Treasures lay in differences

di Hi Fis
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** La chimica dei sognatori ***
Capitolo 3: *** Parole di un altro mondo ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Guerra.
Per quanto se ne possa dire nell’Universo, una sola verità rimane costante su di essa: nessuno vuole esserne il perdente. Che cosa ci si può scoprire disposti a fare per continuare a vivere, o solamente a sopravvivere?  La risposta non è quasi mai la stessa, ma la domanda vale sia per le specie che per gli individui che le compongono. Prima del nostro primo contatto a 130 anni luce dal Sole, credevamo di sapere la risposta: prima dei Midion. Prima che capissimo perché avevamo dovuto spingerci così caparbiamente lontano per trovare un’altra civiltà tra le stelle. Prima di capire che nessuno sulla Terra si è mai davvero spinto fino a quel punto.
I Midion l’hanno fatto invece, e sono sopravvissuti a quell’abisso. Per questo fanno tutto quello che è in loro potere perché non capiti ad altri, ed ecco perché esiste la Zona d’Interdizione: la regione di spazio delimitata per contenere e combattere l’Invasore venuto addirittura da un’altra galassia. La Terra, sfortunatamente e senza colpa, ha scoperto solo allora di esserne quasi al centro.
E quando lo scoprimmo, il conflitto durava già da 8000 dei nostri anni.
 
Come solo porto sicuro in un mare ostile, il sistema solare non deve essere espugnato: specie perché la Zona d’Interdizione comprende quasi un quinto della galassia, 40 miliardi di stelle coi loro pianeti. Così, in cambio del permesso di fare porto e riparare le proprie navi nel dominio dei figli di Gaia, la Dorata Intesa (di cui i Midion sono uno dei quattro membri fondatori) si è impegnata a proteggere la nostra specie da una piaga che ha già essiccato nebulose intere. 
La relazione è mutualmente benefica: Venere ad esempio è stato terraformato per sostenere la vita, anche la nostra vita. Un bellissimo giardino di dune, lontana eco di quel mondo natale che i Midion hanno perso una manciata di eoni fa. Nel frattempo, i migliori scienziati della Dorata Intesa indagano la megastruttura nascosta nel polo nord di Saturno, per cercare di comprendere come riesca a nascondere il sistema Solare ai sensi del nemico. Si teme però che l’origine, le motivazioni e l’identità del suo architetto, siano destinate a restare un mistero insondabile.

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Qualche tempo fa (o forse un po' di più ), ho letto un'articolo in cui si citava una teoria secondo la quale la ragione per cui non abbiamo ancora trovato degli alieni nella via lattea è perché non vogliono essere rilevati da un crudele oppressore interstellare che li sta cercando per schiavizzarli (o qualcosa del genere). La trovo una stupidata tremenda e il fatto che qualcuno ci abbia messo il nome mi lascia di sasso: quando arroganti si deve essere per venirsene fuori con una cosa del genere per spiegare la propria incapacità di produrre i risultati sperati?
Notizia Flash: la galassia è Enorme e l'universo ancora di più (ma tanto, eh!). Per cui potrebbe tranquillamente essere anche che a nostra insaputa siamo in una "No man's Land" galattica tra due fronti. Oppure, molto più probabilmente, è solo che la galassia è enorme (orribilmente banale come spiegazione, e quindi probabilmente vera). Anche da questa ispirazione comunque, mi sono fatto venire la voglia di scrivere qualche pezzo breve sull'ipotetica convivenza tra noi e altre specie senzienti, con la premessa di cui sopra: più un banco di prova che una raccolta vera e propria, ma spero di cavarne fuori qualcosa che riesca a far pensare o almeno piacere.
Non so ogni quanto riuscirò ad aggiornarla: di sicuro meno di quanto vorrei (vita reale, grrr...).

