Sulle rotte dei pirati di Federico (/viewuser.php?uid=34127)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Donquijote Doflamingo- Oro e piacere ***
Capitolo 2: *** Orso Bartholomew- Il tiranno delle acque ***
Capitolo 3: *** Gekko Moria- Fine del mondo, fine dei sogni ***
Capitolo 4: *** Crocodile- Un comandante di ghiaccio ***
Capitolo 5: *** Occhi di falco- Cercando la solitudine ***
Capitolo 6: *** Boa Hancock- Per il bene di un popolo ***
Capitolo 7: *** Jinbei- Il giorno che sei partito ***
Capitolo 8: *** Barbanera- Fame di potere ***
Capitolo 1 *** Donquijote Doflamingo- Oro e piacere ***
Sulle
rotte dei pirati
Donquijote
Doflamingo- Oro e piacere
Rotta Maggiore
Alle
prime luci dell’alba il
vascello pirata “Royal Flamingo”, le vele e la
bandiera decorate con uno strano
teschio sorridente con sovrapposta una sbarra nera, era ancora
all’ancora,
silenzioso.
Nelle
grande e lussuosa cabina di
poppa, intanto, qualcuno si destò e scese dal letto
sbadigliando.
Donquijote
Doflamingo, capo
dell’omonima ciurma, su cui pendeva una tagli di 340 milioni
di berry, si trovò
davanti due dei suoi tanti schiavi, deferenti e vestiti umilmente,
rapiti in
chissà quale razzia, che gli porsero gli occhiali da sole e
lo aiutarono a
indossare un grosso cappotto rosa e una pesante catena d’oro
al collo.
Il
pirata si sedette affamato al tavolo
della colazione e gli furono serviti in brocche e piatti di porcellana
cioccolata
calda, pane, prosciutto e frutta tropicale.
Pochi
minuti dopo che ebbe finito
il pasto la porta della cabina si aprì cigolando e
all’entrata si affacciò un
ragazzo biondo, avvolto in una pesante giacca blu sotto di cui
indossava una
canottiera rosa, le braccia tatuate, il viso solcato da una cicatrice e
solitamente beffardo e maligno, ma ora stranamente rispettoso.
“Oh,
signor Bellamy ( lo so che
non era nella sua ciurma, ma era comunque un suo subordinato e lo
vedevo bene
in questo ruolo nda)” disse pulendosi la bocca con un
fazzoletto di lino.
“Signor
comandante, ci preparavamo
a salpare e ho pensato di avvertirvi”.
I
due uscirono dalla cabina e si
incamminarono per il ponte, fra gli sbuffi degli uomini che lavoravano
all’argano e si arrampicavano sui pennoni imprecando.
In
poco tempo il veliero acquistò
velocità e si diresse in mare aperto; lo scafo pitturato di
rosso- rosastro e
la polena a forma di fenicottero potevano trarre in inganno chi non
conoscesse
la nave possentemente armata e il suo equipaggio assetato di sangue.
Doflamingo
avrebbe voluto
rivolgersi al suo primo ufficiale, così leale e ardimentoso
in battaglia, in
termini meno formali, ma preferiva non usargli trattamenti di favore
perché la
sua popolarità fra i marinai sarebbe decaduta parecchio se
avesse concesso
troppo a quell’attaccabrighe di Bellamy.
“A
proposito signor Bellamy,
andreste in cabina a prendere la mia spada?” gli chiese.
Il
biondo fece appena in tempo a
tornare e il capitano ad infilarsi l’arma nella cintura che
l’uomo di vedetta
urlò sporgendosi dalla coffa: “Nave in vista! Nave
a tribordo!”.
Gran
parte della ciurma si accalcò
alla fiancata per vedere meglio, e l’ufficiale di guardia
ringhiò abbassando il
cannocchiale e agitando i pugni: “E’ la Marina!
Riconoscerei quel fottuto simbolo da
cento miglia con gli occhi bendati! Che siano maledetti”.
“Gente,
ai posti di combattimento,
subito!” ordinò perentorio il comandante mentre i
centoventi uomini
d’equipaggio correvano su e giù e scendevano dagli
alberi e Bellamy rideva
satanico portando la mano all’impugnatura del coltello che
nascondeva nella
tasca dei pantaloni.
“Ma
sì, venite pure. Vi aspettiamo
calorosamente” pensò ironico Doflamingo sorridendo
e appoggiandosi al
parapetto, mentre le palle di cannone sparate dal vascello nemico
affondavano
in acqua vicino al battello pirata sollevando fragorosi spruzzi.
***
Neanche
dieci minuti dopo era
tutto finito.
Era
bastato che il capitano con un
pugno di uomini abbordasse la nave per provocare una strage.
Doflamingo,
seduto sulla fiancata,
aveva usato i propri poteri per manovrare gli avversari e costringerli
a
uccidersi a vicenda, con suo grande spasso.
Bellamy,
grazie al frutto del
diavolo che aveva mangiato, si era messo a rimbalzare fra il ponte e
gli alberi
sparando con la pistola e prendendo a pugni o a coltellate chiunque gli
capitasse a tiro.
Anche
gli altri avevano fatto la
loro parte, menando colpi furiosi a destra e manca.
Il
capitano prese a calci un
marine sanguinante, e, accorgendosi che era ancora vivo, lo
infilzò nella gola
con la spada, quindi passò le mani sulla ricca elsa dorata e
pulì con un
fazzoletto la lunga lama, fino a poco prima custodita al sicuro nel
fodero e
ora lorda di sangue scarlatto.
Un
altro tentò di parlare,
probabilmente per chiedere pietà, ma le parole gli morirono
in gola perché
Cirkeys, secondo ufficiale e grande amico di Bellamy, gli
staccò la testa con
il suo grosso pugnale.
“Questi
bastardi non si meritano
nient’altro” sentenziò acido facendo
scorrere il dito lungo la lama per
controllare che fosse ancora affilata a dovere.
Stavano
per andarsene quando
sentirono un fruscio e si accorsero di un marinaio che, appostato su un
pennone, prendeva di mira il comandante pirata con un moschetto.
Con
un tranquillo gesto della
mano, Doflamingo lo costrinse a gettare l’arma, quindi egli
stesso salì in
piedi sulla fiancata e saltò giù.
La
differenza fu che lui atterrò
sulla “Royal Flamingo”, mentre l’altro
precipitò nel vuoto gridando.
“Che
ne facciamo capo della nave?
Volete che la prendiamo a rimorchio?” chiese Bellamy.
“No,
un veliero mi basta e avanza.
Bruciatela o lasciatela andare alla deriva”
replicò lui senza nemmeno voltarsi.
“A proposito: Bellamy, Cirkeys, avete combattuto bene, quindi
aspettatevi una
quota extra di bottino. In più stasera siete tutti invitati
a cena nella mia
cabina”.
***
La
sera trascorse veloce, e i
convitati tracannarono fiumi di rum e vini fra i più
pregiati del mondo, certo
frutto di mille abbordaggi.
Per
Bellamy, Cirkeys, il nostromo,
il navigatore e il capo cannoniere erano rare le occasioni in cui
cenavano
nella grande e lussuosa cabina di poppa e non nel piccolo e puzzolente
quadrato
ufficiali, e ciò significava che il capitano era ben
disposto nei loro
confronti.
La
stanza, interamente in legno
pregiato, era tappezzata da tende e tappeti di seta intrecciati con oro
e
diamanti, predati da ricchissime navi, e da manifesti da ricercato di
Doflamingo, in segno di narcisismo e vanteria.
Dopo
il pasto, il comandante
estrasse da una scatoletta argentata una coppia di dadi
d’avorio e invitò gli
altri a una partita.
“Come
ben sapete signori” disse
lui gettando i dadi e ottenendo dieci “la mia filosofia di
vita è: goditi tutto
finché puoi, e non avere rimpianti”.
“Ce
ne eravamo accorti già da
quando ci siamo imbarcati la prima volta signore”
replicò Cirkeys fra il serio
e il sarcastico. “Oh! Sembra che io abbia ottenuto due
sei!”.
Doflamingo
gli consegnò con
assoluta noncuranza e una grossa risata una borsa piena di monete
d’oro
zecchino, quindi continuò: “Il mio stile di vita
vi sembrerà esagerato e
tendente al lusso e alla strafottenza, ma solo così
l’uomo può vivere felice e
senza preoccupazioni”.
“Senza
dubbio capitano” annuì
Bellamy mezzo ubriaco e probabilmente non molto cosciente.
“Che
senso ha fare la vita del
pirata, breve, pericolosa e faticosa, vagando per anni fra mari
insidiosi e
isole deserte, schiacciando chiunque incontri sul tuo cammino, se poi
devi
morire affogato, di febbre, avvolto nel tuo sudore, con una spada in
corpo,
tagliato in due da una cannonata o appeso a una forca fra lo scherno di
quelli
che fino al giorno prima ti idolatravano?”.
Tutti
tacquero, in attesa della
risposta a quella domanda retorica.
“Il
senso lo ottieni se puoi
vivere al calduccio o al fresco, con una bottiglia di rum in mano, una
bella
ragazza al tuo fianco, una montagna d’oro e gemme ai tuoi
piedi e il tuo nome
sulla bocca di tutti! Così deve ragionare un pirata, non
come quegli stupidi
che vivono inseguendo chimere e
ideali…Citrulli…Non hanno ancora capito che con
i sogni non ci si riempie la pancia e che uno come Gold Roger non
nascerà mai
più! Dovremmo spazzare via tutta quella gentaglia, e
costruire una nuova
generazione di bucanieri fedeli a me e a me soltanto. Una nuova
era!”.
Tutti
farfugliarono sottovoce fra
di loro e, dopo aver escluso che il capitano fosse ubriaco, convennero
che
aveva ragione e decisero di suggellare le sue parole con un brindisi.
“Alla
nuova era della pirateria! E
alla salute del nostro beneamato condottiero, Donquijote
Doflamingo!” gridarono
sbattendo i boccali e ingoiando soddisfatti il vino dolce e nerastro.
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Capitolo 2 *** Orso Bartholomew- Il tiranno delle acque ***
Spazio
autore
Schwarzweis:
Non hai nulla di cui
scusarti: anzi, io apprezzo chi fa recensioni lunghe e complesse e
spero che
continuerai a fare così.
