Il mio Maestro di claudineclaudette_ (/viewuser.php?uid=44478)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Safer ***
Capitolo 3: *** Piccolo giglio ***
Capitolo 4: *** Conflitto ***
Capitolo 5: *** Divinità ***
Capitolo 6: *** Lifestream ***
Capitolo 7: *** Legami di famiglia ***
Capitolo 8: *** Serenità ***
Capitolo 9: *** Allieva e maestro ***
Capitolo 10: *** Addii ***
Capitolo 11: *** La prima lezione ***
Capitolo 12: *** Nomi ***
Capitolo 13: *** Behemoth ***
Capitolo 14: *** Sentimenti ***
Capitolo 15: *** Un bacio ***
Capitolo 16: *** Solo una settimana ***
Capitolo 17: *** Tornare a casa ***
Capitolo 18: *** Sorridere insieme ***
Capitolo 19: *** Omen ***
Capitolo 20: *** Stare con te ***
Capitolo 21: *** Sephiroth ***
Capitolo 22: *** Perdersi ***
Capitolo 23: *** Wutai ***
Capitolo 24: *** Maestri di spada ***
Capitolo 25: *** La Tigre di Wutai ***
Capitolo 26: *** Rimettersi in viaggio ***
Capitolo 27: *** Cosmo Canyon ***
Capitolo 1 *** Prologo ***
Il
mio nome è Yuri e diventerò una guerriera! Il mio
maestro... ma cominciamo dall'inizio!
01.
Prologo
Era
il centesimo anniversario della caduta della Meteor invocata dal demone
albino, come veniva ormai chiamato. Sephiroth.
Odiavo
partecipare ai festeggiamenti, e a quel tempo non credevo che la storia
potesse ancora influenzare la vita delle persone, tanto meno la mia.
Forse
voi siete degli esperti conoscitori della storia di quel periodo, la
dittatura di Migdar, la Shinra e tutto quel che viene citato nei libri.
In
questo caso vi domanderete quel'è il mio villaggio... Forse
quello stesso villaggio che aveva visto l'infanzia di alcuni degli eroi
che sconfissero Sephiroth, il luogo dove ebbe inizio tutto?
No,
mi dispiace deludere le vostre aspettative.
Forse
credete di stare per leggere una storia fantastica, creata da me con il
solo scopo di divertirmi, ma non è così.
In
quest'avventura ho sofferto molto, ho gioito, ho pianto. Ho provato
paura, odio, rabbia, gioia, felicità e ogni altro sentimento
vi possa venire in mente, ci sono stati anche momenti in cui mi sono
divertita, ma ho sofferto molto, e vorrei che lo teneste bene a mente.
Il
nome con cui veniva chiamato il mio villaggio era Nacom.
Piccolo
e insignificante, un po' come me.
Sorgeva
poco distante dalle rovine di Midgar. La città non era mai
stata ricostruita e costituiva solo un misero ammasso di macerie.
Mi
trovavo nella mia camera, sola e annoiata.
"Bisogna
rispettare le tradizioni!" sentivo ancora gli echi dell'ultima
discussione con mia madre.
-
Certo! Noi siamo le tradizioni! - sbuffai osservandomi allo specchio.
Cercavo invano da quasi un'ora di acconciarmi decentemente i capelli in
una crocchia, ma questi continuavano ostinati a cadermi sulle spalle.
-
Ah! - gridai alla fine lanciando lontano il fermaglio a forma di
giglio. Alla fine mi arresi e lasciai i capelli sciolti sulla schiena.
Neri, lunghi, lisci e...perfettamente monotoni!
Avrei
tanto voluto avere la chioma di fiamma di mia madre. Lei sì
che sarebbe figurata alla festa! Chissà io, invece, da chi
avevo preso...
Mi
lasciai cadere pesantemente su uno sgabello. Ma cosa mi ostinavo a
fare? La odiavo pure, quella festa... E odiavo il kimono.
Cioè...lo
ritenevo uno degli abiti più belli del mondo, con i loro
raffinati decori e l'elegante forma... questo finché non ero
io quella costretta a indossarlo. Oltre a
sentirmi legata in una camicia di forza, sembravo un'abat-jour fatta
male.
Non
che fosse una novità... avevo un corpo da maschio, un
atteggiamento da maschio, un modo di pensare da maschio...
perché mai il modo di muovermi non sarebbe dovuto essere
quello di un ragazzo?
Inevitabile
tra l'altro, essendo cresciuta in una famiglia con otto figli, di cui
ero l'unica ragazza!
Sentii
scoppiare il primo fuoco d'artificio, dopo un lungo fischio.
Mi
affacciai alla finestra e osservai per un istante il cielo venire
illuminato da tutti i colori che conoscevo. Era uno spettacolo
fantastico...
E
sarebbero stati tutti impegnati a guardarlo! Di certo nessuno si
sarebbe accorto se mancava una singola ragazza.
Uscii
lentamente dalla camera e sgusciai di soppiatto sul retro, senza che
nessuno mi vedesse.
Dove
potevo andare, aspettando che la festa finisse?
Non
so bene cosa mi spinse in quella direzione.
Chissà,
forse un presentimento. Il destino o il caso...o forse era
più semplicemente l'Inevitabile.
Fatto
sta che mi avventurai per un sentiero che, sapevo benissimo, conduceva
tra i monti.
Alla
mia destra si alzava la parete rocciosa e alla sinistra c'era uno
strapiombo da cui potevo avere una perfetta veduta aerea del mio
villaggio.
Forse
per il buio, perché non prestavo attenzione o
perché doveva semplicemente accadere, riuscii a smarrirmi
per quei sentieri che percorrevo ogni giorno da quando avevo cominciato
a camminare.
Non
ho mai raccontato a nessun altro la storia di quel giorno,
perciò ripensandoci provo ancora abbastanza imbarazzo per
alcune cose che sono successe.
A
tratti riuscivo ancora a sentire la festa, la musica e i fuochi
d'artificio, ma in quel reticolo infinito di sentieri che iniziavano e
finivano in vicoli cechi cominciavo a perdere la speranza.
Vagai
per diverse ore, alla fine ero esausta.
Il
mio abito era logoro e strappato in più punti, i capelli
pieni di rami e polvere e gli scomodi zoccoli di legno abbandonati
già da tempo: mi avevano ricoperto i piedi di vesciche.
Sconsolata
appoggiai la schiena al tronco di un albero e alzai lo sguardo verso il
cielo. Dal punto in cui mi trovavo non riuscivo più a
scorgere i fuochi d'artificio.
-
Così imparo a fare sempre di testa mia! - mugugnai
chiedendomi cosa fare.
Ormai
era notte fonda e la luna formava un cerchio perfetto nel cielo.
Sarebbe
stato impossibile tornare al villaggio, avrei corso il rischio di
smarrirmi ancora di più, e magari cadere in un fosso, o
comunque ferirmi.
Sì,
senza dubbio la miglior cosa da fare era trovare un rifugio per la
notte e aspettare che facesse luce.
Stranamente
non conoscevo il luogo dove ero giunta, non assomigliava a nessuna
delle radure dove spesso avevo giocato con i miei fratelli. Mi guardai
intorno irrequieta.
Non
riuscivo a vedere quassi niente, i miei non erano mica gli occhi di un
gatto!
Dopo
un po' di tempo però scorsi, poco lontano, una specie di
sperone di roccia che offriva un ottimo riparo. Senza indugiare oltre
corsi in quella direzione, provocandomi nuovi tagli e ferite.
-
Maledizione... - sussurrai rannicchiandomi là sotto. Stava
anche cominciando a piovere.
Avrebbero
interrotto i festeggiamenti per questo? I fuochi d'artificio venivano
ancora lanciati nel cielo, da dove mi trovavo riuscivo a vederli bene.
All'inizio
continuai a osservali attraverso le fronde degli alberi, poi decisi di
riposare e, tastando con le mani, cercai di portarmi più
sotto la roccia, in un punto più riparato.
Inaspettatamente
le mie dita sfiorarono qualcosa di diverso dalla fredda terra e le
roccie: era qualcosa di morbido e caldo. Qualcosa di vivo...
Balzai
in piedi con un urlo, sbattendo la testa contro la pietra, ferendomi.
Ignorai
il sangue che mi colava caldo dalla ferita sulla fronte e strisciai
velocemente via. Lontano dal punto in cui mi trovavo fino a un secondo
prima.
In
quel momento avevo di certo molte alternative ma la mia mente si
fermò alla prima: la fuga.
Correndo
a piedi scalzi, in un bosco, durante una tempesta , non posso dire di
aver vissuto un'esperienza gradevole. Scivolai diverse volte bagnandomi
dalla testa ai piedi e ricoprendomi interamente di fango.
Cos'era
quella cosa laggiù?
In
realtà il mio comportamento era stato un po' esagerato.
Me
ne resi conto solo dopo essermi calmata presso una sorgente.
Mi
inginocchiai a terra, vicino alla pozza d'acqua limbida che si era
venuta a formare e cominciai lentamente a pulirmi. Nel breve tempo in
cui ero fuggita il sangue si era magicamente rattrappito, mescolandosi
al fango e incollandosi ai capelli.
-
Maledizione - ripetei per la seconda volta quella notte.
Nonostante
tutto non sapevo bene cosa fare. Ero troppo agitata per pensare in
maniera razionale.
Certo,
tutto poteva essere stato un falso allarme... come poteva non esserlo!
Chi mi poteva assicurare che la cosa che avevo sfiorato non fosse una
volpe, per esempio, o peggio, un mostro?
Mi
costrinsi a calmarmi, almeno in parte. Rallentai il respiro e immersi
la testa nell'acqua gelida. Il gesto mi aiutò a schiarire un
po' le idee, almeno in parte.
Probabilmente
la cosa che avevo sfiorato a quell'ora doveva già essersi
allontanata e io potevo tranquillamente tornare a ripararmi sotto la
roccia.
In
realtà questo ragionamento l'ho fatto solo col senno di poi.
Credo di aver avuto in testa due soli concetti, quella notte: il primo
era che quello sperone di roccia era il migliore dove trascorrere la
notte.
Il
secondo, il quale probabilmente è anche il fattore
determinante che mi spinse a ripercorrere i miei passi, era che ero
incredibilmente curiosa.
Curiosa
di scoprire di chi, o cosa, avevo avuto paura.
Così
feci ritorno.
Sembrava
tutto tranquillo, da quando ero scappata non era cambiato nulla.
Sempre
sul chi vive, mi accovacciai silenziosamente a terra scrutando
intimorita nell'ombra del piccolo rifugio. Probabilmente mi aspettavo
che una belva mi saltasse alla gola...
Dal
principio non scorsi nulla.
Solo
in un secondo momento mi parve di scorgere un movimento.
Sobbalzai,
pronta a darmi nuovamente alla fuga, ma non successe niente.
Non
capivo, quindi frugai nelle numerose tasche interne del mio vestito ed
estrassi fuori una scatoletta di fiammiferi.
Ne
accesi uno e utilizzai la fievole luce della fiammella per rischiarare
il buio e finalmente vidi.
Vidi
lì, sdraiato a terra, un uomo addormentato, rivestito
solamente di un paio di calzoni di pelle.
Riposava
immobile sulla fredda terra.
Doveva
essere stato lui quella cosa calda e liscia che avevo sfiorato prima, e
che mi aveva tanto spaventato.
Che
stupida! pensai, farsi spaventare da questo poverino.
Forse
in un'altra situazione avrei cercato un altro luogo per riposare, o
forse avrei addirittura tentato di ritrovare la strada di casa.
Molti
in seguito mi dissero che qualunque scelta sarebbe stata meglio di
quella che presi quel giorno: mi stesi accanto a lui e dopo pochi
secondi mi addormentai.
Non
sono d'accordo con tutte quelle persone che in seguito mi hanno
biasimato o mi hanno additata come folle, credo che la mia vita
iniziò solamente in quel momento, quando mi addormentai
accanto a un angelo caduto vestito di nero.
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Capitolo 2 *** Safer ***
02. Safer
Fu la luce dell'alba a svegliarmi,
colpendo gli occhi.
Mi alzai lentamente, attenta a non
ferirmi di nuovo colpendo la roccia.
Guardai il cielo rendendomi conto che
il sole non era sorto da molto tempo. L'uomo vestito di nero dormiva
ancora al mio fianco. Sorrisi, persa nei miei pensieri.
Mi domandai cosa fare, se provare a
svegliarlo, ma alla fine lasciai che dormisse. Dopotutto nemmeno io
avrei gradito essere svegliata da qualcuno che non avevo mai visto in
vita mia.
Sopprimendo a fatica uno sbadiglio mi
avventurai di nuovo nel bosco, alla ricerca della fonte che avevo
trovato la notte prima. Non pensai nemmeno per un attimo che mi sarei
potuta perdere una seconda volta, privandomi così dell'unico
punto di riferimento che avevo: lo sperone di roccia.
Praticamente non stavo pensando a
nulla, come se volessi posticipare il più possibile il
momento in cui l'avrei dovuto fare. Mi limitavo a mettere un piede
davanti all'altro, ripercorrendo gli indefinibili sentieri della notte
appena trascorsa.
Giunta davanti a quella splendente
polla limpidissima mi lasciai sfuggire un sospiro di sollievo. Forse il
mio senso nell'orientamento non era così disastroso,
dopotutto.
Sbadigliando un'altra volta, cominciai
a sciogliere i nodi del kimono, che si erano già in parte
allentati mentre dormivo. Srotolai la fascia che mi stringeva la vita,
i cuscinetti, la fascia intorno al seno e li depositai ordinatamente
lì accanto.
Un leggero soffio di vento mi fece
rabbrividire, convincendomi a immergermi nell'acqua della polla. Fredda
ma non insopportabile. Essa mi provoco comunque un nuovo brivido lungo
la schiena.
Nonostante tutto mi sentivo molto
meglio, più a mio agio. Era molto rilassante, dopotutto, e
socchiusi gli occhi per un istante.
Forse mi addormentai per qualche
minuto. Quando mi risvegliai con un sussulto tremavo e specchiatami
nello specchio d'acqua notai distintamente il blu sulle mie labbra.
Uscii esitante dalla sorgente
strofinandomi le braccia con le mani, poi mi scrollai l'acqua di dosso
come fanno i cani. Mi era bastato alzarmi in piedi per recuperare i
pochi gradi persi e mi sentii subito meglio.
Dopo qualche minuto però mi
tornò in mente l'avvenente uomo che avevo lasciato
addormentato. Che si fosse svegliato? In parte contavo su di lui per il
mio ritorno a casa perciò avrei trovato veramente irritante
se al mio ritorno lui fosse già scomparso.
Indossata solo la prima parte del
kimono e la fascia in vita, legai i capelli con un pezzo di corda e
imboccai l'ormai familiare sentiero. La disposizione degli alberi, le
rocce e i rami spezzati... ormai non mi sarei più persa
percorrendo quel tratto di strada.
Quando arrivai ansimavo lievemente.
Dopotutto la strada era tutta in salita.
Subito i miei occhi saettarono verso lo
sperone di roccia, controllando se l'uomo era ancora lì
mentre distrattamente mi domandavo perché me la prendevo
tanto per lui.
Ma era ancora lì. Dormiva.
- Come fa a non essersi ancora
svegliato? - mi accucciai accanto a lui. - Ehi! Dico a te...hai
intenzione di aprire gli occhi o hai deciso di svegliarti direttamente
domani mattina?
Nessun movimento.
Forse però aveva aperto gli
occhi: non potevo vederlo dato che mi dava le spalle.
Lo afferrai per un braccio e lo girai.
Niente, dormiva!
Manco fosse in coma...
- Ehi tu! Svegliati! - esclamai
scuotendolo. - Svegliati!!
Cominciai a preoccuparmi. Che fosse
davvero in coma o roba del genere? Non mi intendevo di medicina.
Benché in parte mi seccasse
quella sua nudità, gli appoggiai la testa sul petto. Proprio
sopra al cuore, per sentirne i battiti.
Tutumtutumtutum.
Erano velocissimi. Normalmente il cuore
non batte così veloce nemmeno dopo una lunga corsa. Come
poteva essere ancora sveglio?
- Su, è tutto posto... - mi
dissi cercando di calmarmi.
Tornai a guardare il volto dell'uomo:
immobile.
Sembrava morto, ma allora
perché il cuore gli batteva a quel modo?
E se non respira?
Per accertarmene spostai l'attenzione
sul viso dell'uomo, completamente nascosto dai lunghi capelli
platinati. Glieli scostai freneticamente e mi avvicinai al suo viso:
respirava.
Un istante dopo però rimasi
quasi pietrificata.
L'uomo aveva spalancato gli occhi e
solo in quel momento mi resi conto di un particolare che mi era
sfuggito.
La sua pelle candida, i capelli bianchi
e l'iride degli occhi di un azzurro così tenue da
confondersi col bianco dell'occhio erano macchiati di un altro colore
molto più aggressivo.
Era il rosso colore del sangue che gli
ricopriva quasi tutta la faccia.
- Sei sveglio? - riuscii a gridargli. -
Sei sveglio?! Non mi ero accorta fossi ferito!! Cosa faccio? Oddio,
cosa faccio? - strillai totalmente in preda al panico.
Nel tentativo di alzarmi in piedi
sbattei nuovamente la testa contro la roccia, procurandomi l'ennesimo
taglio. Sentii scorrere lentamente un rivolo di sangue caldo dalla
ferita.
Mi lasciai cadere di nuovo accanto
all'uomo, tremando per l'angoscia.
Non accennava a tirarsi in piedi, ma mi
afferrò un braccio con le lunghe dita sottili. Non avrei
pensato potessero essere così forti: mi faceva male.
Guardai il mio braccio senza capire,
poi mi tirò a sé. Senza sapere bene cosa fare,
lasciai che mi trascinasse vicino al suo viso.
Spalancai gli occhi per la sorpresa e
la confusione, in quel momento dovevano sembrare due immensi pozzi
neri. Sentivo la mano che mi stringeva tremare per lo sforzo del gesto,
così non opposi resistenza, assecondandolo.
L'uomo aprì la bocca
avvicinandola al mio orecchio, ma dal principio emise solo qualche
lieve gemito senza senso. Lo vidi chiudere gli occhi e trarre un
profondo respiro prima di provare ancora. Alla fine riuscì a
sussurrarmi una singola parola, con una voce più leggera di
un alito di vento.
- Acqua - mi disse.
Poi mi lasciò andare con un
gemito e rimase a osservarmi con un volto inespressivo.
Anche io lo fissai per un istante.
Chissà qual era la sua storia. Me l'avrebbe mai raccontata?
Mi voltai e feci alcuni veloci passi
verso il luogo dove sapevo trovare acqua. Fatto poco più di
un metro però mi girai di nuovo verso l'uomo che continuava
a guardarmi.
- Come ti chiami? - gli domandai.
Adesso so che utilizzai il tono del ricatto, una particolare
inflessione nella voce che significa "se vuoi da me un favore devi
prima dirmelo". In realtà non avrei voluto ma le parole mi
uscirono così da sole.
L'uomo accennò ad un sorriso
ironico e mosse la bocca articolando una parola.
Non so come feci a sentire la sua
risposta quando prima, a pochi centimetri dalla sua bocca avevo fatto
fatica ad interpretare i suoi sussurri.
Disse: - Chiamami Safer.
Face
to face with me!! XD
Nuovo capitolo!
Finalmente dopo tanto tempo l'ho rimesso a nuovo....sì,
perchè in realtà l'avevo già scritto
settimane fa ma era proprio orribile!
Mi sto
affezionando a questa storia e mi sto impegnando un po' più
del solito scrivendola! Sarà perchè
c'è Sephiroth fufufufu...
Va avanti molto
lentamente, eh?
Tra l'altro
notavo che è un genere un po' differente da quello che
faccio di solito...di certo si discosta molto dalla linea dinamica che
avevo seguito con Kasumi Megami!!
Che ne dite di
Yuri? (In realtà non c'è ancora molto da dire...)
Non so, non
riesco a giudicarla ancora questa storia... ^^
^Ayame^
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Capitolo 3 *** Piccolo giglio ***
03. Piccolo giglio
Raggiunsi la fonte e non avendo nulla con cui trasportare
l’acqua, mi limitai a immergervi l’orlo del
vestito. Quando fui di nuovo da Safer lo ritrovai addormentato. Forse
in realtà era semplicemente svenuto ma sul volto aveva
un’espressione così pacifica che il mio primo
pensiero fu davvero che stesse solo dormendo.
Mi accucciai accanto a lui come prima e gli premetti gentilmente contro
le labbra la stoffa impregnata d’acqua, ma non bevve. Lo
trascinai via da sotto la roccia e lo faci appoggiare con la schiena a
un tronco caduto là accanto.
- Safer! - provai a chiamarlo. - Ti ho portato l’acqua, Safer!
Aprì un occhio esitante e mi guardo. Anzi, in
realtà sembrava guardarmi direttamente attraverso. Doveva
stare proprio male. Gli appoggiai una mano sulla guancia e con
l’altra provai di nuovo a farlo bere, senza smettere mai di
parlargli. Sentire la mia voce sembrava in qualche modo mantenerlo
cosciente.
Dopo qualche secondo percepì che aveva cominciato a
succhiare debolmente la stoffa, e continuò finché
non fu poco più che umida. Con un sospiro
appoggiò la testa all’indietro e chiuse gli occhi,
ma ora era sveglio ed ero sicura che non si sarebbe riaddormentato
tanto presto.
Esitante mi avvicinai di nuovo a lui e con lo stesso lembo del vestito
provai a pulirgli il viso dal sangue ormai secco.
Aprì gli occhi di scatto e mi guardò. Dovetti
fare un’enorme fatica per trattenermi dall’urlare.
Che occhi erano quelli? Per un secondo le sue pupille mi erano sembrate
come piccole fessure verticali, brillanti, come quelle dei serpenti.
Poi dopo aver sbattuto le palpebre una volta tornarono normali.
- Scusa - lo sentii dire. Si passò incerto una mano sul
viso, ora riusciva a rimanere cosciente ma era evidente quanto fosse
esausto. Minuscole gocce di sudore gli imperlavano la fronte e gli
zigomi. - Grazie… - sussurrò. Safer tese una mano
verso di me, col palmo rivolto verso l’alto. Senza capire
pensai che mi stesse chiedendo qualcosa per lavarsi da solo il viso
così strappai l’orlo del vestito, ancora un
po’ bagnato, e glielo misi in mano.
Lo vidi sorridere.
- Molto gentile - lo prese e se lo passò sul viso diverse
volte finché il sangue non andò via del tutto. -
Ma io ti stavo tendendo la mano.
- Oh! - esclamai imbarazzata mentre sentivo le guance andare in fiamme
e il sangue che mi affluiva tutto alla testa. Gli porsi a mia volta la
mano e lui la strinse.
- Mi hai salvato la vita. Ti sono riconoscente. Come ti chiami?
- Eh… - dissi io come un’ebete. Non lo stavo
ascoltando, mi ero persa ad osservarlo. Quegli occhi che prima mi aveva
spaventato per ben due volte ora rivelavano tutta
l’intelligenza e la sagacia nascosta dietro a quello sguardo
attento. C’era anche qualcos’altro ma sul momento
non riuscii a capire. Qualcosa di oscuro. Nascosto. Era abbastanza
alto, lo si poteva vedere anche mentre stava seduto. Le sue spalle
erano larghe, il petto ampio e muscoloso, così come lo erano
le braccia. Sì, non c’era alcun dubbio:
quell’uomo era un combattente. Forse un
avventuriero…un guerriero!
- “Eh”? - ripeté lui alzando un
sopracciglio.
- Insegnami! - strillai afferrandogli il braccio.
Safer rimase in silenzio, fissandomi. Senza staccare gli occhi dalla
mia faccia, inclinò lievemente la testa di lato.
Incurvò verso l’alto un angolo della bocca in un
sorriso sghembo. Sorrise? Io credo fosse un sorriso, poi
spostò lo sguardo da me al braccio che gli avevo brutalmente
artigliato. Alzò anche l’altro sopracciglio.
- Insegnarti…cosa? - domandò tornando a
osservarmi. La sua faccia era impassibile ma i suoi occhi verde acqua,
per quanto bizzarri fossero, erano talmente espressivi, mentre
trasmettevano quanto mi trovasse buffa, da non farne sentire
l’assenza.
Mi resi conto di essere stata indiscreta.
E maleducata.
E terribilmente maschiaccio.
Ritirai la mano di scatto e abbassai lo sguardo, terribilmente
imbarazzata. Rossa come un peperone.
- N-nulla… - balbettai.
- Mmh… - mugolò lui chiudendo gli occhi, con una
piccola smorfia. - Sono ancora totalmente privo di forze: devo riposare.
- Ah…va bene… - dissi alzandomi.
- Ragazzina - mi voltai. - Dietro quella roccia dovrebbe esserci il mio
impermeabile. È nero: prendilo.
Eseguii quello che mi aveva detto, perplessa. L’impermeabile
in effetti era appallottolato sotto la roccia, mooolto in fondo. Per
recuperarlo dovetti strisciare a quattro zampe come una lucertola. Lo
afferrai e mi alzai in piedi.
- Di pelle! - esclamai. - Bello…!!
Peccato fosse tutto stropicciato e rovinato. Anzi, usurato. Decisamente
quel cappotto era vecchissimo. Mentre glielo porgevo mi domandai quanti
anni potesse avere .
Safer lo afferrò senza una parola, non aprì
nemmeno gli occhi. Lo appallottolò e se lo mise dietro la
testa a mo’ di cuscino. Incrociò le braccia sul
petto e dopo aver chiuso gli occhi non si mosse più.
Anche io rimasi immobile a osservarlo. Si era addormentato? Era
talmente silenzioso che se non fosse stato per il lento alzarsi e
abbassarsi del suo petto avrei pensato che non stesse nemmeno
respirando.
Mi avvicinai a lui, cercando di fare meno rumore possibile, per
osservarlo meglio. Era ancora a torso nudo così ebbi modo di
osservargli il busto e le braccia, erano ricoperti di tante piccole
cicatrici ma nessuna grave. A parte una allo stomaco. In quel punto
sembrava essere stato attraversato da parte a parte da un oggetto
appuntito, probabilmente una spada. Wow, cavolo, se era davvero
così allora Safer era davvero uno tosto. Mi avvicinai ancora
un po’, questa volta per guardargli il viso. Aveva dei
lineamenti molto belli, decisi, ma anche familiari. Ebbi una specie di
flash e per un istante fui certa di aver già visto quella
faccia, ma dove?
- Ragazzina - disse con voce seccata, senza aprire gli occhi. -
Smettila di scocciare.
Sobbalzai. Accidenti, ennesima figura idiota: non stava dormendo!
- Smettila di chiamarmi ragazzina. Sono una donna.
- Una donna molto giovane - mi contraddì.
- Non mi interessano le tue opinioni - ringhiai, sapendo che
però aveva ragione. - Anche se non avessi nemmeno dieci
anni, dovresti chiamarmi per nome.
Al che Safer aprì gli occhi e si tirò su.
Restò seduto a gambe incrociate e mi fissò dritto
negli occhi col suo sguardo penetrante.
- Non hai ancora avuto la grazia di dirmelo il tuo nome, ragazzina - mi
fece notare. Probabilmente irritato. Io sarei stata irritata, credo.
Forse sì.
- Mi chiamo…Yuri.
Non rispose. Continuò a studiarmi e cominciava seriamente a
darmi fastidio. Insomma, l’avevo aiutato, giusto?
Perché diavolo continuava a fissarmi. Smettila!
Uffa…
Naturalmente non glielo avrei mai detto. Nonostante si stesse
comportando in maniera quasi cordiale, avevo capito molto presto che
non era un persona con cui scherzare.
- Non è vero.
Ehhh?
- Sì che è il mio nome - protestai.
- Giglio? - sussurrò protendendosi in avanti. - Sai che
dimensioni ha un giglio?
Lo guardai assolutamente basita. Cosa poteva importarmi di che
dimensioni aveva un giglio??
Scrollai le spalle, per dire che non lo sapevo e nemmeno mi interessava.
- E’ grande circa così - mi spiegò,
unendo le mani per mostrarmelo.
- E allora?
- E’ troppo grande per essere il tuo nome. Troppo completo.
Lo guardai adirata. Forse perché mi sentivo punta sul vivo.
- Mi stai psicanalizzando?? - domandai inviperita.
- Non puoi ancora essere un giglio, Sayuri - mi disse tornando a
sdraiarsi. - Ti stanno chiamando.
Voltai la testa verso la foresta e allora sentii anche io le voci dei
miei fratelli che mi cercavano. Guardai l’uomo ancora una
volta prima di correre verso la mia famiglia. Lo sentii ridere mentre
mi allontanavo. Quello fu l’inizio di tutto quanto.
Delle gioie e dei dolori. Dell’odio e del pregiudizio ma
anche dell’amicizia…e dell’amore.
Effettivamente fu grazie a quello se sono riuscita a non arrendermi.
Solo per l’amore.
Ecco un nuovo capitolo...eheh Finalmente i due hanno avuto
una conversazione sensata e non solo una sequenza di rantoli XD
Temo che Sephiroth si stia avviando sempre di più sulla
strade dell'OOC ditemi di nooooooooo Y_Y
Un mega grazie alla mia sis che mi segue sempre *SMACK* e anche un
grazie al molto apprezzato commento di Suehila!
Continuate a commentare tutte e due...e anche tutti gli altri che
leggono questa fan fiction! Pleaseeeeeeeeeeeeeee!!
Commentate commentate commentate!! A presto!
^Aya^
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Capitolo 4 *** Conflitto ***
04. CONFLITTO
Passarono due giorni prima che potessi fare ritorno da Safer. Mentre
percorrevo la strada che mi avrebbe portata al luogo dove ci eravamo
incontrati continuai a domandarmi ininterrottamente se lui si trovasse
ancora lì. Fino a pochi minuti prima ne ero stata certa,
sicura che lui non si fosse mosso, che fosse ancora lì ad
aspettarmi.
Quando realizzai che effettivamente c’erano pochissime
probabilità che si trovasse ancora lì mi
costrinsi ad accelerare il passo, nonostante l’impervia del
sentiero. Lui doveva essere ancora lì, l’idea che
fosse scomparsa l’unica persona che avrebbe potuto aiutarmi a
realizzare il mio sogno era insopportabile, così cercai di
distogliere la mente da quei pensieri. Almeno per un po’.
Concentrai l’attenzione sulla strada. Chissà come
avevo fatto a perdermi quella notte? Certo, mi ero recata in una zona
della montagna a me inusuale, ma non certo sconosciuta!
Passai vicino alla sorgente d’acqua, presso la quale mi ero
più volte recata appena due notti prima. La superficie
appariva immobile e scintillava per i raggi del sole che la
penetravano. Proseguii con rammarico perché mi sarei
soffermata volentieri per immergermi nell’acqua, anzi,
probabilmente in altre circostanze l’avrei fatto se non fossi
stata così ansiosa di verificare se Safer era ancora in
quella radura sotto il cielo aperto.
Cominciai a chiamarlo per nome molto prima di raggiungere il posto, ma
non potevo più aspettare. Lui però non mi
rispose: cominciai a correre.
- Safer! - chiamai ancora.
L’uomo emerse dal bosco. - Ciao, Sayuri - mi
salutò, chiamandomi con quel nome che aveva scelto per me.
- Sei qui! - esclamai, mentre il mio corpo veniva scosso da sentimenti
contrastanti. Sollievo, incredulità, speranza e
felicità. Poi mi diedi della stupida da sola.
Perché ero tanto sorpresa di averlo trovato? Avevo pregato
tutti gli dei della mia famiglia affinché facessero in modo
che non se ne andasse, non avrei dovuto essere tanto allibita.
- Sono qui - concordò lui annuendo impercettibilmente. Poi
sorrise sarcastico: - Chiudi la bocca.
Oh cavolo… avevo spalancato la bocca dalla sorpresa.
Abbassai lo sguardo imbarazzata mentre cercavo di riacquistare un
minimo di dignità.
- Perché non te ne sei andato? - gli chiesi, e la domanda
parve esplodermi da dentro il petto.
- Non sono ancora in grado di intraprendere un viaggio - rispose lui
sinceramente, indicandosi il torace e una gamba, in effetti
l’avevo visto zoppicare leggermente mentre camminava nella
mia direzione. Entrambe risultavano fasciate con della stoffa su cui
riconobbi la fantasia di quella parte di kimono che avevo abbandonato
alla sorgente. Notai che anche la sua fronte era fasciata.
- Spero non ti dispiaccia - continuò.
Dispiacermi? Alzai su di lui lo sguardo e mi persi per un istante nel
verde dei suoi occhi. Era un colore che non avevo mai visto prima
d’ora, in tutta la mia vita, e feci molta fatica a
distogliere lo sguardo. Dispiacermi per cosa? Lo guardai con
un’espressione interrogativa, ma facendo ben attenzione a non
creare più una connessione tra i miei occhi e i suoi.
- Il kimono - rispose lui semplicemente. - Non ho trovato altro.
- Non c’è problema - risposi distrattamente.
- Bene.
Tra di noi calò uno strano silenzio. Dovevo assolutamente
cercare di dire qualcosa ma non trovavo le parole per farlo. Accidenti,
la mia testa era travolta da mille domante che spingevano per uscire,
ma quando provavo a formularle, queste non riuscivano a uscire dalla
mia gola.
- Allora… - bisbigliai alla fine, senza riuscire a
trattenermi - cosa hai intenzione di fare?
Safer mi guardò strano e poi sorrise. Sorrise lentamente
rivelandomi la sua dentatura perfetta che sembrò scintillare
pericolosa nella mia direzione.
- Perché la cosa ti interessa?
Fuggire! Non so perché ma in quell’istante
percepii distintamente questo chiaro messaggio provenire dal mio
cervello. Girati e scappa.
Ma non lo feci. Serrai la mascella, cocciuta, e lo guardai dritto negli
occhi. Decisa a non farmi più incantare dalle sue iridi
brillanti.
- Sono curiosa - risposi rigidamente. Se credeva di potermi trattare
come una bambina si sbagliava di grosso. Avevo già raggiunto
l’età in cui le ragazze usano sposarsi, nel mio
villaggio, e questo faceva di me una donna in tutto e per tutto.
- Allora, se sei solo curiosa - mi disse calcando sul termine, - non ti
risponderò.
- Che cosa? - esclamai indignata.
- Ho detto - ripeté scandendo lentamente le parole, come se
parlasse ad una ritardata, - che non ho intenzione di risponderti.
Lo guardai incredula. Mi stava forse prendendo in giro? Se il suo scopo
era di farmi adirare c’era riuscito benissimo!
Safer s’immerse di nuovo nella foresta. Aveva indossato il
suo strano soprabito nero e vidi scintillare la sua lunga spada al suo
fianco.
- Aspetta! - lo chiamai. Lui si fermò e si voltò
nella mia direzione, osservandomi in attesa che continuassi. - Dove
stai andando?
Di nuovo le sue labbra si incurvarono in un sorriso da lupo mentre mi
chiedeva: - Sei curiosa?
Io annuii prima di rendermi conto di averlo fatto, quindi mi diede le
spalle e proseguì senza prestarmi più attenzione.
- Bastardo… - dissi a voce bassa, ma non così
bassa da non poter essere sentita da chi avesse un udito molto fine.
Come lui, probabilmente, perché anche se non lo vedevo
più, percepì la sua risata echeggiare attraverso
gli alberi.
Indispettita mi voltai e me ne andai.
Poteva anche essere l’uomo più affascinante che
avessi mai visto.
Poteva anche avere l’aria tremendamente sagace e intelligente.
Poteva anche essere il miglior guerriero esistito sulla faccia della
Terra, per quanto ne sapevo…
Ma ciò non toglieva che potesse essere un terribile stronzo!
Ecco che continua la
storia di Yuri. Oggi ho capito che non ha un capitolo così
remissivo, dopotutto...è abbastanza cocciuta. Beh, in
Sephiroth ha trovato un degno avversario, in questo frangente.
Come capitolo è stato abbastanza breve...ma con questa
storia assegnerò ad ogni capitolo un episodio credo...un po'
come sto facendo in "La Sacerdotessa di Hyne" infondo...
Nel prossimo capitolo "Lifestream" vedremo ancora un face-to-face tra i
due ma tra un po' introdurrò anche la famiglia si Yuri...6
fratelli, cavolo... O.o io non resisto con una sorella!
Vabbé, sto divagando... XD
Di nuovo grazie a Suehila per i commenti sono felice che ti piaccia
^O^!!
Rimanete sintonizzati perché sfornerò il prossimo
capitolo molto presto...forse oggi stesso! ;) baci baci
^Ayame^
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Capitolo 5 *** Divinità ***
05. DIVINITÀ
Alcune volte, nella mia vita, mi ero domandata chi fossero quegli
déi e quelle dee che tutti noi, al villaggio, veneravamo
unito al grande culto che avevamo per i nostri antenati.
In casa avevamo un altare con le foto dei miei nonni e dei nonni di mio
padre, presso il quale bruciavamo dell’incenso profumato e
onoravamo la loro memoria; quello di cui invece avevo notato
l’assenza era un qualcosa che potessimo identificare con il
nostro dio personale. Né una statua, né
un’effige, nulla.
Da piccola mi ero limitata a seguire gli insegnamenti di mia madre, che
affermava di venerare Albirea, la dea cigno protettrice della famiglia
e del focolare domestico. Non avevo, però, mai visto nemmeno
una foto di quel candido ed elegante uccello vicino a lei.
Il dio di mio padre era Markab, dei lavoratori e protettore della
tradizione. I miei fratelli avevano tutti divinità diverse,
che spesso cambiavano a seconda del periodo…Ägid,
dio della fortuna, Dietger, quello dell’arte, Akshat, il dio
dei piaceri e tanti altri.
Per quanto riguardava me, avevo scelto come nume Ashling, la dea del
sogno e della visione. Era inoltre una guerriera. Fu quando avevo
dodici anni che cominciai a venerarla, senza però saper bene
come fare. Nonostante l’amore proclamato da mia madre, lei
non si era mai degnata di offrire qualcosa alla propria dea e lo stesso
era per i miei fratelli. Riguardo mio padre, non sapevo come
interagisse con Markab, che era un dio forte e rigoroso e
m’incuteva timore.
Fu mio fratello maggiore Shin (il primogenito) a spiegarmi che i nostri
déi non si aspettavano da noi nulla di diverso da quello che
volevamo offrire loro.
In seguito a questo cominciai, una volta al mese, a intrecciare una
piccola ghirlanda di fiori per poi abbandonarla in un torrente della
montagna in onore di Ashling; inoltre dedicavo a lei tutti i miei
sogni, sia quelli del sonno, quelli onirici, sia quelli della veglia.
Continuai così per diversi anni, felice di avere una
déa alla quale dedicare ogni giorno una piccola parte di me,
poi conobbi Safer.
Tornai spesso da lui, in quello spiazzo in mezzo al bosco che ormai
consideravo il suo accampamento. Non gli chiesi più di
insegnarmi a combattere: parlavamo, di cose più o meno
futili. Litigavamo, molto spesso, ma con calma cominciai a divertirmi a
portare avanti con lui veri e propri duelli verbali…dai
quali uscivo regolarmente sconfitta.
Nonostante il basso livello di conversazione che poteva avere con una
come me, figlia di una cultura tradizionalistica nella quale la donna
occupava solamente il ruolo di moglie, impiegai davvero poco tempo a
rendermi conto di quanto fosse istruito. Non c’era cosa che
non sapesse.
Per questo motivo, probabilmente, mi ero auto-convinta che venerasse il
dio della conoscenza: Senan.
Era pomeriggio. Il sole, dopo aver brillato sfavillante per tutta la
mattinata, a mezzogiorno cominciò a fare nascondino dietro
alle nuvole e a quel punto della giornata era quasi completamente
coperto. Nonostante ciò continuavo a sentire il suo calore
sulla nuca mentre, seduta per terra, discutevo allegramente con Safer.
Non ricordo come, né perché, ma nominai Senan,
parlando di lui come del suo dio personale.
- Senan? - ripeté, pronunciando la parola come se fosse la
prima volta che essa usciva dalle sue labbra. - Ti ho mai detto di
venerare un qualche tipo di dio?
- No - risposi - è stata solo una mia supposizione.
Mi guardò con un sorriso che mi sembrò di
compatimento, ma forse era solo malinconia. - Io non credo nei vostri
déi: dal luogo dove vengo io essi non esistono neppure.
- Com’è possibile? - domandai incredula. Il fatto
che la mia Ashling non esistesse mi provocava una grande tristezza.
Presi nota delle parole di Safer, ma per il momento scelsi di non
accettarle come vere, e passai all’attacco.
- Allora tu in che cosa credi? - lo interrogai strafottente.
- Nella vita - fu la sua risposta. Al che non riuscii più a
replicare. Aveva un’espressione così solenne,
seria, che non me la sentivo di discutere anche su quello. Si era
alzato in piedi e, lasciando lo sguardo vagare lontano, rimase immobile
qualche minuto immerso nelle proprie riflessioni.
Gli accadeva, ogni tanto, di perdersi fissando il vuoto. In quei
momenti anche io mi sentivo avvolgere da una calma soprannaturale e mi
facevo incantare dall’ondeggiante movimento ipnotizzatore
della sua chioma d’argento.
Si riscosse all’improvviso e mi guardò con quel
suo sguardo penetrante.
- Vieni con me - mi disse. - Seguimi: desidero mostrarti una cosa.
Safer s’incamminò tra gli albero e lo seguii dopo
pochi istanti. Che cosa voleva farmi vedere? Perché sembrava
avere una certa urgenza?
Arrancai dietro di lui, cercando di mantenere il suo passo. Era molto
alto e per eguagliare un suo passo, io dovevo farne almeno due.
Dopo un po’, vedendo che ero in procinto di sputare per terra
un polmone, Safer rallentò fino ad adattarsi alla mia
andatura.
Conoscevo quella parte della montagna, ci stavamo avvicinando alle
grotte di Nibh, un profondo e intricato groviglio di gallerie scavate
nella roccia che si estendevano per tutta la montagna: non capivo cosa
avremmo dovuto trovarci là così, senza fermarmi o
rallentare ulteriormente il passo, gli domandai: - Dove mi stai
portando? Cosa vuoi mostrarmi?
- Il “mio” dio.
- Un dio…in una grotta?
- Dimentica la tua concezione di divinità, esso non
è un essere ma un’essenza - mi spiegò
lui, usando termini che conoscevo, ma che ebbi comunque
difficoltà ad afferrare. Mi stava facendo uno strano
discorso, secondo quello che era un parere molto inesperto. Non
riuscivo assolutamente a concepire una visione diversa di
divinità.
- Come si chiama?
- Che cosa? - fece lui.
- Questo dio che non è un dio ma un’essenza -
dissi ripetendo, quasi a pappagallo, le sue parole precedenti. Safer
però non si irritò, mi sorrise comprensivo (anche
se non mancava la sempre presente nota divertita) e rispose: -
Lifestream.
Ecco qui! Avevo detto a
breve, no? E anche il capitolo in realtà è
brevissimo...cos'è meglio? Capitoli corti più
spesso, o capitoli lunghi meno spesso? Di solito preferisco la seconda
opziona ma lo stress della scuola non mi permette di scrivere che
capitoletti corti corti... ^.^
@Suehila: bene bene...sono contenta che tu sia riuscita a interpretare
bene il carattere di Yuri... credo sia anche una persona abbastanza
ingenua. Nonostante non sia più una bambina non ha,
dopotutto, avuto una vera figura femmili a cui ispirarsi...come vedremo
la madre è un po' svampita!
Grazie per i tuoi sempre
puntualissimi commenti e un grazie anche alle altre persone che leggono
questa fan fiction! (pochine, sigh, ma almeno qualcuno c'è!
^_^)
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Capitolo 6 *** Lifestream ***
06. LIFESTREAM
Mi condusse attraverso uno stretto passaggio nella roccia, un lungo
percorso che sembrava volerci portare, attraverso la montagna, al cuore
della terra. E forse stava facendo proprio quello.
Dopo soli pochi metri l’oscurità più
assoluta ci avvolse. Non vedevo più niente, ma Safer
continuava a camminare davanti a me, con passo spedito, come se avesse
avuto in mano una torcia. Per un secondo mi domandai se i suoi strani
occhi non potessero vedere attraverso la tenebra.
Lo seguivo lentamente, arrancavo con le braccia stese davanti a me come
un sonnambulo, affidandomi solamente all’udito per avvertire
la sua presenza. Già dalla prima volta che l’avevo
visto camminare avevo capito che il suo incedere marziale poteva
trasformarsi in un cauto passo felpato, impossibile da udirsi. Ma ora
sembrava volermi far sentire per forza la sua presenza, mentre lo
spesso mantello di pelle frusciava contro le sue gambe e i suoi stivali
smuovevano rumorosamente le pietre che incontravamo al nostro passaggio.
Inoltre c’era l’olfatto. Attraverso
l’odore di muschio e umido di quella strana grotta spesso,
con impetuosa delicatezza, mi giungeva il profumo di Safer; e sapeva di
cinnamomo.
All’inizio avevo creduto usasse applicarsi addosso
l’aroma, ma non era così. Non sapevo come, ma era
la sua pelle ad avere quella dolce e pungente fragranza.
Io sapevo che, diversamente da lui, il mio odore era quello dei
chocobo, della paglia e della resina degli alberi dietro casa. La mia
pelle non era speziata come la sua.
- Safer, dove stiamo andando? - domandai perplessa dopo molto tempo.
Attraverso quella totale oscurità avevo cominciato a perdere
la nozione del tempo.
