Il posto che abbiamo di koan_abyss (/viewuser.php?uid=1023690)
Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.
Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 1 *** Capitolo 1 ***
Capitolo 1
Dicembre 1991
“Diamoci una mossa, Martin ci aspetta,” disse Stuart Brennan mentre il
gruppetto usciva dal ristorante.
Sonny Butrick accelerò il passo, diretto alla macchina, mormorando un
‘ok, Stu’.
Piton lo ignorò, fermandosi ad accendere una sigaretta con calma:
“Voglio passare dal laboratorio, Sonny.”
Il ragazzo si bloccò: “Oh, certo, John.”
Brennan sbuffò: “È tutto a posto, là. I ragazzi hanno tutto sotto
controllo anche senza di te. Martin vuole parlare di contabilità.”
L’uomo diede una strizzata alla donna che aveva al fianco. “Profitti,” chiarì,
con un sorrisetto. Lei ridacchiò.
Piton non si curò di rispondergli. Si incamminò e l’altra donna del
gruppo gli si affiancò prendendolo sottobraccio in un gesto di possesso
che lui accettò con noncuranza.
Piton sapeva che insieme, lui con i capelli lunghi e vestito
completamente di nero, dalle scarpe alla cravatta al cappotto di
sartoria, lei bellissima nella sua pelliccia chiara, bionda e
appariscente, erano di molto sopra le righe; diversi dal resto dei
passanti che affollavano il centro approfittando della pausa pranzo per
lo shopping natalizio. Né l’altra coppia era più sobria: tacchi alti,
completo vistoso. Tutto gridava al mondo quello che erano, secondo lui.
Delinquenti, criminali. Non che fosse un problema, anzi era un effetto
voluto.
“Il nostro ambiente ha le sue regole,” gli aveva detto Martin Eggar una
volta. “Alcune riguardano l’apparenza. Ristoranti costosi, belle
macchine, ragazze disponibili con indosso bei gioielli. È una
manifestazione di potere. È importante che sia così,” aveva concluso,
come spiegando una cosa fondamentale a un bambino curioso.
La bionda accanto a Piton –Rarity- gli era stata presentata dallo
stesso Martin, poco tempo prima. Era una delle tante ragazze che
affollavano il loro ambiente, che finivano a tenere compagnia a uomini
come loro mentre parlavano di affari in locali alla moda e a farsi
scopare in begli appartamenti sul fiume.
Anche Sonny, che era corso ad aprire la macchina, sembrava esattamente
quello che era: una via di mezzo tra un lacchè e una guardia del corpo.
Come Rarity, e altrettanto misteriosamente, sembrava prediligere Piton,
rispetto a Brennan.
Il ragazzo aveva trovato un soprannome per Piton, e adesso in molti lo
chiamavano John Constantine. Il mago che ride.
“Ma John non ride mai,” gli aveva fatto notare qualcuno.
“Be’, ride per prenderti per il culo, no? Come si dice…con scherno,
ecco!” aveva ribattuto Sonny. “E poi, John è un mago, no?” aveva
aggiunto a voce più bassa.
Piton era sempre stato più che attento a non usare la bacchetta davanti
ai babbani, ma attorno a lui accadevano sovente cose strane: oggetti
che sembravano volargli in mano, luci che si comportavano in maniera
bizzarra quando lui era di cattivo umore, quella perenne sensazione che
potesse leggere il pensiero…
Piton aveva lasciato che si diffondesse la voce che era un appassionato
di occultismo. Era incredibile cosa i babbani finivano per accettare
per normale, se si forniva loro uno straccio di giustificazione, anche
tirata per i capelli.
Viveva tra i babbani da quasi dieci anni, ormai, e non finivano di
stupirlo. Né di disgustarlo, sovente. Ma non si poteva dire di meglio
del mondo magico.
Buffo. Aveva passato quasi tutta la vita odiando le sue origine
babbane, facendo di tutto per allontanarsi da Cokeworth, dal proprio
nome e dal sangue sporco che gli aveva donato.
Si era unito al Signore Oscuro e ai suoi Mangiamorte, finalmente parte
di qualcosa, finalmente uguale a tutti gli effetti agli altri
Serpeverde. Tutto ciò che avrebbe potuto allontanarlo dalla decisione
di prendere il Marchio Nero, l’amicizia di Lily, la speranza che lei un
giorno lo amasse, un giorno, era storia passata da tempo.
Finché non aveva ascoltato quella dannata profezia.
L’aveva ripetuta al Signore Oscuro, ma aveva realizzato subito dopo che
poteva essere interpretata in modo da indicare i Potter e loro figlio.
Il figlio di Lily.
Aveva pensato di implorare il Signore Oscuro di risparmiare Lily, ma
qualcosa l’aveva fermato: Lui voleva che Piton spiasse Silente? Così
avrebbe avuto una buona scusa per incontrare il vecchio Preside, e
avvertirlo del pericolo che minacciava Lily.
Ma il signore Oscuro non aveva attaccato i Potter: loro erano appena
stati messi al sicuro con un Incanto Fidelius, che il signore Oscuro
colpì i Paciock, che Silente non era ancora riuscito a mettere al
sicuro.
Il resto era storia: il piccolo Neville, i cui genitori erano morti per
proteggerlo, era sopravvissuto all’Anatema che Uccide. La maledizione
rimbalzò su di lui uccidendo Voldemort.
O almeno, questo era quanto la maggior parte della comunità magica
credeva. Per Silente, le cose erano più complesse.
“Sono certo che ritornerà, Severus, e cercherà ancora il ragazzo.
Dovremo essere pronti.”
A Piton non era piaciuto, quel ‘dovremo’.
Il vecchio mago aveva cercato di legarlo a lui, dapprima facendo leva
sul senso di colpa che avrebbe dovuto provare verso i Paciock: “Che le
tue preoccupazioni siano andate per prima cosa alla tua vecchia amica
ti fa onore, Severus. Ma se tu fossi stato meno selettivo, nella
tua compassione, forse avremmo potuto salvare due vite.”
Ma Piton non provava alcun senso di colpa, verso i Paciock. Se avesse
potuto, avrebbe protetto solo Lily (ma Lily era ormai Lily Potter e i
Potter erano una soluzione inscindibile). Piton immaginava che fosse
proprio lei a sentirsi in colpa, per essere sfuggita al Signore Oscuro,
mentre i Paciock venivano torturati e uccisi davanti al piccolo
Neville.
Ma a lui personalmente sembrava che le cose fossero andate nel miglior
modo possibile: Lily era viva e il bambino dei Paciock aveva sconfitto
il più grande mago oscuro della storia recente, impresa che nessun
altro poteva sperare di uguagliare. Nonostante il disprezzo che
riservava a lui, Piton era convinto che Silente fosse della stessa
opinione.
Il vecchio aveva provato altro per convincerlo.
“Nonostante il tuo atto di coraggio, agli occhi del Ministero sei
comunque un Mangiamorte. Potrei intercedere per te, ma ci sarebbero più
probabilità di successo se accettassi di restare sotto la mia
supervisione. Ho un certo peso, nel Wizengamot, per tua fortuna, e amo
dare seconde possibilità.”
Piton, allora ventunenne, era rimasto sconvolto dalla minaccia
implicita: mettersi al servizio di Silente, o finire ad Azkaban. Lui
non sarebbe riuscito ad evitare la condanna, come i Malfoy, ad esempio.
Non aveva una famiglia alle spalle, né ricchezze, né altri mezzi per
fare ammenda. Il vecchio Preside lo sapeva bene.
“Che cosa…che cosa dovrei fare?” aveva chiesto, agghiacciato.
“Lavora per me. Ricordo che hai un particolare talento per le pozioni e
a me seve un professore. Forse addirittura un nuovo Direttore di
Serpeverde, Lumacorno ha espresso il desiderio di ritirarsi. Vieni ad
Hogwarts, Severus, e veglia con me sul giovane Paciock. Glielo devi.”
Piton ricordava perfettamente cosa aveva provato: era convinto di fare
la cosa giusta, ed ecco che il suo gesto diventava un cappio al suo
collo! Non doveva niente
a Paciock, Lily era al sicuro e l’idea che lui insegnasse ad Hogwarts
era semplicemente ridicola.
Chi lo avrebbe rispettato? C’erano ancora studenti che lo conoscevano,
che lo ricordavano come la perenne vittime di Potter e soci, che
avevano assistito alla sua quotidiana umiliazione. E Potter, Black e
Lupin gravitavano ancora attorno a Silente, li avrebbe dovuti
sopportare ancora (Minus era morto, appena dopo i Paciock. Nessuno
sapeva di preciso cos’era successo, ma si pensava che qualche
Mangiamorte particolarmente fanatico avesse voluto vendicarsi della
sconfitta del suo padrone, colpendo un amico dei Paciock e dei Potter,
ancora irrintracciabili). Piton era terrorizzato al pensiero di quello
che gli avrebbero fatto i Malandrini.
E un Direttore di Serpeverde mezzosangue! Le famiglie Serpeverde non lo
avrebbero accettato, nonostante il nuovo clima di tolleranza e
pentimento.
Aveva rigettato l’offerta di Silente, oltraggiato e spaventato,
convinto che sarebbe finito ad Azkaban. Ma alla fine, Silente aveva
comunque garantito per lui. Che lo avesse fatto per intercessione di
Lily, o perché sperava che Piton cambiasse idea per gratitudine, lui si
era ritrovato libero. E se non aveva accettato sotto la minaccia della
prigione, non vedeva proprio cosa avrebbe dovuto convincerlo a farlo
ora.
Be’, qualcosa c’era. Piton ci aveva messo mesi ad accorgersene, ma
aveva infine capito che nel mondo magico non c’era più posto per lui,
se mai c’era stato.
Povero, sgradevole, forse un assassino: era diventato un emarginato al
pari di Remus Lupin; la sua maledizione non era un morso, ma i contorni
di un tatuaggio sbiadito e l’ancora più grave stigmate di aver
rifiutato l’ala protettiva di Silente. Era forse il più brillante
pozionista della sua generazione e non poteva trovare lavoro. Tutta
l’ambizione che gli avevano instillato non gli sarebbe servita a niente.
Era stato allora che Piton aveva preso una decisione importante.
Per tutta la vita aveva disprezzato il proprio sangue babbano. Non si
era mai sentito a suo agio nel mondo comune, lo aveva sempre rifiutato.
Dei babbani, in fin dei conti, non sapeva nulla. Al di fuori di suo
padre, gli unici che avesse frequentato era stati i genitori di Lily e
sua sorella, prima che loro morissero e lei si sposasse. Ora gli
sembrava di capire la rabbia e l’odio di suo padre e di Petunia per
quel mondo di cui non potevano essere parte. Non lo volevano? Lo
avrebbero perso.
Aveva cercato suo padre e, per quanto l’idea lo ripugnasse, aveva
chiesto il suo aiuto. Doveva capire il mondo babbano, se voleva una
possibilità di sopravvivere. Suo padre aveva accettato.
Con lo stesso disprezzo che il figlio aveva riservato a lui da quando
aveva imparato a parlare, lo aveva aiutato a passare per babbano.
“Ma non ne farai mai davvero parte. Sei diverso, lo sarai sempre,” gli
diceva talvolta Tobias Piton.
Nel frattempo, Piton aveva studiato. Chimica, Fisica, Matematica erano
tutte materie che comprendeva senza difficoltà; quando qualche lacuna
lo bloccava, ricorreva alla sua solida preparazione alchemica.
Appena si era sentito pronto, Piton si era trasferito a Londra, e aveva
trovato lavoro in un piccolo laboratorio chimico. Non gli ci era voluto
molto per passare dal lavare le provette alle analisi e poi al
sintetizzare i composti più diversi, principalmente di uso farmaceutico.
Che al laboratorio si oltrepassassero gli stretti confini della
legalità non era propriamente un segreto, tra i dipendenti.
Uno dei suoi colleghi, un ragazzo poco più vecchio di lui, già
stempiato e con l’alito cattivo, raccontava che spacciava cristalli di
metamfetamina e pasticche di ecstasy nei locali e alle feste, per
arrotondare il loro misero stipendio.
“Ho un po’ di campioni del turno dopo mezzanotte,” diceva, alludendo a
quello che veniva preparato in segreto oltre l’orario di lavoro del
laboratorio. “Geoffery me ne ha lasciato un po’! Prendi qualcosa anche
tu, e può darsi che tu abbia fortuna, stasera, John.”
Piton usava già dei documenti falsi, all’epoca. Non voleva essere
rintracciato troppo facilmente: per il Ministero, Seveurs Piton viveva
ancora a Cokeworth con suo padre.
“Non dovresti fare nomi. Da dove vengo io, avere la lingua troppo lunga
significa rischiare di non usarla più,” aveva ribattuto lui, senza
preoccuparsi di celare il disgusto.
Ma l’idea che qualcosa si muovesse dietro le quinte così vicino a lui
l’aveva incuriosito.
Piton non era mai stato bravo a non ficcare il naso, specie se poteva
ricavare qualche vantaggio da quello che avrebbe scoperto. E in questo
caso, benché ci fosse pericolo, non è che lo aspettasse un Lupo
Mannaro, alla fine del tunnel.
Aveva teso le orecchie, indagato con discrezione, impiegato un po’ di
Legilimanzia. Aveva scoperto che Malcom Geoffrey si occupava delle
attività del laboratorio ‘dopo la mezzanotte’.
Piton aveva spiato quelli del turno di notte, osservato un paio di
consegne di merce. Tutto faceva capo a un certo Martin Eggar, che non
si muoveva mai senza il suo gorilla.
Una sera, per l’ennesima volta in vita sua, Piton era stato sorpreso a
spiare qualcosa che non avrebbe dovuto vedere. Ma quella sera era
esattamente quello che voleva succedesse.
“È uno dei tuoi, Geoffrey?” chiese il guardaspalle, spingendo Piton
nella stanzetta in cui Eggar e Geoffrey parlavano.
“Cosa? No…è uno dei dipendenti,” aveva risposto l’uomo, fissando
allarmato ora Piton ora Eggar.
“Noi stiamo parlando di affari, ragazzo,” aveva detto Eggar. “Dubito
che tu voglia entrarci.”
“E ficcanasare è sbagliato, non te l’ha insegnato mammina?” fece il
guardaspalle, alto come Piton, nero, muscoloso, con un sorriso
divertito. “Ma immagino che per te sia difficile, con quel naso.”
Piton aveva sorriso a sua volta, poi si era rivolto a Eggar: “Per come
conducete i vostri affari ora, no, non mi interessa entrarci. Le cose
cambierebbero se vi decideste ad usare un chimico degno di questo nome.”
Per poco non aveva detto pozionista.
“E chi cazzo sei tu per dirlo?” si imporporò Geoffrey.
‘Un idiota senza sangue freddo,’ aveva stabilito Piton, e aveva
continuato a parlare con Eggar: “Potrei produrre merda migliore di
quella che vendete ad occhi chiusi. Anzi, potrei produrre merda
migliore di quella che usi tu.”
“Oh, abbiamo un saputello arrogante,” aveva risposto Eggar, alzandosi.
“Ci piacciono i saputelli arroganti, Samuel?”
“No,” rispose il gorilla, e colpì Piton con forza inaudita sulle reni.
Piton crollò in avanti e l’uomo lo sorresse senza sforzo, come se fosse
stato un uno straccio. Si ricompose digrignando i denti ma tenendo a
freno la rabbia. Non era niente, rispetto a quello che aveva sopportato
tutta la vita (Era stato picchiato, umiliato, torturato per aver
deluso il Signore Oscuro, in un’occasione. E tuttavia era il viso di
Lily che gli era balenato davanti agli occhi, chiuso, definitivo, già
lontano. Scacciò in fretta il pensiero). E poi, aveva sempre la sua
bacchetta magica, in una manica della felpa.
“Sai perché non ci piacciono gli arroganti?” aveva ripreso Eggar. “Sono
tutte chiacchiere. È raro che l’arroganza si sposi con l’intelligenza,
o il talento.”
“Posso offrire una dimostrazione anche subito,” aveva ribattuto Piton,
con un sorriso tagliente.
“Ora tu esci di qui e sparisci per sempre, se vuoi continuare a
mangiare senza sbrodolarti e a pulirti il culo da solo!” aveva
strillato Geoffrey.
Eggar era parso irritato quanto Piton da quello sfoggio di mancanza di
controllo.
“Perché no?” aveva sussurrato.
Sotto lo sguardo sconvolto di Geoffrey e quello sempre divertito di
Samuel, Piton aveva cucinato cristalli di metanfetamina, con le mani
che un po’ tremavano per l’eccitazione, nervoso come non gli era mai
capitato agli esami di Pozioni. Ma anche se non era riuscito a dare il
massimo, il risultato era di molto superiore a qualunque partita il suo
collega gli avesse mostrato.
Eggar aveva esaminato i cristalli con cura: “Geoffrey, trova un banco
da lavoro al ragazzo nel turno dopo mezzanotte.”
“Cosa? Martin, sei impazzito?”
“Non si tiene uno che sa cucinare a lavare provette, Malcom. Vieni,
facciamo due passi, chiariamo un paio di cose,” aveva poi ordinato a
Piton.
Lui l’aveva seguito all’aperto, nell’area di carico. La guardia del
corpo, Samuel, li seguiva in silenzio.
“Come ti chiami?”
“John Price.”
“Bene, John. Ti sto offrendo un lavoro, con un piccolo periodo di
prova. Dopo vedremo se sarai in grado di giocare con i grandi.”
“Dovrei lavorare qui? Con Geoffrey? Forse vuoi prendere in
considerazione l’idea di fare qualche cambiamento,” aveva detto Piton,
aggrottando le sopracciglia. “Temo che ora come ora tu abbia un
problema di fuga di notizie. Dovresti…”
Eggar, più basso di una ventina di centimetri, lo aveva sbattuto contro
il muro umido del magazzino: “Con chi cazzo credi di parlare? Pensi di
poter venire a darmi ordini appena strisciato fuori da qualche college
prestigioso, su al nord? Di potermi dire come condurre i miei affari
perché parli come un libro stampato e sai tradurre il latino,
finocchio? Se uscito da quel tuo bel collegio maschile sei finito in
questo buco di merda, forse non hai tante ragioni di darti delle arie,
eh?”
Piton, le labbra che si arricciavano in un sorriso di scherno all’idea
che un babbano pensasse di spaventarlo, aveva replicato: “Il mio era un
collegio misto. Il tuo no, Martin?” Aveva sospirato: “Dev’essere stata
dura…”
Samuel aveva riso e dopo un attimo anche Eggar.
“Non sai quanto, cazzo. Ma non provare a darmi a intendere che tu eri
pieno di figa, John, perché so che non è così.”
Così aveva cominciato a lavorare per Eggar. Era una situazione
familiare, qualcuno più in alto lo teneva d’occhio, decidendo come
impiegarlo. Ma questa volta Piton non intendeva farsi legare o
controllare troppo facilmente.”
Pochi mesi dopo, sapendo che il suo lavoro era apprezzato, aveva detto
a Eggar che voleva un proprio laboratorio.
Il criminale lo aveva fissato, non troppo sorpreso: “Ecco il problema
con gli arroganti, Samuel. Vogliono essere viziati. Qual è il tuo
problema, John?”
“Sono ambizioso.”
“Arrogante, presuntuoso bastardo, io non affido un laboratorio a un
ragazzetto di vent’anni che non ha mai visto la strada, che non ha
nessuna idea di come funziona il mondo.”
Piton non aveva ribattuto, perché in effetti del mondo babbano
continuava ad aver sperimentato ben poco.
“Forse non sarebbe male per il ragazzo, farsi un po’ di strada,” aveva
suggerito Samuel. “Forse lo renderebbe meno arrogante.”
Eggar ci aveva riflettuto: “Potresti anche avere ragione. Lavorare a
stretto contatto con gli ultimi potrebbe smuovere la sua compassione…”
“Sei diventato completamente idiota?” aveva risposto Piton con ira.
“Vuoi che spacci? Che un tossico qualunque mi accoltelli in un vicolo?
Sono esattamente dove ti servo, invisibile e non collegabile
direttamente a te. Gli spacciatori devono farsi conoscere, essere
rintracciabili, e tutti sanno sempre per chi lavorano!”
“Vedi? Non sa nulla, ma afferra al volo,” aveva detto Eggar a Samuel,
che annuiva compito.
“Allora?” aveva strillato Piton.
“Allora chiudi la bocca, John. Hai l’aria di uno che l’ha capito,
quando è il caso di parlare e quando no. Sì, gli spacciatori devono
essere visibili per alcuni e invisibili per altri. Tutti sanno per chi
lavorano e ti assicuro che il fatto che si sappia che lavori per me non
mi disturba.”
Piton si era irrigidito: “È un marchio…”
“Sì! Non so cos’hai combinato, John, che ti ha spinto a usare documenti
falsi –sì, ho controllato- ma ti hanno insegnato bene,” aveva risposto
Eggar. “Ora, riguardo gli accoltellamenti…ovviamente non voglio che ti
accada nulla. Voglio che tu faccia un po’ di esperienza, non che mi
faccia guadagnare…”
“Gli si potrebbe mettere accanto qualcuno più svelto e non proprio
digiuno di guai,” aveva suggerito di nuovo Samuel.
Così, Piton si era ritrovato a spacciare, con Sonny Butrick che gli
guardava le spalle. Non che lui fosse disposto a far dipendere la
propria protezione dall’abilità di un babbano qualunque. Usava
incantesimi protettivi e talismani, e tutta una serie di piccole magie
che poteva eseguire senza bacchetta e che non attiravano l’attenzione
del Ministero. Era stato allora che Sonny si era fatto l’idea che Piton
fosse un mago.
“Sai, da quando sto con te, John, mi sento fortunato…quando quel tizio
ha dato di matto e ha tirato fuori il coltello…” Il ragazzo aveva
scosso la testa. “E poi è inciampato come un coglione! Se non è fortuna
questa!”
“È pericoloso sentirsi fortunati,” gli aveva risposto Piton con un
sorriso sardonico, accendendo una sigaretta.
“E sembra sempre che tu sappia tutto! Che tu sappia in anticipo quello
che farà la gente…”
“Quello si chiama usare il cervello, valutare la situazione. Non so se
ne sei in grado.”
Sonny ridacchiava, indifferente ad ogni insulto.
Spacciare in strada a contatto con il peggio dei loro clienti non aveva
sviluppato la compassione di Piton. Anzi, lui era convinto che avesse
prosciugato ogni residua traccia di indulgenza verso le debolezze
altrui, un sentimento che era certo di aver esaurito ben prima di
prendere il Marchio Nero. Tuttavia gli aveva concesso di sfruttare e
allenare le sue doti di Legilimante molto più di quanto avesse mai
fatto prima.
Nel giro di un anno aveva acquisito una conoscenza del mercato che
sarebbe stato stupido non sfruttare a livello più alto, e Martin Eggar
non era uno stupido. A poco a poco, Piotn aveva risalito l’organigramma
aziendale, come lo definiva Eggar, in onore ai suoi studi economici,
mentre il loro giro si ingrandiva, gli affari si facevano più
complessi, i rischi più grandi.
Piton aveva avuto il suo laboratorio e un gruppetto di idioti da
istruire (a volte quasi rimpiangeva di non essere diventato professore
di Pozioni: per quanto gli studenti fossero incapaci, almeno il rischio
di far saltare tutto in aria non era quotidiano).
Si era ritrovato catapultato in una vita di lusso, apparenza e
violenza, molto più in fretta di quanto si sarebbe aspettato. Non aveva
ancora capito se ci stava bene, o no.
Rallentò e si liberò dalla presa di Rarity per buttare la sigaretta in
un tombino prima di salire in auto.
“Severus?”
Piton si girò, dando le spalle alla macchina, e a pochi metri da lui
vide Lily, con due marmocchi al seguito.
“Sei…sei proprio tu?” continuò Lily, incredula.
Piton la raggiunse e rimase fermo davanti a lei, senza sapere cosa dire.
