Lyse che viene dal cielo di MaryMatrix (/viewuser.php?uid=34293)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Il tempio di zucchero filato ***
Capitolo 2: *** La fattoria di Frau Zermann ***
Capitolo 3: *** L'apprendista cavaliere e i mille perché ***
Capitolo 4: *** Messèr Schmidt ***
Capitolo 5: *** Di tradimenti, di lupi e rapimenti ***
Capitolo 6: *** La città ***
Capitolo 7: *** Lyse che viene nel cielo ***
Capitolo 1 *** Il tempio di zucchero filato ***
Buonasera a tutti!!
Per la serie “a volte ritornano” eccomi di nuovo di qui, pronta a
cimentarmi questa volta con un’originale, una fiaba suddivisa in 7
capitoli.
Dal momento che si tratta di un genere diverso dal mio abituale e che
richiede un certo impegno mi farebbe molto piacere ricevere suggerimenti,
commenti e critiche… insomma, ogni stimolo è ben accetto.
Vi lascio alla lettura e spero che vi piaccia.
La storia partecipa al contest indetto da E.Comper sul Forum EFP “‘Fairy
and Spirits - Raccontami una Favola”:
- Nick EFP: MaryMatrix
- Nick Forum: JuliaMel
- Titolo: Lyse che viene dal cielo
- Pacchetto: Luce
- Obbligo: la protagonista deve essere una fanciulla,
giovane e innocente, che si trova ad affrontare le crude realtà della vita
- Divieto: la storia non deve presentare coppie slash o
femslash ma solo het
- Bonus: verginità
- Creatura: unicorno
- Luogo: tempio
1.
Il tempio di zucchero filato
C’era una volta, tanto tempo fa, un regno lontano, ma così lontano che si
trovava niente meno che nel cielo, sulle nuvole.
Al di fuori del normale fluire del tempo, al di fuori di ogni umana regola
di vita, perennemente in movimento, questa piccola oasi di pace era
popolata esclusivamente da giovani fanciulle che si dilettavano con giochi,
con gli unicorni e preparando dolci. Beatamente assorbite da una
quotidianità fatta di spensieratezza e risate nessuna di loro invidiava
davvero il Mondo Di Sotto, uno strano luogo che, come suggerisce il nome,
si trovava al di sotto del cielo.
Nessuna tranne Lyse. Lyse aveva dei luccicanti occhi blu, una lunga e
morbida chioma dorata, delle dolci guance rosee e una gran curiosità nei
confronti di quel mondo che, al contrario del loro, “andava avanti”. Lei
stessa ignorava che cosa intendessero le sue compagne più grandi
utilizzando quell’espressione, ma aveva cessato di porre domande, stufa di
sentirsi rispondere con i soliti severi avvertimenti: “Stai lontana da quel
mondo, Lyse. Sai bene che chiunque vi abbia messo piede non ha più fatto
ritorno!”.
La giovane cercava così di placare il proprio interesse sprofondando nei
cristalli di ghiaccio e osservando quelle misteriose terre dall’alto.
Chissà chi le abitava? E poi, chissà cos’era effettivamente questa “terra”
e chissà che consistenza aveva.
Si crucciava per la consapevolezza che non ne avrebbe mai imparato di più
ed era stizzita per la carenza di informazioni al riguardo nella biblioteca
delle nuvole.
Consumata da quel desiderio di conoscenza, con le altre taceva e continuava
a comportarsi come se niente fosse. Finché un giorno, mentre giocava con le
sue amiche, non riuscì a riprendere al volo la palla che le avevano
lanciato e questa finì dritta dritta nel Mondo di Sotto.
Tutte a quel punto si affacciarono per accertarsi che non si fosse
impigliata in qualche nuvola sottostante, ma quel giorno il cielo era
piuttosto sereno e la palla era andata perduta.
- Vado a riprenderla! – esclamò Lyse con decisione.
A nulla servirono le proteste delle sue compagne, a nulla le loro lacrime:
Lyse aveva deciso di cogliere, più o meno letteralmente, la palla al balzo
e di non sprecare quell’occasione.
Sapeva che l’unico modo per raggiungere il Mondo di Sotto era aspettare il
momento tra la pioggia e il sereno e scendere dal grande arco colorato a
cavallo di un unicorno. Così attese paziente che la pioggia iniziasse e
altrettanto pazientemente che questa finisse. Infine lo vide, l’arcobaleno,
stendersi dalle sue nuvole fino alla terra.
Accarezzò il suo unicorno bianco, Tuxìn, per poi saltargli in groppa e
scivolare giù verso la più grande avventura della sua vita.
Atterrò in uno strano ambiente dove il terreno era stranamente solido, non
offriva la possibilità di affondare morbidamente, e le macchie verdi che
dall’alto sembravano così indistinte adesso apparivano ben definite in
quella che, aveva letto, si chiamava “vegetazione”. Riconobbe qualche
“albero”, dei “cespugli” e anche dei delicati steli che terminavano in
morbide e colorate “foglie” profumate: per quanto Lyse ne sapeva dovevano
chiamarsi “fiori”. Al suo primo impatto col Mondo Di Sotto Lyse poteva
affermare che le piacesse parecchio.
Tuxìn procedeva tranquillo per il sentiero e Lyse ebbe come l’impressione
che il suo unicorno sapesse precisamente dove andare. Qualche minuto dopo,
infatti, la giovane Lyse raggiunse una radura d’erba al centro della quale
si stagliava imponente un maestoso tempio bianco. Tuxìn si avvicinò al
tempio fino a raggiungere le scale e si abbassò perché la giovane
scendesse.
Lyse guardò affascinata il tempio e si rivolse al suo amico animale.
- Oh, Tuxìn, credi che la palla sia nel tempio? -.
L’animale non era purtroppo dotato della parola, ma se esistessero i
nitriti d’assenso, i lettori potrebbero senza alcun dubbio affermare che il
verso che emise altro non era che una conferma alle parole della fanciulla.
Lyse annuì e salì i tre gradini che la distanziavano dall’entrata
nell’edificio. In un primo momento la giovane aveva creduto che questi
fossero solidi, di quel materiale tanto nobile di cui aveva letto che
ricordava chiamarsi “marmo”, ma invece li scoprì malleabili e soffici, e
altrettanto cedevoli erano il pavimento, le lunghe colonne e probabilmente
anche gli elaborati capitelli corinzi di cui facevano sfoggio. Lyse allungò
la bianca mano verso la colonna alla sua destra e la lasciò affondare al
suo interno: la sostanza con la quale era costruita era quasi inconsistente
e Lyse la riconobbe subito.
- Zucchero filato! – esclamò gioiosa, portandosi la mano alla bocca.
La dolce sostanza si sciolse nella sua bocca e lei sorrise contenta per poi
entrare in una grande sala di zucchero al centro della quale si trovava,
seduto, un unicorno nero. Questo, non appena lei fu entrata, la fissò con i
suoi enormi occhi verdi.
Lyse si emozionò tantissimo: non aveva mai visto un unicorno nero, ma
sapeva che questi erano gli Unicorni Perduti delle sue compagne che una
volta scese non erano più tornate.
- Tu sei un Unicorno Perduto! – esclamò Lyse.
L’unicorno si alzò sulle quattro zampe a quelle parole.
- Io sono il Guardiano del Tempio e lo proteggo affinché nessun umano possa
accedere alle nuvole. – precisò, avvicinandosi a lei. - E tu sei Lyse che
viene dal cielo, per recuperare la palla. -.
- Tu parli! – esclamò Lyse, sorpresa.
- La mia padrona è diventata un’umana molti anni fa. – spiegò l’unicorno. –
Io sono diventato nero e ho acquisito caratteristiche umane, come la
capacità di parola, ma anche i brutti sentimenti. -.
Lyse si portò entrambe le mani alla bocca, sconvolta.
- Oh no! Che cosa orribile! Come si possono provare i brutti
sentimenti? -.
L’unicorno nero non rispose subito, ma le ruotò intorno, osservandola a
fondo e quasi mettendola a disagio. Per Lyse quella fu una sensazione
nuova, non si era mai sentita a disagio prima di allora. Anzi, a onor del
vero, non sapeva nemmeno che quella sgradevole sensazione potesse essere
definita “disagio”.
- Gli umani sono più complessi di quanto tu possa pensare. – rispose
enigmatico. – E tu, Lyse che vieni dal cielo, non sei qui solo per la
palla, dico bene? -.
Lyse non riuscì a sostenere lo sguardo di quei due occhi di smeraldo che
sembravano leggerla come un libro aperto e abbassò il proprio, colta in
fragrante.
- Io sono un unicorno e posso leggere i cuori. Nel tuo, cara Lyse, leggo
curiosità. Sarai felice di sapere che potrai soddisfarla. Non temere per la
palla, quella l’ho recuperata io, ma, se la rivorrai, ci sarà una prova da
superare: dovrai resistere nel Mondo Di Sotto per una settimana. Non è
infatti possibile risalire sulle nuvole se si nutre curiosità, in quanto
questa è propria degli esseri umani e non delle creature sulle nuvole. -.
Lyse credeva di comprendere: avrebbe dovuto restare nel Mondo Di Sotto per
una settimana in modo da saziare la propria curiosità e ritornarne priva al
tempio di zucchero filato.
L’unicorno nero sembrava ben disposto nei suoi confronti e proseguì.
- Avvicinati, Lyse, e prendi tre dei miei tre crini neri. Ciascuno è
intriso di una goccia di cielo che ti verrà in soccorso se chiederai aiuto.
-.
La fanciulla si avvicinò e strappò all’unicorno i suoi tre crini, facendo
attenzione a non ferirlo.
Ma le parole successive dell’animale furono ben più enigmatiche.
- Prima di partire per il tuo viaggio, ricorda: non c’è posto sulle nuvole
per chi perde la propria purezza, la propria verginità. Buona fortuna, cara
ragazza. -.
Quell’avvertimento confuse Lyse, che non aveva idea di cosa fosse la
verginità. Avrebbe voluto chiedere informazioni più dettagliate, ma
l’Unicorno Nero volò via e lei rimase da sola, circondata dallo zucchero
filato.
Decise che avrebbe risolto il mistero durante quella settimana e che
sarebbe stata attentissima a preservare la sua verginità, qualsiasi cosa
fosse.
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Capitolo 2 *** La fattoria di Frau Zermann ***
2.
La fattoria di Frau Zermann
Lyse raggiunse Tuxìn di corsa e prima ancora di essergli completamente
salita in groppa iniziò a raccontargli dell’incontro, convinta che potesse
capirla.
Del tutto disorientata lasciava che fosse il suo unicorno a scegliere la
direzione, mentre lei gli descriveva con dovizia di particolari quanto era
successo, senza riuscire a contenere la gioia di avere a disposizione ben
sette giorni di tempo per imparare a conoscere gli umani.
- Ma che cosa sarà questa verginità che devo preservare con tanta cura,
Tuxìn? Io non posseggo alcunché. Credi che sia qualcosa da mangiare? -.
L’unicorno, per tutta risposta, nitrì scotendo la folta criniera. Lyse
pensò che se solo lui fosse stato in grado di parlare probabilmente glielo
avrebbe spiegato.
Sospirando si portò una mano sulla pancia.
- A proposito di mangiare, Tuxìn, forse è arrivato il momento dell’ora di
cena, non credi anche tu? Persino il sole sta tramontando, ormai. -.
L’unicorno sembrò non avere niente da obiettare e trotterellò a un passo
più sostenuto.
Lyse non sapeva di preciso che cosa aspettarsi dal cibo del Mondo Di Sotto.
Sulle nuvole lei e le sue compagne erano solite nutrirsi di frutta succosa
e soffici dolci con meringhe, preparati con gli ingredienti che gli
unicorni procuravano loro quando scendevano nel Mondo Di Sotto, ma Lyse si
domandava se fossero quelli gli unici alimenti disponibili in quel
territorio che appariva vastissimo.
Finalmente, alle prime ombre della notte, vide una grande casa di legno, su
due piani, con un buffo tetto spiovente di mattoni rossi e delle luci. Lei
sapeva bene che cosa fossero le luci, perché anche di notte osservava gli
umani dalla sua nuvola e vedeva che quando il sole calava tanti piccoli
puntini luminosi si accendevano, alcuni sparsi e alcuni concentrati.
Sembravano stelle, ma erano più piccole.
“Forse” pensò “Qui avremo del cibo”.
La casa di legno era abitata da Frau Zermann, un donnone in età avanzata
con le mani callose di chi conosce il duro lavoro e i capelli grigi di chi
ha ormai visto susseguirsi molti inverni. Dalla crocchia severa e le
braccia robuste, Frau Zermann era seduta al tavolo, esposta alla flebile
illuminazione di una candela, intenta a commentare l’andamento finanziario
della fattoria con il suo tutto fare, Herr Kann, un omino esile che
lavorava da anni per la signora svolgendo i lavori più svariati consentiti
dalla sua modesta stazza.
Le attività più faticose erano compito da Ralph e Grinch, i due biondi ed
enormi figli della signora, che non l’aiutavano con la sola forza fisica:
Ralph non mancava di intelletto e Grinch non faceva difetto in buona
volontà.
Nonostante, o forse proprio a causa della modesta conduzione familiare, la
fattoria si trovava in difficoltà economiche.
- Gli affari non vanno bene, Ernest. – affermò amareggiata Frau Zermann,
atterrita all’idea che il lavoro di una vita riducesse lei, i suoi figli e
il povero Ernest Kann sull’orlo del fallimento. – Le galline non fanno
abbastanza uova e le mucche non producono abbastanza latte. L’unico
guadagno garantito è quello dei maiali, che almeno continuano a ingozzarsi
e ingrassare. Diventeranno molto succulenti. -.
- Lo so, mia cara Frau Zermann. – replicò l’uomo, imbarazzato. – Ma in
tutta franchezza non posseggo la chiave per migliorare la situazione. -.
- Potremmo vendere tre dei nostri maiali, madre. – suggerì Ralph. – Insieme
ai nostri due asini. Sono certo che potremmo ricavarne un buon guadagno. -.
Tre grassi maiali e due asini in forza avrebbero certamente fatto gola a
molti, pensò Frau Zermann.
- Ma come farete tu e tuo fratello nei lavori senza l’aiuto degli asini? -.
- Ce la caveremo madre. Siamo forti. – rispose Grinch.
Frau Zermann annuì, ancora poco convinta. L’idea del suo figlio maggiore
era certamente buona e tuttavia la donna, pur avendo un disperato bisogno
di soldi, era talmente mossa dall’avidità da non acconsentire volentieri a
vendere le proprie bestie.
Frau Zermann non era soltanto una donna avida, ma anche temprata dalla
vita, una donna pratica abituata a guadagnarsi il pane lavorano duramente,
una donna che aveva cresciuto i suoi due figli quasi completamente da sola
dopo la prematura morte del marito. Tutto ciò che aveva l’aveva pagato a
suon di sudore e lacrime e per tale motivo non lo cedeva con facilità.
Stava appunto riflettendo sull’accettabilità della proposta del figlio
maggiore quando qualcuno bussò alla porta della vecchia casa. Quando aprì,
Frau Zermann si disse che doveva trattarsi della fortuna stessa.
Una giovinetta dai lunghi capelli biondi e l’aria ingenua se ne stava
composta sulla soglia, portando con sé un rarissimo e preziosissimo
unicorno!
- Buonasera signora. – la salutò cordialmente Lyse.
- Buonasera a te, piccina. – ricambiò lei, con voce rapita.
Gli occhi brillavano di cupidigia nell’osservare quella bestia che avrebbe
fruttato molto più della loro intera e modesta fattoria.
- Ti sei forse persa? – continuò la donna, con una voce mielosa che fingeva
preoccupazione.
- Mamma, chi è? – intervenne Grinch a gran voce.
- Una gradita ospite, figliolo. – rispose la donna, per poi tornare a
focalizzare la propria attenzione su Lyse. – Come posso esserti utile,
cara? – le domandò.
Lyse non aveva esperienza del carattere umano e non si rese conto dei
malevoli propositi della donna. Prima che potesse rispondere, Ralph si
affacciò alla porta e anche lui ignorò completamente quella fanciulla
sprovveduta per concentrarsi sul ben più importante unicorno. Quanto poteva
valere?
