Eleven... years later || (Upside) Down Once More

di eliseCS
(/viewuser.php?uid=635944)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologue ***
Capitolo 2: *** Chapter 1 ***
Capitolo 3: *** Chapter 2 ***
Capitolo 4: *** Chapter 3 ***
Capitolo 5: *** Chapter 4 ***
Capitolo 6: *** Chapter 5 ***
Capitolo 7: *** Chapter 6 ***
Capitolo 8: *** Chapter 7 ***
Capitolo 9: *** Chapter 8 ***
Capitolo 10: *** Chapter 9 ***
Capitolo 11: *** Chapter 10 ***
Capitolo 12: *** Chapter 11 ***
Capitolo 13: *** Chapter 12 ***
Capitolo 14: *** Chapter 13 ***
Capitolo 15: *** Epilogue ***



Capitolo 1
*** Prologue ***





 
Prologue
 
 
 
Silenzio.
Tutto intorno a lui è buio e silenzioso.
 
“Eleven?”
 
Passi rimbombano nel vuoto, finchè non sente un rumore simile allo sgocciolio dell’acqua.
Si
ferma.
 
“El?”
 
Il suo grido si perde ancora una volta nell’aria senza ricevere alcuna risposta.
Ma dopotutto chi vuole prendere in giro? Non c’è nessuno lì.
Tutto è di nuovo muto e immobile finchè un altro suono comincia a farsi strada fino a raggiungere le sue orecchie, il suono di una radio che sta venendo sintonizzata...
 
Un puntino luminoso compare all’orizzonte e lui comincia a correre nella sua direzione prima che anche quell’unico punto di riferimento sparisca.
La luce aumenta progressivamente man mano che si avvicina, allargandosi sempre di più, mentre anche il rumore della radio diventa più intenso.
 
“Eleven!” grida un’ultima volta.
Ormai è senza fiato, costretto a fermarsi piegato su se stesso, le mani sulle ginocchia per non crollare.
Chiude gli occhi: sia perché la luce è ormai diventata insopportabile sia per cercare di fermare la testa che gira dopo la corsa.
 
Quando finalmente li riapre è tutto com’era prima: buio e silenzioso.
 
 
“No, no...” gira su se stesso cercando invano di orientarsi, ma ormai è tutto finito.
Ha perso la sua occasione.
“No, no, no!”
Si accascia per terra in ginocchio, le mani tra gli scuri capelli ricci.
I suoi singhiozzi sono l’unico rumore adesso.
 
 
 
 
 
 
 
“Mike?”
 
 
 
‡‡‡
 
 
 
Michael Wheeler si svegliò di soprassalto al rumore assordante della sveglia.
Secondo la lancetta dei secondi era quasi un minuto intero che suonava.
La spense con una manata ben assestata ricadendo poi all’indietro sui cuscini.
Lasciò vagare il suo sguardo per il soffitto seguendo alcune crepe sottili nell’intonaco.
Gli veniva da ridere.
Ma non una di quelle risate di gioia, spensierata.
No, era più una risata incredula e sarcastica, di quelle che vogliono dire “mi stai prendendo in giro?”.
Perché era esattamente così che si sentiva: preso in giro.
Il fatto che il tutto provenisse dalla sua testa, dal suo stesso subconscio, non aiutava affatto.
Perché non era per niente divertente che dopo undici anni – undici! – fosse tornato a fare quello stramaledetto sogno.
Perché proprio adesso?
E come se non bastasse questa volta aveva addirittura ottenuto una risposta, alla fine; cosa che non era mai successa prima.
 
Buttò di lato le coperte per alzarsi, raccattò dei vestiti a caso dall’armadio e uscì dalla stanza per dirigersi verso uno dei due bagni dell’appartamento che divideva con gli altri tre coinquilini.
Quella giornata doveva ancora cominciare e già si preannunciava pessima.
 
 
 
‡‡‡
 
 
 
A chilometri di distanza una ragazza si svegliò con le stesse modalità.
Quel sogno le aveva lasciato addosso una strana e sinistra sensazione che sembrava non volersene andare.
 
Abbandonò il caldo delle coperte per andare in bagno a sciacquarsi il viso, ma si bloccò a metà strada dopo aver intravisto la sua figura allo specchio appeso al muro della camera.
Si avvicinò alla superficie riflettente sgranando appena gli occhi quando capì cosa aveva attirato la sua attenzione.
Una mano incerta si alzò fino a sfiorare con la punta dei polpastrelli il liquido rosso, ormai rappreso, che le era colato dalla narice sinistra, e la sua mente tornò subito al peculiare sogno appena fatto.
E se non fosse stato affatto un sogno?
Gli occhi le si riempirono di nostalgia e tristezza.
Se quello non era stato un sogno allora...
 
“Jane? Sei sveglia? È quasi ora di andare!”
Sei colpi alla porta, dati in una precisa sequenza, accompagnati da una voce maschile la riscossero dai suoi ragionamenti.
Afferrò dalla sedia i vestiti che aveva preparato la sera prima e riprese il tragitto per la sua destinazione originale.
“Arrivo! Dammi cinque minuti” urlò in risposta prima di chiudersi dentro il bagno che aveva in camera.
Il suo interlocutore sembrò soddisfatto e si allontanò con passi pesanti non prima di aver borbottato un “La tua colazione ti aspetta” rivolto all’occupante della stanza.
 
La ragazza abbozzò un sorriso aprendo il rubinetto del lavandino; quando ebbe finito il sangue secco era stato lavato via dal suo viso, e con esso anche tutti i pensieri derivanti dal sogno di quella notte.
Doveva essere pronta e concentrata per il lavoro.
 
 
 
 
 
 
 
Nessuno dei due ragazzi aveva la minima idea del fatto che quella mattina, oltre a loro, anche qualcos’altro si era svegliato dopo undici anni di sonno.













Innanzitutto buon Natale a tutti!
Siccome oggi ho turno di notte e non avevo nulla da fare durante il giorno se non perdere tempo ho deciso di cominciare a pubblicare anche questa mia ultima fan fiction. 
Stranger Things era probabilmente l'ultimo fandom in cui avrei pensato di scrivere ma sapete com'è... cose strane possono sempre succedere (e per dirla tutta di questa serie non ho mai neanche letto niente).
Non ho ancora finito di scrivere questa storia, nonostante sia arrivata a buon punto, motivo per cui per il momento gli aggiornamenti saranno ogni due settimane (salvo capricci e impegni della sottoscritta o eventi di causa maggiore che potrebbero farmi anticipare o posticipare gli aggiornamenti).
Stimo che la storia arriverà ad avere 10-11 capitoli, 12 se proprio mi dilungo ma non di più (le ultime parole famose...).
So che questo è solo il prologo e che non dice assolutamente niente di niente, ma se voleste lasciarmi un commento (che sia un incoraggiamento o qualcosa del tipo "che scempio stai facendo smettila subito") sarebbe cosa più che gradita.
Sia mai che decida di postare il vero primo capitolo in anticipo...
Mi sono dilungata anche troppo - come al solito.
Rinnovo gli auguri di buon Natale e buone feste.
A presto
E.

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Chapter 1 ***


Chapter 1
 
 
 
L’acqua della doccia era miracolosamente riuscita a scacciare i pensieri negativi che avevano affollato la sua testa da quando si era svegliato, facendolo ritornare al presente.
Aveva maledetto Will, con il quale divideva il bagno, per aver finito di nuovo il bagnoschiuma e aver lasciato il flacone vuoto nella doccia costringendolo ad uscire per recuperarne uno nuovo dal mobile, ma alla fine dei conti quel contrattempo invece di esasperarlo come di solito accadeva l’aveva quasi messo di buon umore: non era altro che la prova che quella fosse una giornata assolutamente normale, come tutte quelle che aveva vissuto da undici anni a quella parte.
 
Percorse il breve corridoio che collegava i due bagni alle quattro camere e superò la porta che divideva la zona notte dalla zona giorno raggiungendo l’open space che costituiva salotto e cucina insieme.
 
Dustin era seduto a tavola, ancora in pigiama, mentre guardava con occhi ancora assonnati ma pieni di aspettativa Lucas che invece stava ai fornelli.
 
“’Giorno” li salutò soffocando uno sbadiglio e ricevendo risposte altrettanto entusiaste.
Si stravaccò sulla prima sedia libera che incontrò nella sua traiettoria – avrebbe potuto mettersi a preparare qualcosa, ma era sicuro che il moro stesse facendo la colazione per tutti – e solo in quel momento sembrò accorgersi di qualcosa.
 
“Dov’è Will?” domandò indistintamente ad entrambi.
Lucas alzò le spalle senza neanche girarsi verso di lui, concentrato nel non far bruciare i pancakes che erano sul fuoco, e neanche Dustin sembrava avere la risposta esatta al quesito.
 
“Quando ci siamo svegliati era già uscito di casa” commentò infatti. “Pensavamo fosse andato a correre come fa di solito, ma a quest’ora sarebbe già tornato. Poi però mi sono ricordato di Cindy, quella ragazza del mio corso che gli va dietro dal primo anno... Si dovevano accordare per prendere un caffè insieme uno di questi giorni, immagino abbiano scelto questa mattina visto che le lezioni cominciano dopo rispetto al solito”.
 
Mike strizzò gli occhi nel ricevere tutta quella carrellata di informazioni quando il suo cervello ancora non poteva dirsi attivo e ricettivo al cento per cento.
“Non ha neanche lasciato un biglietto?” domandò alla fine cercando con tutto se stesso di trattenere il più possibile la sua indole da migliore amico apprensivo e iperprotettivo e allo stesso tempo scacciare il brutto presentimento che gli era venuto.
“Non ti azzardare a chiamarlo o andarlo a cercare e rovinare il suo appuntamento!” esclamò Lucas manco gli avesse letto nel pensiero e mettendogli davanti un piatto di pancake fumanti con tanto di sciroppo come piacevano a lui.
“Ha un appuntamento con una ragazza dopo secoli che si è lasciato con Leslie: avrà avuto la testa tra le nuvole e si sarà dimenticato. Se ti fa sentire meglio Dustin potrà provvedere a fargli la ramanzina da parte tua quando lo vedrà tra una lezione e l’altra. E adesso mangia”.
Il riccio chiamato in questione si affrettò ad assentire a gesti visto che aveva già la bocca piena, due pancake già spariti dei cinque che aveva nel piatto.
 
Mike sbuffò una risata scuotendo la testa e cominciando a mangiare a sua volta.
Si stava preoccupando troppo, e per niente, come al solito.
E di certo frequentare l’accademia per diventare poliziotto, dove ogni giorno seguiva lezioni su persone scomparse e psicologia criminale e altre cose simili, non aiutava.
 
 
 
Non sapeva bene neanche lui quando esattamente aveva deciso di intraprendere quella carriera.
Probabilmente era stata tutta colpa del vecchio sceriffo Hopper e delle sue storie di quando prestava servizio, ancora nel fiore degli anni, che raccontava quando quell’una o due volte all’anno tornava a Hawkings a far visita.
 
Quando undici anni prima tutta la faccenda dell’Upside Down e dell’Hawkings National Laboratory si era conclusa non era passato molto tempo prima che l’allora sceriffo annunciasse alla comunità che avrebbe lasciato la città.
Aveva bisogno di cambiare aria, aveva detto, aggiungendo poi una buona dose di motivazioni personali e familiari a cui lui, all’epoca, non aveva neanche prestato attenzione.
Nonostante il trasferimento continuava lo stesso a tornare almeno una volta all’anno da quella che era un po’ l’unica famiglia che gli era rimasta: i Byers.
Dopo la prima volta in cui Mike si era ritrovato a cena da Will con Hopper presente per puro caso aveva pian piano imparato a conoscere l’uomo, e da lì era nata anche l’ammirazione che nonostante tutto nutriva nei suoi confronti.
Da quel momento in poi quando Hopper era in città anche lui era automaticamente invitato a casa Byers per pranzi e cene, almeno per la durata della sua sempre breve permanenza.
Joyce cercava ogni volta di convincerlo a restare, a tornare a casa, ma non aveva mai avuto successo.
 
Crescendo Mike aveva trovato nell’ex sceriffo un interlocutore interessante con cui era piacevole conversare di qualsiasi cosa - al contrario del padre che invece trovava ogni modo per mettersi a parlare solo del suo lavoro: dall’andamento scolastico, all’ultima partita di Dungeons&Dragons giocata con i suoi amici, alle sue ambizioni future.
L’unica cosa di cui non avevano mai apertamente discusso erano state le vicende che avevano coinvolto Will e l’Upside Down e, soprattutto, Eleven.
Non una volta l’uomo aveva fatto il suo nome o provato a tirare fuori l’argomento – beh, forse giusto mezza sì ma era stato subito bloccato - e Mike non poteva fare altro che ringraziarlo mentalmente ogni volta per quello.
Sapeva bene da solo che non l’aveva ancora superata, e parlarne era proprio l’ultima cosa di cui aveva voglia.
 
 
 
“Mike? ...Mike!” Dustin lo stava scrollando per un braccio visto che si era improvvisamente incantato a fissare il vuoto.
“Eh? Che c’è?”
“Non farai tardi?”
Guardò l’orologio e imprecò tra i denti: “Merda”.
Si precipitò in camera per recuperare lo zaino con i libri lasciando l’ultimo pancake nel piatto.
“Sei davvero un cuoco eccezionale Lucas. Da sposare” sentì commentare Dustin mentre cercava di sbrogliare i lacci delle scarpe per mettersele. Accidenti a lui che non le slacciava mai prima di toglierle.
“E infatti questo è il motivo per cui dal mese prossimo mi trasferisco a vivere con Max, cari miei” rispose l’altro divertito suscitando un sospiro di disappunto del riccio.
“Ti prego, non me lo ricordare. Probabilmente moriremo di fame senza di te” si lamentò con fare teatrale.
“Ehi! Guarda che io me la cavo!” protestò Mike che intanto era riuscito a infilarsi la prima scarpa.
“Ma non potrai mai essere al mio livello” fu così gentile da ricordargli Lucas con un ghigno.
“Ancora non ho capito perché hai scelto di fare medicina invece di aprire un ristorante, visto che cucinare ti piace così tanto” ribattè lui.
“A proposito di medicina: stasera ci siamo tutti, vero? Niente tirocini in ospedale o appuntamenti con fidanzate varie...” domandò Dustin, l’ultimo punto valeva sia per Lucas che per se stesso.
Ebbene sì, ancora adesso, una volta alla settimana impegni permettendo continuavano la tradizione del giocare a D&D come ai vecchi tempi.
Le risposte che ricevette furono tutte positive.
“A stasera ragazzi” Mike salutò i due coinquilini e sparì dalla porta.
 
 
 
Una volta finita la scuola ognuno di loro aveva avuto il suo bel d’affare per decidere cosa farne della propria vita e del proprio futuro.
Se Mike aveva deciso di intraprendere la carriera del poliziotto, Lucas si era buttato sulla medicina.
Dustin, da sempre affascinato dalla materia, era andato ad aggiungere un’unità al – molto – esiguo numero di studenti della facoltà di fisica del piccolo ma rispettabile college di Hawkings.
Per lui il solo fatto che il signor Clarke, il loro vecchio insegnante, avesse a suo tempo frequentato quell’istituto era stato sufficiente per non fargli cercare qualcosa fuori dalla città – e poi anche perché non voleva lasciare sua madre completamente da sola.
Will invece aveva alla fine deciso di iscriversi ad architettura in modo da poter continuare in qualche modo a coltivare la sua passione per il disegno, magari in modo più produttivo. Alla fine del primo anno era addirittura riuscito ad ottenere una borsa di studio che la sua famiglia aveva accolto molto di buon grado.
Una volta che ognuno di loro aveva confermato la sua scelta decidere di trovarsi un appartamento per vivere insieme era stato automatico.
Ovviamente erano ancora ben lontani dal potersi permettere tutte le spese da soli, ma con l’aiuto delle loro famiglie e dei modesti guadagni dei lavoretti che tutti loro avevano al di fuori dello studio avevano raggiunto un buon compromesso.
Certo, Lucas sarebbe presto andato a convivere con Maxine – Max per tutti – la sua storica fidanzata dai capelli rossi, e dividere le spese dell’appartamento in tre non sarebbe stato facile; anche se il moro aveva giurato che non se la sarebbe presa se avessero voluto cercare un altro coinquilino per rimpiazzarlo – a patto che non lo sostituissero anche per le loro riunioni settimanali.
L’appartamento era spesso e volentieri, per non dire sempre, caotico e disordinato, essendo abitato da quattro ragazzi ventitreenni ma tutti loro ormai ci erano affezionati.
 
Sapevano che le cose non sarebbero durate così per sempre, Lucas era solo il primo ad andarsene, e se continuava così Dustin rischiava di essere il secondo a breve.
Persino Will si era – apparentemente – finalmente rimesso in piazza.
L’unico restava lui, Mike, che a parte un paio di storie brevi durante gli anni di scuola superiore non si era mai impegnato seriamente.
Ormai si era in parte rassegnato: avrebbe anche lui trovato la persona giusta, solo non in quel momento; non si sentiva ancora pronto.
 
Mise da parte tutti i pensieri controllando l’orario e il numero dell’aula in cui sarebbe dovuto andare.
 
Undici anni e non aveva avuto notizie o saputo qualcosa.
Niente di niente.
Forse era arrivato il momento di lasciarsi finalmente il passato alle spalle e crescere.
 
 
 
§
 
 
 
Rimase sorpreso quando, durante la pausa del pomeriggio, uno dei portinai dell’edificio lo raggiunse lasciandogli in mano un pezzo di carta ripiegato più volte dicendo che un ragazzo riccio era passato in tutta fretta pregandolo di consegnarglielo il prima possibile... tutto questo una mezz’ora prima quando lui era ancora nel bel mezzo di una lezione.
Mike aprì il foglio alzando un sopracciglio nel leggere il messaggio.
 
Codice rosso. Emergenza.
Riunione urgente a casa.
SUBITO.
 
Sembrava il linguaggio in codice che usavano da piccoli per le loro avventure immaginarie.
Molto probabilmente era solo qualcosa che aveva a che fare con la partita di D&D di quella sera, niente di cui preoccuparsi sul serio.
Eppure...
Mike ci rimuginò sopra per tutta la durata della pausa per poi gemere frustrato quando fu il momento di rientrare in aula.
Chiese a uno dei suoi compagni di scusarlo col professore perché aveva avuto un’emergenza in famiglia e corse fuori dall’edificio a recuperare la sua macchina.
Se si trattava di uno scherzo Dustin se la sarebbe vista brutta.
 
 
 
Arrivò alla porta di casa con il fiatone avendo fatto le scale di corsa per non dover aspettare l’ascendore.
“Allora, sentiamo: quale sarebbe questa emergenza?” domandò entrando.
Si bloccò dopo pochi passi ad osservare la scena.
Lucas era in piedi affianco al tavolo della cucina e sembrava tanto preoccupato quanto scettico.
Dustin al contrario era seduto e aveva un’aria devastata.
 
Il sorrisetto canzonatorio con cui era entrato in casa si cancellò dalle sue labbra nell’istante in cui registrò che erano solo in tre.
E se quella era davvero una riunione di emergenza, qualunque essa fosse, non poteva mancare un membro del loro gruppo, a meno che...
 
No, pensa positivo si disse mordendosi la lingua mentre avanzava per raggiungere gli altri due.
Non deve per forza essere quello, ci deve essere una spiegazione.
 
“Dustin?” domandò una volta aver raggiunto il fianco di Lucas.
“Cos’è successo? Perché codice rosso, qual è l’emergenza?” continuò cercando di controllare la sua voce il più possibile.
 
 
 
 



“Will è sparito”













Ma buonasera a tuti!
Alla fine ho deciso che effettivamente sarebbe stato un po' cattivo farvi aspettare due intere settimane per il primo capitolo dopo un prologo così breve, quindi eccomi qui.
Spero che sia cosa gradita :)
Inizio col botto, possiamo dire. E cosa c'è di meglio se non far sparire di nuovo il povero Will? (Sì, è una domanda retorica).
Alla prossima con il capitolo 2, che sarà, salvo imprevisti, lunedì 8 gennaio.
Baci (e buon anno con molto anticipo!)

E.

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Chapter 2 ***



Chapter 2
 
 
 
Will è
sparito.
Tre parole.
Tre semplici parole e il mondo sembrò crollargli addosso.
 
Non era possibile, doveva essere un incubo.
 
“Cosa... cosa vuol dire che è sparito?” la sua voce uscì quasi tremante.
Dustin fece per rispondere ma Lucas lo precedette: “Calmatevi tutti e due! Non si può saltare così alle conclusioni solo perché magari oggi Will non aveva voglia di frequentare le lezioni e ha deciso di farsi un giro... tu stai studiando per questo, dovresti saperlo, no?” finì rivolgendosi a Mike. “Tornerà a casa stasera e ci prenderà in giro per esserci preoccupati” provò a rassicurarli, ma in fondo in fondo si vedeva che neanche lui era completamente tranquillo.
 
“Dustin: spiegati, adesso” ordinò Mike appoggiando le mani sul tavolo e sporgendosi verso di lui.
Mancava solo una luce puntata alla sua faccia e sarebbe stato un interrogatorio da film a tutti gli effetti.
 
“Sono arrivato al college, dove ci troviamo di solito la mattina se non usciamo di casa insieme, e Will non c’era. All’inizio non ci ho dato molto peso perché neanche Cindy era lì e quindi ho pensato che fossero ancora insieme da qualche parte. Solo che poi Cindy è arrivata per le lezioni pomeridiane scusandosi di aver avuto un contrattempo in famiglia... pensavo fosse una scusa, per ovvi motivi, ma alla pausa le ho chiesto se aveva passato una bella mattinata con Will e lei mi ha detto che non lo vede dall’ultima volta che ha pranzato con noi due giorni fa!” Dustin riprese fiato dopo l’esclamazione finale.
“A quel punto ho chiesto io di poter essere esonerato dalla lezione. Sono passato a controllare l’aula dove quelli di architettura avevano lezione e non c’era... allora sono uscito e sono passato in tutti i posti in cui di solito Will va: il diner dove si ferma a prendere il caffè la mattina prima di tornare a casa dalla corsa, la pasticceria di Mrs. Veronique dove passa a prendersi il dolce per il pranzo...
Ho persino chiamato Joyce per vedere se lei avesse...”
“Tu hai fatto cosa?”
“E si può sapere cosa le hai detto?”
“Calmi, calmi, le ho solo chiesto se lo avesse sentito di recente, lei ha risposto di no, e quando mi ha chiesto perché le ho detto di Cindy su due piedi pregandola di fingersi sorpresa quando Will si sarebbe deciso a dirglielo. Non ha sospettato nulla”
 
Lucas scosse la testa: “Andiamo, non è possibile che sia scomparso! Non di nuovo, non... davvero pensate che sia qualcosa che ha a che fare con quello che è successo undici anni fa?” la sua voce si abbassò alla fine della frase fino a ridursi ad un sussurro.
Mike si scostò di scatto cercando di riordinare le idee.
 
Doveva essere una coincidenza, non c’era altra spiegazione.
Si rifiutava di credere che l’amico fosse di nuovo finito nel Sottosopra dopo tutti quegli anni.
Per quale motivo poi?
Non aveva senso.
Il suo incubo non era altro che, appunto, un incubo, e il fatto che Will avesse deciso di prendersi una pausa senza dire niente a nessuno era solo e soltanto una sfortunata coincidenza.
 
“Forse dovremo dare un’occhiata in camera sua...” propose Lucas, che nel frattempo aveva continuato a discutere con Dustin per cercare di calmarlo, richiamando l’attenzione di Mike.
Il ragazzo assentì e senza aggiungere una parola si diresse verso la stanza del migliore amico.
 
Appoggiò la mano sulla maniglia della porta quasi con timore, come se avesse avuto paura di quello che avrebbe trovato al di là dell’uscio.
Si fece forza e dopo aver preso un profondo respiro la spalancò.
 
La stanza non sembrava avere nulla di strano rispetto al solito.
Pulita e ordinata, il letto rifatto e il copriletto rigorosamente senza pieghe come Will lo lasciava sempre.
Il ripiano della scrivania era prevalentemente sgombro se non si contavano degli appunti di vecchie lezioni e un paio di libri.
 
Mike si sedette sulla sedia girevole facendole poi compiere qualche giro su se stessa.
Si fermò quando anche gli altri lo raggiunsero.
“Visto?” domandò retoricamente. “Niente di strano”.
 
“Se con niente di strano indenti che Will resta comunque scomparso e non ha lasciato nemmeno un biglietto...”
“... che avremmo tra l’altro dovuto trovare in salotto dove li lascia di solito...”
“... allora sì, non c’è niente di strano”.
 
Mike alzò gli occhi al cielo esasperato: nemmeno lui credeva a quello che aveva detto, ma gli altri non riuscivano a capire che stava cercando un modo per non pensare subito al peggio?
All’inizio gli era sembrato che anche Lucas fosse su quella lunghezza d’onda, ma a quanto pareva non era così.
 
Si diede la spinta per fare un altro giro con la sedia e non trattenne le imprecazioni quando il suo gomito andò a sbattere contro lo spigolo del primo cassetto della scrivania che, lo notava solo in quel momento, non era chiuso bene.
Strano: quello era il cassetto in cui Will teneva le scatole dei colori che usava per disegnare, e lui lo prendeva sempre in giro dicendogli che se era così geloso tanto valeva che ci mettesse un lucchetto.
Poteva giurare di non aver mai visto quel cassetto chiuso meno che perfettamente.
 
Quando lo aprì del tutto poi, gli occhi gli uscirono quasi dalle orbite.
Pastelli, pennarelli, gessetti: erano tutti fuori dalle rispettive scatole come se fossero stati buttati dentro al cassetto alla rinfusa dopo il loro utilizzo.
Alcune matite erano addirittura spezzate mentre a certi pennarelli la punta era stata completamente schiacciata come quando si calca troppo mentre li si utilizza.
 
