Sogno Di Una Notte di Mezza Estate

di lodoredelmare
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo Primo ***
Capitolo 2: *** Capitolo Secondo ***
Capitolo 3: *** Capitolo Tre ***



Capitolo 1
*** Capitolo Primo ***


Correva a perdifiato con il cuore palpitante, scatenato che batteva a ritmo dei suoi frenetici passi. Le faceva male il fianco ma doveva resistere, stringere i denti e continuare a correre. Era quella l’unica cosa veramente importante.

Correre, devi correre.

Attorno a lei vi era unicamente della densa oscurità che non le permetteva di vedere nemmeno ad un palmo dal suo naso, le fronde degli alberi più bassi e le siepi le schiaffeggiavano il viso dolendole oltremodo, sentiva che da uno sfregio sulla sua guancia erano incominciate a colare piccole gocce cremisi e scintillanti.

Non era abituata a correre, non l’aveva mai fatto, non l’aveva mai potuto fare. 

I piccoli piedi nudi che affondavano nel terreno bagnato creavano un suono calzante e ripetitivo, nonostante cercasse di tenere sollevata il più possibile la sua veste era certa che si stava sporcando tutta. Macchie di fango costellavano l’abito in leggero cotone bianco, così ingombrante che faticava a sorreggerlo e le rendeva difficoltosa la corsa.

Doveva scappare, mettere più distanza possibile tra lei e loro. Non poteva farsi trovare, non ci voleva affatto ritornare.

Ormai nel cuore della foresta, era attorniata da una vasta quantità infinita di sempreverdi dalle cime alte e possenti che parevano giungere in cielo arrivando addirittura a sfiorare con le loro fronde il chiarore della luna.

Si concesse di respirare, estremamente affaticata da quella lunga ed estenuante corsa. Era stato un gesto avventato quello, lo sapeva bene, dettato dalla disperazione e -forse, anche da un senso di ribellione.

Aveva caldo, nonostante la pioggia di quella sera che avrebbe dovuto rinfrescare quella torbida estate aveva reso l’aria ancora più afosa.

Aveva sete. 

Lo scrosciare non molto distante di un rivo d’acqua la rallegrò. Era certa di essere parecchio lontana da casa, poteva permettersi di riposare e di abbeverarsi, cercare di riprendere le forze per poi riprendere la sua folle fuga.

Si lasciò cadere sulla riva di un piccolo ruscello che scorreva placido da un’incrinatura di una parete rocciosa, la luce lunare che si rifletteva sulla sua trasparenza.

Poco più avanti dovrebbe esserci una sorgente, pensò lei.

Ma da dove giungeva quel corso d’acqua poco le importava, in quel momento necessitava assolutamente di bagnarsi la gola e le labbra.

Tenendo le mani chiuse a coppa bevve quell’acqua fresca e dissetante, le sue labbra si distesero in un ampio sorriso.

Quando pensava di potere continuare il suo viaggio in totale tranquillità e pace ecco provenire da poco lontano da lei un sonoro crack seguito poi da un terribile ruggito.

Con gli occhi aperti dal terrore, il cuore che riprendeva a battere veloce e impazzito cercò di osservare tra i vari tronchi legnosi alcuni sottili, nodosi o possenti. Il troppo buio però le impediva la vista quindi tese le orecchie pronta a percepire un ulteriore suono sinistro capace di raggelarle il sangue.

E mentre la paura le attraversò il corpo come una scossa eccoli altri ruggiti e ringhi, del vociare concitato selvaggio e mostruoso pareva avvicinarsi ogni attimo che passava sempre più a lei che impietrita dalla paura non si muoveva, non provava a fuggire via lontana da quella lotta tra bestie feroci. Il corpo era totalmente paralizzato.

Un grido acuto scappò dalle sue labbra inconsciamente mentre i suoi occhi assistevano ingiustamente ad un tale orrore; dall’alta e selvaggia vegetazione ecco comparire un essere che emetteva latrati terribili e doloranti da quella bocca terrificante sudicia di sangue così come lo era il suo intero corpo martoriato da ripetute ferite mortali.

Il demone -perché si trattava di uno yokai ne era certa, si accasciò sul terreno a debita distanza dalla sua figura che sgomenta continuava ad osservare con occhi spalancati quell’essere morente.

A seguito del demone eccone comparire un altro decisamente impossibile da non notare.

Quello era il demone più grande che avesse mai visto in vita sua mentre un possente latrato capace di far tremare la terra fuoriuscì dal profondo della sua gola.

Dalla stazza che poteva certamente ricoprire un intero villaggio e dall’altezza pari a quella del ricco palazzo dell’imperatore, quel cane dal manto candido e perlaceo si avventò sul demone dal corpo torturato oramai irriconoscibile.

Fu costretta ad assistere ad una scena di estrema violenza mentre il cane-bestia azzannava ripetutamente quel demone, strappandogli con aggressività ulteriori parti del corpo, squarciandogli il ventre, cibandosi di ciò che vi era all’interno deturpando con il rosso scarlatto di quel sangue demoniaco il verde rigoglioso e innocente della vegetazione.

Il cervello ancora immobile non mandava alcun segnale a nessuna delle sue parti del corpo, accasciata sull’umido terreno e con la schiena appoggiata al morbido muschio di una quercia continuava a tenere fissi e impietriti i suoi occhi sul maestoso demone cane, la bocca aperta dalla quale era scaturito un grido di puro terrore, le mani poste inconsciamente su un suo seno all’altezza del cuore che continuava incessantemente a scattare, il respiro bloccato.

Fu quando vide quel yokai dal manto candido voltarsi verso di lei che si risvegliò dal suo stato di totale trance, fu quando lo vide muovere lentamente quelle possenti zampe capaci di squartare e uccidere verso di lei che cercò di allontanarsi, il sedere ancora poggiato sul terreno si spingeva con la forza delle mani e dei piedi all’indietro con la speranza di venire inghiottita dalla folta vegetazione.

Lo yokai si arrestò inchiodando i suoi grandi occhi gialli su di lei.

Era certa che sarebbe morta, era certa che quel demone l’avrebbe azzannata ed uccisa, si sarebbe cibato del suo corpo così come aveva fatto con quel demone.

Ma l’inu-yokai non attaccò, continuò a rimanere immobile a osservarla.

La stava lasciando andare?

Non importava, era quello il momento giusto per darsi alla fuga. Ma non lo fece nemmeno quella volta, attratta da quel demone dal pelo così candido che pareva addirittura risplendere nella notte con la tenue luce della luna che rifletteva su quella folta peluria.

Avvenne poi qualcosa di talmente magico ed incredibile che anche negli anni avvenire continuò a non riuscire a spiegare, tutte le parole che conosceva erano totalmente insignificanti e banali per descrivere un importante avvenimento di quella portata.

