Let It Be.

di Odoredipoesia
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


«Avevo 16 anni quando Stella, la mia migliore amica, ci ha lasciati...» spiegò Margaret rispondendo alla domanda dello psicologo. Fosse stato per lei non ci sarebbe andata, ma i suoi genitori avevano insistito talmente tanto che aveva accettato di provare a fare almeno una seduta. Doveva ammettere che si era aspettata di dover parlare con un uomo anziano, tutto curvo e con qualche problema di udito, invece il giovane che aveva davanti era un ragazzo di circa trent'anni con i capelli biondi e un paio di occhiali dalla montatura grossa che coprivano due occhi verde smeraldo. Sembrava addirittura attraente. 

«Ti va di raccontarmi come è successo?» quando si era presentato, lo specialista le aveva detto solo il suo nome, tralasciando il cognome. Si chiamava Joshua, ma lei poteva chiamarlo Josh. A Margaret sembrava un nome strano per uno psicologo.

Maggie annuì: «Non c'è molto da dire... Si è suicidata.» 

Josh la guardò sorpreso. La ragazza non l'avrebbe mai ammesso, ma le piaceva. Adorava come rendesse tutto più semplice: non prendeva appunti per non farla sentire un animale sotto osservazione e sembrava avere reazioni naturali. Era come parlare con un amico, peccato che lei non ne avesse più, di amici. 

«Sì... Le persone quando lo sentono hanno tutti più o meno la stessa reazione.» affermò con un sorriso amaro. 

Josh le strinse una mano: «Mi dispiace. Se te la senti, dimmi il rapporto che avevate...»

Sembrava sinceramente rattristato dalla notizia, così Maggie si costrinse ad andare avanti: «Stella era una ragazza allegra, non avrei mai pensato che potesse fare una cosa del genere... Anche se infondo so che è tutta colpa mia. Mangiava poco in quel periodo: voleva dimagrire. Io le dicevo che non ne aveva bisogno, ma lei non mi ascoltava. Poi ho conosciuto Tyler, il mio primo ragazzo, e lei è passata del tutto in secondo piano. Quando se n'è andata ho allontanato tutti. Non voglio altre responsabilità: l’unica amica che avevo ci ha lasciati perché nessuno le prestava abbastanza attenzioni.» distolse lo sguardo: aveva le lacrime agli occhi. 

«Maggie, non puoi dire sul serio. Hai diciotto anni, come puoi affrontare il tuo sbocco sul mondo degli adulti tutta da sola?» Josh sembrava incredulo davanti al modo con cui Maggie si era esclusa da tutto il resto. Dopotutto stava vivendo gli anni migliori, doveva imparare a goderseli o se ne sarebbe pentita.

«Per quanto ne so io, sono diventata maggiorenne mesi fa, quindi direi che nel mondo degli adulti ci sono già.» 

«Certo, ma rimani un'adolescente per il momento. Hai bisogno di qualcuno con cui sfogarti...» 

«E rischiare di perdere anche lui? No, grazie. Preferisco stare da sola.» disse appena prima di uscire dallo studio. Ne aveva abbastanza. 

Scese le scale che l'avevano condotta nello studio al secondo piano, arrivò in strada e si sedette sul marciapiede. Era una delle classiche giornate grigie inglesi, una di quelle che Margaret adorava con tutta se stessa, perché rispecchiavano i suoi sentimenti. Sapeva che quando non c'era il sole i suoi occhi azzurri assumevano una sfumatura più cupa, rispecchiando il colore delle nuvole cariche di pioggia. I suoi capelli lisci castani, invece, sembravano quasi neri a quella luce. Nonostante tutti i problemi che aveva avuto, Margaret non si era mai ritenuta una brutta ragazza. Certo, non si riteneva una modella, semplicemente credeva fosse mediocre, nella ”norma”, come molte altre adolescenti che vedeva per i corridoi del suo liceo. 

Sentì dei passi dietro di lei, poi Josh le sedette accanto. Estrasse dalla tasca interna della giacca un pacchetto di Marlboro rosse e gliene offrì una.

