Le Parking des Anges di Angel of Opera (/viewuser.php?uid=761765)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Champagne, Cocaine, Gasoline ***
Capitolo 2: *** Sweet Dreams ***
Capitolo 3: *** I'll never be your chosen one ***
Capitolo 1 *** Champagne, Cocaine, Gasoline ***
Champagne,
cocaine, gasoline
Un
tiepido sole di fine maggio fece capolino in una villa appena fuori
Parigi, la città delle luci. Questo potrebbe essere l’inizio di
uno di quei romanzetti all’interno delle riviste per signore, in
grado di trasportare casalinghe affaticate e stanche impiegate
lontane dal loro mondo per un po’. Almeno fino alle prossime
vacanze estive. E in effetti potrei davvero raccontare di qualche
coppietta sdolcinata, se la figura che il raggio di sole aveva deciso
di disturbare non fosse stato un ragazzo dai lunghi boccoli biondi,
riverso in una posizione quasi innaturale in una vasca da bagno. Pian
piano che la persiana si apriva, spinta da una dolce brezza, la luce
illuminò tutto il suo corpo. Indossava solo un jockstrap leopardato
e una una bralette di pizzo rosa tenue. Ai suoi piedi, un paio di
scarpe a tacco alto.
Ma come ci era finito lì, con in mano una
bottiglia di vodka costosa? Nemmeno lui lo sapeva. Si svegliò di
colpo, sbattendo le palpebre, e cercò di mettersi a sedere, ma un
capogiro lo costrinse a poggiare nuovamente il capo. Si passò quindi
la mano sul viso, sbavando i rimasugli di rossetto color Hollywood
che ancora gli rimanevano sulle labbra. Sperava che quel gesto lo
avrebbe aiutato a ricordare, ma tutto quello che gli riaffiorò alla
mente fu solo un insieme di flash confusi.
Pasticche
arcobaleno.
Guanti di gomma.
Universitari ubriachi.
Luis
con sua cugina Sophie e Athenais. No, forse non era Sophie, era
sicuro che lei non fosse venuta a quella festa. Forse era Lav,
diminutivo di Louise La Vallière, con cui si dicesse che avesse un
rapporto di amicizia controverso.
In ogni caso, niente di utile.
Riprovò a sollevarsi, con calma questa volta. Combattendo
contro il mal di testa da ebbrezza, riuscì a mettersi seduto. Una
volta che la sua testa smise di girare in modo così incessante, si
premurò di guardarsi intorno. Ai piedi della vasca da bagno, almeno
mezza dozzina di persone giacevano dormienti sul pavimento. Chevalier
contò quattro ragazze, metà delle quali senza almeno un indumento,
e un ragazzo con completamente nudo. Dell’ultima persona, era
quantomeno difficile indovinare il sesso.
Con uno sforzo
sovraumano, Chevalier si alzò e si avviò barcollante fino alla
porta. Era però il caso che si mettesse qualcosa addosso, dal
momento che probabilmente non era il solo sveglio. Così, gettando
un’altra rapida occhiata al bagno che stava per lasciarsi alle
spalle, scorse una vestaglia di tulle e piume rosa pastello. Ci mise
poco a decidere che faceva per lui: d’altronde, stava ancora
indossando un paio di tacchi a spillo. Questa volta era veramente
intenzionato a uscire dal bagno per raggiungere almeno la cucina.
Conosceva bene quella casa, meno il suo padrone. Luis aveva
frequentato la facoltà di scienze politiche e sembrava destinato a
diventare il prossimo presidente francese. Almeno, questo era quello
che aveva sentito in giro. Non che gli importasse molto. L’unico
dato che poteva dare per certo era che le sue feste erano rinomate
non solo alla Sorbona, dove tutta la famiglia dei Bourbon aveva
compiuto i suoi studi, ma anche nelle varie accademie sparse per la
città. Era qualcosa che si evinceva anche da chi, troppo ubriaco per
tornare a casa, dormiva in giacigli di fortuna. Era impressionante
quanti fossero, decine di menadi sfinite dopo un baccanale. In
effetti, doveva sembrare proprio così la festa che si consumata la
sera precedente. Litri di alcool, rispettabili figli di politici e
avvocati mischiati a ragazzi che si erano guadagnati un nome da soli
che si dedicavano ad attività ricreative spesso rese illegittime
dalla morale o dalle leggi.