“Lily…”
Liliy aveva il viso più rotondo, più dolce forse, ma poteva essere solo
la sua espressione sorpresa. Indossava un vecchio cappotto blu e
cappello e sciarpa color panna. I suoi capelli, più corti di come Piton
li ricordava, illuminavano la strada.
“Non sapevo abitassi a Londra, credevo che fossi tornato a Cokeworth,”
gli disse lei. “In effetti,” aggiunse con imbarazzo, “non ho più saputo
niente di te.”
“Credevo abitaste ancora a Godric’s Hollow. Che foste rimasti in
Scozia,” le disse Piton, invece di rispondere.
“Oh, ci passiamo quasi tutto l’anno!” rise Lily. “Quando tu hai
rifiutato, Silente ha offerto a me la cattedra di Pozioni.”
“Perfetto,” sorrise Piton.
“E James, da quando non gioca più da professionista, insegna volo e
segue le squadre della scuola,” continuò Lily, sorridendo nervosamente.
Piton fu certo di aver fatto una smorfia.
“I vostri figli,” considerò, costringendosi a guardare i bambini.
“Che sciocca! Certo, Harry ha undici anni, ha iniziato a frequentare
Hogwarts quest’anno…”
Piton sentì la smorfia cementarglisi sul viso: il piccolo Harry era
talmente rassomigliante al padre che lui provò il desiderio di fare un
passo indietro. Ma aveva gli occhi di Lily.
Chissà in quanti glielo avevano ripetuto, da quando il bambino era
nato. Riportò lo sguardo su Lily e fu felice di vedervi un’espressione
di divertita esasperazione, come se avesse formulato il suo stesso
pensiero. Non disse nulla e studiò la bambina.
“Lei è Rose. Ha nove anni,” disse la madre con dolcezza.
Piton si accosciò per essere all’altezza del visino della bambina.
Capelli rossi, lentiggini, occhi vivaci anche se castani e non verdi. E
il sorriso, esitante e sicuro allo stesso tempo, la posa con cui teneva
la mano della madre, il modo in cui inclinava la testa…Somigliava
incredibilmente a Lily alla stessa età. E quello non poteva averglielo
detto nessuno, perché lui era l’unico dei suoi amici che l’avesse vista
a nove anni, a parte Petunia.
“Sei bella quanto tua madre alla tua età,” sussurrò, rialzandosi.
Rose sorrise con trionfo, ora, ma Harry lo guardò sospettoso.
“Severus e io ci conosciamo da quando eravamo bambini,” gli spiegò la
madre, senza mitigare il suo cipiglio.
“State andando a Diagon Alley?” chiese Piton, cercando inconsciamente
il suo pacchetto di sigarette.
“Volevo che visitassero la Londra babbana,” gli raccontò Lily. “Sai,
tutto sommato è riduttivo che conoscano solo Hogwarts, Hogsmeade e
Diagon Alley, oltre a casa. James e io –fece una piccola pausa quando
Piton infilò una sigaretta tra le labbra- stavamo pensando di prendere
un appartamento vicino a Londra…” Rimase in silenzio, fissando Piton
con attenzione. “Sai, non mi sarei mai aspettata di vederti…qui. Con
indosso abiti babbani. E da quando fumi?”
“Fumare fa male!” lo redarguì Rose, con lo stesso piglio di Lily quando
lo sgridava da bambina.
Piton stava per ridere, ma sentì i passi di Rarity avvicinarsi. La
bionda sorrise a tutti e lo prese di nuovo sottobraccio.
Lily rispose al sorriso incerta, di sicuro un po’ sorpresa.
“Scusate se vi interrompo,” fece Rarity. “ma dovremmo andare, se vuoi
passare dal laboratorio, John.”
Lily aggrottò la fronte.
“John? Non usi il tuo nome?” chiese, prima di riflettere.
Piton non distolse lo sguardo da lei: “Arrivo.”
Ma Rarity aveva ottime orecchie.
“Non usi il tuo nome? John non è il tuo vero nome?” chiese, scostandosi
un po’ da lui, come se il fatto che uno spacciatore avesse mentito su
una sciocchezza del genere fosse importante. Come se il fatto che
scopassero da un paio di mesi comportasse un rapporto di fiducia, tra
loro.
“Perché?” le domandò Piton, con il suo sorriso più sprezzante,
soffiando fumo azzurro. “Non vorrai farmi credere che Rarity sia il tuo
vero nome?”
Rarity ritrasse le lunghe unghie colorate dal suo braccio e rimase in
silenzio.
“Aspettami in macchina,” le ordinò Piton dandole un’occhiata di
sfuggita.
Lei si allontanò ubbidiente.
“Non intendevo creare problemi…” iniziò Lily, ma Piton sorrise di
nuovo: “Nessun problema.”
Ma Lily stava ancora guardando Rarity, la gonna corta sotto la
pelliccia, poi il suo sguardo avrebbe proseguito fino a vedere Brennan
e la sua zoccola che lo aspettavano fuori dalla macchina, e Sonny al
volante, tutto voltato per seguire la scena, e avrebbe visto loro e
lui, e avrebbe capito quello che solo cinque minuti prima a Piton non
importava di gridare al mondo. Ed eccola di nuovo, quell’espressione
chiusa, contrariata, mentre giudicava le persone che frequentava e lui
stesso.
Piton rimase in attesa della stoccata, una smorfia sardonica sulla
faccia. I bambini mormoravano tra loro.
“La tua amica ha parlato di un laboratorio. Che lavoro fai?” lo
interrogò Lily.
“Il chimico,” rispose Piton, con assoluta serietà.
Lei lo esaminò di nuovo da capo a piedi e il cercapersone di Piton
scelse quel momento per suonare.
Il numero di Simon. Guai al laboratorio. Imprecò tra i denti mentre
Lily stringeva le labbra.
“Temo di dover proprio andare,” le disse.
“Certo. Abbi cura di te,” replicò Lily, fredda.
Piton diede un’ultima occhiata ai bambini (soprattutto alla splendida,
piccola Rose) e alla madre. Poi si girò e finalmente salì in auto.
“Una vecchia fiamma?” domandò Brennan con un ghigno volgare.
“…già,” esalò Piton.
I bambini si alzarono per andare a giocare e reclamarono ‘zio Sirius’
perché andasse con loro.
“Sono felice che Harry sia di buon umore. Con Neville, Ron ed Hermione
a scuola…Tu lo sai cosa stanno combinando, tra parentesi?” le chiese
James.
Lily scosse la testa, scambiando un sorriso con Remus: se i suoi amici
non fossero stati altrove, anche James avrebbe preferito passare il
Natale al castello. Ma Harry e Rose erano praticamente nati lì dentro,
avevano bisogno di passare del tempo in altri posti.
Remus la aiutò a sparecchiare, mentre James guardava i figli e il suo
migliore amico rincorrersi e fare un baccano d’inferno. Lily sapeva che
pensava a quanto i ragazzi si sarebbero divertiti con Peter se fosse
stato lì con loro, e avvertì a sua volta una punta di tristezza.
Remus provvide a distrarla: “Com’è andata la gita a Londra?”
“Oh, bene,” rispose lei meccanicamente. Poi, lentamente, aggiunse: “Ho
visto Severus Piton.”
Avvertì, più che sentirlo, James che si irrigidiva, seduto al tavolo.
“Davvero?” chiese Remus, interessato.
Lei annuì: “Davvero. All’inizio non ero sicura, perché era vestito da
babbano. Vestito bene, molto credibile, in effetti.”
Severus era sempre stato un disastro, con gli abiti babbani. Sua madre
non ne capiva nulla e crescendo lui aveva sviluppato una tale
repulsione per i vestiti comuni, che Lily aveva smesso di chiedergli di
uscire nel mondo babbano. Il loro universo si era rimpicciolito alla
sola Diagon Alley, se e quando avevano abbastanza Polvere Magica per il
viaggio via camino.
“Che faceva?”
“Usciva da un ristorante, credo, con altre persone. Era a braccetto con
una bella donna bionda,” rispose Lily.
Si era sentita così a disagio per quella ragazza. Non avrebbe dovuto
permettersi di giudicarla per il suo aspetto.
“Mocciosus con una bella donna?” fece James con tono esageratamente
incredulo.
“Non cominciare, James,” lo frenò sua moglie.
Remus ridacchiò: “Devi ammettere che è inaspettato, Lily. Severus con
una ragazza babbana…”
“Uhm,” fece Lily. Quando parlò di nuovo, si rivolgeva soprattutto a se
stessa: “Sono contenta di averlo visto. Che abbia conosciuto i bambini.
I ragazzi, Rose soprattutto, non la finivano più di chiedere di lui.”
Pensava a Severus molto spesso, lei. Pensava costantemente a lui, dopo
la nascita di Rose. Era merito suo se erano vivi, se Rose era nata. Era
un caso, secondo Silente, che Voldemort avesse cercato i Paciock e non
loro (come era un caso che loro avessero finito per scegliere Silente
come Custode Segreto invece di Sirius o Peter, come avevano deciso
all’inizio). Quindi, ai suoi occhi, Severus li aveva salvato tutti e
lei gli sarebbe stata grata per sempre.
James pensò a quell’untuoso, arrogante idiota vicino alla sua preziosa
bambina e avvertì un malessere quasi fisico.
“Però non hai l’aria molto contenta…” notò Remus.
Sirius strillò qualcosa dal soggiorno e i bambini risero forte.
“È solo che…” Lily gesticolò, senza trovare un modo per esprimere
quello che aveva provato. “È solo che mi è sembrato…un criminale,” si
arrese.
“Un criminale?” le fece eco Remus.
Lily sbuffò: “Mi ha dato quest’impressione. Vestiti costosi,
cercapersone…credo che uno degli altri uomini avesse una pistola.”
“Magari hai frainteso,” le disse Remus, gentile.
Lily gli prese la mano, sorridendo.
“Mocciosus un criminale, perché no. Sarebbe da lui. Un mafioso.
Scommetto che è un pedofilo, quell’unto…”
“James, piantala!”
“Dico solo che ha sempre avuto la faccia da maniaco,” fece James,
alzando le mani.
“Detto da te, Ramoso. Hai stalkerato questa donna per anni,” intervenne
Remus.
Lily si voltò, adirata. Ora James e Sirius, quando fossero saliti sul
tetto a parlare come facevano spesso, avrebbero preso in giro Severus,
ripetendo idiozie e calunnie sull’uomo che aveva salvato i suoi figli.
Non era neanche certa di quello che aveva visto. Avrebbe fatto meglio a
tenerselo per sé. Però…però Severus aveva la stessa espressione di
quando lei cercava di fargli capire che razza di persone erano gli
amici che si era scelto. Un misto di paura e sfida, e collera, perché
lei si permetteva di giudicarlo. E non poteva neppure parlare con lui,
cercare di capire: non aveva neanche capito se abitava davvero a
Londra; e non avrebbe osato mandargli un gufo, dopo essersi fatta
sfuggire davanti a quella donna che lei lo conosceva con un altro nome,
questo lo avrebbe sicuramente messo in una posizione scomoda. E a
pensarci bene: perché Severus non usava il suo nome?
Poteva sempre cercarla lui, se ci teneva. Sapeva che insegnava a
Hogwarts. Forse l’avrebbe fatto, anche se non era successo nei dieci
anni precedenti.
In ogni caso, si disse infastidita, non era come se nella sua vita ci
fosse posto per Severus Piton.
Note:
Questa storia è nata in un momento particolare in cui dovevo prendere
una decisione importante, quindi è stata scritta in buona parte di
getto per sfogare un po' d'ansia. Ciò significa che non è curata come
l'altra mia storia, Echoing Green, Poison Tree', ma ci sono comunque
affezionata.
L'idea che avevo avuto era una AU in cui Piton abbandona per sempre il
mondo babbano, e noi lo seguiamo nella sua ascesa a signore della
droga...Mi sono resa conto abbastanza in fretta che non avevo nè le
conoscenze nè l'interesse a scrivere una cosa del genere, sono proprio
argomenti che non mi attirano, quindi tutto prenderà una piega un po'
diversa (anche se nella mia mente continuo a chiamare questa storia
'Breaking Bad'!XD). Forse l'idea che Piton rifiuti di aiutare Silente
sapendo che questo potrebbe portarlo dritto ad Azkaban è un po' fuori
dal personaggio, poco Serpeverde, ma ho voluto immaginare un momento di
avventato orgoglio. E poi se no la storia non andava avanti!
Grazie a chiunque sia arrivato fino a qui!
|
Ritorna all'indice
Capitolo 2 *** Capitolo 2 ***
Capitolo 2
Luglio 1993
“Sei sicuro che sia questo, il posto?” chiese Neville.
Harry si guardò attorno, incerto. Non è che andasse a Londra così
spesso.
“Non lo so,” ammise.
“Forse dovremmo tornare indietro,” propose Ron. “Non mi sembrava una
grande idea neanche prima.”
“Che c’è, hai paura?” lo provocò Neville, sorridendo.
“Piantala!”
“Andiamo, non può essere peggio di Voldemort, no?” continuò il biondo,
riprendendo a scrutare in tutti i vicoli.”
“Non pronunciare il suo nome! Resto dell’idea che esplorare Nocturne
Alley sarebbe stato più divertente,” fece Ron, prendendo a calci un
bidone. “Chissenefrega, di cos’ha detto il cugino di Harry!”
“Vero, Dudley è un grasso idiota…” mugugnò il ragazzino con gli
occhiali.
Non andava d’accordo con suo cugino: Duddy aveva il terrore dei maghi e
guardava sempre i suoi genitori con gli occhi spalancati della lepre
davanti al Lupo Mannaro. Ma con Harry si permetteva di fare il
gradasso, perché a lui, ancora minorenne, non era permesso di usare la
magia fuori da scuola, e perché era largo un terzo di suo cugino.
Neanche sua madre andava d’accordo con zia Petunia, quindi i due
ragazzi non erano obbligati a frequentarsi spesso, ma almeno una volta
o due ogni estate sua madre riprovava a riappacificarsi con la sorella.
Suo padre non ne voleva più sapere nulla, specie da quando la mamma gli
aveva proibito di fare qualche scherzo innocente ai Dursley.
Quell’estate sua madre aveva insistito perché Dudley passasse qualche
giorno da loro a Godric’s Hollow (“Gli può fare solo bene, un
cambiamento di ambiente, dell’attività fisica…”) e non si sa come era
riuscita a convincere la sorella e suo marito. Per Harry era stato un
incubo continuo, almeno finché Neville non era venuto a trovarli.
Sorprendentemente, lui e Duddy era andati quasi d’accordo (Forse non
era un pensiero da amico, ma Harry pensava che fosse perché erano
entrambi viziati e prepotenti, anche se Neville almeno era simpatico, e
insieme avevano passato tanti di quei guai…).
Dudley aveva tirato fuori un pacchetto di sigarette e i ragazzi avevano
fumato insieme, mentre lui raccontava spacconate di quando andava a
Londra con i suoi amici più grandi, e di come una volta fossero finiti
a Limehouse a comprare dell’erba. A Neville era saltato in testa di
fare lo stesso, per esplorare la Londra più malfamata.
Quel giorno erano andati a Diagon Alley per comprare i libri per il
nuovo anno scolastico assieme a suo padre, e quando lui aveva
incontrato un vecchio compagno di squadra e aveva detto a loro tre di
fare senza di lui, Harry, Neville e Ron erano sgattaiolati fuori dal
Paiolo Magico.
“Hermione non ce l’avrebbe mai permesso!” aveva ghignato Neville.
Avevano vagato un po’ seguendo le incerte indicazioni di Dudley, ma
Harry era ormai propenso a dar ragione a Ron e a tornare indietro.
Scambiò un’occhiata con il rosso.
“Neville…”
“Ehi, bimbi belli!”
Harry sobbalzò: un ragazzo sui vent’anni con una giacca lurida li
guardava, seduto su un muretto. “Avete perso qualcosa?”
“Non lo so,” rispose Neville, avvicinandosi spavaldo. “Tu ci puoi
aiutare, grand’uomo?”
Quello rise.
“Dannazione,” borbottò Ron.
Lui e Harry seguirono Neville recalcitranti.
“Che, hanno paura, i tuoi amici?” chiese il ragazzo.
Neville regalò agli amici un’occhiata compassionevole.
“Be’, parlerò con te, Sfregiato. Bella cicatrice.”
Neville sollevò il mento con orgoglio: “Neanche immagini come me la
sono fatta!”
Harry, incredulo, ripensò a quando aveva visto Neville piangere per i
propri genitori davanti allo Specchio dei Desideri. Scambiò un’altra
occhiata con Ron.
Il rosso scosse la testa: “Quando ci si mette è così odioso…”
Severus Piton era di pessimo umore: la giornata non gli aveva riservato
che inconvenienti. E nel suo lavoro erano inconvenienti retate della
polizia, regolamenti di conti, ustioni chimiche, cadaveri di cui
sbarazzarsi.
Sonny gli camminava cauto a fianco, per niente desideroso di assaggiare
anche lui la sua furia.
Piton odiava quella zona. Odiava passarci in macchina, odiava i
parcheggi desolati, odiava vedere i galoppini al lavoro.
‘Oh, mi mancava,’ pensò acido, con un’occhiata di sfuggita allo
spacciatore sul muretto, neanche troppo lontano dalla sua auto. ‘Un
bambino che vende droga ai bambini…’
Aveva davvero ancora disgusto da provare? Non era neppure la vista
peggiore della settimana, quella…Si bloccò di scatto, guardando meglio.
Sonny lo superò di due passi, prima di rendersene conto: “John? Che
succede?”
“Allora, se mammina ti ha lasciato uscire con abbastanza soldi, siamo a
posto,” stava dicendo il ragazzo del muretto.
Neville parve preoccupato per la prima volta: non aveva pensato ai
soldi. Aveva solo denaro di maghi, con sé.
Ron era così teso che non riusciva a stare fermo.
“Dovremmo andarcene, Harry,” sussurrò.
“Non abbiamo soldi,” disse Harry, deciso. “Ce ne andiamo.”
Neville si allontanò di un passo dal muretto.
“Come, non avete soldi? Sfregiato ha dei soldi. Non ha l’aria di uno
che gira con le tasche vuote, vero? Mica come il rosso,” fece il
ragazzo, alzandosi. “Avanti, fammi vedere, Sfregiato.”
“Non ho niente,” disse Neville, avvicinandosi di più agli amici.
‘Pronti a correre…’ pensò Harry, cercando di trasmettere
telepaticamente l’idea agli altri.
Piton piombò verso il gruppetto come un pipistrello assetato di sangue.
Lo spacciatore si accorse della minaccia e strinse i pugni, incassando
la testa tra le spalle, pronto a difendersi.
Poi lo riconobbe, e si rilassò un poco: “Signor Constantine…cioè, che
cazzo…”
Piton lo afferrò per la giacca lurida e lo spinse contro il muretto.
“Cosa cazzo fai?” strillò.
Il ragazzo si parò il volto: “Niente! Niente, cazzo, lavoro!”
“Non parlo con te,” sibilò Piton. “Cosa ci fai qui, tu?” ringhiò,
fissando Harry dritto negli occhi.
Harry, e gli altri, ne era sicuro, si sarebbero voltati e sarebbero
fuggiti all’istante, se alle loro spalle non si fosse piazzato un uomo
dalle braccia scure di tatuaggi con un cappello chiaro.
“John?” chiamò quello, tranquillo. “Li conosci?”
Piton cercò di dominare lo shock. Ma che importava? Era famoso per dare
di matto quando qualcosa lo faceva arrabbiare.
“Sparisci,” ordinò al galoppino, colpendolo a man rovescia.
Quello lanciò un guaito, prima di portarsi a distanza di sicurezza.
“Allora?” abbaiò Piton ad Harry. “Ti ho chiesto cosa ci fai qui!”
Uno degli altri ragazzi si fece avanti: “Lascialo stare!”
Era biondo, con l’aria di essere stato un bimbo paffuto e una cicatrice
a forma di saetta sulla fronte.
Piton rimase a bocca aperta: non lo aveva mai visto prima, a parte in
qualche foto, da neonato, sulla Gazzetta del Profeta quasi tredici anni
prima, ma quello davanti a lui era senza dubbio il
Ragazzo-Che-È-Sopravvissuto.
Il ragazzino colse il lampo di riconoscimento sul suo viso e guardò gli
amici, confuso. Non si era aspettato che qualcuno conoscesse la sua
cicatrice, nel mondo babbano.
“Fatemi indovinare,” riprese Piton, a bassa voce, “abbiamo tre
Grifondoro senza cervello.”
“Lo conosci?” chiese Ron a Harry.
Lui annuì: “É…un amico di mia mamma. John Constantine.”
Si ricordava di Severus Piton, ma quel babbano l’aveva appena chiamato
con un nome diverso.
Piton sollevò un angolo della bocca.
Sonny rise: “Compagni di sabba, John?”
“Non sapevo che conoscevi sua madre, Con…signor Constantine…” blaterò
il ragazzo con la giacca lurida.
“Sei ancora qui, tu?” lo gelò Piton. “Voi tre!” I ragazzini
sobbalzarono. “Voi venite con me. Vi riporto dai vostri genitori.”
“Sicuro, John?” fece Sonny. “Vuoi che ci carichiamo in macchina tre
minorenni? Lasciamoli tornare da soli…”
“Dammi le chiavi.”
Sonny, stupito, obbedì: “Certo, ma…”
“Forza, salite.”
Camminando appiccicati, i tre ragazzi salirono sulla berlina scura che
Piton indicò.
L’uomo si mise al volante e uscì dal parcheggio.
“Che gli è preso, al greco?” chiese il ragazzo del muretto,
massaggiandosi la guancia. “Mica gli stavo vendendo eroina, ai piccoli.”
Sonny si strinse nelle spalle: “John è strano. Non è greco, sai.”
“Ah, no? Lo sembra…sarà il naso,” concluse il ragazzo, già indifferente.
“Lei è un mago!” esclamò Ron, appena Piton chiuse la portiera.
L’uomo lo fulminò dallo specchietto retrovisore: “Davvero perspicace,
Weasley.”
Ron si zittì.
“Dove ci sta portando?” chiese Neville.
“A Diagon Alley,” grugnì Piton. “Dove la tua cicatrice ti fa da
lascia-passare per tutte le sciocchezze che combini, piccola
celebrità.”
Si voltò all’improvviso a fissare Harry, di nuovo furente.
“Tua sorella non sta vagando da sola per Londra, vero?” chiese,
minaccioso.
Harry deglutì: “No, lei…lei è con Hermione.” Poi realizzò che Piton non
poteva sapere chi fosse Hermione e glielo spiegò.
Piton ascoltò appena: aveva usato la Legilimanzia e aveva visto per
pochi attimi Rose assieme a una ragazzina di poco più grande in mezzo
agli scaffali del Ghirigoro. Gli bastava.
Parcheggiò vicino al muro che nascondeva l’accesso del Paiolo Magico ed
estrasse con cautela la bacchetta dalla tasca interna della sua giacca
scura.
“Chi sono i responsabili adulti che vi hanno lasciato liberi di vagare
dove non avreste dovuto, a cercare sostanze illegali?” indagò, toccando
i mattoni nella giusta sequenza, anche se erano anni che non entrava a
Diagon Alley.
Neanche sapeva che fosse Ministro della Magia, ora. Con un sospiro
trasfigurò il proprio completo in un abito da mago, mente Harry
pigolava: “Mio padre…”
Piton sorrise all’improvviso: che ottimo genitore era Potter. Perdere
suo figlio e i suoi amici, lasciare incustodito il salvatore del mondo
magico! Eppure doveva saperlo, che per Silente Paciock era ancora in
pericolo. Si chiese se un bolide non lo avesse istupidito del tutto,
durante la sua carriera da star del quidditch.
Il Paiolo Magico era esattamente come lo ricordava: megere, nani, fumo,
cappucci calati, artigli e vesti sgargianti. Il barista era solo più
vecchio e sporco. Scrutò con sospetto Piton e i ragazzi. Riconobbe
all’istante Paciock.