«No, grazie, non fumo...» rifiutò la ragazza, estraendo dalla tasca della sua giacca a vento un berretto di lana e sistemandoselo in testa. 

Nonostante fosse fine settembre faceva già abbastanza freddo. I passanti avevano un ombrello a portata di mano, pronti alle piogge improvvise che Bradford avrebbe potuto offrirgli.

«Ti dà fastidio se lo faccio io?» le chiese Josh. Per tutta risposta Maggie alzò le spalle. Josh si accese la sigaretta, inspirò e fece uscire il fumo dalla bocca, poi la guardò: «Hai già iniziato la scuola?» 

Maggie annuì, stava innalzando di nuovo quel muro che aveva tolto in un momento di debolezza di fronte a Josh. 

«Ho capito, ora ti metti sulla difensiva...» affermò lui facendo un altro tiro di sigaretta, poi la spense, lasciandola a metà. «Senti, Maggie, non mi devi reputare per forza un tuo amico, chiaro? Sono uno psicologo e con me devi parlare di tutto quello che ti succede. Che ne dici se torniamo dentro e continuiamo la nostra chiacchierata?» 

Per la prima volta Maggie si voltò a guardarlo, sicura di avere lo sguardo di una bambina che ha paura di fare qualsiasi cosa. «Il problema è che non sono più abituata a farlo. Non parlo a qualcuno di me da due anni...» 

Josh le mise una mano sulla spalla: «Limitati a rispondere alle mie domande allora.» la aiutò ad alzarsi e insieme ritornarono allo studio. 

Margaret si concesse qualche secondo per osservarlo meglio: le pareti erano interamente ricoperte da scaffali pieni di libri dalle copertine dai colori sobri come bordeaux, verde oliva, marrone e beige. La poltrona su cui lei era seduta, gemella di quella su cui era accomodato Josh, era rosso vermiglio, mentre il parquet e la scrivania erano del tipico colore del mogano. Con quella grande portafinestra che illuminava lo studio, Maggie non poteva far a meno di sentirsi in uno dei suoi romanzi fantasy che amava tanto. 

«Allora, hai avuto altre storie dopo Tyler?» le chiese Josh, distraendola dai suoi pensieri. 

Maggie si sentì arrossire, colta alla sprovvista dalla domanda: «Perché me lo chiede? No, sono rimasta single.»

«Sei una bella ragazza, Maggie, davvero nessuno ti ha più chiesto di uscire?»

«Sì, qualcuno c'è stato, ma ho rifiutato.» 

«E questo qualcuno ti piaceva?» 

«È irrilevante. L'ho mandato via, esattamente come ho fatto con gli altri.» affermò prima di mangiucchiarsi un'unghia. 

Notando quel gesto di nervosismo, Josh fece un'ultima domanda: «Soffri di attacchi di panico, Maggie?»

La ragazza si limitò ad annuire. 

«Philofobia.» disse Josh. Margaret lo guardò confusa. «Philofobia è la paura di innamorarsi o di provare anche solo senso di affetto nei confronti di una qualsiasi persona. Ho avuto molti casi di adolescenti con questa patologia. Ti prometto che ti aiuterò ad uscirne.»

La ragazza si alzò: «Non voglio uscirne. Sto benissimo da sola.» 

«Un giorno ti rimangerai quelle parole, Maggie.» le sorrise. «Che ne dici se ci rivediamo mercoledì prossimo?» 

Maggie annuì rassegnata: ora che aveva accettato di farsi curare non poteva più tirarsi indietro. 

«Ci vediamo tra una settimana allora.» la congedò Josh.

 

Appena uscita dallo studio, Maggie non perse tempo e si mise le cuffie alle orecchie. Altro che umani, la musica era il suo unico bisogno.

Si avviò verso la fermata dell'autobus, alleggerita di tutto il suo peso grazie alla sua canzone preferita. Non aveva un genere musicale preferito: sceglieva in base alle sue azioni e in quel momento ascoltò la sua band rock preferita. 

