Back to the Island

di Sunseth
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Dogo ***
Capitolo 2: *** Izabel ***
Capitolo 3: *** Martha ***
Capitolo 4: *** Insieme ***



Capitolo 1
*** Dogo ***


Il beccheggiare continuo ed instancabile della barca sulle onde, e il rumore stesso del mare erano migliori di qualsiasi ninna nanna che avesse mai sentito. Lo scivolare sinuoso dell’imbarcazione attraverso i flutti lo tranquillizzava come l’essere in braccio alla propria madre. Il sole caldo e dorato e la brezza salmastra lo riempivano di sensazioni piacevoli; sensazioni che ormai da tempo non avvertiva più provenire dagli esseri umani suoi simili. Questi, a grandi linee, furono i motivi che lo portarono ad addormentarsi, il tricorno di pelle appoggiato sul viso per proteggere gli occhi dalla troppa forza dei raggi solari. Erano giorni che non dormiva decentemente ed il costante sciabordio delle onde alla fine aveva avuto la meglio sulla sua forza di volontà, condannando capitano e imbarcazione a i capricci delle onde. Ed ora era lì, in mezzo al mare di Kesha, addormentato, alla deriva. Non che avesse motivo di stare sveglio, comunque. La sua destinazione non era certo una di quelle isole a cui si può approdare solo se si conosce la loro posizione al millesimo di millimetro. No. La sua destinazione era semplicemente un’isola, piuttosto grande in verità, e che aveva una particolarità: era l’esatto punto in cui confluivano tutte le correnti marittime. Quindi, sveglio o no, alla deriva o meno, Dogo sarebbe arrivato a quell’isola, anche se, a dover essere precisi, il suo non sarebbe stato un arrivo, ma un ritorno. Erano ricordi importanti, quelli che lo legavano a quel pezzo di terra in mezzo al nulla; ricordi di quasi quattro anni prima. Ricordi pesanti quanto la zavorra di un galeone per certi versi, ma con cui aveva imparato a convivere in maniera abbastanza felice. Ogni tanto riemergevano dal pozzo della memoria, ma duravano solo qualche istante, e, subito dopo, il dolore tornava ad assopirsi.

Si svegliò solo molto tempo dopo, a causa di un urto piuttosto violento. Secondo le sue infallibili deduzioni, era finito su una secca, e la sabbia su cui era sprofondata la sua testa ne era una prova inconfutabile. Nonostante la brillante deduzione, ci mise qualche minuto buono per riprendere completamente conoscenza. Con un mugugno in perfetto stile da muflone in calore e annaspando nella sabbia, si rizzò a sedere e si profuse in un sonoro sbadiglio. Dopodichè decise che starsene seduto sulla sabbia non l’avrebbe portato da nessuna parte, così si alzò, si diede una rapida lavata al viso per ripulirlo dalla sabbia e si scrollo di dosso quella che gli si era incastrata fra le pieghe del giaccone. Nel complesso, sembrava appena uscito da uno di quei forzieri del tesoro vecchi di secoli e pieni di polvere fin dentro le giunture della serratura. L’unica differenza era che lui era dorato. Una volta che si fu dato una sistemata, decise che probabilmente sarebbe stato meglio ancorare in maniera sicura la barca, quindi salì a bordo, frugò in mezzo alle provviste in cerca della cima e dell’ancora e fissò per bene la barca. Fatto questo, decise che si era meritato un premio. Si fece un piccolo applauso e si concesse un sorso di Brise. Quindi, si calcò di nuovo il tricorno sul capo e prese a scrutare un po’ l’orizzonte.

