Le Cinque Fasi di una Gravidanza

di Kseniya
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ~ La mia vita è finita. ***
Capitolo 2: *** Fase 1 ~ Confidarsi con gli amici è d'obbligo. ***
Capitolo 3: *** Fase 2 ~ Le voglie, gli sbalzi d'umore e le missioni impossibili. ***
Capitolo 4: *** Fase 3 ~ I momenti per Lei&Lui e la Vendetta di Boris. ***
Capitolo 5: *** Fase 4 (prima parte) ~ L'effetto sorpresa, gli amici ritrovati e L'Operazione Valchiria ***
Capitolo 6: *** Fase 4 (seconda parte) ~ L'effetto sorpresa, gli amici ritrovati e L'Operazione Valchiria ***
Capitolo 7: *** Fase 5 ~ Il Fatidico Momento ***



Capitolo 1
*** Prologo ~ La mia vita è finita. ***


~ . LE CINQUE FASI DI UNA GRAVIDANZA . ~
 
1.
La mia vita è finita.

L'ombra del tramonto oscurò i profili dei palazzi nella periferia di Mosca. Gli ultimi e flebili raggi del sole fecero brillare la neve ricaduta sui davanzali delle finestre, rendendola somigliante ad un cumolo di frammenti di vetro. 
Yuri spense la sigaretta nel posacenere, guardando per la terza volta consecutiva la porta del bagno chiusa a chiave. All'interno vi era Julia, immersa in un inquietante silenzio. 
Le mani della madrilena presero a tremare imperterrite. Le lacrime le salirono agli occhi, avvampandole di un tepore improvviso le guance. Il labbro inferiore cominciò a fremere, chiaro segno che di lì a poco sarebbe divenuta vittima di un interminabile pianto.
Nella sua testa regnò il caos: gioia e paura si mescolarono, trasformandosi in un'angosciante sensazione di panico più totale. Mille domande le attanagliarono la mente: come avrebbe reagito Yuri? E lei? Si sentiva realmente pronta?
Seppur titubante, afferrò la maniglia della porta e lentamente uscì dal bagno. A Yuri bastò guardarla negli occhi in una frazione di secondo per capire che vi era qualcosa che non andava.
Dunque rimase in silenzio, in attesa. Poi, quasi per disgrazia, il suo sguardo scivolò sulle mani di Julia.
Il tempo si fermò. 
Avvertì i primi ed inconfondibili sintomi dell'infarto.
No, un momento... era troppo giovane per un attacco di cuore.
O forse no. Diamine, che importanza aveva? 
«Quello è...»
Le parole gli si spensero in gola.
Julia annuì. «Un test di gravidanza.»
Il russo impallidì.
«E..?»
«Diventerai papà.»
Silenzio.
Un corvo volò vicino alla finestra, gracchiando.
Gli angoli della bocca di Yuri si curvarono all'insù, dando origine ad un sorriso forzato e dettato dall'isteria del momento.
Sentì la gola improvvisamente secca. 
«Puoi... puoi scusarmi un attimo?»    
Le voltò le spalle, dirigendosi in cucina. Julia lo seguì, sconcertata dal suo comportamente. Lo vide aprire il frigorifero, prendere la bottiglia di vodka e cominciare a berne una quantità industriale, senza fermarsi neanche per riprendere fiato. La madrilena spalancò gli occhi, incredula.
Gli strappò la bottiglia di mano con irruenza, rifilandogli un'occhiata severa e che non lasciava spazio ad eventuali ed inutili repliche.
«Ti sembra questo il momento giusto?!» lo rimproverò.
Yuri, per tutta risposta, sorrise ancora in quel modo tutt'altro che felice. 
«Sto festeggiando.» disse, ironicamente. Julia si accigliò.
«Non si direbbe.»  
«Devo solo... abituarmi.»
E così dicendo, senza degnarla di uno sguardo, si defilò in bagno, richiudendosi la porta alle spalle. Poggiò entrambe le mani sul lavandino, tenendo la testa china ed alzando lo sguardo quel poco che bastava per poter scorgere la propria immagine riflessa allo specchio.
«La mia vita è finita.»
... Continua ~

NDA: Piccola raccolta che racchiude i momenti più belli e terribili al tempo stesso di ogni coppia in procinto di diventare genitori=). Non è nulla di troppo impegnativo, perché l'intento di questi brevi racconti è quello di rilassarvi e divertirvi. Spero di riuscire in questa piccola impresa! E' un genere in cui ancora non mi riconosco, quindi è tutto un esperimento per me. Attendo vostre notizie, grazie in anticipo a chi deciderà di seguirmi.
Un abbraccio!

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Capitolo 2
*** Fase 1 ~ Confidarsi con gli amici è d'obbligo. ***


~ . LE CINQUE FASI DI UNA GRAVIDANZA . ~


2.
Fase uno: Confidarsi con gli amici è d'obbligo.

 



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Yuri s'impose di calmarsi, di placare i nervi balzati fuori da ogni controllo e di darsi un contegno. Il suo famigerato autocontrollo era andato a farsi benedire, letteralmente. Si rinfrescò il viso con dell'acqua fredda, per poi sedersi sul bordo della vasca dondolandosi avanti ed indietro nervosamente. Si rifiutò categoricamente di cominciare a mangiarsi le unghie, sebbene l'idea lo appagasse quanto l'infrenabile voglia di ubriacarsi come mai aveva fatto in vita sua. D'altro canto detestava quelle persone che non provavano neanche il minimo di vergogna nell'esibire con disinvoltura le unghie ridotte ad uno strato sottile di pelle – magari toccandoti il viso o sfiorandoti le mani dopo essersi mangiucchiati le dita cospargendole di saliva e residui di cibo rimasti incastrati tra i denti.
Yuri scosse la testa, sconvolto: per quale assurda ragione si stava arrovellando il cervello pensando alle unghie? Intuì di essere sull'orlo della pazzia, rassegnandosi ad un'aspettativa di vita trascorsa tra manicomi e camice di forza.
Si schiaffeggiò il viso, cercando di rinvenire da quello stato catatonico (ed imbarazzante) nel quale era piombato senza ritegno. Stentò a credere ai suoi occhi: lui, il freddo e temuto Yuri Ivanov, gettato allo sbaraglio di una gravidanza.
Si convinse che, volente o nolente, avrebbe dovuto affrontare il discorso con Julia.
Così, ricomponendosi, uscì dal bagno: la madrilena era seduta sul divano con il telefono tenuto fermo tra la spalla e l'orecchio. Sfogliava una rivista comprata quella mattina, chiacchierando in spagnolo. Il russo tirò un sospiro di sollievo: probabilmente stava dando la lieta notizia a suo fratello Raul.
Manco il tempo di farmi digerire la faccenda che subito lo sbandiera ai quattro venti...” pensò seccato, sbuffando tra i denti.
Poi, riflettendo, giunse quello che definì un colpo di genio.
I quattro venti, in fondo, sanno essere decisamente utili all'occorrenza.
Andò all'ingresso, recuperando il proprio cappotto e afferrando il cellulare. Digitò il numero dell'unica persona al mondo in grado di fargli prendere una sbronza degna di questo nome.
Non diede il tempo al suo interlocutore di spiccicare parola, perché subito disse: «Birra, vodka, grappa, benzina, cherosene... tutto quello che vuoi, ma vediamoci e ubriachiamoci!»

 

Boris guardò Yuri nello stesso modo con il quale si potrebbe guardare un pazzo.
Gli occhi spalancati, la bocca semi-aperta come a voler dire qualcosa. La sigaretta gli rimase tra le dita per svariati secondi, consumandosi ed accumulando cenere che cadde prontamente sul tavolo.
«Tu sei fottuto.» scandì poi, con ben poca delicatezza. «Sei in un mare di merda!»
Yuri si sentì prossimo ad una crisi isterica, così si catturò la testa tra le mani e cominciò a massaggiarsi le tempie divenute improvvisamente doloranti. Tutto quel pensare gli stava friggendo il cervello e nemmeno tutto l'alcol del mondo gli sarebbe stato d'aiuto.
«Così non mi consoli.»
Boris, in un primo momento, rimase a fissarlo con aria vacua, senza sapere con esattezza cosa dire. Decise di spremersi le sinapsi, quasi a voler rimettere in funzione la mente calcolatrice di cui disponeva.
«D'accordo, d'accordo!» fece, accendendosi un'altra sigaretta ed aspirando il fumo a pieni polmoni. «Sei sicuro che sia tuo?»
Yuri lo fulminò con lo sguardo. «Ti ricordo che stai parlando di mia moglie.»
«E quindi? Sai quante donne sposate se ne vanno a spasso saltando da un uccel...»
«BORIS!»
Questi alzò le mani in segno di resa, cambiando argomento: «Okay, va bene... allora l'unica soluzione è dirle che non ti senti pronto a diventare padre.»
«Ma sei matto? Sai che cosa significherebbe questo? Non potrei mai chiederle di rinunciare a suo... nostro... oh, cazzo.»
«Yuri, hai una minima idea di che cosa voglia dire un figlio? I bambini sbavano, urlano, piangono e distruggono tutto! Ma soprattutto fanno escrementi! Devi pulire la loro merda e neanche ti ringraziano per avergli pulito il culo.»
«Non è questo il punto.» mormorò Yuri, sempre più abbattuto e sconsolato. Mai si sarebbe aspettato di dover affrontare una faccenda delicata come quella. Non era nelle sue corde, abituato com'era a vivere senza una vera e propria cognizione di famiglia. In fondo, questo concetto, gli era stato negato sin dall'infanzia. Non sapeva neanche come fosse fatto un padre, quali ruoli dovesse ricoprire. Lui non ne aveva mai avuto uno e di certo non si aspettava di essere migliore dell'uomo che, tempo addietro, si era completamente dimenticato della sua esistenza condannandolo ad una vita di sofferenze.
Boris, immancabilmente, non centrò il fattore cruciale della sua disperazione, continuando a fornirgli un'inutile lista di motivi per i quali non avrebbe dovuto gioire dell'arrivo imminente di un figlio.
«Hai sempre detto che Julia ha un gran bel culo, giusto?»
Yuri aggrottò la fronte, confuso.
«Certo, è la verità.»
«Bene, dimenticalo!» esclamò lui, battendo un pugno sul tavolo. «Ed abituati alla cellulite e alle smagliature, perché con la gravidanza prenderà circa due taglie in più e ti tormenterà con insopportabili piagnistei nei quali ti dirà di essere grassa ed inguardabile.»
Convinto delle sue parole, esibì un sorriso sinistro ed inquietante al tempo stesso.
Yuri sapeva che Boris, in verità, non sorrideva: mostrava i denti o al massimo ghignava.
«E poi il sesso andrà a calare, lo farete così di rado che sarai costretto ad abbonarti a YouPorn come nel pieno dell'adolescenza.» proseguì, facendo gli ultimi tiri di sigaretta e spegnendola nel posacenere. Poi passò a bersi in un unico sorso un intero bicchiere di vodka. Se ne versò dell'altra.
Yuri allargò le braccia, esasperato.
«E quindi cosa dovrei fare?!»
«Niente. Puoi solo optare per la fuga, ma non ti farebbe onore.»
«Tu cosa faresti?»
Boris si rifiutò di credere alle proprie orecchie: davvero stava ponendo una domanda del genere a lui, il re della cattiveria? Oh, povero Ivanov.
«Meglio che non ti risponda.» fece, accennando un sorriso divertito. «E comunque la prossima volta ti consiglio di imparare l'arte del “Salto della Quaglia”.»
«Il che cosa?!»
«Il salto della quaglia!» ribadì con una semplicità tale da farla sembrare la cosa più stupida e banale del mondo. «Quando stai per raggiungere l'orgasmo, la prendi e la spingi altrove, lontana dal vulcano che sta per esplodere. Se ti sta sopra è molto più semplice.»
Yuri scattò in piedi, oramai al limite della sopportazione.
«Me ne vado.»
Boris lo afferrò per un braccio, costringendolo a restare fermo dov'era.
«Dai, sto scherzando!» si giustificò, «Dovresti conoscermi!»
«Anche fin troppo.»
Tra i due calò il silenzio. Yuri si accese una sigaretta, Boris ordinò un'altra bottiglia di vodka. La cameriera lo graziò di un sorriso piuttosto eloquente, lasciandogli intendere che sarebbe stata disponibile per lui a fine turno. Ed ovviamente, quel porco di Huznestov, non si tirò indietro. Anzi.
«Comunque.» cominciò, dopo aver scrutato da testa a piedi l'attraente cameriera ucraina bionda e dalla generosa taglia di seno. «Cos'è che ti turba veramente? Conoscendoti non è la metamorfosi del corpo di Julia a preoccuparti.»
In Yuri si riaccese un barlume di speranza: allora Boris non era del tutto insensibile. Forse, sotto sotto, qualcosa di umano in lui restava. Finalmente riconobbe quello che era stato e sarebbe rimasto il suo compagno di vita, l'unico in grado di cogliere ogni suo pensiero solo attraverso un semplice sguardo.
«Non ho mai avuto un padre.»
Ed inevitabilmente Boris capì quanta paura si celasse in Yuri. La paura di fallire, di commettere errori imperdonabili. Di non essere all'altezza di quanto stava cambiando nella sua vita. Non poté fare a meno di sentirsi angosciato dal timore dell'uomo che aveva dinanzi agli occhi. Vedere il suo capitano, ridotto in quello stato, gli fece stringere il cuore. Yuri era stato la sua ancora di salvezza, la sua colonna portante... ma ora, in quel preciso istante, quella splendida colonna di ghiaccio stava crollando in mille pezzi.
«Yuri, ascoltami...» disse, ponderando al meglio sulle parole più consone da usare. «Questo non è rilevante, sarai sicuramente un ottimo padre.»
Il russo gli sorrise grato, sebbene fosse poco convinto.
«Questo non puoi saperlo.»
«Beh, hai badato a me e a tutti gli altri. Non siamo cresciuti poi così male, no?»
Yuri ripensò a quanto dovettero affrontare durante l'infanzia, alle angherie subite ingiustamente e alle brutalità affrontate nella sofferenza di un passato impossibile da dimenticare. Ricordò di come si erano presi cura l'uno dell'altro, facendosi forza e sostenendosi come una vera e propria famiglia.
Sì, non vi era alcun dubbio: tutto quello che rappresentava la sua famiglia era Boris. Lui e nessun altro.
«Grazie, Borja.»
«Sono qui per questo.» rispose, avvicinandosi il bicchiere alle labbra e bevendo un sorso di vodka.
«Se Julia dovesse diventare troppo esigente, posso contare su di te?»
Per poco non si strozzò. Cominciò a tossire, picchiettandosi il petto con un pugno.
«Scordatelo!»

 

 

NDA: Visto che non avevo niente da fare questa sera, ho deciso di postare subito il secondo capitolo. Ebbene volevo ringraziare Pinca, Red (abbrevio, perdonami XD) ed Elysabeth per aver recensito il prologo di questo mio nuovo esperimento=).In questo capitolo il caro Yuri ha deciso di confidarsi con l'amico più vicino a lui: Boris. Non so se sia un bene o un male, ma lascio giudicare a voi XD.
Nel prossimo ci sarà un salto temporale, dunque vi presenterò una Julia alle prese con l'avanzamento della gravidanza e le conseguenti sciagure che si abbatteranno su Yuri - e su Boris, perché ovviamente lui devo sempre buttarlo nella mischia XD.
Bene, direi che è tutto. Attendo vostre notizie! :D

Ancora mille grazie a tutti!
Un abbraccio! 

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Capitolo 3
*** Fase 2 ~ Le voglie, gli sbalzi d'umore e le missioni impossibili. ***


~ . LE CINQUE FASI DI UNA GRAVIDANZA . ~

3.
Fase due: Le voglie, gli sbalzi d'umore e le missioni impossibili.


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Superato lo stupore e il timore iniziale, Julia si concesse qualche piccolo previlegio giustificato solo e soltanto dalla situazione attuale in cui si ritrovava. Capitava, di tanto in tanto, che la madrilena riuscisse a smuovere mezzo mondo per accontentare tutte le sue richieste - dalla più esigente a quella più banale, godendosi a pieno le attenzioni che Yuri, volente o nolente, era costretto a riservarle. Ovviamente il russo aveva mostrato inequivocabili segni di esaurimento nervoso già dopo le prime settimane di gravidanza, divenendo isterico e sempre più suscettibile. Nel nervosismo suscitato dai costanti voleri di Julia, venne tirato - inevitabilmente - in mezzo anche Boris. Quest'ultimo, ora vittima degli sbalzi ormonali della Fernandéz, non poté rifiutarsi di aiutare Yuri in quell'impresa folle, poiché il suo adorabile capitano gli aveva imposto di non abbandonarlo - in caso contrario, gli avrebbe reso la vita un vero e proprio inferno. E dinanzi a tale minaccia, Boris si convinse che, tra lui e Julia, quello gravido fosse in realtà Yuri.
Dopo aver rincasato, Boris si gettò stancamente sul divano. Le mille buste e confezioni ottenute dopo un'intera giornata dedicata allo shopping sfrenato (l'unico mezzo di consolazione valido, a detta di Julia) giacevano ai suoi piedi. Il russo le guardò con odio, come se fossero state delle bombe ad orologeria pronte ad esplodere da un momento all'altro.
«Non avrete mai la mia pellaccia, maledette!» disse poi, indicando con il dito i suddetti oggetti. Poi, dopo aver riflettuto, promise a se stesso che, trascorso il fatidico giorno della nascita del demonio nel grembo di Julia, si sarebbe dichiarato morto; in questo modo nessuno avrebbe più potuto scocciarlo ed usarlo come maggiordomo.
Sorrise ed annuì compiaciuto della propria e folle idea, osservando il vuoto davantì a sé. Julia si inquietò.
"E' completamente impazzito..." pensò difatti, avvicinandosi titubante a lui.
«Boris, devo chiederti un ultimo favore.»
A quel punto ci mancò davvero poco per far sì che il russo esplodesse di rabbia. Guardò Julia con uno sguardo assassino, quasi a voler manifestare quanto stufo fosse di essere comandato a bacchetta da lei.
Al diavolo!
«Sento che il bambino ha voglia di fragole.»
Boris scattò in piedi, incredulo. Gli occhi completamente spalancati e le braccia lasciate ricadere molli lungo i fianchi.
«Fragole?!» ripeté, sconvolto. «Julia, siamo in Russia! Ed è gennaio, per giunta!»
«Qualcuno dovrà pur averle!»
«Tu sei fuori di testa! Se pensi di poterti prendere gioco di me, ti sbagli di grosso!»
«Potresti almeno provarci!»
«La risposta è no.»
Julia incrociò le braccia al petto, seccata. Rifilò a Boris un'occhiata maligna, cominciando a bramare vendetta. Nella sua mente si materializzò l'immagine di una coppa di frutta fresca, con fragole tagliate a cubetti e arricchite da un invitante sciroppo al cioccolato spalmato sopra. Il suo stomaco brontolò e il bambino le tirò un calcio in segno di protesta; sembrava volerle dire: "Perché immagini qualcosa che non mi puoi dare?". Si appoggiò una mano sul pancione, cominciando ad accarezzarlo dolcemente.
"Sai, mamma... tu hai un grande potere, usalo."
Sapeva che, in verità, non era veramente il bambino a parlarle, ma la sua immaginazione. E, malgrado ne fosse consapevole, optò per sfruttare la cosa a suo favore. Boris si rifiutava di accontentare tutti i suoi capricci? Perfetto. Allora lei gli avrebbe dato del gran filo da torcere, ricorrendo all'ausilio di tutti i mezzi a sua disposizione. Se c'era una cosa che aveva imparato dalla relazione con Yuri, era quella di non darsi mai per vinta nel confronto con una persona testarda quanto lei.
Sulle labbra prese forma un sorriso sinistro. Si voltò in direzione di Boris, seduto sul divano intento a guardare la televisione.
Si piazzò davanti a lui, guardandolo dritto negli occhi. Cercò di fare mente locale e di ricordare gli insegnamenti appresi durante i corsi di teatro ai quali aveva partecipato anni prima, inscenando una tragedia degna del premio oscar. Le sue doti da attrice melodrammatica avrebbero fatto invidia a qualsiasi attrice hollywoodiana.
«Tu... tu...» cominciò, fingendo di piangere. «E' così che mi ripaghi? Dopo tutto quello che ho fatto per te?»
E senza dare il tempo necessario a Boris per rendersi effettivamente conto di quello che stava per accadere, Julia cominciò a singhiozzare senza alcun ritegno. Si nascose il viso tra le mani, scuotendo le spalle per simulare i fremiti del pianto.
«Pensavo fossi mio amico!»
Boris alzò gli occhi al cielo, estasiato. Ci mancava solo questa!
Si alzò dal divano, avvicinandosi a Julia e cercando di rincuorarla.
«Perché piangi? Cos'ho fatto adesso?!»
«Sono incinta, ho le gambe gonfie...» cominciò lei ad elencare, ponderando al meglio sulle parole da utilizzare per rendere il tutto ancora più realistico. «Mi fanno male i piedi, non riesco a chiudere occhio alla notte e Yuri è un pezzo di ghiaccio con me!»
Il russo, disperato, si guardò intorno alla ricerca di una qualsiasi via di fuga. Tuttavia, per quanto detestasse ammetterlo, gli dispiaceva lasciare Julia in quelle condizioni... in fondo gli faceva pena.
Le diede qualche pacca sulla spalla, sperando di riuscire a consolarla e di placare quella lagna.
«Dai, su, non piangere.»
«E adesso ti ci metti anche tu a trattarmi male! Perché mi odiano tutti?!»
Boris maledì ed imprecò contro tutti i santi del mondo, di qualsiasi religione essi fossero, chiedendosi cosa avesse fatto di tanto sbagliato nella vita da meritarsi tutto questo.
«Mi dispiace, okay?» disse, giunto al limite di sopportazione. «Perdonami! Cosa posso fare per farti smett... ehm, per farmi perdonare?»
La madrilena smise di piangere, tirò su con il naso e sorrise con innocenza. Sembrava una bambina.
«Potresti comprare qualcosa che sappia di fragole, per favore? Qualsiasi cosa.»
Boris borbottò qualcosa in russo, sottovoce. Dopodiché, senza neanche degnarla di uno sguardo, si avviò all'ingresso. Si infilò la giacca ed uscì di casa, richiudendosi la porta alle spalle con irruenza.
Julia saltellò allegra e soddisfatta. Si passò una mano tra i capelli ed infine disse: «Chi è il freddo calcolatore ora?!»


Boris entrò all'interno del supermercato, vagando per svariate corsie e passando in rassegna numerosi scaffali alla ricerca di un qualsiasi-cosa che sapesse di fragola. Così prese un carrello e cominciò a rovesciarci caramelle, dolcini ipercalorici e bevande dal sospetto colore rosso. Non osò neppure immaginare quanti coloranti ci fossero e si chiese se avrebbe fatto bene al futuro nipotino tracannare quella roba dolciastra. Dopo un attimo di riflessione, scrollò le spalle e decise di acquistarne due bottiglie.
Spinse il carrello con fare svogliato, ascoltando distrattamente la voce acuta di una cassiera che richiamava l'attenzione di una certa signora dal cognome giapponese. Kagagashi? Kagacazzi? Non aveva importanza.
Fece per avvicinarsi alla cassa e pagare, quando piombò davanti ad un cartello pubblicitario: delle scritte a caratteri cubitali raccomandavano il consumo indicato soprattutto a bambini e a donne in dolce attesa, acclamando il nuovo gelato della Privét Co. che godeva - a quanto si evinceva - di moltissime certificazioni mediche e scientifiche.
"Quante stronzate..." pensò Boris, "In realtà ci state avvelenando tutti."
E fu proprio in quel preciso momento che gli si accese la fatidica lampadina sulla testa: tornò indietro e lesse meglio.
"Consigliato alle future mamme e disponibile in moltissimi gusti: cioccolato, limone, fragola, menta..."
FRAGOLA.
Per Boris il mondo si fermò. Le automobili fuori dall'edificio, le persone all'interno e tutto ciò che lo circondava smisero di muoversi per un tempo che a lui parve protendersi all'infinito.
Nella sua testa echeggiò la parola "fragola", come se l'onnipotente fosse sceso in terra appositamente per lasciargli un messaggio che avrebbe rivelato i misteri più fitti della vita sulla terra.
«Gelato.» disse, apatico. «Gelato alla fragola. Alla fragola
Si lanciò, letteralmente, in direzione dei banchi-frigo, individuando l'unica e sola confezione rimasta. Allungò una mano per prenderla, ma quella piccola e paffuta di un bambino al suo fianco fu più veloce.
Il russo aggrottò la fronte, voltandosi in direzione del marmocchio con fare seccato.
«Hey, tu.» gli disse con tono duro. «Dammi il gelato, forza. L'ho visto prima io.»
Il bambino, per tutta risposta, scosse energicamente la testa.
«Non essere stupido, ragazzino.» continuò ad insistere Boris, «Lo sai che il gelato fa male? Fa diventare brutti e cattivi.»
«Come te!»
Le guance di Huznestov avvamparono di calore, sino ad assumere un colorito tendente al rosso. Si sentì offeso e ferito nell'anima, sepolto vivo sotto una valanga di vergogna.
Strinse i denti, serrando la mascella. Rifilò al bambino un'occhiata omicida.
«Tu ora mi darai quel gelato, subito.» sibilò, iracondo. «Altrimenti giuro che ti vendo alla strega Baba-Jaga[*
Il bambino spalancò gli occhi, terrorizzato.
«Aiutoooo!» gridò, iniziando a correre.
Boris lo inseguì, determinato ed ostinato a riprendersi quella dannata confezione di gelato alla fragola. Preferiva di gran lunga spaventare un poppante antipatico piuttosto che dover sopportare ancora i capricci di Julia.
«Vieni subito qui!»
«Mammaaaa! Aiuto!»
Percorsero l'intero supermercato, schivando carrelli e scontrando diverse persone e materiale in esposizione. Il bambino si lanciò su una piramide di lattine che caddero e cominciarono a rotolare sul pavimento.
Boris inciampò su una di queste, cadendo di pancia e slittando per una dozzina di metri. Si fermò solo dopo essersi schiantato addoso ad una signora anziana. Questa, furibonda, lo colpì svariate volte con il proprio bastone.
«Brutto maniaco! Non guarderai sotto la mia gonna!»
«Ahi, ahi! Si fermi, signora!»
Ma la vecchietta non si arrestò, anzi: continuò a prenderlo a bastonate, rivolgendogli insulti di ogni tipo.
Pervertito, depravato, poco di buono...