- Buongiorno anche a voi, signore. Io sono Lyse che viene dal cielo. Temo
di essermi persa e necessito di un tetto e di un pasto caldo, per me e per
Tuxìn. -.
Aveva un tono di voce gentile, educato, quasi sottomesso, che avrebbe
intenerito anche i cuori più duri, ma Frau Zermann non si lasciò
impressionare e cominciò a elaborare un piano per sottrarre l’unicorno a
quella ragazzina. Infine anche Grinch ed Ernest Kann decisero di dare
un’occhiata a qualsiasi persona fosse riuscita a conquistare così
rapidamente l’attenzione della vecchia.
- Ma certo. – acconsentì Frau Zermann. – Noi non siamo cattive persone,
dico bene, Ernest? -.
- Assolutamente. – rispose l’uomo, deciso ad assecondarla. – Conosco Frau
Zermann e i suoi figli da molto tempo e posso garantire sulla loro onestà.
– lo affermò col tono sicuro di chi sta quasi giurando.
Lyse sorrise, contenta di aver trovato subito una famiglia tanto
raccomandabile pronta ad accoglierla. Così si assicurò che Tuxìn fosse
messo al sicuro in una stalla e poi entrò nella casa pronta a mettere
qualcosa sotto i denti.
Non aveva mai visto un’abitazione umana e studiò attentamente la cucina,
costituita da un tavolo rotondo, da delle sedie dagli schienali di legno
intagliato, molto robusto, una grande credenza di un legno più chiaro e un
allegro focherello scoppiettante sul quale era sospeso un enorme calderone
che ribolliva rumorosamente. Poco più sopra, degli strani rotoli legati
molto stretti.
- Sono cose da mangiare? – domandò Lyse, curiosa.
- È un brodo di verdura. Gli altri sono salami. – rispose affabile Frau
Zermann. – Ma perché non ti siedi e mangi con noi? -.
Lyse acconsentì con piacere, mentre i tre uomini si stavano ancora
chiedendo quale fosse l’astuto piano tessuto dalla donna.
La fanciulla indovinò che quanto aveva davanti non dovesse essere un piatto
particolarmente elaborato, eppure ne apprezzò il calore e il sapore salato,
così diverso da ciò che era abituata a mangiare nel cielo. Si complimentò
con la donna per le sue doti culinarie e le domandò se cucinare fosse il
suo mestiere.
- No, quello è il mestiere dei cuochi. – spiegò pazientemente Frau Zermann.
- E qual è il vostro? – la incalzò Lyse, che voleva sfruttare al massimo
quell’occasione per imparare il più possibile.
Tutti e quattro si prodigarono allora ad accontentarla e a spiegarle come
si svolgesse il lavoro nella fattoria, parlandole dei duri ritmi di vita,
degli animali, degli attrezzi necessari e di come si fossero evoluti nel
tempo.
Lyse ascoltò tutto in silenzio, facendo tesoro di ogni parola che usciva
dalla loro bocca.
Forse era quello che intendevano nel cielo quando dicevano che nel Mondo Di
Sotto andavano avanti: inventavano oggetti per migliorare la propria
condizione. Ne fu affascinata, nel cielo non si inventava mai nulla di
nuovo.
Infine fu la padrona di casa a interrompere quell’interrogatorio
incessante.
- Cara, ora sai praticamente tutto di noi, ma noi non sappiamo nulla di te.
– le fece notare.
- È vero. – annuì con decisione Lyse. – Ma se volete posso raccontarvi
qualcosa! – si offrì.
La donna ne approfittò per domandarle che cosa intendesse quando diceva che
veniva dal cielo. Non era soltanto curiosità la sua, ma celava piuttosto
l’obiettivo di saperne di più su quella misteriosa ospite che possedeva un
unicorno e sulle sue eventuali capacità magiche che avrebbero potuto
complicare il suo piano. Poteva anche essere una strega, nel qual caso
sarebbe stata una disgrazia!
Purtroppo non poté evincere molto al riguardo, dal momento che Lyse
trascorse la maggior parte del tempo a descrivere i luoghi in cui viveva
piuttosto che le capacità dei suoi abitanti. La donna provò ancora con una
domanda più mirata, ma Lyse parve non capire. Non sapeva che cosa fossero i
poteri, per lei era probabilmente normale fare cose che per gli umani non
lo erano, come per esempio, stare sdraiata sulle nuvole.
- Quindi non sei malvagia come una strega? – domandò Grinch.
La madre lo fulminò con lo sguardo.
- Non offendere la nostra ospite! – lo picchiò con un mattarello.
- Non mi ha offesa, signora. Cos’è una strega? -.
Fu Herr Kann a rispondere con tutta la tranquillità del mondo.
- Non lo sai? Sono donne malvagie che girano con gatti neri e che lanciano
sortilegi e maledizioni sugli ignari passanti. Ma il nostro esercito ci
tiene al sicuro: i cavalieri le scovano, le catturano e le uccidono. -.
Lyse sembrò impressionarsi.
- Sembra terribile! – commentò. – No, io non ho gatti neri, vado in giro
solo col mio unicorno, Tuxìn. -.
Frau Zermann non era in grado di discernere se quell’atteggiamento fosse
dettato da un principio di sospetto nella fanciulla che faceva la finta
tonta, oppure se un po’ tonta lo fosse davvero.
- Come mai sei scesa dal cielo? – la incalzò Grinch, sinceramente
interessato.
- Perché sono in missione. – rispose Lyse. – Devo recuperare una palla che
è caduta di sotto a me e alle mie compagne. Ma per riaverla devo
sopravvivere nel mondo umano per una settimana senza perdere la… com’è che
si chiamava? Virgineità, ecco. -.
- Vuoi dire verginità, cara. – la corresse automaticamente Ernest.
- Esatto, è proprio quella la parola! – esclamò Lyse, contenta. – Ma che
cos’è, Herr Kann? -.
Quella domanda fece andare l’acqua di traverso a più di un commensale,
mentre Ernest diventava rosso come il sole al tramonto.
- Beh, ecco… io direi che la verginità è una virtù collegata alla nascita
dei bambini. -.
- Ooooh! – Lyse si protese verso di lui, affascinata. – E come nascono i
bambini? -.
- Non… non sono domande che si fanno. – replicò l’uomo visibilmente in
imbarazzo.
- Oh. – Lyse si ritrasse sulla propria sedia, delusa e mortificata,
abbassando lo sguardo. – Mi dispiace, Herr Kann, non volevo essere
maleducata. -.
- Suvvia, non ha chiesto nulla di strano, in fondo è la cosa più naturale
del mondo. – tagliò corto Frau Zermann, che vedeva in quella curiosità la
prova perfetta per verificare la scaltrezza della giovane. – Li portano gli
uccelli, cara. Sto parlando delle cicogne, naturalmente. Per non perdere la
verginità basta che tu eviti di incontrare una cicogna. -.
Lyse si portò una mano alla bocca. Mica facile per una come lei che non
sapeva dove andava, non sapeva quante cicogne avrebbe potuto incontrare e,
a dirla tutta, non avrebbe saputo nemmeno riconoscerne una. Ralph intuì la
sua confusione e fu così gentile da descriverle l’animale.
- E nel caso ne incontrassi una per sfortuna? – domandò Lyse, in ansia.
- Tu ignorala. – le suggerì Frau Zermann. – Non rivolgerle la parola e non
perderai la tua cara verginità. Soprattutto, fai in modo che non ti becchi.
-.
Era una fandonia bella e buona, la storia più vecchia che si raccontava ai
bambini quando cominciavano a porre strane domande imbarazzanti, ma la
fanciulla la bevve completamente. Persino Grinch giunse alla conclusione
che a quella fanciulla dovesse mancare qualche rotella e che sottrarle
l’unicorno sarebbe stato come rubare la caramella a un bambino.
Herr Kann ritirò le poche stoviglie dal tavolo e le ripose nel lavabo,
mentre Ralph condusse Lyse nella sua stanza al piano di sopra perché vi
trascorresse la notte, assicurandole che gliela cedeva molto volentieri e
che per qualunque cosa desiderasse lo avrebbe trovato vicino al focolare
nella cucina. Lyse lo ringraziò sentitamente prima di ammirare il modesto
letto a una piazza con una coperta di sargia, il baule con gli angoli
rinforzati in ferro, le tende di un bel colore blu e il piccolo tavolino
accanto al letto sul quale si trovava una candela ormai quasi del tutto
consumata. Il letto non era morbido come le sue nuvole, ma appena si
sedette Lyse ne apprezzò il tepore.
Il suo primo giorno nel Mondo Di Sotto era concluso e lei aveva già
scoperto fiori colorati, nuovi sapori, aveva incontrato persone gentili che
l’avevano accolta offrendole del cibo e aveva capito cosa fosse la
verginità, come fare a non perderla e che doveva fare molta attenzione alle
streghe.
Il suo pensiero andò poi a Tuxìn e si chiese se anche la stalla fosse
dotata di pesanti tende in grado da ripararlo dai freddi spifferi notturni.
Si disse che di certo i suoi quattro benefattori si stavano prendendo cura
del suo unicorno: erano così affabili e a quanto aveva capito erano
abituati a trattare con gli animali. Tuttavia non riusciva a sentirsi
tranquilla: non si separava mai da Tuxìn ed era solita dargli una carezza
della buonanotte prima di andare a dormire.
Si rallegrò ricordandosi che quel Ralph le aveva garantito che l’avrebbe
aiutata in ogni cosa e allora uscì dalla camera diretta in cucina per
chiedergli di poterla portare per qualche minuto dal suo Tuxìn. Sentì un
vivace chiacchiericcio provenire dal tavolo dove prima avevano mangiato.
- Non sappiamo se abbia poteri per difendersi. -.
Riconobbe la voce della padrona di casa e intuì che stessero parlando di
lei. Sapeva che origliare era una cosa sbagliata, ma d’altronde anche
interrompere una conversazione non era molto più educato. Esitò.
- C’è un altro modo per sottrarle l’unicorno. -.
A quelle parole Lyse decise di restare nascosta dietro l’angolo, proprio
accanto alle scale. Volevano rapire Tuxìn e lei non poteva permetterlo! Era
orripilata! Come potevano quelle persone essere cattive?
- Dicci, mamma. – la incoraggiò Grinch.
- Fuori è ventoso, ma non molto freddo. Aspetteremo la notte fonda, quando
saremo sicuri che lei sia addormentata, e fuggiremo con l’unicorno per
venderlo al re. Le trattative saranno a nostro vantaggio e Sua Maestà ci
ricoprirà d’oro, vedrete. – gli occhi le si illuminarono a immaginare le
sete preziose e i gioielli che avrebbe posseduto. – Abbandoneremo la
ragazza qui. – concluse.
- Ma potrebbe essere legata all’unicorno. – osservò Ralph. – Potrebbe
essere in grado di seguirci. -.
- Temo che sia troppo sciocca per farlo. – commentò Herr Kann.
- Che sia sciocca è fuor di dubbio. – concordò Ralph. – Ma, come diceva
giustamente nostra madre, potrebbe avere dei poteri nascosti. -.
Frau Zermann rifletteva. Le osservazioni di suo figlio era corrette, come
al solito. Ma per scortare l’unicorno fino al re senza che nessuno lo
rubasse aveva bisogno anche delle sue astuzie e della forza di Grinch.
Avrebbe potuto lasciare Herr Kann a occuparsi della fanciulla, ma l’uomo
non avrebbe mai accettato di farli andare da soli col rischio che non
tornassero con l’oro e che scappassero lontano senza dividerlo con lui.
No, non c’era che una cosa da fare: fidarsi del buon senso di Ralph per il
viaggio e le trattative e restare alla fattoria fino al giorno successivo
per occuparsi della ragazza del cielo.
- Me ne occuperò io. – concluse. – Domani mattina mi farò trovare in
lacrime piangendo la fuga dei miei scellerati figli scappati con
l’unicorno. Lei vorrà senza dubbio mettersi sulle vostre tracce e io
l’accompagnerò, portandola nella direzione opposta alla vostra. Lei non si
accorgerà mai dell’inganno e al momento giusto l’abbandonerò nel bosco. -.
Lyse fece un passo indietro, terrorizzata da quella prospettiva. Tuxìn in
mano di sconosciuti e lei abbandonata nel bosco! No! Non poteva finire in
quel modo. Doveva raggiungere il suo unicorno e scappare, ma per uscire
dalla casa doveva passare dalla cucina e l’avrebbero vista.
Riuscì a trovare un solo modo per venire fuori da quella brutta situazione.
Nonostante si fosse ripromessa di non utilizzare subito il dono
dell’Unicorno Nero, Lyse si ripeté che quella era una situazione di
assoluta emergenza e senza ulteriore indugi tirò fuori il primo crine.
- O mia splendente goccia di cielo, ti prego avvera il mio desiderio!
Desidero quatta quatta fuggire, senza che alcuno lo debba scoprire. –
recitò sottovoce.
Il crine si illuminò e Lyse lo gettò sotto le scale, nella cucina. Le
chiacchiere si interruppero all’improvviso. Lyse si affacciò per vedere che
cosa fosse successo e rimase sbalordita nel vedere che i quattro si erano
completamente immobilizzati nelle posizioni in cui si trovavano. Era uno
spettacolo grottesco: parevano pietrificati e se ne stavano fermi come
statue, con le bocche aperte in espressioni raccapriccianti e le braccia
tese ad accompagnare parole non più pronunciate.
Senza attendere un secondo di più Lyse si precipitò giù per le scale e uscì
in balìa del vento sferzante. Raggiunse la stalla e liberò Tuxìn, sul dorso
del quale era stata messa una coperta. Lyse decise di non gettarla via, in
quanto avrebbe potuto essere utile e gli saltò agilmente in groppa.
- Via, Tuxìn. Questi umani dicono le bugie e sono cattivi e avidi. Volevano
rapirti! Al galoppo! – lo spronò.
Ripetendosi che non avrebbe dovuto mai più fidarsi delle parole di un umano
e che le apparenze ingannavano, Lyse si perse nel buio della notte.
-
Ringrazio moltissimo hula1994 per aver inserito la storia
tra le seguite!
Buona serata a tutti,
Mel
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Capitolo 3 *** L'apprendista cavaliere e i mille perché ***
3.
L’apprendista cavaliere e i mille perché
Quando il sole sorse sorprese Lyse avvolta in metà della coperta, mentre
l’altra metà riparava Tuxìn, accanto a lei.
La notte precedente si era dovuta accontentare dell’umido terreno erboso
per dormire e quella mattina si sentiva indolenzita e appiccicosa. Inoltre
intuiva che dopo una notte trascorsa all’addiaccio e accanto a un equino
non doveva avere proprio un buon odore. Rimpianse i cosmetici delle nuvole
che lei e le sue amiche usavano per detergersi e cercò di ricordare che
cosa aveva letto a proposito dell’igiene del Mondo Di Sotto. Le sembrava
che si lavassero con l’acqua e, a proposito di acqua, scoprì di avere sete.
Un verso sconsolato dell’unicorno le fece intuire che anche lui era
disidratato.
Lo accarezzò con affetto.
- Forza, Tuxìn. – lo incoraggiò. – La nostra prima notte qui non è stata
delle migliori, ma adesso troveremo l’acqua e vedrai che andrà meglio. -.
Riprese le briglie e, senza volerlo affaticare col suo peso, errò nella
lussureggiante selva camminando al suo fianco. La terra era gelida,
appiccicosa e i suoi piedi nudi iniziarono a sporcarsi a soffrire per
quella sgradita passeggiata.
Finalmente, dopo quello che le parve un tempo interminabile, udì un
incessante scrosciare d’acqua. Facendo attenzione a non tirare troppo le
briglie accelerò il passo in direzione del suono. Giunse infine in un ampio
spazio verdeggiante e riscaldato dal sole dove un ruscello si allargava in
un laghetto che Lyse reputò perfetto per fare un bagno. Si denudò,
facendosi scivolare la sua lunga e semplice veste color crema fino ai piedi
martoriati, e si immerse in quell’acqua che sarebbe stata troppo fredda per
chiunque, ma non per chi era abituato a vivere in cielo.
