Buon Compleanno Jules

di Kia_1981
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Un Regalo ***
Capitolo 2: *** La Festa Mancata ***
Capitolo 3: *** Solo per Chiedere Scusa ***



Capitolo 1
*** Un Regalo ***


1. Un Regalo

I corridoi del Collegio di Maderian erano, generalmente, piuttosto tranquilli. Per questo motivo, quando si sentiva sbattere una certa porta, tutti gli studenti si zittivano e cercavano di ritirarsi alla chetichella per non rischiare di incorrere nelle ire dell’Onorabile Megan Linnett. La dottoressa era rientrata dopo il suo turno in ospedale e sentiva di aver bisogno di molto riposo: il lavoro non era stato più impegnativo del solito, tuttavia aveva passato la notte precedente senza quasi riuscire a chiudere occhio.

Non pensarci.

La giovane scrollò la testa e si massaggiò le tempie, tentando di scacciare i ricordi. Avvicinandosi alla finestra, considerò di essere stata fortunata: a quanto pare era riuscita a rientrare appena in tempo per evitare l’acquazzone che ora si stava abbattendo sulla Vecchia Capitale. Nel mese di marzo il tempo era sempre così imprevedibile, considerò. La mattina si usciva con il sole, la sera si rientrava con la pioggia.

Imprevedibile, proprio come Julian.

Si riscosse, sorpresa che i suoi pensieri l’avessero di nuovo condotta da lui, quando la sola scelta accettabile sarebbe stata quella di lasciar perdere quelle distrazioni per concentrarsi solo sulle cose importanti: lo studio e il lavoro. Doveva smettere di rimuginare sulla notte passata con lui ad Aldenor, su quello che le aveva detto, su quello che le sue parole le avevano fatto provare. Il nodo doloroso che le strinse la gola la colse alla sprovvista, irritandola maggiormente. Non si spiegava come mai dovesse farle tanto male ogni volta che i ricordi l’assalivano.

Respira.

Cercò di riprendere il controllo su se stessa: non era difficile finché riusciva a tenersi occupata, ma quando si fermava veniva assalita da sensazioni moleste e, fino ad allora, sconosciute; inoltre era sempre più irritabile, dal momento che passava le giornate a lavorare e le notti a rigirarsi inquieta sotto le coperte. La sua pazienza era arrivata al limite. Guardò il letto: avrebbe voluto distendersi e dormire, ma sapeva fin troppo bene che la sola cosa che le avrebbe conciliato il sonno sarebbe stata ripensare alle braccia di Julian che la tenevano stretta per scaldarla. Era probabile che ci avesse pensato troppo, convincendosi così che quello fosse il solo modo per riuscire a riposare.

Dopo aver misurato la stanza a grandi passi nervosi, spostando libri e altri oggetti già in ordine, Megan si avvicinò infine allo scrittoio. Aprì il primo cassetto e, infilando la mano all’interno, premette un piccolo bottone nascosto, a cui seguì il rumore secco di una serratura che scattava, rivelando l’apertura di uno sportellino segreto. La giovane lo guardò per un istante, poi allungò la mano per prendere l’oggetto che vi aveva nascosto. Ne estrasse un involto da cui fece scivolare fuori un orologio da taschino: il regalo che non aveva avuto il coraggio di dare a Julian. Sfiorò la decorazione geometrica sul coperchio, pensierosa. Come aveva potuto permettere a qualcuno di rovinare i suoi piani? Da quando era entrata allo Studium, aveva sempre avuto ben chiaro cosa volesse per il proprio futuro: diventare medico, ottenere una cattedra come Domina, essere indipendente. Gli uomini non l’avevano mai attirata e li considerava degli emeriti imbecilli smidollati: era riuscita a far scappare a gambe levate tutti quelli che avevano cercato di avvicinarla, confermando la sua idea che gli appartenenti al genere maschile non costituissero altro che un’enorme perdita di tempo. Solo uno si era dimostrato diverso. La tenacia di Lord era stata talmente implacabile che alla fine si era rassegnata ad averlo intorno. Era stata perfino disposta a concedergli di prendersi più confidenza, certa che ne avrebbe abusato: in fondo il ragazzo aveva fama di essere un donnaiolo, quindi probabilmente non si sarebbe fatto problemi a comportarsi da idiota con lei nonostante le avesse detto di essere innamorato di un’altra. Lei avrebbe avuto un’ottima scusa per considerarlo come tutti gli altri e il pensiero di allontanarlo sarebbe risultato più sopportabile. Invece nulla. Era sempre stato perfettamente corretto, finché era rimasto nella Capitale.