Dove prima vi era quel demone dalla stazza immensa ora si trovava quello che appariva come un semplice uomo.

Lui si avvicinò a lei cautamente, poggiando sulla bagnata erba un piede alla volta quasi studiandone quella banale azione.

Vi erano solo due passi a separarli, ora aveva modo di osservarlo attentamente, scrutare e memorizzare ogni singolo dettaglio del volto di quel temibile yokai.

Inchiodò i suoi occhi sul suo volto dai lineamenti fieri e nobili, raffinati e virili privo di qualsiasi imperfezione che gli concedevano una bellezza etera quasi disarmante, incantevole e ipnotizzante.

Sublime. Era quello il termine corretto. Affascinante e terrificante allo stesso tempo.

Posò lo sguardo sul naso dritto e leggermente pronunciato, sugli zigomi alti da cui erano disegnate due strisce rosse per lato, per poi scivolare lentamente su un paio di labbra sottili e maschili attorniate da una leggera peluria candida così come lo erano i suoi capelli.

Lunghi e sottili filamenti argentei e nivei erano legati in un’alta coda di cavallo in quel momento scomposta a causa del precedente scontro mortale, alcune ciocche ricadevano disordinate sull’ampia fronte. Parevano così morbidi e così meravigliosi, aveva un irrefrenabile desiderio di passarci una mano e sciogliere con le sue dita gli eventuali nodi che avrebbe riscontrato lungo il suo percorso.

Nonostante l’aspetto possente e vigoroso capace di emanare un’incredibile forza quasi titanica erano quelle due biglie dorate e luminose poste sul suo viso che lo fregavano. Nonostante un’apparente freddezza che mostravano, lesse più a fondo un’intensa dolcezza ed umanità fuori dal comune per un qualsiasi essere demoniaco.

Furono quegli occhi a porre fine al suo tremore.

    “Vi sentite bene? Non vi siete fatta male?” il tono basso e profondo caratterizzato da una leggera sfumatura di apprensione la colpì nuovamente, un brivido lungo la schiena che toccava rapido vertebra dopo vertebra.

Fece cenno di diniego con il capo incapace di pronunciare anche una sola sillaba.

Lo vide sorridere leggermente per poi passarsi una mano tra i lunghi capelli.

    “Non vi avevo notata una volta arrivato qui, ero troppo preso dal combattimento” quel demone le porse la mano per aiutarla a rialzarsi, il kimono oramai totalmente sudicio di fango.

Afferrò quella mano grande dal palmo duro, in alcuni punti anche un po’ calloso -probabilmente con quella mano manovrava frequentemente l’elsa di una spada, una mano che avvolse totalmente la sua così piccola e sottile.

Una volta in piedi poté constatare come quell'inu-yokai fosse incredibilmente più alto di lei, gli raggiungeva a mala pena le spalle e ciò la faceva sentire estremamente minuscola e indifesa dinnanzi a quel corpo così possente.

    “Siete un demone?” la voce le uscì debole e tremante ma quello era tutto ciò che poteva fare con il respiro ancora mozzato, la lingua impastata e l’estremo stupore che ancora l’invadeva.

Vide l’uomo sorriderle, una delicata curva di labbra sul suo viso, un sorriso estremamente dolce in contrasto con l’alto livello di virilità che emanava.

    “Perché?” domandò ancora indicando con il capo il corpo maciullato del demone, abbandonato sul terreno erboso totalmente ricoperto di sangue.

    “Era un demone crudele” rispose lui pacato senza lasciare trasparire nessuna emozione.

    “Anche lei è un demone crudele?”.

    “Chiedo perdono ma non ho modo di rispondere a questa domanda. Alcuni direbbero di sì, altri affermerebbero il contrario”.

    “E lei cosa ne pensa?”.

Non comprendeva bene perché stava rivolgendo delle domande così impertinenti ad un demone feroce e spietato che aveva visto squartare e sventrare un altro suo simile poco tempo prima. Ma c’era qualcosa in quella leggera curva di labbra, in quegli occhi d’oro colato ipnotizzanti e magnetici che non bastavano tutti gli haiku1 del mondo per esaltare la loro estrema bellezza, c’era qualcosa in quella figura vigorosa che le diceva di fidarsi, che non le avrebbe mai fatto del male.

Quella sua ultima domanda insolente sembra aver spiazzato il demone che non riuscì a risponderle. Lo vide poi ridacchiare e aggiustarsi la sua lucente armatura che aderiva sul suo corpo.

Notò come su un suo fianco vi erano ancorate ben due spade che parevano trasandate, vecchie e un po’ arrugginite totalmente inutili in un combattimento.

    “Potrei chiederle come mai una giovane donna vaga in solitudine per questa foresta?  È consapevole del rischio che sta correndo?”.

Lei non ebbe modo di rispondergli che improvvisamente tra la ricca flora del bosco ecco sopraggiungere numerose voci concitate, richiami poderosi che con preoccupazione cercavano disperatamente qualcuno. Tra il fogliame notò anche diverse piccole luci, fuochi accesi all’interno di lanterne o in fiaccole utili per poter scrutare in mezzo a tutta quella profonda oscurità.

Il suo cuore prese a galoppare svelto mentre un senso di angoscia si appropriò di lei accompagnato dalla paura e dalla riluttanza.

Si aggrappò con forza alla veste dell’inu-yokai per poi rivolgergli uno sguardo implorante e disperato, lucido a causa di quelle lacrime che prepotenti desideravano bagnare quelle guance rosee.

    “Vi prego, aiutatemi a nascondermi! Non ci voglio tornare laggiù, non voglio tornare a casa”.

    “Vi recano del dolore?” domandò prontamente il demone.

Ella scosse il capo “Non mi torcono un solo capello ma io non ci voglio tornare. Vi prego, vi supplico. Esaudite un così banale desiderio di questa povera fanciulla che disperata potrebbe prostrarsi ai vostri piedi”.

Le voci erano sempre più distinte, ora si potevano udire anche il trotterellare dei cavalli e il loro nitrire, il passo frettoloso dei soldati, i loro richiami sempre più vicini.

    “Non vi recherò alcun disturbo. Desidero solo essere nascosta e salva da loro, non fatemi ritornare indietro”.

Il demone continuò ad osservarla seriamente, gli occhi d’orati che prima trasudavano dolcezza ora parevano essere totalmente impassibili, indifferenti della sua disperazione e del suo dolore.

Lei voltò il capo gettando uno sguardo tra le fronde della vegetazione, le luci delle fiaccole sempre più vicine ma quando portò nuovamente i suoi occhi sulla figura del demone, quella non c’era più.

    “Principessa Izayoi!” era ormai troppo tardi, non poteva nemmeno più provare a fuggire. L’avevano trovata.