Mike non era l’unico a guardare la cosa sbalordito visto che la cura maniacale con cui Will era solito tenere i suoi strumenti da disegno era ben nota a tutti loro.
La mano di Lucas si sporse quasi automaticamente verso il pomello del secondo cassetto, quello in cui l’amico artista era invece solito conservare gli album da disegno e i taccuini per gli schizzi che stava attualmente usando – quando quelli non erano ovviamente con lui nel suo zaino.
 
Il cassetto non si apriva.
O meglio, si riusciva a smuovere di qualche millimetro appena ma non abbastanza da riuscire a vedere un minimo all’interno.
Evidentemente dentro doveva esserci qualcosa che lo bloccava.
A quel punto intervenne Dustin, che dopo un paio di scrollate ben assestate al mobile riuscì finalmente a tirare abbastanza da far scorrere il cassetto sulle sue guide.
 
In un primo momento pensarono fosse esploso qualcosa.
Solo dopo qualche istante si resero conto che quelli da cui erano stati travolti altro non erano che fogli.
Tanti fogli.
Di sicuro più di quanti il cassetto sarebbe normalmente stato in grado di contenerne.
Fogli più spessi da acquerello o tempera, a quadretti staccati apparentemente da un quaderno; persino alcuni sembravano provenire da una rubrica telefonica oltre a quelli di carta più semplice ma di buona qualità che appartenevano molto probabilmente ai blocchi da disegno che Will preferiva.
E tutti erano stati talmente tanto compressi all’interno di quello spazio ristretto che una volta chiuso il cassetto ne era rimasto bloccato, e quando era stato riaperto i fogli più superficiali erano stati sputati fuori come spinti da una molla a causa della pressione.
In realtà era incredibile già solo il fatto che Will fosse riuscito a chiuderlo, quel cassetto...
 
I tre ragazzi si fermarono a guardare quello che si erano ritrovati davanti: una moltitudine di fogli su ognuno dei quali spiccavano quelli che altro non sembravano che scarabocchi.
Solo uno nel mucchio era diverso e attirò la loro attenzione: era un formato A3 tutto spiegazzato, ma invece che con segni apparentemente disegnati alla rinfusa riproduceva alla perfezione un edificio.
Un brivido corse lungo le loro schiene quando lo identificarono come l’Hawkins National Laboratory.
Solo che l’ambiente che gli faceva da sfondo non era il solito che tutti conoscevano ma qualcosa di molto più sinistro.
 
Il cielo era di quel viola scuro tipico dei lividi venato da striature color rosso cupo, lo stesso del sangue rappreso.
L’edificio stesso sembrava palesemente in rovina mentre nell’aria intorno ad esso, a riempire quasi ogni angolo, c’erano quelli che potevano passare per frammenti di macerie dispersi dell’aria misti a... fiocchi di neve?
L’asfalto della strada era crepato in più punti come fosse stato reduce da una scossa di terremoto.
A fare da cornice al tutto c’erano gli stralci di quella che poteva essere una pianta o una creatura a tentacoli – o entrambe – e per concludere nell’angolo in basso a sinistra si poteva individuare un’ombra dalle sembianze umanoidi.
 
“Quello è l’Upside Down” sentenziò Dustin.
Sembrava soddisfatto di aver avuto ragione fin dall’inizio anche se ovviamente lui stesso era il primo a non esserne felice alla fine dei conti.
“Allora è davvero successo di nuovo” commentò Lucas affranto senza riuscire a distogliere lo sguardo dal disegno.
Mike si sentiva la bocca secca e le orecchie che fischiavano: voleva la prova che il sogno di quella mattina non fosse solo un innocuo quanto fastidioso prodotto del suo subconscio?
Eccolo accontentato.
Gli era stato dato un campanello d’allarme, aveva addirittura cercato di mettersi inconsapevolmente in contatto con lei che sarebbe stata l’unica a poterli aiutare davvero in una situazione del genere – anche se nonostante la risposta che aveva ricevuto alla fine, per quanto ne sapeva, lei sarebbe anche potuta essere morta lo stesso da un pezzo – e lui aveva ignorato tutto.
 
“Ragazzi, vi devo dire una cosa” si riscosse cercando di richiamare l’attenzione degli altri due che già avevano iniziato a discutere sul da farsi.
“Ragazzi!” quella volta alzò la voce. “È tutta colpa mia” ammise ricevendo in risposta due paia di sguardi confusi.
E così raccontò loro del sogno, quasi sottovoce tenendo gli occhi bassi per non guardare in faccia gli amici.
Non sapeva neanche lui cosa si era aspettato, ma appena ebbe finito il suo racconto entrambi si affrettarono a rassicurarlo che non era affatto colpa sua, non poteva saperlo.
Anche a loro di tanto in tanto capitava di avere qualche incubo riguardante l’Upside Down e le sue creature – soprattutto quelle – ma non per questo si sarebbero mai aspettati di veder sparire Will da un giorno all’altro.
 
“E adesso cosa facciamo?” parve strano sentire quella domanda pronunciata da Mike, lui che di solito era visto come il capo e che era sempre pronto a prendere in mano la situazione.
“Mike tu pensi che... ecco, che El sia ancora viva, da qualche parte?”
Sul volto dell’interessato si dipinse una smorfia: se solo pensava a tutte le volte che aveva provato a mettersi in contatto con lei senza ovviamente ricevere alcuna risposta... e adesso l’ipotesi che la ragazza potesse davvero essere viva e vegeta – e in ascolto – da qualche parte e l’avesse sempre ignorato deliberatamente faceva male.
Molto più di quanto avrebbe dovuto farne dopo tutti quegli anni passati ad autoconvincersi che non gli importava.
Era un caso disperato, e lo sapeva.
 
“Io penso che prima di preoccuparci di Eleven – pronunciare il nome gli costò un certo sforzo – dovremo preoccuparci di qualcun altro” disse infine dopo averci pensato per un po’.
“E chi sarebbe questo qualcuno?” domandò ingenuamente Dustin, mentre a giudicare dall’espressione all’improvviso agitata Lucas sembrava aver capito.
“Beh, Will è scomparso, non sappiamo per quanto tempo rimarrà tale e non credo sarà possibile nascondere la cosa per molto tempo: non pensi che forse, e dico forse, dovremo trovare un modo per dirlo a...”
Il suono del citofono interruppe il suo discorso.
Si guardarono tra di loro: nessuno aspettava visite.
Chiusero la stanza e corsero tutti in salotto.
Dustin prese il ricevitore in mano e se lo portò all’orecchio mentre Lucas e Mike si avvicinavano a loro volta alla cornetta per sentire anche loro.
 
“Sì? Chi è?”
“Ciao Dustin! Sono Joyce. Passavo di qui e mi chiedevo de Will fosse in casa...”
 
Lo sguardo da condannato a morte si dipinse all’istante sui loro volti: erano fottuti.













Buonasera a tutti! Spero che sia stato un buon lunedì (nonostante sia, appunto, lunedì...)
No, non mi ero dimenticata di aggiornare, solo che quando sono di turno riesco a raggiungere il computer solo dopo cena, doccia e chiamate varie ai genitori, non necessariamente in quest'ordine.
Ringrazio 
Elgul1 e ​friendsdontlie, le due anime pie che hanno recensito lo scorso capitolo (basta davvero poco per rendere felice la sottoscritta sapete?).
Quindi siccome mi avete fatto davvero contenta, e siccome mi rendo conto che effettivamente aspettare due settimane per un aggiornamento potrebbe sembrare tantino, ho deciso di usare lo stesso "metodo" che sto usando con l'altra storia che ho attualmente in pubblicazione, quindi: lascio le due settimane a meno che non ci siano pareri da parte dei lettori, in quel caso cercherò di darmi (più) da fare con la revisione e anticipo l'aggiornamento di una settimana.
Che dite? Mi sembra un buon compromesso no?
Quindi prossimo aggiornamento previsto per lunedì 22 gennaio (o altrimenti lunedì 15).
Alla prossima (e buona notte a tutti!)
E.

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Chapter 3 ***


Chapter 3
 
 
 
La Hopper&Co. era ormai da anni uno degli studi privati più in vista di Chicago.
Specializzato nel ritrovamento di persone scomparse – sia si trattasse di persone care o criminali con una taglia sulla loro testa – da quando aveva aperto i battenti non aveva fallito in nessuno dei casi che gli era stato affidato.
Non era stato facile all’inizio, soprattutto quando era venuto fuori che quel Co. non comprendeva un qualche socio prestigioso o un altro affermato detective ma bensì la figlia del titolare Jim Hopper, allora quindicenne, Jane.
Guadagnare credibilità nell’ambito degli investigatori privati era stato più che arduo, soprattutto partendo dalla reputazione del padre single con figlia a carico, ma alla fine, caso dopo caso, chiunque si fosse rivolto a quella strana coppia aveva dovuto ammettere che entrambi – sì, compresa l’adolescente – sapevano quello che facevano.
 
Quello di diventare un investigatore privato era stato un sogno nel cassetto che l’ex sceriffo Hopper aveva sempre reputato troppo audace e fantasioso per essere attuato, a maggior ragione in una cittadina come Hawkins.
Eleven, ribattezzata con il suo vero nome Jane con l’aggiunta del cognome Hopper grazie ad un certificato di nascita talmente falso da apparire vero, si era adeguata come al solito.
Aveva accolto la decisione di Hopper di mandarla a scuola – dopo tutta una serie di lezioni private – con più entusiasmo di quanto l’uomo stesso avesse mai osato sperare.
Aveva già capito che se non voleva rimanere per sempre la ragazzina anormale con cui tutti la identificavano avrebbe dovuto rimboccarsi le maniche e lavorare sodo, forse persino di più di quanto faceva con papà...
 
In quegli undici anni la ragazzina con la testa rasata, l’espressione smarrita e il vocabolario di un bambino dell’asilo era cresciuta trasformandosi in una giovane donna dai boccoli color cioccolato che incorniciavano un’espressione risoluta e decisa del volto con una parlantina niente male.
Se si guardava indietro non passava giorno senza che lei non ringraziasse quello che ormai considerava davvero suo padre per tutto quello che aveva fatto per lei, anche se il loro rapporto in realtà non era esattamente cominciato nel migliore dei modi.
 
 
 
Flashback
La bambina riprese conoscenza ansimando.
In bocca poteva sentire il sapore ferroso del sangue che gli era colato dal naso quando aveva usato al massimo i suoi poteri per uccidere il Demogorgon.
Si alzò praticamente di scatto e guardandosi intorno capì che sì, era ancora nella scuola, ma era quella dell’Upside Down.
A passo malfermo lasciò l’aula in cui si era svegliata cominciando a percorrere il corridoio per cercare una via d’uscita, qualcuno che potesse aiutarla, un amico...
Arrivata al punto di svolta già non ce la faceva più e si trovò ad appoggiarsi al muro.
 
“M-Mike?” chiamò con la voce tremante e spezzata.
Le era venuto istintivo.
Da qualche parte nella sua testa poteva sentire le voce dei tre ragazzini che chiamavano il suo nome, ma quella di Mike...
Riprese il suo cammino cominciando a respirare affannosamente mentre l’aria attorno a lei sembrava quasi farsi più fredda.
“Mike?” chiamò di nuovo cercando di trattenere le lacrime.
“Miiike!” ormai le sue urla erano diventate disperate, strazianti per chiunque l’avesse ascoltata.
Ma lì non c’era nessuno, solo lei.
 
Finchè non la vide: una breccia.
Rosso e pulsante, un varco per tornare nell’altro mondo.
Si appiattì contro il muro in un riflesso involontario quando si accorse della presenza di alcuni poliziotti dall’altra parte.
Non poteva rischiare.
Quando finalmente quelli se ne andarono cominciò ad agire.
Infilò un braccio attraverso il varco rompendo la membrana viscida che separava le due realtà constatando che quella fosse effettivamente una via d’uscita.
Però non era abbastanza grande per far passare tutto il suo corpo.
Nonostante fosse ancora allo stremo delle sue forze quella era l’unica cosa da fare: si asciugò la mano sulla gonna del vestitino ormai irriconoscibile per poi distenderla di fronte a sé verso il passaggio.
Poteva percepire la resistenza che quello opponeva mentre lei cercava di allargarlo, ma alla fine ebbe lei la meglio.
 
Prima di quanto avesse osato sperare si ritrovò a carponi dall’altra parte, ricoperta della sostanza appiccicosa da capo a piedi, col fiatone e il naso che sanguinava di nuovo, ma viva.
 
I suoi piedi la guidarono verso quel posto che aveva chiamato casa nell’ultimo periodo: l’abitazione di Mike.
Forse era stata lei ingenua, non aveva minimamente considerato la possibilità di trovare poliziotti anche lì, ma tutte quelle macchine con i lampeggianti accesi erano difficili da ignorare.
Non vista riuscì ad avvicinarsi ad una delle finestre, e Mike era lì, in compagnia della madre e di un agente.
Non ci voleva molta fantasia per immaginare quello che gli stavano dicendo: che lei era pericolosa e per la sicurezza di tutti avrebbe dovuto rivelare loro la sua posizione.
Almeno sembrava che il ragazzino non avesse la minima intenzione di ascoltarli visto che continuava a tenere la testa bassa senza rispondere.
Eleven cercò di cacciare indietro le lacrime e dopo averlo salutato con un Addio Mike pronunciato solo nella sua testa corse via prima che qualcuno potesse accorgersi della sua presenza.
 
Ritornò nel bosco: quale posto migliore per nascondersi?
Trovò rifugio sotto il tronco di un albero caduto contro il fianco di una collinetta, lì non l’avrebbero trovata.
Sola e impaurita si concesse finalmente di piangere, mentre cercava di stringersi su se stessa per ripararsi dal freddo come poteva.
Aveva fame, sete e si sentiva stanchissima: aveva usato troppo i suoi poteri senza darsi tempo di recuperare e adesso ne stava pagando le conseguenze.
Come se non bastasse poi nella sua testa continuava a risuonare come un eco uno strano richiamo che sembrava volerla spingere a tornare ai Laboratori.
Un richiamo pulsante che la faceva sentire come se qualcosa la stesse opprimendo causandole un feroce mal di testa.
Chiuse gli occhi con forza cercando di scacciare tutti i suoi pensieri.
 
Svenne.
 
Non sapeva che anche qualcun altro, oltre ai poliziotti, la stava cercando.
 
 
 
Quando Hopper aveva sentito i ragazzi dire che Eleven era sparita non aveva lasciato la scuola: piuttosto si era appostato nella sua auto e aveva aspettato.
La sua pazienza fu premiata.
Non passò molto prima che qualcuno uscisse infatti dall’edificio scolastico.
Sembrava allo stremo delle forze, e probabilmente lo era davvero, ma l’uomo sapeva che non poteva farsi vedere adesso o non avrebbe fatto altro che spaventarla di più e peggiorare la situazione.
 
Sbuffò scendendo dal veicolo perché non aveva voglia di camminare, ma non poteva mettersi a seguirla in macchina o l’avrebbe scoperto subito.
Non uscì allo scoperto finchè non raggiunsero il bosco.
 
Hopper individuò il nascondiglio della bambina ma rimase a sua volta nascosto per aspettare la sua prossima mossa.
Quando però dopo minuti interi Eleven ancora non aveva dato segno di essersi spostata decise che non avrebbe più aspettato.
E meno male.
La bambina era rannicchiata su se stessa, tremante: la pelle di una sinistra sfumatura bluastra e le labbra viola. Al tatto pareva proprio ghiacciata.
Lo sceriffo non si fermò a cercare di capire come solo pochi minuti avessero potuto ridurla in quello stato e senza troppi complimenti la prese in braccio e la portò via.
Fine Flashback
 
 
 
Quando Eleven si era finalmente ripresa Hopper aveva dovuto metterci dell’impegno per spiegare alla bambina e agli oggetti volanti al seguito – diretti tutti contro di lui ovviamente – come mai non si trovavano più a Hawkins ma a miglia di distanza.
Cercare di farle capire che lui inizialmente era rimasto in città, solo che lei non dava segno di volersi riprendere dallo stato comatoso in cui era caduta.
Di chiedere aiuto all’ospedale non se ne parlava, allora aveva deciso di provare a portarla in quello della città più vicina.
E lì era successo.
Una volta lasciata Hawkins, mano a mano che si allontanavano sempre di più, Eleven aveva pian piano cominciato a dare segni di miglioramento: aveva cominciato a riprendere colore e a muoversi nel sonno.
E così Hopper aveva lasciato perdere l’ospedale e aveva continuato a guidare, fermandosi solo quando la sua passeggera si era finalmente risvegliata del tutto, confusa, affamata e subito dopo anche arrabbiata con lui.
Erano arrivati fino a Chicago.
 
Ovviamente dopo un certo periodo dalla completa riabilitazione di Eleven avevano provato a fare ritorno a Hawkins, ma le cose non erano andate come si erano aspettati: più o meno a metà strada la bambina aveva cominciato a lamentarsi di uno strano mal di testa per poi svenire pochi minuti dopo scossa da brividi di freddo nonostante fosse piena estate.
L’uomo aveva fatto inversione di marcia seduta stante.
 
C’erano state diverse discussioni, tentativi e altrettanti svenimenti e tante lacrime prima che Eleven si rassegnasse allo stato delle cose: non le era permesso tornare a Hawkins.
Non restando cosciente, almeno.
 
E così era iniziata la loro vita lì a Chicago, e se non fosse stato che la ormai cresciuta bambina pensava ancora ad un certo Mike ogni giorno le cose sarebbero davvero state perfette.
 
 
Eleven aveva ben presto dimostrato di essere all’altezza di tutte le aspettative che Hopper avrebbe potuto avere su di lei – l’uomo non poteva esserne più fiero – e le aveva forse anche superate, quelle aspettative, quando la ragazzina gli aveva chiesto di poter lavorare con lui, senza abbandonare la scuola ovviamente, e poi dargli una mano a risolvere un caso per provare che poteva davvero aiutare.
 
Dal trasferimento aveva sempre cercato di usare i suoi poteri il meno possibile, e quella fu la prima volta che li riusò seriamente dopo un anno e mezzo.
Si trattava di un caso di un bambino scomparso e Hopper sembrava proprio non riuscire a venirne a capo.
Ovviamente non gli aveva chiesto il permesso visto che sapeva bene che non glielo avrebbe mai dato, e di nascosto aveva preso in prestito una delle foto del bambino dal fascicolo.
Aveva aspettato che l’uomo uscisse di casa e si era chiusa in camera, si era legata un foulard attorno agli occhi e stretto la foto al petto.
 
Le immagini erano arrivate tutte insieme come tanti flash che l’avevano quasi accecata e lasciata confusa per qualche minuto.
Non era mai stata così veloce, e quando si tolse la benda per guardarsi allo specchio aveva notato che il naso non le aveva neanche sanguinato.
Non si sentiva nemmeno stanca!
Hopper, come si aspettava, non era stato affatto contento della sua presa d’iniziativa – che infatti le era costata una settimana di punizione senza Eggos a colazione – ma alla fine erano riusciti a ritrovare il bambino e a riportarlo a casa sano e salvo: contava quello.
 
Dopo un lungo e serioso discorso sulla responsabilità di usare i suoi poteri e domande non tanto velate su come si fosse sentita e se avesse fatto altri strani incontri quando con la sua mente era andata dall’altra parte, Hopper aveva alla fine ceduto alle richieste di Eleven permettendole di tornare ad usare di nuovo i suoi poteri, ma senza esagerare, e di aiutarlo con i suoi casi solo quando rimaneva in un vicolo cieco.
Non aveva problemi se la ragazza usava la telecinesi, ma voleva evitare il più possibile che El entrasse di nuovo in contatto con l’Upside Down – e tutto quello che aveva a che fare con esso – anche se andandoci solo con la sua testa.
Se quando aveva solo dodici anni era stata capace di attirare un mostro come il Demogorgon non osava pensare a cosa sarebbe potuto capitare adesso che era più grande e – sì, se n’era accorto subito anche lui – più potente.
 
 
 
‡‡‡
 
 
 
Alla fine anche quel caso era stato risolto e Hopper e Jane stavano festeggiando a casa mangiando cibo d’asporto e guarnendo gli Eggos che avrebbero mangiato come dessert.
Stava andando tutto come accadeva di solito quando risolvevano un caso con successo quando il telefono squillò.
Entrambi lo guardarono straniti: l’uomo non riceveva mai telefonate all’infuori di quelle dei clienti che comunque chiamavano in orario d’ufficio – e in ogni caso quasi mai al numero di casa.
 
Hopper rispose alla chiamata guardingo e incuriosito al tempo stesso, sbarrando gli occhi in un’espressione di puro stupore quando riconobbe la voce dall’altra parte della cornetta.
“Come hai fatto ad avere questo numero?”
“Me lo hai dato tu l’ultima volta, te ne sei già dimenticato? Hai detto che era per le emergenze”
“Infatti...”
“Questa è un’emergenza Hopper”
Se si sforzava Jane poteva quasi riuscire a sentire la voce disperata della donna dall’altra parte della cornetta.
Suo padre se ne accorse e chiese alla sua interlocutrice di aspettarlo un attimo.
 
“Jane...”
“Che c’è? Di solito mi fai ascoltare tutte le chiamate!”
“Non questa”
“Chi è?”
“Per favore vai in camera tua e non ascoltare. Prometto che quando finisco ti riferirò quello che posso”
La ragazza sbuffò ma fece quello che le era stato detto, non prima di aver preso con sé il piatto con gli Eggos e aver fatto una linguaccia all’uomo.
 
Un quarto d’ora dopo Hopper andò a bussare alla camera dicendo che aveva finito e insieme potevano ritornare a tavola.
“Allora?” domandò Jane spingendo verso di lui il piatto dove aveva lasciato l’ultimo Eggo – per pura bontà d’animo, sia chiaro.
“Devo tornare a Hawkins”
“Mmm. Questo lo so, ci torni sempre ogni anno – senza di me” annuì la ragazza imbronciata.
“Ci devo tornare adesso” chiarì lui.
“Perché?” Jane si sporse in avanti scrutandolo con gli occhi assottigliati.
“Perché... al telefono era Joyce: ha detto che Jonathan si è trovato in un brutto giro e ha paura per lui”
“Non si era trasferito anche lui...?”
“Questo è il motivo per cui è tornato”
“Ma c’è il mio compleanno tra poco! Non riuscirai mai a tornare in tempo!”
“Mi dispiace, ok? Prometto che cercherò di fare il più in fretta possibile, e quando tornerò festeggeremo ancora di più degli anni scorsi, che ne dici?”
 
Jane incrociò le braccia al petto contrariata.
“E poi... non dirmi che tu non aiuteresti Joyce e suo figlio se ti chiedessero aiuto...”
Quello era un colpo basso, ovvio che li avrebbe aiutati, senza pensarci due volte.
“Portami con te, voglio venire anche io”
“Jane...”
“Per favore! Sono passati anni, sono stata brava, ho obbedito a tutte le regole – beh, quasi tutte – e non mi sono mai lamentata, non ho mai chiesto niente”
“Jane devi capire che non posso permettermi di ritardare perché devo riportarti indietro nel caso tu dovessi stare male. Da quello che ha detto Joyce la situazione di Jonathan è piuttosto... grave”
 
Ci fu un attimo di pesante silenzio in cui Eleven guardò Hopper negli occhi come a volergli leggere dentro.
“E va bene. Vai” concesse alla fine. “Però fai presto, va bene? Non mi piace stare sola il giorno del mio compleanno”
Hopper annuì mentre osservava la figlia andarsene verso la camera sospirando.
 
Gli era costato un sacco doverle mentire, ma se le avesse riferito il vero contenuto della telefonata sapeva che non sarebbe mai riuscita a fermarla dal seguirlo.
 
Sospirò a sua volta dirigendosi verso la sua stanza per preparare la valigia.













Buona sera a tutti!
Per chi voleva finalmente rivedere Eleven eccovi accontentati!
Ormai possiamo dire che tutti i personaggi principali sono stati coinvolti nella storia.
Prima delle note volevo ringraziare 
MiMiMiki, ​Elgul1 e ​HarukaTenoh27: mi sono connessa e trovare le vostre recensioni è stata una piacevolissima e graditissima sorpresa! - Appena finisco qui vado a rispondere :)
Tre recensioni per un capitolo solo è davvero un record (almeno per me...) e vi sono davvero riconoscente per farmi sapere cosa ne pensate anche con poche righe. Apprezzo infinitamente.
Ora, tornando al capitolo...
La scena del flashback l'ho ricostruita dalla serie, ovviamente, anche se il finale l'ho cambiato per adattarlo alla mia storia. Spero se non altro di aver riportato abbastanza fedelmente almeno le parti che dovrebbero essere rimaste uguali  - e spero altresì che non sia stato troppo noioiso da leggere non essendo nulla di "nuovo".
Ho scelto come città Chicago come riferimento alla seconda stagione: qui non ci sarà nessuna "lost sister", ve lo posso dire subito, ma ho voluto in qualche modo riprendere la serie.
Ringrazio di nuovo per le letture e le recensioni, prossimo appuntamento lunedì 29 gennaio - salvo anticipazioni ;)
E.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Chapter 4 ***


Chapter 4
 
 
 
Erano passati ormai tre giorni da quando Hopper era partito.
Nulla di nuovo, non era la prima volta che Jane restava a casa da sola mentre lui tornava a fare visita ad Hawkins.
Quella volta però sembrava esserci qualcosa di diverso, a partire dal fatto ch la ragazza sapeva bene che l’uomo le aveva mentito – o se non altro non le aveva detto tutta la verità.
Aveva continuato a seguire le lezioni del corso di criminologia – lo aveva iniziato dopo aver finito la scuola, avvantaggiata dall’avere per predisposizione una mente sveglia e un posto di lavoro alla Hopper & Co. – cercando di non pensarci: sapeva che se il padre lo aveva fatto doveva essere per il suo bene, come anche era certa che una volta concluso tutto le sarebbe stato raccontato come stavano davvero le cose perché non era più una bambina.
 