La Crème de la Crème, insomma.
Riuscì finalmente a sgattaiolare via, rialzandosi sulle proprie gambe e riprendendo a correre.
Raggiunse il farabutto, afferrandolo per il bavero della giacca e sollevandolo da terra. Questi scalciò e tentò in ogni modo di liberarsi, ma fu tutto inutile.
«Dammi il gelato. ADESSO.»
Il bambino obbedì, poi scoppiò a piangere. Boris lo ignorò, maledicendolo.


Quando aprì la porta di casa, si ritrovò immerso in un confortevole calore e silenzio. Si guardò intorno con circospezione: Julia non era nei paraggi, il che lasciò presagire a Boris di avere il tempo necessario per andare furtivamente in cucina, di riporre gli acquisti in dispensa e di poter fare tutto con calma e tranquillità. Tirò un sospiro di sollievo, poi posò le buste della spesa sul tavolo, cominciando a smistarne il contenuto.
«Roba da matti...» disse in un sussurro, «Guarda te cosa mi tocca fare! Manco fosse mia la moglie incinta! Yuri mi sarà debitore per tutta la vita.»
E mentre sperò di potersi rilassare, Julia gli saltò addosso - in tutti i sensi, rischiando persino di fargli prendere una facciata in terra.
Sobbalzò per lo spavento, agitando le mani nervosamente e lasciandosi sfuggire un grido tutt'altro che mascolino.
«Sei impazzita?!»
«Boris!» pronunciò lei, «Ho preso cinque chili! Sono grassa, vero?!»
Il russo la guardò stizzito, senza riuscire a nascondere il rancore che provò nei suoi confronti in quel momento. Per colpa sua, quel giorno, aveva dovuto affrontare le pene dell'inferno. Insomma, si era ritrovato ad inseguire un bambino pestifero, per poi essere picchiato da una scorbutica vecchietta. E tutto questo solo ed esclusivamente per accontentare le sue richieste assurde. Peggio di così, vi era solamente la castrazione!
«Adesso smettila di frignare.» le ordinò, cercando di prendere esempio da Yuri e di mostrarsi autoritario quanto lui. «Ti ho comprato il gelato alla fragola, quindi mangialo e non rompermi più i coglioni.»
Gli occhi di Julia si spalancarono, le pupille si dilatarono come se avesse ricevuto una pugnalata in pieno petto. Grugnì qualcosa in spagnolo, lingua incomprensibile per Boris. Neppure provò a tradurre quanto espresso da lei, perché le voltò le spalle con l'intenzione di tornarsene nel suo appartamento (quello affianco, nello specifico) una volta per tutte.
«Io ti sto dicendo che sono ingrassata e tu, immonda creatura, mi rispondi di mangiarmi il gelato?!» gli gridò, andandogli dietro.
Boris si fermò, interdetto. Quella donna lo avrebbe mandato al manicomio, oramai non aveva più dubbi. Yuri era un santo, altroché!
«Senti, di queste cose non devi parlarne con me. Tu, in quanto moglie di mio fratello, per me sei asessuata. Non ti vedo né grassa, né magra. Chiaro?»
«Asessuata?!» ripeté lei, incredula di quanto aveva appena sentito. «Quindi è per questo motivo che il tuo amichetto non vuole più fare sesso con me? Perché sono asessuata?!»
A Boris cominciò a fargli male la testa: tutto quel nervoso si stava rivelando letale per lui. Prima o poi ci avrebbe lasciato le penne. Ma forse sarebbe stato meglio, viste le circostanze.
«Io come faccio a saperlo?! Chiedilo a lui, cazzo!»
«Stronzate!» esclamò la madrilena, incrociando le braccia al petto. «Voi due parlate di tutto, siete come due zitelle pettegole.»
«Yuri è una persona riservata, non mi parla di quello che fa a letto con te. Quindi, se proprio vuoi delle risposte, parla con lui. E comunque, a dire il vero, penso sia inquietante fare sesso con una donna incinta. E se lo dico io, significa tanto. Credimi.»
Julia avrebbe voluto rispondergli a tono, ma avvertì una sgradevole sensazione risalirle dallo stomaco. Si coprì la bocca con una mano, sentendo che non sarebbe riuscita a trattenersi ancora per molto.
«N-naus...ea...»
E così dicendo, corse in bagno. Si inginocchiò sul pavimento, alzò la tavoletta del WC e rigettò il pranzo. Boris, alle sue spalle, le prese i capelli, tenendoglieli sulla schiena.
"Dio me ne scampi dall'avere moglie e figli!" pensò, aiutando la spagnola a rialzarsi e ad avvicinarsi al lavandino.
«Tutto bene?»
Lei annuì, sciacquandosi il viso e la bocca. Il retrogusto dei succhi gastrici le si appiccicò al palato. Detestava le nausee e dover correre tutti i santi giorni a vomitare. Si augurò che quel periodo passasse presto.
«Grazie per il gelato.» disse poi, sorridendo.
Boris, al contrario, rimase serio in volto. «Solo per il gelato?» susseguì a domandarle.
Julia alzò gli occhi al cielo e sbuffò, spazientita.
«Che sarà mai stare un pochino dietro ad una tua amica?»
Si trattenne dall'impulso di strangolarla con le sue stesse mani.
Un pochino?! Osava davvero definire "poco" quella sorta di Via Crucis?
La sorpassò, uscendo da bagno. Borbottò parole poco ortodosse.
Gettò un'occhiata all'orologio appeso alla parete adiacente: le diaciannove e ventitré. Yuri sarebbe tornato presto a casa.
... Finalmente!

 

Seduto nella sua automobile, Yuri era in procinto di tornare a casa. Il traffico cittadino scorreva lento e scostante. La donna sulla cinquantina alla guida della macchina dietro di lui continuò imperterrita a premere il clacson. Ciò favorì ad incrementare lo stress di cui era in balia Ivanov, il quale aveva sviluppato un'ampia gamma di tic nervosi. Non dormiva decentemente da una settimana, il suo capo lo aveva sommerso di lavoro da inserire entro scadenze fuori dal normale e il suo cellulare non avevo smesso di squillare per tutto l'arco della giornata. Boris lo aveva tempestato di messaggi attraverso i quali lo malediceva e lo invitava ad andarsene amabilmente in un posto specifico; Julia, invece, lo aveva chiamato per circa sei volte consecutive, tenendolo al corrente delle nauesee continue e delle voglie assurde di cibo che tendevano ad alternarsi ogni ora. Poi, inevitabilmente, c'era stata la telefonata del cognato Raul: questi, sebbene avesse una parlantina più sopportabile rispetto a quella della sua dolce consorte, lo aveva tenuto inchiodato in una conversazione che si era protesa per ben due ore.
Pertanto, la prima ed irresistibile reazione iniziale, fu quella di lanciare il telefono dal finestrino della macchina. Non si capacitava proprio della ragione per la quale il mondo si ostinasse a conversare con lui, l'emblema dell'anti-sociale. Proprio lui che amava il silenzio, la solitudine, il non sentire il bisogno di confrontarsi con altri esseri dotati della capacità di pensiero o di parola. Per questo, nella maggior parte delle volte, si era ritrovato ad escogitare diverse scappatoie che gli fornissero la possibilità di diventare un eremita. Il suo sogno più grande era quello di andare a vivere sulle montagne, isolato dal mondo circostante. Lontano da tutto e da tutti.
Mise la freccia e svoltò a destra, quando un boato attirò la sua attenzione. La macchina fu scossa da un vigoroso fremito, costringendolo a sobbalzare e a lasciare, di colpo, il pedale della frizione. Il motore, così, si spense. Imprecò tra i denti, azionò le quattro frecce ed uscì dall'auto.
Ciò che vide lo spinse ad avvertire, per la seconda volta, i sintomi dell'infarto: la signora che suonava il clacson, lo aveva tamponato. Il paraurti posteriore pendeva ammaccato sull'asfalto. La targa era completamente accartocciata. Il vetro del fanale posteriore destro frantumato in mille pezzi. Chiuse entrambe le mani a pugno, contando mentalmente sino a dieci onde evitare di compiere una strage.
Uno, due, tre...
La donna scese dalla Mercedes con le mani tra i capelli, la lunga pelliccia che indossava strascicò sulla neve.
«Oh, santo cielo!» esclamò, «Disgraziato! Perché non hai messo la freccia?! Mio marito mi ucciderà!»
«La freccia l'ho messa eccome, signora.» rispose Yuri, cercando di mantenere la calma. «Forse dovrebbe cominciare a guardare la strada, anziché suonare il clacson inutilmente.»
La signora sbatté più volte le lunghe ciglia, fingendosi innocente.
«Tesoro, io guardavo la strada. Sei tu che non hai messo la freccia.»
Quattro, cinque, sei...
Yuri decise che fosse arrivato il momento di tagliare corto. Non aveva la benché minima intenzione di stare al freddo a perdere del tempo con una sconosciuta.
«Comunque è lei ad essere in torto, quindi mi fornisca i dati.»
«Puoi scordartelo! Io non ti do proprio un bel niente, hai capito?!»
Sette, otto, nove...
«Signora, non mi faccia perdere tempo. Mi dia i dati e la finiamo qui.»
Ma lei diede come l'impressione di non capire la sua lingua, come proveniente da un mondo esterno e a parte. Scosse la testa più volte, lasciando ondeggiare la sua lunga chioma di boccoli dorati. Sorrise con arroganza a Yuri, facendolo spazientire ulteriormente.
«Perché non vai a scocciare qualcun altro?» seguitò a rispondergli, voltandogli le spalle ed incamminandosi in direzione della propria macchina.
Dieci.
Yuri non riuscì a trattenersi: la raggiunse in poche ed ampie falcate, afferrandola per un braccio ed imponendole di fermarsi. Le diede uno strattone, riuscendo a farla girare verso di lui. Questa lanciò un grido di terrore, frugando nella propria borsa alla ricerca di qualcosa per potersi difendere.
«Mi stia bene a sentire.» cominciò il russo, pronunciando quelle parole a denti stretti e a pochi centimetri di distanza dal volto della donna. «Non me ne frega un cazzo di suo marito, se la ucciderà o che cosa ne so io, lei mi deve ripagare i danni! E lo farà adesso, nell'immediato. Perché io non ho tempo e tantomeno voglia di farmi prendere per il culo da una qualunque spocchiosa di cinquant'anni incapace alla guida.»
Lei, attraverso uno scatto repentino, estrasse quella che sembrava essere una boccetta di profumo. Yuri guardò meglio, ma non ebbe il tempo di allontanarsi o perlomeno di difendersi, perché la donna premette il tasto apposito e rilasciò una sostanza che per poco non gli centrò gli occhi. Tuttavia avvertì ugualmente un fastidioso bruciore tanto forte da farli lacrimare, obbligandolo a nascondersi il viso tra le mani. Lasciò la presa sulla donna, fornendole l'occasione propizia per liberarsi e fuggire. Risalì in auto e ripartì a tutta velocità, lasciandolo solo a girovagare senza una meta precisa in mezzo alla strada. Ad occhi esterni, sembrò un pazzo. E proprio in quel preciso istante, passò una volante della polizia che si fermò affianco a lui. Uno dei due agenti abbassò il finestrino, affacciandosi e guardandolo confuso.
«Hey, lei! Si può sapere che cosa sta facendo?!»
Ma Yuri era troppo preso dalla rabbia e dal dolore per poter rispondere decentemente, limitandosi a gridare insulti ed imprecazioni rivolte ad un'entità sconosciuta.
Poi, finalmente, riuscì vagamente a spiegarsi: «Quella maledetta mi ha sfasciato la macchina e mi ha spruzzato qualcosa in faccia!»
«Di chi sta parlando, scusi?»
Si strofinò gli occhi, asciugandosi le lacrime con la manica della giacca. Tutto inutile, il bruciore non si era attenuato.
«Di quella pazza che mi ha tamponato poco fa!» rispose, «Possibile che il mondo abbia puntato il dito contro di me?!»
L'altro, incuriosito, aprì la portiera e si avvicinò a lui – intenzionato, più che altro, a capire cosa fosse realmente successo.
«Ha preso il numero di targa?»
«Non ne ho avuto il tempo. Maledetto il giorno che mia moglie mi ha riferito di essere incinta, è cominciato tutto da lì. Sono sempre stato sfigato, ma questa volta sto toccando il fondo.»
Negli occhi del poliziotto si accese un'insolita scintilla, quella di chi riesce a comprendere l'angoscia altrui. Preso da un impeto di solidarietà e comprensione, appoggiò una mano sulla spalla di Yuri.
«La capisco, sono padre di due figli. Tra poco arriverà il terzo ed ogni volta è una tortura.»
I due si abbracciorono, consolandosi e facendosi forza a vicenda.
Il collega del poliziotto, precisamente una donna al quarto mese di gravidanza, li incenerì con lo sguardo. Scosse la testa, fissando la propria immagine riflessa sullo specchietto retrovisore e disse: «Come se fossero loro a dover sopportare il peggio, che idioti!»

 


[*]Strega Baba-Jaga (in russo: Ба́ба-Яга, pronuncia: Baba-Iagà) --> corrisponde al nostro “Uomo Nero”. Sarebbe una mostruosa vecchietta che possiede oggetti incantati ed è dotata di poteri magici.
In una serie di fiabe viene paragonata ad una strega. Spesso è un personaggio negativo.

NdAOkay.
Che cosa ho scritto?! D:
Questo penso che sia il capitolo più demenziale che abbia mai pubblicato in vita mia.
Ammetto di essermi divertita e spero di riuscire ad esprimere il medesimo sentimento in voi, miei cari lettori :D
La gravidanza di Julia si sta rivelando piuttosto impegnativa non solo per lei, ma anche per quei poveri sfigati di Yuri e Boris – quest'ultimo, in particolare; costretto a farle da balia e a sorvegliarla ventiquattro ore su ventiquattro XD.
Nel prossimo capitolo parlerò di quella che è la vita quotidiana di Yuri e Julia, dandovi modo di capire come affrontano la vita matrimoniale. A dire il vero, lo scopriremo insieme, perché non ho mai scritto niente del genere...
Come sempre, ringrazio tutti quelli che mi hanno seguita fino a qui.
Grazie, ragazze! Le vostre recensioni mi danno sempre la carica per andare avanti e per credere in questa mia passione della scrittura :-). Scrivo per me stessa, ma anche per voi. Fatemi sapere che cosa pensate di questo terzo e nuovo capitolo!
Un abbraccio,
Pich. ♥

 

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Capitolo 4
*** Fase 3 ~ I momenti per Lei&Lui e la Vendetta di Boris. ***


~ .♥ LE CINQUE FASI DI UNA GRAVIDANZA. ~

4.
Fase tre: i momenti per Lei&Lui e la Vendetta di Boris.


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L'intangibile legge matematica delle relazioni impone che – appurato l'arrivo di un bebè – le attenzioni ricadano solamente alla mamma in dolce attesa. E che, inevitabilmente, quelle piccole e piacevoli sfaccettature di un rapporto, quali le coccole ed il sesso, passino in secondo piano, aumentando lo stress del futuro padre. Non a caso, vi erano state delle discussioni tra Julia e Yuri; ma, ironia della sorte, a mendicare più interesse, era stata proprio la madrilena. Ella era convinta che, il freddo e temuto capitano della NeoBorg, avesse cominciato a trascurarla, trattandola quasi come una macchina sforna-figli anziché come una moglie. Ed iraconda aveva accusato il russo di essere un insensibile pezzo di ghiaccio capace solamente di mandare fuori ogni controllo i suoi nervi già poco stabili per via della gravidanza.
Così, sebbene avesse parecchie remore a riguardo, quella domenica Yuri aveva deciso di dedicarla completamente a Julia. Dopo aver pranzato in uno dei ristoranti più rinomati di Mosca, si concessero di passeggiare in serenità in un grande parco ai piedi del Teatro Bolshoi. Successivamente a svariati tentativi da parte della spagnola di camminare mano nella mano (richiesta non esaudita da Yuri, in quanto non reputava strettamente necessario dare effusioni d'amore in pubblico), avevano optato per sedersi su una panchina ad ammirare il tramonto.
«Vedi? Quando vuoi, sai essere un bravo marito.»
Julia si divertì a punzecchiare Yuri, esattamente come era solita fare. Perché il loro amore non era composto da parole sdolcinate e da gesti smielati, bensì da sorrisi e momenti speciali condivisi tacitamente. Perché entrambi esprimevano quanto immenso sentimento bramassero l'uno per l'altra attraverso lo sguardo. Un solo e semplice sguardo. Tutto espresso con un battito di ciglia, con un movimento specifico del corpo. Le parole, oramai, erano divenute superflue.
Anche se...
«Stavo pensando ad una cosa.» disse Julia con la testa appoggiata alla spalla del russo.
Questi si voltò in sua direzione, quel poco che bastava per poterla guardare negli occhi. In quegli splendidi occhi verdi, gli stessi occhi che, anni prima, lo rapirono.
«A che cosa?» le chiese.
«Non hai mai detto di amarmi.»
Yuri rimase in silenzio, non sapendo che cosa rispondere. Julia si drizzò con la schiena, posando le mani sul pancione e guardandolo stranita. Il cuore le mancò di un battito e la mente si ristrinse ad un subbuglio di immagini confuse.
Forse lui, in verità, non l'aveva mai amata e questo timore favorì a gettarla in un baratro di paranoie agghiaccianti. Sentì la terra mancarle sotto i piedi, come a precipitare nell'infinità del buio senza fine.
«Certe cose non c'è bisogno di dirle, si dimostrano.» rispose poi Yuri, lasciando scivolare lo sguardo prima sul ventre tondo e sporgente di Julia e poi sul suo volto.
Lei gli stava dando la possibilità di vivere realmente, di scoprire i doni di una vita normale e priva di terribili torture. L'infanzia passata, grazie a lei, ora si era tramutata in un lontano ricordo. Sbiadito dal tempo, sostituito dalle emozioni che soltanto Julia era riuscita a fargli provare.
«Sì, ma... tante volte ho paura che non sia così.»
Yuri corrugò le sopracciglia, confuso.
«Ti ho sposata, stiamo per avere un bambino... queste sono prove intangibili.»
Julia annuì, ma senza riuscire a nascondere la delusione del momento. Yuri capì tutto.
Sorrise divertito.
«Cos'è, vuoi sentirtelo dire?»
Lei si irrigidì. «No, figurati!»
Il russo rincarò la dose. «Sicura?»
Le guance di Julia avvamparono di calore. In imbarazzo e a disagio, si mosse con irruenza sulla panchina. Malgrado gli anni trascorsi insieme, Yuri era ancora capace di andare a toccare proprio quei nervi scoperti che la mandavano in crisi. Non si capacitava di come ci riuscisse, semplicemente sapeva di amare quella tipica caratteristica di suo marito. L'anima simile ad uno specchio attraverso il quale Yuri sapeva coglierne ogni sfumatura, facendola sentire parte indissolubile di lui.
Tornò a guardarlo negli occhi, in quell'azzurro freddo ma che sapeva esprimere anche calore. Un calore disarmante, in grado di lasciar cedere ogni difesa.
E Julia, per questo, si sentiva di poter essere se stessa con lui. Senza freni, senza vie di mezzo.
Libera di amarlo.
«Forse.» ammise infine.
Yuri sorrise ancora, per poi sporgersi vicino al suo viso. Le loro labbra si sfiorarono.
«Io ti...»
Il cuore di Julia picchiò violentemente in petto.
Avvertì l'eco dei battiti.
Tum, tum, tum...
«...preparo qualcosa per cena, stasera. Così non potrai più lamentarti, va bene?»
Spalancò gli occhi, incredula. Si stava prendendo gioco di lei.
«Sei uno stronzo!»
Yuri rise di gusto, scattando in piedi e chinandosi in terra per raccogliere della neve. L'appallottolò con le mani prive di protezioni o di guanti, senza avvertirne il fastidioso freddo. Poi la lanciò in direzione di Julia, centrandole la faccia.
Questa, arrabbiata, grugnì qualcosa di incomprensibile.
«¡Eres solo un maldito ruso!» esordì in seguito, alzandosi anche lei dalla panchina e raggiungendolo con un'espressione minacciosa dipinta in volto. Afferrò il cappuccio della giacca di Yuri e lo tirò verso di sé, facendogli perdere l'equilibrio e spingendolo in terra.
Yuri mostrò il disappunto di quel gesto attraverso lo sguardo. Il viso contratto in un'espressione imbronciata, come se avesse subito un torto imperdonabile. Julia, al contrario, ridacchiò soddisfatta, quando venne tirata verso il terreno. Si ritrovò a cavalcioni sul marito, avvertendo il leggero tepore delle sue labbra appoggiate alle proprie. Yuri la baciò dolcemente, mostrandole un sorriso tanto bello quanto indecifrabile. Quel gesto, difatti, aveva mille significati e solo lei poteva conoscerne l'origine dettata dai loro cuori ardenti e colmi d'amore. Ed il peso di quegli anni passati cercando di capire i silenzi di lui, le sue frasi lasciate a metà e le parole non pronunciate ma dimostrate, di colpo svanì. Perché Julia, ora più che mai, ricordò quale era stato il motivo che la spinse ad innamorarsi del russo. E mai nella vita fu tanto sicura delle proprie scelte.
Rimasero in quella posizione per poco, ma ad entrambi sembrò che il tempo si fosse fermato, rimanendo proteso sullo stesso secondo all'infinito.
Tutti e due fermi ad ammirare l'uno la bellezza dell'altra.
Yuri appoggiò una mano sulla pancia di Julia, per poi sporgersi a baciarla.
Fu allora che comprese quanto realmente fosse importante per lui.


Il telefono squillò, rispose nell'immediato.
«Stiamo tornando a casa.» disse l'altro, «Allora vuoi procedere?»
«Certo, voglio vendetta!»
«Bene, allora ti avviso quando sarà il momento.»
«D'accordo.»
Chiuse la telefonata, fumando gli ultimi tiri di sigaretta.
Gli angoli della sua bocca si curvarono all'insù, originando un sorriso sinistro.


