Il Suono Del Silenzio

di Alison92
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Le luci sopra il soffitto sfarfallano. Il sole non è ancora sorto sulla nostra immensa città, ma io sono già sveglia e pronta per iniziare un'altra dozzinale giornata di lavoro. Sarò sincera, non vedevo l'ora di cominciare a lavorare, ho atteso a lungo il giorno del mio diciannovesimo compleanno, augurandomi che ogni cosa sarebbe cambiata. Spengo la luce ed esco dal bagno, è ora di scendere in cucina e trangugiare qualcosa prima di andare via. Afferro un pezzo di pane e spalmo sopra un generoso strato di marmellata alle fragole, uno dei pochi lussi che ci possiamo ancora permettere. Da quando sono state annunciate nuove imposte sull'affitto delle case, abbiamo cominciato a essere parsimoniosi. Il Comando ha ristretto le nostre disponibilità economiche e le nostre speranze di acquistare una casa e avere infine qualcosa di nostro. Regole, leggi, tasse, la nostra vita è basata su semplici regole restrittive e crudeli. Scuoto la testa, liberandomi da pensieri inopportuni e afferro la giacca di mia sorella Anastasia prima di uscire di casa. La stagione autunnale ha già condotto il freddo nella nostra città, le foglie formano tappeti variopinti sui trascurati giardini della zona e il cielo è divenuto plumbeo. Il sole comincia pigramente a innalzarsi e la volta celeste notturna si colora, lasciando spazio all'alba. Un altro giorno, altre speranze che svaniscono e la realtà spietata che non lascia spazio ai nostri sogni. Ogni giorno è come i precedenti, la vita scorre con le sue monotonie e i rimpianti di ciò che poteva essere, le abitudini non mi bastano più e i miei desideri decadono lenti. Siamo sprofondati in un incubo, dove tutti siamo nessuno, sconosciuti e anonimi numeri della società. Silenzio, c'è silenzio mentre mi dirigo nella zona industriale della città, dove svolgo un lavoro che odio. C'è silenzio mentre nella mia testa rileggo il proclama delle Leggi Giuste, mentre torno a quando ero solo una bambina e mentre alzo lo sguardo al cielo. Adesso c'è solo silenzio.
La Grande Crisi colpì gli Stati Uniti e in breve tempo contagiò tutti i Paesi, portando mesi di sconforto e prosciugando le finanze di tutti. Ogni città statunitense fu ridotta in ginocchio, continue guerre civili avevano portato al collasso di molte comunità e anche le famiglie più agiate furono colpite dal clima di sgomento e miseria. Caddero le istituzioni politiche e nacque il Comando, con a capo un presidente e venti ministri pronti a qualsiasi cosa pur di riportare la pace e la prosperità nel nostro paese. Siamo risorti dalle ceneri grazie a un sistema che permetteva a chiunque avere un alloggio e viveri assicurati, al solo obbligo di svolgere un lavoro affidato dallo stato. Il Comando instaurò dure leggi, conosciute come le Leggi Giuste, che hanno permesso, in un primo momento, la stabilità economica degli Stati Uniti. Le Leggi Giuste possono essere riassunte in poche parole chiavi: obblighi, imposizioni, uguaglianza e potere accentrato. Tutti i cittadini hanno uguali stipendi e uguali possedimenti, stesse case e stesse vite, ognuno ha un lavoro che deve compiere dai diciotto anni fino ai settant'anni, senza possibili esenzioni. Spesso mi chiedo se sia stata la soluzione migliore, se il Comando non abbia represso senza scopo le nostre vite, le nostre passioni. Il mio mondo si è sgretolato anni fa, quando ero una bambina che viveva in un paese che aveva conosciuto tempi oscuri, ma che sperava senza riserbo nel futuro.