Sentii che mi rispose qualcosa ma, distolta l’attenzione da
dove posavo i piedi, rovinai a terra e il tonfo dovuto alla mia caduta
coprì quasi completamente le sue parole.
- Ahi… - gemetti puntellandomi a terra per mettermi a
sedere.
Qualcosa di caldo e viscido mi colò lungo la guancia. Al
buio non capii subito cosa fosse ma, quando alzai una mano per
sfiorarmi la tempia sinistra, una leggera fitta di dolore mi
attraversò la testa.
- Safer - lo chiamai debolmente, - sto sanguinando.
Nel buio, lo sentii fare tre passi nella mia direzione prima di
accucciarsi per terra accanto a me. Allungai un braccio, cercandolo, e
gli sfiorai la spalla con la punta delle dita. Poi strinsi nella mano
il suo abito di pelle.
Lui fece lo stesso, ma più lentamente. Con la mano sinistra
sfiorò il braccio con cui l’avevo afferrato e ne
seguì il profilo fino alla spalla. La strinse. Quel tipo di
contatto fermo, deciso, mi rassicurava e forse era per questo che
l’aveva fatto. Non ero spaventata, naturalmente non era la
prima volta che mi ferivo, ma di certo non ero tranquilla. E continuavo
a sanguinare.
- Dove ti fa male? - domandò con voce calda e tranquilla.
Era lo stesso tono che usava mio fratello Yo quando parlava ai chocobo
irrequieti o impauriti.
- La tempia sinistra - risposi semplicemente.
Safer non lasciò la stretta rassicurante alla mia spalla ma
sollevò il braccio destro. Lo sentii cercare il mio volto.
Prima mi sfiorò il mento, la guancia e infine
trovò la tempia e la piccola lacerazione.
Posò con estrema delicatezza le dita sulla mia ferita, con
un tocco così leggero che non provai nemmeno dolore. Non
avrei mai creduto che quelle mani, piene di calli e così
avvezze a maneggiare una spada potessero essere tanto delicate.
- E’ solo un taglio - mi assicurò. - Non
è niente.
- Ma continua a sanguinare! - protestai.
- Stai ferma - mi ordirò allora lui.
Smisi anche di respirare. La mano di Safer si chiuse a coppa sulla mia
ferita e la sentii scaldarsi sempre di più. Sentivo un
meraviglioso tepore avvolgermi la testa.
- Apri gli occhi.
Non mi ero nemmeno accorta di averli chiusi. Ma che differenza poteva
fare, tanto non avrei potuto vedere comunque niente…e invece
non era così. Spalancai gli occhi e mi accorsi che ora
c’era una luce, piccola, fievole ma c’era.
Il suo freddo colore verde acqua gli illuminava il viso facendogli
risplendere la pelle chiara. I suoi capelli d’argento, a
causa dell’umidità della grotta, si erano riempiti
di goccioline d’acqua e sotto quella luce sembravano
ricoperti di minuscoli diamanti.
Fu in quel momento, credo, che cominciai a innamorarmi di lui.
La luce scomparve insieme alla mia ferita.
- Cos’hai fatto? Eri tu a emettere quella luce?
- Era una magia Cure - mi spiegò aiutandomi ad alzarmi in
piedi. - Era la mia mano ad emettere quella luce mentre la usavo.
- Grazie - gli dissi sinceramente.
- Vieni, manca poco - fece una pausa, prima di riprendere a camminare.
- Aggrappati al mio cappotto se hai paura di cadere di nuovo.
Da quel momento, il percorso cominciò ad essere meno ripido
e più facile da percorrere. Anche perché Saper
aveva rallentato.
Era un personaggio assurdo. Non riuscivo a persuadermi del contrario.
Dannatamente bello ma utilizzava le parole per esprimere solo
l’essenziale…a meno che non dovesse sfottermi.
Assurdo. Assurdo…non riuscivo a capirlo. Davvero non ci
riuscivo e questo in parte mi spaventava: non ero mai stata innamorata
in vita mia e l’inizio di un sentimento del genere non poteva
provocarmi altro che confusione.
- Guarda.
Sembrò quasi uscire all’esterno ma ci trovavamo
ancora sottoterra. Quella era un’altra caverna ed era
interamente illuminata da una luce simile a quella sprigionata dalla
magia Cure, ma molto più intensa. Al centro di
quell’immensa cavità sotterranea mi parve di
scorgere qualcosa, ma i miei occhi non riuscivano a capire quel che
vedevano.
Appariva come una spirale di luce bianca e verde che saliva verso
l’alto e riempiva l’antro.
Poi ebbi come un flash e indietreggiai intimorita, sembrava
l’energia mako! A contatto con un essere umano poteva essere
miracolosa…o fatale! Perché Safer mi aveva
portato in un luogo simile?
La sua voce giunse rassicurante al mio orecchio mentre mi poggiava una
mano sulla schiena e mi spingeva delicatamente in avanti. - Non
è mako - mi disse, come leggendomi nel pensiero. - Beh, non
proprio.
- Come…
- Potremmo dire che è la sua forma grezza. In questo luogo,
per qualche motivo, il Lifestream filtra attraverso la terra e si
rivela. Esso è chiamato anche flusso vitale, è
l’anima e la vita di questo pianeta. Tutti gli spiriti degli
uomini, quando muoiono, ritornano al lifestream.
Lo ascoltai, rapita, mentre continuava a parlarmi di quello che prima
aveva definito l’unica
“divinità” che avrebbe mai potuto in
qualche modo venerare.
Safer mi prese il polso e mi condusse accanto a quella spirale di vita.
Allungò con me la mano fino a sfiorarne il flusso con le
dita.
E’ stata l’esperienza più meravigliosa e
travolgente della mia vita.
Per un istante non sono più stata Yuri, non mi trovavo in
una caverna e con me non c’era nessun altro…ma nel
contempo ero mille persone diverse, in mille posti diversi con mille
persone differenti. Tutto nello stesso momento. L’energia mi
attraversava il corpo come una scarica benigna, la sentivo fluire
attraverso le nostre mani unite, a contatto col flusso, attraverso i
nostri corpi. Essa soffiava in me la vita poi andava da lui, tornava da
me, tornava da lui.
Rabbrividii e mi accorsi che anche la mano di Safer, allacciata con la
mia, tremava leggermente.
Poi tutto finì, tornai nel mio corpo, di nuovo me stessa:
Safer aveva allontanato la mia e la sua mano dalla spirale di energia.
Per un istante che durò come un battito di ciglia sentii
dentro di me una mancanza incolmabile, poi passò e rimase
solo un caldo senso di serenità.
Alzai gli occhi verso Safer e i nostri sguardi si incatenarono insieme,
come era già successo prima. Solo che ora io piangevo.
- E’ questo il tuo dio - dissi.
Non era una domanda, ma lui rispose lo stesso: - Sì.
Ci guardammo ancora. Era una sensazione stranissima, sentivo ancora
l’energia del lifestream dentro di me e guardando nei suoi
occhi mi sembrava di cogliervene un frammento. Forse era lo stesso
anche per lui.
Lo precedetti verso l’uscita, di nuovo nel buio della grotta.
Solo che ora sembrava meno buio.
Safer si voltò ancora una volta verso la spirale di energia
prima di seguirmi. Lo sentii mormorare delle parole, ma non le
compresi. Così non diedi loro importanza. Le dimenticai e
uscimmo dalla caverna.
Disse: - Il Lifestream, il flusso e la vita di questo pianeta; che
raccoglie le anime dei defunti…e non ha voluto la mia.
E' l'una di notte acc...comunque mi piace questo capitolo. Sono
progredita sul piano sentimentale, ancora non ci credo... O.o
Inchinatevi a me, o poveri mortali (o qualcosa del genere). ahah non
saprei spiegarmi, è un po' strano...penso che questa coppia
sia assurda! (il bello è che sono io che la sto scrivendo).
Qui Sephiroth (non preoccupatevi, prima o poi gli ridarò il
suo nome) è un po' strano per la vicinanza con il
lifestream...aiuto mammamia, spero di non aver scritto idiozie!
Comunque...come, spero, spiegherò prima o poi è
stato il lifestream e catapultare Sephiroth avanti nel tempo e nello
spazio dopo che è stato sconfitto da Cloud... il punto
è che questa giustificazione l'ho usata anche in
"Ricominciare", povero Sephy. Sarà che non ho fantasia ma mi
sembra talmente plausibile che non mi viene nient'altro in mente! ^O^
sono aperta a consigli...
Yuri un po' sono io. Si muove da sola, credo, proprio perché
fa quello che farei io (a volte eh, non sempre.In realtà
cerco di renderla un po' più ingenuotta). Sarà
per questo che non so che dire di lei...Solo vi ricordo che ha ben 6
fratelli! Ogni tanto saltano fuori quindi non vi sconvolgete! In ordine
dal più grande sono: Shin, Daisuke, Yo, Taka, Ryo, Seimei e
poi c'é Yuri! Così non fate confusione almeno,
eh! ^_^
Prossimo capitolo, probabilmente si intitolerà "Allieva e
maestro", mi fa ansia il solo pensarci sinceramente ma ce la
metterò tutta!
Ahhhhhhhhh! Sono felicissima...oltre a Suehila che ormai mi ha
commentato ogni capitolo (grazie! grazie! grazie!) questo giro devo i
miei ringraziamenti anche a FlyGirl! I commenti fanno bene all'anima,
ragazze, quindi continuate! Domo arigatoo!!
Grazie comunque a tutti coloro che leggono questa fan fiction! *inchino*
Spero di aggiornare presto!
^Ayame^
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Capitolo 7 *** Legami di famiglia ***
07.
LEGAMI DI FAMIGLIA
Fu
strano tornare a casa.
Safer
ed io camminammo insieme fino al suo accampamento poi, senza scambiarci
più una parola, ci separammo. Lui si sedette accanto ai
resti di un fuoco mentre io imboccai il sentiero che mi avrebbe
ricondotta alla valle dove sorgeva il mio villaggio.
I
miei piedi si spostavano da soli, mettevo un passo davanti all'altro
senza rendermene conto perché la mia mente sembrava
comportarsi in modo diverso dal solito...vedevo più
vivido...sentivo le cose più distintamente ma, soprattutto,
percepivo ancora dentro di me il calore che avevo provato nel momento
in cui la mia mano aveva toccato il Lifestream.
Cosa
erano quelle sensazioni?
-
Sono a casa - dissi a mezza voce, varcando la porta d'ingresso.
Quasi
non mi accorsi della mano che calò violenta contro la mia
guancia con uno schiocco sonoro.
Mi
portai dolorante le dita al volto, mentre un velo di lacrime mi
offuscava la vista. Non alzai nemmeno lo sguardo per vedere chi mi
aveva colpito, non era difficile intuire chi fosse e inconsciamente
cercai di farmi piccola piccola. Come un topolino messo al muro da un
gatto.
-
Dove sei stata? - tuonò la voce bassa e rauca di mio padre,
la sua figura che incombeva su di me.
-
Solo in giro...nei boschi.
Non
lo guardai in faccia, limitandomi a tenere lo sguardo fisso sulla mano
che mi aveva colpita, ora abbandonata lungo un fianco. Le sue dita si
strinsero a pugno e tremarono. Per un secondo immaginai il suo volto e
rabbrividii.
-
Sei una svergognata - ringhiò lui, cercando di abbassare la
voce, ottenendo però solo di renderla più
minacciosa. - Non sei più una bambina, sei quasi una donna.
Sgraziata, maldestra, con lineamenti troppo vistosi per essere
apprezzati ma pur sempre una donna!
Trasalii.
Lo ripeteva spesso, questo, di come i miei lineamenti non fossero
adatti. Diceva che ero brutta, ma non era così: lo sapevo.
Certo, non ero bella, ma lui intendeva un'altra cosa. Lui voleva
un'altra cosa.
Come
ho già detto, in questa piccola città e in alcune
di quelle vicine la donna è sposa e madre. Fine. Sposa,
madre.
Il
mio corpo era troppo secco per essere adatto ad avere tanti figli (le
donne con meno di quattro figli erano considerate un fallimento), in
quanto all'essere sposa... avevo degli zigomi molto alti, altissimi, e
questo non andava bene per mio padre e la gente come lui: erano
considerati un simbolo di...ribellione. Desiderio di indipendenza,
consapevolezza di sé...insomma, di qualcuno che non aveva
intenzione di lasciarsi sottomettere. In parte era vero. Poi, le mie
labbra non erano abbastanza piene e carnose come avrebbe voluto (credo
non sarebbe stato contento nemmeno se le avessi riempire con della
stoffa!)...il naso e la fronte erano proporzionati al resto della
faccia, l'uno piccolo e minuto, ma non troppo, l'altra alta ma senza
risultare esagerata. Ma non andavano bene lo stesso, per lui. Non erano
bei lineamenti, ma rimanevano comunque
apprezzabili!
Non
qui, naturalmente.
E
poi...ohhh, poi! I miei occhi erano enormi, neri come dei pozzi
infiniti...più rotondeggianti che affusolati...quasi come
una piccola foglia. Mio padre invece voleva una mandorla molto sottile.
Ciò
che invece non mi aveva mai risparmiato una sgridata, una punizione,
qualsiasi cosa, erano la leggerissima spruzzata di lentiggini castane
che spuntavano sul mio naso quando appena prendevo un po' di sole.
Quelle sì, che lo facevano infuriare!
Ma
lui stava ancora urlando. - Cosa credi penseranno di te, tutti, se
continui a vagare da sola per i boschi, come una
selvaggia? Non ti sposeranno mai, non ti sposeranno mai!
Lo
vidi alzare il braccio destro e tenerlo sospeso sopra la sua testa,
pronto a calarlo di nuovo contro di me. I suoi occhi fiammeggiavano, ma
erano lucidi. Le guance e il naso rossi. Ubriaco mi
suggerì la parte di me che ancora riusciva a ragionare,
mentre tutto il resto si rannicchiava, preparandosi a incassare il
colpo.
-
Papà! - esclamò un'altra voce. Una voce gentile
di cui già il suono, da solo, sembrava avvolgermi e
proteggermi. Poi comparve anche il proprietario di quella voce.
Shin!
gridò il mio cuore, traboccante di gioia. Il mio fratello
più grande.
-
Papà, lascia stare Yuri. Se le lasci dei lividi sul corpo
non la vorrà più nessuno... - disse con voce
calma e suadente mentre afferrava con decisione il braccio alzato di
mio padre e lo riabbassava. Il suo sguardo incrociò il mio
un secondo, poi i suoi occhi saettarono verso la porta, espliciti.
Io
sgusciai di nuovo fuori, senza farmi ripetere due volte il saggio
consiglio, ma non potevo certo allontanarmi. Dovevo essere a portata di
mano per quando papà fosse sbollito.
Entrai
nella stalla dei Chocobo silenziosa come una pantera. Scorsi
immediatamente mio fratello Yo, il terzogenito, intento a lisciare le
piume al proprio chocobo nero. Gli strisciai alle spalle e feci di
corsa tutta la lunga stalla, fino ad infilarmi nel box con il mio di
chocobo. Le sue lucenti piume erano di colore smeraldo,
perché nessuna parete rocciosa era troppo ripida per lei, si
chiamava Lei Lin.
"Kuéé!!"
cominciò felice appena mi vide, ma la zittii all'istante.
Non volevo che Yo si accorgesse della mia presenza.
Lei
Lin mi si accucciò accanto e mi beccò
affettuosamente i capelli.
Mi
appoggiai contro il suo fianco. Era calda, fu così che mi
accorsi che ormai il dolce tepore donatomi dal Lifestream era
scomparso. Ciò mi sconvolse più dell'attacco
improvviso di mio padre, più del dolore pulsante alla
guancia sinistra che presto si sarebbe trasformato in un livido
violaceo, e scoppiai a piangere, in silenzio, abbandonando la testa tra
le braccia.
"Kué?"
fece piano Lei Lin, sfiorandomi il braccio con il becco liscio.
-
Va tutto bene Lin - le dissi in un soffio, - passa presto.
Sembrò
tranquillizzarsi e posò il muso tra la paglia. Io non piansi
ancora a lungo, era una cosa che detestavo fare.
Il
mio stomaco brontolava, la desta mi doleva e la guancia aveva bisogno
di ghiaccio, perché cominciava a gonfiarsi.
Nonostante
tutto non mi mossi da lì. Nonostante la mia parte razionale
cercava di spingermi a rientrare a casa, perché stare
lontana ancora non avrebbe che peggiorato le cose. La ignorai, come
spesso accadeva del resto, e mi raggomitolai contro il fianco di Lei
Lin, che sollevò un'ala e la poggiò sopra di me,
come fosse una coperta. Mi addormentai molto presto.
Quella
notte sognai. Non succedeva spesso, ma quando succedeva difficilmente
me lo scordavo.
C'erano
mio padre, Safer e il Lifestream. Solo che non sembravano loro...mio
padre sì, in effetti, ma il Lifestream non era come quando
lo avevo visto io. Percorreva tutta la Terra, dentro, intorno,
attraverso... era caldo, come lo ricordavo, ma non silenzioso. Lo
sentivo cantare, suoni che non erano note musicali e che risplendevano
di tutti i colori dell'iride, e cantava per me. Un canto senza parole,
che però aveva un senso, un messaggio, che tuttavia non
riuscii a cogliere.
Safer
mi guardava, seduto su quel tronco d'albero caduto dove lo avevo visto
tante volte. Anche lui era diverso da quello che conoscevo, sebbene
l‘aspetto non fosse cambiato. I suoi occhi scintillavano e mi
suggerivano un altro nome, un nome che non era Safer.
Come
per il canto del Lifestream, non riuscii a capire.
Mio padre fu una strana presenza. Stava eretto, senza il bastone che
usava per camminare, per aiutare la gamba ferita, e guardava davanti a
sé. All'improvviso però la sua espressione
mutò, si trasfigurò , e mi
lanciò contro il bastone, comparso dal nulla. Mi
ero aspettata qualcosa, non so bene che cosa, ma
di certo non quello che successe.
Il
Lifestream mi circondò, senza toccarmi, e Safer mi sorrise.
Il suo sguardo era doppio, quello di un folle e quello di un saggio, di
un amico e di un nemico, di uno sconosciuto e di un'amante. Non fece
una mossa, neppure uno dei suoi bellissimi capelli ondeggiò
ma quando in mano mi ritrovai una spada sapevo che me l'aveva data lui.
Alzai la lama davanti a me, pronta a difendermi da quel bastone
lanciato con forza.
Non
so perché fosse tanto importante, l'unica cosa che mi
avrebbe potuto fare quel bastone era un livido, ma potevo anche
spostarmi di lato di un passo e schivarlo, con facilità.
Quello
però era un sogno, non la realtà, e io dovevo
assolutamente affrontare quel quasi innocuo pezzo di legno.
Quando
lo feci, scomparve. Scomparvero tutti, per primo mio padre. Subito dopo
la luce del Lifestream si affievolì fino a scomparire, cosa
che mi provocò un dolore quasi fisico.
Ultimo
rimase Safer, che in quel momento non si chiamava Safer,
perché non era Safer.
L'uomo
mi si avvicinò poi si lasciò cadere con le
ginocchia al suolo. Ora anche io mi trovavo seduta per terra. Mi
appoggiò le mani sulle spalle e avvicinò il suo
volto al mio. Dapprima sfiorò con le labbra la mia fronte,
dopo aver scostato i capelli. Si abbassò e mi
baciò tra le clavicole e infine, dopo essersi portato alla
mia altezza, poggiò le sue labbra sulle mie, con la stessa
leggerezza di un soffio di brezza primaverile.
Era
una cosa strana e non lo respinsi, non perché era un sogno,
ma perché non era un bacio. Sembra un battesimo, sebbene non
conoscessi il suo significato.
Quando Safer si staccò dalle mie labbra e si
allontanò, mi svegliai.
Aprendo
gli occhi, dal principio mi ritrovai un po' spaesata.
Mi
aspettavo di essere distesa tra la paglia, magari parzialmente
schiacciata sotto il peso del mio Chocobo, che aveva l'abitudine di
sdraiarmisi addosso in segno d'affetto. Credevo avrei avuto tutte le
ossa indolenzite... e di puzzare anche (invito chiunque ad
addormentarsi in una stalla, e solo dopo storcere il naso!).
Impiegai
più del dovuto a rendermi conto che invece mi ritrovavo
nella mia stanza, sul mio materasso, che ormai cominciava a lasciar
sfuggire la paglia dalle vecchie cuciture. Per di più il
soffitto...ricoperto di un'orribile carta da parati scrostata in
così tanti punti che ormai era diventato quasi impossibile
riconoscerne la fantasia originale.
Ma
cosa ci facevo nella mia stanza? Ero stata portata lì da uno
dei miei fratelli, ma quale? Shin? Yo? Seimei?
Scrollai
le spalle. In fondo non aveva importanza chi era stato.
Scesi
giù dal materasso facendo attenzione a dove poggiavo i
piedi, per evitare di svegliare qualcuno col rumore provocato dallo
scricchiolare dalle vecchie tavole di legno. Allungai le braccia e le
gambe davanti a me stiracchiandomi e lanciando una veloce occhiata
fuori dalla finestra. Potevo vedere l'ombra della casa proiettarsi nel
cortile ma il cielo era ancora illuminato da una tenue luce rosata,
perciò ne dedussi fosse ancora molto presto.
Se
mi sbrigo posso ancora andare da Safer prima che gli altri si alzino!
pensai avvicinandomi al baule, sotto la finestra, dove tenevo i vestiti
puliti.
Pensare
a Safer, però, mi fece tornare alla mente il sogno di quella
notte agitata.
Mi
appoggiai sul bordo del baule ancora aperto, tenendo una camicia
appoggiata sulle ginocchia, e rabbrividii al ricordo. Agitai la testa
da una parte e dall'altra, come per allontanare una mosca fastidiosa e
mi imposi di non pensarci troppo.
Dopotutto
è stato solo un sogno...
Ma
non era stato un sogno qualunque. In qualche angolo del mio subconscio
lo sapevo: era troppo ambiguo, troppo nitido... e mi ripersi in esso.
Rivedendo brevemente nella mente alcuni istanti, le
sensazioni...già...quelle erano state molto forti.
E
il Lifestream...
Il
Lifestream sembrava ancora avvolgermi e come dopo la grotta, percepivo
il suo calore nel petto, e ancora in quel momento, come nel sogno, se
prestavo attenzione, sentivo una leggera eco del suo canto.
Scossi
di nuovo la testa. Non mi era mai successo di essere tanto coinvolta da
un sogno, così decisi di andare da Safer. Forse lui avrebbe
saputo spiegarmi un sogno tanto strano...anche se forse in
realtà l'unica cosa che volevo era non pensarci
più...
Ma
in fondo sapevo benissimo di avere semplicemente voglia di vederlo e,
per una volta, non avere come unico argomento di conversazione i
Chocobo, la stalla...e il matrimonio!
Legai
i numerosi laccetti sul davanti della camicia e mi infilai un paio di
pantaloni al polpaccio che facevano da completo, avendo la stessa
fantasia arabescata di colore blu. Presi in mano le piccole scarpette
nere che usavo di solito prima di cercare di sgusciare silenziosamente
fuori dalla finestra.
Avevo
già una gamba fuori dalla finestra quando fu invece la porta
ad aprirsi cigolando. Con un muta preghiera ad Ashling, che non fossero
mio padre o Daisuke, mi voltai.
Con
sollievo lasciai andare il fiato che avevo trattenuto fino a quel
momento, senza accorgermene. Non era "bene", ma avevo immaginato di
peggio.
-
Sorellina! - dissero nella mia direzione due volti quasi identici.
Erano
i miei fratelli maggiori minori...quasi...emh... è un po'
difficile spiegare i gradi dei miei fratelli...in sostanza loro erano,
dopo me e Seimei, i più giovani. Gemelli... e mi odiavano.
Cioè,
in realtà non mi odiavano, anzi, mi volevano bene ma erano
delle pesti dispettose nonostante cominciassero ad essere un po' troppo
grandi per essere così infantili.
-
Dove stai andando? - mi domandò Taka giocando con un ciuffo
dei suoi capelli ribelli.
-
Affari miei - risposi brusca, ma rientrando in camera per
fronteggiarli.
-
Bella strigliata ieri, eh? - continuò Ryo lanciando
un'occhiata significativa al fratello.
-
Povero papà...dopotutto si preoccupa!
-
Dovremmo fargli sapere che la sua ADORATA figliola non ci
sarà per colazione!
-
Già, non vorrei che si arrabbiasse.
Io
rimasi a guardarli allibita. Erano...erano...
-
Siete proprio dei porci bastardi! - esclamai infuriata, usando una di
quelle parole che avevo imparato da Seimei.
La
cosa sembrò farli ridere ancora di più.
-
Ringrazia piuttosto che ti abbiamo riportato in camera! -
ghignò Taka appoggiando una mano sul fianco e inclinando la
testa di lato.
-
Pensa quanto si sarebbe preoccupato papà non vedendoti nel
tuo lettino... - continuò Ryo mettendosi simmetricamente al
fratello.
-
...ma se scappi via sarà stato tutto inutile!
Ah,
dunque erano stati loro! Se pensavano li avrei ringraziati si
sbagliavano di grosso!
Per
un secondo valutai le mie possibilità...andarmene con la
certezza che avrebbero fatto la spia, o rimanere aspettando un'altra
occasione per raggiungere Safer, occasioni che si presentavano di rado.
Alla
fine però dovetti chinare il capo e seguire, con quanta
dignità riuscii a raccogliere, i gemelli in cucina. Oltre a
noi trovammo solo Daisuke e Shin.
-
Buongiorno! - urlarono i gemelli entrando come un tornado. Io li seguii
meno vistosamente.
Vedendomi
entrare, Daisuke mi lanciò un'occhiata penetrante e mi si
parò davanti.
Irrigidii
le spalle quasi senza rendermene conto, Dai era il secondogenito ed era
la copia sputata di papà da giovane. Non solo nell'aspetto,
ma soprattutto nel carattere, tanto che, mentre mi squadrava con un
biasimo fiammeggiante infondo allo sguardo, temetti volesse colpirmi
come aveva già fatto qualcun altro il giorno prima.
-
Non ho parole, Yuri - si limitò a dire, e di solito questo
era solo il prologo di una lunga arringa sui doveri familiari.
-
Nostro padre era sconvolto. Hai intenzione di rimanere un peso per lui
per tutta la vita? Quando morirà poi cosa farai? Verrai ad
elemosinare da me o da Shin? Hai diciannove anni, accidenti a te, cerca
di scegliere il partito più ricco e prestigioso e togliti
dai piedi.
Ah,
mi sbagliavo. Niente doveri familiari... solo un misero tentativo di
imporre la sua (scarsa) autorità.
Daisuke
lo odiavo proprio...lo odiavo dal profondo. Cercava solo di essere la
pallida copia di papà riuscendo solo ad essere uno stronzo
sfigato. Dicesse almeno cose vere...la fattoria guadagnava pochissimo e
la maggior parte dei soldi che avevamo erano grazie ai vari lavori che
Shin svolgeva a Kalm e a quello che riuscivamo a vendere mamma ed io
alle fiere di paese. Lui poteva starsene solo che zitto. Dopotutto
anche quelle poche entrate dovute ai Chocobo, di cui si vantava tanto
essere l'erede designato (Shin aveva detto chiaro e tondo
già diversi anni fa, nonostante avesse usato altre parole,
che avrebbe preferito amputarsi un piede piuttosto che ereditare un
posto così fatiscente), erano grazie a Yo: l'unico a cui
importasse davvero la salute dei Chocobo.
Ne
avevamo tutti uno personale, e in fin dei conti ci interessava solo del
nostro...a parte Yo appunto. Shin ne aveva uno azzurro (PER MARE),
mamma uno giallo, normale (per camminare) ecc ecc - elenco -.
Papà era l'unico ad averne uno dorato, ma era talmente
vecchio e malandato che sembrava più d'oro quello della
mamma.
Daisuke
parlò ancora per un po' ripetendo, bene o male, le stesse
cose di sempre. Il tutto rimescolato a quello che aveva aggiunto ieri
nostro padre.
Dopo
qualche minuto, finalmente, se ne andò. Dovetti trattenermi
dal mostrargli la lingua mentre si allontanava..
Probabilmente
Shin aveva intuito le mie intenzioni, perché mi
lanciò un'occhiata di avvertimento mentre finiva di bere il
caffé. Subito dopo si alzò e andò a
sciacquare la tazza.
-
Dovresti metterci qualcosa su quel livido - mi disse mentre mi dava le
spalle. - Sta diventando verde.
Ahia...era
già di quel brutto colore? Avrebbe impiegato poco tempo a
diventare blu e viola.
Scrollai
le spalle, senza dire nulla.
Shin
allora si voltò a fissarmi, alzando un sopracciglio.
-
Ma alla fine, dove sei stata in quest'ultimo periodo?
Fui
sul punto di dirglielo, nonostante fossi ancora abbastanza indecisa, ma
mi bloccai ricordandomi della presenza dei gemelli dall'altra parte
della stanza. Lanciai verso di loro un'occhiata furtiva, sperando di
spiegarmi abbastanza bene anche senza le parole.
Shin
seguì la direzione del mio sguardo e sospirò.
-
Voi due: fuori! - ordinò.
-
Ma stiamo ancora facendo colazione! - protestò Taka
sventolando un pezzo di pane imburrato.
-
Non dire idiozie - esclamò Shin. - Questa è la
terza volta che fate colazione!
I
gemelli scoppiarono a ridere mentre uscivano dalla porta che dava sul
cortile. Un leggero refolo di vento s'intrufolò attraverso
lo spiraglio aperto e mi mosse i capelli.
-
Ci vediamo! - disse ancora Taka.
-
Fate solo attenzione a papà e Seimei: quei due stanno ancora
dormendo.
Poi
scomparirono entrambi dalla nostra vista.
-
Allora? - chiese Shin, tornando a guardare nella mia direzione.
Mi
strinsi nelle spalle, distogliendo lo sguardo.
-
Non so se dovrei dirtelo...
Lui
sgranò gli occhi, sorpreso. Non accadeva quasi mai che gli
nascondessi le cose.
-
E' una cosa pericolosa? - volle sapere, questa volta con un pizzico di
preoccupazione nello sguardo.
-
No! - esclamai subito poi, pensandoci un po' meglio... - Credo di No.
-
Allora, credo, vada bene - mi sorrise, prendendomi in giro per come mi
ero espressa, rilassandosi contro lo schienale della sedia.
-
Non insisti per sapere?
Fece
spallucce.
-
Se dici che non è pericoloso va bene...so che se ne sentirai
il bisogno verrai a parlarmene. Vero?
Io
annuii, pensierosa.
-
Quando partirai? - gli domandai all'improvviso.
-
Non lo so di preciso - mi rispose, preso alla sprovvista.
Shin,
come ho già detto, era il fratello maggiore. Il primogenito.
Aveva 29 anni e, finalmente, aveva trovato un'ottima sistemazione a
Junon. In questo modo avrebbe anche potuto riprendere gli studi
all'università, che aveva dovuto sospendere per mille e uno
motivi.
Dei
mille non potevo farci nulla, ma sapevo bene che quell'uno ero io e la
cosa mi pesava molto. Da sempre, fin da quando eravamo piccoli, Shin si
era sacrificato in mille modi per me e, in qualche modo, aveva
ricoperto per me il ruolo di padre come chi avrebbe dovuto non era
stato capace di fare.
E
dopo tutto questo...io gli stavo nascondendo di Safer? Devo
essere pazza mi dissi.
Ora
a volte mi domando cosa sarebbe successo se gliene avessi parlato
quando eravamo tutti in quello stato di pace apparente e, soprattutto,
tutti insieme.
-
Basta musi! - esclamò Shin all'improvviso facendomi
sobbalzare. - Vai pure a fare quello che devi: dirò a
papà che ti ho mandato a Kalm a fare qualcosa...portati Lei
Lin, altrimenti ci becca subito!
Mi
sorrise e gli risposi allo stesso modo. Lo adoravo: era l'unico dei
miei sei fratelli che si fosse mai esposto per me...a parte forse
Seimei. Ma lui passava più tempo a fare casino che altro,
quindi non so se potremmo proprio dire che si sia mai "esposto per me".
Corsi
fuori dalla cucina come un razzo e raggiunsi la stalla dei Chocobo.
Lì
trovai Yo intento a spazzolare il Chocobo di papà. Ci
salutammo distrattamente con un cenno del capo e montai in sella a Lei
Lin, che mi saluto felice con un lungo
"Kuééééééééééééé!!!".
-
Era agitatissima questa mattina - mi informò Yo senza
staccare gli occhi dal suo lavoro. - Credevo quasi di doverla
legare...poi quando ti ha sentita scendere in cucina si è
calmata.
-
Povera piccola! - esclamai allora con voce un po' in falsetto, con quel
topo di voce che si usa con gli animali o con i bambini piccoli. - Eri
preoccupata per me?
Mi
allungai sulla sella e le battei due leggere pacche sulla base del
collo.
Un
secondo dopo corremmo insieme fuori dalla stalla, attraverso il
cortile, dove vidi la mamma che stendeva dei panni bagnati e poco
più in là, intenti a fare non so che sotto un
albero, i gemelli.
-
Fuggi, sorellina? - mi urlarono.
-
Vi piacerebbe... - sibilai sottovoce. Poi aggiunsi più
forte, in modo da essere certa che sentissero: - Shin mi ha chiesto di
fargli una commissione a Kalm!
Poi
scomparsi dietro la casa. Ora, per quanto scarsa fosse la mia
conoscenza geografica, sapevo tre cose: la prima, Midgar è a
nord; seconda, Kalm è a nord est di Midgar e per finire, i
monti di Safer sono a sud.
Per
questo dovetti fare un lungo giro per raggiungere l'accampamento di
Safer, ma almeno non avevo fatto la strada a piedi!
Balzai
giù da Lei Lin solo quando mi trovai a pochi metri dal punti
in cui Safer era solito accendere il fuoco, la notte, ma come spesso
accadeva lui non c'era.
-
Fatti un giro! - consigliai a Lei Lin dandole una pacca su un fianco.
Mi
sedetti davanti ai resti del fuoco, lasciando sfocare lo sguardo mentre
guardavo fisso i legni inceneriti. Non andavo mai a cercarlo io,
perché tanto non avrei saputo da che parte girarmi, per cui
avevo preso l'abitudine di aspettarlo presso il suo accampamento. Alle
volte, come in quel momento, non facevo nulla. Altre volte, invece,
occupavo il mio tempo come meglio potevo...intrecciando ghirlande per
Ashling, per esempio.
Non
passava mai molto tempo prima che lui comparisse però.
-
Yuri? - lo sentii dire dopo poco.
Sentendo
la sua voce, bassa e profonda, calda in quel momento, il mio cuore fece
un balzo.
-
Safer! - esclamai io, felice anche se non sapevo perché,
scattando in piedi e correndogli incontro.
Ciaoooo!!
E'
un po' che non aggiorno, ma sono stata via per un po'... Allora! Che ve
ne pare? eheh perdonate questo capitolo *aya si prostra* spero di non
avervi annoiato troppo ma la famiglia di Yuri svolgerà un
ruolo importante nella storia...per questo è necessario
spiegarne bene i processi.
Ahah...il
PROSSIMO capitolo si chiamerà sicuramente "Allieva e
maestro"...sorry, alla fine ci metto sempre un altro titolo ahah...ero
quasi tenntata di continuare anche a scrivere di Sephiroth ma sono un
bel po' di paginette anche così, quindo non male!
Sephiroth:
ma...ma...il mio nome! Rivoglio indietro il mio nome!
Aya:
Anche io...bwaaaaahhhh!!
Yuri:
.........
Aya:
ahhhh! non leggere! *aya copre il nome di Sephiroth e ci scrive sopra
Safer*
Purtroppo
per quello ci vorrà un bel po' di tempo...soffro molto a
chiamarlo Safer ma devo resistere...se proprio vedo che non ce la
faccio scrivo Sephiroth e poi faccio "sostituisci" dopo aver finito il
capitolo ahah
Sephiroth
e Yuri: ........
Aya:
ahhhhh non guardare!
Vabbé...idiozie
a parte.
Fin'ora
avete qualche domanda? Daaaaaaaiii...LO SO che avete qualche domanda!
*w*
Ora
credo andrò a dormire...sono le tre di notte accipicchia!
Però di notte scrivo tanto più facilmente....ah
ho anche cominciato a mettere musica in sottofondo mentre scrivo...al
momento ho la playlist per scrivere!! In successione: Why - ayaka (la
colonna sonora di Crisis core per intenderci), Dozing Green - Dir En
Grey, Mind Forest e Redemption di Gackt, Neverending story di Limahal e
per finire Leave out all the rest e Numb dei Linkin Park! ahah (rido
tanto perché sto per addormentarmi sulla tastiera,
scusate... almeno c'è il mio cricetino che mi tiene
sveglia... - si chiama Zack! ^^)
Scusate,
ho divagato! Commenti Please!!
E
come al solito un ringraziamento a Flygirl...e anche a Suehila, anche
se al momento è dispersa! ^^/
|
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Capitolo 8 *** Serenità ***
09. SERENITA’
Credetti di svenire.
Se non fossi stata già seduta per
terra…probabilmente l’avrei fatto.
- Grazie! - urlai e mi appesi al suo collo, euforica.
Safer mi afferrò i polsi con delicatezza e mi
allontanò da sé.
- Calmati - mi suggerì.
- Come posso calmarmi? - continuai io, balzando in piedi. - Questo
è… è…è quello
che ho sognato per tutta la mia vita! Non sarò mai
così felice in tutta la mia vita!
Safer non rispose altro, ma scoppiò a ridere e prima di
riuscire a fermarsi passarono alcuni minuti, nei quali
cominciò addirittura a dondolarsi avanti e indietro sul
posto nascondendosi il volto con una mano.
- Cosa c’è da ridere! - sbottai, incrociando le
braccia.
- Niente, niente… - rispose lui smettendo gradualmente di
ridere.
Lo osservai per qualche secondo. L’eccitazione stava
lasciando spazio all’incredulità, e con quella
sorse il dubbio.
- Aspetta! - gli dissi, avvicinandomi a lui. - Sei serio, vero? Non
stai scherzando, non mi stai prendendo in giro, vero?
- Sono mortalmente serio - mi rispose lui guardandomi negli occhi. Non
avrei mai potuto dubitare di quello sguardo.
Sorrisi. - Prenditi cura di me! - lo pregai con un inchino. Quando
tornai dritta, anche lui si era alzato in piedi.
- Posso farti una domanda? - gli chiesi, muovendo qualche passo davanti
a lui, invitandolo a seguirmi.
Mi imitò e cominciammo a camminare, quasi passeggiando per
quell’immenso prato di fiori. Safer non rispose, ma
osservandomi con sguardo interrogativo mi fece capire che stava
aspettando cominciassi a parlare.
- Ecco…posso chiederti di te?
- Di me?
- Sì, di te…del tuo passato…la tua
vita… - spiegai cominciando a balbettare lievemente.
Safer rallentò, probabilmente senza nemmeno rendersene
conto, mentre ripensava a quello che gli avevo appena detto. -
Perché? - mi domandò alla fine.
- Io non so niente di te…So solo il tuo nome,
nient’altro. Anche se è passato tanto tempo da
quando ti ho incontrato per la prima volta…per me sei ancora
poco più di un estraneo! - gli spiegai con voce spezzata.
Era evidente che stavo entrando in una zona rossa, fin dal primo
momento mi era stato chiaro che era una persona estremamente
riservata…ma io dovevo sapere.
- Va bene - mi rispose con una scrollata di spalle.
- Davvero? - gli domandai incredula.
- Davvero - mi assicurò lui. - Porgi le tue domande, io
risponderò come potrò… ma non
aspettarti che risponda a tutto.
- D’accordo! - accettai io sorridendo. Mi sembrava un buon
compromesso.
Camminammo ancora un poco, senza parlare, mentre pensavo a cosa
chiedergli senza ricevere in cambio il suo silenzio.
- Dove sei nato? - fu, alla fine, la mia prima domanda.
Subito Safer si accigliò e strinse le labbra in una smorfia.
Cioè, non ne facevo una giusta! Ero riuscita a sbagliare
anche la prima domanda!!
- Non ne sono sicuro… - mi disse, continuando a guardare
davanti a sé.
- Qualche ipotesi? - lo incoraggiai io.
- Qualcuna - concesse, ma non sembrò voler aggiungere altro.
Provai a cambiare domanda. - Allora…dove sei vissuto
fin’ora?
- Ho viaggiato tanto - mi spiegò. - Ma una buona parte della
mia vita l’ho passata a Midgar.
- Midgar? Intendi questa Midgar?
- Perché me lo chiedi?
- Beh, ma è un ammasso di rovine! Dopo il crollo del piatto
la gente ha continuato a vivere negli ex-bassifondi, ma solo per
qualche decennio. Non più di una ventina d’anni:
alla fine se ne sono andati tutti.
- Forse qualcuno è rimasto, non credi? - mi
suggerì Safer, sollevando impercettibilmente un lato della
bocca in quello che poteva sembrare un mezzo sorriso.
- Hai ragione…
Forse era meglio cambiare domanda.
- Qualche tempo fa, hai parlato di alcuni tuoi vecchi compagni, o
qualcosa del genere…chi erano?
- Ma non ti dimentichi ma niente? - mi fece lui, fingendosi irritato.
Rifletté a lungo sulla domanda, tanto che per un istante
credetti decidesse di non rispondere.
- Ricordo quello che ti ho detto…due ragazzi di campagna,
vero?
Annuii.
- Uno dei due si chiamava Zack. Tu me lo ricordi molto…il
suo sogno più grande era di diventare un eroe.
- C’é riuscito?
Sorrise tristemente. - Io credo di sì.
- E l’altro?
- L’altro…era molto giovane.
Aveva…credo sedici anni la prima volta che l’ho
incontrato…era un disastro. Sempre appiccicato a
Zack… Aveva anche un aspetto buffo…i capelli
biondissimi e tirati all’insù come un piccolo punk.
Mi immaginai un ragazzo con la faccia di Seimei ma con i capelli biondi
e ritti: dovetti trattenermi per scoppiare a ridere.
Vedendo la mia espressione, anche Safer sorrise.
- Avevi altri compagni oltre a loro?
- Non è che loro siano mai stati miei compagni. Il piccolo
punk ebbi modo di conoscerlo solo molto tempo dopo.
Mi chiesi perché non voleva dirmi il nome del ragazzo biondo.
- Zack alla fine fu mio amico, oltre che un compagno, ma coloro che ho
sempre considerato miei amici, sin da quando ero giovane…si
chiamavano Genesis e Angeal. Era un rapporto strano il
nostro…e portò enormi conseguenze nella vita di
tutti noi…
Lo vidi incupirsi, perdendosi in ricordi lontani e dolorosi. Il suo
viso era una maschera di sofferenza, così provai a spostare
il discorso. Non sembrava aver avuto una vita facile…
- Dove hai imparato a combattere? Chi ti ha insegnato? Quanto ci sei
stato? Perché sei diventato un guerriero?
- Non sarebbe meglio provare a chiedere una cosa alla volta? - mi
sorrise.
- Scusa…
- Vediamo…come risponderti. Più che un guerriero,
io ero un soldato e come la maggior parte dei soldati sono stato
addestrato presso una…beh, diciamo una guarnigione. Ma non
chiedermi dove si trovava, perché è una di quelle
domande a cui non risponderò. Riguardo al
resto…nei miei ricordi, mi sono sempre visto con una spada
in mano…alcune volte fu… fu mio…
Si bloccò.
- Cosa c’è? - volli sapere, preoccupata.
- N…non è niente… - fece lui,
passandosi una mano sul viso. Aveva la fronte imperlata di leggere
gocce di sudore. - Dicevo…fu mio padre. Usava sottopormi a
sezioni speciali di addestramento, test e cose del genere, ma non direi
che sia stato lui a insegnarmi. Non ricordo di aver mai avuto un
maestro…imparai molto presto, e lo feci da solo.
Distrattamente, mi chiesi perché era passato al passato
remoto.
- E i tuoi genitori? Tuo padre?
- Lui? - rise amaramente, sembrava una risata sarcastica ma era
così satura di dolore e rancore da non poterla quasi
chiamarla una risata. - Era uno scienziato. Un pazzo…ma se
sono qui è a causa sua.
A causa? Non avrebbe dovuto dire “grazie a”?
“per merito di”? Evitai di chiederglielo,
naturalmente e invece nominai sua madre.
- Mia madre? - ripeté lui.
Forse…non avrei dovuto chiederglielo.
Ci mise molto per decidere di rispondermi.
- Cos’é per te una madre?
- Generalmente una madre è colei che ti mette al mondo, che
di cresce, che ti protegge, che ti capisce, ti
incoraggia…queste cose qui. Credo.
Non è che mia madre seguisse proprio tutti quei
canoni…
- Diciamo che, fermandoci alla tua prima definizione, mia madre era una
famosa scienziata e ricercatrice. Lavorava nello stesso campo
di…mio padre. Si chiamava Lucrecia.
Fece una lunga pausa.
- Ma ho avuto anche un’altra madre, nella mia vita.
- Davvero? In che senso? Chi era? Come si chiamava?
- Basta così - disse lui a questo punto, girandosi per
tornare indietro.
- Perché? Cos’ho detto?
- Niente, lascia stare. Torna domani.
Decisi di lasciare perdere. Dopo qualche minuto di completo silenzio
fummo di nuovo nei pressi dell’accampamento.
- Devo procurarmi un’arma?
