Lei & Lui

di bustercall_9829
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Winter (parte 1) ***
Capitolo 2: *** Parte 2 ***
Capitolo 3: *** Parte 3 ***
Capitolo 4: *** CAPITOLO 4 ***



Capitolo 1
*** Winter (parte 1) ***


Lei & Lui #WINTER (parte 1) Ormai le vacanze di Natale erano alle porte, le strade erano illuminate con abbaglianti decorazioni e nell’aria si respirava il profumo dei biscotti alla cannella. Il “Dalia” era uno di quei locali che lei e le sue compagne di corso all’università frequentavano più spesso: per studiare e bere una buona cioccolata, tutte insieme per sparlare un po’ come fanno tutte le donne. Quel giorno però, si sedette da sola al tavolo, tenendo il cellulare in mano, sperando che da un momento all’altro squillasse. “Ehilà, come stai? Di solito vieni qui con le tue amiche!” una voce calda ma allo stesso tempo squillante la distrasse dai suoi pensieri. Davanti a sé vide una Pan raggiante, con un nuovo taglio di capelli pronta a prendere l’ordinazione. La relazione con quel suo compagno di liceo stava andando a gonfie vele. “Ciao Pan! Che bel taglio, ti dona molto!” “Grazie, anche se ho sempre invidiato i tuoi capelli… lisci, lunghi e biondi. Alle volte mi sembra di avere una criniera al posto dei capelli!” disse ridendo “Allora che prendi?” “Una cioccolata doppia, con panna, caramello caldo, sciroppo al cioccolato e tanti granellini di quei cosetti colorati. Grazie” “Wow, pensavo che la bella Marron ci tenesse alla linea” disse Pan scherzando. Il fine settimana lavorava part time al “Dalia”. “Oggi mi concedo un lusso” sbuffò la ragazza. Il cellulare non vibrava. “Okay, arrivo!” Pan sgattaiolò da un tavolo all’altro, piena di energia come sempre. Forse la sua amica non aveva idea di quello che Marron stava passando quel pomeriggio di dicembre. Forse nemmeno le importava. Alle volte invidiava Pan, e la sua capacità di farsi adorare da tutti: era la classica ragazza della porta accanto, semplice e schietta. Per questo l’aveva sempre invidiata. Quando al tavolo arrivò la tazza rosa stracolma di panna, Marron rimase incantata, pensando a ciò che aveva una settimana prima e che ora aveva perso. - circa una settimana prima- “Sono solo quattro giorni. Che vuoi che sia?” le aveva detto più volte quel pomeriggio. Ma per Marron quattro giorno sembravano eterni: si era da poco trasferita in un piccolo appartamento in città che divideva con una sua amica, compagna di studi. La vita in città non faceva per lei. Odiava il freddo e l’inverno, essendo cresciuta a ridosso del mare. Ma se non si fosse trasferita in città, non avrebbe potuto stare con lui. “Trunks, ma davvero posso rimanere nel tuo appartamento finché sei via? Forse Sue si sentirà sola, non trovi?” era seduta nel grande salotto, arredato alla perfezione mentre beveva cioccolata calda. Più che calda era bollente! “Più che sicuro. Ti lascio sotto lo zerbino la copia delle chiavi. Davvero vuoi stare in quel buco?” le domandò mentre fece capolino dal bagno. Indossava un paio di vecchi jeans e una maglietta dell’università. Ovviamente lui aveva frequentato un’università privata e prestigiosa, mica una pubblica. I capelli erano ancora umidi e scompigliati. Quel pomeriggio era tornato dal lavoro prima del solito, proprio per preparare la valigia e rilassarsi prima del viaggio. “A me quel buco, come lo chiami te, non mi dispiace” disse Marron “però stare qui è tutta un’altra cosa” “Puoi dirlo forte. Quella è già la terza tazza?” sprofondò sul soffice divano, vicino a lei. Quanto le piaceva prenderla in giro. “Ah ah, divertente! Il tuo senso dell’umorismo mi sta facendo contorcere lo stomaco dalle risate” rispose Marron di ripicca. Lei non cedeva mai, doveva sempre avere una risposta pronta in serbo per contrattaccare. “Che acida! Non ti facevo così aggressiva… ah, stasera esco con Goten e gli altri, te che fai?” cominciò a passarle le dita fra i capelli biondi e sottili. Sapeva che quando usciva con i suoi amici, lei si univa a loro mal volentieri. “Sto qui e mi vedo un film. Non ho programmi” “Vuoi unirti a noi?” “Assolutamente no. Uno non voglio ubriacarmi, secondo… “Scusa l’interruzione, ma ti correggo. Andiamo a vedere una mostra di fotografia. Sai la nuova ragazza di Goten ha talento. Questa è la serata inaugurale. Sicura di non voler venire? A te piace l’arte, e a me che fa schifo” “E allora perché ci vai? Rimani a casa, no? E poi domani devi alzarti presto, fare le cose con calma… e inoltre sono quasi cinque giorni che non lo facciamo! Sfigata come sono ieri mi è arrivato il ciclo” sospirò Marron. Sempre puntale come un orologio svizzero. “Povera piccola, ecco perché ti consoli nei dolci” si guadagno una gomitata in mezzo alle costole. Tanto carina, tanto gentile, ma quando aveva i suoi cinque minuti Marron era letale. “Sei uno stronzo” “Ma no, tesoro. Che hai capito? Mica ti ho detto che mangiando dolci a volontà diventerai una balena!” si mise a ridere. “Tu lo fai apposta!” Marron si alzò di scatto e andò a posare la tazza in cucina “Fa’ come se non ti abbia detto niente. Ho un esame da preparare entro fino gennaio, e voglio prendere un bel voto. Quindi sloggia” “Sloggia a chi? Ma se è casa mia. Adiamo Mary Mary, cerca di ragionare” Trunks non poteva fare a meno di ridere. Mary Mary era il nomignolo che le aveva affibbiato Trunks e Goten quando ancora andava al parco giochi a passare i pomeriggi. “Come mi hai chiamata? Motivo in più per cui tu esca stasera, ciao” anche se lo vedeva ridere di gusto, Marron non sopportava quel nomignolo. Questo era troppo. “Okay, Mary Mary. E se recuperassimo i cinque giorni persi. Ti va come proposta, piccola Mary Mary…” quasi le face venire un mezzo colpo. La cinse da dietro e la prese in braccio, come faceva suo padre quando aveva tre anni “Io per stasera non ho programmi, e tu nemmeno”. “In verità dovrei studiare, e se non sbaglio, prima ti ho detto che ieri… ah, la scema sono io. Si usa il preservativo…” “Eh brava Mary Mary…” “Basta chiamarmi così, altrimenti…” ma non riuscì a continuare il discorso che si mise a ridere. Da lì a poco non avrebbero più parlato. Finalmente il cellulare squillò. Marron finì di fissare la cioccolata e fissò il display. “Pronto?” chiese quasi senza voce, ma dall’altro capo del telefono la voce proveniva forte e chiara. “Stavolta lo stronzo è stato lui. Sto arrivando”. Pochi minuti dopo, Bra entrò come un vulcano nel locale, salutando Pan con la mano, ma la sua priorità era un’altra. “Sta’ zitta, non parlare. Sono venuta fin qui pure se ho la febbre, pensa quanto ci tengo a te e quel cretino di mio fratello. Ho provato a chiamarlo ma ha il cellulare staccato. Si è allontanato perché sa di aver fatto una cazzata, e ci deve pensare su” parlò senza interrompersi. “Lo stai giustificando?” chiese Marron. Una lacrima cominciò a rigarle il viso. “No, assolutamente no. Solo che questa non è la vostra prima crisi, perciò sto cercando di analizzare la questione da ambo le parti”. “Hai ragione te, non è la prima volta. E credo che non ce ne saranno mai più” il viso dolce di Marron ora era ridotto a un colabrodo. Cercò di trattenere le lacrime, non voleva piangere davanti a tutti. “Che vuoi dire, Marron?” “Ieri ci siamo lasciati. Definitivamente stavolta”. NOTA DELL’AUTRICE: primo capitolo andato. Che cosa è successo per provocare una rottura definitiva? Scopritelo nel prossimo capitolo WINTER (parte 2) Che ci sia un’altra donna di mezzo? Chi ha tradito?