Quando si misero a letto, Julia si accomodò sul petto di Yuri. Questi accese la televisione in attesa della nuova puntata di The Walking Dead[
1]. La madrilena, non esattamente un'amante della serie, brontolò contrariata per poi essere ignorata come se niente fosse successo. A quel punto si accigliò, cominciando ad infastidire il russo: si puntellò sui gomiti, avvicinando il viso al suo e coprendogli la visuale. Yuri riuscì solamente ad intravedere la mazza da baseball di Negan volteggiare per aria.
«Ti sposti, per favore?» chiese, seccato. Cercò a tastoni sul letto il telecomando, provando a mettere in pausa. Julia, però, non gli lasciò il tempo necessario per farlo.
«Sai, si potrebbe fare dell'altro anziché guardare mandrie di zombie sbudellati...»
Inarcò un sopracciglio, confuso.
«Cioè?»
Lei lasciò spazio all'interpretazione, scoprendosi un poco il seno dalla camicetta del pigiama. Il suo sguardo divenne inequivocabile, lasciando intendere perfettamente le sue intenzioni. Superato il primo trimestre della gravidanza, Julia si sentiva al massimo dello splendore: il seno era rigoglioso, la pelle più morbida e i capelli fluenti. Il desiderio era tornato forte come non mai, sebbene non fosse mancato neanche nei mesi precedenti.
Lo baciò e lui, preso dal momento, la lasciò fare. Quando, ad un tratto, la sua attenzione fu catturata altrove: gli altoparlanti della televisione sprigionarono gli inconfondibili suoni e rumori di una sparatoria, spingendo il russo a riaprire gli occhi e a guardare le immagini trasmesse. Rick, finalmente, aveva deciso di ribellarsi alla tirannia di Negan, aprendo il fuoco contro una delle basi operative dell'antagonista. Erano mesi che aspettava questo momento!
Prese Julia per le spalle e la spostò poco più in la. Lei gli tirò una gomitata, ma fu nuovamente ignorata. Daryl schioccò una freccia con la sua famigerata balestra, centrando la testa di uno zombie che si era avvicinato minacciosamente a lui e al suo gruppo. Amava quella serie televisiva, non poteva proprio farne a meno.
«Non ho parole.»
«Finiscila.» rispose Yuri, con ben poco garbo. «Tu mi hai costretto ad intere settimane di astinenza per quella cagata di Paso Adelante[
2].»
«Beh, tu lo stai facendo da quattro mesi!»
Riuscì finalmente a mettere in pausa, voltandosi verso di lei.
«Sei incinta.»
«E quindi?»
«E'... strano.»
Julia scosse la testa, incapiente. «Vuoi deciderti a spiegarti una volta per tutte?» lo incitò poi, sbuffando e sistemandosi la frangia con una passata rapida di mano.
«Avanti, Julia!» esclamò, esasperato e a disagio. «E' come se lo facessimo davanti a lui!»
La madrilena sobbalzò, ritrovandosi semi-seduta sul letto. Scacciò le coperte con irruenza, decisa ad alzarsi. Si rifiutò di credere alle proprie orecchie: dopo tutti quei mesi a lasciarsi logorare dalle più atroci paranoie, aveva finalmente scoperto il motivo per il quale Yuri non la toccava da tempo. La gravidanza.
Dannazione, perché non gliene aveva parlato subito? L'insofferenza che bramava per il mutismo di suo marito era giunto a limite.
«Huevon!» sbraitò, «Cabeza de Choto!»
Yuri l'afferrò per un polso, riportandola a sé.
«Che cosa hai detto?» seguitò a domandare.
«Meglio che tu non lo sappia!»
Il russo si spazientì e lo dimostrò attraverso lo sguardo, divenuto più freddo del solito.
«Si può sapere qual è il tuo problema?!»
«E hai anche il coraggio di chiedermelo?!»
«Ti comporti da pazza! Tutto quello che dico è un pretesto per farmi gridare contro.»
«Perché non mi hai parlato subito della questione? Hai idea di quali pensieri mi sia fatta?!»
«Non mi hai mai chiesto di parlarne.»
«E quindi?! Devo tirartele fuori di bocca tutte le sante volte?!»
Stavano praticamente urlando, la vicina del piano di sopra picchiò qualcosa sul pavimento in segno di protesta. Julia alzò gli occhi al soffitto.
«Adesso mi sente quella rompi palle!»
E così dicendo, riprovò a rialzarsi. Yuri le teneva ancora il polso stretto in una mano. Lo sentì esitare, ma poi la presa incrementò di forza. Si voltò per guardarlo e dopo essersi osservati in silenzio, le sorrise beffardo. Le prometteva l'inferno.
Dopotutto sentiva una mancanza atroce di lei, del suo corpo. Del suo respiro ridotto ad un soffio a labbra socchiuse. Delle sue mani intente a stringergli la schiena.
Julia sentì il cuore salirle in gola. Chiuse gli occhi, respirando a fondo.
«Che cosa c'è?» domandò, ancora in collera con lui. Tuttavia quel suo sorriso fu sufficiente ad incrementare il desiderio che aveva preso a bruciarle dentro. Nel corpo, nell'anima. Amava il suo sorriso, quella linea di denti bianchi e perfetti che gli contornavano la bocca.
Si impose di non cedere, non così presto. Lui l'aveva tenuta a stecchetto per tutto quel tempo senza degnarla di una motivazione, pertanto decise che era giunto il momento di fargliela pagare. Sollevò il capo in segno di sfida, sostenendo il suo sguardo.
Ma in quello di Yuri si celava la fierezza di chi non aveva mai abbassato la testa, di chi, in un modo o nell'altro, sarebbe riuscito ad ottenere quanto ambito e prestabilito. Non c'era competizione che tenesse, perché lui avrebbe sempre avuto la meglio.
«E' assurdo che tu non voglia fare l'amore con me per il bambino. Lui non si accorge di niente.»
«Okay.»
«Okay?! Tutto qui?»
Lui non le disse nulla, la baciò. La sfiorò tra le cosce e – sebbene fosse ancora vestita – si accorse di essere particolarmente sensibile alle sue carezze. Avevano entrambi imparato a conoscere i propri corpi e Yuri sapeva quali corde toccare, senza aver paura di spingersi oltre il lecito. Così da sempre, fin dalla prima volta.
«E adesso che cosa fai?» domandò in un sussurro.
«Sssshhh...»
Julia si morse le labbra, distendendosi e lasciandosi sfilare i pantaloni. Trattenne il respiro quando lo sentì scostarle le mutande ed entrare in lei con le dita. Chiuse gli occhi, abbandonando lateralmente la testa. Dio, quanto le era mancato!
Poi percepì una porta sbattere con un suono secco, come se qualcuno l'avesse chiusa con foga. Spalancò gli occhi, irrigidendosi.
«Cosa è stato?»
Il rumore proveniva dall'ingresso. Yuri sospirò e si passò una mano tra i capelli.
Dannazione, la sua inopportunità non ha limiti...” pensò, alzandosi dal letto.
«Vado a controllare.» disse, uscendo dalla camera ed accedendo la luce della sala.
Tutto sembrava in ordine, ma lui in realtà conosceva l'origine di tutto quel trambusto.
Se prima la cosa poteva apparirgli divertente, ora un senso di disturbo lo attraversò.

 

Yuri appurò che non vi fosse nessuno e niente di strano in casa, così tornò a letto. Julia lo fissava con occhi colmi di terrore. La coperta tirata fin sopra la testa, le braccia strette sul pancione quasi a volerlo proteggere da eventuali pericoli e la luce del comodino lasciata di proposito accesa.
«Hai controllato?» chiese, rimanendo ferma dov'era.
Il russo si accomodò sui cuscini morbidi, sistemandoli al meglio sotto la nuca e coprendosi a sua volta. Cominciò a fargli male la schiena, ritrovandosi a stare scomodo su quel materasso. Maledì la signorina del centro commerciale che, tempo addietro, lo convinse ad acquistarne uno di una marca prodotta da un'azienda a lui sconosciuta. Arguì che, in verità, quando cercano di venderti qualcosa ad un prezzo stracciato, è perché ti vogliono fregare. E con quel pensiero, oramai rassegnato all'idea di non riuscire a guardare The Walking Dead, fece per spegnere la luce.
Julia sbucò da sotto le coperte, andandogli vicino e avvinghiandosi a lui come una piovra.
«Allora? Mi vuoi rispondere?»
Yuri rinvenne dai suoi pensieri, voltandosi in sua direzione.
«Non c'era niente. Sarà stata la corrente.»
La madrilena sembrò pensarci su, poi domandò: «Le finestre sono tutte chiuse?»
«Sciosci[
3], rilassati!» rispose lui, «Chi vuoi che ci sia in casa?!»
«Non è normale che la porta di casa sbatta all'improvviso!»
«Ma, come ti ho già detto, ho controllato e non c'era nessuno.»
Ma Julia proprio non ne voleva sapere di calmarsi, allertata com'era da quell'insolita sensazione d'ansia che aveva preso a tormentarla. Si strinse maggiormente a Yuri, come a voler cercare un riparo sicuro in lui.
«E se fosse un fantasma?» azzardò, pentendosene poco dopo: lo sguardo del marito parlava da sé.
«Adesso cominci a preoccuparmi.» asserì, incredulo. «Non ricominciare con questa storia del sovrannaturale, non puoi credere a certe stronzate.»
«E chi ti dice che lo siano? Non puoi saperlo.»
«Julia, per favore!»
«Dico solo che è strano, okay? La porta ha sbattuto.»
Yuri sbatté le mani sul materasso, spazientito. Sbuffò e si girò dall'altra parte, spegnendo la luce – gesto inutile, perché fu riaccesa poco dopo da Julia.
Questa si tirò su a sedere, lo scosse per una spalla.
«Cosa c'è adesso?!»
Gli mostrò un sorriso raggiante, a trentadue denti.
«Non è che ti andrebbe di...» lasciò la frase in sospeso di proposito per potersi riavvicinare a lui, con fare sensuale e provocatorio. Gli accarezzò il viso. «...di riprendere da dove eravamo rimasti?»
Yuri, in un primo momento, non rispose: si guardò intorno con circospezione, chiedendosi se quello fosse il momento opportuno per lasciarsi andare. Sapeva cosa stava per accadere e l'idea di essere interrotto proprio sul più bello non lo entusiasmava. Tuttavia nutrì le remota speranza che, per una dannata volta, le cose sarebbero potute filare lisce senza troppe complicazioni.
L'accolse tra le braccia, attraendola a sé con un bacio. La guardò negli occhi.
«Sei sicura che il bambino non senta niente?»
Julia annuì con convinzione. «Certamente! Smettila con queste remore, sembri mio nonno!»
«Come sarebbe a dire?»
«Queste paturnie se le facevano ai tempi della seconda guerra mondiale, aggiornati.»
Il russo decise di non perdere ulteriore tempo, tanto oramai il danno era fatto. Ed in fondo, al diavolo, ne aveva una gran voglia anche lui!
Le sfilò le mutande, accarezzandola tra le cosce, dritto al centro del suo piacere e del suo desiderio. Julia gettò il capo all'indietro, gli occhi socchiusi per via del piacere improvviso ma ancora rivolti a lui. Distendendosi su un fianco, lo invitò a raggiungerla alle spalle. Lo sentì abbassarsi i pantaloni e avvertì la punta del suo membro eretto sfiorarla. Trattenne il respiro, lui se ne accorse e sorrise.
«Respira.» le sussurrò ad un orecchio, baciandole il collo.
Julia scosse la testa, sospirando. «Hai idea di quanto mi sia mancato?»
«Anche a me.»
Affondò in lei, finalmente. Il cuore, frenetico, scalpitò ad entrambi in petto.
Con dolcezza e delicatezza si baciarono. L'uno con il respiro accelerato sulle labbra dell'altra. Andarono avanti così per un'ora, poi per un'altra ancora... finché non si addormentarono stanchi in un abbraccio.

 

Per Boris le cose non andarono come programmato: quando si era intrufolato furtivamente nell'appartamento di Yuri e Julia, si era imbattuto nel gatto di quest'ultima. Pedro, animaletto peloso e carino tanto quanto dispettoso ed impiccione, lo aveva osservato piazzare i microfoni e l'apparecchiatura audio per tutto il tempo. Si era strofinato sulle sue gambe con insistenza, fino a quando, senza accorgersene, il russo gli pestò la coda. Il gatto, di conseguenza, emise un miagolio di protesta, attaccandosi con le unghie ad una sua gamba e sfregiandogli la pelle. Boris a stento riuscì a trattenere un urlo, maledicendo Pedro e lanciandogli contro un cuscino.
«Odio i gatti...» mormorò, tenendo la torcia intrappolata tra i denti e piazzando l'ultimo microfono vicino alla porta della camera. Si irrigidì nell'udire il letto cigolare e dei gemiti provenire dall'interno.
"Eppure lo sapeva che sarei venuto qui stanotte..." pensò, allontanandosi e cercando di scacciare via dalla mente l'immagine del suo capitano in procinto di fare certe cose.
Bleah!
Decise, tuttavia, di lasciargli godere quel momento e di attuare il suo piano più tardi.
Pedro lo seguì fino all'ingresso, guardandolo incuriosito.
Sospirò, piegandosi sulle ginocchia e prendendolo in braccio.
«Cosa vuoi, ruffiano? Le coccole?»
Ritornò in casa sua in compagnia del gatto, aspettando il momento propizio per agire e mettere in pratica la sua vendetta.

 

"JULIAAAA!"
Si risvegliò di soprassalto, il respiro corto ed accelerato, lo sguardo che saettò in ogni angolo della stanza. Si soffermò agli angoli dell'armadio, poi passò alla finestra. Tutto sembrava nella norma, eppure la sensazione di aver sentito qualcuno gridare il suo nome le aggravò in petto come un macigno piombatole addosso. Guardò Yuri dormire al suo fianco, avvolto tra le coperte. Il viso rilassato, la bocca semi-aperta ad indicare il sonno profondo.
Cercò di tranquillizzarsi, stendendosi nuovamente e provando a riaddormentarsi. Probabilmente se lo era solo immaginata. Chiuse gli occhi.
"AAAAAAAAAHHHHH...!"
La madrilena sobbalzò urlando, afferrando Yuri per una spalla e conficcandogli le unghie nella pelle. Questo si svegliò di colpo.
«Oh mio Dio! Hai sentito?!»
«Tu sei pazza.» borbottò il russo con voce impastata e confusa. «Che cosa c'è adesso? Ti viene da vomitare?»
Lei, per tutta risposta, gli assestò una gomitata sullo stomaco.
«Cretino!» gli disse, «Vuoi dirmi che non l'hai sentita?»
Yuri si strofinò gli occhi, rinvenendo dallo stato confusionale dettato dal dormiveglia.
«Che cosa avrei dovuto sentire?»
Julia si agitò sul letto, sembrava nervosa. Prese a tirarsi i lembi della camicetta del pigiama.«Una voce che gridava il mio nome! E poi faceva "aaaaaahhhh!"»
Yuri trattenne a stento una risata, non poteva credere alle proprie orecchie. Guardò la moglie come se fosse stata pazza.
«Com'è che faceva?!» susseguì a chiedere, divertito e sorridendo come un ebete.
Lei, questa volta, lo colpì con il cuscino.
«Mi prendi per il culo?!»
«Rimettiti a dormire, dai.»
E così dicendo, si voltò dall'altra parte. Julia, sebbene fosse infastidita dalla sua incredibile insensibilità, lo imitò, sperando di non doversi risvegliare ancora.
Ma...
"JULIAAAAAAAA!"
Si immobilizzò per la paura.
«Non dirmi che non l'hai sentita, adesso.»
Yuri sbuffò. «La vuoi smettere?»
«Io non sono pazza! E' impossibile che tu non senta questa voce!»
«Sì, va bene...»
«Vaffanculo!»
Silenzio. Amato e tanto desiderato silenzio.
Yuri si riaddormentò, ma Julia rimase vigile ed attenta ad ogni rumore. Distinse il rombo dei motori delle macchine sfrecciare sulla strada, il ticchettio emesso dalla sveglia sul comodino e la televisione ad alto volume del vicino di casa sordo. Lesse l'ora: le tre e un quarto di notte. L'indomani mattina si sarebbe dovuta svegliare presto, recarsi all'ospedale e fare le visite e gli accertamenti di routine. Si rigirò tormentata nel letto, sentendo il cuore battere all'impazzata in petto. Allungò una mano ed afferrò la bottiglia d'acqua, bevendone due sorsi e riappoggiandola sul pavimento.
Tutto taceva.
Abbracciò il cuscino, chiudendo gli occhi e rilassandosi.
Yuri mugugnò qualcosa a proposito del lavoro, di pratiche rimaste in sospeso e da sistemare. Lo ignorò, consapevole che, con tutta probabilità, stava parlando nel sonno come di consueto.
"OOOOOOOHHHH...!"
«Madre de Dios!!!» gridò, scendendo rapidamente dal letto. «Yuriiiiiiiii!»
Questi, per l'ennesima volta, si risvegliò.
«Merda!» esclamò, iracondo. «Adesso ti sopprimo!»
«Yuriiiii!» piagnucolò lei, «Ti prego, fai qualcosa!»
«Sì, e che cosa? Chiamo un esorcista?!»
«Andiamo in albergo, piuttosto! Io qui non ci voglio stare!»
Il russo scalciò via le coperte, alzandosi in piedi e uscendo dalla camera. Julia lo seguì, stringendosi nelle spalle e sentendo la pelle accapponarsi.
«Dove stai andando?» gli chiese.
«A fumare.» rispose lapidario e seccato al coltempo lui, accendendo la luce della cucina. «Quindi torna in camera e...»
Si bloccò, di colpo. Uno dei fornelli era acceso. La fiammella si muoveva agitata dal vento proveniente dalla finestra lasciata aperta.
«Ma che diavolo...»
Si avvicinò e lo spense, girando l'apposita manovella. Cercò il pacchetto di sigarette, mostrando le spalle alla moglie e nascondendole il sorrisetto divertito che aveva preso forma sulle sue labbra. Boris stava dando il meglio di sé.
«Questo come lo spieghi, eh?!» ripartì alla carica Julia, camminando istericamente lungo la cucina. A momenti si formò un solco sotto di lei.
Yuri prese tra le dita una sigaretta.
«Torna a letto, fa male il fumo passivo al bambino.»
«Motivo per il quale dovresti deciderti a smett...»
La televisione si era accesa all'improvviso, senza che nessuno dei due toccasse niente.
Julia sentì le gambe tremare, a stento riuscì a reggersi in piedi. Stava per avere un mancamento.
«Dios mìo! Dios mìo!»
Si avvicinò al mobile TV in sala, staccando la presa di corrente ed accertandosi che il monitor si spegnesse. Yuri si coprì la bocca con una mano, non ce la faceva più.
Era giunto il momento di intervenire, così disse: «L'agente immobiliare aveva ragione, allora...»
Julia spalancò gli occhi. Un brivido le attraversò la schiena.
«Di che cosa stai parlando?!»
Appoggiato al davanzale della finestra, scrollò le spalle con indifferenza. Si inumidì le labbra con la lingua, guardandola dritta negli occhi.
«Niente di che...» fece in seguito, «Mi aveva raccontato di un proprietario precedente che si era suicidato proprio nella nostra sala, sparandosi un colpo in bocca.»
«Che cosa?!»
«Sì, si dice che fosse depresso a causa della moglie.» proseguì, gli occhi ancora fissi e fermi su quelli di lei. «Era morta assassinata e lui non riusciva a darsi pace.»
Julia alzò le mani in segno di resa, convinta a non voler sapere ulteriori dettagli di quella tragica vicenda. Le venne freddo, all'improvviso. E, superstiziosa com'era, ipotizzò la presenza di un fantasma proprio lì, vicino a loro. Si guardò intorno, a disagio e sempre più spaventata. «Ehilà..?» fece, titubante. «C'è un fantasma tra noi?»
Yuri dovette coprirsi la faccia un'altra volta, quella situazione si stava rivelando più divertente del previsto.  E proprio quando stava per rivelare a Julia dello scherzo, una figura incappucciata di bianco sbucò da dietro al divano 
«Buuuuuaaaaaaaaaaahhhh!!!»
Julia saltò in aria, letteralmente. Balzò da terra per lo spavento, afferrando la prima cosa che le capitasse a portata di mano: una scopa, abbandonata contro la parete adiacente. La usò per colpire il presunto fantasma, dritto sulla testa. Più e più volte, facendolo stramazzare sul pavimento. Il lenzuolo si scostò, mostrando i lineamenti del viso di Boris. La madrilena rimase in silenzio ad osservarlo, confusa ed incapiente. Yuri, nel frattempo, scoppiò in una fragorosa risata, avvicinandosi ai due e constatando le condizioni dell'amico: sembrava essere svenuto.
«Tu... tu...» riuscì solamente a dire, paonazza in volto per la collera. Tremeva.
Il russo trascinò Boris sul divano, continuando a ridacchiare beatamente. Ciò favorì ad incrementare ulteriormente la rabbia della moglie che, in piedi affianco a lui con la scopa ancora in mano, lo picchiò senza pietà.
«Hijo de...» si trattenne, consapevole che quell'insulto sarebbe stato troppo pesante da riferire proprio al marito. Ma dovette sforzarsi, perché la ragione era andata a farsi benedire. «Siete due merde! Questa non te la perdono!»
Yuri la guardò, in silenzio. Le sue guance si gonfiarono, poi scoppiò a ridere per l'ennesima volta.
«Stasera dormirai sul divano! Non ti rivolgerò mai più la parola!»
Detto ciò, si avviò attraverso ampie falcate in camera da letto. Si richiuse la porta alle spalle, sbattendola con irruenza. Poi si lasciò ricadere stancamente sul letto, avvolgendosi tra le coperte calde con il viso imbronciato. Ma, alla fine, un sorriso prese forma sulle sue labbra.
«Che bastardi...»

 

[1]The Walking Dead: è una serie TV tratta dal fumetto di R. Kirkman, ambientata in un mondo post-apocalittico dove la sopravvivenza è all'ordine del giorno. Mandrie di zombie occupano l'intero pianeta, ma non sono il vero pericolo. Perché le persone, quando si tratta di vivere, sono pronte a tutto, anche a commettere orribili crimini.
Negan, Rick e Daryl (nominati nel paragrafo) sono personaggi della suddetta serie.

[2]Paso Adelante: è una serie TV spagnola, venne trasmessa per la prima volta nel lontano 2004 e terminò nel 2006. La storia è più che altro incentrata su alcuni dei personaggi che frequentano la più prestigiosa scuola di ballo e recitazione di Madrid.

[
3]Sciosci: non ha un vero e proprio significato, me lo sono inventata sul momento XD. Avevo bisogno di un nomignolo che non fosse il solito e sdolcinato "amore", così, di getto, ho scritto la prima parola che mi è venuta in mente XD.


NdA: Ed eccomi di nuovo qui! :D 
Che stronzi che sono stati Yuri e Boris in questo capitolo XD... prendersi gioco in questo modo di una povera donna incinta diventata insopportabile solo a causa degli ormoni... beh, direi che un pochino se l'è meritato u_ù. L'idea è nata da uno scherzo che fecero dei miei amici alla sottoscritta qualche anno fa: non era stato organizzato nello stesso modo, ma il succo del discorso è lo stesso -___-... inoltre, qualche settimana fa, c'è stato un servizio de "Le Iene" che parlava per l'appunto di uno scherzo simile fatto ad Elenoire Casalegno. Insomma, riflettendoci, ho pensato che sarebbe stato divertente vedere Julia spaventata e alla mercé di quei due bastardoni di russi XD. Spero di avervi strappato un sorriso, almeno! :D
Il disegno che vedete ad inizio pagina è di mio pugno: non sono mai stata un granché in queste cose, lo so ^w^'' ma ho pensato di pubblicarlo lo stesso, giusto come decorazione del capitolo.
Ho ancora due fasi da scrivere, la quattro e la cinque, ma sono indecisa sul da farsi. Quindi, se avete idee, non fatevi scrupoli a propormele=). Che cosa vi piacerebbe leggere nei capitoli successivi? Non siate timide, fatevi avanti! :D
Detto questo, ringrazio tutte le persone che mi hanno seguita fin qui:
Grazie a RedBluePincaAkyPinPadmeElysabeth Lady 

Siete la mia forza!! :D
Un abbraccio a tutti,
Pich. 

P.S. L'avvertenza "Lime" è stata corretta in "Lemon".
Per quanto concerne il rating, chiedo a voi: viste le descrizioni di questo capitolo, dovrei alzarlo a rosso? Fatemi sapere.

 

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Capitolo 5
*** Fase 4 (prima parte) ~ L'effetto sorpresa, gli amici ritrovati e L'Operazione Valchiria ***


~ . LE CINQUE FASI DI UNA GRAVIDANZA. ~

5.

Fase quattro (prima parte): L'effetto sorpresa, gli amici ritrovati e L'Operazione Valchiria


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SpecialGuest: Kai Hiwatari – Mao Cheng


Si scoprì, per puro caso, che Boris godeva di doti culinarie da far invidia persino allo chef Cannavacciulo in persona. Incredibile ma vero, il russo era predisposto ad avere un palato sopraffine, caratteristica che gli forniva l'innata abilità di preparare pietanze squisite senza il minimo impegno. Anche un semplice piatto di pasta risultava essere talmente buono da crearne quasi una dipendenza, spingendo a desiderarne nell'immediato un secondo piatto e poi un altro ancora. E ancora. Sino a sentirsi esplodere. Così, quel giorno, si era organizzato per pranzare con Yuri e Julia nel loro appartamento. I due, la mattina presto, si erano recati all'ospedale per i controlli di routine. Avevano preferito non conoscere il sesso del bambino, sfruttando l'effetto sorpresa a loro favore. Tuttavia, malgrado si fossero trovati miracolosamente concordi sotto quel frangente, riuscirono a discutere per tutto il tragitto in macchina per un altro e pungente motivo: il nome.
Yuri aveva proposto una lista infinita di nomi russi, sia maschili che femminili, tutti rigorosamente bocciati da Julia, la quale preferiva di gran lunga quelli di origine europea.
«I nomi russi sono freddi.» esordì, aprendo la porta di casa. «E poi è impossibile trovarci un soprannome... prendi per esempio il tuo, Yuri: non si sa mai come chiamarti, se non per intero!»
«Yura.» rispose lapidario lui, entrando nell'appartamento e sbottonandosi la giacca.
«Tremendo. E Boris, invece? Come si abbrevia?»
«Borja
«Brrrr...» fece la madrilena, imitando i fremiti causati dal freddo. «Se è maschio potremmo chiamarlo come mio fratello, Raul.»
Yuri la incenerì con lo sguardo, trasmettendo tutto il suo disappunto.
«Chi ti dice che i nomi spagnoli siano più belli, invece?»
«Sicuramente hanno il loro perché!»
«Tanto vale chiamarlo Ugo, allora.»
Boris fece capolino dalla porta della cucina, afferrando il proprio telefono dal mobiletto vicino e sorridendo beffardo ai due.
«Oppure Uga.» disse poi, facendo manforte all'amico. Questi ricambiò il sorriso.
Julia alzò le mani in segno di resa: già era difficile sopportarne uno preso singolarmente, figuriamoci due nello stesso momento.
«Siete due cretini!»
Yuri si avvicinò alla finestra, si accese una sigaretta e si appoggiò al davanzale. La primavera era giunta alle porte: il cielo era limpido, i raggi del sole cominciarono a sciogliere i pochi residui di neve rimasti e i fiori sbocciarono belli e forti come non mai.
Boris lo imitò, posizionandosi dinanzi a lui. «Allora? Cosa vorresti che fosse?»
L'altro scrollò le spalle, indifferente. «Non ho preferenze.»
«Se è femmina, prima o poi, dovrai metterti il cuore in pace.»
Inarcò un sopracciglio, incapiente e confuso al contempo.
«E perché?»
Gli angoli della bocca di Boris si curvarono all'insù, dando origine ad un sorrisetto maligno.
«Quando sarà abbastanza grande, te la scoperanno.»
Yuri si irrigidì, senza parole. Rimase imbambolato ad osservare Boris, perso nei suoi pensieri. Fu scosso da un fremito, sentendosi improvvisamente infastidito dalla faccenda.
«Non credo proprio!»
«E' la natura, amico mio. E' normale.»
I muscoli facciali si tesero, i nervi fecero altrettanto. L'impulso di mettere le mani addosso al russo di fronte divenne irresistibile. Decise di pensare ad altro, onde evitare di finire in galera prima di poter stringere suo figlio tra le braccia.
«La chiuderò in un convento. Cintura di castità.»
Boris non riuscì a trattenersi dallo scoppiare in una fragorosa risata. Yuri era una persona controllata, capace di inibire ogni istinto. Non gli avrebbe mai dato la soddisfazione di cedere alle sue provocazioni e appunto per questo rendeva il tutto inevitabilmente più divertente.
Prima che potesse riaprire bocca, il suo telefono squillò. Sbloccò lo schermo, leggendo il messaggio appena inviato da Kai.
«E' arrivato.» annunciò successivamente, senza riuscire a nascondere quanto poco lo entusiasmasse il ritorno in Russia di Hiwatari. I due si erano sempre sopportati a vicenda, senza provare un vero e proprio sentimento confutabile all'amicizia. L'uno aveva imparato a convivere con l'altro, senza concedersi troppa confidenza. Senza ricadere oltre il lecito. Sbuffò, spegnendo la sigaretta e tornando ai fornelli: il pranzo era quasi pronto.
Yuri lo fissò di sottecchi, ridacchiando rallegrato nello scorgere il viso imbronciato di Boris.
«Sprizzi felicità da tutti i pori.»
«Amico tuo, non mio.»