A questa domanda, Safer scoppiò a ridere.
- Passeranno secoli prima che tu possa usarne una!
Capitolo più
corto, come risposta al capitolo 8... The neverending chapter! ahah
Avete presente
all'inizio....quando lei dice "questa è la cosa
più bella che mi succederà in tutta la vita" o
qualcosa del genere? ^____^ Allora, a livello di trama era naturalmente
impossibile ma per un istante mi sono vista Sephiroth che la prendeva e
le dava un bacio alla francese con casquet!! *ç* XDXDXD Che
ne dite, ci stava?
@Nemeryal: E chi non lo
ama Sephy? XDXD Parlando di Gackt...più che piacermi ormai
credo di idolatrarlo...come dice una mia amica..ormai il mio blog
è diventato un tributo a Gackt! XD (
http://promisedland90.spaces.live.com/ ) Anche secondo me Last song
è una delle sue canzoni più belle! *_*
@Chihiro: Dolce
nell'altro capitolo, eh? XD eheh ho sfruttato la lontananza per far
mutare un po' i suoi sentimenti, sìsì!! XD
Grazie mille per i vostri
commenti e a tutti coloro che leggono la mia storia...e sono tanti!
^______^
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Capitolo 9 *** Allieva e maestro ***
08. ALLIEVA E MAESTRO
- Ma non ce l’hai una casa? - mi domandò
venendomi incontro.
Risposi con una linguaccia, buttandola sullo scherzo. Ce
l’avevo eccome, dannazione (almeno per il momento), ma di
certo quello non era il momento migliore per sollevare
l’argomento.
Fummo uno davanti all’altro e lo vidi chinarsi verso di me,
stringendo gli occhi.
Le immagini del sogno, ancora molto vivide, mi sfrecciarono attraverso
la mente come saette prima che le scacciassi e mi rendessi
conto che invece Safer stava fissando qualcosa sulla mia faccia.
Il livido pensai irrigidendo la mascella. A quell’ora doveva
essere diventato un po’ troppo vistoso.
- Su, vieni - mi ordinò facendomi segno di seguirlo.
Per un fugace istante credetti mi stesse portando di nuovo dal
Lifestream, ma la direzione non era quella.
Mentre camminavamo, lui avanzava al mio fianco, mostrandomi la
direzione che dovevamo prendere e in questo modo non ero nemmeno
costretta ad arrancargli dietro.
- Ti sei dato da fare! - constatai dopo un po’ che
camminavamo, riferendomi al suo girovagare tra quei monti.
- Non è che abbia molto altro da fare, qui - rispose lui con
una scrollata di spalle.
- Come stai?
Si voltò a guardarmi, perplesso. -Bene grazie e tu? -
rispose tutto d’un fiato, come se stesse recitando male la
frase da un copione.
- No, intendevo… - mi spiegai, alzando gli occhi al cielo. -
Le ferite.
Lo vidi ridacchiare. - Sto meglio, ti ringrazio.
Tornammo in silenzio, ma questa volta fu lui a spezzarlo.
- Credi riuscirai a ricordarti questa strada?
- Perché?
- Ho trovato un punto migliore dove fermarmi finché non
starò meglio. Voglio essere sicuro che riuscirai a
raggiungerlo.
Sorrisi, cercando di nascondere la mia espressione. - Non preoccuparti
di questo. Io non mi perdo mai!
Mi guardò, alzando un sopracciglio. - Sayuri… -
sospirò.
- Beh, di solito non lo faccio.
Lo vidi scuotere la testa, sospirando ancora.
- Eccoci.
Alzai lo sguardo, impegnato fino a quel momento a registrare elementi
chiave che mi permettessero di imparare velocemente la strada. Safer mi
aveva portato in una valle bellissima, chiusa tra le montagne. Si
estendeva in un prato immenso e verdissimo, che faceva mostra di
sé con brillanti macchie di colore, grazie alla vasta
varietà di fiori.
Non riuscii a trattenermi dal correre tra l’erba, abbastanza
alta da arrivarmi al ginocchio. Saltai un piccolo ruscello che
attraversava la valle e mi voltai verso Safer, che mi osservava dal
limitare della foresta.
- E’ bellissimo! - urlai, ridendo come una bambina.
Chissà cosa doveva pensare vedendomi comportare in quel modo
assurdo.
- Io mi accamperò qui - mi informò spaziando
intorno a sé con un braccio. Nonostante la distanza che ci
separava non ebbe difficoltà a farsi sentire, anche senza
alzare la voce. - Torna qui.
Lo raggiunsi, obbediente.
Quando gli fui di fronte, Safer mi fece pressione sulle spalle
affinché mi sedessi per terra. Subito dopo fece lo stesso.
- Cosa ti sei fatta alla faccia? - mi chiese, cercando qualcosa sotto
il cappotto.
- Eh? - sobbalzai, cercando di fare la finta tonta.
- La faccia - ripeté lui, scuro in volto.
- Oh…niente. Ho litigato col Chocobo.
Safer levò un sopracciglio, come a dire “non me la
dai a bere”. Lo faceva spessissimo…adoravo
quell’espressione, se non fosse che significava guai.
- Quello con cui sei venuta? L’hai lasciato al vecchio
accampamento, non hai paura che se ne vada?
Scossi la testa. - Questione di fiducia. Hai mai letto “Il
piccolo principe”? E’ il mio chocobo,
l’ho cresciuto da quando è uscito
dall’uovo: è addomesticato.
Acci…fregata.
- E ti ha fatto questo? - mi chiese sarcastico, sfiorandomi lo zigomo
con la punta delle dita. Sussultai.
- N-No…è stato il chocobo di mio
fratello… - cercai di spiegare, ma lui mi zittì
con un gesto irritato della mano.
- Non mi interessa, non dirlo se non vuoi. Almeno non farai la figura
della stupida inventando scuse poco credibili.
Mi morsi la lingua. Non sapevo se definirlo ancora stronzo o solamente
troppo acuto.
- Guarda - continuò lui come niente fosse, - ti
mostrerò una cosa che credo ti piacerà molto.
E mi porse una specie di grossa biglia verde. Fui io, questa volta, ad
alzare un sopracciglio.
- Che è?
- Questa è una materia.
- Una ma-che?
- Una materia - ripeté lui, paziente. - Possibile che tu non
abbia mai sentito parlare delle materia?
Mi strinsi nelle spalle.
- Siamo un piccolo paese di campagna… - cercai di
giustificarmi.
Safer scosse la testa.
- Questo non vuol dire niente - mi contraddisse corrucciandosi, lo
sguardo che si perdeva indietro in un passato che non conoscevo. - Due
dei più grandi guerrieri che abbia mai conosciuto venivano
proprio dalla campagna.
- Davvero?! - esclamai, entusiasta. - Chi sono?
- Erano - mi corresse, stringendo le labbra in una linea sottile. - Non
ha importanza.
- Quindi questa sferetta serve per combattere? - chiesi, tornando su un
argomento più sicuro. Non mi piaceva quando era
così corrucciato…mi faceva paura.
- Con le materia - mi spiegò - si evocano le magie.
In quel momento, ne sono certa, i miei occhi brillarono.
- Posso provare??
- Non scherziamo - mi sgridò lui facendo schioccare la
lingua sul palato. - Non darei mai in mano una materia a chi non sa
nemmeno tirare un cazzotto.
- Ah, vogliamo scommettere?! - strillai io, balzando in piedi, la
guardia alta.
- Rimettiti immediatamente a sedere - ingiunse Safer a voce bassa. -
Vedrai solo come funziona.
Obbedii docilmente.
Safer prese la sferetta tra le mani e la vidi luccicare come una
piccola stella. Poi alzò una mano, che in quel momento
brillava di una luce simile a quella del Lifestream e me la
passò sul viso, come se mi stesse salutando.
- Cos’hai fatto?
- Questa materia è un’Energia. Ho guarito la tua
ferita.
Mi nacque un sorriso sulle labbra. Ero indecisa se crederci o No. Forse
era uno scherzo… ma quando mi sfiorai lo zigomo con le dita
tremanti non sentii alcun dolore. Provai a premere un po‘
più forte ma il livido era scomparso.
- Fantastico… - sussurrai.
Safer sorrise, appoggiandosi con le braccia indietro. - Non vedevo
tanto entusiasmo in una persona dai tempi della guarnigione.
Guarnigione? E che cos’era una guarnigione?
- Chi? - volli sapere.
- I guerrieri di cui sopra - rispose lui, ma con l’evidente
desiderio di non continuare quella discussione. Perché
allora continuava a sollevare l’argomento, mi chiedevo.
- Ora cosa farai?
- Intendi nell’immediato futuro?
Annuii.
- Quello che faccio sempre in questi tempi…nulla. E devo
dire che comincio a trovare la cosa estremamente seccante. Presto
diventerò molto irritabile. Avessi almeno qualcosa da
leggere!
- Perché non uccidi qualche mostro? - suggerii. Quella spada
non poteva essere solo coreografia.
Safer mi guardò sottecchi, come se non credesse alle sue
orecchie.
- Sarebbe più soddisfacente affrontare una carota che i
mostri di qua - replicò lui con profonda irritazione.
Mi domandai se fosse serio o se stava solo scherzando… per
quanto ne sapevo io i mostri delle montagne di Midgar erano
tutt’altro che deboli.
- Ma…va bene che tu passi tutto il tempo nei boschi? - mi
domandò all’improvviso. - Presumibilmente sola?
Scrollai le spalle, perché temevo che la voce potesse
tremare a quel punto, ripensando al pugno di mio padre.
- Sì, perché dovrebbe essere un problema?
- Mai sentito parlare di cappuccetto rosso?
Scoppiai a ridere, non riuscendo a trattenermi, sentendomi dire quella
frase proprio da lui.
- Cappuccetto Rosso? - ripetei sbalordita, asciugandomi le lacrime ai
lati degli occhi. - Cosa accidenti centra Cappuccetto Rosso? Non ci
sono i lupi tra queste montagne.
Safer si chinò verso di me, con un sorriso pericoloso sulle
labbra. - Non lo sai che i lupi si nascondono, piccola?
Lo spinsi via, arrabbiata. Detestavo essere presa in giro, soprattutto
da lui.
- E questo cos’è? Il lupo e l’agnello?
Sembri un dannatissimo professore di scuola!
- E tu ti esprimi come un maschio - controbatté Safer
alzandosi in piedi e cominciando a sistemare le cose che si era portato
dietro.
- Non centra niente. Perché ti sei messo a fare metafore? E
poi, dai! Fratelli Grimm? Esopo?
- Ho letto molto quando era giovane.
Ingoiai la risposta che stavo per sparagli. Giovane? Ma alla fine,
quanti anni aveva? Era senza dubbio più grande di me, ma di
quanto? Non sembrava tanto più grande di Shin, ma era la sua
espressione a trarre in inganno. Il suo volto portava il segno di
moltissimi anni.
- Safer, quanti anni hai?
Mi guardò pensieroso, come se ci stesse riflettendo.
Ponderando la domanda.
- Attualmente credo di avere con esattezza 24 anni.
La stessa età di Yo. Sembrava impossibile da credere.
- E lo dici in questo modo? Che cavolo vuol dire che credi di avere?
- E’ una cosa molto, troppo complicata. Soprattutto, legata
ad una storia troppo lunga per essere raccontata qui e ora.
- Insomma, hai o no ventiquattro anni?
- Per certi versi potrei dire di averne circa
centotrentadue…ma considerami un ventiquattrenne.
Decisi di non indagare oltre, tutt’al più per
mantenere la mia sanità mentale.
- Stai per tornare a casa? - mi chiese.
Io guardai verso il sole, che stava cominciando a calare. Era
decisamente il momento per rientrare, altrimenti avrei passato nuovi
guai.
- Sì, credo sia il caso.
- Ti accompagno - si offrì lui, tendendomi una mano per
aiutare ad alzarmi. - Fino al tuo Chocobo.
- Grazie - dissi, mentre imboccavamo il sentiero per Nacom.
La porta si aprì cigolando lievemente quando passai la
soglia di casa. Il lungo corridoio che attraversava longitudinalmente
il piccolo edificio e terminava con la porta che dava sul retro era
deserto, immerso nel silenzio.
Per un istante fui tentata di chiamare qualcuno ad alta voce, giusto
per accertarmi che ci fossero…ma subito mi diedi della
stupida e mi trattenni. Non credo avrei guadagnato nulla di buono nel
segnalare il mio rientro a casa. Ma continuavo comunque a domandarmi
dove si trovassero… Anche la stalla, quando vi avevo portato
Lei Lin, era deserta.
Scrollai le spalle, cacciando il pensiero.
Sarebbero tornati quando sarebbero tornati…anche se, in
effetti, era molto strano che nessuno fosse rimasto a casa. Non eravamo
certo una famiglia poco numerosa, anche per i canoni della nostra
comunità.
Salii le scale, che scricchiolavano rumorosamente sotto il mio peso,
senza dovermi preoccupare, per una volta, di disturbare qualcuno.
Entrai nella mia piccola camera e mi lascia cadere sul letto come un
peso morto, rimbalzando un pochino sul materasso. Era rozzo e a volte
puzzava…spesso era anche abbastanza scomodo ma quando pensai
invece a dove dormiva Safer da un bel po’ di tempo a questa
parte mi sentii come una principessa posata su un materasso imbottito
di raffinate piume d’oca e avvolta da lucide lenzuola di seta.
Forse era proprio a causa delle scomodità che doveva subire
se le sue ferite tardavano tanto a guarirsi completamente. Dovrei
portargli qualcosa…magari della paglia per creare un
giacciglio…coperte? Pellicce? Era estate e faceva ancora
caldo, ma come avrebbe fatto col sopraggiungere dell’inverno?
Beh, sempre che ci fosse ancora stato, in inverno.
La stagione delle nevi non era poi così lontana, ma era pur
sempre molto lontana.
Probabilmente le sue ferite sarebbero guarite ancora prima
dell’arrivo dell’autunno…e se invece non
fosse stato così?
Mi persi in quei pensieri contradditori, mentre mi preoccupavo che se
ne andasse troppo tardi e subito dopo desiderando che invece rimanesse
ancora a lungo. Mi addormentai.
Stavo sognando lui, che mi mostrava l’utilizzo della materia
Energia…solo che nel mio sogno mi insegnava anche ad usarle.
Non so di preciso cosa mi svegliò, fatto sta che quando
riaprii gli occhi mi ritrovai a fissare la faccia truce di mio padre,
che a sua volta mi osservava dall’altra parte della stanza.
Teneva qualcosa in mano ma, a causa del buio, non riuscii a capire cosa
fosse.
Mi buttò giù dal letto, imprecando e urlandomi
contro. Molto di quello che diceva non lo capivo, altro non me lo
ricordo, ma non credo fosse molto importante il significato delle sue
parole.
Un po’ spingendomi, un po’ trascinandomi, mi
portò sul retro di casa. Io neppure mi opponevo, anche se un
angolo della mia mente si domandava dove fosse il resto della mia
famiglia.
Non erano rari i colpi di testa di mio padre. Spesso erano violenti e
venivano sfogati su di me, ma se potevano i miei fratelli cercavano di
contrastarli. Almeno, qualcuno dei miei fratelli.
Mentre mi spingeva contro il muro e stringeva con entrambe le mani la
cosa che avevo già intravisto nella mia stanza capii che
stava per usare la cinghia di cuoio con cui puniva i nostri cani.
Cominciò a calarla sulla mia schiena con uno schiocco secco.
Erano vere e proprie frustate, sentivo il tessuto del mio vestito
lacerarsi e mi ritrovai stupidamente a pensare di esserne dispiaciuta
perché mi piaceva molto…ogni volta che la cinghia
mi colpiva la schiena, urlavo. Il dolore era intenso, troppo
intenso…questo finché l’ultima frustata
non lacerò anche la pelle, oltre che il vestito. Quel dolore
fu insopportabile.
Molto tempo dopo, quando avrei appreso cosa invece avevano fatto a
Safer, che, almeno per me, non era più Safer, mi sarei data
dell’insensibile mille e mille volte. Quel misero dolore che
provavo in quel momento non era nulla se paragonato a quello sia fisico
e mentale a cui erano stati sottoposti lui e i suoi amici, tanto e
tanto tempo prima.
Quando la furia di mio padre fu sbollita se ne andò
semplicemente, senza una parola. Si girò e tornò
dentro casa. Un istante dopo fu mia mamma a schizzare fuori dalla
porta, correndo nella mia direzione in lacrime.
-
Amore…piccola…tesoro…scusa…scusalo,
sai com’è fatto…ti vuole
bene…ti comporti così…ti vuole
bene…scusalo…tesoro… - farfugliava
mentre cercava di trascinarmi dentro casa di peso. Non ci riuscii e fu
costretta a chiamare Daisuke per farsi aiutare.
In quel momento non potevo sopportare nessuno dei due. Li odiavo quasi
quanto odiavo mio padre (che nonostante tutto non sono mai riuscita a
chiamare in altro modo…).
Odiavo lei per essere una debole: era stata là ferma sulla
soglia di casa a guardare, forse a piangere ma senza trovare un
briciolo di forza per opporsi. Sapevo che mia madre mi voleva bene, ma
se l’unico modo che aveva per dimostrarlo era di supplicarmi
di perdonare colui che mi aveva squarciato la schiena, allora poteva
anche tenerselo il suo affetto.
Daisuke invece era Daisuke…né più
né meno. Era l’ombra di mio padre, il suo sosia
incompleto…se nostro padre avesse detto che la luna era
fatta di formaggio lui avrebbe annuito convinto combattendo chiunque
avesse provato a fargli notare che la cosa era un po’
più complessa di così.
Avrei voluto spingere via lei e sputare in faccia a lui.
Purtroppo ero troppo debole anche per mandarli al diavolo,
così mi lasciai adagiare bocconi sul materasso di paglia. Il
dolore che provavo alla schiena era ancora molto intenso e la pelle
lesa pulsava dolorosamente, mentre sentivo rivoli di sangue scorrermi
giù lungo i fianchi.
L’unica cosa che fu in grado di fare mia madre, fu di darmi
da bere un intruglio di erbe per indurmi il sonno. Mi addormentai
subito, avvolta in un sonno senza sogni. Non sapevo se esserle grata o
no per questo, probabilmente lo fui.
Scoprii solo due giorni dopo, quando mi svegliai, ciò che
era successo. Almeno, ciò che aveva scatenato tanta ira.
Quello che era successo l’avevo ben capito da sola, e gli
stretti punti sulla mia schiena che erano stati messi dal medico di
famiglia testimoniavano l‘avvenimento. Tiravano ad ogni
minimo movimento e dolevano: il medico mi ordinò di non
muovermi dal letto finché non fosse stato il momento di
togliere i punti, altrimenti sarebbe rimasta la cicatrice. A me la cosa
non interessava assolutamente: volevo diventare una guerriera e le
cicatrici sarebbero state all’ordine del giorno
ma…naturalmente a qualcun altro interessava enormemente lo
stato della mia pelle…non erano molti i mariti a cui piaceva
avere consorti deturpate da lunghe cicatrici. Che potesse metterli dove
dicevo io, i consorti.
In fondo era stata proprio questa la causa scatenante…tanto
per cambiare!
Mio padre era andato da una delle importanti famiglie di Nacom (anche
noi lo eravamo, anche se può non sembrare) per propormi in
sposa al figlio maggiore…Takashi, mi sembra.
Com’è intuibile la cosa non era andata a buon
fine…un po’ per gli stessi motivi di sempre. Mio
padre allora era tornato a casa come una furia accompagnato da mia
madre e Daisuke…poi è successo quel che
è successo.
Tutti gli altri miei fratelli erano fuori, altrimenti sono certa che lo
avrebbero impedito. Per come li conoscevo, Seimei e Shin si sarebbero
lanciati davanti a Chocobo imbizzarrito pur di aiutarmi, e anche di
più. Ora vorrei non fossero stati così
devoti…soprattutto uno di loro due.
L’affetto che mi legava agli altri tre…Taka, Ryo e
Yo era diverso e meno profondo ma nemmeno loro sarebbero rimasti a
guardare come aveva fatto Daisuke che, per come invece conoscevo lui,
non aveva provato il ben che minimo rimorso.
Vorrei dire che quando finalmente ebbi la mia
“rivincita” fui solo felice, anch’io
senza provare rimorso…non è così.
Dopotutto la famiglia è una sola.
Rimasi in quel letto per…quanto? Non lo so, ma sembrava
quasi che ci avessi passato tutta la mia vita. E le ferite non
accennavano a migliorare. Doveva sentirsi così Safer, mentre
aspettava. Aspettava e aspettava senza poter fare nulla a riguardo.
Durante quel lungo periodo di convalescenza mi ero domandata
più volte perché non avesse usato su di
sé la materia per curarsi, come aveva fatto con me. Quando
glielo chiesi, in seguito, la sua risposta mi lasciò senza
fiato, indecisa se l’esserne felice o affranta.
Ed ero di nuovo sola. Abbandonata a me stessa. Shin stava cominciando a
prendere tutti gli accordi necessari per trasferirsi a Junon ed era
spesso fuori casa. Seimei doveva recarsi dal suo insegnante ogni giorno
per diverse ore e dopo passava la maggior parte del tempo con i suoi
amici, non capiva quanto mi sentissi sola relegata a casa senza nemmeno
la compagnia del mio migliore amico. In quanto agli altri non so, ma di
certo non avevano remore a lasciarmi a casa.
Approfittando del momento provai a sollevarmi in piedi. Il periodo di
immobilità era stato abbastanza lungo da stancare i miei
muscoli e la cosa non fu facile. Quando provai a distendere un braccio
la pelle sulla schiena si tese di riflesso e lo fecero anche i punti,
facendomi gemere dal dolore.
Arrivai fino alla finestra con estrema lentezza, anche se la distanza
da coprire non superava i tre passi. Aprii le imposte e lasciai che
l’aria fresca nel pomeriggio mi investisse con una dolce
carezza.
Poi guardai in basso, verso il cortile e rimasi senza fiato.
C’era Safer.
Safer che, con l’eleganza che lo contraddistingueva, avanzava
velocemente verso di me. Vestito del suo completo nero e con la lunga
spada che gli pendeva da un fianco.
- Cosa ci fai qui? - gli domandai in un soffio, così leggero
che io stessa faticai a sentire le mie parole.
- Sayuri - disse lui, venendo sotto la finestra e alzando la testa
verso di me.
Così, disse il mio nome e basta. Anzi, il mio nomigliolo.
Sentendolo pronunciare dalle sue labbra, sentii con un misto di
vergogna e confusione il sangue salirmi alla testa, arrossandomi le
guance.
Mi immobilizzai e lo fece anche lui che, più precisamente,
si irrigidii. Perché?
Safer chinò la testa, lasciando lo sguardo vagare intorno a
sé osservando la stalla, la casa e il cortile in cui si
trovava. Non si stava realmente guardando intorno, ma rifletteva su
qualcosa che non mi era dato sapere.
Avrei desiderato parlargli. Era tanto che non lo vedevo. Più
di due settimane.
Questa volta ero stata certa che se ne fosse andato, così
sicura che quasi non speravo di trovarlo ancora una volta, tornata al
suo nuovo accampamento, presso il campo di fiori.
Naturalmente l’avrei fatto, senza ombra di
dubbio…ma probabilmente anche senza nutrire molte speranze
in merito.
Invece era venuto lui.
Lui, da me.
Aprii la bocca per parlare ma tutto ciò che ne
uscì fu un gemito soffocato mentre mi sentivo cadere
all’indietro, indebolita dalla lunga inattività e
da tutte le medicine che mi affibbiavano.
Aspettai di cadere sul pavimento, magari anche di perdere i sensi, ma
quando effettivamente colpii qualcosa non era duro come mi ero
aspettata. E non ero neppure distesa.
Voltai la testa con fatica, forzando la schiena a una torsione che mi
tolse il fiato per il dolore, e mi resi conto che erano state le
braccia di Safer a trattenermi.
Safer mi ripetei nella mente.
Era in cortile…
Era nella mia stanza…
Ma era in cortile…
Scossi la testa, troppo stanca per pensare alla cosa, per quanto strana
potesse sembrare.
In fondo, adesso, non so proprio di cosa mi sorpresi, quella volta.
L’avevo capito subito che l’uomo che avevo
incontrato non era certo come gli altri.
Mi lasciai sollevare senza alcuno sforzo e mi posò sul
letto. Non sapeva delle mie ferite e lo fece in completa buona fede.
Dovetti mordermi la lingua per impedirmi di urlare come una bambina e
mi limitai a emettere un gemito sofferente.
Capendo immediatamente che qualcosa non andava mi riprese in braccio,
facendo scivolare un braccio sotto il collo e l’altro sotto
le ginocchia.
- Sayuri?! - mi domandò con una punta di allarme nella voce,
ma talmente lieve che l’avrei potuta solo immaginare.
- La schiena… - mormorai mentre la macchia nera di dolore si
ritirava dalla mia vista.
- La schiena…? - mi incoraggiò.
- Male - dissi. Complimenti, davvero come una bambina piccola. Ancora
una volta avevo fatto sfoggio delle mie perfette cognizioni
linguistiche.
Mi depositò di nuovo sul letto con delicatezza e mi scoprii
la schiena.
Non potei vedere la sua espressione, avendo la testa girata
dall’altra parte, ma non lo sentii emettere un suono.
Le sue dita si avvicinarono alla mia pelle, ma senza sfiorarla.
Percepivo solo vagamente il calore della sua mano. - Chi…? -
ora come ora, sono certa che aggrottò la fronte, cercando di
darsi una risposta da solo.
Scossi la testa o, almeno, ci provai. - Non è
niente…
Fermò la mano, me ne accorsi, prima di alzarsi in piedi e
allontanarsi dal letto. Misurò ad ampi passi la stanza poi
si voltò verso di me, che intanto avevo voltato la testa
nella sua direzione.
Safer aprì la bocca per parlare, poi cambiò idea
e la richiuse. Non so a cosa stesse pensando, probabilmente non a
quanto carina fosse la mia stanza (che naturalmente carina non era,
essendo ben poco diversa dalla stalla, a mio parere).
Alla fine si accostò nuovamente al letto e tirò
fuori la materia energia.
Senza che potessi dirgli niente mi curò. Ci posso credere
che era stato un eroe ai suoi tempi, in tutta la mia vita non ho mai
più incontrato qualcuno così abile
nell’utilizzo della magia. Non è rimasto neppure
un graffio a testimoniare quelle ferite.
- Chi è stato? - mi chiese poi in tono piatto. La sua voce
non era minacciosa, ma la sua espressione bastava da sola a chiarire il
suo malcontento.
Mi alzai a sedere e mi strinsi nelle spalle, contenta che il gesto non
mi provocasse più nessun dolore anche se sentivo ancora la
fastidiosa presenza dei punti nella mia pelle.
Ero restia a rispondere. Non so perché, dopotutto a quel
tempo Safer era per me soltanto…beh, soltanto Safer. Un uomo
insomma.
In quel momento sentimmo entrambi il rumore di un piccolo gruppo di
Chocobo che si stava avvicinando. Chiunque fosse non importava, non era
una bella idea che trovassero un uomo nella mia stanza. La cosa sarebbe
stata ragionevolmente fraintesa.
Mi voltai verso Safer per pregarlo di andare via prima che lo vedessero
ma lui era già sul davanzale della finestra.
- Ne riparleremo - disse cupo. Poi sparì, come se non ci
fosse mai stato.
Immediatamente, mi voltai e andai a sdraiarmi sul letto, nella stessa
posizione in cui ero stata lasciata. Non ero una stupida: sarebbe stato
impossibile per me spiegare quella guarigione miracolosa,
così feci finta di niente.
I tre giorni che mi separavano dalla visita del medico furono i
più duri da passare. Ora il mio corpo, non più
sofferente, era pronto per scattare, le mie gambe desideravano correre,
le braccia agitarsi freneticamente.
In quei tre giorni successero due cose.
La prima, fu che venne fissata la data in cui mio padre, accompagnato
da Daisuke e Yo, sarebbe andato alla Fattoria di Chocobo
nell’area delle grandi pianure, dall’altra parte
del nostro continente. Sarebbe stato un viaggio molto lungo, avrebbero
impiegato almeno due mesi per andare, diverse settimane per portare a
termine tutti gli accordi e gli scambi e almeno altri due mesi per
tornare.
Usava farlo qualche anno, l’ultima volta era stato quando ne
avevo appena compiuti quattordici (ben cinque anni prima) ed erano
stati i mesi più belli della mia vita!
Appresi che sarebbe partito in capo al mese successivo.
La seconda cosa che accadde in quei tre giorni dal principio mi parve
completamente irrilevante. Ah, se solo lo fosse stata!
Seimei stava preparando una specie di esame di storia e, approfittando
del fatto che ormai ero costretta a letto da tanto di quel tempo da
aver ormai perso il conto, mi strappò la promessa di
aiutarlo a studiare.
Fu così che trascorsero anche quei tre giorni, con Seimei
che mi perseguitava affinché mantenessi la promessa e col
progressivo raffinarsi delle mie tecniche da attrice tragica (dovendo
fingere di avere ancora la schiena devastata).
Quando poi sentii la voce del dottore avvicinarsi, mentre lui saliva le
scale, dovetti trattenermi dal lanciare un grido euforico, seguito da
una danza al centro della stanza o sul letto.
- E’ permesso? - domandò con voce educata.
Borbottai una risposta affermativa pregandolo di entrare: a differenza
di certa gente quell’uomo trattava tutti nello stesso modo,
che fossero uomini, donne o bambini finché avevano bisogno
di essere curati non faceva differenza.
- Hai avuto qualche fastidio? - mi domandò trascinando uno
sgabello accanto al letto.
- Per niente - risposi, sorridendo interiormente: presto sarei stata
libera di muovermi. - Anzi - aggiunsi, - negli ultimi giorni sono stata
sempre meglio. Non mi fa quasi più male!
Avrei volute vedere la sua espressione, cosa impossibile per me essendo
sdraiata sulla pancia, ma quando parlò la sua voce
suonò un po’ perplessa, un po’ irritata:
- Questo lo verificherò io.
Poi mi denudò la schiena e gli si mozzò il
respiro, boccheggiando alla ricerca di aria.
- Cos’è… cos’è
successo? - volle sapere con urgenza.
Corrugai la fronte prima di rispondere. C’erano problemi di
qualche tipo? Da quando ero stata guarita da Safer l’unica
cosa che mi aveva dato fastidio era la presenza invadente dei punti,
rimasti a tirarmi la pelle ad ogni respiro. Optai per fare la finta
tonta.
- Niente… - dissi, infondendo quanta più
perplessità potevo in quella risposta. - Ho semplicemente
seguito le sue istruzioni…sono stata a letto immobile senza
neppure sollevare la testa.
- Miracoloso…miracoloso… - lo sentii borbottare.
Poi sembrò riscuotersi quando si voltò verso di
me per spiegarmi.
- La ferita è scomparsa completamente, come se non ci fosse
mai stata: l’unico segno che rimarrà
sarà quello dei punti che ho messo io.
- Bene! Quindi posso alzarmi?!
- E’ meglio aspettare ancora qualche giorno
prima…sei ancora molto debole.
- Sì, ma dopo potrò alzarmi?
- Certo che sì… ora però è
meglio che ti tolga i punti.
Incredibile…incredibile…
Continuando a mormorare tra sé e sé
l’avvenuto miracolo (ah, se solo avesse saputo!)
tirò fuori uno alla volta tutti i suoi strumenti da lavoro e
cominciò a tagliare il filo nero con cui mi aveva ricucito
tutta la schiena.
Prima di cominciare mi aveva chiesto se preferivo qualcosa che mi
facesse dormire o un semplice lenitivo. Stavo quasi per rispondere la
prima opzione, ma avevo dormito più che abbastanza in quelle
settimane. Preferivo sentirmi indolenzita che stordita.
Alla fine, però, il lavoro fu così lungo, lento e
accurato, che finii per addormentarmi quando il lavoro non era ancora
finito.
Quando riaprii gli occhi il dottore se n’era già
andato, ma trovai Seimei nella stanza, seduto per terra a gambe
incrociate.
- Preparati alla più grande dimostrazione
d’affetto paterna - mi disse appena si accorse che avevo
aperto gli occhi.
- Eh? - borbottai.
- La cicatrice sulla tua schiena quasi non esiste - mi
ricordò Seimei. - Appena papà lo verrà
a sapere sarà così contento da mettersi a ballare.
Già, me lo immaginavo proprio mio padre abbandonato ad una
gioia folle.
- Ho dormito tanto? - domandai provando a cambiare argomento.
Seimei fece spallucce. - Un’oretta scarsa.
Si alzò in piedi e si tuffò con la testa nel mio
baule dei vestiti.
- Cosa stai facendo? - esclamai irritata, scendendo incerta dal letto.
- Ah, ma riesci già a camminare? - mi disse il mio
fratellino, anche se aveva un anno più di me lo trattavo
come se lo fosse, voltandosi a guardarmi reggendo una vecchia coperta
tra le braccia.
- Non proprio. Ehi cosa vuoi fare con quella?
Senza degnarmi di una risposta, Seimei mi avvolse bruscamente in quella
coperta e mi prese i braccio.
- Seimei! - mi lamentai dibattendomi e cercando di costringerlo a
posarmi a terra, invano.
- Datti una calmata, Yu. Ti sto solo portando a prendere una boccata
d’aria. E poi è giunto il momento di mantenere la
promessa che mi hai fatto!
- Quale promessa? - mi arresi, lasciando ciondolare la testa sul suo
petto.
- Devi aiutarmi a studiare, ti ricordo!
- Ohh, Sei… - gemetti sconsolata. - Non dirai sul serio,
vero?
- Sono mortalmente serio - mi assicurò. - Eccoci
qui…
Mi adagiò gentilmente per terra, assicurandosi che ci fosse
la coperta a tenermi calda la schiena e le gambe. In realtà
non credevo che quelle attenzioni fossero necessarie, ma le accettai di
buon grado.
- Allora, sorellina! Capitolo uno! - annunciò sedendosi
accanto a me, gambe incrociate.
Ci trovavamo nei campi dietro la fattoria, un prato immenso con qualche
rado albero che cresceva solitario qua e là. In quel momento
ci trovavamo all’ombra di uno di quelli.
- Seimei, davvero, ti sembro avere la faccia di una che ha voglia di
mettersi a studiare…studiare cosa, poi?
- Storia. Sorellina, tu hai sempre la faccia di una che non ha voglia
di fare niente, quindi non mi impietosirai per così poco.
Capitolo uno! - ripeté.
Scossi la testa, sospirando. Non conoscevo nessuno che sapesse essere
insistente più di Seimei, che quando si metteva in testa
qualcosa era impossibile fargli cambiare idea, tanto che più
di una volta ero stata convinta che sarebbe stata un’impresa
più facile bloccare un Chocobo imbizzarrito.
Sbadigliai, quanto meno per mostrargli che non ero certo entusiasta. -
Va bene, di cosa parla questo capitolo?
- Mmh… della caduta della Meteor.
- Va bene… - biascicai chiudendo gli occhi e appoggiando la
testa al tronco dell’albero. - Che cosa sai di questo
argomento?
Non lo stavo guardando, ma dalla pausa che fece dedussi che stava
riflettendo.
- Beh, a grandi linee i fatti li conosco… - rispose dopo un
po’. - Dopo sette anni dalla sua presunta morte,
l’eroe dei SOLDIER Sephiroth fece la sua comparsa e
cominciò ad uccidere un sacco di gente…di una
grande multinazionale… ma dato che era pazzo voleva anche
distruggere il mondo…umh…così
evocò la Meteor che doveva distruggere il pianeta ma altri
eroi, a capo dei quali c’era l’ex SOLDIER di prima
classe Cloud Strife, impedirono che il disastro accadesse e la Meteor
distrusse solo la città di Midgar… ehm…
Aprii gli occhi sconcertata.
- Hai fatto almeno lo sforzo di leggerlo quel capitolo o aspettavi che
lo facessi io per te?
- Emh… la seconda? - mi disse con un sorriso a trentadue
denti.
- Beh, immaginavi male - gli risposi scocciata, tornando ad appoggiare
la testa all’indietro. - Se vuoi leggi tu, io ti
ascolto…
Lo sentii sbuffare poi, dopo pochi secondi e un frusciare di pagine,
cominciò a parlare.
- Nell’anno xxx la società energetica della
Shin-Ra deteneva il monopolio…
Forse la sua voce lenta e calda, forse la brezza che mi soffiava sul
viso, forse la spossatezza per essere rimasta immobile per tanto tempo,
mi addormentai. Dormivo molto in quei giorni e la cosa mi infastidiva
non poco.
- Yu! Yuri! - mi svegliò dopo poco. O almeno dopo quello che
mi parve poco tempo.
- Hai già letto tutto?
- Sì! - rispose entusiasta. - Sorellina, Sephiroth era
fantastico!
- Cos’ha di tanto fantastico un uomo che prova ad ucciderti?
- domandai infastidita per essere stata svegliata, così
richiusi gli occhi.
- Ma quello solo dopo che è impazzito! Prima era fantastico!
Un vero eroe! C’è un capitolo su di lui! Ti
racconto? Vuoi che ti racconto?
- Se proprio ci tieni… - risposi ascoltando solo una parola
sì e due No.
- Sephiroth era il guerriero perfetto! Entrato nei SOLDIER da
giovanissimo e raggiunta la prima classe in meno di un anno! Oh, Yu, ti
piacerebbe un sacco… era abilissimo nell’utilizzo
di qualunque arma ed era un maestro del kenjutsu!
- Del che?
- L’arte della spada! Pensa, usava una spada dalla lama
lunghissima, chiamata Masamune. E’ una spada leggendaria, non
dirmi che non ne hai mai sentito parlare.
- Seimei, cosa vuoi che mi interessi del nome della spada di un
guerriero vissuto più di cento anni fa! Non vedi che sto
cercando di riaddormentarmi?
Era proprio da lui, assillarmi con un personaggio morto e sepolto da un
secolo. Sephiroth, come no, chi non ne aveva sentito parlare? Perfetto,
fin troppo perfetto, finché un giorno BUM! Gli è
saltata qualche rotella e ha cominciato a distruggere tutto quello che
aveva contribuito a creare, novità…!
- Dai Yuri, ascoltami, per favore! C’è anche una
sua foto, guarda! Ehi, era anche un bell’uomo!
- Senti - sbottai aprendo gli occhi e tirandomi a sedere. - Seimei, ho
detto che ti avrei aiutato a studiare, ma se l’unica cosa che
vuoi fare è continuare a parlarmi di un uomo grosso, brutto
e muscoloso che è morto cercando di ucciderci tutti, allora
dillo subito. Mi alzo e me ne vado, anche se dovessi strisciare fino in
camera mai.
Seimei chiuse il libro di scatto, l’espressione
imperscrutabile.
- Scusami… - mi disse.
Solo allora mi resi conto di come lo avevo trattato. Aveva solo cercato
di tirarmi su, parlandomi di un guerriero leggendario pensando che mi
sarebbe piaciuto, e io gli avevo risposto acida come un limone
avariato. Sospirai prendendogli il libro dalle mani.
- No scusami tu, Sei… è solo che essere stata
costretta a letto per tutto quel tempo mi ha completamente
scombussolato l’umore! Se vuoi continuiamo a studiare,
parleremo di Sephiroth un’altra volta, va bene?
Lo vidi annuire, sollevato che il mio scoppio d’ira si fosse
già esaurito.
- Ti leggo il capitolo due, va bene?
- Vai sensei! - mi disse lui sdraiandosi sulla pancia e osservandomi
con la testa appoggiata sulle braccia. - Argomento del capitolo?
- Mmh…direi gli eroi che combatterono il tuo adorato
Sephiroth!
- Cattivoni! - rispose lui ridendo. - Vai, parti!
E cominciai a leggere. Non passò molto tempo prima che
tornassi ad aprire le pagine di quel libro di storia e ancora oggi non
so se pentirmi o essere felice di non aver guardato la fotografia di
Sephiroth quel giorno.
Successivamente, non ebbi più opportunità di
studiare con Seimei e l’intera casa era in fermento.
Mio padre si accingeva a partire, accompagnato da Daisuke e la cosa
comportava numerosi cambiamenti (anche comportamentali) in tutti noi. I
gemelli non si spostavano più di casa (in attesa della
libertà che ci sarebbe stata per tutti noi con la partenza
del capofamiglia), mia madre era insieme felice e preoccupatissima di
non essere in grado di gestire la casa da sola e mio padre stesso
sembrava più allegro del solito.
Da parte mia, non potevo fare molto (ancora). Le visite del medico si
facevano sempre più frequenti, per accertarsi che non ci
fossero strane ricadute o chessò io.
Poi le Belle notizie, con la B maiuscola, arrivarono tutte insieme. Una
mattina mio padre e Daisuke partirono e quello stesso pomeriggio il
dottore venne a togliermi i punti.
La visita più noiosa di tutte! Sembrava quasi non volermi
più togliere quei maledetti punti!
La mattina dopo, mentre il sole aveva appena cominciato a comparire
oltre le montagne, stavo già camminando lungo il sentiero
che portava al prato dei fiori. Dovevo avanzare più
lentamente di quanto mi fosse abituale, dato che i muscoli delle mie
gambe avevano perso un po’ di quell’esercizio
acquisito in tanti anni.
Mancavano ancora una decina di minuti prima che arrivassi a
destinazione, ma all’improvviso Safer Safer da dietro un
albero.
Quando mi vide, sorrise, e la sua espressione mi sciolse il cuore. Era
stato cos’ strano e frustrante non poterlo vedere per un
tempo così lungo…ero talmente felice che le mie
gambe, già stanche per la fatica di arrivare fin
lì, cedettero.
Proprio come l’ultima volta che ci eravamo visti, Safer mi
prese al volo tra le braccia.
- Se non stavi ancora bene, avresti dovuto rimanere a casa ancora per
un po’ - mi rimproverò rimettendomi in piedi.
- Avevo paura che te ne andassi! - mi lamentai io, appoggiandomi a lui
in cerca di equilibrio.
- Credevo ti averti detto che ti avrei aspettato.
- Avresti potuto cambiare idea.
- Di solito - mi disse duro, - tendo a non rimangiare la parola data.
E’…una questione di onore.
- Onore? - domandai seria. - Cosa rappresenta per te l’onore?
Safer abbassò lo sguardo verso di me. Non era poi
così alto, ma comunque abbastanza più alto di me.
- L’onore è… - cominciò, ma
poi si interruppe e scosse la testa. - Lascia stare…
Aggrottai la fronte, infastidita. Stavo per lamentarmi quando Safer mi
prese in braccio e cominciò a camminare.
- Cosa fai? - esclamai mentre mi sollevava da terra.
- Ti trasporto - rispose, infastidito. Non voglio arrivare
all’accampamento questa notte.
Così mi lasciai portare da lui. Il suo petto era
così ampio, le braccia forti…stanca appoggiai la
testa sulla sua spalla e mi addormentai senza accorgermene.
- Sayuri… - mi chiamò lui un po’ dopo,
quando fummo arrivati, per svegliarmi.
Aprii gli occhi e mi resi conto di dove mi trovavo, di preciso.
Safer era seduto di fianco a me; mi aveva adagiata su quello che doveva
essere il luogo dove dormiva e poi mi aveva posato sopra una coperta.
Mi tirai su a sedere e gli sorrisi. - Grazie, ma non
occorreva.
- Non devi ammalarti… - mi disse, rigidamente, con gli occhi
che si guardavano intorno.
Il suo sguardo si fece duro all’improvviso e i suoi occhi
chiarissimi mi immobilizzarono.
- Quella ferita. Chi è stato?
- Safer, io… - cominciai.
- Non tirare fuori scuse! - esclamò lui. Era arrabbiato. Non
sapevo perché ma era arrabbiato, a tal punto che la forma
dei suoi occhi mutò e le pupille si assottigliarono fino a
diventare una fessura verticale, come quella di un serpente.
- Non posso dirtelo! - risposi coprendomi il viso con le mani,
ritraendomi.
Ero terrorizzata, non me ne era neppure accorta, ma mi aveva
terrorizzata, guardandomi con quello sguardo gelido.
Vedendo la mia reazione, chiuse i denti di scatto, con uno schiocco, e
si alzò in piedi.
Cominciò a camminare velocemente avanti e indietro, davanti
a me, respirando affannosamente, come se stesse cercando di calmarsi.
- Lascerò perdere - affermò dopo qualche minuto.
Il suo respiro si era normalizzato e mi fissava di nuovo con i suoi
occhi di sempre. - Per ora - e mi si risedette accanto.
Ci guardammo a lungo in silenzio.
I suoi pensieri, come sempre, erano imperscrutabili, ma tutto il mio
essere di protendeva verso di lui. Certo, mi aveva terrorizzata un
istante prima, ma era stato un qualcosa di talmente strano e istintivo
che era già dimenticato…invece lo strano calore
che avevo avvertito appena lo avevo rivisto, e che sentivo ancora in
quel momento, mi aveva dato coscienza di quel nuovo sentimento che
stava sbocciando in fondo al mio animo.
- Ti insegnerò - mi disse lui, dopo un po’.
Le sue parole mi colpirono all’improvviso, ma dolcemente. Mi
avrebbe insegnato…cosa? Mi avrebbe aiutato a realizzare il
mio strano, bizzarro, buffo sogno?
- Cosa mi insegnerai?
- Ti insegnerò a combattere…anzi no, ti
insegnerò a difenderti.