La zona non dava molti segni di vita: in generale solo qualche galeone spuntava in lontananza, prima di cambiare rotta e prendere un’altra corrente. Dogo ancora non aveva capito se la gente stava alla larga da quel posto più per la superstizione o per tutta la storia delle correnti convergenti, che si, dovevano creare un po’di scompiglio, ma che un bravo marinaio non avrebbe avuto difficoltà a gestire. Ad ogni modo, la zona era tristemente deserta. Lentamente, s’incamminò lungo la lingua di sabbia dove era approdato e, pigramente, pescò dalla tasca la sua bussola, per capire in che zona era approdato. Nord. Rifletté qualche secondo su cosa questa direzione potesse suggerirgli. Poi ricordò. Non era uno dei ricordi dolorosi che affioravano di solito. Questa volta era qualcosa di diverso. Un ricordo dei ‘bei tempi che furono ‘, come gli piaceva descriverli. La sua mente fu travolta per un istante da una miriade di voci, risate, colori. Poteva sentire vivamente dentro di se tutto ciò che era stato, tutto ciò per cui aveva lottato in passato; tutto ciò che aveva poi, lentamente, perduto. Senza perdere altro tempo si incamminò, con passo deciso, verso la zona orientale di quel pezzo di terra e sabbia dimenticato dagli dei in mezzo al mare. E, come gli sovvenne, purtroppo non era l’unica cosa che gli dei avevano dimenticato.

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Capitolo 2
*** Izabel ***


Abbandonata in mezzo al mare. Izabel non riusciva a capacitarsi di come quell’ammasso di incompetenti avesse potuto buttarla a mare insieme a tutto il suo bagaglio. Era inconcepibile. “Non ho fatto niente di male!” si ripeteva, mentre, lentamente, galleggiava sulla sua valigia. “Il problema è che di questi tempi hanno tutti manie di grandezza. Si fotta il denaro!” e così dicendo agitava il dito medio alle onde e ai gabbiani che ogni tanto le svolazzavano vicino. D’altronde, aveva proprio ragione a prendersela col mondo. In fin dei conti si era solo nascosta nella stiva di una nave merci per scroccare un viaggio fino al porto di approdo successivo, senza dirlo a nessuno, senza pagare nessuno. Il capitano della nave non le aveva certo riservato un’accoglienza degna di una regina, quando l’aveva scoperto. L’aveva invece caricata in spalla, portata sul ponte e buttata a mare. Senza dire una parola. Inutile dire che la ragazza non l’aveva presa bene. Il fatto era che la gente non capiva le sue esigenze, questo continuava a ripetere. ‘Il pensiero alternativo è la chiave del domani’ era il suo motto… più o meno. Ciò che le recava più fastidio, non era propriamente il fatto di essere stata buttata a mare senza diritto di replica, ma il fatto che, in questo modo, non avrebbe potuto essere in tempo al teatro di Vallante per sostenere il provino a cui da tempo si era preparata. Doveva essere la parte della sua vita, e invece si era conclusa in maniera anche piuttosto squallida. Non c’era nulla da fare, stava perdendo tutte le occasioni migliori che la vita le stava propinando sul suo vassoio d’argento placcato sterco. Era ancora immersa in questi pensieri, quando scorse non troppo lontano di fronte a lei quella che pareva una piccola spiaggetta. Per niente intimorita dalla prospettiva di essere diventata naufraga, scacciò i due gabbiani che le si erano appollaiati a fianco, sulla valigia, e prese a remare con tutta la forza che aveva, verso terra, e, una volta approdata, al grido di “Viva la rivoluzione!”, stramazzò, sfinita, sulla sabbia.