Ad atterrare sul suolo moscovita non era stato solo Kai, bensì anche Mao.
Avvolta nel suo cappotto, cercò conforto dall'aria fredda ed ostile della Russia. Sebbene fosse arrivata la primavera, il termometro sfiorava appena gli otto gradi centigradi. Si tirò il cappuccio sulla testa, iniziando a percorrere con passi spediti l'immenso spazio dell'aeroporto. Giunta dinanzi ad uno specchio, scorse la propria immagine riflessa: aveva deciso di abolire completamente la tinta rosa, ritornando al suo colore naturale di capelli che le conferiva un aspetto decisamente maturo. Aggiustò il ciuffo con una rapida passata di mano, per poi frugare nelle proprie tasche alla ricerca del telefono. Passò in rassegna i contatti salvati sulla rubrica, sino a selezionare quello di Julia. Rimase in attesa, ascoltando distrattamente il monotono segnale acustico. Al quarto squillo, la voce della madrilena risuonò dall'altoparlante del cellulare con il suo consueto e singolare accento spagnolo.
«Mao!» esclamò con voce allegra, «Sei arrivata? Mando Yuri a prenderti?»
Lei sorrise, ancora incredula di poter rivedere l'amica dopo così tanto tempo. Quanti anni erano passati? Sette? Le sembrò di vivere un sogno. Non era riuscita a presenziare al suo matrimonio a causa di problemi economici ed inevitabilmente se ne era fatta una malattia, passando notti insonni a fare a pugni con il senso di colpa.
Ma ora, finalmente, avrebbero recuperato il tempo perso. Aveva così tante cose da raccontarle... alcune belle, altre un po' meno, ma l'importante era condividerle con lei.
«Sì, grazie.» rispose, raggiante. «Dove mi faccio trovare?»


… Ma Yuri non riuscì a schiodarsi dal bagno neanche per la frazione di un secondo.
Boris aveva abbondantemente esagerato con la salsa piccante. Ne arguì dopo la seconda forchettata, cominciando ad avvertire gli inconfondibili sintomi del mal di pancia e del bruciore di stomaco. Non ricordò di aver mai provato crampi tanto forti come in quel momento.
Lo maledì in tutti modi possibili, gridando oltre la porta del bagno come un ossesso.
«Mi hai avvelenato!»
Boris e Julia si guardarono, trattenendosi dal ridere. Nessuno dei due aveva accusato gli stessi sintomi, ma per un motivo ben preciso: nel piatto di Yuri, di nascosto, era stata aggiunta una quantità doppia se non tripla di peperoncino.
«Forse abbiamo esagerato un pochino...» bisbigliò Julia, pentendosi di aver ridotto in quello stato il povero marito.
Boris scosse la testa, esibendo un sorriso a trentadue denti. «Ma no! Vedrai che poi gli passa!»
«A te dovrebbe passare sopra un treno, maledetto!» rispose Yuri sentendolo, tirando lo sciacquone ma senza osare di oltrepassare la soglia di quella stanza divenuta come una sorta di rifugio sicuro. Aprì lo sportello sopra il lavandino, nella disperata speranza di trovare qualcosa che gli alleviasse i dolori. Ma, a parte qualche aspirina, non trovò altro. Iracondo, afferrò la maniglia della porta e la spalancò con irruenza.
«Tu!» disse, indicando Boris. «Adesso vai in farmacia e mi prendi qualcosa che mi aiuti a stare meglio. E tu...» rivolse lo sguardo a Julia, «Trovati qualcun altro che vada a prendere la tua amichetta in aeroporto.»
E senza fornire ai due il tempo per rispondere, richiuse la porta scandendo un “vaffanculo” che a momenti fece tremare le pareti della casa. Era su tutte le furie.
Non si arrabbiava così da anni, oramai. Entrambi erano a conoscenza di quanto fosse permaloso il russo, ma non si sarebbero mai aspettati che se la prendesse così tanto.
Julia incrociò le braccia sopra al pancione, pensierosa.
«Dovrò chiedere a Mao di prendere un taxi, non me la sento di guidare.» disse poi, sul procinto di telefonare all'amica.
«Se vuoi, posso andare io.» si propose Boris, «Visto che mi tocca andare in farmacia, tanto vale che vada in quella vicino all'aeroporto.»
«Oh, no!» rispose lei, «Non voglio che vi mettiate a litigare come a vostro solito! Non credo di potervi sopportare, questa volta.»
«Tranquilla! Farò il bravo!»


Oramai non aveva più dubbi: l'universo aveva puntato il dito contro di lei.
Vi erano sette miliardi di persone al mondo ed ovviamente doveva capitarle tra i piedi proprio quell'arrogante, presuntuoso ed antipatico di Boris. Proprio non era riuscita a dimenticare il due di picche che le servì durante l'ultimo campionato di Beyblade, scoppiando quasi a riderle in faccia dopo essersela portata a letto. Ai tempi si era sentita talmente umiliata da cominciare a provare un'avversione atroce nei confronti del moscovita, tanto da desiderare di vederlo agonizzante in una pozza del suo stesso sangue. 
Si sentì nervosa e a disagio, agitandosi sulla sedia in attesa dell'arrivo di Boris.
Ok, Mao, concentrati: puoi farcela!”, pensò. “Firmi contratti e affronti il mare degli squali del business tutti i giorni, Boris è solo un pesciolino in mezzo all'oceano.”
Sì, un pesciolino molto aggressivo. Affetto da rabbia.
E dannatamente sexy, con quei suoi modi di fare burberi da uomo duro.
Spalancò gli occhi, sentendo le guance avvampare di calore.
«Oh, Dio mio! Sono impazzita!»
Mosse le gambe di scatto, alzandosi in piedi e tornando seduta dopo poco. Non riusciva a stare ferma, si sentiva agitata e il corpo aveva smesso di obbedirle. Si impose di calmarsi, di mantenere i nervi saldi. Se non per se stessa, doveva farlo per Julia. Era lì per lei, aveva attraversato un migliaio di chilometri solo per poter riabbracciare la sua amica del cuore. Doveva concentrarsi esclusivamente su questo, il resto era solo contorno. Doveva esserlo.
Si tolse il cappotto, accaldata com'era. L'agitazione la faceva sudare, mettendola ulteriormente a disagio.
Una figura alta ed imponente le passò affianco, senza degnarla di uno sguardo.
Era Boris, ma non si era fermato. Probabilmente non l'aveva vista. Lo seguì, cercando di raggiungerlo.
Accidenti! Cammina veloce!”
Riuscì ad afferrargli un braccio, costringendolo a voltarsi in sua direzione.
«Sono qui!» ansimò, in preda al fiatone. «Fermati.»
Lui la squadrò da testa a piedi, poi aggrottò la fronte.
«Mao?» domandò, confuso. «I capelli...»
«Colora naturale, questa volta.»
«Ah, bene.»
Rimasero in silenzio, lei in imbarazzo. Lo osservò: il trascorrere del tempo lo aveva reso un uomo più bello, più affascinante. Le sorrise beffardo, evidenziando le rughe d'espressione ai lati della bocca.
«Non ti avevo riconosciuta.» susseguì, «Mi aspettavo di vederti con quel rosa accecante in testa.»
Lei sbuffò, spazientita. Malgrado gli anni passati, non aveva ancora smesso di prenderla in giro. Tutto nella norma, insomma.
«Possiamo andare?» chiese, senza aspettare una risposta. Lo sorpassò, dirigendosi verso l'uscita. Il russo le camminò accanto, senza spiccicare parola. In effetti non aveva niente da dire. Quando raggiunsero il parcheggio, l'aiutò a caricare i bagagli nel cofano della macchina. Poi presero posto all'interno, sempre immersi nel silenzio.
Boris accese il motore, ingranò la prima e svoltò verso il centro.
«Prima devo passare a prendere una cosa.»
Mao annuì, appoggiando la testa al finestrino. Il viaggio l'aveva stancata.
«Fai pure.»
E di nuovo silenzio.
Che imbarazzo. Possibile che non ci fosse proprio niente di cui parlare?
Mao si morse le labbra, cercando di stare comoda sul sedile diventato, tutto d'un tratto, rigido. Prese il cellulare e cominciò a sfogliare la home di Facebook, giusto per alleviare la tensione. Boris, d'altro canto, guidava tranquillo e beato. Non sembrava pensieroso e nemmeno a disagio in quella situazione. L'orientale lo invidiò, avrebbe pagato oro pur di avere solo una piccola parte della sua sicurezza.
Si fermò davanti ad una farmacia, la cui insegna si illuminava ad intermittenza di verde.
«Arrivo.» le disse, scendendo dalla macchina e richiudendo la portiera.
Mao ne approfittò per telefonare Julia. Questa rispose praticamente subito.
«Perché cavolo mi hai messa in questa situazione?!»
Sentì la madrilena esitare e poi dire: «Perdoname, Mao. Non avevo alternative.»
«L'alternativa era il suicidio!»
«Non essere così tragica
Dovette chiudere la comunicazione, perché Boris risalì in macchina. Ansimante ed agitato, si affrettò a rimettere in moto, guardandosi continuamente intorno.
«Ma che ti prende?» chiese lei, «Sembra che tu abbia visto un fantasma!»
«Peggio!»
Cercò di procedere in retromarcia, quando una bionda, iraconda, si lanciò contro di loro, colpendo il finestrino dal lato del guidatore con irruenza.
«Bastardo! Scendi subito!» gridò poi con occhi iniettati di sangue. 
Il russo schiacciò fino in fondo l'acceleratore, rimettendosi in strada e svoltando l'angolo a tutta velocità. Rallentò solo in prossimità di un incrocio, per poi riprendere a correre tanto da far stridere le gomme.
Mao si teneva saldamente alla maniglia della portiera, evitando di dare facciate contro il cruscotto che le avrebbero garantito un trauma cranico.
«Rallenta, rallenta!» strillò in preda al panico, «Fottuto pazzoide!»
Boris guardò lo specchietto retrovisore: la bionda era scomparsa – ma questo già parecchi chilometri prima. Rallentò, tirando un sospiro di sollievo.
«Ma che cazzo ti è preso?!»
Sentì il cuore salirle in gola, il respiro corto ed irregolare. Giurò a se stessa che non sarebbe mai più risalita in macchina con quel folle.
«Quella mi vuole morto.» rispose semplicemente Boris, senza fornirla di ulteriori informazioni o dettagli. Mise la freccia e girò a sinistra, senza però smettere di controllare gli specchietti. “Con quella valchiria nei paraggi, non si è mai al sicuro!” pensò poi, frugando nelle tasche alla ricerca del pacchetto di sigarette.
Mao gli rifilò uno sguardo maligno. «Avrà le sue buone ragioni, come tutte.»
Il moscovita respirò il fumo a pieni polmoni sentendo i nervi rilassarsi.
«Non dirmi che ce l'hai ancora con me.»
Serrò le labbra, non sapendo come rispondere. Non voleva dargli una simile soddisfazione, non lo meritava. Avvampò, non aveva più freddo. Era in difficoltà, Boris aveva vinto ancora prima di cominciare. Non poté fare a meno di sentirsi piccola ed insignificante dinanzi a lui. Impotente.
Le sorrise beffardo, intuì il suo disagio. Ne fece un cavallo di battaglia.
«Ops! Tasto dolente.»
L'istinto di sopravvivenza si risvegliò dentro di lei, lo ascoltò e le disse di contrattaccare. Incrociò le braccia al petto e lo fissò determinata.
«Ti hanno mai detto che sei un bastardo?!»
Niente. Non lo scalfì.
«Alla fine, è vero. Non ho un padre.»
Ed ora svincolava il discorso sul vittimismo. La sua era una mente diabolica, era sempre un passo avanti a tutti. Sapeva che a lui piaceva giocare con la certezza di vincere. In caso contrario, avrebbe evitato lo scontro. E lei era alla sua mercé, precipitando nel baratro dei suoi complessi interiori. Non conosceva la ragione per la quale la trattò in quel modo osceno, ai tempi. Aveva solo delle ipotesi in merito, tutte legate ad un unico filo conduttore: i suoi capelli rosa. O forse Rei.
Sì, la ragione doveva essere Rei. Senz'altro. O forse si era semplicemente divertito con lei, etichettandola come una delle tante da una botta e via.
Ripensandoci, ritenne più plausibile l'ultima opzione.
«Non mi fai pena.»
«Tu sì.»
Sadico, cinico e spietato pezzo di merda. Non trovò le forze per rispondergli a tono.
Quindi ci rinunciò, decisa a non perdere ulteriormente tempo con lui.
«Okay.» disse solamente, voltandosi dall'altra parte a guardare il paesaggio sfrecciarle accanto.
Boris si accorse di aver esagerato, ma non si scusò. Non si sentiva in dovere di farlo.
Trascorsero il resto del viaggio senza rivolgersi la parola, ognuno immerso nei propri pensieri.


Un lungo abbraccio unì le due amiche, ritrovatesi dopo tanto tempo. Boris le guardò schifato, chiedendosi per quale assurda ragione le ragazze dovessero quasi sentire il bisogno fisiologico di scambiarsi tante smancerie in ogni circostanza. Tutta quella dolcezza spropositata... per cosa? Bleah!
«Sei bellissima con il pancione!» esordì Mao, sorridendo a trentadue denti all'altra.
«Grazie, tesoro! Tu, invece, stai benissimo con il tuo colore naturale di capelli.»
Il russo gesticolò con fare gaio con l'intento di prenderle in giro.
«Oh, ragazze!» esclamò con un tono effeminato, «Vorrei restare a chiacchierare con voi, ma mi aspetta una lunga manicure e devo proprio scappare.»
Mao lo trafisse con lo sguardo, traspirando attraverso questo un odio che andava oltre ogni immaginazione. Julia, sentendosi tra incudine e martello, provò a smorzare la tensione.
«Bravo, Boris. Gli uomini curati piacciono sempre.»
Questi la salutò con un sbrigativo cenno del capo, varcando la soglia del suo appartamento e richiudendosi la porta alle spalle.
«Lo-detesto.» sibilò velenosa l'orientale, stringendo i pugni. Le nocche sbiancarono per la pressione e le unghie le ferirono i rispettivi palmi delle mani. Julia la prese per un braccio, trascinandosela dietro. Si accomodarono sul divano.
«Metti da parte il rancore e raccontami tutto sulla tua nuova vita.» susseguì a dire la madrilena, prendendo le mani dell'amica e stringendole.
Mao sospirò, iniziando a fare mente locale. «Da dove comincio? Dalla causa di divorzio con Rei?»
«Speravo potessimo iniziare da cose più allegre.»
«Al momento preferisco iniziare da quelle brutte per poi passare a quelle belle.»
Julia annuì, sebbene non fosse del tutto convinta.
«Ma il motivo della vostra separazione qual è?»
«Beh, Boris direi.» rispose l'altra, fissandosi le punte delle scarpe. «Da quando ha saputo della nostra scappatella, le cose non sono più andate bene. Ha cominciato ad essere paranoico, sospettando anche delle cose più stupide.»
Intrecciò le mani, ponderando sulla dinamica del suo matrimonio andato in rovina.
Rei era stato il suo primo ragazzo, il primo in assoluto ad averle fatto provare sensazioni meravigliose. La trattava come una principessa, eppure ciò non servì per impedirle di tradirlo senza troppi scrupoli. Aveva tutto dalla vita, ma si sentiva come incompleta. Come se qualcuno le avesse portato via qualcosa di fondamentale per vivere. Dunque si era lasciata andare, dando ascolto al proprio istinto e finendo per rovinare tutto. I sacrifici di anni di fidanzamento frantumati in mille e piccoli pezzi persi nel vuoto di un baratro senza via d'uscita. E lei era lì, in fondo a questo vortice oscuro di rimorsi, incapace di riemergere. Il calore delle lacrime le salì agli occhi.
Perché era stata tanto stupida?
«La situazione era diventata ingestibile, insopportabile. Siamo partiti con l'idea di separarci per un po', senza ricorrere alle vie legali. Ma poi c'è stata quella ragazza, quella Ayumi. E da lì è cambiato tutto. Non si è degnato neppure di dirmi che aveva conosciuto un'altra, ma d'altro canto mi ha semplicemente ripagata con la stessa moneta. Dovrei solo tacere, ma qualcosa dentro di me grida e m'impone di non arrendermi.»
Julia annuì comprensiva, poi chiese: «Ma tu come stai senza di lui?»
Mao si morse le labbra. «In realtà molto meglio. Ho di nuovo la mia libertà, la testa è più sgombra e questo mi ha aiutata a migliorare sul lavoro. Insomma, ho avuto la mia dose di soddisfazione. Ma la consapevolezza di essere stata io a rovinare tutto, mi fa sentire costantemente in difetto.»
«Forse dovresti cominciare a guardare avanti, Mao.»
«Lo sto facendo, ma è difficile.»
«Comincia con il perdonare te stessa e Boris. Ti assicuro che non è poi così male, mi è sempre molto vicino quando ne ho bisogno.»
Lo sguardo dell'orientale si incupì. Sbuffò seccata, incrociando le braccia al petto e voltando la testa dall'altra parte.
«Solo perché sei la moglie del suo migliore amico. In caso contrario, avrebbe provato a fotterti come con qualsiasi altra donna su questo pianeta.»
«Ti sbagli.» disse severa la madrilena, accarezzandosi il pancione. «Quando io e Yuri abbiamo cominciato a... frequentarci? Vederci? Non so neppure io, a dire il vero. Comunque, a parte questo, lui era all'oscuro di quello che ci fosse veramente tra di noi. Per Boris sarei potuta essere tranquillamente una con cui Yuri si divertiva e basta, eppure non ha mai provato a fare niente oltre il lecito. Si è sempre comportato bene. Anzi, credo che abbia anche provato ad aiutarci. A modo suo, certo, ma comunque l'ha fatto.»[*]
Mao non si convinse, proprio non riusciva ad avere una visione diversa da quella corrente sul russo. Lui era la causa di tutto, punto. L'apice di tutti i suoi mali.
Niente e nessuno sarebbe riuscito a farle cambiare idea, testarda com'era. Difficilmente si ricredeva delle proprie opinioni, Julia questo lo sapeva. Tuttavia Boris era diventato, oramai, un membro della sua famiglia a tutti gli effetti. Non riusciva neppure ad immaginare la propria quotidianità senza di lui, senza i suoi dispetti e gli scherzi di cattivo gusto messi in pratica dalla sua mente diabolica. Valeva la pena, pertanto, di tentare almeno, di persuadere l'amica da quel giudizio negativo.
«Perché non gli dai almeno una possibilità? Potremmo chiedergli di passare la serata con noi.»
Mao aggrottò la fronte, confusa.
«Non raggiunge Yuri e Kai?»
L'altra scosse la testa, poi disse: «Diciamo che Kai non gli va molto a genio.»
«Comunque no, grazie. E' stata già abbastanza dura sopportarlo durante il tragitto dall'aeroporto a qui. E siamo stati anche aggrediti da una donna.»
«Come?»
«Te lo giuro! Questa è uscita dalla farmacia gridando come una pazza, poi si è lanciata contro la macchina. E' stato terrificante, sembrava di essere in un film dell'orrore.»
Julia, alla fine, capì. Non poté fare a meno di ridacchiare divertita.
«La valchiria!» esclamò solamente, non riuscendo più a trattenersi dalle risate. «La stalker!»
«Ma chi è?»
«Una ragazza ossessionata da Boris. Lui non l'ha più richiamata e...»
Mao alzò le mani, interrompendola. Si issò sulle proprie gambe e fece finta di raggiungere la porta d'ingresso. «Dove la posso trovare? Potremmo allearci.»
«Oh, non ti conviene! Quella ha qualche rotella fuori posto, credimi.»
«Ma perché la chiami “valchiria”?»
«Non l'hai vista? Sarà alta quanto lui.»
«Pfff...» fece Mao, alzando gli occhi al soffitto. «Lo spietato Boris Huznestov terrorizzato da una donna. Patetico.»


C'era qualcosa di strano nel silenzio del suo appartamento. D'istinto controllò che tutto fosse al suo posto, non riscontrando grosse divergenze: la coperta di pile era rimasta appallottolata sul divano esattamente come l'aveva lasciata, i piatti da lavare alla rinfusa nel lavandino e la basculante lasciata aperta. Tutto come di consueto, niente di strano. Eppure una sensazione di inquietudine lo attraversò, come a volerlo allertare della presenza di un intruso. Così, per scrupolo, controllò anche la camera da letto ed il bagno, senza trovare nessuno. Scosse la testa, dicendosi di essere stanco e di dover cominciare ad andare a dormire prima la sera.
Rasserenato, aprì il rubinetto della doccia e – mentre attendeva che l'acqua si riscaldasse – si spogliò, riponendo il tutto nel cestino della biancheria sporca.
Devo assolutamente fare una lavatrice...” pensò osservando il cumulo di vestiti che giacevano all'interno. A stento riuscì a chiudere il coperchio.
Il vapore emesso dall'acqua calda si condensò sui vetri del box-doccia e sullo specchio appeso sopra al lavandino, riscaldando l'ambiente circostante.
Poi, all'improvviso, sentì un rumore, come il suono emesso da una porta chiusa con irruenza. Si irrigidì, rimanendo in ascolto per qualche istante: non percepì altro di strano. Pensò alla finestra della cucina, doveva essere stata la corrente.
Sorrise di sé, dandosi del fifone. Entrò finalmente nella doccia, lasciandosi attraversare dal getto dell'acqua. Avvertì il corpo rilassarsi, i nervi e i muscoli si distesero. Iniziò persino ad avere sonno.
Afferrò lo shampoo e se ne versò un poco su una mano, insaponandosi i capelli.
Un altro tonfo sordo. Si bloccò, insospettito.
Una volta va bene, ma due...”
Si risciacquò in fretta e furia, uscendo dalla doccia e mettendosi l'accappatoio addosso. Infilò le infradito ai piedi ed aprì la porta, guardando con estrema attenzione all'esterno del bagno. Non volava una mosca.
Eppure...
Fece per rientrare, quando una donna gli si piazzò davanti con uno sguardo truce in volto.
«Ciao, Boris.»
Il russo balzò all'indietro per lo spavento, rischiando di cadere in terra. La valchiria era entrata in casa sua, ma come?!
«Irina!» pronunciò a denti stretti, «Come sei entrata?!»
«Non ti riguarda.»
Avanzò di un passo, sovrastandolo con la sua imponente stazza fisica. Boris si accorse solo in quel momento di cosa teneva in mano: una corda e del nastro isolante.
«Trasformiamo i tuoi continui “no” in dei sexy “mmh-mmh”.»
Senza fornirgli il tempo di rispondere, gli si lanciò addosso. Riuscì ad evitarla per miracolo, sgattaiolando fuori dall'appartamento. Suonò con insistenza il campanello di Julia, picchiando contro la superficie in legno.
Questa aprì la porta, spalancando gli occhi nel ritrovarselo davanti con solo un misero accappatoio sgualcito addosso. Mao, dietro di lei, rimase imbambolata a fissarlo a bocca aperta.
«Boris, ma che...»
«Presto! La valchiria è qui!»
Lo sguardo della madrilena lo oltrepassò, distinguendo la sagoma giunonica di Irina correre in loro direzione.
«¡Ay, caramba!»
Lo afferrò per un braccio, tirandolo verso di sé, ma la valchiria – attraverso un balzo repentino – lo afferrò per l'altro.
«Non lasciatemi con questa pazza!!!» strillò Boris in preda alla disperazione.
Julia cercò di strapparglielo di mano con tutta la forza di cui disponeva, senza risultati. Mao l'aiutò, spingendo la porta in modo da chiuderla.
«Non riuscirete a salvarlo!» disse Irina, la cui voce risuonò bassa e tenebrosa come se fosse appartenuta ad un demone malvagio e non ad una persona.
«Fottiti, brutta psicopatica!» le rispose Boris, strattonando la sua presa e riuscendo a liberarsi e avanzando nella direzione di Julia. Mao, nel frattempo, chiuse la porta, dando quattro giri di chiave. Si accasciò con la schiena appoggiata ad essa, respirando affannosamente. Alzò lo sguardo, pentendosene subito dopo: l'accappatoio di Boris si era slacciato sul davanti, lasciando in bella mostra ogni ben di Dio. Arrossì, sentendosi sprofondare nella vergogna. La mente proiettò immagini del passato, precisamente risalenti a quella notte di pura follia attraverso la quale si era lasciata andare. Aveva distrutto ogni freno, infranto ogni limite ed aveva concluso quella sfrenata libertà finendo a letto con lui. Ebbene, in quella circostanza, ricordava l'attributo maschile del russo ben diverso. Decisamente.
Assurdo come le emozioni influiscano sulla virilità di un uomo”.
«Dios mìo, Boris!!!» gridò Julia, coprendosi gli occhi e girandosi nella direzione opposta. «Vai in camera e prendi qualcosa di Yuri da metterti, por favor!»
Il russo, in un primo momento, non capì. Poi, quasi meccanicamente, guardò lungo il suo corpo, capendo il motivo di tanto trambusto.
«Oh, cazzo! Scusate!»
«Già, in tutti i sensi...» gli fece eco l'orientale, senza riuscire a distogliere lo sguardo.
«Ahora!!!»
«Sì, sì! Vado!»
Mao si portò le ginocchia al petto, ancora incredula di quanto fosse accaduto poco prima.
Sono finita in una gabbia di pazzi!”
 

