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Lista capitoli: Capitolo 1: *** Sylvia, ricordi quei dolci momenti *** Capitolo 2: *** Gank Spank ***
Capitolo 1 *** Sylvia, ricordi quei dolci momenti ***
AVVERTENZA
Quella che segue è una coppia di poesie dedicate a
Sylvia. Tralasciando le inopportune similitudini leopardiane, mi ritengo in
dovere informare i lettori che Sylvia è la protagonista di una
fanfiction-monologo che ho pubblicato sempre su questo sito. Dunque invito
chiunque fosse intenzionato a fruire della storia in modo più completo a
sospendere la lettura del presente testo e a leggere in primo luogo la
fanfiction “Sylvia la cacciatrice”.
INTRODUZIONE
Questa è il la prima delle due poesie che compongono
questa breve raccolta. Si tratta di un sonetto, quindi si compone di due
quartine e due terzine di endecasillabi. Il componimento è privo di titolo (tradizionalmente
si ci riferisce ai sonetti citando il primo verso), esso tratta dell’amore tra
una Fiamma Sopita, Sylvia, e la sua Guardiana del Fuoco, sviluppando il tema attraverso
domande idealmente poste alla protagonista.
Sylvia, ricordi quei
dolci momenti
in cui lei parlava accanto a te assisa
e la tua favella i grevi tormenti
goffa fugava ispirando le risa?
Ricordi? Il tuo sguardo
vago volgeva
alla sua bocca e di ciò che vi usciva
la mente tua assorta il senso perdeva
poi l’ansia soave in petto avvertiva.
Forse di lei non sospetti
l’amore?
Quelle sue pallide labbra non taccion,
non credi? Se non d’ardente disio.
Della Guardiana per te
vive il cuore,
se questo è vero tue brame le piaccion.
Lei più non vuole il tuo nobile addio.
COMMENTO
Nella poesia si possono individuare due piani
temporali: il primo, riferito al passato, caratterizza le prime due strofe, introdotte
non a caso dal verbo “Ricordi”. Il secondo, che si sviluppa nelle due terzine,
riguarda invece il presente. I riferimenti al passato, frutto di un’analisi del
punto di vista di Sylvia, sono utilizzati come spunto per introdurre la
tematica amorosa. In merito a questo argomento, nelle ultime due strofe, si
avanzano delle ipotesi riguardanti i reali sentimenti dell’altro personaggio
coinvolto: la Guardiana, traendo infine le relative conclusioni.
Nella prima strofa si allude agli attimi in cui le due
donne parlavano liberamente tra loro, i quali costituiscono per entrambe uno
dei pochi momenti di evasione. Si ricordi infatti che tutte e due, in accordo
con i fatti descritti in Dark Souls III, svolgono un ruolo fondamentale e
totalizzante nell’impresa del Vincolo del Fuoco: la Fiamma Sopita è l’unica in
grado di ottenere il potere necessario per appropriarsi delle anime dei Signori
dei Tizzoni, la Guardiana, invece, è la sola che può catalizzare la forza delle
anime senza padrone, di conseguenza è colei che permette alla Creatura della
Cenere di ottenere quel potere a cui si faceva riferimento.
Nella seconda strofa si allude al tema amoroso descrivendo le emozioni provate
da Sylvia. Si ci sofferma in particolare sull’imbarazzo
provato dalla Fiamma Sopita nello stare a fianco della sua interlocutrice. In
questo modo, nelle due quartine, vengono stabiliti i presupposti per introdurre,
nelle altre due strofe, un’ipotesi secondo la quale l’attrazione sentimentale
non è unilaterale.
Nella terza strofa, in particolare, si interpreta il “tacere” della Guardiana,
cioè la sua solitudine, come occasione da lei sfruttata per rimuginare sul suo
amore e sui suoi desideri nei confronti di Sylvia.
Nella quarta strofa si afferma che la Guardiana prova per la Fiamma sopita
sentimenti simili a quelli che quest’ultima prova per lei (tue brame le piaccion). Sentimenti che vengono indicati come autentica
fonte della devozione della Guardiana, e che, secondo quello che viene
sentenziato nell’ultimo verso, la avrebbero spinta a rifiutare e temere il
“nobile addio” di Sylvia. Questo è un chiaro
riferimento al Vincolo del Fuoco, a quel sacrificio estremo che la Guardiana
inizia a non percepire più come unico scopo della propria esistenza, ma come
tragedia che la separerebbe per sempre dalla sua amata Sylvia.
Alla luce di ciò, il componimento è assimilabile ad un
tentativo, compiuto da un ipotetico narratore, di far prendere a Sylvia coscienza dell’amore autentico e incondizionato che
la Guardiana prova per lei.