Un mese prima era partito per Altieres, per conto del suo Ordine. Non le aveva mai scritto nemmeno una lettera (ad ogni modo, perché si era aspettata che facesse una cosa del genere?) e non si era nemmeno fatto vivo con sua sorella o con altri, a parte un messaggio al suo arrivo in cui diceva che il viaggio era andato bene. Non avere sue notizie l’aveva resa particolarmente nervosa. Aveva trovato modo di sfogarsi facendo lunghe camminate senza una meta precisa, guardando senza interesse la gente intorno a sé o le botteghe che oltrepassava. Una volta si era fermata davanti al negozio di un orologiaio, osservando in vetrina l’oggetto che in quel momento teneva tra le mani: era abbastanza sicura che Julian non possedesse nulla del genere e le era sembrato adatto come regalo per il suo imminente compleanno. Si era presa del tempo per pensare se volesse davvero fargli un regalo e dopo un paio di giorni era tornata per comprare l’orologio e fare una richiesta molto particolare.
 
“Lavoriamo con un incisore abilissimo, Milady. Un vero artista”, l’aveva rassicurata il mastro orologiaio. “Ve lo chiamo subito”. La dottoressa stava già pentendosi della sua idea, quando un giovane dall’aria amichevole la raggiunse presentandosi come l’incisore di cui le aveva parlato l’artigiano. Prese in consegna il foglio che Megan gli stava porgendo con una certa riluttanza e lo studiò in silenzio per qualche minuto.

“Posso riprodurlo”, le aveva confermato con un cenno d’assenso. “Ovviamente la tecnica è diversa, potrebbe apparire leggermente differente”

“Non ha importanza”, l’aveva interrotto la giovane. “Mi basta che facciate del vostro meglio”

“Non temete. Sarà un vero piacere per me eseguire questo lavoro”, spostava lo sguardo alternativamente dal disegno alla ragazza, poi aveva sorriso. “Chi vi ha fatto questo ritratto deve essere davvero innamorato di voi”, aveva commentato alla fine, facendola trasalire.

“Non credo che questo vi riguardi”, aveva ribattuto lei turbata, sforzandosi di non essere troppo brusca.

“Perdonatemi”, si era scusato l’altro. “Volete che incida anche una frase sulla cassa?”

Megan era stata tentata di rispondere con un secco no: aveva già esagerato con il ritratto e non voleva rischiare che il suo gesto potesse venire in qualche modo frainteso. Tentennò per un istante e poi rispose affermativamente. Scelse una dedica, che lasciò perplesso l’incisore, poi pagò il suo acquisto e diede istruzioni affinchè le venisse consegnato in collegio non appena fosse stato pronto.
 
La giovane aprì l’orologio, rimirando sorpresa per l’ennesima volta il proprio ritratto. Quell’incisore aveva davvero fatto un lavoro dannatamente buono, doveva ammetterlo. Rilesse la dedica sulla cassa, poi tornò ad osservare il quadrante. Anche lì c’era una scritta, che lei, in un primo momento, non aveva notato: Horas non numero nisi serenas. “Segno solo ore liete”. Sembrava quasi una presa in giro, rifletté. 

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Capitolo 2
*** La Festa Mancata ***


2. La Festa Mancata
   

La sera precedente.