Qualche ora più tardi, Julia guardò attraverso lo spioncino della porta di casa: il pianerottolo era vuoto, ma dalla fessura sottostante alla porta di Boris si intravedeva il bagliore fiocco di una luce accesa. Irina era ancora dentro casa ad attenderlo. Rabbrividì.
Dovevano escogitare un modo per liberarsi di lei una volta per tutte. Quella storia doveva giungere ad una conclusione, non poteva inoltrarsi ancora. Irina era una pazza, non conosceva limiti o freni – e questo aveva avuto modo di constatarlo lei stessa, sulla sua pelle. Una donna che si intrufola armata di nastro isolante e corde nell'appartamento di un uomo con il quale ha avuto una storia durata una notte non si può certamente ritenere normale. Così, inquieta, entrò in cucina, raggiungendo Boris e Mao. I due erano intenti a compiere azioni diverse: uno fumava accanito quella che, in base ai mozziconi nel posacenere, doveva essere la sesta sigaretta consecutiva; l'altra sfogliava svogliatamente le pagine di un giornale qualsiasi. L'espressione lasciò trapelare incapienza: il cirillico era illeggibile per l'orientale. Si arrese dopo qualche minuto, chiudendo la rivista ed allontanandosela come se fosse stato un oggetto sporco od infetto.
Julia rimase sulla soglia della stanza, senza osare di addentrarsi oltre. L'odore del fumo stava cominciando a nausearla. «Dovremmo chiamare la polizia.» disse poi, facendo segno a Boris di spalancare completamente la finestra.
«NO!» ringhiò Boris, «Quella è dell'esercito e suo padre è un ufficiale. Secondo te a chi crederebbe? A noi o alla sua adorata e dolce figliola?»
«Pfff...» fece Mao, incrociando le braccia sopra al tavolo e poggiandoci sopra la testa. «Quella di dolce non ha nemmeno il buco del...»
Si trattenne prontamente. Da quando aveva cominciato a vivere da sola, non faceva più caso al modo di parlare o di comportarsi. Boris la guardò incredulo.
I loro sguardi si incrociarono, lei deglutì. «Insomma, avete capito.»
«E allora che cosa facciamo?» domandò Julia, «Non può restare segregata in casa tua per sempre!»
«Senti, io un'idea ce l'avrei.» rispose Boris, ghignando.
«E quale sarebbe?»
«Uccidiamola, un peso in meno. E' meglio per tutti.»
«Troviamo una soluzione LEGALE, per favore.»
Mao intervenne: «Scusate, ma lei, di preciso, cosa vuole da te?»
Il russo smise di respirare per qualche istante: dover ammettere di aver paura delle intenzioni di una donna nei suoi confronti era umiliante, se non peggio. Si fece coraggio, dicendosi che, in fondo, non c'era niente di male.
«Temo voglia prima divertirsi con me, poi torturarmi.»
«Wow...» fece di rimando lei, senza commentare oltre.
«Io rimango dell'idea che chiamare la polizia sia la cosa più utile da fare.» riprese il discorso Julia,
«Ti ho già spiegato che non servirebbe.»
All'improvviso, la luce si spense. I tre, d'istinto, alzarono gli occhi al soffitto. Era saltata la corrente e l'eco di pugni che picchiavano insistentemente contro la porta d'ingresso fece raggelare il sangue a ciascuno.

 

[*]Piccolo omaggio alla FF di Blue13, intitolata “Sul Tetto del Mondo”.
La storia parla di Julia e Yuri che intraprendono una relazione altalenante, dove sentimenti e passione riemergono un poco alla volta, unendo i due i modo indissolubile. In particolare, nell'ultimo capitolo pubblicato, i due riescono a chiarire alcune divergenze grazie all'intervento di Boris. Non voglio rivelarvi altro, in modo tale che chi non l'avesse letta possa godersela a pieno.

NdA: Eccoci qui, miei amati lettori! :D
Dunque, ad essere sinceri, questo è il capitolo che mi convince meno per ora. Diciamo che è più transitorio rispetto agli altri, poiché ho deciso di suddividerlo in due parti: la prima quella che leggete e la seconda quella che verrà pubblicata successivamente. Ho introdotto due personaggi, quali Mao e Kai. Quest'ultimo farà la sua apparizione nella seconda parte di questa fase quattro.
Tra Mao e Boris, come si evince, è successo qualcosa in passato, una scappatella. E il rancore dell'orientale per il russo è piuttosto evidente XD... non so ancora cosa deciderò per loro, credo che improvviserò. Potrebbe continuare a battibeccare e a litigare, come potrebbero rifinire avvinghiati l'uno all'altra. Chissà. Lo scopriremo insieme! :D
Ora, insieme a Julia, sono alle prese di un problema decisamente più urgente: la valchiria. Ma ve lo immaginate il povero Huznestov stalkerizzato da questa pazzoide? XD Bisogna dire la verità, però: se i NeoBorg esistessero, tutte noi faremmo un po' come lei... io sicuramente XD!
Comunque nel prossimo capitolo vedremo come se la caveranno i nostri eroi.
Nel frattempo, come sempre, ringrazio tutti coloro che mi hanno seguita fino a qui.
Un abbraccio,
Pich. ♥

 

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Capitolo 6
*** Fase 4 (seconda parte) ~ L'effetto sorpresa, gli amici ritrovati e L'Operazione Valchiria ***


~ . LE CINQUE FASI DI UNA GRAVIDANZA. ~

6.
Fase quattro (seconda parte): L'effetto sorpresa, gli amici ritrovati e L'Operazione Valchiria

 

 

...Qualche ora prima...

Yuri uscì dal bagno quando sentì la porta di casa richiudersi. Dunque si avviò in direzione dell'appendiabiti, prendendo la propria giacca ed infilandosela. Non proferì parola, limitandosi a lanciare occhiatacce malevoli alla sua consorte da lontano. Questa, trattenendosi dallo scoppiargli a ridere in faccia senza alcun ritegno, gli prese una mano e si alzò sulle punte per posargli un delicato bacio sulla guancia.
«Non essere così arrabbiato, era solo uno scherzo.» gli disse poi, mostrandogli un largo sorriso a trentadue denti. Lui, tuttavia, rimase serio in volto e convinto della sua posizione: non c'era proprio niente da ridere per quello che gli avevano fatto. Sentiva ancora lo stomaco bruciare.
Così, freddo e distaccato, le rispose: «Raggiungo Kai, prima che finisca con l'ammazzarvi entrambi.»
«Non aspetti che Boris torni con le medicine? E poi sta arrivando Mao, non vuoi salutarla?»
Il russo, per tutta risposta, grugnì di disappunto. «E' meglio che non ti dica dove si deve mettere le medicine Boris. E comunque non posso, Kai mi sta aspettando.»
Abbottonò la giacca, poi fece per abbassare la maniglia, quando Julia lo agguantò per un polso.
«Più tardi dovremmo parlare seriamente sulla questione del nome.»
La fissò: nel suo sguardo si celava determinazione. Ottimo. Avrebbero trascorso giorni interi a discutere prima di trovare un compromesso. Sospirò, oramai rassegnato all'idea.
«Ne parliamo dopo, ok?»
La madrilena annuì, trapelando poca convinzione. Probabilmente sarebbe dovuta ricorrere all'occorrenza di legarlo ad una sedia. Sospirò anche lei, a sua volta. Alzò una mano in segno di saluto.
«Speriamo. Ciao, Yuri.»
Lesse della tristezza sul volto della compagna: ancora non era riuscita ad abituarsi alla sua freddezza, ai suoi modi di fare schivi e al suo essere fin troppo taciturno. Lei, in fondo, era così estroversa, così energica... così calda. Smuoveva qualcosa dentro di lui, nell'intimo. Lo scioglieva. E quindi, sebbene fosse ancora arrabbiato con lei, si chinò un poco per poterla baciare sulle labbra, riuscendo a strapparle un sorriso che gli scaldò il cuore.
«Amore mio.» le sussurrò ad un orecchio, per poi voltarsi ed uscire di casa.
Julia non riuscì a contenere la gioia che prese a premerle in petto, facendole battere il cuore all'impazzata.
Amore mio. In tutti quegli anni l'aveva chiamata in quel modo pochissime volte, si potevano persino contare. Tre? Quattro? Non aveva importanza, perché solo attraverso quelle semplicissime parole riusciva a suscitarle emozioni tali da farla sentire la donna più felice e fortunata al mondo.


...Adesso...

 

Shiny, shiny...
Shiny boots of leather.
Whiplash girl child in the dark.


Mao era distesa sul divano, le cuffiette alle orecchie e la mente persa ed immersa nella musica. Boris e Julia stavano parlando animatamente, probabilmente della valchiria. La corrente non era stata ancora ripristinata, ma avevano scoperto che si trattava di un problema che interessava solo il loro condominio. Le finestre degli altri caseggiati, difatti, erano tutte illuminate. Forse vi era stato un guasto, oppure Irina aveva pensato di rendere l'atmosfera ancora più tetra costringendoli a vivere quel momento sgradito a lume di candela. Quella pazzoide si stava divertendo con loro, il che provocò un nervosismo non indifferente nei confronti dell'orientale. Aveva deciso di venire in Russia per rivedere, dopo anni, Julia, non per risolvere o ritrovarsi vittima delle grane di Boris.
Questi, volente o nolente, riusciva sempre a trarla in trappola di situazioni spiacevoli.
Sbuffò, mettendosi seduta. La giornata era cominciata male e la consapevolezza che sarebbe finita peggio le tese i muscoli. Cominciò ad avvertire il fatidico mal di testa da cervicale, quello che, puntualmente, le riduceva la vita ad un vero e proprio inferno.


Comes in bells, your servant,
don’t forsake him.
Strike, dear mistress,
and cure his heart.


La melodia malinconica del brano che stava ascoltando, le conferì un'insolita adrenalina. C'era qualcosa nelle parole di quella canzone e nel suo ritmo incisivo che la fece sentire come la protagonista di un universo a parte. L'ambiente circostante sembrò muoversi a rallentatore, divenendo sempre più estraneo e distante. Quello, tuttavia, non era il momento di distaccarsi dal mondo attuale. Doveva tornare con i piedi per terra, nella realtà di tutti i giorni. D'istinto, e quasi senza accorgersene, il suo sguardo scivolò su quello di Boris: quegli occhi verdi e freddi le promettevano qualcosa di proibito, qualcosa che nell'intimità del proprio corpo aveva da sempre desiderato con tutta se stessa. Sentì il respiro accorciarsi.
Rinvenne da quei pensieri celati negli angoli più bui della propria mente.
Mise in pausa la riproduzione della canzone, togliendosi le cuffie e sentendo, finalmente, di che cosa stavano discutendo il russo e la madrilena.
«Guarda dallo spioncino.» disse lei, invitandolo ad avvicinarsi. «La porta del tuo appartamento è socchiusa, sembra che stia spostando qualcosa.»
«Quella pazza mi sta distruggendo casa!»
Si mise le mani tra i capelli, disperato. Cominciò a pentirsi amaramente di aver avuto un'avventura con quella donna, maledicendo i suoi ormoni in costante conflitto tra loro. Pregò che l'andropausa arrivasse al più presto, magari con un netto anticipo.
Al diavolo! Il sesso a scopo riproduttivo, d'altronde, non gli era mai interessato.
«Aspetta, aspetta...» fece Julia, continuando a sbirciare e afferrando Boris per un polso. «La vedo! Ha indossato una specie di tutina lucida...»
Attraverso la ristretta apertura della porta, riuscì ad intravedere degli stivali con vertiginosi tacchi a spillo. Si muoveva con irruenza e qualcosa strisciava ai suoi piedi... una frusta!
«Dios mìo! Le piace il sadomaso, eh?»
Boris avvampò, sentendo improvvisamente caldo. Ora molte stranezze di Irina gli furono chiare. Quella era una sadica! Capì, finalmente, il motivo per il quale si ostinasse a voler rapporti dove la violenza ricadeva inevitabilmente nel suo modo di approcciarsi. Altroché valchiria, quella era una vedova nera.
«Ti sembrerà strano, ma il sadomaso a me non piace. Specie quando sono io a doverci rimettere.» si giustificò poi, sotto lo sguardo accusatorio dell'amica.
«Non so perché, ma fatico a crederti...» ammise in seguito, guardandolo dritto negli occhi. Boris, a sua volta, li spalancò: che fosse un po' pervertito lo sapeva, ma fino a quei punti no. E il fatto che qualcuno potesse pensarlo, lo infastidì. Si sentì offeso, insultato. L'ego ridotto in poltiglia, umiliato.
«Il sesso dev'essere un piacere, non una tortura!» si affrettò a rispondere, sperando di essere riuscito a persuadere Julia da quella visione del tutto errata che aveva nei suoi confronti.
«Beh, per i sadici la sofferenza è un piacere.»
«Senti, Fernandéz, sono un sadico nel Beyblade, non a letto. Ed ora chiudiamo qui il discorso.»
«Lui è più cinico, che sadico.» intervenne Mao, con finto disinteresse.
La spagnola annuì concorde. «Giusto, tu sei cinico.»
Boris allargò le braccia esasperato.
«Mi spiegate come potrebbe aiutarci a risolvere la situazione descrivere la mia persona?!»
Julia scrollò le spalle. «Beh, se è il sesso che vuole, daglielo. Dubito che ti schifi.»
«Quella mi vuole molestare, in tutti i sensi! L'ultima volta si è presentata con un divaricatore. E qui mi fermo.»
Mao fu attraversata da un fremito. “Ma che gente c'è al mondo?” pensò, alzandosi dal divano ed avvicinandosi ai due. Si appoggiò alla parete adiacente, incrociando le braccia al petto. Doveva ammettere che la disperazione di Boris la divertiva.
«Hai provato a chiamare Yuri? Magari ha delle idee migliori delle nostre.» propose infine, rivolgendosi a Julia. Questa scosse la testa in segno di diniego. Il peso del pancione cominciò a renderle faticoso stare in piedi, così, avvertendo la schiena dolorante, andò a sedersi sulla poltrona.
«No, ma si può sempre tentare...»
Afferrò il cordless sul tavolino di fronte, digitando il numero del marito.
Ma...
Il suo viso sbiancò.
«E'... isolata.» disse con il cuore che prese a picchiarle violentemente in petto, «Quella pazza ci ha staccato la linea.»
«Ma dai, ma come è possibile?!»
Mao proprio non riusciva a capacitarsi di come una persona potesse arrivare a tanto solo per un uomo che non ricambiava i suoi sentimenti – ammesso e non concesso che quella ne provasse. Vista la dinamica di quanto stava accadendo e il tipo di donna che si era rivelata, stentò a crederlo. Comunque la situazione era assurda, inconcepibile. Cose del genere si vedevano solo nei film americani, demenziali e al limite dell'incredibile.
«Si vede che ha messo da preventivo che avremmo potuto chiamare la polizia...» susseguì Julia, iniziando a preoccuparsi seriamente.
«Hey, per l'amor del cielo!» esclamò l'orientale, spazientita. «Toglietevi quelle facce da funerale, per favore! Fortunatamente hanno inventato i cellulari, quelli nessuna pazza squinternata può isolarli.»
E così dicendo, estrasse il proprio dalla tasca dei jeans. I due la guardarono come se si fossero appena svegliati da un lungo sonno profondo.
«Vedete? Non c'è motivo di spaventarsi in questo modo, adesso chiamo la polizia.»
Boris, per la terza volta, provò a dirle che sarebbe stato inutile, ma la cinese non lo ascoltò e nemmeno gli diede il tempo di aprire bocca.
«Non me ne frega un accidenti di chi sia suo padre, c'è un limite a tutto. La legge è uguale per tutti, lei l'avrà infranta una decina di volte nel giro di un'ora.»
Rimase per qualche istante in attesa, poi una voce annoiata rispose con sufficienza.
«Polizia.»
«Sì, salve. Una sconosciuta si è introdotta in casa del mio fidanzato e continua a minacciarlo senza decidersi ad andarsene. Potete fare qualcosa?»
Boris si scambiò un'occhiata vacua con Julia.
Il mio fidanzato? Aveva detto proprio così?
«Mi dia l'indirizzo, mando una pattuglia.»
Un sorriso prese forma sulle labbra di Mao, rallegrando il suo viso fino a poco prima imbronciato.
«Oh, grazie! Mi attenda solo un secondo...» coprì il microfono del telefono con una mano, si voltò in direzione di Boris e gli disse: «Dammi l'indirizzo.»
«Protochny Pereulok 25.[*
Lei aggrottò la fronte, chiedendosi per quale ragione la lingua russa fosse così tanto difficile da pronunciare. D'altro canto stava parlando con il poliziotto in inglese, dunque ipotizzò che questi avesse intuito di essere in contatto con una straniera. Non si preoccupò più di tanto e provò a replicare il nome della via.
Il risultato fu pessimo.
«Ehm... paratuscini pere...perelum?..»
Sentì il suo interlocutore esitare, rimanendo in silenzio per una manciata di secondi.
«Come, prego?» susseguì a domandare, confuso.
Boris si schiaffò una mano in fronte.
«Pra-tu-scni.» scandì, incitando Mao a ripetere. E così fece, leggendogli anche il labiale per conferma. «Pe-re-li-uk.»
«Ah, ok!» esclamò l'altro, trattenendo una risata. «Mandiamo subito qualcuno.»
Sorrise grata al russo, bisbigliando: «Mi ha capita.» poi tornò a parlare con l'agente, rispondendogli: «Grazie, buona serata!»
Chiuse la telefonata e si voltò, annegando nella limpidezza di due occhi che avevano preso a scrutarla con attenzione: nessuno dei due disse niente, rimasero in silenzio in quel contatto di sguardi che li unì in modo insolito ed inaspettato. Boris, per contro, si sentì strano: non gli era mai successo di avvertire certe emozioni, confutabili ad un'attrazione che andava oltre a quella fisica. C'era qualcosa in Mao che lo spingeva sul procinto di desiderarla. Forse il suo modo di essere così energica, così spontanea... senza maschere, senza timore di mostrarsi per quello che realmente era.
Fin da bambino, gli era stato insegnato che lasciarsi toccare nell'intimo, scoprendo tutte le sfaccettature che componevano la sua persona, era sinonimo di debolezza e vulnerabilità. Una debolezza che, inevitabilmente, gli si sarebbe rivoltata contro. Perché chiunque avesse osato scavare così a fondo, poi avrebbe usato tutto quello che ne avrebbe tratto per ferirlo. E così aveva imparato a chiudersi in se stesso, senza mai lasciarsi andare del tutto, negandosi di vivere sino in fondo.
Julia si accorse di quella tacita conversazione che stava avvenendo tra i due. Sorrise e si alzò dalla poltrona, dicendo che sarebbe andata in bagno. Diede ad entrambi il modo di restare un po' da soli, sperando che quello scambio di sguardi avrebbe fruttato qualcosa di solido tra i due. O perlomeno l'inizio di un qualsiasi cosa. L'importante era che per una volta non si limitassero a litigare come di consueto, imbastendo una relazione più matura e priva di rancore.
Si richiuse la porta alle spalle, incrociando le dita.
Mao, tesa e a disagio, cercò di calmarsi. Non vi era nulla per cui agitarsi.
«Ti ho salvato il culo, dovresti ringraziarmi.» disse schernendolo e sorridendogli in modo furbo, come se avesse avuto in mente di rinfacciargli quanto accaduto per il resto della vita. Boris suo debitore per l'eternità. Il solo pensiero l'appagò.
«Fossi in te aspetterei a cantare vittoria...»
Ed ecco che la melodia della canzone che stava ascoltando prima le tornò in mente, così come le parole incisive risuonarono nella sua testa con fare quasi assordante.
I am tired, I am weary. I could sleep for a thousand years, a thousand dreams that would awake me different colors made of tears.”
Uno strano tepore la valicò, poi venne sostituito da una frequenza infinita di brividi freddi che si intersecarono sulla pelle della sua schiena. Era questo l'effetto che le suscitava il suo sguardo, la sua voce... la sua sola e semplice presenza.
Shiny, shiny... Shiny boots of leather.”
Ma per quale motivo doveva collegare a lui una canzone che parlava del lato più oscuro e discusso del sesso? In cuor suo, la risposta la conosceva, ma voleva negarla a tutti. Persino a se stessa. Boris rappresentava tutto quello che segretamente aveva desiderato da sempre, non facendone parola con nessuno. Dentro di lei si celava un desiderio carnale che andava oltre gli schemi, che solo lui avrebbe potuto esaudire e comprendere al tempo stesso.
Il basso ventre divenne caldo ed impaziente, attendendolo. I suoi occhi ambrati scintillarono di malizia. Lui lo vide, se ne accorse. Non lo disturbò.
L'intento fu quello di avvicinarsi, di cingerla a sé e di baciarla, ma l'urlo di due uomini provenire dall'esterno lo bloccò.
«Ma che diamine...»
Aprì un poco la porta, sbirciando oltre e vedendo due poliziotti correre in direzione delle scale. Sui loro volti era dipinto il terrore. Poco più indietro, vi era la valchiria armata di frusta. L'agitava in aria, manco fosse stata un cowboy.
Boris si paralizzò, allibito. Era un incubo! Eppure lui lo aveva detto che non sarebbe servito a niente a chiamare la polizia.
«Vi spedirò davanti alla corte marziale!» gridò Irina, minacciosa e con uno sguardo iniettato di sangue. Si accorse prontamente della sua presenza, mormorando sottovoce qualcosa di criptico e balzando in sua direzione. Riuscì a chiudere la porta appena in tempo.
«Merda!» ringhiò, rabbioso. «Quella pazza è ancora in casa mia!»
Dei tonfi fecero tremare la porta. «Non puoi nasconderti lì dentro per sempre!»
E seguirono altri colpi, sempre più forti. Il moscovita, attraverso lo spioncino, scoprì che la stava prendendo a calci.
Julia, allertata, corse fuori dal bagno. «¿Todavía ella?»
Boris stava impazzendo, letteralmente. Non ne poteva più di quella situazione.
Il suo sguardo divenne freddo, Mao lo riconobbe: era lo stesso del giorno in cui per poco non spedì all'altro mondo Rei. Rabbrividì.
«Yuri ha una pistola, vero?» domandò con voce bassa, velenosa. «So che ce l'ha. Dov'è?!»
Un sorriso sinistro, del tutto insano, increspò le labbra sottili del russo. Accorciò la distanza che lo separava da Julia, raggiungendola ed afferrandola per le braccia.
«Dove la tiene?» ripeté, a distanza millimetrica dal suo viso.
«Cálmate, Boris!» gli ordinò lei, fissandolo severamente. «Estás loco!»
«Non la voglio ammazzare, voglio solo spaventarla.»
«Non mi sembra una buona idea, non sei lucido attualmente.»
«Non me ne frega un cazzo, peggio per lei!»
Julia strattonò la presa sulle sue braccia, riuscendo a liberarsi. Gli puntò un dito contro, cominciando la predica: «Mi avevi promesso che non ti saresti più fatto prendere da queste botte d'ira, quindi vedi di darti un cazzo di calmata Boris.»
Si zittì, ma ancora sull'orlo della follia. Non tollerava questa invasione da parte di una donna a momenti sconosciuta. Camminò nervosamente per l'intero spazio della sala, avanti ed indietro, borbottando frasi incomprensibili.
Era giunto il momento di chiedere consiglio sul da farsi a Yuri.