Santo cielo...questo
capitolo non è lungo...DI PIU'! Non so come abbia fatto a
diventare così lungo...anzi in realtà credo di
saperlo... XDXDXD volevo per forza dare il titolo "allieva e maestro" e
quindi ho dovuto continuare finché non toccavo l'argomento
desiderato! AHAHAH
Beh almeno
così mi scuso per un'assenza tanto prolungata!!! ^_^
Ringraziate il mio nuovo
"muso" XD sulle cui note ho prodotto più di metà
capitolo: Gackt!
Si ormai sto diventando
un po' fissata... XDXDXD
Beh, baci e lasciate un
commento!
Un grazie a Nemeryal,
FlyGirl e CHIHIRO che mi hanno commentanto anche il capitolo 7!!
Godetevi questo luuuuuunghissimo capitolo, spero che vi piaccia! (^^)V
|
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Capitolo 10 *** Addii ***
10. ADDII
Tornare a casa non fu mai più difficile di quel giorno. Era
come se qualcosa di indistruttibile mi avesse legata a Safer,
così allontanarmi da lui mi sembrava quasi qualcosa di
profondamente sbagliato.
Entrando in cucina trovai solo Seimei e i gemelli.
Subito dopo individuai anche Shin, ai fornelli. - Wow! - esclamai. -
Che cosa si festeggia?
- Shin ha ottenuto il trasferimento a Junon! - esclamò Taka
mimando un inchino.
- Che cosa? - domandai. Feci un’immensa fatica a mantenere
ferma la voce: la notizia mi aveva colpita come avrebbe potuto fare una
valanga.
- E’ arrivata questa mattina presto, ma tu te ne eri
già andata - spiegò Shin. Si voltò
verso di me tenendo lo sguardo abbassato, probabilmente sentendosi in
colpa.
Shin era il membro della mia famiglia cui ero più legata,
era come se se ne stesse per andare una parte di me e lui lo sapeva
benissimo.
Decisi di assumere un atteggiamento pragmatico. - Quindi, quando parti?
- La prossima settimana.
Incassai un altro colpo, solo di poco meno forte del precedente.
- Yuri… - cominciò Seimei, ma non gli lasciai
finire la frase. Non avevo certo bisogno di essere consolata.
- Beh, una bella notizia, no? - esclamai il più entusiasta
possibile. - Sentite…io non ho fame. Credo che
andrò a strigliare Lei Lan.
Uscii velocemente dalla cucina, dalla porta che dava sul cortile.
Cercavo di allontanare il pensiero della partenza di Shin. La
consapevolezza di quanto fosse vicina la data della partenza mi
schiacciava e, ormai lontana da occhi e orecchie indiscreti, permisi ad
alcune lacrime di scivolarmi sulle guance.
Presto i lievi sospiri si trasformarono in singhiozzi e a quel punto
non fui più in grado di arrestare un pianto disperato. Come
risposta Lei Lan arruffò le piume ed emise un suono
gracchiante.
- Non rompere, stupida gallina! - esclamai dandole un buffetto
affettuoso sul lato del collo.
- E’ preoccupata per te…Yuri, mi dispiace.
Mi voltai, sentendo la voce di Shin.
- Ti stai scusando - lo accusai. - Se pensassi che quello che stai
facendo è giusto, allora non avresti il bisogno di scusarti
con me. - Stavo diventando sottile come Safer.
- All’inizio credevo lo fosse, ma visto come sono andate
certe cose, ultimamente, non ne sono più sicuro…
- Ashling! - esclamai, alzando gli occhi al cielo. Già
sapevo come sarebbe andata a finire: io che consolavo lui,
anziché il contrario.
- Yuri, possiamo parlare?
- Stiamo già parlando… - non ero sottile: ero
acida. Nonostante non gli attribuissi nessuna colpa, non ero proprio
dell’umore adatto per essere gentile con chicchessia.
- Intendevo fuori, magari facendo due passi - rispose Shin
sistematicamente. Ormai mi conosceva troppo bene e sapeva come
prendermi. Parte della mia irritazione si sciolse come ghiaccio sul
fuoco.
Uscimmo dalla stalla e insieme ci allontanammo nella notte.
Arrivammo fino ai piedi della montagna, all’imbocco del
sentiero che prendevo per andare da Safer.
Prendendolo come fosse un segno, decisi di fermarmi.
- Shin, chiariamo una cosa - gli dissi. - Io credo che partire per te
sia la cosa migliore.
- Ma come posso lasciarti qui da sola? - ribatté lui
abbattuto.
- Già, poverina: sola al mondo! Ultima di sette
figli…
- Sai bene cosa intendo. Nostro padre diventa ogni giorno
più violento, nostra madre più debole e i nostri
fratelli più indifferenti. Ho davvero paura che ti succeda
qualcosa.
- Shin! - lo rimproverai. Era proprio da lui addossarsi tutta la
responsabilità. Gli piantai un dito davanti al naso e
ripresi a parlare: - Uno, con me c’è sempre
Seimei. Due, impara ad essere un po’ egoista: Junon
è il posto migliore per andare a studiare. Tre, non sono
più una bambina di cinque anni. So cavarmela da sola!
- Yuri…è proprio questo il punto: non
è così! Hai già dimenticato cosa ha
dovuto subire la tua schiena di recente?
E come avrei potuto dimenticarlo?
Mi chiesi come avrebbe reagito Shin se avesse saputo che la vera causa
della mia guarigione miracolosa era stata la magia di Safer.
- Saprò cavarmela - gli promisi, - ma tu devi partire.
E’ un’occasione importante per te, non ti
permetterò di lasciartela scappare.
Lo guardai dritto negli occhi, minacciosa: - A costo di doverti
chiudere in un sacco e portartici io stessa!
Shin mi rivolse un sorriso triste e radioso allo stesso tempo e mi
abbraccio stretta.
- Puoi venire da me quando vuoi, sorellina. Per tutto il tempo che vuoi
- mi disse nell’orecchio.
- Non credo che ne sentirò il bisogno tanto presto - lo
assicurai, sorridendo.
Shin si sciolse dall’abbraccio e mi allontanò da
sé quanto necessario per potermi scrutare in viso. Stava
ridendo.
- Cos’hai trovato in quel tuo bosco, eh, furbetta?
Gli sorrisi, facendo spallucce.
Tornammo insieme a casa. Era bello sapere che, per me, qualcuno ci
sarebbe sempre stato.
Diciamo che il vero titolo di questo capitolo è: voglio che
tutti i membri della famiglia di Yuri scompaiano.
Capitolo breve brevissimo e ne vado fiera. So che sembra strano detto
da me visto che sono io che sto scrivendo (ed è anche la
ventesima volta che lo dico credo), ma non ne posso più dei
problemi familiari di Yuri. Questa faccenda della famiglia era nata per
dare un po' di profondità alla storia e ai personaggi ma sta
cadendo nel ridicolo! Voglio Sephiroth, chi se ne frega di Shin che
parteee! Y_Y
Comunque! La trama dei successivi capitoli è stata una vera
e propria Epifania! Giurin giurello che tra un due capitoli circa la
"relazione" Yuri-Seph farà un ulteriore passetto in avanti!
*_*
Grazie mille per tutti i commenti e della pazienza accordatami! (^_^)/
Se non sto andando molto avanti a scrivere in questo periodo
è perché questo è il mio anno della
matura e sono mooooolto impegnata! ||O_O||
Pensate che questo misero capituncolo l'avevo cominciato a Natale! Poi
è arrivato "Assassin's creed" e trovo a malapena la forza di
volontà necessaria per andare a studiare! (^///^)
Grazie ancora, comincerò subito il prossimo capitolo! La
prima lezione di combattimento! (o che prova a essere cmq!)
^Ayame^
|
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Capitolo 11 *** La prima lezione ***
11. LA PRIMA LEZIONE
Ero innamorata. Non importava quanto la cosa apparisse nuova alla mia
mente e al mio spirito, ma lo amavo. Amavo Safer.
Me ne resi veramente conto durante quella che fu la mia prima lezione.
Nonostante avesse detto che avrebbe cominciato a farmi usare
un’arma solo dopo molto tempo, mi fu subito chiaro che mi
stava preparando allo scopo.
- Purtroppo sei completamente digiuna di ogni qualsivoglia tecnica di
combattimento. Dovremo cominciare dal principio… - mi disse,
dopo avermi osservata con attenzione.
Io rimasi immobile, in piedi, al centro della radura. Al pari di lui,
anche io lo stavo osservando.
Sembrava molto concentrato, immerso in chissà quale sua
speculazione… Ero certa di non essere la sua prima allieva:
sapeva benissimo come istruire qualcuno all’arte del
combattimento ma era come se un muro invisibile lo frenasse.
- Siediti - mi ordinò dopo qualche minuto di silenzio.
Si sedette con me e mi ingiunse di chiudere gli occhi. Cosa dovrei fare adesso?
mi chiesi con curiosità. Un attimo dopo mi prese il viso tra
le mani e mi disse qualcosa, ma non sentii una parola.
Le sue mani erano grandi e caldi, mi stringevano il viso delicatamente.
Per un minuto tutta la mia coscienza sembrò concentrarsi
solo su quel contatto fisico. Mi sentivo il viso in fiamme e mai prima
di allora il mio cuore aveva battuto così forte.
Cominciai a prendere coscienza dei miei sentimenti ma nonostante
questo, per me era così strano. Fin da quanto ero una
bambina, avevo sempre avuto ben presente quale sarebbe stato il mio
ruolo nella famiglia: al contrario dei miei fratelli, che godevano di
una certa libertà, io sarei stata data in moglie a chiunque
avrebbe favorito gli affari di mio padre.
Naturalmente ero sempre stata contraria alla cosa ma più per
un fatto di principio, senza una vera motivazione. Quel giorno
cominciai a pensare che, piuttosto che sposarmi con qualcuno che non
amavo, avrei preferito morire. Anche se così distante e
irreale, almeno per il momento, l’idea di separarmi da Safer
era troppo penosa da sopportare…
- Concentrati, Yuri! Non stai facendo attenzione.
Aprii gli occhi e trovai il viso di Safer a pochi centimetri dal mio
che mi fissava. Il mio stomaco fece una capriola.
- Scusami… - mormorai, sentendo tutto il sangue salire ad
arrossarmi le guance.
Safer sospirò e con un gesto mi fece richiudere gli occhi: -
Devi aguzzare la tua mente ed osservare il flusso del tuo spirito.
Quando avrai fatto questo non ci sarà nulla che non potrai
tagliare.
Cercai di fare quel che mi aveva detto…ma come potevo
osservare il mio spirito, ne non sapevo nemmeno che cosa fosse?
Quando glielo dissi, mi fisso allibito.
- Ma cosa insegnano ai giovani, oggi? - chiese, e il suo tono non
conteneva la ben che minima traccia di sarcasmo.
- Non certo a combattere… - risposi io stringendo le labbra.
- Soprattutto non alle ragazze.
Mi guardò, sollevando impercettibilmente un sopracciglio.
- Che assurdità - commentò schioccando la lingua,
irritato.
Aprii la bocca per sommergerlo di domande, come era mio solito. Safer
però mi precedette, rispondendomi ancora prima che potessi
parlare: - Sì, ho conosciuto molte donne guerriere e no, non
ho intenzione di raccontartene. Non ora comunque.
Richiusi la bocca di scatto sorpresa e irritata allo stesso tempo. E
cos’ero, un cane?
- Fatto sta - dissi incrociando le braccia sul petto, - che non ho idea
di che cosa tu stia parlando.
Safer puntò lo sguardo su di me, ma il suo volto era
inespressivo.
Il mio atteggiamento sembrava spazientirlo…come se si
aspettasse che sapessi già fare tutto quanto!
- Vieni qui - disse.
Mi fece sedere per terra e dopo un secondo mi raggiunse anche lui,
ponendosi a gambe incrociate davanti a me.
- Ascoltami attentamente. Puoi considerare lo spirito immanente al
Lifestream. Non solo è parte di esso, ma ne è
parziale manifestazione. Mi segui?
Annuii.
- Lo spirito è quella parte del Lifestream che pervade ogni
cosa in questo mondo. Esso però non è immobile ed
è cogliendo questo, istintivamente, che imparerai a muoverti
in una battaglia.
Quello che disse…sembrava avere senso, ma non riuscivo a
collegarlo a niente di reale che potesse permettermi non solo di capire
il concetto, ma ti applicarlo a livello pratico.
Mi morsi il labbro, frustrata. Allora Safer rise serenamente.
- Mi stai dicendo che sono partito da qualcosa di troppo complicato?
Evidentemente ti avevo sopravvalutata!
- No! No! Non è difficile, ci posso arrivare!
- Ne sono certo - mi sorrise e guardando la sua espressione, mi sentii
sciogliersi il cuore.
All’improvviso mi lanciò una cosa e io mi destai
dal mio sogno ad occhi aperti, afferrandola.
- Cos’è? - domandai. Un secondo dopo dischiusi le
mani e vidi una sferetta verde, piccola e fredda, che sembrava di
vetro. Ormai avevo ben imparato a conoscere
quell’affascinante oggetto.
- Cure? - chiesi ancora.
- Dopotutto, credo che potremmo iniziare da qui - disse assorto. - Due
cose devi sapere, per poter usare questa magia. La prima è
che nulla si crea e nulla si distrugge: ciò significa che
per poter sfruttare l’energia di questa Materia, dovrai
attingere alla tua propria energia. La seconda cosa, invece,
è che questa energia è lo spirito che si trova
dentro di te. Puoi attingere ad esso finché non si
esaurisce, poi dovrai aspettare del tempo affinché esso ti
colmi nuovamente.
- Ma come faccio ad attingere a questo spirito, se non so come trovarlo?
- E’ questo che devi imparare a fare. Concentrati: stringi
forte la materia e guarda, cerca dentro di te.
Feci come mi aveva detto. Se avessi stretto ancora di più le
mani, la materia mi sarebbe penetrata nelle carni.
Guardavo dentro di me, guardavo e cercavo, disperatamente, ma non
riuscivo a riconoscere ciò che Safer aveva chiamato spirito.
Avendo chiuso gli occhi, sobbalzai lievemente quando sentii che mi
appoggiava una mano sullo sterno. Subito qualcosa di simile a un suono
sordo cominciò a vibrare dentro di me, ma non avrei saputo
ben dire da dove.
- Cosa…?
- Shhhhh… - mi sussurrò lui vicino
all’orecchio e il mio corpo fu percorso da un brivido. - Non
aprire gli occhi, concentrati. Riesci a sentirlo?
- E’ come un tamburo silenzioso - dissi.
- Quello è lo spirito che è dentro di te,
l’hai trovato?
- Io…credo di sì.
Safer allontanò la mano e il tamburo cessò.
- Cos’è successo? Cosa hai fatto?
- Ho trasferito parte del mio spirito in te, che ha cominciato a
pulsare. Ora dovresi essere in grado di attingervi per usare ma
Materia. Prova.
Lo guardai, pietrificata, impugnare la sua katana con la mano destra,
mentre con la sinistra afferrava il filo tagliente della lama e la
faceva scivolare verso l’alto, procurandosi un lungo taglio
sul palmo della mano. Subito cominciò a sanguinare.
Ancora immobile dallo stupore, lo guardai porgermi la mano insanguinata
dicendo semplicemente: - Cura questo.
- Ma cosa…? Come puoi…? Tu…!?
- Vuoi fermarti a parlare di questo? - mi chiese sollevando un
sopracciglio, serenamente. - Qui c’è qualcuno che
sta perdendo sangue…
Era incredibile, sembrava che la cosa non lo toccasse minimamente! Come
se tagliarsi la mano con una spada affilatissima fosse cosa da tutti i
giorni. Una sciocchezza!
Sapere che tutto quel sangue era il suo sangue, mi faceva tremare,
invasa da un’ondata di freddo.
- Sayuri - mi chiamò lui dopo un secondo. La sua voce era
calda e soave e sembrava avere l’effetto di un balsamo sulla
mia agitazione. - Non preoccuparti. Stai calma. Pensa solo a
concentrarti sulla magia e a guarire la ferita.
Annuii, fermando immediatamente il tremito ai denti.
Chiusi gli occhi e cercai di nuovo lo spirito. Non pulsava
più ma, spinta dal desiderio di guarire l’uomo che
si trovava davanti a me, avvertii un lieve formicolio al torace e capii
che era quello l’energia che cercavo.
Ne attinsi e la infusi nella materia che convogliò una nuova
forza nelle mie mani.
Aprii gli occhi di scatto, piacevolmente stupefatta. I palmi delle mie
mani erano calde e brillavano di un’intensa luce verde.
- Ora, avvicinale alla ferita… - mi suggerì
Safer, guardandomi con orgoglio.
Continuando a stringere la Materia, presi la mano di Safer tra le mie.
Sentii che lo spirito che avevo infuso nella materia, lentamente, si
trasferiva sulla ferita, che cominciò a rimarginarsi.
Compresi che dovevo continuare a infondere nuova energia nella materia
e poi nella ferita, se volevo che questa si rimarginasse del tutto. Lo
feci fino a quando non mi ritrovai quasi completamente esaurita.
Alla fine allontanai le mani con un sospiro. Tremavo, non tanto per lo
sforzo fisico, quanto per l’allentarsi della tensione.
Quando alzai lo sguardo su Safer, mi dedicò il suo sorriso
più bello. In quel momento, solo per un istante, desiderai
buttargli le braccia al collo e baciarlo.
- Sei stata bravissima.
Fu lui, allora, che mi abbracciò con calore. Ripetendomi
ancora quanto ero stata brava.
Ringraziate il
venerdì, oh seguaci di Sephiroth! Perché
è grazie ad esso se potete leggere un nuovo capitolo! ;)
Obiettivo uno raggiunto:
Yuri è partita persa di Sephiroth! (^^)V
Spero solo che questo
capitolo non sia stato troppo noioso... (^///^) mentre lo rileggevo per
correggere, mi è sembrato di ascoltare un'interrogazione di
filosofia! O///O
Sono stata molto felice
di leggere i vostri commenti! Grazie infinite! <3 Avevo quasi
dimenticato quanto mi piace leggere i vostri commenti!
E' bello anche sapere che
continuate a leggere questa storia...e che tanti altri continuano a
unirsi alla lettura! ahah
Sephiroth: Ma
cos'é, una lettera di ringraziamento?
Yuri: Lasciala perdere,
per una volta che scrive avanti la storia.... (=_=)
Cmq! anche se questa
sembra davvero una lettera di ringraziamenti...credo di dover anche
ringraziare tutti coloro che hanno aggiunto la storia ai loro
"preferiti". Non me ne ero accorta, ma sono davvero molti! *_* Grazie
mille!
Ora è
tardissimo! Buona notte!! (^_^)/
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Capitolo 12 *** Nomi ***
12. NOMI
Il tipo di allenamento cui mi sottoponeva, con i giorni,
diventò sempre più vario.
Impiegai poco tempo a perfezionarmi nell’uso delle materia e
ne andavo molto fiera. Safer però non mi permise di tenere
con me materia con caratteristiche offensive. Tra l’altro, precauzione
del tutto inutile, secondo me, dato che al momento non ero in grado di
invocare una magia più di due volte di seguito.
Lui stesso mi aveva detto: “La quantità di spirito
che il tuo corpo può accogliere aumenterà con
l'allenamento”. Personalmente, ero convinta di non poter fare
molti danni con la mia attuale preparazione.
In ogni caso, anche per questo Safer mi spingeva ad allenarmi ancora e
ancora.
Un giorno decise di portarmi con sé nel folto della foresta.
Ricordo molto bene quella giornata: il sole era completamente nascosto
dalle nubi, che si facevano man mano sempre più scure e
minacciose. Avremmo dovuto capire cosa era in arrivo. In
realtà forse ne eravamo coscienti entrambi, ma non ci
facemmo caso.
Eravamo sereni, avvolti da una coltre di incoscienza e spensieratezza.
Quando l’avevo raggiunto, era stato proprio come tutti gli
altri giorni.
Safer sedeva sempre sullo stesso grosso masso. Teneva tra le mani la
sua bellissima spada e la puliva con un panno.
- Buongiorno - mi disse, sentendomi arrivare.
- Buongiorno! - lo salutai io allegramente. - Cosa facciamo oggi?
Safer alzò lo sguardo verso di me e scorsi una strana
scintilla nei suoi occhi, quando mi sorrise.
- Vedrai - rispose rinfoderando la spada e alzandosi in piedi. -
Seguimi.
Io subito gli fui dietro. Non era insolito che si prendesse e se ne
andasse, aspettandosi semplicemente che lo seguissi. Ormai era
diventata una specie di abitudine.
Era bello stare con lui, non solo per il rassicurante tepore che mi
avvolgeva quando gli ero accanto, ma perché ci si capiva
anche senza parlare. Spesso capitava che ce ne stessimo semplicemente
seduti l’uno accanto all’altro, guardando lo
scorrere dell’acqua di un ruscello.
All’inizio, in realtà, per me era stata una vera
tortura. Sono come un piccolo scoiattolo, che corre senza sosta,
saltando da un ramo all’altro alla ricerca di qualcosa di
indefinito. Stare seduta a non fare niente la trovavo
un’inutile perdita di tempo e questi sentimenti erano
cresciuti di molto dentro di me dopo quel lungo periodo di costrizione
a letto.
Le prime volte mi ero trovata a protestare. Safer si limitava ad
alzarsi in piedi e accontentare le mie richieste.
Però, col tempo avevo imparato a conoscerlo meglio. Era
molto di più di quel che mostrava di essere. Non so dire
precisamente quando me ne accorsi, ma un giorno capii che sotto quei
suoi atteggiamenti di sarcasmo e di scherno, si nascondeva un cuore
irrequieto e ferito.
Ancora adesso, non posso dire di aver compreso tutto ciò che
lo affligge. Già quella volta, però, avevo capito
che quei momenti di calma assoluta gli servivano a risanare almeno in
parte quelle ferite che non facevano altro che lacerargli il cuore.
- Ti prego, dimmi dove stiamo andando!
- Sayuri, le tue domande continuano ad essere poste solo per poter dar
aria alla bocca.
- Non è vero!
Sorrise. - Allora perché non aspetti semplicemente di
arrivare? Non ti fidi di me? Pensi che sia un modo per ingannarti?
Spalancai gli occhi. Erano in momenti come questi in cui mi chiedevo
veramente che tipo di uomo fosse Safer. Quale passato poteva spingere
una persona a pensarla in questo modo?
Scacciai debolmente quei pensieri e decisi di contrattaccare, come
ormai era mia abitudine. In effetti, avevo pensato a lungo alla
risposta che gli avrei dato, se mai avesse tirato di nuovo fuori questo
argomento.
- Non c’è niente che non valga la pena di sapere -
risposi, mentre un sorriso mi si allargava sul volto, - e mi piace
sentirmi pronta per quello cui vado incontro.
Mi fissò intensamente e disse: - Quando sei con me, non devi
preoccuparti di questo.
Aveva vinto di nuovo lui. Ingoiai la risposta tagliente che mi
balzò sulla punta della lingua.
Alla fine non mi disse niente.
Dopo un po’ci lasciammo alle spalle il brutto tempo, che
aveva rallentato la sua avanzata, e qualche raggio di sole
cominciò ad accarezzarci la pelle. Quella di Safer era
talmente chiara che sembrava brillare come la luna.
- Questa è per te - disse, voltandosi improvvisamente.
Dapprima rimasi a bocca aperta per lo stupore poi, calde lacrime
cominciarono a scorrermi lungo le guance per la contentezza. Tra le
mani reggeva il fodero di una katana. Era scarlatto, con dei decori a
forma di giglio per tutta la sua lunghezza. L’elsa della
spada era rosso e argento.
Si inginocchiò e me la porse. Io non osavo muovermi e potevo
solo perdermi nell’intensità del suo sguardo.
- Lo so che è ancora presto per questo - mi disse con il suo
tono di voce più caldo, - ma desideravo essere io a donarti
la tua prima spada. - Rise. - Conoscendoti, presto saresti andata a
commissionarti una katana per conto tuo!
- Ecco dove sei andato la settimana scorsa! - esclamai singhiozzando
come una stupida.
- Dove altrimenti? Ora smettila, e prendila.
Impugnai l’elsa con una mano tremante e l’estrassi.
La lama risplendeva come un diamante.
Superato lo stupore iniziale, capii immediatamente perché
fino a quel momento avevo usato spade di legno, quelle poche volte in
cui mi aveva dato lezioni di scherma, e soprattutto perché
la lama della mia spada era molto più corta della sua: era pesantissima e senza poterci far nulla, mi fece sbilanciare in avanti.
Safer intanto si era rialzato in piedi e mi diede una carezza sulla
guancia. - Non ha ancora un nome. Sarai tu a darle uno, quando vi
sentirete pronte.
Spalancai gli occhi sorpresa, avevo sentito di spade e armi leggendarie
con un nome proprio, ma non credevo ci fosse ancora l’usanza
di dare un nome alla spada. Soprattutto, non credevo che la mia spada
potesse mai avere un nome.
- Anche la tua spada ha un nome?
Lui indietreggiò di un passo, nello sguardo di nuovo
quell’ombra malinconica, ed estrasse la lunghissima katana. -
Oh, sì. - Disse osservandone la lama.
Non aggiunse nient’altro. Rimase immobile in quella posizione
per qualche secondo, poi la rimise nel fodero. Capii che era una di
quelle cose di cui non aveva intenzione di parlare.
Mi chiesi, come facevo sempre in questi casi, se un giorno avrebbe mai
deciso di raccontarmi la verità. Quando successe, avrei
preferito avvenisse in modo molto diverso.
Credevate potesse
accadere? Un nuovo capitolo!! °_°
In realtà
visti i pochi commentino Y_Y non trovavo lo sprint per
scrivere… (un po’ perché
d’estate la gente fa altro, un po’
perché anche io facevo altro! Hihi)
Comunque! Capitolo breve
breve ma solo perché ho deciso di tagliare a metà
quello che stavo scrivendo! A breve il prossimo! (spero ^_^)
Per il resto mi sento in
crisi…. *_* come diavolo dovrebbe finire questa storia? (non
vi preoccupate, la fine non è lontana…
E’ LONTANISSIMA!) Ieri mi sono messa a buttare giù
qualche schema e a un certo punto mi sono ritrovata nel panico!
Come al solito, ringrazio
tutti coloro che mi hanno lasciato i commenti! ;)
Nemeryal, tu ci sei
sempre! *corre in contro con i luccichini agli occhi* e Lirith sembra
sul buon punto per seguirti a ruota! *corre incontro pure a lei*
E un grazie anche a
Wicked Soul e a Shiva Fuyu, naturalmente! ;)
Capitolo 12: Behemoth. E
sarà da divertirsi….
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Capitolo 13 *** Behemoth ***
O mio dio o mio
dio…E’ un miraggio? Sarà dovuto al
caldo?? NOOOOOO è un nuovo capitoloooo! Per questo
ringraziate tutti ribrib20 che ha avuto la grazia di venire a prendermi
a calci! xD scherzo scherzo… cmq ecco qui, magia!
E doppia magia, appena avrò finito di
correggerlo…arriverà anche il capitolo 14!
Già pronto per le stampe! (e per questo dovete ringraziare
la mia non-voglia di studiare che farebbe qualsiasi cosa pur di tenermi
lontana dai miei libri di letteratura francese! Argh.
13. BEHEMOTH
Qualche minuto dopo vidi il primo dei motivi per cui Safer mi aveva
portato lassù.
Piano piano eravamo giunti in uno dei punti più alti di
quelle montagne. Senza proferir parola, si limitò a
indicarmi con un braccio lo spettacolo davanti a sé: potevo
vedere tutta la vallata! Anche il mio villaggio, che non era
più di un piccolo ammasso di casette ai piedi della
montagna, e oltre ad esso …
- La riconosci?
Annuii. - Midgar. E’ bellissima.
Ma bellissima in un modo perverso. Il cielo grigio, la nebbia,
l’acciaio e il ferro della decaduta città
sembravano avvolgerla di una grigia solitudine.
- Avresti dovuta vederla…cento anni fa - mormorò
a mezza voce. Più parlando a se stesso che con me.
Non era la prima volta che diceva cose del genere, apparentemente senza
senso. Era il suo passato che premeva per emergere senza che lui
potesse fare niente per fermarlo. Di questo ne ero certa.
Così come ero certa che esso avesse qualcosa a che fare
proprio con Midgar.
- Grazie per avermi mostrato questo posto - gli dissi, socchiudendo gli
occhi e respirando a fondo l’aria densa di umidità
a causa del temporale che si avvicinava.
- Una volta conoscevo molto bene queste montagne. Credo siano
l’unica cosa rimasta così come l’avevo
conosciuta.
Safer… - Mi parlerai mai del tuo passato?
Lo vidi irrigidirsi. - Forse - rispose piatto. - Se non avrò
altra scelta.
- Cosa? Perché? Cosa puoi aver fatto per non volerne
raccontare?!
- Tu non le puoi capire certe cose - mi disse con un tono di voce
freddo e distaccato.
Io invece mi stavo decisamente scaldando.
- Beh, mettimi alla prova! - esclamai alzando la voce.
Presto mi sarei messa urlare…a causa di una lieve isteria
ereditata da mia madre. Odiavo mettermi a urlare: mi faceva sentire una
persona debole, come lo era lei, ma in quel momento non potevo proprio
farne a meno.
- Non ho intenzione di farlo - disse dandomi le spalle.
Ma io non avevo intenzione di lasciargli cambiare argomento. Mi sentivo
ferita e confusa e così arrabbiata da non rendermi conto che
stavamo litigando. Un litigio serio. Il primo che avessimo mai avuto.
- Codardo! - gli gridai contro. - Idiota! Bastardo!
Lui mi ignorò e lacrime di frustrazione cominciarono a
scendermi lungo le guance. In seguito una vampata di calore mi fece
capire che la mia faccia era diventata tutta rossa per la rabbia e la
vergogna.
Non avevo nessun diritto di voler sapere del suo passato! Tanto meno di
arrabbiarmi se lui si rifiutava di raccontarmene! Io stessa non gli
avevo mai raccontato di mio padre…anche se forse qualcosa lo
aveva già dedotto per conto suo.
Però… però…
- Ti odio! - strillai con la voce stridula. Gli diedi uno spintone e
corsi lontano da lui, nella foresta.
Prima di essere troppo lontana mi voltai a guardarlo, una volta sola.
In quel momento anche lui si girò, lentamente. I capelli gli
vorticavano intorno a causa del vento mentre la luce cremisi del sole
al tramonto sembrava trasformarli in lingue di fuoco. Circondato dalle
fiamme.
Non mosse un passo verso di me. Non mi corse dietro, non mi
chiamò, non cercò di fermarmi.
Lo odiai ancora di più per questo e continuai a correre.
Avanzavo letteralmente alla cieca, le lacrime mi offuscavano la vista e
non avevo idea di dove stavo andando. Come se non bastasse,
scoppiò il temporale.
Non passò molto tempo prima che l’acqua
trasformasse il terreno in una palude fangosa. Scivolai e caddi,
sbattendo sulle rocce.
- Merda… - gemetti.
Mi misi a sedere, muovendomi con circospezione. Il colpo mi aveva
mozzato il respiro e un’improvvisa fitta al fianco destro mi
fece temere di avere qualcosa che non andava.
Respiravo profondamente: ogni minimo movimento mi procurava un immenso
dolore. Appoggiai la testa all’indietro, contro la radice di
un immenso albero e chiusi gli occhi.
Anche così però non riuscivo a togliermi dalla
mente l’immagine di Safer circondato dalle fiamme.
Per un istante avevo avuto come la sensazione di averlo già
visto da qualche parte, tantissimo tempo prima. In realtà
non era niente più di un presentimento, ma non era un bel
presentimento: mi dava una pesante sensazione di disagio.
- Safer… - sospirai.
Mi sentivo così in colpa per avergli urlato contro. Non
c’era da meravigliarsi se non si era nemmeno sognato di
venirmi a cercare.
- Sono una stupida - dissi a voce alta. Non avevo nessun diritto di
urlargli contro!
In quel momento sentii un rumore alle mie spalle, come di legno che si
spezzava.
- Safer! - chiamai, ricolma di gioia.
Dopotutto era venuto!
Cercai di alzarmi, aggrappandomi alla radice e puntellando i piedi.
- Safer, sono qui!
Respiravo a piccoli rantoli e ogni nuova soffiata d’aria mi
procurava una bruciante fitta al fianco.
Finalmente in piedi, azzardai un passo verso Safer quando qualcosa di
duro e velocissimo mi colpi in pieno petto e mi mandò a
sbattere contro il tronco dell’albero.
- Safer?! - esclamai, spaventata.
Aprii gli occhi e vidi che davanti a me non c’era Safer, ma
un immenso mostro dalla pelle squamosa e violacea, con una lunga coda
ricoperta di aculei.
- Safeeeeeer! - strillai terrorizzata e sentii la mia voce riecheggiare
per la foresta.
Dimentica del dolore cercai di strisciare al sicuro, mi lasciai
scivolare sotto a una delle grosse radici dell’albero,
nascosta alla vista.. Tremavo visibilmente. E…mi sentivo
ancora più stupida.
Con tutte le mie idiozie sul come volevo diventare una
guerriera… e invece ero poco più di un cucciolo
bagnato. Anzi, ero esattamente un cucciolo bagnato, tremante che
aspetta di essere soccorso.
Facevo fatica a respirare. Per il dolore e la paura. Non riuscivo
nemmeno a pensare.
Il mio istinto non mi era di nessun aiuto, mi diceva di rannicchiarmi e
di aspettare che tutto si risolvesse ma sapevo, da qualche parte nel
mio “io” ancora cosciente, che non era quella la
soluzione!
Il mostro per il momento mi aveva perso di vista ma potevo sentirlo
aggirarsi a pochi metri da me. Dibatteva furiosamente la coda e batteva
il suolo con le zampe.
Il mio corpo fu scosso da un tremito, subito dopo sentii un denso grumo
salirmi in gola. Lo sputai per terra immediatamente, ma questo non
impedì al suo forte sapore metallico di rimanermi in bocca.
Era sangue.
Uh-Oh…c’è più di qualcosa
che non va…
Cercai di fare leva sulle mie braccia per sollevarmi ma fui nuovamente
sconquassata dalla tosse e vomitai altro sangue. Questo non andava per
niente bene. Sapevo cosa poteva significare…una lesione
interna.
Ricordo i numerosi tentativi che feci per calmarmi. Respirare
lentamente e a fondo, cercando di muovermi il meno possibile per non
farmi scoprire dal Behemoth, che ancora cercava poco lontano da me, e
di non provocare altre emorragie. Cosa che non fu facile dal momento
che ogni respiro suonava più come un rantolo e che il mostro
si faceva sempre più vicino, con la pericolosa coda che
ondeggiava nervosamente e il suo enorme muso che annusava
l’aria e il terreno. In quel momento inviai una silenziosa
preghiera di ringraziamento ad Sadachbia, dea della pioggia e delle
cose nascoste: se non ci fosse stato il temporale a coprire il mio
odore, il mostro mi avrebbe già trovata.
Alla fine presi in mano la materia di cura e la strinsi forte tra le
dita fino a che le nocche non mi diventarono bianche. La mia unica
speranza era di riuscire a curarmi le ferite, almeno parzialmente, e di
riuscire a scappare in un attimo di distrazione da parte del
mostro…sapevo anche di dover agire molto, molto velocemente
perché nel momento in cui il bagliore sprigionato dalla
materia avesse attirato la sua attenzione, non avrei avuto che pochi
secondi per alzarmi e correre via, al sicuro.
Presi fiato un’ultima volta: questa volta il respiro era
più profondo, regolare e mi concentrai sulla piccola sfera
che stringevo spasmodicamente nella mano sinistra. Lentamente, sentii
la materia riscaldarsi a contatto con la mia pelle, il calore si
propagò lentamente lungo il braccio e in tutto il mio corpo,
segno che stava funzionando. Potei sentire la magia lenire e rigenerare
i miei tessuti man mano che il bagliore si faceva più
intenso.
Ancora un poco…ancora un altro poco… pregavo.
Purtroppo non ebbi tempo di finire: il Behemoth mi aveva individuato e
si era avventato verso di me con le zanne snudate. Scivolai di lato,
più per fortuna che per riflesso, terrorizzata. Sentivo la
paura che si stava impadronendo delle mie gambe, immobilizzandole, ma
questa volta non glielo permisi.
Approfittando del mancato attacco da parte del mostro, scattai nella
direzione opposta. Non sapevo dove stavo andando,
l’importante era allontanarsi il più possibile.
Se solo non mi fossi lasciata sfuggire di mano la materia…
pensai digrignando i denti. Non ero riuscita a guarire del tutto la mia
ferita, potevo sentire ancora delle lievi fitte mentre correvo. Avevo
solo paura che se si fosse riaperta, questa volta sarei stata
spacciata.
Adesso però la mia mente, non più offuscata dal
dolore, era un po’ più lucida.
Ero riuscita a mettere una buona distanza tra me e il Behemoth ma
potevo ancora sentirlo dietro di me mentre ruggiva e abbatteva la
vegetazione lungo il cammino.
Non potevo continuare così ancora per molto, e lo sapevo.
Dov’era Safer quando avevo bisogno di lui?
Raccolsi quanto più fiato potevo e urlai il suo nome una,
due, tantissime volte sperando che mi sentisse. Safer era la mia unica
speranza, altrimenti sarei stata spacciata.
Lo chiamai un’altra volta, correndo sempre più
forte. Poi, lo vidi. Si trovava a pochi metri da me, teso in avanti
come se anche lui stesse correndo fino a un attimo prima.
Feci uno scatto verso di lui e lo sentii invocare il mio nome nello
stesso momento in cui io urlavo il suo; ma le nostre voci ebbero un
timbro molto diverso. La mia era carica di sollievo e rinnovata
speranza: ora che c’è lui non ho più
niente da temere, pensò subito una parte di me. Quella di
Safer, invece proruppe come un tuono, vibrante di paura.
Prima di riuscire a capire il perché di quel tono, sentii
uno strano, improvviso, dolore alla spalla. Abbassai gli occhi, senza
capire, e vidi qualcosa di bianco e acuminato fuoriuscirvi: uno degli
aculei del Behemoth mi aveva perforato la carne.
Un improvviso strattone all’indietro mi vece vacillare: il
mostro aveva estratto l’aculeo e un secondo dopo il sangue,
senza più niente ad arginarlo, cominciò a
sgorgare copioso dalla ferita.
Ricordo tutto molto chiaramente, soprattutto, ricordo che non ero
lucida.
Vedevo le cose con gli occhi di un’osservatrice esterna, come
se niente di tutto quello che stava succedendo mi riguardasse
realmente.
Vidi Safer scattare in avanti e afferrarmi tra le braccia proprio
mentre le ultime forze mi abbandonavano e stavo per cadere a terra;
fece un balzo all’indietro, fuori dalla portata della lunga
coda del mostro.
Mi accarezzò il viso, senza lasciarmi andare, allontanandomi
i capelli dalla fronte.
- Un incantesimo di cura… - lo sentì mormorare a
se stesso la parte cosciente di me.
I miei occhi erano persi nell’azzurro dei suoi e fu con
grande rammarico che li chiusi per qualche istante, aspettando che il
familiare calore della magia mi pervadesse. Invece mi sentii cadere, di
nuovo, ma ancora tra le braccia di Safer: il Behemoth era partito a
nuova carica e non gli aveva lasciato il tempo di compiere
l’incantesimo.
Aprii debolmente gli occhi e lo vidi sopra di me, a farmi da scudo per
proteggermi dagli attacchi del mostro.
- Sayuri! Yuri, riesci a capire quello che sto dicendo? - mi disse con
un tono di premura nella voce.
Annuii con difficoltà. Questa volta, cadendo, avevo sbattuto
la testa e tutto si era fatto ancora più confuso.
- Devi resistere, hai capito? Devi resistere un po’, solo un
altro po’. Farò il più presto possibile.
Fece per alzarsi ma gli afferrai una manica, nel vano tentativo di
trattenerlo: quel mostro era troppo forte, nemmeno lui sarebbe riuscito
a sconfiggerlo. A quell’epoca credevo così.
- Lasciami qui e vattene - provai a dire, ma non mi uscì
altro che un gorgoglio confuso. Sputai un po’ di sangue.
- Resisti - mi ripeté invece lui con un tono molto diverso
da quello che aveva usato prima. Non una supplica, un ordine.
Mi scostò ancora una volta i capelli dalla fronte e vi
posò un leggerissimo bacio.
Quando fu di nuovo in piedi, stagliandosi imponente e terribile davanti
al mostro, estrasse la sua lunghissima katana dal fodero e si
preparò ad affrontare il Behemoth. Anche il mostro
sembrò cambiare atteggiamento: appariva più
cauto, ora. Snudò le zanne e ruggì.
Safer cominciò a muoversi circospetto intorno al mostro ma
anche nelle mie condizioni potevo percepire l’aura di
impazienza che irradiava da lui.
Cambiò posizione: lasciò scivolare un piede
indietro, preparandosi ad attaccare. Per un attimo la lama della spada
mi sembrò scintillare di un bagliore sinistro. Poi lo
scontro iniziò, e io persi definitivamente i sensi.
Eccolo qui, che ve ne pare? Ha
anche una lunghezza di tutto rispetto, eh! In realtà doveva
comprendere anche il capitolo quattordici ma questi due hanno attaccato
a parlare e non c’entrava più niente con
“Behemoth” e quindi ho tagliato in due e ho
continuato a farli parlare!
Tra parentesi…ritengo che Sephiroth non venga
l’ora di venire allo scoperto perché rileggendo ho
scoperto che avevo scritto appunto “Sephiroth”
invece di Safer almeno 4 volte! Santo cielo….
Ebbene…A PRESTO CON IL CAPITOLO 14!!
@Lirith: nooooooooo!! Y_Y non è una mia usanza è
una mia maledizioneeee! Mi perdo in buchi neri e in depressioni varie!
Finché mi convinco di non essere capace di scrivere e quindi
non ho cuore di mettermi a rovinare una storia! Poi mi dico e
vabbé chissene! Poi mi metto e non mi ricordo più
cosa volevo scrivere!! E allora devo rileggermi gli ultimi 3 capitoli e
intanto passano altri 3 giorni! È una
maledizioneeeeeeeeeeeeee! xD à quindi mi potete cazziare
quanto volete, per dirlo con un termine elegante!!!
@Yue Ichijo: posso svelarti un segreto? (pssss… Io a Final
fantasy 7 ci ho giocato 10 minuti nel lontano 2000 e poi, una volta
compreso di non capire la storia visto che a 10 anni
l’inglese praticamente non lo sapevo c’ho
rinunciato! A volte ora ci riprovo ma la grafica è talmente
brutta che proprio non ci riesco!!) Ma non dirlo a nessuno! =P Infatti,
tra parentesi, vedrete che nel prossimo capitolo parlerò un
po’ di geografia. Ti pare che ho dovuto fare una ricerca su
final fantasy wikipedia? E qui stendiamo un velo pietoso.
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Capitolo 14 *** Sentimenti ***
14. SENTIMENTI
Non so per quanto tempo rimasi incosciente. Forse sognai, ma non ne
sono certa. Ricordo solo uno strano rumore, come un fruscio,
e una rassicurante sensazione di calore.
Aprii gli occhi a fatica, la mia mente era ancora confusa. Aveva smesso
di piovere ma per qualche secondo tutto fu ancora annebbiato e
indistinto. Strinsi i pugni e gemetti di frustrazione.
Eh? Capelli?
Solo allora mi accorsi di cosa stessi stringendo con forza nella mano
destra.
All’improvviso fui di nuovo perfettamente lucida e vidi
Safer, chino sopra di me. Immobile, in silenzio.
- …ho creduto… - disse a voce talmente bassa che
riuscii a malapena a sentirlo. - …ho creduto… che
fossi morta…Troppo lento a uccidere il mostro…e a
curare le ferite…
I suoi occhi…
Mi sentii stringere il cuore in una morsa. La sua
espressione…così tormentata! Come se volesse
piangere ma non fosse in grado di farlo, ciò mi fece provare
una sensazione di intenso dolore. Un dolore quasi fisico.
- Ma per fortuna hai ripreso i sensi… Sayuri…
La mia vista si fece di nuovo annebbiata. Pensai che fosse per la
ferita alla testa ma quando sbattei le palpebre capii: stavo piangendo.
Safer era lì, a pochi centimetri di distanza da me, tesi le
braccia verso di lui e lo abbracciai, nascondendo il viso
nell’incavo del suo collo e lasciandomi andare ai singhiozzi.
- Sayuri… - disse lui stringendomi a sé. -
Perché stai piangendo?
Sto piangendo per
te…dal momento che tu non puoi farlo, pensai,
ma non gli risposi nulla.
Quel rumore che avevo continuato a sentire, quella bellissima
sensazione di calore… Era rimasto al mio fianco per tutto il
tempo.
- Non piangere - pregò lui, accarezzandomi dolcemente i
capelli.
In quel momento mi resi conto di come dovevo apparire sporca e
miserabile, ricoperta di sangue e fango ormai asciutti. - Non
permetterò più a niente e a nessuno di farti del
male. A nessuno, te lo prometto.
Smisi di piangere, ma restammo in quella posizione ancora a lungo,
stretti l’uno nelle braccia dell’altro mentre Safer
mi cullava dolcemente.
- Mio fratello Shin partirà per Junon tra qualche giorno -
gli raccontai.
- Ah, sì? - rispose lui pacatamente, appoggiando la guancia
sulla mia testa.
- Ci va per studiare - spiegai. - Pensavo di accompagnarlo e restare da
lui qualche giorno.
- E’ molto tempo che non vado a Junon. Non so se è
ancora come la ricordo io.