Forse era stata un’idea stupida organizzare quella festa a sorpresa per il suo compleanno, ma nessuno aveva preso in considerazione la possibilità che lui non si sarebbe presentato. Quelli che erano stati ad Altieres insieme a Lord, avevano tentato di giustificare la sua assenza: perfino Gabriel si era mostrato stranamente comprensivo, suscitando lo stupore di Sophia al punto da farle dimenticare di essere in collera con il fratello. Ma lei non si era lasciata incantare: Lord doveva a tutti loro delle scuse e se gli altri erano disposti a perdonarlo, lei non si era dimostrata dello stesso avviso. Dopo aver bevuto l’ennesimo bicchiere di vino della serata, aveva raggiunto la sfacciataggine sufficiente per andare a cercare Jordan e obbligarlo ad aiutarla. 
 
***

Julian chiuse la porta della stanza alle proprie spalle con un sospiro di sollievo. Un po’ gli era spiaciuto non presentarsi alla festa che i suoi amici gli avevano preparato, ma era talmente di cattivo umore che di certo si sarebbe rivelato una pessima compagnia. Si tolse il mantello grondante di pioggia e si avvicinò al caminetto per tentare di ravvivare un po’ il fuoco. Guardando la fiamma risorgere dalle braci, decise che un sorso di liquore l’avrebbe scaldato sicuramente di più e magari gli avrebbe anche conciliato il sonno. Si diresse verso l‘armadio in cui qualche studente, che aveva occupato quella stanza prima di lui, aveva avuto la brillante idea di creare un doppiofondo. Forse si era trattato di qualcuno con molti segreti da custodire mentre lui aveva preferito sfruttare tutti quei nascondigli per le sue scorte di alcolici e, occasionalmente, di dolci. Dopo una rapida ricerca, estrasse una piccola bottiglia contenente un liquore ambrato. La aprì  tenendola sollevata in un immaginario brindisi.

“Tanti auguri a me”, sorrise amaramente e si rovesciò in gola buona parte del liquido dal sapore intenso.

Un rumore alle sue spalle, una specie di flebile lamento, lo fece sobbalzare: non aveva notato la figura seduta su una poltrona, riversa sul tavolo cosparso di libri e fogli di appunti. Si era avvicinato silenziosamente e il cuore aveva cominciato a martellargli furioso nel petto.

Megan.

Come aveva fatto ad entrare? E, soprattutto, perché era lì? Si sedette per terra, vicino a lei e rimase a guardare in silenzio quel poco che riusciva a distinguere dei suoi tratti in quella penombra. L’istinto di allungare una mano per accarezzarla gli sembrò fin troppo difficile da controllare, ma riuscì a frenarsi e rimase a contemplarla in silenzio. La bionda dottoressa era profondamente addormentata e, di tanto in tanto, mormorava qualcosa di pressoché incomprensibile. Il giovane Cavaliere era riuscito a cogliere giusto un paio di pesanti insulti che l’avevano fatto sorridere. Quando starle così vicino senza far niente divenne insopportabile, decise di svegliarla.

“Credevo preferiste dormire in camera vostra”, le bisbigliò ironico all’orecchio, facendole aprire gli occhi di soprassalto.

“Ma sei impazzito? Mi hai fatto prendere un colpo!” Lo aggredì portandosi una mano al petto.

Julian si appoggiò alla scrivania, accanto a lei. Incrociò le braccia e le sue labbra si stirarono in un breve sorriso.

“E cosa dovrei dire io che mi sono ritrovato in modo del tutto imprevisto, e soprattutto in piena notte, con una dottoressa addormentata sui miei codici? Spero non sia un tentativo di farmi espellere”, s’informò ironico, concedendosi un altro sorso di liquore.

Megan si rendeva conto che le parole di Lord non erano un vero e proprio scherzo: le regole erano chiare e se li avessero trovati insieme in camera a quell’ora, sarebbero stati in guai grossi. Sbadigliò e si stiracchiò tentando di alleviare il fastidio al collo indolenzito dalla posizione scomoda.