Gli aeroporti non gli piacevano: troppo affollati, troppo rumorosi. Gli riducevano il respiro ad un soffio a labbra socchiuse, fornendogli una sensazione insopportabile di claustrofobia. Quando ancora non godeva di una stabilità relazionale con Julia, il momento di accompagnarla al gate lo metteva a disagio. Perché quel luogo rappresentava per lui un arrivo ed, inevitabilmente, un addio. E quando la vedeva pronta ad imbarcarsi, percepiva un'impressione d'abbandono. Decise, quindi, di rimanere all'esterno dell'edificio, attendendo l'arrivo di Kai. Dopo poco individuò la chioma argentea dell'amico. Alzò una mano verso l'alto per farsi notare. Questi gli si avvicinò, il volto contratto in un'espressione apatica e consueta. La mano stretta sulla maniglia di un piccolo trolley da viaggio: era stato chiaro in merito, poteva trattenersi solo per pochi giorni. Gli affari della Hiwatari Corporation urgevano di costante controllo e l'idea di lasciare tutto in mano ad Hilary – sebbene nutrisse fiducia in lei – non lo entusiasmava più di tanto.
«Ciao, Yuri.» fece, accennando un sorriso. «Quanto tempo...»
«Cinque anni.» puntualizzò, «Sono contento che tu sia riuscito a trovare un posticino per me nella tua agenda che straripa di impegni, signor Hiwatari.» lo schernì infine, stringendogli la mano in un saluto cordiale. Nessuno dei due era propenso ad abbracci o ad effusioni spropositate. Un lieve e contenuto saluto poteva bastare.
Kai si soffermò a guardarlo in faccia: lo sguardo stanco, ma felice. L'ombra delle rughe d'espressione ai lati della bocca gli conferivano un aspetto maturo, ma affascinante. Yuri era da sempre stato un bel ragazzo con quei suoi occhi magnetici e freddi, ma ora, il trascorrere del tempo, lo aveva reso senz'altro un uomo attraente. Non si stupì dell'incontrollabile attrazione che la focosa Fernandéz bramava per lui fin dai tempi del campionato. Chiunque avrebbe pagato oro pur di passare una sola notte con lei, ma questa aveva riservato le sue attenzioni solamente al blader russo.
Ebbene, il motivo era più che lampante.
«Allora? Come va?» chiese poi il nipponico, aprendo il bagagliaio dell'auto senza attendere il permesso del proprietario. Lui era fatto così.
Yuri scrollò le spalle. «Abbastanza bene, dai. Tralasciando che Julia si comporta come una bomba ad orologeria.»
«Gli ormoni, amico mio. Colpa degli ormoni.»
Accese il motore, aspettando che Kai gli si sedesse accanto. Azionò il riscaldamento ed ingranò la retromarcia, iniziando ad uscire dal parcheggio.
«E poi Boris, eterno bambinone, rende il tutto più... come dire? Ingestibile
«Questo avresti dovuto metterlo da preventivo: sai come è fatto.»
Yuri annuì, concorde. «E' mio fratello, Kai. E comunque, al di là di tutto, ci è stato vicino in questi mesi. Non ci crederai, ma Julia è riuscita a farlo disperare. Ogni giorno lo spediva a comprarle questo e quello, per non parlare che si è dovuto sopportare tutti i suoi sbalzi d'umore.»
«Chiamasi giustizia divina.» rispose Kai, sarcastico. «Quindi dove sarebbe il problema?»
«Il problema è che dispettoso come una scimmia. E tu lo sai.»
Oh, sì. Hiwatari lo sapeva bene. Durante la sua breve permanenza al Monastero, non era riuscito a chiudere occhio decentemente nemmeno una volta. Il caro Boris si divertiva a fargli trovare ogni tipo di bestia strana esistente al mondo nel letto. Non poteva dimenticarsi la volta in cui si ritrovò uno scorpione zampettargli allegramente su un braccio. Al solo pensiero di quanto accaduto quella notte, sentì la rabbia ribollirgli nel sangue.
«E vuoi sapere l'ultima?» proseguì Yuri, svoltando a destra e mescolandosi al traffico cittadino. «Indovina un po' chi è venuta a trovare Julia.»
Kai ci mise poco a capire di chi stava parlando.
«Ahia!» esclamò, semplicemente. «Credi che si odino ancora? Dopo tutti questi anni?»
«Boris no, anzi... secondo me se la farebbe ancora, senza problemi.»
«Beh, Rei ha chiesto il divorzio. Non credo che ci sia qualcosa che la trattenga dal lasciarlo fare.»
«Che si scopino o si ammazzino non m'interessa, basta che stiano lontano da casa mia quando e se decideranno di arrivare ad un dunque.» concluse il discorso Yuri, fermandosi in prossimità di un semaforo.
«Parliamo di te, adesso.» decise Kai, dandogli una piccola gomitata sul braccio. «Come procede la vita coniugale?»
Il russo si prese qualche secondo per riflettere. Si appoggiò sul finestrino alla sua sinistra, sbuffando sommessamente. «A volte mi domando se sia giusto tutto questo.»
L'altro, incapiente, aggrottò la fronte. «Che cosa intendi?»
Yuri sorrise, ma senza allegria. «Avanti... io padre? Non credo che questo bambino si meriti di crescere con un genitore incapace di fare persino una carezza. Ho ancora problemi a dimenticare il passato.»
«Yuri...» pronunciò Kai, cercando di essere il più delicato possibile. «Non potrai mai dimenticarlo, ma questa tua paura è infondata. Hai mandato avanti la squadra, ti sei preso cura di Boris e gli altri. Hai molto da dare, non pensare il contrario.»
Il russo stentava a credere alle proprie orecchie. Si voltò completamente a guardare l'amico, spalancando gli occhi. «Tu mi stai consolando? Davvero?»
«Non farci l'abitudine.» tagliò corto, «Sai, ultimamente anche Hilary sta parlando di avere dei figli... dovrei preoccuparmi?»
Il telefono squillò nella tasca dei jeans. Yuri guardò il nome di Julia lampeggiare sullo schermo, poi rispose alla chiamata. Il chiacchiericcio di più voci sovrapposte lo costrinse ad allontanare il cellulare dall'orecchio, chiedendosi cosa fosse successo da creare una discussione tanto infervorata. Distinse sua moglie parlare in inglese, sfumando i discorsi con qualche termine spagnolo; la pronuncia simpatica di Mao e quella tipicamente russa di Boris. Gli sembrò di ricordare che in uno dei suoi incubi vi fosse un mescolarsi di voci simile a quello che stava ascoltando al momento. Si sentì sollevato nel pensare di non essere in mezzo a quel caos di urla, volgendo uno sguardo grato a Kai.
Scattò il verde, così mise il vivavoce ed appoggiò il cellulare sulle ginocchia. Ingranò la prima e partì.
«Smettetela di parlare tutti insieme!» ordinò, spazientito. «Che cosa sta succedendo?!»
Fu Julia a rispondergli: «Devi tornare SUBITO a casa!»

Seduti al tavolo della cucina, decisero di unire le forze per escogitare un piano che permettesse loro di sbarazzarsi della valchiria una volta per tutte. Non solo per il bene dell'equilibrio mentale di Boris (il quale, a detta di Yuri, si sarebbe meritato di essere castigato dallo suddetta donna solo per averli trascinati in quella situazione), ma anche per conferire più tranquillità a Julia, nervosa e in completa balia degli ormoni impazziti che la spinsero a dire oscenità in spagnolo. La madrilena aveva una pazienza infinita, ma quando questa giungeva al termine era meglio mettersi al riparo.
Ed ovviamente la colpa era confutabile esclusivamente ed unicamente a Boris, dannato donnaiolo che non mancava mai d'occasione di piantare grane ovunque andasse. Ma la cosa che mandava più in bestia Yuri era che, da sempre e anche questa volta, sarebbe stato lui quello a spremersi le meningi per risolvere i problemi dell'amico. Fin dal Monastero, era la consueta e solita storia di anni ed anni di sopportazione e di linciaggi scampati in extremis. Huznestov era una causa persa in partenza, una sorta di calamita per le situazioni imbarazzanti e a rischio di vita al tempo stesso.
Decideva di frequentarsi con una ragazza con intenzioni serie? Nel giro di una settimana si sarebbe ricreduto, scaricandola con la delicatezza di un elefante impazzito dentro ad una cristalleria. Ergo: a rimetterci sarebbe stato Yuri,ritrovandosi la carrozzeria della macchina rigata. E dopo un'attenta osservazione, avrebbe constato che quelle righe avevano una logica e un perché: formavano la parola “stronzo”.
Boris decideva di passare una serata tranquilla tra amici? Dopo due ore sarebbe sparito, per poi rispuntare dal nulla terrorizzato dalla paura di essersi preso una malattia venerea per aver fatto sesso con una prostituta. Ad accompagnarlo in ospedale, ovviamente, ci avrebbe pensato ancora Yuri.
Decideva di uscire con una ragazza conosciuta su internet? Ebbene, questa, si sarebbe rivelata una psicopatica-sadomasochista, folle sino al midollo e – come se non bastasse – ex istruttrice di systema[**] nell'esercito russo e figlia di un ufficiale dell'aeronautica militare. Alias La Valchiria. Ciliegina sulla torta: la perfida Venere in Pelliccia, attualmente, si trovava nell'appartamento accanto – nonché casa di quel disgraziato di Boris, in attesa di attuare la sua sanguinaria vendetta.
Inutile dirlo, Yuri era stato strappato via dalla sua rilassante passeggiata con il buon vecchio Hiwatari Jr. per risolvere, ancora una volta, i problemi dell'amico.
E a proposito di Kai, menefreghista come pochi, propose: «Diamole quello che vuole, così lascerà tutti quanti in pace.»
Yuri si sentì tentato dall'idea, ma lo sguardo da cucciolo bastonato di Boris lo fece ricredere: era questo il potere di quel bastardo. Sapeva controllare alla perfezione la sua mimica facciale, facendola passare da spietato omicida ad animaletto dolce ed innocente. Della serie: Gatto con gli stivali di Shrek, spostati. Levati proprio.
Si prese la testa fra le mani, sospirando. “Perché tutte a me?” si chiese mentalmente, intuendo che la sfiga si fosse fusa a lui. Un solo corpo, una sola anima e una sciagura senza precedenti. Un essere oscuro, brutto, che rompeva gli specchi al solo passaggio dinanzi ad essi. Una creatura abominevole che cospargeva sale solo respirando. Ecco come si sentiva. Persino i gatti neri avevano paura di lui.
«Sei il solito figlio di una buona donna, Hiwatari.» replicò Boris, risentito.
Il nipponico, tuttavia, non colse la provocazione, liquidando il discorso con un'indifferente scrollata di spalle e un “tsk” che mandò i nervi di Yuri in crisi.
Quei suoi fastidiosi versi, simili al sibilare di un serpente, gli avevano causato un'avversione atroce già dai tempi del Monastero, per poi appurarne l'astio in continua crescita durante l'ultimo campionato di Beyblade.
«Smettetela tutti, adesso.» proferì poi, massaggiandosi le tempie. «Forse ho un'idea.»
I quattro si voltarono in sua direzione, guardandolo impazienti di ascoltare cosa avesse da proporre. Si inumidì le labbra con la lingua e domandò a Boris: «Sai dove abita suo padre?»
«No, ma so dove lavora.»
«Ancora meglio.»
Julia lo fissò intensamente, chiedendosi che cosa avesse escogitato quella sua mente diabolica. «Cosa c'entra suo padre?»
Le labbra del russo si curvarono all'insù, originando un sorriso sinistro che prometteva poco di buono.
«Sapete qual è la cosa più umiliante al mondo per una donna? Far vedere al proprio padre cosa può essere capace di fare per un uomo.»

Boris, alla fine, fu spinto fuori dall'appartamento.
«Fai come ti ho detto.» gli disse Yuri, appoggiato allo stipite. «Noi arriveremo entro poco.»
«Non mi fido di voi, mi lascerete lì!»
Ivanov non disse nulla, richiuse la porta e lasciò l'amico da solo sul pianerottolo. Questi sentì il cuore salirgli in gola. “Dai, Boris, fatti coraggio...” pensò, afferrando la maniglia ed entrando in casa propria. Notò delle candele sul tavolino di fronte al divano; le fiamme oscillavano in balia della corrente d'aria, proiettando la propria ombra sul televisore. Respirò a fondo, cercando di combattere contro la paura di essere sodomizzato dalla valchiria. Lei, alla fine, era pur sempre una donna: in quanto a forza fisica, avrebbe sicuramente avuto la meglio in caso di bisogno. Con quella convinzione, riuscì a destarsi un lieve sollievo. Si addentrò all'interno, lasciando socchiusa la porta e iniziando a cercare Irina con lo sguardo.
«Avanti, vieni fuori.» disse a gran voce, muovendosi con cautela. «Giochiamo.»
E a quell'ultima parola, la donna venne allo scoperto. Julia aveva visto bene, perché ora riuscì a contemplare la sua silhouette giunonica avvolta in una stretta tuta di lattice. Lo schiocco della frusta picchiare sul pavimento lo fece sussultare. Aveva brutti ricordi in merito ed inevitabilmente il viso di Vladimir Vorkof prese forma tra i suoi pensieri. Una sequenza di immagini dolorose, confuse perché sbiadite dal tempo trascorso. Il sangue che scivolava lungo la sua schiena, i lividi e le ferite... strinse i pugni, imponendosi di stare calmo.
«Finalmente ti sei deciso a tirare fuori le palle.» disse lei, avvicinandosi a lui. Il ticchettio emesso dai tacchi a spillo che indossava irritò Boris. La distanza che li separava si ridusse drasticamente. Avvertì il pericolo e d'istinto si preparò a difendersi. Poi si ricordò di quanto prestabilito con Yuri, dunque dovette fare uno sforzo disumano per non metterle le mani al collo. Doveva lasciarla fare, trarla in trappola.
«Sì, sono qui.»
«E quindi vuoi giocare?»
La voce di Irina era incrinata, risuonava quasi distorta. In lei si celava la follia. Boris fu scosso da un fremito, poi accettò la sfida.
«Sì, giochiamo.»
E senza neanche accorgersene, si ritrovò seduto in terra. La valchiria lo aveva spinto, rivelando di possedere una forza impensabile. Poi aveva tirato fuori dal nulla delle manette, come una prestigiatrice. Boris non ebbe il tempo di realizzare, perché si ritrovò con entrambe le mani legate dietro la schiena. Sgranò gli occhi, incredulo.
Provò a liberarsi, ma più si agitava e più i polsi gli dolevano.
Con irruenza, in seguito, gli coprì la bocca con del nastro isolante.
Legato ed imbavagliato.
Benissimo. Dannò Yuri e i suoi stupidi piani. Lo sapeva che sarebbe finita male per lui!
«Adesso mi divertirò con te.» disse Irina, inginocchiandosi dinanzi a lui ed armeggiando con la cerniera dei suoi jeans. «Dopodiché di farò pentire di avermi usata.»
Gli mostrò un paio di forbici scintillare alla luce soffusa emessa dalle candele, sventolandogliele vicino al viso. Il cuore del russo mancò di un battito.
Merda, merda, merda!!!”

Yuri strinse l'ultimo nodo, completando una sorta di corda improvvisata creata unendo qualche calzino. Si assicurò che fosse abbastanza resistente, facendo poi segno a Kai di seguirlo. Questi, a malavoglia, lo raggiunse sul pianerottolo.
«Dobbiamo proprio?» chiese, «Potremmo lasciarlo lì, facendo finta di niente...»
Il moscovita, per tutta risposta, lo incenerì con lo sguardo. Il nipponico alzò le mani in segno di resa. «E va bene... salviamo il coglione.»
Si accostarono alla porta, aprendola leggermente. Yuri riuscì ad intravedere Boris legato come un salame e la valchiria troneggiare su di lui, premendogli la testa contro il seno prosperoso. Dovette ammettere che, vista in quel modo, non sembrava una tortura, anzi... Lui stesso aveva usato le manette con Julia, sebbene la cosa inizialmente non lo avesse entusiasmato granché. Tuttavia la situazione, in questo caso, era ben diversa: quella che avevano davanti agli occhi era una svitata sanguinaria, capace di tutto pur di farla pagare a Boris.
Senza perdere di vista la donna, si intrufolò nell'appartamento, chinandosi sulle ginocchia e appostandosi dietro al divano. Mosse una mano in direzione di Kai, facendogli capire di attendere un suo segnale prima di agire. Si mosse lentamente alle spalle di Irina, facendosi notare da Boris che lo guardò. Un barlume di speranza si accese in lui.
Yuri, a quel punto, scattò in avanti, afferrandola per le braccia e trascinandola poco più distante dall'amico – lasciato in mutande, con i pantaloni alle caviglie.
«Kai, ora!»
Il nipponico, al richiamo, corse in direzione del russo, aiutandolo nell'impresa di immobilizzare la valchiria. Questa, però, riuscì a liberarsi, alzandosi in piedi e gridando in preda ad una collera distruttiva. Si avventò contro Yuri, colpendolo con dei calci. Afferrò il telecomando e colpì Kai sulla testa.
«NON IMMISCHIATEVI!!!»
Kai la placcò, spingendola sul divano e mettendosi a cavalcioni su di lei. Yuri ne approfittò per legarle i polsi e i piedi ben stretti, premendo una mano sulla sua bocca cercando di coprire le sue urla. Se qualcuno li avessi visti o sentiti, avrebbe avuto tutto il diritto di pensare cose orribili. Si vergognò.
«Mhpff... mhpff...» mugugnò Boris, come a volere far notare che era ancora imbavagliato.
«Taci, a te penseremo dopo.» lo liquidò Yuri, senza degnarlo di uno sguardo.
Raccolse il nastro adesivo dal pavimento, per poi strapparne un pezzo e appiccicarlo sul viso di Irina. Questa gli rivolse uno sguardo stracolmo d'astio.
«Bene, adesso portiamola in macchina.»
Mao e Julia, rimaste in disparte, guardarono la scena da lontano. Un sorriso divertito prese forma sulle labbra della prima, mentre la seconda non riuscì a fare a meno di controllare che nessuno dei vicini di casa si fosse accorto di quanto stava accadendo.
Yuri e Kai la sollevarono, uno dalla testa e l'altro dai piedi, avanzando in direzione dell'ascensore.
«Julia, premi il tasto.»
«Yuri, per l'amor del cielo, fate piano!» rispose lei, preoccupata. «Se ci scoprono...»
Lui non le diede il tempo di portare a termine la frase, perché l'ammonì dicendo: «Non è il momento!»
L'ascensore giunse al piano e le porte si aprirono. «Vieni con noi e porta la macchina vicino al portone.» disse infine, schiacciando il pulsante del piano terra.
La madrilena annuì. «Va bene.»
Mao, invece, rimase ferma dov'era a fissare Boris con due occhi che estraniavano a pieno quanto la divertisse vederlo in quello stato. Le braccia incrociate al petto ed un ghigno sulla labbra. Si piegò sulle ginocchia e gli strappò il nastro isolante dal viso senza alcun preavviso, strappando qualche residuo di barba.
«Ah!» esclamò lui, dolorante. «Stronza!»
«Non sei più tanto minaccioso, adesso.»
«Non inferire!» sibilò, a denti stretti. «Liberami invece di fare la cretina.»
Continuando a ridacchiare, si sedette dietro di lui. Le manette gli avevano ferito superficialmente i polsi. Le studiò accuratamente, notando che vi era una piccola serratura tra i due bracciali metallici.
«Ehm... c'è un problema.»
«E quale sarebbe?» domandò Boris, esasperato.
«Ci vuole la chiave.»
A malapena riuscì a trattenere una bestemmia.

Lasciarono la valchiria davanti all'ingresso della caserma militare, con un biglietto appiccicatole in fronte che recitava il seguente testo: “Papà, mi piace il sadomaso. Ho cercato di importunare un ragazzo e questa è la mia punizione.”
Senza perdere tempo, ripartirono a tutta velocità. Yuri alla guida, Julia seduta accanto e Kai sui sedili posteriori. Tutti e tre sollevati.
«Sono qui da poche ore e mi avete già stancato.» esordì il nipponico, incrociando le braccia al petto e chiudendo gli occhi. Aveva bisogno di rilassarsi, tutto quel trambusto lo aveva innervosito e non poco.
«L'importante è che sia finita...» gli rispose Julia, accarezzandosi il pancione e guardando i profili dei palazzi attraverso il finestrino. «Secondo voi tornerà?»
«In tal caso, fammi il favore di starne fuori.» le disse Yuri, accostandosi davanti ad una pizzeria gestita da un uomo italiano sulla sessantina. Lo aveva conosciuto per caso e aveva scoperto, con gran piacere, che la sua pizza era la più buona di tutta Mosca. Il signor Franco, inoltre, era sempre contento di rivederlo, concedendogli il lusso di qualche sconto proficuo ad ogni acquisto.
«Pizza?» domandò, slacciandosi la cintura di sicurezza.
Kai annuì, senza aggiungere altro. Julia, invece, prese il telefono dalla tasca della giacca. «Chiamo Mao e chiedo che pizza vogliono lei e Boris.»
Ma dopo aver ascoltato il segnale acustico che sembrò protendersi all'infinito, non ottenne alcuna risposta. Un cipiglio di confusione prese forma sul suo viso.
«Che c'è?»
Julia si girò verso Yuri. «Non risponde.»
Calò il silenzio. Provarono sul numero di Boris, ma niente. Ai tre sorse lo stesso dubbio.
«Quei due...»
Kai lasciò volutamente la frase in sospeso, lasciando spazio all'immaginazione.
Yuri scese dall'auto, poi attese che lo seguissero anche loro. «Allora speriamo che abbiano finito al nostro ritorno.»
 

In verità, Mao e Boris, erano impegnati in un'attività decisamente meno piacevole del sesso. Seduti sul divano, l'orientale stava cercando in ogni modo di far scattare la serratura delle manette con l'ausilio di una graffetta di metallo. Il russo, nel frattempo, aveva lasciato che lo sguardo gli scivolasse sulle cifre digitali del decoder posto al di sotto del televisione: era passata una mezzora ed ancora non era riuscito a liberarsi. Stava cominciando a perdere le speranze, rassegnandosi all'idea di dover dirigersi da un ferramenta ammanettato così com'era e sprofondando nella vergogna.
La fronte di Mao si imperlò di sudore, le dita cominciarono a farle male.
«Dannazione...» mormorò, al limite della pazienza.
Boris cercò di stare il più comodo possibile sul divano. Tanto, di quel passo, non si sarebbe schiodato di lì presto. Osservò con la coda dell'occhio la ragazza accanto a lui, ritrovandosi a pensare che fosse molto più bella di come la ricordasse.
Che fosse per il colore dei capelli o per altro, non faceva differenza. Era una donna attraente, con quelle curve mozzafiato e il viso dai lineamenti dolci ed intriganti al tempo stesso. Si accorse di non sapere pressoché niente di lei, di cosa aveva fatto negli ultimi anni... ed incredibilmente capì di voler compensare quelle lacune.
«Come va?» chiese, impacciato. Non era abituato ad interessarsi così di una persona che non fosse Yuri – unico essere vivente sulla terra per il quale avrebbe ceduto la propria vita, se fosse stato necessario.
«Male, come puoi ben vedere.» rispose lei fraintendendo, ma senza distogliere l'attenzione da quell'aggeggio infernale che tanto la stava facendo disperare.
«No, non mi riferivo a questo.»
Si fermò, alzando lo sguardo quel poco che bastava per poter incontrare gli occhi di Boris. Questi proseguì: «Intendevo dire: tu come stai?»
Rimase interdetta, non si aspettava di ricevere una domanda così spontanea da parte sua. Non glielo chiese neppure quando finirono a letto insieme.
«Io... sto bene, credo.» rispose, senza dilungarsi in inutili spiegazioni che sicuramente non avrebbero avuto alcun peso per lui.
Ed invece la stupì, ancora una volta.
«Cosa hai fatto in questi anni? Lavori?»
Serrò le labbra, sentendosi completamente spiazzata. Dove stava l'inganno?
«Lavoro nel marketing di una compagnia telefonica. Mi occupo di pubblicità, per farla breve.»
«E Rei? Come sta?»
Si irrigidì. Eccolo l'inghippo.
Bastardo.
Gli occhi ambrati di Mao si assottigliarono, divenendo sospettosi.
«Dove vuoi arrivare?»
«Da nessuna parte.» le rispose, scrollando le spalle. «Visto che siamo costretti a stare qui...»
Lei tornò a concentrarsi sulle manette.
«Sta bene, è fidanzato con un'altra. Ora stai fermo e zitto, altrimenti non ne usciamo più.»
Finalmente avvertì la leggera pressione delle dentature del chiavistello, così spinse delicatamente verso l'interno e...
Niente.
Sospirò sconsolata, ma senza darsi per vinta.
«Senti, ma Mao è il tuo vero nome? Sul serio?»
Lo graziò di un'occhiata malevola.
«Finiscila.»
«Era solo curiosità...» si giustificò Boris, sbuffando.
«Avresti dovuto interessarti ai tempi che furono, adesso è inutile.»
«Alt!» esclamò lui, bloccandola. «Non farti strane idee. E poi smettila di essere così rancorosa, sono passati dieci anni come minimo.»
«Dodici, per l'esattezza.»
«Ecco, quindi...»
«Quindi un cazzo!» ringhiò lei, rabbiosa. «Ho passato dodici anni a patire l'incrinatura della mia relazione con Rei per aver perso la testa per te. Sono arrabbiata con me stessa per averti permesso di rovinarmi la vita.»
Boris, a quel punto, non disse nulla. Rimase in silenzio a sostenere lo sguardo di Mao. Non avrebbe mai immaginato di averle arrecato tutta quella sofferenza... in fondo, sebbene non lo volesse ammettere, si sentì un po' in colpa.
Per aver perso la testa per te.
E lui neppure se n'era accorto.
«Quindi stai dicendo che è colpa mia? Vi siete lasciati per quello che è successo tra di noi?»
tra di noi. Quelle tre e semplici parole le riecheggiarono in testa.
C'era stato un “noi”, dunque?
Un brivido le attraversò la schiena.
«Mettiamola così: lui non si fidava più di me ed io ho cercato di convincermi di amarlo ancora. Sei contento adesso?»
Percepì un clic e le manette si aprirono. Ci era riuscita!
Le afferrò e le sfilò dai polsi del russo, sfiorando involontariamente la pelle delle sue mani con le dita.
Boris si massaggiò i polsi, cercando di non badare al bruciore delle ferite.
«Hai un futuro come scassinatrice, sappilo.» le disse con l'intenzione di deviare il discorso, in modo da alleggerire la tensione.
Lei arguì il tentativo e gliene fu grata.
«Mi avrebbero già arrestata, ci ho messo troppo tempo.»
«Quanto ti fermi qui?»
La spiazzò ancora una volta.
Si chiese chi fosse veramente l'uomo che aveva davanti; non poteva essere Boris, non lo ricordava così.
«Una settimana, perché?»
Sorrise con fare enigmatico, lasciando intendere il tutto e il niente contemporaneamente.
«Così.»