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Capitolo 2
*** Parte 2 ***


racconti ff parte due

PARTE 2

 

Alla parola “lasciati definitivamente”, ognuna ebbe una reazione diversa. A Pan cadde la teiera che per poco non andò addosso ad un cliente, mentre Bra presa dalla rabbia frantumò il bicchiere d’acqua che aveva in mano.

“Cameriera! Un altro bicchiere!” urlò a Pan.

“L’autocontrollo è il tuo migliore amico, non è vero?”

“Oh piantala, sono nervosa. Pan, a che ora stacchi?”

“Alle sei e mezza. Perché?”

“Facciamo ADESSO. Non vedi come è ridotta la povera Marron!”

Io nemmeno stavo ascoltando la loro conversazione. Me ne stavo là a fissare un punto, senza un motivo. Eppure un motivo c’era. Guardavo un tavolo, adesso occupato da una coppia di studentesse intente a studiare; ma un paio di mesi prima quello stesso tavolo era occupata da altre persone. Da un’altra coppia.

Non dimenticherò mai quel tardo pomeriggio di ottobre.

 

Avevo appena terminato le lezioni all’università, così decisi di andare al “Dalia”, il mio locale preferito dove ti servono in inverno una cioccolata calda con tripla panna montata e marshmallow giganti.

Era giovedì, il giorno libero di Pan, perciò non avrei potuto scambiare quattro chiacchiere; andavo di fretta. Dovevo consegnare un pacco a mio padre: come al solito aveva scritto il mio indirizzo come destinatario. Glielo avrei portato più tardi.

Mi sedetti al bancone. Il locale era pieno come sempre, uno dei locali più frequentati da studenti e lavoratori in centro.

“Una tazza di caffè caldo con latte per favore” dissi togliendomi il cappello.

Quello era il mio quarto caffè della giornata.

Tirai fuori gli appunti presi a lezione quel pomeriggio e cominciai a darci un’occhiata veloce; per quanto riguardava gli esami ero piuttosto zelante.

Arrivò il mio caffè caldo, anzi bollente. Volevano bruciarmi le tonsille? Buttai l’occhio sul resto della gente che popolava il locale, ma la mia attenzione fu catturata da una risata. La conoscevo quello risata, o sì che la conoscevo. Era la risata che conoscevo meglio al mondo. Era LUI.

In compagnia. Già, perché non era solo. Non era Goten, no, era una ragazza. Una bella ragazza dai capelli castani. Li vidi appena, lei mi era del tutto estranea. Chi era quella lurida…

“Tè al tavolo cinque” sentii la cameriera che parlava al suo collega. Un momento. Il tavolo cinque era il loro. Dovevo andare a fondo. Ecco che uscii la Marron che tanto odiavo: quella perfida, quella maliziosa portatrice di zizzania. Mia madre me lo ripeteva sempre “Se gli altri sono perfidi con te, tu sii perfida il doppio”.

“Se vuole lo porto io! Sono amaci miei” dissi al cameriere che mi sbolognò senza troppo entusiasmo il vassoio.

Arrivai al loro tavolo, così potei scrutare la bella brunetta dagli occhi color sterco. Ecco, stavo diventando pure volgare e aggressiva: me lo sentivo.

“Il tè per la signorina. I signori desiderano altro?” avevo la faccia come il bronzo.

“Marron?”

“La conosci, Trunks?” disse la ragazza. Volevo sbattergliela in faccia quella maledetta tazza. Davvero volevo ustionare una persona? Magari era solo un’amica, oppure un’altra ex di Goten. Pare fosse arrivato a quota otto. Come faceva? Io a malapena sapevo tenermene uno di ragazzo, che a quanto pare mi stava per l’appunto mettendo le corna “Ci risiamo. Io avevo ordinato del tè nero. Che schifo. Lo vuoi tu?”

“No, a lui fa schifo il tè. Lo beve solo nei dopo sbronza quando ha vomitato anche l’anima. E guarda caso sono io che gli preparo il tè” stavo esagerando? No. Avevo i nervi a fior di pelle. Forse quel mese non avrei fatto in tempo con gli esami. Mi stava salendo l’ansia.

“Senti Nina, io devo andare, anzi dobbiamo andare. Sì, la conosco, è…”

“…la sua fidanzata! Capito stupida oca giuliva? Non ci vengo a casa con te. Perché non vai a casa con Nina? Magari trovate qualcosa di più interessante da fare…”

Prima che potesse scatenarsi il finimondo, Trunks buttò un biglietto da cinquanta sul tavolo, chiese scusa a Nina, e mi portò fuori come fossi una matta schizofrenica da legare.

“Niente scenate isteriche, intesi? Sali” il suo tono non ammetteva obiezioni.

 

Due ore di litigio, per ritrovarmi attaccata alla tavola del cesso con lo stomaco sottosopra; questione di nervi: quando mi agito troppo e lo stress sale alle stelle ecco il risultato.

Alla fine quella Nina, era la figlia di una degli azionisti dell’azienda e bla bla bla, tutte cose economiche di cui non so un bel niente. Studio sociologia, non economia.

“E te che pensavi avessi un’altra. Se avessi un’altra mica mi farei vedere qui in giro alla luce del sole, ti pare?”

“Piantalaaaa! Mi vien da vomitare…” dissi esasperata. Trunks mi raggiunse in bagno e si fermò all’entrata.

“Cosa vuoi buttare fuori? Non hai mangiato niente e… oh cazzo!” fece appena in tempo e sollevarmi la fronte e tirarmi indietro i capelli. Che bella giornata.

“Te l’avevo detto…” ansimai per lo sforzo “ma te…non ti fidi mai…di me”

“Ok, Mary Mary; senti è stata una giornata da buttare nel cesso, usando una metafora, va bene? Lasciamoci tutto alle spalle”.

Fanculo le metafore. Nessuno sapevo quanto lo amavo.

 

“Goten, che devo fare con il tuo amico depresso che fuma sul divano?” la sua voce era urticante. Oppure ero io che non volevo sentire volare una mosca. Come quando ero bambino, quando mamma e papà litigavano; la mattina seguente però tornava tutto magicamente a posto. A otto anni penavo fosse una magia, più avanti ho scoperto la magia del sesso riparatore.

“Perché, mi vuoi cacciare, KARMA?