Si può quindi notare, in conclusione, come la poesia ruoti attorno all’atteggiamento
di Sylvia, la quale non riesce a comprendere i
sentimenti della Guardiana. Infatti, la Fiamma Sopita interpreta questi ultimi
come fonte di attenzioni imposte da un insieme di doveri che ella stessa, per
prima, si è rifiutata di condividere. Dal canto suo la Guardiana non trova il
coraggio di rinunciare apertamente a ciò a cui ha dedicato la vita, ossia al
Vincolo del Fuoco, generando in questo modo quell’impasse relazionale che di
fatto costituisce il nucleo e il motore dell’intera vicenda.
Questo
è il secondo e ultimo componimento della raccolta. La struttura, lo stile e le
tematiche trattate dovrebbero assimilare la poesia al genere dell’ode a me,
tuttavia, mancano il coraggio e la presunzione di definirla tale. Non segue un particolare
schema metrico, sebbene i versi tendano, per ampi tratti, ad agglomerarsi
attorno ad una struttura simile a quartine di ottonari o novenari.
Nello
scritto vediamo Sylvia in veste di invasore. La nostra protagonista non è però
spinta dalla sete di sangue o di potere, bensì, rimasta colpita dall’affetto
dei Principi di Lothric, ha deciso a suo tempo di non affrontarli, rivolgendo
invece le sue armi contro le Fiamme Sopite che si inoltrano nell’Archivio
Centrale. Il suo intento è quello di convincere i suoi avversari a compiere la
sua stessa scelta: smettere di ascoltare la brama di anime indotta dal Fuoco
per assecondare sentimenti più intimi e nobili. Nel dipanarsi della narrazione
questi fatti vengono a mala pena accennati, invece si può immediatamente capire
che le vicende non si svolgono secondo le speranze di Sylvia. Infatti, la
cacciatrice si trova ad affrontare più avversari da sola in uno scontro mortale.
Ciononostante la guerriera non riesce ad estraniarsi dallo struggimento amoroso
causato dal suo legame con la Guardiana, così alla predominante tematica
“bellica” si alterna quella sentimentale.
La
poesia presenta inoltre una marcata vena ironica che emerge fin dalla scelta
titolo. Infatti un’espressione gergale, e per giunta inglese (quale abominevole
vilipendio del nostro nobile idioma!), stona fortemente con il carattere
volutamente ermetico ed evocativo del componimento. Tale contrasto viene
rimarcato poi da un utilizzo più tradizionale della figura retorica
dell’ironia. Tra i versi si possono infatti individuare diversi termini
apparentemente contraddittori utilizzati per definire sia Sylvia che i suoi
avversari, con il plateale intento di sottolineare il coraggio della prima e la
viltà dei secondi.
Il
testo è senza dubbio di difficile comprensione (fidatevi, è anche colpa delle
mie scarse abilità di scrittore) e procede perlopiù mediante riferimenti e
analogie legate all’universo di Dark Souls. Perfino gli stessi sentimenti della
protagonista sono descritti in modo assai vago. È proprio nella sua imperscrutabilità
che la poesia, secondo i miei modesti intenti, dovrebbe acquistare spessore.
Nella sua scrittura non mi sono preposto l’intento di far emergere chiaramente
il contenuto fin dalla prima lettura, bensì, senza lesinare l’utilizzo di
termini crudi e volgari, ho tentato di circondare il personaggio di Sylvia di
un’aura di epicità e mistero.
GANK SPANK
Di ardenti ossa al tepore porgi le membra provate, ma la tua mente distrutta giammai troverà il suo ristoro.
5Così, nei viluppi dorati di quel flebile fuoco, rivedi di lei la candida chioma in cui brami smarrire le mani, di lei la cui anima oscura
10‘sì grande forza t’ha dato, di lei dalla pelle di seta al tuo laido sfiorare negata. Quand’ecco che senti tremare nel pugno il globo scarlatto,
15dal suo occhio ti senti spogliata della tua essenza carnale e in un mondo a te estraneo
mandata. Un mondo in cui cenere vuole di Lorian e Lothric spezzare
20il tenero abbraccio divino. Tu, ora spirito oscuro, odi il silenzio proibito di quelle stanze violato, in quell’Archivio in cui, Sylvia,
25di cacciatrice tue gesta il nome ti hanno donato. Così alla battaglia t’appresti cogliendo un profondo sospiro, poi cerchi impaziente il
nemico
30da anello di nebbia celata ed ecco che vedi quei prodi accorsi con foga nell’atrio. Di quella sala il selciato di densa cera è coperto
35che magica e antica straborda da ampia e magnifica vasca. Sta accanto ad essa un
fantasma di pietra opaca vestito con quella corazza strappata
40al mesto campione di Carim. Lo spettro bianco brandisce massiccio e inumano spadone, con esso sicuro protegge colui che reca la brace.