Doflamingo
non mi sembra poi
troppo Ooc, visto che anche qui è cinico e strafottente e
pensa solo a bere e a
festeggiare con Bellamy e Co.
Riguardo
al prossimo capitolo,
parlerà del “caro” Orso Bartholomew, di
cui tutti sappiamo la poco piacevole
fama quando era un pirata…aspettati un capitolo piuttosto
cruento.
E
poi, chi lo dice che Mihawk è
sempre stato solo e annoiato?
Orso
Bartholomew- Il tiranno delle acque
Mare Settentrionale
Sarebbe
anche potuta essere una
bella, fresca e tranquilla mattina di primavera, se non fosse stato che
Orso
Bartholomew “il Tiranno” era a caccia.
Il
suo vascello, l’ “Orsa
maggiore”, fendeva fulmineo le onde, spinto da una grande
massa di bianche
vele, spaventando persino i delfini che saltavano davanti alla prua con
il
proprio scafo completamente dipinto di nero e ornato da grossi portelli
per i
cannoni.
Il
comandante, enorme e vestito in
modo singolare, si aggirava per il ponte come una furia sbraitando
gelido:
“Muovetevi bastardi! Dobbiamo prendere quel galeone prima di
notte, o non mi
chiamo più Orso Bartholomew”, indicando la scia
della nave che inseguivano
ormai da varie ore.
La
ciurma era euforica per il
ricco bottino di cui si sarebbe impossessata a breve, e si era
sparpagliata per
il veliero preparandolo allo scontro in ogni dettaglio: alcuni
portavano in
coperta palle di cannone e botti di polvere nera, altri riempivano
secchi con
acqua per prevenire gli incendi, altri ancora spargevano sabbia sul
ponte per
evitare che il sangue lo rendesse scivoloso.
Buona
parte dell’equipaggio passò
sottocoperta, nella stanza delle armi, dove a ognuno venivano
distribuiti
spade, moschetti e pistole, mentre gli artiglieri, preparati micce e
munizioni,
aprirono i portelli e fecero sporgere i cannoni, lucidati di recente.
Tutti
però pregavano, in quanto
Bartholomew e la sua ciurma erano molto religiosi.
Finalmente
la preda fece la sua
apparizione; era danneggiata e galleggiava incerta fra le onde.
“Sparate
un colpo d’avvertimento”
ordinò, e il comando fu eseguito.
“Signore,
si rifiutano di ammainare
la bandiera e continuano a fuggire” commentò il
primo ufficiale scrutando i
nemici con il cannocchiale, al che Orso rispose: “Al diavolo!
Impareranno a
proprie spese cosa significa mettersi contro di me! Preparatevi a far
fuoco e
issate il mio stendardo”.
Il
Jolly Roger, nero,
rappresentante il muso di un orso con due ossa incrociate, fu
inalberato, e
quando i due velieri si affiancarono fra loro cominciò il
bombardamento.
I
pirati centrarono il nemico a
poppa, provocando varie esplosioni e abbattendo di netto un albero, ma
il fuoco
fu ricambiato e un pennone dell’”Orsa
maggiore” fu tranciato, cadendo sul
ponte.
Bartholomew
tamburellò le dita sul
parapetto, innervosito dal danno, e continuò a godersi
l’andamento della
battaglia, assicurandosi intorno al corpo una fascia di cuoio da cui
pendevano
due gigantesche pistole e un coltellaccio affilato come un rasoio.
La
nave nemica era metodicamente
distrutta dal fuoco dei filibustieri, ma con una serie di fortunate
cannonate li
colpì sotto la linea di galleggiamento costringendo il
carpentiere a
intervenire.
I
vascelli si avvicinarono ancora
di più, avvolti dal denso fumo dei cannoni e dei moschetti,
mentre le granate
volavano devastando i ponti e i pirati agitavano le spade sbattendole
sulle
fiancate per intimorire il nemico con quel suono di morte.
A
un certo punto fu date il
segnale dell’abbordaggio e i filibustieri, assicurando
rampini e scale di corda
alle fiancate e ai pennoni del galeone, lo invasero.
Il
loro comandante li seguì
subito, spiccando un balzo e atterrando sull’altro ponte,
provocando un grave
danno e facendo tremare l’intero veliero sotto la propria
mole.
“Oh
no! E’ Bartholomew il Tiranno!
Ha una taglia di 296 milioni” gridò spaventato un
marinaio.
“Avanti
uomini”ordinò il
comandante, fingendosi ardito ma in realtà altrettanto
terrorizzato, impugnando
la sciabola. “Combattete fino all’ultimo uomo o vi
tortureranno fino alla
morte!”.
Orso
si gettò in mezzo alla
battaglia, incedendo trionfalmente mentre gli uomini intorno a lui
incrociavano
le spade e morivano; nessuno sapeva fermarlo.
Con
i suoi poteri deviava i
proiettili di archibugi e balestre, e intanto spezzava con le possenti
mani
arpioni e alabarde, colpiva con i pugni gli avversari facendoli cadere
defunti
sul ponte o contro gli alberi oppure gli scagliava fuoribordo, molte
miglia più
in là, in mezzo al nulla.
Incalzato
da una massa di marinai
che, resi impavidi dalla forza della disperazione, correvano verso di
lui
agitando sciabole e asce, compresse un piccola quantità
d’aria, quindi sussurrò:
“Ursus shock”
e il vascello fu
squarciato da una devastante esplosione, accompagnata da una luce
accecante.
Dopo
quest’ultimo attacco i morti
erano sparsi ovunque, nei boccaporti, sui cannoni, sul ponte di
comando, gli
alberi erano crollati a terra e si erano aperte falle nel legname.
I
pochissimi sopravvissuti,
confusi e sanguinanti, si inginocchiarono disperati sulle assi di
legno, mentre
tutt’intorno i pirati sciamavano nella stiva e nelle cabine
uscendovi carichi
di botti, forzieri e sacchi pieni di ogni ben di Dio, confidando, anche
se
molto flebilmente, nella pietà o quantomeno nel senso
dell’onore del capitano
dei filibustieri.
Uno
dei marinai fu ben sorpreso
quindi di vedere Bartholomew portarsi una mano al petto, alzare il cane
della
pistola, puntarla e sparare.
IL
malcapitato si accasciò morto
sul colpo, la testa ridotta a pezzi.
“Non
tollero che le prede
oppongano resistenza” disse scuro in volto fissando i
superstiti da dietro gli
occhiali spessi. “Per questo vi ucciderò tutti.
Portateli sottocoperta, e
fateceli rimanere”.
Quanti
si opposero furono
brutalmente assassinati a sangue freddo; gli altri, dopo essere stati
sottoposti a qualsiasi angheria possibile, furono condotti nella stiva,
legati
fra di loro a piccoli gruppi; quindi i boccaporti furono serrati.
Tornato
sull’“Orsa maggiore”
insieme al resto della ciurma, Orso ordinò di far sparare
una cannonata: il
proiettile bucò lo scafo del galeone, che prese ad affondare.
Per
interminabili minuti si
sentirono i prigionieri gridare di terrore, quindi anche la punta
dell’albero
maestro scomparve sotto le onde e lo strazio finì.
***
Felici
per la conquista di una
preda tanto ricca, gli uomini brindavano con tutti gli alcolici
accumulati da
mesi in cambusa, aspettando un’occasione simile.
Alcuni
erano già svenuti, e
dormivano ebbri sul ponte, altri cantavano e ballavano stando a
braccetto, e
certo nessuno avrebbe smesso di tracannare per molto tempo.
Sobrio
in mezzo a un baccanale di
tale proporzioni ( odiava l’alcool), Orso Bartholomew era
seduto sopra i molti
scrigni, pieni d’oro fino all’inverosimile, che
avevano appena sottratto.
Ogni
uomo si presentava da lui a
reclamare la propria parte di bottino, e veniva esaudito.
I
pirati erano molto democratici
riguardo a questo argomento: è vero che al capitano e a
figure importanti quali
il primo ufficiale, il medico, il capo cannoniere e il navigatore,
spettava una
quota maggiore, ma tutti i componenti della ciurma in teoria avevano
diritto a
una fetta, a meno che non si fossero comportati vigliaccamente.
Chi
si era distinto in battaglia,
chi aveva avvistato per primo la preda o chi aveva guidato la prima
squadra
d’abbordaggio riceveva una ricca gratifica o le armi migliori
trovate sulla
nave.
A
un certo punto sotto gli occhi
del capitano si presentò un marinaio con il braccio destro
mutilato e fasciato
malamente in bende insanguinate, sorretto a fatica da un compagno.
“Richard!
Cos’è successo al tuo
braccio?”.
“Una
dannata scheggia signore! Il
nostro chirurgo è abile, ma ha dovuto amputare
comunque…”.
“Mi
dispiace! Ma non preoccuparti,
riceverai un risarcimento in denaro o schiavi”.
Il
capitano si rivolse poi
all’uomo che accompagnava Richard.
“Allora
Jack? Sei felice di
essersi arruolato?”chiese con tono rassicurante.
“Così
e così, signore. Devo ammettere
che…”.
“Che
la prima battagli è sempre
sconvolgente, vero? Non preoccuparti, ti ci abituerai presto,
così come ci
siamo passati tutti. Come vedi, la vita del pirata ti dà
molte soddisfazioni
economiche e morali, ma anche dolori acuti e improvvisi”
disse indicando
Richard che barcollava.
“Dobbiamo
essere pronti a quel che
ci può capitare ogni giorno in questo mondo, e anche ad
affrontare quel che
troveremo nell’altro. Per questo dobbiamo pregare”
continuò.
Contemporaneamente
i corpi dei due
uomini periti nel corso dell’abbordaggio, racchiusi in vele e
appesantiti con
palle di cannone, furono gettati in mare mentre i loro compagni si
scoprivano
il capo e alzavano le sciabole al cielo per commemorarli.
Conclusi
i propri discorsi,
all’antitesi di quelli di Doflamingo, Bartholomew
aprì la Bibbia e si mise a
leggerla
pacificamente, sempre pronto però a trasformarsi di nuovo
nel tiranno delle
acque.