Appena arrivò il bus, si affrettò a salire. Sedette al primo posto libero: era mercoledì pomeriggio inoltrato e non giravano molte persone per Bradford dopo le sedici. Si accorse a malapena del ragazzo sul sedile opposto al suo, che la guardava con insistenza. Quando era salita aveva visto di sfuggita la sua chioma di capelli arancioni e non aveva potuto fare a meno di pensare a Tyler, il suo ragazzo, che somigliava così tanto ad Ed Sheeran, il suo cantante preferito. 

Vedendo la sua casa, la ragazza si alzò per scendere dal mezzo. Il giovane dalla chioma arancione le sorrise, ma lei lo ignorò. 

Con un lungo sospiro si tolse le cuffiette e aprì la porta di casa. 

«Ciao tesoro!» la accolse la madre con un sorriso. «Come è andata?»

«Bene.» si limitò a dire Maggie prima di andare a rifugiarsi nella sua stanza. «La prossima seduta è mercoledì.» 

Salì le scale, incontrando a metà strada Thomas, il suo fratellino minore. 

«Ciao Meg.» la salutò lui.

«Hey Tommy.» Maggie gli passò le dita fra la cresta della stessa tonalità di castano dei suoi capelli. Quello era l'unico gesto d'affetto che si concedeva nei suoi confronti. Thomas aveva dieci anni e non capiva perché la sorella si comportasse in quel modo da due anni. Aveva chiesto spiegazioni alla madre, ma lei si era limitata a rispondere usando l'adolescenza come capro espiatorio. Rimaneva il fatto che quel piccolo ometto era l'unica persona al mondo in grado di far tranquillizzare Margaret dopo uno dei suoi attacchi di panico e la cosa spaventava la sorella maggiore: il fatto che suo fratello fosse importante per lei le impediva di allontanarlo come avrebbe voluto e le faceva temere per la sua salute. «Vado a giocare ai video games in camera mia. Se hai bisogno dimmelo.» 

«Va bene.» 

Tommy le sorrise, poi si chiuse la porta alle spalle. Maggie entrò nella sua stanza, uno spazio semplice e tinta a colori pastello. 

Le pareti erano di un rosa tenue, con delle tende alle finestre color crema. Sulle mensole c'erano miliardi di libri e un lettore CD, senza il quale Maggie sarebbe morta. Già da prima della scomparsa di Stella, la ragazza si era impegnata a comprarsi numerosi CD e dopo due anni aveva una discreta collezione. Ne prese uno a caso e lo fece partire: per disegnare aveva bisogno di un sottofondo. Una passione che aveva sempre tenuto nascosto, infatti, era proprio quella per la pittura. Ritraeva vari soggetti con varie tecniche, ma i suoi preferiti erano le persone. Che fossero stati cantanti, attori, passanti, a Maggie non importava. Ciò che contava per lei era riuscire a trasmettere qualcosa in quello che immortalava. Si sentiva una specie di fotografa, solo che, al posto del mondo esterno, nei suoi quadri lei fermava il mondo interno della gente. 

Prese il suo blocco e disegnò un ragazzo immaginario intento a fumare. Sorrise, pensando che se mai fosse esistito le avrebbe fatto causa per il brutto naso che gli aveva fatto. Non era brava a fare schizzi senza foto da copiare e questa era una delle sue grandi debolezze. 

Stava pensando a come fare per poter sistemare quelle narici decisamente troppo larghe, quando sentì il battito cardiaco accelerare.

Lo riconobbe subito: attacco di panico.

Senza poter controllarsi iniziò a respirare sempre più velocemente e con affanno. 

Aveva bisogno di aria e questa era l'unica cosa a cui riusciva a pensare. Beh, quella e il fatto che se non avesse preso abbastanza ossigeno sarebbe morta.

Si portò le mani tremanti al viso, consapevole che era la cosa più sbagliata da fare, ma incapace di comportarsi altrimenti. Gettò il blocco a terra. 

Voleva urlare, ma non poteva. 

Voleva chiamare Tommy, ma non poteva. 

Voleva scappare, ma non poteva. 

Non poteva fare nulla, se non stare lì a cercare di prendere più aria possibile per evitare di morire. 