- Non so risponderti, - dissi - non mi è mai stato permesso
allontanarmi da Nacom.
- Non è un paese molto liberale il tuo, non è
così?
- Direi che è così in tutto il
continente…ma ho sentito che in quello occidentale, Corel,
le donne sono al pari degli uomini. Sembra addirittura che il
governatore di South Corel sia una donna.
La mano di Safer si fermò per un secondo, poi
ricominciò ad accarezzarmi i capelli.
- Sembra?
- Questo è un continente molto chiuso. Non abbiamo rapporti
con Corel da prima che nascessi. Credo da ancor prima che nascesse Shin
- spiegai. Nonostante non volesse raccontarmi del suo passato, avevo
capito ormai che le sue conoscenze del Pianeta erano un po’
distorte. Talvolta “antiquate”.
- Mmh… - mormorò lui. - Un giorno ti ci
porterò, se vorrai.
Cercai di sorridere: per fortuna non poteva vedere il mio viso,
perché non ci riuscii. Sarei stata in grado di dirgli che il
mio destino era di sposare un uomo scelto da mio padre? Come potevo
spiegargli che la disobbedienza a tale precetto autorizzava la famiglia
a punire la figlia con qualsiasi mezzo, anche la morte?
Istintivamente, mi rannicchiai contro di lui.
- Cosa c’è? - volle sapere.
- Devo andare adesso, - mentii.
Lentamente, dolorosamente, ci sciogliemmo dal nostro abbraccio e ci
alzammo in piedi.
Le nostre spade erano una accanto all’altra, come eravamo
stati noi fino un attimo prima. La spada di Safer era infilzata al
suolo mentre la mia le era stata appoggiata accanto.
Quando avevamo litigato ed ero scappata via da lui, non mi ero nemmeno
ricordata di prenderla. L’afferrai e la soppesai con entrambe
le mani, osservandola.
- Safer - dissi alla fine, - puoi tenerla tu per me? Almeno fino a
quando non tornerò da Junon? Non vorrei che mia madre la
trovasse rassettando la mia stanza.
- Certamente - assentì lui.
Sospirai e la riappoggiai per terra. Poi mi concessi un attimo per
osservare la lunga spada di Safer: era perfetta. Continuavo a
paragonare la mia alla sua: mentre l’elsa della mia spada era
tutta decorata e colorata, la sua appariva spartana, quasi anonima se
non fosse stato per una piccola incisione sulla lama, vicino
all’attaccatura con l’elsa.
Erano due ideogrammi che si leggevano Masamune. Mi
accigliai, dove avevo già sentito questo nome?
Perché mi era familiare?
Le mie riflessioni furono interrotte dalla voce pacata di Safer alle
mie spalle.
- Quando partirai?
Feci un breve calcolo. - Tra due giorni - risposi, voltandomi verso di
lui. Mi si era fatto di nuovo vicino.
- Ti aspetterò.
Su di noi cadde un silenzio carico di tensione.
Safer fece un ulteriore passo in avanti, i suoi occhi fissi nei miei.
Alzò una mano e me la appoggiò alla base del
collo, accarezzandomi delicatamente la guancia con il pollice.
Infine, si chinò su di me e mi baciò.
Eeeeeeeeeeeecco
qui…come mi ero ripromessa: a quota 4 recensioni nuovo
chappy!! Riveduto e corretto! ;)
Posso dire ti essere
molto compiaciuta di me stessa? Forse la mia è
un’impressione totalmente sbagliata….ma ho come la
sensazione di essere riuscita ad arrivare al momento top (vedi tre
righe sopra) senza sconvolgere il carattere di Sephiroth! Ci sono
volute 45 pagine, ma credo ne sia valsa la pena ahah!
Oh, che bello xD sono
stata premiata dalla comparsa di due nuovi recensori! Oohooh
@KiaElle:
Però adesso ho le tue sedute sulla coscienza!! O_O
Sì lo so passa talmente tanto tempo tra un capitolo e
l’altro che si potrebbe pensare che sono morta! :/ per
continuare la continuo sempre…anche quando non scrivo per
tanto tempo sto comunque lavorando alla trama… certo questo
non è di consolazione! xD E per il venirmi a cercare non
fartene un problema…. =P come ho già detto nel
capitolo 13, il principale motivo dell’aggiornamento
è che ribrib20 è venuta a minacciarmi di morte
ahah
@the one winged angel:
chiedo venia per i vaghi ricordi! In realtà anche io mi sono
dovuta andare a rileggere gli ultimi 4 capitoli, giusto per rimettermi
un po’ in pari aah aah per esempio ho scoperto che avevo
già fatto partire il padre di Yuri! Cosa che non ricordavo
per niente e se non fossi andata a ripassare probabilmente
l’avrei fatto partire di nuovo XDXDXD
@ribrib20: ahhhh la mia
sgio xD tipo allenatrice da film sportivi ahahahah :-*
@Pinkbe:
aiuto…minacciosa! xD Zaaaack proteggimi tu!
Zack: ma io cosa
c’entro? Chiedi a Sephiroth, che la storia è sua!
Angeal: Zack, dovresti
proteggere il tuo onore!
Ok ok basta, se no parto
in 4 e non finisco più ahah
Per il
resto…chi non adora Sephiroth????? XP Scenette
osé….umhh sinceramente non credo ma non si
può mai sapere in quanto purtroppo la mia trama arriva fino
a un certo punto e poi diventa vaga…quindi ancora non so che
tipo di evoluzioni ci saranno! Quanto meno ORA sono finalmente arrivati
a un punto di partenza! Cominciavo io a stufami di vederli
così mosci, posso immaginarmi voi ahah ^_^ Ma sei vuoi farti
i flash sei liberissima! xD A volte me li faccio anche io mentre
scrivo…poi mi rendo conto che non sarebbe per nulla
verosimile…ma per esserci ci sono! (tipo il famoso bacio con
caschet! Ahah)
Su msn ti aggiungo
volentieri ma ti avverto che ultimamente non ci passo molto tempo! ;)
Adesso però
con tutta la più buona volontà ci
starò sicuramente un po’ per cominciare a scrivere
il prossimo capitolo…più che altro devo capire
come reagirà Yuri al bacio e le eventuali implicazioni di
tutto ciò (ecco, mi faccio più pare di loro!!).
Poi sinceramente portare Sephiroth fino a questo punto di maturazione
non è stato troppo difficile…lungo magari, ma non
difficile. Il problema è che Sephiroth in LOVE LOVE MODE io
non ce lo vedo proprio! E Yuri è una persona che ha bisogno
di vedere dimostrati i propri sentimenti, non con un amore
“perché sì e basta, ti ho baciato
quindi vuol dire che mi piaci”: così non andrebbe a finire da
nessuna parte. Dopotutto con la famiglia che si ritrova e le loro
grandi dimostrazioni d’affetto alla fine è
plausibile che uno cresca con le pare…. ARGH. Ah dimenticavo....VOOOOI 4...non credete di essere esonerate dal commentare questo capitolo, ehhhh!!! xD
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Capitolo 15 *** Un bacio ***
15. UN BACIO
Il mio primo bacio fu come il
battito d’ali di una
farfalla. Delicato, timido, esitante.
Le sue labbra si posarono sulle mie come una carezza.
Potevo sentire il mio cuore battere così forte che
avrei temuto che si potesse fermare, se solo avessi potuto pensare
chiaramente.
Aprimmo gli occhi e lui mi fissò, vidi qualcosa di
completamente diverso nei suoi occhi. Non avevo mai visto in nessun
uomo quel
tipo di sguardo ma da qualche parte dentro di me lo conoscevo.
Di nuovo, le nostre labbra si incontrarono. Safer
schiuse le sue, la sua lingua si protese a sfiorare la mia. Dopo di che
divenne
tutto più veloce, la timidezza iniziale svanì.
Safer si fece più irruente,
esuberante.
Quello fu un bacio diverso. Era il bacio di un uomo.
Si staccò da me, ansimante. Mi protesi di nuovo verso
di lui, la mia bocca in cerca della sua. Ne volevo ancora.
Bocca, labbra, lingua erano di nuovo un vorticante
tutt’uno. Le sue mani si mossero, si spostarono dal mio collo
e scesero a
toccarmi la schiena, la vita. Le mie, timide in un primo momento, si
erano
appoggiate sulle sue braccia tornite tanto che potevo sentire i suoi
muscoli
tendersi sotto la pelle ad ogni movimento. Mi strinse, facendomi
avvicinare a
sé ancora di più. Un ultimo guizzo della sua
lingua contro la mia, mi
appoggiò le mani sulle spalle e ci separammo definitivamente.
Ci guardammo, il respiro veloce. Quel bagliore nel suo
sguardo, ora, si era fatto più intenso.
Tentò di schiarirsi la gola. - Vai ora - mi disse,
aveva la voce roca.
Mi voltai e, stordita, mi allontanai dirigendomi verso
casa.
Il cuore non smetteva di martellarmi nel petto. Avrei
voluto avere con me Lei Lan: forse così non mi sarei dovuta
preoccupare del
fatto che avevo ancora le gambe molli, che dovevo fare attenzione ad
ogni passo
per non finire per terra e avrei potuto semplicemente pensare.
Fu un sollievo scorgere finalmente Nacom ai piedi
della montagna. L’ultimo tratto, tutto in discesa, fu il
più faticoso tanto che
una volta giunta a valle non ebbi la forza di fare la strada
più lunga, girando
intorno al villaggio, per raggiungere casa così decisi di
attraversarlo.
Non c’era molta gente per strada, per fortuna.
Conoscevo a malapena le persone che incontravo; loro mi ignoravo e io
potevo
fare altrettanto.
Sebbene quella per il villaggio fosse la strada più
breve, non sempre capitava che fosse anche la più piacevole.
Poteva capitare di
fare incontri davvero poco gradevoli.
Quella volta, per fortuna, andò tutto liscio.
Raggiunsi casa come un automa, la mia mente era
completamente vuota, incapace di formulare alcun pensiero coerente.
Entrai dalla porta della cucina. Dentro vi trovai mia
madre che preparava la cena.
- Ciao tesoro - mi salutò allegramente. - Cosa hai
fatto di bello oggi?
- Sono rimasta a studiare nei boschi dietro casa -
risposi automaticamente. Quella era diventata la scusa ufficiale per
giustificare il mio tempo trascorso con Safer.
Safer al solo pensiero di lui tutto il mio
corpo fu attraversato come da una
scarica che mi lasciò senza fiato, ancora una volta.
- Seimei è venuto a cercarti oggi ma non ti ha trovato
- spiegò mia madre mantenendo il suo tono colloquiale.
Questo mi costrinse a
ridestarmi e a pensare.
- Ah, oggi non ero nel mio solito posto. Mi sono
spinta un po’ più all’interno quando ha
cominciato a piovere, dove gli alberi
sono più fitti. Sai,
per non bagnarmi.
- Sì, certo, certo - disse lei annuendo, ma senza
voltarsi - anche io gli avevo detto la stessa cosa ma non mi aveva
voluto
credere! - rise.
- Vado in camera mia - mi limitai a dire, salendo le
scale.
Attraversai il corridoio e raggiunsi la mia stanza.
Mi chiusi la porta alle spalle e rimasi lì, immobile,
nella semioscurità. Feci tre passi e mi fermai ancora.
Chiusi gli occhi e lasciai andare il fiato che mi
sembrava di aver trattenuto fino a quel momento.
Improvvisamente la mia mente tornò più attiva che
mai,
fu attraversata da mille pensieri, dal ricordo di ciò che
era appena successo.
Oh
Ashling,
oh Ashling, oh Ashling!
Mi sedetti sul baule sotto la finestra. Mi rialzai,
feci il giro della stanza e spalancai la finestra. Lasciai che la
fresca brezza
della sera mi investisse, insinuandosi nella camera.
Sentii di essermi calmata. Mi voltai, mi sdraiai sul
letto supina e incrociai gli avambracci sugli occhi.
O - cavolo.
Mi aveva baciata. Safer - mi
aveva - baciata.
Mi aveva abbracciata, mi aveva toccata, mi aveva
baciata!
E con frustrazione realizzai che con i preparativi per
la partenza non sarei riuscita a rivederlo prima di una settimana.
Bussarono alla porta.
- Yuri? - disse Seimei attraverso la porta. - E’
pronta la cena.
- Non ho fame - sbraitai coprendomi la testa col
cuscino, desiderando in realtà prendere a pugni qualcuno.
Una settimana dannazione!
O santo
cielo….quello
è…quello è…è un
miraggio?!
Eh no è proprio un
capitolo u.u
Un capitolo che se ne
è uscito molto più…più di
quello che avevo calcolato. Insomma…Sephy che mi
combini? Si stava lasciando trasportare un po’ troppo
eh…e pensare che doveva
essere un casto bacetto con Yuri che se ne scappava via sconvolta come
l’eroina
di un manga. Eh…invece no se ne è uscito un
po’ più verosimile! Beh…bene dai!
Ihih. Sono super presa…oggi ho scritto questo, ieri ho
continuato con un’altra
storia… o.o cerco di godermela il più possibile
finché mi dura l’estro!
Prossimo capitolo
penso che si intitolerà o “Junon” oppure
“Solo una settimana”.
Poi diciamo le cose
come stanno, in teoria Sephiroth la nostra Yuri non doveva baciarla
affatto
questo capitolo, doveva aspettare il ritorno da Junon e invece si
è lasciato
prendere dai feromoni. Personaggi che prendono
l’iniziativa… :’) *me commossa*
Comunque contiamo
sulle dita di una mano i giorni felici perché ancora due o
massimo tre capitoli
e saranno uccelli senza zucchero, tanto per fare una citazione!
Bacioni dalla vostra
Ayame!!
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Capitolo 16 *** Solo una settimana ***
Ok…sono una brutta persona.
Innanzitutto
perché è passato tipo un anno
dall’ultimo aggiornamento. In secondo luogo
perché,
già sentendomi in colpa per non aver aggiornato per
così tanto tempo mi ero
ripromessa di scrivere fino al capitolo 25 e poi di postare un capitolo
a
settimana con cadenza costante…Al momento devo scrivere il
capitolo 19 (cosa
che comincerò a fare da Luglio) ma domani ho un esame e un
altro poi giovedì e
sono così depressa che mi son detta “dai ne posto
giusto uno così se lasciano
qualche commentino mi tiro su di morale!” E quindi eccolo
qua! u.u
16. SOLO UNA SETTIMANA
Partire fu strano, lo
ammetto. Era sempre stato uno dei miei sogni segreti quello di partire
e non
voltarmi mai più indietro. Beh, non proprio un
sogno…un piccolo desiderio. Quel
tipo di pensieri che ti attraversa la mente una volte, due volte.
Cominci ad
accarezzarlo, a conservarlo, a volte arrivi addirittura a fantasticarci
sopra.
Non era esattamente quello
che stavo facendo però, era molto diverso. Non me ne stavo
andando, mi stavo
allontanando e la cosa si era dimostrata molto più difficile
di quanto avessi
mai pensato e naturalmente la più grande differenza tra la
realtà e quel mio
piccolo sogno era che non la smettevo di guardarmi alla spalle. Lo
facevo in
continuazione. A volte addirittura mi fermavo e restavo a osservare le
montagne
dietro Nacom. Continuai a farlo finché montagne e villaggio
non furono
diventate troppo lontane, dopodiché il viaggio
proseguì senza intoppi.
Giunsi a Dolnam dopo diverse
ore e da lì presi il treno per Junon.
Il viaggio fu abbastanza
lungo e principalmente noioso: a un certo punto mi addormentai e
arrivai alla
stazione la mattina dopo.
Mi ero aspettata molte più
persone. Dopotutto Junon era diventata la capitale del continente!
Invece dal
treno scendemmo solo io e altre sei persone. Due erano una coppietta,
uno era
sicuramente un impiegato o un uomo d’affari visto il rigido
completo grigio.
Furono gli altri tre passeggeri a incuriosirmi e dopo essermi seduta
sopra al
bagaglio, in attesa che mio fratello venisse a prendermi, cominciai a
osservarli. Erano due giovani ragazzi e una ragazza. A prima vista non
sembravano avere niente di strano: avevano i capelli neri,
probabilmente
avevano solo due o tre anni più di me e vestivano
normalmente. Sul polso si
erano tatuati tutti e tre lo stesso identico tatuaggio. Da lontano non
riuscivo
a vedere bene i dettagli ma assomigliavano a un angelo. Restammo tutti
e
quattro in stazione per una buona mezzora poi una donna li venne a
prendere.
Strinse loro la mano, e in quel momento vidi che anche lei aveva lo
stesso tatuaggio
a forma di angelo, e li condusse via.
Quando mi passarono vicino
cercai di vedere meglio quegli strani tatuaggi ma riuscii solo a
scorgere due
lettere che prima non avevo notato. La prima non riuscii a vederla,
poteva
essere una “i” o una “l” forse,
mentre la seconda era una P.
Passarono altri quindici
minuti, durante i quali cambiai posizione sul bagaglio, mi stiracchiai
e
cominciai a camminarci intorno, terribilmente annoiata. Poi finalmente
vidi
Shin che si avvicinava alla stazione a passo veloce, non correndo ma
quasi, e
balzai in piedi aspettando che mi raggiungesse: ero restia ad
abbandonare il
bagaglio. Mi avevano fatto tutti terrorismo riguardo ai furti in treno
e in
stazione.
Shin mi raggiunse pochi
secondi dopo e mi abbracciò. – La mia sorellina
– disse sorridente. – Hai
viaggiato bene?
- Ho dormito tutto il tempo!
- Beata te –
sospirò
afferrando la mia valigia e facendomi segno di seguirlo. – Io
non ci sono mai
riuscito.
Questo fu il mio arrivo a
Junon. Come uscii dalla stazione dimenticai dei tre ragazzi con
l’angelo
tatuato e la sensazione di stranezza che mi avevano percepito.
Così iniziò il
mio soggiorno a Junon.
Non successe nulla di
straordinario durante la settimana che passai con mio fratello. Mi
portò in
giro per la città, mangiammo ogni schifezza che ci passava
davanti e restammo
svegli fino a tardi, cosa che per me rappresentava una specie di atto
di
estrema ribellione viste le abitudini di casa.
Tuttavia ci sono un paio di
episodi che farei meglio a raccontare.
Due giorni dopo il mio
arrivo Shin decise di portarmi alla fiera annuale che Junon organizzava
in
onore delle Weapon. Era un’antica tradizione legata al
risveglio di non so
quali creature mistiche che si erano levate dai cannoni un sacco di
tempo
prima. Shin me l’aveva spiegata molto meglio ma non ci avevo
capito quasi
niente.
Queste fiere erano
abbastanza diverse da quelle che organizzavamo a Nacom. Qui
c’era cibo, immensi
stand che vendevano alcolici, dolciumi e ninnoli vari, così
come succedeva a
Nacom a parte la parentesi degli alcolici, ma in più
c’erano le giostre e
c’erano delle baracchette dove si poteva giocare e vincere
dei premi. Quella
sera tornai a casa con un enorme behemoth di peluche; a pensarci la
cosa era un
po’ inquietante visto l’ultimo piacevolissimo
incontro che avevo avuto col
mostro…questo però aveva degli occhi grandissimi
e le ciglione e a conti fatti
assomigliava più a un cucciolo di chocobo che a un mostro
assetato di sangue e
morte. Quel peluche lo conservo ancora adesso.
Tornammo alla fiera anche il
giorno dopo. C’era ancora più gente, immagino
perché fosse la serata dedicata
ai fuochi d’artificio.
Era stato bello passare di
nuovo la giornata con Shin. Averlo tutto per me per così
tanto tempo mi
sembrava incredibile, dopotutto venivamo da una famiglia con sette
figli.
A pranzo avevamo mangiato a
casa, cucinando insieme. Parlando del più e del meno.
- Quella cosa non pericolosa
che facevi – disse con un tono di voce volutamente casuale
– continui a farla?
Lo guardai in silenzio,
sbattendo ripetutamente le palpebre, sorpresa. Non sapevo cosa
rispondere.
Prima di partire Shin mi aveva domandato cosa facessi nei boschi
“da sola”.
Quella volta non gli avevo voluto rispondere e lui aveva lasciato
stare.
Avevo avuto modo di pensare
alla risposta che gli avevo dato quella volta, una vaga rassicurazione
di non
fare nulla di pericoloso. Quello che avevo finito per chiedermi
più avanti,
senza ancora aver trovato una soluzione, era perché non gli
avevo voluto
parlare di Safer. Cosa c’era di male perché
dovessi tenerlo nascosto? Credo che
una piccola parte di me fosse gelosa di lui, non volevo dividerlo con
nessuno
dal momento che nemmeno lui sembrava interessato a conoscere altre
persone.
So che non è questo il vero
motivo e lo sapevo anche allora. La verità è che
avevo percepito qualcosa in
Safer, qualcosa di pericoloso, aveva la stessa aura degli animali
feroci che
sono stati addomesticati. Non sai mai quando potrebbero rivoltartisi
contro. Lo
sapevo. La verità non è che avevo paura di
condividerlo con il mondo, la verità
è che avevo paura che se l’avessi condiviso con il
mondo, l’avrei perso per
sempre.
Dopo aver mugolato una vaga
risposta affermativa, rimasi in silenzio per diversi minuti. Intrecciai
le mani
tra di loro, poi le sciolsi, poi le riallacciai. Ero combattuta.
Abbassai lo
sguardo, all’improvviso trovavo le venature nel legno del
tavolo estremamente
interessanti e cominciai a parlare.
Gli raccontai come avevo
trovato quest’uomo ferito, di come l’avevo curato e
di come, infine, avevo
cominciato a passarci del tempo insieme.
Shin rimase in silenzio, non
mosse nemmeno un muscolo finché non finii di parlare. Allora
spostò una sedia e
si sedette di fronte a me, dall’altra parte del tavolo.
- Yuri… -
sospirò,
mortalmente serio. – Ma come diavolo ti è venuto
in mente? – il suo tono di
voce rimase calmo e controllato.
Mi corrucciai. –
Io…
- No, ascoltami un secondo –
mi interruppe. – Un uomo adulto, uno sconosciuto, per di
più un mercenario da
quanto mi hai raccontato.
Sospirò e
allontanò la sedia
dal tavolo, alzandosi di nuovo in piedi. Cominciò a
camminare avanti e indietro
per la stanza. – Non sto dicendo che avresti dovuto lasciarlo
là. Non sto
dicendo questo. Ma una volta appurato che non era morto o in procinto
di farlo
avresti dovuto venire a cercare aiuto al villaggio. Si può
sapere cosa ti è
saltato in mente? Avrebbe potuto ucciderti o peggio! Sei una bambina,
per
l’amore del cielo.
- Shin! – esclamai sbattendo
le mani sul tavolo e alzandomi in piedi a mia volta. –
Innanzitutto ho
diciannove anni, quasi venti, e non credo sia necessario specificare
che non
sono più una bambina da molto tempo. Secondo, non ti ho
raccontato questa
storia in cambio di consigli paternalistici da parte tua né
da parte di nessun
altro. Sono grande abbastanza per decidere da sola, contrariamente a
quanto
sembra pensi tutto il resto del mondo. – A
parte Safer, pensai tra me e me. - Ho agito come ho agito
perché mi è
sembrata la cosa giusta da fare. Ora, puoi essere felice per me, puoi
far finta
che non ti abbia raccontato niente di niente oppure puoi
riaccompagnarmi in
stazione.
Feci un giro del tavolo per
cercare di calmarmi e poi tornai a sedermi. In tutto questo, Shin
rimase in
silenzio. L’avevo spiazzato, lo vedevo. Per quanto fosse il
migliore dei miei
fratelli e mi volesse bene, purtroppo era inevitabile che alcuni tratti
della
nostra tradizione avessero attecchito in lui…anche se non ne
era consapevole.
Ma ci volevamo bene, e lo perdonavo.
Mi osservava, creandosi
un’immagine di me completamente diversa. Ero cambiata,
nemmeno io me ne ero
accorta fino a quel momento. Safer mi aveva cambiata. Non erano solo
gli
allenamenti, le lezioni…o il trovarmi in pericolo di vita,
se è per questo. Era
la sua stessa vicinanza. Mi aveva fatto evolvere e credo che anche Shin
in quel
momento l’avesse capito. Capì quanto bene mi
faceva, e avrebbe continuato a
farmi, la vicinanza di quell’uomo meraviglioso.
- Hai ragione – disse alla
fine. Si passò una mano nei capelli. Era di nuovo rilassato,
più sereno. – Sono
felice per te. Quando tornerò a Nacom me lo farai conoscere,
d’accordo?
Gli sorrisi. Gli andai
incontro e ci abbracciammo. – D’accordo.
Ad ogni modo, la cosa più
strana e più importante, anche se ancora non lo sapevo,
accadde durante il mio
ultimo giorno di permanenza. Mancavano ancora diverse ore prima che il
mio
treno partisse e avevo supplicato Shin di portarmi di nuovo alla fiera,
così
avevamo lasciato i miei bagagli al sicuro in stazione e avevamo
raggiunto la
via della fiera.
Notai subito che qualcosa
non andava, ancora prima che lo facesse Shin. Sul momento pensai che
fosse
qualcosa di strano nell’aria, adesso so che
l’addestramento con Safer mi aveva
permesso di sviluppare sensi più sviluppati. Non sto
parlando dei cinque sensi
naturalmente, ma di quelli che si attivavano imparando a usare la
magia.
- Cos’è quella
folla? –
domandò Shin indicando davanti a sé. Io stavo
già guardando in quella
direzione. Qualcosa mi aveva fatto venire la pelle d’oca.
- Andiamo a vedere. – Mi
prese per un braccio trascinandomi dietro di sé. Avrei
voluto dirgli di no, che
non era il caso di immischiarci ma non riuscivo a trovare una
giustificazione
plausibile neppure con me stessa.
Non mi piacque quello che
vidi e non piacque nemmeno a Shin che velocemente mi
riafferrò e mi trascinò
via. Ero riuscita a vedere la scena solo per pochi secondi, ma era
bastato.
C’erano i tre ragazzi che avevo visto in stazione quando ero
arrivata, la donna
che era venuta a prenderli e altri due. Erano tutti vestiti di rosso,
con delle
specie di tuniche con il cappuccio. I tre della stazione stavano
picchiando due
ragazzi mentre gli altri tre guardavano. La gente restava a guardare.
Perché
non faceva niente? Cosa mai potevano aver fatto di male quei ragazzi?
Cercai di tornare indietro
per capire, per aiutarli, ma la presa di Shin sul mio braccio era
ferrea e non
mi avrebbe lasciata andare per nessuna ragione.
- Shin! Si può sapere che
ti
prende?
Quando finalmente fummo
abbastanza lontani, Shin acconsentì di fermarsi. –
Lascia stare – mi disse.
- Lascia stare? – ripetei. -
Stavano picchiando a sangue dei ragazzi che non avevano fatto niente,
ne sono
sicura. Perché dovrei lasciar stare? Anzi, perché
tutti lasciano stare?
Shin mi rivolse uno sguardo
duro, severo. – Ma chi vuoi aiutare, che non riesci nemmeno a
difendere te stessa?
Arrossii: era vero.
- Spiegami almeno chi sono.
- Quelli sono il Progetto
Jenova.
- Jenova? – lo guardai
sbalordita. Quel nome aveva qualcosa di terribilmente familiare.
- E’ una specie di setta
–
era contrariato, glielo leggevo in viso. – Per quel che ho
capito è molto
antica…sono dei fanatici o comunque qualcosa di molto
simile. Hai presente
Sephiroth, vero?
Annuii. Tutti sapevano chi
era Sephiroth. E se anche così non fosse stato, ci aveva
pensato Seimei a farmi
una testa così a riguardo ben più di una volta.
- In sostanza credono che
Sephiroth sia destinato a tornare a camminare sulla terra –
fece sprezzante.
Allargando le mani davanti alla faccia come se mi stesse raccontando
una storia
di fantasmi. – Dicono addirittura che è
già successo e che ne hanno le prove.
Una cosa del genere. So che hanno il loro quartier generale a Cosmo
Canyon.
Altro non so. Quello che posso dirti è che sono dei bulli.
Hanno pregiudizi
verso gli albini, solo perché pare che Sephiroth fosse un
albino.
Lo ascoltavo in silenzio,
rapita. Non avevo mai sentito di una cosa del genere. Distrattamente,
mi
domandai se anche Seimei ne era a conoscenza.
- Sai perché stavano
picchiando quei ragazzi? – mi chiese quasi ringhiando.
Scossi la testa.
- Perché avevano i capelli
troppo chiari. Capisci che tipo di persone sono? E nessuno osa fare
niente
perché vengono pure addestrati in quel fottuto Cosmo Canyon.
Imparano a
combattere corpo a corpo, a distanza e qualcuno mormora che venga
insegnato
loro anche l’uso della magia!
Sbattei ripetutamente le
palpebre. Non avevo mai sentito Shin esprimersi in quel modo. Inoltre
il
discorso sull’addestramento del Progetto Jenova mi puzzava
troppo e non sapevo
nemmeno il perché.
Shin sospirò,
scrollò le
spalle. – Vieni, ti accompagno in stazione. Non ha senso
tornare là a questo
punto.
Lo seguii docilmente.
Qualcosa dentro di me era infastidito. Questa faccenda del Progetto
Jenova…c’era qualcosa che non riuscivo proprio a
digerire. La mia curiosità
congenita mi spingeva a scoprirne qualcosa di più. Ma dovevo
tornare a
casa…casa!
Mi illuminai tutta. Tornare
a casa! Tornare da Safer!
Arrossii al suo solo
pensiero. Al pensiero di cosa era successo tra di noi
l’ultima volta che ci
eravamo visti. Mi poggiai una mano sulla guancia. Ero bollente, potevo
sentire
il sangue che mi arrossava tutta la faccia.
Anche Shin lo notò e
sorrise. – Sei contenta di tornare a casa?
E incredibilmente. Contro
ogni previsione, era così. Sì. –
Sì. Non sto più nella pelle.
Per il
capitolo 17
(che si intitola “Tornare a casa” ed è
già stato scritto) ci sarà da aspettare
ancora un pochino anche se credo che entro la fine di luglio
sarò riuscita ad
arrivare al sospirato capitolo 25 quindi posterò con cadenza
settimanale (o
bisettimanale, a seconda degli impegni). Spero che vi sia piaciuto
questo
capitolo dopo tanto tempo…
Un super
ringraziamento a giulia (mi dispiace so che mi hai ricordato cento
volte qual è
il tuo nickname su EFP ma non riesco assolutamente a ricordarmelo!!) e
onewingedangel
che mi fanno da pre-reader! Oltre che alla mia dolce Macci che di
questa storia
non gliene potrebbe fregare di meno eppure continua ad ascoltare tutte
le mie
paturnie e le mie elucubrazioni! <3
Nel mentre
ho anche
fatto una specie di fan art su Sephi e Yuri…magari vi metto
il link all’immagine
col capitolo 17 o col 18 (che ci sta ed è più a
tema!)
Un bacione e
tutti
quelli che ancora si ricordano di questa mia storiella anche se io sono
così
negligente nell’aggiornare! Vi adoro tutti! *_*
Aya
p.s.
incrociate le
dita per me domani!! D:
|
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Capitolo 17 *** Tornare a casa ***
17. TORNARE A CASA
Non dormii il viaggio di
ritorno. Non riuscii nemmeno a chiudere occhio. Non
è cambiato assolutamente niente, non
c’è nessun motivo per essere
così agitata, continuavo a dirmi. Ma sapevo che
non era così.
Mi aveva baciata, dopotutto.
Safer mi aveva baciata. Il mio primo bacio in assoluto. E niente come
un
viaggio in treno riesce a spingerti a pensare e ripensare
ossessivamente alle
cose che ti sono appena successe.
Una settimana…era passata una lunga, lunghissima settimana.
Cosa aveva fatto?
Dove era andato? La mia mente non era mai stata affollata con queste
domande
prima di allora. Se non fossi stata così agitata,
probabilmente avrei riso.
A Dolman scesi dal treno e
noleggia un Chocobo. In un paio d’ore sarei stata a casa.
Casa…è strano che per
me “casa” ormai significasse Safer? Passi tutta la
vita in un luogo, con le
stesse persone, con la tua famiglia nondimeno e non riesci a sentirti a
casa.
Incontri una persona, ti innamori, e finalmente capisci
cos’hai cercato per
tutta la vita.
Sull’ultimo tratto di
strada, mentre mi avvicinavo a Nacom, mentre riuscivo a vedere la
nostra
fattoria…per un secondo accarezzai l’idea di non
passare nemmeno per casa, di
girarmi e dirigermi direttamente verso i boschi. La scacciai. Un po’ di coscienza, per favore.
Riuscii lo stesso a
sbrigarmela molto in fretta. Seimei e i gemelli erano fuori quindi fu
questione
di un attimo salutare mia madre e andarmene.
- Non vuoi riposarti un poco
prima di uscire? – mi domandò quando ormai ero
già sulla porta d’ingresso.
Roteai gli occhi. – Ho
dormito in treno tutto il tempo – risposi. Anche se non era
vero.
Sospirò. – Anche
a me
sarebbe piaciuto essere così avventurosa alla tua
età. I tuoi nonni non mi
lasciavano avere la libertà che hai tu.
Bella
libertà, pensai, ma in fondo aveva ragione. In
confronto a
lei ero la persona più fortunata del mondo. Tornai in casa e
la raggiunsi in
cucina, stava lavando i piatti nel lavello. Le diedi un piccolo bacio
sulla
guancia e me ne andai.
Corsi all’inizio. Corsi per
quasi tutta la strada, non avrei mai creduto di esserne capace: fino a
qualche
mese prima non sarei nemmeno stata in grado di arrivare fino al
sentiero
correndo. Avevo sottovalutato gli allenamenti che avevo fatto con
Safer,
evidentemente.
Rallentai solo quando lo vidi.
Mi aveva sentita arrivare e
mi stava venendo incontro. Camminava, ma molto più in fretta
di come l’avevo
sempre visto fare. Avanzava per lunghe falcate, veloce, facendosi
sempre più
vicino. Guardandomi dritto negli occhi. Avrei voluto cancellare la
distanza che
ancora c’era tra di noi correndogli incontro a mia volta ma
Safer fu così
veloce che mi aveva raggiunta ancor prima che riuscissi a terminare
quel
pensiero. Senza una parola mi sollevò e mi premette contro
il tronco di un
albero, appoggiandosi contro di me. Abbracciandomi. Affondando il viso
nell’incavo del mio collo.
Sorridevo. Non potevo fare
altro se non sorridere. Stringendolo a me.
Gli passai una mano tra i
capelli, cielo, come erano morbidi.
Alzò la testa e per un
lungo
momento ci guardammo negli occhi. Non avevo mai provato
un’emozione così forte
in tutta la mia vita. Il cuore sembrava volermi uscire dal petto quanto
batteva
forte. Come un tamburo. Anche quello di Safer faceva lo stesso.
Si avvicinò ancora di
più,
per quanto fosse possibile. Per un lungo istante respirammo
l’uno l’aria
dell’altro, le bocche semi-aperte in cerca di ossigeno, e mi
baciò.
La sua lingua seguì il
contorno del mio labbro superiore. Le bocche unite.
Le sua braccia intorno a me
mi tenevano leggermente sollevata da terra, con la schiena ancora
appoggiata
contro il tronco. Mi accarezzò il fianco con la mano
sinistra, poi me
l’appoggiò sul lato del collo.
Era come se tutto il mio
corpo stesse andando in fiamme. La mia mente sembrava galleggiare,
sospesa.
Come avevo fatto senza di lui fino a quel momento?
Gli strinsi le braccia
dietro al collo, le mani che gli accarezzavano la nuca.
- Yuri – disse. Solo una
parola. Solo il mio nome. Un’onda di calore mi
attraversò tutto il corpo dalla
punta dei piedi fino alla testa, poi di nuovo giù lungo la
schiena come un
brivido. Tutto il suo corpo a contatto con il mio, non c’era
parte di me che
non era stata sfiorata dal suo tocco. E bruciavo. Lo volevo. Mi
sembrava di
impazzire.
Era mio. Mi apparteneva.
Safer. Mio.
Strinsi piano tra i denti il
suo labbro superiore. Gemette. Safer.
Ci allontanammo dal tronco,
ancora abbracciati. Ancora sollevata da terra. Incrociai le gambe
dietro la sua
schiena.
Sollevò lo sguardo. Ci
fissammo negli occhi, il respiro irregolare, e in quel momento vidi
amore. E
desiderio. Uno specchio di ciò che c’era nel mio
sguardo.
Di nuovo, mi appoggiò una
mano sulla nuca. Era abbastanza forte da riuscire a tenermi sollevata
con un
braccio solo. Mi avvicinò a sé e premette
leggermente le labbra sulle mie.
Così, semplicemente. Un’eco del primissimo bacio
che mi aveva dato.
Mi abbracciò, continuando
ad
accarezzarmi il retro del collo. Piegò le gambe,
fluidamente, i suoi movimenti
sono sempre fluidi, e ci fece sedere per terra.
Eravamo uno davanti
all’altro, le mie gambe ancora incrociate dietro di lui.
Safer si chinò in avanti e
appoggiò la fronte sulla mia spalla. Limitandosi a
respirarmi. Le sue mani
appoggiate sulla mia vita.
Lo imitai, appoggiando la
testa sul suo petto. Il battito del suo cuore mi rimbombava nelle
orecchie
attraverso la cassa toracica.
Aveva un odore così buono.
Strofinai il naso contro la sua camicia: candida, leggermente aperta
sul
davanti. Ne scostai un lembo e poggiai le labbra sul suo petto,
all’altezza del
cuore. La sua pelle bruciava.
Safer non emise un suono ma
sentii le sue dita contrarsi in maniera quasi impercettibile.
Lo baciai ancora, nello
stesso punto. Sollevai le mani per liberare uno, due, tre bottoni. Era
così
difficile. Le mani mi tremavano un poco, ma non di paura. Tutto il mio
corpo
era scosso da lievi tremori.
Safer mi baciò sul lato del
collo, dove fino a un momento prima aveva appoggiato la fronte, e i
tremori
aumentarono. Con la mano destra si insinuò sotto la mia
maglietta, mi accarezzò
una volta lungo la colonna vertebrale, mandandomi un brivido di piacere
lungo
tutto il corpo. Per un attimo mi sfiorò la parte inferiore
della schiena e mi
sfilò la maglietta da sopra la testa. Dopo un secondo si
tolse la camicia.
Alzai la testa verso di lui.
Safer sorrise e ricominciò a baciarmi. Il suo braccio destro
stretto intorno
alla mia vita, la sua mano sinistra mi carezzò lo stomaco e
si strinse piano
sul mio seno.
Boccheggiai mentre il mio
corpo rispondeva al suo tocco. Il gemito che mi stava nascendo in gola
fu
catturato dalla sua bocca di nuovo sulla mia.
Le mie mani giacevano
abbandonate lungo i miei fianchi. Le alzai e le appoggiai di nuovo sul
suo
petto, seguendo le linee dei muscoli con le dita. Appoggiai le labbra
sul suo
capezzolo sinistro e succhiai forte.
Un suono forte, gutturale,
gli nacque dal retro della gola. Le sue dita si strinsero su di me.
- Yuri – mi
sussurrò
all’orecchio. Il suo respiro, caldo, sul mio collo. Le sue
labbra sfiorarono il
mio lobo dell’orecchio. E i suoi denti.
Con una mano ancora mi
stringeva a sé, con l’altra mi sfilò
piano la gonna. Mi stava di nuovo
guardando negli occhi, ora. Lo baciai strascinandolo su di me.
- Hai freddo? – mi
domandò
Safer, allungando una mano per raccogliere una coccia di capelli e
spingermela
dietro un orecchio.
Scossi la testa, arrossendo
leggermente. – Sto bene.
- Vieni qui. – Mi prese per
un braccio e mi strinse a sé. – Meglio?
- Grazie – lo circondai con
le braccia a mia volta. – Mi sei mancato.
Appoggiò la guancia sulla
mia testa. – Anche tu mi sei mancata – disse,
dopodiché rimase in silenzio per
un lungo momento. Avrei voluto poterlo vedere in faccia.
- Quando tu non ci sei… -
si
interruppe. Lo sentii sospirare pesantemente, strofinò
gentile la guancia
contro i miei capelli. – Ogni giorno che passo lontano da
te…
Mi sciolsi dal suo
abbraccio. Non del tutto, quel che bastava per poterlo guardare in
viso, e la
sua espressione…la sua espressione non era qualcosa che ero
in grado di
interpretare. Non capivo cosa potesse renderlo così
angosciato e la cosa mi
addolorava. Sarebbe passato molto poco tempo prima che lo scoprissi.
- E’ come se sentissi la mia
umanità che si allontana da me, ogni giorno un po’
di più, quando tu non sei
con me – mi confidò alla fine.
Mi pizzicavano gli occhi.
Non volevo piangere. – Sono qui – gli dissi prima
di baciarlo leggermente sulle
labbra. – Non ho intenzione di andarmene da nessuna parte.
Resterò al tuo
fianco per il resto della mia vita.
Safer sorrise. –
Anch’io.
Questa volta fu lui a
baciare me.
E
finalmente…esami
finiti. Almeno per questa sessione estiva! :)
Anche se non
so come
mi sono ritrovata a dover fare la tesina per la matura di mia sorella :/
Per il resto
sono di
buon umore…mi son messa a scrivere il capitolo
19…e quindi ho deciso di postare
anche il capitolo 17! Per farmi perdonare dell’anno di
assenza!
Che ve ne
è parso di
questo capitolo? Io lo giuro…sono quasi morta mentre lo
scrivevo. Ero una cosa
ridicola xD spero comunque che sia uscito bene… Poi
già che c’ero ho anche
finalmente scannerizzato il disegno di Sephiroth e Yuri…e
prima di mettervi a
farmi i complimenti vi assicuro che ho scopiazzato il 98% di questo
disegno da
un manga. L’unica cosa per la quale potete battere le mani
è che sono riuscita
a trasformare Cloud in Yuri…e i vestiti da militare in
vestiti da donna. Ecco
xD Mamma mia com'è venuta male questa scan xD decismente troppo grande eheh...va beh...pietà! Un bacione alla prossima <3
E
ricordate…i
commenti sono una dimostrazione di amore! xD su su non siate timidi :-P
Aya
|
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Capitolo 18 *** Sorridere insieme ***
18. SORRIDERE INSIEME
- Più in alto le braccia
–
esclamò con forza e mi diede un colpetto sul retro del
gomito mentre lo diceva.
Non sembrava mai riuscire a
essere soddisfatto.
- Ma sono esattamente come
un secondo fa! – esclamai stizzita.
Estrasse la spada. - Anche
la più piccola differenza può essere determinante
– mi si posizionò di fronte.
– Adesso para!
Strinsi con forza le mani
intorno all’elsa della katana (ormai non usavo più
il bokken) in attesa del
colpo. Fece un repentino movimento con una mano sola calando la spada
su di me
obliquamente da sinistra. Mossi un passo indietro e parai, persi quasi
l’equilibrio ma all’ultimo riuscii a mantenermi in
piedi.
- No. No. No – disse
esasperato. Era la sesta volta che ripetevamo l’esercizio.
Infilzò la spada al
suolo e mi venne incontro. Mi corresse la posizione delle braccia e mi
si
posizionò alle spalle. - Le gambe devono stare
più divaricate, non stai
pescando. Inoltre devi piegare le ginocchia, abbassare il baricentro,
altrimenti rischi di finire per terra ogni volta che ti muovi.
Mentre parlava mi mise le
mani sui fianchi per tenermi ferma e mi spostò le gambe
dandomi dei colpetti
con i piedi.
Si chinò in avanti,
poggiandomi per un secondo le labbra sul lobo dell’orecchio.
- Pensi di
riuscire a ricordarti questa posizione? – mi
sussurrò. Fece scivolare la mano
destra dal fianco al mio stomaco e la lasciò appoggiata
lì. Sentii tutto il
sangue defluirmi alla faccia, dovevo essere diventata rossa come un
pomodoro.
- Concentrati – mi disse
sottovoce. Le sue labbra mi baciavano il collo. Le sentii incresparsi e
capii
che stava sorridendo.
In quel momento non avevo
nessun controllo sulla mia voce, quindi mugolai in assenso.
- Bene – disse. Con una mano
mi fece girare la testa verso di sé e mi baciò
sulla bocca prima di lasciarmi
subito andare.
- Su – esclamò
sorridendo.
Aveva una voce bellissima. L’ho già detto che
aveva una voce bellissima?
Profonda, baritonale. Non potevo fare a meno di squagliarmi ogni volta
che
apriva bocca. – Fammi vedere come ti difendi.
Afferrò la spada e
balzò in
avanti. Scartai di lato, come mi aveva insegnato a fare, e tornai in
posizione
di difesa ma lui era di nuovo davanti a me. Fece un affondo che mi
sfiorò la
guancia. Non mi ferì: aveva usato il dorso della spada.
Voleva solo che fossi
consapevole che altrimenti starei sanguinando.
- Ferita – mi fece notare
mentre colpiva di nuovo. Questa volta parai il colpo e feci un salto
indietro,
di nuovo pronta a riceverlo.
Guardarlo era bellissimo.
Non sembrava nemmeno che stesse combattendo…non che io fossi
in nessun modo un
avversario per lui, ma sembrava non sentisse nemmeno la forza di
gravità. Come
i rami di un albero: per un attimo mossi dal vento e poi di nuovo
immobili. E
sorrideva.