“KEMBRA! Io mi chiamo così. Quando lo imparerai il mio nome?”

La guardai storto “Mai, e adesso levati che c’è la partita in tv”

“Goteeennn!” si mise ad urlare come un altoparlante. Quanto rimpiangevo Valese…

“Cristo, vuoi farmi saltare i timpani? Perché non lo chiami più forte, magari ti risponde”

“Come ti permetti di prendermi in giro, io sono un’artista affermata, mia nonna ha inventato…” per fortuna arrivò Goten a salvarmi da quella tortura umana. Gli davo una settimana, non di più.

“Dai, adesso basta Kem. Te l’ho detto, non cominciare discussioni con Trunks, non ne vale la pena; soprattutto quando è in questo stato” avevo intuito il tono sarcastico di Goten, il che mi faceva incazzare. Ma io ero l’ospite, quindi dovevo mandare giù tutto.

Finalmente Kembra se ne tornò a casa sua, dopo aver limonato il suo ragazzo per l’eternità. Sapevano che avevano un osservatore? Forse no.

“Bella limonata. Molto teatrale” aggiunsi quando quella stronzetta chiuse la porta.

“Detto da te non so se prenderlo come un complimento; ma davvero vuoi vedere la partita di baseball?” a Goten luccicavano gli occhi: lui venerava il baseball.

“No, cosa te lo fa pensare. Era una scusa per mandare via Karma” dalla sua espressione ci rimase male. Prese il telecomando e accese la tv.

“Si chiama Kembra: azzecca il nome per una volta, magari è quella giusta e mia madre la finirà di contarmi le ragazze con cui esco. Spegni la sigaretta, Gohan poi se ne accorge” disse Goten aprendo due bottiglie di birra “ha tipo un quadruplo senso. Alle volte mi chiedo se siamo davvero fratelli!”

In effetti quella era la casa di Gohan. Lui e Videl erano fuori per il week end.

Andai in cucina e buttai il mozzicone nella pattumiera; aprii il frigo mezzo vuoto e presi una bottiglia di birra. Effettivamente se non si conosceva Gohan, era inimmaginabile pensare che Goten fosse suo fratello. La partita stava per cominciare. Goten prese posizione sul divano.

“Che ne dici di pizza surgelata e birra, amico?” gli proposi, mandandomi giù mezzo litro dalla bottiglia.

“Ottima idea, ci sono delle pizze nel congelatore, ma prima che finisca il prepartita, toglimi una curiosità Trunks. Hai una casa tua e quella dei tuoi, perché hai deciso di venire qui?”

“Goten, è una domanda idiota. Te non vivresti due giorni in quella casa, fosse solo per guardare il sedere di mia sorella” dissi sedendomi accanto a lui.

“Se vogliamo dirla tutta, nemmeno quello di tua madre è da buttare…no?!”

“Goten, te guardi il culo di mia madre?” dissi. Quasi quasi mi stava scappando un sorriso. Non sorridevo da giorni, da quel giorno.

“Assolutamente no…ops, la partita sta per cominciare. Facciamo che non ho ti ho detto nulla” mettendosi le braccia dietro la testa.

“Toglimi una curiosità: con Kembra, hai superato la prima base o hai fatto touch down? Perdona la metafora, ma io non seguo il baseball”.

“Ti stimo e ti odio allo stesso tempo. Te si che mi capisci, amico!” Goten si voltò con un sguardo mogio e depresso, peggio del mio a momenti “No! Ho fallito: ho fatto touch down!”

“Va bene, non te l’ha data. Scarta Karma, o Kembra come si chiama. Ti conviene scaricarla”.

 

“Dove è andata Valese?” chiese Marron.

“Via. Ha detto che ha il coprifuoco prima della mezzanotte, altrimenti i suoi si arrabbiano” rispose Goten tornando a prendere posto. A Marron scappò una risata acutissima. Troppi drink?

“Oddio, mi raccomando, ricordati di prendere la scarpetta di cristallo. Magari l’ha mollata davanti all’uscita del locale. Ma quanti pensano che abbia? Povera Valese!” quella sera era particolarmente felice e spensierata. Quella sera si trovavano al Moody’s, uno dei locali notturni più in e cool di tutta la città. Le prevendite Trunks se le era accaparrate facilmente. Erano lui, Goten, Marron, Al (un collega di Trunks, suo caro amico), la “Cenerentola Valese” e Bra. Bra non era ancora maggiorenne ma il fratello grazie alle sue conoscenze era riuscito a metterla nella vip list.

Al raggiunse Goten e Marron con quattro Cosmopolitan e un whiskey. Marron prese con foga il suo drink.

“Stasera mi sento raggiante! Non so il perché…”

“Non sarai mica incinta, Mary Mary!” esordì Trunks baciandole i capelli e sedendosi vicino ad Al. Poco più indietro arrivò Bra: indossava un vestito a lustrini rosso che metteva in risalto i suoi occhi e la sua pelle giovane e diafana.

“Questo posto è assurdo. Mamma me lo aveva detto. Papà sa che sono qui?” prese posto accanto a un Goten sconsolato per la mezza bidonata di Valese.

Trunks appoggiò il braccio sulle spalle della sorella; diceva sempre che era un impiccio, insopportabile, ma le voleva un bene dell’anima.

“Stai scherzando? Mamma ha giurato che sarebbe stata muta come un pesce” le disse Trunks.

“Certo che sei fortunato, amico. Circondato da due ragazze del genere faresti invidia a tutti” disse Al scolandosi il suo Cosmopolitan.

“Già, le donne della mia vita” fece l’occhiolino a Marron, e lei ricambiò.

“Marron, me lo daresti un bacio?” ecco che Goten venne fuori con le sue brillanti idee. Perché Valese non era lì con lui? Maledetto coprifuoco.

“Non ricordi, piccolo Son: abbiamo già provato a baciarci quando avevano poco più che nove anni! E la cosa ha fatto abbastanza pena per entrambi” Marron si mise a ridere e continuò a punzecchiare Goten con vecchi aneddoti della loro infanzia. A loro si unii anche una Bra alquanto incuriosita.

“Ehi, posso farti una domanda? Ma quella è davvero Marron? Stasera è una bomba ad orologeria!” disse Al avvicinandosi al suo capo con il quale aveva un rapporto molto stretto.

“Che ci vuoi fare, è lunatica. Mi fa perdere la testa” aggiunse Trunks, allentandosi il nodo della cravatta. Effettivamente Al non aveva tutti i torti: coda alta, frangia leggermente spettinata, minigonna corta, top striminzito che lasciava soltanto spazio all’immaginazione. La sua MARRON era una favola. LEI era sua.

Fu proprio la voce di Marron a riportarlo sulla Terra.

“Ehi tesoro, ti ricordi quella volta che Goten perse quella scommessa delle lumache? Dovette mangiare per penitenza tre lumache vive! Oh mamma, una scena orribile!”

“Che schifo” aggiunse Bra guardando Goten come se sulla fronte avesse scritto “HO MANGIATO LUMACHE VIVE”.    

Trunks si guardò attorno “Ma, qualcuno sa dov’è Valese? Si è persa?”

“Se n’è andata. Deve tornare a casa prima di mezzanotte” aggiunse Goten sprofondando nel divanetto in pelle. Tutti si misero a ridere.

