विरह - Don't take away my sunshine

di Marysia Lukasiewicz
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** मैं तुम्हें प्यार करता हूँ ***
Capitolo 2: *** मुझे मत छोड़ो ***



Capitolo 1
*** मैं तुम्हें प्यार करता हूँ ***


Premessa, premessina: raramente scrivo qualcosa prima di una storia, ma stavolta penso sia doveroso fare un attimino il punto della situazione. Prima di tutto ci tengo a sottolineare che non è mia intenzione far passare il loro rapporto come un qualcosa di puramente romantico, anche se ci saranno riferimenti al loro desiderio di vivere una relazione più intima. A mio avviso l’amore che gli unisce va ben oltre la nostra concezione di coppia, è una cosa piuttosto particolare e non so quanto sia riuscita a farlo apparire nel corso dei capitoli, dato che sono una mentecatta. Poi ci saranno alcuni riferimenti, principalmente nel terzo e ultimo capitolo, alla religione induista, alla reincarnazione, al sistema delle caste e alla felicità dell’anima. Nulla di che, non me la sento di toccare troppo argomenti religiosi, ma pensavo fosse corretto avvertire, anche in caso alcuni passaggi non fossero chiari. Detto ciò, vi lascio leggere in pace e torno a coltivare carote.
 
मैं तुम्हें प्यार करता हूँ
“Questa è l’esecuzione del figlio di coloro che presiedono la casta dei Brahmani,
Arshad.”
Gli occhi vuoti e spenti del condannato non cercavano pietà, non speravano in alcun tipo di attenzione. Non sembrava particolarmente scosso da quelle parole, non aveva rivolto neppure uno sguardo alla folla o ai suoi giustizieri. Teneva la testa china, ma non sembrava vergognarsi, non cercava di nascondersi e neppure di sembrare pentito. Il corpo nudo e umiliato, esposto allo sguardo giudizioso dei cittadini infuriati, che altro non attendevano che veder penzolare quella bestia come un pezzo di carne al macello. Non sembrava spaventato, non temeva il cappio che gli cingeva minacciosamente il collo, non temeva né il dolore né il giudizio degli dei. Non provava nulla, se non impazienza, non vedeva l’ora che tutto quello finisse. Aveva atteso quel momento per anni, ma non aveva mai trovato il coraggio di consegnarsi alla morte con tanta freddezza. Non aveva motivo di rimanere in quel mondo che non lo desiderava, non aveva paura di essere condannato da dei in cui si rifiutava di riporre la propria fede. La pelle viola di lividi non faceva più male, il brusio della folla si era affievolito sempre di più, fino ad abbandonarlo nel silenzio tombale del suo destino. Se non si sarebbe agitato troppo sarebbe stata anche una morte abbastanza rapida, un’esperienza neppure tanto ripugnante. Strinsero la corda attorno al suo collo, i lunghi capelli argentati gli ricaddero sulle spalle a coprire i segni vergognosi delle violenze a cui si era sottoposto prima di accettare la pena. Emise un sospiro ed attese. E mentre il sole calava sulla riva del Gange in attesa di portarsi via quell’anima peccatrice, capii che era il momento di tirare via quel cane bastonato da quella situazione.