45Quest’ultimo è poco distante, coperto d’acciaio modesto, la sua armatura s’addice a un non troppo degno guerriero. Poi spada e scudo possiede
50dei cavalieri che al Principe e a questa sua terra natale son ben oltre la morte devoti. Quando ti mostri al nemico questi beffardo s’inchina,
55tu sollevi il cappello, e offri il capo a tal guisa. Appena ultimato il saluto ti vedi obbligata a schivare rabbioso il fendente nemico
60che il suolo fa quasi tremare. Tu pure sguaini il tuo ferro, striscia leggera e sottile, e con fiera perizia trapassi la lama e la lorica ostile.
65L’altro ti guarda pugnare, lontano, tranquillo e difeso, ma in breve alla lotta lo invita l’amico arrancante ed offeso. Ti trovi da colpi assediata
70che a stento riesci a evitare, di loro ora attendi costretta la breve apertura fatale. Un’eco improvvisa a quel punto, le ampie pareti sferzando,
75annuncia l’arrivo d’un servo a Luna Oscura votato. Costui,
da mago capace, fermo s’accinge a punire con retta sentenza tue colpe
80di avido e infame invasore. ‘Sì
tende alla volta il bastone, e, senza neppur rivelarsi, la sua anima contro ti scaglia con l’arte del Bianco Dragone,
85serbata in quei stessi scaffali che incombon su quella tenzone, dai quali tu, vile puttana, agli inermi tendi i tuoi agguati. Dal cristallo alle terga
colpita
90a riprender coscienza fatichi, e, dischiuse le palpebre, gridi: “Fanculo bastardi, crepate!” Questo tuo empio parlare piega con ghigno ferale
95le bocche di tutti gli astanti. Esso il tuo accento deride, deride la lingua impacciata che erra a lambire il palato, deride il destino segnato
100di te sola e spacciata. Adesso non puoi che fuggire, cerchi nel buio riparo e attingi da ampolla lucente di nuovo il vigore privato.
105L’ansioso stregone ti segue, vuole a sé onore recare, dunque isolato prosegue tentando il tuo orecchio tagliare. Questi però non s’avvede
110suoi incanti il bersaglio mancare, allor la tua mano provvede gran serie di affondi a infilare. Prima che scappi il ferito, fai d’ambra lo stocco brillare,
115di fulmini splende il tuo viso prima del balzo letale. Smette il fugace bagliore del freddo metallo affilato, con slancio veemente lo estrai
120dal debole e vinto costato. Così, fatto il marmo macchiato del sangue d’indegno avversario, degli altri, rimasti in disparte, cessa l’ingenua baldanza.
125Il primo, da dietro il pavese, aizza il secondo alla lotta e subito d’ira s’infiamma ‘l suo aureo spadone istoriato. Spinto in avanti il suo peso,
130muove violenta spazzata, ma questa sol polvere leva, e lui, con la vista oscurata, tua abile mossa non nota, non nota te alle sue spalle,
135non nota il tuo ferro spietato che adesso gli cinge la gola. Soltanto il gelo distingue che le sue vene recide, da esse poi un fiotto sgorgando
140t’insozza di rosso le vesti. Così, mentre avanzi decisa verso l’armato rimasto, trasuda la lunga visiera che le fattezze tue oscura,
145dell’abito pregni i ricami, così come guanti e stivali, lordi il mantello e i calzari, lordo anche il volto, or mostrato per porgere un greve quesito
150allo sparuto ch’hai innanzi: “Perché ancor combatti?” gli chiedi, “La tua anima ascolta” lo inviti. “Non vedi che il Fuoco t’uccide?” Egli di ciò non si cura
155e della sua lama rasenta la parte più aguzza il tuo crine. Questo
suo agire t’offende e alla Guardiana ripensi, ma anche con tale ferita
160aperta a combatter sei avvezza. Dunque, al suo cieco colpire, l’elsa tua salda s’oppone, respinge il suo braccio all’indietro, costringe egli il ventre a scoprire.
165Infin, con amplesso mortale, lesta raggiungi il suo cuore. Quel volge il suo ultimo sguardo ai tuoi occhi stillanti d’amore. Al tuo pio braciere tornata,
170ti forzi un sorriso trionfale, provando invano a godere di quelle Fiamme Sopite che, quella soglia varcata, sentono il fiato mancare,
175al solo pensiero spezzato l’arma tua invitta incontrare. Ma dalle pupille già versi ancora un pianto copioso, ripeti: “Quelli non sono
180i petti ch’anelo il respiro”.