“Non ti preoccupare: dubito che qualcuno potrebbe pensare che stia succedendo qualcosa di inopportuno”, tentò di rassicurarlo, avvertendo subito un lieve disagio per quelle parole. Si sentiva stranamente nervosa: ora che lui era lì, non aveva idea di cosa fare. Non aveva più voglia di litigare né di rimproverarlo per non essersi presentato alla festa. Stava ancora cercando di decidere come comportarsi quando le mani di Julian le si posarono sulle spalle, massaggiandole i muscoli tesi.

“Probabilmente hai ragione”, assentì in tono sommesso, con una nota di tristezza appena accennata. “Ma le regole parlano chiaro e, purtroppo, valgono per tutti”.

“Chi ti ha insegnato?”, sospirò Megan godendosi quel massaggio che le stava sciogliendo tutta la tensione dolorosamente concentrata sulle spalle e sul collo. Non si era soffermata nemmeno per un istante a riflettere sul fatto che avrebbe dovuto considerare quel contatto quantomeno inappropriato.

“Va meglio?”, le domandò Julian senza rispondere alla sua domanda. “Devi essere molto stanca. Ho sentito dire che non ti sei risparmiata nelle ultime settimane”

“Non mi hai risposto”, obiettò la dottoressa contrariata. “Ad ogni modo, come mai ti interessi tanto a quello che faccio?”.

Julian si bloccò: si era distratto per un momento, rischiando di mandare tutto a monte. Aveva quasi dimenticato che Megan era persuasa che lui fosse innamorato di un’altra, in caso contrario non sarebbe mai andata spontaneamente da lui. Di notte. Da sola.  
Scrollò le spalle e si allontanò. L’interruzione di quel tocco rilassante e piacevole contrariò la dottoressa.

“L’ho saputo per caso”, replicò lui imperturbabile. “Tanto impegno non passa certo inosservato”.

Megan gli si avvicinò, fronteggiandolo combattiva. 

“Hai avuto il tempo di stare ad ascoltare degli stupidi pettegolezzi”, lo aggredì. “Avresti anche potuto trovarne un po’ per venire alla festa che avevano organizzato per te”.

“Avevo detto a Jordan di lasciar perdere”, ribatté seccato il giovane.

“Capisco. Evidentemente hai preferito andare a festeggiare tra le braccia di qualche cortigiana”, gli rinfacciò l’altra con più acredine di quanta intendesse.

“Mi state facendo una scenata di gelosia, Milady?”

L’osservazione di Julian la bloccò. No, non era gelosa. Era sicura di non esserlo.

“Cosa vuoi che mi importi delle donne con cui passi le serate? Mi infastidisce solo che fossimo tutti lì, come un mucchio di idioti, ad aspettare te: abbiamo perso una serata per niente”, sbottò alzando la voce.

“Mi dispiace che abbiate sprecato il vostro tempo per me, ma non avevo assolutamente voglia di festeggiare”, le voltò le spalle e si piazzò davanti alla finestra, dove cominciò ad asciugarsi i capelli con un telo che aveva recuperato dalla spalliera di una sedia.

“Quando sono venuto al mondo, venti anni fa, i miei genitori, hanno deciso che non valesse la pena vedermi crescere. Vi sembra qualcosa da festeggiare?”, continuò amareggiato.

Megan era sbigottita: non avrebbe mai pensato di vederlo comportarsi così. Era quasi come trovarsi davanti ad un’altra persona. Fece un passo verso di lui.

“Cosa ti è successo ad Altieres?”, volle sapere mentre le diventava sempre più chiaro il motivo per cui Gabriel aveva sostenuto che Julian sembrava non essere più in sé.

“Una donna, una di quelle Madrine tanto rispettate e temute tra la gente di Altieres, mi si è avvicinata e mi ha detto alcune cose che avrei preferito non sentire”, rispose in tono piatto. Le braccia gli ricaddero lungo i fianchi e sembrava che tutta la sua energia fosse concentrata nei pugni serrati nel tentativo di controllarsi. Megan, però, non aveva intenzione di accettare quella reticenza.

“Cose di che genere?”. Lo sentì inspirare a fondo.

“Non ne voglio parlare”, tagliò corto il ragazzo.