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Capitolo 3 *** Gekko Moria- Fine del mondo, fine dei sogni ***
Gekko
Moria- Fine del mondo, fine dei sogni
Nuovo mondo
Andava
tutto bene.
Andava
tutto bene quel giorno,
finché non successe quel che successe.
Ma
questo ovviamente Gekko Moria
non lo poteva sapere, dato che, pur essendo un potente pirata, non
poteva
prevedere il futuro.
Ecco
come i suoi sogni
naufragarono, letteralmente.
Da
mesi la “Night Bat” (a quei
tempi Moria non comandava ancora Thriller bark così ho
preferito sostituirvi
questa nave inventata nda) solcava i mari della Rotta maggiore,
diretta, come
tutte le altre, alla fine di essa, alla leggendaria isola Raftel.
Il
vascello era semplicemente
perfetto; grandissimo, slanciato, dotato di tre alberi, pesantemente
fornito di
artiglierie, era in grado di tenere testa alla Marina o ai pirati che
infestavano quel tratto di mare, di seminare i nemici a gran
velocità quando
essi fossero stati troppo potenti, di navigare in ogni condizione
meteorologica
e di raggiungere le terre più lontane e selvagge.
In
breve tempo i marinai avevano
imparato a temere ogniqualvolta vedessero avvicinarsi un grande
bastimento
sulle cui vele era riprodotto un teschio dal sorriso diabolico con ali
da pipistrello.
I
cento uomini d’equipaggio
provenivano da ogni angolo del mondo, ed erano tutti professionisti,
gente
sempre vissuta in mare, risoluta e pronta ad ogni evenienza.
Il
loro capo, sulla cui testa
pendeva una taglia di addirittura 320 milioni di berry, poteva a buon
diritto
ritenersi uno dei bucanieri più potenti in circolazione:
oltre alla forza
sovrumana dovuta alla sua corporatura gigantesca, i poteri derivati dal
frutto
che aveva mangiato gli permettevano di manipolare le ombre, attaccando
i nemici
con la propria o sottraendo la loro.
Eppure
non bastò ad evitare la
catastrofe.
Dopo
essere giunta a metà della
Rotta maggiore, la ciurma aveva a disposizione due strade possibili per
cui
passare: una attraversava Marijoa, sede del Governo mondiale, la
seconda
l’isola degli uomini pesce, un pericolosissimo percorso
sottomarino consigliato
solo ai lupi di mare.
Dato
che per ovvi motivi la prima
via era impraticabile, i pirati optarono per la seconda, e, dopo aver
superato
l’isola senza grosse difficoltà, giunsero nel
cosiddetto Nuovo mondo.
Là
l’oceano e il cielo sembravano
aprirsi all’infinito, estendendosi a perdita
d’occhio, il cielo era sgombro da
nuvole, le onde quasi assenti e il sole stesso appariva un presagio di
buona
sorte.
La
navigazione proseguiva
tranquilla e senza ostacoli, in un’atmosfera rilassata, ma la
cosa più
singolare è che non avevano ancora incontrato altre navi.
Moria
non aveva solo pregi ma,
ovviamente, anche difetti.
Il
primo, e certamente più grave,
era la pigrizia, talmente connaturata in lui che la sua frase preferita
era:
“Fallo tu!” e che perfino nei combattimenti
raramente si muoveva di persona, ma
preferiva che se la sbrigasse il suo clone d’ombra.
Inoltre,
anche se questo per i
pirati non è necessariamente un difetto, era spietato con i
nemici, e non
esitava neanche a mettere in gioco le vite dei suoi sottoposti, se gli
tornava
utile.
Ma
fortunatamente sapeva anche
come accattivarseli, mostrandosi come un padre generoso e interessato a
loro o
un severo e inflessibile padrone a seconda della situazione.
Un
giorno, quando si erano ormai
addentrati da tempo nel Nuovo mondo, Gekko radunò la ciurma
sul ponte, dove
avrebbe tenuto un discorso che avrebbe sollevato loro il morale
spingendoli a
impegnarsi ancora di più per il suo scopo.
“Salve
a voi figli miei” disse
allargando le braccia nel tono più solenne che gli riusciva.
“Ormai siamo a più
di metà del nostro viaggio. Sapete cosa ci attende in fondo
a esso?”.
“Il
grande tesoro di Gold Roger”
rispose uno dell’equipaggio sbracciandosi.
“Proprio
così! E ciò mi permetterà
di realizzare il mio sogno, divenendo il prossimo re dei pirati.
Ma
non preoccupatevi, ce ne sarà
in abbondanza anche per voi! Nuove isole ci attendono, nuove avventure,
tesori
sconosciuti, ricche navi da saccheggiare. E’ anche se siamo
nel territorio di
caccia dei pirati più forti del mondo, non preoccupatevi!
Raramente ho avuto ai
miei ordini uomini arditi e esperti come voi, quindi non temete! La
gloria e le
ricchezze vi aspettano dietro l’angolo, ma ne sarete voi
degni? Siete con me in
questo viaggio?”sbraitò sempre più
infervorato.
“Sì!!!!Fino
alla morte!”gridarono
tutti gli uomini alzando in aria i pugni.
Reso
gioioso da una tale
dimostrazione di fedeltà, il capitano rimase sul ponte
attorniato dai propri
fedelissimi, godendosi la brezza marina.
Vedendo
uno scoglio sorrise perché
in base ai suoi calcoli da quel punto in poi avrebbero imboccato una
corrente
favorevole che gli avrebbe fatti procedere ancora più
velocemente verso il
tesoro.
E
invece, ironia della sorte,
propria da dietro quella roccia sbucò un grosso e minaccioso
vascello.
Prima
che qualcuno potesse aprire
bocca i cannoni tuonarono e investirono la “Night
Bat” da prua a poppa,
straziando gli uomini e aprendo ampi squarci nelle vele.
“Maledizione!
E’ Kaido! Merda,
siamo fritti!”urlò un uomo riconoscendo
l’emblema dipinto sulle vele e sulle
bandiere del veliero nemico che si avvicinava sempre più
velocemente.
Moria,
rimasto come intontito
dalle cannonate, si rese conto che uno dei quattro pirati
più forti del mondo
stava piombando su di lui, ma si scoprì impotente.
Non
riuscì a reagire o a
pronunciare anche solo una parola neanche quando il vascello avversario
li
speronò con un urto terrificante, e i pirati di Kaido
cominciarono a sciamare
sulla “Night Bat” in mezzo al fumo, massacrando i
suoi.
***
Dopo
un tempo che gli parve lungo
secoli Gekko riaprì gli occhi.
Giaceva
supino sul ponte e un
rivolo di sangue, proveniente dalla bocca e da una grande ferita allo
stomaco,
scorreva sul legno vicino al suo corpo.
Ma
lo spettacolo più desolante era
quello che gli si parava ai lati.
La
sua nave, la sua possente
ammiraglia tanto temuta che gli altri vascelli preferivano fuggire che
affrontarla, era ridotta a poco meno di un relitto pieno di falle e con
le vele
strappate.
I
suoi uomini, compagni fidati di
una vita, impeccabili esecutori di ogni suo comando, quasi dei figli
per lui,
giacevano massacrati, sanguinanti e putrescenti.
Le
spade con cui era stata operata
la carneficina erano ancora conficcate nel ponte.
Alcuni
uomini erano morti
affondando l’arma nelle carni di un nemico o strangolandolo,
e così erano
trapassati insieme, odiandosi.
“Chi
è stato, chi ha osato…”
sibilava Moria cercando di comprendere la verità, purtroppo
molto evidente, e
sentendosi nel contempo come in un incubo.
Alzò
gli occhi e davanti a sé, in
piedi sul bordo della fiancata, vide un’alta e tenebrosa
sagoma.
Indossava
una lunga giubba
svolazzante e un grosso cappello da comandante in testa, e anche se era
voltato
di spalle capì subito di chi si trattava.
“Kaido!
Bastardo! Cos’hai fatto ai
miei uomini?”.
“Non
incolparmi. Piuttosto, tu sei
stato stupido a portarli con te in questo tuo folle viaggio! La tua
smania di
gloria li ha condotti qua! Cosa credeva di fare un pivello come te nel
Nuovo mondo?
Non sai che solo i più forti possono sopravvivere? E,
comunque, ho fatto loro
un favore. Non credo che Shanks o Barbabianca avrebbero avuto tanti
riguardi
nei loro confronti. Addio”.
“FERMATI!!!!!”strillò
Gekko
alzandosi e gettandosi all’assalto sollevando un pugno.
L’imperatore
spiccò un balzo
appena prima che il colpo dell’altro sbriciolasse la fiancata
e atterrò sul
proprio vascello, quindi si allontanò a vele spiegate.
Per
la prima volta in vita sua,
Moria pianse calde, sincere lacrime.
Gettate
fuoribordo le salme dei
compagni e apprestate sommarie riparazioni al veliero, si mise al
timone e
puntò la prua verso sud.
In
circostanze normali non si
sarebbe mai abbassato a tanto, ma adesso era da solo e aveva fretta di
lasciare
per sempre quell’orrido luogo, prima così benigno
e ospitale.
“Mi
vendicherò, Kaido, ti giurò
che ti ammazzerò!” pensava irato.
“Ho
solo bisogno di una nuova
ciurma…possibilmente che non possa morire così
facilmente”.
L’esperienza
con la morte lo
spinse a ricercare la morte stessa per farsela alleata.
|
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Capitolo 4 *** Crocodile- Un comandante di ghiaccio ***
Spazio
autore
ShessomaruJunior:
Grazie tante,
evidentemente ti è piaciuto vedere come Moria sia diventato
il mostro che
conosciamo, o come Orso abbia visto prevalere il alto
“religioso”. In quanto a
Occhi di falco ti avverto che il capitolo ribalterà
completamente la concezione
che hai di lui…Il suo passato è assai differente
dal suo presente.
A
proposito, avverto i lettori che
quasi di sicuro domani sera non potrò aggiornare la fic,
quindi il capitolo su
Mihawk slitta a domenica. Stasera invece tocca al grande Crocodile.
Crocodile-
Un comandante di ghiaccio
Rotta
maggiore
La
ciurma si annoiava.