 
Ancora non ti eri abituato allo scorrere dei giorni inglesi. Il tempo fluiva inesorabile, ad intervalli regolari, allo stesso ritmo di quello bengalese, ma nel cielo raramente si vedeva sorgere il sole a scandire il terminare della notte. Come facessero ad accorgersi dell’arrivo del mattino ancora non l’avevi capito, il cielo variava solamente da un nero profondo ad un grigio vagamente più chiaro, le nuvole avvolgevano quella misteriosa terra come veli delicati sul corpo di una giovane vergine graziosa e pura. Il giungere della notte era ancor più misterioso ai tuoi curiosi occhi, non accettavi l’idea che in Inghilterra non vi fossero stelle nel cielo. A volte ne parlavi a Ciel, gemme brillanti nel cielo bluastro, gioielli ancor più belli dei diamanti e ben più luminosi, che tanto facevano invidia alla meno splendente e bella luna. Ti diceva sempre che le stelle nel cielo inglese c’erano, ed erano le stesse che amavi tanto osservare in bengala, solo che a Londra non si potevano vedere. Quale mistico maleficio impedisse ai cittadini di bearsi delle luci del cielo notturno ti era sconosciuto, ma piuttosto avevi imparato a conoscere i loro ben più fastidiosi escamotage. Quella sera la cena era stata consumata e il letto curato, le lenzuola frasche ti aspettavano nella tua stanza, avevi gli occhi stanchi da una giornata intensa. Ma quella luce, che poco aveva a che fare con quella dolce e delicata delle stelle, continuava ad illuminare la tua stanza in un giorno artificiale, come se il tramonto non fosse mai giunto, come se il dì e la notte inglesi fossero stranamente invertiti. Il giorno e la notte inglesi sembravano fusi, c’era baccano a tutte le ore, la gente sembrava non dormire mai, la notte era anzi più luminosa del dì. Quella sera ti sembrò che ogni tua convinzione fosse ormai svanita, perché l’Inghilterra era tutto un altro mondo rispetto al Bengala. Avevi bisogno di ordine, di calma, quella strana notte non aiutava. In quel letto non tuo sentivi la mancanza della tua realtà, della tua quotidianità. Avevi il bisogno di sentirti a casa.
- Agni. – sollevasti lo sguardo, lui si voltò immediatamente sentendosi chiamare. Il tuo fedele, nobile e attento khansama, il migliore che tu potessi pretendere, fin troppo meraviglioso per meritarsi un principe capriccioso come te. Tenevi a lui come tenevi alla tua vita, o magari anche di più. La tua esistenza era basata sulla sua e viceversa. Sapevi che avrebbe fatto tutto per te, anche ciò che era umanamente e fisicamente impossibile, o che quanto meno ci avrebbe provato. Era la tua casa, era il tuo giaciglio, era la tua famiglia, era tutto ciò che tu potessi desiderare. E non avevi vergogna a chiedergli nulla, non a lui, non a l’unica persona al mondo che avrebbe sacrificato tutto di sé per te senza pretendere nulla in cambio, senza essere costretto. Ti sorrise, come faceva sempre, quel sorriso che non apparteneva né agli umani, troppo ingordi e crudeli, né agli dei, che erano superbi e fin troppo potenti. Era un sorriso che apparteneva solo ad Agni, che era gentile e umile, che era forte e servizievole, che ti voleva bene senza che nessuno glielo imponesse. – Queste luci sono fastidiose. –
Il khansama esitò, il sorriso gentile e calmo non scomparve mai dal suo viso. Non era la prima volta che ti lamentavi della luce dei lampioni, che splendeva di un calore troppo soffocante per le ore notturne. Aveva già tirato le tende prima che tu potessi lamentartene di nuovo, la stanza ora era quasi completamente buia e di certo quella poca luce che penetrava dalle finestre non era tanto fastidiosa da impedirti il sonno. Te ne eri accorto, aveva fatto un buon lavoro, aveva trovato delle tende meravigliose, un tessuto leggero e morbido ma che non lasciava trasparire quasi nulla da fuori. Faceva sempre un buon lavoro, più di molti altri maggiordomi, e tu ne eri fiero. Eri fiero di avere il migliore al tuo fianco, un khansama esemplare, nessun altro al mondo aveva un Agni. Ed eri così felice di averlo che non avresti mai voluto lasciarlo andare, neppure quando il suo lavoro era terminato. Proprio come un tempo avevi fatto con Mina, l’avevi esasperata fino al punto di farla fuggire, avevi approfittato della sua disponibilità fino a ferirla e a rimanere solo. Non volevi fare lo stesso errore con Agni, non volevi che anche lui ti lasciasse, non volevi tenerlo prigioniero tra le tue ingorde braccia fino a farlo appassire. Eppure non riuscivi a fare a meno di lui, non riuscivi a far a meno di chiamare il suo nome, non riuscivi a far a meno di averlo vicino. La stanza era buia ormai, ma tu lo vedevi ancora, sembrava illuminato da una flebile luce biancastra, ai tuoi occhi brillava di vita propria. Stava in piedi, sull’uscio della porta. Era sul punto di andarsene, ma tu l’avevi chiamato e non poteva lasciarti solo se avevi ancora bisogno di lui. Aveva il viso stanco, gli occhi risplendevano come due gioielli grigiastri nella notte. I londinesi non potevano vedere le stelle la notte, ma tu ne avevi portate due direttamente dalla tua terra, due splendide comete che brillavano solo per te e per nessun altro. Si avvicinò al tuo letto, l’espressione preoccupata in volto, il sorriso si fece più sottile sulle sue labbra. Non aveva distolto gli occhi dai tuoi, quel contatto delicato e dolce che vi univa non si era mai spezzato, neppure quando i suoi occhi e la sua voce erano lontani.