Alcuni dei numerosi soldati che suo padre aveva sguinzagliato per la sua ricerca corsero da lei, tastandola per assicurarsi che non possedesse nessun tipo di ferita, furono molteplici le domande che le posero che le fecero girare la testa.

Non voleva tutta quella gente attorno a sé, voleva essere solo lasciata in pace. Avrebbe desiderato urlare, scacciare via quei soldati e gridare loro di smetterla di toccarla poiché non era una bambina ma poteva cavarsela benissimo da sola in un bosco. Ma non fece nulla del genere.

La sua governate Jun2 la raggiunse a passo spedito, la schiena dritta e rigida, il collo allungato e il mento leggermente sollevato in una posizione fiera.

Le si parò davanti, la loro altezza era la medesima, la osservò con i suoi piccoli occhi freddi per poi tirarle un sonoro schiaffo. Per l’impatto della mano sulla sua guancia, il suo viso scattò di lato, la pelle lesa incominciò a bruciare ma non proferì parola né lamento.

    “Salga sul carro, principessa Izayoi”.

Strinse forte i piccoli pugni, le unghie che si conficcavano nella carne, represse quell’intenso moto di rabbia, morse con ferocia il labbro inferiore mentre gli occhi incominciavano a bruciarle.

Non piangere.

A capo chino in segno di sottomissione eseguì la ferma imposizione, ormai arresa dinnanzi al proprio triste destino.

 

 

BUONSALVE A TE LETTORE!

Dopo non molto tempo dalla conclusione di I Don’t Wanna Let You Go sono ritornata con un nuovo racconto.

Questa volta, come avrete letto nella trama, i protagonisti sono i nostri carissimi e amatissimi Papa Taisho e Mama Taisho. Una mia personale interpretazione di come -secondo me, erano andate le cose tra loro due prima dell’arrivo di Inuyasha.

Che dire? Come sempre mi scuso per gli eventuali errori e come sempre spero che questo primo capitolo vi abbia intrigato almeno un pochino.

Un bacione,

LODOREDELMARE


1haiku: "poesia" in giapponese
2Jun: "obbediente", adatto per una rigida governante


 

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Capitolo 2
*** Capitolo Secondo ***


Aveva visto il sole spostarsi un po’ più verso ovest, segno che ormai era trascorso molto tempo.

Le dolevano le gambe, un formicolio insistente e intenso, aveva perso la sensibilità in esse.

Era ormai da molto che si trovava in quella posizione, le mani congiunte sulle ginocchia a contatto con il freddo tatami1 e le gambe piegate su cui poggiava tutto il suo corpo. 

Aveva il volto sorretto da una mano rugosa, era rigida e completamente immobile mentre Jun con una pinzetta pelo dopo pelo le levava le sopracciglia, cercava di non emettere alcun suono nonostante il perpetuo pizzicore.

Quando aprì gli occhi vide la sua governante posare la pinzetta per poi prendere un candido e morbido fazzoletto di spugna che lo passò sul suo viso, massaggiò delicatamente la parte lesa del suo volto dove prima vi erano due delicate e ben delineate sopracciglia scure. Ora vi era unicamente del vuoto.

    “Dovete iniziare a mostrarvi come una donna adulta, mia cara Izayoi” aveva detto Jun quando aveva provato ad opporsi, l’idea di mostrarsi priva delle sue care sopracciglia la disgustava.

    “Adesso vi trucco” proferì tacitamente la vecchia governante per poi raccogliere dal pavimento una ciotola in terracotta colorata con un intenso blu e filamenti dorati che creavano dei meravigliosi disegni circolari. All’interno di essa vi era della polvere di riso mescolata con acqua che creava una sottile pasta biancastra.

Izayoi osservò il nuovo aspetto del suo volto da un piccolo specchio, mostrò una smorfia di disgusto nel notarsi. Si sentiva ora così brutta.

    “Sono brutta” sussurrò piano posando successivamente lo specchio su un basso tavolino in legno di quercia posto al suo fianco.

    “Sciocchezze” fu quella l’unica risposta che ottenne dall’anziana governante.

Jun affondò un pennello all’interno della ciotola per poi pasticciarlo con la pasta biancastra. Il pennello si posò sul suo volto colorando la pelle con quell’innaturale candore, un bianco intenso quasi abbagliante che copriva il rossore delle sue guance e le sue piccole imperfezioni dovuta alla sua giovane età.

Le sopracciglia vennero sostituite da una spessa linea nera e infine solamente il labbro inferiore venne colorato attraverso un pennello bagnato in una tinta rosso scarlatto.

    “Dovrò ripetere quest’operazione tutti i giorni?” domandò Izayoi mirandosi nuovamente allo specchio ad opera terminata.

    “Certo che sì. Siete in età da marito, Izayoi. È tempo che vi comportiate come ci si aspetta da una nobile signorina della vostra età”.

Jun recuperò tutti i prodotti di bellezza che aveva utilizzato per truccarla per poi alzarsi ed abbandonare la stanza che si affacciava direttamente sull’ampio giardino, lasciando così da sola Izayoi che rimase ancora immobile senza variare nemmeno di un attimo la sua posizione.

Spostò lo sguardo verso l’ampio kamoi3 che aperta mostrava una grande porzione della vegetazione che circondava l’intera nobile abitazione.

Si era alzata una leggera brezza che rendeva l’aria decisamente più respirabile rispetto ai giorni precedenti -quella pareva essere un’estate davvero calda, mentre il sole con i suoi raggi illuminava tutto il Giappone.

Si mosse unicamente con le ginocchia -così le aveva insegnato in passato Jun, verso il varco lasciato dal kamoi aperto per posare tristemente i suoi occhi su quel rigoglioso giardino. Numerose erano le piante di gerani e gigli, mentre l’erba era costellata da minuscole e candide margherite, il giardino era delineato da piccoli campi da cui crescevano forti e fieri belladonna e gladioli.

Sparsi vi erano anche ciliegi e peschi.

Sua madre era un’amante dei fiori per questo motivo si era rifornita di un gran numero di esperti giardinieri che avevano il compito di accudire il suo prezioso giardino. A seconda della stagione sia i fiori che gli alberi variavano.

Come sua madre, anche Izayoi possedeva la stessa passione. Vivendo costantemente rinchiusa tra quattro mura, il giardino era l’unico luogo dove poteva fantasticare circondata da tutti quei colori vivaci e incantevoli e da quei profumi intensi di cui era infatuata.

Amava il suo giardino, la rasserenava ed in quel periodo aveva proprio bisogno di qualcosa che la rendesse contenta.

    “Principessa Izayoi” quella voce. Troppo concentrata ad osservare la sua bella vegetazione, sobbalzò spaventandosi un poco tuttavia un ampio sorriso si disegnò sul suo bel volto.