In
effetti, non c’era molto a disposizione per ingannare il
tempo mentre il loro
vascello, la “Golden Alligator”, procedeva
lentamente con poche vele issate a
causa della mancanza di vento.
La
polena, una grossa testa di coccodrillo completamente d’oro,
orgoglio del
comandante, sembrava fiutare attentamente l’aria alla ricerca
di nuove prede,
mentre sulla bandiera si discerneva un Jolly roger, riprodotto anche
sulle
molte vele, composto da un teschio alato che sormontava due spade.
Un
giorno sarebbe diventato l’emblema della celebre
organizzazione criminale
Baroque Works (anche
se non ne ho prove
credo che prima fosse lo stendardo personale di Crocodile nda) ma per
adesso
indicava soltanto una delle ciurme più temute dal Governo
mondiale.
Da
giorni ormai i filibustieri non davano l’arrembaggio a un bel
bastimento carico
di tesori; la paga tardava da arrivare e, quel che è peggio,
il capitano non
permetteva loro di allentare la rigidissima disciplina neanche per un
attimo.
Gli
uomini non potevano trascorrere il tempo in altro modo che bevendo,
anche se in
realtà usavano fare ciò di continuo, giocando a
carte o a dadi, ma sempre
attenti a non frasi scoprire dagli ufficiali, o eseguendo piccoli
lavori quali
curare i delicati meccanismi di accensione di pistole e moschetti,
affilare
sciabole e coltelli, sistemare le artiglierie, pulire palle di cannone
o
controllare lo stato di assi, vele e cime.
Qualcuno,
più coraggioso o forse più incosciente degli
altri, si aggirava fra i
capannelli di sfaccendati ed esponeva enigmaticamente sordi progetti di
rivolta, non ricevendo però molti consensi e sapendo del
resto che essi erano
destinati a rimanere mere fantasie, o forse no .
“Ehi,
secondo te dov’è il comandante in questo
momento?” chiese un mozzo intento a
pulire il ponte a un collega.
“Non lo
so, ma è meglio non impicciarsi! Lo sai come si infuria se
viene disturbato”.
Contemporaneamente,al
sicuro nella sua grande e confortevole cabina, Crocodile, del tutto
indifferente a noia, miseria, fatica e problemi dei suoi uomini, sedeva
su una
lussuosa poltrona posta dietro alla scrivania coperta di scartoffie.
Abbandonate
momentaneamente letture, mappe e diari di brodo si stava provando su
ogni dito
dell’unica mano che gli rimaneva dei bellissimi anelli
contenuti in una
scatoletta decorata con rubini e smeraldi, sottratta
sull’ultima nave da lui
catturata.
Se ne
stava infilando alcuni anche sull’uncino quando qualcuno
bussò alla porta e il
comandante preferì nascondere quel bottino di cui,
contrariamente al codice
piratesco, non aveva fatto parola con nessuno, poiché lo
riteneva degno
soltanto di sé stesso.
L’
“intruso”
si rivelò essere un uomo di una certa età, alto e
scarno, i capelli e i baffi
brizzolati,
che
indossava una giacca blu e un paio di occhiali, con un Log Pose fissato
al
polso.
“Accomodatevi
signor Morgan” disse Crocodile riconoscendo il proprio
navigatore. “Gradite un
sigaro? Quale buone nuove ci portate?”.
Dopo
aver sommariamente esposto le presenti coordinate e la
velocità attuale,
sorprendentemente elevate per un veliero di quella stazza e con
così poco
vento, il visitatore disse: “Signore, fino ad oggi abbiamo
seguito questa
rotta, ma da adesso in avanti dobbiamo imboccarne una fra tante. Quale
sceglieremo? Ce ne sono circa sette o otto!”.
“Prendete
un sedia e mettetevi accanto a me” replicò
Crocodile alzandosi e tirando fuori
da un cassetto una vecchia carta nautica ormai ingiallita.
“Questo
è il percorso che intendo seguire”
spiegò indicando con l’uncino una linea
rossa da lui stesso tracciata.
“Attraverso
le Isole degli squali? Signore, so che è un tratto di mare
poco tempestoso, ma,
con tutto il rispetto, non sapete che è pieno di covi di
pirati? Rischiamo di
trovarci da soli contro forze soverchianti!”.
“Ma è
proprio per questo che ci sarà da divertirci”
ribatté il comandante uscendo sul
ponte, dove la sua attenzione fu attratta dagli schiamazzi di due
uomini che si
prendevano a pugni.
“Cosa
diavolo combinate? Lo sapete che le risse sono proibite a bordo! Ai
ferri,
tutti e due!”.
***
In
effetti, era stato divertente.
Giunto
alle Isole degli squali,
l’equipaggio di Crocodile aveva messo a ferro e fuoco
l’intero arcipelago,
racimolando un ingente bottino, e affondando dieci navi nemiche, per un
totale
di quattro ciurme eliminate dalla faccia della terra.
Adesso
i pochi superstiti
dell’ultima di esse erano tenuti prigionieri sulla
“Golden Alligator”, in
attesa del loro misero destino: morte o schiavitù,
inequivocabilmente.
Il
comandante, avvinto da pesanti
catene e sorvegliato strettamente da truci guardiani, era custodito
nella
cabina di poppa dove Crocodile stava decidendo della sua sorte.
“Allora
cane rognoso, dammi una
buona ragione per cui dovrei risparmiarti”
sentenziò durò accendendosi un
sigaro e sputandogli nuvole di fumo in faccia.
“Perché
ve lo chiedo per favore,
signor Crocodile!” strillò il prigioniero, un
ragazzone vestito con una lunga
giacca verde e una bandana rosso fuoco stretta intorno alla testa,
pronto a
piangere.
“Vi
scongiuro, lasciateci andare!
Siamo nella Rotta maggiore solo da pochi mesi, e non vi arrecheremo
certo alcun
danno! Vi cedo la mia nave, i miei tesori, anche il mio stesso corpo se
lo
volete, ma per l’amor del cielo, liberate i miei
amici!”.
Crocodile
stava per infuriarsi: era sua abitudine sterminare completamente gli
equipaggi
avversari, per eliminare quanti più pretendenti alla carica
di re dei pirati,
perché avrebbe dovuto risparmiarlo?
Gli
puntò l’uncino alla base della gola e stava per
gridare di ucciderlo seduta
stante quando rifletté.
Quel
giovane non aveva tutti i torti: la sua era una ciurma davvero piccola,
assolutamente incapace di competere con loro, e in più si
dimostrava così
nobile da sacrificarsi per i suoi uomini.
“E sia!
Rilasciate tutti i prigionieri. Ma ti avverto: queste acque
d’ora in poi
saranno mio dominio, e se osi farti rivedere in giro ti spareremo a
vista!
Capito?”.
Sbuffando
per il disappunto, i suoi subordinati eseguirono l’ordine.
“Speriamo
che vada tutto liscio” pensò Morgan con
apprensione. “Su questa nave tira una
brutta aria” seguitò volgendo lo sguardo a un
gruppo di marinai che parlava
sottovoce in un angolo.
***
Crocodile
stava dormendo
profondamente quando fu svegliato dal rumore della porta che sbatteva.
Si
alzò e vide davanti a sé il
signor Morgan, ferito, che impugnava una spada.
“Signore,
presto, venite! Gli
uomini…” bisbigliò, ma fu zittito da
una lama fra le costole.
Intorno
al cadavere sbucarono
alcuni dei più facinorosi dell’equipaggio, armati
di asce e mazze, capeggiati
dal primo ufficiale che brandiva due pistole.
“Cosa
credete di fare? Questo è un
ammutinamento!” gridò il comandante alzandosi e
vestendosi.
L’ufficiale
sparò un colpo in
aria, quindi esclamò: “E’ ora che il tuo
regno del terrore finisca Crocodile!
Fai frustare gli uomini per un nonnulla, tieni tutto il bottino per te
e
fraternizzi con il nemico! Ma ora abbiamo scoperto la tua
debolezza” aggiunse
aprendo un barile d’acqua.
Schivando
il getto di liquido che
lo avrebbe privato dei propri poteri, il capitano spiccò un
balzo, fece cozzare
fra di loro due uomini che lo caricavano, ne stese uno con un calcio e
infilzò
un quarto con l’uncino; quindi fu addosso
all’ufficiale, lo disarmò e lo uccise
con una lama di sabbia.
Uscendo
vide che i marinai, divisi
fra lealisti e ammutinati, lottavano fra di loro: era così
triste vedere quei
fratelli e amici che si trafiggevano e si picchiavano selvaggiamente!
Fortunatamente
per il partito di
Crocodile, alcuni giovani mozzi e ufficiali riuscirono a intrufolarsi
nel
magazzino delle armi e dal ponte di comando bersagliarono i rivoltosi
con
moschetti e granate.
La
ribellione era domata, ma i
sopravvissuti restavano in silenzio, in attesa della reazione del
capitano,
solo sopra una catasta di cadaveri.
“Pulite
il ponte, subito! E non
venite mai più a parlarmi di ammutinamenti” fu la
sua risposta.
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Capitolo 5 *** Occhi di falco- Cercando la solitudine ***
Spazio
autore
ShessomaruJunior:
Eh già, stasera
tocca a Occhi d i falco. A proposito, avviso i lettori che non seguono
le scans
del manga di saltare i prossimi due capitoli perché si parla
di alcuni membri
spoiler.
Occhi di falco- Cercando
la solitudine
Mare occidentale
“Certo
che quel bastardo di Shanks
il rosso te le ha suonate davvero stavolta, eh capo?”
commentò ironico il
medico di bordo prendendosi cura del convalescente Drakul Mihawk.
Lo
spadaccino presentava tagli
superficiali alla gamba e al fianco destro e sulla guancia
e
sul braccio sinistro; inoltre
era stato trafitto nella spalla sinistra e la ferita sanguinava
moltissimo.
Occhi
di falco resistette
stoicamente mentre il chirurgo gli suturava le varie lesioni con ago e
filo e
fasciava strettamente, dopo averla bagnata in abbondanza, la
lacerazione alla
spalla.
“Ah,
non dite così. Lo sapete che
Shanks è mio amico e non mi farebbe mai del male realmente.