“Cosa può saperne di te una donna che non ti conosce affatto?”

“Mi ha detto qualcosa a proposito della mia famiglia”, ammise con foga. “Ma non ne voglio parlare”.

Sembrava sconvolto. La dottoressa non sapeva come comportarsi. Rimase a guardarlo, indecisa, poi indietreggiò. Si sentiva a disagio e voleva togliersi da quella situazione il più rapidamente possibile: lei si era lamentata della sua famiglia molto spesso. Probabilmente Julian la considerava un’ingrata, una che nemmeno si rendeva conto di quanto fosse fortunata. Era talmente in imbarazzo che pensò di andarsene senza aggiungere altro; per questo motivo rimase sorpresa quando si rese conto che, invece di avvicinarsi alla porta, i suoi passi l’avevano condotta accanto a Julian.

 “Dicono che gli amici siano una seconda famiglia”, esordì impacciata, accompagnando quelle parole con un’alzata di spalle. Gli toccò il braccio ed ebbe l’impressione di sentirlo irrigidirsi e trattenere il fiato. “Oggi la tua famiglia ti aspettava. E tu non ti sei fatto vivo”.

Il gesto inaspettato di Megan aveva messo Julian in difficoltà. Il suo tocco era bastato a confonderlo, ma quando aveva avvertito sul braccio anche il peso delicato della sua testa bionda, non aveva capito più niente. Aveva sentito la mano della giovane scivolare verso il suo polso, distendere il suo pugno contratto e farsi strada fra le sue dita per intrecciarle alle proprie. Chiuse gli occhi, concentrandosi per imprimere nella memoria quel momento meraviglioso.

“Hai perfettamente ragione. Mi dispiace ”, si scusò a bassa voce quando, finalmente, riuscì a riaversi dalla sorpresa, ritrovando l’uso della parola.

La dottoressa sollevò uno sguardo confuso verso di lui e fece un cenno d’assenso. Adesso sembrava tornato quello di sempre, ragionevole, solido, premuroso.

Si sorprese a pensare che, se si fosse alzata in punta di piedi, sarebbe riuscita a raggiungere le sue labbra con un bacio. Si domandò se le avrebbe trovate calde come il suo sguardo o fredde, come la notte che sembrava aver portato con sé. E quale sarebbe stato il sapore di quel bacio? Forse quello del liquore che aveva bevuto prima che lei si svegliasse, o quello delle gocce di pioggia che gli scivolavano ancora fra i capelli?
Anche Julian si era chinato verso di lei. I pensieri annullati, la mente annebbiata da quella vicinanza, da quella inattesa intimità: voleva baciarla, lo voleva da così tanto tempo che non riusciva più a pensare ad altro.   

Un rumore nel corridoio lo distrasse, fermandolo prima di raggiungere le labbra di Megan protese verso di lui.

Anche le giovane sembrò riscuotersi, scioccata dal suo stesso comportamento.

“Forse sarebbe meglio se…”, cominciò Julian

“Sì. Lo so. Non voglio rischiare inutilmente l’espulsione a pochi mesi dalla laurea”

Doveva aver bevuto decisamente troppo, prima di andare da Lord, e aveva rischiato di fare una sciocchezza. Per fortuna non era successo niente di irreparabile. Ripensò inorridita a quello che era quasi accaduto e si sentì sollevata per non aver dato seguito al proprio impulso.
Nel frattempo, Julian si era avvicinato alla porta e l’aveva socchiusa.

“Maledizione! Il Vice Tribuno sta facendo la sua solita ronda notturna. Siamo nei guai”

Si voltò preoccupato verso Megan, ma quando si rese conto di quello che la ragazza aveva portato con sé, non poté nascondere un sorriso sollevato.