- Principe Soma… - aveva la voce matura di un uomo, era calda e accogliente, era una melodia infinita che ogni giorno ti accompagnava, ti faceva sorridere, ti divertiva, ti faceva sentire protetto. – Mi dispiace, non ho potuto fare altro…- era sconsolato, abbassò lo sguardo come facevano i servi quando venivano rimproverati, chinò il capo come in attesa di un qualche giudizio. Volevi rimangiarti quell’inutile lamentela, sapevi che aveva fatto un lavoro meraviglioso, ma non avevi il coraggio di chiedergli ciò che davvero volevi. Appena l’avevi visto accingersi verso la porta una morsa soffocante ti aveva attaccato lo stomaco, ed improvvisamente la notte si era fatta più fredda. Volevi solo che restasse lì un pochino di più.
- Stammi vicino… - Agni esitò, la voce faceva fatica ad uscirti di bocca. Avevi sempre chiesto tutto al tuo khansama, eppure sembravi quasi vergognarti a porgere questa richiesta. – Stai qui finché non mi addormento. – volevi sembrasse un ordine, non una supplica, ma ad Agni non riuscivi a nascondere nulla di ciò che ti passava per la testa, di ciò che ti ardeva dentro. Era come se foste un’unica creatura che qualche Dio crudele aveva deciso di spezzare, due tasselli di uno stesso mosaico che assieme prendevano forma, tu avevi bisogno di lui come lui aveva bisogno di te. Capì che nelle vostre parole c’era una timida richiesta e vi accontentò senza indugiare, come aveva sempre fatto e come avrebbe continuato a fare.
Si sedette al vostro fianco e finalmente ti infilasti sotto le coperte. Agni non aggiunse nulla, rimase lì, con la sua dolce presenza, con la sua luce unica e calda, ad accompagnarti nel sonno con dolci carezze tra i capelli. Ti piacevano tanto e lo sapeva. Sapeva tutto di te, per lui eri un libro aperto. Ti piaceva farti toccare i capelli da lui e solo da lui, che aveva le mani sacre donategli da dio. Sorrideva ancora, quel sorriso sottile e gentile, quel sorriso fresco e delicato. Agni era tutto ciò che potevi desiderare, in ogni luogo, in ogni momento, in ogni situazione, quel sorriso era la sua benedizione. Stava in silenzio, ma tu volevi sentirlo parlare, volevi sentire la sua voce ancora, come una ninna nanna, volevi sentirla fino allo sfinimento, volevi che ti rimanesse in testa anche nel sonno, volevi portarla nei tuoi sogni, così che fossero sempre innocenti e divertenti. Era il tuo tutto, era il tuo respiro, ogni battito del tuo cuore. Agni portava il nome del fuoco e ardeva, ardeva nel tuo cuore, ardeva in quella casa, in quella nazione, portava vita e prosperità ovunque andasse. Ti nutrivi di quella forza e ne facevi il tuo scudo, la tua gioia, perché per quanto fosse difficile lui era sempre lì ed ogni cosa sembrava possibile.
- Agni… - lo chiamasti ancora, perché volevi sentirlo parlare. – Resta sempre con me. Non voglio che tu mi lasci solo. Anche quando siamo separati, non dimenticarti di me. – istintivamente gli prendesti la mano, solo per sentirlo ancora più vicino. Le vostre dita si intrecciarono, lui ricambiò la stretta con leggerezza e cura. Le fasce che l’avvolgevano rendevano quel tocco più sofferente, avresti voluto strapparle via, per sentire il vero Agni, per averlo tutto per te.  