Ciò che amavo della mia vita era l'imprevedibilità, ogni giorno mi svegliavo senza sapere che cosa sarebbe successo. Adesso, quando ogni mattina mi alzo prim'ancora che il sole sia sorto, so bene come si svolgerà la mia giornata. Sopravvivo per portare alla mia famiglia il mio stipendio, sopravvivo per mia sorella e per la sua infinita gioia, ma non vivo più per me stessa e per il mio avvenire. Senza neanche rendermene conto, giungo difronte alla fabbrica, che è divenuta da oltre un anno la mia prigione. Occhi invisibili seguono ogni mio movimento, sento su di me sguardi inopportuni e pronti a denunciare ogni mio passo falso. Le telecamere sono ovunque, ci inseguono nei nostri posti di lavoro e per le strade trafficate, sempre attente a innestare il timore dentro di noi. A causa delle Grandi Leggi, ogni forma di arte è stata bandita, in quanto possibile veicolo di odio e crudeltà. Scrittura, pittura, danza, musica, recitazione. Ogni arte conosciuta agli umani è stata bandita dalla nostra società.
Suonavo, tanti anni prima suonavo il pianoforte. Ero piccola e il mio animo era già avido di note, emozioni e voglia di esprimere me stessa. Quando il Comando mi ha privata di tutto ciò, sapevo dentro di me che la mia vita non sarebbe mai più stata la stessa. Hanno tolto alla mia anima l'ossigeno, la speranza e l'ardore. Adesso sono solo un'umana, uguale a tutti gli altri che mi circondano, un numero privo di valore e significato. Muovo un passo tremante verso l'entrata, il mio turno mi attende.
-Avanti Angie, sorridi un po'!
Immagino che mia sorella abbia ragione. Schiena dritta, sfoggia il tuo migliore sorriso e testa alta. Devi sorridere di più. Per Anastasia è semplice, lei si crogiola fra i banchi di scuola e sogna il migliore dei futuri. Segretaria, insegnate, ricercatrice, ministro. Con la sua preparazione eccellente e il suo carisma, può puntare alla migliore delle occupazioni che lo stato le può affibbiare.
-Oggi è stata una vera fatica, però avresti dovuto vedere il volto paonazzo del signor Sandle. Se non fosse per i turni sfiancanti e la ripetitività dei movimenti, potrebbe essere persino divertente lavorare alla fabbrica.
Anastasia lega i suoi lunghi capelli biondi e concentra la sua attenzione al piatto fumante. Come ogni sera, mia madre ci ha servito del brodo vegetale con qualche rimasuglio di carne del pranzo di oggi. La carne è un lusso che non sempre possiamo permetterci, durante gli ultimi mesi i prezzi sono stati rincarati e gli stipendi bloccati. In compenso, è più facile reperire spezie e frutta di stagione.
-Puoi considerarti fortunata Angelica, proprio oggi discutevo con tuo padre dei lavoratori nelle miniere cittadine. In ospedale arrivano tanti di loro con serie ingiurie e problemi di malnutrizione.
-Se solo il Comando potesse...
Mia madre si affretta a zittirmi, costantemente intimorita dal nominare il Comando.
-Avanti mamma, Angie non voleva dire nulla di male.
No, non potrei osare. Il Comando cerca d'insidiarsi nelle nostre menti, plasmando i bambini fin dall'infanzia a mostrare gratitudine nei confronti del presidente e dei ministri. La definiamo ancora una repubblica, vero?
-Credo sia meglio che io vada, domani mattina doppio turno, come ogni mercoledì.
Così rieccomi nella mia stanza buia e spoglia. Mi appoggio al davanzale della finestra e faccio scorrere i miei occhi fra le strade di Sentil e la gente che si ritira nelle loro case. L'inquinamento luminoso ha privato il cielo della sua luce e adesso anche le stelle mi appaiono affievolite. Intravedo il mio riflesso pallido nello specchio sulla parete dietro di me. I miei capelli castani scendono in ciocche ricce e disordinate, mentre sono in mostra le occhiaie scure sotto i miei occhi grigi. Il mio ultimo pensiero prima di addormentarmi è rivolto al cielo, di cui non posso scorgere le stelle. Magari, da qualche parte nello sconfinato universo, c'è una stella capace di mutare il corso della mia tediosa vita. 