Solitamente Lyse avrebbe cantato, ma, ancora sconvolta per l’esperienza
della sera precedente, reputò più saggio non attirare troppo l’attenzione
su di sé. Tacendo, pensò, non avrebbe reso nota la sua presenza a nessuno.
Mentre si lavava fu colta da un nuovo dilemma: se da una parte voleva
continuare ad esplorare quel mondo e i suoi abitanti, dall’altra si rendeva
conto che sarebbe stato più pericoloso del previsto. Chissà co sa era accaduto alle altre fanciulle cadute!
Si stava appunto abbandonando a tristi elucubrazioni quando sentì un
fruscio provenire dal bosco. Lyse si immobilizzò e immediatamente cercò con
lo sguardo Tuxìn, impaurita all’idea che potessero fargli del male. Fece
per uscire dall’acqua, ma era nuda e c’era qualcuno e una sorta di istinto
le suggerì che mostrarsi così indifesa davanti a un potenziale pericolo non
fosse furbo. Si appiattì pertanto ancora di più sul fondale per evitare di
regalare qualsiasi tipo di visuale.
Trascorse qualche minuto in quella situazione di stallo e, certa di non
poter continuare così ancora a lungo, decise di scoprire se tra le fronde
si nascondesse effettivamente qualcuno o se al contrario si fosse
spaventata solo per il rumore di qualche animale. Aveva letto su alcuni dei
suoi preziosi tomi che il bosco era gremito di esseri viventi, anche
piccoli.
- C’è nessuno? – domandò.
Con grande angoscia vide avanzare qualcuno sulla riva. Lyse si ritrasse
come se si fosse scottata e solo in un secondo momento si concesse del
tempo per osservare il curioso.
Si trattava di un ragazzo che doveva essere poco più grande di lei, dai
folti capelli castani e gli occhi marroni, scuri e intensi. Lyse trovò il
corpo dell’umano particolarmente armonioso, con un volto deciso, snello e
forte, valorizzato dalla scintillante armatura. Si sorprese a pensare che
fosse bello.
Lui non la salutò, ma sembrò genuinamente sorpreso.
- Perché mi stai fissando così? – aggrottò le sopracciglia.
- Così come? -.
- Come se fossi una creatura strana. -.
- Perché non ne ho mai visti come te. – rispose Lyse. – Sei bello. – gli
confessò.
Il ragazzo avvampò. Di certo non si aspettava una tale confessione dopo
solo due frasi: quella fanciulla che girovagava per i boschi facendo bagni
nei ruscelli doveva essere particolarmente sfacciata, a dispetto della sua
aria inerme.
Probabilmente avrebbe dovuto sentirsi lusingato da quel complimento, invece
ne fu quasi scoraggiato; il ragazzo era infatti un apprendista cavaliere e
per diventare un cavaliere vero avrebbe dovuto portare in salvo una
fanciulla in difficoltà: quando l’aveva adocchiata tra le fronde, con quel
suo strano cavallo, credeva che fosse una ragazza dal triste passato che si
era persa nel bosco, ma data la sua spigliatezza dubitava adesso che lei
avesse bisogno di aiuto. Aveva perso per niente del tempo prezioso per
completare la sua missione.
- Beh, dal momento che non sembri riservata e ti piaccio, tanto vale
divertirsi un po’ insieme. – concluse con noncuranza e con una voce che a
Lyse suonò strana ma che in realtà era semplicemente carica di malizia.
- Mi piace divertirmi. – concordò Lyse, facendosi più attenta.
- Mi fa piacere. – sorrise lui, facendo scivolare il lungo mantello blu ai
suoi piedi e a sganciarsi i bottoni della casacca.
- Giochiamo molto spesso insieme, noi creature del cielo. – continuò Lyse.
– Ma hai caldo? -.
Il ragazzo si immobilizzò. Caldo? “Creature del cielo”? Ne aveva sentito
parlare ma era convinto che fossero una leggenda! Possibile che invece
quello vicino a lui fosse un vero unicorno? La guardò più incuriosito, con
un nuovo rispetto e decise di presentarsi.
- Mi chiamo Heinrich e sono un apprendista cavaliere. -.
- Io sono Lyse che viene dal cielo. – sorrise Lyse a sua volta. – Che cos’è
un apprendista? – domandò, zittendo quella parte di lei che le faceva
notare che alla luce trascorsa esperienza non era furbo dare confidenza
agli sconosciuti.
La sua curiosità nei confronti di Heinrich era però superiore alla prudenza
e in fondo bramava di imparare parole nuove. E comunque, concluse, non
poteva essere troppo cattivo se voleva addirittura giocare!
- Beh, apprendista è qualcuno che apprende. Cioè, che impara. – rispose
lui, titubante.
- Tu stai imparando a fare il cavaliere? -.
- Sì. –.
- E come si fa? -.
- A fare cosa? -.
- Ma il cavaliere, naturalmente. – Lyse era sempre più stuzzicata. – Ho
letto dei libri trafugati da Tuxìn in cui i cavalieri sono descritti come
giovani belli e coraggiosi e coraggiosi significa che non hanno paura di
nulla. – lo disse col tono saccente di una bambina che sa di rispondere
bene a una domanda.
Heinrich sorrise quasi affettuosamente e decise di darle qualche piccola
soddisfazione, senza indagare su chi fosse Tuxìn.
- Sai molte cose per non essere di questo mondo. – si complimentò.
- Già. – Lyse sorrise radiosa. Poi le venne un’idea. – Mi aiuteresti ad
impararne altre? Sarò un’apprendista umana! -.
Heinrich quasi non scoppiò a ridere a quell’esclamazione e si avvicinò
lentamente alle sponde del laghetto.
- Perché no? – rispose. – Per diventare cavaliere devo aiutare una
fanciulla in difficoltà. Tu sei una fanciulla e vista la tua ignoranza
direi che sei piuttosto in difficoltà. Inoltre quell’unicorno fa gola a
molti. -.
Lyse trovò la cosa agghiacciante, trasalendo.
- Intendi dire che… se lo vogliono mangiare? -.
Heinrich non riuscì a trattenersi quella volta e la sua risata risuonò
allegra per tutta la radura. Era sonora e vivace.
- No, sciocchina. “Fare gola” è un’espressione per indicare che molti lo
vorrebbero e farebbero di tutto pur di prenderselo. -.
Lyse annuì vigorosamente.
- Ci hanno già provato. – ammise.
Heinrich non si stupì tanto di quello quanto del fatto che la ragazzina
fosse riuscita a cavarsela da sola.
- Perché non mi racconti come sei finita quaggiù? – si interessò.
- Sì, ma prima vorrei uscire dall’acqua. Fa freddo. -.
Il giovane quasi cavaliere prese allora il suo mantello e lo depose sulla
riva vicino a lei, per poi voltarsi dall’altro lato.
- Puoi uscire. – le disse. – Ti do la mia parola di quasi cavaliere che non
mi girerò. -.
Lyse fece come lui le aveva detto e si avvolse nel caldo mantello per
asciugarsi, anche se non capiva per quale motivo lui dovesse darle le
spalle.
- Hai finito? – le domandò lui.
- Sì, certo. – rispose Lyse. – Ma perché sei girato dall’altro lato? -.
Heinrich sarebbe diventato rosso di nuovo per quella domanda senza un
briciolo di pudore, ma si sforzò di tenere a mente che Lyse veniva da un
altro mondo e che lei non parlava e non agiva per impudicizia o
maleducazione ma per ignoranza degli usi e del buon costume.
- Perché non sta bene che un uomo o un ragazzo vedano una donna o una
ragazza nuda. – rispose con parole semplici in modo che lei potesse capire.
- E perché no? – lo incalzò lei.
- Beh… - cercava le parole annaspando nell’imbarazzo. – Perché… perché…
perché è una convenzione della società. Convenzione significa usanza,
tradizione. – si affrettò ad aggiungere, anticipando la domanda successiva.
Si congratulò con se stesso per aver avuto la prontezza di aggirare
l’argomento sconveniente facendola apparire una norma che semplicemente era
imposta dall’alto. L’illuso non poteva immaginare che le domande
imbarazzanti erano appena incominciate.
Asciutta e rivestita Lyse lo prese innocentemente per mano e lo invitò a
sedersi con lei sulle rive del laghetto. Muovendo ancora i piedi in acqua
raccontò ad Heinrich della sua disavventura. Il quasi cavaliere la ascoltò
con attenzione e fu sollevato nello scoprire che l’unica cosa di cui
avrebbe dovuto assicurarsi per farla tornare sana e salva nel cielo fosse
che nessun uomo la toccasse.
Quasi si vergognò ripensando all’infamia di cui si sarebbe macchiato se lei
non gli avesse detto di venire dal cielo.
Quei pensieri furono spazzati via in un attimo dalla usuale curiosità di
Lyse.
- Heinrich, cos’è la verginità? -.
Il ragazzo divenne paonazzo e si sentì messo sotto pressione dagli occhioni
blu di lei che lo fissavano così insistenti e così innocenti. Heinrich
abbassò lo sguardo, la testa, iniziò a tormentare nervosamente l’erba
fresca con le dita, alla ricerca di qualche favola da raccontare. Era
combattuto. Da un lato sentiva che sarebbe stato giusto raccontare la
verità a Lyse, ma dall’altro… dall’altro sapeva che dopo qualcosa nello
sguardo di lei sarebbe cambiato per sempre.
Mentre lui si consumava nel dubbio, lei ipotizzò che non avesse capito la
domanda, quindi continuò a parlare.
- La vecchia signora mi ha detto che ha a che fare con la nascita dei
bambini. -.
Heinrich quasi ebbe un sussulto.
- E con le cicogne. –.
Heinrich tirò un sospiro di sollievo.
- Ma io non le credo! -.
Fantastico. Avrebbe dovuto inventarsi qualcos’altro. Qual era la favoletta
che raccontavano sempre? Ah sì! I cavoli!
- I bambini nascono dai cavoli. – affermò infine con sicurezza. - Tu sai
cos’è un cavolo, vero? – domandò assalito dal dubbio.
- Ne ho vista un’illustrazione, una volta. – confermò Lyse. – Ma in che
modo i cavoli sono collegati con i bambini? -.
- Sotto alcuni cavoli… speciali, ecco, crescono i bambini. Quando una
famiglia desidera il bambino allora, ecco… deve addentrarsi nel campo di
cavoli. Ma bisogna essere in due. – puntualizzò. – Un maschio e una
femmina, altrimenti non funziona. -.
- E perché? -.
- Ecco… perché… -.
Quella discussione gli stava richiedendo un notevole sforzo di fantasia.
- Perché si devono abbracciare. – proseguì con incertezza.
- Ma non bisogna essere un maschio e una femmina per abbracciarsi. –
osservò Lyse, stupita.
Heinrich pensò che per essere ingenua era piuttosto sveglia.
- Sì, ma vedi, nel campo di cavoli c’è un abbraccio particolare. Si
abbracciano nudi e sono… spinti dal desiderio sincero di avere un bambino.
Oh, e si amano. -.
- Che cosa vuol dire? -.
Lui quasi non sospirò dalla frustrazione.
- Significa che non possono stare l’uno senza l’altra e che ciascuno mette
al primo posto il bene dell’altro. Si prendono cura a vicenda l’uno
dell’altra. -.
Lyse lanciò un’occhiata al suo unicorno.
- Come succede a me e a Tuxìn? -.
Heinrich parve piuttosto disgustato all’idea.
- No! – esclamò indignato. – Lui è un animale! È… senti, è difficile da
spiegare. È frutto di un sentimento che viene dal cuore. È una sensazione
e… e lo capirai quando conoscerai un uomo o un ragazzo e ti innamorerai di
lui! – sbottò.
Quell’assurda conversazione era durata anche troppo. Lyse comprese che
qualcosa doveva averlo disturbato o offeso e a sua volta distolse lo
sguardo.
- Mi dispiace. – si scusò. – Non volevo infastidirti. Almeno adesso so che
non devo entrare nei campi di cavoli con un uomo. -.
Ora si sentiva triste e Heinrich quasi in colpa. Sospirò e le appoggiò una
mano sulla spalla.
- Non mi hai infastidito. – le assicurò. – Ma se vuoi vedere un po’ di
mondo, sarà meglio uscire da questa foresta. -.
- Non è tutto così il vostro mondo? -.
- Affatto. Tu non hai mai visto una città. -.
- La città è quella grande macchia che di notte è piena di luce che vedo
dal cielo? -.
- Sì. – Heinrich sorrise per quella definizione. – Mettiamoci in marcia. -.
- Che vuol dire? -.
Heinrich tornò dal suo cavallo, salendo in sella.
- Vuol dire “partiamo”. Ti porto in città. – le sorrise, porgendole la
mano, invitandola a salire davanti a lui.
Lyse sembrò titubante.
- E Tuxìn? -.
- Sarebbe più sicuro per lui se ci seguisse dal cielo. Così nessuno tenterà
di rapirlo. -.
La fanciulla annuì.
- Va bene. – mise la sua piccola mano in quella più grande del quasi
cavaliere e lui con vigore l’aiutò a salire in sella.
Lyse non era più da sola in quell’avventura.
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L’angolo dell’autrice
Buona domenica a tutti J
Pare che Lyse abbia finalmente trovato un alleato in questa sua
esplorazione del mondo umano… ma Heinrich sarà in grado di mostrarsi sempre
all’altezza della situazione?
Fatemi sapere che cosa ne pensate, ogni commento/consiglio/critica è ben
accetto/a.
Ciò detto, torno a godermi questa lazy Sunday immersa nella neve e vi
auguro in anticipo un buon inizio settimana,
Mel
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Capitolo 4 *** Messèr Schmidt ***
4.
Messèr Schmidt
Il destriero di Heinrich cavalcava più veloce che poteva in mezzo agli
alberi, cercando un’uscita da quel mare di verde.
Il motivo per cui il quasi cavaliere aveva tanta fretta e non voleva
indugiare tra le fronde aveva poco a che fare con il desiderio di Lyse di
arrivare in città il prima possibile e molto di più con la necessità di
seminare possibili branchi di lupi prima del calar della notte.
All’inizio gli sembrò quasi un miracolo che Lyse non fosse stata aggredita
da un branco durante la prima notte. Ipotizzò che poiché non era umana i
lupi non potevano fiutarla.
Ad ogni modo lui era umanissimo e non aveva proprio voglia di sfidare la
sorte in un modo tanto stupido. Per questo spronava il suo destriero a
procedere senza indugi.
Era ormai quasi il tramonto quando finalmente si lasciarono alle spalle i
maestosi alberi.
Durante il tragitto Lyse si era osservata attentamente intorno e ogni tanto
poneva qualche domanda a Heinrich su quello che vedeva. Qualche volta il
giovane conosceva la risposta e la condivideva con lei, altre volte si
limitava ad inventare una motivazione plausibile ai suoi perché.
Doveva trattarsi di un’avventura molto emozionante per lei, non faticava a
comprenderlo. Lui la fase dei perché l’aveva avuta da molto piccolo, come
tutti i bambini, e non se ne ricordava.
Lyse, invece, se la stava gustando a pieno: per i suoi occhi blu era tutto
nuovo e bello e innocuo, un intero mondo da scoprire.
Heinrich realizzò di essersi messo in un bel guaio: quando fantasticava
sulla sua missione si immaginava con il suo svettante cimiero a combattere
contro i draghi o a salvare una città intera da un infausto destino di
morte, mentre invece da quando era partito si era trovato nella situazione
di sfruttare maggiormente le tecniche di sopravvivenza e di certo non
immaginava che la sua opera cavalleresca sarebbe stata quella di proteggere
una ragazzina bionda venuta dal cielo dalla propria curiosità e dai più
banali mali della quotidianità.
Lyse dopo qualche ora si stancò di osservare e di fare domande. Aveva
imparato molte cose grazie ai racconti di Heinrich, ma forse erano state
troppe da assimilare. Inoltre le piacevano l’andatura del cavallo che la
cullava e il tepore del sole sulla pelle e, sebbene l’armatura del
cavaliere fosse fredda, lei sentiva calore nello stare appoggiata al suo
torace. Stava tanto bene che, come risultato, si addormentò.