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Capitolo 2
*** La chimica dei sognatori ***


Nonostante il nostro Sistema Solare sia diventato porto sicuro e oasi nascosta per la Dorata Intesa, è ancora molto difficile trovare alieni sulla Terra. Le ragioni, e le loro cause, sono molte: una delle principali è che i cittadini della Dorata Intesa non vogliono che sia messa in dubbio la nostra supremazia sul pianeta azzurro. Di questo, i governi della Terra sono tacitamente grati: può diventare difficile far convivere gli ultimi arrivati sulla scena interstellare con specie che si conoscono tra loro da millenni, specie se si considera le varie egemonie che la Dorata Intesa possiede. La nostra stessa scienza e la nostra tecnologia faticano a comprendere i principi fisici che su altri pianeti si è imparato da tempo ad aggirare…
Anche per questo, l’atteggiamento della Dorata Intesa, questo suo considerare la Terra sacra all’uomo, risulta allo stesso tempo prudente e comprensivo: come anche per altre razze senzienti, anche noi dobbiamo avere l’illusione di avere in pugno il nostro destino per poter essere sereni. Ed ecco perché sulla Terra si possono contare in ogni momento non più di una manciata di alieni, i cui incarichi e ragioni di visita sono sempre annunciati con gran pompa: è stato perfino istituito un database di consultazione pubblica a questo scopo. Ed ecco anche perché, nonostante il nostro primo contatto con i Midion prima e con la Dorata Intesa poi, la vita quotidiana sulla Terra sia cambiata meno di quanto si potrebbe pensare.
Regole simili comunque, e un simile assoluto rispetto, sono in atto anche per Venere: per quanto la gemella della Terra sia stata terraformata dalla Dorata Intesa per ospitare la vita, essa è prima di tutto parte del Sistema Solare. Solo a noi quindi (questo almeno secondo gli accordi diplomatici bilaterali) è dato decidere come debba essere utilizzato: un pianeta abitabile però, è di certo un dono che sa rendere umili. La Terra guarda a Venere più come ad un gigantesco laboratorio scientifico a cielo aperto e al prossimo granaio capace di sfamare l’umanità, che come ad una nuova immeritata casa: per parte sua, la Dorata Intesa appare approvare questa visione.
E dunque, dove è meglio cercare nel Sistema Solare luoghi dove l’uomo convive con altre specie?
La Luna è una possibile risposta, ma né nella città sotterranea di Endimion, né al gigantesco radiotelescopio del cratere Dedalo riusciamo davvero a sentirci a nostro agio: la ragione non è però la minore gravità, perché questo problema è già stato risolto dalla nostra scienza con la comprensione dell’effetto Higgs (per quanto l’energia necessaria a simulare un campo gravitazionale locale di 1 G sia fornita ancora dalla Dorata Intesa). La vera ragione è che è proprio attorno alla Luna che i vascelli della Dorata Intesa, tutte navi da guerra orrendamente armate, fanno porto per rifornirsi ed essere riparate. Anche tralasciando chi o cosa quei vascelli portino a bordo, vedere ridotti in quel modo simili strumenti di distruzione è capace di spaventarci, se non di terrorizzarci. Cosa possiamo noi, contro qualcosa capace di devastare a tal punto i prodotti di una tecnologia così avanzata?
Gli equipaggi di quelle navi non hanno risposte da darci, se non tornare a combattere: è raro che scendano ad Endimion dalla stazione spaziale in orbita che hanno costruito come fonda, ma a quelli che lo fanno, doniamo sempre un pugno di sabbia basaltica e la promessa di ricordarli nelle nostre preghiere.
 
Dunque, è su Marte dove bisogna dirigersi per osservarci interagire quotidianamente con altre specie senzienti: il pianeta dove cerchiamo di applicare le lezioni apprese su Venere e cerchiamo di apprendere altre ancora. La strada da percorrere per rendere Marte abitabile però, è ancora lunga. Proprio per questo tuttavia, con un’atmosfera incapace di sostenere la vita e habitat costruiti per difendersi da essa, le specie della Dorata Intesa possono recarvisi in relativa sicurezza anche per noi: vivere su Marte infatti, comporta tra le altre cose molte delle misure necessarie ad evitare contaminazioni biologiche involontarie.
 