Era andata avanti così finchè non aveva fatto quel sogno.
Era del tutto simile a quello in cui aveva risentito la voce di Mike solo che questa volta a chiamarla era stato qualcun altro.
Si era svegliata di soprassalto, sudata e ansimante, non appena nel sogno – o era nella sua testa? – i suoi occhi avevano messo a fuoco la figura di quello che doveva essere Will Byers ventitreenne.
Un Will Byers stravolto e disperato che le urlava di aiutarlo.
Ci aveva messo qualche minuto per riprendersi, non c’era nessuno che poteva tranquillizzarla dopo quell’incubo questa volta, ma quando lo fece i fatti si delinearono nella sua testa con chiarezza disarmante.
Non era Jonathan Byers ad essere nei guai, ma suo fratello.
E il sogno che non prometteva nulla di buono, nessuno dei due di quelli che aveva avuto – solo adesso capiva che anche il primo era stato un campanello di allarme – perché se aveva ragione allora...
 
Scattò dal letto.
Frugare tra i documenti dell’ex-sceriffo per trovare il numero di telefono che stava cercando fu un gioco da ragazzi, non si era neanche dovuta concentrare più di tanto.
Compose il numero con la cornetta del telefono attaccata all’orecchio e aspettò, gli squilli della linea che facevano da eco ai battiti accelerati del suo cuore.
Al quinto squillo ci fu il familiare rumore della risposta.
“Will? Will, sei tu?” domandò una voce femminile spezzata dal pianto che Jane ricondusse a quella che aveva origliato dalla conversazione di quella sera.
“Joyce, aspetta un attimo” sentì una voce maschile in sottofondo che non ebbe problemi ad identificare e riattaccò prima che suo padre riuscisse a raggiungere il telefono.
Aveva avuto tutte le conferme di cui aveva bisogno: Will Byers era sparito – di nuovo – e c’erano ottime probabilità che fosse finito nell’Upside Down – di nuovo.
Hopper da solo non ce l’avrebbe mai fatta a riportarlo indietro, senza contare che Jane era sicura che chiunque, o qualunque cosa, avesse rapito il ragazzo non si sarebbe di certo fermato lì.
 
Poco meno di un’ora dopo la ragazza si lasciò alle spalle l’appartamento, dopo averlo debitamente sigillato, con un borsone a tracolla diretta verso la stazione delle corriere.
Sperava solo che sulla sua corsa ci fosse anche un medico, giusto per stare tranquilli...
 
 
 
‡‡‡
 
 
 
Le ore del viaggio le erano sembrate interminabili, soprattutto perché dopo un certo punto aveva cominciato a irrigidirsi progressivamente aspettando il terribile mal di testa che si ricordava bene, gli inspiegabili brividi di freddo e il successivo svenimento.
Che però non erano mai arrivati.
Quando ormai mancava davvero poco all’arrivo si permise di tirare un sospiro di sollievo: se non era svenuta fino a quel momento ormai non aveva più nulla di cui preoccuparsi, o almeno sperava.
 
Chiese all’autista di farla scendere prima di arrivare in città e quando il bus fu ripartito cominciò ad incamminarsi verso il bosco.
Hopper gli aveva parlato così tanto di quella casa che riuscì a trovarla senza problemi.
Era la vecchia casa di suo nonno: praticamente sperduta in mezzo al bosco, ma in quel momento faceva proprio al caso suo.
Secondo i suoi racconti Jim si fermava a stare dai Byers ogni volta che tornava a Hawkins e Jane dubitava che avesse cambiato abitudine proprio adesso che Will era sparito.
 
La casa era in palese stato di abbandono, ma almeno sembrava ancora reggersi in piedi.
Entrò bloccando la porta subito dopo.
L’interno era pieno di polvere che si mosse ad ogni suo passo facendola starnutire più volte, i mobili coperti da lenzuoli ormai luridi e ragnatele.
El attraversò quello che doveva essere il salotto senza toccare nulla, lasciando impronte nella polvere depositata sul pavimento.
Individuò una stanza singola che sarebbe potuta essere quella per gli ospiti e aprì la finestra con non poca fatica.
Avrebbe potuto usare i suoi poteri, ma li avrebbe dovuti utilizzare di lì a poco e qualcosa le diceva che non sarebbe stato saggio abusarne.
Si appoggiò con la schiena alla porta, le braccia tese davanti a lei e chiuse gli occhi.
Un minuto dopo la polvere era completamente sparita – volata letteralmente fuori dalla finestra – e i mobili che occupavano la stanza erano tornati ad essere utilizzabili.
Sorrise soddisfatta del suo lavoro: per il momento era tutto quello che le serviva.
 
Riservò lo stesso trattamento anche al bagno della casa prima di concedersi di dormire per qualche ora: non si era permessa di chiudere occhio durante il viaggio e la stanchezza cominciava a farsi sentire.
E poi sarebbe stato meglio avere la mente fresca e riposata prima di cominciare ad elaborare un piano.
 
Quando si svegliò era già buio, ma per fortuna non troppo tardi per uscire.
Cercò di riflettere sul da farsi.
Andare direttamente dai Byers era fuori questione: voleva rimandare il più possibile il momento della sfuriata epica che Hopper le avrebbe sicuramente fatto, e quando sarebbe arrivato voleva almeno avere qualcosa con cui ribattere, giusto per dimostrare di essere stata utile.
Lo sguardo le cadde sul vecchio televisore appoggiato sul mobile nell’angolo della stanza.
Le bastò guardarlo assottigliando lo sguardo per farlo accendere, beccando il canale in cui stavano trasmettendo il notiziario locale.
Il contenuto del servizio in onda fece sì che si desse della stupida due volte.
La prima perché alla fine, dopo la sua scoperta e il viaggio, si era completamente dimenticata che quel giorno fosse il suo compleanno.
La seconda perché si dava il caso che quel giorno fosse anche Halloween: bambini e ragazzi sarebbero usciti per fare dolcetto o scherzetto o per partecipare a qualche festa; in entrambi i casi sarebbero stati in costume e questo offriva a lei un’occasione imperdibile per camuffarsi in modo da non farsi riconoscere senza che nessuno le facesse domande.
Non le sarebbe potuta andare meglio.
Si vestì tutta di nero e lasciò il suo rifugio.
 
 
Arrivata in città notò subito la grande quantità di gente che girava per le strade e cercò di tenersi in disparte.
Entrò nel primo negozietto che vendeva costumi ancora aperto e quando ebbe terminato i suoi acquisti chiese al proprietario di poter usare il bagno.
Ne uscì qualche minuto dopo con una specie di mantellina bianca tutta sdrucita che arrivava a coprirle la cintura, i capelli tirati indietro da un paio di fermagli a forma di ragnatela erano stati colorati di verde con uno spray e un buono strato di cerone bianco le copriva tutta la faccia.
Aveva anche comprato un paio di lenti a contatto bianche giusto per fare un po’ di scena.
Soddisfatta del risultato non si fece problemi ad uscire e finalmente mescolarsi alla gente.
 
Camminò guardandosi attentamente attorno seguendo il flusso delle persone.
Ad un certo punto un bambino con i capelli ricci e neri le sfrecciò accanto seguito dalla sua banda di amici e Jane si diede eccezionalmente delle stupida una terza volta.
Come aveva fatto a dimenticarsi di Mike?
E se lo avesse rivisto?
E se lui fosse riuscito a riconoscerla nonostante il travestimento?
Che poi... lei voleva essere riconosciuta?
 
Una musica in lontananza attirò la sua attenzione: sembrava proprio che in quella casa stessero dando una festa, e a giudicare dalle persone che vi si stavano dirigendo non era per bambini.
Dubitava che qualcuno sarebbe sparito da lì, ma non si poteva mai sapere.
Dopotutto se pensava che l’amica di Nancy, la sorella di Mike, aveva fatto la fine che aveva fatto perché si era isolata un attimo... * 
Il ragazzo che doveva fungere da buttafuori all’ingresso dell’abitazione si limitò a squadrarla da capo a piedi quando lei gli fece capire che non aveva un invito, e la fece passare subito dopo strizzandole l’occhio.
E così Eleven si ritrovò travolta da musica, odore di alcool e corpi di ragazzi e ragazze che cercavano di muoversi trasportando bicchieri dal dubbio contenuto.
Era dentro.
 
 
‡‡‡
 
 
 
Tutti e tre, dal primo all’ultimo, si sentivano in colpa.
Al diavolo Halloween, l’ultima cosa che volevano era andare ad una festa.
Ma dopo essere stati di nuovo messi da parte dai grandi – come se non lo fossero stati ormai anche loro – rimanere a casa Byers con Joyce che scoppiava in lacrime ad ogni occasione e Hopper - arrivato in men che non si dica non appena la sopracitata lo aveva chiamato – che, si vedeva, non sapeva che pesci pigliare, era diventato impossibile.
Tanto valeva uscire, dopo aver promesso che non si sarebbero messi a cercare Will facendo qualcosa di stupido, e distrarsi in qualche modo.
E poi anche perché nessuno di loro voleva sorbirsi Max, che quando si arrabbiava faceva quasi paura, che li accusava di essere degli ingrati dopo tutta la fatica che aveva fatto con la sua compagna di corso per ottenere un ingresso a quella festa anche per loro.
 
E così Lucas aveva tirato fuori qualche vestito malmesso, un paio di lenti a contatto gialle e aveva dichiarato di essere un licantropo; Dustin faceva coppia con la sua ragazza e sfoggiava un completo da Elvis Presley che aveva lasciato tutti abbastanza sconcertati – non chiedetelo a lui, era stata Louise a decidere il costume – mentre Mike si era limitato a sporcare di sangue finto una camicia e mettersi in bocca denti di plastica per interpretare il vampiro più svogliato di sempre.
 
Arrivati alla festa Lucas era stato trascinato via da Max dopo poco e non ci era voluto molto prima che anche Dustin si scusasse per poi andare a fare un giro con Louise.
Rimasto solo, visto che non conosceva nessuno e senza qualcuno che gli dicessi di fermarsi, Mike aveva fatto l’unica cosa che gli era parsa sensata: aveva cominciato a bere.
Non che gli piacesse ubriacarsi ma, come si dice: a mali estremi, estremi rimedi.
Magari in quel modo sarebbe riuscito a dimenticarsi dei suoi problemi almeno per quella sera.
 
In realtà alla fine il suo piano non aveva funzionato così bene, visto che l’alcool l’aveva fatto sentire ancora più in colpa di come era prima rendendolo pure particolarmente irritabile.
Era sicuro che in altre circostanze non sarebbe stato così insofferente nei confronti delle coppiette che avevano cercato di appartarsi al piano superiore dell’abitazione che era sicuramente meno affollato e più tranquillo di quello inferiore.
E forse fu sempre per quello che, quando urtò una ragazza apparentemente vestita da fantasma mentre ritornava dal bagno, invece di scusarsi proruppe con un: “Attenta a dove cammini... sarai anche vestita da fantasma ma di certo non sei incorporea” tirando poi dritto senza neanche guardarla in faccia.
 
“Mi risulta che tra i due quello ubriaco sia tu... non sono io che devo prestare attenzione a dove metto i piedi. Per essere un vampiro sei parecchio scoordinato” gli arrivò da dietro.
Tutto si aspettava tranne sentirsi rispondere per le rime.
 
Jane d’altra parte stava sbuffando fumo: adorava anche lei fare festa e divertirsi, ma se c’era una cosa che non sopportava e riteneva particolarmente stupida era ubriacarsi.
Non riusciva proprio a concepire come qualcuno potesse ritenere accettabile perdere il pieno controllo delle proprie facoltà e, a volte, pure del proprio corpo.
Quando il ragazzo l’aveva urtata aveva contato fino a cinque decidendo di non dire nulla, ma quando poi l’altro aveva avuto pure da ridire ci aveva messo una frazione di secondo per rispondergli a tono.
Avrebbe forse voluto aggiungere qualcos’altro, ma le parole le rimasero bloccate in gola perché il ragazzo si era fermato, voltandosi per fronteggiarla.
Abituata ormai com’era a notare i dettagli aveva individuato il sangue finto e i canini di plastica che il ragazzo teneva in una mano praticamente con la coda dell’occhio quando si erano trovati vicini, tirando le sue conclusioni su quale fosse il travestimento.
Però non si era degnata di dare uno sguardo più approfondito al ragazzo brillo.
 
Se lo avesse fatto in quel momento non si sarebbe trovata immobile in mezzo al corridoio con gli occhi spalancati e la bocca semiaperta come se lei avesse appena visto un fantasma.
 
“Mike?”








*(NdA: non uccidetemi per averla semplificata così pls).













Con un giorno di ritardo ma ce l'ho fatta!
Scusate ma avevo turno ieri e oggi (e ieri sera proprio non ce l'avrei fatta).
Una nota veloce veloce: la Hawkins di Stranger Things è una città inventata, motivo per cui sono stata così vaga sul tempo che Eleven impiega per raggiungerla partendo da Chigago. Se avete notato ho detto solo "ore" in generale, non ho specificato se fosse stato in giornata o in più di un giorno (anche perchè non ho idea di come potessero essere organizzati questi tipi di trasporti - ovvero le corriere - nel 1994... in America poi...)
Ringrazio 
friendsdontlie e ​HarukaTenoh27 che hanno recensito lo scorso capitolo. A ripeterlo ormai sarò pure diventata noiosa, ma davvero non c'è niente che di incoraggia a scrivere e ad andare avanti con una storia quanto le recensioni lasciate dai lettori.
Quindi, siccome ho promesso alla coinquilina spagnola che domani (mattina) sarei andata in palestra con lei è meglio che vada a dormire...
Spero che anche questo capitolo vi sia piaciuto e grazie a tutti coloro che ci hanno dedicato tempo per leggerlo.
Appuntamento per lunedì 6 gennaio - o ormai sapete come funziona, no? Sempre la solita solfa :)
Notte
E.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Chapter 5 ***


Chapter 5
 
 
 
“Mike?”
 
Non era riuscita a trattenersi, il nome le era scappato senza che lei potesse farci nulla.
Dal canto suo il ragazzo non era sicuro di aver sentito bene.
Seppure attutita la musica rimbombava ugualmente dal piano di sotto e forse lui aveva semplicemente bevuto troppo e stava cominciando ad immaginarsi le cose.
Non aveva mai visto quella ragazza in vita sua, era impossibile che conoscesse il suo nome; era molto più probabile che lei l’avesse insultato.
 
“Come hai detto scusa?” domandò invece di lasciar perdere come sarebbe stato saggio fare.
A quelle parole la ragazza sembrò riprendersi all’istante.
“Ho detto che sembri ridotto davvero male” rispose scandendo bene le parole.
Ecco, lo sapeva, si era perso mezza frase e aveva fatto la figura dell’idiota.
Avanzò di un passo per vedere meglio la ragazza in faccia: come aveva pensato non aveva un viso conosciuto, in una città piccola come quella era facile individuare subito chi veniva da fuori, e il fatto che fosse anche ricoperta di cerone non aiutava.
“Non ti ho mai visto da queste parti, non sei di qui vero?” nemmeno lui sapeva perché aveva deciso di portare avanti la conversazione, se così poteva essere definita.
“No”
Davvero aveva sperato di ricevere qualcosa di diverso in risposta?
“E ce l’hai un nome?”
“Non credo ci rivedremo più dopo stasera, non ti serve saperlo” fece per superarlo ma lui la bloccò afferrandole un braccio.
Lo sguardo che la ragazza le riservò sembrava vagamente pericoloso, ma lui aveva ancora troppo alcool in circolo per dargli peso.
“Io sono Mike” perché semplicemente non lasciava perdere?
Cosa aveva quella ragazza di tanto speciale da indurlo a comportarsi così?
“Jane” aveva intanto riposto lei, scandendo lentamente il nome come se prima ci avesse dovuto pensare attentamente.
“E dimmi, Mike” riprese subito prima di lasciargli il tempo di aprire bocca.
Era lei che faceva le domande lì.
“Cos’è successo per ridurre il bravo ragazzo che credo tu sia in queste condizioni?”
 
 
 
‡‡‡
 
 
 
Mike giaceva sul letto guardando il soffitto con occhi vacui.
Erano più o meno le tre e mezza di notte e non riusciva a prendere sonno.
Poteva sentire che l’effetto dell’alcool stava cominciando a svanire lasciando il posto a un non piacevole mal di testa.
Si tirò su di scatto, ignorando la stanza che per un attimo aveva girato intorno a lui, e aveva raggiunto la scrivania.
Aprì l’ultimo cassetto alzando poi il sottile pannello di legno che andava a costituire il doppio fondo ed estraendone un quadernetto dall’aspetto liscio e consumato.
Le pagine, a quadretti, erano riempite ormai quasi fino all’ultima da numeri scritti a mano ordinatamente incolonnati.
Un occhi attento avrebbe potuto notare il minimo ma graduale cambiamento nel modo in cui i numeri era scritti mano a mano che gli anni passavano.
Perché quello erano quei numeri: giorni contati.
 
Mike aggiunse le ultime quattro cifre sotto quelle che aveva scritto solo il giorno prima sospirando.
 
Sapeva che se qualcuno avesse trovato quel quaderno e ne avesse compreso il significato l’avrebbero subito spedito a farsi vedere, ma non poteva farne a meno.
 
Ripensò alla strana ragazza della festa, a come le aveva spiattellato tutti i suoi problemi, troppo disinibito da tutto quello che aveva bevuto per riuscire a fermarsi o preoccuparsi di quanto assurdo sarebbe potuto sembrare quello che aveva raccontato.
Che poi in realtà non aveva neanche la sicurezza che la ragazza stessa fosse reale: era sparita all’improvviso com’era apparsa, come se quello che indossava non fosse stato solo un semplice travestimento.
Si sentì in colpa perché per un attimo, dopo aver finito di sfogarsi con lei, si era sentito meglio.
Come se la sparizione di Will fosse stato qualcosa che si sarebbe risolto presto.
Ma chi voleva prendere in giro?
Hopper era arrivato in tempo da record dopo la chiamata di Joyce, ma sapevano tutti che non avrebbe potuto fare chissà che cosa, seppure nessuno lo avesse detto ad alta voce.
Era sicuro che persino l’ex-sceriffo stesso ne fosse consapevole.
 
Dovevano essere realisti: l’unica persona che avrebbe potuto aiutarli in quella situazione era Eleven.
Senza di lei quella volta dovevano forse cominciare sul serio a rassegnarsi al fatto che non avrebbero più rivisto Will.
 
Chissà dov’era lei in quel momento.
Se sapeva di Will.
Se stava bene, se era viva...
 
Non poteva restare con le mani in mano, doveva fare un ultimo tentativo.
 
 
 
Animato anche dal fatto che in casa fosse da solo si diresse in camera di Dustin.
La vecchia ricetrasmittente, quella che usavano per comunicare durante i loro giochi, era lì sul suo comodino.
Non doveva neanche preoccuparsi della batteria, sapeva che Dustin la teneva sempre in ottime condizioni.
La accese, e subito il familiare rumore della linea libera si diffuse nel silenzio della stanza.
Dovette respirare profondamente più volte prima di schiacciare finalmente il pulsante per consentire la comunicazione.
 
 
“Eleven?”
 
 
 
‡‡‡
 
 
 
Jane si svegliò di soprassalto.
Dovette guardarsi intorno per qualche istante per capire che in realtà no, non si era svegliata.
Era dall’altra parte.
Quello che non riusciva a capire era perché: quando era tornata a casa era andata subito a dormire, non aveva neanche acceso la televisione.
Non dubitava che le due precedenti fossero state vere, ma quella volta tutto sembrava ancora più chiaro e definito.
Ancora non si spiegava come avesse fatto ad arrivarci.
 
“Eleven?” qualcuno la stava chiamando, e non avrebbe avuto bisogno di vedere chi per sapere a chi appartenesse quella voce.
Seguì il suono del suo nome finchè non arrivò ad una macchia di luce in mezzo a tutte quelle tenebre.
E lì in centro, seduto su un letto con un aspetto – doveva proprio dirlo – orribile, c’era Mike.
 
“Eleven... ti prego” sospirò lui spingendola ad avvicinarsi ulteriormente.
Ormai gli era di fronte, allungando una mano avrebbe potuto toccarlo.
“Non so dove tu sia ma devi tornare a Hawkins, è un’emergenza: Will è sparito, di nuovo, e abbiamo tutte le ragioni per credere che sia stato portato nell’Upside Down” cominciò a spiegare il ragazzo.
Per Jane non fu che un’ulteriore conferma.
Sembrava che non avesse più niente da dire, ma proprio quando stava per girarsi ed andarsene Mike parlò di nuovo.
“Lo so che non ho nessun diritto di chiederti aiuto così dal nulla dopo tutti questi anni di silenzio, ma davvero sei l’unica che può aiutarci. Io... mi dispiace di non essermi fatto più sentire”
A Jane scappò un sorriso amaro.
 
Fino ad un anno dalla sua scomparsa Mike aveva cercato di mettersi in contatto con lei ogni sera.
Ogni volta iniziava enunciando il numero del giorno per poi continuare chiedendole se stava bene.
E puntualmente non riceveva risposta
Si era lasciata scappare delle chiamate di Mike e Hopper le aveva categoricamente proibito di rispondere: ne andava della sicurezza di entrambi visto che non potevano sapere se ci fosse ancora qualcuno che la stava cercando.
Alla fine il problema non si era più posto visto che quei tentativi di comunicazione si erano interrotti.
 
Jane davvero non era arrabbiata con lui, non avrebbe potuto.
Lei non aveva alcun diritto su Mike, era giusto che l’avesse messa da parte per andare avanti con la sua vita.
 
“Ma ho sempre continuato a tenere il conto, sai?” continuò il ragazzo lasciandola spiazzata.
Cosa voleva dire che aveva tenuto il...
“Oggi è il giorno quattromila e quattro. Beh, quattromila e cinque ormai”
El lo guardò sbalordita.
L’aveva fatto davvero, come lei d’altronde.
Non poteva crederci.
 
“E sai qual è la cosa assurda? Che in tutto questo io non so neanche se tu sei da qualche parte, se mi stai ascoltando o se sei...” non ebbe la forza di finire la frase mentre una lacrima gli scendeva lungo la guancia.
Anche lei dovette soffocare un singhiozzo.
Forse avrebbe potuto...
 
“Ti prego Eleven” pronunciò il ragazzo un’ultima volta in un sussurro.
Un attimo dopo la sua immagine tremò e sparì.
Jane si ritrovò di nuovo immersa nell’oscurità, da sola, cercando di tenere a bada le lacrime.
 
 
 
‡‡‡
 
 
 
Quando Mike si svegliò era ancora stanco.
Non aveva dormito per niente bene e sicuramente cercare di contattare Eleven non aveva aiutato.
Ormai si era convinto che quello che aveva avuto giorni prima, per quanto premonitore, non era stato altro che un sogno.
D’altra parte se El non gli aveva risposto la sera prima che motivi avrebbe avuto per farlo quella volta?
Doveva essere stata la sua immaginazione, nulla di più.
 
Si recò a casa Byers quasi di malavoglia, ma purtroppo per lui quella giornata era solo all’inizio.
Invece di essere accolto con il classico buongiorno, si era visto arrivare Dustin a tre centimetri dalla faccia mentre gli domandava dove fosse Lucas.
 
“Cosa vuol dire dov’è Lucas? Dove vuoi che sia? Sarà con Max, no?”
Lo sguardo dell’amico e del resto dei presenti si fece preoccupato all’istante.
“Max è passata di qui mezz’ora fa dicendo di chiamarla a casa quando Lucas si sarebbe rifatto vivo” spiegò serio. “Ha detto che alla fine ieri sera si sono separati perché non voleva lasciarti senza compagnia a fine serata – indicò Mike – e dopo non l’ha più visto né sentito”
Il corvino si sentì improvvisamente la bocca secca.
“Io... sono tornato a casa da solo ieri” esordì alla fine.
Un pesante silenzio scese nella stanza.
Nessuno lo disse ad alta voce, ma tutti sarebbero stati d’accordo, non poteva essere una coincidenza: ovunque fosse Will in quel momento anche Lucas era con lui.
 
 
 
“È tutta colpa mia” Mike sprofondò nel divano prendendosi la testa tra le mani.
“Non incolparti di cose che non dipendono da te” Hopper gli si era seduto vicino.
“Magari mi stava cercando e io ero troppo ubriaco per notarlo!” replicò lui.
Jim non commentò.
“Pensate che dovremo dirlo a qualcuno? Lo sceriffo attuale magari?” si inserì Dustin.
“No” rispose subito l’uomo. “Anche l’ultima volta non siamo poi serviti a granchè, giusto? E poi non possiamo mai sapere. Era da un po’ che ci pensavo: forse varrebbe la pena andare a dare un’occhiata ai laboratori, anche se dovrebbero essere chiusi, ovviamente. Ma nel caso qualcuno avesse deciso di riprendere l’attività non possiamo permetterci di andare a raccontare le cose ai quattro venti”
 
Mike si sentì male.
“Ecco, in realtà...” poteva sentire gli sguardi di tutti puntati su di lui.
“Ieri sera, mentre ero ubriaco... ho parlato con una ragazza”
“Ok, e allora?”
“Beh, mi ha chiesto come mai mi fossi ridotto così e... ho paura di averle raccontato tutto, e lei sembrava pure interessata”
Dustin lo guardò incredulo mentre Hopper si passava una mano sulla faccia.
“Questa ragazza, com’era?”
“Non saprei. Era tutto truccata con cerone e lenti a contatto. E aveva i capelli verdi” almeno, così si ricordava.
“E hai detto che sembrava interessata: cosa le hai raccontato esattamente?”
“Tutto? La nostra amicizia, Will che sparisce come l’ultima volta undici anni fa...”
“Ti ha fatto domande al riguardo?”
Mike abbassò la testa vergognandosi: “Sì, un sacco. E io ho risposto a tutte”
 
“D’accordo. A questo punto direi che una visita ai Laboratori è d’obbligo, c’è sicuramente qualcosa che bolle in pentola. Mike, per caso ha fatto anche allusioni a El...?” non concluse la frase, interrotto dal rumore della porta d’ingresso che sbatteva.
 