    “Takemaru!” dinnanzi a lei ecco comparire un giovane ragazzo avente poco più della sua età, i lunghi capelli color pece gli cadevano scomposti sui suoi sottili occhi -occhi neri e scontati come qualsiasi giapponese, mentre le mostrava un dolce sorriso.

Il suo buon Takemaru, compagno di mille avventure e giochi infantili. Si conoscevano dalla più tenera età, era stato l’unico suo amico, l’unico suo svago in quella sua esistenza così monotona. La sua unica fonte di felicità.

    “Siete ritornato” disse poi non distogliendo lo sguardo da quella figura amica che si sedette stancamente accanto a lei.

Notò che ancora indossava l’armatura, le tipiche vesti di un soldato giapponese mentre al suo fianco vi era allacciata una robusta e temibile katana.

    “Ve l’avevo promesso” Izayoi ridacchiò ma la pesantezza che gravava sul suo piccolo cuore le fece affievolire quel sorriso.

    “Vi siete truccata” sentì lo sguardo di Takemaru posarsi sul suo volto per imprimere nella mente ogni singolo cambiamento che era avvenuto proprio in quel dì.

    “Sono in età da marito” sussurrò lei in risposta. Abbassò lo sguardo mentre sentiva gli occhi pizzicare incredibilmente, una forte rabbia imperversava in lei.

Takemaru spalancò gli occhi e socchiuse di poco la bocca. Quella notizia lo aveva lasciato totalmente sconcertato ed attonito. La sua Izayoi…

“Me l’hanno riferito proprio ieri. Fra una settimana giungeranno ben cinque pretendenti. Mio padre vuole assolutamente che io mi debba sposare”.

Calò il silenzio tra i due, ognuno perso nei propri pensieri. Takemaru chiuse le proprie mani a pugno mentre Izayoi continuò a mirare il suo bel giardino dai colori affascinanti.

    “Vi vedo un po’ turbata…” la voce del suo più caro amico era divenuta sottile, un flebile sussurro.

    “Non voglio sposarmi” rispose fermamente mentre nel suo sguardo si leggeva una tenace fermezza “Non voglio passare la mia intera esistenza al fianco di uno sconosciuto con il doppio dei miei anni. Uno sconosciuto che non amo”.

Izayoi si perse nuovamente nei suoi tristi pensieri. Il suo destino sarebbe stato dunque quello? Vivere per sempre con una persona che non conosceva, con cui non aveva mai parlato?

E se fosse stato noioso, o peggio, se fosse stato un violento? Avrebbe fatto la fine di quelle ragazze di cui aveva tanto sentito parlare -chiacchiere di villaggio, che subivano passivamente le aggressioni dei mariti ubriachi di saké. Non voleva. Doveva trovare un rimedio. Era sicura che la sua vita riservava per lei un destino diverso, più felice e glorioso.

    “Se chiedessi a vostro padre di concedermi la vostra mano?” la voce decisa di Takemaru la riscosse dai suoi pensieri mentre posava lo sguardo sorpreso sul ragazzo.

    “Vi conosco da anni oramai -quanti sono, dieci?. Conosco voi e voi conoscete me”.

In Izayoi nacque un piccolo barlume di speranza. Aveva forse trovato la soluzione? 

Scosse il capo, non poteva fare questo a Takemaru. Non poteva sacrificarlo solamente per la sua felicità, sarebbe stato un atto egoistico.

    “Mio buon Takemaru, siete come sempre così gentile ma sono costretta a rifiutare la vostra proposta”.

    “Perché? Sarebbe perfetto”.

    “È vero, salvereste la mia esistenza da un terribile destino tuttavia condannerei la vostra e questo non me lo posso permettere. Non me lo perdonerei mai, vivrei con questo fardello per tutta la mia vita”.

    “Non dite così, io vi…”.

    “E se vi innamoraste di un’altra donna mentre siete legato a me? Un matrimonio è per sempre. Vi condannerei all’infelicità, non potrete più amare nessun' altra. Non posso farvi un torto così grande, mi sentirei una donna spregevole”.

Takemaru provò a ribattere ma gli occhi decisi della giovane lo costrinsero a tacere, a porre fine quella discussione. Le sue mani serrate ora tremavano dalla rabbia. Sentiva la furia salire ed era certo che sarebbe esplosa da un momento all’altro, doveva andarsene per il bene della sua adorata Izayoi.

    “Devo ritornare al campo ad allenarmi” si alzò senza posare il suo sguardo sugli occhi della bella principessa.

Izayoi annuì impercettibilmente per poi mostrargli un piccolo debole sorriso “Sono contenta che siate ritornato da me ma sono ancora più contenta nel comprendere quanto voi teniate a me. Grazie”.

Takemaru non rispose e si voltò per poi andarsene, mettendo quanta più distanza possibile tra lui e la ragazza lasciandola smarrita.

Izayoi sospirò pesantemente volgendo nuovamente lo sguardo sul suo bel giardino colorato. 

Un’ape posò le sue piccole zampe sul un giglio prendendo a succhiare più polline che poteva. La vita continuava a scorrere imperterrita.

 

Con il sole ormai calato e il trucco ancora impresso sul suo viso, passeggiava quieta tra le fronde di quell’Eden personale mentre tra le mani sorreggeva un libro dalla rilegatura preziosa e pagine sottili prive di figure ma ricche di fitti kanji.

Cercava di non pensare, di sgomberare la sua mente dalla sua triste meditazione mentre assaporava la natura che la circondava, i fiori, gli alberi, i profumi, il canticchiare concitato degli uccelli, il cielo rosso sangue che mostrava un meraviglioso tramonto.

Immersa nella sua lettura viaggiava con la mente verso terre misteriose e fantastiche narrate tra quelle pagine, sognando fantastiche avventure nel libro trascritte.

Leggere era un suo altro modo per fantasticare, allenando l’immaginazione. Viveva attraverso le pagine dei numerosi libri che fin dall’infanzia aveva divorato, sognando anche lei l’arrivo di un fantastico samurai che l’avrebbe salvata, rapendola con il suo valoroso destriero bianco.

Talmente concentrata che non si accorse di una figura posta poco più avanti, appoggiata ad un ciliegio con sia le gambe che le braccia incrociati mentre la osservava sfacciatamente. Un piccolo sorriso che abbelliva il suo volto.

Quello sguardo così insistente la portò a sollevare il capo e i suoi occhi si posarono proprio su quella misteriosa figura. 

Sobbalzò sorpresa.

Quell’uomo, o meglio, quel demone che ci faceva lì?

Quello si mosse pacato verso di lei, le braccia abbandonate lungo i suoi fianchi, ancora indossava l’armatura che tintinnava ad ogni suo movimento.

Chiuse il libro lasciando però un dito che segnava la pagina in cui si era fermata.