In qualche modo, però, Chevalier
doveva smaltirne gli effetti. Arrivato miracolosamente in cucina,
schiacciò la levetta del ghiaccio. Applicò due cubetti grossolani
sulle tempie, con gli occhi chiusi, e si appoggiò con la schiena al
piano di lavoro. Finalmente un po’ di pace. Almeno, fino a quando
riaprì gli occhi.
« E tu chi sei, faccia d’angelo? »
domandò all’uomo che si stava preparando una spremuta d’arancia,
incurante di tutto il caos intorno a sé. Non era l’unico dettagli
che lo faceva sembrare totalmente fuori luogo: di certo, il suo
abbigliamento era alquanto peculiare. Portava pantaloni di un
completo blu scuro, una camicia bianca con un delicato motivo a
origami e una cravatta carta da zucchero strettamente annodata. Le
maniche arrotolate delineavano gli avambracci, squisitamente virili,
mentre qualche ricciolo corvino scappava dalla riga di lato che
teneva pettinati i capelli con fare professionale. Persino le mani
erano curate, perfettamente levigate e dall’aspetto soffice, come
avrebbe constatato più tardi.
« Philippe. » rispose,
sollevando appena la testa per guardare il nuovo arrivato. Riabbassò
poi gli occhi in fretta, concentrandosi sulla metà di arancia ancora
da spolpare. Probabilmente, l’aver visto un uomo con addosso abiti
così succinti l’aveva imbarazzato.
‘È arrossito’ notò
Chevalier, sollevando un angolo delle labbra. Si spostò poi verso
uno degli sgabelli, anche se per farlo dovette fare lo slalom tra un
ragazzo dalla lunga barba e un liquido non indentificato. « E cosa
ci fai qui, Philippe? » Oh, non avrebbe demorso. Era un bocconcino
troppo buono per lasciarselo scappare. Probabilmente era il debole
che aveva per gli uomini d’affari in completi eleganti, o per quei
pantaloni tanto stretti da lasciare abbastanza spazio
all’immaginazione.
Chevalier
si morse
un labbro, portandosi poi il ghiaccio alle labbra. Tirò fuori la
lingua per inghiottirlo. Sorprendentemente, risultava sensuale anche
con il trucco sbavato e i capelli scompigliati.
« Ci abito. Tu,
piuttosto, cosa ci fai in casa mia? » La risposta di Philippe lo
prese di sorpresa. Non conosceva bene Luis, al punto che a volte si
domandava come aveva fatto a diventare un habitué nel circolo del
rampollo Bourbon. Certo, il provenire da una famiglia che, onostante
i secoli, aveva mantenuto un alone di nobiltà gli aveva aperto molte
porte.
« Mon chèr, conosco Luis. A quanto pare però non
abbastanza bene da dedurre che non fosse etero. »
Philippe alzò
nuovamente lo sguardo, con un sopracciglio sollevato. « Lo è. »
A
questo punto, entrambi avevano la stessa espressione confusa.
Chevalier aveva immaginato che i due vivessero insieme perché in una
relazione, anche se aperta e complicata. Alla fine, chi era lui per
giudicare i sogni e le realtà lascive degli altri? Anche lui finiva
sempre per concentrarsi sul proprio piacere, convinto che non ci
fosse peccato nel proseguire solo quello scopo; anzi, forse era una
delle poche virtù donate all’uomo. L’egoismo alla fine poteva
considerarsi una virtù: è assodato che viva meglio quello a cui non
importa di niente e di nessuno rispetto a quello che invece passa la
sua vita a curarsi del prossimo.
« Pensavo che te lo… »
Chevalier non ebbe il tempo di finire la frase che venne interrotto
da una risata amara di Philippe. « Sono suo fratello. Non mi
sorprende che tenga nascosta la mia esistenza.»
Qualcosa che
prima era nei suoi occhi si spense. Probabilmente, non era un
argomento del quale amava conversare. A difesa di Chevalier, c’era
da dire che, salvo per qualche sporadico tratto, i due non si
assomigliavano più di tanto. Il viso di Luis era più sfilato, le
labbra più fini, gli occhi più piccoli, il sorriso più enigmatico.