 
 
Mike aveva imboccato il bosco senza neanche pensarci.
Voleva stare da solo.
Per colpa sua Lucas era stato rapito, e tutto perché per una volta che aveva deciso di alzare il gomito senza pensare alle conseguenze.
I suoi pensieri di autocommiserazione vennero interrotti dal rumore di un’altra serie di passi che scricchiolavano sulle foglie secche: non era solo.
Muovendosi cercò di aguzzare l’udito finchè in lontananza non riuscì alla fine ad individuare l’origine del rumore.
Era una ragazza.
I capelli mossi le arrivavano oltre metà schiena e camminava a passo sostenuto.
Cominciò a seguirla nascondendosi dietro un albero quando quella si fermò per guardarsi intorno.
Sperando di non farsi scoprire osò sporgersi appena oltre il tronco: non aveva più le lenti a contatto né il cerone, ma i tratti del suo viso erano comunque inconfondibili.
Era la stessa ragazza della sera prima.
E si stava dirigendo verso l’Hawkins National Laboratory.
In quel momento decise che le sarebbe stato alle costole.













Mi sembra giusto che dopo aver promesso l'aggiornamento - e per una volta che sarei riuscita a farlo puntuale - il sito per qualche motivo non funziona e non mi fa pubblicare.
Siete liberi di non crederci, ma ci ho provato anche stamattina alle 6 prima di prendere l'autobus per andare al lavoro.
Vabbè.
Cercando di ricordarmi i commenti che avevo aggiunto alla fine e che sono andati persi (perchè neanche il computer collabora e si è riavviato da solo facendomi perdere la pagina)...
Spero che il capitolo sia piaciuto e che non abbia deluso le vostre aspettative sull'incontro tra El e Mike: so che sarebbe potuto andare in un milione di modi diversi, ma certe volte la penna scrive proprio da sola.
Ringrazio le quattro (4!!) persone che hanno recensito lo scorso capitolo: 
HarukaTenoh27, ​Elgul1, ​Sephila815 e ​friendsdontlie. I vostri commenti sono sempre molto più che graditi e ricevere tutto questo feedback ad ogni capitolo mi fa felicissima.
Adesso passiamo alle "brutte" notizie... Ho finalmente qualche giorno di ferie (no, non è questa la brutta notizia) e siccome torno a casa so già che non avrò tempo di aggiornare per cui... il prossimo capitolo lo avrete lunedì 12 febbraio, sorry.
Buona notte a tutti e mi scuso ancora per l'inconveniente (e sappiate che mentre sto scrivendo queste parole sto pregando Merlino, Morgana e compagnia bella che questa volta mi lasci finalmente caricare questo dannato capitolo!)
E.

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** Chapter 6 ***


Chapter 6
 
 
 
Non ci aveva messo molto per accorgersi che qualcuno la stava seguendo.
Jane aveva fatto un salto in città quella mattina – dopo aver fatto sparire tutto il trucco della sera prima - giusto per fare colazione da qualche parte con l’intenzione di andare poi a dare un’occhiata ai laboratori.
Sarebbe voluta passare di nuovo per casa prima, ma a quel punto si era accorta di avere compagnia e allora aveva tirato dritto: non poteva permettere che qualcuno venisse a conoscenza di dove si era sistemata, era già abbastanza grave il fatto che qualcuno la stesse pedinando.
Poco male, far perdere le tracce in un bosco non era troppo difficile e in ogni caso arrivata a destinazione aveva tutte le intenzioni di entrare nell’edificio: di sicuro lei conosceva quei corridoi meglio di chiunque altro.
 
 
 
‡‡‡
 
 
 
Intanto la situazione a casa Byers non era cambiata di molto, se non per una cosa: Hopper aveva pronunciato quel nome.
Dustin sembrava pensieroso.
“Adesso che l’hai nominata... insomma, non credo di essere l’unico a pensare che Eleven sia la persona di cui abbiamo bisogno!”
“Ha aiutato Will l’ultima volta, potrebbe farlo di nuovo” avanzò timidamente Joyce.
“Vogliamo ricordarci che...”
“Sì, ok. Non abbiamo più notizie di lei da undici anni, è tantino, ma potremo almeno provare” Dustin interruppe l’ex-sceriffo.
Jim in realtà non sapeva cosa dire.
Si sentiva molto più che colpevole nel continuare a tacere la verità a tutti, soprattutto a Mike, ma aveva alternative?
Ok, forse El non sarebbe stata così in pericolo a tornare ad Hawkins come lo sarebbe stata undici anni prima, ma non sapeva neanche se sarebbe riuscita a sopportare il viaggio.
Certo, non aveva dubbi che se glielo avesse chiesto la ragazza sarebbe saltata sul primo pullman per raggiungerlo senza neanche pensarci, ma poteva mettere a rischio la sua salute a quel modo?
Magari avrebbe potuto chiederle aiuto ma sempre facendola rimanere a Chicago...
 
“Aspettate un attimo, devo fare una telefonata” si alzò dal divano interrompendo la discussione tra Joyce e Dustin che lo guardarono interrogativi.
“È la collega che lavora con me all’agenzia” rispose alla loro silenziosa domanda cercando di mantenersi sul vago.
Compose il numero aspettando in linea.
“E quindi hai una collega... non me ne avevi mai parlato” commentò Joyce, ma Jim si limitò ad un’alzata di spalle.
Dopo un minuto dovette arrendersi all’evidenza che nessuno avrebbe risposto a quella chiamata.
Era strano, di solito il quel giorno Jane non aveva lezione e la regola quando lui andava via era che nei giorni in cui la ragazza non aveva impegni si sarebbero sentiti verso metà mattina.
Non aveva mai mancato una chiamata in tutti quegli anni.
“Non risponde?” si sentì domandare da Joyce.
“Sarà impegnata con qualche cliente” mentì. “Riprovo tra un po’” magari aveva beccato proprio il momento in cui era andata in bagno, era l’unica spiegazione.
 
“Lavorate insieme da molto?”
“Diversi anni ormai”
“E non ti è mai venuto in mente di nominarla?”
“Non vedo perché avrei dovuto, ha importanza?”
“Beh, noi ti aggiorniamo sempre su tutto quello che succede qui durante la tua assenza, ma tu in compenso non ci racconti quasi nulla” replicò la donna con tono vagamente accusatorio.
“Semplicemente perché non c’è nulla da raccontare, tutti qui”
“Mmm... ne dubito, ma se non fai il misterioso non sei contento. E per caso con questa collega non importante è successo qualcosa?”
“Cosa?! No, no, per l’amor del cielo. Assolutamente no!” esclamò lui all’istante.
Ovviamente Joyce non sapeva realmente di chi si stava parlando; non sarebbe mai riuscito a vedere Jane in quei termini nemmeno lontanamente: la considerava sua figlia, che diamine!
“Siamo colleghi, non sarebbe professionale. E poi la vedo più come una sorella, ecco” si affrettò ad aggiungere visto che la sua reazione aveva suscitato una buona dose di stupore.
Joyce si limitò ad alzare le sopracciglia.
Jim decise che era arrivato il momento di interrompere quella conversazione e provò nuovamente a comporre il numero di casa di Chicago.
 
Di nuovo non ricevette risposta mentre la linea continuava a squillare.
Riattaccò mentre cercava di fingere un sorriso di circostanza.
“Non c’era nulla in programma per oggi, ma probabilmente deve aver avuto una nuova pista sull’ultimo caso che stiamo seguendo e deve aver lasciato l’ufficio... posso provare più tardi nel pomeriggio o domani”
Il fatto che Jane non rispondesse non era affatto un buon segno.
A quel punto sperava davvero che non fosse successo nulla, nel qual caso la ragazza le avrebbe sentite quando si sarebbe decisa a rispondere a quel dannato telefono.
Sapeva che si era perso il suo compleanno, ma se davvero non stava rispondendo per ripicca...
 
“Come mai volevi chiamare la tua collega comunque?”
“Quando ci siamo conosciuti le ho più o meno raccontato come mai ho lasciato Hawkins e cos’era successo. Mi fido di lei e pensavo che un parere esterno avrebbe potuto farci comodo” spiegò Hopper recuperando la sua giacca.
“Dove stiamo andando adesso?” domandò a quel punto Dustin.
“Penso sia arrivato il momento di concedere una visitina all’Hawkins National Laboratory”.
 
 
 
‡‡‡
 
 
 
Jane dovette riconsiderare la situazione quando, arrivata ormai al limite del bosco, constatò che la stavano ancora seguendo.
Chiunque fosse non aveva mollato la spugna.
Se era stato così bravo da riuscire a starle dietro forse valeva la pena scoprire chi era e affrontarlo faccia a faccia.
Nel peggiore dei casi avrebbe sempre potuto ricorrere ai suoi poteri.
 
Ritornò così sui suoi passi cercando di attirare il suo inseguitore nella piccola radura che aveva superato poco prima.
Approfittò di una macchia di vegetazione più fitta per arrivargli alle spalle e spingerlo con forza all’interno dello spiazzo, tanto che quello inciampò e per poco non cadde.
 
“Tu?”
“Tu!”
Avevano esclamato insieme , seppur con intonazioni diverse.
Quella della ragazza era sinceramente sorpresa mentre quella di lui era pienamente accusatoria.
“Perché mi stavi seguendo?”
“E tu perché stai andando ai laboratori?” Mike rispose con aria di sfida alla domanda di Jane.
“Dove sto andando non sono affari tuoi”
“Il mio amico è scomparso e guarda un po’: proprio dopo che ti ho raccontato tutto! Quindi direi che sono affari miei eccome!”
“Il fatto che tu non sappia reggere l’alcool non è certo colpa mia” replicò lei caustica.
Possible che da quando aveva re-incontrato Mike non facevano altro che discutere?
E di certo le cose di cui la stava accusando non erano da prendere alla leggera.
 
Con quell’ultima provocazione doveva aver toccato una nota dolente visto che il ragazzo le si avventò addosso in tempo zero cogliendola totalmente di sorpresa.
No, quello da lui non se lo sarebbe mai aspettata.
Fortuna che il corso di autodifesa era stato una delle prime cose che Hopper le aveva fatto fare e che continuava a seguire tutt’ora.
Non le ci volle molto per far realizzare al suo avversario che lei era tutto tranne che indifesa.
Certo, avrebbe potuto usare i suoi poteri e far finire all’istante quell’assurdo scontro, ma non era più tanto sicura di voler dire a Mike chi fosse veramente.
Sembrava che del ragazzino gentile e premuroso, sempre pronto a vedere il meglio in tutti, fosse rimasto ben poco. E la cosa non le piaceva.
 
Era evidente che erano abbastanza alla pari e dopo un paio di minuti si trovarono a fronteggiarsi con il fiatone.
Mike fece per aprire bocca ma la ragazza lo zittì prima che potesse pronunciare una sillaba.
La guardò stupefatto: adesso si permetteva pure di zittirlo in quel modo?
In realtà Jane era sicura di aver sentito un rumore provenire dal bosco, come di un animale.
Avrebbe benissimo potuto pensare ad un cervo o qualcosa di simile, se solo anche il senso dovuto ai suoi poteri non l’avesse messa in allarme.
Qualunque cosa fosse non apparteneva a quel mondo.
“Si può sapere cosa...?”
“Sssh!”
“Ehi!”
“Non urlare” lo riprese lei tenendo bassa la voce – non che sarebbe servito realmente a qualcosa.
L’unico motivo per cui non erano verosimilmente stati ancora attaccati poteva essere che la creatura stesse cercando di identificare Eleven per il suo essere diversa.
“Dobbiamo andarcene di qui, in fretta. Ma senza correre” poteva giurare di aver visto qualcosa muoversi.
“Dammi un buon motivo per farlo”
 
Lo guardò male: “Io ci tengo a rimanere viva e sinceramente non mi andrebbe di averti sulla coscienza” rispose semplicemente lei cominciando a muoversi e tirando l’altro per una manica.
“Aspetta un attimo, dove pensi di...” le parole gli morirono in gola: erano stati raggiunti, e quello che si trovavano davanti altri non era che un Demogorgon.
 
“Corri!”
 
Scattarono insieme senza guardarsi alle spalle, potevano sentire la creatura andargli dietro, leggermente in ritardo perchè forse sorpresa dall'intraprendenza delle sue prede.
Andare ai laboratori a quel punto non era la migliore delle idee visto che il mostro veniva verosimilmente proprio da lì, ma in quel momento non avevano poi molte opzioni: dovevano solo pensare ad andarsene dal bosco.
 
Approfittando del fatto che Mike stava correndo davanti a lei utilizzò velocemente i suoi poteri per chiudere alle loro spalle i cancelli in rete metallica che avevano appena superato, contro i quali il mostro si scontrò con forza.
Riuscirono a rompere il lucchetto arrugginito del primo ingresso in cui si imbatterono con una grossa pietra e si chiusero dentro, entrambi senza fiato.
 
Bene, era esattamente dove voleva essere, peccato che la presenza di Mike non fosse minimamente prevista.
 
“E adesso?”
“Adesso troviamo un’altra via d’uscita, non credo sia saggio rimanere qua dentro” si avviò senza aspettare una risposta.
Aveva intenzione di raggiungere uno degli ingressi dell’altra parte della struttura, ma ovviamente non poteva mostrarsi troppo sicura su dove andare o avrebbe destato sospetti.
Avanzarono praticamente a tentoni finchè non si imbatterono in un interruttore grazie al quale i neon polverosi e ricoperti di ragnatele si accesero sfarfallando gettando luce incerta sul corridoio nel quale si trovavano.
 
“Allora mi vuoi dire cosa ci facevi nel bosco?” provò a domandare di nuovo il ragazzo.
“E se fossi stata lì per il tuo stesso motivo?” buttò lì lei, pensando che con molta probabilità anche lui aveva intenzione di andare ad indagare al laboratorio.
“Perché un tuo amico è stato rapito per colpa tua, quindi?”
No, non era la risposta che si aspettava.
“Mmm... non darti tutto questo credito” rispose ugualmente.
“No, quello lo devo dare a te, non è così?”
“Cosa? Guarda che io non ho rapito proprio nessuno”
“Chi mi dice che il tuo piano non fosse rapire anche me, e questo è stato solo un modo per trascinarmi fino a qui?”
Jane si fermò di colpo guardandolo incredula.
“Io te lo dico! Ti sto forse trattenendo in qualche modo? No! Non vedo l’ora che tu ti tolga dai piedi, altro che portarti con me...” riprese a camminare.
Erano stati fortunati a non incontrare nulla fino a quel momento.
 
“Se solo tu mi dicessi chi sei veramente e cosa ci fai a Hawkins... l’ultima volta che ci sono stati stranieri in città non è finita bene...”
“Sì, lo so, me l’hai raccontato tu ieri sera, non ti ricordi?”
L’espressione di Mike si intristì all’istante.
“Speravo che la situazione si fosse conclusa undici anni fa, e invece adesso è come essere punto e a capo. Non voglio perdere nessuno, non di nuovo”
“Perdere qualcuno?”
Fu Mike a fermarsi quella volta.
“Ho... abbiamo perso una cara amica, undici anni fa. Quel mostro che ci stava inseguendo: quella volta ce n’era uno molto più grande, più evoluto oserei dire. E lei si è... sacrificata per salvarci. Ha ucciso il mostro ma in qualche modo è stata risucchiata dalla dimensione da dove il mostro stesso proveniva. Non abbiamo più avuto sue notizia da allora, ormai diamo tutti per scontato che sia... beh, morta”
“Io... mi dispiace” e lo aveva detto con tutta la sincerità possibile: aveva notato gli occhi del ragazzo farsi lucidi e non aveva idea che a Mike gli importasse ancora così tanto di lei.
Forse non avrebbe dovuto arrendersi a provare a tornare a Hawkins, se avesse fatto un nuovo tentativo anni prima dopo essersi completamente ristabilita forse in quel momento sarebbe stata ancora parte della sua vita.
 
Dovette combattere l’impulso di abbracciarlo e dirgli così, su due piedi, che lei non era morta, era lì con lui proprio in quel momento.
Che si era fatta crescere i capelli per essere carina come aveva detto lui quella volta, che non l’aveva mai dimenticato e che anche lei teneva il conto dei giorni proprio come lui.
 
Prima che potesse fare qualcosa di irreparabile venne distratta dal rumore di alcune voci.
Due, pur familiari, non le seppe identificare, ma la terza...
 
“Merda” imprecò tra i denti.
Non ci voleva proprio.
Hopper non poteva già scoprirla, non così, non in quel momento.
Anche Mike si era accorto che non erano più soli e fraintese la sua reazione.
“No, sono amici. Devono essere Joyce e Dustin. E Jim”
Appunto.
 
Il ragazzo si incamminò deciso cercando di seguire il suono delle voci.
Jane al contrario aspettò che il ragazzo le desse le spalle e si allontanasse di qualche passo: a quel punto cominciò a correre nella direzione opposta.














Buona sera a tutti!
Alla fine avevo fatto male i conti: sono ancora via (il volo ce l'ho domani pomeriggio).
Ringraziate il fatto che avevo già questo capitolo nel computer perchè dal prossimo in poi sono ancora su carta e li devo copiare... (sì, sono una pazza che scrive tutto a mano e solo dopo copia sul computer, me lo dico da sola).
Siamo arrivati all'incontro numero due tra Mike e Eleven, non che sia andato poi così diversamente dal primo. Però adesso Mike potrebbe essere in grado di rispondere alle domande di Hopper riguardo la misteriosa ragazza: chissà quanto ci metterà a fare due più due?
Spero come sempre che il capitolo vi sia piaciuto, ringrazio vivissimamente (non so neanche se esiste ma vabbè) ​BeatrixSingg per il suo commento allo scorso capitolo e vi lascio l'appuntamento per lunedì 26 febbraio. Mi rincresce ma mi tocca saltare di nuovo una settimana perchè il 19-20-21 sarò di nuovo in Italia per un concorso e so che non riuscirei ad aggiornare.
Fatemi sapere se vi sta piacendo come sta venendo la storia, alla prossima!
E.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** Chapter 7 ***


Chapter 7
 
 
 
“Ma cos...” Mike dovette arrendersi e decidersi a lasciare andare Jane.
Non sarebbe riuscito a raggiungerla e probabilmente si sarebbe solo perso in quell’intrico di corridoi che improvvisamente la ragazza sembrava conoscere così bene.
Lo sapeva che gli stava nascondendo qualcosa.
 
Ormai era stato raggiunto dagli altri.
“Amico, anche tu qui?”
“Mike stai bene? Ti abbiamo sentito urlare...” Joyce giustamente apprensiva.
“No, cioè sì, sto bene, non vi preoccupate” rispose senza riuscire a trattenersi dal gettare un’occhiata alle proprie spalle.
Inutile, ormai se n’era andata.
Hopper non si lasciò sfuggire il suo sguardo: “Chi c’era con te?”
Il ragazzo arrossì appena per essere stato un tale libro aperto: “Era, ecco... la ragazza della festa di ieri sera” confessò.
L’ex sceriffo alzò le sopracciglia: “E posso chiederti come hai fatto a trovarla visto che tu stesso stamattina facevi fatica a ricordartela?”
“In realtà ci siamo incontrati per caso
“Per caso?”
Il ragazzo assentì: “Nel bosco. A quanto pare non sono l’unico a trovarlo un buon posto per schiarirsi le idee”
“Come mai allora siete finiti tutti e due qui?”
Dopo la conversazione avuta se n’era quasi dimenticato.
“Siamo stati inseguiti da un Demogorgon...”
Dustin sbarrò gli occhi mentre Joyce reprimeva un gemito.
 
Jim sospirò scuotendo la testa: “Deve esserci per forza una breccia aperta da qualche parte a questo punto... comunque: adesso che sei lucido riesci a farlo un identikit della ragazza?”
“Non credo che lei c’entri qualcosa. Almeno... non so in che modo potrebbe essere coinvolta in tutti questo, ma sembra quasi che voglia... aiutare?”
L’espressione di Hopper si adombrò: “Mike, la descrizione”
“Ok, ok... Capelli castani, mossi, lunghi almeno fino a metà schiena, occhi castano chiaro. Sarà stata alta una decina di centimetri meno di me... magra, sicuramente allenata vista la corsa che abbiamo fatto e visto che...”
“Che?”
“Potrebbe essere che ancora nel bosco io abbia perso la calma per un attimo...”
Dustin spalancò la bocca interrompendolo: “Non dirmi che le hai date ad una ragazza!”
“Veramente è stata lei a darle a me, ci stavo arrivando” replicò Mike stizzito.
“Ah”
Sembrava che intanto Hopper si fosse estraniato dalla conversazione.
 
Prima Jane non rispondeva al telefono e adesso non poteva fare altro che pensare che la descrizione che Mike aveva fornito della sconosciuta corrispondesse stranamente alla sua.
Poteva davvero credere in una coincidenza?
 
“Mike, per caso le hai chiesto anche come si chiamava?” si decise a domandare alla fine pur non essendo sicuro di voler conoscere la risposta.
“Sì...”
Molto bene.
“Ammesso che non mi abbia mentito, cosa che in realtà ritengo molto probabile, ha detto di chiamarsi Jane”
“Merda”
 
 
 
‡‡‡
 
 
 
Eleven a quel punto sarebbe volentieri tornata a casa, non aveva senso restare nel laboratorio col pericolo di incrociare di nuovo la strada con gli altri, ma poi aveva realizzato che neanche la casa nel bosco sarebbe più stata per lei un nascondiglio sicuro.
Se la sera prima aveva potuto contare sul trucco, la luce e l’alcool che Mike aveva ingerito non poteva fare altrettanto per quella mattina.
Sapeva che il ragazzo non avrebbe tenuto per sé il loro incontro come anche che Hopper avrebbe sicuramente preteso una sua descrizione.
Aggiungendo anche il fatto che gli aveva detto di chiamarsi Jane invece di inventarsi un altro nome al momento... Hopper avrebbe fatto presto due più due e il primo posto in cui sarebbe andato a cercarla sarebbe stata senza dubbio la vecchia casa del nonno.
Si era fatta scoprire come una novellina in meno di due giorni.
 
Se gestiva bene il tempo forse sarebbe riuscita a fare qualcosa prima che Hopper la trovasse e la legasse da qualche parte per non farla andare in giro giustificando il tutto dicendo che era per la sua sicurezza.
 
Sapeva dove andare.
Alla fine la sera prima non aveva lasciato subito la festa.
Aveva aspettato Mike e poi l’aveva seguito di nascosto: voleva vedere dove abitava.
 
Raggiunse il palazzo senza particolari difficoltà.
Si fece aprire suonando un citofono a casa dicendo di essere il postino, dopodichè cominciò la sua salita per trovare l’appartamento che le interessava.
Fortunatamente la sua ricerca terminò prima di raggiungere la metà dell’edificio.
Avendo cura che non ci fosse nessuno che potesse vederla scassinò la serratura e scivolò all’interno dell’abitazione richiudendosi silenziosamente la porta alle spalle.
 
Controllò metodicamente stanza per stanza, l’unica cosa degna di nota che trovò furono i disegni di Will che i ragazzi avevano lasciato sulla scrivania.
Non sembrava esserci altro che potesse invece indicare qualcosa sulla scomparsa del ragazzo di colore.
Stava giusto decidendo se fosse stato saggio portarsi via gli scarabocchi in modo da poterli esaminare meglio quando la temperatura della stanza si abbassò di colpo e dei rumori provenienti dalla sala richiamarono la sua attenzione.
Alla fine piegò i fogli infilandoseli in una tasca interna della giacca e cercando di muoversi il più silenziosamente possibile lasciò la stanza del primo ragazzo scomparso e si affacciò cautamente alla porta del corridoio.
Will e Lucas erano lì davanti a lei, ma non erano propriamente loro.
 
Entrambi i loro volti erano deformati da ghigni sinistri e tutt’altro che rassicuranti e i loro occhi erano completamente neri.
Senza contare che sembravano essere bagnati da capo a piedi da una sostanza viscida e appiccicosa che aveva già lasciato più di qualche pozza sul pavimento.
Alle loro spalle, Jane la osservò rabbrividendo, c’era una breccia.
Mosse due passi nella stanza per ritrovarsi quasi subito addosso al muro, bloccata da quella stessa sostanza che colava dai corpi dei due ragazzi che cominciarono ad avvicinarsi.
 
“No...” cercava di dimenarsi ma non sembrava avere nessun risultato.
Se non altro un braccio le era rimasto semi libero e ne approfittò per indirizzare il suo potere verso i due che si erano avvicinati già troppo facendoli scaraventare all’indietro.
Fece lo stesso su quella specie di melma almeno finchè non riuscì ad allentarla abbastanza da permetterle di scivolare via.
Nonostante tutto i due non avevano perso il loro malefico sorriso, anzi, quello si era addirittura ampliato quando una terza persona si era aggiunta a loro.
“Dustin...” sussurrò la ragazza nel riconoscerlo, anche lui ora ridotto nelle stesse condizioni degli altri, i capelli ricci incollati al viso, bagnati come i suoi vestiti per colpa della strana sostanza.
 
“Ciao Eleven” ricambiò il saluto. “Sei stata davvero gentile a venire fin qua, ci hai risparmiato un bel viaggio”
“Chi... Cosa siete?”
“Ma come?” fu Will a prendere la parola. “Non riconosci i tuoi vecchi amici?” la canzonò.
“Qualsiasi cosa voi siate dovete lasciarli in pace!” esclamò usando di nuovo i suoi poteri visto che quelli si stavano riavvicinando.
I tre risero.
“Non credo proprio” disse Lucas. “Il Capo ti vuole, e il Capo ottiene sempre quello che desidera”
 
Doveva assolutamente trovare un modo per uscire di lì, non voleva affrontarli correndo il rischio di fargli del male.
Osservò che la porta era già stata bloccata con la stessa gelatina che avevano usato su di lei, senza contare che di mezzo c’erano loro.
Pensa Eleven, pensa.
Cosa aveva visto prima di entrare nel palazzo quando ci aveva girato intorno?
Scale antincendio, che secondo i suoi calcoli dovevano essere esattamente...
 