“Può anche lasciarci qui, grazie,” provò Neville, mentre Ron annuiva.
Harry sollevò lo sguardo speranzoso.
“Oh, niente affatto, Paciock! Lasciarvi qui, senza accertarmi che
riceviate la giusta punizione per il vostro comportamento?” rispose
Piton con un sorriso maligno.
Non dovettero cercare James Potter a lungo: l’uomo entrò nel locale in
quel momento, lanciando saluti a vari avventori.
“Ehi, Tom,” disse infine, “hai visto Harry e gli altri? Li ho lasciati…”
James Potter, come Lily, non era cambiato un granché. Sempre atletico,
solare, col fisico di un uomo slanciato più che di un ragazzo ossuto,
adesso. A Piton parve di vederlo entrare nell’aula di Trasfigurazione a
sedici anni, invece che in quella bettola nel presente.
Il cenno del barista attirò l’attenzione di Potter sui tre ragazzi e su
Piton.
Sorrise un attimo, prima di sussurrare, incredulo: “Piton?”
“Potter.”
“Che cosa ci fate con lui?”
“Il signor Piton ci ha riaccompagnati qui” spiegò Harry.
Era certo che suo padre avrebbe capito che cercavano solo di passare il
tempo e non intendevano fare nulla di male. Non sarebbe rimasto
arrabbiato a lungo.
“Riaccompagnati da dove?” chiese James Potter con voce dura, fissando
Piton.
“Ti interesserà sapere, Potter, che il tuo degno erede e i suoi amici
gironzolavano senza supervisione in zone di Londra che io non
consiglierei per lo svago dei pargoli,” gli disse Piton, con il sorriso
untuoso che non era mai riuscito a rivolgergli prima. Per quanto gli
rovesciasse lo stomaco ammetterlo, da ragazzo aveva paura di James
Potter. Lo odiava in maniera indicibile, per questo.
“Cosa vuoi dire?”
“Il Ragazzo-Che-È-Sopravvissuto, qui, il celebre Neville Paciock,
affidato alle tue cure, mi dicono, stava concludendo una transazione
con uno spacciatore,” gli rispose Piton sottovoce, perché non li
sentisse tutto il locale, intento ad origliare.
James rivolse uno sguardo incredulo alle facce vergognose dei tre
ragazzi, poi tornò a scrutare Piton.
“E tu, che ci facevi lì? Passavi per caso?” indagò con rabbia.
“Ti importa di cosa facevo io? Perché dovrei renderne conto a te, al
genitore modello? Sai almeno dov’è tua figlia, in questo momento?”
“Non nominare mia figlia, Mocciosus!” ruggì James.
Il sorriso di Piton si tramutò in un ringhio: “Attento a come mi parli,
Potter!”
“Perché dovrei stare attento a come parlo a un criminale, un assassino?”
Le bacchette balenarono.
“Forse perché ti ho riportato tuo figlio? E Paciock, che scommetto che
Silente ti ha fatto giurare di proteggere…” rispose Piton a bassa voce.
Harry li fissava, atterrito: “Papà…”
“Non ora, Harry!”
“Se è così che svolgi il tuo ruolo di guardiano, saranno tutti miei
clienti prima della maggiore età,” continuò Piton.
“Mi fai schifo,” concluse James, scostandosi da lui, allentando la
presa sulla bacchetta. “Stai lontano dai miei figli. Andiamo, ragazzi.
No, Neville, zitto! Non voglio sentire altro!”
“Darai loro cinque sterline perché non lo dicano a tua moglie?” gli
gridò dietro Piton, accorgendosi troppo tardi dell’errore.
James Potter si voltò: “Sai, puoi anche aver cambiato idea sui babbani
ed essere felice di vivere tra loro, adesso, ma resti comunque un
viscido bastardo, un mostro e un ipocrita. Il mondo potrebbe
tranquillamente fare a meno di te.”
“Davvero? Eppure Silente mi ha offerto il lavoro di tua moglie, e il
tuo ruolo di guardiano,” ribatté Piton.
“Dev’essere stato prima di vedere quanto potevi cadere in basso,” disse
James, squadrandolo dalla testa ai piedi.
Si voltò e uscì, seguendo i ragazzi.
Piton rimase fermo a fissare la nuca di Potter finché poté, le dita che
si contraevano dal desiderio di usare la bacchetta o accendere una
sigaretta. Rivolse un’occhiata velenosa a quanti lo osservavano e
ritornò al muro per tornare nella Londra babbana, fumo azzurrognolo che
lo seguiva.
Appiccicato in un angolo della mente, il titolo di prima pagina della
Gazzetta del Profeta: ‘Bellatrix Lestrange evasa da Azkaban’.
Quell’incursione nel mondo magico aveva fatto scattare qualcosa in
Piton. Quando aveva deciso di vivere tra i babbani, aveva pensato di
rinunciare completamente all’altra parte (non alla magia. Mai avrebbe
rinunciato alla sua magia, al vantaggio, al potere che gli garantiva),
aveva pensato di non mettere mai più piede sul selciato di Diagon
Alley, sui sentieri fangosi di Hogsmeade o negli altri edifici simbolo
della loro cultura, Hogwarts, il Ministero, la Gringott.
Ma durante l’incontro con Potter, l’idea di non riuscire più a
convincere qualcuno che era, ed era sempre stato, un mago, lo aveva
scosso. Gli appariva un fallimento, una debolezza pericolosa non essere
più in grado di muoversi in entrambi i mondi con disinvoltura, senza
che nessuno lo percepisse come estraneo. Doveva rimediare.
Era tornato a Diagon Alley in diverse occasioni, a volte come se
stesso, altre alterando il proprio aspetto con la Trasfigurazione,
mentre aspettava che la sua Pozione Polisucco fosse pronta. Aveva
riscoperto il gusto di smaterializzarsi, sparendo per ore mentre tutti
lo credevano nel suo laboratorio. Si materializzava fuori dal Paiolo
Magico e attraversava la barriera tra i mondi, mentre i suoi completi
scuri si allungavano in vesti e mantelli altrettanto scuri.
Poi vagava per i vicoli, curiosando, ascoltando, assorbendo quanto
accadeva attorno a lui. L’approvazione della Legge Weasley per la
Protezione dei Babbani; la fuga di Bellatrix Lestrange; le misure di
sicurezza volute da Caramell, l’attuale Ministro della Magia.
Non sapeva se l’aveva sperato o meno, o anche se si fosse trattato del
movente oscuro e inconscio del suo vagare, ma un giorno di fine agosto,
Piton intravide Lily, senza marito né figli al seguito.
Camminava senza fretta e scambiò un gesto di saluto con un gruppetto di
ragazzi seduti nel dehors della gelateria Fortebraccio. I due ragazzi
si alzarono cavallerescamente in piedi e scostarono una sedia per lei.
Le ragazze la coinvolsero subito nella loro conversazione. Dovevano
essere suoi studenti.
Forse Piton si sarebbe accontentato di vederla, di passarle accanto
mentre le servivano una gigantesca coppa di gelato e lei sorrideva
ascoltando attenta qualunque confessione le ragazze avessero per lei.
Ma voltando il capo per ridere Lily lo vide e si alzò di scatto.
“Severus!”
Piton rallentò, fingendo di notarla solo in quell’istante: “Lily…”
“Non mi aspettavo di vederti a Diagon Alley,” disse lei, allegra,
“pensavo non la frequentassi più.”
“Di norma. Ma a volte ci sono delle incombenze che non si possono
evitare,” rispose lui, accennando vagamente alla Gringott, la cui
facciata bianca brillava al sole del pieno pomeriggio.
Decisamente non l’accoglienza che si era aspettato. Avrebbe scommesso
su tesi ringraziamenti per aver riportato Harry al sicuro, che
sarebbero presto sfociati in rimproveri e condanne per la sua attività
lavorativa. La Lily che conosceva lui non sarebbe riuscita a
comportarsi amichevolmente, se fosse stata arrabbiata, neanche di
fronte ad altre persone: quando Lily prendeva fuoco, non le importava
di avere testimoni.
Quindi, era probabile che lei non sapesse niente, di quello che era
accaduto un mese prima. Potter lo aveva davvero nascosto alla moglie.
Sorrise affilato. Molto interessante.
“Non ci presenta il suo amico, professoressa Potter?” si intromise una
delle studentesse, una splendida ragazza bionda e abbronzata.
Piton avvertì gli sguardi scrutatori di tutti e cinque i ragazzi.
“Un vecchio amico. Non so se la cosa vi riguardi…” cominciò Lily,
sbirciando Piton.
Lui sollevò un angolo della bocca: “Adesso devi presentarmi. O la cosa
apparirà alquanto sordida.”
Le ragazze si scambiarono occhiate maliziose.
Piton non aveva ragioni di nascondersi: era un uomo libero. Senz’altro
discutibile, ma senza debiti da saldare. Ovviamente, il fatto che fosse
stato una spia per conto di Silente non era di pubblico dominio
(qualche vecchio amico avrebbe di certo tentato di tagliargli la gola,
altrimenti), e da quanto aveva notato nelle sue recenti osservazioni
del mondo magico, aver militato nelle file del Signore Oscuro aveva
spinto pochi dei vecchi compagni a rinchiudersi in casa.
Lily gli rivolse una giocosa occhiata di rimprovero: “Vi presento
Severus Piton. Siamo cresciuti assieme.” Si rivolse di nuovo a lui:
“Ultimamente ogni volta che ci incontriamo mi sembra incredibile
vederti…Londra è stata proprio una sorpresa, ma anche
oggi…Sei…diverso,” aggiunse osservandolo con più attenzione ancora di
quanto avesse fatto durante il loro primo incontro, quasi due anni
prima.
Piton si accese una sigaretta, stringendosi nelle spalle. Ovvio che
fosse diverso. Era un adulto, la sua vita era cambiata radicalmente.
Anche fisicamente si sentiva lontano anni luce dal ragazzino pallido e
curvo che era stato: non era diventato un amante della vita all’aria
aperta, ma non viveva neppure più in un sotterraneo.
“Vuole unirsi a noi, signor Piton?” lo invitò uno dei ragazzi. Aveva un
accento scozzese e l’aria sicura.
“Oh, dovresti!” intervenne Lily. “Loro devo proprio presentarteli,”
disse, dimentica della riluttanza di poco prima.
Lo prese sottobraccio e lo fece sedere.
Piton indirizzò un cenno di saluto alla ragazza sulla sua destra che
tormentava nervosamente una ciocca dei lunghi capelli che le coprivano
il viso, ma tra cui facevano capolino due occhi chiari e penetranti (a
Piton piacque d’istinto). Di fronte a lui c’era una brunetta che guardò
apertamente Lily e poi lui.
“Un vecchio amico, professoressa? Davvero?” chiese, con un sorriso
incredulo.
“Euriale…”
“Perché? Vuoi illuminarci sulle tue congetture?” le chiese Piton con
noncuranza, scrollando un po’ di cenere.
La brunetta sorrise ancora e si sporse sul tavolino verso i due adulti:
“Io direi…” cominciò.
Piton avvertì un formicolio al confine dei suoi pensieri e chiuse la
mente di scatto.
La ragazzina si ritrasse di colpo: “Lei è un Occlumante!”
“E tu? Cosa sei tu?” chiese Piton, teso. Poteva essere una Legilimante?
Lily sospirò, stizzita: “Sai che non dovresti. Ti presento Euriale
Heartilly. Un’empate.”
“Oh? Sono rari, ormai,” rispose Piton, incuriosito.
La ragazza si strinse nelle spalle.
“Gli altri sono Madeline Ashenhurst, Isabel Gascoyne-De Atienza,
William McIver e Liam Warrington,” completò Lily, con un bel sorriso.
Piton aggrottò la fronte e la fissò.
“Sì,” rispose lei. “Sono il quinto anno di Serpeverde al completo.”
Piton fischiò piano e studiò attentamente i volti di tutti. Heartilly
era un nome che non gli diceva nulla, e AshenHurst apparteneva
genericamente a una famiglia Serpeverde. Ma gli altri…
“Conoscevo tua madre,” disse alla ragazza bionda. “La tua tinta è molto
credibile.”
Isabel parve sul punto di offendersi, poi scelse di ridere.
“E conoscevo tuo padre, Damian Warrington,” disse al ragazzo più alto e
muscoloso, che teneva un braccio sulle spalle di Isabel.
Liam aveva gli occhi del padre, la stessa aria pericolosa. Ma la
menzione del genitore lo aveva rabbuiato e forse aveva risvegliato
ricordi poco piacevoli.
Piton indugiò un istante, poi guardò il ragazzo scozzese: “E,
coincidenza, mi è capitato di conoscere anche tuo padre.”
“Davvero?” si illuminò quello. “Eravate amici? Vi siete conosciuti a
scuola?”
“Ci siamo conosciuti…dopo la scuola,” rispose Piton, cauto. “Lui è
ancora vivo?”
Non era mai stato amico di Thomas McIver, ma avevano servito lo stesso
padrone e lui era presente, quando l’uomo era stato maledetto.
“È morto quando avevo dieci anni,” lo informò William con un sorriso
triste.
“Mi dispiace.”
Inevitabile, si disse Piton. Ma almeno McIver aveva evitato Azkaban,
come lui.
“Sapete, ragazzi, io sono diventata professoressa di Pozioni dopo che
Severus ha rifiutato il posto. Se non lo avesse fatto, ora sarebbe il
vostro insegnante di Pozioni, e con tutta probabilità il vostro
Direttore,” disse Lily.
“Bè’, non è possibile,” ribatté Liam, con un sorrisetto che si spense
subito, sotto lo sguardo dei due adulti.
“Perché dici così, Liam?” gli domandò Lily, con l’aria di sapere già la
risposta.
“Ha…ha detto che siete cresciuti insieme, professoressa. Quindi è
sicuramente nato babbano, o mezzosangue,” spiegò Liam, nervosamente.
“L’unica condizione per diventare Direttori è essere stati smistati in
quella Casa. E i tuoi compagni non sono tutti purosangue: è un
pregiudizio,” replicò Lily, gelida.
“Ma non si è mai sentito di un Direttore non purosangue, a Serpeverde,”
insistette Isabel.
“Hanno ragione,” intervenne Piton. “È difficile per un mezzosangue
inserirsi completamente nell’ambiente Serpeverde, dove il sangue puro è
così importante. Ci sono informazioni, conoscenze e confidenze che gli
saranno sempre precluse. È una delle ragioni per cui ho rifiutato la
generosa offerta di Silente,” concluse con velato sarcasmo.
“Se Lucius Malfoy può occupare un posto nel Consiglio Scolastico, tu
avresti potuto senza dubbio essere Direttore,” gli disse seccamente
Lily a bassa voce.
A Piton brillarono gli occhi: “Ma io non volevo.”
Euriale e Isabel si scambiarono uno sguardo discreto.
“Noi dovremmo andare,” annunciò la mora.
“Sì, hai ragione,” si affrettò a confermare Liam. “Wallace, non volevi
andare a prendere i biglietti per quel concerto?”
“Sono esauriti,” sospirò William.
“Quale concerto?” chiese Lily.
Piton ricordò con un sorriso l’adolescente che stravedeva per i T-Rex.
“I Suede,” rispose il ragazzo. “Suonano in un club qui a Londra. Cioè,
nella Londra babbana.”
“Al Black Studio,” precisò Piton.
Il locale apparteneva al 50% ad Eggar, e loro lo usavano spesso per
parlare con tranquillità di faccende delicate (evitando accuratamente
le serate dedicate a gruppi troppo famosi, come quello che interessava
a William); era inoltre un ottimo mezzo per riciclare denaro.
“Lo conosci?” domandò incredula Lily.
“È di un mio…amico. Ci sono spesso biglietti omaggio. Posso fartene
lasciare un paio all’ingresso…o andate tutti?”
“No, grazie,” rispose Isabel con una smorfia.
“Due sarebbero perfetti, signore, grazie!” esclamò William, al settimo
cielo.
I ragazzi li salutarono.
“Sei stato davvero carino, con William,” gli disse Lily.
“Serpeverde si è un po’ addolcito, o sbaglio?” fece lui.
“Oh, smettila! Sono bravi ragazzi, nonostante tutte le sciocchezze che
insegnano loro in famiglia…per fortuna Heartilly viene da una famiglia
non Serpeverde e ha una buona influenza sugli altri.”
“Un’empate…ha riconosciuto l’Occlumanzia al volo: qualcuno le ha
insegnato a usarla per controllare il suo potere, vero?”
La rossa annuì: “Silente in persona.” Poi lo guardò, divertita: “Quindi
ora apprezzi la musica babbana?”
“Non i T-Rex di sicuro.”
Lily rise: “Peccato che non ti piacesse quando eravamo ragazzi. Non
siamo mai andati insieme a un concerto, tu ed io.”
“Lasciami rimediare,” le rispose Piton, d’impulso. “Se si trattasse non
di un concerto, ma di musica dal vivo, in un locale adatto alla nostra
età, mi faresti l’onore della tua compagnia?”
Lily si fece riluttante: “Oh, Severus, non so…”
“Andiamo. Una piccola fuga innocente,” insistette lui.
Lily accennò un sorriso: “Non ricordo l’ultima volta che siamo usciti
per qualcosa di non legato al quidditch…e sono anni che io e Remus ci
rifiutiamo di accompagnare Sirius a un concerto punk!”
Piton lottò perché la stilettata d’odio che gli era affondata nelle
viscere a sentire quei nomi non trasparisse sul suo volto: “Allora
questa è l’occasione buona.”
“Dovrei passare da casa a prendere degli abiti babbani…”
“Anch’io. Possiamo trovarci al Paiolo Magico tra un paio d’ore. Ti
basta?”
Lily tentennò ancora un attimo.
A Piton parve di percepire l’istante in cui decise che non c’era niente
di male a dire una piccola bugia a James. Sorrise trionfante prima che
lei capitolasse con timido entusiasmo.
Note: In questo capitolo compaiono i protagonisti dell'altra mia
storia, 'Echoing Green, Poison Tree', perchè...boh! La cosa mi
divertiva, quindi li ho inseriti senza pormi troppi problemi. Spero che
non si sveli troppo dell'altra storia.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 3 *** Capitolo 3 ***
Capitolo 3
Agosto 1993
Piton si smaterializzò direttamente da Diagon Alley. C’erano un paio di
cose di cui doveva occuparsi, in vista della serata.
Uscì sul retro del laboratorio e chiamò Sonny.
“Andiamo a casa presto, John? Prendo la macchina?”
“No. Chiama il Black Studio e fai mettere da parte due biglietti per il
concerto di giovedì a nome McIver. Devo scriverlo?”
Sonny sorrise imperturbabile: “No, me lo ricordo.”
“Bene. Ho bisogno che tu faccia qualcosa per me, stasera.”
“Tutto quello che posso, capo.”
“Tieni occupata Rarity. Non so, portala a cena, a ballare con le
amiche, affittate un film. Che cazzo ti pare.”
Al contrario di molte altre ragazze, che scomparivano nel giro di poche
settimane, nel continuo via vai di flirt, feste, clienti importanti e
famosi, Rarity era rimasta. Piton l’aveva tenuta accanto a sé per non
dover replicare lo stupido balletto che l’aveva messa sulla sua strada,
perché tutto sommato lei non lo irritava più di tanto: faceva silenzio
quando lui le diceva di star zitta e scopava da dio.
“Se non ti conoscessi, John, direi che hai in mente qualcosa di
sporco,” ridacchiò Sonny. “Non c’è problema. Mi ha chiesto di andare a
prenderla in centro tra un’ora. Le dico se ceniamo fuori, che tanto tu
sei al laboratorio.”
“Perfetto,” rispose Piton, passando oltre. Poi si bloccò: “Sonny?
Niente droga, è chiaro?”
Sonny si fece serio: “Certo che no. Lo so che non vuoi.”
Un’altra delle ragioni per cui la presenza di Rarity non lo disturbava
era che non era una tossica. Non lo avrebbe sopportato: Piton odiava i
tossici, erano deboli, codardi ed infidi.
A differenza di altre troiette per cui il punto più alto della serata
era il momento in cui qualcuno tirava fuori la coca, Rarity non si
faceva mai. O quasi.
Una volta Piton l’aveva trovata priva di sensi per l’alcool e le
pasticche che aveva preso mentre lui era fuori a occuparsi di una
grana, e Brennan e altri idioti festeggiavano.
“La tua donna non sa divertirsi. Volevo coinvolgerla, ma c’è sempre chi
non regge la festa,” aveva ghignato Brennan, mentre Rarity, in
condizioni pietose, mugugnava indistintamente.
‘Oh, Rarity, perché, cazzo’, aveva pensato Piton.
“Stupida puttana,” aveva detto ad alta voce, accendendosi una
sigaretta.
E mentre Brennan scoppiava a ridere, Piton gli aveva dato un assaggio
del perché non era saggio ridursi in condizioni di scarsa lucidità
quando frequentavi persone pericolose di cui era meglio non fidarsi.
Ora si godeva gli sguardi di rancoroso terrore dell’uomo ogni volta che
entrava in una stanza.
A Sonny, che avrebbe dovuto tenerla d’occhio, e a Rarity, non aveva
permesso di dimenticare tanto presto quanto la faccenda lo avesse
contrariato.
Si allontanò dal laboratorio e appena fu prudente si smaterializzò
diretto al suo appartamento.
Quando Lily entrò al Paiolo Magico, leggermente in ritardo rispetto
all’ora dell’appuntamento, con un abito da cocktail scuro con dettagli
dorati, Piton era già nel pub da un po’.
Le fece un cenno da lontano, indicando l’uscita. La raggiunse fuori.
“Perché questa segretezza?” chiese lei. “Non c’è niente di sordido,”
aggiunse, facendogli il verso.
“Vero. Ma è altrettanto vero che gli stupidi amano chiacchierare,”
replicò lui, offrendole il braccio.
Cenarono con calma in centro, parlando del lavoro di Lily e delle
conoscenze in comune.
“Mi ero imposta di non abbandonare la ricerca, ma le lezioni occupano
davvero molto tempo, e un sacco di energie!”
“Il vecchio Lumacorno…è sempre lo stesso?”
“Solo più grasso. E stanco: sono anni che minaccia di andarsene,
dicendo che vuole godersi in pace gli ultimi anni, ma Silente riesce
sempre e convincerlo a restare!”
“Gli ultimi anni? Figuriamoci! Rischierebbe di perdere l’occasione di
aggiungere il Ragazzo-Che-È-Sopravvissuto alla sua collezione?”
“Oh, Neville oppone una strenua resistenza, ai suoi tentativi di
cooptazione per il Luma-Club!”
“Quindi ti piace, insegnare,” le disse Piton mentre facevano due passi
verso il locale.
“Sì,” rispose Lily con orgoglio. Poi sorrise: “Che te ne pare dei miei
studenti Serpeverde? Isabel è un talento naturale, per le pozioni.”
“Uhm,” fece Piton, ripensando al gruppetto. “Sembrano interessanti.
Harry non è un talento come sua madre?”
Lily si coprì la faccia con le mani: “È un disastro.”
“Ah, ma scommetto che sa volare…”
“Non essere acido. È vero, è molto bravo.”
“E Rose?”
“Rose…” cominciò Lily, poi rise con affetto. “Lei ha una cotta
gigantesca per William McIver!”
Erano arrivati. Piton mostrò una tessera scura al buttafuori e quello
li fece passare con un cenno. Una volta dentro Piton chiese un tavolo
per assistere allo spettacolo.
“Non stento a credere che McIver le piaccia,” riprese. “Un Serpeverde
che ama la musica babbana. Un cattivo ragazzo con un lato tenero.”
“Ama anche gli animali.”
“Sicura di non avere anche tu una cotta per McIver?”
Lily rise di nuovo.
Piton ascoltò la sua risata con soddisfazione: negli ultimi tempi della
loro amicizia era diventata una cosa molto rara. Era felice di poter
sostituire nei suoi ricordi quel momento, a tutte le risate che le
aveva strappato Potter da quando Lily aveva cominciato a frequentarlo.