***
 
Pensiero filosofico del lunedì mattina di Raul Breda: a 65 milioni di chilometri dalla Terra, il caffè istantaneo è comunque cattivo. Una sciocchezza che gli si è insediata nella mente durante la colazione, mentre aspetta di svegliarsi davvero… o quanto meno, di capire se quel momento arriverà mai.
Mentre il vapore gli appanna il bulbo oculare, la mente di Raul macina considerazioni come quella, in attesa che arrivi il momento di cominciare davvero la giornata: nel privato della sua mente, Breda considera questi momenti come le simulazioni del suo io cosciente. Decisamente non è persona che alla mattina carburi in fretta...
O ancora, qual è il metodo più corretto per un essere umano di contare i giorni quando si è su altri pianeti rispetto alla Terra? Su Marte è ancora relativamente facile: il giorno marziano dura all’incirca quanto quello terrestre di 24 ore. Venere invece ruota sul suo asse in poco meno di 244 giorni terrestri, cioè più del suo tempo di rivoluzione attorno al Sole. Se su Marte quindi i ritmi circadiani si mantengono più o meno invariati rispetto alla Terra (meno il primo jet lag dovuto al trasferimento), su Venere il “giorno” deve essere suddiviso in intervalli. Contare i giorni di Venere insomma, per un Terrestre non ha affatto senso: nessun umano può stare sveglio per 122 giorni, nemmeno se potesse riposarne altri 122 dopo. Si devono imporre necessariamente calendari artificiali, che non rispettano affatto i ritmi del pianeta o quello che il Sole nel cielo sembrerebbe suggerire. La simulazione dell’io cosciente di Breda (Bredamulazione) annuisce convinta di fronte alla conclusione raggiunta. Alzando però il coefficiente di difficoltà e uscendo dal Sistema Solare, come sarebbe la vita su un pianeta che gira attorno al suo asse in 16 ore, o in 64 (perché entrambi multipli di 4 e di 16 si chiede la Bredamulazione)? Su un pianeta da 16 ore, si potrebbero ancora rispettare i ritmi circadiani, ma il calendario sarebbe altrettanto dissonante rispetto a quello della Terra. Una confusione che però rischierebbe solo di aumentare se su un simile pianeta si imponesse anche il giorno Terrestre, perché ci si troverebbe con “giorni” e “notti” che non solo non corrisponderebbero affatto a quelli del pianeta, ma si troverebbero anche a scambiarsi di posto a causa delle relative durate, ovvero 1 giorno e mezzo sul pianeta di 16 ore contro 1 giorno terrestre. Mezzogiorno terrestre in breve, corrisponderebbe alla mezzanotte ogni due giorni di 16 ore, e lo stesso farebbe la mezzanotte. Un vero pasticcio, che peggiora proporzionalmente quanto più ci si allontana da numeri diversi da 24 ore o con divisori comuni: ad esempio, pianeti con una durata del giorno di 33 ore rappresentano potenzialmente un incubo logistico. Per non parlare degli effetti devastanti che una simile dissociazione tra io cosciente, ritmi circadiani e ritmi biologici ha sulla psiche umana.
No, si convince la Bredamulazione, la soluzione più efficiente probabilmente è quella di separare il calendario di una specie, che è meglio resti unificato, dall’ora locale su un qualunque pianeta. E forse usare un riferimento astratto per i giorni che abbia durate diverse da numeri divisibili per 8, 4 o 3…
Il suo caffè ora è più freddo, ma rimane sempre cattivo.
Adesso però c’è qualcuno che attende di avere la sua attenzione: è alla sua sinistra, in piedi e in paziente silenzio. La Bredamulazione non si spaventa per quella che per lui è una comparsa improvvisa: le simulazioni dell’io cosciente non possono avere paura. In compenso però, ora sa perché stava ragionando in multipli di 4 e di 16.
Quando è certo di avere la sua attenzione, il Midion si inchina lievemente, dando a Raul l’occasione di prenderne le misure: è davvero piccolo, pensa. Ed è la pura verità: escludendo i loro funicoli, nessun Midion ha mai superato i 170 cm (non naturalmente almeno), e il suo interlocutore sembra essere nel segmento medio basso della sua specie. Potrebbe comunque polverizzargli tutte le ossa con una sola pacca:
“…Buongiorno.” è la prima parola che gli affiora su labbra ancora umide di caffè.
Le specie della Dorata Intesa comprendono senza troppi problemi le principali lingue umane. L’inverso però, non sempre è vero: i Midion ad esempio, si esprimono usando anche alcune frequenze che l’orecchio umano non è in grado di percepire. Un ostacolo che però è stato aggirato in fretta, poiché l’hanno già incontrato con altre specie: ecco perché portano installati nei guanti delle loro corazze ambientali (o più propriamente nei mitteni delle loro corazze, considerata la cultura Midion), degli accelerometri in grado di “leggere” la posizione relativa di dita e mani. Con queste informazioni è piuttosto facile poi associare un significato preciso ad ogni cenno e questo l’alfabeto gestuale, o lingua dei segni, può essere poi letto e “pronunciato” da un sintetizzatore vocale in lunghezze d’onda che l’orecchio umano sia in grado di percepire. In modo da risultarci il più possibile comprensibili inoltre, quando dialogano con noi i Midion si sforzano sempre di usare come base della loro lingua dei segni la nostra.
“Sur’fââb Tm.” frinisce l’apparato che l’alieno porta ancorato sul petto: dalla nota dolcemente metallica del sintetizzatore vocale, Breda capisce che il suo interlocutore è, in effetti, un’interlocutrice. Tra i Midion, il dimorfismo tra i due sessi diventa evidente solo quando sono nudi: le loro corazze ambientali non aiutano affatto in questo senso.
“…Mi scusi?”
“Sur’fââb… Tâbrun!” esclama la Midion, lanciandosi in una veloce sequela di suoni che Breda non riesce completamente ad afferrare.
Ciò che la Midion fa poi non è qualcosa a cui Raul possa dire di essere preparato: prima che possa fermarla infatti, la minuta aliena si afferra con forza il bicipite e, con una torsione e uno strappo, si cava l’intero braccio dalla spalla. Solo osservandolo pendere dalla sua stretta, Raul si convince che si tratta di una protesi.
Per fortuna però, di braccia i Midion ne hanno quattro e con due pollici per ogni mano. Gliene bastano solo due per dialogare con noi umani:
“…Non ho ancora molta… pratica…  con questo aggeggio.”
“...Temo che lo stesso valga per me.” e per quanto banale come risposta, sarebbe potuta andare molto peggio. Per esempio, Breda avrebbe potuto chiederle se le serviva una mano per il suo… braccio.
“Mi chiamo Po’Ran.” si presenta, lisciandosi la sciarpa che porta sopra la sua corazza ambientale.
Su di essa, Raul riesce a leggere pochi tra i molti glifi che vi sono stati ricamati, tra cui quello della casta militare e quelli che designano Po’Ran come membro del 28° skete della flotta del Vento.
“…Lei è il dottor Bread?”
“…Breda, veramente. Bread, pane, è un cibo. Un nostro cibo, voglio dire.”
“Sì… ha ragione… temo che nella fretta di cercarla, non abbia fatto tempo ad impostare un segno da associare al suo nome.”
“E quindi ha usato il segno che più si avvicinava al suono.” conclude Raul: “…In che senso mi stava cercando?”
“Ecco, ho una domanda di cui mi hanno detto lei potrebbe avere la risposta.” dicendolo, Po’Ran appoggia il suo braccio di metallo sul tavolo, in modo da avere una mano libera per frugare gli scomparti della cintura che porta alla vita.
La Midion trova in fretta quello che cerca e riesce di nuovo a stupirlo, perché quella che impugna ora è una matita grassa, di quelle da carpentiere, con cui traccia rapidamente sul tavolo una forma stilizzata:

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Come chimico e archeobiologo però, Raul sa leggere quei segni:
“1-3-7 Trimetilxantina. Alcaloide naturale. Irritante. Più comunemente nota come caffeina o teina.”
“…Mi è stato detto che gli esseri umani la bevono diluita in acqua.”
“Sì, è così. Ne ho giusto questa tazza…”
Ma Po’Ran è già balzata indietro di quattro metri: non l’ha vista muoversi. Semplicemente, non è più dove stava guardando. È persino riuscita a riprendersi il suo braccio:
“…Tutto bene?”
“Mi scusi.” risponde la Midion, senza accennare però a volersi avvicinare di nuovo: “…Mi sto rendendo una sciocca naturalmente. Il fatto è… che per la biologia della mia specie, quello è uno fra i più potenti narcotici che esistano.” come per i ragni, fa tempo a pensare Raul.
Anche questa volta però, per fortuna le sue labbra optano per qualcosa di più banale:
“…Suppongo quindi sarebbe improprio offrigliene una tazza.”
“Piuttosto.” dicendolo, Po’Ran sembra quasi ridere: “…Mi avevano detto che la terra dei sognatori contiene tesori che non dipendono affatto dalla sua posizione. Avevano ragione.”
“La… terra dei sognatori?”
“Sì: il sistema di pianeti attorno a questa stella, naturalmente. Grazie per il suo tempo, dottor Bread. E la sua gentilezza.” e prima che possa risponderle, la Midion è già lontana.
È proprio vero quello che si dice, riflette Raul: i Midion sanno fermarsi davvero solo quando dormono.
Il suo caffè è ancora cattivo, ma non gli importa più così tanto.