Indifesa. Apparve così, agli occhi di Heinrich, quando si accorse che era
caduta in un sonno tranquillo tra le sue braccia. Sorrideva serena e aveva
i capelli sparsi su di lui, e quella volta Heinrich non riuscì a resistere
all’impulso di stringerla a sé. Era così bella, così minuta. Quelle labbra
rosee, dischiuse, sembravano chiamarlo. Eroicamente, si trattenne.
Quando Lyse si svegliò avevano superato la foresta da un bel pezzo ma la
città non era ancora sufficientemente vicina.
Le lunghe ciglia di Lyse sbatterono un paio di volte, prima che lei si
decidesse a sollevare il suo sguardo interrogativo su Heinrich.
- Buongiorno, creatura del cielo. – le sorrise lui.
- Mi sono addormentata, ti ho lasciato solo, mi dispiace. – biascicò lei,
con la voce ancora impastata.
- Non importa. – minimizzò. – Sono io che ti devo proteggere, non certo tu
a dover farmi compagnia. Sono riuscito a lasciare alla spalle la foresta.
-.
Infatti Lyse osservò che in quel momento si trovavano su un sentiero di
terra circondato da enormi prati verdi. Era davvero un bello spettacolo, lo
guardò affascinata.
- Il sole sta per tramontare. – la avvertì Heinrich. – Dobbiamo trovare un
riparo. -.
- A questo posso pensare io! – esclamò Lyse, contenta di potersi rendere
finalmente utile. – TUXÌN! – gridò a gran voce. – TUXÌN! -.
L’unicorno l’udì e scese dalle nuvole, volando immediatamente dalla sua
padrona.
- Tuxìn, ci serve il tuo aiuto. Devi trovarci un rifugio! -.
L’unicorno nitrì, dando segno di aver capito, e si sollevò nuovamente in
cielo.
Fu la volta di Heinrich di porre una domanda, alla quale lei rispose
contenta.
- Dall’alto può trovarlo più velocemente. – osservò.
Heinrich si sorprese per quella piccola astuzia e sorrise soddisfatto: Lyse
era meno sprovveduta di quanto pensasse.
Poco dopo, infatti, Tuxìn tornò da loro per guidarli fino a una tenuta
abbastanza grande: c’era un vasto pascolo verde e, nei pressi di una grande
casa, facevano capolino tanti piccoli orti dove frutta e verdura crescevano
rigogliose.
Heinrich notò compiaciuto anche la presenza di una stalla dove il suo
cavallo avrebbe potuto tranquillamente passare la notte. Lyse arrivò alla
sua stessa conclusione.
- Fantastico, anche Tuxìn si potrà riposare! – gioì.
Il quasi cavaliere la fissò con costernazione.
- Lyse, non ti ha insegnato nulla l’esperienza di ieri sera? -.
- Che non mi devo fidare troppo degli umani, perché vogliono rubarmi
l’unicorno. -.
- Esatto. E tu vuoi lasciarlo di nuovo in una stalla di umani? -.
La ragazzina si strinse nelle spalle.
- Dovrei lasciarlo affamato e al freddo? -.
Heinrich fece per ribattere ma non trovò alcun argomento sensato. Lyse
aveva ragione, Tuxìn aveva bisogno di un riparo dal freddo e di mangiare
qualsiasi cosa mangiassero gli unicorni.
- E poi questa volta non sono da sola, ci sei tu con me! – lo disse con
talmente slancio ed entusiasmo che lo abbracciò, rischiando di far cadere
entrambi dalla sella.
Il ragazzo non se lo aspettava e spalancò gli occhi per la sorpresa. Era
contento che Lyse l’abbracciasse e la ricambiò. Tuttavia quel benessere era
guastato dalla sensazione di essersi caricato di un’enorme responsabilità:
dubitò di se stesso e si domandò se fosse degno della fiducia che quella
ragazzina sembrava accordargli così incondizionatamente.
Mentre rifletteva come un perfetto cavaliere, Lyse era scesa con estrema
grazia da cavallo e si era già diretta a bussare alla porta della casa.
- Lyse, aspetta! – Heinrich si sbrigò a raggiungerla.
Le aprì la porta un signore dalla lunga e folta barba nera, con due occhi
scuri come il carbone. Indossava un paio di calzoni, una casacca a quadri e
aveva l’aspetto trascurato, con la fronte corrugata in un’espressione
burbera.
- Salve! – lo salutò Lyse con allegria. – Io sono Lyse che viene dal cielo
e lui è Heinrich, l’apprendista cavaliere. -.
Il ragazzo fu molto più discreto nel salutare l’uomo e prese la parola
prima che Lyse potesse aggiungere qualcosa che li avrebbe messi nei guai.
- Cerchiamo ospitalità per la notte, per noi e per i nostri cavalli. – andò
subito al punto.
Ma l’uomo, dopo averli squadrati, chiuse loro la porta in faccia.
- Non c’è posto in casa mia per chi non ripaga. -.
Lyse, con prontezza, con un piede impedì che la porta si chiudesse
completamente.
- Sono una cuoca. – mentì. – Potrei cucinare qualcosa. -.
L’uomo riaprì lentamente la porta e squadrò Heinrich.
- Tu, invece, cosa sai fare? -.
- Io… -.
- Nulla, lo sospettavo. Come tutti i boriosi cavalieri. Vi vantate tanto,
dall’alto della vostra posizione sociale, ma quando si arriva alle cose
pratiche non sapete concludere molto. -.
Heinrich si impettì, sentendosi insultato da quelle parole sprezzanti.
- Mi ascolti bene, messèr… -.
- Schmidt. – si presentò l’uomo.
- … Schmidt. – ripeté Heinrich. – Mi dovete portare rispetto! -.
- Siete solo uno scudiero che sogna di diventare cavaliere, non è forse
così? -.
Il ragazzo si offese ancora di più.
- Non sono tenuto darvi alcuna spiegazione, ma sappiate che ho terminato il
mio addestramento e… -.
- Heinrich si comporta da vero cavaliere. – lo interruppe Lyse. – È molto
forte, potrebbe aiutarvi con alcuni lavori. Dopo tutto vi stiamo chiedendo
un tetto sopra la testa solo per una notte! -.
L’uomo osservò la ragazzina e i suoi grandi occhi blu che sembravano
sinceramente chiedere aiuto, senza pretendere nulla di più di quanto aveva
detto.
- Va bene. – acconsentì controvoglia. – Il ragazzo che si occupa del mio
gregge è malato. – spiegò, come se fosse una cosa rilevante. – In cambio
dell’ospitalità vi chiedo di restare qui per tre giorni. La ragazzina mi
aiuterà con l’orto, mentre tu, apprendista cavaliere, ti occuperai delle
mie pecore. -.
I due si scambiarono un’occhiata veloce. La sicurezza di Lyse vacillò: non
voleva sprecare tre giorni nello stesso posto, ma se Tuxìn l’aveva condotta
lì allora significava che si trattava di un luogo sicuro. Heinrich al
contrario accolse quella proposta molto volentieri, perché avrebbe
semplificato la sua missione di tenere al sicuro Lyse. A meno che l’uomo
non avesse voluto approfittarsi della ragazza in sua assenza. Si rese conto
che avrebbe dovuto prendere delle precauzioni.
Infine, accettarono la proposta.
Lyse e Heinrich erano affamati, non mettevano qualcosa nello stomaco dal
giorno precedente. Una volta in cucina, Heinrich le parlò sottovoce.
- Non sapevo che sapessi cucinare. -.
- Non so farlo. O meglio, so solo preparare dolci. -.
Heinrich impallidì.
- Solo dolci? -.
- Oh, e la signora di ieri sera mi ha spiegato come si fa una minestra di
verdura. E a tagliare il salame! Non dovrebbe essere complesso con tutte le
verdure che possiede Messèr Schmidt. – concluse con praticità. – Mi
aiuteresti? -.
- Ma certo. -.
Sotto lo sguardo vigile di Messèr Schmidt i due iniziarono a cucinare
insieme. Lyse forniva a Heinrich delle indicazioni non molto dettagliate né
accurate, ma il ragazzo aveva sufficiente prontezza da capire quello che
doveva fare senza far sospettare all’uomo che Lyse sapeva solo metà di
quanto volesse fare credere.
Come aveva preannunciato, Lyse si rivelò molto abile con la preparazione
del dolce. Una volta recuperati tutti gli ingredienti sembrava addirittura
divertirsi mentre si sporcava le mani e i capelli di farina. In Heinrich
sbocciò il pensiero che fosse adorabile.
Almeno finché lei non decise di lanciare la farina addosso a lui, con un
gesto spontaneo e un sorriso da piccola guastafeste.
- Ah, è così? – domandò lui retoricamente, prendendone un pugnetto a sua
volta e lanciandola su di lei.
Lyse rise nel suo modo cristallino e Heinrich non poté che fare
altrettanto, mentre, da dietro la porta della cucina, il vecchio burbero li
osservava con una punta di tenerezza.
La cena fu un successo. Lyse evitò di raccontare la sua storia e raccontò
soltanto di essere stata rapita e che l’apprendista cavaliere, Heinrich, la
stava aiutando a tornare a casa. Soprattutto, non fece menzione
dell’unicorno.
I due, invece, appresero dell’uomo che non era mai convolato a nozze e che
viveva da solo da molto tempo. Per alleviare la solitudine aveva allora
accettato di prendere con sé un giovane senza tetto per insegnargli il
mestiere e garantirgli un futuro.
Nonostante questo non nascose di essere preoccupato per come il ragazzo
cresceva: non che fosse uno scansafatiche, ma ascoltava di rado i buoni
consigli e provava invidia per gli altri ragazzini che potevano avere più
di lui.
- Per me è come un figlio. – concluse l’uomo scoraggiato, prendendosi la
testa tra le mani. – Ma non so proprio cosa offrirgli di più. -.
Lyse e Heinrich non seppero bene come replicare allo sfogo di Messèr
Schmidt, ma quel triste momento fu ben presto allietato grazie al dolce pan
di spagna di Lyse, farcito con la panna, che era a dir poco celestiale.
Dopo la cena Heinrich chiese di poter dormire nella stalla, con grande
sorpresa degli altri due.
- Ma ho una camera abbastanza grande per entrambi. – insistette Messèr
Schmidt. – Molto più confortevole della stalla. -.
Lyse non sapeva bene il significato di “confortevole” ma aveva capito che
il signore che li stava ospitando voleva che anche Heinrich dormisse in
casa. L’apprendista cavaliere fu tuttavia irremovibile nella sua decisione:
voleva tenere sotto controllo Tuxìn. Si recò dunque nella stalla, richiamò
Tuxìn dal cielo per farlo entrare, rimediò un giaciglio di paglia e fieno e
si lasciò cadere sopra, cercando calore dalla coperta che aveva trovato
appesa all’unicorno, prendendo sonno quasi subito.
Lyse, al contrario, continuava a rigirarsi nel letto. Non era morbido come
le sue nuvole, ma era caldo e comodo. L’idea che Heinrich fosse a dormire
fuori per fare la guardia al suo unicorno le sembrò tremendamente ingiusta.
Comprese che non sarebbe riuscita a dormire senza di lui e, afferrata una
candela che usò per farsi luce, iniziò a dirigersi a sua volta verso le
stalle.
Non fu abbastanza silenziosa, però, da non farsi sentire dall’aiutante di
messèr Schmidt.
Questo era un giovinetto dai capelli rossi e con il viso spruzzato di
lentiggini, snello come un giunco e dallo sguardo perennemente imbronciato.
Odiava vivere in quella catapecchia, disprezzava lavorare, era scontento di
quella vita che gli era toccata in sorte senza che nessuno si fosse
preoccupato di offrirgliene una migliore. Doveva sgobbare fin troppo per i
suoi gusti per guadagnarsi il pane, trascorreva tutte le sue giornate con
quelle pecore odiose e puzzolenti, rischiando la sua vita contro i lupi, se
necessario.
Poi, quella sera, aveva sentito arrivare i due stranieri: una ragazza un
po’ svampita e ignorante che sembrava preparare dolci ottimi e un
apprendista cavaliere. Ah! Quella sì che sarebbe stata vita! Vivere nel
lusso di corte, circondato da mille dame. Certo, fare il cavaliere
comportava qualche rischio ma era anche pur vero che, dall’alto della
posizione sociale garantita, durante le guerre avrebbe semplicemente potuto
mandare avanti i soldati a combattere e restarsene tranquillo nelle
retrovie. Teneva quei pensieri per sé, naturalmente, altrimenti sapeva che
sarebbe stato tacciato di ingratitudine, pigrizia e vigliaccheria.
Un paio di giorni prima aveva finto di stare male per prendersi una pausa
da quei suoi noiosi compiti quotidiani quindi, spiando dalla propria
finestra, aveva capito che la ragazzina sapeva cucinare e che avrebbe
badato all’orto in quel periodo. Quando poi messèr Schmidt gli aveva
portato in camera la cena aveva gustato con le proprie papille e constatato
che effettivamente il dolce era delizioso e si era sentito assalire
dall’invidia: il timore che quella sciocca bionda potesse essere più brava
di lui e sottrargli in qualche modo il suo ruolo o l’affetto del vecchio
Schmidt lo rese geloso. Detestava quella vita, era vero, ma comunque gli
permetteva di mettere qualcosa sotto i denti ogni giorno, che a quei tempi
non era cosa da poco.
Animato dunque dal desiderio di farle del male e di toglierla di mezzo
decise di seguirla. Gioì follemente quando si accorse che era diretta alla
stalla: si sarebbe chiuso dentro con lei e poi eliminarla sarebbe stato
davvero facile.
Il suo terribile piano fallì ancora prima di cominciare non appena si
accorse che la stalla non era vuota ma che al suo interno l’apprendista
cavaliere, Heinrich, giaceva sulla paglia.
Quest’ultimo si svegliò al leggero scuotere di Lyse.
- Heinrich. – lo chiamò.
- Lyse! – il giovane aprì gli occhi immediatamente, preoccupato per la
fanciulla. – Che ci fai qui? Stai bene? -.
Lyse sorrise rassicurante.
- Certo! Non volevo lasciarti solo. – gli confessò. – Posso dormire con te?
-.
Quella richiesta colse Heinrich impreparato. Non voleva dormire con Lyse,
non voleva raggiungere quel livello di intimità con quella ragazzina che in
pochi giorni se ne sarebbe andata. D’altronde rifiutarla così apertamente
l’avrebbe ferita, dal momento che la richiesta era stata avanzata senza
alcun cenno di malizia. Optò quindi per una scusa banale.
- Non ho un buon odore. – commentò Heinrich. – Le stalle sono impregnate di
un cattivo olezzo e io lo sto assorbendo. Non riusciresti a dormire. -.
- Non dire stupidaggini. -.
Lyse gli tolse la coperta all’improvviso, con un gesto deciso del braccio,
mentre Heinrich ringraziava il cielo di non essere nudo.
- Puzzeremo insieme. – concluse Lyse sdraiandosi accanto a lui e coprendo
entrambi.
Heinrich sospirò arrendendosi: non sarebbe riuscito a mutare le intenzioni
della fanciulla.
Lei continuava a maneggiare con la coperta di Ralph, realizzando che non
era sufficientemente grande per coprire entrambi. Nemmeno questo la
scoraggiò e si avvicinò allora ad Heinrich tanto da far aderire i loro
corpi, ponendo il suo braccio sinistro ad abbracciare il petto solido del
giovane. Soddisfatta per quella trovata, coperti entrambi, si accoccolò
involontariamente ancora di più, appoggiandogli la testa sulla spalla,
mentre il cuore di Heinrich perse qualche battito.
Il giovane maledì mentalmente tutte le divinità vere e finte che conosceva:
quella non era una ragazzina, era un castigo divino inviatogli per qualche
motivo che a lui non era dato sapere!
Come poteva resistere a quegli occhioni blu, a quei capelli vaporosi, a
quella pelle vellutata e a quelle labbra rosee? Come poteva lei concedergli
la sua vicinanza in quel modo senza però concedersi davvero?