Soprattutto alle più dolorose: quelle a sue spese.
Continuarono a parlare bevendo qualcosa, mentre sul palco un crooner
accompagnato da una piccola orchestra cantava.
“Warrington, invece…” Lily scosse la testa. “Ha un brutto carattere, e
in famiglia sono molto retrogradi, sul sangue e la dignità di mago.
Però non va d’accordo col padre, e questo mi fa ben sperare.”
Piton non rispose, prendendo un sorso dal suo drink.
“Tuo padre?” chiese Lily, all’improvviso.
Piton cercò le sigarette: “Sta bene. Credo. Si è risposato, sta a
Bristol.”
“Pensavo che foste vi sareste riappacificati, dopo la morte di tua
madre…”
“Dato che sono io a pagargli l’affitto, credo si possa dire che ci
siamo riappacificati. Almeno per la cronaca.”
Piton sorrise appena. John Price percepiva un regolare stipendio, per
il suo regolare (e fittizio) lavoro alla compagnia farmaceutica Salus.
Ogni mese faceva un bonifico a favore di Tobias Piton qualificato come
canone di locazione della casa di Cokeworth, e che coincideva con le
spese di affitto della casetta di Bristol che suo padre divideva con la
nuova moglie. Piton lo faceva principalmente perché sapeva che a Tobias
dava fastidio che il figlio facesse sfoggio di superiorità con lui,
come al solito.
Sollevò il bicchiere.
“A padri e figli,” brindò, acido.
Ascoltarono la musica in silenzio per un po’. Lily rimuginava, e non
era mai un buon segno.
“Mi sento un po’ in colpa,” confessò alla fine con un sorriso incerto.
“Per aver mentito e lasciato i ragazzi con James. Anche se, a essere
onesta, non mi sono sembrati dispiaciuti.”
“Perché dovrebbero? Scommetto che è il loro eroe…” replicò Piton, non
senza una punta di sarcasmo.
Lily lo fissò: “James non è più il ragazzo odioso e arrogante che
ricordi. Da molto tempo.”
“Non intendevo questo. Volevo dire che da quanto ho visto, mi è
sembrato piuttosto permissivo, con Harry e i suoi amici. Lasciare i
ragazzi soli a Diagon Alley…” Piton si finse leggermente accigliato.
“Di cosa stai parlando?” chiese Lily, perplessa.
“Non te l’ha detto?” rispose Piton, lentamente. “Ho…visto tuo marito e
i ragazzi a Diagon Alley, il mese scorso.” Si strinse nelle spalle.
“Be’, posso capire che non ti abbia raccontato di aver visto me. Ci
siamo trattenuti, ma siamo andati vicini a dare spettacolo.”
“E i ragazzi erano da soli?”
“Credo che Paciock fosse alla ricerca di un po’ d’avventura, con Harry
e Weasley,” fece Piton, con una piccola smorfia di esasperazione.
“Permissivo o no, tuo marito si è davvero preoccupato, quando gli ho
detto che li avevo trovati nella Londra babbana. Non era incline a
sottovalutare il pericolo della fuga di Bellatrix Lestrange da Azkaban.”
Lily lo guardava ad occhi sgranati.
“Sapevi sicuramente che i ragazzi si erano allontanati, no? Magari non
ha nominato me, ma il resto…” le disse Piton, in tono sobrio.
“Dov’erano?”
“Limehouse.”
“Perché non me l’hai raccontato subito?” indagò Lily, incrociando le
braccia.
“Pensavo lo sapessi.”
“Non è vero. Mi conosci troppo bene, Severus.”
“Ti conoscevo. Tredici anni fa. Le cose cambiano,” replicò lui,
voltando il capo.
“Invece ho paura di no. Ho proprio idea che tu sapessi che James mi
aveva mentito, e non vedessi l’ora di dirmelo! Che come un ragazzino tu
non abbia resistito alla tentazione di mettere zizzania tra di noi!”
“Se qualcuno si è comportato da ragazzino, è stato tuo marito,
l’irresponsabile idiota che ha permesso a tre bambini di andarsene in
giro da soli mentre Bellatrix è a piede libero!” sibilò Piton. “Ma se
ti fa stare meglio, giudica me, come hai sempre fatto.”
Il cameriere scelse quel momento per accertarsi che tutto andasse bene.
Lily si alzò di scatto, afferrò la sua borsetta e si avviò a grandi
passi.
Piton si alzò a sua volta imprecando.
“Levati dai piedi!” gridò al cameriere, scostandolo in malo modo.
“Lily!”
La seguì fuori dal locale, restando a qualche passo da lei.
Ma lei si girò di slancio: “Non ho mai voluto giudicarti! Vedevo il mio
migliore amico prendere una brutta strada, fare scelte assurde, e non
potevo tacere e basta! Ma alla lunga, ho capito che non saresti
cambiato perché te lo chiedevo io e ti ho lasciato andare…”
“Ma ora siamo di nuovo da capo, vero?”
Lily lo fissò furiosa: “Come una povera stupida, pensavo che potessi
diventare migliore: hai salvato me e la mia famiglia, credevo avessi
compreso i tuoi errori. Ma tu hai rifiutato la seconda possibilità che
ti ha offerto Silente, e…”
“Non mi ha offerto una seconda possibilità, intendeva usarmi!”
“Usarti per il bene!” strillò Lily. “E tu hai rifiutato per cosa? Cosa
sei, adesso?”
Piton sorrise sgradevolmente: “Me lo hai già chiesto una volta. Sono un
chimico. Non era una menzogna, ma è certamente un po’ riduttivo.
Sintetizzo droghe. Vendo droghe. Sono uno spacciatore, per farla breve.
Dovevi aver intuito qualcosa, a Londra, dall’espressione che…”
Lily gli schiaffeggiò un braccio con forza: “Perché, razza di idiota?
Hai rifiutato il mondo magico per diventare un criminale? E hai il
coraggio di chiedermi di non giudicarti?!”
Piton le bloccò la mano prima che lo colpisse di nuovo.
“Io non ho rifiutato il mondo magico!” ringhiò. “Ho fatto cose
terribili, pur di farne parte! Tu non hai idea di quanto avessi bisogno
di far parte di qualcosa, quand’ero un ragazzo…”
Lily si divincolò dalla sua presa e rise sprezzante: “Ma certo! Sei il
solo che si sia mai sentito fuori posto!”
“Be’, sono il solo che ha fatto scelte sbagliate, a quanto pare. E meno
male, sia ringraziato il cielo, per le mie scelte sbagliate: se non
avessi preso il Marchio, non avrei ascoltato la profezia, non avrei
saputo come il Signore Oscuro decise di interpretarla! E se ora non
facessi quello che faccio, non avrei trovato quei tre ragazzini sul mio
territorio e non avrei potuto portarli al sicuro.” Piton fece un passo
indietro, cercando una sigaretta. “Forse è Destino, Lily. Io cammino
nell’ombra. Sono un mago oscuro.”
Lily strinse le braccia e le labbra: “Sono stronzate. Tu sai qual è la
cosa giusta da fare, sei in grado di farla. Semplicemente, non hai il
coraggio di farla ogni volta. Tu scegli di essere codardo!”
A Piton lampeggiarono gli occhi. Accartocciò la sigaretta che non aveva
ancora acceso e la scagliò a terra.
Lily lo fissava con aria di sfida.
“Sai cosa?” le sibilò a un centimetro dal volto. “Non mi interessa.
Giudicami. Sono un criminale, sono un codardo. Non siamo tutti
Grifondoro.”
Si allontanò senza voltarsi.
Lily era tornata al Paiolo Magico in metropolitana, avvolta in un
bozzolo di frustrazione, rabbia e tristezza. Si era concessa di
credere, nelle ultime ore, che nella sua vita ci potesse essere di
nuovo spazio per Severus.
Quanto avrebbe avuto bisogno Serpeverde di un nuovo Direttore. Quanto
avrebbe avuto bisogno d’aiuto, lei, con le classi di Pozioni Avanzate.
Quanto le sarebbe piaciuto riavere il suo amico.
E ora si sentiva così tradita! Severus non era cambiato, era
compiaciuto di quello che era diventato, anzi, di quello che era sempre
stato (e lei, che si era convinta di essersi sbagliata, sulla cattiva
impressione che le aveva fatto a Londra, due anni prima!). Per quante
seconde possibilità gli venissero offerte, lui le avrebbe rifiutate.
Lily si sforzò di pensare che era la sua vita e non la riguardava, ma
l’idea che per la seconda volta Severus avesse vegliato su suo figlio
ma non volesse stare apertamente dalla loro parte la feriva. Preferiva
continuare a fingere di essere un incompreso. Stupido, ipocrita,
egoista bugiardo.
Le aveva mentito. James le aveva mentito, Harry le aveva mentito.
Entrò nel camino del Paiolo Magico e gettò una manciata di polvere
nelle fiamme.
“Casa Potter!” esclamò, furiosa.
James capì che qualcosa non andava all’istante: “Che succede, tesoro?
Marlene ha sentito qualche altro pettegolezzo su Sirius?”
Lily gli scoccò un’occhiata di fuoco.
“Harry James Potter! Vieni immediatamente qui!” gridò.
James si alzò, guardingo, intuendo che erano stati scoperti.
Harry si affacciò al salotto. Rose, curiosa, fece capolino dietro di
lui.
“Perché voi due non mi raccontate cos’è successo a Diagon Alley il mese
scorso? Senza tralasciare quello che avete fatto nella Londra babbana
tu, Ron e Neville!” disse Lily gelida, incrociando le braccia al petto.
Harry divenne paonazzo. Raccontò quasi tutto, tacendo solo la parte
avuta dai discorsi di Dudley. Sua madre avrebbe certamente parlato con
sua sorella e avrebbero litigato ancora; forse finalmente si sarebbe
liberato di suo cugino, ma sua madre sembrava così arrabbiata che Harry
non se la sentiva di farla infuriare anche con zia Petunia.
Lily si voltò.
“Hai lasciato i ragazzi da soli e hai chiesto loro di non dirmi nulla?”
domandò a suo marito.
James provò a blandirla come al solito (“Hai ragione, ma non è successo
niente, i ragazzi stavano alla grande…”), ma vedendo che non funzionava
aveva provato a contrattaccare: “Quindi te l’ha detto lui. Mi hai detto
che ti vedevi con degli amici e poi sei uscita con un altro uomo?
Severus Piton? Hai mentito anche tu, o sbaglio?”
“Lui è sempre stato mio amico e sai benissimo perché non ti ho detto
che l’avrei visto…”
“Non puoi essere amica di quel verme! È un criminale, una specie di
spacciatore!”
“Lo so ora! Sai come avrei potuto saperlo prima? Se mio marito non mi
avesse mentito su dove si trovava mio figlio un mese fa!” urlò lei.
James occhieggiò i figli: “Bambini, di sopra. Ora.”
Harry e Rose si affrettarono a salire in cima alle scale, dove si
fermarono ad ascoltare le urla dei genitori.
“Perché non mi hai raccontato nulla?” chiese Rose al fratello.
“È stata un’idea stupida. Di sicuro non una grande avventura,” rispose
Harry, stringendosi nelle spalle.
“Potevi dirmelo, però, che avevi visto Piton.” Rose non l’aveva mai più
rivisto, quel mago alto e scuro a cui ricordava sua madre da bambina.
“È un tipo pericoloso,” le disse Harry, raccontandole più nel dettaglio
il loro incontro.
“Con me è stato gentile,” ribatté Rose, ostinata.
“So che pensi che abbia salvato la nostra famiglia, e Harry,” stava
dicendo loro padre al piano di sotto. “So che tu vedi sempre del buono
in tutti. Ma in Piton non ce n’è, Lily. Non gli importa dei bambini, è
solo ossessionato da te.”
Harry e Rose si scambiarono un’occhiata.
“Credi sia vero?” mormorò Rose.
Harry si passò la mano tra i capelli scarmigliati: “Uhm, non lo so. Può
darsi.”
Ma Piton non gli aveva chiesto della mamma, quando li aveva fatti
salire sulla sua macchina. Si era preoccupato per Rose.
Gli ci erano volute ore per calmarsi, e rendersi conto di che razza di
idiota era stato. Perché aveva dovuto tirare in ballo Potter? Perché
non si era accontentato del tempo senza pensieri che poteva passare con
Lily? Non gli era mai capitato prima, di preferire mettere nei guai
Potter piuttosto che fare fronte comune con Lily, di ricordarle che lui
c’era, anche solo come amico.
Forse questa volta però non voleva colpire Potter: aveva voluto ferire
Lily.
Vedere la propria immagina riflessa negli occhi di lei era sempre stato
un tormento, per Piton. Per un breve periodo, da bambini, Lily lo aveva
creduto pari a lei: altrettanto speciale, coraggioso, buono. Ma col
tempo le differenze tra loro si erano fatte più evidenti, al punto che
anche l’ingenua ragazzina con i capelli rossi aveva iniziato a vederle.
Assieme a lei, le vedeva anche Piton. Lo sguardo che un tempo lo faceva
sentire capace di qualunque prodezza, di ottenere qualunque risultato,
gli rinfacciava ora di non essere abbastanza, di non saper perdonare,
di non essere giusto.
Piton aveva sempre temuto il giudizio di Lily. Aveva finito per
odiarlo, perché niente di quello che diceva riusciva a spiegarle perché
lui non era forte come lei.
Non era mai riuscito a dirle come fosse vivere con il pensiero di
essere nato mezzosangue per quello che a lui appariva un capriccio, che
non aveva portato che una felicità effimera ai suoi genitori e che
aveva privato lui di radici, tradizioni, ricordi, praticamente di tutto
ciò che i Serpeverde rispettavano e veneravano.
Per i suoi compagni era metà di un intero e, al contrario di Lily, lui
non vedeva alcun valore nella sua metà babbana. Come avrebbe potuto?
Era la parte di lui che persino sua madre rimpiangeva, era la paura e
l’indifferenza che suo padre aveva per lui.
Per Lily il mondo babbano era una famiglia affettuosa, musica,
possibilità, era parte della propria identità. Per Piton era un vuoto
nell’anima, qualcosa che mancava.
Aveva voluto ferire Lily perché gli era sembrato che lei lo stesse
facendo ancora: giudicava i Serpeverde, senza sapere quanto potesse
essere forte la pressione delle famiglie e di quale disgrazia fosse
perdere il loro supporto. E pensare che aveva visto quello che avevano
dovuto patire lui e sua madre e poi Black, quando era stato ripudiato.
Piton non intendeva cercare scuse, per il suo passato da Mangiamorte.
Unirsi al Signore Oscuro era stata una follia, un errore imperdonabile,
una macchia sulla sua anima che ancora lo tormentava, la notte. Ma era
giovane, stupido, arrabbiato, strapieno di rabbia cocente e velenosa
che gli sfigurava il cuore. Non aveva bisogno che gli occhi verdi di
Lily lo facessero fremere di vergogna e rimpianto.
Si materializzò vicino al suo appartamento. Entrò nel palazzo senza che
nessuno lo notasse e salì all’ottavo piano osservando le luci di Londra
e il Southwark Bridge dal grande ascensore di cristallo.
Se avesse accettato l’offerta di Silente…sarebbe stato l’insegnante di
Pozioni degli studenti di Lily, i cinque Serpeverde. Avrebbe insegnato
lui l’Occlumanzia alla piccola empate; avrebbe fatto da cuscinetto tra
Warrington e suo padre, forse, visto che lo conosceva. Avrebbe avuto un
occhio di riguardo, per i Serpeverde, visto che tutti gli altri li
trattavano con diffidenza.
Lily non avrebbe comunque fatto parte della sua vita. Era sicuramente
meglio per entrambi.
Attraversò gli ultimi incantesimi di protezione che aveva disseminato
lungo il corridoio, fino all’ingresso dell’appartamento, e che
permettevano il passaggio a ben pochi esseri umani. Come ogni volta che
rientrava a casa, le basse, quasi impercettibili vibrazioni delle
barriere magiche che gli accarezzavano il viso mentre le attraversava
lo confortarono.
Quando aprì la porta, lo accolse della musica dolce, una qualche
canzone d’amore che doveva aver già sentito, ma di cui non ricordava
una parola. Rarity era ancora sveglia.
Si girò a guardarlo quando lui apparve sulla soglia del soggiorno.
Abbandonò la posa infantile e si tirò a sedere sul divano di pelle
nera, le mani vicino alle ginocchia, i piedi nudi a terra, come in
attesa di qualcosa. Poi si riscosse e si alzò per abbassare la musica.
Piton si appoggiò allo schienale dell’altro divano. Si sfilò la giacca
e iniziò a sciogliere la cravatta.
Rarity lo studiò un attimo, accanto allo stereo, con aria combattuta.
Lo raggiunse e sostituì le sue mani a quelle di Piton sul tessuto della
cravatta.
Era evidente che temeva che fosse successo qualcosa, ma non intendeva
chiedere cosa.
Piton studiò i suoi capelli biondi e la figura invitante fasciata dal
raso della sottoveste, maledicendo e ammirando il suo intuito.
Rarity lasciò cadere la cravatta e lo fissò negli occhi, dubbiosa e
risentita. Dov’era stato fino alle tre di notte?
“John?” accennò.
Piton le cinse la vita con un braccio un istante prima che lei
decidesse di andarsene, visto che lui non rispondeva. La baciò a fior
di labbra, chinandosi su di lei. Approfondì il contatto quando lei
reclinò la testa all’indietro.
Rarity gli si aggrappò alle spalle, lasciandosi baciare, succhiandogli
la lingua.
“Ok, John, che succede?” gli chiese, quando lui la lasciò.
“Il mio nome non è John,” le disse Piton.
Rarity lo osservò attenta. Piton sapeva che ricordava l’incontro con
Lily e l’accenno al cambio di nome: era il genere di dettaglio che
Rarity non scordava.
“Il mio vero nome è Severus,” le confessò sottovoce. Poi fece un
sorrisetto: “Capirai perché non lo uso…”
Rarity sorrise timidamente a sua volta: “Dici sul serio?”
Piton annuì.
Rarity gli strinse le spalle: “Ti avranno fatto passare l’inferno, a
scuola…”
“Non solo per quello,” rispose Piton, passandosi l’indice sul naso.
Rarity l’abbracciò ridacchiando.
“Severus…” ripeté, indugiando appena sull’ultima esse. “Anche i tuoi
avevano nomi…importanti?”
“Nah. Eileen e Tobias. Erano due idioti,” rispose lui, guardando oltre
la spalla di lei fuori dalle ampie vetrate.
Severus era il nome del fratello di sua madre, morto appena
maggiorenne. Eileen lo aveva battezzato come lui nel tentativo di
addolcire i Prince, ma non era servito.
“Devo continuare a chiamarti John?”
“Ovviamente!”
“Non c’è niente di male, in Severus…”
“Non c’è niente di male neanche in Sue. Eppure tu preferisci Rarity.”
La ragazza lo guardò: “Come fai a sapere sempre tutto?”
Piton sorrise, lo sguardo in lontananza.
Rarity lo spinse a sedere sul divano.
“Grazie per avermelo detto,” gli sussurrò all’orecchio, prima di
baciargli il collo.
Piton si godette un piacere colpevole mentre Rarity cercava su di lui
il profumo di un’altra.
Quando mai qualcuno si era sentito minacciato all’idea di perderlo?
Importava davvero che fosse solo per la vita comoda e la protezione che
le offriva?
Novembre 1994
Rarity si aggirava guardinga per la camera da letto, allarmata dalla
sua paura.
Seduto a gambe incrociate sul letto disfatto, i gomiti sulle ginocchia,
la bocca premuta sulle proprie dita intrecciate, Piton faceva il
possibile per ignorarla.
La donna aveva provato per tutta la sera a distrarlo, chiacchierando di
sciocchezze, cercando di farlo parlare di qualsiasi cosa le venisse in
mente, ma si era ormai arresa all’evidenza che l’ansia che lo
attanagliava non poteva essere allontanata tanto facilmente. Si
arrampicò sul letto e gli si sedette alle spalle, appoggiandosi alla
sua schiena, premendo il pizzo del reggiseno sulla sua pelle nuda. A
volte silenziosi gesti di conforto fisico spingevano John a parlare, o
lo esasperavano a tal punto che la situazione si sbloccava. Persino
l’irritazione era preferibile a quell’immobilità.
Ma lui non si mosse, neppure quando Rarity cominciò ad accarezzargli i
fianchi.
Piton indossava solo i pantaloni. Era un’abitudine che aveva preso da
Rarity, che non indossava mai vestiti, in casa, preferendo aggirarsi
per l’appartamento in completini intimi provocanti. Contando quanto era
stato pudico e a disagio con il proprio corpo per buona parte della sua
vita, improvvisamente gli appariva davvero una sciocchezza, starsene a
torso nudo senza ragione, essere costretto ad avere la propria pelle
sotto gli occhi.
Provò di colpo il desiderio di coprirsi, di coprire le proprie braccia,
di nascondersi sotto un mantello e sparire nell’ombra. Ma non sarebbe
servito a niente.
“John, che cosa sta succedendo? Sono settimane che qualcosa non va…”
disse Rarity.
‘Niente che tu possa comprendere,’ le avrebbe risposto Piton, se le sue
parole non fossero state per lui poco più di un rumore di fondo: ne
aveva compreso il senso, ma non lo riguardavano.
Rarity sospirò e si allungò su di lui, spiando il suo volto da sopra la
sua spalla. Poi le cadde lo sguardo sull’ennesimo mistero di John.
“Stai facendo ribattere quel vecchio tatuaggio?” chiese, perplessa.
Piton trattenne il fiato.
“No,” rispose in tono fermo.
Contrasse le spalle e Rarity si scostò da lui.
“Dove…dove vai?” gli chiese, guardandolo alzarsi e vestirsi.
“Non ti riguarda,” rispose lui senza voltarsi.
Anche se quell’incontro era l’ultima cosa che desiderava, Piton fu
sollevato di vedere Silente materializzarsi a qualche metro da lui. Era
stufo di sobbalzare ogni volta che il vento faceva scricchiolare un
ramo in lontananza.
“Buonasera, Severus. Non sai quanto sono felice di rivederti,
nonostante in questo luogo tu mi abbia sempre portato notizie gravi,”
gli disse il vecchio mago, gli occhi che scintillavano.
Il travestimento di Piton non lo aveva tratto in inganno. D’altronde,
anche se il viso che indossava apparteneva ad uno dei suoi galoppini,
Mohinder, il luogo dell’appuntamento che aveva proposto a Silente era
lo stesso in cui lo aveva avvertito della Profezia, e poi pregato di
nascondere Lily e la sua famiglia.
Aveva spedito la lettera al vecchio dall’ufficio postale di Hogsmeade
quella sera stessa. Non si sarebbe arrischiato a salire al castello,
non dopo aver sentito che il Preside aveva assunto Malocchio Moody per
garantire la sicurezza al Torneo Tremaghi. Piton aveva tutte le
intenzioni di evitare che il disgustoso occhio magico dell’Auror che
aveva visto su una copia del Profeta si posasse su di lui, Pozione
Polisucco o meno.
“Già. In nessuna circostanza quello che ho da dire potrebbe essere
considerato una buona notizia,” rispose, fumando nervosamente. “Non
avevo sentito dell’apparizione del Marchio Nero alla Coppa del Mondo,
altrimenti…sarei venuto prima.”
Silente lo scrutò, attento: “Qualcosa si muove, non è vero?”
“Il Marchio Nero,” rispose Piton stringendosi l’avambraccio destro.
“L’ho sentito bruciare, appena. Ma sta riaffiorando, diventa ogni
giorno più nitido!” continuò, concitato.
“Sai cosa significa,” gli disse Silente.
“Sì. Sta riacquistando potere.”
Il vecchio annuì gravemente: “Altri…vecchi amici stanno sperimentando
la medesima esperienza?”
Piton lo fulminò con lo sguardo: “Perché lo chiede a me? È lei che
ospita Karkaroff sotto il suo tetto. Io vivo tra i babbani, e non ho
alcun desiderio di rivedere i miei vecchi amici!”