Forse gli occhi erano l’unica somiglianza in quei due visi. Eppure
anche la sfumatura degli stessi era differente: il ghiaccio freddo di
Luis ben s’intonava al suo carattere, calcolatore ogni oltre
livello; mentre il color dell’acqua di montagna sembrava
appartenere a un animo più cristallino. Di sicuro, aveva un buon
gusto nel vestire, ma questo l’aveva già notato prima. E, a quanto
sembrava, anche nel make up. Seppur impercettibile, un occhio
allenato avrebbe potuto notare la sottile linea di matita sugli
occhi, il mascara sulle ciglia e l’illuminante sugli zigomi, che
evidenziavano la struttura ossea di Philippe. Se non altro, avevano
qualcosa in comune.
« Anastasia Beverly Hills o Jeffrey Star? »
Chevalier ammiccò, per richiamare la sua attenzione dopo che l’uomo
aveva fatto per uscire dalla stanza. Philippe si arrestò.
Evidentemente, non voleva che fosse nota la sua passione per cose che
venivano esplicitamente targate come femminili. Lentamente, si voltò
di nuovo verso al ragazzo appollaiato sullo sgabello della sua
cucina.
« Cosa? Si nota? » Era terrorrizzato. Quegli occhi di
fonte si velarono di lacrime, mentre le sue mani corsero agli occhi,
cercando di nascondere le tracce di pigmento sul suo viso con le
dita.
Chevalier fu mosso da un moto di compassione. Sapeva fin
troppo bene cosa voleva dire non essere accettato, vivere con la
paura che anche la più piccola azione potesse portare a qualcosa di
più grande, che le sue fragili spalle non avrebbero retto e
inevitabilmente gli sarebbe crollato addosso, trascinandolo in una
voragine senza uscita. Ma tutto questo era finito nel momento esatto
in cui aveva messo piede a Parigi. Molte delle sue ‘prime volte’
avevano avuto luogo nella città delle luci: il primo tatuaggio (una
frase, presa da ‘The Rocky Horror Picture Show’), il primo
piercing (al naso), il primo show di drag queen che aveva visto, il
primo locale gay in cui era stato… Tutte cose che mai e poi mai
avrebbe potuto fare in Lorena, sotto lo stretto controllo dei suoi
genitori, sostenitori dei partiti di estrema destra convinti che la
comunità LGBTQ+ fosse solo buona a traviare le menti di rispettabili
ragazzi bianchi destinati a un futuro brillante all’insegna della
cosidetta famiglia tradizionale. Non certo la vita che Chevalier era
pronto a fare. Chissà, magari anche Philippe si trovava in una
situazione simile. D’altronde, già essere l’ombra di tutta la
sua famiglia non era facile, aggiungendo anche una possibile
repressione, Chevalier poteva compatirlo benissimo. Così, scese
dallo sgabello su cui era appollaiato e gli si avvicinò, incerto
nell’incedere un po’ per i tacchi, un po’ per l’alcool non
del tutto smaltito.
Delicatamente, gli spostò le dita dal
viso. Era così bello… E, in più, era imparentato con il più
grande futuro politico di Francia. Forse, avrebbe fatto bene a
disporre di lui in qualche modo. Sarebbe stato un piccolo prezzo da
pagare per diventare affermato e vestire le più celebri personalità
del mondo. Ma anche solo avere a che fare con Léa Seydoux gli
sarebbe bastato. E Philippe sembrava non mostrare nessuna resistenza
al suo tocco. Già sentiva la magia crescere. Aveva iniziato, di
tanto in tanto, a guardargli le labbra, così carnose. Non avrebbero
certo sfigurato intorno a…
« Oops! I did it again, I played
with heart… » Il telefono. Come al solito. ‘Perché la mia vita
sembra una fanfiction scritta da qualche quindicenne?’ si ritrovò
a pensare Chevalier, alzando gli occhi al cielo. Ovviamente, qualcuno
ce l’aveva con lui. Non potè tuttavia trattenersi dal ridacchiare
alla suoneria di Philippe. Se prima aveva potuto pensare che fosse
etero, adesso ne rideva. Andiamo, nessuna persona eterosessuale
avrebbe messo Britney Spears per avvisarlo di qualche notizia
importante.
« Non lo so Bontemps, non sono il suo babysit- No,
non chiamare ancora la pol- No, non ti licenzie- A casa, sono a
casa. VI arrondisment. Sì. In cucina. Ha dato una festa. Di nuovo.
Non lo so. Faccio un giro e ti richiamo, tu non fare niente adesso.