Il suo colpo successivo mi
sorprese, arrivò dal basso. Riuscii a pararlo
all’ultimo momento ma scivolai,
persi l’equilibrio e infine caddi per terra di schiena.
Avrei dovuto rotolare su un
fianco e tornare in piedi. Ma ero lenta. Chiusi gli occhi e mi
strofinai la
testa. Quanto li riaprii Safer incombeva su di me puntandomi contro la
punta
della spada.
- Sei morta – disse. Come un
lampo si chinò su di me fino a baciarmi la punta del naso,
quando si rialzò in
piedi mi trascinò su con sé. Gli brillavano gli
occhi.
- Facciamo una pausa – mi
prese per mano e ci andammo a sedere insieme a cavalcioni di un tronco
caduto.
La mia schiena contro il suo petto.
- Come sono andata? – gli
domandai.
Mi accarezzò i capelli.
–
Bene – mi assicurò.
Roteai gli occhi. – Quello
non mi sembrava proprio “bene”.
- Bene per uno standard
normale – si corresse.
- E questo cosa vorrebbe
significare? – mi girai parzialmente verso di lui, in modo
che riuscissimo a
guardarci in viso.
Fece una pausa, guardandomi.
Alzò una mano e mi carezzò il lato del viso.
- Sai cos’è il
mako, vero?
- Certo.
- Ormai non si usa più come
una volta – cominciò, giocherellando con una
ciocca dei miei capelli. – Quando
ero giovane si usava iniettare l’energia mako in alcuni
soggetti selezionati in
modo fa farli diventare superguerrieri. Lo sapevi questo?
Annuii. Ne avevo sentito
parlare, una volta. Ma credevo che fosse storia molto più
vecchia.
- Quei soldati erano
potenti. Quei soldati acquisivano una forza che era difficile ottenere
altrimenti. Quei soldati barattavano la loro umanità per il
potere.
Lo fissai, pensierosa. Con
la mente tornai a ciò che ci eravamo detti solo poche ore
prima.
- Ma questi soldati non
erano caratterizzati dal bagliore mako?
- Sì –
confermò. Non mi
staccava gli occhi di dosso. Sapeva che tipo di ragionamento stavo
facendo.
- I tuoi occhi non hanno il
bagliore mako, però. Hanno solo una strana pupilla.
– Ormai mi ci ero così
abituata che non ci facevo quasi più caso, ma la sua pupilla
era affusolata,
quasi come quello di un gatto, o di un serpente, e si stringeva ancora
di più
quando era in preda all’ira. Non mi spaventava più
ormai, però era così.
- Una volta lo facevano – mi
spiegò, lentamente. Si umettò le labbra.
– Stare con te mi cambia, molto più di
quanto potrai mai comprendere.
Sbattei le palpebre,
confusa. Non riuscivo a capire cosa volesse dire.
- Inoltre – aggiunse
– il
mako per me è stato solo un di più.
Ciò che mi costituisce è molto diverso, in
realtà mi puoi a malapena definire umano.
Gli tappai la bocca con le
mani. Istintivamente, prima ancora di riuscire a realizzare cosa stavo
facendo.
Mi guardò, confuso.
- Smettila – gli comandai.
–
Smettila subito – mi aveva spaventata. Qualcosa nei suoi
occhi mi aveva
spaventata, il modo in cui guardavano lontano. Indietro. Forse il
passato, ma
non me. Non noi. Non il presente e sapevo che non andava bene
– Non voglio
sentirti fare discorsi del genere.
Mi scostò gentilmente le
mani e le trattenne tra le sue. Si portò la mia mano
sinistra alle labbra e la
baciò. – Pensavo volessi saperlo.
- Voglio saperlo – lo
assicurai. – Ma voglio che resti con me mentre lo fai.
Mi guardò. Capì
di cosa
stavo parlando. Mi girò la mano e me ne baciò il
palmo, facendomi il solletico.
- Va bene.
- Vuoi continuare? – gli
chiesi, cauta.
- Non c’è molto
altro da
dire. Esperimenti sui neonati. Cellule non umane impiantate in un feto
in via
di sviluppo – non so come facesse a mantenere un tono
colloquiale. – Davvero
una storia triste, non credo tu voglia sentirla.
Distolse lo sguardo e lo
lasciò vagare davanti a sé. Non mi
lasciò le mani.
Riflettei. Sembrava qualcosa
di familiare.
-
Come Sephiroth? – gli chiesi dopo qualche
secondo.
Sentii il respiro
mozzarglisi in gola, come un rantolo. Voltò la testa.
Lentamente, molto
lentamente. Mi fissò. Dritta negli occhi per un tempo che mi
sembrò infinito.
Le labbra strette, ridotte a una linea sottile. Le pupille leggermente
dilatate.
- Una specie – disse infine.
La voce gli uscì stridula, come se gli si fosse bloccata in
gola.
Fui io a restare in silenzio
allora. Cosa puoi dire a una persona che ti confida una cosa del
genere? “Mi
dispiace”? Niente sembra adeguato, così lo
abbracciai. Mi strinsi a lui,
affondando il viso nel suo petto.
Safer mi lasciò le mani e
mi
abbracciò a sua volta, con una mano intorno alla schiena e
una sulla nuca per
accarezzarmi i capelli.
Restammo così, in silenzio,
per diversi minuti.
- Devi andare a casa – mi
ricordò dopo un po’.
- Non voglio andare a casa.
Rise piano. –
Sarò ancora
qui – sciolse l’abbraccio per guardarmi in viso.
– Domani. Dopodomani. Il
giorno dopodomani.
Sorrisi. – Va bene.
Ci baciammo ancora una
volta, poi mi avviai verso casa. Dopo pochi passi mi voltai verso di
lui. Mi
stava guardando andar via.
- Safer? – lo chiamai.
- Mm?
- Lo sai che ti amo, vero?
Sorrise. – Lo so.
Sorridemmo insieme.
Sorridevamo tanto in quei giorni. Ancora per poco, anche se non lo
sapevamo, ma
in quei giorni semplicemente sorridevamo amandoci a vicenda. Ed era
abbastanza.
Siamo tornati su binari più tranquilli
qui…eheh. Un po’ di allenamento
che non guasta mai…mi dimentico sempre di ricordare che
Sephiroth e Yuri non si
limitano a guardarsi nelle palle degli occhi ma si allenano anche! :)
Poi…CHIACCHIERE. Sinceramente non avevo
idea di ciò che sarebbe saltato
fuori in questo capitolo…ovviamente sapevo che sarebbe
cominciato con
l’addestramento di Yuri…il resto è
stato assolutamente spontaneo. Soprattutto
quel discorso serioso… O.o hanno fatto tutto loro.
Com’è? Ci siete rimasti male
a vedervi una discussione su un ipotetico Sephiroth-terza-persona?
Eheh…ma
poi…perché continuo a dare del voi al maschile in
generale se tanto so che
siete tutte ragazze?? Mistero xD
E poi parole :) perché le parole sono
importanti…Yuri che più che
dichiararsi, rincara la dose! Ahah e poi cattivi
presentimenti…che come avrete
notato adoro.
Ci vediamo nel prossimo capitolo (sì
tranquille l’ho già scritto…tra un
poco lo pubblico xD magari vedrò di stabilire un giorno
della settimana così
potrete sapere che se non esce – metti caso – di
mercoledì allora bisogna
aspettare settimana prossima…oppure anche no. Potrei
semplicemente farvi
dannare *risata sadica*
Que sera sera
Aya
|
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Capitolo 19 *** Omen ***
19. OMEN
Avrei dovuto capire
immediatamente che c’era qualcosa che non andava. Dal momento
in cui la mattina
dopo, scendendo le scale, sentii qualcuno muoversi freneticamente in
cucina.
Poi il rumore di una tazza che si infrangeva. Quando varcai la soglia
della
cucina vidi mia madre china a terra, intenta a raccoglierne i cocci.
- Buongiorno – dissi, ancora
mezza addormentata. – Vuoi che vada a prendere la scopa?
- Non ce n’è
bisogno. Sono
tutti pezzi grossi, li raccolgo a mano – mi rispose. Non mi
accorsi che la sua
voce tremava leggermente, se avessi solo prestato un po’
più di attenzione alle
sue mani, però, avrei visto che stavano tremando.
- Dove sono gli altri? –
chiesi prelevando un biscotto dalla scatola aperta sul tavolo.
- Lo sai – fece lei
alzandosi in piedi e dandomi subito le spalle, - in giro.
Ridacchiai piano. – Penso
che li imiterò molto presto! – e presi un altro
biscotto.
Nel frattempo lei aveva
finito di pulire per terra e si era seduta di fronte a me. Una mano
appoggiata
sopra l’altra e gli occhi che guardavano ovunque tranne che
verso di me.
Mi corrucciai. Questo no,
non era normale. – Mamma? Cosa c’è?
Si alzò di scatto.
– Niente,
niente, cosa vuoi che ci sia? – esclamò.
Tuonò, c’era aria
di
tempesta. Il rumore improvviso la fece sobbalzare, solo che mentre lo
faceva
diede un colpo alla scatola dei biscotti, che cadde dal tavolo. Riuscii
ad
afferrarla al volo e la rimisi cautamente sul tavolo ma a quel punto
mia madre
se n’era già andata dalla stanza.
Ero confusa. L’euforia che
mi
aveva pervaso fino a quel momento scomparve, oscurata da un profondo
senso di
disagio. Mi alzai in piedi e feci il giro del tavolo, posizionandomi
nel punto
dove era stata mia mamma quando ero entrata in cucina. Aveva fatto
cadere una
tazza, che doveva essere stata sul tavolo. Era caduta per terra e
destra,
quindi probabilmente anche la mano, o il braccio, con cui
l’aveva urtata doveva
essere quello destro. Feci un passo verso sinistra e l’occhio
mi cadde sulla
pianta appoggiata al centro del tavolo. Cosa
diavolo…? Sbirciai dentro il vaso (la pianta era
dentro un altro vaso e
solo quello era appoggiato dentro il vaso di terracotta, molto
più grande) e
scorsi una carta tutta stropicciata. Ero sempre più confusa.
Allungai una mano
e la afferrai. Una lettera?
In quel momento sentii mia
madre muoversi al piano di sopra: non volevo che mi sorprendesse con
una cosa
che aveva palesemente cercato di nascondere. Rimessi a posto la pianta
e corsi
fuori dalla porta che dava sul retro. Aveva cominciato a piovere e mi
diressi
velocemente verso la stalla. Mi infilai in uno spazio tra un covone di
grano e
il muro e tirai fuori la lettera.
Era di mio padre. Era
arrivata due giorni prima, mentre ero ancora a Junon. Perché
mia madre avrebbe
dovuto nasconderla? Sì
può sapere perché
era così nervosa? e aprii la lettera con una forza
tale da strapparla in
due. Nell’istante in cui lo facevo un freddo presentimento
aveva cominciato a
corrermi lungo la spina dorsale. Cercai di scacciare la sensazione con
un
brivido autoindotto, scrollai le spalle cercando di scrollare di dosso
anche
quella sensazione di inquietudine e cominciai a leggere.
In quel momento mi
immobilizzai. Smisi di respirare, smisi di sbattere le palpebre, credo
che
anche il mio cuore avrebbe smesso di battere se solo avesse potuto.
Mi lasciai scappare un
singhiozzo. Non era possibile. Com’era possibile? Continuavo
a ripetermi.
Eppure lo sapevo. L’avevo sempre saputo. Me lo ero sempre
aspettata…e in realtà
da qualche parte nel profondo del mio cuore sapevo quale era il vero
scopo del
viaggio di mio padre. Ma lo sapevo veramente? Con un moto di rabbia
scagliai la
lettera lontano da me. Mi girai da un lato e diedi un calcio al covone
di
grano. Ormai piangevo.
“Il signor Kenai e figlio
hanno acconsentito
a prendere in moglie nostra figlia. Stiamo per partire. Saremo a casa
entro una
settimana. Porterò anche il figlio del signor Kenai. Abbi la
decenza di
renderla presentabile.”
Ovviamente era firmata da
mio padre.
Ancora un calcio. Poi
afferrai la lettera e corsi di nuovo in casa. Salii precipitosamente le
scale e
stavo per scagliarmi contro la porta chiusa della camera di mia mamma
quando un
rumore mi fece arrestare a metà del gesto. Piangeva. La
sentivo singhiozzare
attraverso la porta. Basto questo per togliermi il coraggio di
affrontarla.
Urlarle contro e sbatterle in faccia la lettera non sembrava
più la soluzione
giusta. Lasciai cadere la lettera per terra, ormai ridotta a un
straccio tanto
era stata spiegazzata e strappata. Girai sui tacchi e lasciai la casa.
Di corsa,
verso Safer. Chiamai Lei Lan con un fischio che subito mi raggiunse. Le
saltai
in groppa e insieme cavalcammo velocissime verso la montagna, ignorando
l’acqua
che mi sferzava il viso.
Ogni volta che andavo da
lui, sempre, finivo per domandarmi come avrei fatto a trovarlo. Sapevo
dove
teneva le sue cose, questo sì, ma spesso lui vagava per la
foresta. Non era
sempre negli stessi posti. Eppure trovavo sempre la strada per
raggiungerlo.
Non mi era mai capitato di dover vagare per più di dieci
minuti prima di
trovarlo, e la foresta era grande, molto grande. Era come se sapessi
esattamente dove andare.
Quella volta non fu diverso.
Lasciai Lei Lan presso il suo “accampamento”
e mi inoltrai ancora di più tra gli alberi. La
pioggia non accennava a
voler smettere, anzi, se possibile cominciò a scrosciare
ancora più fitta. Mi
pentii di non essermi acconciata i capelli sulla testa: ormai fradici
mi si
incollavano sul viso e lungo il collo.
Ebbi la conferma di star
andando nella direzione giusta quando sentii in lontananza un rumore
metallico
che in questi ultimi mesi mi era diventato dolcemente familiare: si
stava
allenando con la spada. Lo capii ancora prima di riuscire a vederlo,
oltre un
albero caduto.
Sapevo che era bravo…ma
bravo ormai non mi sembrava più il termine adatto. Era
qualcosa di
straordinario. C’era qualcosa di inumano nelle sue movenze,
tanto che sospettai
che fino a quel momento si era sempre trattenuto quando si era trovato
a
impugnare la spada in mia presenza.
Feci qualche passo in
avanti, quasi ipnotizzata dai suoi movimenti. Ormai c’erano
solo il tronco
dell’albero caduto e alcuni metri a dividerci. Safer stava
eseguendo alcune
delle stesse posizioni che aveva insegnato a me in
quell’ultimo periodo e
improvvisamente capii tutte le correzioni che a me sembravano inutili.
Sembrava…anzi, sono certa che fosse consapevole di ogni
muscolo del suo corpo,
che potevo veder guizzare e contrarsi ogni qual volta che cambiava
posizione.
Rimasi a osservarlo in
silenzio per alcuni minuti, finché, improvvisamente, non si
fermò. La pioggia
continuava a scendere rumorosa, su di me, su di lui. Anche i suoi
capelli ormai
erano fradici, gli si erano appiccicati sul viso come avevano fatto i
miei, ma
non sembrava che gli dessero fastidio. Non credo che se ne fosse
nemmeno
accorto.
Appoggiai le mani sul tronco
dell’albero per scavalcarlo e farmi avanti ma in quel momento
Safer si mosse di
nuovo, repentinamente, con una rabbia trattenuta che non potei fare a
meno di
notare. Roteò su se stesso e scagliò una palla di
energia contro una roccia,
mandandola in mille pezzi. Quasi contemporaneamente si voltò
ancora una volta e
fendette l’aria con la Masamune. Dalla lunga lama della spada
si crearono delle
lame di luce che vorticarono attraverso gli alberi di fronte a lui. Li
tagliarono
nettamente, come se fossero stati fatti di gesso anziché di
solido legno.
Scricchiolarono forte prima di rovinare rumorosamente al suolo. Da
lì fu un
attimo capire che anche l’albero su cui mi stavo appoggiando
aveva subito la
stessa sorte.
Il mio primo istinto fu di
correre subito da lui. Abbracciarlo, baciarlo. Ma qualcosa mi
fermò, la
realizzazione che avrebbe odiato più di ogni altra cosa
essere visto da me in
quello stato. Non l’avrebbe sopportato. Così
indietreggiai silenziosamente, mi
voltai e recuperai Lei Lan. La sua angoscia aveva la precedenza sulla
mia,
avevo tempo per dirgli della lettera di mio padre. Sarei tornata da lui
quella
sera. Dopotutto, avevamo ancora tutto il tempo del mondo.
E daghe con gli hint nefasti! Mi
dispiace, non resisto.
Cmq OMEN, il titolo, deriva dal latino e significa presagio, viene
usato in
inglese come termine corrente per esempio “Bad
Omen”…che ne so un gatto nero.
Poco Sephiroth…e quel Sephiroth che c’è
è circondato da fanghirlaggio. A un
certo punto non sapevo più se ero io o se era Yuri a
fanghirlare! Tant’è che ho
tagliato tipo un intero paragrafo in cui mi perdevo a descrivere gli
addominali
scolpiti di Sephiroth bagnati dalla pioggia…poi mi sono
ricordata che non era
un harmony! ;)
Spero di essere riuscita a scuotervi
un po’
dall’atmosfera fluffeggiante dei capitoli precedenti e che il
capitolo vi sia
piaciuto anche se c’è stato poco Seph :)
Un ringraziamento speciale va a
onewingedangel che mi
ha supervisionato durante la stesura di questo capitolo, morendosela
dal ridere
e sconvolgendosi del fatto che riuscissi a parlare con lei e scrivere!
<3
Per finire un saluto a Pino
Giulivo…Pino, sarai sempre
nelle nostre menti e nei nostri cuori. So che la nostra conoscenza
è stata
breve e che avresti voluto avere un ruolo più importante ma
ti amiamo anche per
questo…ti auguriamo tutta la felicità possibile
con Salice Scoiattola. Con
amore,
Aya
(so che non avete idea di cosa sto
parlando…ma giuro
sto morendo dal ridere xD)
Un bacio a tutti <3
|
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Capitolo 20 *** Stare con te ***
20.
STARE CON TE
Tornai quel giorno stesso,
qualche ora dopo pranzo. Ormai aveva smesso di piovere ma ogni tanto
continuava
a cadere qualche goccia dalla chioma degli alberi.
Quella mattina avevo corso
spinta dall’impulso, dalla paura. Non avevo avuto tempo di
pensare a niente…cosa
dirgli o cosa raccontargli. Avrei voluto preparare un discorso ma la
realtà è
che ancora non sapevo se avrei dovuto dirgli della lettera. Anche in
quel
momento, comunque, l’unica cosa a cui riuscivo a pensare
è che volevo vederlo.
Lo trovai facilmente, era al
suo solito posto, seduto su un tronco di albero e stava legando i suoi
lunghi
capelli in una treccia che gli svendeva fin sul petto, appoggiata su
una
spalla. Quando mi vide sorrise e fece spallucce. – Comincia a
fare caldo – fu
il suo unico commento.
Aveva ragione. Da un paio di
giorni le giornate avevano cominciato ad allungarsi e la temperatura a
salire.
Notai che aveva abbandonato il suo completo in pelle preferendo
indossare una
normale camicia e dei pantaloni neri. Gli stavano molto bene.
Si alzò in piedi e mi venne
incontro. Ci abbracciammo. Mi tenne stretta a sé per un
lungo momento poi mi
sollevò da terra e mi portò con sé.
Riuscì a farmi ridere, per
quanto fosse pesante il mio cuore, riuscì a farmi ridere.
– Mettimi giù –
mentre lo dicevo mi aggrappai a lui.
Mi appoggiò di nuovo a
terra. Mi spinse una ciocca di capelli dietro l’orecchio e ci
baciammo.
Era così facile stare con
lui. Così felice. Perché mi volevano portare via
questa felicità? Perché
dovevamo venir separati? E io? Perché lo stavo permettendo?
Mi irrigidii. Giusto:
perché
lo permettevo? Ero una bambola forse? Un giocattolo?
Fissai Safer, una scintilla
di determinazione nello sguardo che non potevo vedere ma che sapevo
fosse lì.
Anche Safer mi guardava, lo stava già facendo da un
po’. Doveva aver capito che
c’era qualcosa che non andava. Il mio Safer.
- Yuri? – disse.
- Devo parlarti – risposi.
Non sapevo da che parte cominciare, ma in qualche modo
l’avrei fatto. Non
sarebbe stata una storia lunga, complicata forse, ma non lunga.
Ci sedemmo per terra e
cominciai a dirgli di quella mattina e della lettera che mia madre
aveva
nascosto, mentre non gli dissi di averlo visto allenarsi sotto la
pioggia.
Sapevo che non avrebbe gradito.
Safer non disse niente né
durante il racconto, né dopo. Stava fermo, l’unico
movimento era fatto dalle
sue mani con le quali mi accarezzava distrattamente i capelli, il
collo, il
viso.
Mi accoccolai contro di lui.
– Non voglio separarmi da te.
- Yuri – cominciò
lui dopo
qualche altro istante. – Yuri. Ci sarebbe una soluzione, se
volessi.
Fece un'altra pausa, durante
la quale mi rimisi seduta dritta per guardarlo meglio in viso.
- Sarà dura, per te,
all’inizio. Ma forse – continuò
guardandomi negli occhi, sorridendomi
leggermente, - potresti venire via con me.
- A te…andrebbe bene?
Mi posò una mano sulla
guancia. – Nemmeno io voglio separarmi da te.
- Allora…è ok?
– domandai. –
E’ fatta?
Si chinò in avanti per
baciarmi. – Andiamo via insieme.
- Devo solo andare a
prendere Lei Lan dalla stalla. Non posso lasciarla qui –
sorrisi a mo’ di
scusa. – E qualche abito – aggiunsi dopo un momento.
- Vai se non puoi farne a
meno – rispose Safer facendo un gesto con la mano.
– Anche io preparerò le mie
cose. Ci rivediamo qui? Tra un’ora?
- Anche meno! – esclamai
balzando
in piedi. Prima di correre via, li buttai le braccia al collo e lo
baciai. – Ti
amo.
- Ti amo – rispose.
Partire. Partire con Safer.
Io e lui, insieme! Ero al settimo cielo, non riuscivo a
crederci…non avevo
nemmeno mai immaginato che potesse succedere una cosa del genere. Avrei
passato
la mia vita con lui, lo sapevo.
Attraversai il cortile come
un fulmine. Riuscivo a malapena trattenermi dal saltare, gridare dalla
gioia.
Spalancai la porta sul retro
senza preoccuparmi di non fare rumore. Mancava ancora qualche ora per
la cena e
non era strano per me entrare per poi riuscire poco dopo. Sarei anche
riuscita
a dire addio alla mia famiglia, anche se loro questo non
l’avrebbero saputo,
ovviamente. Magari avrei potuto lasciare loro un messaggio nella mia
camera…così che non mi credessero morta in fondo
a qualche precipizio. Sì,
avrei fatto così.
Cominciai a salire le scale,
sempre di corsa. Non riuscivo ad aspettare, volevo di nuovo essere con
Safer il
prima possibile. Prima i vestiti, dunque. Poi Lei Lan.
Non riuscii a fare più di
tre gradini che una voce mi chiamò, alle mie spalle. E
gelai.
Volevo muovermi. Dovevo
muovermi. Era assolutamente necessario che mi muovessi. Finire di
salire le
scale, tornare indietro, sarebbe andata bene qualsiasi cosa. Chiusi gli
occhi e
contai cinque respiri. Avevo affrontato un Behemoth: potevo riuscire a
muovermi.
Girai prima la testa, poi mi
voltai.
Mio padre. Mio padre, in
fondo al corridoio che mi fissava. Accanto a lui un ragazzo: non molto
alto,
magro ma muscoloso, gli occhi scuri e stepposi capelli color paglia.
Questa volta non ebbi
bisogno di contare fino a cinque. Non ebbi proprio bisogno di contare.
Mi
lanciai verso la porta da cui ero appena entrata, più veloce
che potei.
Due braccia mi afferrarono,
mi fermarono. Alzai gli occhi e era Daisuke.
Mi dispiace…mi dispiace
tanto! Era già stato
stabilito…e non ditemi che non vi avevo avvertita! <3
Un parto come al
solito comunque…e non so se si è
visto…ma non sono minimamente capace di
scrivere del fluff decente! E un’altra piccola
nota…io odio le domande
retoriche. Giuro, non le posso vedere…non so come mi sia
sognata di inserirle
qua! Se le odiate anche voi stringiamoci la mano con comprensione e
andiamo
avanti!
E’ tornato il
paparino…un po’ prima del previsto. E
adesso sarà bella. Il prossimo capitolo sarà non
lungo…di più. E sinceramente
ci starà un bel po’ sia per scriverlo sia per
pubblicarlo…come vi ho accennato
tra qualche giorno parto e tornerò per la fine di agosto
quindi mi sa che ci
sentiremo direttamente lì! Prossimo
capitolo….SEPHIROTH! E finalmente avremo
indietro il nostro silver-haired demon. O one winged angel. Che ora che
mi viene in mente…dovrò fargliela spuntare
quell’ala a un certo punto della
storia…no? Molto bene…respiriamo, teniamoci per
mano…creiamo un gruppo di
sostegno. Ci vediamo per il capitolo svolta della trama! Sephiroth *_*
Un bacione a tutti!! <3
Aya
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Capitolo 21 *** Sephiroth ***
Attenzione: non che la mia
abilità nella scrittura sia
tale da sconvolgere nessuno (né tantomeno esplicito) ma mi
sento in obbligo di
avvertirvi che in questo capitolo troverete violenza (molta violenza,
sebbene
come al solito di bassa lega) e un tentativo di stupro. Detto questo,
buona
lettura!
21. SEPHIROTH
Mi stringeva così forte che
le dita quasi mi penetrarono nelle carni. Mi costrinse a rientrare in
casa
torcendomi un braccio dietro la schiena nel processo, poi mi spinse
contro mio
padre. Non ebbi nemmeno il tempo di riacquistare l’equilibrio
che mi colpì in
faccia col dorso della mano, così forte che mi
buttò per terra. In qualche modo
riuscii a mettere le mani in avanti per attutire la caduta. Mi
fischiavano le
orecchie. Tossii e sputai a terra un po’ di sangue. Com’è possibile che stia
davvero succedendo? mi domandai mentre
vagliavo velocemente con la lingua l’interno della bocca
cercando l’origine di
quel sangue e finendo per individuare un molare che traballava.
- Merce avariata, come avevo
detto – mio padre mi diede un altro calcio mentre cercavo di
tirarmi in piedi.
Un secondo dopo era accovacciato accanto a me, mi prese rudemente il
mento tra
indice e pollice per costringermi a guardarlo in faccia. –
Dove credevi di
andare, eh?
- Vaffanculo – soffiai tra i
denti e ricevetti un altro schiaffo. Niente sangue questa volta ma
certo avrei
avuto presto un occhio nero. Approfittai di quel momento in cui
sembrava aver
abbassato la guardia: con un unico, rapido colpo di reni, come mi aveva
insegnato Safer, fui in piedi ed ecco che di nuovo scattavo verso la
porta
della cucina, dal momento che quella da cui ero entrata era ancora
occupata da
Daisuke. Scivolai oltre mio padre agilmente ma di nuovo fui buttata per
terra,
questa volta dal mio “promesso sposo”.
- Bastardo – urlai calciando
e cercando di morderlo – Mollami, stronzo. Tanto non ti
sposerò mai! Mai! Hai
capito? Scordatelo!
Un altro calcio. Questa
volta nello stomaco. Questa volta non da parte di mio padre.
- Credi di avere una qualche
scelta? – disse il ragazzo. La sua voce era piatta, un
po’ stridula.
Fastidiosa. Non mi fece alzare di nuovo in piedi.
- Siete già sposati
– si
curò di spiegare mio padre. – Nessuno aveva
intenzione di sprecare tempo o
denaro dietro a questa cerimonia. I documenti sono già stati
firmati.
Mi prese per un braccio, mi
trascinò di forza fino al bagno e mi ci gettò
dentro.
- Preparala – disse con tono
freddo e con quella si chiuse la porta alle spalle. Dopo un attimo
sentii il
rumore della chiave che veniva girata nella toppa. Ero chiusa dentro.
Mi voltai. Seduta su uno
sgabello c’era mia madre.
- Mamma – esclamai,
correndole incontro, accucciandomi accanto a lei. – Mamma!
Aiutami! Mamma!
Aiutami a scappare! Ti prego – le mie mani si aggrapparono
disperate alla sua
gonna. – Non puoi lasciargli fare questo. Aiutami!
Non rispose. Mia madre non
emise nemmeno un sospiro. Tra le mie suppliche, che si erano
rapidamente
trasformati in singhiozzi, le mie preghiere, mentre tornavo a sentirmi
una
bambina, mentre chiedevo aiuto alla mia mamma, cominciò a
muoversi. Si spostò
alle mie spalle e cominciò a pettinarmi i capelli. La spinsi
via con una
gomitata e balzai lontano da lei.
Questa donna. Questa donna
che mi aveva dato al mondo.
- Mamma – dissi per
l’ultima
volta, le guance bagnate dalle lacrime, - aiutami.
Lei girò la testa, evitando
il mio sguardo. – Mi dispiace – disse.
Mi sentii male. Fu come
ricevere un nuovo pugno nello stomaco. Volevo vomitare. Mia madre mi
abbandonava al mio destino. Ma in
realtà
è semplice, vero?
Risi. Una risata amara,
quasi ultraterrena, mi nacque nel petto. Non era un suono umano, se
fossi stata
più padrona di me stessa forse me ne sarei spaventata.
- “Bisogna rispettare le
tradizioni” – dissi. Un’eco di una
discussione che avevamo avuto tanto, tanto
tempo prima. Così tanto tempo prima che sembrava appartenere
a un’altra vita.
Ma dopotutto cosa era cambiato? Niente.
La donna fece un passo in
avanti cercando di finire di acconciarmi i capelli. Le diedi un altro
spintone
che la fece quasi cadere per terra. – Non ci pensare nemmeno.
Non pensare mai
più niente che abbia a che fare con me. –
ringhiai. Una rabbia folle mi
annebbiava lo sguardo. – Vorrei dirti di dimenticare di avere
una figlia, ma
sarebbe inutile. È evidente che è una cosa che
hai dimenticato molto tempo fa.
Mi frugai nelle tasche e
tirai fuori la materia Cura. La tenni stretta in pugno mentre si
illuminava.
Curai il molare che traballava rendendolo di nuovo stabile nella mia
bocca.
Rimarginai un taglio che mi si era aperto sopra lo zigomo destro,
rendendomi
conto solo in quel momento che sanguinava, e la rimisi in tasca. Avrei
voluto
poter continuare, ma la mia energia non permetteva tanto. Almeno
l’occhio
avrebbe evitato di diventare troppo gonfio, adesso.
Quella donna mi guardava con
la bocca spalancata, non so se sapesse o meno cosa avessi appena fatto
ma non
mi interessava. Per me era morta. Mi tolsi i vestiti e mi infilai in un
paio di
pantaloni bianchi di lino e una camicia simile, ma solo
perché ormai i miei
vestiti cadevano a pezzi.
Mi mossi verso la porta e
calai forte il pugno per tre volte.
- Fammi uscire. Non abbiamo
più niente da spartire qui dentro.
Dopo un attimo la porta si
aprì e mi trovai faccia a faccia con mio padre. Cercai di
tirargli un pugno sul
naso. Safer non mi aveva addestrata nel combattimento corpo a corpo ma
mi aveva
spiegato che un colpo ben assestato poteva stordire una persona
abbastanza a
lungo da permettermi di scappare.
In effetti gli ruppi il
naso, ma non ottenni il risultato sperato.
Con una mano si tenne il naso
sanguinante, con l’altra mi colpì. Poi mi
colpì ancora e il dente che avevo
appena rinsaldato mi schizzo fuori dalla bocca.
- Non – un pugno –
osare –
un altro pugno, caddi per terra – mai più
– un calcio nello stomaco – cercare –
un altro calcio – di colpirmi.
Mi inarcai presa dai conati
e vomitai sangue.
Safer pensai. Le lacrime che tornavano a
offuscarmi la
vista. Come ti sbagliavi. Non sono
capace. Non sarò mai capace. Sono solo una ragazzina. Cosa
posso fare contro
queste persone? scoppiai a piangere. Vorrei
che tu fossi qui.
Mi scappò un gemito quando
sentii un dolore improvviso e inaspettato al cuoio capelluto. Mio padre
mi
aveva afferrata per i capelli e ora mi stava trascinando verso la
stanza
matrimoniale.
Sapevo cosa stava per
succedere. Non volevo pensarci.
Sono solo
una ragazzina.
Mi buttò dentro come prima
mi aveva buttata nel bagno e come prima chiuse a chiave la porta dietro
di sé.
- Se provi solo ad
avvicinarti ti uccido – gli dissi ma ottenni in cambio solo
una risata amara.
- Credi davvero di poter
fare qualcosa? – mi domandò mentre si abbassava
lentamente i pantaloni fino a
sfilarli, senza distogliere lo sguardo. Si lanciò in avanti
e mi afferrò per un
braccio dove già spiccavano lividi i segni delle dita di
Daisuke e di mio
padre. – Se nemmeno io ho potuto fare niente per impedirlo.
Cercai di scalciare ma fu
inutile, ottenni solo un altro pugno in faccia. Mi afferrò
per il collo per
tenermi fredda, stringendomi più del necessario, fino quasi
a strozzarmi. Le
mie mani, che fino a quel momento avevano cercato di colpirlo, corsero
al collo
cercando inutilmente di allentare la pressione. Mi sovrastava.
- Ti prego – rantolai
–
lasciami.
- Oh, lo vedrai papà
– fece
il ragazzo. Non mi aveva sentito. Sembrava a malapena consapevole della
mia presenza
mentre parlava da solo. – Se non sono in grado di scoparmi
una ragazza. Lo
vedrai.
Non potevo muovermi. Non
potevo urlare. Potevo solo piangere lacrime silenziose mentre lo
fissavo. Lo
fissavo mentre con la mano libera si liberava degli ultimi indumenti.
Lo
fissavo mentre si prendeva in mano il pene molle e cominciava a muovere
freneticamente la mano su e giù cercando di provocare una
risposta di qualche
tipo attraverso la frizione. Cosa che palesemente non stava funzionando.
Con un grugnito cambiò
leggermente
posizione, senza smettere di muovere quella mano.
- Dannazione –
esclamò. Mi
guardò con uno sguardo carico d’odio. Mi tolse la
mano dal collo e mi afferrò i
capelli tirandomi brutalmente in avanti, verso di sé. Ebbi a
malapena il tempo
di riprendere fiato prima di capire cosa stava cercando di fare. Feci
appena in
tempo a serrare la bocca quando mi urtò con il prepuzio. Scordatelo, pezzo di merda. Vallo a ficcare in gola
al tuo fidanzato,
pensai. Avrei voluto urlarlo ma non avevo ancora abbastanza fiato.
Prima mi prese a schiaffi,
poi mi diede un pugno nello stomaco così forte che rischiai
di vomitare.
Spalancai la bocca in cerca di aria e approfittò di quel
momento per ficcarmi
il pene in bocca. Glielo morsi. Non abbastanza forte da staccarglielo,
purtroppo.
- Puttana – urlò
e riprese a
malmenarmi. A quel punto mi pulsava la testa. Sanguinavo dal naso e
dalla bocca
e non ci vedevo più da un occhio. Sentivo la coscienza che
lentamente
cominciava ad abbandonarmi. Scossi la testa, cercando di ritrovare un
po’ di
lucidità ma ottenni solo di essere investita da una nuova
ondata di nausea.
Questa volta mi afferrò i
polsi tenendoli fermi sul pavimento giusto sopra la mia testa,
usò le ginocchia
per costringermi a restare per terra mentre con la mano libera
continuava a
masturbarsi febbrilmente. Per quanto facesse il suo membro non sembrava
voler
reagire e restava molle e flaccido nella sua mano. – Fanculo
– ringhiò
affondandomi con rabbia un ginocchio nel fianco. –
E’ tutta colpa tua, puttana!
Io ormai non avevo più la
forza di fare niente. Fino a un momento prima avevo urlato e gridato.
Ormai
piangevo sull’orlo dell’incoscienza, sapevo che
stava continuando a picchiarmi
ma non riuscivo più nemmeno a sentire dolore. Con un ultimo
colpo mi mandò a
sbattere contro un muro e mi lasciò lì,
sanguinante.
Cercai di muovermi. Quello
era il momento giusto per scappare, con il ragazzo distratto forse
avrei avuto
qualche possibilità, ma non riuscivo a muovere nemmeno un
dito. Tutti i miei
sforzi erano concentrati nel semplice atto di continuare a respirare e
di
rimanere cosciente.
Potevo vedere il ragazzo
muoversi agitato avanti e indietro per la stanza. Il ragazzo. Non
ricordo
nemmeno il suo nome. In realtà non sono sicura di averlo mai
saputo. A volte mi
sento il colpa per questo. Poche volte. Penso solo che avrei almeno
dovuto
sapere il suo nome. Dopotutto non era nemmeno colpa sua. Come per me,
nemmeno
lui aveva avuto una scelta di sorta: l’unica differenza
è che la sua
alternativa non era stata bella come la mia. O forse non
c’era proprio stata.
Sentii battere dall’altra
parte della porta. Concentrandomi riuscii a sentire la voce di Seimei
che
urlava, quella di mio padre che rispondeva. Andarono avanti per un
po’ poi il
rumore di uno schiaffo. Altre urla, altri colpi. Nostro padre stava
picchiando
Seimei. Stava picchiando a morte il mio fratellino e l’unica
cosa che potevo
fare era giacere immobile contro un muro. Piangendo. Dopotutto non era
cambiato
niente. Ero ancora inerme come l’ultima volta che mi avevano
picchiata.
Se non fosse stato che in
quel momento il ragazzo era tornato a concentrare la sua attenzione su
di me mi
sarei accorta dell’irreale silenzio che era calato dal
momento che più nessun
rumore proveniva dall’altra parte della porta.
- Dov’è lei?
– sentii poi. E
riconobbi la voce imperiosa.
Un attimo dopo la porta
venne buttata giù e Safer entrò nella stanza.
Avrei voluto chiamarlo, baciarlo,
abbracciarlo ma riuscii a malapena a gemere nella sua direzione.
Voltò la testa
verso di me e mi guardò. Vidi le fiamme
dell’inferno attraverso i suoi occhi.
All’improvviso i suoi
lineamenti cambiarono, divennero duri, gli occhi ardevano di una rabbia
indescrivibile che li facevano brillare come fiamme verdi, non erano
mai stati
più simili di così agli occhi di un serpente.
- E tu chi cazzo saresti? –
disse il ragazzo alzandosi in piedi belligerante.
Safer voltò la testa verso
di lui e sfoderò la spada con un movimento così
repentino che non riuscii a
vederlo e il ragazzo cadde a terra morto, infilzato dalla Masamune.
Senza dire una parola tornò
a guardare verso di me. I lineamenti ancora deformati dalla rabbia ma
più umani
come mi vide. Mi si accucciò accanto, per un secondo il suo
viso mostrò solo
dolore, la rabbia cancellata dai suoi occhi.
- Cosa ti hanno fatto? –
gemette accarezzandomi delicatamente i capelli. Per un attimo
cercò di studiare
come fare a sollevarmi senza farmi ancora del male. – Adesso
ci sono io qui con
te, non avere più paura. - Fu in quel momento che mio padre
decide di irrompere
nella stanza, furente, stringendo in mano un bastone di legno.
- Si può sapere chi cazzo
è
lei? – non credo avesse ancora visto il corpo senza vita del
ragazzo. Guardò
Safer e me e ci sputò addosso. – Ma certo,
è tutto chiaro! Quindi sei davvero
una puttana! Tutto questo tempo nei boschi! Avrei dovuto sapere cosa
stavi
facendo! Non sei niente di meglio di una prostituta!
Mi accorsi del pericolo.
Perché solo io mi accorsi del pericolo? Perché
conoscevo Safer meglio di
chiunque altro? Non credo fosse questo, ma gli occhi di Safer
scintillarono di
una luce folle quando mio padre parlò.
Si alzò in piedi a una
velocità tale che non lo vidi muoversi, aveva una mano
stretta intorno al collo
di mio padre, tenendolo sollevato da terra. – Umani
– sibilò con una voce che
non aveva più niente di umano. – Inutili, stupide
creature. Come osate? – la
sua mano si strinse ancora finché non si sentii un suono
orribile, secco, il
rumore di un collo che si rompe. Scagliò il corpo senza vita
dell’uomo che era
stato mio padre contro la parete alle mie spalle, che crollò
sotto la sua
forza. Ormai più niente separava la stanza dal corridoio.
Safer fece un passo, come se
avesse tutto il tempo del mondo, e lasciò vagare lo sguardo
sulla mia famiglia.
Erano tutti lì, mancava solo Shin: Seimei sdraiato a terra
con la faccia
deformata dai lividi, i gemelli quasi pietrificati accanto a lui mentre
i loro
occhi non abbandonavano Safer neppure per un secondo, così
come si fissa un
animale feroce, poco più in là c’era
Daisuke e infine mia madre e Yo, che si
trovavano ancora vicino alla porta. Fu su di loro che si
fermò lo sguardo di
Safer, o meglio, su mia madre.
- La madre – disse in un
sibilo, con quella voce che non riuscivo a riconoscere. – Non
c’è nulla di più
abominevole di una madre che abbandona i propri figli.
Sollevò la spada davanti a
sé, puntandola verso mia madre. Yo fece coraggiosamente un
passo in avanti,
ponendosi fra la donna e la Masamune, ciò che ottenne
però fu una risata. Una
risata spaventosa, ancora di più perché per
l’attimo che durò deformò il viso
di Safer completamente, facendolo assomigliare un po’ di
più al viso di un
demone. – Fuori dai piedi – aggiunse gelido
– voglio guardarla bene, questa
madre – balzò in avanti e li infilzò.
Vidi, e sentii, la lama
attraversare le loro carni. Sollevò la spada e i due corpi,
che ora avevano
l’aspetto di due macabre marionette, con essa. Con un altro,
rapido movimento
lanciò i corpi a terra, privi di vita. Il sangue che
sgorgava dai i loro corpi
e che ormai imbrattava quasi tutto il pavimento. Io non vedevo
più il sangue
però, non sentivo risuonarmi nelle orecchie il gemito,
così simile a un
gorgoglio, che aveva emesso Yo quando la lama l’aveva
trafitto, non vedevo i
capelli rossi di mia madre sparsi intorno a lei come una corona
assorbire il rosso
scuro del sangue: vedevo solo l’uomo che amavo che sterminava
la mia famiglia.
Cercai di chiamarlo, ma
sembrava che la voce mi si fosse bloccata infondo alla gola, quasi come
fosse
stata imprigionata laggiù da un incantesimo. Non riuscivo
nemmeno a muovere un
muscolo. L’unica cosa che potevo fare era odiare ogni singola
lacrima che mi
bagnava il viso e odiare me stessa per non essere mai riuscita a essere
la
persona che avrei voluto.
In quel momento Ryo e Taka
ritrovarono la capacità di muoversi e cercarono di fuggire
attraverso la cucina
ma ancora prima che si rendessero conto di quello che stavano facendo,
Safer
aveva lanciato loro contro una palla di fuoco che li
investì. Furono avvolti
dalle fiamme, i loro capelli avvamparono, i loro vestiti bruciarono.
Furono
morti prima ancora di cadere a terra, o almeno è
ciò che sperai e pregai, ciò
che spero ancora adesso.
Daisuke era ancora lì, non
si era mosso di un passo, nonostante le fiamme avessero cominciato a
lambire le
travi di legno del pavimento e del soffitto. Fissava Safer con
un’espressione
vuota, aveva raccolto il bastone che aveva lasciato cadere mio padre e
lo
stringeva così forte che potevo vedergli sbiancarsi le
nocche. Come Safer
spostò l’attenzione su di lui, tentò di
attaccarlo, ma non riuscì mai a
raggiungerlo. Safer si limitò ad alzare una mano verso di
lui e a stringere il
pugno, come se cercasse di afferrare l’aria. Daisuke non fu
più in grado di
muoversi.
Safer lo fissava, la testa
leggermente piegata di lato: i suoi occhi erano freddi come lame di
ghiaccio ma
la sua espressione era indagatrice, come se lo stesse analizzando.
Un sorriso spaventoso gli
comparve sulle labbra. – Inginocchiati. - Abbassò
il pugno e Daisuke fece lo
stesso, non era più padrone del proprio corpo. –
Voglio sentirti supplicare per
la tua vita.
- Ti prego – gemette
Daisuke, piangendo. – Non uccidermi, ti prego.
- Non riesco a sentirti –
strinse il pugno così forte che sentii la pelle di guanto
stridere sotto quella
morsa. Daisuke si contorse in preda alle convulsioni prima di tornare
immobile
e cadere al suolo, morto. Potevo vedere la materia cerebrale uscirgli
dagli
occhi e dalle orecchie.
Seimei si lasciò sfuggire
un
singhiozzo, solo allora Safer spostò l’attenzione
su di lui.
- Stupidi umani – lo
schernì. – Creature senza uno scopo, senza
un’utilità, di cosa dovrei essere
triste? E tu, perché soffri? Non erano forse un morsa
velenosa che continuava a
uccidervi ogni giorno un po’ di più? –
usò la parte piatta della spada per
costringerlo a guardarlo negli occhi. Si fissarono per un lungo
istante, poi
Safer sospirò e gli diede le spalle per tornare da me.