Quando si riprese, qualche minuto più tardi, finalmente mise a fuoco il guaio in cui si era cacciata. Era sola, con una valigia, su una spiaggia deserta, e la cosa peggiore era che non vi era traccia di vita, gabbiani esclusi, ovunque si posasse il suo sguardo. Ora, dovete sapere, una delle particolarità di Izabel era il suo modo di affrontare i problemi, specialmente quelli seri come, ad esempio, il trovarsi da sola su un’isola deserta: lei non si faceva abbattere dalle condizioni avverse; lei non cominciava a pensare al peggio, disperandosi e facendosi prendere dal panico. Lei si arrabbiava. E tanto. Senza pensarci due volte aprì il suo bagaglio, ne estrasse un vivace ombrellino azzurro e con passo spavaldo iniziò a percorrere la striscia di sabbia in una direzione a caso. Doveva scaricare la rabbia che aveva, e qualunque cosa sarebbe servita allo scopo. Anche il relitto di un vecchio galeone arenato, cadente, e che aveva qualcosa di stranamente e spaventosamente familiare. Si bloccò. Era preparata a tutto, meno che a ciò che stava davanti ai suoi occhi. La rabbia si dissolse, lasciando posto a un miscuglio di sentimenti vari e confusi. Sorpresa, gioia, tristezza, ancora rabbia, ma una rabbia diversa da quella che aveva provato fino a pochi istanti prima. Improvvisamente si sentiva soffocare, come se qualcuno le avesse dato una pesante manata sulla schiena. Lentamente, non sapendo cosa fare e non riuscendo a trovare parole per esprimere ciò che provava e che comunque nessuno avrebbe sentito, allungò una mano verso la polena dorata.

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Capitolo 3
*** Martha ***


Nonostante il ribollire delle pentole e, in genere, la gran confusione che regnava nella cucina, Martha aveva avvertito qualcosa. Sul ponte stava succedendo qualcosa, e lei era relegata lì a preparare il rancio per tutta la ciurma. Era sempre così, le affidavano i compiti più stupidi e le impedivano di vedere ciò per cui aveva deciso di mettersi nuovamente per mare dopo anni passati sulla terraferma: il mare. Era un sentimento che era nato e cresciuto col tempo. Da bambina, mai avrebbe pensato di avventurarsi per mare, era troppo pericoloso, o così almeno le dicevano genitori e nonni. Il suo destino doveva essere diverso: avrebbe dovuto essere l’erede di un piccolo forno, nella sua città natale; secondo quanto le era stato raccontato, la piccola attività era in piedi dagli albori della sua famiglia e aveva dato i suoi frutti, per così dire, garantendo a tutta la famiglia e alle generazioni future un tenore di vita medio alto. Certo, c’erano sacrifici da fare ma il tutto veniva ripagato ampiamente. Alla ragazza non turbava certo questa vita sedentaria, anzi, forse non sarebbe riuscita a vedersi lontano da quel posto, ma non poteva certo sapere cosa il destino le stava riservando. A ripensarci ora, nella piccola cucina piena di pentole e tegami, i lunghi capelli ricci raccolti per non contaminare il cibo, gli anni in cui era stata bambina le sembravano niente più che una favola. O forse, quella era la realtà, e il viaggio in cui si era imbarcata cinque anni prima era la vera favola. Sbuffò leggermente per scostare un ciuffo ribelle dalla fronte. Tese di nuovo le orecchie per capire se sul ponte le cose si erano calmate, ma l’unica cosa che sentì furono delle grida sommesse. Erosa dalla curiosità, si fece coraggio, posò sul tavolino di legno vicino a lei il mestolo ed uscì dalla stanzetta.