Il khansama si lasciò sfuggire un sospiro quasi malinconico, lasciò la tua mano e avvicinò timidamente le dita al tuo viso. Nel tuo stomaco sentivi il battito di ali di centinaia di farfalle, un formicolio strano ti pervase il corpo, mentre nel buio continuavi a cercare i suoi occhi. Iniziò ad accarezzarti il volto con una dolcezza che mai avevi conosciuto prima. Quella sensazione soffocante, quel vuoto che si apriva dentro di te ogni volta che lo sentivi così vicino, non era la prima volta che lo provavi. Agni era per te un qualcosa si superiore ad un mero servitore, ancor più di un amico, di un confidente, di un fratello… ancor più di un amore mai confessato. Era un qualcosa che andava oltre il tuo pensiero fisico, qualcosa di più profondo e divino. Esitavate entrambi, sapevate benissimo che quella situazione era sbagliata, che tutta la profondità del vostro rapporto era inusuale per un principe e per il suo servitore. Un khansama è un mero servitore, non un platonico amore divino. Un principe è una carica terrena, inferiore a quella degli dei, non un qualcosa da venerare, non un qualcosa per cui sacrificare la propria interiorità. Lo sapevate. Agni si avvicinò al tuo viso, tremava come se fosse in preda ad un’agonia che tu neppure potevi comprendere. Volevate toccarvi, ma non potevate, quel dolore lo conoscevi anche tu. Ti sarebbe stato accanto, non ne avevi il minimo dubbio, non ti avrebbe abbandonato. E tu lo amavi per questo.
- Jo ajna.- e ti lasciò un bacio sulla fronte, come fa una madre col suo bambino. Non potevi chiedergli altro, seppur entrambi lo volevate più di ogni altra cosa. Volevate stringervi, essere l’uno parte dell’altro, volevate che le vostre anime fossero una cosa unica. Volevi sentire il suo respiro sulla tua pelle, ma quel bacio innocente ti bastava. Ti bastava che fosse lì per te e a lui bastava vederti felice, saperti al sicuro.
Ti sarebbe stato accanto perché avevi bisogno di lui tanto quanto lui aveva bisogno di te. E anche lui ti amava per questo.
Ti sarebbe stato accanto sempre. Sempre. Non ti avrebbe lasciato solo, principe Soma.

“Hey tu.”
La folla si ammutolì in un momento quando sentirono la mia voce, la voce del loro nobile e potente principe. Le guardie esitarono, nessuno osava guardarmi negli occhi.
“Ho sentito che sei una creatura selvaggia, che hai la forza di una belva indomabile.”
Il condannato non rispose, ma sollevò lo sguardo e, incurante di ogni punizione, mi guardò dritto negli occhi. Aveva uno sguardo assente, indecifrabile, mi piacque fin da subito.
“Da oggi sarai il mio compagno d’allenamento.”
Ogni mio capriccio era un ordine, consideravo quelle mie parole intoccabili, eppure i soldati non la pensavano in questo modo.
“Principe, non può farlo, quell’uomo deve morire.”
Ma io non ero interessato a quell’uomo, non a quel criminale peccatore che si era guadagnato la condanna più severa e temuta. Ero interessato all’ardore che sentivo bruciare dentro di lui, a quel fascino magnetico che non ero riuscito ad ignorare mentre lo mettevano alla forca. Ero interessato all’uomo che sarebbe stato, all’uomo che avrei fatto sorgere dalle ceneri di un passato che avevo il potere di perdonare.
“Dunque io farò così.”
E senza che lui avesse il coraggio di impedirmelo, lo uccisi e lo feci rinascere. Tirai fuori il pugnale e lo privai di ogni suo legame con i propri peccati. Tagliai la corda e i capelli e vidi sorgere nei suoi occhi una nuova speranza.
“La persona che eri prima di oggi è morta, qui sei rinato con un nuovo nome ed una nuova vita.
Va bene, Agni?”
Entrambi i nostri cuori persero un battito, per poi riprendere a pulsare con lo stesso ritmo alla stessa identica frequenza. Nei suoi occhi vedevo riflessa l’immagine di un Dio gentile, le sue mani congiunte e le labbra tremanti erano in adulazione.  