- Sephiroth… -
gracchiò
Seimei, gli occhi spalancati dall’impossibilità di
quella realizzazione. –
Sephiroth – ripeté, come per convincere se stesso.
– No…com’è possibile?
Safer volse di nuovo lo
sguardo su di lui, poi guardò verso di me e ci fissammo.
Seppi all’istante che
Seimei aveva detto la verità. Quello era Sephiroth. Il mio
Safer era Sephiroth,
il demone albino. Il distruttore del pianeta. Il mio Safer era
considerato la
peggior calamità che avesse mai colpito questa terra.
La casa ormai era avvolta
dalle fiamme, il fumo ne aveva invaso ogni angolo e i miei polmoni,
già
compromessi dalle violenze subite, avevano cominciato a cedere.
Cominciai a
tossire e ad annaspare in cerca di aria. In qualche modo riuscii a
rovesciarmi
su un fianco mentre un nuovo attacco di tosse mi percuoteva con tanta
violenza
che ogni colpo di tosse assomigliava marchiar misi a fuoco nel petto.
In quel momento, solo in
quel momento, lo vidi tornare in sé. I suoi occhi tornarono
normali mentre la
follia lo abbandonava. La sua espressione era di nuovo quella
dell’uomo che
conoscevo. Mi raggiunse e mi prese in braccio, quasi urlai dal dolore
come mi
sollevò, ma non c’era tempo per essere delicati.
Strinsi le dita intorno al
suo braccio ma era così poca la forza che mi restava che non
sono sicura che le
sentì. – Seimei – sussurrai –
no…qui… - e ricominciai a tossire sangue.
Mi portò fuori dalla casa e
mi appoggiò a terra, sull’erba. Lo guardai correre
di nuovo dentro per uscirne
un secondo dopo con Seimei tra le braccia. Lo appoggiò
accanto a me: era
cosciente.
Mi guardò, ci guardammo.
Non
so cosa lesse nel mio sguardo, ma nel suo vidi paura e tradimento.
Sa… Lui, mi riprese tra le
braccia. Sentii un fruscio alle sue spalle, dolorosamente mi costrinsi
a girare
la testa e la viti: un’ala. Un’ala nera, lucida,
immensa. La sbatté una volta
con forza e ci sollevammo da terra. Volavamo. Ci allontanammo dalla
casa in
fiamme e da Seimei. Era come se anche la mia vita fosse stata bruciata
dalle
fiamme.
L’aria fresca e pulita mi
aveva pulito la gola e i polmoni, riuscivo di nuovo a respirare
naturalmente.
- Sephiroth… - riuscii a
dire con un singhiozzo prima di svenire.
Eccolo qua…chiedo venia per il ritardo
ma…è stato un parto. Un parto
che è finito con un cesareo o una cosa del genere. Ho
cominciato a scriverlo il
10 agosto. E nel mentre ho riscritto la seconda parte almeno tre volte.
E
ancora sarebbe da riscrivere secondo me, soprattutto
l’ultimissima parte (dopo
che Seph la porta via dalla casa) ma andava a finire che non pubblicavo
più.
E insomma…che ve ne pare? Un
po’…crudetto forse. Mi dispiace :) spero
che vi sia piaciuto e spero di essere riusciva a trasmettervi tutto
quello che
volevo trasmettervi.
Ora…per il prossimo capitolo non so
quanto ci vorrà. Sono piena di
esami fino a ottobre, poi il 10 parto e vado in Irlanda per tre
settimane…quindi
ve lo dico col cuore che, salvo qualche miracolo di qualche tipo,
sarà
improbabile vedere aggiornamenti fino a novembre!
Ah, una piccola nota: a qualcuno viene in mente un
termine migliore per
definire il rumore che fa la pelle? Dopo lunga riflessione ho messo
stridere ma
non mi convince molto… grazie <3 e ora un grande
bacione! Vado a dormire
(che in tre giorni avrò dormito sì e no 8 ore
– in totale).
Aya
|
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Capitolo 22 *** Perdersi ***
Ok, mi dispiace. Ho fatto di nuovo
passare dei mesi ma
ho avuto problemi di salute. Ho passato un bel po’ di tempo a
fare risonanze
magnetiche ed esami del sangue e sinceramente non avevo nessuna voglia
di
scrivere (alla fine non avevo niente, ma l'umore non era esattamente dei migliori). E da gennaio sono sotto esame quindi anche se la voglia
c’è, è il
tempo che manca ma davvero non potevo lasciare ancora in sospeso questo
capitolo. Quindi eccolo qui!
Ancora non l’ho riletto
(devo davvero rimettermi a
studiare): lo ricontrollerò appena avrò tempo ma
almeno ecco qui la prima
stesura! Un bacio a tutti!
E’ strano svegliarsi. Apri
gli occhi e per un momento è come se fluttuassi, come se non
fossi veramente
sveglia. Ci stai un attimo a tornare completamente alla
realtà e per me, quella
volta, fu più lenta di tutte le altre.
Aprii gli occhi e vidi solo
buio. Dovetti sbattere le palpebre un paio di volte prima di capire che
non ci
vedevo perché era notte, e ancora perché i miei
occhi cominciassero ad
abituarsi all’oscurità. Sopra di me il cielo
stellato, dovetti girare la testa
verso sinistra per capire che il calore che sentivo era dovuto a un
fuoco che
scoppiettava dolcemente.
Cosa ci
faccio qui? Riuscii
a pensare prima che i ricordi del
giorno prima mi colpissero come una valanga. Mi buttai di lato e
vomitai
sull’erba. Ci volle un po’ perché i
conati si attenuassero e mi tirassi di
nuovo a sedere, ma non ero sicura di aver finito. Mi strinsi nella
coperta
nella quale mi ero trovata avvolta. Sotto ero nuda. O
mio Dio. Mi scappò un singhiozzo. Sephiroth.
Safer era Sephiroth. O mio Dio. Ero con lui quando avevo
perso conoscenza, questo lo ricordavo chiaramente, dopo che…
ma fermai quel
pensiero. Non riuscivo nemmeno a pensarci. Dov’era? Sentii un
sospiro alle mie
spalle e mi voltai. Ma certo.
Sephiroth si trovava
dall’altra parte del fuoco. Seduto per terra, si reggeva la
testa tra le mani,
ma riuscivo ancora a vederlo in volto. Era pallido come un fantasma con
delle
scurissime occhiaie sotto gli occhi. Quando si rese conto che lo stavo
fissando, alzò lo sguardo e mi guardò negli occhi.
Fece un lieve movimento,
come per alzarsi, ma si immobilizzò a metà del
gesto. –
Vuoi…? – chiese esitante.
- Non ti avvicinare – gli
ordinai scattando in piedi. La voce rischiò di bloccarmisi
in gola e uscì molto
più stridula di quanto non mi fossi aspettata.
Al di là di quel primo
gesto
iniziale non si era mosso e non riuscivo a smettere di fissarlo. Il
viso, la
linea tirata delle labbra, la postura delle spalle, il modo in cui
stringeva e
distendeva le mani…tutto in lui mi diceva che quello era
Safer. Era l’uomo che
amavo.
E l’uomo che amavo era
Sephiroth. Il demone albino.
- Oh mio Dio – gemetti
mentre un altro conato di vomito mi piegò in due.
– Oh mio Dio, oh mio Dio… -
caddi in ginocchio e vomitai di nuovo. – Cazzo –
dissi con un altro singhiozzo.
Adesso piangevo pure. – Cazzo – ripetei. Non mi ero
mai lasciata andare a quel
tipo di linguaggio ma in quella situazione mi sentivo pienamente
autorizzata.
Una volta che i conati si
fermarono e i singhiozzi furono messi sotto controllo, tornai a
guardare verso
Sephiroth, che non mi aveva ancora staccato gli occhi di dosso.
- Come hai potuto – sibilai
velenosa.
- Ti prego – disse.
Spostò
una gamba in avanti, cominciando ad alzarsi, e le mani tese davanti a
sé come
in un gesto di supplica. – Lascia che ti spieghi.
Lo guardai mentre si alzava
in piedi e faceva un passo, esitante, verso di me. Io mi rifiutai di
muovere un
muscolo. – Cosa c’è da spiegare,
esattamente? – replicai gelida, con una calma
nella voce che non sentivo. Avevo ancora davanti a me
l’immagine delle fiamme.
E del sangue.
Prese un respiro profondo,
come per prendere coraggio prima di iniziare a parlare. Dopo un secondo
lo
lasciò andare senza dire una parola. Immagino fosse
difficile, per lui.
Giustificarsi. Spiegare. Non credo abbia mai dovuto farlo in tutta la
sua vita
e anche allora una parte di me, una piccola parte di me, nascosta e
messa da
parte sotto tutto quel dolore e quel cordoglio, lo sapeva. Quella
piccola parte
che per un istante che durò meno di un battito del mio
cuore, volle andare da
lui e abbracciarlo.
Chiuse gli occhi e prese un
altro respiro. Scosse la testa. – Sei la cosa più
importante per me – disse
alla fine. - Più importante di qualsiasi cosa e
se… - abbassò lo sguardo, come
se guardarmi negli occhi fosse troppo difficile. – Se potessi
tornare indietro
lo rifarei. Farei di tutto per tenerti in salvo.
- Stai zitto. Non voglio
starti a sentire! – urlai mentre sentivo gli occhi bruciare e
riempirsi
nuovamente di lacrime. Perché doveva essere così
difficile?
Sephiroth fece un altro
passo verso di me. – Hai tutto il diritto di
odiarmi… - mi disse con voce
rotta. – La verità è che non sono stato
in grado di pensare razionalmente a
quel punto.
- La verità è
che mi hai
mentito! – strillai facendo a mia volta un passo verso di
lui. Le mani strette
a pugno. – Per tutto questo tempo, mi hai mentito!
I suoi occhi furono attraversati
da un lampo. – Io sono Sephiroth – disse con
durezza, cominciando ad alzare la
voce. – Come avrei potuto dirtelo? Sono un mostro, sono il
“demone albino”. Non
volevo uccidere la tua famiglia ma quando ti ho vista a terra,
ricoperta di
sangue, non sono più stato in grado di pensare. Io SONO il
demone albino. Per
quanto avessi voluto illudermi di poter essere un uomo con te, un uomo
normale,
rimango un mostro. – parlando mi si era avvicinato. Ormai mi
stava solo a pochi
passi di distanza.
Non sapevo cosa rispondergli
e la cosa mi faceva arrabbiare ancora di più. Ero divisa,
lacerata da desideri
opposti. Perché non potevo odiarlo e basta?
Perché dovevo combattere tra il
desiderio di piangere, quello di scappare e quello, piccolo e quasi
irriconoscibile,
che mi diceva di correre tra le sue braccia e farmi stringere, farmi
consolare
da lui? Farmi dire che mi amava e che tutto sarebbe andato bene da quel
momento
in avanti.
L’unica cosa di cui ero
certa è che dovevo vomitare di nuovo ma ero troppo testarda
per farlo così
restammo in silenzio, uno di fronte all’altro.
Proprio quando sembrava
avesse deciso di dire ancora qualcosa, quando fece
quell’ultimo passo che
ancora ci separava, alzando una mano, come per toccarmi, trattenendola
solo a
pochi centimetri dal mio viso, scorgemmo delle luci in lontananza.
- Sono gli abitanti di Wutai
– mi disse quieto, senza abbassare la mano. Voleva toccarmi,
sfiorarmi,
qualunque tipo di contatto gli sarebbe bastato, potevo leggerlo nei
suoi occhi,
nella posizione del suo corpo. – Lì vive un uomo,
uno dei guerrieri più forte
di tutto il pianeta. Ti insegnerà a combattere, se vorrai.
Oppure ti porterà
ovunque tu voglia.
Forse si aspettava una
risposta, ma io non potevo fare altro che guardare lui, i suoi
occhi…la sua mano.
Sarebbe bastato un lievissimo movimento, sarebbe quasi potuto succedere
per
sbaglio, per farsi toccare. Abbandonarsi al suo tocco. Prendergli la
mano e non
lasciarlo andare, supplicarlo di non lasciarmi. Ma non potevo farlo, e
lo
sapevo. Mi costrinsi a fare un passo indietro e a distogliere lo
sguardo, con
tutta la volontà che avevo ancora in corpo.
Strinse la mano a pugno e
abbassò il braccio. – Hai tutto il diritto di
odiarmi – ripeté. – Io ti amo. Ti
amo, non dubitare di questo, ti prego. Se mai vorrai vendicare per la
tua
famiglia, se mi vorrai uccidere…io ti aspetterò.
– Spalancò quella splendida,
maestosa ala nera e mi guardò un'ultima volta prima di
alzarsi in volo.
Girai su me stessa per
seguirlo con lo sguardo. Stavo piangendo di nuovo. Ancora, un
singhiozzo mi
percosse e nascosi il viso tra le mani. Mi abbandonai a quel pianto con
tutta
me stessa perché, mi promisi, quella sarebbe stata
l’ultima volta che l’avrei
fatto. Mi asciugai il volto con un lembo della coperta e mi voltai
verso le
luci, in attesa.
Dopo poco vidi delle persone
emergere dagli alberi. Erano cinque e ognuno di loro reggeva una
torcia.
Raddrizzai la schiena e aspettai che si avvicinassero, osservandoli.
Quattro di loro erano
vestiti con abiti simili, che mi ricordavano gli abiti da cerimonia del
mio
villaggio. La cosa non mi stupì, sapevo che Nacom era stato
fondato da gente
che era immigrata a Midgar da Wutai. Era l’uomo al centro che
catalizzò la mia
attenzione. Vestiva abiti neri e stivali di pelle, a destra, appesa
alla
cintura, teneva una pistola con tre canne. Gli mancava il braccio
sinistro.
Aveva i capelli neri e la pelle pallidissima tanto da farlo
assomigliare a un
fantasma e, mi resi conto quando ormai mi stava a pochi passi, aveva
gli occhi
rossi come il sangue.
|
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Capitolo 23 *** Wutai ***
Non furono scambiate parole.
Era come se fossimo tutti sotto incantesimo…o forse ero solo
io. Le uniche cose
che possedevo erano la coperta che mi copriva e la spada,
letteralmente. Mi
strinsi nell’una e andai a recuperare l’altra
vicino ai resti del fuoco prima
di seguirli di nuovo nel bosco.
Mi diedero della scarpe, per
fortuna, perché impiegammo diverse ore ad attraversare
quell’immensa distesa di
alberi e non sarebbe stato facile farlo da scalza. Non sapevo cosa
pensare. Ora
come ora non so nemmeno se ero effettivamente in grado di pensare
coerentemente: la perdita della mia famiglia, la perdita di Sephiroth,
mi
avevano lasciata vuota.
Tutto ciò su cui la mia
vita
si era basata fino a quel momento era sparito. L’unica cosa
che mi era rimasta
era il desiderio di imparare a combattere e Sephiroth si era assicurato
che
potessi concentrarmi su quello. Ma era davvero così
importante? Di fronte a
tutto ciò che era successo negli ultimi giorni, non sembrava
altro che lo
stupido sogni di una ragazzina.
Sephiroth aveva ucciso la
mia famiglia. Sephiroth era vivo e
aveva ucciso la mia famiglia. Sephiroth
era vivo, mi amava e aveva ucciso la mia famiglia. Per quanto ci
provassi non
riuscivo a distogliere la mente da questo fatto. Da questo pensiero
fisso.
La cosa peggiore era che non
ero in grado di decidere come mi sentivo a riguardo. Era come se in me
vivessero due persone completamente diverse…e non ero in
grado di riconoscere
nessuna delle due.
Scossi la testa. Riprenditi,
mi dissi. Solo allora mi accorsi
del quieto rumore di un corso d’acqua presente già
da un po’. Un fiume,
dedussi, anche se non potevo
vederlo.
Finalmente emergemmo dagli
alberi e lo vidi: Wutai. Questo villaggio dai colori accesi sorto ai
piedi di
una montagna. Tutte le case costruite con un incredibile legno rosso
fuoco
mentre gli intarsi, i decori, le cornici delle finestre erano
d’oro. Forse non
oro oro, realizzai, ma non faceva
nessuna differenza per me. Non avevo mai visto niente del genere: non
potei
fare altro che guardarlo a bocca aperta e ancora di più il
monte. Era
spettacolare, diverso da tutto ciò che avessi mai potuto
immaginare: tutto il
lato era stato scolpito con immense statue incassate nella roccia e
raffiguranti, dedussi, delle divinità. Occupavano tutto un
lato del monte per
non so quanti metri, era incredibile.
- E’ il monte Da Chao
– mi
disse una voce alla mia sinistra. Voltai la testa e mi trovai faccia a
faccia
con il leader del gruppo, l’uomo dagli occhi rossi. Tentai di
ringraziarlo, ma
sembrava che la voce mi si fosse bloccata in gola e mi uscì
solo un verso
strozzato. Mi schiarii la gola un paio di volte ma alla fine mi limitai
ad
annuire. L’uomo ricambiò il mio sguardo in
silenzio e varcammo la soglia del
villaggio.
Camminammo ancora un paio di
minuti prima di fermarci al centro di una grande piazza.
- Grazie per essere venuti –
disse l’uomo con gli occhi rossi. – Potete andare a
casa adesso.
Fummo lasciati soli.
- Seguimi – fece rivolto a
me e mi scortò fino a una delle tante costruzioni. Una casa,
chiaramente, un
po’ più grande e maestosa delle altre forse, ma
non di tanto: lo stile variava
poco da una casa all’altra, erano tutte molto simili, e non
riuscii a
individuare nessun particolare che potesse distinguerla dalle altre. A
parte
forse una placca dorata posta all’entrata, sopra
l’arco di colonne, ma era
scritto in una lingua che non ero in grado di leggere.
Aprì la porta e la tenne
aperta per me mentre lo superavo.
Ci ritrovammo in una grande
sala. Anche qui, quasi tutto era in legno. Al centro esatto della
stanza si
trovava un braciere e tutto intorno delle poltrone. La prima cosa che
notai
però non furono i mobili in legno o il fuoco scoppiettante
nel braciere ma una
ragazza che se ne stava seduta in una di quelle poltrone: ci stava
chiaramente
aspettando.
I suoi capelli erano neri,
liscissimi, come i miei, ma tagliati corti appena sotto il mento. In
tutto il
resto eravamo completamente diverse: aveva il tipo di fisico che avevo
invidiato tutta la vita, curvilineo e sensuale. E i suoi
occhi…beh, i suoi
occhi erano rossi.
- Kurenai – disse
l’uomo al
mio fianco, il tono di voce era duro ma la sua espressione rilassata mi
suggerì
che se l’era aspettato. – Ti avevo detto di non
aspettarci.
La ragazza si lasciò
scappare una lieve risata, confermando i miei sospetti. –
Nemmeno tu ci hai
creduto nemmeno un secondo.
L’uomo sospirò,
ma si vedeva
che anche lui stava sorridendo.
– E va bene –
rispose. –
Vieni qui, ti presento Yuri… - fece una pausa per guardare
verso di me con aria
interrogativa.
Anche io lo guardai, a corto
di parole. Ci pensai per poco più di un secondo prima di
rispondere. – Solo
Yuri – dissi.
L’uomo annuì, un
lampo di
comprensione gli attraversò lo sguardo. – Yuri,
questa è Kurenai: mia nipote.
Ti preparerà un letto in camera sua, così potrai
riposarti. Domani mattina
parleremo.
Strinsi la mano di Kurenai
sforzandomi di sorriderle.
– Se non è un
problema – la
voce mi uscì più ferma di quanto non mi fossi
aspettata – preferirei parlare
subito.
L’uomo sospirò,
di nuovo, e
abbassò la testa rassegnato. Mandò Kurenai a
preparare la stanza e mi fece
cenno di sedermi accanto a lui presso il braciere. Tesi le mani verso
le fiamme
in cerca di un po’ di calore: dopotutto non era estate e io
stavo indossando
solo una coperta da diverse ore ormai.
Io continuai a fissarmi le
mani, lui continuò a fissare me. Rimanemmo in silenzio per
diversi minuti prima
che mi arrendessi al fatto che toccava a me cominciare a parlare. Aveva
avuto
ragione a suggerire di parlare domani, non ero certo
dell’umore per una lunga chiacchierata.
D'altronde, non lo sarei stata nemmeno il giorno dopo. Il problema
è che non
avevo idea da che parte cominciare.
Mossi le mani un po’
più
vicino alle fiamme. – Cosa ci faccio qui veramente?
– dissi alla fine senza
distogliere lo sguardo dal fuoco. Quella era stata una domanda che mi
aveva
tormentata da quando avevo visto lui e gli altri uomini emergere dal
bosco,
subito dopo che Sephiroth mi aveva abbandonata.
- Sei stata portata qui per
darti l’opportunità di allenarti – fu la
pronta risposta, come se fosse ovvio.
Passarono diversi secondi.
Questa volta toccò a me sospirare. Mi spinsi lontana dal
fuoco e mi lasciai
cadere contro lo schienale della poltrona.
Finalmente, mi costrinsi a
guardarlo negli occhi. – Perché?
- Perché mi è
stata fatta
una richiesta ed io ho acconsentito.
Spalancai gli occhi,
confusa. Mi passai velocemente la mano sulla fronte, cercando di
pensare. – Chi
è lei per accettare una richiesta fatta da Sephiroth?
Fu l’uomo a guardarmi in
silenzio, muovendosi leggermente. Accavallò le gambe
nell’altro verso e
appoggiò il mento sull’unica mano che aveva. Mi
osservò sorridendo lievemente.
– Sono Vincent Valentine.
Rischiai di strozzarmi con
la mia stessa saliva. Cosa aveva detto? Lo guardai con gli occhi fuori
dalle
orbite, la bocca spalancata. Non so nemmeno perché, poi,
visto che negli ultimi
mesi avevo vissuto più che a stretto contatto con Sephiroth
stesso.
Esclamai lo stesso: - Ma non
è possibile! Come può essere ancora vivo?
Il sorriso che gli era
comparso sulle labbra poco prima scomparve. Chiuse gli occhi.
– Vivo non è
esattamente il
termine con cui mi descriverei – rispose quietamente, ma non
sembrava stesse
parlando con nessuno in particolare. Certo non sembrava avere
intensione di
approfondire.
- Ma davvero,
com’è possibile?
Non l’essere ancora vivo – mi corressi. –
Com’è possibile che un giorno
Sephiroth si presenti alla sua porta e le chieda un favore? Lei
è stato uno
degli eroi che ha aiutato a ucciderlo!
- Non mi prenderei tutto
questo merito della faccenda.
Mi limitai a fissarlo. Se
credeva che saremmo andati avanti a indovinelli tutta la serata non
aveva
capito con cui aveva a che fare. Avevo avuto abbastanza risposte
enigmatiche da
Sephiroth che mi sarebbero bastate per il resto della mia vita, e ora
capivo
anche il perché.
Vincent sembrò capirlo.
– Ho incontrato Sephiroth
qualche tempo fa. Non per caso, ovviamente, era venuto a cercarmi.
Aveva
immaginato che a causa delle varie… – fece una
pausa, cercando la parola
giusta, lasciando vagare lo sguardo per la stanza, prima di optare con
tono
quasi divertito per –
…“mutazioni” che avevo subito nel corso
della mia vita,
c’erano buone probabilità che fossi ancora
vivo…ed è stato incredibilmente
percettivo a capire che mi sarei trovato proprio qui. Non per niente
era una
leggenda ancora prima di scoprire le sue origini e impazzire.
- Ma come…insomma, come
avete fatto a…parlare?
- Naturalmente non è venuto
a bussarmi alla porta. Ci siamo trovati in una condizione particolare.
E non ho
accettato subito di ascoltarlo ma alla fine abbiamo parlato. A lungo. -
Mi
guardò dritto negli occhi, fisso, come se fosse davanti a un
mistero che non
riusciva a risolvere. – Abbiamo parlato di te.
Il silenzio si allungava tra
le pause. Non era una conversazione facile, nessuno dei due si trovava
a suo
agio ma quello che avevo davanti…era davvero Vincent
Valentine! Ancora non
riuscivo a crederci.
Dopo un po’, proprio quando
credevo che non avrebbe aggiunto altro, parlò di nuovo.
– E dopotutto, chi sono
io per non concedere una seconda possibilità?
- Ma Sephiroth… Intendo,
come può proprio lwi… Insomma… -
balbettai, cercando di fare chiarezza in tutto
ciò che stavo pensando e provando.
- Sai, a conti fatti, quello
che è successo – mi rispose quietamente
– sarebbe potuto essere impedito ancora
prima che cominciasse. Se solo non fossi stato un tale codardo.
Di nuovo il silenzio ci
avvolse come un manto. Ancora risposte enigmatiche. Perché
nessuno di loro
sembrava in grado di spiegare chiaramente qualcosa?
Sospirai e abbandonai la
testa tra le mani, passandomi ripetutamente le dita nei capelli. Avevo
un’improvvisa voglia di prendere a calci qualcosa.
- Accetterai di rimanere,
dunque?
Continuai a tenere la faccia
abbassata, fissando il pavimento, le mani nei capelli.
- Non lo so – bisbigliai,
più a me stessa che a lui. – In questo momento non
so niente di niente. Ho
bisogno…credo di avere bisogno di tempo.
Lo vidi annuire
distrattamente, con la coda dell’occhio.
– Puoi rimanere qui per
tutto il tempo che vuoi. Quando ti sentirai pronta a prendere una
decisione, in
un senso o nell’altro, basterà farmelo sapere.
Si alzò in piedi, facendo
stancamente leva sul braccio. – Kurenai –
chiamò a bassa voce. – Mostrale la
tua stanza.
Capii subito perché non
aveva avuto bisogno di alzare la voce. Kurenai balzò subito
fuori da dietro un
pannello di legno con aria colpevole. Doveva essere stata nascosta
lì per tutto
il tempo. Non mi ero accorta di niente…ma evidentemente non
è così facile
ingannare Vincent Valentine.
Seguii Kurenai attraverso
una serie di corridoi fino ad arrivare alla sua stanza. Era spaziosa e
accogliente, con dei motivi floreali bianchi e viola sulle pareti. Non
avevo
mai visto una stanza così carina, non aveva niente a che
fare con…con la
mia…vecchia stanza.
Il pensiero mi procurò
un’improvvisa fitta allo stomaco mentre realizzavo che quella
stanza di cui mi
ero sempre tanto lamentata, quella stanza che assomigliava al fienile
dei
chocobo, non esisteva più. Era bruciata, insieme a tutto il
resto.
- Mi dispiace per la
sistemazione improvvisata – disse Kurenai, distogliendomi dai
miei cupi
pensieri. – Di solito abbiamo una stanza per gli ospiti
ma…capita che…l’abbia
distrutta due giorni fa durante un allenamento. – Rise
imbarazzata. Aveva una
risata splendida. Così gioiosa. Era tanto che non sentivo
nessuno ridere così.
– Quindi per ora sei incastrata qui in camera con me!
Lasciò vagare lo sguardo su
di me, analizzandomi. Potevo leggere la curiosità nel suo
sguardo. Poi i suoi
occhi si spalancarono, realizzando all’improvviso che cosa
stavo indossando.
- Non ci posso credere –
esclamò indignata girando su se stessa. Spalancò
un armadio a muro e ci sparì
dentro. – Sei avvolta in quella coperta da quattro
dannatissime ore e nessuno
si è preoccupato di darti dei vestiti? – la
sentì urlare da là dentro. – Ecco!
Questi te li puoi mettere domani. – esclamò dopo
qualche secondo, emergendo
dall’armadio. Mi lanciò una maglietta blu scuro
con dei fiori bianchi disegnati
sopra, senza maniche, e un paio di pantaloncini così corti
che mi fecero
arrossire. Si rituffo nell’armadio e quando tornò
fuori stringendo tra le mani
una lunga camicia bianca. Mi lanciò anche quella.
- Che aspetti? Mettitela su!
– esclamò indicando la camicia. – O
preferisci restare nuda? – domandò come
ripensandoci. – E’ così che usate
dormire dalle vostre parti?
- No, no, no – la corressi
velocemente dandole la schiena per infilarmi la camicia. –
Stavo guardando gli
altri vestiti…E’ solo che non lasciamo mai tutta
questa pelle scoperta dalle
mie parti. – Mi accucciai e mi misi a mia volta sotto le
coperte.
Fece spallucce. – Non credo
di aver mai avuto restrizioni riguardo al modo di vestire. E poi sono
più
comodi per combattere, non ti limitano nei movimenti –
voltò la testa verso di
me per osservarmi meglio. – Nemmeno quei capelli sono molto
pratici. Te li
possono afferrare o tirare…o si possono semplicemente
incastrare. Li taglierei
se fossi in te.
Presi in mano una ciocca di
capelli e abbassai lo sguardo per contemplarli. Erano diventati molto
lunghi
ormai: mi arrivavano a metà petto.
Per un attimo considerai il
consiglio di Kurenai di tagliarli ma avevo affrontato troppi
cambiamenti
ultimamente, uno dopo l’altro. Ne aveva abbastanza, almeno
per un po’.
– Non me la sento di
tagliarli – le spiegai. –Li ho sempre legati quando
mi dovevo allentare.
Kurenai sorrise e si tirò
su, appoggiandosi su un gomito. – Allora, che hai deciso di
fare?
Sospirai. Non era una
domanda difficile, vero? Ma tutti continuavano a farmela e io, in quel
momento,
volevo solo rannicchiarmi su me stessa e piangere. Non lo sapevo cosa
volevo
fare! Non sapevo nemmeno se avrei mai più potuto avere una
risposta a qualcosa.
Cosa avrei fatto della mia vita da quel momento in avanti?
Gli occhi cominciarono a
riempirmisi di lacrime. Basta piangere,
pensai con disperazione. Ma questo non fece altro che peggiorare il mio
stato
d’animo.
- Scusa Kurenai – le dissi
cercando di controllare la voce, senza successo - ma in questo
momento…proprio
non ce la faccio – mi lasciai sfuggire un singhiozzo
silenzioso.
- Non ti preoccupare –
rispose lei.
Allungò una mano verso la
mia e la strinse. Dopo un secondo restituii la stretta. Non la
lasciò andare
finché non mi addormentai, solo diverse ore dopo, con le
lacrime che mi
rigavano la faccia.
Credo che la nostra amicizia
cominciò quella notte.
La mattina dopo mi svegliai
prestissimo. A dire il vero fui sorpresa di essere riuscita anche solo
ad
addormentarmi. Sospirai voltandomi verso Kurenai. Stava ancora
dormendo.
Per un momento meditai di
rimanere sotto le coperte e aspettare che si svegliasse anche lei ma
avevo
bisogno di un po’ d’aria fresca, così mi
alzai e in silenzio uscii dalla
stanza.
Kurenai mi aveva lasciato
quei vestiti striminzissimo e un paio di scarpe più della
mia taglia, così li
indossai. Non mi ero mai messa niente del genere addosso. Lacci sulle
scarpe,
tutte le gambe scoperte…e si intravedeva anche la pancia! Se
avessi messo
vestiti anche solo simili a quelli, a Nacom mi avrebbero preso per una
prostituta. Quasi risi al pensiero perché dopotutto mi
piacevano. E Kurenai
aveva ragione: erano davvero comodi.
Mi diressi verso l’ingresso.
Attraversai la grande sala e mi fermai davanti alla porta. Sospirai,
era
davvero il caso di andarmene così, senza dire niente? Ma
infondo che importava?
Allungai la mano verso la
maniglia della porta quando lo sguardo mi cadde sulla mia katana.
L’avevo
appoggiata lì la notte prima, anche se abbandonata sarebbe
un termine più
corretto. Restai lì, divisa tra il desiderio di portarla con
me e il bisogno di
lasciarla lì. Era un pezzo di Sephiroth dopotutto, era stato
un suo regalo: non
ero ancora pronta a riaverlo con me.
Aprii la porta senza toccare
la spada e uscii. Sapevo che sarebbe stata ancora lì quando
fossi tornata.
Per lo più, la
città era
ancora deserta. Mi aggirai senza meta per le grandi strade
acciottolate,
meravigliata da tutto ciò che mi trovavo davanti. Avevo
già notato la struttura
in legno rosso che tutte le case avevano in comune, con decorazioni e
intarsi
dorate, ma vederle in quel momento, con il sole che sorgeva da dietro
il monte
e tingeva tutto di una tonalità rosata, trasmetteva una
sensazione quasi
magica.
Incontrai solo un paio di
persone durante il mio girovagare, gente che doveva cominciare a
lavorare prima
degli altri, e ognuno di loro sembrò riconoscermi. Per un
attimo pensai che
fossero i vestiti, solo dopo realizzai che il mio arrivo era stato
preannunciato. Perché? Quante volte Sephiroth era stato qui?
Forse aveva
pensato di liberarsi di me? Ma no, no: non aveva senso. E poi, quanto
tempo ero
rimasta senza conoscenza? Per quanto ne sapevo aveva mandato allora un
messaggio a Vincent che a sua volta aveva avvertito tutta la
città. Era così
improbabile?
Mi fermai. Camminando senza
meta, ero arrivata ai piedi del monte Da Chao, come l’aveva
chiamato Vincent.
Perché quando avevo bisogno di pensare, o scappare, sembravo
sempre finire ai
piedi di una montagna? Anche se questa montagna non aveva niente a che
spartire
con quella vicino a casa mia: era grande e imponente e le immense
statue che la
adornavano le conferivano un alone di sacralità.
Potevo continuare o tornare
indietro e con una scrollata di spalle cominciai a risalire il sentiero.
Camminai diverse ore,
l’attività fisica, se pur minima, riusciva a
tenermi la mente libera da
pensieri indesiderati, e alla fine arrivai alla fine del sentiero. Di
nuovo,
potevo continuare o tornare indietro.
Sporsi la testa oltre l’orlo
del sentiero, guardando in giù. Certo era uno strapiombo di
tutto rispetto.
E’
una fortuna che non soffra di vertigini, mi
dissi. Ma era una battuta che non fece ridere nemmeno me.
Cominciai ad arrampicarmi,
camminando sui corpi e sulle braccia delle immense statue. Era molto
meno
complicato di quanto avessi creduto all’inizio e sicuramente
non ero la prima
ad affrontare la scalata. Arrivata in cima, dopo molte altre ore, mi
sedetti
sulla mano protesa verso il cielo della statua più alta. Da
lì potevo vedere
tutta Wutai senza rischiare di cadere.
Il sole ormai era alto nel
cielo, doveva essere qualcosa intorno a mezzogiorno. Non che avesse
importanza.
Restai lì tutto il giorno, a pensare alla mia famiglia, a
Sephiroth…a quello
che provavo, al senso di colpa, senza sentire il bisogno di mangiare,
di bere,
di muovermi.
L’avevo capito ormai. Mi
sentivo in colpa. Perché di qualcuno doveva essere la colpa
se le cose erano
andate come erano andate, no? E non potevo dare la colpa a Sephiroth,
lui era
venuto per me. Solo per me. Perché ero in pericolo,
perché gli avevo chiesto di
scappare insieme. E lui aveva accettato. Aveva accettato di fare tutto
ciò che
gli avevo chiesto, non è così? Insegnarmi a
combattere, restare, andarcene. Era
tutta colpa mia. Se solo non fossi tornata a casa per…per
cosa poi? Non
riuscivo nemmeno a ricordarmi il motivo che mi aveva spinta a tornare a
casa!
Se non l’avessi fatto ormai sarei stata lontana, con lui. Oh,
certo, ero
lontana. Ma lui non c’era. L’avevo allontanato.
L’avevo cacciato. E lui era
venuto solo per salvarmi.
Mi ero arrabbiata perché
non
mi aveva detto chi era veramente? Ma cosa potevo aspettarmi altrimenti?
Era
come aveva detto lui, non è esattamente il modo in cui
poteva presentarsi.
Risi amaramente e mentre
ridevo realizzai una cosa. Una cosa che mi colpì come un
fulmine, così forte,
così violentemente che sentii il bisogno di reggermi a
qualcosa. Mi girava la
testa, ma non a causa delle vertigini.
Mi mancava. Mi mancava
Sephiroth. Mi mancava terribilmente, avrei dato qualsiasi cosa per
averlo
ancora accanto a me. Anche se aveva ucciso la mia famiglia. Anche se
aveva dato
fuoco alla mia casa. Anche se era Sephiroth. Io lo amavo. Che qualsiasi
divinità esistente mi perdonasse, io lo amavo. Nascosi il
viso tra le mani e
piansi.
Passò ancora molto tempo.
Il
sole cominciò la sua lenta discesa verso
l’orizzonte e io ancora non riuscivo a
trovare un motivo plausibile per tornare a Wutai. Avevo visto la
città toccata
dall’alba e ora la vedevo illuminata dalla rossa luce del
tramonto. Al di là
dei miei problemi, non riuscivo a distogliere lo sguardo.
- E’ uno spettacolo
splendido, vero? – girai la testa in direzione della voce e
lasciai che Kurenai
si sedesse accanto a me, guardandola in silenzio.
– Non sembra nemmeno di
stare più sulla terra – risposi dopo un momento
con un sospiro.
- Sì, immagino di
sì –
concordò con un sorriso triste. – Anche io sono
venuta spesso qui quando mia nonna
è morta.
- Mi dispiace – risposi
automaticamente.
- Sì, beh…ero
l’unica che
riusciva a riportare il nonno al villaggio. Per un po’,
almeno. Alla fine
tornava sempre qua su. Ci è rimasto per quasi un anno.
- Tuo nonno è… -
feci con
tono interrogativo. Volevo evitare una gaffe. Il signor Valentine aveva
presentato Kurenai come sua nipote, ma sembrava così giovane.
- Vincent Valentine, sì
–
confermò lei con un sorriso.
- Chi era lei? – chiesi
esitante. Non riuscivo nemmeno a immaginare chi potesse essere la donna
in
grado di essere amata da un eroe come Vincent Valentine.
- Yuffie Kisaragi – rispose
Kurenai. – Potresti aver sentito parlare di lei.
Mi cadde la mascella dalla
sorpresa e mi limitai a fissarla con la bocca spalancata per almeno
dieci
secondi prima di riuscire a ricordarmi come parlare. –
Erano…?
- Oh, sì. –
Kurenai
corrucciò la fronte pensando a qualcosa. – Bada,
ci sono voluti quasi dieci
anni. La nonna non smetteva di tormentarlo per questo.
E cominciò a raccontarmi la
loro storia. Non sono mai stata ferrata sugli avvenimenti di quel
periodo ma a
quanto pare, dopo aver sconfitto i Deepground, Vincent aveva deciso di
“allontanarsi dalle scene”, o qualcosa del genere,
e in un modo o nell’altro
era finito a Wutai…rimanendo invischiato nelle faccende
della città. Secondo
Kurenai, questo “invischiamento” aveva molto a che
fare con Yuffie.
Yuffie era sempre stata
innamorata di Vincent e un giorno, semplicemente, fu come se anche lui
si fosse
svegliato. Come se si fosse finalmente liberato da ciò che
lo tratteneva, da
ciò che lo teneva ancorato al passato. Sono stati felici,
alla fine. Anche dopo
che erano stati costretti ad amputare il braccio di Vincent (gli
esperimenti
che aveva dovuto subire l’avevano mandato in un semi stato di
cancrena o qualcosa
del genere) e Yuffie continuava a invecchiare. Hanno anche avuto un
figlio e
quel figlio ha avuto Kurenai.
Dopo la morte di Yuffie,
Vincent era stato tentato di andarsene ma aveva deciso di restare a
prendersi
cura di suo figlio e di sua nipote…e di tutti coloro che
sarebbero venuti dopo.
- Dopo che i miei genitori
sono morti, Vincent ha di nuovo preso il comando come reggente. Lo
sarà ancora
per tre anni, fino a quando avrò ventun’anni.
Allora sarò io a salire sul
trono.
Non sapevo davvero cosa dire
dopo una confessione come questa. Kurenai si era aperta con me e mi
aveva
raccontato tutta la storia della sua
famiglia…perché l’aveva fatto? Cosa ci
vedeva in me da spingerla ad aprirsi? Non erano certo cose che si
andavano a
raccontare alla prima persona che passava.
- Mi sono sempre chiesta che
tipo di donna possa essere amata da un eroe – ammisi dopo un
po’, più per
rompere il silenzio che per altro.
- Dovresti saperlo.
- E come esattamente? –
risposi caustica.
La vidi sobbalzare
visibilmente. Credo si fosse resa conto della
“gaffe”. Abbassò lo sguardo con
vergogna, scusandosi.
– No - sospirai –
non è
colpa tua. Te l’ha raccontato tuo nonno?
- No io…ho origliato
–
confessò. – Quando è venuto qui la
prima volta, sai – fece un’altra pausa,
cercando le parole migliori per spiegarsi. –
All’inizio il nonno non voleva
nemmeno vederlo visto che…beh, lo sai. Sephiroth gli ha
raccontato come faceva
a essere ancora vivo…sai che…beh…forse
questo faresti meglio a chiederlo al
nonno – si schiarì la gola con un colpo di tosse.
- Comunque, gli ha parlato di
te. A lungo. Credo che sia stato questo a convincere il nonno che
poteva
fidarsi di lui. Ed è per questo che il nonno ti ha accettata
tra i guerrieri di
Wutai. Che se una donna è stata in grado di farsi amare da
un essere come lui
allora questo è
solo il minimo per
ringraziarti. Questo ha detto.
Non sapevo cosa dire. Cosa
potevo dire? Sapere quanto mi amava…proprio quando io stessa
avevo di nuovo
realizzato quando ne fossi innamorata…Non riuscivo a
smettere di pensare a lui.
A quando eravamo stati insieme. A quando eravamo stati felici.
Eravamo
sdraiati per terra, sopra il suo cappotto. Ci eravamo sistemati
all’ombra di un albero: era una di quelle giornate calde e
non volevamo stare
sotto al sole. Mi ero liberata della maglietta e mi ero sistemata
parzialmente
sopra di lui in modo da poter appoggiare la testa contro il suo petto.
Era una
delle cose che mi rassicuravano di più al mondo, il battito
forte e regolare
del suo cuore, l’alzarsi e abbassarsi del suo petto mentre
respirava.
Poggiai le
labbra sopra il suo cuore, abbandonandoci alcuni teneri baci.
Lui mi
teneva stretta a sé: un braccio intorno alla vita mentre con
l’altro mi accarezzava i capelli.
Mi stava
raccontando di un posto dove era stato da giovane, durante una
missione di quando era un SOLDIER, immagino. Faceva solo delle brevi
pause per
darmi dei piccoli baci sulla fronte.
“E
quando la neve cade e ricopre tutto, sembra di stare in una foresta di
cristallo.”
“Mi
piacerebbe poter vedere questi posti.”
Lo sentii
sorridere contro i miei capelli. Si mosse gentilmente per
guardarmi negli occhi. Mi prese il mento tra le dita e si
chinò in avanti per
baciarmi sulle labbra. “Ti ci porterò un giorno,
se vorrai.”
Mi
baciò di nuovo e gli buttai le braccia intorno al collo. Mi
fece
rotolare di lato, spostandosi sopra di me senza smettere di baciarmi.
Eravamo
solo noi due. Eravamo felici.
Poi di nuovo le fiamme.
Perché non riuscivo a smettere di pensare alle fiamme? E di
nuovo il senso di
colpa. Continuerò a sentirmi
così per il
resto della mia vita? Mi chiesi con disperazione.
Era il momento di decidere
cosa fare. Certo non potevo passare il resto della mai vita seduta tra
le mani
di un dio di pietra.
Non potevo tornare da Shin,
o andare a cercare Seimei. Non avrei nemmeno avuto il coraggio di
guardarli
negli occhi.
Kurenai mi prese di nuovo la
mano e la strinse. Nemmeno mi rendevo conto del conforto che riusciva a
darmi
quel semplice gesto. Stavo di nuovo piangendo.
- Hai deciso cosa fare? – mi
domandò di nuovo, comprensiva. Sapeva già la
risposta, glielo leggevo negli
occhi…così come lei aveva appena letto nei miei.
- Io…resterò
qui. Non è che
abbia un altro posto dove andare dopotutto.
- Andiamo a dirlo a mio
nonno allora! – balzò in piedi battendo le mani.
– Comincia a fare freddo qua
su!
Mi tese una mano per aiutare
ad alzarmi e insieme, continuando a tenerci per mano, discendemmo il
monte e
rientrammo a Wutai.
………………………………….
È passato quasi un mese
dall’ultimo capitolo…tanto rispetto agli
standard comuni (certo non i miei come sappiamo bene) ma molto poco
rispetto al
tempo che avevo previsto. Mi aspettavo un serissimo blocco dello
scrittore per
questo capitolo…cosa che accadrà sicuramente per
il prossimo, sappiatelo. Ho una
vaga idea in testa ma tra nuovi personaggi e confessioni e tutto un
po’
impiegherò un bel po’ per mettere tutto a posto.
Inoltre sto lavorando a una
nuova long su Doctor Who (oltre a varie one-shot) che mi sta prendendo
tempo e
fatica (e fiducia in me stessa, oserei aggiungere. La chiamo Ansia da
Prestazione
Letteraria Depressiva. APLD. Consiste nel non ritenersi in grado di
fare
niente!).
Parliamo invece di questo capitolo…Che
ve ne pare? Personalmente mi ha
quasi uccisa. E io che mi lamentavo del capitolo in cui muore la
famiglia di
Yuri…questo non è niente in confronto.
E’ stato un incubo. Un vero incubo. L’ho
dovuto riscrivere sei volte e continuava a fare schifo! Stavo quasi per
mettermi a piangere ieri mentre lo rivedevo per l’ennesima
volta! Non ne sono
soddisfatta nemmeno adesso ma o lo pubblico oppure resterà
lì a guardarmi male e
farmi sentire in colpa per il resto della mia vita.