Ad un tratto arrivò al loro tavolo un giovanotto tutto ben vestito, sicuramente con le tasche piene di grana. “Scusate, posso chiedere a quello splendore in rosso se vuole ballare con me?”

A Bra le se illuminarono gli occhi: adorava essere al centro dell’attenzione. Si alzò dal tavolo, scivolando via agile fra le braccia del fratello.

“Ecco, pure le sedicenni si divertono più di me!” Goten cominciò a lagnarsi.

“Davvero tua sorella ha solo sedici anni? Non oso immaginare fra qualche anno…è divina” disse Al “anche se preferisco la madre!”

“Ehilà, che fai Al, me le freghi entrambe? Per me sarebbe una liberazione!”

Al era sempre stato un tipo diretto a cui piaceva il pericolo, non era un tipo ordinario. Marron si alzò, si aggiustò la minigonna anche se Goten era riuscito a scorgere della biancheria nera in pizzo; per poco non ebbe un mancamento.

Si sedette vicino a Trunks. Al tirò fuori un pacchetto di sigarette e disse a tutti di usufruirne. Marron ne prese una, seguita da Trunks che gliela accese. Goten non fumava. Era ancora imbambolato dalla vista delle mutandine di Marron. Catalessi totale.

Al prese il posto di Marron, vicino a Goten “Eppure all’inizio non avrei scommesso niente su voi due; come coppia intendo. La bionda tutta perfettina e l’amministratore delegato in giacca e cravatta. Siete una strana coppia”.

“Cosa te lo fa pensare? Io perfettina, per favore. Ha sedici anni ho gareggiato alla gara liceale di rutti” disse Marron finendo l’ennesimo drink.

“Che classe Mary Mary” aggiunse Trunks sorseggiando piano il suo Jack Daniel’s.

“Insomma Trunks, ti avrei visto meglio con un’altra; ad esempio Seila? Lei era proprio spudorata, oserei dire porca. Senza offesa Marron, te sei meglio: se una ragazza di classe.

“Posso essere anch’io come Seila, che ci vuole?” Marron aveva preso il commento di Al come una specie di sfida personale. Appoggiò la sigaretta sul posacenere in cristallo.

“Al, perché non me la fai conoscere?” disse Goten.

“Assolutamente no. Al, tienilo lontano da “Seila la sanguinaria” Trunks si mise a ridere seguito dal collega.

Eppure Marron se la ricordava benissimo. Seila. Quando Marron frequentava ancora l’ultimo anno di liceo, Trunks usciva con Seila. Corpo da urlo, capelli curatissimi, unghie smaltate alla perfezione. Aveva sempre provato una tale invidia per quella ragazza. Ma ora lei seduta accanto a lui. Seila non c’era. C’era LEI.

“Senti Al, voglio proporti una scommessa. Se vinco io, paghi a me e alla mia coinquilina tre mesi di affitto. Ci stai?” allungò la mano verso Al.

“Non ti dò la mano, se prima non so di che scommessa si tratta. Avanti Marron, che vuoi fare? sono curioso. Aggiungo: molto molto curioso”.

Colpa dell’alcol, colpa dell’euforia del momento: Marron si tolse il copri spalle mentre Trunks si mise a ridere sommesso. Avrebbe vinto lei.

“Come hai detto Al, Seila era quella per me? Forse ti sbagli amico” appena finì la frase, Marron si mise a cavalcioni sulle sue gambe; era divertita. Si stavano divertendo come dei matti, come degli adolescenti. Le loro bocche si scontrarono in un bacio appassionato, vorace. Praticamente si stavano divorando. Trunks cinse la sottile vita di Marron e la strinse di più a sé.

Ora sì che Goten vedeva gli slip in pizzo di Marron.

“Hai capito la coppia di perfettini” aggiunse Al, come se stesse guardando una programma tv, in diretta però.

Trunks lo sentiva. Era rimasto via cinque giorni, e questa era la reazione della sua ragazza; i loro corpi erano calamite. Per fortuna erano nella zona privé fuori da occhi indiscreti, tranne quelli di Al e Goten.

Marron non si era mai comportata così. Doveva essergli mancato tanto. Non poteva stare senza quella bomba dai capelli biondi.

Il bacio finì. Al capii tutto al volo.

“Ehi Goten, vieni con me. Andiamo a prenderci qualcosa da bere. Magari c’è anche Seila” Trunks gli fece un segno di sì con la testa. Ora erano da soli.

“Mi sei mancato tanto, lo sai vero?” disse Marron, ancora seduta sulle sue gambe. Appoggiò la testa nell’incavo tra la spalla sinistra e il collo di LUI. Il suo profumo.

“Lo so, piccola. Per colpa dello stress ho ricominciato a fumare. Che palle, avevo giurato che non ci sarei ricaduto” ammise accarezzandole le scapole nude.

“Che ci vuoi fare? È una dipendenza. Tu sei la mia dipendenza; perché credi mi sia vestita così stasera?”

“Per me sei sexy anche in pigiama, però devo ammettere che stasera mi attizzi parecchio. Dove vuoi andare dopo?” un gridolino di piacere uscì dalla bocca di Marron.

“Facciamo così, prima che mia sorella torni” con mani veloci, Trunks sfilò le mutandine di Marron e cominciò ad armeggiare con le dita sotto la minigonna. Sentii subito il corpo della ragazza irrigidirsi di piacere “Appoggia la testa sulla mia spalla…ok” Marron sibilò un gemito di piacere “fa’ piano. Cinque giorni: sono passati troppo lentamente. Non ce la facevo più”.

“Non parlare…ora siamo qui…è questo quello che conta, no?” disse Marron affondando le unghie sul suo collo.

“Sì, siamo qui. Merda, cominci a bagnarti…no, che fai. Aspetta!” dissi sottovoce. Marron stava per slacciare la cintura dei pantaloni quando Bra torno al tavolo mezza rintronata.

“Ammazza, quel tipo ci sapeva proprio fare. Ci siamo pure scambiati i cellulari. Che hai fratellone, hai una faccia strana?”

“Nulla. Sono contento per te, sorellina”.

 

Verso le quattro e qualcosa uscirono dal locale. Goten ubriaco marcio, correva dietro a tutte le ragazze, mentre Al se ne stava là impalato, anche lui mezzo alticcio a ridere di gusto.

Bra invece era più lucida che mai; era la prima volta che frequentava “luoghi per adulti”. Lunedi a scuola si sarebbe vantata con le sue compagne di classe dicendo che era stata al Moody’s. Chissà che faccia avrebbero fatto. Il suo sguardo però venne catturato da due ragazzi che si baciavano appassionatamente contro un muretto del locale, circondati da gente che urlava mezza ubriaca. Riconobbe subito la sagoma di suo fratello, alto, possente, protettivo nei confronti della sua ragazza. Sì, LUI e LEI erano fatti per stare insieme.

 

“Perché proprio il parco giochi. Io volevo andare al karaoke” sbuffò Pan sopra lo scivolo “non abbiamo più l’età da giardinetti pubblici, mi sembra”.

Il parco era pressoché deserto. Ero seduta su un’altalena, mentre Bra occupava quella affianco “Piantala Pan, ci andremo un’altra volta al karaoke; magari quando Marron non è in procinto di tagliarsi le vene”.