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Capitolo 3
*** Parole di un altro mondo ***


Il cielo e il mare fanno a gara per assumere la stessa livrea: un informe bianco. Solo quando le raffiche si placano per un momento, smettendo di bistrattare i fiocchi di neve, si riesce a raccapezzarsi su dove stia il sopra e il sotto.
Non è la tempesta però a preoccupare i marinai e il capitano: quando il satellite li ha informati del suo arrivo, ne avevano già sentito il sapore nell’aria e come vascello di osservazione scientifica in missione nei mari del nord, la Gypsy Dancer può sopportare senza problemi anche peggio di quel fortunale. Dunque, come già è stato, quando il vento calerà le eliche torneranno a girare e il piccolo rompighiaccio si farà strada attraverso il pack, lo stesso che al momento li stabilizza contro le raffiche. Nemmeno i -45°C all’esterno preoccupano l’equipaggio: come sempre, si tratta solo di avere pazienza aspettando al chiuso…
Mai prima di quella volta però, la Gypsy Dancer aveva dovuto accogliere uno shuttle orbitale sulla sua piazzola d’atterraggio: a sentirne il pilota, una gran bella donna dal pessimo carattere, l’attaché diplomatico che era stata costretta ad imbarcare aveva deciso di fregarsene dei bollettini meteo per cercare di ingraziarsi l’altro passeggero. Ne avevano pagato il prezzo una volta rientrati nell’atmosfera, quando le era diventato chiaro molto in fretta che non sarebbero riusciti a raggiungere l’isola di Svalbard prima che la tempesta li facesse precipitare. La Gypsy Dancer si era semplicemente trovata nel posto giusto al momento sbagliato, ed erano stati costretti a diventare il loro porto.
L’orologio segna l’1 di notte, ma anche se a bordo tutto va bene, per la prima volta Wolfram Zähstein non riesce a farselo bastare. Perché anche se il pilota dello shuttle ora dorme nella cuccetta di cui si è appropriata, e l’imbecille che li ha quasi fatti precipitare sta probabilmente abbracciando la tazza (il peggior caso di mal di mare che Wolfram abbia mai visto in tutti i suoi anni sulle onde), il terzo passeggero ancora non vuole saperne di rientrare, preferendo rimanere ad osservare il vento e la neve.
L’orologio segna l’1 di notte: è su quel ponte da tre ore, a 45 sotto zero.
…‘Fanculo.
 