“Alastor tiene d’occhi Karkaroff, ovviamente. Ma mi piacerebbe dare
un’occhiata più da vicino al tuo braccio, Severus, dato che sei stato
così coraggioso da venire da me.”
Piton fece una smorfia: “Dovrà aspettare ancora venti minuti.”
“Bene. Avremo il tempo di parlare un po’. Se non sapevi niente di
quello che è successo alla Coppa del Mondo, c’è molto su cui ti devo
aggiornare.”
“Non mi interessa. Non voglio essere aggiornato su niente. Sono venuto
per avvertire del pericolo, non per arruolarmi con i tuoi Grifondoro,”
sibilò Piton.
Dopo la lite con Lily aveva nuovamente rinunciato al mondo magico.
Sapeva solo che Bellatrix era ancora in libertà, e con tutta
probabilità al fianco del Signore Oscuro, ora.
Silente sorrise: “Davvero? Perché saresti venuto ad avvertirmi della
minaccia, se non per stare dalla nostra parte, questa volta? Lily non è
in diretto pericolo, dico bene?”
“Siamo tutti in pericolo!” ringhiò Piton. “Io per primo, dato che lei
ha raccontato al Wizengamot che ero la sua spia, e Karkaroff lo sa!”
Diede le spalle al vecchio, per nascondere quanto era spaventato.
“Allora è tuo interesse quanto mio fermarlo, Severus,” rispose Silente
con dolcezza.
Piton non disse nulla, aspettando che l’effetto della Pozione Polisucco
svanisse, mentre il Preside chiacchierava amabilmente, come se si
stessero godendo una passeggiata sotto le stelle. Come se in quello
stesso luogo, un Piton pazzo di terrore e angoscia non fosse venuto a
implorarlo di salvare la vita a Lily, tredici anni prima.
Quando l’effetto della pozione svanì, Piton sentì il suo corpo
allungarsi, asciugarsi. I capelli neri gli scesero sulle spalle, le
dita divennero sottili ed eleganti, le mani meno forti.
Scoprì il braccio destro e lo porse a Silente, mentre la pelle si
schiariva e una macchia nera affiorava sull’avambraccio.
Il vecchio mago tenne tra le dita il suo polso e il gomito, osservando
da vicino la sagoma di un serpente che scivolava fuori dal ghigno di un
teschio.
“Quando è cominciato tutto?” domandò con la massima concentrazione.
“Ottobre, credo…forse prima.”
“Quando l’hai sentito bruciare?”
“Pochi giorni fa. Mi ha svegliato. Credevo fosse un incubo,” raccontò
Piton, senza guardare il suo Marchio.
“Ha di nuovo degli alleati al suo fianco, e un piano per risorgere,”
sentenziò Silente. “Ho bisogno di te, Severus.”
“No.”
“Hai già corso questo rischio, e con abilità. Come spia…”
“No! Sono un traditore e non sono di alcuna utilità, per Lui. Mi
ucciderebbe, se tornassi!” esclamò Piton. “Sono disposto a tenerla
aggiornato su questo,” e sollevò il braccio, “ma niente di più.”
“Capisco,” disse Silente, intrecciando le dita placidamente. “Non ho
diritto di chiederti di più. Per ben due vote hai dato prova di un
coraggio fuori dal comune.”
Piton grugnì, cominciando ad allontanarsi.
Gli occhi di Silente brillarono: “A Lily si scalderà il cuore, a
saperlo…”
“Non osi!” strillò Piton, voltandosi. “Non osi dirle nulla, non osi
illuderla! E non provi più ad usarla contro di me!”
“Ma Severus, come illuderla?” chiese Silente, divertito.
“Non sono atti di eroismo: sono sempre stato egoista. Lei, Preside,
finge di vederci di più dietro, ma Lily lo crederebbe davvero, e io
sono stufo di sentirmi rinfacciare che l’ho delusa. Sono un criminale,
fatemi il piacere di smetterla di rammaricarvene!” concluse, dando la
schiena al vecchio.
Quando parlò, non c’era traccia di divertimento, nella voce di Silente:
“È vero, saresti potuto diventare un uomo molto migliore, Severus. E
sei tu il solo che dovrebbe rammaricarsene.”
Note: E finalmente riesco di nuovo ad aggiornare di sabato!
|
Ritorna all'indice
Capitolo 4 *** Capitolo 4 ***
Capitolo 4
Giugno 1995
Piton aveva passato molte notti al laboratorio, sin dall’inizio della
sua collaborazione con Martin Eggar (aveva smesso di considerarsi un
dipendente da quando aveva ottenuto il suo laboratorio: era divenuto un
socio), ma negli ultimi mesi vi passava quasi tutto il suo tempo.
Quel pomeriggio era riuscito a dormire qualche ora nel suo
appartamento, ma nella prima serata si svegliato soffocando un urlo,
artigliandosi il braccio destro.
Il Marchio lo tormentava da una settimana.
Visto che non poteva dormire, era tornato al laboratorio per
concentrarsi sul lavoro.
Si materializzò nelle vicinanze dell’edificio. Sonny doveva già essere
lì e da tempo aveva rinunciato a capire come Piton si spostasse anche
quando non aveva a disposizione macchine o altri mezzi di trasporto.
L’entrata sul retro, vicino alla zona di carico, era deserta. Piton
rallentò il passo. Possibile che fossero tutti dentro? Che nessuno
fosse fuori a fumare una sigaretta, prima del lungo turno di mezzanotte?
Si avvicinò alla porta e la aprì restando al riparo dello stipite.
L’interno dell’edificio era buio, ma la luce dei fari esterni era
sufficiente per lasciar intravedere due sagome a terra.
Entrò cauto, con la bacchetta in pugno e una manica premuta sul naso.
Alla luce fioca e incerta di una lampada di emergenza esaminò i due
corpi, appartenenti agli uomini che avrebbero dovuto essere di guardia.
Non vide segni di alcun genere. Togliere corrente poteva essere una
misura di sicurezza nel caso di fuga di sostanze chimiche, e anche i
corpi intatti potevano essere segno di qualche veleno nell’aria. Piton
annusò fugacemente. Ma poteva anche trattarsi di qualcosa di peggio.
Si addentrò nelle stanze buie, incontrando qua e là figure senza vita.
Il laboratorio era sotto sopra: i chimici erano riversi sul bancone da
lavoro, sui vetri infranti dei becher. C’era odore di bruciato e di gas
per i bunsen rovesciati. Un uomo era rivolto verso l’uscita, a faccia
in giù. Simon aveva provato ad estrarre la pistola.
Piton allontanò la stoffa dal proprio naso, lentamente. Poi sentì
gridare al piano di sopra.
“Non è così che lo attireremo…”
“Chissenefrega. Ormai avrà già capito che non può più uscire.”
“Allora combatterà.”
“Ah! Si faccia avanti! Niente mi darebbe più soddisfazione di fare a
pezzi quel viscido traditore codardo…anche se forse dovrei mettermi in
fila dietro a Bella…”
Le urla ripresero.
“Vuoi la tua occasione di saltare la coda, Mulciber?” chiese Piton.
Mulciber smise di cruciare l’uomo steso a terra a scagliò una
maledizione verso Piton, prima di riuscire a distinguerlo nella
fastidiosa luce arancione di emergenza.
Piton respinse la maledizione e colpì a sua volta. L’altro mago si
affrettò a togliersi dalla linea di tiro.
“Non dovremo stanarti come un ratto, Piton. Bene.” Mulciber sorrise
oscenamente.
“Siete venuti in due per me?” chiese Piton puntandogli contro la
bacchetta. “Che cazzo di insulto.”
Notò un movimento alla sua destra e colpì a terra, tra i piedi del
terzo uomo. “Lucius.”
Malfoy gli sorrise: “Severus.”
“Siamo fin troppi per un patetico mezzosangue e i suoi amichetti
babbani,” ripose Mulciber.
“Lo sapevo che eri un mago, John…”
Piton arrischiò un’occhiata alla sagoma a terra: era Sonny, scosso da
spasmi muscolari come conseguenza del dolore inflitto della Maledizione
Cruciatus.
“Il tuo tirapiedi ha la lingua lunga, e crede di averla abbastanza
affilata per proteggersi. Come si sbaglia,” disse Malfoy.
Aveva estratto la bacchetta dal bastone e anche lui la puntava su Piton.
“Sei solo chiacchiere, Lady Oscar…” fece Sonny, faticosamente.
Malfoy lo fissò con disgusto, poi tornò a guardare Piton: “Che ci fai
con questa feccia? Perché non sei venuto, quando Lui ci ha chiamato?
Eri uno di noi!”
“È fuggito, come un codardo!” gridò Mulciber.
“Non sono fuggito,” ringhiò Piton.
“Non eri degno di prendere il Marchio, non lo sei mai stato. Eri e
rimani inferiore…” continuò l’altro.
“Oh, no, affatto, Mulciber,” gli rispose Piton con tono pericoloso.
“Nonostante il mio sangue, sarò sempre di molto superiore a te!”
La faccia di Mulciber si contrasse d’odio e si preparò ad attaccare:
“Ava…”
“No, stupido!” gridò Malfoy, allungando un braccio.
Piton estrasse dalla cintura la pistola di Simon e sparò a Mulciber,
tenendo Malfoy sotto tiro con la bacchetta.
Il rumore dello sparo assordò tutti per un attimo e coprì il suono che
fece Mulciber cadendo, atterrato dall’impatto.
“Cervello e adattabilità. Sarò sempre superiore a te,” sibilò Piton al
mago che si stringeva la spalla maciullata.
La sua bacchetta era volata chissà dove. Sonny rise.
“Perché non sei venuto, quando hai sentito il Marchio bruciare? Lui ci
ha perdonati tutti, per averlo abbandonato…” gli chiese di nuovo Malfoy
con un sospiro. “Pensavi davvero che non ti avremmo cercato?”
“No, sapevo che avreste cercato i traditori. Ma siete stati stupidi a
venire da soli,” disse Piton, scuotendo la testa.
“Non sono soli, John,” fece Sonny, con urgenza.
Altre figure incappucciate emersero dal buio aranciato in fondo alla
stanza, apparendo una per volta. Mulciber si affrettò a strisciare
verso di loro. Malfoy rimase fermo.
Una figura più alta e sottile si fece avanti, tra i fruscii e i
sussurri delle altre.
“Severus…”
La sua voce era come il sibilo di un serpente. A Piton sembrò che una
lingua biforcuta accarezzasse ogni centimetro della sua pelle,
assaggiando la sua paura.
La figura abbassò il suo cappuccio e Sonny mandò uno strillo rauco. Se
fosse stato per il viso bianco come un osso, piatto e per gli occhi
rossi dalle pupille lanceolate, o per il gigantesco serpente che si
inalberò sulle spalle dell’essere, Piton non avrebbe saputo dirlo.
Sentì le proprie braccia scivolargli lungo i fianchi.
“Mio Signore…”
Voldemort fece un passo avanti: “Mi chiami ancora ‘mio Signore’,
Severus? Dopo avermi tradito, ed esserti messo al servizio di Silente?”
“Non vi ho tradito…”
“Bugiardo!” strillò una voce femminile.
Bellatrix Lestrange si aggrappò al braccio del suo padrone: “Dovresti
ucciderlo, mio Signore, uccidilo ora.”
“Senza fretta, Bella.”
“Non vi ho tradito, mio Signore,” ripeté Piton, più forte. “I vostri
ordini erano di spiare Silente. Gli passai delle informazioni senza
importanza, per conquistare la sua fiducia…”
“Per evitare Azkaban!” sputò Bellatrix.
“È servito anche a quello scopo, lo ammetto. Ma non ho mai servito
Silente,” disse Piton, gli occhi fissi sul viso mostruoso di Voldemort.
“E tuttavia, al contrario dei miei fedeli
seguaci, non sei apparso quando sono rinato. Sei rimasto tra la feccia
babbana. Anche ora, mi chiami ‘mio Signore’ indossando i loro abiti e
impugnando un’arma ridicola di fronte alla mia magia, al mio potere…”
Molti risero. “Severus, tu mi offendi. Dopo l’onore che ti ho concesso,
la conoscenza che ti ho offerto, tu mi hai abbandonato.”
Piton chiuse gli occhi, cercando di continuare a respirare, aspettando
il lampo di luce verde che lo avrebbe cancellato dall’esistenza. O il
dolore che lo avrebbe accompagnato alla morte.
“Ma Lord Voldemort è misericordioso.”
Piton riaprì gli occhi, il cuore che gli batteva in petto in boati
assordanti, la speranza che gli si agitava nello stomaco come un
uccello impazzito.
“Mio Signore?” esalò.
“Guardati, Severus. Guarda che vita hai condotto, traviato dalla tua
metà babbana: misera, meschina, fine a se stessa.”
Voldemort guardò sprezzante Sonny, che cercò di ritrarsi: “Non ti
avvicinare…”
“Zitto!” gli ordinò Piton con collera.
“Ma se tu volessi il mio perdono, se fossi disposto a fare
ammenda…potremmo parlarne. Ed eventualmente vedere se potrai ancora
essermi utile,” disse Voldemort.
“Perdonarlo?” insorse Bellatrix. “È al di là del perdono! Deve
soffrire, e morire, non puoi…”
Voldemort la guardò e lei arretrò, abbassando la testa.
“Io posso tutto. Le mie decisioni sono mie soltanto, Bella.”
Bellatrix franò in ginocchio: “Perdonami, mio Signore! Sono indegna di
discutere la tua volontà, è vero! Perdonami…” continuò a cantilenare.
Voldemort sorrise, facendo accapponare la pelle a Piton, e le accarezzò
la testa: “Ma certo. Lord Voldemort è generoso.” Tornò a fissare Piton:
“Per questo, Severus, ti offro una scelta. Di cosa ti servirai? Di
quella pistola…o
della tua bacchetta?”
Come in sogno, Piton si vide osservare la pistola che impugnava nella
mano destra. La sollevò appena e sganciò il caricatore. Al rumore
metallico molti Mangiamorte sobbalzarono. Lasciò cadere l’arma sul
pavimento.
“Eccellente!” disse Voldemort. Il serpente gigante scivolò dalle sue
spalle e strisciò in circolo, circondando Piton e Sonny. “Ora fai
ammenda, Severus,” sussurrò il Signore Oscuro. “Spezza ogni legame con
questa vita, torna ad essere il mio fedele Mangiamorte.”
Piton fece scorrere lo sguardo su tutti i presenti. Tutti lo fissavano.
Malfoy aveva rinfoderato la bacchetta nel suo bastone da passeggio e lo
guardava con sollievo, come se fosse già tutto finito. Ma non era
finita affatto.
Piton si girò verso Sonny, che occhieggiava con terrore il serpente.
Poi notò Piton, che torreggiava su di lui con la bacchetta stretta
convulsamente tra le dita.
“Cosa…? John, no, andiamo,” balbettò, accennando un sorriso. “Ti prego,
John, non…non farlo. Sono io…”
Piton lo fissò, ripensando a circa tre anni prima, quando un’esplosione
nel laboratorio aveva investito in pieno Sonny, nel posto sbagliato al
momento sbagliato.
Piton aveva spento le fiamme con la magia e mentre tutti fuggivano, si
era chinato su Sonny e le sue terribili ferite. Mentre il ragazzo
balbettava incoerentemente in stato di shock, Piton aveva cantato un
incantesimo di guarigione.
Quando Sonny era ritornato in sé, il pericolo ormai scampato, gli aveva
detto, ancora confuso: “John, ho sognato che morivo, e c’eri anche tu.”
Piton sollevò la bacchetta: “Il mio nome non è John.”
“Ti prego…”
“Avada Kedavra!”
Il lampo di luce verde fu accolto da grida di esultanza, ma Voldemort
sollevò una mano, riportando il silenzio: “Ora torna da me…”
Piton si inginocchiò e mentre il serpente scioglieva il suo circolo,
strisciò ai piedi di Voldemort.
Baciò l’orlo della sua veste sussurrando: “Padrone…”
“Alzati, ora.” Voldemort richiamò il suo serpente. “Andiamocene. Io e
Severus dobbiamo parlare. Bruciate questo posto.”
I Mangiamorte cominciarono a smaterializzrsi.
Malfoy si accostò a Piton per guidarlo al luogo del ritrovo.
Apparvero in cima a una collina, vicino ai resti di un vecchio
monastero abbandonato. Uno dei vecchi ritrovi, il posto in cui Piton
aveva preso il Marchio Nero, a diciotto anni, chissà come ancora sicuro
e ignoto agli Auror, mai svelato e mai tradito. Malgrado tutto, in
qualche maniera distorta, era come tornare a casa.
Malfoy e Piton raggiunsero Voldemort.
“Lasciaci, Lucius. Codaliscia!” chiamò il Signore Oscuro. “Vieni anche
tu. È ora che le mie spie si conoscano,” disse divertito.
“Codaliscia?” ripeté Piton, studiando la figura bassa e tozza, con una
mano d’argento, che si era avvicinata in fretta.
Riconobbe Peter Minus.
“Non lo sospettavi, Severus?” chiese Voldemort, incamminandosi, il
serpente gigante che strisciava tra i suoi piedi.
“No. I Vostri segreti sono ben custoditi, mio Signore. Ho creduto alla
sua morte, come tutti,” rispose Piton.
Codaliscia sorrise compiaciuto, accarezzando la mano d’argento.
“Codaliscia mi ha servito bene. Mi ha avvisato che Silente aveva
nascosto i Potter, ma non i Paciock. Ho creduto di poter compiere la
Profezia uccidendo Neville Paciock.” Voldemort fece una pausa. “Come
sapete, ho fallito,” riprese in tono gelido. “Ma Codaliscia si è reso
di nuovo utile: ha portato Bella da me, dopo averla aiutata a fuggire
da Azkaban e poi da Hogwarts, dopo che non era riuscita ad uccidere
Paciock. E pochi giorni fa, ha partecipato al rito della mia rinascita.”
“È stato un onore, mio Signore,” intervenne Minus, con la medesima
vocetta stridula di quando inneggiava al suo idolo, Potter, ai tempi
della scuola.
Piton non poté non provare disgusto per lui, ma cercò di mascherarlo.
“Anche tu a suo tempo mi sei stato utile, Severus. Ma puoi esserlo
ancora?”
Piton intrecciò le dita: “Il mio ingegno e la mia abilità con le
pozioni sono a vostra disposizione in ogni momento, mio Signore…”
“È la tua Legilimanzia che mi interessa,” lo interruppe seccamente
Voldemort. “Contavo di trovarti accanto al mio nemico, ormai in una
posizione di fiducia, e invece scopro che hai passato quindici anni a
impressionare babbani!” Voldemort si fermò e il serpente con lui.
“Silente ha garantito per te, ti ha offerto il suo perdono e una
seconda opportunità, non è vero? Perché hai rifiutato?” chiese,
piantando i suoi occhi rossi in quelli di Piton.
Lui non abbassò lo sguardo: “Non sopportavo che avesse potere su di me.
Non volevo concederglielo. Ho preferito lasciare il mondo magico.”
Voldemort rise: “Non volevi sottometterti a Silente! È curioso: non ti
avrei mai creduto capace di orgoglio, Severus…” Rise ancora.
Minus si unì al suo padrone con i suoi odiosi squittii.
“Neanche Silente. Per questo non sospetterebbe nulla, se andassi da lui
a chiedergli protezione da Voi…Se gli dicessi che mi considerate un
traditore, e che ho bisogno di nascondermi a Hogwarts, mi crederebbe. E
accetterebbe, perché ha bisogno di me: gli serve un nuovo insegnante di
Pozioni, e un nuovo Direttore di Serpeverde,” continuò Piton, cercando
di restare freddo, di usare un tono logico. “Si fiderebbe, pensando di
potermi controllare con la paura di Voi e degli altri Mangiamorte.
Coglierebbe l’occasione di tenere sotto controllo il mio Marchio e le
Vostre mosse.”
Voldemort lo valutò attentamente: “Che gioco pericoloso ti proponi di
fare, Severus…”
Piton si inchinò: “Mi avete chiesto di fare ammenda. E l’unica collera
che temo è la Vostra.”
“Fai bene,” sussurrò Voldemort. “Non voglio rischiare che tu lo
dimentichi. Crucio!”
Quando il dolore finì, Piton si ritrovò boccheggiante sull’erba, i
lunghi capelli che escludevano dalla sua vista le due figure in nero
sopra di lui e il mostruoso serpente che sibilava arrabbiato.
“No, Nagini. Non puoi divorarlo. Quest’uomo ci serve. Ma non dovrai
aspettare a lungo, per il tuo prossimo pasto.”
Piton si affrettò a rialzarsi: “I tuoi ordini, mio Signore?”
Voldemort sorrise: “Riposa, questa notte. Contatta Silente il prima
possibile. Convincilo. Servimi bene, Severus.” Piton si inchinò ancora
più profondamente. “Aspetterò tue notizie. Codaliscia, congeda i miei
Mangiamorte.”
Voldemort riprese a vezzeggiare il serpente, mentre Piton e Minus si
allontanavano svelti.
“Ti rialzi sempre,” disse Minus all’improvviso.
Piton lo guardò con la coda dell’occhio.
“Non è vero, Severus? Anche con James e Sirius, non sei mai rimasto a
terra…”
“Non ricordarmi come ci conosciamo, Minus,” ringhiò lui facendo
schioccare i denti. “Specie ora che non puoi più nasconderti dietro le
spalle dei tuoi amici!”
Minus si ritrasse da lui, poi lo fissò con astio: “Ho un amico molto
più potente, adesso. Ho dato la mia carne per la sua rinascita,”
sventolò la mano d’argento sotto il naso di Piton, “e né tu né nessun
altro potete farmi nulla!”
“Come credi,” rispose Piton, assicurandosi che la sua bacchetta fosse
al suo posto.
Continuò a frugare nelle tasche per un attimo, prima di rendersi conto
che cercava le sigarette. Doveva averle perse.
Lucius gli si fece incontro, soddisfatto: “Dobbiamo trovarti dei
vestiti.”
Piton roteò gli occhi: “Oh, sì, è proprio la cosa importante, adesso.
Se vuoi farmi un favore, trovami della nicotina.”
Bellatrix lo fissava. Non vedeva l’ora di affrontare anche lei…
“Ti offrirò uno dei miei sigari migliori,” sorrise Lucius. “Siamo
congedati?”
Piton annuì, cauto.
“Allora andiamo.”
“Dove?”
“A casa.”
Di nuovo, Malfoy lo guidò nella smaterializzazione. I cancelli di
Malfoy Manor si stagliarono all’improvviso di fronte a loro e si
spalancarono per il padrone di casa.
Malfoy attraversò sicuro il parco e il labirinto di siepi. Piton,
faticando a restare incollato alla realtà, lo seguiva rischiando che i
nervi gli saltassero ad ogni strillo di pavone. Entrarono nella
splendida casa.
“Bentornato,” gli disse Malfoy, poi si rivolse a un elfo domestico: “La
padrona è sveglia?”
“Certo che sono sveglia, Lucius! Come credi che potrei dormire...”
Narcissa, altera e preoccupata, si fece incontro al marito.
Si arrestò e portò una mano alla bocca, alla vista di Piton: “Oh,
Merlino, Severus, sei tu?”
Tra tutte le conoscenze della sua giovinezza che aveva rivisto negli
ultimi anni, Narcissa era quella che appariva più cambiata: ancora più
magra, pallida ed eterea, nessuna traccia di quell’allegra sfrontatezza
che usava contrapporre ai modi magniloquenti del marito. Aveva l’aria
stanca e impaurita di chi non riposa da giorni. Almeno finché non gli
corse incontro ad afferrargli le mani con piccoli singulti di gioia.
“Non ci credo…come sei cambiato, Severus!” esclamò, studiandogli il
volto, poi fece un passo indietro, valutando la sua figura. Notò gli
abiti babbani, ma non fece commenti. “Avevo dimenticato quanto sei
alto,” fece deliziata, mentre Lucius rideva.