“Cosaaa? Non dire idiozie Bra. Marron non farebbe mai una cosa del genere. Vedrai che le cose torneranno a posto. È solo questione di tempo” disse Pan. Lei sì che vedeva sempre il bicchiere mezzo pieno in tutto.

“Non ho intenzione di farla finita per un ragazzo…”

“Marron…non è solo un ragazzo. Io so quanto lo ami. Vi ho visti quella sera al Moody’s. Vi serviva soltanto una camera d’albergo!” disse Bra cercando di usare dell’ironia.

“So che per te deve essere difficile vedere Trunks afflitto, ma sono problemi nostri. Tocca a noi due trovare una soluzione. Fammi un favore: quando torni a casa non dirgli dell’incontro con me oggi, okay?”

Bra si mise a ridere a squarciagola; una risatina isterica, molto sgradevole “Forse mia cara Marron devi ancora capirlo. Pensi davvero che mio fratello sia a casa? Se vuoi saperlo, non c’è. E nemmeno nel suo appartamento in centro, ho controllato stamattina io stessa. Pan? I tuoi genitori sono fuori per il fine settimana, giusto?”

“Esatto, mio padre ha un’altra di quelle noiosissime conferenze. Ma certo! Ora chiamo quel bastardo” Pan spiccò un salto e scese dallo scivolo.

Cominciavo a non capire. Cosa stavano facendo quelle due?

“Telefonerò al mio amatissimo zietto!”

Cosa c’entrava Goten in tutto ciò?

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Capitolo 3
*** Parte 3 ***


parte 3 racconti PARTE 3

Certo che il giardino di Gohan e Videl non era per niente male; okay, in confronto a quello in cui ero cresciuto io era un buco. Pan deve aver passato una bella infanzia qui. L'erba era coperta da un sottile strato di neve: odiavo l'inverno. Anche se ero un saiyan e il freddo lo percepivo meno degli altri, i cieli grigi e le giornate brevi non mi andavano giù.
"Ho mollato Kembra!" urlò Goten uscendo in giardino. il discorso di prima aveva già funzionato? Probabile, con un tipo impulsivo come Son Goten, nonché il mio migliore amico dall'età di otto anni.
"Però mi ha riattaccato mandandomi a quel paese!"
"Perché scusa, doveva dirti grazie?" risposi sedendomi sotto le tettoia innevata. Goten si sedette accanto a me. Tirai fuori dalla tasca della felpa un pacchetto di sigarette; Goten scosse la testa.
"Solo una, promesso" dissi accendendola.
"Sei stato tu oppure è stata lei?"
"Cosa?" chiesi sgranando gli occhi.
"Intendo dire, chi ha mollato chi. Tu penserai che io sia stupido Trunks, ma quello che ti ho detto poco era una balla. Non ho mollato Kembra, e non lo faccio perché me lo ordina qualcuno. Sai Trunks, quella sera al Moody's, prima che mi ubriacassi come una spugna, ho visto una Marron diversa: felice, volenterosa. Secondo me è stata opera tua. Insomma avete caratteri opposti, ma in fondo fondo siete complementari!"
Mi lasciò basito. Non aprii bocca per controbattere. Solo sentire pronunciare il suo nome, mi venne in mente la sera al Moody's: Dio quanto era bella, In quell'istante sarei morto per lei. Chissà cosa stava facendo ora.
"Sei Goten, oppure sei Gohan travestito da Goten? Belle parole amico. Grazie" difficile che fossi io a ringraziarlo; molto spesso capitava il contrario.
"Figurati" si alzò e si stiracchiò "dici che funzionano quei cerotti per smettere di fumare? Io devo andare a comprare i preservativi; così prendo due piccioni con una fava. Niente più touch down con Kembra!"
"Comparli, tentar non nuoce".

"Marron, la colazione è pronta scendi!" la voce squillante di mia madre mi svegliò. Avevo dormito malissimo. La sera prima aveva telefonato a Sue dicendo che sarei tornata a casa dei miei perché mio padre stava poco bene; bugie a fin di bene. Mio padre stava meglio di me.
"Arrivo subito, mi vesto e scendo" dissi. In realtà scesi ancora in pigiama. Erano solo le sette e mezzo del mattino e stavo morendo dal sonno. Quando ero a casa di Trunks capitava che alla mattina ci svegliavamo a mezzogiorno passato.
Salutai mio padre nascosto dietro al giornale, in divisa pronto per andare a lavoro.
Mia madre mi spiattellò in faccia uova e bacon.
"Posso avere solo una tazza di caffè. Ho mal di pancia" dissi con voce fiebile. Mia madre non ci cascò e disse che dovevo mangiare per rimanere in forze: contraddire mia madre era alquanto pericoloso.
"Suvvia cara, se non ha fame pazienza. Che hai piccola?" odiavo quando mio padre prendeva le mie difese e mi trattava come se fossi ancora una bambina.
"Nulla, ho soltanto il ciclo!" mi giustificai. Bugia. Mia madre sapeva che prendevo la pillola regolarmente.
"Balle. Che c'è, sei incinta?" mia madre rincalò la dose. Mi stava facendo saltare i nervi.
"Cara, ma che dici? Oddio, Marron aspetti un bambino?" buttò a terra il giornale.
"No, no e no. Non ho il ciclo, non sono incinta e non ho fame. Scusate, ma vado da Bra" mi alzai, andai in camera per vestirmi. Aprii l'armadio e qualcosa cadde sul pavimento: un pezzo di un costume. Oddio, era la mia brasiliana. Quel costume mi riportò indietro a qualche mese prima. Agosto. Mare. Sole. Sabbia. Sesso.
Stavamo insieme da qualche mese e...

Stavamo insieme da fine maggio, ufficialmente. I miei lo sapevano e anche i suoi; e poi eravamo grandi e vaccinati per una relazione seria.
"Marron, ma quanto ci metti. Il bagno è uno solo!" Bra continuava a bussare alla porta con insistenza. Lei non era abituata avendo a casa un bagno grande quanto la mia stanza da letto privata tutta per sé.
"No io non esco, mi vergogno. Insomma sul manichino era un'altra cosa, ma adesso mi sento a disagio!" dissi. Mi stavo fissando al piccolo specchio al muro; l'altro ieri ero andata al centro commerciale a fare shopping con Bra, aproffitando dei saldi estivi. Lei aveva insisistito per comprarmi un bellissimo costume due pezzi celeste a pois; peccato che gli slip fossero un po' troppo...stretti? Io non avevo mai indossato una brasiliana. Inoltre ieri Bra mi aveva  accompagnata dalla sua estetista di fiducia, che mi ha fatto un ottimo prezzo e mi ha depilato tutta la...insomma pareva che avessi il pube di una undicenne. Ma le parole di Bra era state irremovibili "VA DI MODA, CORRODOIO LIBERO". Aveva paragonato la mia vagina ad un corridoio?
Finalmente aprì la porta, e Bra mi squadrò dalla testa ai piedi "Ti prego, i codini all'indiana no, capelli sciolti, selvaggi!"
"Ma io e Trunks siamo già fidanzati, insomma a lui piaccio come sono" dissi mollando i codini.
"Vedrai che non sdegnerà neppure questo".