«Ciao amore!» sentì sua madre al piano di sotto salutare il marito. 

Margaret si sentì sollevata: presto il padre sarebbe andata a salutarla e avrebbe capito tutto. L'avrebbe aiutata.

I suoi passi sulle scale sembravano dannatamente lenti, mentre si avvicinava a lei. Poi mise la testa nella stanza e Maggie lo guardò, continuando a respirare male. 

«Ciao Mag...» si bloccó di colpo, accorgendosi dell'attacco di panico della figlia. Le sedette accanto, guardandola ed accarezzandola con dolcezza. «Ehi, va tutto bene. C'è papà con te, ok? Respira con calma, tesoro.» 

Vedendo che la ragazza non iniziava a tranquillizzarsi, decise di aprire la finestra, situata proprio di fronte a lei. 

«La senti l'aria pulita, amore?» le chiese, prendendole la mano. «Dai, ora passa. Ora passa. Respira, inspira.» 

La voce dell'uomo che l'aveva cresciuta riuscì a farla tornare a respirare normalmente. 

Dopo svariati minuti in cui Margaret continuò a tremare, finalmente riuscì a calmarsi un pochino. Si strinse forte al padre, scoppiando a piangere sulla sua spalla. 

«Devi smetterla di allontanarci tutti, Maggie. Ti farai solo del male così.» le sussurrò. 

Rimasero abbracciati per un po', poi Margaret si allontanò, così suo padre le diede un bacio sulla guancia e la lasciò sola. Entrambi erano consapevoli che non sarebbe stata né la prima né l'ultima volta che sarebbe accaduto un evento simile.

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


Era incredibile come fosse passata in fretta una settimana. Margaret si sorprese a sorridere mentre prendeva l'autobus per tornare a casa da scuola. Non voleva andarci, da quello strizzacervelli, ma era consapevole di non avere altra scelta. Perciò sorrise: se si è obbligati a fare qualcosa è sempre meglio farla con filosofia. 

Arrivata a casa sorprese Thomas ancora seduto al tavolo della cucina, intento a mangiare una fetta della torta al cioccolato che sua madre preparava molto spesso. 

«Ehi Tommy, se continui così finirai col diventare una balena...» gli disse con freddezza. 

Il bambino la ignorò e così anche gli altri membri della sua famiglia. L'unico momento in cui le dimostravano affetto sembrava quando aveva uno dei suoi attacchi di panico, ma a Maggie andava bene così: in quel modo nessuno di loro avrebbe pensato di far affidamento su di lei e lei non avrebbe rischiato di ignorare avvenimenti importanti come la bulimia di Stella. Era perfettamente consapevole di non poter pensare frasi come "almeno non li ho persi" per sentirsi meglio, perché lei aveva già perso tutti, solo che almeno loro erano ancora vivi

Quel giorno Maggie mangiò pochissimo persino per i suoi standard, ma la madre non fece domande. Quando si alzò dal tavolo vide che erano le 15 e si precipitò a recuperare la borsa per andare dallo psicologo. Era in ritardo. 

Un quarto d'ora dopo era nello studio. 

«Ciao Maggie.» la salutò Josh con un sorriso incoraggiante. 

«Salve Josh...» 

Seguirono interminabili secondi di silenzio, fino a quando non fu lo psicologo a parlare: «Allora, in questi giorni ho discusso con i tuoi genitori, cercando di capire come ti comporti a casa e mi hanno detto che sei fredda con tutti, tranne che con Thomas. Ti va di spiegarmi perché con tuo fratello sei in grado di aprirti?»

Margaret scosse la testa: «Non parlo molto nemmeno con mio fratello. Semplicemente lui sa cosa fare quando ho un attacco di panico. Non fa molta scena come mio padre, lui ha metodi più concreti per farmi tornare normale.»

«E quali sarebbero questi metodi?»

«Mi abbraccia.»

«Ti abbraccia?»

«Sì. Una volta, da qualche parte, ha letto che un abbraccio guarisce da ogni cosa e da allora quando vede che sto male mi stringe forte a sé.»