Piton la abbracciò con affetto, ricordando quanto erano stati uniti da
giovani, soprattutto quando Lucius si era diplomato e la sua amicizia
con Lily aveva iniziato a diventare difficile e dolorosa. Non c’era
nessuno come Narcissa con cui scambiare qualche risata maligna. Non
c’era nessuno come Narcissa con cui parlare della paura del futuro,
perché nessuno come lei era bravo ad escogitare piani di riserva, in
caso di eventuali fallimenti.
“Sei sempre bellissima,” le disse sottovoce, ricordando le sue sciocche
paure di giovinezza, che Lucius potesse un giorno preferirle una strega
più affascinante o più giovane.
“Sai, Lucius, quando eravamo a scuola e tu mi mancavi troppo per
poterlo sopportare, chiedevo a Sev di abbracciarmi e far finta di
essere te,” confessò Narcissa, appoggiando una guancia al petto di
Piton.
Malfoy si finse incollerito: “Non sono sicuro di voler sentire il
resto…”
“Era molto frustrante,” replicò Piton, “ma per amicizia…”
Narcissa sorrise e lo lasciò. Piton seguì i padroni di casa in quello
che era sempre stato il salotto di Narcissa.
“Padre?”
Piton si voltò, i riflessi troppo rallentati per trasformare il gesto
in un sobbalzo.
“Draco! Vieni avanti, c’è qualcuno che devi conoscere,” lo invitò
Malfoy.
Un ragazzino pallido e biondo come i genitori avanzò nella stanza.
Cercava di esibire un’espressione annoiata, ma era guardingo. Quanto
aveva, l’ultima volta che Piton lo aveva visto? Meno di un anno,
probabilmente.
“Questo è Severus Piton, un nostro vecchio amico. Non posso dire che ti
tenesse sulle ginocchia quando eri piccolo…” Draco ne parve sollevato,
“Ma è stato il primo a vederti appena nato, dopo la famiglia.”
Malfoy mise una mano sulla spalla di Piton e un braccio intorno alle
spalle del figlio, quasi volesse spingerli ad abbracciarsi. Piton e
Draco si limitarono a scambiarsi un’occhiata poco entusiasta e poi a
guardare con sospetto Malfoy Senior.
“Credo sia sufficiente,” disse Piton dopo pochi secondi, sgusciando via.
Narcissa raggiunse il figlio e gli accarezzò i capelli.
“Avrete cose di cui parlare,” disse. “Vi lasciamo soli.”
Appena furono usciti, Piton si lasciò affondare in una poltrona: “Era
proprio necessario?”
“Cosa?”
“La riunione di famiglia. Rischio di incontrare Bellatrix in corridoio,
anche?”
Malfoy scosse la testa: “Finora è sempre rimasta al fianco del Signore
Oscuro. Ma a volte dice che vuole conoscere Draco, rivedere sua
sorella. Cissy ha avuto paura che lei si presentasse qui per quasi due
anni. Ormai credo che voglia
vederla.”
Piton grugnì qualcosa di indistinto.
“Come è fuggita, a proposito? Come ha fatto Minus a farla evadere?”
Lucius rise: “Ti piacerà! Minus è un animago.”
“Cosa?”
“Incredibile, vero? Può trasformarsi in un topo! Tutti lo credevano
morto, e invece lui se ne stava a sgranocchiare formaggio in una
famiglia di traditori del sangue vicini a Silente e ai suoi vecchi
amici, sai, Potter, Black e quel Lupin. Ma è andato vicino a farsi
scoprire, proprio da Lupin, così ha finto la propria morte ancora una
volta. Ha deciso di cercare qualcuno che togliesse di mezzo i suoi
amici. Ha rubato una bacchetta, messo sotto Imperius un Auror e l’ha
costretto a consegnare la propria bacchetta a Bellatrix, durante la
visita annuale di Caramell alla prigione.” Lucius sorrise e scosse la
testa, come divertito dalla sfacciataggine della cosa. “Bellatrix è
evasa. Facendo una strage, naturalmente, perché la mia cara cognata non
è cambiata affatto, e poi ha raggiunto Minus. Ma il suo primo pensiero
è stato cercare di uccidere Paciock a Hogwarts, entrando nella scuola
con l’aiuto del piccolo roditore…”
“Ma hanno fallito.”
“Sono stati vicini a farsi catturare di nuovo, anche. Ma che abbiano
fallito è stata una fortuna, per il Signore Oscuro: ha usato il sangue
del ragazzo, per l’incantesimo che gli ha restituito un corpo.”
“Quando si dice la Provvidenza…”
Lucius studiò Piton: “Che ti prende? Pensavo che la cosa ti avrebbe
divertito. E che ti avrebbe fatto piacere vedere la mia famiglia,
invece li hai a malapena degnati di uno sguardo.”
Piton lo fissò a bocca aperta: “Mi prendi in giro? Credi che mi senta
in grado di fare conversazione? Stasera siete venuti per uccidermi!”
Malfoy sorrise di nuovo: “No, affatto, Severus. Non ti voleva morto.
Rilassati.”
“Non posso. Ho ucciso un uomo, un’ora fa,” gli rispose Piton,
appoggiando i gomiti sulle ginocchia e premendo la bocca sulle dita
intrecciate.
“Un babbano!” sbuffò Malfoy, sprezzante.
“Un babbano della cui lealtà non ho mai dovuto dubitare. Sai di quanti
maghi posso dire lo stesso?” replicò lui, con voce contratta.
Malfoy passeggiò nervosamente per la stanza: “Credi che ti abbia
abbandonato?”
Piton reclinò appena la testa di lato.
“Non volevo abbandonarti! Ma con i processi in corso, il Wizengamot che
mi stava addosso, le sanzioni del Ministero…Narcissa e il bambino…”
Malfoy scosse la testa, impotente. “Non hai mai pensato che anch’io
fossi nei guai?”
“Sì, ci avevo pensato…” rispose Piton.
“Mi sarei occupato di te, non ti avrei lasciato in mezzo a una strada.
Ma quando ti ho cercato a Cokeworth, tu te n’eri già andato,” riprese
l’altro con tono più sobrio.
“Non avevo alternative. Non c’era niente nel mondo magico per me. La
scelta era tra andarmene e morire di fame,” disse Piton con amarezza.
“E una volta nel mondo babbano non volevi essere trovato.”
“Ovviamente.”
Malfoy si sedette: “Mi dispiace di non averti cercato prima. Ma neanche
tu mi hai cercato, quando sei tornato a Diagon Alley…due anni fa,
giusto?”
Piton lo scrutò: “L’hai detto a qualcuno?”
“No. Nessuno aveva vere notizie su di te. Il Signore Oscuro ti ha
trovato attraverso il Marchio: sapeva dov’eri mentre ti convocava, ma
poi abbiamo cercato di persona. Ti abbiamo visto in una…macchina…con
quel babbano.”
Piton si rilassò contro lo schienale della poltrona.
“Resti comunque un pessimo amico,” disse guardando il soffitto.
Malfoy lo fissò con rimprovero.
“Mi avevi promesso un sigaro,” fece Piton e l’altro scoppiò a ridere.
La mattina dopo, grazie a qualche ora di sonno e a un po’ di tè, Piton
trovò molto più facile godersi i suoi ritrovati amici.
Vedendolo in abiti da mago, anche Draco si era fatto molto meno
riservato e Piton aveva scoperto che condividevano l’insofferenza per
la celebrità di Neville Paciock.
In tarda mattinata, Piton e Malfoy si ritirarono sulla terrazza del
salottino di Narcissa. Avevano appena finito di prendersi in giro a
vicenda per una vecchia foto, scattata proprio in quella stanza, quando
Narcissa aveva detto a Piton di essere incinta.
“Cosa conti di fare, ora?” gli chiese Malfoy.
Piton soffiò un po’ di fumo, lasciando vagare lo sguardo per il roseto
sotto di loro: “Tornerò a Cokeworth. Poi organizzerò l’incontro con
Silente.”
“Se tutto funziona, vedrai Draco a Hogwarts. Lo terrai d’occhio?”
Piton annuì.
Malfoy gli strinse la mano, poi fece un sorrisetto: “Al diavolo!” e se
lo tirò contro.
“Non ricordavo che tuo marito fosse così appiccicoso, Narcissa,” disse
Piton alla donna, appena uscita sulla terrazza. “Comincia a
spaventarmi…”
Lei guardò il marito. Malfoy lasciò Piton e le passò la fotografia di
loro tre.
Si affacciò dalla terrazza e chiamò il figlio: “Draco! Ti va di volare?”
Il ragazzino alzò la testa, stupito: “Non hai da fare, padre?”
“Non oggi!”
Draco si illuminò: “Certo che mi va!”
Malfoy baciò la moglie sulla guancia e rientrò in casa.
Narcissa distolse lo sguardo dalla foto.
“È sollevato,” disse a Piton. “Lucius è sollevato che tu sia qui, di
non essere solo in questa…” Serrò le labbra. “Di non essere il solo che
non sia pazzo, o fanatico, là in mezzo. E non sai quanto sono sollevata
io, Severus.” Gli strinse il braccio, con un sorriso tremulo: “Non
siamo soli.”
“No,” confermò Piton sentendo di nuovo il torace che si contraeva come
la sera prima.
Narcissa accennò alla foto: “Tu ed io avevamo vent’anni…”
Piton guardò ancora la foto. Malfoy era raggiante, maestoso, adulto.
Lui e Narcissa sembravano bambini, a confronto.
“Eri terrorizzata…” ricordò, buttando un po’ di cenere nel roseto.
“Già,” rispose lei, poi lo fissò accigliata. “Le mie rose!”
“Oh, scusa, avrei dovuto chiedere a un elfo di tenere le mani a coppa?”
sorrise Piton.
“Sempre meglio che bruciare il mio giardino!” rise Narcissa.
Piton riuscì a sottrarsi ai suoi ospiti solo quella sera.
Si materializzò direttamente a Cokeworth e per la prima volta dopo
dodici anni, tornò a casa.
Albus Silente, Preside della Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts,
sedeva nel suo studio.
Gli studenti erano partiti da pochi giorni, ma c’erano molte cose da
organizzare, con i suoi insegnanti e i membri dell’Ordine della Fenice.
Per prima cosa, occorreva trovare una sede sicura per la loro attività.
D’improvviso, una grossa creatura argentata entrò dalla finestra che
affacciava sul parco del castello. Con occhi pieni di meraviglia,
Silente osservò la cerva di luce correre senza rumore per la stanza e
fermarsi davanti a lui. Poi la creatura parlò, con la voce di Severus
Piton: “Alla fine sono venuti per me. Non ho idea di come sia
possibile, ma ha
funzionato.”
Note:
Ed ecco l'incontro tra Piton e Voldemort. Ho il vaghissimo sospetto che
ci sia davvero poco di originale, qui: tutto mi sa di già visto, come
se fosse la rielaborazione di qualcosa che ho letto magari ai tempi, a
ridosso della pubblicazione del quarto libro. Giuro che in quel caso è
stato del tutto involontario:)
Spero che la spiegazione della fuga di Bellatrix fili e sia plausibile.
E spero che sia comprensibile anche quello che l'ultimo paragrafo
comporta: Silente non si è accontentato del no di Piton, e ha insistito
ancora. Non aveva certezze che lui avrebbe seguito il piano, ma lo
sperava.
Grazie a tutti quelli che leggono:)
A presto!
|
Ritorna all'indice
Capitolo 5 *** Capitolo 5 ***
Capitolo 5
Agosto 1995
Piton non si ritrovava in mezzo a tante persone che detestava dai tempi
della scuola, con la sola possibile eccezione del suo incontro con i
Mangiamorte, due mesi prima. E altre irritanti figure continuavano ad
aggiungersi al mucchio, provocando a Piton diversi gradi di fastidio e
insofferenza, che provava a sfogare fumando come una ciminiera.
Al fondo della sua personale classifica d’odio, perché erano più che
altro sciocchi e noiosi, stavano Arthur e Molly Weasley. I due si
ostinavano a trattarlo come un ospite benché sapessero perfettamente
chi era (Molly Weasley non era riuscita a nascondergli i suoi veri
sentimenti), e benché quella non fosse casa loro. La donna, quando non
lo assillava con offerte di tè o cibo, si dedicava col fervore di un
generale alla pulizia della vecchia magione, abbandonata da anni, che
era diventata il quartiere generale dell’Ordine della Fenice.
Subito sopra di loro c’era una ragazzetta goffa, che continuava a
inciampare e farsi male, ma che non perdeva mai la sua stupida
espressione allegra.
Mundugus Fletcher aveva provato a chiamarlo ‘collega’ e Piton era stato
costretto a ricordargli che in nessuna circostanza lui poteva essere
paragonato a un delinquentello da quattro soldi, un ricettatore di
merce rubata che campava di truffe meschine. Piton era un Signore della
Droga, Fletcher un topo d’appartamento.
Poi i nomi in classifica si facevano importanti, e l’odio palese e
cocente. C’era Alastor Moody, c’era Remus Lupin, Sirius black, che
sembrava infelice quasi quanto Piton di trovarsi nella vecchia casa di
famiglia, da cui era fuggito tanti anni prima. La rabbia e il dolore
che Black non riusciva a celare del tutto sotto la solita posa
scanzonata, specie quando il ritratto di sua madre riprendeva a
strillare, erano un balsamo per l’anima di Piton. Stava attento a non
renderlo troppo palese, ma Black sapeva e a lui stava bene così.
E poi, c’erano i Potter.
James Potter meno di tutti aveva gradito l’arrivo di Piton assieme a
Silente. Il vecchio mago aveva spiegato a tutti il perché della sua
presenza, il suo ruolo di spia (il modo in cui Lily lo aveva
guardato…Piton era certo che lei sapesse già tutto, che Silente le
avesse detto ogni cosa per prima), ma James era stato impossibile da
convincere. Ancora adesso lui, Silente e Arthur Weasley parlavano in
privato, discutendo della fiducia da riporre in Piton.
Tra i Malandrini, Lupin era l’unico deciso a trattare Piton come un
compagno, a fingere che il loro passato in comune fosse stato banale,
normale, non una serie di vessazioni culminate con un tentato omicidio.
“È una fortuna che tu sia riuscito a convincere Voldemort, Severus. Una
spia sarà di vitale importanza, specie finché Voldemort terrà nascosto
il suo ritorno,” gli disse, mentre Black era alle prese con
quell’insopportabile e inquietante elfo, e la strega maldestra (figlia
di Andromeda Black, nientemeno…Piton non lo avrebbe mai capito, da
solo) inciampava di
nuovo, risvegliando il dipinto che li considerava tutti
traditori del loro sangue e feccia.
Piton avrebbe voluto rispondergli che non si trattava di fortuna, ma
sentire pronunciare il nome di Voldemort ad alta voce lo aveva
sconcertato per un attimo.
“Quindi il piano è che tu insegni a Hogwarts,” continuò Lupin. Sorrise
con rammarico: “Quanto ti invidio. I due anni che ho potuto passare al
castello come insegnante di Difesa sono tra i migliori della mia vita
adulta. Ma ora il Ministero ha imposto un proprio professore…”
“Tu insegnavi a Hogwarts?” chiese Piton, incredulo.
“Be’, sì. So cosa stai pensando: col mio problema…Ho potuto farlo solo
grazie a Lily, che si è presa cura di me e mi ha procurato quello che
mi serviva…”
“Metadone?” chiese Piton, con indifferenza. “Oh, no, tu intendevi la
Pozione Antilupo! Che stupido,” sorrise affilato. “È che, sai, col mio
lavoro ho conosciuto molti membri della tua specie: sembra che i
Mannari abbiano altre cattive abitudini, oltre a divorare la gente.”
Soffiò un po’ di fumo sulla faccia umiliata di Lupin. “È curioso, però.
Quando la luna piena si avvicina, spariscono tutti. La trasformazione è
meglio di qualsiasi merda, vero?”
“Non saprei,” rispose Lupin, rigido.
“Giusto. È
un vizio costoso. Ma pensavo che forse Black ti paga anche quello…”
“Sei davvero…” iniziò Lupin, poi alzò le mani e scosse la testa. “Ok,
come ti pare.” Si allontanò.
Piton fu leggermente sorpreso di non vederlo raggiungere Black.
“Perché ti comporti così?” lo apostrofò Lily.
“Evans,” la salutò Piton, dandole le spalle per andarsene da lì.
“È Potter,” lo corresse lei, sbarrandogli la strada. “Non permetterti
più di trattare così Remus. Ora siamo dalla stessa parte…”
“A te stava bene, che ci fosse un Lupo Mannaro che insegnava a dei
ragazzini?” domandò Piton.
“Perché no?” ribatté lei, con sfida “Stiamo per permettere a un
ex-Mangiamorte ed ex-spacciatore di fare lo stesso.”
Piton roteò gli occhi: “Dovreste chiedervi se a Silente non abbia dato
di volta il cervello…”
Lily si strinse nelle spalle: “Lui si fida di te.” Il suo tono si
addolcì: “So che l’hai avvertito della minaccia di Voldemort l’anno
scorso…”
Piton fece una smorfia, per il nome e per la conferma dei suoi
sospetti: “Gli avevo chiesto di non dirtelo.”
“Perché no?”
“Per la faccia piena di aspettativa che hai in questo momento, Evans.
Lo so, lo so!” la interruppe, prima che lei lo correggesse di nuovo.
“Non ce la faccio, a chiamarti Potter. E non posso chiamarti Lily, sono
troppo arrabbiato.”
“Anch’io sono arrabbiata con te,” fece Lily, incrociando le braccia.
“Non è una novità.”
“Perché il problema è quello che io mi aspetto da te, ma quello che tu
ti aspetti da me, invece, è sempre lecito, vero?”
“Vedi perché Silente non avrebbe dovuto dirti niente?” le disse Piton,
cercando di smorzare il litigio. “Non l’ho fatto per ottenere qualcosa,
e non volevo che lo pensassi.”
Lily sospirò frustrata, distogliendo lo sguardo dagli occhi neri di
Piton: “Dovremo trovare un equilibrio. E dovrai chiamarmi Potter, a
Hogwarts.”
Piton occhieggiò la porta chiusa dietro cui James Potter e Silente
discutevano da quasi un’ora.
“Uhm…Professoressa Potter,” provò.
Lily accennò un sorriso: “Professor Piton.”
“Dio, se suona sbagliato.”
“Ti abituerai.”
Piton lasciò vagare lo sguardo per il salotto sudicio che Molly Weasley
cercava disperatamente di sistemare, e fece una domanda che gli
frullava in testa da quando aveva visto Lily, bella come al solito:
“Dove sono i bambini? Con chi li avete lasciati?”
“Oh, sono con Hagrid e la McGranitt. Dovrebbero arrivare a breve.”
“Davvero?”
“Già. E non da soli,” rispose Lily.
Piton si accese l’ennesima sigaretta, dubbioso. Chi altro mancava
all’appello?
Lily strinse le labbra: “Non dovresti fumare. Merlino, sei un
pozionista! Il senso del gusto e dell’olfatto sono fondamentali, per
te!”
“Sono un chimico. Credi che io assaggi quello che cucino?” le chiese
Piton, di nuovo irritato. “Quanto mi credi idiota? Non sono un cazzo di
tossico!”
“Ah, vedo: Severus Piton non ha nessuna dipendenza. Dai, butta il
pacchetto.”
“Vaffanculo.”
“Cresci. Che poi, da ragazzo non fumavi,” riprese Lily.
“A dir la verità, sì,” sospirò lui. “Compravo il tabacco e le cartine
perché non potevo permettermi le sigarette.”
Lily sbatté le palpebre, cercando di ricordare: “Non…non mi ricordo di
averti mai visto fumare. Forse una volta, due al massimo.”
Piton le sorrise acido: “Fumavo di nascosto. Eri una tale rompicoglioni
sulla questione…”
“Ma vaffanculo!”
“Ah, cresci.”
Molly Weasley li raggiunse: “Lily, cara, non ti andrebbe di mangiare
qualcosa? E lei, signor Piton, è proprio sicuro di non desiderare
nulla?”
Piton scosse brevemente la testa.
“Grazie, Molly, sto bene. O starò bene quando arriveranno i ragazzi…”
le sorrise Lily.
“Ah, i ragazzi,” sospirò angosciata la donna più vecchia. “Spero sia
andato tutto bene.”
“Sono in buone mani, Molly.”
“È opportuno, coinvolgere dei ragazzi?” domandò Piton.
Le due rosse si scambiarono un’occhiata: “Non è che sia facile, tenere
loro nascosto qualcosa…”
“Fred e George intendono entrare nell’Ordine appena saranno
maggiorenni.”
“E provare a escludere Neville, o Harry, Ron ed Hermione ha sempre
portato più guai che altro,” aggiunse Lily.
“E ora Ginny e Rose li seguono a ruota,” fece con leggera
preoccupazione Molly Weasley.
“Intendete Paciock?” domandò Piton, incredulo. “E chi sarebbe
Hermione?”
“Una compagna di Harry, Ron e Neville. L’unica voce che ascoltano, di
tanto in tanto…” rispose Lily.
“Non sarebbe più conveniente coinvolgere, non so, degli adulti?”
“Se non sarà necessario, non verranno coinvolti. Ma se dovesse accadere
qualcosa a noi…ci sarà almeno un’altra generazione a conoscenza della
minaccia che Voldemort rappresenta,” disse Lily.
Piton quasi rabbrividì per il suo tono duro.
“Certo,” rispose piano. “Altri Grifondoro disposti a sacrificarsi…”
“Sono più che certa che non saranno solo i Grifondoro ad opporsi a
Voldemort, se dovesse venire il momento di affrontarlo apertamente,”
replicò Lily.
“Posso anticiparvi che i Serpeverde saranno pochi, probabilmente?”
sbuffò Piton. “Mentre ai Grifondoro in famiglia insegnano ad essere
senza paura, senza macchia e senza cervello, i Serpeverde crescono con
altre convinzioni. Ad esempio, non lasciarsi coinvolgere in una guerra.”
“Non sempre nascere in una determinata famiglia significa adeguarsi
alle loro convinzioni,” intervenne Black, avvicinandosi. “Si ha sempre
una scelta, no, Piton?”
Piton soffiò dal naso: “Mi domando quanto Silente abbia influenzato una
scelta del genere…”
“Perché? Degli studenti non possono scegliere da soli di fare la cosa
giusta?” chiese Black, aggressivamente.
“Come potrebbero scegliere diversamente, i Serpeverde? Minorenni,
purosangue, educati a seguire le tradizioni, a sopravvivere. Chi
potrà biasimarli se si terranno da parte? Potrebbero passare illesi
attraverso un’altra guerra!” sibilò Piton.
“Non passerebbero illesi attraverso la Guerra, lo sai,” gli disse Lily.
“Li cercheranno, li recluteranno…”
“Quindi Silente si muove per primo, per accaparrarsi soldati? Strano
che non avesse già una spia di riserva da impiegare al mio posto, se io
non avessi…” Piton si interruppe. “L’empate…la tua studentessa di
Serpeverde…è per questo che Silente le ha insegnato l’Occlumanzia? Per
usarla al mio posto?”
Lily aveva l’aria cocciuta e colpevole allo stesso tempo.
“Figlio di puttana,” mormorò Piton.
Una delle ragioni per cui si era lasciato convincere da Silente a
tornare ad essere una spia, se Voldemort lo avesse cercato, era la
possibilità di evitare ad altri giovani Serpeverde di venire usati dal
Signore Oscuro. E Silente…
“Ancora una volta siamo tutti qui per servire ai piani del vecchio,”
concluse con disgusto. “Chissà quale vantaggio le avrebbe promesso…”
“Forse non lo avrebbe fatto per vantaggio!” ringhiò Black.
“Stiamo parlando di Serpeverde: vantaggi e svantaggi sono sempre
calcolati. L’abnegazione non ci appartiene. Ma a quanto pare, tutti voi
avete pensato di inculcarla ai vostri figli,” ribatté Piton.