Si aggrappò alla sua missione da cavaliere, l’unica certezza che gli
restava. Doveva tenere i suoi nascenti sentimenti per sé e concentrarsi sul
suo scopo. Doveva pensare al futuro, alle giostre, al sangue, alle
battaglie, ai draghi.
Un po’ rassicurato da quei pensieri si ritrovò a ricambiare l’abbraccio di
Lyse e a cadere in un sonno profondo.
Ignaro del timido rapporto che si stava instaurando tra i due, il rosso si
trattenne a stento dall’esternare esclamazioni di gaudio alla vista
dell’unicorno, che lo aveva sbalordito. Quanto avrebbe potuto guadagnare
con quell’animale! Avrebbe potuto addirittura chiedere udienza al re e
ricevere gloria ed onori!
Doveva rubarlo! Ma come? Non di notte, con l’apprendista cavaliere che gli
faceva la guardia. Piuttosto il giorno sarebbe stato perfetto. Di giorno
l’apprendista cavaliere sarebbe stato al pascolo e la giovane sciocca con
Messèr Schmidt nell’orto. Lui allora avrebbe avuto via libera per
raggiungere furtivamente la stalla, avrebbe rapito l’unicorno e sarebbe
volato via, verso la vita che aveva sempre desiderato.
Fu con quelle malvagie intenzioni che tornò in camera sua, in trepidante
attesa del sorgere del sole.
Anche questo piano che appariva perfetto, tuttavia, fu sventato
dall’apprendista cavaliere. Non fidandosi ancora completamente di Messèr
Schmidt, Heinrich quella mattina convinse Lyse che la cosa più saggia da
fare fosse lasciare Tuxìn libero di volare, in modo da scongiurare ogni
pericolo, per poi richiamarlo nella stalla per la notte. Così, quando il
rosso arrivò nel luogo del misfatto, lo trovò privo dell’unicorno. Usando
qualche mala parola, promise a se stesso che non si sarebbe arreso.
Risolta la faccenda dell’unicorno, Heinrich dovette anche preoccuparsi
dell’incolumità di Lyse. Ci aveva pensato attentamente prima dell’alba,
mentre ancora la stringeva a sé con forse più forza di quella necessaria.
Alla fine, proprio quando i primi raggi si stavano infiltrando dalle
finestre, aveva concluso che si sarebbe raccomandato con Lyse di urlare
molto forte nel caso le fosse successo qualcosa e di passare a controllare
più volte durante la giornata: doveva ammettere che il pascolo era
collocato molto vicino alla tenuta.
Fortunatamente i suoi timori si rivelarono infondati: messèr Schmidt non
torse nemmeno un capello a Lyse e, anzi, si complimentò più volte con lei
per la buona lena che metteva nello svolgere i suoi compiti.
L’unica cosa che gli era parsa piuttosto bizzarra era stata la reazione
esagerata della fanciulla quando stava per seguirla nel campo di cavoli per
aiutarla a raccoglierli. Ella si era spaventata, era diventata paonazza e
si era messa a gridare come un’aquila qualcosa riguardo alla verginità e ai
bambini e francamente Messèr Schmidt non comprese come questo potesse
riguardare la raccolta dei suoi cavoli. Comunque, dal momento che era ovvio
che la cosa la turbasse profondamente, l’uomo acconsentì a non entrare in
quella parte di campo. Quando Heinrich, allertato dalle grida, li aveva
raggiunti nell’orto e Lyse gli aveva raccontato l’accaduto davanti a un
sempre più sgomento signor Schmidt, l’apprendista cavaliere si trattene con
non poca fatica dal mettersi a ridere, cosa che gli capitava spesso da
quando l’aveva conosciuta.
Tranquillizzò la buffa ragazza, le assicurò che andava tutto bene e poi,
preso da una parte Messèr Schmidt, gli confessò in che modo Lyse credeva
che nascessero i bambini.
- Povera creatura. – la giudicò Messèr Schmidt. – Qualcuno dovrebbe dirle
la verità, o si caccerà in qualche guaio. -.
- Tutto a suo tempo, Messèr Schmidt. – replicò Heinrich.
Quel giorno assolato terminò con un’ottima torta di mele.
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L’angolo dell’autrice
Buon lunedì J
Le avventure di Lyse continuano e questa volta pare aver davvero trovato un
posto quasi tranquillo… riuscirà il ragazzo dai capelli rossi e battere
l’apprendista cavaliere e a impossessarsi di Tuxìn?
Nel frattempo, colgo l’occasione per ringraziare tantissimo E.Comper alias
TotalEclipseOfTheHeart per il suo splendido giudizio e per avermi dato
l’occasione di misurarmi con questo genere!
Grazie infinite!
Mel
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Capitolo 5 *** Di tradimenti, di lupi e rapimenti ***
5.
Di tradimenti, di lupi e rapimenti
Il giorno successivo Lyse e Messèr Schmidt terminarono con anticipo le loro
faccende nell’orto.
Lyse aveva affrontato quella giornata con entusiasmo e, come la precedente,
aveva tempestato il povero signore di domande sul nome delle piante, sui
loro utilizzi, sugli strumenti da lui utilizzati. Il preferito di Lyse era
il rastrello. Quell’oggetto e quel nome intrigavano la ragazza talmente
tanto che Messèr Schmidt si propose di regalargliene uno allorché fosse
partita il giorno successivo.
Inoltre Lyse gli era grata perché Messèr Schmidt aveva avuto la pazienza di
illustrarle in che modo gli strumenti si fossero sviluppati nel tempo e di
come numerosi progressi sarebbero stati compiuti probabilmente in futuro.
Finalmente Lyse aveva dato un senso non letterale all’espressione “andare
avanti” ed era sempre più affascinata da quello che sembrava essere un
continuo desiderio di migliorare se stessi e la propria condizione di vita.
Nel cielo non esisteva nulla di simile.
Messèr Schmidt l’aveva chiamata “ambizione” e le aveva spiegato che era una
cosa positiva a patto che non si superassero certi limiti morali pur di
raggiungere i propri obiettivi.
Lyse non era certa di cosa fossero i “limiti morali” e lui le rispose, in
modo molto semplicistico, che si trattava di non macchiarsi mai l’onore con
cattive azioni. Lyse non comprese la parte sull’onore, ma capì che non
doveva essere cattiva. Purtroppo, aggiunse Messèr Schmidt, il mondo era
pieno di persone che si abbassavano a compiere empietà pur di ottenere ciò
che volevano.
“Come Frau Zermann” pensò Lyse.
Alla fine, dal momento che l’ora di cena era ancora lontana, Lyse chiese
educatamente il permesso di raggiungere Heinrich al verde pascolo. Messèr
Schmidt fu ben lieto di accontentarla e approfittò di quei momenti di
solitudine per dedicare un po’ di cure al suo povero ragazzo malato: non
voleva di certo che si sentisse trascurato.
Il rosso, nel frattempo, quella notte aveva riprovato a sottrarre
l’unicorno, ma l’apprendista cavaliere era sempre lì a fare la guardia.
Aveva tentato nuovamente la mattina stessa, ma aveva trovato la stalla
vuota come il giorno precedente. Quell’apprendista cavaliere sapeva il
fatto suo e stava diventando una vera e propria spina nel fianco.
Il rosso se ne rimase dunque affondato nel letto a rimuginare sulla sua
sfortuna, benché si trattasse piuttosto di inettitudine, finché quel
pomeriggio non dovette calarsi nuovamente nella parte del malato: sembrava
che Messèr Schmidt fosse molto in ansia e a lui piaceva essere al centro
dell’attenzione. Questo, perlomeno, costituì una fonte di distrazione dai
suoi pensieri che lo rodevano come tarli.
Almeno fino al momento in cui dei terribili ululati riecheggiarono
nell’aria.
Quando Heinrich aveva visto Lyse correre verso di lui nel prato, per un
momento quella visione lo affascinò. Un istante dopo si preoccupò
terribilmente.
Ma Lyse stava sorridendo.
- Sono venuta a farti compagnia! – gli annunciò, gioiosa.
Passarono delle piacevoli ore sdraiati nell’erba, mentre Heinrich le
raccontava dettagli sulla vita di corte e lei invece gli insegnava le
canzoni del cielo. Aveva una bella voce, dolce, con una grande estensione,
mentre quella di Heinrich era potente e bassa: entrambi fecero una nuova
scoperta, Lyse perché non credeva che gli umani cantassero e Heinrich
perché, non avendo mai cantato, non credeva di esserne capace.
Quei momenti di ilarità si dissolsero nel vento all’improvviso e alle loro
risa complici si sostituì il basso e minaccioso ringhio dei lupi.
Heinrich, da vero apprendista cavaliere, balzò in piedi in un battibaleno e
con un sol gesto sfoderò la sua fedele spada, brandendola contro i due
grossi animali che avevano tutta l’intenzione di fare di loro e delle
pecorelle la loro cena.
Con i manti fulgidi, il portamento elegante e la bava alla bocca, le fiere
sembravano sul punto di sferrare un attacco.
- Scappa, Lyse. – le ordinò Heinrich.
- Cosa… no! -.
- Sono lupi, Lyse. Ci divoreranno! – perché doveva spiegarle sempre tutto?
Pensava di spaventarla ma fu sorpreso dalla risolutezza della fanciulla.
- È un motivo ancora maggiore per non abbandonarti. – la voce le tremava,
percepiva il pericolo.
Il primo lupo si avventò sulla prima povera pecorella per sbranarla e
quell’orribile visione sconvolse Lyse per la sua brutalità.
Heinrich si slanciò con coraggio sull’altro lupo, ma l’animale fu più
rapido e gli saltò addosso costringendolo a terra, con i suoi denti aguzzi
poco distanti dal suo viso. Il suo alito pestilenziale fece impallidire il
giovane.
Una pietra lanciata da Lyse distolse la sua attenzione dal suo prelibato
pasto e con un balzo la fiera si avvicinò alla fanciulla.
Ringhiava e aveva gli occhi iniettati di sangue e percepiva la paura di
Lyse. E più Lyse indietreggiava, incapace di fare altro, quasi paralizzata
dalla paura, più il lupo la seguiva.
- Lyse! – esclamò Heinrich.
Si rialzò per raggiungerla, ma l’altro lupo affondò i suoi lunghi denti
nella sua gamba, facendolo cadere rovinosamente a terra.
- Heinrich! – urlò Lyse in preda al terrore.
Fortunatamente l’armatura aveva protetto la carne dell’apprendista
cavaliere, il quale si voltò giusto in tempo per vedere le fauci
dell’animale spalancarsi impietose davanti ai suoi occhi. Quella la sua
ultima visione prima di morire, il pungente respiro del lupo l’ultimo
odore. Quale misera fine per un apprendista cavaliere!
- NO, HEINRICH! – Lyse afferrò un sasso di medie dimensioni e di nuovo lo
scagliò contro il lupo, dimenticando di difendere se stessa.
Quell’attimo regalatogli dalla fanciulla fu sufficiente al giovane uomo per
prendere la spada e conficcarla con forza nel ventre della bestia.
Ma per Lyse si trattò di un attimo di distrazione e il lupo che la stava
minacciando lo colse al volo, afferrandole violentemente il braccio con la
bocca. Istintivamente la fanciulla lo tirò via prima che fosse troppo
tardi.
- AH! – urlò Lyse, in lacrime, mentre la sua bella pelle si macchiava di un
contrastante rosso carminio.
- LYSE! – Heinrich si precipitò da lei e affrontò nuovamente l’animale.
Purtroppo però i lupi di rado si allontanano dai loro simili e nonostante
le proprie abilità Heinrich sapeva di non essere forte abbastanza da
affrontare da solo un branco intero.
- Scappa, Lyse. – ripeté, questa volta con rassegnazione. – Scappa, ti
prego. -.
Ma di nuovo lei si rifiutò e gli si avvicinò per cingergli un braccio.
- No. – si oppose. – C’è ancora una speranza. -.
Prima che i lupi facessero la loro mossa e che Heinrich capisse ciò che
stava succedendo, Lyse tirò fuori dalla sua veste uno dei crini
dell’Unicorno Nero.
- O mia splendente goccia di cielo, ti prego avvera il mio desiderio!
Desidero questi lupi cacciare, così che Heinrich si possa salvare. -.
Heinrich la fissò allibito. Per lui. Aveva espresso quel desiderio solo per
salvare lui.
Poi, come per magia, vide tutti gli arbusti che li circondavano prendere
fuoco e librarsi in aria, scacciando via i lupi, spaventati dal fuoco che
li inseguì fino a farli disperdere.
Quando il pericolo fu scongiurato Heinrich fece per porre diverse domande a
Lyse, ma non ne ebbe il tempo: Messèr Schmidt quasi ebbe un infarto per il
sollievo quando vide che dopo l’attacco dei lupi – dovevano essere tanti,
li aveva sentiti – i due giovani erano solo lievemente feriti e soltanto
una delle sue preziosissime pecore non ce l’aveva fatta.
Fu Lyse a placare tutta la sua apprensione.
- Sì, stiamo bene. – rispose, ancora scombussolata. – Li abbiamo scacciati
con del fuoco. – doveva proteggere il suo segreto. – Mi dispiace molto per
la sua pecora, signore, abbiamo provato… -.
- Non mi curo di una sola pecora, l’importante è che voi e il gregge siate
salvi. – la interruppe l’uomo, appoggiandole una mano sulla spalla. –
Niente più pascolo per oggi. Voi andate a casa, ci penso io a riportarle
all’ovile. Fatti medicare il braccio, ragazza. -.
Lyse ovviamente non aveva idea di cosa fosse un ovile, ma non era quello il
momento di sfamare la propria sete di conoscenza. Credendo che Heinrich
fosse ferito alla gamba lo aiutò a ritornare a casa nonostante il flusso di
sangue che sgorgava dal suo braccio destro, che non sembrava volersi
arrestare. Intuì che qualcosa non andasse: durante il tragitto, infatti, il
suo compagno fu particolarmente silenzioso. A conferma del presentimento di
Lyse giunti nella stalla la conversazione si fece piuttosto burrascosa.
- Perché non me l’hai detto? – l’aggredì Heinrich offeso e arrabbiato. – I
tuoi desideri si avverano! Hai la magia! Sei una strega! – la accusò
alzando la voce, spingendola via con tanta forza da buttarla a terra.
- Che cosa? – gli occhi di Lyse erano umidi di lacrime.
- Quello che hai fatto! Quello che hai fatto è una magia! – la accusò. – Io
la so una cosa sulle creature del cielo, ossia che non fanno incantesimi!
Ma tu mi hai fatto un sortilegio, vero? Per distogliermi dalla mia
missione! Con i tuoi modi infantili, la storiella delle creature del cielo
e io ci sono cascato come un allocco! – in un impeto di impulsività sfoderò
la spada con fare drammatico e la puntò alla gola di Lyse che spalancò gli
occhi sbigottita.
- Tu sei una strega! -.
Lei respirava con affanno e lo fissava senza capire. Herr Kann le aveva
detto che le streghe erano cattive, ma lei non gli credeva più. In quelle
circostanze fu assalita dal dubbio: era una cosa brutta esprimere desideri?
- Io… io ci ho salvati. – la voce le tremava.
- Tu menti! -.
Premette la fredda punta della lama sul bianco collo della fanciulla. Lyse
deglutì, raccogliendo la voce per provare a spiegarsi.
- Non so cosa sia la magia. Sono tre crini dell’Unicorno Nero, intrisi di
gocce di cielo. Posso esprimere un desiderio per crine, ne ho già espressi
due. Me li ha dati per aiutarmi. -.
Heinrich ora le faceva paura: era rosso in volto, in preda alla collera,
con gli occhi spalancati che la guardavano come se lei fosse il male
assoluto fatto persona.
Non c’era più traccia dell’allegro ragazzo rassicurante che si rivolgeva a
lei quasi amorevolmente.
- Non ti credo! – sbraitò. - Sei di certo stata mandata da qualcuno per
ostacolarmi. Chi? Parla! – la prese per i lunghi capelli e la costrinse a
rialzarsi.
Lyse iniziò a piangere, in silenzio. Chiuse gli occhi.
- Io… n… nessuno. – balbettò.
- Vuoi ancora mentirmi, strega? – le tirò i capelli.
- Mi fai male! – protestò lei.