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Capitolo 2
*** मुझे मत छोड़ो ***


Davi sempre tutto per scontato. Non ti sei mai preoccupato della purezza delle cose, non ti sei mai curato di preservare la bellezza di ciò che ti circonda. Eri un principe e come tale eri convinto che tutto ti fosse dovuto, tutto e tutti. Il sorriso di Agni era la tua quotidianità, era puntuale come il cantare del cardellino la mattina, come il sorgere e il tramontar del sole. Era un qualcosa che c’era sempre stato, faceva parte dell’ordine della tua vita. Un mondo senza il sorriso di Agni valeva quanto un cielo senza luna, un mare senza onde. Non davi valore a quel gesto splendido, a quella visione brillante, avevi imparato a dare per scontato anche questo, come davi per scontato il tuo respiro o il battito del tuo cuore. Se avessi saputo, però, che quella sarebbe stata l’ultima volta che lo vedevi sorridere, avresti imparato ad apprezzarne l’unicità e la preziosità.
- Vorrei restare in Inghilterra ancora per un po’… Ti va bene, Agni? – quella frase ti rimbombava nella testa, urlata da voci sconosciute e assordanti, ti soffocava e ti confondeva. No, non andava bene, non andava bene per nulla. Sei solo un egoista, Soma, un bambino viziato. Avresti dovuto prenderlo per mano e scappare via in quello stesso momento, avresti dovuto riportarlo in India con te, avresti dovuto tenertelo stretto. Avresti dovuto guardare il tramonto sul Gange assieme a lui. Il tramonto nella vostra terra è mille volte meglio del tramonto inglese. Lui voleva solo proteggerti.
L’avevi condannato con il tuo egoismo, eppure ti sorrise ancora in tutta la sua onesta dolcezza. Congiunse le mani e si inchinò al tuo cospetto, la grazia tipica dei sacerdoti che scorreva nelle sue vene. Avresti voluto essere come lui, avresti voluto essere un Agni anche tu, proteggere il prossimo incondizionatamente, essere un cavaliere fedele ed umile, un compagno leale e sincero. Eri fiero di lui, della nuova vita che gli avevi concesso, eri fiero della sua forza e del suo coraggio. Eri fiero che tra tante persone bisognose nel mondo, il destino l’aveva concesso proprio a te, che non meritavi nulla se non il dolore che presto avresti imparato a conoscere.
- Jo ajna. – ti rispose con voce calda, le lacrime agli occhi come un bambino felice. Anche lui era fiero di te, Soma, più di quanto tu potessi anche solo sperare di immaginare. Se la tua volontà era di rimanere in Inghilterra, lui ti avrebbe assecondato. Ti avrebbe protetto, principe Soma, qualunque fosse la situazione, ti sarebbe stato accanto fino al giorno in cui avresti raggiunto il tuo obbiettivo. Il suo unico desiderio era avverare i tuoi. E sorrise ancora, un’ultima volta.
Quel sorriso che non sei stato capace di goderti fino alla fine, perché lo davi per scontato. Quel sorriso che amavi così tanto e che non avresti mai riavuto. Quel calore delicato che avrebbe presto lasciato spazio solo al gelo più intenso.
Avresti voluto abbracciarlo prima di andare ad aprire all’ospite appena giunto. Baciarlo per la prima ed unica volta, solo per non avere più quel maledetto peso sulle spalle. Avresti voluto stringerlo a te e non lasciarlo andare, avresti voluto essere più preparato e proteggerlo. Ma il male giunse da voi con una maschera familiare, nascosto nelle viscere di un corpo amico, nei lineamenti di un viso fanciullesco. E tu eri troppo ingenuo per poter anche solo immaginare ciò a cui stavi andando incontro. Non sapevi bene perché, ma prima di scendere ed aprire all’ospite ti voltasti a guardarlo, senza un apparente motivo. Lui non se ne rese conto, non gli dicesti nulla, ma rimanesti semplicemente a fissarlo per qualche attimo. Era spensierato, lo eravate entrambi, avresti voluto fermare il tempo e rimanere lì a fissarlo per tutta la vita. La luce fioca del sole invernale risplendeva sui suoi capelli argentati, adornandolo di sfumature uniche e preziose. Brillava della stessa luce delle stelle.