Anche con addosso un triplo strato isolante, Wolfram ha esitato ancora un attimo prima di farsi strada tra le raffiche e la neve. Per fortuna conosce la nave meglio delle sue tasche e un po’ grazie alla ringhiera sulla murata con cui tirarsi, un po’ per intuito, l’ha trovato abbastanza in fretta: il passaggio di raccordo sotto la passerella di collegamento tra la piazzola d’atterraggio e il resto della nave. Uno dei pochi luoghi in cui il suono del vento attorno a loro venga attutito. Deve sempre essere rimasto lì, senza muoversi affatto: la neve ha cominciato a posarsi non solo attorno, ma anche sopra di lui, al punto che il capitano ha creduto per un istante che si fosse congelato. Un terrore di breve durata il suo però, meno di un istante, perché il Midion ha cominciato subito a muovere le mani e a parlare, lasciando che la neve gli cadesse negligentemente di dosso da sola:
“Capitano.”
 “…Non ha freddo?” Wolfram batte gli scarponi sul ponte e si spazzola le spalle per sottolineare la sua domanda, mettendosi con lui al riparo:
“No.” e dalla voce sembra quasi che sorrida: “…Come può immaginare, abbiamo una certa esperienza nel costruire corazze ambientali.”
“Mhh…” 8 millenni di guerra, deve costringersi a ricordare Wolfram: non riesce nemmeno ad immaginarli.
“Se può rassicurarla, mi permetterebbe di sopravvivere anche se cadessi in acqua. Sarebbe piuttosto imbarazzante, però.”
“Oh?”
“Non galleggerei. Anche senza la mia corazza voglio dire. Siamo troppo… densi.”
Uno dell’equipaggio l’aveva perfino spiegato al suo capitano: il corpo umano è fatto circa al 65% - 70% d’acqua. L’ammontare in quello Midion non arriva al 10%.
“Una ragione di più per farla rientrare.”
“Mi conceda questo capriccio: la vista è irrinunciabile.”
“La neve?”
“…Non esattamente.” e questa volta Wolfram è certo che stia sorridendo: “Più che altro, ciò che essa mi dà.”
Il capitano lo supera di tutte le spalle e quasi metà del torso, eppure parlare con quel Midion gli dà una strana sensazione, anche se non riesce a dargli un nome preciso. È qualcosa del colore della nostalgia, ma allo stesso tempo diversa.
Non è solo una sua suggestione: tutti i Midion causano quella sensazione in noi.
“E che cos’è?”
“Prospettiva e idee.” risponde pronto il Midion, come se si fosse aspettato la domanda: “…Nella mia lingua, ciò che in questo momento copre tutto non ha una parola con cui io possa indicarla. Anche ora sono costretto ad usare un giro di parole, o affidarmi alla vostra lingua per chiamarla. Nella mia, noi possiamo solo indicare e dire: questa è acqua che cade dal cielo. Non conosciamo una parola per indicare questa bellezza.”
“…È solo neve.”
“Lo è per lei, capitano. Ma la mia specie ha dovuto inventare il viaggio interplanetario per poterla vedere per la prima volta. La parola stessa con cui nella mia lingua indichiamo casa, viene da un termine che indica a sua volta il luogo dove acqua scorre liquida. Può provare ad immaginare cosa questo implichi... Prospettiva.” gesticolò lentamente il Midion.
“Lei è un linguista?”
“No, affatto. Il mio campo di specializzazione è la comparazione evolutiva tra specie diverse.”
“E come è finito qui?”
“Sulla sua nave? Mister Johnson ha saputo della mia qualifica dall’ammiraglio. Così, sono stato invitato a visitare il vostro caveau globale dei semi, sull’isola di Svalbard.”
“L’ammiraglio…?”
“Sì, sono l’ufficiale scientifico capo della flotta del Vento.”
“Ah.”
“…Sembra che conosca un po’ della mia cultura. Dovrò disperdere qualche preconcetto?”
“No. Ma spero non si aspetti un inchino.”
“Affatto. Sono un ospite dopotutto.”
 