- È quello che meritano le fattucchiere come te! Siete solo crudeli e
perfide e arrecate solo dolore coi vostri malefici! -.
Quelle parole sputate fuori con tanto astio ebbero il potere di calmare
Lyse. Allora Herr Kann non le aveva mentito, aveva ragione. Smise di
dimenarsi.
Lo guardò con disperazione mista a lucidità e tutto d’un tratto si sentì
svuotata. Annullata. D’un tratto non sapeva più chi fosse per quel ragazzo,
per quel mondo e nemmeno per se stessa.
Quella sensazione di smarrimento raggiunse anche Heinrich, il quale la
lasciò andare di riflesso.
- Le streghe si uccidono. – ricordò lei. – Così mi è stato riferito, che è
ciò che fanno i cavalieri. Non hai molta scelta, vero? -.
I suoi bellissimi occhi blu si illuminarono di una luce triste che stonava
tremendamente e vederli così liquidi fu come una stilettata per il cuore di
Heinrich.
Che cosa stava facendo? Era quello essere un cavaliere? Afferrare per i
capelli una ragazzina indifesa e minacciarla di morte? Come aveva potuto
cadere così in basso?
Ma lei non era indifesa, si ripeté per convincersi. Aveva la magia e glielo
aveva taciuto! Era lui quello che si sentiva ingannato, quello che si era
fidato.
- Mi hai tradito. – replicò lui, inclemente.
Strinse le dita con maggior forza e decisione sull’elsa della sua spada e
la sollevò sopra Lyse. Lei abbassò il capo, remissiva.
- Mi dispiace. Io… non capisco in che modo. -.
Ecco che ricominciava con le domande.
- Mi hai tenuto nascosta una cosa importantissima! -.
- Io non sapevo che lo fosse. Non ti ho abbandonato ai lupi, sono rimasta
lì, ho fatto da esca. Se fossi malvagia mi libererei adesso e invece…
invece sono qui. – deglutì a fatica. – Ma… non importa. Se dici che non
merito altro che la morte, probabilmente è così. Ti prego solo di riportare
Tuxìn al tempio di zucchero filato. Non… non ti devi preoccupare, lui
stesso ti guiderà. Ti prego, Heinrich. Ti chiedo solo questo, se puoi. – si
lasciò cadere in ginocchio ai suoi piedi, aggraziata e silenziosa come un
guanto che cade sulla neve.
Ancora peggio delle sue irritanti domande c’erano solo le sue suppliche
altruiste e la sua contorta logica schiacciante. C’era solo vederla ai suoi
piedi col braccio sanguinante in attesa di un colpo di grazia che lui non
sarebbe mai stato in grado di sferrare.
Lyse aveva ragione: lei era rimasta lì per lui. Poteva aggredirlo con la
magia e invece si preoccupava per il suo futuro e si rimetteva nelle sue
mani, disposta a farsi sgozzare come un agnellino affinché lui si
comportasse da cavaliere, piegandosi a regole sconosciute di un mondo che
faceva finta di non capire o che forse non capiva per davvero.
La mente del giovane fece un ulteriore passo in avanti e si ricordò che
anche lui avrebbe fronteggiato da solo tutto il branco di lupi, accettando
di farsi sbranare davvero solo per darle il tempo di mettersi in salvo. Se
non sopportava di perderla, ancor meno tollerava l’idea di essere lui a
condannarla.
Lasciò ricadere l’arma, sconfitto.
- Non posso farlo. – si arrese, facendo un passo indietro. - Puoi smetterla
di mentire, ora. – proseguì. – Non ti farò nulla, ma dimmi davvero chi sei.
-.
- Io ti ho detto la verità. – insistette Lyse, non osando spostarsi e
raggomitolandosi su se stessa più di quanto già non fosse. - Ho anche
l’unicorno, io sono Lyse che viene dal cielo! -.
- Per quanto ne so potresti averlo rubato a tua volta. -.
- Ma che cosa stai blaterando? – alzò la testa inorridita alla sola idea.
Ma la cocciutaggine di Heinrich non vacillò.
- Vuoi davvero farmi credere che con tre desideri da esprimere tu non abbia
espresso quello di imparare tutte le nozioni del mondo che ti sarebbero
servite a sopravvivere da sola, quello di mascherare la vera natura del tuo
unicorno e quello di garantirti di non perdere la verginità? -.
L’espressione di Lyse fu troppo sbalordita, troppo spontanea per essere
costruita. Lei, a esprimere quelle tre cose banali e scontate, non ci aveva
minimamente pensato.
- Hai… hai ragione. – mormorò Lyse. – Io… che sciocca. Erano… le prime cose
a cui avrei dovuto pensare, vero? -.
- Già. – commentò Heinrich.
Lyse si piegò nuovamente sulle ginocchia, sconsolata. Aveva agito da vera
incosciente.
- Hai ragione. – ripeté mestamente.
Heinrich le si sedette accanto.
- Non so ancora se crederti. – ammise con fatica, mentre stracciava un
lembo del mantello e le prendeva delicatamente il braccio. – Ma ormai non
ho tempo per trovare un’altra missione e tanto vale andare a fondo con
l’aiutarti. Immagino che alla fine di tutto scoprirò davvero se le tue
parole siano state dettate da sincerità o finzione. Ma fino a quel momento…
vorrei che tu mi parlassi il meno possibile. E non dormiremo più insieme. –
dettò le sue condizioni.
Lyse annuì amaramente. Lo aveva deluso, in qualche modo e anche lui aveva
deluso lei con quel suo istinto violento. Sentiva ancora la pungente lama
premerle la giugulare. Pochi minuti prima Heinrich era disposto a morire
per difenderla e adesso si stava trattenendo dall’ucciderla. Anzi, il
motivo per cui non aveva portato a compimento quel suo macabro proposito
era da ricondursi solo alla sua missione da cavaliere. Un motivo piuttosto
egoistico. Ormai si era convinta che tutti gli umani fossero animati
dall’egoismo, persino Heinrich.
Eppure non riusciva a provare un sentimento negativo nei suoi confronti e
quella notte si sentì sola e la sua coscienza la tormentò: se aveva
imparato che amare era mettere il bene dell’altro prima del proprio, lei
che davanti ai lupi non si era curata di se stessa lo amava? E lui, che li
avrebbe affrontati da solo pur di difenderla, la amava? Poteva concedersi
cotanta speranza o doveva rassegnarsi alle pene di un affetto non
corrisposto? Esausta, solo alle prime luci mattutine riuscì ad assopirsi.
Il giorno successivo non fu soleggiato come il precedente. Al contrario, il
cielo era grigio e le gocce di pioggia cadevano incessanti, abbattendosi
prive di pietà sulla terra, smuovendola senza tregua.
Lyse era rimasta mogia mogia vicina ad una finestra tutto il giorno. Ogni
tanto tendeva una mano al di fuori per saggiare la consistenza della
pioggia e rinfrescarsi con l’acqua. Nel cielo non pioveva mai e l’idea che
le nuvole potessero portare tanto grigiore e malinconia non l’aveva mai
sfiorata.
Proprio a causa di quel tempo uggioso Lyse aveva insistito affinché Tuxìn
restasse nella stalle e quella mattina Heinrich non aveva sollevato
obiezioni: era come se non gliene importasse più nulla.
Lyse avrebbe voluto usare il terzo crine per proteggere l’unicorno, ma
quegli ultimi giorni nel mondo umano si prospettavano più duri del previsto
e considerò dunque più assennato conservare l’ultimo crine per le
emergenze. Si fidava ormai a sufficienza di Messèr Schmidt da non
considerarlo un pericolo per Tuxìn. E comunque nemmeno lui si sarebbe
spinto fino alle stalle in una giornata come quella.
I due giovani trascorsero tutto il giorno nella casa, impegnandosi a
ignorarsi a vicenda. Messèr Schmidt ci metteva tutta la sua buona volontà
nel tentare di intavolare una conversazione con i due o quantomeno di
provare a capire il motivo del loro litigio, ma non ne cavò un ragno dal
buco. Così, dopo cena, rinunciò e andò a portare il pasto al suo aiutante
dai capelli rossi.
Questi, reso ancora più cieco dalla gelosia per il fatto che i due
novellini fossero riusciti a proteggere il gregge di pecore da un intero
branco di lupi, riuscì finalmente ad attuare il suo piano.
Sapeva che l’unicorno era nella stalla e che Messèr Schmidt aveva convinto
l’apprendista cavaliere a non dormire in quel luogo reso troppo umido dal
maltempo: si sarebbe di certo ammalato.
In sostanza, il rosso era sicuro che quella sarebbe stata volta buona e,
per rendersi il tutto ancora più semplice e poiché la malvagità aguzza
l’ingegno, aveva addirittura preparato una museruola grande abbastanza per
un cavallo servendosi di alcune vecchie cinghie, in modo da impedire alla
creatura qualsiasi forma di nitrito.
Il bifolco sgattaiolò in punta di piedi fino alle grandi stalle e sorprese
l’unicorno aggredendolo con la museruola. L’animale provò a ribellarsi, ma
nulla poté contro la morsa ferrea del giovane, il quale gli buttò malamente
addosso una sella, salì in groppa e con un frustino lo costrinse a prendere
il volo.
- Shhh, stolto animale. – lo rimproverò. – Tu sarai la mia fortuna,
cambierai la mia intera esistenza. -.
Una volta in cielo, il rosso lanciò un grido selvaggio e liberatorio:
finalmente la sua nuova vita era più vicina.
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Capitolo 6 *** La città ***
6.
La città
Lyse, Heinrich e Messèr Schmidt si accorsero dell’assenza del rosso e di
Tuxìn soltanto la mattina successiva.
Messèr Schmidt era così allarmato per la sorte del ragazzino che Heinrich
non ebbe il coraggio di rivelargli che altro non si trattava di un
lestofante rapi-unicorni.
Lyse, dal canto suo, non riusciva a crederci. Mentre Heinrich era a casa a
cercare di garantire a Messèr Schmidt che avrebbero trovato il rosso in
qualche modo e lo avrebbero riportato da lui, Lyse continuava ad aggirarsi
incredula per la stalla. Chiamava Tuxìn e continuava a spostare in maniera
spasmodica la paglia e il fieno, quasi come se si aspettasse che il suo
unicorno saltasse fuori all’improvviso. Guardava dietro ogni cancello e
colonna di legno. Quando alla fine cercò di accettare il fatto che Tuxìn
non ci fosse più, estrasse l’ultimo crine, pronta a esprimere il desiderio
di ritrovarlo.
- Non farlo. – fu fermata appena in tempo da Heinrich.
- Perché no? – domandò lei, meravigliata. - È tutta colpa mia, avrei dovuto
seguire il tuo consiglio e sfruttare i tre desideri in maniera sensata, per
proteggere fin dall’inizio me e Tuxìn. -.
- Non sappiamo quello che potrà accaderci in questi giorni. – ribatté
Heinrich. – Possiamo trovare Tuxìn anche senza sprecare questa magia, non
possono essere andati lontano. Suppongo che Tuxìn abbia una volontà
propria, vero? -.
Lyse iniziava a seguire il suo ragionamento.
- Sì… - annuì.
- Allora gli avrà dato del filo da torcere. – asserì Heinrich. – Ci
divideremo. – decise.
- Cosa? No! -.
Heinrich sospirò.
- Dividendoci aumenteremo la possibilità di trovarlo. Io tornerò indietro
nel bosco e tu ti recherai con prudenza verso la città. Un unicorno non
passa inosservato. Se alla fine dei giorni a tua disposizione, domani, non
lo avremo ancora trovato allora useremo l’ultimo desiderio, a meno che tu
non lo utilizzi prima. -.
- Io… io farò di tutto per non utilizzarlo. Ma tu non puoi abbandonarmi! -.
- Non ti sto abbandonando. Ti sto aiutando. Vuoi ritrovare Tuxìn sì o no?
-.
Lyse avvertiva in qualche modo che dopo ciò che era successo due giorni
prima Heinrich fosse solo in attesa di una qualche scusa per allontanarsi
da lei. Non le restava dunque altro da fare che assecondare quella sua
libertà e assumersi il rischio che Heinrich non tornasse più. Indubbiamente
stare con lei gli faceva ribrezzo a tal punto da far passare in secondo
piano persino la sua missione, il suo sogno di essere cavaliere.
Con un po’ di ritrosia, infine acconsentì.
Si separarono subito dopo la colazione, Heinrich a piedi e Lyse col suo
cavallo. Messèr Schmidt li salutò con l’augurio di una buona sorte e
rifornendoli con qualche provvista: del pane, della carne secca e della
frutta. A Lyse, inoltre, regalò il rastrello.
I due partirono, ma, quando furono sul punto di dividersi, l’apprendista
cavaliere la trattenne.
- Non devi mangiare ciò che ti ha dato quell’uomo, non possiamo più
fidarci. Potrebbe essere in combutta col ragazzo e volerci avvelenare. – le
requisì dunque le provviste e in cambio le fece scivolare degli strani e
rotondi oggetti metallici sulle mani, per poi rimetterli in un pezzo di
stoffa. – Queste sono monete. – spiegò brevemente. – Quando sarai in città
usale per procurarti da mangiare. -.
Senza soffermarsi a spiegarle come dei cerchietti di metallo potessero
aiutarla nel trovare cibo, Heinrich partì al galoppo e Lyse rimase da sola
a crucciarsi per l’idea che per Heinrich valeva ormai talmente poco da non
meritare nemmeno il cibo. Solo la morte. Per lui meritava solo la morte.
La strada che conduceva alla città era ciottolosa, ancora bagnata, ma priva
di pericoli e ben illuminata dal flebile sole che si affacciava timido dopo
la tempesta.
Il cavallo avanzava senza troppa fretta, mentre Lyse non faceva altro che
crogiolarsi in quella malinconia che l’aveva assalita da quella mattina.
Aveva preso coscienza di essere un disastro totale: non riusciva a
comprendere molti termini che gli umani sembravano utilizzare nella vita
quotidiana, non era stata abbastanza intelligente da utilizzare
adeguatamente i suoi desideri, non era nemmeno riuscita a farsi volere un
po’ di bene da Heinrich. Si era fatta ingannare da Frau Zermann e poi si
era addirittura lasciata sottrarre l’unicorno, senza nemmeno accorgersene.
Con che faccia si sarebbe ripresentata all’Unicorno Nero? Con quale diritto
poteva tornare sulle nuvole?
Certo, non aveva perso la verginità, ma perdere un unicorno le sembrava una
mancanza ben più grave.
Promise a se stessa che lo avrebbe trovato ad ogni costo e si raccomandò
prudenza e di tenere a freno la lingua.
Ad ogni modo tutti i tristi pensieri furono accantonati nell’esatto momento
in cui il perimetro della città si stagliò davanti ai suoi occhi. Le alte e
scure mura di pietra che la circondavano erano bagnate da goccioline
dell’acqua che, irraggiate dal sole, le facevano luccicare; le torri
merlate erano la cosa più possente su cui gli occhi di Lyse si fossero mai
posati e il largo e lungo ponte che collegava il sentiero all’ingresso
della città catturò immediatamente l’attenzione della fanciulla: chissà
come funzionava.
Lyse attraversò quel curioso punte, sostenuto da enormi catene, e si fermò
qualche istante ad ammirare il grande portone di legno con intagli molto
elaborati. Le sagome di persone che non conosceva e di paesaggi che non
aveva mai nemmeno immaginato erano state create talmente bene da sembrare
reali. La città le appariva come un posto meraviglioso.
Sorpassato il portone, la prima cosa che colpì Lyse fu l’infinita quantità
di persone che gremiva ogni spazio. Bambini che giocavano, uomini che
lavoravano, donne dalle grandi gonne e ampi grembiuli che tessevano o che
si assicuravano che i fanciulli non si facessero male.
C’era tantissima polvere a causa del via vai sulla strada e c’erano anche
galline e maiali scorrazzanti.
C’erano cavalieri dalle lucenti armature come quella di Heinrich e c’erano
giovinetti vestiti più modestamente che li seguivano come ombre.