Josh la guardò incredulo: «Non ha senso... Primo perché dovresti essere infastidita dal suo completamento data la tua patologia...»

«Ehi, allontano tutti da me per non ferirli, ma questo non significa che sono cinica.» lo interruppe Margaret, come se il suo solito modo di fare fosse la cosa più normale del mondo.

«D'accordo, ma rimane il fatto che durante un attacco di panico la persona che ne è affetta sente il forte bisogno di aria nei polmoni, per questo respira così affannosamente. Un abbraccio impedirebbe di prendere ulteriore aria...» 

«Senta. Io non sono un'esperta di queste cose, so solo che quando sto male e Tommy mi abbraccia mi sento meglio. Il nero sparisce.» sbottò Maggie infastidita.

«Il nero?» chiese Josh incuriosito. 

«Sì, il nero. Quello che mi offusca la mente quando vado in iperventilazione. Quello che mi fa vedere le cose più brutte di quanto non sembrino. Il nero.»

«Interessante...» nonostante le abitudini della seduta precedente, Josh si alzò e scrisse un piccolo appunto su un foglio volante che aveva sulla scrivania. «C'è un'altra cosa di cui ho discusso con i tuoi genitori, Maggie... Abbiamo deciso di farti cambiare scuola.»

Per poco alla ragazza non venne un infarto: «Cosa?!»

«Sì. Lavoro come psicologo allo "sportello di ascolto" di un liceo qua a Bradford. Abbiamo pensato che per te sarebbe l'ideale spostarti lì. Non ha senso che tu ti faccia ore di viaggio ogni mattina per andare ad una scuola a Londra. Ti farebbe bene conoscere persone del tuo stesso paese.»

«Stella era di Londra.» disse Maggie guardando il vuoto. 

Josh la guardò impietosito: «Lo so, cara, ma è giunto il momento di ricominciare. Hai bisogno di cambiare aria, di farti nuove amicizie e di entrare in una situazione scolastica dove nessuno, a parte me, sa quello che ti è capitato.»

«Non posso abbandonare quella scuola come se nulla fosse, Josh. Ho tanti bei ricordi in quelle mura.»

«Maggie, devi lasciarti alle spalle il passato. Stella sarà sempre con te in qualche modo, ma tu devi andare avanti. Hai bisogno di relazionarti con i tuoi coetanei, di sentirti voluta bene dalla tua famiglia e magari anche di trovare un ragazzo.»

Scosse la testa inorridita, le lacrime che le pizzicavano gli occhi: «No, non voglio nessuna di queste cose. Non voglio che le persone mi si affezionino, rischierei solo di far loro del male.»

«Maggie, devi smetterla di incolparti della morte di Stella.»

La ragazza sentì montare la rabbia: «Lei non capisce!» urlò. «Stella mi aveva detto che voleva dimagrire e voleva farlo vomitando tutto quello che mangiava. Era diventata bulimiaca e io non le ho prestato la minima attenzione perché ero troppo presa dalla mia relazione con Tyler. Nessuno sa come ci si può sentire dopo che la propria migliore amica si è suicidata, lasciandoti una lettera in cui dice che è meglio se se ne è andata perché così tu potrai essere felice senza più un peso morto di cui farsi carico. Nessuno lo sa tranne me.» detto questo, si lasciò cadere sulla poltrona, percossa dai singhiozzi.

«Non sei l'unica ragazza ad aver subito un lutto, Maggie, e ti sembrerà banale che io lo dica, ma quasi tutti quelli che hanno vissuto una situazione come la tua poi hanno reagito cercando di difendere chi amavano da loro stessi.» Josh le mise una mano sulla spalla e Maggie fece qualcosa di inaspettato: lo abbracciò. Lo psicologo la lasciò sfogarsi, sussurrandole: «So che credi di non volerlo, ma io ti aiuterò a tornare ad amare senza barriere. Te lo prometto.»