Quando ti ritrovasti davanti quel viso a te tanto caro, non ti aspettavi che avrebbe portato con sé un male tanto insopportabile. L’odore del thé, delle spezie, l’odore di casa che Agni aveva portato in Inghilterra riempiva calorosamente l’ingresso. La merenda era pronta, la giornata era tranquilla. Poi all’improvviso ti vedesti puntare alla testa quella maledettissima pistola. E lì tutto ti fu chiaro, quel giorno non te lo saresti dimenticato facilmente. Agni entrò nella stanza, urlava il tuo nome, aveva il volto terribilmente deformato dalla paura, dalla rabbia, dal vorace desiderio di proteggerti. Il tuo aggressore si voltò verso di lui, lo sguardo omicida di chi non aveva neppure la più misera traccia di pietà in corpo.
Agni non farlo.
Tu, che eri spaventato, paralizzato dalla testa ai piedi, che tremavi come una foglia appena nata in una tempesta inarrestabile, cercasti di difenderti, di allontanare quel pazzo. Volevi essere un Agni anche tu. Uno sparo, un suono sordo e maledettamente potente risuonò nella stanza in quel tranquillo pomeriggio di pioggia, un boato assordante che squarciò la paura. Agni non era stato ferito, eppure i suoi lineamenti dolci e delicati si contrassero ancor di più, il viso deformato dal dolore di saperti in pericolo. Solo dopo esserti assicurato che lui stesse bene, ti sei reso conto di quanto facesse male. Cadesti a terra, nella tua mano si era aperto un foro preciso e ampio, il sangue ti scorreva lungo tutto il braccio. Tremavi, non avevi mai provato un dolore tanto acuto e insopportabile. Urlavi come un bambino in preda al panico, umiliandoti, sconvolto da quella sofferenza inaspettata, spaventato da quell’aggressione violentemente spaventosa. Il sangue si riversò rapidamente a terra, sui tuoi abiti preziosi. Agni in quel momento cambiò, non solo dentro di sé, ma anche fisicamente. La rabbia, il rancore verso quel maledetto che aveva osato farti del male, che aveva osato ferire te, che eri il suo tutto e la sua felicità, lo avevano trasformato in una belva tanto affascinante quanto spaventosa.
Agni ho paura. Perché sta succedendo. Perché.
Non l’avevi mai visto così, non volevi si mettesse in pericolo. Liberò la mano, la sua arma più potente, quella mano gentile e delicata donatagli da dio, quella stessa mano che era adorabile con te e violenta con chiunque ti toccasse. Agni era forte, era meravigliosamente potente, eppure avevi paura, volevi urlargli di fermarsi. Tremavi, improvvisamente il dolore alla mano si era fatto leggero e misero in confronto al terrore che ti soffocava. Il tuo khansama attaccò senza indugio, la furia divina gli aveva oscurato lo sguardo. Un tuffo al cuore, sapevi che qualcosa non quadrava, sapevi che da quel momento in poi le cose sarebbero orribilmente peggiorate.
- Agni! – lo chiamasti ma era troppo tardi. Eri paralizzato, ogni muscolo era talmente teso da farti male. Il tuo adorato, unico e invincibile Agni si bloccò in maniera innaturale, la sua furia spezzata orribilmente in un secondo. La vista ti si appannò, non volevi vedere, non volevi accettare. Altro sangue si riversò a terra, ma non era tuo. Una sensazione di gelo ti pervase, non eri pronto per questo. – AGNI! – lo chiamasti ancora, urlavi di un dolore inumano, una sofferenza che ti stringeva il cuore.
Lui ti guardò, gli occhi sconvolti, il viso pervaso dal dolore. Il fianco destro squarciato da una ferita immonda, sentivi il suo dolore sulla tua pelle, il vostro legame che ancora vi univa nel bene e nel male. Incurante della sofferenza, beffandosi del sangue che gli sporcava il petto, Agni continuò a lottare. Lottava per te, per risparmiarti quel dolore, per proteggerti da una realtà che non avresti mai dovuto conoscere. L’aggressore era veloce, molto più di Agni, una forza della natura, un qualcosa di troppo potente per appartenere a questa terra. Il tuo amato khansama, ferito e dolorante, era spinto a lottare per l’amore che provava per te, ma sapevi che in quelle condizioni, per quanto forte e nobile fosse, non avrebbe retto. Ma tu eri un ragazzino debole, un principino che non era mai stato d’aiuto a nessuno. Non riuscivi neppure a muoverti per la paura, ti eri fatto soggiogare da una misera ferita e non riuscivi a fare nulla per proteggerlo. Lo stavi abbandonando. Il bel viso di Agni venne deturpato da un attacco inaspettato, un taglio profondo che gli aveva portato via la luce dell’occhio sinistro. Rivoli di sangue scorrevano sul suo volto, accecato dal dolore, mentre tu tremavi. Non l’avevi mai visto così, non l’avevi mai visto ferito in quel modo, non l’avevi mai visto tanto disperato. Eri sempre stato la sua unica debolezza, era invincibile, ma se c’eri tu di mezzo diventava docile come un agnellino. L’aggressore lo sapeva, o quanto meno l’aveva capito. Agni gli stava addosso, ma quello ne approfittò e ti puntò di nuovo l’arma contro, pronto a sparare.