    “Mi è passato sotto il naso il vostro odore, l’ho riconosciuto subito” disse lui quasi leggendola nella mente.

    “Come mai siete qui?” domandò lei. Rispetto al giorno prima, ora non aveva affatto paura di lui. Le bastava un solo urlo e i soldati di suo padre sarebbero giunti a salvarla ma sapeva che non ce ne sarebbe stato bisogno. Quel demone era diverso da tutti gli altri, diverso da come le avevano da sempre fatto credere.

Lui le mostrò un piccolo sorriso dalla quale poté intravedere un’affilato canino.

La luce del sole calante si rifletteva sui suoi capelli argentei creando su essi un gioco di luci armonioso e ammaliante. Gli occhi d’orati parevano ora di vetro tanto erano i raggi solari ad illuminarli.

Si ritrovò incantata ad osservarli.

Lui si avvicinò ulteriormente alla sua figura, pochi centimetri li distanziavano. Izayoi desiderava arretrare aumentare quella distanza tuttavia si sentì come immobilizzata, il suo corpo si rifiutava di reagire.

    “Desideravo rivedervi”.

    “Perché?”.

    “Mi chiedevo come mai una giovane e bella donna come voi fosse così incredibilmente disperata l’altra notte”.

Izayoi rimase stupita per la sua curiosità. Nessuno in vita sua aveva mai chiesto come stesse, come stesse veramente. Nessuno si era mai interessato a ciò che pensava, a ciò che provava, a ciò che la faceva stare male. 

Quel demone di cui non conosceva nemmeno il nome fece scattare qualcosa in lei, sentiva che si poteva fidare, che avrebbe compreso la sua angoscia e che non l’avrebbe giudicata.

Per la prima volta Izayoi esternò tutto il suo risentimento, tutta la sua rabbia.

    “La causa è tutto questo!” spalancò le braccia come a mostrare tutto ciò che aveva attorno a sé, il librò le scivolò di mano posandosi disordinatamente sul prato curato “È il luogo in cui vivo, il mio ceto sociale, la società che impone sciocche regole da rispettare.

Perché sono una donna e devo comportarmi come tale. Devo apparire docile e sottomessa, accettare passivamente ciò che mi impongono gli altri, acconsentire a tutte quelle torture a cui sono sottoposte quotidianamente le donne. Guardatemi!”.

Il demone tenne i suoi occhi brillanti inchiodati sul volto della giovane ragazza.

    “Guardate cosa mi hanno fatto. Mi hanno tolto le mie sopracciglia. Non è una sciocchezza ma è una mancata di espressione. Non posso andare in giro con le mie sopracciglia perché la società a voluto così anche se non voglio, devo solo chinare il capo e accettare.

Ho solo sedici anni e devo sposarmi al più presto con un uomo molto più grande di me per assicurare alla mia casata un futuro prospero e sommerso da ricchezze, devo sposarmi con un uomo che non conosco. Io non voglio sposarmi, mi sento troppo giovane per questo. 

Ho voglia di gridare e strapparmi i capelli ma non posso farlo perché non è femminile”.

    “Dovreste fare quello che più desiderate” fu l’unica frase che proferì il demone.

    “Esatto. Al diavolo il perbenismo e le buone maniere” Izayoi si gettò sul terreno erboso prendendo a strappare l’erba con tutta la forza che possedeva per poi lanciare lontano i piccoli filamenti e urlare, urlare con più aria aveva in gola.

    “Dentro di me vi è un mare in tempesta che non riesco a placare. Guardate la mia faccia, i miei vestiti pregiati. Io non voglio tutto questo”.

Era tutta in disordine, ciocche di capelli avevano abbandonato lo stretto chignon in cui erano stati costretti mentre il ricco kimono dalla stoffa ricercata presentava tracce di erba che difficilmente sarebbero scomparse.

Era ancora accasciata a terra, il volto contratto da una potente rabbia, da quel mare in tempesta di cui aveva accennato.

Aveva il respiro accelerato così come lo era il suo cuore. Si era sfogata. Per la prima volta ci era riuscita, tutto ciò che aveva trattenuto per ben sedici lunghi anni erano finalmente usciti fuori.

L’inu-yokai si inginocchiò al suo fianco senza distogliere neanche per un attimo lo sguardo dal suo volto, le due spade legate attorno alla vita risuonarono acutamente.

    “Che cosa volete, Izayoi?” le domandò solamente.

Izayoi sapeva bene cosa voleva, non esitò nemmeno un attimo a rispondere “Voglio la libertà”.

Il demone mostrò un ampio sorriso compiaciuto. Si rizzò dal terreno per poi porgere -come la prima volta, la mano alla giovane ragazza.

Izayoi l’afferrò prontamente per poi essere sollevata rapidamente come se pesasse quanto una piuma.

    “E voi cosa volete, signor demone?”.

    “L’amore” quella risposta sorprese alquanto Izayoi.

Il demone si avvicinò oltremodo per poi posare una mano su una guancia di lei, Izayoi sentì il suo cuore scalpitare frenetico mentre le guance incominciarono a bollire. Se non ci fosse stata tutta quella pasta bianca sul suo viso avrebbe avuto le guance che parevano due mele mature.

    “Siete così bella Izayoi”.

Quel complimento sussurrato quasi sofferto le fece tremare il cuore così come le sue gambe divenute improvvisamente deboli, faticava a sostenere tutto il suo peso aveva il bisogno di aggrapparsi a qualcosa. Si aggrappò quindi alla mano salda e forte del demone che era ancora posata sul suo viso. 

Quel demone a lei sconosciuto che aveva ascoltato le sue parole, la sua rabbia e il suo tormento, le pareva così meraviglioso ancora più bello della notte precedente. Con i riflessi rossastri del sole pareva una figura mistica, temeva che fosse solamente frutto della sua immaginazione a causa delle voraci letture.

    “Vi stanno chiamando” la voce del demone ora sembrava roca, rotta da una chissà quale forte emozione che tuttavia era consapevole di stare provando anche lei.

    “Vi verrò a trovare, principessa Izayoi” calcò in particolare modo su quel nomignolo per poi voltarsi e spiccare un alto balzo che si tradusse poi con un volo.

Sedotta e abbandonata, fu quello il pensiero che posava in lei tuttavia ciò non portò altro che alla nascita di un ampio sorriso mentre in lontananza udiva la voce della sua governate che reclamava la sua attenzione.

 

BUONSALVE A TE LETTORE!

In questo capitolo vediamo l’effettivo incontro tra Mama Taisho e Papa Taisho e già possiamo facilmente comprendere come tra i due sia scattato qualcosa, eheheh.

Bene, spero che sia di vostro gradimento.

Ringrazio coloro che hanno recensito ma anche coloro che hanno aggiunto la storia tra le preferite e seguite, siete dei tesori.