La brezza salmastra che spirava fuori dal suo regno la sorprese per un attimo. Dimenticava sempre quanto era piacevole abbandonare cibi e fornelli per qualche minuto. Fece qualche ampio respiro, come per far tesoro di quella sensazione, e dopodichè si incammino su per le scale, diretta sul ponte. Man mano che saliva i malmessi gradini, le voci sul ponte aumentavano di volume; sembrava proprio stessero litigando. Cautamente si guardò intorno per fare il punto della situazione. A quanto poteva capire nella gran confusione il capitano aveva trovato una persona che si nascondeva nel vano merci, l’aveva caricata in spalla e buttata a mare senza diritto di replica. Questo aveva risvegliato gli animi velenosi di alcuni membri della ciurma che ora lo stavano accusando di essere un pessimo capitano, e altre amenità adatte alla situazione. Era interessante vedere come un omone come il capitano, fosse stato zittito in maniera esemplare dai suoi marinai. Dopo qualche minuto si fece silenzio sul ponte e uno dei marinai estrasse un coltello. Martha capì che le cose stavano per degenerare. In men che non si dica, il capitano era diventato storia, sgozzato da un mozzo. ‘Niente panico’ pensò fra sé e sé la ragazza, anche se non si stava minimamente ascoltando: il suo corpo aveva già cominciato a reagire per i fatti suoi, e in pochi istanti si ritrovò a bordo di una delle scialuppe, il coltello da cucina pronto a tagliare le funi che la sorreggevano. “Ehi, dove credi di andare tu?!”. Non c’era tempo per pensare. L’ormai ex-cuoca della Nina, trasse un ultimo sospiro e tagliò le corde, precipitando con la scialuppa nel vuoto. L’impatto con l’oceano non fu certo tranquillo, ma la ragazza si ordinò di mantenere la poca calma che le era rimasta; inforcò i remi, e cominciò a remare il più velocemente possibile, seguendo la corrente. Quando si fu allontanata abbastanza dalla nave e l’adrenalina che fino ad allora le aveva pulsato nella testa sparì, la colse un gran sonno. Ripose il remo a bordo della scialuppa, si accoccolò sul pavimento legnoso e, cullata dalle onde, si addormentò.

Si risvegliò, decisamente intontita, una trentina di minuti più tardi. La scialuppa si era arenata su una lingua di sabbia in mezzo all’oceano e quindi ora l’ex cuoca poteva definirsi a tutti gli effetti una naufraga. Non che l’idea la riempisse di gioia, in effetti era una cosa abbastanza fastidiosa, ma come al suo solito, cerco di non farsi prendere dal panico ma di razionalizzare. Va bene. Anche ammesso che fosse solo una striscia di sabbia in mezzo al nulla, cosa che, doveva ammetterlo, sembrava al momento l’opzione più realistica. Eppure c’era qualcosa in quel puntino blu circondato da gabbiani, all’orizzonte, che le suggeriva che ci fosse molto più di quanto la sabbia dorata, le due palme in croce e l’acqua cristallina lasciassero trapelare. Infischiandosene di cosa potesse succedere alla scialuppa se lasciata in balia delle onde, Martha scese sulla terraferma e si incamminò guardinga verso il famoso puntino blu. Qualche minuto più tardi la ragazza si trovava davanti ad un insolito spettacolo. Insolito più per il luogo che non per l’oggetto in se, in effetti. Il puntino blu che aveva visto in lontananza altro non era che una valigia. Blu cobalto, tappezzata di cartoline delle più disparate città del mondo. E aperta. I gabbiani si stavano divertendo un mondo a prendere i vestiti e portarseli in giro per la spiaggia. I vestiti in genere, si stavano divertendo meno. La ragazza stava ancora metabolizzando l’inusuale ‘incontro’, quando qualcosa attirò la sua attenzione. Una foto per la precisione. Spiegazzata e consumata dal tempo, lentamente si stava scolorendo, ma non era quello l’importante. La cosa che le fece sobbalzare il cuore furono le persone fotografate. Una di queste persone, era lei. Lentamente, come in preda ad una crisi mistica, Martha si avvicinò ancora di più alla valigia, e si inginocchiò di fronte ad essa. I battiti del suo cuore continuavano ad aumentare mentre allungava la mano verso la foto. Non sapeva se ridere o piangere, ma quando ebbe la foto fra le mani, ogni dubbio svanì. Non aveva tempo da perdere. Si intascò la foto e cominciò a correre lungo la spiaggia, in cerca del proprietario della valigia, ma soprattutto della foto.