Si buttò di lato atterrando sul divano schivando la melma che Dustin aveva lanciato nella sua direzione.
“Perché non smetti di fare la difficile e non vieni con noi?” le domandò il ragazzo.
“Non sei stanca di doverti nascondere? Di dover rispettare sempre quelle stupide regole e non poter mai dimostrare cosa sei realmente in grado di fare?” Will mosse un passo verso di lei continuando a parlare, cercando di confonderla.
“Il Capo ti permetterebbe di usare i tuoi poteri come e quando vuoi, niente più regole o restrizioni. Saresti rispettata da tutti e poi...”
Una luce si accese negli occhi di tutti e tre.
“...E poi non ci vorrà molto prima che anche il tuo amato Michael si unisca a noi... non vuoi più stare insieme a lui?” concluse Lucas.
Nominare Mike era però la cosa più sbagliata che avessero potuto fare.
Jane si risvegliò dallo stato di semi trance in cui era caduta e respinse i tre, che si erano stretti attorno a lei, fin quasi a farli arrivare alla breccia.
“Se pensate che lascerei che Mike diventi come voi vi sbagliate di grosso!” esclamò mentre con un movimento della mano faceva esplodere la finestra della sala in un tripudio di vetri infranti.
 
I tre non sorridevano più, adesso sembravano solo molto, molto arrabbiati.
“Non pensare di poter andartene così!”
La ragazza li respinse di nuovo raggiungendo la finestra.
Li inchiodò tutti e tre al muro, stavolta continuando a mantenere i suoi poteri in modo che non potessero muoversi.
“E stato un piacere rivedervi, ragazzi. Ma adesso devo proprio scappare” rispose lei a tono.
Le scale antincendio erano sul lato dell’edificio che dava sulla via secondaria, e per qualche miracolo in strada non c’era nessuno.
“Vai pure, ma ti conviene fare in fretta” la ammonì Will quando ormai aveva cominciato a scavalcare la finestra. “Non mi piace stare a lungo senza il mio migliore amico...” concluse malignamente.
Jane li guardò duramente un’ultima volta per poi lasciare la presa su di loro.
Prima che tutti e tre potessero letteralmente volare verso di lei aveva già scavalcato la ringhiera delle scale e si era buttata di sotto.
 
 
 
‡‡‡
 
 
 
Joyce e Mike stavano seguendo Hopper fuori dai laboratori: l’uomo praticamente non aveva smesso di imprecare da quando il secondo aveva detto il nome della ragazza.
Dustin li aveva salutati poco dopo essere usciti dicendo che quel pomeriggio a lezione doveva fare una presentazione e non poteva assolutamente mancare.
Con grande sorpresa della donna e del ragazzo imboccarono – di nuovo – la strada del bosco.
 
“Dove stiamo andando? Si può sapere cosa ti è preso?” esclamò Joyce dopo qualche minuto che camminavano tra la vegetazione.
“Jim!” non ricevendo risposta la donna si era piazzata davanti a lui, le mani sui fianchi, costringendolo a fermarsi.
“Perché quella ragazza è così importante? Ah... non cercare di fare il finto tonto con me, la conosci vero? Ieri non hai battuto ciglio, ma quando Mike te l’ha descritta e ha detto il suo nome...”
“È la mia collega, d’accordo?” la interruppe lui alla fine, esasperato.
“Come scusa?”
“Ma è solo una... ragazza” esclamò invece Mike, preso in contropiede tanto quanto Joyce.
“Ed è dannatamente brava nel suo lavoro” replicò Hopper.
“Stamattina hai cercato di chiamarla per coinvolgerla: perché allora ti da fastidio che si qui?” proseguì la donna.
“Perché si metterebbe solo e inutilmente nei guai... volevo coinvolgerla in questa faccenda sì, ma il meno possibile”
“Questa cosa non mi convince. Insomma, se lavora con te perché quando le ho chiesto chi era non me l’ha detto? Secondo me ci nasconde comunque qualcosa” riflettè Mike.
Non ne hai idea... commentò mentalmente l’uomo.
“Perché quando le ho detto che stavo venendo qui mi ha chiesto di venire con me e le ho detto di no... ovviamente non voleva che io sapessi che mi ha disubbidito” disse poi ad alta voce.
Joyce inarcò un sopracciglio per la scelta delle parole: “Hai detto tu che è una tua collega, non tua... figlia. Credo possa fare quello che vuole, no?” ovviamente lei non poteva sapere.
Cosa sarebbe successo se avesse detto loro che quella ragazza altri non era che Eleven?
Soprattutto, come l’avrebbe presa Mike?
 
Avevano alla fine ripreso a camminare e nel frattempo erano arrivati nei pressi della vecchia casa di suo nonno.
Entrare non fu difficile, la porta d’ingresso era mezza scardinata come l’ultima volta che l’aveva vista.
Non pensava di trovare la ragazza in casa, ma se avesse trovato segni della presenza di qualcuno allora sarebbe davvero stato sicuro che El era veramente tornata ad Hawkins.
“Cosa ci facciamo qui?”
“Ho raccontato a Jane di questa casa, se voleva un posto difficile da trovare dove nessuno l’avrebbe vista per sistemarsi avrebbe sicuramente scelto questo” spiegò.
Tutto nella casa sembrava abbandonato, esattamente come sarebbe dovuto essere.
Non c’erano neanche impronte nella polvere che copriva il pavimento.
Poi però Hopper notò una cosa: la porta della stanza degli ospiti era chiusa.
A grandi passi la raggiunse e cercò di muovere la maniglia: era bloccata.
Bingo.
Gli ci volle un po’ ma alla fine, grazie anche al legno ormai vecchio e cedevole, riuscì a sfondarla.
La stanza era palesemente in contrasto con il resto della casa, era tutto ordinato senza un granello di polvere in giro.
Le coperte del letto indicavano chiaramente che qualcuno vi aveva dormito di recente e come se quello non fosse abbastanza c’era anche un borsone mezzo aperto sulla poltrona.
 
“Maledetta ragazzina” borbottò tra sé e sé. “Dopo questa niente Eggos finchè non avrai quarant’anni...” le parole gli morirono in bocca quando si accorse che la temperatura si era abbassata all’improvviso, tanto che respirando emetteva nuvolette di vapore.
Lasciò perdere per un attimo i suoi pensieri da padre apprensivo, afferrò il borsone e uscì dalla stanza seguito dagli altri due.
Sulla parete di fondo del salotto, esattamente accanto alla porta d’ingresso, c’era qualcosa che si stava formando allargandosi sempre di più.
“Cosa...?”
“Quella è una breccia” disse sicuro Mike.
Ormai aveva raggiunto dimensioni tali da poter far passare comodamente una persona, e qualcosa si stava effettivamente muovendo dall’altra parte.
Sembravano tutti e tre incantati, almeno finchè una grossa pietra non volò nell’aria andando a colpire il centro esatto della breccia venendone risucchiata e bloccandone momentaneamente la crescita.
 
“Scappate idioti!”













Sorpresa!!
Aggiornamento anticipato... perchè ho passato la prova preselettiva di quel concorso di cui vi dicevo la volta scorsa e quindi per la data che era stata prevista per l'aggiornamento sarei stata via di nuovo.
Spero ne siate contenti (per il capitolo intendo).
Quindi se facciamo finta che oggi sia già il 26 (giorno in cui avrei dovuto aggiornare) il prossimo capitolo è previsto per lunedì 12 marzo - o 5 marzo, come da accordi ;)
Fatemi sapere cosa ne pensate , alla prossima!
E.

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** Chapter 8 ***


Chapter 8
 
 
 
Improvvisamente svegli e reattivi i tre non se lo fecero ripetere due volte e seguirono la ragazza che aveva trovato il modo di sbloccare la porta della cucina che dava sul retro.
Corsero finchè non percepirono la temperatura tornare normale e anche allora rallentarono appena il passo.
Si fermarono solamente dopo aver raggiunto la strada, in lontananza potevano vedere dove Hopper aveva parcheggiato la macchina.
 
“Si può sapere cosa pensavate di fare?” domandò Jane arrabbiata dopo che ebbe ripreso fiato.
Hopper le fu subito addosso: “Noi? Cosa pensavi di fare tu! Ti avevo espressamente detto di restare a... in agenzia!” si salvò all’ultimo dal dire casa, sarebbe sembrato strano.
“Se pensavi che me ne sarei stata buona dopo aver saputo...”
“Già, mi piacerebbe sapere come: ti avevo chiesto per una volta di non ascoltare la chiamata!”
“Ho i miei metodi” rispose lei in tono eloquente.
“Questo non significa...”
“Ehi!” Joyce si mise in mezzo zittendoli. “Avrà anche disubbidito agli ordini, ma è pur sempre arrivata giusto in tempo per salvarci da qualsiasi cosa ci stava trattenendo...”
“Molto comodo vero?” proruppe a quel punto Mike. “Sempre nel posto giusto al momento giusto per salvare la situazione, mi chiedo come tu faccia visto che dici di essere estranea alla cosa”
Era più forte di lui, quella ragazza era un controsenso: l’attimo prima sentiva di potersi fidare, pensava quasi di conoscerla, ma l’attimo dopo il suo istinto gli gridava di starle alla larga perché era pericolosa.
La ragazza sbuffò a quell’ennesima provocazione.
Hopper decise di riprendere in mano la situazione: “Adesso andiamo da qualche parte, possibilmente dove vendano caffè e ciambelle, e ne discutiamo. E tu signorina torni a Chicago entro stasera, non voglio sentire proteste” la bloccò prima che potesse ribattere.
 
Raggiunto il bar El aspetto che Mike e Joyce entrassero prima di fermare Jim fuori dalla porta.
“Io vi servo” sentenziò.
“Puoi dare una mano anche da lontano, abbiamo tutto sotto...”
“Controllo? Certo, come no. Visto che le cose stanno così allora saprete sicuramente come mai i varchi hanno ricominciato ad aprirsi e che anche Dustin è stato preso”
“Cosa?” Hopper sbiancò.
“Strano, mi sembrava avessi detto di avere tutto sotto controllo” lo canzonò lei a quella reazione.
“E sentiamo, come mai sta di nuovo succedendo tutto questo allora?” domandò. “Cosa stanno cercando?”
La ragazza sospirò prima di guardarlo negli occhi: “Prometti che mi lascerai rimanere”
“Jane...”
“Prometti!”
“El...”
“Me! Vogliono me!” urlò lei.
L’uomo sembrava aver appena ricevuto uno schiaffo.
“Entriamo” disse solamente alla fine.
 
La donna e il ragazzo li guardarono incuriositi: li avevano visti litigare attraverso le vetrate del diner capendo che entrambi avevano alzato la voce, ma ovviamente non avevano sentito nulla.
“Hanno preso anche Dustin” annunciò l’ex sceriffo sedendosi pesantemente sul piano imbottito del divanetto suscitando lo sgomento dei due che ancora non lo sapevano e un’occhiataccia da parte di Eleven: non voleva dirglielo così.
“Come fai a saperlo?” domandò Mike quasi senza voce.
“Lo vorrei sapere anche io...” commentò Hopper guardando verso la ragazza.
Maledetto.
“Ho fatto una visitina all’appartamento di Mike” ignorò l’esclamazione indignata del diretto interessato. “Ho dato un’occhiata in giro e poi sono arrivati loro... Dustin, Lucas e Will. Hanno cercato di prendere anche me, sono scappata, fine” omise di dire che si era buttata dalle scale antincendio del quarto piano usando i suoi poteri per non sfracellarsi al suolo.
“Prima che scappassi hanno detto che sarebbero venuti a prendere anche te” aggiunse poi indicando Mike, tanto sapeva che glielo avrebbero chiesto comunque. “Allora ho pensato a dove sareste potuti essere andati e ho sperato che la casa nel bosco fosse la risposta giusta. Per fortuna ho indovinato”
“Ma Will e i ragazzi...” azzardò Joyce.
Jane rispose senza guardarla in faccia: “Non lo so. Potrebbero essere posseduti come anche potrebbe essere che qualcosa abbia solo preso le loro sembianze. Non so” per sapere se erano ancora vivi sarebbe dovuta andare nell’altra dimensione – questo evitò di dirlo – e in ogni caso dubitava che Hopper glielo avrebbe lasciato fare.
 
“Se non li avevi mai visti prima d’ora come fai a dire che quelli che hai incontrato erano proprio Will, Dustin e Lucas?” domandò Mike di punto in bianco mettendo la ragazza in difficoltà.
Non aveva tutti i torti.
“Beh, sono stati ben attenti a presentarsi uno alla volta, e in ogni caso Hopper mi ha fatto vedere qualche vecchia foto ogni tanto...” cercò di giustificarsi, ma non suonava credibile nemmeno a se stessa.
“Ecco, vedete?” il ragazzo si alzò sbattendo una mano sul tavolo. “Continua a mentire! E lo sta facendo di proposito. Meno male che dovrebbe essere la tua collega, come fai a fidarti di lei?” accusò Hopper. “Ogni singola parola uscita dalla tua bocca da quando ti ho incontrata è stata una bugia... Scommetto che Jane non è nemmeno il tuo vero nome!”
El abbassò la testa e Mike la prese come una conferma.
Jim sospirò mettendosi una mano sulla faccia mentre il ragazzo fece per andarsene.
“Io non tornerei all’appartamento, era messo piuttosto male quando l’ho lasciato” commentò Eleven, anche se in realtà il suo obiettivo era quello di non farlo andare via per poterlo tenere sotto controllo.
“Andiamo Mike, non fare sciocchezze” Joyce cercò di farlo ragionare tirandolo per un braccio e facendolo risedere. “Stanno cercando anche te, non credo abbia mentito su questo, non pensare che ti lascerei andare da nessuna parte da solo”
“Posso sempre tornare dai miei”
“Vuoi davvero coinvolgerli?” domandò retorico Hopper.
Mike fece una smorfia: “Bene. Quindi quale sarebbe la prossima mossa?” domandò.
Jane fece per aprire bocca ma lui la bloccò subito.
“Non l’ho chiesto a te, tu non fai parte del gruppo”
 
Rimase spiazzata ma cercò di non darlo a vedere.
Perché faceva così male?
Dopo qualche minuto si scusò e si alzò dal suo posto: aveva bisogno di aria.
 
Hopper la guardò uscire.
Pensava che Jane avrebbe rivelato la sua vera identità a Mike non appena l’avesse incontrato, ma le cose sembravano essere andate diversamente e il ragazzo ovviamente non l’aveva riconosciuta.
D’altro canto Eleven crescendo era cambiata tanto quanto Mike era rimasto uguale, senza contare che l’ultima volta che i ragazzi l’avevano vista undici anni prima era denutrita, con l’espressione imbronciata la quasi totalità del tempo e aveva la testa quasi completamente rasata.
“Vai a chiedere scusa” ordinò quasi al ragazzo.
“Come prego?”
“Ho detto di andare a scusarti. Lei avrà pure i suoi segreti, dei quali in ogni caso io sono a conoscenza, ma sta davvero cercando di aiutare. E mi fido sul serio di lei, le affiderei la mia stessa vita” sapeva che era quasi banale da dire, ma almeno sembrò convincere Mike che dopo un attimo si alzò dirigendosi a sua volta all’esterno.
 
Cominciava già a fare buio.
“Scusa” parlò dopo aver raggiunto la ragazza.
Quella lo guardò con un’espressione sorpresa che però si spense quasi subito.
“Non voglio che tu mi chieda scusa solo perché Jim ti ha detto di farlo” commentò.
Il ragazzo dovette trattenersi dal gridare: anche lei non glielo stava mica rendendo facile!
Sorprendentemente alla fine fu El a riprendere per prima la parola prendendo Mike totalmente in contropiede con la sua domanda: “Come mai ti sto così antipatica?”
In effetti non si era mai fermato a pensarci seriamente: perché la sua presenza gli dava così fastidio?
“Hai detto che sei qui per aiutare...” cominciò.
“Esatto. Ed è la verità” confermò lei.
“No” il ragazzo strinse i pugni. “La verità è che sei inutile”
Jane fece un passo indietro.
“Quella sarà anche la tua intenzione, ma non puoi aiutarci, nessuno può. L’unica che avrebbe potuto è morta e tu non risolverai la situazione solo perché dici di voler dare una mano dopo essere sbucata fuori dal nulla” disse tutto d’un fiato.
“Mike, io non voglio sostituire nessuno...”
“E non lo farai, perché lei è.. era...”
 
Lo abbracciò.
Sospirò di sollievo quando anche Mike si aggrappò a lei invece di respingerla.
“Io vorrei solo andare avanti ma non ce la faccio” commentò lui, la voce rotta.
“Sono sicura che anche per lei era lo stesso” cercò di rassicurarlo lei con assoluta sincerità.
Avrebbe potuto approfittare del momento, dirgli che lei era Eleven, ma poi?
Quello che stava accadendo non era forse la prova che chiunque avesse a che fare con lei non sarebbe mai stato al sicuro?
No, era meglio che Mike continuasse a non sapere, per la sua sicurezza.
Avrebbe trovato il modo di risolvere la situazione e poi sarebbe tornata a Chicago senza guardarsi indietro.
Sapeva già che smettere di contare i giorni sarebbe stata la cosa più difficile...
 
Dopo un po’ Mike interruppe l’abbraccio scostandosi dalla ragazza con fare vagamente imbarazzato.
“Scusami, davvero” disse asciugandosi con il dorso della mano quelle lacrime che non era riuscito a trattenere. “Non so cosa mi sia preso e in ogni caso Jim ha ragione: stai cercando di dare una mano e io non avevo nessun diritto di trattarti così. Ricominciamo, ti va?” le tese la mano speranzoso.
“Michael Wheeler, ma puoi chiamarmi Mike”
Jane fremette.
Sono io, Eleven! Davvero non mi riconosci? Ti prego Mike!
Se solo lui lo avesse capito allora non si sarebbe fatta tutti quei problemi, ma se così stavano le cose...
“Piacere, io sono Jane” rispose stringendogli la mano.
Se il ragazzo restò sorpreso dal non sentire un cognome non lo diede a vedere.
 
“Ragazzi, meglio cominciare a tornare a casa, che ne dite?” Joyce li interruppe uscendo dal locale e i due si lasciarono le mani come se si fossero scottati.
“Stasera siete tutti ospiti da me”
 
 
 
‡‡‡
 
 
 
La serata non stava andando male.
Alla fine la padrona di casa si era messa ai fornelli costringendo i tre ospiti sul divano nonostante le proteste.
Per fare qualcosa Jane aveva tirato fuori i disegni di Will.
Era stato solo quando Hopper ne aveva messi due vicini per caso che avevano capito che i fogli non andavano considerati singolarmente ma tutti insieme, come un puzzle.
Spinsero tutti i mobili della sala contro le pareti in modo da avere il pavimento libere e si misero al lavoro.
I fogli non erano pochi, ma lavorando insieme cominciarono ben presto a delineare una figura dall’aspetto tutt’altro che rassicurante.
Bastava pensare che quella che sarebbe potuta essere la testa aveva l’aria di essere un groviglio di tentacoli intrecciati tra loro.
Erano ormai a buon punto quando accadde: i fornelli si spensero all’improvviso insieme a tutte le luci mentre il freddo cominciava a diffondersi per la casa con velocità allarmante.
Joyce raggiunse di corsa gli altri in salotto, ma prima che potessero muoversi insieme porte e finestre vennero ricoperte dalla strana sostanza, tanto gelatinosa quanto resistente, che Jane aveva già avuto modo di conoscere.
Tre brecce si aprirono simultaneamente circondandoli; Will, Lucas e Dustin non si fecero attendere mentre Joyce cercava di trattenere le lacrime alla vista del figlio.
 
“Ma che bel quadretto” parlò Will.
O era stato Lucas?
La voce era cambiata e adesso aveva un tono molto più profondo e rimbombante.
Al “Patetico” pronunciato da Dustin realizzarono che tutti e tre avevano la stessa.
“Ridatemi mio figlio!” Joyce venne prontamente bloccata da Hopper prima che potesse avvicinarsi troppo a Will.
“Perché state facendo questo? Cosa volete?”
I ragazzi sogghignarono alle domande di Mike.
“Ooh... vedo che non te l’ha detto. La ragazzina ha paura?” cantilenò Lucas guardando Jane.
“Cosa stanno dicendo?” Mike la strattonò per il braccio pretendendo una risposta.
“Chiudete il becco” ringhiò El ignorandolo.
“Altrimenti cosa fai?” domandò retoricamente Will. “Ti avevamo dato la possibilità di venire volontariamente con noi mia cara, ma tu l’hai rifiutata... Adesso loro ne pagheranno le conseguenze”
 
In un attimo Joyce era stata intrappolata al muro, come Jane quel pomeriggio.
“Non azzardatevi a toccarla, voi...” Hopper raggiunse la donna in pochi secondi.
Ormai erano rimasti solo lei e Mike al centro della stanza.
El cercò di stargli davanti come poteva.
 
“Suvvia, non è molto gentile da parte tua” commentò Dustin beffardo.
“Perché non lasci scegliere a lui se vuole raggiungere i suoi amici?” concluse Will.
Si girò verso Mike solo per accorgersi che il suo sguardo era improvvisamente diventato vacuo.
“No! Lasciatelo andare!” urlò, ma non riuscì a muovere un passo per fermarlo ritrovandosi i piedi incollati al pavimento.
“Lui si unirà a noi e tu sarai la prossima” disse Will cattivo, ignorando le urla di Joyce che non aveva smesso un attimo di chiamarlo.
Intanto Lucas aveva raggiunto Mike a metà strada e gli aveva appoggiato le mani ai lati del viso... solo che le sue dita erano diventate tentacoli.
Come quelli entrarono in contatto con la pelle Mike sembrò tornare di colpo in sì e cominciò a dimenarsi.
Si fermò e cominciò ad urlare quando il processo diventò doloroso.
“Smettila!”
Dustin rise: “Hai avuto la tua occasione per evitarglielo e l’hai rifiutata a dirla tutta non pensavamo che l’avresti lasciato andare così facilmente...”
“... Jane, ti prego...” supplicò Mike. Non avrebbe resistito ancora per molto.
Quello che gli stavano facendo, la sua testa...
Smise improvvisamente di agitarsi: era arrivato al punto di non ritorno, poteva sentirlo.
Cercò di tenere gli occhi aperti ma le palpebre stavano diventando così pesanti.
Un’ultima cosa riuscì a dire in un sussurro, un nome.
“...Eleven”
 
Qualcosa scoppiò.
I tentacoli vennero bruscamente staccati dalla sua faccia e lui si ritrovò dolorante e barcollante ma libero.
Davanti a lui Lucas, Dustin e Will erano trattenuti contro la parete da una forza invisibile e fumavano di rabbia.
Qualcuno però era più arrabbiato di loro.
Si voltò scoprendo con stupore che la fonte di quella misteriosa forza che lo aveva liberato altri non era che Jane.
Jane che aveva liberato così tanta energia in un colpo solo al punto da ridurre a brandelli dal gomito in giù le maniche della maglietta che indossava, e un certo numero undici, tatuato sul suo avambraccio sinistro, era così rimasto scoperto.
“Non azzardatevi mai più a toccarlo” ringhiò minacciosa.
Con un ultimo sforzo li rispedì uno alla volta all’interno della rispettiva breccia richiudendola subito dopo.
Si permise di abbassare la guardia solo quando la temperatura della stanza tornò normale e le luci si riaccesero.
 
Ebbe giusto il tempo di notare che neanche quella volta il naso le aveva sanguinato prima di sentirsi abbandonare da tutte le energie e cadere per terra come un peso morto.














Buona sera a tutti!
Anticipo adesso invece di domani perchè sono di turno sia lunedì che martedì, e le probabilità che mi metta al computer dopo dodici ore e mezza (più viaggio) dovendo alzarmi presto anche il giorno dopo sono scarse.
Ma non credo che la cosa dispiaccia a nessuno.
Ora, tornando al capitolo... quanti hanno esclamato "finalmente!" quando El ha finalmente (eheh) usato i suoi poteri davanti a tutti?
Aperte le scommesse su come la prende Mike...
Ringrazio Elgul1 e HermioneRiddle per avermi lasciato un commento lo scorso capitolo.
Prossimo aggiornamento lunedì 19 marzo (o lunedì 12, come da accordi - sono sempre super contenta quando qualcuno mi fa sapere cosa ne pensa).
A presto!
E.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** Chapter 9 ***


Chapter 9
 
 
 
Fortuna
che c’era il tappeto.
Fu il primo pensiero coerente che riuscì a formulare quando cominciò a tornare in sé.
Poteva ugualmente percepire il bernoccolo che si stava chiaramente formando al lato della testa, ma sarebbe potuta andarle peggio.
Ancora tenendo gli occhi chiusi poteva sentire Joyce e Hopper che discutevano, di lei.
Mike sembrava non partecipare alla conversazione.
Mike: chissà come l’aveva presa. Doveva assolutamente parlarci.
 
La stanza era in penombra, il divano era stato nuovamente spostato verso il centro della sala con lei sopra e la luce era quella che proveniva dall’angolo cucina.
Cercò di tirarsi su ma le bastò sollevare appena la testa per vedere l’ambiente girare attorno a lei costringendola a ricadere all’indietro con un gemito.
Hopper fu al suo fianco in pochi secondi.
“Jane! Finalmente, stavamo cominciando a preoccuparci”
“Perché continui a chiamarla Jane?” intervenne Joyce raggiungendoli.
Se non altro la donna non sembrava arrabbiata con lei visto che le riservò un’occhiata dolce e una lieve carezza tra i capelli.
“Jane, Eleven: non fa differenza” replicò la diretta interessata provando di nuovo a mettersi a sedere e riuscendoci grazie all’aiuto di Jim.
“È nella vecchia stanza di Will” rispose la donna alla domanda inespressa di El, che non aveva perso tempo a guardarsi intorno come se stesse cercando qualcuno.
Arrossì appena per essere stata così prevedibile.
“Voleva stare un po’ da solo” concluse.
“Se gli sguardi potessero uccidere con quello che mi ha lanciato prima di chiudersi dentro sarei finito dritto all’altro mondo” commentò Hopper. “È stato abbastanza spaventoso in realtà. Mi aspettavo che urlasse, dicesse qualcosa, e invece niente... Aspetta un attimo: dove pensi di andare?”
 