La mattina seguente Julia si alzò non appena le lancette dell'orologio scoccarono le dieci in punto. Stiracchiandosi un poco, si issò sulle proprie gambe – sbilanciata leggermente dal peso del pancione – e si infilò la vestaglia addosso e le pantofole ai piedi. Scostò le tende ed aprì le persiane, ammirando il paesaggio fuori dalla finestra: in cielo splendeva un sole caldo e luminoso. Nel giardino condominiale sottostante correvano gioiosi e spensierati dei bambini accompagnati dai propri genitori. Una ragazza stava passeggiando allegramente con il proprio cane. L'anziana vicina di casa dell'appartamento accanto aveva cominciato a cucinare qualcosa dal profumo invitante. Sorridendo, camminò in direzione della porta, varcandone la soglia e percorrendo il piccolo corridoio sino a raggiungere la cucina. Lanciò un'occhiata sbrigativa a Mao, assopita sul divano con la coperta tirata sin sopra le spalle.
Yuri sedeva al tavolo, sorseggiando caffè e leggendo il quotidiano con disinteresse.
«Buongiorno.» la salutò, senza scostare lo sguardo dalle pagine di carta ed avvicinandosi la tazzina di ceramica alle labbra.
Lo baciò su una guancia. «Buongiorno a te, amore. Ti sei alzato presto, stamattina.»
«Diciamo che con quello che è successo ieri, mi sono venuti gli incubi.» rispose lui con voce impastata, dimostrando chiaramente di non essere ancora del tutto cosciente e vigile. «Ti ho preparato il cappuccino.» aggiunse poi, indicandole una caraffa posata vicino ai fornelli. «E in quel sacchetto hai una brioche alla marmellata.»
«Come mi vizi..!»
Pedro zampettò vicino a lei, strofinando la testolina pelosa sulle sue gambe ed emettendo un “pruah!” in segno di saluto. Poi balzò sulle ginocchia di Yuri, accomodandosi su di esse. Il russo si irrigidì.
«Il tuo gatto è ossessionato da me.» commentò, rifilandogli uno sguardo seccato. Non si osò neppure di fargli una misera carezza.
Julia alzò gli occhi al cielo. «Non è ossessionato, ti vuole semplicemente bene.»
«I gatti non hanno sentimenti, non sono capaci di mostrare affetto. Sono opportunisti e ruffiani. Fa così perché vuole qualcosa.»
«Ma smettila!» lo ammonì la spagnola, dando un morso alla brioche e sedendosi di fronte al marito. «Quando tuo figlio verrà a chiederti di considerarlo penserai la stessa cosa?»
«Ovviamente!» esclamò lui, sicuro e determinato del suo pensiero. «Bambini e gatti viaggiano sulla stessa linea.»
«Sembri Boris quando parli così.»
Yuri, a quel punto, le sorrise di scherno.
«Lo stavo imitando, infatti.»
«Aha-ah...» fece Julia, fingendosi divertita. «Sei di buonumore oggi.»
Il russo gongolò. Girò pagina e sembrò interessarsi all'annuncio che sponsorizzava l'apertura di un nuovo cinema in centro. Poi scese con lo sguardo sull'oroscopo, accanto, un paragrafo intitolato “curiosità del mese”, mostrava raffigurata in primo piano la rappresentazione grafica di Diana, la dea greca della caccia. E a quel punto gli occhi di Yuri si illuminarono di un bagliore d'ispirazione.
«Diana.» pronunciò in un sussurro appena percettibile.
Julia rimase in silenzio con la tazza a mezz'aria, confusa. Un cipiglio di gelosia prese forma sul suo volto.
«Chi è?»
«La dea della caccia.»
Aggrottò la fronte, ancora incapiente. «Quindi?»
«Se è femmina, mi piacerebbe chiamarla così. Diana.»
«E' un bel nome.» si ritrovò concorde lei, annuendo e pensandoci su. «Sì, direi che Diana sarebbe perfetto.» concluse, accarezzando il ventre tondo e sempre più sporgente. Poi, di colpo, si bloccò, sussultando.
«Yuri, presto!»
Questi si alzò, incuriosito. Si lasciò prendere una mano dalla madrilena, la quale l'accompagnò a posarla sul pancione. Premette leggermente, sorridendo e sentendo le lacrime dovute alla gioia del momento salirle agli occhi. Un lieve tepore le avvampò le guance.
«Credo che questo sia un piedino.»
«Ne sei sicura?»
«Certo! Sentilo!»
Ed incredibilmente anche gli occhi di Yuri divennero lucidi. Una sensazione di calore gli attraversò il petto, spingendolo a pensare di aver ritrovato – dopo tanti e lunghi anni di solitudine e sofferenza – la felicità. Quella vera, quella a cui tutti ambiscono sin dal primo giorno di vita. Alzò un poco lo sguardo, incontrando quello di Julia.
Senza saperlo, gli aveva appena donato il regalo più bello al mondo.

 

[*]Проточнии переулок (Protochny Pereulok) non è davvero il nome di una via, in realtà significa “corsia fluente”. Ho scelto di scrivere queste due parole perché, quando ho iniziato a studiare russo, la pronuncia delle suddette mi ha fatto disperare ç_ç... credo di averci messo un giorno intero a dirle come si dovrebbe. Atroci ricordi.

[**]Systema: da Wikipedia, Systema (in russo Система, letteralmente il Sistema) è il metodo di combattimento derivato dalle scuole autoctone di arti marziali russe.
Tale sistema comprende:

  • Combattimento a mani nude;

  • Prese;

  • Combattimento con frusta;

  • Combattimento con armi da taglio;

  • Combattimento con armi da fuoco;

  • Esercizi e lavoro di coppia con o senza forme predefinite.


La canzone che sta ascoltando Mao si intitola “Venus in Furs” dei Velvet Underground.

NdA: Eccoci qui, giunti alla conclusione di questa fase 4.
Ora ci aspetta l'ultima, la più terribile... e penso che tutti voi possiate tranquillamente immaginarvi di che cosa tratterà XD. Tra Mao e Boris, alla fine, non è successo niente. O meglio, qualcosa c'è stato: un riavvicinamento. Il russo sembra aver dimostrato interesse nei suoi confronti... staremo a vedere che cosa succederà!
In verità sto preparando il terreno per un'altra piccola Long che vedrà gli stessi protagonisti di questa, ma sarà centrata maggiormente su Boris e Mao. Queste due fasi sono servite per introdurre questa storia parallela che mi auguro avrete piacere di seguire=).
La Valchiria, finalmente, è stata sistemata ù_ù! Ma non è detto che non rifaccia la sua comparsa in futuro, ancora assetata di vendetta XD.
E Julia e Yuri, FORSE, sono riusciti a mettersi d'accordo sulla questione del nome. Speriamo che duri questo tacito accordo, va!
Come sempre, ringrazio tutti coloro che mi hanno seguita fino a qui.
Ragazze, non mi stancherò mai di ripeterlo, siete fantastiche *___*! Non so proprio cosa farei su EFP se non ci foste voi :'D.
Spero che questa seconda parte della fase 4 vi sia piaciuto e di avervi strappato almeno un sorriso ^w^.
Ci risentiamo al prossimo aggiornamento!
Un abbraccio,
Pich ora Kseniya.

 

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Capitolo 7
*** Fase 5 ~ Il Fatidico Momento ***


~ . LE CINQUE FASI DI UNA GRAVIDANZA. ~
7.
Fase cinque: Il Fatidico Momento

 

«Yuri, sinceramente, vattene al diavolo!»
Capitava a volte – negli ultimi due mesi capitava spesso – che i coniugi Ivanov non riuscissero a comunicare. O meglio: Julia parlava, Yuri non capiva o non ascoltava neppure. E la cosa, di recente, si ripeteva per circa cinque o sei volte al giorno.
«Basta, non spreco più fiato!» sbraitò in tono tragico il russo, lanciando per aria i documenti del lavoro portati a casa controvoglia. Sì, perché se non avesse terminato la pratica entro quella settimana – a detta del suo capo – si sarebbe ritrovato costretto a cercare un nuovo impiego. Tutto nella norma, insomma. I datori di lavoro non privilegiavano gli impiegati, bensì gli schiavi – fossero loro statali, privati o in nero, non faceva testo; l'importante era che queste persone scattassero come soldatini ad ogni loro richiesta.
Quindi: no mutua, no ferie, no “mia-moglie-è-incinta-e-mi-sta-portando-all'esaurimento”. «Affari tuoi, Ivanov.» gli era stato detto con no-calanche. «Voglio la pratica pronta sulla mia scrivania entro lunedì. Il resto non m'interessa.»
E da lì era scoppiata la lite.
«Avevi promesso che avremmo cominciato a scegliere i mobili della cameretta del bambino!»
«Ed io ti sto dicendo che adesso non posso, che lo faremo più tardi.»
«Le cose che riguardano tuo figlio sono meno importanti del lavoro?»
Yuri non le rispose, deciso ad ignorarla. Prese una cartellina verde contrassegnata con il nome “assicurazioni 2017” e la posò sul tavolino di fronte al divano, aprendola e cominciando a sfogliarne i mille fogli contenuti in essa. Armato di calcolatrice e penna, iniziò ad immergersi nei redditi annuali di circa trenta clienti con richieste, esigenze e problematiche diverse.
«Sei incredibile!» esclamò Julia infine, allargando le braccia e guardando il russo con stupore. «Quindi è così? Il lavoro è più importante di tuo figlio?!»
«Il lavoro mi permette di dar da mangiare a te e a mio figlio! Quindi smettila!»
Perse il conto. Perfetto. Ricominciò da capo, sempre più nervoso.
Quelle pratiche erano state riordinate malissimo. L'idea di prendere tutti quei fogli e di farci un falò gli stuzzicò la mente. Documenti scomparsi, risolto il problema.
Ma la realtà, suo malgrado, era diversa ed offriva ben poche scorciatoie.
«Bene, allora continua pure a pensare al tuo lavoro.» concluse Julia, sedendosi sul divano a braccia conserte e guardandolo astiosa.
«E' quello che farò.»
«Benissimo.»
Silenzio. Si percepì solamente il suono emesso dai tasti della calcolatrice pigiati da Yuri. E nient'altro. Finalmente avrebbe cominciato a lavorare in santa pace.
Anche se...
Di sbieco, riuscì ad intravedere gli occhi della moglie puntati su di lui. Diede come l'impressione di volerlo perforare solo attraverso lo sguardo, di ridurlo in poltiglia.
Per la precisione Julia immaginò di trasformarlo in una polpetta e di mangiarselo.
Oh, come avrebbe voluto avere questo potere!
Lui sbuffò, seccato. «Perché non chiami tuo fratello? Oppure qualche tua amica?» susseguì a chiederle, sgarbato.
«Andrò a trovare Boris.» annunciò, alzandosi dal divano e raggiungendo la porta di casa. Abbassò la maniglia di quella conducente all'appartamento dell'amico ed entrò, non trovandolo. Così provò in camera da letto: la televisione lasciata accesa su un tipico reality americano, le persiane chiuse e il russo disteso tra le coperte a pancia in giù. Notò con estremo piacere che era solo, senza nessuna sconosciuta intorno.
Tirò un sospiro di sollievo, poi si sedette al suo fianco e cominciò a scuoterlo.
«Mh...» brontolò, girandosi su un fianco ed aprendo un occhio solo. «Julia, non adesso... ho fatto il turno di notte.»
Ma la madrilena non si arrese. «Ho litigato con Yuri.»
«Mh...» fece nuovamente, infilando la testa sotto il cuscino.
Lei glielo tolse, poi proseguì: «E' proprio uno stronzo, promette e non mantiene. Io capisco che il lavoro sia importante, che il capo lo stressi, ma a breve il bambino nascerà e non abbiamo ancora comprato neppure una culla.»
Le donne e il loro bisogno fisiologico di parlare...” pensò Boris, sbuffando e tirandosi su a sedere. Sbadigliò e si stiracchiò, cercando con le mani il telecomando sul letto ed abbassando il volume della televisione.
«Sei proprio una rompicoglioni, lasciatelo dire.» commentò acidamente poi, «Perché non vai a lamentarti con qualche tua amica? Io sono stanco, voglio dormire.»
«In Cina è passata la mezzanotte, a quest'ora.»
«E allora chiama l'altra... com'è che si chiamava? Ilaria? Hilary?»
«In Giappone è l'una di notte.»
Boris cominciò a rassegnarsi, quindi sbuffò ancora.
«Quindi sono io la tua vittima sacrificale?»
Il suo cellulare annunciò attraverso la consueta melodia l'arrivo di un messaggio; allungò una mano verso il comodino per prenderlo. Julia, incuriosita, sbirciò.
Non riuscì a credere ai propri occhi.
«Scherzi?!» strillò, allibita e confusa al tempo stesso. «Ma veramente???»
Lui, per contro, si irrigidì. Maledì lei e il suo essere così impicciona. Quando ci si metteva era davvero insopportabile.
«Ma la privacy sai che cosa sia?» si difese, svincolando l'attenzione della spagnola da un'altra parte. O almeno ci provò, sperando di riuscire nel suo intento.
Tutto inutile, ovviamente.
«Voi vi sentite!» esclamò, indicando il telefono. «Non mi ha detto niente!»
Boris si sentì inevitabilmente in imbarazzo. Non capirne la ragione lo innervosì.
«Non è quello che pensi.» borbottò, senza riuscire a guardarla in faccia.
«E allora cos'è?»
Dannazione.
Perché doveva insistere?
Si morse la lingua evitando di mandarla a quel paese senza troppi preamboli.
«Ogni tanto ci scambiamo qualche messaggio, tutto qui.»
«E..?» chiese lei con uno sguardo più che eloquente e un sorrisetto stampato in faccia che mandò in tilt il sistema nervoso del russo.
«E niente, Julia! Smettila.»
«Certo, come no... E' successo qualcosa quando era qui?»
Non le avrebbe permesso di minare il suo autocontrollo in quel modo. Mai. Quello che stava inspiegabilmente succedendo nella sua testa doveva rimanere segreto. E comunque non sarebbe riuscito a spiegarlo, perché persino lui si sentiva confuso in merito. E detestava quanto stava accadendo. Detestava Mao. Persino se stesso. Tutto quanto.
Senza volerlo ripensò al loro strano ed insolito saluto in aeroporto, al fatto che si fosse ostinato a volerla accompagnare lui personalmente senza una ragione.
A quella sua frase, ad impatto insignificante, pronunciata poco prima di andarsene, voltandosi verso di lui e cercandolo con lo sguardo.

«Boris.»
Lui alzò gli occhi. Rimase in silenzio.
«Il mio vero nome è Mei.»
[1]

Strinse i pugni e lanciò il cellulare alla rinfusa, in un angolo casuale del letto.
«Basta.» disse con voce bassa ed incrinata. «Chiudiamo qui il discorso.»
Julia percepì la tensione che prese dominio sul russo, così decise di non insistere ulteriormente. Per rispetto, perché sapeva che per lui – come lo era stato per Yuri tempo addietro – parlare dei propri sentimenti era doloroso. Dio, faceva male. Troppo male.
«Hai litigato con Yuri.» disse all'improvviso lui, come a voler fare mente locale. «Quindi cosa vuoi fare? Sfogarti?»
Lei scosse la testa, poi rispose: «Ora non più.»
«Guardiamo un film?»
Fece per accettare, quando un dolore acuto e lancinante le spezzò il respiro. D'istinto appoggiò le mani sul pancione, soffocando un urlo. Spalancò gli occhi: contrazioni.
E poi un'altra fitta, seguita da un'altra ancora. Infine sentì una strana sensazione di bagnato tra le gambe.
Oddio...” pensò, impallidendo.
«Mi si sono rotte le acque.»
Boris non riuscì più a muoversi: rimase pietrificato, come se le gambe gli fossero diventate tutto d'un tratto di marmo. La mente si trasformò in un subbuglio di pensieri sconnessi, privi di logica e caotici. Provò a dire qualcosa, ma delle sue labbra fuoriuscì un rantolo di parole soffocate e confuse. Sbiancò in volto, per quanto la sua carnagione chiara permettesse. Osservò Julia piegarsi su se stessa per il dolore, il suo viso arrossato e le mani tremolanti per l'agitazione.
«Fa qualcosa!» gli gridò, a denti stretti. Quel male la stava facendo impazzire. Era atroce.
«Che cosa dovrei fare?!»
Il russo avrebbe reagito prontamente dinanzi a qualsiasi problematica e situazione. Qualsiasi, ma non questa. La sua indole calcolatrice andò letteralmente a farsi benedire. Non riusciva a pensare, a ragionare, a fare alcunché. Ed il panico, inevitabilmente, lo attraversò come una freccia infuocata conficcata in pieno petto.
«Lavori sulle ambulanze, dovresti saperlo!» seguitò la madrilena, oramai fuori di sé.
«Io guido le ambulanze.» precisò lui, scattando in piedi e gesticolando nervosamente.
«In questi casi interviene la macchina con medico ed infermiere a bordo, noi non abbiamo le competenze.»[2]
«Devo... devo...»
Le contrazioni erano talmente forti da impedirle di esprimersi con chiarezza. Le lacrime le salirono agli occhi. La paura di non sopportare quanto stava per accadere la costrinse a sottomettersi ad una morsa agghiacciante che le aggravò sullo stomaco. Il respiro ridotto ad un sospiro. Si sentì morire.
«Aspetta qui, chiamo Yuri!»
E così dicendo, corse fuori dal proprio appartamento per raggiungere quello dell'amico. Lo ritrovò riverso su mille fogli con le mani tra i capelli, ignaro dell'imminente arrivo del figlio. Alzò lo sguardo in direzione di Boris, accorgendosi dell'agitazione che aveva preso controllo del suo corpo. D'istinto scattò sull'attenti, quasi come un soldatino. Il cuore gli mancò di un battito.
«Credo che stia per partorire.» disse solamente, «Dobbiamo portarla in ospedale.»
Yuri rimase in silenzio, incerto sul da farsi. Non riuscì a spiccicare parola.
I pensieri vorticarono nella sua testa come uno sciame d'api impazzite. Il mondo circostante gli diede l'impressione di muoversi a rallentatore. I suoni e i rumori ovattati, come se si fosse immerso nell'acqua gelida. Tutto distorto e lontano.
Stava annegando.
«Yuri, cazzo!»
Percepì indistintamente la pressione indotta dalla mano di Boris poggiarsi sul suo braccio. Il suo sguardo scivolò oltre, come se davanti non ci fosse stato nessuno.
Credo stia per partorire.
Dobbiamo portarla in ospedale.
L'eco della voce del russo risuonò con fare assordante.
Il battito cardiaco accelerato, incontrollabile. Non respirava. Avvertì la fama d'aria.
I muscoli si tesero, i nervi balzarono fuori ogni controllo.
Una voce dentro di sé gridò.
Stai per diventare padre.
Sarai all'altezza?
Sicuro?
Forse no.
Sì.
No.
Forse.
Buttati.
Oppure resta qui ad annegare.
Affoga.
«Yuri!!!»
Boris lo strattonò in sua direzione, scuotendolo più volte. Lui sembrò rinvenire.
Alzò lo sguardo, incrociando quello dell'amico di fronte.
«Sono qui.» disse in un sussurro appena percettibile. «Dov'è Julia?»
Ebbe come l'impressione di essersi appena svegliato da un lungo e traumatico sonno.
«Forza, andiamo!» gli ordinò Boris, trascinandoselo dietro. Yuri lo lasciò fare senza ostacolarlo. Quando intravide gli occhi colmi di terrore della moglie si sentì morire.
Lei, al contrario, prese coraggio, traendo forza dalla sua semplice presenza.
«Ci siamo.» gli disse, sforzandosi di sorridere. Lui annuì, insicuro.
Poi si voltò in direzione di Boris: «Guidi tu?»
«Sì, credo che sia meglio...»

Il tachimetro segnava i centosessanta chilometri orari su una strada urbana che ne imponeva un massimo di cinquanta. Boris teneva il piede fisso sull'acceleratore, senza mai spostarlo sul pedale del freno e riducendo la velocità all'occorrenza scalando solamente di marcia. Julia e Yuri erano seduti sui sedili posteriori: lei urlando in preda al dolore e lui zitto a subirsi gli insulti.
«E' tutta colpa tua!» strillò con le mani strette sul pancione. «La parte divertente l'hai avuta solo tu!»
Yuri alzò gli occhi al cielo, trattenendosi dall'impulso di buttarsi fuori dalla macchina in corsa. Gli scoppiava la testa, le tempie presero a martellargli violentemente.
Le contrazioni aumentarono d'intensità, spingendo Julia a gridare ancora più forte.
Strinse convulsamente una mano del russo, quasi al punto di stritolargliela. Questi, di conseguenza, sussultò. Le rifilò un'occhiataccia.
«Mi fai male.» le fece notare, attraverso un tono calmo e pacato. Era abituato a sopportare ben altro.
«Parli tu di male?!» sibilò velenosa lei, sostenendo lo sguardo del marito. «Tu non sai che cosa sia il dolore!!!»
Yuri evitò di spiegarle delle punizioni corporali subite al Monastero, di che cosa significasse dissanguarsi per giorni in attesa di morire. Preferì tenersi quel pensiero per sé, limitandosi e a voltarsi dall'altra parte e a fissare un punto casuale nel suo campo visivo.
«Dios mìo, che male!»
Boris, per alleviare la tensione, decise di intervenire: «Julia, vuoi che chiami qualcuno? Giusto per avvisarlo...»
Ma la madrilena non graziò neppure lui, rivoltandogli tutto l'inferno addosso.
«Ti sembra che io possa pensare a certe cose adesso?! Siete due imbecilli!»
«Chiama suo fratello.» rispose Yuri, al limite della pazienza. «E anche Mao, magari. Io avviso Kai.»
«Non so, vuoi avvertire anche Putin già che ci siamo?!» chiese con arroganza Julia, tramortita. Non ottenne risposta. Boris, nel frattempo, frugò nella tasca della giacca alla ricerca del cellulare – senza, però, distogliere l'attenzione dalla strada. Un cartello segnalava la presenza dell'ospedale principale di Mosca a dieci chilometri di distanza.
Mancava poco.
Fece per sbloccare lo schermo, quando un messaggio inviatogli da Mao lo costrinse a rimanere con gli occhi fissi sul testo da lei scritto per qualche istante.
Sai... a volte ripenso a quella notte. Vorrei riviverla, questa volta senza freni.”
Fu attraversato da un fremito. Non riuscì a capire se fosse felice o confuso.
«BORIS!»
La voce di Yuri lo riportò con i piedi per terra: volse lo sguardo dinanzi a sé, accorgendosi appena in tempo dell'automobile che aveva frenato senza alcun preavviso. Lui la evitò, invadendo la corsia opposta e rimettendosi in quella precedente.
«Cerchiamo di arrivare in ospedale VIVI, per favore!»
«Scusami, mi ero un attimo distratto.»
Senza perdere ulteriore tempo, avviò la chiamata al numero di Mao. Aspettò impaziente, imprecando tra i denti.
«Stavo dormendo, disgraziato!» rispose furente l'orientale, con voce chiaramente impastata dal sonno. «Non potevi rispondermi prima?!»
«Julia sta per partorire.» la informò, senza fare alcun riferimento al messaggio precedente. Di parlarne davanti a Yuri non se ne parlava proprio, non in quel momento almeno. «Non so come tu possa fare da lì, ma...»
Mao non gli diede il tempo di rispondere.
«Cazzo, sono le due di notte qui. Vado subito in aeroporto, vedo cosa riesco a fare.»
Chiuse la comunicazione, lasciandolo di sasso.
Quella pazza parte dalla Cina senza neanche rifletterci sopra...” pensò, ritenendola forse un po' troppo impulsiva per i suoi gusti. Lui, d'altronde, era abituato a calcolare e a pianificare ogni minimo dettaglio e questa sua indole gli rendeva incomprensibile ogni reazione dettata dall'istinto.
«Non ho il numero di Raul.» disse poi, rivolgendosi a Yuri. Questi gli fece segno di non preoccuparsi, prendendo il proprio telefono e digitando sullo schermo.
Svoltarono a destra, poi a sinistra e finalmente giunsero a destinazione.
Boris parcheggiò davanti all'ingresso del pronto soccorso, ignorando le lamentele del personale d'ospedale ed entrando attraverso le porte scorrevoli di corsa. Yuri e Julia lo seguirono, sebbene quest'ultima riuscisse a camminare faticosamente.
«Che dolore, che dolore!» piagnucolò, appoggiandosi ad una colonna in preda all'affanno.
«Respira e smettila di lamentarti, sprechi energie.»
Ivanov e la sua delicatezza.
La madrilena lo incenerì con lo sguardo, immaginando di ucciderlo con le sue stesse mani. Tese le dita in sua direzione, quasi a volergli agguantare il collo e stringerlo sino a strozzarlo.
«Non dirmi cosa devo fare! Non puoi capire cosa sto sopportando!»
«Se urli non è che migliori le cose, eh.»
E in un impeto privo di lucidità in preda al dolore, Julia conficcò le unghie sul petto del marito e cominciò a stringere – precisamente, riuscì a strappargli quei pochi peli che aveva. Contrasse il viso in una smorfia. Si morse la lingua.
«Cosa fai? Non urli?» lo schernì lei, sorridendo debolmente.
Un'altra contrazione. Le sembrò di avere un coltello piantato nel ventre.
Gridò, piegandosi sulle ginocchia ma pentendosene poco dopo: stare in piedi la faceva soffrire di meno.
Vide Boris avvicinarsi a loro, affiancato da due infermiere. Una di queste spingeva una sedia a rotelle, sulla quale la fecero sedere.
«Chi è il futuro papà?» chiese l'altra, sorridente. Yuri, in un primo momento, provò timore nel rispondere. Si scambiò un'occhiata incerta con Boris, come a chiedergli di farsi avanti per lui. Ovviamente, quest'ultimo, gli fece segno di non tirarlo in mezzo – non questa volta. Perché sapeva che non sarebbe riuscito a sopportare la vista del parto. Proprio no, lo inquietava.
Yuri sospirò, alzando una mano titubante. «Sono io.»
Si meravigliò di come risuonò bassa la sua voce. L'infermiera sorrise ancora, mettendolo ulteriormente a disagio.
«Bene, allora mi segua. Le darò l'occorrente per entrare in sala.»
«Dios mìo, Dios mìo...» mormorò Julia, chiudendo gli occhi e abbandonando il capo all'indietro. La donna alle sue spalle la rincuorò con un buffetto su una guancia, per poi cercare di distrarla parlandole del più e del meno: «Sei spagnola, cara? Sono stata a Barcellona il mese scorso.»
Iniziò a spingere la sedia a rotelle, in direzione di un ascensore. Yuri, prima di proseguire, si voltò e afferrò un braccio di Boris. Gli consegnò il proprio cellulare.
«Il numero di Raul è sulla rubrica. Avvisa anche Kai.»
«Sicuro? Non so quanto possa essere di conforto Hiwatari...»
«Boris, non è il momento!»
Alzò le mani in segno di resa, sforzandosi di non scoppiargli a ridere in faccia.
«Va bene, va bene...» rispose, «Ora va.»
Ma Yuri rimase fermo dov'era, senza dire niente. Non sembrò più un umano, ma una statua di marmo. Gli occhi fissi sul pavimento, immerso nei suoi pensieri.
Boris reagì d'istinto: lo trasse a sé, stringendolo in un caldo abbraccio.
«Forza, hai affrontato cose peggiori.»
«Non ne sono tanto sicuro...»
Yuri era rimasto con le braccia lungo i fianchi, senza ricambiare il gesto inaspettato dell'amico. Un po' perché a momenti neanche se ne accorse e un po' perché non gli riusciva lasciarsi andare a certe cose.
Boris si allontanò, lasciando però entrambe le mani appoggiate sulle spalle del russo di fronte e scrollandolo un poco.
«Reagisci!» gli ordinò severamente, «Questa è la cosa più bella che ti sia mai capitata. E poi sono ansioso di conoscere il mio nipotino... quindi, forza, fatti coraggio!»
Yuri annuì, ma non disse nulla. Fece per percorrere la corsia e raggiungere Julia – una delle due infermiere lo stava aspettando all'ingresso di una porta a due ante con su scritto “vietato l'accesso ai non autorizzati” -, quando Boris gli disse: «Ah, Yuri... mi raccomando: stai dietro.»
Lo guardò incapiente e confuso. «Perché?»
«Tu fidati di me.»

