspettava. In mezzo al mare di sensazioni che l’avevano sommersa, lo sentì tremare contro di sè, gemendo il suo nome, l’estasi così acuta da trasformarsi in disperazione.
Lo strinse forte tra le braccia, godendo dei fremiti che gli attraversavano la schiena, accarezzandolo pigramente, le membra pesanti come macigni.
Daniele si ritrasse con delicatezza, il volto rilassato, ancora arrossato dallo sforzo e dalla passione.
«Torno subito» le sussurrò, lasciandole un bacio sulla spalla.
Andò in bagno, poi si infilò nel letto, la abbracciò e ricoprì entrambi con le lenzuola, il sudore che si raffreddava sulla pelle.
«È poco virile se dico che è stato bellissimo? Facciamo una cosa, dillo tu che sei la ragazza» la prese in giro, mentre se la tirava addosso e le faceva posare la testa sulla spalla.
Gaia ridacchiò, ancora ubriaca di endorfine.
«È stato bellissimo, tu sei bellissimo. Non voglio pensare a dove hai imparato tutte quelle cose.»
Il petto sussultò di risate trattenute, sotto il suo orecchio.
«Se sono stato bravo è perché tu sei così limpida nelle reazioni che capivo subito se stavo facendo bene o se stavo sbagliando.»
«Sbagliando? Non hai sbagliato un solo, singolo, fottuto gesto. Sei stato incredibile.»
«Noi siamo stati incredibili. Insieme.»
Il tono soddisfatto la fece sorridere, mentre gli occhi le si chiudevano. Si addormentò, di nuovo, esausta e felice.

 

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Capitolo 7
*** Epilogo ***


Questo è l'epilogo di questo racconto lungo. Grazie a chi mi ha letto e grazie a chi mi ha lasciato un segno del suo passaggio. Spero che la storia vi sia piaciuta. ♥


È distesa sull’erba soffice, i fili rossi le accarezzano dolcemente le braccia e le gambe nude, mentre guarda il cielo che cambia colore, come quelle conchiglie rivestite di madreperla, che mandano riflessi azzurrati e rosati, a seconda di come le inclini.
Una leggera brezza le scompiglia i capelli, mentre una risata familiare attira la sua attenzione. La solita, familiare voce amata la chiama, con tenera insistenza.
“Sono qui” le risponde. “Sono sempre stata qui. Tu dov’eri?”
Il flusso di pensieri che parla direttamente alla sua mente si fa confuso, nervoso, incomprensibile.
“Perché ti agiti? Sei proprio qui, accanto a me. Ti sento.”
Nessuna risposta.
Una strana inquietudine inizia a insinuarsi nella sua serenità, inizia a voltare la testa, per vederlo e rassicurare se stessa, oltre che lui. Un millimetro alla volta, la testa sembra pesare una tonnellata. Ecco, c’è quasi…
 
Gaia spalancò gli occhi e si trovò a fissare un soffitto bianco. Quello della sua camera era azzurro. C’era qualcosa che non tornava.
Si voltò verso destra e un raggio abbagliante la costrinse a chiudere gli occhi. Una finestra senza tende.
«Maledizione» borbottò, mentre si portava una mano al viso, per ripararsi dal riverbero del sole.
Una risatina alla sua sinistra la fece sussultare, una voce familiare che la fece ripiombare nel sogno le sussurrò all’orecchio.
«Sei una dal risveglio incazzoso.»
Girò la testa e, invece del solito cuscino vuoto, trovò gli occhi limpidi di Daniele, che le sorridevano assonnati.
«Buongiorno tesoro.»
Il vezzeggiativo la fece arrossire e flash della notte trascorsa insieme iniziarono ad affastellarsi nella sua mente.
Ricordi a volte teneri, più spesso infuocati, in tutti i casi pieni d’amore. Perché, per quanto sembrasse impossibile, in ogni gesto che si erano scambiati quella notte, in ogni parola che si erano bisbigliati, in ogni sguardo che si erano rivolti… era impossibile non riconoscere il sentimento che li animava.
Forse sarebbe durato un giorno, forse tutta la vita, ma a Gaia non importava. Al suo fianco riposava il ragazzo che l’aveva conquistata con la sua gentilezza, la sua sensibilità, la sua intelligenza acuta e curiosa. E la sua stramberia. Ma era una stramberia buona…
 
 
 
 FINE

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