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Capitolo 2
*** Capitolo 1 ***


Il sole discende flemmatico dietro le colline di Sentil e fra le mie dita gelate stringo una tazza di tè bollente: ecco il mio pomeriggio ideale. Ogni mercoledì torno a casa appena in tempo per scorgere il tramonto del sole, fino a qualche tempo fa era un rito per me restare a osservare dal davanzale della finestra il crepuscolo. Le cose cambiano, me lo ripeto sempre. Finisco la mia bevanda e poso la tazza accanto ai vasi ricolmi di fiori bianchi che mia madre ama disseminare ovunque. I miei occhi catturano gli ultimi raggi del sole, poi la sfera infuocata torna a dormire e le mie palpebre divengono pesanti e assonnate. Distolgo lo sguardo e osservo la mia piccola e svuotata stanza. Non ci è permesso avere molto, non che sia comunque possibile arredare le proprie case con i nostri stipendi minimi. Immagino che i ministri e il presidente non abbiano questi problemi, pochi eletti dal Comando hanno uno stipendio fisso superiore al nostro, dicono per "i servizi dovuti allo stato", ma noi non la vediamo proprio così. Non è sempre stato tale il nostro paese, c'era un tempo in cui era sovrana la serenità e dove la gente lasciava le finestre aperte e le chiavi di casa sotto lo zerbino. Decido di prendere uno di quei polverosi album di famiglia, per riportare alla luce alcuni di quei ricordi oramai sbiaditi. C'è una foto di me e Anastasia, quando eravamo ancora instabili sulle nostre gambe e le nostre ciocche erano ricciolute e scomposte. Lei è il mio opposto, con il suo temperamento pacifico e solare, i suoi occhi chiari pieni di luce e le sue maniere da bimba inconsapevole della realtà crudele a cui è destinata. Un'altra foto ritrae me e mia madre, il giorno del mio terzo compleanno. Il cielo era colorato d'indaco e lilla, grosse nuvole solcavano l'orizzonte e una solitaria mongolfiera attraversava il firmamento. Appare tutto così lontano adesso. La foto che si trova alla fine dell'album è anche la più pericolosa, un brivido attraversa la mia schiena e sgrano gli occhi per scorgere ogni particolare della fotografia. Mi trovavo nella mia vecchia casa quando è stata scattata, prima delle Leggi Giuste eravamo una di quelle poche famiglie che non soffrivano di fame e la povertà non ci ha mai attanagliati. Stavo suonando, quando fu scattata questa foto stavo suonando. Mi appare di risentire quella melodia, le note riemergono dalla mia memoria a lungo termine e le mie dita cominciano a muoversi con lentezza sulla superficie dell'album, come se un pianoforte invisibile si fosse appena concretizzato sotto di esse. Chiudo di scatto l'album e la polvere che lo avvolgeva sobbalza. Abbandono ogni pensiero passato e lascio l'Inno alla Gioia fra quei ricordi smarriti. Le Leggi Giuste possono avermi privata della musica, ma nella mia testa le note appaiono più vive che mai, celate nel profondo della mia psiche e vogliose di scorrere leste su per le mie dita. Non permetto alla musica di uscire dalle mie labbra, né di esprimersi attraverso le mie mani, perché so che ciò costerebbe la testa a me e alla mia famiglia. Un respiro, un altro respiro, i pensieri sono già più lontani.

-Angie, dove hai messo la mia maglietta rossa?

La voce di Anastasia mi riscuote e mi riporta alla mia realtà. Maglietta, quale maglietta rossa?

-Angie!

Mia sorella spalanca la porta della mia stanza e un cipiglio insoddisfatto si allarga sul suo volto quando mi vede stesa per terra, fra i vecchi album e qualche foto svolazzante.

-Posa subito quelle cose, sai bene che a mamma non piace quando mettiamo in disordine. Allora, dove hai messo la mia maglietta?

-Non puoi controllare tu stessa nel mio armadio? E poi, perché hai un impellente bisogno di quella maglia proprio adesso?

-Domani è giovedì, quindi resterò a scuola per quel progetto sulle lingue. non ho intenzione di mettere i miei vestiti peggiori per tutta la giornata.

Mi alzo da terra e pulisco i miei pantaloni scuri dalla polvere, poi torno a guardare mia sorella.

-Non sarà che vuoi far buona impressione su qualche tuo compagno? In tal caso la maglietta rossa non ti servirà.

-Angelica, smettila.

Rido, compiaciuta nel vedere le sue gote dipingersi di scarlatto.

-Bene, significa che prenderò uno dei tuoi vestiti.

-Fai pure, ma i tuoi pessimi gusti non attireranno nessuno.

Le dico prima di lasciare la stanza e dirigermi verso la cucina. Vorrei che il tempo potesse tornare indietro, vorrei tornare alle origini. Se solo la sabbia smettesse di scorrere dentro le clessidre, se solo le lancette si arrestassero e se solo si potesse fermare il moto del sole. Se solo io potessi...