Lily si frappose tra i due: “Niente litigi. Siamo dalla stessa parte,
ora.”
Piton voltò le spalle a tutti, camminando in circolo per sfogare la
frustrazione: “Possibile che non capiate? Non vedete il rischio che
rappresentano? Ragazzini
conoscenza della vostra esistenza, del mio ruolo!” Fissò
Black, che certamente riviveva il tradimento di Minus.
James Potter e Albus Silente emersero finalmente dalla cucina, seguiti
da un provato Arthur Weasley.
Black li raggiunse, mentre Lily si limitò a scambiare un’occhiata col
marito.
“Signora Weasley, io e Malocchio abbiamo tolto di mezzo un po’ di quei
doxy e Remus si sta occupando di un molliccio in soffitta…Se Sirius
vuole sistemare là Fierobecco…” iniziò a blaterare la ragazzina con i
capelli rosa. Molly Weasley la raggiunse.
Piton fissò con odio Silente.
“Anche noi eravamo molto giovani, quando abbiamo dovuto scegliere da
che parte stare,” disse Lily all’improvviso. Lo guardò, con occhi che
bruciavano: “Non ti sei pentito di quello che hai scelto? Di averlo
servito?”
Piton chiuse gli occhi: “Sì. Infinite volte.”
“Se le cose andranno come speriamo, nessuno dovrà più pentirsi di una
scelta così terribile.”
Piton riaprì gli occhi per guardarla dritta nei profondi occhi verdi:
“Pur di avere qualcuno tra i Mangiamorte, Silente sarebbe stato
disposto a mettere in pericolo qualcun altro. Otto persone sono morte,
nel mio laboratorio, perché a novembre non ho dato a Silente quello che
voleva, perché io
ho esitato. Sono tutti una mia responsabilità, ora.”
“Mi dispiace,” mormorò Lily.
Piton scrollò le spalle e la lasciò.
“Nessuno a cui fossi vicino, comunque,” mentì.
Tutti gli altri babbani legati in qualche modo a lui non avevano idea
di quello che era successo.
Piton aveva aspettato quasi tre settimane che si calmassero le acque,
ed era tornato a Londra. Chissà se qualcuno dei suoi ritrovati compagni
lo teneva d’occhio, o se avevano scoperto dove viveva, quando lo
stavano cercando.
Avvicinandosi con cautela all’appartamento aveva visto Rarity camminare
per strada.
I suoi occhi si erano ingigantiti a dismisura, quando Piton l’aveva
afferrata e trascinata nell’ombra, al riparo dal sole abbacinante.
“John…Sei tu? Credevo che fossi morto…” aveva sussurrato, in preda allo
shock.
Piton si era sporto per controllare che fosse davvero sola.
“Martin lo diceva, che ti avevano portato via…che se c’era Sonny c’eri
anche tu, e qualcuno aveva sparato.” Gli aveva accarezzato il volto con
la punta delle dita.
Piton le aveva stretto le spalle perché si concentrasse: “Dì a Martin
che aveva ragione. Ma non c’entra il lavoro: che non si metta in guerra
con nessuno. Era una faccenda personale.”
“Personale?”
“Sì,” aveva risposto lui, impaziente, “per il mio tatuaggio, e il
coltello d’argento. Lui sa di cosa parlo.”
Una volta, Eggar gli aveva chiesto se i suoi casini, quelli che lo
avevano spinto a cambiare nome, che gli avevano insegnato ad essere un
bastardo, gli avessero lasciato qualcosa.
“I miei mi hanno regalato questo,” gli aveva detto l’uomo, scoprendo il
collo e mostrando una cicatrice, tre tagli paralleli, precisi e
regolari. “La mia prima gang.”
“Carino. Io ho questo,” aveva risposto Piton, scoprendo l’ombra del
Marchio Nero.
“Ah, bello. Ma sta svanendo.”
“Ho anche un bel coltello d’argento che non va da nessuna parte.”
“L’hai usato?”
“Già.”
“Allora è vero: quello non svanisce.”
Piton era tornato a concentrarsi su Rarity: “Sei rimasta
nell’appartamento o te ne sei andata?”
“Avevo paura da sola, John.”
“Ma ci sei tornata?”
“Sì. Voleva venire anche Martin, ma…non è riuscito a entrare, non so
cos’è successo.”
Piton aveva annuito: “Da domani potrà farlo. Hai preso i soldi? Quelli
dietro il quadro in camera da letto?”
Erano circa 50000 sterline, per eventuali imprevisti che necessitassero
molto contante molto in fretta.
Rarity si era fatta guardinga: “Io…sì. Ti credevo morto.”
Piton aveva annuito di nuovo: al pari di lui, Rarity sapeva come
prendersi cura di sé, come sopravvivere. Piton lo sapeva e lo
apprezzava. Non avrebbe potuto vivere con lei quasi tre anni, se non
avessero avuto in comune quella cautela, quella mancanza di scrupoli
quando si trattava di mettersi al riparo.
“A Martin non l’hai detto, vero?”
“No.”
“Hai fatto bene. Non lo riguarda. Erano soldi nostri. Tuoi, ora.”
Eggar sarebbe sicuramente riuscito a mettere le mani sui conti di John
Price. Era un bene che Piton avesse trasferito parecchio alla Gringott
l’anno prima. Quello che gli premeva recuperare dall’appartamento era
nel suo laboratorio privato: una stanza di cui Rarity non sospettava
neppure l’esistenza.
“Miei? Ma…John, non intendi tornare?” gli aveva chiesto Rarity. “Stai
bene, sei qui…”
Piton aveva scosso la testa: “No. Non posso. Non è finita. E che io ne
veda la fine, non è affatto scontato.”
La donna gli si era aggrappata alle spalle: “Che devo fare?”
Piton aveva scrollato le spalle: “Quello che vuoi. Martin si prenderà
cura di te, immagino. O troverà qualcuno che lo faccia.” Aveva fatto
una smorfia, al pensiero di Rarity al fianco di Brennan. “Oppure…ora
hai un po’ di soldi. Potresti tornare da tua madre e pensare a cosa
farne,” aveva suggerito agli occhi liquidi della bionda. “Stai lontana
dall’appartamento, oggi. Da domani sarà sicuro.”
L’aveva lasciata, pronto a smaterializzarsi.
“John!”
Piton aveva esitato.
“Quando tutto sarà finito, verrai a cercarmi?” aveva chiesto Rarity.
Piton aveva sorriso, passandole una mano tra i capelli.
“No,” le aveva sussurrato sulle labbra prima di baciarla.
Dal laboratorio aveva portato via tutti i suoi libri di magia, i
talismani, gli ingredienti, i pochi abiti da mago…e il coltello
d’argento, che non si era più tolto di dosso.
Stava accarezzando l’impugnatura sotto la manica, quando notò Moody e
il suo nauseante occhio blu elettrico. Si affrettò a lasciare il
coltello per un’altra sigaretta. Non era saggio apparire minacciosi
davanti al paranoico, vecchio Auror.
“Di nuovo tutti assieme…e in procinto di accogliere dei nuovi amici,”
disse Moody in tono colloquiale, l’occhio magico che saettava alla
porta d’ingresso.
“Credo che Minerva sia arrivata,” annunciò Silente, raggiungendo la
porta.
La aprì e nella vecchia casa si riversò un fiume di chiasso, teste
rosse, adolescenti appiccicati gli uni agli altri.
“Dentro, svelti…non cedetemi il passo. Avanti, signorina Potter! E fate
silenzio, prima che…” stava dicendo un’esasperata Minerva McGranitt,
appena prima che il ritratto della madre di Black riprendesse a urlare.
“Oh, santo cielo! Buona sera, Preside. Avanti, ho detto!”
Quelli che dovevano essere i gemelli Weasley e due ragazzine con i
capelli rossi (una era Rose, Piton la riconobbe all’istante) entrarono
salutando Silente e gli altri adulti con famigliarità, ma quattro
ragazzini rimasero leggermente indietro.
“Perché quel quadro ci urla contro?” domandò una ragazza dai capelli
ricci. La famosa Hermione?
“Ci penso io!” si offrì la strega con i capelli rosa,
cercando di oscurare la visuale del quadro con delle tende. Lupin si
affrettò ad aiutarla.
“Nonostante quello che dice il ritratto di mia madre, il padrone di
casa ora sono io,” disse Black facendosi avanti. Scambiò un’occhiata
con Lily. “E voi siete i benvenuti.”
“Dov’è Hagrid?” chiese Molly Weasley, che aveva appena terminato di
imbarazzare sua figlia, a giudicare dall’espressione di Ginny Weasley.
“Non è ancora tornato dal suo viaggio,” rispose criptico Silente.
“Sarebbe dovuto essere già qui?” chiese la ragazzina sconosciuta.
“Perché non volete dirci dov’è andato?” esordì Paciock stringendo i
pugni. “È nostro amico, abbiamo il diritto di saperlo!”
“Sono faccende dell’Ordine, Neville,” replicò Silente, senza guardarlo.
“Ma starà bene?” chiese Harry.
“Sono sicuro di sì,” gli rispose il padre con un sorriso rassicurante.
“Bene! Ora, vecchi compagni, conoscete già quasi tutti, ma c’è qualcuno
che vorrei presentarvi…” iniziò Silente. “La cucina è la stanza più
accogliente. Vogliamo accomodarci? Molly, cara, un tè sarebbe troppo
disturbo?”
“Oh, no, affatto, Preside! Dove
credete di andare, voi due?” strillò all’improvviso la
donna.
“In cucina.”
“A prendere il tè,” risposero i gemelli Weasley.
“Niente affatto! Di sopra, avanti!” ordinò la donna, gonfiandosi come
un tacchino.
“Sai che appena finita la scuola entreremo nell’Ordine! Che senso ha
aspettare?”
“Gli adulti
devono parlare con Silente,” disse la signora Weasley, sbarrando
fisicamente la strada ai figli.
“Non è giusto!”
“Non voglio ripeterlo: di sopra!”
“Vale anche per voi quattro,” intervenne Lily, rivolta al figlio e ai
suoi amici.
“Cosa?”
“Non potete non dirci nulla!”
“Se è per combattere Voldemort, io voglio sapere!” gridò Paciock.
Piton si ritrasse sibilando, come anche Mundugus Fletcher dall’altro
capo dell’ingresso.
“Perché non mi dite nulla? Ho il diritto di sapere! C’ero io in quel
cimitero, quando Voldemort ha ucciso Cedric!” urlò ancora più forte il
ragazzo.
Che pretese aveva il piccolo eroe arrogante, si disse Piton.
James Potter e Sirius Black si fecero avanti per placarlo, mentre
curiosamente Silente gli dava le spalle.
Piton perse interesse nella scenata di Paciock quando notò Rose che lo
fissava, a metà delle scale, ignorando la sua amica, la ragazza
Weasley, che le parlava all’orecchio. Ora doveva aver circa tredici
anni. Piton ricambiò il suo saluto discreto.
Rose posò gli occhi sulla madre che aveva sostituito il marito nella
discussione con l’arrabbiatissimo Paciock, e tornò a fissare Piton. Lui
sorrise.
“Sempre uguale,” le rispose, muovendo solo le labbra.
Rose si accese con trionfo. Prese la sua amica per mano e la trascinò
di sopra.
Piton tornò a concentrarsi su quello che accadeva nell’ingresso,
sospirando: quanto a lungo avrebbero permesso a quel bambino fastidioso
di far perdere tempo a tutti? Notò che Potter lo fissava, i pugni
contratti e la mascella serrata. Piton inarcò un sopracciglio.
Fu Lupin a sbloccare la situazione: si fece avanti, interrompendo il
contatto visivo tra Piton e Potter e riuscì a riportare Paciock alla
ragione.
O quasi: i suoi amici dovettero comunque trascinarlo via.
Piton si chiese fugacemente se anche Black e Lupin non pensassero ora
che il coinvolgimento di Paciock, così irruento e infiammabile, potesse
essere un azzardo.
“Prendiamo quel tè?” chiese Silente, allegro.
La cucina si affollò in pochi secondi. Piton entrò tra gli ultimi,
incalzato da Moody, che rimase accanto alla porta chiusa, l’occhio
magico che sorvegliava le scale attraverso il legno massiccio.
Silente scrutò il volto di ciascuno, soddisfatto: “Vi ringrazio tutti
di essere qui. Non ci siamo tutti, ma più tardi arriverà anche
Kingsley: non è riuscito a liberarsi,” disse ai Malandrini. “Per chi
non lo conoscesse, questo è Severus Piton. Severus, questo è Alastor
Moody, che credo tu conosca solo di vista…”
“E io, Preside?” intervenne la ragazzina coi capelli rosa.
“Ninfadora Tonks,” fece pronto Silente, “giovane e promettente Auror.”
“Mi chiami pure Tonks, signor Piton. Ninfadora è terribile,” disse lei
arricciando il naso.
Piton grugnì qualcosa.
“É con grande piacere che vi annuncio che Severus diventerà il nuovo
professore di Pozioni Avanzate e Direttore di Serpeverde.”
“Che gli sia permesso di restare a Hogwarts è già un errore, ma
permettergli di stare a stretto contatto con i Serpeverde è davvero una
follia,” esclamò James, come se non riuscisse più a trattenersi.
“È certamente una bella sorpresa, Albus,” gli diede manforte Moody.
“Non avevo capito che avessi in mente un ruolo così…attivo…per Piton.”
“Se Voldemort pensasse di approfittare della posizione di Direttore di
Piton per attirare a sé gli studenti di Serpeverde?” domandò Lupin.
Silente interruppe tutti: “Severus è stato una spia per conto
dell’Ordine già durante la prima Guerra Magica. Ha ripreso il suo
ruolo: fingerà di spiare Hogwarts per conto di Voldemort, e sono certo
che non la farà con la massima serietà e risultando il più convincente
possibile.”
Potter alzò gli occhi al cielo, borbottando tra sé: “Follia…”
Piton strinse le labbra: quindi se il Signore Oscuro gli avesse chiesto
di reclutare nuovi Mangiamorte, come lui stesso era stato reclutato
appena fuori da scuola, Silente si aspettava che lui obbedisse.
Esattamente come pensava. Si trattenne a stento dal lanciare
un’occhiata a Lily.
“Il momento è grave, la minaccia di Voldemort pende su noi tutti.
Dovremo essere uniti per combatterla, altrimenti verremo spazzati via e
la nostra comunità sarà distrutta.” Gli occhi di Silente brillarono
dietro le lenti a mezzaluna. “Ma questo incontro mi dà speranza. Siamo
tutti compagni, custodi gli uni dei segreti degli altri.”
“Siamo…parecchi, per mantenere segreti così potenti,” rispose Piton.
“Non sarebbe stato più saggio che di questo almeno Paciock e gli altri
ragazzini non fossero al corrente?”
“Ho la massima fiducia in ciascuno dei presenti, e anche in Neville e
gli altri,” gli rispose Silente.
E così costringeva tutti gli altri a fare lo stesso, considerò Piton,
forzandoli a esporsi, a contare sulla lealtà degli altri. Nessuna
meraviglia che la cosa non piacesse a Potter. Non piaceva nemmeno a lui.
Silente passò a discutere la situazione che l’Ordine si trovava ad
affrontare.
“Voldemort non è pronto a rivelarsi. Non vuole una guerra aperta, è
molto più utile ai suoi piani che l’Ordine sia occupato su due fronti:
lui e i suoi seguaci e il Ministero, che teme la mia influenza. Nel
frattempo, cercherà di consolidare il proprio potere.”
“Infiltrando i suoi Mangiamorte al Ministero,” prese la parola Piton.
Tonks sussultò: “Ne è certo?”
“Piuttosto certo, sì,” le rispose lui con un sorrisetto acido. “Non si
fida del tutto di me, ma di questo piano sono al corrente diversi dei
suoi seguaci.”
“Ma anche noi abbiamo degli agenti al Ministero,” intervenne Arthur
Weasley, “e li teniamo d’occhio.”
“C’è altro che puoi dirci, Piton?” chiese Black.
Piton annuì: “Non essere riuscito a uccidere Paciock in quel cimitero
lo ha contrariato parecchio. È convinto di aver tralasciato qualcosa.
Mi ha chiesto di ripetergli la Profezia che ho ascoltato quindici anni
fa.”
“Solo io ascoltai la Profezia per intero,” disse Silente. “Ma come per
tutte le Profezie, ne esiste una registrazione. Sappiamo cosa Voldemort
cercherà di fare…”
“Cercherà di trovare quella registrazione?” chiese Lupin.
“Sicuramente. Per fortuna, essa si trova in un luogo ben protetto, e
che noi proteggeremo ancora meglio,” rispose Silente.
“Dove?”
“Nell’Ufficio Misteri del Ministero,” disse il Preside.
“E come lo proteggeremo?” chiese Piton.
“Saranno altri ad occuparsene, Severus. Sorveglieremo le vie d’accesso
all’Ufficio Misteri, nei momenti in cui il Ministero è vuoto.”
“Ovviamente non potrò farlo io: se il Signore Oscuro inviasse i
Mangiamorte, la mia presenza sarebbe difficile da spiegare,” replicò
lui con sarcasmo. “Mi domandavo cosa si aspetta da me, Preside…”
“Ciò che mi aspetto è che tu tenga le orecchie aperte tra i purosangue,
e tra le fila di Voldemort.” Valeva a dire tra i suoi
studenti: voleva che tendesse l’orecchio ad eventuali fughe di notizie
nelle famiglie dei Mangiamorte. Meschino, ma perfettamente in linea con
la condotta del vecchio mago. Piton ripensò fugacemente a Draco Malfoy:
chissà se il ragazzino era discreto e attento come il padre.
“Tutto qui?” domandò sarcastico. “Sono venuto fin qui solo per sentire
questo?”
“Oh, no!” replicò Silente. “Sei venuto per prendere il tè. Per
conoscere gli altri e farti conoscere. Noi,” e qui il vecchio scagliò
un’occhiata penetrante prima ai Malandrini e poi a Piton, “parleremo
ancora più tardi.”
Piton accettò finalmente il tè da Molly Weasley, scrutando guardingo
tutti i presenti.
Ninfadora Tonks raggiunse Lupin, iniziando a chiacchierare, riuscendo
in capo a trenta secondi a rovesciare il suo tè e quasi a ustionare
fatalmente il lupo. Piton colse Black chiedere alla McGranitt se
avrebbero tenuto le successive riunioni dell’Ordine in sala insegnanti.
Lily e Potter discutevano sottovoce.
“Perché non ci riuniamo agli altri?” propose Silente. “Non lasciamoli
sprecare ulteriori energie per tentare di origliare…”
“Non fermatevi nell’ingresso, non svegliate ancora quel quadro odioso!”
ordinò Molly Weasley. “Senza offesa, Sirius, caro…”
Black si strinse nelle spalle. Diede un’occhiata a Lupin, ma la
presenza di Tonks sembrò disturbarlo. Raggiunse i Potter.
Piton si chiese quando Silente avrebbe finito con lui. Non contava
certo di restare per cena.
I ragazzi Weasley, i Potter e i loro amici si affollarono attorno agli
adulti, cercando di strappare loro qualche confessione.
Piton aggirò tutti e tornò nel salotto. Ricominciò a fumare, lasciando
ai presenti il tempo di studiarlo.
Note:
Dopo secoli e difficoltà tecniche, sono tornata:) Scusate il ritardo,
acnhe se forse diventerà una costante:/
Quanto mi mancava, pubblicare!
|
Ritorna all'indice
Capitolo 6 *** Capitolo 6 ***
Capitolo 6
Agosto 1995
Lily non si aspettava che quella giornata fosse facile, e di sicuro non
lo era stata. Ma tutto sommato sarebbe potuta andare molto peggio.
Sirius e Remus erano stati comprensivi e di supporto, benché avessero
anche altri pensieri. Per Sirius, poi, essere di nuovo in quella
vecchia e tetra casa doveva essere un tormento. Tra le altre cose,
James era preoccupato per l’amico.
Il problema principale di James però era Severus, rifletté Lily.
“Non mi fido di lui, e l’idea di metterlo nella posizione di
influenzare gli studenti è pericolosa. Il fatto stesso che sia qui è
pericoloso,” le aveva detto poco prima.
“Silente si fida di lui e noi ci fidiamo di Silente,” aveva ribattuto
lei, tagliando corto.
Se il vecchio Preside non aveva convinto James in un’ora, a lei non
sarebbero certo bastati pochi sussurri affrettati. Non era quello il
luogo per discutere: preferiva evitare che Severus percepisse troppo
chiaramente la loro indecisione e i sospetti che li turbavano. Non che
fosse mai stato difficile per Severus capire quando qualcuno era
turbato, in difficoltà o in una situazione di debolezza che si poteva
sfruttare in qualche modo, si disse con un po’ di fastidio.
Severus non aveva più parlato con nessuno. Si era limitato ad osservare
tutti, in attesa.
Mentre Lily lo guardava, un po’ nascosta da Remus e Tonks che
parlavano, Rose lo raggiunse. Lily osservò divertita lo sguardo
affascinato della figlia e l’esitazione con cui Piton le rispondeva.
Possibile che Severus fosse imbarazzato da quell’attenzione? si chiese
Lily con un sorrisetto.
Anche lei si avvicinò al nuovo collega.
Il pomeriggio avanzava.
Molly si stava occupando della cena. Lily si era offerta di aiutarla e
aveva obbligato a unirsi alla brigata di cucina anche Harry, Ron e
Neville.
La McGranitt, dopo aver tenuto una conferenza a Piton sui doveri di un
Direttore delle Case di Hogwarts, era sparita con Silente.
George e Fred ascoltavano affascinati un racconto di Moody che Arthur
non sembrava ritenere molto adatto a loro.
Con incredibile disappunto e preoccupazione di James, sia sua figlia
che sua moglie avevano passato diverso tempo in compagnia di Piton.
“Che cosa diamine vedranno in lui?” chiese. “Perché sembra che si
trovino così bene con Piton?”
Sirius si strinse nelle spalle: “Sai com’è Lily: amichevole, sempre
pronta a dare una possibilità a tutti. Rose probabilmente è stata
mandata in avanscoperta da Hermione per scoprire quali saranno gli
argomenti degli esami di Piton l’anno prossimo!” aggiunse poi con un
ghigno.
“Sono perfettamente in grado di chiederlo al professor Piton da sola,”
intervenne Hermione, arrivandogli alle spalle.
James fece una smorfia: il ‘professor Piton’!
Sirius chiuse brevemente gli occhi: “Non intendevo prenderti in giro,
Hermione.”
Hermione incrociò le braccia al petto: “Chissà perché invece mi sembra
molto plausibile, che mi stessi prendendo in giro.”
“Hai frainteso, io…”
“Per rispondere a lei, signor Potter,” cominciò Hermione, ignorandolo,
“credo che Rose sia curiosa, riguardo all’uomo che farà da spia tra i
Mangiamorte. Lo sono anch’io, e anche Harry e gli altri.”
“Dovreste saperlo?” chiese James con un grugnito.
Sirius rise: “Quando mai siamo riusciti a impedire a questi
mostriciattoli di ficcare il naso?”
“Perché a voi non piace, il professor Piton? Semplice rivalità tra
Case, o…” chiese la ragazzina con noncuranza.
“Rivalità tra Case un po’ estremizzata. Sai, per il fatto che lui è
diventato un Mangiamorte, dopo,” le rispose Sirius.
James non era d’accordo. Lui e Sirius avevano detestato Mocciosus ben
prima che passasse al lato oscuro, e con un’intensità mai più provata.
Sirius era passato oltre crescendo, anche se Piton non gli sarebbe mai
piaciuto. James non ce l’aveva fatta: non poteva, sapendo che Piton era
ossessionato da Lily in quel modo.
“Lui e la professoressa Potter vanno d’accordo,” osservò Hermione.
“Non è vero!” la contraddisse James senza pensare.
Hermione inarcò le sopracciglia: “Dice di no? Di sicuro hanno molto in
comune: hanno battibeccato quasi venti minuti sulle proprietà
addensanti della bava di vermicolo, prima.”