No non- non lo deve sapere mio padre. Okay. A dopo. » Philippe
sospirò, rimettendo il cellulare nella tasca dei pantaloni. « Dov’è
mio fratello? Con chi era? Cos’ha preso? »
Il suo tono
inquisitorio svegliava in lui certe parti che, quando si indossa un
jockstrap, diventano molto più evidenti. Ci mise qualche istante a
capire la domanda, tuttavia, una volta che capì la situazione si
mise a ridere. Sembrava una presa in giro. « Tesoro, ero più fatto
di lui. Non so nemmeno come ci sono rimasto solo con un jockstrap.
Però mi piacerebbe saperlo. Magari ne è valsa la pena. » Gli si
avvicinò, dandogli un buffetto sul naso alla fine della frase. « Se
ti dico con chi era mi prometti che mi scriverai, se ti lascio il mio
numero? » «Io non faccio giochetti del genere. E poi ho una
fidanzata. »
Non fu certo quella frase a fermare Chevalier,
che anzi chiese un pezzo di carta e una penna, con cui vergò il suo
nome e il suo numero di telefono. Poi, per completare, baciò il
post-it, così da lasciare l’impronta delle sue labbra sulla carta.
« Prometti e ti dirò dov’è. Prendere o lasciare. » Con uno
sbuffo, Philippe accettò. « Lav, Athenais de Montespan e, ora che
ci penso bene, anche l’inglesina, quella che posa per l’accademia
di Belle Arti e che ha un palo nel culo. Suppongo che siano in camera
da letto. »
« Grazie, il tuo Uber sta arrivando. »
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Capitolo 2 *** Sweet Dreams ***
Sweet
Dreams
Lunedì.
Martedì.
Mercoledì. Ormai troppi giorni passati da quando aveva fatto visita
a casa Bourbon. A dir la verità, era anche l’ultima volta da
quando Chevalier aveva fatto uso di sostanze in grado di stimolare la
sua mente – e di lasciarla senza nemmeno un ricordo il giorno dopo.
Decisamente, andava posto rimedio a questa situazione. E cosa c’era
di meglio di uno show di drag queens, proprio nel suo locale
preferito? Magari, chissà, avrebbe potuto cogliere l’occasione per
finire nei pantaloni di qualcuno di utile alla sua scalata sociale.
Per qualcuno che lavora nelle arti, decisamente utile. Ormai, era
diventato un pensiero fisso. Certo, aveva già disegnato qualche
vestito per Athenais e per sua cugina Sophie, povera ragazza. Era
venuta a Parigi con lui, ma era di ben più umili origini e non aveva
proprio la più pallida idea di come guadagnarsi posti importanti.
Voleva fare l’attrice. « Apri le gambe, ai produttori piace. » le
aveva detto la madre, ma lei era troppo ingenua per farlo davvero,
completamente diversa da Chevalier. Magari sarebbe stato lui a
garantirle una carriera, aiutandola nella sua scalata sociale.
Avrebbe potuto guadagnarsi anche lui qualcosa. Un passo avanti
avrebbe potuto farlo se fosse riuscito a catturare l’attenzione di
Philippe. Che, a dir la verità, non gli aveva nemmeno inviato uno
snap. Eppure, le sue storie sull’app dal fantasmino le guardava,
ragion per cui c’era da sperare che avesse almeno salvato il suo
numero.
Ma perché avrebbe dovuto sperare? Probabilmente non
l’avrebbe più rivisto presto. Non di certo all’ ‘XXL’,
davanti al quale Chevalier era arrivato.
Prima di entrare
raccolse i capelli in uno chignon disordinato. Gli avrebbe
risparmiato del tempo, dato che ormai era abituato a pagare i
buttafuori in natura. Almeno avrebbe iniziato a scaldarsi, dato che
il giubbotto di pelle che indossava lo riparava poco dal freddo, per
non parlare dei jeans neri strappati. ‘La bellezza è dolore’.
Questo era sempre stato il suo mantra, soprattutto nel momento in cui
aveva imparato a camminare sui tacchi. Si era slogato la caviglia
destra un paio di volte prima di riuscire a mantenere l’equilibrio,
ma ormai era maestro di quell’arte. Indossava spesso scarpe alte
anche quindici centimentri, ma altre volte optava per più comodi
anfibi di vernice, come quella sera.