E’ solo che
stavolta si è fatto prendere la mano.. è un tipo
un po’irruente. E poi, che
duello sarebbe un duello dove non ci tocchiamo neanche con le
spade?” concluse
fissando enigmatico la ciurma.
“Hai
ragione capo! Tre urrà per il
nostro capitano! Bravo! Ben detto!” strepitarono gli uomini
alzando i boccali
al cielo stellato, vogliosi di festeggiare.
La
ciurma di Occhi di falco,
composta da circa una trentina di membri, tutti piuttosto giovani e
vigorosi,
era una di quelle che più grattacapi davano alla Marina.
La
loro particolarità era che
tutti erano provetti spadaccini e ripudiavano armi da fuoco e cannoni,
anche
perché non ne avevano bisogno: con un fendente il loro
comandante poteva
deviare un proiettile o tagliare in due dalla lunga distanza un
galeone.
La
loro nave era inconfondibile:
grossa e slanciata ma non enorme, ricordava una bara (immaginatevi in
pratica
la barca di Occhi di falco cento volte più grande nda); lo
scafo era
completamente nero, così come le vele appese
all’albero a forma di croce che,
insieme alle candele sparse ovunque, conferiva al vascello un aspetto
pittoresco e spettrale.
Il
Jolly roger rappresentava due sciabole
incrociate fra loro in modo da formare una croce.
Il
comandante, da sempre amico
fidato e rivale nella scherma dell’imperatore Shanks il
rosso, era freddo e
impassibile in ogni circostanze, ma almeno possedeva un
“codice d’onore”
personale: attaccava solo le prede che attiravano la sua attenzione,
mentre
disdegnava città costiere, velieri palesemente troppo
piccoli per opporre
resistenza, navi che issavano bandiera bianca e altri pirati.
Spesso
andava volontariamente
incontro a grosse flotte per il puro piacere di affondarle.
I
suoi uomini, che si fidavano
ciecamente di lui, apprezzavano tali dimostrazioni di
abilità e potenza.
Il
rapporto fra Mihawk e i suoi
era fondato, più che sul sospetto o
sull’imposizione tirannica, sul rispetto di
ciascun membro che lo portava ad essere un fratello, non una guida, per
i suoi
marinai, e a partecipare alle loro feste e bevute.
Ripresosi
un poco dalle ferite e
dalle fasciature, Drakul si alzò dal proprio posto e si
recò all’altro capo
della nave dove, sdraiato su un’amaca, uno dei bucanieri
giaceva febbricitante.
Con
gli occhi chiusi e la fronte
imperlata di sudore, il disgraziato si agitava rigirandosi nel
giaciglio,
gettando via le coperte e bisbigliando alcuni nomi confusi in preda al
delirio.
“Sta’
calmo Jeremy” sussurrò lo
spadaccino sedendosi vicino all’amaca. “Ci sono io
qua”.
Il
malato si risvegliò tutto d’un
tratto, coperto di sudore, e fu ben felice di vedere il comandante.
“Capitano,
io…” disse facendo per
alzarsi.
“No,
non occorre che tu ti sforzi.
Allora, come ti senti?”.
“Meglio
di prima, ma questa febbre
continua ad andare e a venire…”.
“Lo
so, la malaria è una brutta
bestia. Ma fidati del medico e vedrai, fra poco solcherai di nuovo i
mari con
me” concluse Occhi di falco prendendo congedo
dall’infermo.
Gli
uomini nel frattempo bevevano,
giocavano a carte e si raccontavano storie sconce o divertenti, ma al
capitano
non andava di parteciparvi.
In
altre occasioni sarebbe stato
ben felice di farsi vedere fra i marinai affinché questo non
lo vedessero come
un’entità distante e differente, ma stavolta era
differente.
Infatti,
periodicamente si sentiva
divorato dall’inquietudine, da qualcosa di interno e
inspiegabile.
“Perché?
Perché non riesco a stare
bene neanche con loro? Perché la solitudine deve sempre
accompagnarmi? “.
***
Tre
giorni dopo la nave approdò
per rifornirsi di acqua e
cibo in
un’isola apparentemente deserta.
Per
evitare di far correre ai suoi
uomini, forti ma non quanto lui, decise ( facendo bene) di scendere a
terra da
solo in avanscoperta.
Tirata
in secca la scialuppa con
cui era giunto, una vera e propria riproduzione in miniatura della
nave, lo
spadaccino si avviò lungo un sentiero che lo condusse nel
folto di un bosco.
All’improvviso
gli si parò davanti
una figura che lo attaccò sferrandogli un calcio.
Mihawk
si abbassò schivando
agilmente la gamba dell’uomo, quindi entrambi balzarono
all’indietro in
direzione opposte.
Occhi
di falco estrasse la spada e
si preparò a combattere, notando tra l’altro con
stupore che il terreno si era
completamente ghiacciato; quindi fissò il suo avversario, un
individuo alto e
abbronzato, che indossava un giaccone e una bandana blu con
l’emblema della
Marina.
“Viceammiraglio
Kuzan” sibilò
infuriato e allarmato. “A cosa devo la tua presenza
?”.
L’uomo
che un giorno sarebbe
divenuto l’ammiraglio Aokiji si aggiustò gli
occhiali da sole e disse:
“Sei un pericoloso ricercato, e vengo
ad arrestarti. Arrenditi o preparati a morire”.
Drakul
vibrò la sciabola, ma il
marine evitò il colpo abbassandosi e la afferrò
per la lama, cominciando a
ghiacciarla.
Occhi
di falco riuscì a liberare
l’arma da quella presa mortale e la alzò in aria.
Kuzan
creò una sciabola di
ghiaccio e i due incrociarono le lame con uno schianto terrificante;
Mihawk
cedette alla forza dell’avversario e fu graffiato vicino alla
gola.
Lanciandosi
di nuovo all’assalto
mancò di un soffio il busto dell’ufficiale, che lo
afferrò.
Vedendosi
la spalla che cominciava
a ghiacciare, procurandogli un dolore tremendo, il pirata
sollevò lo spadone e,
come una furia, lo calò sulla mano del marine.
Kuzan
si strinse la mano
sanguinante: “Come hai fatto a ferirmi? Io, possessore di un
Rogia!”.
“Ho
un haki potente, sai?
Altrimenti non potrei tenere testa a Shanks il rosso! E ora
combattiamo!”.
Il
viceammiraglio colpì Mihawk con
un pugno e lo trafisse nella stessa spalla ferita da Shanks, ma
ricevette una
coltellata nel petto e una botta con l’elsa della sciabola al
collo.
Credendo
che l’avversario fosse
allo stremo, Occhi di falco si preparò a dargli il colpo di
grazia, ma Kuzan si
rialzò all’improvviso e afferrò la lama
con le mani, sferrando contemporaneamente
un calcio che proiettò il pirata a vari metri di distanza,
mentre la spada si
conficcava vicino a lui.
Drakul
tentò coraggiosamente di
rialzarsi, ma fu colpito da una lancia di ghiaccio e cadde.
Il
marine lo fissò stranito e
annunciò a voce alta: “Ho cambiato idea. Sai, uno
forte come te merita di
sopravvivere. Credimi, non sei tagliato per la pirateria.
Perché non passi al
nostro servizio?” e così parlando sparì
come era venuto.
Occhi
di falco fu raggiunto dai
suoi compagni che, preoccupati, lo avevano seguito con le spade in mano
e lo
aiutarono rialzarsi, ignari che il loro capo non sarebbe mai
più stato lo
stesso.
***
Quella
sera stessa Occhi di falco,
in condizioni critiche dopo lo scontro con Kuzan, venne sottoposto a
cure
d’emergenza e quindi, per ordine del medico, messo a mollo in
una vasca per
dare tempo alle ferite di rimarginarsi in santa pace.
Ma
“pace” era una parola che
Drakul Mihawk non conosceva.
Immerso
nella vasca, poteva udire
i suoi uomini ridere e fare baldoria, sentendo la loro mancanza.
Contemporaneamente
fissava un
proprio manifesto da ricercato, e solo allora si rese conto di essere
considerato un nemico pubblico; gli dispiaceva moltissimo vedere la
propria
faccia proprio sotto la scritta “Wanted”.
D’un
tratto le parole del
viceammiraglio gli riecheggiarono nella mente.
Occhi
di falco si rese conto che
forse non era proprio tagliato per fare il pirata.
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Capitolo 6 *** Boa Hancock- Per il bene di un popolo ***
Spazio
autore
ShessomaruJunior:
In realtà non
c’è nulla di perfetto ( ma grazie lo stesso)
perché questa è solo una supposizione
inventata da me, non dal maestro Oda, anche se comunque
l’idea dello scontro
con Aokiji mi alletta. A proposito, che te ne pare di navi, bandiere e
membri
delle varie ciurme? Ti sembrano plausibili o ho inventato troppo?
JhonSavor:
Sin da quando conosco
Bartholomew, mi sono sempre chiesto cosa avesse fatto di tanto orribile
nel suo
passato…. Spero di averci azzeccato.
Non
capisco, perché paragoni Moria
a Barbabianca? Comunque sai, la sua tipica risata mi sembrava troppo
comica, e
in mezzo a quel massacro non stava affatto bene…
In
quanto a Mihawk anch’io ho
difficoltà a vederlo come capo di una ciurma, ma quel che mi
interessa mostrare
è proprio quanto la sua caratteristica principale sia la
solitudine, anche se è
in mezzo a molti.
Nueblackcrowfriend:
Per cominciare
ti ringrazio della recensione che hai fatto sul quarto capitolo di
“Carissimi
Rogia”, mi ha fatto quasi più ridere della mia
storia.
A
quanto pare sei bene informato
sugli sviluppi più recenti del manga, quindi non avrai
problemi a seguire. E
comunque non è che ce l’ho particolarmente con
Rufy: se vuoi vedere come sono
in grado di ridicolizzare anche gli altri personaggi ti consiglio di
leggere “
Arlong all’asilo” e “Questioni
di testa”, sempre mie.
Boa
Hancock- Per il bene di un popolo
Rotta maggiore, fasce
di bonaccia
Un
gabbiano lanciò il suo verso
acuto, mentre il sole illuminava il ponte.