C’era un gran vociare di uomini e donne che proclamavano di avere le
migliori verdure, la migliore carne, i migliori tessuti del regno. C’erano
case dove le persone non abitavano ma si svolgevano scambi di merci con
piccoli oggetti metallici e rotondi come quelli che le aveva dato Heinrich
e c’erano banchi di legno decorati con fiori e tendine dove si svolgevano
le medesime attività.
Dopo tutta la quiete di quei giorni Lyse si ritrovò frastornata da tutta
quella confusione.
- Una bella collana per la fanciulla bionda! – urlò una donna.
- Vuoi provare i miei abiti? -.
- Sembri affamata, ho del pesce fresco da leccarsi i baffi! -.
Lyse cercò una via di uscita. Lei non voleva comprare nulla, né tantomeno
aveva i baffi. Si guardava intorno ammirata e al tempo stesso spaventata.
- No, ecco, io in realtà cerco un ragazzo dai capelli rossi, con uno strano
cavallo, lo avete visto? -.
- No, cara non l’ho proprio visto. -.
- Un ragazzo dai capelli rossi? Che il cielo ce ne scampi! Sono persone
cattive! -.
- Con uno strano cavallo? Non direi proprio mi dispiace. -.
Queste erano le risposte che collezionava da chiunque. Sull’avvicinarsi
dell’ora di pranzo sospirò sconsolata: aveva domandato a non meno di
cinquanta persone e nessuna, nessuna, aveva visto Tuxìn. Dove poteva
essersi cacciato?
In compenso, i suoi occhi avevano collezionato un sacco di belle immagini,
ammirando le architetture colorate delle case, i loro tetti a punta e i
curiosi dipinti sui muri. Osservando proprio questi ultimi aveva notato che
vi erano appese delle fiaccole e concluse che dovesse trattarsi delle luci
che lei vedeva dal cielo.
Si era imbattuta in signore con le acconciature più svariate e fantasiose,
mentre nel cielo di solito si usava portare i capelli sciolti. Aveva visto
gioielli luccicanti e vestiti morbidi e sfarzosi, ricamati, con stoffe
pesanti, come il “velluto”, o atte solo alla decorazione, come il “pizzo”.
In particolare, un uomo l’aveva quasi convinta ad acquistare uno splendido
abito blu perché riprendeva il colore dei suoi occhi. In effetti a Lyse
piaceva moltissimo, ma dovette rinunciare alla propria vanità: stava
perdendo tempo prezioso per ritrovare il suo unicorno e comunque doveva
utilizzare le monete solo per il cibo.
Dopo aver sbocconcellato un po’ di pane caldo e friabile, preso
scambiandolo con le “monete” che Heinrich le aveva donato, ricominciò la
ricerca.
Di Tuxìn nessuna traccia. Vagando senza una metà precisa, ritenne che forse
aveva giudicato gli uomini troppo duramente: intorno a lei c’era un’aria
lieta, non era possibile che fossero tutte persone cattive. Aveva visto con
i propri occhi il sorriso dei bambini, così simile a quello delle sue
compagne nel cielo, gli anziani aiutati dai più giovani e addirittura
alcune persone che davano del cibo o sorsi d’acqua ai meno fortunati che
apparentemente vivevano per strada.
Nonostante le ingiustizie, nonostante la fame, quella gente sapeva reagire
con un sorriso. Forse, rifletté Lyse, anche quello era cercare di
migliorare la propria condizione, andare avanti.
In particolare fu colpita da un uomo molto magro, sporco, dalle vesti
logore, che se ne stava rintanato in un angolino della strada, come se
stesse fingendo di non esistere. Lyse non riuscì a sopportarne la vista,
prese la metà del suo pane bianco e friabile e gliela donò.
- Prendete, buon uomo. Un po’ di cibo vi farà bene. -.
- Oh grazie! – si commosse lui. – Grazie, grazie per la vostra carità! -.
Lyse stava per obiettare che quello era pane e non carità, ma per non
sembrare stupida più di quanto non si sentisse già e per non suggerire di
non essere di lì si trattenne e sorrise amabilmente.
Gli chiese se avesse per caso avvistato un ragazzo con uno strano cavallo
ma, come in fondo già sapeva, l’uomo non ne aveva idea.
- È piuttosto comune vedere uomini con cavalli. -.
- Sì, me ne sono accorta. – concordò Lyse, sconsolata. – Ma sto cercando un
cavallo particolare. Se l’aveste visto ve ne ricordereste. -.
Lyse sospirò e proseguì la sua indagine, cambiando strada. Riuscì a fare
soltanto pochi passi, perché un uomo grande e grosso, con una pancia non
indifferente, che indossava una strana calzamaglia celeste e un enorme
tunica a righe rosse e rosa stretta in vita da una cintura di pelle, le si
parò davanti sbucando dal nulla. Sfoggiava un sorriso beffardo sotto i
grossi baffi biondi, un sorriso di cui Lyse non si fidò. Lo squadrò con
sospetto.
- Posso fare qualcosa per voi? – domandò, mantenendo le distanze.
- No, no, in realtà sono piuttosto io che posso fare qualcosa per voi. –
rispose l’uomo, con una voce cavernosa. – Ho sentito che state cercando un
ragazzino coi capelli rossi su uno strano cavallo, giusto? -.
- Sto cercando un ragazzino coi capelli rossi, esatto. – confermò Lyse. –
Quanto al cavallo, non ha niente di strano. – negò.
- Davvero? Perché si dà il caso che io abbia visto proprio un ragazzino dai
capelli rossi su un cavallo che, diciamo, non passa inosservato. -.
Lyse si sentì il cuore in gola. Tuxìn! Poteva essere vero?
La povera Lyse non poteva certo immaginare che l’uomo l’aveva seguita dal
suo ingresso in città: una fanciulla così graziosa, da sola, in grado di
cavalcare, non era uno spettacolo comune. Pedinandola l’uomo aveva appreso
che era sulle tracce del ragazzino dai capelli rossi su un cavallo e che,
sebbene si dilungasse in precise descrizioni del primo, difficilmente e
controvoglia faceva accenno al secondo. Di quest’ultimo sapeva solo che era
un esemplare bianco, molto bello, che avrebbe attirato l’attenzione.
Il suo istinto da brigante gli aveva sussurrato che la ragazzina
nascondesse qualcosa riguardo a quel cavallo e che doveva assolutamente
convincerla a seguirlo e, nell’infausto caso in cui il cavallo si fosse
rivelato davvero soltanto un banale cavallo bianco, lui e i suoi uomini
avrebbero comunque potuto sollazzarsi con lei. A titolo di risarcimento,
ecco.
- E com’è questo cavallo che dite di aver visto? – Lyse non era ancora del
tutto convinta.
- È bianco. – puntualizzò l’uomo con sicurezza.
- E poi? – lo incalzò Lyse.
- Molto bello. – continuò l’uomo.
- E poi? – insistette Lyse.
- E poi cosa? -.
Lyse sospirò.
- Temo che vi stiate sbagliando, signore. Il mio cavallo ha una
particolarità impossibile da dimenticare. Ma vi ringrazio per l’aiuto. -.
Lyse non fece in tempo a compiacersi della sua prudenza per non aver
seguito subito quell’uomo, che commise il grave errore di volgergli le
spalle. L’omaccione, senza alcuna grazia né remora, la afferrò bruscamente
e con una sola mano riuscì a coprirle sia la bocca che il naso. In pochi
secondi Lyse svenne tra le sue braccia.
Quando la ragazza riprese conoscenza si ritrovò legata niente meno che come
uno dei salami che aveva visto da Frau Zermann: aveva le braccia legate
dietro la schiena, le gambe legate tra di loro all’altezza delle caviglie e
una benda sulla bocca. Spalancò gli occhi, spaventatissima e cercò di
tirarsi su con la schiena per capire dove si trovasse.
- Devi stare tranquilla. – la raggiunse una voce alle sue spalle.
Lyse sobbalzò e si girò di scatto, quasi come aspettandosi di vedere un
mostro. Invece ai suoi occhi si palesò solo un uomo disteso come lei con
una gamba avvolta da fasce bianche sporcate di rosso. Suppose che quelle
fasce dovessero avere la stessa funzione del lembo del mantello di
Heinrich.
- Non è una ferita grave. – commentò l’uomo, notando dove si fossero
soffermati gli occhi della giovane. – Si sta già rimarginando. -.
Lyse passò allora ad osservare il suo interlocutore. Indossava solo una
lunga casacca nera che gli arrivava fino alle ginocchia, era calvo e aveva
dei penetranti occhi verdi.
- Mi chiamo Lambert. – si presentò. – E faccio anch’io parte di questa
banda di manigoldi che ti ha rapito, bambolina. Sono qui per riposarmi e
per sorvegliarti, mentre andiamo a cercare questo tuo fantomatico e
bellissimo cavallo. -.
Solo in quel momento Lyse si accorse che in qualche modo si stavano
muovendo. Mugolò qualcosa di incomprensibile da dietro il bagaglio.
- Rilassati. Siamo su un carro. -.
Lyse ricordava vagamente che i carri erano come delle carrozze e che
servivano per trasportare oggetti e persone. In effetti sul pavimento erano
sparsi in modo disordinato vestiti, armi, provviste e bauli. Non lontano da
lei una pesante tenda impediva all’aria esterna di penetrare e di
raffreddare l’interno. Almeno, tentò di consolarsi, sarebbe stata al caldo.
Mugolò quindi qualcosa che risultò incomprensibile da capire ma con una
cadenza interrogativa che Lambert interpretò a modo suo.
- Non ti faremo del male, tranquilla. Non se troveremo il tuo cavallo. –
specificò. – Altrimenti… beh, altrimenti ci prenderemo un altro tipo di
pagamento. -.
Lyse provò a dire che non aveva altro che poche monete, ma di nuovo il
bavaglio le impedì di parlare normalmente. Vinta, tacque.
Con le mani legate, poi, non riusciva nemmeno ad arrivare a prendere il
crine magico.
Cercò di osservare se stessa per rendersi conto delle condizioni in cui
vessava: aveva un gran mal di schiena a causa della posizione scomoda.
Stupefatta si accorse che gli uomini non erano stati abbastanza previdenti
da toglierle il piccolo rastrello donatole da Messèr Schmidt, ancora
allacciato in vita. Se solo Lambert si fosse distratto avrebbe potuto
sfruttarne i denti per allentare o addirittura rompere le funi che la
costringevano all’immobilità.
Sì, si disse per rincuorarsi, forse c’era ancora speranza, doveva solo
pazientare.
E la sua pazienza fu premiata quella sera stessa, durante la medicazione
della gamba di Lambert. Dopo qualche battuta volgare diretta a lei, l’uomo
biondo e un altro si concentrarono sul ferito. Mentre cercava di liberarsi
con discrezione, Lyse spiava anche ciò che facevano gli uomini: memorizzò
come pulivano la ferita, notò che utilizzavano dei prodotti particolari e
che poi la fasciatura doveva essere effettuata nuovamente, stretta ma non
troppo. Infine, libera, saltò giù dal calesse fermo. Lambert, l’unico che
non le dava le spalle, appena non fu più accecato dal dolore della
medicazione diede l’allarme.
L’uomo biondo si precipitò fuori all’istante gridando di acciuffarla.
Lyse, rapida, scappò evitando tutti i bruti che le si paravano davanti,
fintantoché non terminò la sua corsa sul bordo di un precipizio. Si arrestò
appena in tempo per non precipitare.
Pur essendo già notte, le luci della luna e delle stelle erano abbastanza
brillanti per illuminare la parete rocciosa e scoscesa, con qualche arbusto
che cresceva coraggioso qua e là, e il fiume profondo che scorreva svariati
metri più sotto.
La fanciulla sentì i passi e le grida degli uomini poco lontani da lei e
prese a malincuore l’ultimo crine che le restava.
- O mia splendente goccia di cielo, ti prego avvera il mio desiderio! Giù
dal dirupo sto per saltare, il mio Tuxìn fammi trovare. -.
Chiuse gli occhi. Saltò nel vuoto. E atterrò sul morbido manto bianco del
suo fedele unicorno.
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Capitolo 7 *** Lyse che viene nel cielo ***
7.
Lyse che viene nel cielo
Il manto bianco di Tuxìn era soffice come lo ricordava e lo abbracciò e
baciò e accarezzò animata da una felicità travolgente.
Dietro di lei udiva levarsi lontane le maledizioni e le irripetibili parole
dei briganti che non potevano credere di essersi appena lasciati sfuggire
un unicorno.
Si girò, sicura di trovare anche Heinrich, ma il sorriso le morì sulle
labbra.
Heinrich c’era, ma era gravemente ferito e aveva perso i sensi.
- Heinrich! – lo chiamò Lyse. – Heinrich! -.
Ma l’apprendista cavaliere non diede alcun segno di vita.
Lyse lo strinse con più energia per evitare che cadesse di sotto e ordinò a
Tuxìn di tornare immediatamente e in fretta al tempio dell’Unicorno Nero.
Tuxìn, obbediente e veloce, si diresse senza alcun tentennamento verso la
loro destinazione, nitrendo contento di essersi riunito alla sua padrona.
Quando arrivarono al tempio, però, l’Unicorno Nero sembrava non esserci.
Lyse lo chiamò, lo invocò, lo pregò, ma le sue suppliche affondarono
inutili nello zucchero filato che costituiva le mura del tempio.
Cercando di mantenere i nervi saldi Lyse liberò Heinrich dalla pesante
armatura metallica e lo sistemò vicino a Tuxìn in modo da poter
trasmettergli un po’ del calore dell’animale.
Afferrò con urgenza la borraccia con l’acqua, si strappò un lembo della
veste e iniziò a ripulire le ferite di Heinrich, cercando di emulare i
gesti appresi nel carro. Non sapeva da chi o da che cosa fosse stato
aggredito ma si pentì di aver sprecato il suo ultimo crine: Tuxìn l’avrebbe
ripresa al volo comunque.
Si strappò altri pezzi del suo abito e cominciò a fasciare con cura la
pelle del giovane. Era caldo, anzi, scottava. Fissò le bende alla bell’è
meglio con l’ausilio delle sue forcine per capelli e poi continuò a bagnare
il suo corpo con l’acqua, cercando di farlo raffreddare.
Alla fine, non sapendo più che cosa fare, calata l’adrenalina, si sistemò
vicino a lui e sprofondò in un sonno agitato.
Non furono né il canto degli uccelli né la luce a destarla, bensì un sonoro
nitrito.
- Bentornata, cara fanciulla. – la salutò l’Unicorno Nero.
- Unicorno Perduto! – esclamò Lyse.
- Leggo nel tuo cuore che hai soddisfatto la tua curiosità verso il mondo
umano e che hai conosciuto a tue spese i cattivi sentimenti. -.
Lyse confermò le sue parole con un cenno del capo.
- Ma dentro di te invece leggo un sentimento nuovo, un sentimento buono e
molto potente. -.
L’Unicorno Nero, guardiano del tempio, spostò la sua attenzione al corpo
del giovane Heinrich e non gli sfuggì che Lyse lo stava tenendo per mano.
- Fai qualcosa per lui, ti supplico. – lo pregò Lyse, con un tono un po’
troppo appassionato per essere quello di un’ingenua creatura del cielo.
- Non posso fare nulla, giovane Lyse. -.
- No… No… - mormorò lei, scoppiando per l’ennesima volta in lacrime.
Non voleva perderlo. Non voleva che Heinrich morisse.
- Heinrich! – lo chiamò, abbracciandolo. – Heinrich! -.
Scossa dai singhiozzi, non si accorse subito che il giovane aveva aperto
gli occhi, ma dovette aspettare di sentire ricambiata la sua stretta di
mano.
- Lyse… - mormorò lui con la voce flebile di chi sta per spegnersi.
Heinrich aprì lentamente gli occhi e mise faticosamente a fuoco la bionda
chioma di Lyse prima e il famigerato Unicorno Nero dopo. Nonostante la
debolezza e il dolore sorrise.
- Non mi hai mentito. – sussurrò contento. – E ce l’hai fatta. Stai per…
tornare nel cielo. – sorrise. – S… sono… contento per te. -.
Una fitta lo fece sollevare.
- Heinrich, non sforzarti. -.
- Il rosso mi ha colpito a tradimento. – spiegò d’un fiato. – Ma l’ho… l’ho
battuto e l’ho riconsegnato a Messèr Schmidt che… farà giustizia. -.