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Capitolo 4
*** Insieme ***


Non gli sembrava vero. Quattro anni erano passati ed era ancora lì, splendida nel suo dorato decadentismo. Il relitto del galeone si aggrappava ancora alla realtà, ambasciatore di un passato da non dimenticare. Silenzioso monito di quanto uomini e dei dovrebbero imparare a collaborare invece di sfidarsi e combattersi sempre e comunque. Al di là di questi significati profondi, il relitto della Golden Vanity rappresentava il periodo più intenso della vita di Dogo, Martha e Izabel. Membri della stessa ciurma per due anni, sotto i comandi di un capitano senza precedenti. Si può ben comprendere quindi, la reazione che i tre ebbero di fronte ai resti di quello che era stato il loro passato. La polena sfasciata, le tavole di legno spezzato sparse su tutta la spiaggia, le vele squarciate, generarono un senso di malessere nei tre che, presi dal flusso dei ricordi, non avevano ancora notato la presenza l’uno dell’altro. Passarono una decina di minuti prima che uno di loro distogliesse lo sguardo dai resti della nave… e che si accorgesse che non era solo. La prima a risvegliarsi dalla trance fu Izabel. Fece un profondo respiro e spostò lo sguardo alla sua destra. A pochi passi da lei, in piedi, lo sguardo sognante rivolto verso il relitto, vi era un ragazzo. Capelli neri, spettinati, non molto alto, la pelle leggermente abbronzata. “… Dogo?” chiese a bassa voce. Il ragazzo ovviamente non la sentì. Izabel non era sicura che in effetti quella ‘presenza’ fosse reale. Per quanto ne sapeva, poteva tranquillamente essere che il sole cominciasse a farla sragionare; così si fece forza e si incamminò, incerta, verso la figura avvolta nel giaccone di pelle. Quando gli fu a portata d’orecchio, esordì con la stessa domanda: “… Dogo? Sei tu?”. Questa volta le sue parole giunsero alle orecchie di Dogo, che si voltò verso la ragazza. La reazione fu più o meno la stessa di Izabel. “… ecco, lo sapevo, troppo sole… ora ho pure le allucinazioni. Sei una sirena? Sei venuta a prendermi? Ok, eccomi, portami con te!” e così dicendo allargò le braccia. “No, non sono una sirena, e a quanto pare tu non sei un miraggio… di certo non potrei pensare a reazioni del genere…” e dicendo questo gli sorrise. “Ma quindi, se tu non sei una sirena… e io non sono un miraggio…” Si guardarono. Non erano molto cambiati, ma qui e là vi erano delle differenze rispetto a quanto ricordavano dell’altro. Izabel ora aveva i capelli corti, biondi, spettinati dal vento; Dogo invece aveva i capelli più lunghi. Si abbracciarono, in silenzio. Troppe cose da dirsi, troppe emozioni da esprimere; preferirono rimanere così, ognuno immerso nel proprio universo di sensazioni. “Dov’eri finito? Ti abbiamo cercato per giorni…” la ragazza fu la prima a rompere il silenzio. “E’ un po’complicato da spiegare.” A quel punto la ragazza gli scaricò sulla faccia tre ceffoni. “COMPLICATO?! COMPLICATO?!? Tu sei tutto scemo! Hai la minima idea di come ci siamo sentiti quando sei sparito nel nulla?! Credevamo fossi morto!” Era furibonda. Come ho già detto, questo era il suo modo di fronteggiare i problemi e, fortunatamente per lui, Dogo se lo ricordava. “Beh non lo sono, il che dovrebbe essere una cosa positiva, no?” Izabel stava per assestargli un altro ceffone, ma venne interrotta dallo svolazzare di un pezzo di carta, che si posò fra loro. Il ragazzo si chinò e lo raccolse. Era una foto. Sorrise e la rigirò a Easy. Era una delle ultime foto della loro ciurma. Capitan Kuno, Bibi, Milesius. Fantasmi del passato. “Questa era nella mia valigia, come ha fatto ad arrivare fin qui?” si chiese, grattandosi leggermente il collo. Istintivamente, volsero lo sguardo nella direzione da cui era arrivata la foto. Martha stava correndo verso di loro, un sorriso a trentadue denti stampato sul volto… e un mestolo di legno in mano.

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