 

Quando la sveglia suonò, Josh si alzò con un sorriso. Era un comportamento piuttosto naturale per uno come lui, ma quella mattina era davvero allegro: andare a scuola a parlare con i ragazzi che chiedevano aiuto allo sportello di ascolto lo faceva sentire bene, come se in qualche modo potesse contribuire con la creazione di un futuro migliore per quei giovani adulti. Forse era anche la presenza della signorina White, professoressa di filosofia, a rendere il suo incarico in quella scuola molto piacevole, ma Josh preferiva non darci troppo peso, temendo di rimanere scottato.

Si vestì e si avviò verso il liceo di Bradford. Una volta arrivato, si recò in sala insegnanti, dove lasciò il suo cappotto. 

Prese l'agenda: la prima seduta era con Katherine, una delle sue pazienti preferite. Si diresse nella sua classe, dove la signorina White stava facendo lezione. 

«Scusami, Sarah, ma Katherine aveva bisogno di parlarmi se non sbaglio...» disse con un certo imbarazzo. Solo qualche giorno prima, infatti, la bellissima insegnante le aveva chiesto di chiamarla per nome e di darle del tu. Josh sentiva il forte bisogno di invitarla ad uscire, ma non sapeva se lei avrebbe accettato.

La donna le sorrise, illuminando i suoi occhi scuri e la carnagione olivastra. Si spostò una ciocca di capelli nero lucente dietro all'orecchio: «Va bene. Katherine, puoi andare, ma ricordati di farti dare gli appunti della lezione di oggi da qualcuno...»

La studentessa si alzò dal suo banco: «Me li farò dare da Alex.» disse accennando al ragazzo che aveva davanti. Era seduta all'ultimo posto e non aveva nessun compagno di banco, ma a lei bastavano Jack ed Alex, suoi amici da una vita, che a inizio anno si erano posizionati nella fila prima della sua. Non faceva seduta senza parlare di Alex e di quanto fosse fantastico: era innamorata di lui da molto tempo. Si rivolse al giovane dai capelli corvini, con mezza testa bionda a fare da contrasto: «Ti prego non distrarlo, Jack. Ho bisogno di quegli appunti.» 

«Andiamo...» le disse Josh incoraggiante, mettendole un braccio attorno alle spalle.

Si sistemarono nell'aula che Josh era abituato ad utilizzare, mettendo una sedia di fronte all'altra con al centro un tavolo. Lo psicologo era consapevole che sembrasse un interrogatorio della polizia, ma Katherine era diversa dalle altre ragazze, a tal punto che riusciva a considerarla quasi un'amica. Sapeva che nulla l’avrebbe fermata dal parlare con lui.

«Allora, come stai Kate?» le chiese cercando di farla sembrare una domanda detta con il cuore e non per lavoro. 

«Se non fosse per i sogni starei alla grande.» affermò la ragazza, guardandosi le mani. 

«Vuoi raccontarmeli?»

Katherine annuì, facendo ondeggiare i mossi capelli scuri. «È sempre lo stesso: sono a casa, sto guardando la TV, quando qualcuno suona alla porta. Vado ad aprire e mi trovo di fronte a Dominik. All'inizio mi sorride, è tornato a casa dalla sua missione in Afganistan, ma poi qualcuno gli spara e spunta una macchiolina rossa che si fa sempre più grande, fino a coprirgli tutta la camicia bianca. Mentre mi accorgo che dietro di noi c'è la guerra, lui cade a terra e io mi affretto a stringerlo a me. Poco dopo muore fra le mie braccia.» le lacrime le rigarono il viso e lei si affrettò ad asciugarsele. Josh non l'aveva mai vista piangere, nonostante tutto quello che avesse passato. Era sconcertato, ma cercò di mantenere la calma, capendo che la studentessa aveva bisogno di sicurezze.

«Hai più avuto sue notizie?» domandò per farla ragionare. 

Annuì, guardandolo con i suoi occhi scuri: «Mi scrive tutte le settimane, ma questo non mi impedisce di essere preoccupata per lui.» 

In un impeto di affetto, Josh si alzò ed andò ad abbracciarla. 

«Non posso perderlo, Josh. Per me lui è come un fratello.»

«Sono sicuro che tornerà presto.» le sussurrò. E un po' ci credeva anche lui.

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