«Signora, buongiorno.» fece una donna entrando in sala, «Sono la dottoressa Borislava Novikova, l'assisterò io durante il parto.»
Julia si soffermò solamente al suo nome, rannicchiandosi sul letto e girandosi alla sua sinistra. «Non è il femminile di Boris?!» chiese, oramai preda del panico al marito al suo fianco.
«Sì, perché?»
«Presagio!»
La dottoressa, ignorando i deliri della madrilena, proseguì: «Ora controllerò la dilatazione, nel frattempo può richiedere l'assunzione di bevande o cibi zuccherini per aumentare le energie.»
Julia scosse la testa, più volte.
«Non voglio mangiare, voglio solo smettere di soffrire così.»
«Mh...» fece Borislava, arricciando le labbra. «Sei centimetri. Troppo poco.»
L'altra spalancò gli occhi, terrorizzata.
«Che cosa intende dire?!»
«Che è ancora troppo presto. Bisogna attendere che si dilati almeno di altri quattro centimetri.»
«Non sta dicendo sul serio...»
Yuri avvertì i muscoli tendersi: quanto ancora sarebbe durato questo calvario?
Mille paure si annidarono nella sua mente, spingendolo ad isolarsi dal mondo esterno e circostante.
«E' così. Cerchi di rilassarsi, tornerò tra poco a controllare.»
«No, no!» strillò Julia, «La prego!»
«Signora, si calmi! Non è la prima donna a partorire, andrà tutto bene.»

Boris passò in rassegna la lista dei contatti di Yuri salvati in rubrica.
Quando trovò quello di Raul, premette leggermente sullo schermo. Avvicinò il telefono all'orecchio ed attese una risposta. Si domandò come avrebbe reagito: lo ricordava come un ragazzo tranquillo, talvolta un po' troppo ingenuo per un modo maligno come quello... ma soprattutto aveva dimostrato di essere radicalmente legato alla sorella. Ipotizzò che fosse una questione naturale se si parlava di gemelli. In fondo loro nascevano ed abbracciavano la vita insieme, condividendo ogni primo momento contemporaneamente.
«¡Maldición!» risuonò una voce maschile dall'altoparlante, «Yuri, sono a lavoro!»
Il russo schioccò la lingua, irritato da quell'accento spagnolo che proprio non riusciva a farsi piacere.
«Veramente sono Boris.»
Una breve attesa, poi di nuovo: «¿Cómo? Huznestov?»
Roteò gli occhi, rimpiangendo di non essere rimasto comodamente a letto a dormire in santa pace come aveva programmato qualche ora prima.
«Cosa ci fai con il telefono di mio cognato?»
Silenzio. Ed infine il caos.
«Madre de Dios!!!» esclamò, palesemente agitato. «Mia sorella sta bene? Hanno avuto un incidente? Dios mìo, el niño!»
«Hey! Frena, non è succ...»
Ma il suo interlocutore non gli lasciò il tempo di spiegarsi.
«CHE COSA E' SUCCESSO???»
«Niente! Siamo in ospedale, perché...»
«In ospedale?! Dios mìo!»
Boris ci provò sul serio, ma la sua voce risuonò più aggressiva di quanto avesse voluto.
«Fammi parlare, cazzo!» esordì, seccato e al limite della pazienza.
Diverse persone si voltarono a guardarlo, chi incuriosito e chi, invece, sconvolto ed infastidito al contempo.
Raul, finalmente, si zittì.
«Tua sorella non ha avuto nessun incidente, sta per partorire.»
Non ottenne alcuna risposta. Controllò che non fosse caduta la linea, ma il countdown della conversazione continuava a proseguire indisturbato.
«Pronto? Raul?»
Nulla. Percepì un fruscio insolito, come se qualcuno avesse raccolto il telefono da terra.
«Ehm, sì...» disse una voce femminile, titubante. «Sono una collega di Raul, lui sembrerebbe svenuto.»
Boris si schiaffò una mano in fronte: era capitato senza accorgersene in un mondo popolato da deficienti.
«Gli dica di richiamarmi quando si riprenderà.»
E così dicendo, chiuse la conversazione.

Un'ora e mezza.
Julia aveva contato i secondi e i minuti, imprecando e scaricando la collera su Yuri.
Capì di essere arrivata allo stremo delle forze, che non sarebbe riuscita a sopportare quel dolore ancora per molto. Quella dannata dottoressa l'aveva lasciata lì, sola come una cretina a patire le pene dell'inferno. Non si sarebbe mai immaginata che il suo corpo fosse in grado di sopravvivere ad una simile sofferenza.
«Ho paura, Yuri. Ho paura.»
Il russo, inizialmente, non aprì bocca. La guardò negli occhi, riconoscendo il terrore che avidamente si era impadronito di sua moglie. Gli sembrò di rivedere lui diversi anni prima, ai tempi del Monastero. Trattenne il respiro, poi le strinse una mano.
«Sono qui, Julia. Sono qui con te.»
«E se non dovessi farcela?»
Il labbro inferiore di lei tremò; stava per piangere.
«Sei una donna forte, ce la farai.»
Una lacrima le rigò il viso.
«No, non lo sono...»
Yuri si chinò su di lei, baciandole la fronte ed accarezzandole il volto.
«Sì, invece.»
La dottoressa, finalmente, rientrò in sala.

Boris stava letteralmente impazzendo.
Il suo telefono continuava a squillare ogni secondo. Gli sembrò di essere in un call-center e non più in un ospedale. Mao lo stava bombardando di messaggi.
Guardò l'ora: erano trascorse due ore e ancora non aveva ricevuto notizie. Non poté fare a meno di preoccuparsi. Detestava aspettare e non sapere cosa stesse succedendo.
E se fossero sorte delle complicazioni?
No. Doveva mantenere la calma. Fasciarsi la testa prima di rompersela era contro produttivo. Si impose di tranquillizzare i nervi, rilassandosi sulla poltroncina in sala d'attesa.
L'ennesimo messaggio. Lesse il contenuto distrattamente.
Ci sei? Hai saputo qualcosa? Comunque ho trovato un volo, forse.”
Passò al secondo, il quale lo informava sull'orario d'arrivo a Mosca. Ed inevitabilmente lo sguardo gli scivolò su quello che tanto aveva catturato la sua attenzione durante il viaggio. Rimase a fissare lo schermo, rileggendo quelle parole come se celassero segretamente un significato ben preciso. Chiuse gli occhi, respirò a fondo. Poi il telefono vibrò ancora: questa volta lo stava chiamando.
«Hey, sei vivo?»
«Sì.» rispose, lapidario.
«Julia?»
«E' ancora dentro.»
Breve pausa. La sentì dire qualcosa in cinese, poi un rumore simile a quello emesso dalla portiera di una macchina richiudersi. L'eco di passi, qualcosa strusciava sul pavimento. Un trolley, forse.
«Mi sono fatta accompagnare da mio fratello.» lo informò con voce affannata.
Probabilmente stava correndo.
Allungò le gambe, provando a rilassarsi. Un peso gli aggravò in petto.
«Boris?»
Sembrava preoccupata.
«Dimmi.»
«Mi dici che cosa ti prende, per favore? Sei in pensiero per Julia?»
Esitò. Abbassò lo sguardo, strinse i pugni.
Che cosa gli stava succedendo?
Dannazione.
«No.»
Lei sbuffò, spazientita.
«E allora?!» domandò, alzando la voce. «E' per quello che ti ho scritto?»
Sentì una mano imprimergli un leggero peso; si scansò un poco, ritrovandosi Kai in piedi affianco a lui.
«Devo andare.» disse a Mao, terminando la telefonata.
«Sei bianco come un fantasma.» ironizzò il nipponico, facendo riferimento all'impallidimento del viso di Boris. Inoltre aveva un aspetto tutt'altro che allegro.
«Fatti i cazzi tuoi, grazie.»
«Rilassati.» lo ammonì, sedendosi al suo fianco. «Te l'ho detto perché sembri un becchino e metti paura.»
«Detto da te, suona quasi come un complimento.»
Sulle labbra di Kai prese forma l'accenno di un sorriso divertito. Dalla porta conducente alle sale operatorie uscì un medico, ma non sembrò interessato a parlare con loro. Difatti, dopo essere guardato intorno, si diresse con passi spediti vicino ad una coppia seduta poco più in là. Il viso dell'uomo lasciò presagire pessime notizie.
Boris si sentì sollevato e, in cuor suo, ringraziò di non essere nei panni di quelle persone. E alla fine giunse: il pianto disperato, l'urlo trattenuto fin troppo a lungo, ora liberato a perdifiato. Si irrigidì, serrando la mascella e distogliendo lo sguardo.
«Mi sembri teso.» commentò Kai, a braccia conserte e stranamente più pacato del solito. Chiuse persino gli occhi.
«Odio gli ospedali.»
«Capisco.»
Il medico ripassò davanti a loro, si fermò per un istante sulla soglia della porta. Boris si rese conto che le sue spalle stavano tremando, probabilmente scosse dai singhiozzi.
E se piangeva lui, c'era veramente da preoccuparsi.
Scattò in piedi, incapace di stare fermo. Kai lo squadrò da cima a fondo.
«Cosa c'è?» seguitò a chiedergli, inarcando un sopracciglio.
«Ma c'è da fidarsi di questo posto?»
Il suo telefono squillò ancora, per l'ennesima volta. La tentazione di romperlo in mille pezzi divenne irresistibile. Di nuovo Mao.
«Dimmi.» sibilò, teso come una corda di violino.
«Hey, Mr. Cortesia.» lo schernì lei, ridacchiando.
«
Mi sto imbarcando ora. Mi vieni a prendere tu quando atterro
Si accorse dello sguardo di Kai: aveva riconosciuto la voce dell'orientale.
Ri-dannazione.
Lo avrebbe torturato prendendolo in giro per il resto della vita. Se lo sentì. E il suo sguardo lasciava presagire quanto temuto.
Le sue remore divennero certezze.
«Vediamo...»
«Va bene, ho capito...» rispose lei, chiaramente offesa. «Ci sentiamo dopo.»
La comunicazione cessò.
Kai si schiarì la voce e Boris si preparò al peggio.
«Mao, eh...» imbastì, sorridendo sinistramente. «Allora Hilary aveva ragione.»
Il russo tornò a sedersi, oramai rassegnato.
«Cosa sa Hilary?» gli chiese, facendo intendere quanto poco propenso fosse di affrontare quel discorso. Tuttavia sapeva di non aver via di scampo.
«Ne ha parlato a lungo, ma io ho smesso di ascoltarla nel momento in cui ha pronunciato più di dieci parole consecutive. Comunque Mao le ha riferito che vi sentite spesso, che quando è stata qui avete avuto modo di stare un po' insieme in un contesto diverso dal sesso.»
A quel punto Boris impallidì ancora. E ancora.
Maledì Mao, Hilary e tutte le donne con la consueta e bruttissima abitudine di dover sbandierare ai quattro venti questioni che dovrebbero rimanere latenti e silenti.
Ma che bisogno c'era di dover parlare di tutto e soprattutto con tutti?
«Porca troia!» commentò, semplicemente.
Kai rincarò la dose: «E' così?»
«Lo vedi? Dovevo scoparmela e troncare il tutto la mattina seguente, esattamente come dieci anni fa.»
«Secondo me, superati i trent'anni, dovresti cominciare a trovarti una stabilità.»
Stabilità, ergo: guinzaglio ai coglioni.
No, era inconcepibile.
«Ma perché non chiude quella bocca una volta tanto?!»
«Se vuoi la mia disinteressata opinione, non ha fatto niente di male. Tutti si confidano.»
Boris lo guardò storto. Dovette correggersi: «Okay, va bene. Tutti tranne me, te e Yuri. Ma noi siamo diversi. Loro sono donne.»
Il moscovita puntellò i gomiti sulle ginocchia e si prese la testa fra le mani.
«Che disperazione...» soffiò flebilmente, strappando un altro sorriso ad Hiwatari.
Vederlo in quelle condizioni era uno spettacolo per gli occhi. Quasi percepì gli stessi ed inimitabili brividi dell'orgasmo.
«Ma perché ti vergogni così tanto ad ammettere che anche tu hai dei sentimenti?»
«Ti sbagli. Quelli se l'è portati via Vorkof. E poi parli proprio tu?!»
«Io perlomeno mi sono creato una relazione stabile, a prescindere da quello che possa provare per Hilary o meno. Tu neanche questo.»
«Avanti, Kai!» esordì Boris, mostrandogli un sorriso circostanziale. «Vuoi dirmi che stai con lei pur non amandola
E nel pronunciare quell'ultima parola, si avvicinò due dita alla bocca e simulò i conati del vomito.
«Non si parla di amore, Boris'ka. Si parla di sentirsi in pace con la persona giusta accanto.»
Il russo avrebbe preferito strapparsi le orecchie a mani nude pur di non ascoltare ulteriormente quella patetica conversazione. Non concepiva il bisogno di dover condividere necessariamente la propria quotidianità con una persona. Lui stava benissimo così, solo con i suoi spazi.

Julia era stremata, tramortita.
Non aveva più la forza neanche per gridare. La fronte era madida di sudore. I capelli si erano disordinatamente appiccicati al volto arrossato per lo sforzo.
Alla sua destra un'infermiera controllava i suoi parametri, alla sua sinistra – invece – Yuri le stringeva fortemente una mano. Era rimasto in silenzio per tutto il tempo, senza perdere di vista la dottoressa davanti al letto. Scrutava ogni suo movimento con meticolosa attenzione – come un lupo che cerca il punto debole di un estraneo intrufolatosi nel suo territorio.
«Forza, Julia! Spinga!» disse, incitando la spagnola a non arrendersi. «Ci siamo quasi, vedo la testa.»
Lei respirò a fondo, più volte, sino a farsi male. Contò mentalmente fino a tre, facendosi coraggio ed affrontando quel dolore che inesorabilmente la stava spingendo alla deriva. Era un'agonia. Gemette, poi trattenne il respiro. Pregò il proprio corpo di concederle la forza di non abbandonarla, di permetterle di mettere al mondo suo figlio. E fu proprio il desiderio di stringerlo tra le braccia, di accudirlo e proteggerlo che riaccese in lei un barlume di speranza.
Incrementò di forza la presa sulla mano di Yuri, poi strillò con tutto il fiato che aveva in corpo. Vide negli occhi del marito una scintilla, qualcosa che le fece capire che quella sofferenza era finalmente giunta al termine.
Ed infatti, poco dopo, udì il vagito di un bambino. Del suo bambino.
Lo vide, tra le mani della dottoressa, piccolo e bellissimo. Gli occhi chiusi, il naso all'insù ed arricciato dalla smorfia di pianto e le manine serrate in due minuscoli pugni. Scalciava e si dimenava.
Il colore verde e brillante degli occhi di Julia si sfumò dietro ad un velo di lacrime.
«Oh, mio Dio...» disse in un sussurro, sentendo il cuore scoppiarle di gioia.
Yuri nemmeno si accorse del sorriso che aveva preso forma sulle sue labbra; nemmeno si accorse di essersi avvicinato alla dottoressa per poter guardare più da vicino quella splendida creatura che sua moglie aveva messo al mondo. Volse lo sguardo in sua direzione.
«E' una femmina.»
 

Tre giorni dopo


«Ma che carina!» esclamò Mao, con due occhi completamente rapiti dalla bellezza della piccola Ivanov. «Ha i tuoi occhi, Yuri.»
Diana la guardava curiosa ed incapiente al tempo stesso, gelosamente protetta dalle braccia del papà. Questi le posò un delicato bacio sulla testa.
«Saluta la zia, Diana.» le disse poi, dolcemente.
La bambina, dopo aver cercato approvazione nello sguardo del padre, agguantò un dito di Mao. Gli angoli della sua boccuccia si curvarono all'insù, esibendo un sorriso che riuscì a far innamorare di lei tutti i presenti.
Yuri fece segno a Boris di raggiungerlo, poiché era rimasto in disparte a parlare con Julia e Raul. Quindi, seppur titubante, obbedì. Non bramava una particolare simpatia per i bambini, questo era risaputo; pertanto si era concesso di osservare la nipotina da lontano, senza oltrepassare un limite immaginario che si era imposto lui stesso.
Il motivo di tanto distacco era sconosciuto, sapeva solamente di ritenerli così fragili da aver paura persino di sfiorarli con una mano. Erano innocenti, non meritavano di intuire anche solo lontanamente l'inferno che lui si trascinava dietro da anni oramai. L'idea di esprimere anche solo l'accenno della sofferenza che dovette sopportare nella sua infanzia, lo terrorizzava. I bambini, certe cose, non dovevano saperle.
Ma quando fu ad un passo da quello che era stato il suo fedele capitano, sua ancora di salvezza e colonna portante, non poté fare a meno di sciogliersi.
Diana lo fissava con quei suoi splendidi occhioni azzurri, dedicandogli un sorriso che abbatté ogni difensiva del russo.
«Prendila in braccio.» gli disse Yuri, porgendole la figlia. Lui l'accolse tra le braccia con fare un po' impacciato, sentendosi teso e a disagio. Riferì un'occhiata all'amico che estraniò a pieno quanto poco convinto fosse.
«Non morde.» scherzò lui, «Non ha ancora i denti.»
«Sì, lo so...»
Il suo sguardo si incrociò con quella della bambina. Tutto sembrava sotto controllo.
Fece per tirare un sospiro di sollievo, ma...
Vide una manina muoversi con irruenza contro di lui. D'istinto chiuse gli occhi, attendendo il colpo. Ma questo non arrivò mai, perché Diana gli aveva appena fatto una carezza. Stentò a crederci.
«Visto? Ti vuole già bene.» proferì Yuri, gustandosi la scena. «Vuole bene persino a Kai.»
Il nipponico in questione, appoggiato al muro retrostante, si limitò a fare un cenno col capo in loro direzione.
«Bestia taciturna...» commentò sprezzante Boris.
E a quel punto Diana rise, scalciando contro il petto del russo e muovendo energicamente le manine.
«E le sei anche simpatico.» constatò Yuri, ritrovandosi a gioire della felicità della figlia. Non avrebbe mai immaginato di provare un'emozione così bella. Aveva finalmente avuto quanto di più bello ci fosse: una moglie, una figlia e l'appoggio delle persone a lui care. Proprio lui aveva ricevuto in dono quella meraviglia. Proprio lui, che da piccolo non aveva mai avuto niente; che era cresciuto nell'orrore e nelle atrocità, nell'incubo di morire ogni giorno. Ed adesso, quei ricordi, non erano solo lontani, erano divenuti irraggiungibili. Quel vuoto che aveva alloggiato nel suo cuore per anni, spingendolo a credere di essere solo al mondo, era svanito. Per sempre.
Boris tornò a rivolgere la propria attenzione a Diana.
«Moya malen'kaya russkaya kukla.»[3]
Lei, dopo aver appoggiato la testa al suo petto, chiuse gli occhi e si addormentò, sentendosi al sicuro. Mentre Julia, cingendo le spalle di Yuri, disse: «Abbiamo fatto un capolavoro, vero?»
Lui si girò un poco, quel che bastava per poter perdersi nella bellezza del volto della moglie. E alla fine, dopo anni di attesa e cogliendola di sorpresa, finalmente lo disse.
«Ti amo.»

 

[1]Questo è un punto del tutto inventato dalla sottoscritta. Nell'opera originale non vi è alcun riferimento ad un altro nome in merito al personaggio di Mao. Semplicemente ho immaginato che “Mao” in verità sia un soprannome dovuto al suo amore infrenabile per i gatti.

[2]Boris, in questa storia, è dipendente presso una pubblica assistenza.
Ora, non so come funzioni di preciso in Russia, così ho impostato la sua mansione secondo la funzionalità che vi è in Italia. In caso di codice rosso, l'ambulanza giunge sul target per soccorrere il paziente, ma il suo equipaggio viene affiancato da un medico e da un infermiere di turno su un'auto-medica.

[3]“La mia piccola bambolina russa”, in russo.


NdA: Non ci posso credere: siamo arrivati alla fine O_O''... faccio fatica a crederci!
Che dire? Voglio, innanzitutto, ringraziare tutti coloro che mi hanno seguita sin qui:
Quindi grazie a Red, a Blue, a Pinca, a Elysabeth, a LadyDiamond, ad Aky, a Pin e alla mia cara e dolce Padme86 che mi sostenuta dal primo all'ultimo capitolo di questa piccola long Ragazze, davvero... GRAZIE. Siete state tutte fondamentali, perché con le vostre recensioni mi avete dato la carica ideale per proseguire e trarre ispirazione.
Ringrazio anche i lettori silenziosi, nascosti nell'ombra, per avermi dedicato il loro tempo. Ringrazio chi ha inserito la storia tra i preferiti, dandomi modo di pensare che, forse, quello che scrivo non è poi così pessimo come credo XD.
Grazie di cuore a tutti!
Per chi fosse ancora intenzionato a seguirmi, a giorni pubblicherò un sequel che metterà in luce quanto sta accadendo tacitamente tra Boris e Mao. Sarà ambientato nello stesso periodo temporale di questa, ma incentrata su loro. Faranno la loro comparsa anche altri personaggi, come Rei, Sergey ed Ivan.
Come finirà, ancora non lo so... lo scopriremo insieme! :D
Nel frattempo, colgo l'occasione per porgervi i miei più sentiti auguri di Buon Natale e buone feste!
Alla prossima!
Un abbraccio,
Pich ora Kseniya.

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