“Appunto, litigano sempre.”
“Non sono certo un’esperta di relazioni, ma non si dice che per
litigare con qualcuno deve importartene?”
Sirius si rabbuiò e gettò un’occhiata a Remus, all’altro capo della
stanza.
“Così male?” chiese Hermione, con tono secco.
“Senti, secondo te mia cugina ci sta provando con Remus?” le domandò
Sirius.
“Oh, sono certa di sì. E sarebbe un gran male? Forse lei lo tratterebbe
con rispetto…”
Sirius si imporporò.
“Hermione, piantala. Non sono questioni che ti riguardino. Per quanto
tu possa essere matura, questi rimangono argomenti da adulti,” la
riprese James.
Rose diceva tutto, a Hermione e Ginny, anche quello che non riguardava
lei in primo luogo.
“È stato lui a chiedermi di impicciarmi,” si difese Hermione, alzando
le mani. “Oh, scusate, approfitterò dell’occasione per fare qualche
domanda al professor Piton…” Si allontanò.
James e Sirius si scambiarono un’occhiata.
“Merlino…se persino Hermione ce l’ha con me, quante possibilità ho che
Remus mi perdoni?” chiese Sirius, piano.
James grugnì. Le uniche donne furiose per cui era preoccupato erano
Lily e Rose.
Piton cominciava a chiedersi dove fosse finito Silente, e se davvero il
vecchio mago doveva ancora parlare con loro, o se era solo una scusa
per non lasciarlo andare via.
Restare in mezzo a quella folla rumorosa era un’ordalia, per Piton. Ma
almeno gli permetteva di sapere qualcosa sui suoi ‘nuovi alleati’.
Quanto tempo sarebbe passato, prima che il Signore Oscuro pensasse che
Silente si fidasse abbastanza di lui da coinvolgerlo nell’Ordine? E a
quel punto, quanto e cosa avrebbe dovuto rivelare, Piton?
Era riuscito a ritagliarsi qualche minuto da solo, alla finestra del
salotto, e rifletteva sulla questione, quando Hermione gli si accostò e
lo trascinò in una discussione accademica abbastanza impressionante,
data la sua giovane età. Lily doveva essere un’ottima insegnante, ma
quella ragazzina era un po’ troppo saccente, per i suoi gusti. Accolse
con sollievo l’interruzione di Rose.
La bambina gli si era avvicinata anche prima, raggiunta quasi subito
dalla madre, cosa che sembrava averla un po’ irritata. Piton aveva
riconosciuto l’espressione di Lily da piccola, quando moriva dalla
voglia di chiedergli qualcosa del mondo magico ma era costretta a
trattenersi a causa della presenza della sorella o di qualche babbano.
Ora che la madre era occupata altrove, Rose era tornata alla carica.
“Anche tu hai qualche domanda che non può aspettare? La signorina
Granger si sta portando decisamente avanti, con la preparazione del
programma di Pozioni Avanzate. Di un paio d’anni, direi,” disse,
scoccando una breve occhiata esasperata alla ragazzina coi capelli
ricci.
Rose arrossì appena: “Be’, sì. Noi siamo preoccupati per Hagrid. Era in
missione al nord, per Silente. A voi hanno detto qualcosa?”
“È vero. Harry, Ron e Neville hanno fatto di tutto per scoprire
qualcosa, ma…” ripose Hermione, guardando interrogativamente Piton.
Anche Rose lo guardò con speranza. Piton sentì una piccola fitta al
cuore. Oh, al diavolo: anche Lily e Molly Weasley dicevano che era
difficile tenere informazioni nascoste ai ragazzi. Una volta che Hagrid
fosse tornato, gli avrebbero comunque estorto tutto, se il
guardiacaccia non era cambiato da quando Piton era giovane.
“Qualcuno ha la cattiva abitudine di impicciarsi, eh? Vi è capitato di
sentire nominare il nord? Dove pare si trovino gli ultimi insediamenti
dei giganti?” suggerì a bassa voce. Sorrise al lampo di comprensione
sul viso di Rose.
“Noi non ci impicciamo!” si difese Hermione. “Insomma…”
“Oh, questi ragazzi si impicciano come cartomanti di Nocturne Alley il
venerdì sera all’ora di chiusura dei pub!” disse Mundugus Fletcher,
avvicinandosi ai tre.
Piton lo fulminò con lo sguardo: non era chiaro a quel ladruncolo che
non aveva intenzione di dargli corda?
“Normalmente io sono un campione di discrezione, ma non si può mai dire
quando un’informazione potrebbe tornare utile, non è vero, signor
Piton?” aggiunse lo strano figuro con fare cospiratorio. “Sirius e io
avevamo certe faccende in sospeso, ma adesso mi sembra di umore un po’
nero, e non è che quel ragazzo sia uno spasso, quando ha la luna
storta. E la luna è parecchio storta ultimamente, vero, Hermione? Si
può sapere cosa gli hai detto?”
Hermione si strinse nelle spalle: “Che sarebbe ora che pagasse le
conseguenze delle sue azioni.”
Piton nascose un ghigno.
“Intendi dire che Remus non dovrebbe perdonarlo?” domandò Rose
allarmata.
Piton fissò incuriosito Hermione.
“Secondo me non se lo merita,” sbuffò lei.
“Tutti gli uomini commettono degli errori…” azzardò Fletcher.
Hermione incrociò le braccia al petto.
“Non ho mai visto Lupin non perdonare a Black una delle sue
stupidaggini,” intervenne Piton. “E Black ne ha fatte di colossali,”
aggiunse, con disgusto.
Rose comunque parve sollevata dalle sue parole.
“Ora, se non vi dispiace, ragazze, noi adulti potremmo forse parlare di
cose importanti…” fece Fletcher, accennando a Piton, che arricciò le
labbra con disgusto.
Doveva chiarire di nuovo le idee a quel tagliaborse.
Rose sbuffò: “Va bene! Ci vediamo a cena. A dopo, signor Piton,”
aggiunse brillante e saltellò via.
Piton seguì la sua chioma rossa sparire nel salotto.
Si accorse che Fletcher lo fissava.
“Pensavo di approfittare di questo momento in cui orecchie inadatte
alla conversazione non sono a portata d’udito…”
“Non ho alcun interesse in alcuna conversazione. Tantomeno quelle che
qualcuno del tuo calibro ritiene inadatta a delle ragazzine,” rispose
Piton con quanto più disgusto riuscì a condensare nelle sue parole.
“Mi riferivo alle orecchie dei nostri ottimi Auror, in realtà,”
corresse Fletcher, senza dar segno di essersi offeso in alcun modo.
“Vedo un’opportunità, nel tuo ruolo che garantisce facile accesso alle
serre e alle scorte dell’Infermeria, e nella mia conoscenza
dell’altissima domanda di particolari sostanze, come dire,
controverse…Un vero uomo d’affari sa riconoscere ogni occasione di
commercio e profitto, dico bene?” concluse, lisciando le numerose
pieghe sulla sua giacca.
“Non farò affari con te, Fletcher, in alcun caso. E se stai proponendo
di derubare Silente sotto il suo naso, sei più stupido e folle di
quanto avrei creduto,” ripose secco Piton.
“Silente mi ha voluto con voi per via delle mie capacità, per via di
quello che so fare bene: vedere opportunità,” replicò l’altro. “E in
ogni caso, qualcuno dovrà in qualche modo finanziare le nostre
attività. Ogni guerra ha un bilancio…”
“Uhm…indubbiamente.”
Non era neanche così fuori dal mondo, l’idea che Silente pensasse di
finanziare l’Ordine con attività illecite. Era parecchio al di sotto
del grado di spregevolezza di impiegare bambini come soldati, in fin
dei conti.
“Credevo che Black e i Potter fossero più che in grado di garantire i
fondi necessari alla lotta,” disse invece. “E si può sapere che ha
fatto Black al povero Lupin? O in quanto campione di discrezione non
puoi parlarne?” chiese sardonico, cambiando argomento.
“Se dovessi esprimermi come la nostra cara Hermione, dovrei ammettere
che Sirius è un porco fedifrago. È sempre stato un dongiovanni, no? Un
rubacuori. Sembra che la maturità e anni di relazione stabile non
abbiano modificato poi di molto la situazione…” spiegò Fletcher con un
brillio negli occhi.
Certamente pensava che quello scambio di informazioni avrebbe aiutato
la sua causa. Povero illuso: Piton aveva alle spalle anni di
esperienza, nell’estorsione di informazioni, e sapeva come non lasciar
credere a qualcuno di poterlo considerare in debito.
“Il professor Lupin è molto ferito e molto umiliato. Ma il Ministero
gli ha tolto la cattedra di Difesa, per via della sua condizione di
Lupo Mannaro, e quindi non ha altro posto dove andare,” continuò il
ladruncolo.
Lupin e Black una coppia? Guarda un po’: allora i pettegolezzi a scuola
erano fondati. Piton non aveva problemi a credere che Black fosse un
traditore, in ogni caso. Non aveva mai frequentato una ragazza alla
volta, ad Hogwarts. Lupin aveva sempre sopportato? Perché no? Gli aveva
perdonato ben di peggio, come lo scherzo della Stamberga Strillante che
aveva giocato a Piton, e che avrebbe trasformato Lupin in un Mannaro
assassino.
“Come ho detto,” rispose a Fletcher, “Lupin ha perdonato cose ben più
immonde.”
Fletcher si strinse nelle spalle, con un sorrisino di circostanza:
“Immagino di sì…Comunque, che noi si faccia affari oppure no, devo
ammettere che è un sollievo avere attorno qualcuno non ammantato di
ideali, che vede questa situazione per quello che è: un gran casino che
potrebbe ucciderci tutti.” La posa disinvolta si sciolse e il
ladruncolo prese di nuovo ad armeggiare con i risvolti della sua
giacca. “Insomma, io tengo parecchio alla mia vita. È ovvio, no? Ma
vengo giudicato, per questo. Insomma, è un sollievo sentire che non
sono solo, che non sono il solo, capisci?”
Piton rabbrividì, mentre l’eco delle parole di Narcissa Malfoy gli
riempiva la mente.
Un altro Auror si unì alla brigata, giusto in tempo per la cena.
Kingsley Shakebolt era un uomo alto dall’aria gioviale.
Silente non era ancora riapparso, e su insistenza di Lily e Molly
Weasley, Piton si risolse a restare anche lui per la cena.
“Non capisco perché Silente vuole farci passare così tanto tempo
assieme,” commentò contrariato quando lasciarono la cucina.
Lily si strinse nelle spalle e ripose: “Una volta le famiglie scozzesi
ospitavano i figli dei fratelli, dei cugini o dei vicini per mesi,
nella speranza che i bambini diventassero amici e non si facessero la
guerra da adulti.”
“E funzionava?” le chiese Piton.
“Hai presente la storia scozzese?” fece lei, nascondendo un ghigno
dietro la mano. Dio, James sarebbe stato decisamente insopportabile, se
l’avesse vista.
“Lo immaginavo,” grugnì lui. “Io di sicuro ho maggiori probabilità di
diventare violento se mi obbligheranno a frequentare tutti questi
mocciosi.”
“Ho brutte notizie per te: sei appena diventato professore.
Frequenterai praticamente solo ragazzini e mocciosi.”
Piton sospirò frustrato, mentre altri membri dell’Ordine Della Fenice
li raggiungevano.
Black provò ad ordinare all’elfo domestico di servire da bere, ma non
ottenne nulla se non di perdere la pazienza e di essere sgridato da
Hermione Granger. Dovette cercare da solo dei bicchieri.
Nel frattempo, Lily, Remus e Shakebolt stavano raccontando un aneddoto,
scossi da risatine isteriche.
Con un vago sorriso, uno dei gemelli Weasley si avvicinò al pianoforte
a muro coperto di polvere a destra della porta e scoprì la tastiera.
Stava per far scorrere le dita sui tasti, quando Piton gli afferrò il
polso e lo strattonò via: “Non lo toccare!”
Tutti si zittirono e li fissarono.
Il ragazzo ritrasse il braccio: “Io…volevo solo…”
Il gemello e gli altri fratelli erano già alle sue spalle.
“Che ti prende, Piton?” lo aggredì Potter. Erano le prime parole che
gli rivolgeva da quando Piton aveva messo piede nella nobile e antica
dimora dei Black.
Piton gli rispose con un mezzo ringhio: “Potrebbe essere maledetto!
Metà dei soprammobili in questa stanza lo era. Dico bene, Black?”
Black si avvicinò in fretta: “Ha ragione. Mia madre non voleva che la
casa fosse più abitata.” Posò i bicchieri che aveva in mano e studiò il
piano.
Lupin e Moody si avvicinarono a loro volta.
“Non toccare niente, senza esserti accertato se sia o meno impregnato
di magia,” disse Piton a Weasley (Fred? George?). “Specie in una casa
sconosciuta, dove non sei sicuro di essere il benvenuto.”
Il ragazzo annuì: “Grazie, professore.”
“Sì, è proprio maledetto,” annunciò Lupin. “Ce ne occupiamo?”
Ginny Weasley si avvicinò al fratello, per accertarsi che stesse bene.
Lui le fece l’occhiolino.
Moody e Lupin pronunciarono una contromaledizione. Il piano si accese
per un attimo di una malsana luce giallo-verde che poi svanì. Piton
lanciò un incantesimo per accertarsi che avesse funzionato.
“Ottima idea, Severus,” fece Lupin, prima di picchiettare un paio di
tasti. “Se vuoi accomodati, Fred. Anche se temo che sia scordato.”
“Non ti facevo un tipo da pianoforte,” gli disse Black.
La tensione nella stanza scemò poco a poco, ma Piton continuava a
sentire su di sé lo sguardo di Potter.
Molly Weasley doveva aver chiesto al figlio di suonare qualcosa in
particolare, perché il ragazzo annuì, riordinò i pensieri e cominciò a
cantare con una splendida voce da tenore. Black lo insultò sottovoce,
dandogli del ‘crooner’. Fred si immobilizzò e gli sibilò ‘Punk!’,
facendolo ridere.
La serata trascorse, lenta e strana. Gli ospiti cominciarono a
congedarsi: Kingsley per primo, poi Tonks, infine Mundugus Fletcher,
che aveva meglio non precisati impegni. Verso mezzanotte Molly Weasley
cominciò a suggerire che i ragazzi si preparassero per la notte.
“Per fortuna la casa è grande…anche se temo che dovrete dividere le
stanze come a scuola. Le ragazze possono usare la camera gialla, e i
ragazzi quella verde.”
“Silente ci chiede di avere ancora un po’ di pazienza,” disse Lupin,
risalendo dalla cucina e accennando al camino, rivolto ai Potter, a
Black e a Piton, che imprecò mentalmente.
“Non ha senso che lo aspettiate tutti alzati,” intervenne Moody,
avvicinandosi accompagnato dal ‘clunk’ sgraziato della sua gamba.
“Resterò io ad aspettarlo. Voi coricatevi, vi avvertirò quando si farà
vedere.”
“Qualcosa in contrario se io aspetto qui?” chiese Piton, accendendosi
ancora una volta una sigaretta. “O preferisci che scenda con te in
cucina per tenermi d’occhio, Moody?”
“Io ti tengo sempre d’occhio, Piton…” replicò il vecchio Auror,
l’occhio magico che roteava e si fissava su di lui.
“Molto lusingato,” bofonchiò Piton.
“Grazie, Alastor,” intervenne Lily. “Non si può proprio dire che non
abbiamo bisogno di riposo, in questi giorni…Buonanotte a tutti,”
concluse, prendendo sottobraccio il marito e lanciando uno sguardo a
Lupin e Black e uno a Piton.
Anche gli altri due maghi si avviarono con un vago saluto. Lupin aveva
l’espressione fredda e Black lo squadrava di sottecchi, molto meno
allegro di quanto non fosse stato nelle ultime due ore. Piton immaginò
che dato l’affollamento della casa fossero costretti a dividere la
camera da letto, anche se avrebbero preferito non farlo, data la
recente incrinatura fra loro.
Quasi sorrise, prima che lo colpisse il pensiero che Lily si era appena
ritirata con suo marito. Che forse era già coricata accanto a Potter,
ora.
Fece una smorfia in risposta all’inquietante buonanotte di Moody, e si
sedette sul divano, pronto a una lunga e noiosa attesa.
Qualcosa gli impediva di scivolare negli strati più profondi del sonno
e dell’incoscienza. A volte erano lampi di immagini che la sua mente
allontanava prima che lui potesse identificarli come ricordi, altre
solo chiazze di colore: arancio, rosso, nero. Ma c’era anche un
malessere fisico, si sentiva costretto, incastrato, non riusciva a
cambiare posizione.
Allungò una mano verso destra, tastando, ma il tessuto non era quello
delle sue lenzuola e le sue dita accarezzarono solo il vuoto. Quello
non era il suo letto.
Aprì gli occhi e si tirò a sedere di scatto, sentendosi osservato.
Dallo stipite della porta, Moody lo osservava.
“Silente è arrivato,” annunciò. “Cercavi qualcosa, Piton?”
Piton lo fulminò con lo sguardo, mentre prendeva a frugarsi nelle
tasche della veste. Estrasse il pacchetto di sigarette e lo mostrò a
Moody.
“Capisco. Be’, non farci aspettare tutta la notte…”
Il vecchio si voltò e prese a salire la scala scricchiolante, l’occhio
magico, Piton ne era certo, rovesciato nel cranio per guardarsi le
spalle. Scese in cucina.
Silente e la McGranitt si voltarono verso di lui: “Severus, vieni
avanti.”
“Siete stati rapidi a sparire. Tornate a notte fonda per evitare altre
crisi isteriche di Paciock?” disse lui.
“Piton,” lo ammonì la McGranitt, “quel povero ragazzo ne ha passate
tante. Poche settimane fa ha visto assassinare un suo compagno di
scuola, ha tutto il diritto di essere sconvolto!”
Piton si trattenne a stento dallo sbuffare: a chi, tra gli occupanti di
quella casa, non era successa la stessa cosa? Loro non avevano visto
morire i loro compagni, da ragazzi, e poi ancora, e ancora, e ancora?
“La mia perplessità è destata piuttosto dal fatto che il Preside non
fosse lì per il prezioso Ragazzo-Che-È-Sopravvissuto,” rispose,
scoccando un’occhiata obliqua al vecchio mago.
“Ti assicuro, Severus, che il mio comportamento nei confronti di
Neville è diretto solo al suo bene. E al nostro,” replicò Silente,
mentre anche i Potter, Lupin e Black e Moody entravano nella cucina.
“Riesci a concepirlo, Piton? Un comportamento che tenga in
considerazione anche qualcun altro, oltre a te stesso?” lo apostrofò
James Potter.
Piton gli rivolse un sorriso affilato: “Ti stupirà, ma sì. E al
contrario di qualcun altro, io sono anche n grado di prevedere le
conseguenze più lampanti, di un improvviso e immotivato slancio di
generosità. O dovrei dire idiozia?”
Potter si irrigidì: “Allora non si spiega come mai tu sia qui, se la
consideri un’idiozia!”
“Sono qui a causa dei tuoi dannati scrupoli!” ringhiò Piton. “Siamo
tutti qui perché hai impedito a Cappuccetto rosso e al Lupo, qui, di
occuparsi di Minus quando ne hanno avuto l’occasione. Il povero Paciock
ne ha passate tante,” aggiunse, facendo il verso alla McGranitt,
“perché tu non hai avuto il fegato di fare ciò che andava fatto.”
“Tu osi parlare di fegato?” gridò Potter facendosi avanti.
“James, no!” strillò Lily, sbarrandogli la strada, imprigionandolo con
lo sguardo deciso e vibrante che Piton non poteva vedere ora, ma che
ricordava alla perfezione: così acceso e potente da farti barcollare,
da farti desiderare di nasconderti. Distolse a forza lo sguardo da lei.
“Devo rendervene atto, “riprese con voce controllata e secca, rivolto a
Black e Lupin, “il vostro istinto non aveva sbagliato, quando vi ha
suggerito di uccidere il traditore. Non avrebbe aiutato Bellatrix a
fuggire e a raggiungere l’Oscuro Signore…”
Lupin parve rabbrividire alle sue parole. Black lo guardò con
preoccupazione, e ripose per entrambi: “Era la rabbia, a parlare. Non
era giusto che né Neville, né noi cercassimo vendetta. James ce l’ha
fatto capire.”
“E guardate dove ci ha portato, il buon cuore di James Potter…” ribadì
Piton.
“Ora basta!” intervenne Silente. “Se dovesse venire il giorno in cui ci
pentiremo di un atto di pietà, allora Voldemort avrà vinto.” Il vecchio
scrutò tutti i presenti da dietro le sue lenti a mezzaluna con
severità. “È vero,” continuò in tono più dolce, “Minus ha reso
possibile il ritorno del suo Maestro, eppure ha un debito d’onore verso
Neville e James. Non devo ricordare a nessuno di voi quanto può essere
potente la magia prodotta da un atto d’amore.”
Il rimprovero sembrò placare gli animi, ma Piton riuscì solo a pensare
acidamente che Silente e i suoi preziosi Malandrini potevano
permettersi tutti gli atti d’amore e di pietà del mondo, finché il
vecchio si assicurava di avere qualcuno pronto a sporcarsi le mani
quando si fosse reso necessario. Non era quella, in fin dei conti, la
ragione della sua presenza?
“C’è una questione di cui ho bisogno di discutere con voi,” riprese il
Preside, “e riguarda specificatamente la tua precedente affermazione,
Severus. Non posso, anche se lo vorrei, stare accanto a Neville ed
essergli di supporto come meriterebbe.”
“Neville capirà,” rispose Lupin. “Con un po’ di fatica, probabilmente.
Ma sa che lei è impegnato, in questa guerra…”
“La ragione è ancora più oscura,” disse Silente. “Abbiamo più volte
osservato che la cicatrice di Neville reagisce alla presenza di
Voldemort…”
Quasi tutti annuirono, mentre Piton assorbiva allarmato
quell’inquietante rivelazione.
“Altre volte la cicatrice ha permesso a Neville di percepire la rabbia
o il trionfo di Voldemort,” continuò Silente. “Ho ragione di credere
che ora che ha riacquistato un corpo, Voldemort stesso non sia più
completamente ignaro di questo…legame. Non so se sappia interpretarlo
meglio di noi, ma temo che userà a proprio vantaggio. E dato che sono
io quello che teme maggiormente, è ragionevole presumere che lo
userebbe contro di me, cercando di spiarmi attraverso gli occhi di
Neville, se ne avesse l’occasione. Potrebbe anche spingerlo ad
attaccarmi.”
“È spaventoso,” sussurrò Lily. “Povero Neville…”
“Se il Signore Oscuro può spiarci attraverso gli occhi del ragazzo,
perché diavolo gli avete permesso di sapere di me?!” chiese Piton
chiudendo gli occhi e stringendosi la base del naso.
Non era possibile. Era un incubo.
“È solo Silente che deve preoccuparsi,” intervenne la McGranitt. “È lui
l’avversario di Voldemort, e per spiare gli altri ha già qualcuno, non
è vero?”
Piton inspirò a fondo, cercando di calmarsi. Giusto, era Silente che
doveva preoccuparsi. Peccato che loro tutti dipendessero da Silente.
“Ho voluto che ne foste a conoscenza anche voi, che sarete a contatto
con Neville a Hogwarts o durante le vacanze,” concluse il Preside. “Io
e il ragazzo non dobbiamo stare a contatto…”
“Faremo in modo che non sia necessario,” assicurò Lily, stringendo la
mano del marito.
Silente sorrise: “Grazie, Lily. Be’, forse è giunta ora di salutarci.
Ci rivedremo presto a Hogwarts!”
Note:
Finalmente questa scena interminabile è conclusa! L'ho riscritta e
aggiustata talmente tante volte ce non i capisco più niente: se notate
qualcosa di contradditorio o insensato fatemelo sapere, per favore!
|
Ritorna all'indice
Questa storia è archiviata su: EFP /viewstory.php?sid=3716456
|