In
cima all’albero maestro
sventolava uno strano vessillo, nero, decorato con un teschio
circondato da
serpenti, come una delle mitiche Gorgoni.
Dalla
foggia il vascello sembrava
piuttosto antico, oltre che completamente diverso da qualsiasi
bastimento
costruito nei vari mari o nella Rotta maggiore.
La
sua principale particolarità
era che, muovendosi soprattutto nelle fasce di bonaccia, veniva
trainato da due
enormi serpenti multicolori, capaci inoltre di affrontare i mostri
marini che
infestavano quelle zone rendendole accessibili solo ai pirati e alla
Marina.
Sul
ponte di comando, all’ombra di
uno dei robusti alberi, Boa Hancock, capitano dei pirati Kuja,
nonché
imperatrice di Amazon Lily, la terra delle leggendarie amazzoni, si
aggirava
altera e imperiosa, tenuta alla larga da tutti.
Se
era ritenuta la donna più bella
del mondo, c’erano fondati motivi per pensarlo: il suo fisico
statuario, sottolineato
dai succinti abiti che indossava, il viso puro e perfetto, incorniciato
da due
occhi enigmatici e da una coppia di orecchini dorati a forma di serpe,
e la
lunga chioma corvina che le ricadeva sulle spalle aveva fatto impazzire
ben più
di uno dei suoi avversari.
Camminava
in modo esibizionista e
arrogante, come per mostrare a tutte le compagne chi era la
più forte e bella,
seguita da un serpente che le strisciava fra i piedi, vicino la lungo
mantello.
Era
infatti una premura costante
per la donna nascondere la propria schiena; ufficialmente diceva alle
altre
amazzoni che sotto i vestiti si celava un segno impostole da una
maledizione
che avrebbe pietrificato chiunque avesse osato fissarlo, ma in
realtà voleva
soltanto che nessuno vedesse il marchio dei Draghi celesti, simbolo
della
brutale schiavitù a cui era stata sottoposta in
gioventù, la vergogna più
grande della sua vita.
Fortunatamente
il passato era
passato, ma Boa non aveva certo cessato di odiare il Governo mondiale
e, con
una ciurma composta da guerriere sceltissime e fedelissime, si era
messa a
percorrere i mari in cerca di navi nemiche da combattere.
Infatti,
nonostante l’apparenza
fragile e viziata, Hancock era una formidabile piratessa che, grazie al
potere
del suo frutto, era capace di pietrificare chiunque fosse affascinato
da lei,
cioè la maggior parte degli avversari: per quelli
più duri aveva in serbo altre
risorse.
“Sorella,
i prigionieri sono
pronti e a tua
disposizione”
annunciarono all’improvviso due voci.
Hancock
trasalì, quindi bofonchiò
con aria ammonitrice: “Marigold! Sandersonia! Potreste almeno
aver avuto il
buon gusto di farvi annunciare!”, riconoscendo le proprie
sorelle che salivano
frettolosamente la scaletta per raggiungerla a poppa.
Il
comandante ebbe un moto
d’impazienza e sbuffò.
Le
due sorelle erano così
petulanti, oltre che ben poco attraenti a vedersi!
Tuttavia
anch’esse erano potenti, possedendo
sia l’haki che un frutto del diavolo, quindi i loro consigli
non erano sempre
da disprezzare.
Boa
si voltò e rivolse lo sguardo
al veliero della Marina che avevano recentemente catturato e preso a
rimorchio.
Sembrava
un gigante abbattuto, le
cui bandiere giacevano, in segno di resa, a mezz’asta,
sovrastate dai vessilli
dell’imperatrice pirata.
***
I
prigionieri, stanchi e umiliati,
erano sparpagliati per tutto il ponte.
Alcuni,
i più alti in grado, erano
strettamente legati intorno all’albero maestro, altri stavano
quietamente
seduti sulle assi di legno, stretti da corde, a formare macabri
gruppetti.
Tutti
erano tenuti sotto tiro
dalle bellissime e fiere amazzoni con i loro archi.
Dal
canto loro, molte delle
guerriere non avevano mai visto un uomo, ed era quindi naturale che la
curiosità per l’altro sesso, così a
lungo repressa, le portasse ad avvicinarsi
cautamente, come se quei marinai sconfitti potessero ancora mordere.
Hancock,
scortata dalle sorelle,
fece il proprio trionfale ingresso, quindi si mise in una posa da femme
fatale
e chiese, allusiva: “Sono bella?”.
Il
gesto e la domanda suscitarono
opposte reazioni: i marines semplici si misero a bramarla agitando le
mani, per
quanto possibile, e sbavando, mentre gli ufficiali scuotevano la testa,
fieri e
rassegnati.
“Allora?
Cosa stavate facendo
nelle nostre acque? Eravate in
cerca
di pirati?” continuò imperiosa Boa rivolta al
capitano nemico.
Questi
tacette, risoluto, e si
prese quindi uno schiaffo in faccia.
“Stupido!
Parla o farai una brutta
fine!”.
Improvvisamente
una delle ragazze
più giovani della ciurma, il viso stravolto,
cercò di interporsi fra i due e si
lagnò: “Per pietà, principessa! Non
fate loro del male, forse non sono
cattivi!”.
“Idiota!
Togliti di mezzo o
pietrificherò anche te! Non sai che tutti gli uomini sono
malvagi, specialmente
se lavorano per il Governo?”.
Finalmente
il comandante decise di
sputare il rospo e annunciò, con fare malignamente
enigmatico: “Sì, è vero, e
infatti stavamo venendo proprio a catturarti. Lo sai che per i tuoi
crimini il
Governo mondiale ha messo una taglia di 80 milioni di berry sulla tua
testa?”.
Hancock
fu sconvolta da quell’inaspettata
rivelazione.
“Anche
se ci avete sconfitto,
altri vascelli verranno mandati, e attaccheranno la tu isola, il tuo
popolo di
selvagge…Ci sono solo due modi per
evitarlo…consegnarti come prigioniera ed
essere punita per tutte le tue malefatte o passare dalla nostra
parte…A te la
scelta, imperatrice”.
Ma la piratessa sembrava
momentaneamente
incapace di rispondere.
Abbattuta
moralmente da quei
discorsi, ordinò semplicemente di lasciare andare la nave.
***
“Ma
lo capite! O me o voi! E
questo che quei maledetti vogliono!”.
Boa
Hancock, visibilmente irata,
era pigramente sdraiata su un lussuoso divano nella propria cabina e
stava
nervosamente discutendo con le sorelle delle parole di
quell’ufficiale.
“In
effetti, è un modo di agire
veramente vigliacco e spregevole” concordò
Sandersonia. “Ma d’altronde è in
gioco il futuro di Amazon Lily, ricordatelo bene
se….”.
L’amazzone
non riuscì a finire la
frase perché Hancock, fuori di sé per la rabbia,
si alzò di scatto e le lanciò
contro un grosso boccale d’argento.
“Se
cosa, razza di parassita?”
strillò la principessa mentre la sorella si massaggiava il
viso contuso.
“Credi
che io non sappia valutare
i pro e i contro di una situazione?” proseguì
aggirandosi come un furia per la
stanza e gettando sul pavimento bottiglie, gioielli e suppellettili dai
vari
mobili. “Ti ricordi quel che gli uomini ci hanno fatto quando
eravamo bambine,
vero? O forse te lo sei già dimenticato, stupida che non sei
altro? Non
possiamo perdonare il Governo e chi lo spalleggia, e non intendo certo
umiliarmi di fronte a loro! No, continueremo a combattere, e se
vorranno
attaccare l’isola conosceranno cosa siano la forza e la
collera delle
amazzoni!”.
Stava
per rincarare ulteriormente
la dose quando la grassa Marigold, decisa come non mai, prese la
parola: “Per
favore sorella, non fare la bambina! Non sempre puoi scegliere quel che
ti
piace di più, ma devi anche saper accettare la
realtà! Apri gli occhi! Siamo
forti e numerose, ma il Governo e la Marina
dispongono di ingenti forze e dopo molte battaglie ci
annienterebbero. Non puoi neanche costituirti, perché ti
giustizierebbero o ti
farebbero marcire a vita a Impel down. Secondo me dovresti passare ai
loro
ordini, perché ho sentito che i corsari del Governo godono
di grande
indipendenza e pochi doveri verso di esso…e forse un giorno
potrai avere la tua
vendetta”.
Guardando
il mare piatto e la
notte stellata, Boa sospirò e disse: “Hai ragione
sorella. Ti chiedo scusa per
prima Sandersonia, ma ero oscurata dai miei capricci. Adesso mi rendo
conto di
avere le responsabilità di una regina che deve proteggere il
suo popolo, quindi
farò come mi avete consigliato. Ma non diverrò
mai loro serva! Anzi,
alleveranno una serpe in seno…”.
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Capitolo 7 *** Jinbei- Il giorno che sei partito ***
Spazio
autore
Nueblackcrowfriend:
Ma no, quello
“schifo immondo” era solo per
scherzare….e quando ho scritto che Zoro è
analfabeta allora? Se proprio volessi farti quattro risate leggiti
“Arlong
all’asilo”, lì sì che prendo
in giro veramente tutti…
Quanto
a “Carissimi Rogia” non c’è
bisogno che ti scomodi, visto che io stesso sto scrivendo gli ultimi
due
capitoli dedicati a Ace e Smoker ( ho preferito evitare i cattivi dei
film che
non conosco e Barbanera che non essendo intangibile è un
po’ diverso dagli
altri Rogia) e fra pochi giorni li pubblicherò,
dopodichè tornerò con una nuova
storia, la mia prima AU di One Piece.
ShessomaruJunior:
Grazie di tutto,
anche se continuo a pensare che le mie supposizioni siano un
po’ troppo ardite.
Spero solo che un giorno il maestro Oda ci illumini sul passato degli
Schichibukai…
Jinbei-
Il giorno che sei partito
Rotta maggiore,
presso l’isola degli
uomini pesce
Il
mercantile continuava a
veleggiare, le bianche ali gonfiate dal vento, lasciando dietro di
sé una lunga
scia di schiuma, interrotta soltanto dagli occasionali movimenti del
timone.