Era una giornata calda e afosa. Pan era già in acqua a nuotare: amava gli sport. Anch'io volevo essere sportiva, ma il mio hobby erano i libri, i film, i gelati e i divani.
Goten e Valese stavano mangiando un cono in riva alla spiaggia. Lui la faceva ridere; la risata di Valese era stranissima.
"Ehi bellezza, bagno oppure cocktail con ombrellino? Maledizione, il costume ti sta divinamente e..." qualcuno venne in mio soccorso e io misi a ridere: era Bra.
"Al, giù le mani da Marron. Che fai ci provi?"
"Assolutamente no; però, nemmeno tu sei da me. Quel bikini nero ti dona"
"Grazie, tutto quello che indosso mi calza a pennello. Io vado a raggiungere quella selvaggia di una Pan. Pan, sto arrivando, e niente schizzi!" urlò Bra fino al bagnoasciuga.
Raggiunsi Al sotto il piccolo ma accogliente ombrellone di paglia. La cugina di Al, Zaira (che fra l'altra frequentava la mia stessa facoltà all'università) mi salutò con un sorriso a trentasei denti, poi tornò a mettersi lo smalto fucsia sulle unghie dei piedi.
Indossava una conatta bianca e un paio di shorts in jeans; aveva la pelle talmente chiara e sensibile che bastavano dieci minuti al sole per scottarla.
"Quanto adoro l'ombra! Allora, come stai Marron? Come sei messa con il piano di studi?" mi chiese Zaira porgendomi un cocktail ai frutti di bosco.
"Grazie. Non molto bene, ci sono ancora un paio di esami che devo ridare. Sono abbastanza tosti" risposi cercando Trunks con lo sguardo. Dove era finito?
Finalmente i miei occhi lo videro. Indossava un paio di bermuda beige e una camicia stile hawaiano aperta sul davanti, facendo sì che gli addominali scolpiti si notassero. Portava un paio di occhiali da sole alla moda: chissà quanto li erano costati. Stava parlando al telefono. Pareva una visione.
"Problemi di lavoro?" mi avvicinai ad Al. Lui scosse la testa continuando a sorseggiare la sua birra ghiacciata.
"No, soltanto un cliente cretino rompi palle che vuole tutto e subito. Anche se l'azienza è chiusa per ferie, Trunks riceve le telefonate di azionisti ed imprenditori. Bella rottura, non lo inviduo"
"Sì, ma lui è il capo" aggiunse Zaira.
"Soltanto per il cognome che porta" puntualizzò Al dando un pizzicotto sul polpaccio di Zaira.
"Attenzione, lotta fra cugini. Ehi Al, se richiama il tizio della ProjectSpa, digli che sono occupato in altri affari. Nemmeno le ferie posso godermi, inoltre quelli di Skyonline pretendono il 15% del fatturato..." si bloccò di colpo "te vuoi farmi pigliare un colpo nemmeno a trent'anni! Sei...sei..."
"Troppo carini, gli mancano le parole" aggiunse Zaira soffiando sullo smalto fresco.
"Sono Marron con un costume comprato da tua sorella. Sono Marron, che è quella faccia da ebete?" dissi ridendo vendendo la reazione di Trunks.
"Attenzione, qui ci scappa un'erezione...ops" Al non riusciva mai a tenere la bocca chiuse; si beccò una pacca sulla spalla da Zaira.
Trunks si ricompose. Mise giù il telefono e si sedette vicino a me.
"Allora Mary Mary, come vanno gli studi?"
"Primo, non chiamarmi Mary Mary e secondo chi ha voglia di fare un bel bagno. Io mi sto sciogliendo.

Camminavamo in riva al mare. Gli occhiali li aveva messi sopra la testa; i capelli gli stavano crescendo a vista d'occhio e si intravedeva una barbetta incolta. Un look nuovo, che non gli avevo mai visto. Stava una favola.
"Come mai hai già preso colore?" domandai sedendomi sulla sabbia calda bagnata dall'acqua del mare.
"Viaggio di lavoro alle Barbados: ci sono una settimana ma un po' di relax me lo sono concesso. Magari alla prossima convention postresti venire con me, che ne pensi?" si tolse la camicia hawaina e si sdraiò prono "Ti piacerebbe venire con me?"
"Più di ogni altra cosa" risposi portandomi le ginocchia al petto. Mi sentivo strana. Erano poco più di due mesi che stavamo insieme e sì...non avevamo ancora fatto sesso. Sapevo che quel week  end al mare sarebbe stata la giusta opportunità, ma lui non faceva pressioni. Non aveva fretta.
"Ehi, che c'è? Ti vedo pensierosa?" disse mettendosi seduto "c'entra qualcosa quello che ho detto poco fa?"
"No, figurati, anzi sarebbe un sogno poter stare  una settimana intera insieme a te" sentivo qualcosa che si aggrovigliava all'altezza del basso ventre. Erano una sorta di impulsi.
"Meno male. Dai, alzati si va"
"Dove?" domandai imbambolata.
"A fare il bagno. Fa un caldo. Forza, andiamo" mi prese per mano ed entrammo in acqua: era gelida, ma bastarono pochi minuti affinché il corpo si abituasse alla temperatura.

"Non dirmi che è come il mare delle Barbados, perché non ci credo" dissi uscendo dall'acqua, strizzando i capelli. avevamo nuotato un bel pezzetto ed eravamo arrivati su un isolotto scoglioso. Mi sedetti sullo scoglio, mentre anche Trunks uscii dall'acqua e si sedette vicino a me.
Il sole stava per calare.
"No, ma la vista qui è meglio" disse sdraiandosi puntando i gomiti.
"Che vuoi dire?" chiesi legandomi i capelli fradici in una coda spartana. Più lo fissavo, e più quella strana sensazione cresceva, cresceva, cresceva.
"Intendo dire che la meraviglia ce l'ho proprio affianco a me. Ti dico la verttà, come corteggiatore faccio veramente pena. Non ci credi? Inutile che ridi, è la verità!"
"Rido perchè chissà a quante ragazze hai propinato lo stesso identico discorso!" io ridevo, lui no. Era molto serio e convinto di quella che aveva detto.
"Io credo di amarti" dissi all'improvviso. Ecco cosa era quella strana sensazione "ti ho amato anche quando da bambino mi prendevi in giro perchè ero una tappetta, perchè avevo i brufoli, perchè portavo l'apparecchio ai denti. Come potevo non amare quel bambino vanesio e borioso che voleva sempre aveva ragione? Ora però quel bambino non c'è più: al suo posto c'è un uomo. Forte, intelligente ed è pure bello. Credo, anzi, togliamo il credo...IO TI AMO".
Facemmo l'amore sugli scogli fino a sera.