È giunta la notte e la città tace. Restare nella mia stanza a fissare il soffitto spoglio non mi era sembrata una buona idea, così ho deciso di sgattaiolare dalla finestra per vagare fra le strade deserte. Non temo la notte, neanche i criminali che si celano nelle tenebre, il Comando reprime ogni nostra voglia di uscire fuori dagli schemi imposti. Neanche i migliori ladri osano muoversi fra le case vuote e contro i solitari come me. Il gelo dell'inverno comincia a impossessarsi della città e le luci dei lampioni sembrano non rischiarare le ore notturne. Di notte si ha l'impressione che la città sia sotto il tuo potere, potrei sentirmi la sovrana del mondo intero e ogni vita potrebbe dipendere dalla mia volontà volubile. Illudermi però non ha mai portato nulla di buono nella mia vita, quindi alzo gli occhi al cielo e tento di scorgere la luna e le stelle sulla volta celeste. Il silenzio mi avvolge ancora una volta, solo i miei passi disturbano la quiete esteriore che regna su Sentil. Dentro la mia testa il silenzio si interrompe, ha celato di esistere da qualche settimana, da quando ho sentito i ricordi e il dolore esplodere dentro il mio cuore. Perché non abbiamo ancora mosso una rivolta contro il Comando? Perché restiamo inermi mentre divorano le nostre anime e le nostre forze? Credo che la risposta sia semplice: per la pace. La tanto agognata pace che tutti reclamano, ma che nessun paese è riuscito a serbare per abbastanza anni. "Angelica, smettila di essere egocentrica", me lo ripeto finché non sono convinta che i miei pensieri siano errati. Tuttavia, si arrestano le mie riflessioni quando giungo vicina alla periferia della città. Possibile che i miei piedi mi abbiano condotta tanto lontana? Domani mattina svegliarsi sarà un dramma, ma immagino che non riuscirei a dormire nel mio freddo letto. Palazzi fatiscenti mi circondano, qualche casa simile alla mia sbuca fra le costruzioni più povere. Nonostante il Comando abbia cercato di garantire a tutti uguali possedimenti e stipendi, le differenze continuano a essere presenti nella nostra società, a dimostrazione che le Leggi Giuste non hanno ottenuto l'effetto sperato da tutti noi. Qualche luce accesa mi consola, forse non sono l'unica insonne in questa città. Mi accosto al marciapiede e seguo una scia di lampioni sverniciati, finché non scorgo un porticciolo socchiuso. La mia curiosità è invitata a entrare, forse potrei rompere l'anomala monotonia delle mie notti se solo m'introducessi in questo appartamento. "Su Angie, vuoi davvero entrare in una casa che non conosci, senza nessun motivo?". Mi mordo le labbra e penso che devo essere impazzita, o disperata, per volermi cacciare in guai a causa della mia tremenda noia. Non ci penso un'altra volta, poggio le mie dita pallide sulla porta e la spingo con dolcezza. Un lungo corridoio si rivela davanti a me. Mi addentro nella grande stanza e il mio sguardo vaga cieco, alla ricerca di qualche elemento da osservare. Attendo che la mia vista si adatti alla scarsa luce che filtra dall'entrata, poi muovo un altro passo verso il corridoio. Uno scricchiolio. D'istinto mi volto di scatto, ma è la scelta sbagliata, perché la porta si è chiusa e mi ritrovo immersa nel buio e piena di timore. A tentoni cerco di orientarmi, per trovare una qualsiasi fonte di luce. Trattengo il respiro, cercando di captare ogni minimo rumore. Un altro respiro, a pochi passi da me. Posso sentire la cassa toracica della persona espandersi e il ritmo lieve del suo cuore palpitare. I miei polmoni si riempiono d'aria e cerco di urlare appena avverto una mano calda e forte che circonda il mio polso, ma subito dopo un'altra mano sulle mie labbra m'impedisce di articolare una richiesta d'aiuto.

-Non so chi tu sia, ma se mi prometti di non urlare ti lascerò andare.

La voce sussurra al mio orecchio, allentando la presa sul mio polso. Di scatto mi discosto e riprendo fiato, prima di parlare con l'estraneo che si cela nell'ombra.

-Perché sei qui? Sei una spia?

Una lama di fuoco compare a poca distanza da me, illuminando la figura di un giovane ragazzo. Nei suoi occhi scuri vagano fiammelle di rabbia e qualche ricciolo corvino gli ricade sulla fronte abbronzata.

-Chi sei?

È l'unica cosa che gli chiedo, ignorando le sue domande.

-Se tu sei qui, sai chi sono, apro questo passaggio solo a quest'ora. Qualcuno ti ha mandata qui?

-Io non so di cosa tu stia parlando.

La lama di luce si arresta e la stanza torna a essere avvolta nel buio. Sento una chiave girare due volte, poi riascolto i passi del ragazzo avvicinarsi a me. Di nuovo luce, stavolta i suoi lineamenti sono meno duri, ma dentro di me la paura mi attanaglia.

-Se tu sei sincera, sei solo capitata nel posto sbagliato, oppure in quello giusto. Mi chiamo H, tu chi sei? 

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