Era stata bloccata e ritrascinata di peso sul divano, dopo qualche minuto un piatto colmo di cibo le era stato posato sulle gambe - “Non vai da nessuna parte se prima non mangi qualcosa dopo tutta l’energia che hai consumato!” - e gli adulti erano rimasti ad osservarla finchè il piatto non era stato svuotato completamente.
Solo a quel punto Joyce si era alzata per andare a lavare la stoviglia, Hopper era uscito giusto fuori dalla porta d’ingresso a fumare e lei era finalmente libera di muoversi.
Appena ebbe riconquistato la stabilità sulle gambe si diresse verso la stanza dove si era chiuso Mike.
Bussò alla porta più volte ricevendo un “Vattene!” solo quando si decise a chiamare il ragazzo per nome.
“Mike, ti prego” lo supplicò ancora.
Stava giusto pensando se fosse stato corretto entrare usando i suoi poteri quando la serratura scattò e la porta si aprì.
Da dentro Mike la guardava quasi apatico.
“Hai cinque minuti”
El entrò chiudendo la porta dietro di sé e senza perdere tempo cominciò a parlare.
 
 
 
‡‡‡
 
 
 
Quando terminò il silenzio calò su di loro.
Dopo un po’ che Mike ancora non aveva detto nulla Eleven si azzardò a rialzare lo sguardo che fino a quel momento aveva tenuto puntato sui piedi.
L’espressione del ragazzo non sembrava essere cambiata da quella che aveva quando le aveva concesso di entrare.
“Mike, per favore, dì qualcosa”
“Cosa dovrei dire, eh? Che per un anno ho cercato continuamente di mettermi in contatto con te e tu, nonostante fossi in ascolto, non ti sei mai degnata di rispondere?”
“Sai che non è così! Hopper mi aveva vietato di...”
“E ti è stato bene obbedire così? Una parola, un sto bene, un sono ancora viva non posso tornare adesso ma tornerò in futuro, qualsiasi cosa, solo per farmi sapere che stavi bene! Ti sarebbe costato così tanto?”
“Non potevo rischiare di rimetterti in pericolo. È vero, io ero in ascolto, ma non potevo sapere se ci fosse stato anche qualcun altro, o qualcos’altro” ribattè lei.
“E dopo? Sono passati undici anni, Jane. Ve bene, sei stata male, ma non ti è mai venuta voglia di provare di nuovo a tornare a Hawkins?” continuò duro Mike.
“Certo, ogni giorno. Ma...”
“Ma?”
“Ma tu non hai più chiamato”
L’espressione di Mike diventò allibita: davvero aveva avuto il coraggio di dare la colpa a lui?
“Non l’hai più fatto e io mi sono dovuta mettere il cuore in pace che tu fossi andato avanti, che non ti sarebbe più importato di me. Non avrei mai potuto tornare a complicarti la vita solo per un mio capriccio, solo perché io volevo rivederti o risentirti. Per sapere come stavi c’era già Jim: ogni volta che tornava a casa da Hawkins mi raccontava tutto su di te. E quando dico tutto intendo anche il fatto che non hai mai parlato di me, neanche un accenno, neanche una volta. Cosa avrei dovuto pensare? Se tu non mi volevi io non ero nessuno per imporre la mia presenza”.
 
Il silenzio tornò a regnare nella stanza.
Mike sapeva che per come l’aveva messa El era lui ad essere nella parte del torto alla fine, a parti invertite avrebbe probabilmente fatto la stessa cosa, ma in quel momento non sarebbe riuscito ad ammetterlo.
Era ancora troppo arrabbiato con lei, convinto che in ogni caso fosse stato lui a perderci comunque di più: lui non aveva avuto Hopper a tenerlo aggiornato delle condizioni di Eleven, nemmeno l’ex sceriffo aveva mai nominato la ragazza – mise a tacere la sua coscienza che gli stava già facendo notare che era stato lui a stroncare qualsiasi tentativo l’ex sceriffo avesse fatto di parlare della ragazza.
 
E come sempre quando si è particolarmente arrabbiati Mike fece, o meglio, disse qualcosa di molto stupido e che non pensava veramente.
Jane aveva appena raggiunto la porta con l’intenzione di lasciare nuovamente da solo quando la voce del ragazzo le arrivò da dietro.
“Vorrei non averti mai conosciuta”
Era stato poco più che un sussurro, ma nel silenzio si era sentito fin troppo bene.
Eleven si girò, la mano ancora sulla maniglia, tenendo però lo sguardo per terra per non far notare gli occhi lucidi.
“Tu invece sei la cosa più bella che mi sia mai capitata. E forse anche io vorrei non averti mai conosciuto, ma solo per risparmiarti tutti i guai che ti sono capitati a causa mia. Se fosse per me non cambierei nulla” replicò cercando di tenere la voce ferma.
Uscì sbattendosi la porta alle spalle senza aggiungere altro.
 
 
 
‡‡‡
 
 
 
Jane dovette aspettare che tutti andassero a dormire prima di mettere in atto il piano a cui aveva cominciato a pensare da quando aveva lasciato la stanza di Mike.
Ormai la casa era silenziosa da ore, la mezzanotte passata da un pezzo, e lei sarebbe potuta uscire indisturbata senza preoccuparsi della sorveglianza di Hopper che, sì se n’era accorta, l’aveva tenuta sotto controllo per tutto il tempo che era rimasta con lui e Joyce prima di ritirarsi per la notte.
Reputò più opportuno uscire dalla finestra della camera dove era stata ospitata – quella vecchia di Jonathan – piuttosto che dalla porta d’ingresso: Jim dormiva sul divano e anche se sapeva di essere silenziosa non poteva rischiare.
 
Atterrò attutendo il salto piegandosi sulle ginocchia e si orientò al buio cercando di capire quale fosse la direzione migliore da prendere per raggiungere la sua destinazione nel minor tempo possibile.
Ebbe un attimo di incertezza solamente quando, girando intorno alla casa, passò sotto la finestra della camera di Will, occupata da Mike.
Chiuse gli occhi.
Addio Mike.
Se tutto fosse davvero andato come voleva lei quello sarebbe stato sul serio il suo ultimo saluto.
Si riprese scuotendo la testa e inspirando a pieni polmoni l’aria fredda della notte.
Si aggiustò la tracolla in cui aveva messo la torcia, un piede di porco e della corda e cominciò a correre.
 
Quando arrivò aveva il fiatone, ma almeno non sentiva più il freddo.
Circa a metà strada, nel bel mezzo del bosco, un intero branco di Demogorgon si era unito alla sua corsa, ma nessuno l’aveva attaccata.
Se lo era aspettato.
Le creature la seguirono oltre le porte dell’Hawkins National Laboratory come se invece di mostri fossero dei normalissimi cani da compagnia, o da guardia in questo caso.
Cominciò a scendere, livello dopo livello, sbloccando tutte le porte sigillate con l’aiuto dei suoi poteri, finchè non raggiunse l’ultimo.
Spalancò le ultime porte blindate e l’ondata di freddo che la lambì la fece rabbrividire.
Ma non era solo per quello: davanti a lei c’era la breccia più grande che avesse mai visto.
Occupava l’intera stanza facendola sembrare ancora più grande di quanto già non fosse. L’unica parte lasciata libera era l’area intorno alla porta da cui era appena entrata lei e che non si estendeva per più di un paio di metri.
“Benvenuta Eleven, ti stavamo aspettando”
 
 
 
‡‡‡
 
 
 
Mike si svegliò intontito cercando di capire il motivo del suo risveglio.
Fuori era ancora buio – di certo l’alba non era vicina – e davvero non riusciva a trovare una valida spiegazione a quel vago senso di inquietudine che sembrava averlo pervaso.
Stava per rimettersi a dormire quando gli sembrò di sentire dei rumori provenienti dal salotto.
Staccò la lampada del comodino dalla presa per usarla come arma in caso di necessità – non si poteva mai sapere – e lasciò la stanza cercando di fare scricchiolare il meno possibile il pavimento di legno del corridoio.
Arrivato alla porta tirò un sospiro di sollievo: era solo Hopper.
Che però era vestito di tutto punto e si stava giusto riallacciando in vita la cintura con la fontina della pistola.
Non ci voleva un genio per capire che stava uscendo.
Fece apposta a fare rumore mentre entrava nella sala per annunciare la sua presenza.
“Dove stai andando?”
L’ex sceriffo inserì la sicura alla pistola e la fece scivolare al suo posto.
“Torna a dormire” fu la sua risposta mentre si guardava intorno per trovare dove aveva buttato la giacca.
“È successo qualcosa?” insistette Mike. “Stai andando ai Laboratori, vero?” tirò ad indovinare. “Non credo sia una buona idea andare a quest’ora, non è meglio se andiamo domani con la luce?”
“Tu a quei laboratori è meglio se non ti avvicini neanche con la luce del sole...” borbottò Jim infilando finalmente la giacca. “E adesso vai a dormire” ribadì.
“Non ti porti dietro Jane questa volta? Pensavo fosse la tua partner” commentò acido Mike, non sapendo bene neanche lui come mai avesse deciso di nominare la ragazza.
In effetti però gli sembrava strano che El non fosse già pronta ad uscire insieme ad Hopper.
In tutta risposta l’uomo si strinse nelle spalle.
“Io invece non capisco come mai ti interessi visto quello che le hai detto... no, non ho origliato, ma El è stata una buona mezz’ora fuori in giardino a piangere prima di ritirarsi in camera” interruppe il ragazzo prima che potesse protestare. “Non ci vuole molto per immaginare il contenuto della vostra conversazione. In questi anni l’ho vista piangere tre volte: la prima quando l’ho portata via da Hawkins, la seconda quando abbiamo scoperto che non riusciva a riavvicinarsi alla città e la terza... beh, quella in realtà non so a cosa sia dovuta, ma è stato più o meno dopo un anno dalla nostra permanenza a Chicago... – Mike si guardò le scarpe imbarazzato - ...e tu mi hai appena confermato che c’entri qualcosa anche in quel caso, magnifico. So che sei arrabbiato con lei perché in tutti questi anni non si è fatta sentire, ma lo ha fatto perché gliel’ho chiesto io in primo luogo, perché non voleva metterti in pericolo e perché pensava che tu fossi andato avanti. Non fare quella faccia, quell’unica volta che ho provato a nominarla sei saltato come se ti avessero appiccato fuoco, cosa avrei potuto capire? Che non vedevi l’ora di riabbracciarla?”
 
Dopo qualche istante in cui i due continuarono a guardarsi in cagnesco fu Mike a riprendere la parola: “Solo perché sono arrabbiato anche con te non vuol dire che sarei felice se ti succedesse qualcosa. Sappiamo tutti che da soli non abbiamo speranze: vai pure dove vuoi andare ma almeno portatela dietro”
Fu solo un istante, ma l’espressione che passò sul volto di Hopper fece tornare al ragazzo la sensazione che qualcosa non andasse.
“Tu non vuoi portarla con te” fu la sua conclusione mentre l’uomo sospirava.
“Mike, per favore, torna a letto”
“No! Non so per quale motivo tu voglia andare a farti ammazzare ma sappi che non lo permetterò” aveva nonostante tutto tenuto la voce bassa non volendo coinvolgere anche Joyce.
Eleven sarebbe bastata visto che poteva immobilizzare le persone.
Guardò Hopper con aria di sfida per poi incamminarsi verso la camera di Jonathan.
“No, aspetta...” la richiesta dell’uomo non servì a nulla.
Il ragazzo afferrò la maniglia e spalancò la porta senza neanche preoccuparsi di bussare prima.
“Eleven? Senti un po’ cosa aveva intenzione di fare il tuo caro...” la voce gli morì in gola.
Il letto, sfatto, era vuoto, e l’aria fredda della notte aveva pervaso la stanza passando dalla finestra che era stata lasciata socchiusa.
La ragazza non era lì, e a giudicare dalla temperatura della camera anche da diverso tempo.
Mike era improvvisamente a corto di parole.
“Questo è il motivo per cui non era necessario andare a chiamarla” commentò Hopper funereo. “È lei che non ha chiamato me”.













Buona sera a tutti.
Stamattina ero partita con tutte le migliori intenzioni, salvo poi accorgermi che di questo capitolo avevo copiato sul computer solo la prima parte... e quindi eccomi qui leggermente in ritardo con la mia tabella di marcia - ma almeno è ancora lunedì...
Finalmente Mike ed Eleven si sono confrontati faccia a faccia senza più maschere o false identità di mezzo.
Che dite... secondo voi l'arrabbiatura di Mike quanto durerà ancora? ;)
Ringrazio sentitamente 
HermioneRiddle e BeatrixSingg per le loro recensioni allo scorso capitolo, grazie di cuore!
Appuntamento con il capitolo 10 per lunedì 26 marzo (o lunedì 19, come da soliti accordi).
A presto!
E.

Ritorna all'indice


Capitolo 11
*** Chapter 10 ***


Chapter 10
 
 
 
Dolore.
Questo 
stava provando in quel momento.
C’era solo quello: dolore intorno a lei, dolore dentro di lei... la sua testa...
 
I tre burattini l’avevano immobilizzata in meno di un battito di ciglia e lei non aveva neanche opposto resistenza
Se quello era il prezzo da pagare affinchè Luke, Will, Dustin e Mike venissero lasciati in pace che la prendessero pure, non le importava.
Aveva però capito quanto fosse stata stupida e ingenua quando alla fine avevano cercato di entrare nella sua testa come avevano evidentemente fatto con i tre ragazzi.
Sarebbe diventata anche lei un burattino, ma le conseguenze sarebbero state molto più catastrofiche.
Come in una visione aveva visto quello che le avrebbero fatto fare: brecce aperte in ogni dove, il mondo che conosceva trasformato in una copia dell’Upside Down, le persone rese schiave da... qualsiasi cosa fosse quel mostro che aveva provocato tutto.
Non poteva permetterlo.
Avrebbe lottato e avrebbe sconfitto quella cosa una volta per tutte; avrebbe chiuso tutte le brecce e fatto in modo che il Sottosopra e le creature che lo infestavano non interferissero mai più con le loro vite.
Lei in primo luogo era stata a dare inizio a quella faccenda e lei l’avrebbe conclusa.
 
Potè quasi percepire il ghigno che quei suoi pensieri provocarono alla creatura nonostante non avesse un volto.
Per un istante la presa sulla sua mente sembrò quasi allentarsi, solo per tornare più forte e opprimente di prima il secondo dopo in un’esplosione di dolore che la fece urlare nonostante tutti gli sforzi che aveva fatto per trattenersi fino a quel momento.
Io sono il Burattinaio, mia cara Eleven. E non c’è niente che tu possa fare per resistermi, recitò una voce nella sua testa.
 
Almeno lasciali andare, loro non hanno fatto niente, implorò capendo già come sarebbe andata a finire.
Mi dispiace Mike, perdonami.
Fu il suo ultimo pensiero lucido prima che tutto diventasse nero.
 
 
 
‡‡‡
 
 
 
Quella mattina quando si era svegliata Joyce aveva reputato strano non trovare Hopper sul divano che ancora russava.
La sua sorpresa era in ogni caso aumentata quando alla fine aveva trovato l’uomo addormentato sulla vecchia poltrona in camera di Jonathan in palese posizione di sorveglianza nei confronti di Mike che invece era letteralmente ammanettato al letto.
Tutto quello prima di realizzare che se era così buio a quell’ora del mattino non era perché le tende erano ancora chiuse ma per un altro motivo.
A quel punto i due addormentati furono svegliati dal suo grido di sgomento.
Joyce aveva avuto le sue buone ragioni per reagire in quel modo: la vista che si vedeva fuori dalla finestra non era di certo quella a cui erano abituati.
Con un brivido a corrergli lungo la schiena, dopo che Hopper lo ebbe liberato, Mike dovette riconoscere che quello che si trovavano davanti era l’esatta descrizione che undici anni prima Will gli aveva fatto dell’Upside Down.
 
Barricarono come poterono porte e finestre per poi riunirsi in salotto.
Peccato che nessuno, arrivati a quel punto, avesse la minima idea di cosa fare.
Joyce ebbe se non altro il buon senso di non chiedere dove fosse Eleven, sapeva già che la risposta non le sarebbe piaciuta.
Mike dal canto suo accese il televisore sintonizzandolo in modo che lo schermo sfarfallasse in bianco e nero con il suo tipico ronzio di sottofondo.
Dopo quasi mezz’ora in cui nessuno osò aprire bocca tutti e tre sobbalzarono all’improvviso battere di colpi sulla porta d’ingresso.
La loro incredulità raggiunse il massimo quando però a quel rumore si aggiunsero anche delle voci, tre per l’esattezza, che imploravano di farli entrare.
Dopo un rapido scambio di opinioni la porta venne aperta e la canna della pistola di Hopper incontrò gli sguardi sollevati e allo stesso tempo spaventati di Will, Lucas e Dustin.
Tutti e tre erano ricoperti da capo a piedi da una specie di gelatina che aveva fatto incollare i vestiti ai loro corpi – e nel caso di Dustin e Will anche i capelli erano tutti appiattiti sulle loro fronti – dando l’idea che avessero appena ricevuto una secchiata d’acqua addosso, o che fossero passati attraverso una breccia...
Mike guardò il migliore amico incredulo: “Will? Sei davvero tu?” domandò.
Joyce fu più veloce di lui a fiondarsi addosso al figlio e stritolarlo in un abbraccio soffocante nonostante le sue condizioni e l’esclamazione contrariata di Jim che non aveva ancora abbassato la pistola.
Visto che Will in quel momento era impegnato Mike si rivolse agli altri due salutandoli a sua volta entrambi con uno stretto abbraccio noncurante della sostanza che li ricopriva.
 
“Ragazzi come... come avete fatto a liberarvi?” domandò legittimamente.
“È quello che vorremo sapere tutti” aggiunse l’ex sceriffo – Joyce era riuscita a convincerlo a riporre l’arma – invitando tutti a rientrare in casa sperando di non aver aperto la porta ad ulteriori guai.
“Non lo sappiamo! Ci siamo risvegliati, coperti da questa roba, giusto fuori dai Laboratori” rispose Dustin.
Qualcosa deve essere successo però, visto che qualcuno nella nostra mente, o almeno nella mia, ha detto che non gli servivamo più...” aggiunse Lucas.
Will sembrava chiuso nel suo mutismo.
“Will, non è stata colpa tua, toglitelo dalla testa” esclamò Mike immaginando cosa stesse pensando.
“Come potrebbe essere colpa tua tesoro?” Joyce rincarò la dose. “Abbiamo tempo per parlare, andate a cambiarvi adesso: tra i vecchi vestiti di Jonathan e quelli di Will sono sicura che troverete tutti qualcosa da mettere”
 
Quasi un’ora più tardi, tutti docciati e con vestiti puliti addosso – Mike e Joyce inclusi – i ragazzi sembravano aver recuperato almeno in parte il buon umore, trasmettendolo anche a Mike e Hopper.
L’unico che non partecipava alla felicità collettiva dell’essere di nuovo tutti insieme era Will.
“Andiamo amico, solo perché sei stato il primo ad essere preso non vuol dire che questa situazione sia colpa tua” cercò di risollevarlo Luke.
“Come non è stata colpa tua nemmeno undici anni fa, chiaro?” puntualizzò Dustin.
Mike era sul punto di dire la sua ma Will scoppiò.
“Avete visto cosa c’è là fuori o siete ciechi?”
“Certo che abbiamo visto, Will. Ma come hanno detto gli altri non è colpa tua... non sei stato tu a ridurre Hawkins così, ma qualunque sia la creatura che vi ha catturati” rispose pacatamente Hopper cercando di raffreddare i toni.
“No”
Cinque paia di occhi lo guardarono interrogativi.
“Il mostro che ci ha preso da solo non avrebbe mai avuto il potere di fare questa cosa. Gli sarebbe servito qualcos’altro. Qualcun altro”
Dustin e Lucas sembrarono ricordarsi all’improvviso di qualcosa.
Il riccio fu il primo a riprendersi: “Non è colpa tua in ogni caso” ripetè. “Certo, sarà anche venuta per salvare noi, forse, ma non credo che nessuno l’abbia costretta a farlo...” aggiunse Lucas.
“Aspettate un attimo... state parlando di Eleven? Cos’è successo? L’avete vista?”
Lucas e Dustin abbassarono lo sguardo mentre Will sembrava sul punto di mettersi a piangere.
“È colpa mia perché l’ho chiamata io. Quando sono stato rapito. È stata la prima cosa che ho fatto, mi è venuto istintivo pensare a lei e chiederle aiuto. Ancora prima di capire che riportare Eleven a Hawkins era esattamente quello che il Burattinaio voleva” confessò il ragazzo alla fine accasciandosi sul divano. “Noi eravamo solo esche, lei si è offerta al posto nostro senza pensarci due volte, e lui sapeva che lo avrebbe fatto...”
 
 
 
‡‡‡
 
 
 
Alla fine erano usciti di casa: non aveva senso restare chiusi dentro con le mani in mano.
Dovevano come minimo andare in città per rendersi conto dell’entità dei danni.
In realtà tutti avevano ritenuto che uscire fosse una buona idea perché non avevano il coraggio di restare a guardarsi a vicenda ammettendo silenziosamente che nessuno aveva la minima idea di come salvare Eleven.
Mike ormai aveva perso il conto di quante volte si fosse dato dello stupido idiota nell’ultima ora.
 
Il panorama cittadino era a dir poco apocalittico.
L’espansione dell’Upside Down al loro mondo non si era limitata solo all’area boschiva ma aveva coinvolto anche quella urbana.
Strade, palazzi, macchine, tutto sembrava essere stato trasformato e adattato agli standard del Sottosopra.
Tutto intorno a loro era invaso dal silenzio, spezzato di tanto in tanto d scricchiolii sinistri e fruscii provocati da qualsiasi cosa fosse quello che aveva invaso la città.
Ma la cosa più sconcertante era la mancanza completa di persone.
Loro sembravano essere gli unici esseri umani rimasti in circolazione, che fine avessero fatto gli abitanti di Hawkins non gli era dato saperlo.
In più, pur non avendo idea di come fosse possibile, tutti loro avevano la precisa impressione che quel fenomeno fosse in qualche modo in espansione: l’Upside Down non si sarebbe accontentato di invadere Hawkins ma avrebbe ben presto allungato i suoi tentacoli e i suoi tralci oltre i confini della cittadina.
 
“Dobbiamo tornare ai Laboratori” sorprendentemente a parlare era stato Will. “Da Eleven”
“Non possiamo tornare lì così, come se niente fosse. Ci serve un piano” tentò Dustin, neanche lui convinto fino in fondo di quello che stava dicendo.
“E a cosa ci servirebbe un piano? Tanto mi risulta che comunque non funzionano mai! E poi nel caso non l’aveste notato siamo rimasti solo noi: sono tutti spariti, Hawkins assomiglia sempre più al Sottosopra ogni minuto che passa e dubito che questa cosa si fermerà per magia ai confini della città. Elaborare un piano ci farebbe solo perdere tempo per cercare di arrivare da El il prima possibile. E anche se dovesse andare male, beh: non credo che a questo punto ci sia rimasto nulla da perdere”
 
 
Dopo una camminata che a tutti loro sembrò interminabile riuscirono finalmente a raggiungere l’Hawkins National Laboratory.
Il pick up di Hopper li aveva abbandonati a meno di metà strada e procedere a piedi non era stato molto semplice visto i continui mutamenti dell’ambiente circostante.
Nessuno l’aveva detto ad alta voce per evitare di attirare ancora più sfortuna, ma l’assenza di Demogorgon e mostri vari lungo il loro cammino, per quanto sospetta, li aveva abbastanza sollevati.
 
Gli edifici del laboratorio erano pressochè irriconoscibili, e se già il complesso incuteva timore di suo prima, adesso, dopo le ultime modifiche, si andava oltre qualsiasi descrizione.
Peccato che per i ragazzi quella vista non fosse affatto nuova: era la copia esatta del disegno di Will, solo che quando lo avevano trovato avevano pensato che quella fosse una rappresentazione dell’Upside Down, non del loro mondo.
Riuscirono a forzare una porta protetta da tralci di vegetazione alquanto combattivi dopodichè si trovarono ad accendere subito le torce – che per fortuna funzionavano ancora – che avevano portato con loro essendosi ritrovati completamente al buio dopo che la porta si fu richiusa.
Avanzare con solo quei deboli fasci di luce non era esattamente il massimo – dopotutto nessuno di loro aveva tanta dimestichezza con quei corridoi da potersi orientare così bene – ma se non altro sapevano qual era il loro obiettivo: dovevano scendere.
Capirono che stavano procedendo nella giusta direzione quando la temperatura cominciò progressivamente ad abbassarsi portandoli a ringraziare il fato che, essendo novembre, erano comunque già vestiti abbastanza pesanti.
Si stavano avvicinando.
Avrebbero però dovuto prevedere che era stato troppo facile.
 
La prima a lampeggiare e poi spegnersi fu la torica di Joyce.
Prima che potessero fare qualcosa ci fu un fruscio, uno spostamento d’aria, un lampo di luce rossa e la torcia cadde a terra: colei che la stava tenendo in mano fino ad un attimo prima era sparita.
Will non ebbe neanche il tempo di urlare “Mamma!” che la stessa sorte era toccata anche a Hopper.
I quattro ragazzi rimasti si strinsero tra loro, e solo dopo qualche minuto, quando furono sicuri che nessuno sarebbe sparito almeno per il momento, si decisero a continuare.
Scesero ancora, continuando a rabbrividire per il freddo, finchè non poterono più andare avanti.
L’enorme porta che si trovavano davanti aveva un aspetto massiccio e invalicabile.
Era in acciaio, probabilmente blindata, e il lettore elettronico situato accanto che in qualche modo sarebbe servito per farla aprire era stato ridotto ad un groviglio di cavi penzolanti dalla parete quando il congegno era stato evidentemente distrutto.
Stavano già per cominciare a lamentarsi di essere bloccati dopo tutta la strada che avevano fatto quando la porta si aprì con forte stridore metallico.
Mike si guardò la mano stranito: l’aveva appena toccata con la punta delle dita.
Adesso che la porta era aperta il corridoio era stato inondato dalla forte luce proveniente dall’interno della stanza.
 