L’equipaggio
era in apparenza
tranquillo, ma in realtà la tensione era palpabile; non era
mai consigliabile
navigare troppo vicino all’isola degli uomini pesce, per il
rischio di
incontrare questi ultimi, non proprio bendisposti verso gli uomini, o
temibili
pirati diretti verso il Nuovo mondo.
Ma
la nave portava un carico
importante, e al comandante premeva di consegnarlo presto.
La
calma era addirittura
innaturale, come se stesse per essere rotta da qualcosa di terrificante
e
inaspettato: ed era ciò che quasi accadde.
Infatti,
ad un certo punto, i
marinai che si riposavano indolenti sul ponte scorsero i loro colleghi
sui
pennoni e sulle coffe agitarsi improvvisamente in preda al terrore,
come
posseduti.
Uno
di essi abbassò il binocolo e,
balbettando fuori di sé per lo spavento, disse, indicando
con il dito la
macchia nera all’orizzonte che veniva verso di loro a gran
rapidità: “La nave
di Jinbei…Che il cielo ci aiuti o moriremo
tutti…”.
A
sentire quel nome, i marinai
imprecarono o cominciarono a tremare, poiché era assai
temuto il nome del capo
dei pirati uomini pesce, e non si potevano certo aspettare
pietà.
Il
comandante optò per la fuga e
fece spiegare tutte le vele, ma per precauzione ordinò che
si distribuissero i
moschetti alla ciurma.
Passarono
i minuti e il vascello
nemico gli raggiunse; i malcapitati potevano sentire il rumore del
vento che
faceva sbattere le vele e delle onde che si infrangevano sulle fiancate.
La
nave pirata era grossa circa
tre volte la loro, e in proporzione ben più armata; le vele
e gli alberi,
estesi e in ottimo stato, potevano sospingerla sui flutti a
velocità
difficilmente eguagliabili.
La
prua, dolcemente arrotondata,
era decorata con un sottile strato d’oro sovrapposto al legno
su cui spiccavano
le pesanti ancore e la polena a forma di squalo, mentre la poppa,
impreziosita
nella stessa maniera, ospitava la pala del timone, una cabina dalle
grandi
vetrate e tre lanterne per la navigazione notturna.
Sulla
velatura, sulle bandiere e
su ogni parte dello scafo pitturato di giallo e blu si distinguevano
rosse
figure rappresentanti pescecani e rotondi soli circondati da una corona
di
raggi.
Curiosamente,
non vi era traccia
né uditiva né visiva degli occupanti, forse
nascosti per tendere un imboscata;
ma gli sbalorditi marinai dovettero certo tirare un insperato sospiro
di
sollievo vedendo che i bucanieri cambiavano rotta, come disdegnandoli.
La
verità era che il vascello era
di ritorno da una lunga crociera attraverso gli oceani fatta di
arrembaggi,
massacri e saccheggi, e quindi, pieno di bottino, non poteva certo
permettersi
di inseguire altre prede ormai inutili.
Sul
ponte vi erano poi pochi
uomini pesce, che si occupavano di governare il timone e la velatura,
mentre
gli altri erano ai livelli inferiori a fare baldoria per celebrare i
ricchi
successi.
I
pirati erano seduti attorno ai
tavoli, ovviamente di misure proporzionate alle loro, e festeggiavano
cantando,
mangiando i cibi più prelibati che si potessero trovare
nella stiva e bevendo
fiumi di rum e gettando a terra bottiglie e bicchieri in preda
all’euforia.
Alcuni,
stretti in un
angolo, contavano in silenzio i propri
piccoli patrimoni, derivanti dalla somma di varie quote di bottino, e
facevano
affari; altri, al centro della mensa, si improvvisavano ballerini e
piroettavano al suono di flauti, violini e tamburelli.
A
un tavolo più lussuoso degli
altri sedeva capitan Jinbei, enorme, valido combattente, avvolto in un
kimono
colorato e, come spesso accadeva, di buon umore.
Era
orgoglioso della propria
ciurma, composta da giovani esuberanti e ardimentosi, membri di tutte
le razze:
infatti, come gli uomini si dividevano in vari popoli a seconda
dell’aspetto,
della cultura, della lingua, gli uomini pesce si distinguevano in vari
tipi a
seconda dell’animale marino cui somigliavano: polpi,
anguille, squali, pesci
spada, pesci rossi, triglie e altri ancora.
Jinbei
era uno squalo balena, il
più poderoso pesce che abitasse gli oceani, il re delle
bestie.
Quel
che gli dispiaceva era che i
veterani, gli ex membri dei pirati del sole, coloro che erano stati
sottratti a
un destino di misera schiavitù dal leggendario Fisher tiger,
fossero sempre
meno: in effetti dopo la morte di quel glorioso comandante la ciurma si
era
divisa in tante altre, come quella di Jinbei, mentre altri compagni si
erano
messi a viaggiare per il mondo, come il celebre Tom, carpentiere a
Water 7,
divenuto famoso e giustiziato per aver costruito il veliero di Gold
Roger.
Ma
fortunatamente c’erano le nuove
generazioni con il loro entusiasmo a riempire i vuoti.
“Capitano,
perché non ci
raccontate una delle vostre avventure?”domandò uno
dei commensali.
“Certamente
Francisco. Dovete
sapere che era una notte buia e tempestosa…”.
***
Il
giorno stesso la nave gettò
l’ancora davanti all’isola degli uomini pesce.
Il
comandante scese dalla
passerella, osannato da una folla in delirio che aveva preso
letteralmente d’assalto
il molo e lo invocava come il loro re e salvatore, che li proteggeva
dalle
minacce esterne.
“Grazie,
grazie gente” diceva
alzando le mani per salutare la popolazione esultante. “Ma
ricordate che c’è un
altro angelo che veglia su di noi”.
Alludeva
al pirata Barbabianca,
uno dei pochi umani di cui si fidasse, che da quando si era imposto
come il
filibustiere dominante nella regione impediva che avventurieri senza
scrupoli
sbarcassero sull’isola per farne schiavi gli abitanti, come
purtroppo accadeva
spesso in passato.
Mentre
i più giovani membri
dell’equipaggio ostentavano orgogliosi ai connazionali gli
ingenti bottini o si
pavoneggiavano davanti a capannelli di sirene adoranti, Jinbei si
recò su una
spiaggia solitaria per riposarsi dalle fatiche del viaggio.
Stava
per tuffarsi in acqua, dove
si sarebbe trovate perfettamente a proprio agio, quando vide
un’altra
figura passeggiare sulla
battigia e la riconobbe.
Era
Arlong, uno dei suoi migliori
capitani, evidentemente anche lui in cerca di quiete.
Era
un pesce sega molto alto e
sconciato, estremamente muscoloso, di colore, blu; aveva lunghi capelli
neri,
mani palmate, labbra carnose da cui spuntavano denti acuminati e
indossava
sandali, un lungo cappotto blu, pantaloni corta, una cintura di seta
verde, una
sciarpa e un cappello.
Nei
calzoni teneva una grossa
pistola, mentre con una mano imbracciava un’enorme spada
dalla lama a forma di
sega con tutta noncuranza.
I
due si videro e si salutarono
calorosamente, dati i buoni rapporti che scorrevano fra loro:
“Allora signore,
come è andata la scorreria? Purtroppo non ho potuto
partecipare per via dei
preparativi”.
Jinbei
assentì, toccato in un
punto particolarmente dolente.
Entrambi
i pirati avevano tatuato
sul petto un sole rosso, che indicava la loro passata condizione di
schiavi, ma
il tatuaggio di Arlong raffigurante un pesce sega, ora nascosto dalle
maniche
del cappotto mostrava la sua inequivocabile decisione di fondare una
ciurma
tutta propria.
I
“preparativi” a cui accennava
erano quelli della nave che lo avrebbe portato lontano, sin nel Mare
orientale,
dove avrebbe iniziato la conquista di quelle terre che, seguite da
tutte le
altre isole del mondo, avrebbero dato vita all’impero degli
uomini pesce, dove
questi ultimi avrebbero potuto vivere finalmente liberi e non
discriminati.
A
Jinbei dispiaceva che un amico
tanto fidato dovesse separarsi da lui, forse per sempre, ma non doveva
biasimare altri che sé stesso: egli infatti aveva dato
l’ordine ad Arlong.
“Guardate
comandante, non è un
gioiello?” chiese il pesce sega indicando un grosso veliero
pitturato di rosso
che giaceva placido in una baia riparata.
“Arlong…Un’ultima
raccomandazione.
Sii fedele e non dimenticarti mai della tua missione. Addio amico
mio” disse lo
squalo balena in tono solenne, al che l’altro fece per
rispondere ma non poté,
scorgendo il proprio ufficiale Kuroobi che lo cercava incespicando su
una duna.
Pochi
minuti dopo il vascello
sciolse le vele e si avviò verso il mare aperto, mentre una
bandiera nera
decorata da un pesce sega rosso e due ossa incrociate sventolava
sull’albero
maestro.
D’un
tratto Jinbei, ancora
addolorato per la partenza del proprio braccio destro, fu colto dai
dubbi: e se
la missione di Arlong fosse stata sbagliata? Non era ingiusto sottrarre
agli
uomini le loro case?
Ma
cosa importava ormai: erano
pirati!
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Capitolo 8 *** Barbanera- Fame di potere ***
Spazio
autore
Nueblackrowfriend:
Aspetta Nue,
non te ne andare! C’è ancora il capitolo dedicato
al nostro amico Barbanera per
terminare la storia. Comunque sia l’appuntamento con
“Carissimi Rogia” è
fissato a venerdì e sabato, non mancare!
ShessomaruJunior:
Eh già, Jinbei mi
da’ tanto l’idea di essere la fotocopia di Tom, il
maestro di Franky….Il tempo
ci darà ragione o forse no .
Con
Teach termina la nostra
raccolta dedicata agli Schichibukai, che spero sia stata di vostro
gradimento.
Ringraziamo calorosamente Schwarzweis, ShessomaruJunior e JhonSavor che
hanno
messo la storia fra i preferiti e i seguiti e hanno recensito con
regolarità,
più Nueblackcrowfriend che dopo tanto tempo mi ha convinto a
terminare
“Carissimi Rogia, e anche tutti coloro che hanno letto e
basta. Come al solito
chiedo a chi vuole di recensire per segnalarmi i pezzi, i capitoli o i
personaggi preferiti.