***

Simon Van Allen prendeva molto sul serio il proprio ruolo di Vice Tribuno. Si era imposto di portare ordine tra gli ospiti più indisciplinati del Collegio di Aldenor, quindi quasi ogni notte faceva un giro per i corridoi in cui sperava di trovare qualche studente da mandare in punizione perché fosse di esempio agli altri. Sapeva che prima o poi anche Lord sarebbe caduto nella sua rete e quella notte si sentì particolarmente fortunato quando vide aprirsi la porta della camera del giovane Cavaliere e una figura, indubbiamente femminile, uscire alla chetichella.

“Tu! Fermati subito!”, la richiamò, ma la giovane non sembrava intenzionata a dargli retta. Il ragazzo si lanciò al suo inseguimento.

“Fossi in te, lascerei perdere”, lo apostrofò Julian, tranquillamente appoggiato allo stipite della sua porta.

“Fossi in te comincerei a fare i bagagli”, gli rispose malignamente l’altro, poi con uno scatto riuscì ad afferrare la ragazza per la spalla.

“Onorabile scholara, dovresti conoscere le regole”, esordì severo facendo voltare la sua vittima in modo rude. Il cappuccio le scivolò, rivelando una capigliatura bionda con un’acconciatura leggermente disordinata. Riconoscendo la persona che gli stava davanti, Simon boccheggiò esterrefatto.

“Voi!”

Si voltò confuso verso Julian, che non si era mosso e gli stava rivolgendo un sorriso apparentemente innocente. Con suo grande disappunto, l’Onorabile Simon dovette riconoscere che il Cavaliere non sembrava affatto reduce da un incontro galante.

“Ti spiace lasciarmi il braccio, Van Allen, o vuoi che provveda da sola?”

Il tono sferzante di Megan raggelò il ragazzo che si affrettò saggiamente a fare quello che gli era appena stato chiesto: non si poteva contrariare Lady Linnett e lui stesso lo aveva imparato a proprie spese alcuni anni prima.

“Mi spiace, milady, ma le regole parlano chiaro e io devo riferire al Tribuno della vostra presenza qui”, la avvertì ostentando più sicurezza di quanta ne
provasse.

Nel corridoio era calato un silenzio di tomba, ma la sensazione era che tante paia di orecchie fossero in vigile ascolto, impazienti di scoprire come si sarebbe sviluppata quell’incredibile situazione.

“E cosa pensi di dover riferire?”, domandò la dottoressa sempre più seccata.

“Se sono qui è solo perché qualcuno si è preoccupato per questo idiota”, proseguì concitata indicando Julian, “che ha avuto la brillante idea di starsene fuori sotto la pioggia. Ho dovuto rinunciare a una festa per venire a visitarlo. Sono già abbastanza irritata, quindi ti consiglio di smetterla di farmi perdere tempo”

Il vice tribuno lanciò un’altra occhiata a Julian, valutandolo con attenzione.

“Non mi sembra malato”, azzardò dubbioso.

“Non è niente di grave. Solo un poco di febbre”, lo informò l’interessato senza scomporsi.

L’altro ragazzo gli si avvicinò sospettoso, notando, nonostante la scarsa luce, che il Cavaliere appariva effettivamente piuttosto pallido.  

“Vattene a letto, Lord: se domani ti presenti alla Misericordia per non aver seguito le mie indicazioni, ti assicuro che te ne farò pentire per il resto dei tuoi giorni”, minacciò Megan. “In quanto a te, Onorabile Simon, vista l’ora tarda e la mia notevole stanchezza, ti chiederei di trovarmi una carrozza più presto possibile. Ho bisogno di riposare”.

Simon la guardò frastornato, domandandosi come avesse fatto a finire col prendere ordini dalla dottoressa. Saggiamente decise che la cosa migliore da fare  fosse accontentarla rapidamente.

“Subito, Milady”, acconsentì inchinandosi per poi indicarle di cominciare ad avviarsi lungo il corridoio. Si fermò solo un momento, per rivolgere un ultimo avvertimento a Julian.

“Spero che tu sia veramente malato; ad ogni modo non credere di potertela cavare così facilmente”, disse puntandogli il dito contro il petto.