Vi lascio con un ALLA PROSSIMA!

Un bacio,

LODOREDELMARE





1tatami: pavimento
2Vedendo il film d'animazione di Isao Takahata ho avuto la piacevole sorpresa nel scoprire che le donne, non so ancora per quale strano motivo, le venivano tolte tutte le sopracciglia! Terribile
3kamoi: finestra
4Takemaru: vi ricordate il film di Inuyasha "La spada del dominatore del mondo"? Takemaru è colui che ha ucciso Papa Taisho dopo la nascita di Inuyasha (come si è permesso?????)
 

 

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Capitolo 3
*** Capitolo Tre ***


Poteva dire che fosse da tutto il pomeriggio che dipingeva, le dita ben salde sul sottile pennello di alta manifattura con le setole intrinseche di colore, una miscela bluastra ricavata da dei particolari frutti recuperati da un servo di suo padre.
Rinchiusa in quella stanza da tutta la giornata non aveva fatto altro che sospirare, buttare fuori con il respiro tutto il suo malore mentre rimirava lo scorrere del tempo attraverso l’ampia finestra spalancata che dava direttamente sulla fitta boscaglia che circondava la sua abitazione, quella dimora nobiliare che ora ospitava un numero non ben definito di uomini di alta classe.
Il sole era in principio di tramontare, salutando anche quel giorno il villaggio in cui viveva riscaldando per l’ultima volta in quella giornata il terreno mentre tutti i lavoratori si affannavano per terminare alla svelta il proprio lavoro per ritornare finalmente nella loro umile casa trascinandosi dietro tutte le fatiche del dì, la schiena acciaccata le braccia stanche e i calli sulla mani che dolevano.
Cercava di concentrarsi Izayoi per rendere la sua piccola opera ulteriormente più graziosa di quanto già non lo era, il pennello che accarezzava con delicatezza la ruvida consistenza della pergamena donandole un colore totalmente nuovo arricchito da sfumature e abili giochi di ombra e luce.
Cercava di concentrarsi Izayoi tuttavia il baccano sottostante alla sua camera le portava una grande irritazione, le delicate dita lunghe ed esili strinsero con vigore il pennello. La sua mano tremò leggermente.
Prese un profondo sospiro, chiuse per un attimo gli occhi e cercò di calmarsi di raggiungere quello stato di pace e di serenità che la spingeva sempre a dipingere.
Schiamazzi, urla e risate. Riusciva ad avvertire ogni singolo differente tono e sfumatura di voce.
Intinse il pennello in una piccola boccetta di vetro soffiato azzurro per poi appoggiare le sue morbide setole sulla pergamena intenta a riprendere il proprio operato.
               “Avete davvero un ottimo talento”.
Una voce bassa e roca la portò a sobbalzare e a cacciare un piccolo urletto di sorpresa mentre il pennello scivolò sulla pergamena lasciandosi dietro una terribile traccia bluastra in un mare di verde brillante.
Il pennello cadde sul tatami per poi rotolare svelto lungo esso fino al raggiungimento dei piedi nudi della sua proprietaria.
Izayoi voltò l’intero corpo rapidamente con gli occhi spalancati dalla sorpresa e la bocca aperta in una piccola O sconvolta. Dinnanzi a lei con quegli abiti così particolari ma al contempo anche aristocratici dalle rifiniture preziose e dai tessuti pregiati, gli inusuali capelli ora raccolti in un’alta e lunga coda di cavallo permettendole per la prima volta di notare come anche le sue orecchie fossero così diverse da quelle comuni –allungate e appuntite, ecco che compariva la figura del demone che ormai da giorni l’accompagnava in tutte le sue solitarie nottate partecipando attivamente a tutti i suoi sogni.
Quel demone che emanava imponenza e virilità al semplice sguardo le rivolgeva un piccolo sorriso totalmente discordante con quei suoi occhi all’apparenza gelidi.
Izayoi si portò una mano al petto, all’altezza del cuore che ancora infuriava nella sua cassa toracica per lo spavento per poi rivolgergli un’occhiata indispettita.
               “Mi avete spaventata” disse sollevando il mento con fare altezzoso.
Il demone ridacchiò piano “Chiedo umilmente il vostro perdono”.
Izayoi rivolse nuovamente lo sguardo alla sua pergamena per poi sospirare sconsolata alla vista di quell’orripilante imprecisione bluastra in mezzo a tutto quel verde di una collina immaginaria su cui era posato un’appena accennato con il carboncino un albero di ciliegio.
               “Mi avete fatto sbagliare” recuperò da una scatola in raffinato legno una boccettina in vetro verde smeraldo in cui intinse il pennello dopo averlo ripulito con un panno che in passato era stato sicuramente candido –ora ricoperto di chiazze di colori contrastanti e vivaci.
Avvertì la presenza del demone avvicinarsi a lei, porsi al suo fianco di un solo passo distante dalla sua schiena. Il suo cuore già provato per lo spavento non poté fare a meno che riprendere a battere in maniera accelerata, un inconsueto calore l’avvolse imporporandole le guance e facendole sudare i palmi.
Era ben certa che quel demone dall’udito sopraffino avesse avvertito il ritmo incalzante di quel piccolo ma potente tamburo naturalr che era situato dentro di lei, questo le causò un forte imbarazzo e vergogna.
Izayoi cercò di scacciare dalla mente quelle preoccupazioni per riporre tutta la sua concentrazione sul suo lavoro che attendeva con ansia di essere terminato.
Il sole continuava a calare, pochi e deboli raggi rossastri ancora perseveravano a splendere.
               “Possedete un dono meraviglioso, Izayoi” sussurrò piano il demone per poi ricevere un flebile mormorio di ringraziamento da parte della ragazza “Siete un’autodidatta o qualcuno vi ha insegnato?”.
               “Entrambi” Izayoi interruppe nuovamente il lavoro per poi rivolgere il capo verso quel demone che non aveva spostato nemmeno per un attimo gli occhi dorati dal suo operato.
               “Disegnavo fin da quando ero bambina” incominciò a raccontare destando l’attenzione dell’uomo al suo fianco “Fu mia madre la prima persona che venne a conoscenza di questa mia passione. Chiamò un abile maestro di un villaggio vicino a darmi lezione due volte a settimana, ricordo che aspettavo con trepidazione quel momento.
Interruppi l’istruzione in seguito alla morte di mia madre –ero ancora un infante, all’incirca sette anni, e mio padre non apprezzava particolarmente questa mia passione”.
               “Perché?”.
               “Non riteneva corretto che una donna riponesse tutte le sue attenzioni su una cosa tanto sciocca come la pittura quando invece era necessario che imparasse come essere un’ottima moglie e madre” l’ultima frase Izayoi la pronunciò con un’evidente espressione di disprezzo, una smorfia appariscente si delineò sul suo viso.