Quel pomeriggio mi sentivo strana. Passai un sacco di tempo sdraiata sul mega letto di Bra, come se fossi da un'analista. Lei era seduta alla scrivania mentre studiava per il compito di matematica. Ad un tratto il cellulare di Bra squillò; era sopra il comodino affianco al letto.
"Rispondi" mi disse distrattamente "ma se è Cody non rispondere".
"Come vuole, sua altezza" presi il cellulare e sul display lessi un nome: GOTEN.
"Allora, rispondi oppure no?" mi esortò Bra.
"Ma è Goten...io" Bra si alzò e premette il tasto di chiamata e mise la modalità vivavoce "Pronto citrullo, sei tu?"
"Pronto? Ah, ciao Bra. Posso farti una domanda? Perchè Pan mi ha chiamata sette volte? Sono preoccupato: è successo qualcosa?"
Bra mi indicò di prendere in carico la chiamata. Cosa dovevo fare? Bra mi appiccicò il telefono all'orecchio.
"Ciao Goten, sono Marron. Bra in questo momento sta studiando e..."
"Non sono Goten..." riconobbi all'istante la voce. Riattaccai immediatamente. Bra e Pan avevano ideato un piano e avevano fallito.
Ero arrabbiato, confusa "Voi due, siete solo delle ragazzine. Cosa volete saperne? Io e Trunks ci siamo mollati, punto e basta. Mi hai deluso, e anche Pan: mi avete deluso entrambe. Ora me ne torno a casa".
Tornai a casa in bus. Non andai dai miei, ma andai nel mio appartamento che condividevo con Sue. Salì le scale, perché come sempre l'ascensore era guasto. Presi le chiavi dalla borsa, e mi bloccai all'istante.
Davanti al portone del mio appartamento c'èra colei che aveva mandato tutto a puttane.
Occhi di sterco: Nina.



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Capitolo 4
*** CAPITOLO 4 ***


CAPITOLO 4 Che cazzo ci faceva quella troietta davanti casa mia? Per fortuna Sue era ancora dai suoi genitori per passare le feste, quindi potevo sbraitare quando volevo, sempre se il padrone di casa non mi dava il benservito. Indossava una costosissima pelliccia, unghie laccate di rosso e rossetto dello stesso colore: la sua borsetta costava un occhio della testa. Io che faticavo a trovare lavoro, volevo prendere a sberle quella figlia di papà: così maledettamente perfetta.
"Ciao, sono qui per..."
"Non mi interessa, e ora smamma" dissi inserendo le chiavi nella toppa. Nina si agitò cercando di in qualche modo di farsi notare e sentire.
"Ascolta, mi spiace per quello che è successo, ma è stato solo un bacio: fidati della mia parola!"
"Cosa dovrei fare io? Ma fammi un piacere, come minimo te lo sarai scopato sì e no due volte quel giorno...meglio che dimentichi cosa è successo, altrimenti di spacco quel bel faccino da angioletto!" ero nervosa, stavo perdendo la calma. "Non siamo andati a letto insieme, se è quello che vuoi sentire. Lui mi aveva detto che aveva già una ragazza, e dopo la sceneggiata del bar ho cominciato a fare due più due: Trunks ti ama davvero. Confesso di essere invidiosa di voi due...beh, credo di averti detto tutto. Io vado" Nina scese le scale, e il ticchettio dei suoi tacchi a spillo rieccheggiò fino all'androne principale. Poi chiuse il portone.

Dovevo ammettere che Marron mi mancava; mi mancavano i suoi sbalzi d'umore, le sue freddure, il suo sorriso dopo che abbiamo fatto l'amore; lei era un'eterna ragazzina. E a me piaceva proprio per questo. Vidi Nina uscire dal palazzo. Mi venne in contro in tutta fretta.
"Pare molto arrabbiata...io le ho detto tutto, che è stato solo un bacio in ufficio e fatalità lei si trovava lì in quel momento, e poi..." la zittii alzando una mano.
"Sai una cosa? Credo che tu possa andare. Non sai quanto mi sono sentito una merda quel giorno in ufficio. Quando ho visto la sua faccia, la terra sotto i miei piedi è scomparsa. Tieni i soldi per il taxi. Il tuo compito qui è finito, grazie".

Forse quel giorno non sarei mai dovuta andare in ufficio a trovarlo. Che stronzata immane. Nina in un bellissimo completo elegante che baciava Trunks tenendolo per la cravatta.
"Siete due emeriti strozi!" urlaii, buttando a terra le ciambelle al cioccolato che avevo portato: quelle preferite di Trunks. Il giorno dopo lo mollai.


Suonò il campanello: che cosa voleva ancora quell'oca giuliva?
"Vattene via!" urlaii senza accostarmi allo spioncino.
"Marron, sono io. Ho bisogno di parlarti" era Trunks. La sua voce aveva sempre avuto il potere di sciogliermi o rendermi completamente ebete "Pensi che Nina sia venuta a porgerti le scuse di sua spontanea volontà? Avanti, aprimi..." così era stato lui a convincere quella sciacquetta a porgermi le dovute scuse: non sapevo se aprire la porta e correre fra le sue braccia, oppure...optai per la secondo opzione.
Aprii la porta e lo sferrai un bel pugno assestao in pieno volto. Non che gli avessi fatto qualcosa, perchè mi ritrovai con la mia mano destra dolorante: pulsava in una maniera allucinante.
"Bel gancio destro. Fatta male?" mi domandò, ricomponendosi e scrutando il mio viso
"Hai pianto" disse. Il mio eye-liner e mascara non tradivano di certo.
"Cosa se venuto a fare qui?" dissi stringendomi la mano destra. Faceva un male cane.