I quattro ragazzi restarono a bocca aperta davanti alla breccia più grande che avessero mai visto, ma la loro attenzione venne subito spostata su qualcos’altro.
Sulle pareti era proiettata quella stessa ombra mostruosa che Will aveva riprodotto nel suo disegno; seguendone la figura, spostando lo sguardo, i loro occhi arrivarono ai piedi di qualcuno che era davanti a loro al centro della sala.
 
Eleven.













Buon pomeriggio!
Mi scuso infinitamente per il ritardo, ma questa volta si è trattato davvero di  cause di forza maggiore.
Come vi avevo detto nell'avviso che ho postato brevemente ieri, siamo stati senza elettricità per più di 24 ore... per fortuna si è risoltuo tutto. In tutto questo io dopo la notte mi sono svegliata alle quattro (di pomeriggio) e tra dieci minuti devo tornare a prepararmi perchè sono di turno di nuovo stanotte.
Ma bando alle ciance. Ormai stiamo volgendo verso la fine della storia; Will, Lucas e Dustin sono 'tornati indietro' ma a quale prezzo?
Ora, io lunedì prossimo ho il volo in quanto torno a casa per le vacanze di Pasqua, e per il 2 aprile sarò ancora via.
Per questo motivo questa volta non vi darò una data precisa di quando riuscirò ad aggiornare, dico solo che farò del mio meglio per non lasciarvi due settimane intere senza aggiornamenti (vabbè, male che vada ci si rvede il 9 aprile...)
Come sempre fatemi sapere cosa ne pensate; ringrazio di cuore 
Elgul1DemaDema e  HermioneRiddle che hanno recensito lo scorso capitolo (un bacio a tutte e tre! <3)
Alla prossima!
E.


 
P.S. Dopo la decima volta che ho cercato di caricare il capitolo e che EFP non funziona mi sono sentita in dovere di farvi sapere che ogni ulteriore ritardo non dipende da me. Per darvi l'idea la prima volta che ho provato erano le 17:15. Attualmente, alle 17:27 ancora non me lo carica...

Ritorna all'indice


Capitolo 12
*** Chapter 11 ***


Chapter 11
 
 
 
“Eleven!”
Mike sarebbe scattato in avanti se non fosse stato per gli altri che si erano affrettati a trattenerlo per i vestiti.
 
Mike!
 
“Non è più lei” cercò di farlo ragionare Lucas.
“Credo sia nella stessa condizione in cui eravamo noi” aggiunse Dustin.
“No, lei è più forte. Non si lascerebbe mai fare una cosa del genere. Eleven!” chiamò lui di nuovo.
 
Mike, vattene, devi andartene!
 
La ragazza davanti a loro sorrise, ma quello che le deformò il volto in realtà era più un ghigno: “Hai ragione tu ragazzino, lei è forte: non mi avrebbe mai lasciato prendere il controllo così facilmente. Per questo devo ringraziare voi in effetti” parlò.
La voce aveva ancora un’impronta femminile anche se, come era successo per i ragazzi, suonava più profonda, amplificata e distorta. I quattro la guardarono inorriditi.
“Nemmeno dopo aver ucciso il mio Demogorgon mi ha lasciato prendere il sopravvento, ed era stremata. Certo, continuava a svenire ma non mi ha mai lasciato accesso alla sua mente. Poi me l’hanno portata via, ma sapevo che alla fine sarebbe tornata, anche se devo ammettere che per questo le ho dovuto dare una spintarella...”
L’espressione colpevole era tornata sul volto di Will.
“Siete state delle pedine perfette: usarvi è servito perfettamente al mio scopo e voi siete stati ridicolamente facili da...”
 
Adesso basta!
 
La creatura smise improvvisamente di parlare.
 
Non osare aggiungere un’altra parola.
 
 
 
Quando la morsa che aveva avvertito alla sua testa si era finalmente allentata Eleven si era svegliata in una stranissima stanza.
Tre pareti erano completamente nere mentre la quarta sembrava essere un vetro dal quale poteva vedere la stanza dei laboratori dove aveva trovato il Burattinaio.
Solo che la sua visuale non restava la stessa: cambiava, si muoveva... Solo quando i quattro ragazzi avevano fatto la loro comparsa aveva capito. Era imprigionata nel suo stesso corpo, verosimilmente da qualche parte nella sua testa, e il mostro aveva preso il controllo impedendole di poter reagire in qualsiasi modo.
Le sue supposizioni erano state confermate quando poi una voce era rimbombata nella stanza commentando un “Molto bene”.
E poi il mostro aveva cominciato a parlare senza che lei potesse fare niente per impedirlo.
Quando però aveva cominciato a sottolineare quanto i ragazzi fossero state prede facili infierendo su di loro aveva, letteralmente, detto basta mettendosi a battere i pugni sulla parete in vetro concentrando i suoi poteri in essi.
E il Burattinaio si fermò.
Non era riuscita ad opporsi in nessun modo quando il mostro aveva assaltato la sua mente, era qualcosa che non aveva mai sperimentato, e una volta iniziato il processo non aveva potuto fare nulla per bloccarlo, ma forse poteva ancora fare qualcosa nonostante tutto.
 
Anche i ragazzi capirono che qualcosa doveva essere successo.
“È Eleven. Anche lei deve essere ancora lì dentro da qualche parte!” esclamò sollevato Dustin arrivando per primo a quella conclusione.
Lucas si battè una mano sulla testa: “Potresti avere ragione! Come ho fatto a non pensarci subito? ...Anche se, non so voi, ma a me ci sono volute diverse ore...”
“Qualcuno vorrebbe spiegare anche a me?” si inserì Mike non senza smettere di tenere sott’occhio la figura della ragazza che sembrava essersi momentaneamente bloccata.
“Quando il Burattinaio ha preso il controllo noi eravamo comunque coscienti: potevamo vedere e sentire tutto quello che succedeva intorno a noi e quello che facevamo” spiegò Will. “Ma come ha detto Lucas non è stata affatto una cosa immediata...”
 
Lo sguardo di Mike si illuminò: “Ma quindi alla fine come avete fatto a riprendere il controllo?” domandò.
Gli altri tre tornarono cupi all’istante.
“Non l’abbiamo fatto” rispose Lucas quasi vergognandosi. “È stato lui che ci ha lasciati andare...quando El si è offerta al nostro posto. È stata una sensazione stranissima: come se fosse scivolato da noi a lei”
“Ma magari lei potrebbe riuscirci. Insomma, stiamo parlando di Ele...” Dustin non riuscì a concludere la frase.
Lui, Lucas e Will erano bloccati contro una delle pareti allo stesso modo in cui loro stessi avevano immobilizzato Joyce e Jim in casa Byers.
Il Burattinaio di era ripreso.
 
No, smettila!
 
Purtroppo l’unica cosa che aveva ottenuto era stato di non colpire anche Mike.
Il ragazzo dopo un attimo di riflessione lasciò perdere l’intento di provare a liberare gli amici – anche perché loro stessi non si erano risparmiati di urlargli di non provarci nemmeno – e si rivolse deciso verso la ragazza guardandola negli occhi.
“Eleven, so che puoi sentirmi” cominciò serio. Non si curò neanche del fatto che il volto di lei avesse assunto di nuovo quell’espressione distorta.
 
La vera Eleven stava urlando e battendo i pugni nella sua testa, ma non si sarebbe più lasciato cogliere di sorpresa.
 
“I ragazzi hanno ragione: tu sei forte, più forte di noi sicuramente e più di qualsiasi persona abbia mai conosciuto”
 
“Stai sprecando il tuo fiato ragazzino”
 
Mike proseguì senza badare al commento appena fatto: “Se c’è qualcuno che più liberarsi quella persona sei tu. Perché sei incredibile, e coraggiosa... e non è giusto che noi ci mettiamo nei guai, ci salvi e a rimetterci sei tu. E... non è vero che non vorrei mai averti incontrata”
Se avesse potuto vederli avrebbe notato che gli altri erano rimasti sorpresi dall’ultima cosa che aveva detto.
“Incontrarti è stata la cosa migliore che mi sia mai successa, tu sei la cosa migliore che mi sia mai successa” senza neanche rendersene conto aveva cominciato ad avanzare verso di lei.
“E lo so che né questa né l’altra volta i nostri incontri sono stati in circostanza piacevoli, ma se quello è il prezzo da pagare per averti qui con noi, con me, non cambierei nulla e rifarei tutto da capo senza pensarci due volte” ormai aveva superato metà della distanza che li divideva.
Il Burattinaio se la rideva mentre Eleven, confinata nella sua testa, urlava al ragazzo di piantarla di parlare e correre via finchè era ancora in tempo.
“E mi dispiace per quello che ho detto, ero arrabbiato e deluso e in quel momento l’unica cosa che volevo era farti sentire come mi ero sentito io... farti capire quanto mi sei mancata, quanto avrei voluto che le cose fossero andate diversamente, che sarei stato ancora ad aspettarti nonostante tutto... invece di apprezzare il fatto che tu fossi viva e fossi tornata... da me. Che stupido sono stato”.
Si fermò che a separarli mancavano poco più di una ventina di centimetri.
Continuò a mantenere lo sguardo fisso nei suoi occhi e ad Eleven, quella vera, sembrò quasi di essere stata davvero raggiunta da quell’occhiata.
Dopo un attimo in cui parve indeciso prese un profondo respiro e alzò una mano ad accarezzarle la guancia.
L’espressione della ragazza non sarebbe potuta essere più stupita, anche l’Eleven intrappolata si era immobilizzata di colpo.
Una lacrima scese lungo la guancia del ragazzo mentre avvicinava ulteriormente il suo viso a quello di lei.
“Giorno quattromila e sei” le sussurrò all’orecchio.
Le prese il viso anche con l’altra mano e la baciò.
 
Nella sua testa la ragazza aveva cominciato a piangere a sua volta, ma cercò quasi subito di darsi un contegno: aveva capito quello che Mike stava cercando di fare e non poteva sprecare così quell’occasione.
Perché sentiva anche lei quello che il ragazzo stava intensamente pensando, quasi urlando nella sua mente, in quel momento.
Vieni da me. Prendi me, lascia lei. Prendi me, non opporrò resistenza.
 
Un richiamo quasi irresistibile per il Burattinaio, quello di trovare una mente pronta ad accoglierlo senza barriere o opposizioni di sorta da dover continuamente contrastare.
Bastò per fargli perdere lucidità per una frazione di secondo: quello insieme all’oda d’urto mentale che Eleven gli aveva di nuovo indirizzato nel momento in cui aveva notato le sue mani posarsi ai lati della testa di Mike, e si sentì scivolare dalla mente della ragazza a quella di lui.
 
Un forte brivido di freddo scosse Eleven non appena tornò padrona della propria testa essendo che il suo corpo era stato fortemente raffreddato a causa della presenza del suo ospite.
Di fronte a lei Mike stava impallidendo a vista d’occhio, segno che il Burattinaio stesse cercando di rendere ospitale anche quel nuovo corpo.
“Mike! Mi senti? Devi combatterlo, non lasciare che abbia la meglio su di te, non lasciarlo prendere il controllo. Mike!” lo scrollò per le spalle, ma quando lo sguardo del ragazzo tornò lucido era allo stesso tempo freddo e spietato.
“Non credo proprio...” la creatura era riuscita a prendere il sopravvento anche su di lui.
“Sciocca, pensavi davvero che lui sarebbe riuscito a resistermi quando neanche tu ce l’hai fatta?” la sbeffeggiò. “E se pensi che ti lascerò andare via così facilmente...” quelle ultime parole furono accompagnate da una forte fitta alla testa che quasi le fece perdere i senti: era lo stesso mal di testa che l’aveva costretta al sonno prima che Hopper la trovasse e decidesse di portarla via da Hawkins. Lo stesso che l’aveva fatta svenire tutte le volte che avevano provato a fare ritorno da Chicago.
“Non riuscirai a scapparmi di nuovo” sibilò.
 
Quando la ragazza lanciò uno sguardo di scuse a Will, Dustin e Lucas – ancora bloccati alla parete, spettatori impotenti di tutta la scena – aveva già preso la sua decisione.
Cercando di resistere come poteva dall’ennesimo attacco mentale indirizzò i suoi poteri contro Mike e lo scagliò al di là della breccia.
Sfruttò quell’attimo di sollievo dovuto alla sorpresa scaturita dal suo attacco per rivolgere la sua attenzione alla breccia stessa, e attingendo al massimo delle sue energie/poteri cominciò a farla chiudere.
Si avvicinò per respingere con un calcio il ragazzo che ad un certo punto aveva cercato di tornare indietro e continuò il suo lavoro stringendo i denti.
Aveva ragione di credere che chiudere quella breccia avrebbe risolto la situazione essendo quella madre: chiusa quella anche tutte le altre in giro per la città sarebbero dovute sparire.
Se aveva fortuna le cose sarebbero potute addirittura tornare alla normalità.
Ormai il varco era entrato nel pieno del processo di chiusura, la quantità di potere che stava usando era davvero elevata ma almeno sembrava che non dovesse aumentarla ulteriormente.
Adesso che tutta la sua concentrazione non era più completamente focalizzata sul chiudere la breccia poteva finalmente pensare al modo per riportare Mike indietro.
Se qualcuno aveva pensato anche solo per un istante che lo avrebbe lasciato dall’altra parte si sbagliava di grosso.
 
Fu quando vide con la coda dell’occhio gli altri tre essere rilasciati dalla sostanza in cui erano stati trattenuti fino a quel momento che agì.
Ormai mancava pochissimo, meno di un metro quasi, e la breccia si sarebbe chiusa.
Prima che potessero avvicinarsi troppo o farsi venire in mente qualche strana e probabilmente stupida idea, El saltò dentro la breccia.
Una frazione di secondo più tardi quella si era già sigillata alle sue spalle.
 
Lucas, Dustin e Will si ritrovarono impalati a fissare la parete dello stanzone di nuovo integra senza avere la più pallida idea di cosa fare.













Buon lunedì a tutti!
Come promesso ecco il capitolo. Mi dispiace non essere riuscita ad aggiornare prima durante le vacanze, ma sono state due settimane particolarmente piene e davvero non ho avuto tempo.
Lo so che questo capitolo è più corto del solito e finisce in un modo che probabilmente vi ha fatto venire voglia di uccidermi (cosa che, vi ricordo, non mi permetterebbe di continuare la storia...) ma sono fiduciosa di rivedervi tutti lunedì prossimo :)
Un grande grazie a 
HermioneRiddle e ​Clarrianne Donavon che hanno lasciato una recensione allo scorso capitolo, e un grazie anche a tutti i lettori silenziosi.
A presto!
E.
Clarrianne Donavon

Ritorna all'indice


Capitolo 13
*** Chapter 12 ***


Per favore leggete le note in fondo!



Chapter 12
 
 
 
“Usciamo di qui, non c’è più niente che possiamo fare” Lucas prese Dustin e Will per le rispettive giacche trascinandoseli dietro.
Ripercorsero a ritroso quello che supponevano fosse il corridoio da cui erano arrivati, se non altro adesso le luci funzionavano – anche perché le torce erano andate perse.
 
Accadde senza preavviso: ci fu un urlo acuto e Will si ritrovò stretto in una presa soffocante.
Gli altri due tirarono un sospiro di sollievo mentre Hopper li accoglieva con pacche sulla schiena mentre Joyce ancora non sembrava voler lasciare andare il figlio.
La fatidica domanda non tardò comunque ad arrivare e gli ultimi due arrivati nel gruppo la posero praticamente in simultanea: “Dove sono Mike e Jane?”
I tre ragazzi deglutirono preparandosi a dare spiegazioni.
 
 
 
‡‡‡
 
 
 
Saltata dall’altra parte della breccia Eleven quasi cadde per terra: era esausta e faticava a tenersi in piedi, ma non poteva mollare proprio adesso.
Guardandosi attorno riconobbe di essere nella versione Upside Down dei Laboratori.
Mike non si trovava troppo lontano da lei.
Si teneva la testa tra le mani, il volto sofferente e stava evidentemente cercando di trattenersi dal non urlare nonostante alcuni lamenti sfuggissero comunque al suo controllo. Quelli che sembravano tentacoli spuntati direttamente dal terreno stavano risalendo lungo le sue gambe macchiandogli i vestiti, facendosi strada fino alla sua bocca.
Lo raggiunse all’istante mettendogli una mano sulla schiena e afferrandolo per un braccio con l’altra.
A quel contatto il ragazzo emise un urlo acuto e cominciò a vomitare.
I tentacoli si ritirarono all’istante e una strana sostanza nera e viscosa si riversò di getto fuori dalla sua bocca. Quando cominciò a fuoriuscire anche dalle narici El cominciò a temere che potesse soffocare, ma fortunatamente pochi istanti dopo sembrava tutto finito.
Gli battè una mano sulla schiena, trascinandolo lontano dalla pozza che si era creata e dai tentacoli che ancora si stavano agitando, mentre il ragazzo tossiva sputando quei residui rimasti finchè non tornò a prendere un po’ di colore.
Mike la guardò sbattendo più volte le palpebre come se stesse cercando di metterla a fuoco e allo stesso tempo non credesse al fatto che fosse lì con lui.
“El... Eleven? Cosa ci fai qui, perché?”
“Pensavi davvero che ti avrei buttato dall’altra parte senza poi venirti a recuperare?” lo interruppe lei domandando retoricamente e cercando di accennare un sorriso. “Mike, Lucas e Dustin non me lo avrebbero mai perdonato”
“E adesso cosa pensi di fare?”
“Ti rimando indietro, ovvio”
Il ragazzo la guardò con tanto d’occhi.
“Riapro una braccia e tu ci passi attraverso. Semplice”
“Non essere ridicola. Sei senza forze, non so come fai a reggerti ancora in piedi, e poi... io ci passo attraverso? Cosa mi dici di te? Non avrai intenzione di...?”
La ragazza abbassò lo sguardo, colpevole, e Mike perse la pazienza: “No, non esiste. E fuori questione!” esclamò. “Se pensi davvero che riuscirei a tornare indietro lasciandoti qua ti sbagli di grosso. O andiamo tutti e due o non va nessuno. Non ho intenzione di lasciarti di nuovo nell’Upside Down da sola!”
“Mike, per favore, cerca di essere ragionevole...”
“Io sono ragionevole. Non so cosa tu debba ancora fare qui ma non ti lascio, non ho intenzione di discutere su questo”.
Eleven lo abbracciò di slancio stringendolo stretto e Mike ricambiò all’istante.
“Posso aiutare”
“Tutto questo è colpa mia, adesso come undici anni fa. Sono venuta a stuzzicare questo mondo è questo è il risultato...”
“Lo sai bene anche tu che non è vero, sei stata costretta...”
“Ciò non toglie che sono io l’unica a poter sistemare le cose una volta per tutte...”
“...e se pensi che te lo lascerò fare sei proprio un’illusa”
 
La strana sostanza grumosa e scura che era uscita da Mike si era ricomposta ed espansa andando a formare un corpo massiccio ed imponente. Le dita erano viscidi tentacoli e anche sul resto del corpo, coperto sommariamente da quelli che potevano essere brandelli di vestiti, crescevano strane escrescenze che gli davano un aspetto ancora più repellente. In testa aveva ciocche di capelli letteralmente spalmati in parte anche sul viso a causa della strana gelatina – la stessa in cui più o meno tutti si erano trovati bloccati almeno una volta – che lo ricopriva da capo a piedi. La pelle era blu, secca e screpolata, percorsa da crepe nonostante il viscidume che forse doveva servire a proteggerla; e anche se erano a diversi metri di distanza potevano entrambi sentire il freddo che quella figura emanava.
E aveva ricominciato a nevicare nonostante, almeno teoricamente, fossero al chiuso.
La creatura si esibì in un sorriso malvagio mettendo in mostra i denti aguzzi ed El decise che non gli avrebbe lasciato fare la prima mossa.
Evidentemente il Burattinaio era però avanti a loro ancora una volta: crepe cominciarono a formarsi nella parete di fondo della stanza finchè la breccia che era stata chiusa non si riaprì in tutta la sua grandezza davanti agli occhi increduli dei due ragazzi.
In quel momento Eleven avrebbe seriamente voluto mettersi a piangere: dove avrebbe trovato la forza per chiuderla una seconda volta?
Si sforzò di pensare al lato positivo: almeno non avrebbe dovuto aprirne una lei per rimandare indietro Mike.
“Corri!” urlò spingendo il ragazzo verso il varco in modo che la precedesse; lui eseguì l’ordine solo quando fu sicuro che anche El lo stesse seguendo.
“Scappare non vi servirà...” cantilenò il mostro iniziando a muoversi, seppur lentamente.
“Vai e non ti fermare, dobbiamo arrivare fuori” gridò la ragazza incitando Mike - in parte sollevato dal fatto che avesse usato il plurale – mentre lasciavano la stanza dei laboratori imboccando il corridoio per poi precipitarsi verso le scale.
Il sollievo però si esaurì subito nel momento in cui riuscì finalmente a raggiungere l’esterno dell’edificio: le porte blindate si chiusero con fragore alle sue spalle, ed Eleven era rimasta dentro.
Si gettò contro la porta senza pensarci due volte, battendoci sopra i pugni e urlando tutta la sua frustrazione.
In ogni caso anche solo provare ad aprirla sarebbe stata una battaglia persa visto che, non era difficile immaginarlo, era Eleven a tenerla chiusa.
Ma non poteva permetterle di sacrificarsi di nuovo, soprattutto perché era ben consapevole che le sue probabilità di sopravvivenza quella volta erano molto più ridotte.
 
Non si perse d’animo e cominciò a percorrere il perimetro dell’edificio nella speranza di trovare un’altra entrata che gli avrebbe permesso di tornare dentro. Dovette arrendersi al suo fallimento quando si ritrovò al punto di partenza con nient’altro da fare se non battere pugni poco convinti sulla porta.
Una ventata di aria fredda lo travolse mentre il terreno tremava bloccandolo momentaneamente, l’attimo dopo ebbe come l’espressione di stare sprofondando nel terreno.
Abbassando lo sguardo notò con orrore che era esattamente quello che stava succedendo: sembrava che qualcosa di tremendamente simile ad una breccia si fosse aperta sotto i suoi piedi e lui si stava lentamente scivolando dentro.
Cercò di liberarsi, ma più si muoveva più velocemente sprofondava.
Era già arrivato ai fianchi e non aveva idea di come fare per, letteralmente, tirarsi fuori da quella situazione.
“Eleven! ...El!” urlò sapendo che non sarebbe comunque servito a nulla.
L’attimo dopo era già completamente immerso nella consistenza viscosa della breccia cercando come poteva di trattenere il respiro per non soffocare.
 
 
 
‡‡‡
 
 
 
Il gruppo aveva appena superato i cancelli che circondavano i Laboratori quando la terra tremò sotto di loro. In una frazione di secondo l’intera strada si era trasformata in una breccia e loro vi erano già dentro fino al collo.
Fortunatamente tutto finì prima del previsto.
Avevano dovuto trattenere il fiato per diversi secondi quando alla fine erano stati completamente immersi, ma ora che si erano ritrovati a terra annaspando in cerca d’aria si accorsero che erano completamente asciutti, come se non fossero mai entrati in contatto con la melma della breccia, e l’ambiente intorno a loro sembrava essere stranamente... normale.
Tornarono sui loro passi per osservare da vicino gli edifici constatando che, effettivamente, qualsiasi traccia del Sottosopra sembrava essere completamente scomparsa, ma non ebbero molto tempo per guardarsi ulteriormente intorno visto che poco dopo qualcun altro aveva iniziato a tossire come se fosse rimasto in apnea per diverso tempo.
Luke, Will e Dustin gli furono addosso in un lampo: era Mike.
 
“Ragazzi, lasciatelo respirare” li ammonì Hopper avvicinandosi mentre Joyce abbracciava il ragazzo a sua volta.
Mike però non sembrava essere felice quanto loro per quegli ultimi sviluppi.
“El è rimasta indietro” commentò semplicemente.
Nessuno seppe cosa rispondere a quelle parole.
 
 
 
‡‡‡
 
 
 
Appena Mike era uscito all’esterno Eleven non ci aveva pensato due volte prima di sigillare le porta in modo che non potesse tornare indietro nonostante le sue proteste le avessero spezzato il cuore.
Era tornata sui suoi passi correndo; mossa che evidentemente il Burattinaio, rimasto indietro a causa della sua velocità limitata, non aveva previsto visto che era riuscita a passargli accanto nel corridoio senza che quello avesse il tempo di rendersi conto di quello che stava succedendo e attaccarla.
Ritornò nello stanzone sotterraneo da cui tutto aveva avuto origine e saltò di nuovo nella breccia tornando per l’ennesima volta nell’Upside Down.
Aveva immaginato che il mostro li avrebbe seguiti nel mondo normale: adesso doveva solo attirarlo di nuovo dove sarebbe dovuto stare.
La sua attesa ebbe termine quando un tentacolo emerse dalla breccia colpendola all’altezza dello stomaco e mandandola a sbattere violentemente contro il muro della versione Sottosopra della stanza.
Cercò di rialzarsi come meglio poteva mentre tanti lampi bianchi riempivano il limitare del suo campo visivo ma la creatura la precedette circondandole la vita con un altro tentacolo, sollevandola da terra e cominciando a farla sbattere su soffitto e pavimento.
Grazie ai suoi poteri riusciva a liberarsi anche se la cosa durava poco: ormai il Burattinaio aveva anche lui attraversato la breccia e come si liberava da un tentacolo subito ne arrivava un altro.
Focalizzò l’ultimo attacco sul mostro invece che solo su una delle sue estensioni.
Sembrò funzionare anche se rimase quasi senza fiato per la quantità di energia che aveva usato.
 
“Non puoi vincere questa volta...” bloccò la frase del Burattinaio colpendolo di nuovo e cominciando ad agire subito dopo per chiudere il varco.
Poteva percepire il sangue colarle dal naso per lo sforzo che stava, ma stava funzionando: la breccia si era ristretta fino ad occupare un’unica parete e ora era della grandezza di una porta.
Ancora un ultimo sforzo.
Un tentacolo si avvolse strettamente attorno al suo busto, ma nonostante quello la ragazza continuò a concentrare i suoi poteri su quel poco che era rimasto del varco: doveva chiuderlo a tutti i costi, e quella volta avrebbe fatto in modo che non potesse essere più riaperto.
Più aumentava l’energia che stava utilizzando più sentiva le forze venirle meno.
Ormai la breccia era di poco più di un metro di grandezza e per com’era la situazione non sarebbe mai riuscita a raggiungerla in tempo per passare dall’altra parte prima che si sigillasse del tutto.
 