“Come vuoi, Van Allen”, lo assecondò il Cavaliere senza mostrarsi minimamente intimidito. “Ora, se permetti, vado ad eseguire gli ordini della dottoressa, prima che decida di incenerire entrambi con lo sguardo”.

L’altro si voltò allarmato verso la donna che stava tamburellando spazientita un piede a terra. Quando la raggiunse, lei gli passò in malo modo la pesante borsa da medico per poi seguirlo senza più voltarsi.

Per la seconda volta, quella sera, Julian si richiuse la porta alle spalle e vi si appoggiò chiudendo gli occhi. Si strinse il braccio a cui Megan si era appoggiata.

“Non toglierò mai più questa camicia”, mormorò trasognato. Sorrise, felice per la prima volta dopo tanti giorni, poi la sua espressione si contorse in una smorfia di dolore e gli sfuggì un lamento.
Si trascinò fino al letto e riuscì in qualche modo a sfilare gli stivali; quindi si raggomitolò sotto le coperte, nonostante avesse i capelli e i vestiti ancora leggermente bagnati. Megan si era dimostrata davvero astuta, riconobbe con orgoglio: aveva portato con sé la sua borsa da medico, per far credere che fosse lì per motivi di lavoro, in più l’aveva costretto a bere una disgustosa fialetta per dare credibilità allo stratagemma, gli aveva detto con un lampo negli occhi. Mentre lui beveva fino all’ultima goccia di quel preparato dal sapore immondo, gli aveva spiegato che aveva sequestrato un po’ di quella roba ad alcuni studenti del primo anno. Pare che servisse a provocare i sintomi di una brutta intossicazione alimentare, con tanto di forti dolori allo stomaco e sudori freddi. Lei non aveva ancora avuto modo di indagare a fondo ( e non le interessava scoprire per quale motivo qualcuno volesse fingersi così malridotto), ma era abbastanza sicura che quella roba fosse il risultato di qualche esperimento di Eldridge. Al solo pensiero, Julian aveva cominciato a sentirsi male: sarebbe stato benissimo in grado di fingere di stare male, anche senza dover ingurgitare quello schifo. Forse, però, Megan aveva voluto concedersi anche una piccola vendetta per aver dovuto partecipare ad una festa senza il festeggiato. I crampi allo stomaco erano davvero insopportabili, tuttavia il ragazzo non poteva fare a meno di esultare per quanto era successo quella sera: le dita di Megan intrecciate alle sue erano sicuramente il più bel regalo di compleanno che potesse desiderare.

“Tanti auguri a me”, sospirò, rassegnandosi a sopportare il mal di pancia fino al mattino successivo, quando Megan aveva promesso di mandargli un rimedio che l’avrebbe fatto stare meglio.

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Capitolo 3
*** Solo per Chiedere Scusa ***


3. Solo per Chiedere Scusa


Il lieve scatto prodotto dall’orologio quando venne richiuso, riportò Megan alla realtà. Ripose l’oggetto nel suo nascondiglio e si alzò per andare a recuperare la borsa con i suoi strumenti. Aveva l’impressione di aver dimenticato qualcosa ed era sicura che non sarebbe nemmeno riuscita a tentare di riposare se prima non avesse scoperto la natura di quella sensazione. Frugò per un po’ nella borsa, controllando il contenuto: le sembrava che ci fosse tutto l’essenziale. Sempre più infastidita verificò che la matricola che aveva incaricato di portarle i libri in Collegio avesse portato a termine il proprio compito senza creare problemi. Anche su quel fronte, però, sembrava tutto in ordine.
Un bussare discreto distrasse Megan che andò a spalancare la porta con decisione, desiderosa di levarsi rapidamente di torno l’intruso e tornare alla sua beata solitudine. Si trovò davanti un ragazzino del primo anno che la fissava atterrito.

“Milady, mi è stato chiesto di consegnarvi questo messaggio e attendere una risposta”, balbettò la matricola.

La giovane gli tolse di mano la lettera e l’aprì. Gettò un rapido sguardo alla firma e sbiancò: ecco cosa aveva dimenticato!