Agni, ti prego…
- Principe Soma! – un urlo terrificante squarciò la gola del khansama ferito, che aveva giurato di proteggerti ad ogni costo, in ogni situazione. Non gli importava delle ferite, non gli importava del pericolo, chiamò il tuo nome ma non avevi la forza di reagire. Trattenesti il fiato, non volevi che finisse così, non riuscivi ad accettarlo. Stava accadendo tutto troppo in fretta, troppo. Speravi fosse solo un incubo, un sogno strano mandatogli come punizione dagli dei. Speravi solo di risvegliarti nel tuo letto il prima possibile, con Agni al tuo fianco, indenne, a servirti la colazione col suo solito, meraviglioso e sgargiante sorriso. Un altro sparo, un tuono assordante risuonò nella stanza.
A-Agni…
Una goccia di sangue ti cadde sul viso. Poi subito dopo un’altra, un’altra ancora, nel giro di pochi attimi avevi il volto completamente ricoperto di sangue. Del suo preziosissimo sangue. Agni ti si era piazzato davanti in un istante, le braccia aperte per proteggerti il più possibile. Quel colpo, che era stato destinato a te, ora era nella sua schiena, si era fatto nuovamente carico del tuo dolore. Tremava, faceva male, lo sentivi soffrire, lo vedevi rompersi davanti a te come del vetro meravigliosamente fragile. Sentivi il suo dolore sulla sua pelle, forse avresti sofferto molto di meno se ti avesse lasciato morire in quel preciso istante. Agni capì di star perdendo, capì che di quel passo sarebbe morto presto, molto presto, che avrebbe lasciato il suo adorato principe solo ed indifeso nelle mani di un pazzo crudele e senza pietà. Capì che non poteva continuare così, non con te lì, non poteva lasciarti nelle sue mani, il suo obbiettivo era proteggerti. Fino alla fine.
- A-Agni! – non riuscisti più a trattenere le lacrime. Ti sentivi così inutile in quel momento, un peso, eri la causa del suo dolore. Avresti voluto stringerlo, urlargli quanto ti dispiaceva, proteggerlo. Eppure eri immobile, la testa ti scoppiava tra mille pensieri, la mano ferita bruciava, nel tuo petto il cuore stava esplodendo. Agni non ti diede tempo di agire, ti prese per il colletto in preda all’urgenza, ti mise in piedi e ti trascinò via con sé, nei corridoi stetti e soffocanti della casa. Le tue gambe si muovevano per inerzia, non avevi la forza di stare in piedi, se ti avesse lasciato saresti crollato immediatamente a terra. Ti strinse a sé, tenendoti per le spalle, ti fece da scudo con tutto il suo corpo mentre lo sentivi gemere per le ferite, mentre lo sentivi lottare contro il dolore e la debolezza.
Non capivi più nulla, non sapevi più dov’eri, cosa stesse accadendo. Il respiro di Agni era sempre più flebile, mentre i gemiti strazianti si facevano sempre più forti. Provava a trattenersi, non voleva farti soffrire ancora di più, ma ad ogni suo sospiro avvertivi una fitta lancinante al cuore, ben più dolorosa di ogni altra ferita. Lo sentivi morire e non ti permise di fare nulla per salvarlo. Ti spinse con forza in una stanza buia, ti tenne un ultima volta la mano e tu cadesti a terra inerme, immerso nella più spaventosa oscurità. Un unico misero spiraglio di luce ti illuminava il viso attraverso la porta socchiusa. Agni rimase dall’altra parte, esitò qualche attimo e vi scambiaste un ultimo sguardo. Sul suo viso deturpato e ferito riusciti a scorgere un ultimo, disperato ed orgoglioso sorriso, distrutto dalla tristezza. La porta si richiuse bruscamente, un tonfo secco e doloroso, e ti ritrovasti completamente solo nell’oscurità.