Forse, più tardi avrebbe
potuto compiacersi di quella scelta. Almeno non l’avrebbero
chiamato sul palco e non avrebbe dovuto prestare le sue scarpe a
nessuna drag queen, com’era successo la volta precendente. Aveva
perso una scommessa e, con questa, anche un paio di Leboutin figlie
di un paio di mesi in cui aveva dovuto lavorare più del solito.
Magari avrebbe potuto riaverle indietro, quella notte. Ancora ci
pensava, quando scorse a un tavolino alcuni dei suoi amici. Ariane,
facoltà di scienze politiche, incarnava in pieno il termine ‘butch’.
Mael stava tentando la fortuna come bassista in una band indie-rock.
C’era anche Jean-Baptiste, il più grande del gruppo. Aveva
studiato recitazione, regia e scrittura teatrale a Londra. Era
tornato in patria un paio di anni prima, e Chevalier lo aveva
conosciuto per caso a una festa organizzata da Luis. Per qualche
strano motivo, si erano ricordati l’uno dell’altro e avevano
iniziato a frequentarsi. In realtà, Chevalier fu sorpreso dalla sua
presenza in quel locale. Non facendo parte della comunità LGBTQ,
Jean-Baptiste non seguiva spesso la cerchia di amicizie di Chevalier
in bar gay.
« Ti abbiamo passato la frociaggine? » gli chiese
il nuovo arrivato, facendo un cenno di saluto a tutto il gruppo e
sedendosi sulle gambe di Mael, non trovando uno sgabello libero.
«
Sfortunatamente continuo a preferire le grazie femminili, ma una
delle signore che si esibirà stasera ha domandato il mio aiuto. Ti
dico solo che non riuscirai mai a immaginare chi si cela sotto la
parrucca! » fu la risposta di un euforico Jean-Baptiste. Beh, era
quantomeno strano che una drag queen, anche se professionista, si
rivolgesse a un regista. Anche perché non era un lavoro
particolarmente remunerativo. Tuttavia, era un genere di
intrattenimento che stava via via guadagnando popolarità, come si
evinceva dalla quantità di gente accorsa ad assistere allo
spettacolo. Certo, non tutte erano di gradimento al pubblico, al
punto che una certa Viollet-Le-Dick suscitò l’ilarità solamente
di un piccolo gruppo di architetti, probabilmente i soli a capire le
sue battute. Colei che invece prese gli applausi più lunghi
rispondeva al nome di Narcisse BeauSancy. Nonappena fece la sua
entrata sulle note di ‘Royals’, il pubblico andò in visibilio. «
Quello è il mio lavoro! » Urlò Jean-Baptiste, alzandosi in piedi e
sollevando anche il suo bloody mary. Narcisse si rivolse verso il
loro tavolo, raggiungendo il gruppetto. Quando la canzone arrivò a
‘let me be your ruler’, la mano di Chevalier fu portata dalla
ragazza verso uno dei suoi seni di silicone. ‘È il momento più’
etero della mia vita’ pensò, voltandosi ridendo verso Ariane, a
cui invece vennero offerte le natiche della drag queen, in modo che
potesse ricevere una sculacciata. Era travolgente, davvero un’ottima
performer. Tornata sul palco, aveva ballato ancora un paio di brani
di Marina And The Diamonds e Sia, prima di scendere nuovamente per
tornare in camerino.
« Raggiungimi fuori tra dieci minuti. »
intimò a Chevalier, che nel frattempo occupava la sedia di Mael, il
quale aveva sentito il richiamo della natura. Aspettò quindi che
fosse tornato per rggiungere il retro del locale, lasciando gli altri
con una scusa.
Approfittò dell’uscita per accendere una
sigaretta, una Black Devil rosa, le sue preferite. La portò alle
labbra con grazia, appoggiando un piede contro un muro e abbassando
la testa mentre lasciava che il fumo gli entrasse nei polmoni. Un
ticchettare di passi sul pavimento. Alzò lo sguardo, scorgendo
Narcisse avvicinarsi. Aveva aggiunto una ecopelliccia bianca sopra
l’abito per coprirsi dal freddo. Anche la parrucca se n’era
andata, lasciando il posto a riccioli scuri ancora scompigliati.
«
Scusa se non ti ho chiamato. Posso rimediare? » gli domandò, una
volta che si fu fermata accanto a Chevalier.