“Arrivo subito”, disse al ragazzo mentre rientrava in camera. Pochi istanti dopo ne uscì con in mano un paio di fialette.

“Una immediatamente, una fra tre ore. Sbrigati a consegnarle, poi torna qui immediatamente perché devo darti altre indicazioni”.

Le istruzioni erano state date con un tono talmente severo e urgente che il giovane studente prese le medicine e si dileguò il più rapidamente possibile senza fiatare. Megan rimase a guardarlo mentre scendeva le scale a rotta di collo, poi si affrettò ad andare a leggere il messaggio, di cui poteva facilmente indovinare il contenuto, e a scrivere una risposta.
 
Milady,
Forse ieri sera avrei dovuto rendere più evidente il mio sincero dispiacere per aver deluso voi e gli altri miei amici con la mia assenza ai festeggiamenti che mi avevate preparato; non credevo, però, che la vostra vendetta sarebbe stata tanto atroce: pensavo che stare male tutta la notte sarebbe stato sufficiente. Ho atteso la cura per tutta la mattina e vi posso assicurare che il Vice Tribuno sia ormai più che persuaso che ieri avessi effettivamente bisogno di un medico.
Quindi, vi prego, ho imparato la lezione: ora potrei avere l’antidoto per quell’intruglio che mi avete rifilato la scorsa notte?
Con gratitudine
 
Julian Lord
 
Pensandoci bene, Lord non doveva stare poi così male se era riuscito a mandarle una missiva del genere. Con un sospiro esasperato Megan prese l’occorrente per scrivere, si sedette e rifletté per qualche minuto sulla risposta.
 
Lord,
non era mia intenzione farti stare così male. Purtroppo ho avuto difficoltà a convincere Eldridge a darmi la cura.

In effetti Stephen aveva negato più volte di poterla aiutare, ma, messo alle strette, alla fine le aveva dato quanto richiesto. Meglio evitare di aggiungere cosa lei stessa avesse combinato dopo: non l’aveva fatta consegnare subito per non rischiare domande scomode; inoltre aveva accumulato talmente tanto nervoso che, ad un certo punto, se ne era semplicemente dimenticata. Un errore imperdonabile, per cui sarebbe stata costretta a chiedere scusa. Rilesse il messaggio di Lord, indecisa su come continuare. Si era rivolto a lei in modo molto formale. L’aveva fatto per abitudine? O forse voleva mettere una certa distanza tra loro? E perché lei  si stava dando tanto tormento? Decise di limitarsi a dargli le ultime istruzioni sulla cura.

Spero che la matricola che mi hai mandato fosse abbastanza sveglia da riferirti le istruzioni in modo corretto. Se dopo la seconda dose i sintomi non spariscono, presentati in ospedale. Ti mando anche un tonico, ti aiuterà a riprenderti.

Megan posò la penna, fece scrocchiare le mani e tamburellò nervosamente le dita sullo scrittoio. Scusarsi con Julian le sembrava dannatamente difficile. Davvero lui aveva creduto che l’avesse fatto di proposito? Ma che razza di mostro pensava che fosse?

Dal momento che questa storia sembra averti persuaso che ti serbo rancore, vorrei dimostrarti che ti stai ingannando. Per questo, quando starai meglio, pensavo di invitarti a cena, in modo che possa scusarmi come si conviene per il ritardo con cui ti è arrivata la cura.
Attendo tue notizie.
M.L.
 
Megan estrasse il tonico dalla borsa. Le istruzioni sull’etichetta erano vergate con la stessa calligrafia precisa e ordinata della missiva che avrebbe accompagnato la medicina. Sigillò il messaggio, assalita da un vago senso di nausea: forse aveva sbagliato a scrivergli quelle cose, forse avrebbe fatto meglio a scrivere un’altra lettera limitandosi a delle brevi scuse e alle istruzioni mediche. Si era già avvicinata al caminetto, fermamente decisa a far sparire le prove di quel suo momento di confusione e debolezza, quando tre colpi leggeri alla porta la avvertirono che il tempo per i ripensamenti era esaurito.    

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