               “Vostra madre doveva essere una donna di buon cuore”.
Izayoi sorrise apertamente “Lo era”.
Il sole era stato ormai completamente offuscato dalle fronde della vegetazione e dalle alture che si stagliavano chiare nell’orizzonte mentre il cielo si tingeva di un profondo blu tempestato da nebulosi puntini luminosi, infinitamente lontani e incalcolabili mentre la luna mostrava solamente il lato più sottile di sé.
I villaggi lontani si illuminavano di fiaccole mentre l’ora del ristoro era finalmente giunto per tutti, una serena pace arrivava con la sera avvolgendo ogni cosa.
               “Avverto dello schiamazzo” il demone interruppe il dolce silenzio mentre cercava con lo sguardo la fonte di quel chiasso.
Izayoi s'irrigidì all'istante stringendo forte il pennello tra le sue dita mentre con la mente volava in direzione delle stanze adornate a festa della sua dimora, al piano inferiore dove erano stati accolti con grande entusiasmo gli invitati dal padre affiancato dalla sua fidata servitù.
Sapeva che essa aveva lavorato duramente in occasione di quella festa preparando variegate e ricercate prelibatezze, ordinando da abili commercianti la qualità migliore di sakè racchiusi in apposite ampolle di ceramica e porcellana pregiata riccamente impreziosite dalle abili mani di un artigiano cinese.
Le vennero gli occhi lucidi che imploravano disperatamente di poter finalmente lasciare libere quelle lacrime che da giorni erano collocate agli angoli dei suoi occhi, lacrime dettate da un infausto destino che giungeva sempre più rapidamente.
Izayoi rivolse lo sguardo verso la figura del demone che aveva incatenato quei suoi occhi dorati sul suo viso fatto improvvisamente pallido.
Aveva già sfogato la rabbia e la frustrazione in sua presenza e non si era sentita affatto giudicata, tutt'altro il demone aveva mostrato una comprensione quasi umana.
               "È una festa in mio onore" annunciò con un flebile sussurro tremolante così come lo erano le sue mani.
               "Durerà tre giorni e due notti. Mio padre ha invitato tutto l'alto ceto sociale del nostro territorio, compresi anche quelli dei territori circostanti. Stanno festeggiando il mio imminente matrimonio che tra pochi giorni verrà celebrato assieme a uno dei miei cinque pretendenti che sono giunti in tarda mattinata" Izayoi scoppiò in un pianto disperato, gli occhi scintillanti di lacrime e le guance rosse come mele mature per lo sfogo. Il demone rimase impassibile dinnanzi alla sua costernazione, dinnanzi a quel volto contratto da una smorfia addolorata con il petto che sobbalzava a causa dei ripetitivi singhiozzi.
               "Io questi uomini non ho avuto modo di vederli, mio padre mi ha costretto a rintanarmi nelle mie stanze fino al termine di questa insulsa festa perché potrebbe portare disonore e sciagura mostrare la futura sposa in un momento di così estremo giubilo”.
Izayoi s’accasciò al pavimento, l’esile corpo ancora scosso da profondi singhiozzi che interrompevano il suo parlato.
Il demone rimase ritto dinnanzi a lei, solamente lo sguardo pareva avesse perduto quella caratteristica freddezza tramutandola in dolcezza mista a compassione. S’inginocchiò al suo fianco pur di essere alla medesima altezza di quella della giovane principessa, e si concesse unicamente di posarle una mano sulla sua schiena.
La ragazza –che precedentemente aveva nascosto il volto tra i palmi delle piccole mani, incrociò i suoi occhi sorpresi sul viso del demone dai tratti ora un po’ più addolciti mantenendo comunque quell’aspetto raffinato e altolocato.
Il demone spostò lo sguardo nuovamente sul disegno ancora incompleto della ragazza.
               “Perché il mare?” le chiese cercando di distrarla da suoi tristi pensieri.
Izayoi cercò di asciugarsi il viso con le lunghe maniche del leggero kimono per seguire il punto osservato dal demone.
               “È il mio sogno, non ho mai visto il mare” il demone la guardò con gli occhi sgranati dalla sorpresa pensando a quante cose a quella ragazza era stato impedito di fare e di vedere. Una vita manipolata come uno sciocco burattino impagliato tra le mani di un uomo più potente di lei. Una vita infelice e vana.
               “Io l’ho visto il mare”.
Izayoi aperse gli occhi mentre sul suo volto si disegnava un inaspettato sorriso radioso, un piccolo sole luminoso racchiuso tra quelle sottili labbra e quei candidi dentini così piccoli e innocui.
               “Raccontatemelo, ve ne prego! Raccontatemi com’è il mare, fatemi sognare” con le mani giunte in una preghiera la ragazza supplicò quel demone che le rivolse un sorriso divertito.
E così iniziò a raccontare partendo dagli albori, dagli inizi delle sue avventure che lo avevano portato a conoscere nuovi luoghi e nuove persone, che lo avevano portato a conoscere paesaggi meravigliosi in grado di sciogliere il cuore –il misterioso potere della natura. Le raccontò della fitta boscaglia che si diceva fosse incantata situata lungo le coste del Giappone settentrionale affiancato a un vulcano che ancora oggi ruggiva furioso suscitando la paura negli umani che vivevano ai suoi piedi, le raccontò dei piccoli villaggi che aveva visitato, delle portentose cascate in cui si era abbeverato, delle oscure caverne in cui infondo a quel naturale cunicolo tenebroso ecco sbucare in un’ampia area illuminata dai raggi lunari in cui al centro sorgeva un piccolo lago argentato, le raccontò delle meraviglie della natura ma anche dei numerosi territori esteri che aveva avuto modo di esplorare.
Era stato nella smisurata e vasta Cina passeggiando lungo l’immensa e sconfinata Muraglia Cinese per poi volare un po’ più a ovest fino al raggiungimento della così tanto decantata Europa godendo di quelle civiltà così diverse da quelle a lui abituato, nuovi modi di vivere e di pensare, nuove culture nuovi linguaggi e nuovi sapori.
Izayoi lo ascoltava ammirata, distesa sul futon e il volto sorretto dalle mani lo ascoltava con un grande sorriso sulle labbra immaginando e sognando quelle terre lontane e misteriose, terre di cui alcune non aveva mai sentito parlare.
Talvolta lo interrompeva martellandolo di insistenti domande sempre più curiose e sempre più appassionate. In Izayoi viveva un fuoco ardente e caldo, vi era un passione invidiabile all’interno di quel corpo esile e anche un po’ infantile, il corpo di una che doveva ancora divenire una vera donna adulta. Era un ardore che bruciava con veemenza che la portava a un intenso desiderio di conoscere esplorare librarsi nell’aria in completa libertà. Un ardore che si sarebbe sicuramente spento al conseguimento di quella gabbia dorata che sarebbe stato il suo matrimonio.