« Aspetta, quindi
tu sei- ? » ci fu un momento di silenzio confuso. Subito dopo, la
sigaretta cadde a terra. « Philippe? »
« Il fratello del
prossimo presidente si veste da donna. È qualcosa che tutta la
stampa francese non vede l’ora di sapere. » Di nuovo quel sorriso
amaro, di nuovo la tristezza velò i suoi occhi.
«
Effettivamente potresti rimediare in qualche modo. » Chevalier tentò
di risollevargli il morale, passandogli un dito sulle labbra.
Philippe non se lo lasciò ripetere e afferrò la sua maglietta,
baciandolo con così tanta passione da far dubitare che fosse la
stessa persona che Chevalier aveva incontrato pochi giorni prima,
fredda come la Senna d’inverno. Certo non si lamentava del
cambiamento. Il suo corpo si abituò in fretta a quel contatto, e le
mani si mossero quasi automaticamente, raggiungendo le natiche
dell’altro. Ormai erano senza respiro.
« Guarda che schifo,
Samuel. » fece un ragazzo vesito di nero, con le braccia conserte,
che aveva osservato la scena.
« Ci sono troppi froci ormai in
giro. » echeggiò l’altro.
Chevalier guardò prima i due,
poi Philippe, spaventato. Vide la stizza salire sulle guance, sempre
più rosse. Come risposta, tuttavia, si riavventò sulle sue labbra,
baciandolo rabbioso. Eppure i due non demordevano, neppure dopo
essere stati ignorati, ma anzi ridevano.
« Non è neanche un
uomo, hai visto com’è conciato. »
A quel punto, Philippe
decise di alzare la testa.
« Ho molte più palle di te. »
Rispose, lasciando che Chevalier scivolasse dietro di lui. Uno dei
due si fece più grosso, gonfiò il petto e si fece avanti. «Ah, sì?
Vediamo un po’.» disse, sferrando un pugno sul viso del ragazzo
con il vestito. Bastarono dieci secondi per incassare il colpo, dopo
di che Philippe non ci vide più. Iniziò a colpirlo nello stomaco,
sul volto e gli tirò i capelli un paio di volte. A un certo punto,
però, Chevalier fu costretto ad intervenire, poggiandogli una mano
sulla spalla.
« Sebbene io mi stia divertendo, credo che abbia
capito. » disse, invitandolo a fermarsi « Se vuoi, possiamo
continuare quello che abbiamo interrotto... » Si stava leccando le
labbra al solo pensiero, eppure un’occhiata gelida di Philippe lo
fece ricredere.
Prese in mano il suo cellulare, se lo portò
all’orecchio. Parlo per alcuni momenti, poi si mise di fronte al
ragazzo.
« Torno a casa. Vuoi un passaggio? »
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Capitolo 3 *** I'll never be your chosen one ***
I’ll
never be your chosen one
«
Congratulazioni! Se avevi intenzione di rovinarmi la campagna
elettorale, ci sei riuscito! »
Luis irruppe nella camera di
Philippe come un terremoto, sbattendo la porta e sbraitando, con
Bontemps che arrancava dietro di lui. Come se il fratello del futuro
presidente non fosse stato svegliato dal rumore, si premurò di
aprire le tende, in modo da rischiarare l’ambiente per infastidire
ulteriormente il povero Philippe, che si schermò gli occhi
appesantiti dal sonno e dai probabili postumi di una sbornia con una
mano.
« Il tuo spettacolino di ieri sera è virale. »
Continuò, glaciale, Luis. Sì, ma quale dei due? Il suo show, quello
per cui aveva lavorato duramente sotto il nome di Narcisse BeauSancy,
combinando mitologia greca e diamanti, o quello che era stato
costretto a mettere in scena per difendersi dalle ingiurie e dalle
botte?
Bontemps si avvicinò a lui, tirando fuori un tablet
dallo zainetto che aveva sulle spalle. Iniziò a digitare sullo
schermo, con il suo tocco delicato e lievemente ansioso. Era sempre
in soggezione davanti a Philippe, probabilmente perché temeva per
l’incolumità del suo datore di lavoro. I due fratelli Bourbon,
infatti, spesso litigavano, anche pesantemente. Anche se ormai era
finito il tempo delle zuffe, ogni tanto la tensione era talmente alta
da far presagire una rissa. E quella mattina sembrava portare una
delle peggiori sfuriate degli ultimi due anni.
Philippe strizzò
gli occhi, lanciando uno sguardo sullo schermo che gli veniva
offerto. Mostrava una schermata di Youtube dal titolo decisamente
esplicativo. ‘Travestito finocchio all’attacco’.