A quanto pareva, il pilota dello shuttle aveva avuto torto nel lamentarsi: nessuno di noi può dire di conoscere davvero l’interezza della cultura Midion, ma ci sono alcuni elementi che siamo in grado di comprendere più facilmente di altri, perché risuonano con la nostra cultura… o con i nostri tabù. Ad esempio, è vero che i Midion si nutrono solamente con cibo vivo: le loro battute di caccia nel deserto sono ancora oggi una parte imprescindibile della loro socialità, nonostante il tributo di vite che continua a costare. E sì, è anche vero che nello loro cerimonie funebri si pratica del cannibalismo rituale. Entrambi questi aspetti però, che ci appaiono così primordiali per la cultura di un impero interstellare, devono essere considerati nell’ottica della loro storia e soprattutto del loro mondo natale: un luogo in cui di giorno il nostro sangue bollirebbe spontaneamente, se esistesse ancora. Ciò che noi chiameremmo un deserto spietato, per i Midion è solo un giardino di dune. Ma come i Midion hanno dovuto imparare molto presto, tutti questi giardini devono essere difesi: l’hanno imparato bene e ora prosperano, nonostante tutto.
La società Midion non possiede il nostro concetto di nobili o di re. Ciò che più si avvicina ad essi si può trovare all’apice delle gerarchie nelle quali è organizzata la loro popolazione, con i Tearki a svolgere il ruolo di governatori planetari e “difensori di tutto ciò che si trova a terra”, mentre quella militare, con gli ammiragli a soprintendere alle loro flotte come capiclan, ha la consegna di “combattere tutto ciò che si trova tra le stelle”.
Dona una certa prospettiva sulla loro società il riflettere sul fatto che sia i Tearki che i loro ammiragli di flotta rispondono entrambi ad una sola persona: nella nostra lingua lo chiameremmo imperatore-dio, dato il suo ruolo e l’ossequio con cui i Midion lo invocano. Nella loro lingua però, egli è “il molto riverito (perché estremamente) avvelenato”.
 
Dunque, l’ospite di Wolfram era qualcuno che aveva l’orecchio di un signore della guerra che non solo rispondeva direttamente all’Imperatore-Dio dei Midion, ma che anche aveva il potere e il diritto di incenerire interi pianeti, se lo avesse creduto necessario. Qualcosa che doveva aver già fatto per decadi, prima di essere costretto a riparare nel sistema solare per far riparare le proprie navi, in modo da tornare a farlo. Ecco perché nel caso del suo ufficiale scientifico capo, era importante cercare di accontentarlo.
Comprendendo a fondo questo, il capitano inspirò profondamente, il naso e la bocca ben al riparo del bavero della giacca isolante:
“Riesco a capire cosa intende per prospettiva. Ma in che senso idee?”
“Cosa rivela sulla mia specie e la mia cultura il fatto che non abbia una parola per definire la pioggia, o la neve? Oltre all’evidente s’intende: l’acqua che conosciamo solamente per essere così rara, qui abbonda al punto che il cielo può disfarsene… È così difficile essere qui per noi.”
“In che senso?”
“È bello al punto da farmi dimenticare quanto possa essere fragile. E quindi mi sforzo di pensare quale sia il modo migliore per poterlo tenere al sicuro. Ammesso che ne abbia il diritto, certo.”
“…E le è venuto in mente qualcosa?”
“Molte cose: non so ancora se vi piaceranno.”
“Crede che ci potrebbero essere d’aiuto?”
“…Estremamente.”
“Allora non so se abbiamo il diritto di non farcele piacere.”
“C’è sempre una scelta, capitano. Più di quanto possiate immaginare: raramente però sono facili. Un po’ come lei quando ha scelto di venire a cercarmi.”
“Si è trattato solo di uscire…”
“Le è solo sembrato. Noi rappresentiamo una terribile incognita per voi: anche per questo siamo grati dell’accoglienza che avete voluto darci. Più di quanto riusciamo ad esprimere… Lo sa, a volte non riesco a capire se voi esseri umani siete di una purezza infantile, o solo molto ignoranti.”
Il capitano fece quasi in tempo a rispondere, ma il Midion si mosse, troppo veloce per riuscire a seguirlo, appoggiandogli quasi una mano sulla bocca: Wolfram poteva superarlo di tutta la testa e metà del busto, ma il capitano sa che avrebbe potuto piegarlo come un foglio di carta se solo avesse voluto.
“…E, ad essere sincero, è una domanda di cui non voglio conoscere la risposta.”
“Perché potrebbe non piacerle?”
“Perché toglierebbe qualcosa alla bellezza di questo mondo e della specie che lo abita.” e detto questo, l’alieno tornò ad osservare ciò che la sua lingua non aveva parole per esprimere, mentre lentamente i fiocchi si facevano trasportare dal vento e dalla gravità.
Wolfram restò con lui fino a quando il vento calò, senza pronunciare altro che il suo respiro: la polmonite che si prese e il principio di congelamento ne sarebbero valsi la pena.

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