Sembrava che ogni parola, ogni respiro, gli costasse una fatica immensa,
come se qualcuno lo stesse soffocando. Era debole, non riusciva a muovere
gli arti e sentiva le palpebre pesanti.
- Lyse… -.
- Heinrich… -.
- Perdonami… -.
- Non devi parlare, ti affatichi, ti fa male. -.
- … mi ero… spaventato. – non era necessario che specificasse a cosa si
riferisse. – E… essere coraggiosi e… valorosi… significa… non significa non
avere paura. – gemette. – Significa averne e aff… affrontarla comunque. Io…
ho sbagliato… ho avuto paura… tu… sai… si può avere paura… con le cose
sconosciute. -.
- Sì. – gli baciò le mani. – Lo so. -.
Lyse lo sapeva bene che si poteva provare paura davanti a situazioni del
tutto ignote, davanti alle quali prevale la sensazione di impotenza. Come
in quel momento, per esempio: lei si sentiva terrorizzata come mai era
stata prima in vita sua, nemmeno quando Tuxìn era stato rapito.
- Sì, lo capisco, ma io non ne ho mai avuta troppa perché ho avuto la
fortuna di incontrare te, apprendista cavaliere. – gli confessò.
Heinrich sorrise dolcemente e, sforzandosi, le passò una mano tra i
capelli.
- T..tu ssssei…. Molto coraggiosa. S… sono felice di… di averti portato…
casa. P… perdonami ti… prego. – si girò poi dall’altro lato per sputare del
sangue.
Lyse si girò verso l’Unicorno Nero.
- Un altro crine! – esclamò avvilita. – Dammi un altro crine, ti scongiuro!
-.
L’Unicorno Nero esitò, guardando Tuxìn. Questo, dotato di grande
sensibilità, aveva notato subito il grande sentimento che stava
germogliando nella sua padroncina, quindi nitrì per comunicare al suo
simile di sentirsi libero di parlare.
- Molto bene. – iniziò il Guardiano del Tempio. – Scegli bene, piccola
Lyse, perché se accetti il nuovo crine ci sarà un prezzo. Non potrai più
tornare nel cielo. -.
Lyse si sorprese. Non aveva pensato a un tale prezzo. Non tornare nel cielo
significava restare in quel mondo dove il male era dietro ogni angolo.
Ma, ricordò meglio, dietro ogni angolo c’erano anche persone buone come
Messèr Schmidt, c’erano bambini felici, c’erano genitori premurosi, c’era
gente pronta ad aiutare il prossimo anche se povero. C’era la freschezza
dei ruscelli, c’erano il verde dei prati, il calore del fuoco, i colori dei
fiori, l’unicità della sensazione del sole sulla pelle. C’era l’ambizione
buona, c’erano meraviglie che venivano migliorate giorno dopo giorno.
C’erano cose da imparare, c’era la soddisfazione di guadagnarsi qualcosa
attraverso il proprio lavoro, c’era una ricchezza di sensazioni e
sentimenti che nel cielo non aveva mai provato.
Aveva anche imparato, e senza che nessuno glielo dicesse apertamente!, che
ogni azione, ogni decisione, andava ponderata perché comportava delle
conseguenze. In un attimo si sentì pronta ad affrontarle, come mai prima.
- Va bene. – acconsentì. – Accetto. -.
- No… - gemette Heinrich, stringendole ancora la mano e tirandola a sé,
impedendole di raggiungere il Guardiano. – Non… devi farlo… il tuo… posto…
è nel cielo. E io… sono… solo un apprendista. Ti… ho… ferita. Non… non lo
merito. -.
- Non mi farai cambiare idea, Heinrich. – Lyse gli accarezzò la fronte. –
Una delle prime cose che mi hai detto è che se si ama si mette il bene
dell’altro davanti al proprio. Non so se mi sono innamorata e per questo
preferisco salvarti la vita piuttosto che tornare nel cielo oppure se
siccome scelgo te allora significa che sono innamorata, ma per una volta
non mi curo dei perché. So solo che ti voglio vivo e vorrei restare al tuo
fianco. Che scelgo te e il tuo bene. Come potrei darmi pace, se adesso
anteponessi il mio? -.
Heinrich scosse la testa, ma sembrava non vederla più.
- Ssono io che… ti antepongo… a me. T… ti amo, Lyse. Non… non darle… il
crine. – fece un misero baldanzoso tentativo di tirarsi su per raggiungere
l’Unicorno prima di lei.
Lyse sorrise, commossa.
- Ora sì che non mi convincerai più. - si liberò con delicatezza dalla sua
presa e raggiunse la creatura, prendendo il crine.
Lentamente tornò da Heinrich e si scambiò una rapida occhiata con Tuxìn. Lo
accarezzò con una dolcezza che forse non aveva mai sperimentato prima, una
dolcezza sofferta.
- Non preoccuparti per lui. – intervenne l’Unicorno Nero. – Resterà al
sicuro, qui con me. -.
Lyse annuì, cosciente che quella sarebbe stata la soluzione migliore: nel
tempio di zucchero filato nessuno avrebbe più potuto fargli del male.
Lasciò infine cadere il crine su Heinrich, recitando la consueta formula.
- O mia splendente goccia di cielo, ti prego avvera il mio desiderio! Salva
il mio amico, ridagli la vita, accetto di esser dal cielo bandita. -.
Heinrich non ebbe la forza di opporsi.
Quando il crine toccò il suo costato si levò una grande luce rosa
abbagliante che investì l’intero tempio. Tutto si immobilizzò, il tempo
stesso sembrò fermarsi. Appena la luce si spense, Tuxìn era nero come il
Guardiano, Heinrich era guarito e in forza e Lyse giaceva nuda, spogliata
delle sue vesti del cielo. Quando Heinrich le si avvicinò, Lyse
istintivamente si piegò su se stessa, coprendosi. Non sapeva perché lo
stesse facendo. Forse, da umana, sentiva anche lei che non stava bene che
lui la vedesse in quel modo.
Proprio come quando si erano incontrati Heinrich si tolse il mantello, di
nuovo pulito, e la coprì, inginocchiandosi accanto a lei.
Lei lo osservò, in attesa. In attesa di una parola, di un gesto di affetto
o di una condanna, non lo sapeva bene nemmeno lei, ma a quel punto avrebbe
accettato tutto.
E ciò che lui invece le donò fu un bacio. Lyse non si aspettava di essere
baciata con tanto trasporto, né che un bacio potesse essere tanto lungo, né
tanto profondo, né farle battere così tanto forte il cuore, né farle
sentire tanto calore, né farla stare tanto bene. Le braccia di Heinrich
erano tornate un posto sicuro e lei si lasciò prendere in braccio e tenere
stretta per tutto il tempo necessario. Quando il bacio finì, Lyse si sentì
realmente come se fosse di nuovo in cielo, e forse anche meglio. Si sentiva
il cuore quasi esplodere.
Anche Heinrich era felice.
- Grazie. – le sussurrò. – Non avresti doluto. -.
Lyse gli portò una mano sulla guancia.
- Ma io non volevo tornare nel cielo. Io volevo restare con te. -.
- Anch’io. Sono desolato per il mio assurdo comportamento. -.
- Un giorno mi spiegherai la faccenda delle streghe. -.
Lui annuì. Le doveva almeno quello. Si rivolse poi ai due unicorni.
- Sono debitore anche nei vostri confronti. – si inchinò leggermente,
facendo attenzione a non fare del male a Lyse.
- Abbiamo fatto il nostro dovere. – si schernì uno dei due.
Lyse fu ancora più contenta. Saltò giù da Heinrich e raggiunse Tuxìn,
scompigliandogli la criniera.
- Tuxìn tu parli! E che bella voce dolce che hai! – lo accarezzò e lo
abbracciò.
- Posso parlare adesso, Lyse. Ricorda, che quando avrai bisogno di me, io
sarò sempre qui, al Tempio di Zucchero Filato. -.
La fanciulla annuì, raggiante, per poi prendere Heinrich per mano e correre
via, fuori dal tempio, verso la loro nuova vita.
L’Unicorno Nero guardò Tuxìn con aria quasi colpevole.
- Lo sai che difficilmente tornerà. -.
- Lo so. – rispose Tuxìn.
- Che quando lei perderà la purezza e si prenderà la responsabilità di una
famiglia e di una vita sulla terra si scorderà di noi, dei giochi sulle
nuvole e dello zucchero filato. -.
- Lo so. – rispose nuovamente Tuxìn. Poi nitrì. – Che posso farci? È la
vita. Di certo non posso impedirle di crescere. È in salute, è generosa e
di buon cuore. Mi mancherà, ma presto mi dissolverò e resterò soltanto una
goccia di nebulosa malinconia in un angolo del suo cuore. È giusto così. -.
L’Unicorno Nero annuì. Avrebbe voluto che le cose fossero andate in quel
modo per lui, ma evidentemente da qualche parte la sua padrona non riusciva
a staccarsi definitivamente dalla sua vita del cielo, dai giochi e dallo
zucchero filato. Tuxìn indovinò i suoi pensieri.
- Anche la tua padrona prima o poi andrà avanti senza logorarsi nel
passato. -.
- Lo spero. – si augurò l’Unicorno Nero. – Lo spero. – poi gli diede le
spalle. – Seguimi, Tuxìn. Ti mostro il Tempio della Fanciullezza. -.
Le cose andarono più o meno come i due unicorni avevano predetto.
Lyse ed Heinrich si recarono nella capitale, una città ancora più grande e
ricca di quella che aveva visitato Lyse.
Heinrich descrisse la sua prova e la sua avventura ai suoi superiori e fu
creduto soltanto grazie all’improvvisa apparizione di Tuxìn che confermò
ogni suo verbo. Heinrich fu fatto cavaliere con tutti gli onori.
A seguito del suo incredibile racconto il re offrì del denaro a Messèr
Schmidt e Lyse lo convinse inoltre a offrire un finanziamento a Frau
Zermann che doveva far campare anche i figli, a dare un tetto al povero a
cui aveva offerto il pane e riuscì persino a perdonare il rosso, chiedendo
che diventasse almeno scudiero. Heinrich non era molto d’accordo, ma la
bontà di Lyse era straripante e nemmeno un editto reale l’avrebbe arginata.
L’accogliente casa di Heinrich fu un nido sufficiente per entrambi e Lyse,
che voleva ambientarsi e lavorare, decise di aprire una piccola bottega di
pasticceria. Questa divenne molto in voga e dopo un anno il re stesso
propose a Lyse di diventare la sua pasticciera di corte, invitando la
coppia a vivere a palazzo, in stanze rigorosamente separate finché non si
fossero sposati. I due, presi da entusiasmo, accettarono.
Passarono tre anni e Lyse imparò a conoscere il mondo, le sue parole e i
suoi silenzi, leggeva più che poteva nonostante non fosse comune per le
donne. Si fece delle amiche e ben presto si sentì a casa. Era felice con
Heinrich che la riempiva di attenzioni, di regali, di coccole, cure e
amore. Quando le aveva spiegato cosa fossero le streghe e quanto male
potessero portare Lyse comprese a pieno la sua reazione. In cuor suo sapeva
che una cosa come le streghe non poteva esistere davvero perché Tuxìn,
creatura del bene, l’avrebbe messa in guardia altrimenti; la questione fu
però uno spunto che utilizzò per scoprire un’altra stranezza degli umani,
ossia che quando non riuscivano a spiegarsi qualcosa ne attribuivano la
causa ad esseri magici, superiori, alcuni buoni e da venerare e altri
cattivi e da sopprimere. Heinrich era soltanto un figlio del suo tempo e
per questo lo perdonò.
Divenne più matura, crebbe di qualche centimetro in altezza e i suoi
lineamenti si assottigliarono.
Più il tempo fluiva e più Lyse assomigliava a una donna e meno a una
fanciulla del cielo.
Il matrimonio fu celebrato con tutti gli sfarzi la terza estate successiva
al loro incontro: Lyse era ormai una pasticcera affermata e Heinrich uno
dei cavalieri più valorosi dell’esercito. Erano stati invitati i nobili di
tutto il regno, il re e la regina avevano messo a disposizione l’intero
castello per la celebrazione e persino Tuxìn e l’Unicorno Nero potettero
assistere alla cerimonia e prendere parte a quegli inusuali festeggiamenti.
Lyse era bellissima nel suo abito bianco immacolato, dalla gonna molto
ampia e le maniche a sbuffo, mentre Heinrich aveva indossato una delle
divise d’onore del regno. Si erano promessi una vita insieme, un sostegno
reciproco nella buona e nella cattiva sorte, ma entrambi sapevano che si
trattava soltanto di una formalità, perché loro quella promessa se l’erano
scambiata molto tempo prima. Avevano poi aperto il banchetto e le danze e,
appena prima di ritirarsi, scelsero di lasciare la festa in grande stile in
groppa a Tuxìn per l’ennesimo volo in mezzo alle stelle.
Al ritorno da quell’ultimo viaggio, Tuxìn li lasciò davanti alla finestra
della loro camera. Heinrich lo salutò brevemente, ancora emozionato, mentre
Lyse lo guardò quasi commovendosi e lo abbracciò, baciandolo e appoggiando
la fronte sulla sua.
- Addio, Lyse. – le mormorò l’unicorno.
- Addio, Tuxìn – gli scompigliò la criniera per l’ultima volta in un gesto
d’affetto.
Era cresciuta, era grande e aveva capito.
Lo osservò volare via finché non si perse all’orizzonte, provando sempre
meno dolore per quella separazione. Richiuse la finestra alle sue spalle e
si concentrò sul suo sposo.
Notò che era come se fosse in trepidante attesa di qualcosa. Si era sfilato
l’immancabile mantello e la casacca riponendoli sul baule di mogano davanti
al loro letto a baldacchino e sembrava attenderla, offrendosi a petto nudo.
Era molto più scolpito da quando lei lo aveva conosciuto, complici i duri
allenamenti di quei tre anni.
Tre anni… tre anni fa non avrebbe minimamente pensato di sposarsi né di
vivere in una splendida camera con le stelle dipinte sul soffitto, ori e
stucchi a impreziosirlo, e con un morbido letto a baldacchino dalle coperte
azzurre. Di essere addirittura una pasticcera reale. Di sposare Heinrich.
Aveva forse realizzato le sue ambizioni?
Sentendosi quasi messo in disparte, Heinrich reclamò su di sé l’attenzione
della sposa.
- Cara moglie, credo che adesso io debba proprio adempiere a uno dei miei
primi doveri da marito. -.
Lyse lo fissò interrogativa. Heinrich alzò gli occhi al cielo: a volte si
stupiva di quante cose le dovesse ancora spiegare. Poi le sorrise
malizioso.
- Devo aiutarti a perdere la verginità. -.
Lyse aggrottò le sopracciglia, sinceramente perplessa.
- Vuoi andare in un campo di cavoli adesso? -.
Heinrich spalancò occhi e bocca contemporaneamente in un’espressione
impagabile: confuso, incredulo, allibito. Boccheggiò un paio di volte,
senza saper articolare alcun suono. Era senza parole. I cavoli? Possibile
che in tre anni nessuna delle cortigiane…?
Ma la risata leggera di Lyse lo riscosse. Rideva a crepapelle, si stava
divertendo un mondo. La risata spensierata, quella no, non era cambiata.
Heinrich intuì che doveva essersi reso molto ridicolo.
- Tu… tu ti stai facendo beffe di me! – esclamò Heinrich, fintamente
offeso.
- Sì, è esatto. – Lyse finalmente gli si avvicinò e lo cinse con le sue
braccia.
Heinrich si impossessò allora di quella bocca rosea e impertinente che
bramava di continuo e finalmente, dopo tanta attesa, si donò a lei. E lei
si abbandonò tra le coltri al suo corpo possente. Fra i sospiri pensò che
non avrebbe potuto essere più felice. Si rotolò con lui, si unì a lui,
giacque con lui. Arrossata, arruffata, stremata lo baciò una volta, due
volte, e una volta ancora.
- Heinrich. – gli sussurrò. – Sei tu il mio cielo. -.
E vissero per sempre felici e contenti.
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