Arrivammo al mio appartamento poco prima delle cinque; lei completamente sbronza, io mezzo ubriaco (l'alcol lo reggeva sempre meglio di lei, sia chiaro).
"Ho voglia di gelato..." disse buttandomi sul divano con le gambe all'aria: quando era ubriaca assumeva sempre delle pose piuttosto bambinesche. Mi misi a ridere.
Sapevamo entrambi che di gelato non ce n'era, ma Marron quando era ubriaca aveva sempre voglia di gelato; oppure quando era depressa, oppure quando aveva il ciclo.
"Quale gusto preferisce, madmoiselle?" chiesi aprendo il congelatore tanto per fare scena; non la smettavamo di ridere. "Tanto cioccolato, con tanta panna montata. Quantità sufficiente in cui ci possa fare il bagno" mugugnò rigirandosi su se stessa.
Era una bambina: sì, una bambina con la capacità di farmi arrapare di brutto. Il punto era che, quando si sbronzava, divetava di una schiettezza allarmante e cominciava a fare domande stupide, tipo da dove veniamo, chi siamo e come saremo. Stronzate del genere, ma quella volta se ne uscì con una domanda secca che mi lasciò senza replica diretta, il che era raro.
"Cosa ci trovi in me?" lo disse fissandomi quasi con tenerezza, e fu in quell'istante che mi venne in mente la Marron bambina, quella senza trucco, senza intimo sexy, con quel fare impacciato che mi aveva sempre fatto incazzare. Goten, mio migliore amico da sempre, lo consideravo come un fratello, ma lei: con il passare degli anni mi accorsi veramente di provare qualcosa per Marron, la ragazzina con le treccina che ci seguiva come un'ombra umana.
"Cioè, sei troppo perfetto; ho visto delle ragazze al Moody's che non ti toglievano gli occhi di dosso... insomma, Cristo Santo, facevamo il bagnetto insieme!"
"Se è per questo quando si è bambini, si fa quasi tutto insieme. Non ti piaceva?" risposi sarcastico.
"No! Neanche un po'. Eri piuttosto stronzetto; e Goten che cercava di copiare ogni tua parola senza riuscirci"
"Lo so..."
"E adesso sei ancora più stronzo, meno supponente però, questo devo riconoscerlo. Quando avevi nove anni mi ha fatto vedere il tuo pisello. Solo quando voi maschi crescete cominciate a venerlo come un Dio, non ne capisco il senso, io non venero la mia passera"
"Tu me l'hai chiesto, e io l'ho fatto..." mi sdraiai vicino a lei e incrociai le braccia dietro la testa: doveva confessarsi? Capii che la cosa poteva andare avani per molto. Interpratai la parte del comprensivo, quello che annuisce sempre. "Ciò dimostra che quando siamo bambini, siamo più spudorati. Praticamente non avevamo pudore" disse voltandosi, come per cercare conferma.
Ma che cosa aveva quella sera? Era molto meno passiva e più aggressiva delle altre volte: le avevo fatto qualcosa? Dovevo pagarla? Anche il fatto che avesse tirato fuori di nuovo il discorso di Seila, accettato la scommessa di Al, la dipingevano in maniera diversa: un suo lato che stavo cominciando ad apprezzare. Ok, Marron non era mai stata un agnellino, ma quella sera al Moody's mi sembrava diversa.
Ero stato via soltanto cinque giorni. Davveri bastava meno di una settimana di assenza perchè si lasciasse far fare un sega in pubblico e venirmi in mano? Allota bastavano solo un paio di giorni. Ero immerso nei miei pensieri, che nemmeno mi accorsi che mi stava fissando con quegli enormi occhioni da bambola.
Bastarano tre parole e un gesto a riportarmi con la coscienza là dove mi trovavo. Forse era l'alcol che rallentava i movimenti e perfino le parole.
"Mi sei mancato" poggiò la mano sul mio pisello, che tanto idolatravo stando alle sue parole.
"Te vuoi scherzare col fuoco..." cercai di ridere, ma non credo che le stesse giocando, almeno per come intendevo io. "Veramente è un gioco che mi ha spiegato una mia compagna di corso, non è la mia coinquilina, altrimenti si sarebbe già fatta mezzo palazzo..." disse posizionandosi sopra di me.
Perfetto: sapevo che la sua coinquilina era un poco zoccola, me lo aveva detto Marron in persona. Però un banalissimo movimento mi stava mandando fuori di testa "anche se questo gioco l'ha inventato la mia coinquilina, quindi alla fine è come se me l'avesse detto lei di persona, giusto?"
"Va bene, ma..." era una tortura. Sia metaforicamente che concretamente, mi aveva per le palle. Non era una sensazione tanto piacevole. Alla camera da letto io di certo di non ci arrivavo. Era da perdere la testa.
"In teoria, in questo gioco chi sta sotto, cioè in questo caso te, non potresti toccarmi. Ho io il controllo, perciò..." disse sgranando quegli occhi iniettati di malizia.
Che aveva fatto in quei cinque giorni? Il "in teoria" e il condizionale faticavano ad entrare nel mio dizionario, figurarsi quando la tua ragazza stava per farti una sega.
"Mi dai due secondi?" in un istantante la gudai verso la mia imminente erezione: d'altro canto, aveva fatto tutto da sola; ormai ero arrivvato al limite della sopportazione. La cosa strana, erano i ruoli: Marron che mi faceva un pompino? Ma quando mai. Le ragazze come lei appartenevano ad un altro rango, di sicuro non era la tipa che ti faceva un regalino nel vicolo sotto casa.
Oddio, mi pareva di toccare il cielo con un dito. D'accordo, non era nel mio stile, non ero così maschilista in fondo. Dopo qualche minuto le venni in bocca. Dopodiché nessuno dei due riusciva più a capire niente. Marron cominciò a spogliarsi con una lentezza pazzesca, e la vista era spettacolare. La mia Marron. Lei era soltanto MIA.


"In frigo ho solo coca. Sue ci va giù pesante con gli alcolici durante i fine settimana" disse Marron prendendo dal frigo due bottiglie di coca "che poi non sono nemmeno freddissime; più che altro tiepide".
"Ma che razza di coinquilina ti ritrovi?" Trunks abbozzò un sorriso. Alla domanda di Marron, lui aveva risposto con un bacio interminabile. Vorace, aggressivo. E poi erano finiti a fare sesso sul divano, ma non come l'ultima volta.
Perchè ogni volta che vedeva quel maledetto sguardo, non sapeva mandarlo al caldo? Marron ci aveva provato ad oppore resistenza, tipo per tre, quattro secondo massimo.
La ragazza gli porse la lattina, quando una lacrima le rigò la guancia. Piangeva di rado, in pochissime occasioni. Non aveva mai pianto davanti a Trunks e la cosa la mise in totale imbarazzo, che cercò di riccacciare indietro le lacrime che ormai scendevano copiose.
"Ti chiedo scusa..." riuscì a dire fra un singhiozzo e l'altro "forse dovevo mandarti a fare in culo, e invece ci ricasco sempre. Sono una merda!" Trunks le si avvicinò e le prese il mento fra le dita.
"Allora perchè non l'hai fatto? In fondo, questa è casa tua" Marron incrociò i suoi occhi, che al buoi sembravano grigi. Non era felice nemmeno lui. Lo riusciva a capire dagli occhi: gli occhi di Trunks parlavano da soli, lo aveva imparato a conoscere questo suo lato. Come poteva mandarla a fare in culo?
Lui era tornato per scusarsi, e lei aveva accettato le sue scuse. Ora stava nudo, solo avvolto da una coperta sul divano del suo appartamento.
"Non avevo notato che ti sono cresciuti i capelli..." osservò Marron scostando un ciuffo lilla "...non ti stanno male" cercò di sorridere.
"Vorrà dire che mi li farò crescere. Ci tengo a precisare che non sei una merda, e se devi piangere, piangi. So che ad entrambi non piace troppo esternare le emozioni, ma sono sicuro che poi ti sentirai meglio".
"E invece è giusto che io mi senta una merda... tu non puoi capire" si alzò di scatto rivestendosi, ma Trunks la prese per un braccio. Non riusciva a capire il perchè di quella reazione; se non trovava un motivo logico e valido non si dava pace. Era fatto così, alle volte troppo razionale.
"Perchè non posso capire? Ho sbagliato a venire qui? Vuoi dire questo?".
"No...no! Ti prego, non possiamo litigare un'altra volta. Forse è meglio se vai, adesso...credo sia la cosa migliore" Marron si liberò dalla presa e guardò l'ora: le sette meno un quarto. Da lì a mezz'ora sarebbe arrivato.
Doveva vestirsi, darsi una sistemata e farsi una doccia: soprattutto farsi una doccia per eliminare ogni traccia di quel rapporto, che era stato qualcosa di sublime. Ma non voleva cancellare il suo odore dal suo corpo. Il modo in cui la toccava, con cui entrava in lei...
NO. Non doveva più pensarci.
"Quello a cui piace dormire sono io. Ho già capito tutto: aspetti qualcuno" il modo con cui lo disse la spiazzò: neutro e pacato. Troppo neutro. Trunks era un genio nel mascherare ciò che provava, era bravo a recitare, ma con lei non recitava mai.
Marron face di sì con la testa. Non aveva la minima idea di come avrebbe reagito, nel momento in cui, Al, suo collega e amico, sarebbe entrato da quella porta con la colazione.
COMPLIMENTI MARRON, BEL CASINO HAI FATTO, pensò mentre si buttava sotto il getto di acqua calda.

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