Non avrebbe mentito: si era immaginata come sarebbe potuta essere la sua vita una volta che tutto si fosse concluso.
Magari lei e Hopper sarebbero potuti tornare a Hawkins, o Mike sarebbe potuto venire a Chicago per finire l’accademia di polizia. Magari avrebbero potuto finalmente stare insieme...
Ma tutto quello non aveva più importanza.
Se voleva un’altra conferma del fatto che lei e Mike non erano fatti per stare insieme l’aveva avuta, semplicemente non era destino.
Smise di opporre resistenza e il Burattinaio riuscì finalmente ad attrarla a sé mentre la breccia si chiudeva un’ultima volta intrappolandoli nel Sottosopra.
In realtà non sapeva neanche lei come aveva fatto, ma era sicura di essere riuscita a fare in modo che nessuna breccia sarebbe più potuta essere aperta.
Il silenzio più assoluto invase la stanza, lo sguardo di Eleven era tornato ad essere pericolosamente vuoto mentre il mostro ghignava, finchè la schiena della ragazza non arrivò a toccare il corpo del mostro e qualcosa esplose con una forte deflagrazione.
Se qualcuno avesse ascoltato attentamente di fondo a quel rumore avrebbe potuto sentire anche un urlo arrabbiato e allo stesso tempo disperato.
Contrariamente a qualsiasi aspettativa la breccia si riaprì di colpo sembrando scoppiare a sua volta: si espanse fino a raggiungere ogni angolo della stanza circondandoli, superò le porte, risalì i corridoi e scale e si riversò all’esterno continuando a dilagare come acqua sfuggita agli argini di una diga.
Qualcosa però andò storto e il tutto cominciò a collassare.
Il materiale di cui era costituita la breccia cominciò a ritirarsi, rapidamente come si era espanso.
 
Dall’altra parte la città era ritornata esattamente com’era prima: niente più neve, niente più edifici decaduti o paesaggio apocalittico.
Anche le persone erano riapparse nella stessa posizione in cui si trovavano quando il Burattinaio aveva esteso i suoi tentacoli per estendere l’Upside Down al mondo reale.
La loro espressione vuota sparì gradualmente lasciandoli a riprendere quello che stavano facendo come se nulla fosse successo: solo quattro ragazzi, un uomo e una donna sapevano esattamente – beh, più o meno – cosa fosse accaduto.
 
 
 
‡‡‡
 
 
 
Dopo che avevano finito di esaminare da cima a fondo gli edifici dell’Hawkins National Laboratory e non aver trovato la minima traccia di Eleven, Mike si era chiuso in un mutismo ostinato.
Sembrava di essere tornati indietro di undici anni.
Nessuno aveva commentato quando il ragazzo, una volta tornato al proprio appartamento, aveva stracciato un quaderno a quadretti, che nessuno degli altri tre aveva mai visto, che sembrava essere pieno di numeri.
Quando lo sguardo di Mike si era imbattuto nella radio di Dustin il proprietario aveva provveduto a metterla in salvo dalle grinfie del coinquilino: aveva la non tanto vaga impressione che se fosse riuscito a mettere le mani sopra al vecchio cimelio l’avrebbe come minimo buttato dalla finestra.
E forse l’aspirante poliziotto sarebbe nonostante tutto riuscito nel suo intento se la suddetta radio – momentaneamente appoggiata sul tavolo della cucina e sorvegliata a vista da Will e Lucas mentre Dustin cercava di farlo ragionare – non si fosse improvvisamente accesa cominciando a sintonizzarsi da sola.
 
E alla fine, tra un fruscio e l’altro, una voce incerta si fece sentire facendo trattenere il fiato a tutti i presenti.
 
 
 
 
 
 
 
“M-Mike?”













Io vi giuro che le buone intenzioni c'erano tutte, ma dopo il turno di ieri sono arrivata a casa e sono collassata sul letto senza neanche cenare.
Che dire, siamo arrivati alla fine... più o meno.
Questo sarebbe dovuto essere l'ultimo capitolo della storia: in qualche modo Eleven si fa risentire attraverso la radio, riescono a recuperarla in qualche modo e voi siete liberi di immaginarvi il finale da "e vissero per sempre felici e contenti" che più vi aggrada.
Oppure... aspettate un'altra settimana, mettede da parte un altro paio di maledizioni per l'autrice e restate con me per un ultimo capitolo ancora. A voi la scelta
(però dovete farmelo sapere perchè io ancora non sono diventata una telepate!).
I ringraziamenti di oggi sono per 
HermioneRiddle e  the winter soldier che hanno recensito lo scorso capitolo e, ovviamente, a tutti coloro che hanno seguito la storia fino a qui.
A lunedì prossimo! (E prometto che stavolta cercherò di essere puntutale nonostante tutto)
E.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 14
*** Chapter 13 ***


Chapter 13
 
 
 
Mike si precipitò sulla radio prendendola tra le mani schiacciando spasmodicamente il tasto per la comunicazione.
“Eleven? Eleven, mi senti?” domandò senza riuscire a cancellare quella traccia di speranza dalla voce.
Si sarebbe aspettato di tutto, ma non quello.
 
“Mike?”
La voce della ragazza chiamò di nuovo tremando come se stesse cercando di trattenersi dal piangere, ma sembrava... diversa.
Si sentirono dei rumori, come se si stesse muovendo con difficoltà.
“Miiike!”
L’urlo era stato disperato e i presenti trattennero il respiro.
Non ci volle loro molto per capire a cosa stavano assistendo: la voce suonava diversa perché aveva un’impronta molto più giovane, e Mike se la ricordava bene...
Nessuno sapeva come fosse possibile, ma in qualche modo stavano ascoltando un eco di quello che era successo quando Eleven era rimasta nell’Upside Down undici anni prima dopo aver sconfitto il Demogorgon.
Joyce stava trattenendo i singhiozzi con Hopper che cercava di consolarla seppur apparisse sconvolto a sua volta: Jane gli aveva raccontato quello che era successo, ma sentirlo in quel modo aveva turbato profondamente anche lui.
I ragazzi erano a dir poco pietrificati, le espressioni sofferenti.
Mike continuava a guardare la radio come ipnotizzato mentre lacrime gli rigavano le guance.
Non voleva crederci, non poteva essere vero. Non di nuovo come l’ultima volta.
Ma era davvero uguale? Avrebbe davvero sperato che Eleven fosse in qualche modo sopravvissuta anche quella volta?
E quando gli anni avrebbero cominciato a passare avrebbe semplicemente dimenticato?
 
Era stato uno stupido: l’unica sera che avevano passato insieme, dopo che la vera identità di Jane era stata rivelata, l’aveva trascorsa con il broncio chiuso in camera. Senza contare le cose orribili che le aveva detto prima.
Certo, quando ai laboratori le aveva parlato e l’aveva baciata per liberarla era stato sincero, ma poteva essere sicuro che El fosse riuscita ad ascoltare?
Se ripensava a quel bacio gli veniva voglia si sbattere la testa contro il muro: era così che avrebbe voluto trascorrere la serata con lei. Se fosse stato meno orgoglioso e più ragionevole forse la ragazza non avrebbe ritenuto necessario andare ad affrontare il Burattinaio da sola e magari le cose sarebbero potute andare diversamente.
Nella sua testa tutti quei pensieri vorticavano inquieti traducendosi alla fine in sole quattro parole: è tutta colpa mia.
 
Quando finalmente la radio si spense a tutti ci vollero diversi minuti per riprendersi.
“Forse è meglio se andiamo” esordì quasi timidamente Joyce tirandosi dietro Hopper che aveva ancora lo sguardo perso nel vuoto riportandolo al presente.
Will guardò i suoi amici: “Vi dispiace se...”
“Vai tranquillo” lo rassicurò Lucas. “Ci pensiamo noi qui...”
Il moro appoggiò una mano sulla spalla del migliore amico abbozzando un sorriso, debolmente ricambiato, prima di seguire la madre.
“Andate anche voi ragazzi. Sono sicuro che Max e Louise saranno preoccupate, io posso cavarmela da solo” aggiunse Mike sorprendendoli.
I due lo guardarono non senza una certa preoccupazione.
“Ne sei sicuro?” domandò Dustin incerto. Non sapeva se lasciarlo senza sorveglianza fosse una cosa furba da fare.
“Certo” rispose l’altro deciso. “E vorrei stare un po’ da solo in ogni caso, quindi...”
Seppur non del tutto convinti lo salutarono abbracciandolo a turno.
“Se dovessi cambiare idea non esitare a chiamare: sai dove trovarci, ok?” si assicurò Lucas poco prima di uscire.
Mike annuì e finalmente rimase solo.
Raggiunse la sua camera buttandosi di peso sul letto, chiudendo gli occhi quasi sperando di non svegliarsi più.
 
 
 
‡‡‡
 
 
 
Usciti dall’appartamento nessuno aveva aggiunto una parola, tutti ancora troppo presi a metabolizzare quello che era successo per dire altro.
Sapevano di stare facendo la figura dei codardi, ma in realtà nessuno sarebbe riuscito a restare con Mike sapendo che, in un modo o nell’altro, lui era quello che aveva perso di più.
In tutto quello Hopper si era sempre mostrato impassibile.
Al momento di separarsi aveva salutato Lucas e Dustin intimandogli di fare comunque attenzione e aveva riaccompagnato Will e Joyce a casa loro con la sua auto.
Quando i due aveva richiuso le portiere lui non aveva dato segno di voler scendere a sua volta dalla vettura.
“Jim...” Joyce aveva fatto il giro della macchina sporgendo una mano attraverso il finestrino aperto.
“Non... ci vediamo domani Joyce. Ho bisogno di stare da solo” ripetè le parole di Mike. “Non sparirò di nuovo, se è questo che ti preoccupa. Ho solo bisogno di un po’ di tempo...”
Guardando la luce dei fanali sparire in lontananza la donna si rese conto di quanto superficiale fosse stata.
Era stata talmente presa dalla preoccupazione per Will da non fermarsi a pensare a quello che alla fine dei conti Eleven era per l’ex sceriffo.
Lei non aveva perso suo figlio, ma non si poteva dire la stessa cosa per Hopper.
 
 
 
La casa in mezzo al bosco era tornata normale, il passaggio della breccia che aveva spazzato via l’Upside Down l’aveva addirittura rimessa a nuovo.
Ciò nonostante Hopper degnò a mala pena di uno sguardo l’ambiente che lo circondava dirigendosi spedito verso la camera che Eleven aveva occupato seppur per pochissimo tempo.
Eleven... Jane. La sua Jane.
 
Se all’inizio per recuperare la ragazzina era stato mosso da senso di dovere – dopotutto li aveva appena salvati tutti da un mostro fuori controllo – non si poteva certo dire che le cose fossero rimaste le stesse con il passare degli anni.
Si era affezionato a quel concentrato di energia dai capelli ricci come pensava non gli sarebbe più potuto succedere.
Il farla passare per sua figlia, che all’inizio era servito solo per evitare che la gente facesse troppe domande, era diventato motivo d’orgoglio per lui.
A chi commentava quanto dovesse essere fiero di Jane, lui non poteva fare altro che dichiararsi d’accordo.
Perché Eleven era diventata sua figlia in tutto e per tutto... e adesso aveva perso anche lei.
 
Spostando le coperte del letto rinvenne un maglione che nella fretta doveva essere sfuggito alla ragazza quando aveva rifatto il borsone immaginando di essere stata scoperta. Lo prese tra le mani e finalmente lasciò andare quelle lacrime che aveva trattenuto fino a quel momento.
Non aveva potuto mostrarle prima, era dovuto rimanere forte per gli altri, ma adesso che non c’era più nessuno a vederlo poteva permettersi di crollare.
Non aveva mentito a Joyce: non sarebbe sparito, almeno non subito e non senza avvisare, ma in cuor suo sapeva che se avesse mai voluto provare a rimettere di nuovo insieme i pezzi non sarebbe potuto rimanere a Hawkins – e quella volta dubitava che avrebbe mai fatto ritorno.
 
 
 
‡‡‡
 
 
 
Quando si era sentita tirare verso il Burattinaio Eleven non aveva neanche provato ad opporre resistenza: ormai la breccia si era richiusa, non aveva senso continuare a combattere, era tutto finito.
Povera illusa.
Sentì il mostro pronunciare nella sua mente.
Questo è solo l’inizio.
La sua schiena aderì contro il corpo della creatura e lei sgranò gli occhi, pur imponendosi di non emettere un suono: bruciava da morire, le sembrava che il mostro stesse cercando di fondersi con lei in modo diverso da quanto aveva fatto fino a quel momento e non poteva fare nulla per ostacolarlo.
Sentì la sua volontà abbandonarla inesorabilmente e riuscì a percepire chiaramente il mostro sorridere mentre, facendo uso dei suoi poteri, riapriva la breccia che, al contrario delle volte precedenti, non si fermò ai limiti della stanza.
A mala pena cosciente a se stessa Eleven la sentì espandersi fuori dai Laboratori, trasformando in Upside Down qualsiasi cosa incontrasse nel suo cammino.
Il bosco, gli animali, le strade e gli edifici della città, Joyce e i ragazzi... Hopper... Mike...
Urlò.
Con quanto fiato aveva in gola, liberando ogni briciola di potere che le era rimasto, non le importava. Quella storia doveva finire.
Aveva pensato di poter sigillare il Sottosopra e imprigionare il Burattinaio una volta per tutte, ma se ciò non era possibile allora avrebbe smesso di usare mezze misure: li avrebbe distrutti entrambi anche a costo di andarci di mezzo lei stessa.
Ormai era davvero senza forze, riuscì appena a percepire che qualcosa era cambiato nella breccia, qualcosa che doveva essere positivo per lei visto l’improvviso disappunto del Burattinaio, e si lasciò andare facendosi avvolgere dalle tenebre.
 
 
 
Era strano.
Riprese finalmente conoscenza, ma ci mise un po’ a riconoscere dove fosse: era dentro la scuola di Hawkins e... aveva di nuovo undici anni.
Si sentiva esausta. Certo, aveva appena sconfitto il Demogorgon e salvato i ragazzi... Mike!
Non si era neanche accora di stare urlando quel nome a pieni polmoni mentre cercava una via d’uscita da quell’incubo.
Forse oltre quel corridoio... eccola, la breccia che stava cercando.
La attraversò con fatica, trovandosi però ancora più confusa una volta arrivata dall’altra parte.
Quello non era più l’interno dell’edificio scolastico.
Aveva di nuovo ventitrè anni ed era in un bosco.
Gli alberi svettavano alti e minacciosi attorno a lei, i rami scricchiolavano sinistramente e in lontananza poteva sentire il rumore di un temporale che presto si sarebbe rovesciato su di lei.
La testa le girava mentre la vista cominciava ad appannarsi.
Cercò di calmarsi, ma come poteva?
Quei rumori, quei fruscii... li riconosceva: probabilmente era circondata da Demogorgon e creature varie che stavano solo assicurandosi che fosse inoffensiva prima di passare all’attacco.
Non era servito a niente, era ancora nel Sottosopra.
 
Barcollando raggiunse l’albero più vicino sedendosi sulle sue radici appoggiando la schiena contro il tronco. Chiuse gi occhi abbandonando la testa all’indietro.
Era stanca di combattere.
Mentre aspettava l’attacco un solo ultimo pensiero, un’unica parola ripetuta nella sua mente come una preghiera: “Mike!”













Ehm... salve!
No, non avete le allucinazioni, nella descrizione della storia non è apparsa la dicitura "completa" che vi aspettavate.
Come ho detto a qualcuno, la sottoscritta non ha mai avuto un buon rapporto con la matematica e ad un certo punto devo aver sbagliato qualche calcolo... 
Scherzi a parte, l'altro giorno stavo rileggendo il capitolo ed ero tipo "No, cos'è sta schifezza? Non posso mica rifilargli una roba del genere come finale" e una cosa tira l'altra e... l'ho cambiato quasi completamente e voi vi beccate un altro cliffhanger prima dell'epilogo vero e proprio. Stavolta basta errori, il prossimo sarà davvero l'ultimo capitolo della storia.
Tanto per cambiare anche questa settimana i miei turni fanno schifo quindi... vedrò se riesco ad aggiornare un po' prima visto tutto quello che vi ho fatto aspettare, ma non voglio fare promesse (anche perchè in realtà l'epilogo non l'ho ancora finito e quando lavori dodici ore e mezza al giorno trovare il tempo per scrivere è un po' difficile).
Nel peggiore dei casi resta il normale appuntamento per lunedì prossimo, non disperate.
I miei più sentiti ringraziamenti a 
the winter soldierDemaDema e HermioneRiddle che hanno recensito lo scorso capitolo.
Alla prossima!
E.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 15
*** Epilogue ***


Non mi piace e non escludo di poter apportare qualche (minima) modifica in futuro, spero in ogni caso che non sia un completo disastro.
E.





 
[Raggiunse la sua camera buttandosi di peso sul letto, chiudendo gli occhi quasi sperando di non svegliarsi più]
 
 
 
Epilogue
 
 
 
Qualcosa lo disturbò invece nel cuore della notte.
Era lo stesso rumore che aveva fatto la radio quel pomeriggio, solo più forte visto che riusciva a sentirlo distintamente dalla sua camera da letto.
Cosa diavolo stava succedendo? Magari si stava solo sognando tutto.
L’opzione venne tempestivamente scartata quando urtò il fianco contro la maniglia della porta e una scarica di dolore si irradiò dalla parte lesa fin giù lungo la gamba.
Era decisamente sveglio, stabilì.
Quello però non gli impedì di rimettere la cosa in discussione quando finalmente arrivò in salotto.
La radio di Dustin, ancora sul tavolo, stava effettivamente emettendo il caratteristico rumore di quando veniva sintonizzata, ma non era l’unica.
Anche la televisione versava nelle stesse condizioni e pure dal telefono appeso alla parete proveniva il tipico suono di elettricità statica.
Non capiva.
Si avvicinò lentamente alla tavola, allungando incerto una mano verso la ricetrasmittente.
Gli bastò sfiorarla e il silenzio cadde nella stanza.
A quel punto la prese in mano cercando di dare un senso a quello che stava succedendo: l’interruttore della radio era ancora in modalità di accensione, com’era possibile che non emettesse più alcun suono?
Esaminò la tv che appurò essere effettivamente spenta, ma fu quando si avvicinò al telefono, sulla stessa parete della porta d’ingresso vicino al citofono, che la radio riprese vita.
Mike si fermò stranito.
Tornò sui suoi passi verso la televisione e di nuovo fu silenzio.
Si diresse nuovamente verso il telefono e la radio ricominciò a fare rumore, che si manteneva se andava verso la porta d’ingresso, affievolendosi invece se tornava indietro.
Che stesse in qualche modo cercando di guidarlo da qualche parte?
Afferrò la giacca al volo e uscì di casa.
 
Sembrava che la radio si stesse comportando da bussola: sapeva che stava andando nella giusta direzione se restava accesa, se il suono cominciava a scemare doveva aggiustare la rotta.
Non represse il brivido che gli corse lungo la schiena quando realizzò che stava procedendo dritto verso il bosco, ma qualsiasi cosa stesse succedendo non poteva tirarsi indietro adesso.
Aveva appena superato i primi alberi cominciando ad addentrarsi nella vegetazione quando cominciò a piovere.
Un tuono lo fece sobbalzare mentre cercava come poteva di proteggere la radio - che ancora emetteva segnale - dall’acqua, e si rese conto che quel sentiero non tracciato che stava percorrendo non gli era del tutto nuovo.
Era la stessa zona dove, undici anni prima, lui e i ragazzi erano andati a cercare Will dopo la sua scomparsa disubbidendo agli ordini dei loro genitori.
Avrebbe potuto scommettere che quella fosse esattamente la stessa strada che avevano percorso cercando di ritrovare il loro amico sotto l’acquazzone, finendo invece per trovare...
 
Un lampo squarciò il cielo illuminando il bosco per un istante, ma fu sufficiente.
Seduto sotto l’albero a qualche metro davanti a lui c’era qualcuno.
 
Era seduta con le gambe incrociate, le mani in grembo, la schiena appoggiata al tronco e la testa buttata all’indietro.
Le fronde dell’albero non erano abbastanza fitte per impedire il passaggio della pioggia che le bagnava capelli e viso colando lungo il collo, lavando via in parte il sangue che vi si era seccato.
Un secondo lampo schiarì la notte per una frazione di secondo permettendogli di distinguere la sua espressione contratta come se, nonostante le sue condizioni, si stesse ancora sforzando di fare qualcosa.
Avanzò di un passo, ancora incredulo di quello che vedeva, lasciando cadere senza neanche accorgersene la radio che ormai sembrava impazzita.
La ragazza davanti a lui emise un gemito, una goccia di sangue le colò dal naso e l’impasse che si era creata si ruppe al rombo di un altro tuono.
 
 
 
“Eleven?”
La ragazza sussultò ma non aprì gli occhi, al contrario sembrò concentrarsi ancora di più.
“Eleven, basta! Sono io. Sono qui” le si era inginocchiato davanti appoggiandole le mani sulle spalle.
“M-Mike?” domandò titubante. Aveva cominciato a singhiozzare, le lacrime che si mescolavano alle gocce di pioggia.
 
Quella voce, la sua voce, le diceva che era lì con lei.
Ma come poteva? Avrebbe avuto il coraggio di seguirla e scoprire che non era che l’ennesimo inganno dell’Upside Down, del Burattinaio?
Dopotutto era riuscito a farla tornare indietro, alla primissima volta in cui aveva cercato di mettere le sue grinfie su di lei: fino a quel momento era rimasta convinta che passare attraverso quella breccia nella scuola l’avesse portata in un’altra parte del Sottosopra, che il mostro avesse trovato il modo di imprigionarla per sempre.
E se invece fosse davvero riuscita a batterlo?
Se fosse stata lei a chiudere definitivamente il circolo tra passato e presente scendendo nell’Upside Down un’ultima volta, prima di lasciarselo definitivamente alle spalle?
Il ritrovarsi nuovamente undicenne solo l’ultimo disperato colpo di testa del Burattinaio per confonderla e trattenerla; un eco di quello che era stato anni prima che sarebbe dovuto servire a condurla direttamente da lui nella vana speranza che, se avesse rifatto tutto da capo cambiando le cose, i suoi amici sarebbero stati lasciati in pace.
 
“Sono qui El. Apri gli occhi” le accarezzò una guancia. “Siamo qui. Insieme. Niente più burattinaio, niente più Sottosopra. Solo noi” aveva appoggiato anche l’altra mano sul suo viso protendendosi appena verso di lei, i loro volti uno davanti all’altro.
 
La voce continuava a parlare, a cerca di indurla a lasciare quell’oscurità che per lei era diventata quasi rassicurante.
Suonava così convincente, e quel leggero tocco ai lati del suo viso pareva così reale...
Dimostrami che sei davvero tu, Mike. Dimmi qualcosa che quel mostro non può sapere, parlami di qualcosa che non può capire.
Provami che sei davvero tu e non l’illusione di una ragazzina che aveva appena cominciato a capire cosa vuol dire amare ed essere amata...
 
“Sta succedendo davvero, El. Non so come tu abbia fatto, ma sei tornata anche questa volta. Sei la persona più incredibile e forte che abbia mai conosciuto e io... io ti...”
Le parole si spensero prima che potesse concludere la frase nel momento in cui la ragazza, ancora con gli occhi chiusi, si sporse in avanti facendo combaciare le loro bocche.
 
La sensazione delle labbra del ragazzo non svanì come si era aspettata.
E allora, solo quel punto, Eleven spalancò finalmente gli occhi.
Era tutto vero.
 
Dopo undici anni, quattromila e sette giorni; dopo essere andati ancora una volta nel Sottosopra e averlo nuovamente sconfitto, quello che Eleven aveva sempre immaginato era diventato realtà.
Il bosco, la pioggia che stava lentamente cominciando a diminuire, lei e Mike che si abbracciavano promettendosi silenziosamente di non lasciarsi andare mai più: una realtà per cui aveva lottato e sulla quale non avrebbe più chiuso gli occhi.
 
 
 
 
 
 
 
Fine












 
Se devo essere sincera non so proprio cosa dire.
Scrivere questa storia è stato qualcosa di inaspettato quasi quanto il seguito che ha avuto.
Visto che quindi non so da dove partire inzio con i ringraziamenti.
Grazie a tutte le persone che hanno seguito/preferito/ricordato questa storia, ai lettori silenzioni e un GRAZIE di cuore a coloro che hanno dedicato qualche minuto del loro tempo per lasciare una recensione: HermioneRiddlethe winter soldierDemaDemaClarrianne DonavonElgul1BeatrixSinggfriendsdontlieSephila815HarukaTenoh27 e  MiMiMiki... sto parlando di voi. Potrà sembrare banale e ripetitivo ma i vostri commenti sono stati davvero di grande aiuto e motivazione.
Mettere la spunta sulla casellina "completa" è qualcosa a cui ancora non mi sono abituata nonostante abbia un paio di storie ultimate alle spalle, e ogni volta che ne concludo una e ripenso a quando l'avevo appena iniziata mi fa sempre uno strano effetto (che può variare tra "oddio quante cavolate ho scritto" e "sono fiera di me stessa per essere riuscita a portare a termine anche questo progetto).
Concludendo (mi sembro mio padre che lo dice e poi va avanti a parlare per un'altra mezz'ora...) spero che la storia vi sia complessivamente piaciuta (spererei anche il finale ma non vorrei chiedere troppo) e se qualcuno dovesse sentire la mia mancanza - sì, come no - è il benvenuto a dare un'occhiata al mio profilo.
Un ultimo, sentito grazie a tutti.
Alla prossima storia
Elisa


 

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3731193