Non farmi questo, Agni…
Ti rimettesti in piedi a stento, le gambe tremavano indebolite dall’orrore di ciò che stava accadendo. Provasti ad aprire la porta, urlavi il nome del tuo khansama con tutto il fiato che avevi in gola, con tutta la forza che ti era rimasta in corpo. La maniglia era completamente bloccata. Dall’altra parte Agni la teneva stretta, così che tu non potessi uscire… e nessuno potesse entrare. Ti aveva messo al sicuro, ti aveva protetto, aveva raggiunto il suo unico scopo. Ora era lì, indifeso, esposto, pronto ad affrontare la morte incurante di ogni pericolo… Incurante del tuo dolore. Non potevi credere che l’avesse fatto davvero, non potevi credere che avesse deciso di finire così, di lasciarsi prima del tempo. Crollasti a terra in ginocchio, non potevi nulla contro la sua forza. Eri bloccato, eri solo, mentre lui stava per morire a pochi centimetri da te. Ti aveva condannato ad assistere inerme alla sua morte, ti aveva condannato a continuare a vivere senza di lui una vita che non volevi, ti aveva condannato a perdere tutto.
- APRI QUESTA PORTA AGNI, TI SUPPLICO! – continuavi ad urlare, ma lui non cedeva, non avrebbe permesso che ti venisse fatto ancora del male. Eppure tu volevi uscire, volevi uscire da lì nonostante sapessi che saresti morto, non volevi rimanere lì al buio da solo. Non volevi restare in quella stanza senza di lui, non volevi vivere senza Agni. Le lacrime ti annebbiavano la vista, le urla disperate ti bruciavano in gola. – APRILA TI PREGO! – come poteva non capire che tutto ciò che volevi era stare con lui, sempre. Fino alla fine.
Un maggiordomo non deve mai morire
prima del suo padrone.
- Principe Soma… - la sua voce ti giunse leggera, come fosse di un altro mondo. Era dolce, era delicata, le ferite e il dolore non avevano intaccato la sua gentilezza. Stava morendo con il cuore in pace, stava morendo con la consapevolezza di essere stato un buon maggiordomo. Ma tu non accettavi quel tono gentile, non accettavi la sua calma. Stava morendo e tu non volevi. – Io, Agni… Il vostro “khansama”… ero fiero di voi. – in quel momento il tuo corpo e la tua mente morirono, morirono assieme a lui, accompagnate dalle sue ultime urla strozzate. Sentisti uno strano ed indesiderato calore avvolgervi le ginocchia, una sostanza orribilmente densa ed appiccicosa sporcarti i pantaloni candidi. Abbassasti lo sguardo, gli occhi spalancati ed increduli, il corpo tremante e sconvolto. L’ultima cosa che ricordi vividamente di quel giorno è tutto quel sangue innocente che scorreva sotto il sottile spiraglio della porta che ti divideva da lui. Potevi toccare con mano la sua morte, a poco servirono le tue urla strazianti.

Agni, quando ti ho salvato quel giorno, probabilmente era solo un capriccio.
Ogni cosa che facevo era un capriccio.
Ma da allora, sei stato la luce che illuminava le mie notti.
Splendente e meraviglioso scacciavi l’oscurità, la paura, le mie debolezze.
Non importa la situazione, io sono legato a te.
Non hai idea della gioia che mi hai dato, semplicemente brillando al mio fianco.
Questa parte di te ti rende comune alle stelle vere e proprie.
Agni, solo con la tua luce sicura e serena la mia via poteva incominciare.
E il tuo respiro che risuona nella mia mente spezzata,
la tua voce che conforta la mia anima
E per questo io prego,
che gli dei abbiano la grazia di concederti un posto nel firmamento.
Fin tanto che continuerai a brillare nella notte io saprò che ci sei,
fino al giorno in cui mi riaccoglierai tra le tue braccia.

Non esiste Soma, senza il suo Agni.

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