Izayoi comprese presto che le avventure del demone non furono dettate unicamente da bei posti e bei colori ma anche di dolore e afflizione, le avventure del demone avevano spesso l’odore della morte seguita dal colore rosso scarlatto del sangue.
Il demone aveva partecipato a numerosi scontri, lotte micidiali e violente che terminavano con ferite più o meno mortali e tanto sangue. Come quella volta nel bosco, il loro primissimo incontro in quel giorno in cui Izayoi aveva tentato per l’ennesima volta la fuga.
Avrebbe dovuto avere timore di quell’essere di cui le mani erano pregne del sangue di numerosi nemici sia demoni che umani come lei, ma in lei vi era una strana sensazione dettata dal cuore che la portava a fidarsi ciecamente di quel potente individuo. Era certa che non le avrebbe mai fatto del male.
Lo fissò negli occhi, in quegli occhi dorati dove ora vi lesse una sincera tranquillità. Pareva essere del tutto andato quel gelo e quella freddezza che aveva sempre letto, ora poteva scorgere una strana dolcezza che la portava ad arrossire mentre il suo cuore –quel piccolo tamburo incastonato nel suo petto che non si era mai smosso per nessuno, iniziò a rombare forte mentre la trasportava in una dimensione ovattata e serafica di cui spesso aveva letto nei suoi libri. L’amore.
Il demone terminò il suo racconto facendo sprofondare le stanze della principessa in un pacifico silenzio intervallato unicamente da grida esaltate di uomini nobili colti e ubriachi, invitati della festa del padre.
Izayoi aprì gli occhi. Nell’ultimo tempo li aveva socchiusi per cercare di immaginare ancora più vividamente tutto ciò che il demone le narrava, quell’etereo silenzio che era sceso tra i due non la imbarazzava minimamente ma la faceva sentire felice.
               “Dovrei andare” fu il demone a parlare per primo, issandosi in piedi per poi sistemarsi i gloriosi abiti che indossava –abiti che avevano resistito durante le numerose battaglie dal suo padrone affrontate.
Izayoi si sedette scompostamente sul futon, totalmente dimentica delle buone maniere che una ragazza dovrebbe tenere, a gambe spalancate e distese lungo il tatami. I capelli non erano più raccolti in uno stretto e rigido chignon ma erano lasciati liberi e disfatti sulle sue spalle per poi ricadere morbidamente lungo la sua schiena.
               “Non ve ne andate” sussurrò lei incatenando i suoi occhi a quelli del demone, non li abbassò nemmeno per un attimo riuscendo a sostenere tranquillamente il suo sguardo penetrante.
Vide il demone sorriderle sinceramente mentre gli occhi si dipinsero di una strana tenerezza. S’inginocchiò nuovamente al cospetto della ragazza e posò una mano artigliata sulla guancia morbida e candida di lei. Izayoi vi si appoggiò contro cercando di avvertire con tutta la sua pelle la consistenza di quella grande mano, dalla ruvidezza del suo palmo a causa di numerose vesciche dovute alla costante tenuta ferrea dell’elsa della sua spada, al leggero pizzicore causato dai suoi affilati artigli che avevano squartato e strappato via parti del corpo di chissà quanti individui.
Izayoi chiuse gli occhi cercando di bearsi quel contatto e quel calore che la mano emanava.
               “Perdonatemi Izayoi”.
               “Per cosa?” domandò lei corrucciando leggermente la fronte in quel punto dove poco tempo prima vi erano le sopracciglia, continuando a mantenere gli occhi serrati.
               “Per questo…” fu un flebile sussurrò quello che avvertì provenire dal demone, Izayoi stava per ribattere schiudendo leggermente le labbra ma da esse non fuoriuscì alcun suono essendo state bellamente tappate da altre labbra più ruvide e grandi ma ugualmente umide e dolci.
Il mio primo bacio, pensò Izayoi lasciandosi comunque trasportare dal momento. Cinse le braccia attorno al collo del demone come per attirarlo ancora più vicino a sé mentre l’uomo arpionò con insistenza i suoi lunghi capelli d’ebano.
Si baciarono a lungo, in un tempo che a entrambi parve infinito. Nella placida calma della notte, scoccavano i baci umidi e i veloci sospiri di quei due amanti avvolti da una strana passione che imperversava e che li portava a ignorare tutte le conseguenze che potevano giungere in seguito a quel bacio.
Umani e demoni non potevano intraprendere alcun tipo di relazione.
Izayoi aveva ancora gli occhi chiusi intenta a bearsi tutte le forti emozioni che quel bacio le aveva procurato quando il demone lentamente si scostò da lei, osservando poi quel piccolo e delicato volto giovanile dalle guance arrossate e le labbra tumide e gonfie di baci.
Izayoi aprì gli occhi, occhi che scintillavano di felicità per poi sporgersi nuovamente verso il demone donandogli un leggero e innocuo sfioramento di labbra.
               “Ora devo proprio andare” sussurrò allora lui tenendo stretto le sue mani sulle spalle esili della ragazza.
La ragazza lo vide allontanarsi da lei, raggiungere quella finestra da cui era venuto per poi sporgersi pronto a balzare fuori e a volare via nell’immensità di quella notte.
               “Aspettate!” chiamò lei, le mani giunte sul petto all’altezza del cuore che ancora fremeva imperterrito.
Il demone si voltò osservando la giovane Izayoi.
               “Non mi avete ancora detto come vi chiamate”.
Lui sorrise e scosse il capo. Quella piccola donna aveva il potere di rallegrarlo con ogni suo piccolo gesto.
               “Inu” sussurrò “Inu No Taisho”.
Izayoi ripeté a bassa voce quel nome come per imprimerlo meglio nella sua memoria.
               “Tornerete?” gli chiese allora speranzosa.
               “Sempre” e con un balzo volò via per poi sparire nell’oscurità della notte.
 
BUONSALVE A TE LETTORE!

È passato davvero tanto tempo dall’ultima volta che ho aggiornato questa storia, chiedo scusa per il terribile ritardo ma con l’inizio dell’università e di conseguenza di una nuova vita mi ha portato a non avere nemmeno un secondo di tempo per potermi dedicare a me.
Vi ringrazio se siete giunti fino a qui, spero che questo capitolo vi possa piacere. Nel prossimo ci saranno degli sviluppi interessanti per questa strana relazione tra Mama Taisho e Papa Taisho anche se non ho la più pallida idea di quando avrò modo di aggiornare.
Detto questo vi lascio, ringrazio tutti coloro che hanno letto o recensito.
Un bacio,

LODOREDELMARE

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