A
partire da venerdì pubblicherò
gli ultimi due capitoli sui Rogia, mentre la prossima settimana
pubblicherò una
AU di cui anticipo qualcosa: vi compariranno alcune supernove, Garp,
Barbabianca e tanti altri, sarà ambientato sulle navi a vela
dell’800 e la
trama sarà liberamente ispirata a “Moby
Dick”, ma al contempo basata su fatti
storici. Ci vediamo al più presto!!!!
Barbanera-
Fame di potere
Rotta maggiore
“Zehahaha!!!”
schiamazzò qualcuno,
in apparenza impazzito, rompendo il silenzio della notte.
Per
lunghi istanti il grido non si
udì più, e fu sostituito dal dolce rumore del
mare, scuro come il carbone e
appena increspato dalla brezza notturna.
Sull’oceano
si specchiavano nubi
di stelle e una pallida luna, che contribuiva a creare
un’atmosfera da
quadretto idilliaco fornendo una discreta visibilità
dell’ambiente circostante.
A
quell’ora non c’era molta vita
nei dintorni; in cielo volteggiavano pochi e grossi uccelli solitari,
instancabili navigatori, mentre in acqua immensi banchi di pesci e
calamari guizzavano
appena sotto la superficie, veloci e coordinati come se si trattasse di
un
unico individuo, richiamando i predatori: difatti le sagome argentee e
affusolate di tonni e delfini fendevano con rapidità gli
abissi e le pinne
degli squali solcavano le acque, sconsigliando a chiunque di farsi un
bagno.
Poi
l’urlo, assai simile a una
risata umana, si levò ancora, e si poté accertare
che proveniva dall’unica nave
che attraversasse al momento quella zona.
Era
una sorta di grossa zattera,
composta da robusti tronchi legati insieme, da cui facevano capolino
numerosi
cannoni; aveva due alberi sulle cui vele, nere come la notte, era
riprodotto un
Jolly roger rappresentante tre teschi che guardavano a destra, davanti
e a
sinistra, e che facevano riconoscere i suoi occupanti come pirati.
Al
centro della barca, seduti sul
ponte e illuminati alla bell’e meglio da una lanterna appesa
a un pennone,
stavano cinque uomini e un cavallo.
Uno,
molto grasso e alto, aveva
una rada barba e lunghi capelli neri, indossava una lunga giacca nera e
rossa
con spalline e la sua cintura era piena di pistole e fiaschette di rum;
uno,
dal portamento
nobile
ed educato, portava una camicia,
un mantello, uno strano copricapo e una sorta di mirino su un occhio,
imbracciando fra le mani un lungo archibugio; un altro, di corporatura
massiccia e gigantesca, aveva il viso celato su una maschera; un
quarto,
vestito miseramente e in apparenza malato, si appoggiava
all’animale, anch’esso
piuttosto male in arnese; l’ultimo sembrava un ballerino,
indossava una
calzamaglia e un cappello e stringeva un bastone: il viso pallido e
contornato
da due orecchini risaltava sinistramente alla luce della lampada.
“Zehahaha!!!”
proseguì il capitano
pirata Marshall D. Teach detto “Barbanera” bevendo
avidamente. “Anche oggi è
stata una giornata proficua, per mille balene!”
tuonò indicando un forziere
pieno di gioielli che giaceva accanto all’albero.
“E
promette di esserlo ancora di
più, se riusciremo ad attaccare quel villaggio dove ci
stiamo dirigendo, vero
capo?”chiese il timoniere Jesus Burgess alzando le possenti
braccia.
“Certamente
figliolo! Il destino
sarà con noi, vero Van Ooger?”.
Il
cecchino, senza scomporsi,
disse: “Sì, il fato ci sarà favorevole,
vedrete”.
“Ah,
la fortuna, la sfortuna…”
prese a sospirare Doc Q, il medico di bordo.
“Se
ne vanno e vengono quando più
aggrada loro, vero Stronger?” continuò
rivolgendosi al cavallo che fece
fuoriuscire la lingua ed emise un verso a metà strada fra un
nitrito e un colpo
di tosse.
Lafitte,
l’uomo con la faccia
bianca come quella di uno spettro, si accostò a Teach e gli
domandò: “Capo, ma
cosa intendi fare con tutti bottini che stiamo razziando?”.
Il
comandante sputò un immane
torrente di liquore e lanciò una grossa risata, tenendosi la
pancia per non
scoppiare: “Zehahaha!!! Che domanda insulsa, caro il mio
Lafitte! E io che ti
credeva più intelligente! Ma è ovvio che ci
permetteranno di nuotare nell’oro
per il resto dei nostri giorni! Potremmo ritirarci su qualche isola a
fare la
bella vita! Ma il mio obiettivo finale è un altro. Lo
conoscete di già,
uomini?”.
I
suoi quattro compagni avevano
già sentito quella frase migliaia di volte, ma preferirono
cedere la parola a
un Barbanera ormai infervorato per non togliergli il divertimento.
“Una
volta finito con questo
villaggio, andremo in cerca di pirati per riscuotere le loro taglie,
così il
Governo si accorgerà di me e mi permetterà di
entrare nella Flotta dei 7. A quel punto nulla
ormai mi
impedirà di trovare il tesoro di Gold Roger, e
diventerò l’uomo più potente e
temuto di tutti i mari. Realizzerò il mio sogno! Voi,
invece, che sogni
avete?”.
“Vorrei
diventare il lottatore più
forte del mondo!” esordì energicamente Burgess.
“Io
vorrei continuare a fare la
vita del cecchino” gli fece eco Van Ooger.
“Il
mio desiderio è quello di
vivere una vita fortunata” proseguì Doc Q .
“A
me invece piacerebbe diventare
un grande capitano al servizio di Barbanera” ammise Lafitte.
“Zehahaha!
Andiamo gente!
Brindiamo ai nostri sogni, perchè sono quello che di
più prezioso abbiamo!”
sbraitò il capitano levando in alto il boccale.
***
Verso
l’alba, una terra fece
capolino all’orizzonte.
“E’
l’isola che cerchiamo! Ne sono
sicuro!” gridò il cecchino dalla coffa.
Barbanera,
in piedi sul ponte,
fissò la meta con sguardo combattivo e sghignazzando
selvaggiamente disse: “Ci
siamo uomini! Preparatevi a vederne delle belle! Ricordatevi: nessuna
pietà e
niente prigionieri! Chi non riesce a fuggire, tanto peggio per lui!
Arraffate
tutto!”.
Spinta
con potenti colpi di remo
dal timoniere e dal medico, la barca giunse a circa un miglio
dall’imboccatura
del porto: fortunatamente per i filibustieri, nessuno sembrava averla
notata.
Teach
afferrò di persona una
miccia, e dopo il rituale:
“Mirare…puntare…fuoco!”la
usò per far sparare un
cannone.
Uno
dopo l’altro i proiettili, che
prima seguivano traiettorie casuali o finivano, cominciarono a colpire
gli
edifici, mentre dalla coffa Van Ooger centrava i marinai dei vascelli
ormeggiati.
Mentre
sulla terraferma
scoppiavano incendi ed esplosioni, il ballerino e il dottore rimasero a
controllare la zattera, mentre il comandante, Burgess e il cecchino
saltarono
giù e cominciarono ad avanzare nell’acqua bassa e
calda: erano in tre, ma
sarebbero bastati.
Un
uomo fuggì urlando per la via
principale, probabilmente per raggiungere la propria famiglia, ma fu
raggiunto
da una pallottola nella nuca.
“Li
odio quando fanno troppa
confusione” sentenziò Barbanera soffiando sulla
canna di una pistola.
Il
lottatore sradicò dal suolo una
casa e la lanciò in aria, seppellendo vivi alcuni fuggiaschi
terrorizzati,
mentre il tiratore sparava continuamente in tutte le direzioni.
All’improvviso
alcuni reparti di marines
di stanza sull’isola comparvero armati di sciabole e
moschetti e caricarono i
tre bucanieri.
Burgess
li respinse scagliandoli
via con calci e pugni, mente Van Ooger continuava imperterrito a far
fuoco,
freddando gli avversari con una micidiale pioggia di pallottole.
Barbanera,
usando i propri poteri,
cosparse di oscurità la zona davanti a sé, e dopo
aver gridato: “Black hole!”
risucchiò macerie e oggetti, che un attimo dopo
rilasciò, coprendo i militari
sopravvissuti sotto tutta quella massa.
Contemporaneamente
anche gli altri
due pirati restanti sbarcarono, e la ciurma si diede alla razzia e alla
distruzione più sfrenati, compiendo innumerevoli barbarie:
Barbanera gettò a
terra una donna con il suo bambino per strapparle la collana, che
subito
indossò; il timoniere schiacciò la testa con un
piede a un marine ferito; il
cecchino sterminò un’intera famiglia a colpi di
fucile e depredò la loro dimora
di ogni cosa di valore, Doc Q saccheggiava i cadaveri e caricava il
cavallo
d’oro e argento; Lafitte uccise un vecchio con una bastonata
fortissima sul
cranio e gli prese il borsellino.
Quando
tutto fu finito, del
villaggio non rimasero che poche macerie fumanti e qualche solitario
fuoco che
ancora ardeva qua e là, mentre le navi che erano in porto
erano già state
affondate dai cannoni della barca e gli abitanti superstiti si erano
rintanati
al sicuro.
I
membri dell’equipaggio, felici e
festanti, caricavano sulla zattera sacchi pieni di oggetti preziosi
cantando,
mentre Teach si metteva tutti i gioielli su cui era riuscito a posare
le mani
nella cintura, sui vestiti, intorno al collo, intorno ai polsi e sulle
dita.
Ad
un certo punto un foglio abbandonato
al suolo attrasse la sua attenzione.
Lo
raccolse, comprendendo che si
trattava del manifesto di un ricercato, quindi tuonò,
leccandosi i baffi: “100
milioni di berry? Preparatevi a partire! Andiamo a prendere la testa di
questo
tizio!”.
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