Oh no,
decisamente non sarebbe rimasto a guardare. Aveva già perduto
parecchie ore di sonno, di sicuro non si sarebbe alzato per rivivere
i momenti d’odio della sera precedente. Con un gesto stizzito,
affondò il volto nel morbido cuscino di seta. Che gli venne tuttavia
tolto e gettato in un angolo della stanza dal fratello, il quale non
sembrava per niente disposto a demordere.
« Papà dice che sei
una puttanella. » Era un tentativo per spronarlo a reagire, ma che
tuttavia non aveva successo. In occasioni normali, non sarebbe mai
arrivato a quelle parole. Eppure si trovava lì, a punzecchiare il
fratellino affinché gli desse delle risposte.
« Papà ha
sempre preferito te. Ogni volta che tu facevi qualcosa di sbagliato,
la colpa era sempre mia. Quando distruggesti il vestito di Chanel di
mamma, fu colpa mia. Quando si ruppe il vaso della hall di
quell’hotel a Londra, fu colpa mia. L’erba che trovarono nei tuoi
vestiti a quindici anni fu colpa mia. Quando ti picchiai perché
avevi buttato sotto una macchina il mio primo cellulare, punirono me.
Quando androno crociera per l’anniversario di matrimonio e
tornarono trovandosi la casa distrutta, fu colpa mia, che avevo
passato l’intero periodo del viaggio dal mio ragazzo dell’epoca.
Di’ a papà che prendo anche il cognome della mamma, se mi odia
così tanto perché sono nato per secondo e pure frocio! » Philippe
era rimasto inerme per un paio di minuti solo per scegliere gli
episodi più esemplificativi della sua infanzia. Si era poi messo a
sedere, per sputare tutto il veleno che aveva sempre dovuto
inghiottire. Anni e anni di disprezzo e indifferenza da parte della
propria famiglia.
« Almeno sai chi è quello che ti porti a
letto? » la voce di Luis, sprezzante, fece smettere di tremare
Philippe, costringendolo a ricacciare indietro le lacrime.
«
Questo dovresti saperlo anche tu. Era a uno dei tuoi festini. » un
sorrisetto di sfida. Silenzio.
« Chi era a un festino? » Da
sotto il piumino immacolato, spuntò una massa di lunghe onde dorate,
aggrovigliate dal sonno e da un’evidente azione avvenuta la sera
prima. Chevalier si avvicinò a lasciare un morso sulla spalla di
Philippe, prima di rendersi conto della presenza del fratello. A quel
punto, rimase con i denti sulla pelle del ragazzo al suo fianco.
«
Philippe Chevalier. Beh, almeno assomiglia più o meno alla tua
fidanzata ufficiale. Sai, quella che non ti fai tu. » Un altro
sbeffeggio. E per cosa? Perché si rifiutava di vivere nella bolla di
plastica che altri avevano costruito per lui? Non gli era mai stato
concesso niente, sempre offuscato dalla luce del fratello. ‘Luis ha
preso il voto più alto di storia’, ‘Luis è un genio della
matematica’, ‘Luis si è laureato con il massimo dei voti’.
Luis, Luis, Luis. Philippe era buono solo a essere ripreso. Se si
metteva lo smalto sulle unghie, i suoi successi si vanificavano. Se
indossava un colore non tradizionalmente maschile, gli era vietato di
uscire con i suoi amici. Tutte le sere che aveva passato solo, sul
pavimento di camera sua, desiderando apertamente di non essere mai
nato gli passarono davanti agli occhi. Avrebbe dovuto reagire fin da
bambino. Invece era stato solo un corpo di pezza, su cui con gli anni
aveva dovuto imparare a costruirsi una corazza. Eppure, questo
esoscheletro metallico gli era troppo largo.
« Non posso
farmela perché ha già il tuo cazzo tra le gambe! » sbottò,
alzandosi in piedi, senza preoccuparsi del fatto che era ancora nudo.
Luis si ritrovò costretto ad alzare il tono, sentendosi minacciato.
« Beh, qualcuno dovrà pure soddisfarla! » urlò, prima di
girare i tacchi e andarsene sbattendo la porta, seguito da Bontemps,
sempre attaccato ai suoi piedi.
« Fuori! Anche tu! »
Chevalier non poté far altro se non obbedire all’ordine incrinato
di Philippe.
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