L’ho fatto anche un po’
più lungo del solito, per farmi perdonare per
la mia incostanza nel pubblicare…oltre al piccolo bonus
fluff. Se riesco ne
inserirò uno anche nel prossimo capitolo…e un
po’ più lungo se riesco.
Parlando di personaggi…abbiamo Vincent!
(E qualche vago riferimento a
Yuffie! Sempre stata una fan del Yuffentine, io! Ma non ne ho mai
scritta una…questo
è il mio modo per rimediare…circa). E Kurenai!
Nuovo personaggio originale! Nel
prossimo ce ne saranno altri…com’è, vi
piace? Certo, ancora non ha detto o
fatto molto, ma spero di renderla un personaggio di
spessore…e che piaccia! Siamo
un po’ stufi di personaggi stronzi! Almeno, io lo sono! ;)
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Capitolo 24 *** Maestri di spada ***
- Mi dispiace di dover
ancora approfittare dei tuoi vestiti – mi scusai con Kurenai
mentre ci dirigevamo
al campo d’addestramento di Wutai. Oltre agli abiti che mi
aveva imprestato il
giorno prima, ora mi aveva anche dato la sua divisa di allenamento di
riserva.
O meglio, solo la parte di sopra visto che a quanto pare i pantaloni
avevano
preso fuoco a un certo punto. Non ero sicura se dovevo cominciare a
preoccuparmi o se essere divertita dal numero di incidenti che sembrava
affliggere Kurenai. Come risultato, comunque, continuai a indossare i
suoi
shorts che cominciavo ad apprezzare sempre di più.
Avevo con me la katana che
mi aveva dato Sephiroth. Era la mia spada dopotutto ed ero finalmente
riuscita
ad accettare di nuovo il legame che rappresentava tra me e lui. La mia
bellissima spada senza nome.
- Tranquilla! – mi
rassicurava intanto Kurenai, camminando al mio fianco. – Uno
di questi giorni
ti accompagno a fare shopping così potrai farti tutto il
guardaroba nuovo!
Arrivammo al campo
d’addestramento. La maggior parte degli allievi erano
già tutti lì e si
voltarono a fissarmi ma non si limitarono a quello: mi squadrarono da
capo a
piedi. Kurenai mi aveva avvertito che sarebbe successo. A quanto pare
Wutai era
stata una meta turistica per un lungo periodo ma sotto Yuffie e Vincent
le cose
erano cambiate e ora era diventato il luogo dove venivano addestrati i
più
abili guerrieri del mondo: non erano abituati a vedere gente estranea.
- Ragazzi! – si fece avanti
Kurenai con un tono nella voce che suggeriva a tutti di darci un
taglio. –
Questa è Yuri. Vive a casa con me e mio nonna. Si
allenerà con noi da oggi in
avanti!
La folla fu attraversata da
un brusio di voci. Riuscii a cogliere solo qualche frase ed erano tutte
domande. Rimasi lì impalata a lasciarmi osservare per
diversi minuti, potevo
capire la loro curiosità. Sapevano tutti che Vincent era
venuto personalmente a
prendermi nel cuore della notte solo pochi giorni prima, non era certo
un
segreto. Non era la prima volta che coglievo gli abitanti di Wutai a
fissarmi
così li lasciai fare.
Ero timida, rimasi sulla
difensiva per un po’, rigida sotto il loro scrutinio ma
presto cominciai a
innervosirmi. Mi stavano seccando. Sospirai e raccolsi il coraggio per
farmi
avanti e parlare, ancora non sapevo cosa avrei detto, se una
presentazione
amichevole o un’ingiunzione a smetterla. Aprii la bocca e
feci un passo in
avanti quando un ragazzo mi si parò davanti con un sorriso a
trentadue denti.
Era molto bello: alto, aveva un fisico compatto, gli occhi azzurri e
dei
capelli color nocciola tagliati corti.
Mi porse la mano. Allungai
la mia e gliela strinsi. – Il mio nome è Andrej
Checov! – Si presentò. – Ed
ecco la misteriosa ragazza! Abbiamo parlato di poco altro in questi
giorni,
sai? – mi chiese facendomi l’occhiolino.
- Avreste potuto farvi
avanti allora. Non ero certo nascosta da nessuna parte –
risposi facendo
roteare gli occhi e riappropriandomi della mia mano.
- Beh, potresti farci
contenti e rispondere a qualche domanda!
Incrociai le braccia, ma
rimasi in silenzio. Stavo aspettando.
- Da dove vieni?
Non sapevo bene fino a che
punto potevo rispondere. – Midgar.
- Hai una spada –
provò lui
ma non avevo intenzione di rendergliela facile.
Sorrisi. – Questo
è
evidente.
- E’ solo per far scena o ti
ha allenata qualcuno?
Ed ecco che ci avvicinavamo
a un argomento più pericoloso. – No, non
è solo per far scena – risposi anche
se di questo non ero ancora del tutto sicura. Sapevo quale sarebbe
stata la sua
prossima domanda, il modo in cui avevo evitato di rispondere un secondo
prima
lo aveva incuriosito ancora di più, glielo leggevo negli
occhi.
Fu una fortuna che il maestro
scelse proprio quel momento per arrivare. Se Andrej mi avesse chiesto
qualcosa
riguardo chi mi aveva allenata non avrei avuto la più
pallida idea di cosa
rispondere. Non volevo nascondermi ma avevo come
l’impressione che presentarmi
come l’allieva di Sephiroth non sarebbe stata la scelta
più intelligente che
potessi fare.
- Buon giorno a tutti –
disse il maestro avvicinandosi. Noi ragazzi eravamo più o
meno una ventina. Si
voltò verso di me e mi strinse la mano. – Il mio
nome è Toshihiro. Sono il maestro
di spada – mi disse, poi si rivolse agli altri ragazzi.
– Questa è Yuri, da
oggi si allenerà con noi. Diritto che le è stato
concesso da Vincent Valentine
in persona che le ha offerto asilo grazie a delle
situazioni…piuttosto
straordinarie. Inoltre – mi lanciò
un’occhiata complice – pare abbia avuto un
insegnante eccellente.
Che strano. Lui non sembrava
avere alcun problema con la mia vicinanza a Sephiroth. Mi chiesi
perché…ancora
oggi non sono stata in grado di trovare una risposta se non che
Toshihiro è
l’uomo dalla mente più aperta che abbia mai
conosciuto. L’ho sempre rispettato
molto per questo.
Si rivolse di nuovo a me. –
Sei versata in qualche altra pratica di combattimento oltre alla spada?
Spostai il peso da un piede
all’altro, nervosa. – Ho cominciato a studiare con
le Materia. Ma non posso
dire di essere un’esperta a riguardo.
Toshihiro mi guardò a bocca
aperta. Lo stesso fecero tutti gli altri. Spalancai gli occhi, confusa.
Avevo
detto qualcosa di male?
- Materia nel senso
di…magia? – indagò il maestro.
Corrugai le sopracciglia. In
che altro senso potevo intendere? – Certo magia.
Perché? C’è qualcosa di male?
– domandai sospettosa.
- No! No! Anzi…è
straordinario!
-
E’ una conoscenza andata quasi perduta ormai
– mi spiegò Kurenai. - Non che non si conosca la
teoria ma…non si è
semplicemente più in grado. Il nonno ha cercato di
insegnarmelo per un sacco di
anni ma niente da fare. Riesco a malapena a fare reagire le Materia
alla mia
presenza, figuriamoci usarle.
- Ed è comunque uno dei
risultati maggiori ottenuti negli ultimi anni –
specificò Toshihiro. Scrollò le
spalle. – Bene. Che ne dici di essere messa alla prova? Fammi
vedere cosa sai
fare – disse facendo cenno a uno dei ragazzi di farsi avanti.
Questo estrasse
la spada e si posizionò al centro del campo.
Ero nervosa. Ero
estremamente nervosa. Non potevo certo rifiutare eppure…come
potevo essere in
grado di affrontare qualcuno? Non avevo mai realmente combattuto contro
un
avversario: non eravamo ancora arrivati a quel punto. L’unica
persona con cui
mi ero mai scontrata era stato Sephiroth e le nostre
capacità erano così
divergenti che li si poteva a malapena chiamare incontri.
“Ora,
colpiscimi” mi aveva detto una volta
durante un allenamento. Mi sorrideva raggiante, eravamo così
felici all’epoca,
e quel giorno più degli altri perché ero riuscita
a non farmi colpire nemmeno
una volta dai suoi attacchi (controllati, sia ben chiaro). Stavamo
passando al
livello successivo.
“E
se poi ti faccio male?” scherzai
mettendomi in posizione, impugnando la spada a due mani e tenendola
davanti a
me.
Si
chinò in avanti, senza smettere di
sorridere. “Voglio proprio vederti provare.”
Approfittai
di quel momento per attaccarlo
con un affondo che naturalmente schivò come se prima
l’avessi avvertito.
“Prevedibile?” gli domandai piegando le gambe e
alzando la spada all’altezza
della mia testa, pronta ad attaccare di nuovo.
“Affatto”
rispose lui con tranquillità. “Ho
visto la tensione nei tuoi muscoli” mi confidò.
Sospirai.
Sapevo di non potevo batterlo con
la forza. Un attacco sferrato singolarmente non sarebbe mai andato a
buon fine.
Concentrata a pensare mi lasciai sfuggire una breve risata.
“Cosa?”
mi chiese curioso.
“Mi
sembra di giocare a poker” e balzai in
avanti. Lui fece un passo di lato, poi uno in dietro, muovendo
elegantemente le
spalle e il busto quanto bastava per non venire colpito. Non sarei mai
stata in
grado di raggiungere il suo livello.
“E’
così” mi confidò continuando a evitare
i
miei colpi. “In parte. Un avversario più debole lo
puoi battere con la forza.
Un avversario più lento con la velocità. Ma
quando un avversario è di pari
bravura? E se è più abile di te?”
“Se
posso fuggo. Me l’hai insegnato tu” riuscii
a rispondere tra un colpo e l’altro.
“E
se non puoi?”
Abbassai
la lama della spada su di lui,
sapevo che avrebbe schivato anche quell’attacco, ma
all’ultimo lasciai la presa
della mano sinistra riuscendo a modificare la direzione del colpo
all’ultimo
secondo. Non riuscì a schivarlo e fu costretto a pararlo con
la spada.
Fischiai
tra i denti irritata.
“Molto
brava” disse lui. “Sei quasi riuscita
a sorprendermi.” Con un movimento circolare del polso mi fece
volare via di
mano la katana, poi con un unico movimento lasciò cadere a
terra la Masamune e
mi prese tra le braccia.
“Sarebbe
un nuovo tipo di attacco?” gli
chiesi allacciando le mani dietro la sua nuca.
“Nuovo?
No” mi sfiorò le labbra con le sue.
“Attacco? Nemmeno” mormorò lasciando una
scia di baci lungo la mascella e giù
per il collo. Gli presi il viso tra le mani e lo costrinsi a guardarmi
di nuovo
negli occhi. Chinai la testa su di lui, lo baciai e mi lasciai adagiare
dolcemente a terra.
Sarei
stata soddisfatta se fossi riuscita a non farmi colpire. Andava bene. Posso farcela, cercai di convincermi
anche se un’altra parte di me continuava a urlarmi che non
era vero.
Il
ragazzo si inchinò e io lo imitai. La sua spada era diversa
dalla mia, non
sapevo come veniva chiamata ma Sephiroth me ne aveva parlato, era
tipica di
queste parti e veniva utilizzata con un metodo di combattimento diverso
da
quello che mi era stato insegnato, un metodo che si basava sulla
velocità più
che sulla potenza. In qualche modo la cosa non mi mise molto a mio
agio. Poi il
ragazzo mi attaccò e fu tutto diverso.
Era
lento. Ancora più che lento, il suo corpo sembrava urlarmi
la sua prossima
mossa. Come avrebbe roteato la spada, in che direzione avrebbe provato
a
colpirmi. In quel momento realizzai fino in fondo la bravura di
Sephiroth. Lo
avevo visto combattere come Safer e avevo saputo che spadaccino
eccellente fosse:
la sua tecnica, la sua velocità…erano cose
impossibili da ignorare. Poi l’avevo
visto combattere come Sephiroth e avevo visto qualcos’altro
che non aveva
niente a che fare con la tecnica nel combattimento. Il fatto
è che avevo sempre
basato i miei standard su di lui, su quello straordinario guerriero.
Non mi ero
mai resa conto di quanto essi fossero alti.
Continuai
a schivare i suoi colpi per un po’, a volte optavo per
pararli con la spada, e
cominciai a leggere una certa irritazione e impazienza sul viso del mio
avversario. Sorpresa com’ero dalla mia stessa
abilità non volevo comunque
compiacermi troppo, non volevo tormentare il mio
avversario…un insegnamento
che, per quanto strano possa sembrare, mi era stato insegnato proprio
da
Sephiroth.
Il
ragazzo lasciava sempre il fianco scoperto quando attaccava, lo notai
quasi
subito. Attesi che si facesse di nuovo avanti: lasciai scivolare un
piede
indietro evitando obliquamente la lama della spada, girai su me stessa
(mi
stavo pavoneggiando e lo sapevo) e lo colpì tra le costole
con il gomito. Fu
costretto a chinarsi in avanti per il dolore e approfittai di
quell’opportunità
per disarmarlo con un fendente dal basso. La sua spada volò
via. Agganciai il
suo piede con il mio, lo feci scivolare in avanti facendolo cadere per
terra.
Subito mi posizionai sopra di lui, puntandogli la spada alla gola senza
ferirlo. Avevo vinto io.
- Chi
diavolo l’ha allenata? – sentii qualcuno esclamare
alle mie spalle.
- Ok,
basta così – fece il maestro. Feci un passo
indietro e rinfoderai la spada.
Toshihiro mi stava guardando interessato. Lo vidi estrarre la spada.
– Prova ad
affrontare me adesso.
Accettai.
Come prima, ci posizionammo uno di fronte all’altro. Di
nuovo, aspettai che
fosse lui il primo ad attaccare. Il maestro era molto più
veloce, molto più
forte del suo allievo, ma non c’erano confronti con
Sephiroth, anche quando si
stava trattenendo per i nostri allenamenti, e se riuscivo a evitare
lui, potevo
evitare quasi chiunque. No, non era la difesa il problema. Toshihiro
era molto
colpito dalla mia abilità nel prevedere gli attacchi ma il
suo approccio era
differente da quello del ragazzo. Non era superbo. Non era impaziente e
soprattutto, non lasciava punti scoperti. Provai un affondo un paio di
volte ma
lo parò senza difficoltà. Non mi illudevo di
poterlo battere. Per un momento
pensai di tentare la mossa che avevo usato con Sephiroth durante
quell’allenamento ma non mi fidavo. Avevo la prova di quanto
fosse semplice
disarmarmi una volta lasciata la presa con una mano.
Dopo un
po’ che andavamo avanti in questo modo, con nessuno dei due
che riusciva a
superare la difesa dell’altro, lo vidi sorridere. Fece un
passo indietro e
subito si lanciò in avanti, come se stesse prendendo la
rincorsa, e fece
roteare la spada davanti a sé con un movimento a otto che si
chiamava, scoprii
in seguito, Katate Hachi no Ji Gaeshi. Riuscii a pararlo ma non mi ero
resa
conto di quanto si fosse avvicinato e non potei fare niente quando
bloccò la
mia spada con la sua e mi colpì sulla fronte con la testa
stordendomi e
facendomi cadere all’indietro. L’incontro era
finito.
Mi
accorsi che i ragazzi stavano applaudendo. Il maestro si fece avanti e
mi tese
una mano per aiutarmi ad alzarmi, la accettai con riconoscenza.
-
Eccellente – si congratulò. Dammi un paio
d’anni con te e diventerai una
spadaccina davvero eccezionale.
Dopo di
che cominciò l’allenamento vero a proprio.
Era stato
fantastico allenarsi con altre persone. Non vedevo l’ora di
tornare il giorno
dopo ma…mi mancava Safer. Sephiroth.
Sospirai.
Avevo bisogno di farmi una doccia. Mi allontanai dal campo insieme agli
altri,
qualcuno addirittura rallentò per potersi complimentare con
me. Sorrisi. Ero
felice di aver deciso di rimanere.
Kurenai
balzò fuori dal nulla e mi afferrò il gomito. Si
mise un dito davanti alle
labbra per dirmi di non parlare e mi fece cenno di seguirla.
Attraversammo il
campo e raggiungemmo la pagoda dei maestri.
“Cosa
succede?” le mimai con la bocca ma lei mi fece cenno di stare
zitta e mi indicò
l’albero su cui aveva cominciato ad arrampicarsi. La seguii.
Dalla cima
riuscivamo a scrutare attraverso una delle finestre della pagoda. I
quattro
maestri stavano parlando tra di loro: Toshihiro, il maestro di spada,
Kyoshi,
la maestra ninja, Victor, il maestro d’arma da fuoco ed
Ekaterina, la maestra
di combattimento corpo a corpo. Stavano parlando di me.
- Abbiamo
visto mentre combatteva, Toshi. E’ incredibile che possa
essere così abile a
quest’età – esclamò Ekaterina
scettica.
- Eppure
sono stato io stesso ad affrontarla e posso assicurarti che
è possibile. Almeno
per lei. Non riuscivo a prenderla alla sprovvista.
- Essere
addestrata da Sephiroth può essere stato così
determinante nel formare la sua
abilità? – si interrogò Victor
grattandosi una basetta.
-
Parliamo piuttosto di questo – intervenne Kyoshi. –
Sephiroth. Perché
ricordiamo che lei non è stata solo l’allieva di
Sephiroth. Lei è stata la sua
amante. Siamo sicuri che possiamo fidarci di lei? E se diventasse una
minaccia
in futuro?
- No –
fece deciso Toshihiro. – Vincent Valentine stesso si fida di
lei. Non le
avrebbe permesso di stare qui altrimenti. Il suo legame con Sephiroth
non deve
né pregiudicarci né preoccuparci.
- Anzi –
aggiunse Ekaterina con un sorriso complice. – Direi che il
fatto che sia giunta
ad avere un simile rapporto con Sephiroth, non solo romantico ma anche
di
insegnamento…proprio lui che non ha mai insegnato a
nessuno…la rende una donna
piuttosto straordinaria.
-
Mettiamo che sia il caso – concesse Kyoshi. – Lo
vedremo col tempo.
-
Piuttosto…siamo tutti d’accordo di non far sapere
agli altri allievi di
Sephiroth? – volle sapere Victor.
Li
vedemmo annuire.
“Andiamo
via” sillabò Kurenai a quel punto. Avevamo sentito
abbastanza. Ridiscendemmo
l’albero il più silenziosamente possibile e ci
allontanammo.
- A quanto
pare sei “piuttosto straordinaria” – si
complimentò Kurenai sorridendo.
- Non si
fidano di me – sospirai.
- Ma lo
faranno. Vedrai.
Continuammo
a camminare in silenzio per un po’, non avevo voglia di
parlare. Stavo
pensando.
- Tutto
bene? – mi domandò Kurenai preoccupata.
– Alcuni ragazzi dell’allenamento ci
hanno chiesto di unirci a loro per cena…se ne hai voglia. Se
no possiamo
lasciar perdere se preferisci tornare a casa.
Mi
fermai. – Non è questo – mi voltai per
guardarla in faccia. – Possono anche
dirlo a tutti, i maestri. Non mi interessa. Non permetterò a
nessuno di
infangare quello che c’è stato tra me e Sephiroth.
Kurenai
si limitò a guardarmi, comprensiva. Non mi stava dando la
sua pietà, questa è
una cosa di lei che ho sempre amato.
- E’ successa
una cosa terribile alla fine e non la dimenticherò. Non la
posso dimenticare ma
non posso lasciare che una tragedia cancelli tutto quello che
c’è stato tra di
noi. Perché lui mi ha salvata, molto prima che mio padre mi
vendesse…e anch’io
credo di averlo salvato. Nessuno saprà mai cosa siamo stati
l’uno per l’altro.
Cosa siamo ancora. Non sarò mai sulla difensiva su questo.
Nessuno ha il
diritto di giudicarmi. Nessuno sa la verità.
Passammo
per casa prima di raggiungere gli altri a cena così potei
farmi finalmente la
doccia che tanto desideravo. Poi fu di nuovo il momento di saccheggiare
l’armadio di Kurenai, cosa che fece lei stessa. Non avevo mai
indossato vestiti
così belli. Erano abiti di città…avevo
visto alcune donne vestirsi così a Junon
e, oh, quanto le avevo invidiate. Indossavo un tubino blu elettrico e
un paio
di decolleté col tacco. Non avevo mai indossato dei tacchi
in tutta la mia
vita!
Arrivammo
un po’ in ritardo al ristorante ma nessuno sembrò
farci caso. A quanto pare
Kurenai non era famosa per la sua puntualità. Tra tutti,
riconobbi sono Andrej.
- Ma
vieni, vieni a sederti! – mi disse facendo posto per me e
Kurenai.
- Sei
stata fenomenale oggi! – fece una ragazza
dall’altra parte del tavolo. Si
chiamava Daria, ma tutti la chiamavano Dasha.
- Grazie
– feci io quasi imbarazzata.
- E la
Materia? Eri seria quando hai detto che sapevi usare le Materia?
– volle sapere
Haru, il ragazzo seduto accanto a Dasha.
- Sì,
certo. Ma è tanto che non mi esercito.
- Non
potresti mostrare come la usi?
Mi
incupì. Non ci avevo mai pensato fino a quel momento
ma… - L’unica Materia che
possedevo – esitai – l’ho perduta in un
incendio.
- Non ci
sono problemi! – esclamò Andrej al mio fianco. Si
infilò una mano in tasca e
tirò fuori dopo qualche secondo una sferetta di colore
azzurro. Riconobbi
subito la Materia.
- Dove
l’hai trovata? – esclamò Haru
sporgendosi in avanti, oltre al tavolo, per
poterci dare un’occhiata più da vicino.
- Dai
miei. E’ un vecchio cimelio di famiglia. Non se ne
accorgeranno, ormai nessuno
di noi sa più utilizzarla.
- Puoi
farci vedere come fai? – insistette Dasha con un sorriso.
Presi la
Materia nel palmo della mia mano che subito si illuminò di
un tenue colore
azzurro. – E’ una ICE Materia – spiegai -
Non ne ho mai usata una prima.
- Non ti
vorrai tirare indietro proprio adesso – esclamò
Andrej coprendomi la mano con
la sua e carezzandomi lentamente l’interno del polso. Io
ritirai la mano. Non
ero sicura di quello che stava facendo ma mi stavo creando
un’idea ben precisa.
- Posso
farlo – afferrai la brocca d’acqua e riempii un
bicchiere. Tenendo stretta la
Materia nella mano destra attinsi al mio spirito, come mi aveva
insegnato
Sephiroth tempo prima, e sentì la magia scaturire dalle mie
mani. Il bicchiere
diventò di ghiaccio.
Tutti i ragazzi
al tavolo cominciarono ad applaudire. Io sorrisi. Ero stata cauta, non
avendola
mai usata non sapevo esattamente la sua potenza, ma adesso…
Riempii
un altro bicchiere d’acqua e questa volta lo porsi a Kurenai.
- Al mio tre,
lancia il contenuto per aria, d’accordo?
Kurenai
sorrise raggiante. Si stava divertendo come tutti gli altri.
-
Uno…due…tre…
Kurenai
fece come le avevo detto. Io usai la magia ICE e l’acqua si
cristallizzò a
mezz’aria, rimanendo sospesa come una scultura grazie a
quella piccola quantità
che era rimasta ancora nel bicchiere.
Questa
volta l’intero ristorante scoppiò in un applauso
fragoroso. Io non ero mai
stata così lusingata e imbarazzata allo stesso tempo. Mi
feci piccola piccola
seduta tra Andrej e Kurenai, rossa come un pomodoro.
-
Fenomenale! – Andrej fischiò tra i denti la sua
approvazione. Sono davvero
curioso di sapere chi è questo tuo maestro tanto misterioso!
– si chinò verso
di me avvicinandosi un po’ troppo per i miei gusti.
– Ce l’hai il ragazzo? –
volle sapere credendo di cambiare argomento.
Ok,
questa domanda proprio non me l’ero aspettata. Lo guardai con
la bocca
spalancata. Non avevo mai pensato a Sephiroth in termini di
“mio ragazzo”, la
definizione era così bizzarra che mi veniva quasi da ridere.
Mentre
stavo ancora cercando di capire cosa gli avrei risposto, fu Kurenai a
intromettersi. – E’ impegnata Andryusha,
quindi dacci un taglio. Anzi,
se proprio vuoi saperlo il suo ragazzo è anche il suo
maestro… quindi smettila
di provarci con lei, non è a suo agio con le tue avance, non
lo vedi?
Altrimenti verrà lui stesso a farti il culo!
La
fissai con
gli occhi spalancati. Allora ci stava
provando con me! Non potei
fare a meno di guardarlo compiaciuta mentre alzava le mani e
si allontanava dal mio spazio personale. Kurenai mi piaceva sempre di
più…anche
se ero consapevole del fatto che avrei dovuto imparare a cavarmela da
sola in
quel tipo di situazioni.
Il resto
della sera passò tranquillo. Mi divertii un mondo. Non avevo
mai fatto nulla
del genere a Nacom…raramente avevo avuto una compagnia
diversa dai miei
fratelli.
Cominciai
anche a capire vagamente in metodo con cui alcuni di loro creavano i
soprannomi…anche se ancora non riuscivo a capire come
facesse il nome Alexander
a diventare Shura. Ancora adesso non ho idea di che criterio
adoperino…ma adoro
i loro nomi. Ho anche scoperto che a Wutai Yuri è sia un
nome femminile, com’è
da me, che un nome maschile.
Sulla via
del ritorno Andrej si offrì ti accompagnarci a casa.
– Siamo grandi e forti –
gli risposi scherzando. – Possiamo cavarcela da sole. Ma
grazie.
Andrej
accettò e ci salutò togliendosi un cappello
immaginario per renderci omaggio.
Avrebbe continuato a provarci con me per un bel po’ prima di
trovare la donna
giusta per lui…e quando accadde, nessuno se l’era
aspettato meno di lui. Io
personalmente avevo cominciato a raccogliere scommesse già
da un paio di mesi.
Con quei soldi sì che mi sono fatta il guardaroba nuovo.
- E’ uno
stupido – mi disse Kurenai sulla strada di casa, sorridendo.
– Non farci caso.
- Lo
trovo divertente – le confidai. – Ma non
è il mio tipo.
- No…a te
piacciono alti e con i lunghi capelli argentati.
Arrossii
violentemente. Mi sembrava così strano poterne parlare
liberamente con
qualcuno. – Non è tanto più alto di
Andrej.
- Quanto
più alto? – volle sapere curiosa.
- Più
alto di Andrej…di tutta la testa credo.
- Beh è
un gigante! – commentò Kurenai poi, tornando
seria: - Non ti sei offesa vero?
Che mi sia intromessa nella tua conversazione con Andrej?
- No,
anzi. Ti ringrazio. Non sapevo davvero come reagire. Sai, da dove vengo
io le
donne non hanno molta libertà. Non ho mai avuto a che fare
con molti
uomini…beh, a parte i miei fratelli. Ma come puoi immaginare
loro non ci
provavano con me.
Kurenai
mi osservò pensierosa. – E con Sephiroth?
Com’è successo?
- Con
Sephiroth è differente. Ci siamo avvicinati in modo
completamente diverso
all’inizio…e poi…mi sono innamorata di
lui molto presto.
- Non ti
andrebbe… - esitò. La guardai con sguardo
interrogativo. – Non ti andrebbe di
parlarmene?
- Come…di
Sephiroth? – le domandai allibita.
- Ti te e
di lui. Insieme.
Sospirai.
– E’ una storia lunga.
Lei fece
spallucce. – Domani abbiamo allenamento al pomeriggio.
Sorrisi e
cominciai a raccontare.
Arrivammo
a casa che era notte inoltrata. – Kurenai – feci
esitante. – Sei sicura che non
dia fastidio a impormi a casa vostra in questo modo?
- Ma
scherzi? Questa casa è così
grande…è bello averti qui con noi. E’
come avere
una sorella! Se preferisci naturalmente puoi spostarti nella stanza
degli
ospiti non appena sarà ricostruita –
spalancò la porta senza preoccuparsi di
non fare rumore. – Oh, non occorre che parli sotto voce. Il
nonno non dorme
quasi mai. Sarà vicino al fuoco intento a leggere un libro.
In
effetti Vincent era sveglio. Come entrammo dalla porta
appoggiò il libro sul
bracciolo della poltrona e si alzò in piedi. –
Yuri – disse venendo verso di
noi. – Posso chiederti di scambiare qualche parola con me?
Spalancai
gli occhi. – Certo.
Diedi la
buona notte a Kurenai e lo seguii di nuovo fuori dalla porta. Aveva
suggerito
di fare una passeggiata. Camminammo in silenzio per alcuni minuti,
sotto le
splendide stelle nel cielo di Wutai.
- Come ti
stai trovando qui?
-
E’….fantastico. Sono tutti fantastici –
risposi sinceramente.
- Ho
sentito del tuo allenamento oggi.
- Già.
Lo vidi
sorridere con la coda dell’occhio. – I miei
complimenti. Non mi aspettavo
niente di meno.
- Ho
sentito i maestri parlare. Non sanno se fidarsi di me.
- Si
fideranno. Su questo non ho nessun dubbio - mi assicurò lui.
– Cosa ti ha fatto
decidere di restare? – mi chiese poi andando direttamente al
motivo per il
quale mi aveva chiesto di parlarmi.
Rimanemmo
in silenzio per qualche secondo, sembravano soltanto a me
un’eternità? Ma non
volevo dare una risposta insincera.
– La
paura – dissi all’inizio. – Non posso
affrontare i miei fratelli. Non posso
guardarli negli occhi e spiegare che è colpa mia se la loro
famiglia è morta.
Ho pensato di scrivere una lettera a Shin, sa, mio fratello maggiore,
ma non
posso fare nemmeno quello. Credo di preferire che pensino che sono
morta.
- E poi?
- Cosa
poi?
-
Cos’altro ti ha fatto rimanere?
Sospirai.
Tutta la verità, mi ero promessa. Ecco la verità.
– Lo voglio rivedere. Ma
voglio poterlo fare come sua pari.
-
Sephiroth? – annuii.
- Ha
detto che mi avrebbe aspettato. Prima di andarsene…ha detto
che mi avrebbe
aspettato. Anche se non ho idea di dove possa essere, quando
sarà il momento
giusto lo andrò a cercare.
- Hai
qualche idea?
Mi
sfregai la fronte con le dita, cercando di riflettere. –
Prima di tutto tornerò
a Nacom, tra le montagne dietro il villaggio, dove viveva quando
stavamo
insieme ma se non è lì… allora non ho
idea di cosa potrei fare.
- Quanto
combattemmo Sephiroth eravamo in nove – fece una pausa.
– Beh, otto – si
corresse. – Uno di noi si chiamava Red XIII ma il suo vero
nome era Nanaki. Una
razza felina senza nome molto intelligente, con la capacità
di parlare e con
una vita lunghissima. E’ l’unico altro membro
dell’AVALANCHE ancora in vita.
Diversi anni fa, ormai credo di aver perso il conto,
ha creato questa specie di fratellanza a
Cosmo Canyon e l’ha addestrata, rendendola pronta nel caso in
cui Sephiroth
fosse tornato.
Lo
guardai confusa. – Ma non capisco. Com’è
possibile che si aspettassero il
ritorno di Sephiroth? Io stessa ancora adesso non so come sia possibile
che sia
qui oggi, vivo.
Vincent
sospirò, aveva un’espressione molto stanca.
– Non so quanto sia giusto che sia
io a dirti queste cose. Dovresti chiederle a lui quando lo ritroverai.
Ti dirò
solo questo. Sephiroth non è umano, non del tutto, come
dovresti sapere è il
risultato di un esperimento della Shinra Corporation che gli ha infuso
cellule
di un alieno chiamato Jenova quando era ancora un feto. In seguito
Sephiroth è
morto, molto prima di affrontare
noi
dell’AVALANCHE. E’ morto durante una missione a
Nibelheim ed è stato Cloud
Strife a ucciderlo.
- Aveva
ventiquattro anni – realizzai.
Vincent
mi guardò sorpreso. – E’
così. Come fai a saperlo?
- Un giorno…oh, sembra
così
tanto tempo fa ormai, gli ho chiesto quanti anni avesse e lui mi ha
dato la più
strana delle risposte. Me lo ricordo come se fosse ieri: “Attualmente credo di avere con
esattezza ventiquattro anni” mi disse e quanto gli chiesi
spiegazioni si limitò
a rispondere “Per certi versi potrei dire di averne circa
centotrentadue…ma
considerami un ventiquattrenne.”
- E’ tornato, in seguito.
L’hanno riportato in vita
come clone. Quel Sephiroth è morto a ventiquattro anni ma il
suo clone, creato
sei anni dopo, ha vissuto fino a trentadue anni.
- E il giorno in cui l’ho
incontrato era il centesimo
anniversario della caduta di Meteor – compresi meravigliata.
- Ha i ricordi di tutta la sua
vita…ma ha l’età che
aveva il giorno in cui il suo corpo originale è morto.
Sorprendente.
Continuammo a camminare in silenzio.
Questa volta era
Vincent che sembrava perso in una profonda riflessione.
All’improvviso sembrò
ridestarsi, voltò la testa verso di me per un secondo poi
ricominciò a parlare
come se non si fosse mai interrotto.
- I guerrieri di Cosmo Canyon sono
diventati dei
fanatici nel corso degli anni. C’è addirittura
stata un’operazione,
ironicamente chiamata Progetto Jenova, da cui alla fine hanno preso il
nome,
con la quale hanno cominciato a sterminare tutti gli albini e tutte le
persone
entrate a contatto con l’energia Mako, tranne loro stessi,
che vengono in
questo modo potenziati e tenuti sotto controllo.
Si fermò di colpo. A quel
punto lo vidi stringere le
palpebre, chinandosi in avanti per guardarmi bene negli occhi. Aveva
una strana
espressione. Dovetti impormi di non indietreggiare davanti al suo
scrutinio.
Dovevo ancora abituarmi al suo sguardo rosso come il sangue. I suoi
occhi e
quelli di Kurenai erano dello stesso colore…ma i suoi mi
ispiravano qualcosa di
diverso. Una sorta di timore riverenziale. Non volevo dirglielo, non
glielo
avrei detto, ma mi ricordavano gli occhi rossi dei ratti da
laboratorio. Ancora
adesso, ogni tanto, quando lo guardo mi vengono in mente: sangue ed
esperimenti.
- Tu non sei entrata a contatto con
l’energia
Mako,vero?
Sbattei le palpebre sorpresa, presa
alla sprovvista
dalla domanda. – No, non proprio.
- Spiegati.
- Safer… - cominciai. Mi
schiarii la voce,
correggendomi. – Sephiroth una volta mi ha portata in una
grotta. In quella
grotta, lui diceva, filtrava il Lifestream nella sua forma
più pura.
Vincent sollevò un
sopracciglio. – Hai toccato il
Lifestream?
- L’abbiamo toccato insieme.
Vincent si raddrizzò, senza
smettere di osservarmi
meravigliato. – Ma perché Sephiroth avrebbe
dovuto…? – mormorò tra sé e
sé. –
Lasciamo stare.
Riprese a camminare.
- Cosa? Spiegami! – cercai
di convincerlo ma non disse
più una parola mentre ci giravamo e tornavamo verso casa.
In
seguito scoprii da sola quello
che Vincent mi aveva taciuto. Passarono quattro anni prima che mi
decidessi
finalmente a lasciare Wutai. Tra le lunghe ore di addestramento e le
nuove
amicizie finii lo stesso per passare molto tempo nella grande e antica
biblioteca di Wutai: fu lì che ottenni la mia risposta:
toccando insieme il
Lifestream anche le nostre anime si erano toccate. Per un istante si
erano fuse
insieme e ci eravamo capiti nella nostra interezza. Nessuno di noi
sarebbe
stato in grado di comprendere di nuovo, così completamente,
così profondamente,
l’anima di un’altra persona. Si era creato un
legame difficile da spezzare.
Eccolo! Eccolo! Un nuovo capitolo tutto per voi! Un
capitolo lungo
lungo! *_* Aspettatevi capitoli lunghi lunghi d’ora in poi ed
esultiamo perché ho
finalmente capito come finire questa storia! Hurray! Dunque...questo
è il
capitolo 24! Vediamo Yuri ambientarsi a Wutai…e naturalmente
il bonus Sephiroth
che ci sta sempre. Ci tengo a precisare che non finiscono a fare sesso
ogni
volta che fanno un allenamento insieme…solo che Yuri sembra
preferire quel tipo
di flashback ma che ci vogliamo fare?
Prossimo capitolo: La Tigre di Wutai
E questa volta magari cercherò di non farvi aspettare un
mese. Domani
sarebbe stato un mese preciso! Assurdo!! E già che ci sono
mi faccio pubblicità…
perché sì u.u ho cominciato a scrivere fic su
Doctor Who quindi se avete solo
una vaga conoscenza della serie…filate a leggere! Che con
questa storia mi
avete viziata! Ormai mi aspetto un minimo di 4 a un massimo di 7
commenti a
capitolo…lì mi fanno pensare! xD Detto
questo…un bacione e alla prossima! Con
una Yuri che diventa più cazzuta ogni capitolo che passa!
*_*
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Capitolo 25 *** La Tigre di Wutai ***
Fu facile integrarsi. Facile
iniziare a considerare
Wutai una nuova casa. Facile trovare una famiglia in Vincent e
Kurenai.
Ciò che mi fu completamente
inaspettato fu trovare la
più grande della amicizie in Andrej, quello strano e
invadente ragazzo che nei
primi mesi non aveva fatto altro che schernirmi, scherzare con me e
provarci in
maniera più o meno scontata. Quello stesso ragazzo che dopo
un anno si era
innamorato di Kurenai e l’aveva sposata nel giro di pochi
mesi.
Quattro anni sono tanti…ma
passarono felici. Mi
permisero di crescere, di diventare veramente indipendente, la donna
che dovevo
essere come, forse, non sarei mai stata se fossi rimasta con Sephiroth.
Ricordo
ancora così vividamente il giorno in cui lo realizzai per la
prima volta…che
stavo cambiando.
Erano passati solo pochi mesi dal mio
arrivo a
Wutai…sei, forse sette, quando uno dei ragazzi che si
addestravano con noi si
mise tra me e Andrej, interrompendo il nostro allenamento. Estrasse la
spada e
me la puntò contro.
- Amico, si può sapere cosa
diavolo stai facendo? -
domandò Andrej allerta ma cercando di mantenere un tono
scherzoso. Alzò una
mano per fargli abbassare la spada ma Dimitrij, quello era il suo nome,
lo
ignorò completamente. Io mi limitai a fissarlo, senza
indietreggiare: sapevo di
essere più forte di lui. Più veloce di lui. Se
avesse provato a fare qualunque
cosa non avrei avuto nessun problema a prevaricare ma non rinfoderai la
spada.
- Stavo passando davanti alla porta
dei maestri – mi
ringhiò contro ma a voce abbastanza alta da farsi sentire da
tutto il campo. –
Indovina di chi stavano parlando.
Sbuffai. La vicinanza di Andrej mi
aveva fatto
riacquistare quel sarcasmo che avevo perso negli ultimi tempi.
– Di te? –
chiesi in tono di scherno.
- No – rispose Dimitrij, o
Dima come lo chiamavano
tutti. In quel momento non avevo nessuna intenzione di pensare a lui
con un
amichevole soprannome. Mostrava un ghigno malevolo sulle labbra, come
se mi
tenesse in pugno. – Di te. O meglio…del tuo
maestro.
Non battei ciglio. Sapevo esattamente
dove stava
andando a parare e non mi interessava. L’avevo già
detto a Kurenai alcuni mesi
prima: non avrei permesso a nessuno di infangare quello che
c’era tra me e
Sephiroth.
- Oh – gli risposi quindi,
per nulla impressionata.
Tutti gli altri ragazzi però erano stati attirati dalle sue
parole e si erano
avvicinati, curiosi di sapere chi fosse stato l’uomo che mi
aveva insegnato a
combattere in quel modo.
- E’ inutile che fai finta
di niente – Dimitrij si
girò per farsi vedere da tutti e urlò: - Il suo
maestro è Sephiroth.
Tutti si voltarono a guardarmi.
Qualcuno aveva
un’espressione confusa, qualcuno spaventata, qualcuno forse
un po’ ferita.
Anche Dimitrij si voltò di nuovo verso di me, dopo aver
osservato compiaciuto
le espressioni di stupore dei miei compagni.
- E quindi? – gli domandai a
quel punto.
Lui scoppiò a ridere. Non
mi piaceva il suo modo di
ridere. Mi stavo seriamente trattenendo dal dargli un pugno sul naso.
- E quindi ti abbiamo sentita tutti il
primo giorno!
Il tuo maestro è anche il tuo “ragazzo”.
Sei l’amante di Sephiroth!
- E quindi? – ripetei
mostrando i denti. Feci un passo
in avanti, minacciosa. Lo stavo odiando. Come osava. Come OSAVA.
- E-e-e…quindi…
- balbettò lui facendo un passo
indietro. Si fece piccolo piccolo all’inizio sotto il mio
sguardo, poi lo vidi
raccogliere quel poco di coraggio che gli restava, se si poteva
chiamare
coraggio, e rizzò di nuovo la schiena per un attimo.
– Quanto si può essere
perversi per arrivare a tanto? – mi accusò.
Con un unico movimento lo disarmai e
rinfoderai la
spada. Un istante dopo l’avevo afferrato per il colletto
della camicia e lo
strattonai con violenza. – Vi ho mai dato un motivo per
dubitare di me? – gli
ringhiai contro, quasi sollevandolo da terra: ero diventata forte.
- N-no.
- Di temermi?
- N-n-o…
- E allora dacci un taglio!
– gli ruggii in faccia
spintonandolo lontano da me e facendolo cadere per terra. Lo degnai di
un
ultimo sguardo disgustato prima di voltarmi verso la schiera di
spettatori che
si era formata. – Nessuno di voi lo conosce. Nessuno di voi
l’ha mai
incontrato. Non è più un mostro. Ha
fatto cose terribili, nessuno lo sa
meglio di me, ma è cambiato. E’ un uomo ed
è l’uomo che amo. Se qualcuno ha
qualcosa da dire è meglio che si faccia avanti subito. Dopo
di che…non ho più
intenzione di sentire nemmeno una parola a riguardo!
Nessuno
poteva permettersi di
giudicarmi. Li vidi indietreggiare sotto il mio sguardo furente.
-
Allora?
Molti di loro evitarono il mio sguardo
e tutti
rimasero in silenzio. Mi rivolsi ad Andrej, che non si era ancora mosso
e non
aveva ancora detto una parola. – Tu?
Ma Andrej stava sorridendo e
finalmente scoppiò a
ridere, spezzando la tensione. Mi si avvicinò e mi
batté amichevolmente una
mano sulla spalla, senza smettere di ridere. – Ma certo!
– esclamò meravigliato.
– Chi altri potresti amare se non il più grande
guerriero del mondo? – fece un
passo indietro e sollevò la spada per riprendere
l’allenamento. – Quando sei
pronta…fatti sotto tigre.
Anch’io gli sorrisi.
Estrassi la spada e mi misi in
posizione.
Fu quel giorno, immagino, che
cominciarono a chiamarmi
la Tigre di Wutai.
Dan dan dan
daaaaaaaaaaaan!!! Un altro capitoloooo! *_* Si vede che sono ispirata?
Questo, mi dispiace, è solo un capitoletto di passaggio
breve breve. Forse un giorno (se mai sarò ispirata)
scriverò un capitolo da inserire tra questo e il
precedente...in cui analizzo meglio il modo in cui il rapporto di Yuri
con i vari personaggi di Wutai (tra cui, soprattutto, Kurenai, Vincent
e Andrej...mettendo l'accento su come Kurenai e Andrej si sono
avvicinati l'uno all'altro) ma per ora ce li teniamo così!
La nostra Yuri è cresciuta...si è fatta
grande...e salva la Cina. (No! Quella è Mulan! Yuri non
salva la Cina ma si ritrova con un soprannome super cazzutissimo!
mwahah)
Prossimo capitolo si chiamerà "Rimettersi in viaggio" o
qualcosa del genere e non sarà lungo...di più.
Potrei addirittura decidere di dividerlo in due! Vedremo. Vedremo.
Gioite o fanciulle perchè già sento "estuans
interius ira vehementi" eccheggiare in lontananza. Sephiroth
è sempre più vicino!
Un bacione, alla prossima! ^_^
p.s. e non dite che Andrej non vi piace D: gli vogliamo bene ad Andrej!
<3
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Capitolo 26 *** Rimettersi in viaggio ***
Nota prima
di
iniziare: Ero piuttosto sicura di averlo scritto nei capitoli
precedenti ma non
sono riuscita a trovare il punto in cui dovrei averlo
scritto…e mi è venuto il
dubbio che forse ho lasciato fuori un pezzo di trama: Vincent Valentine
è il
reggente di Wutai in quanto era sposato con Yuffie Kisaragi che in vita
aveva
tenuto il comando. Alla sua morte la reggenza è passata a
loro figlio. Morto
pure lui la reggenza dovrebbe passare per via ereditaria a Kurenai ma!
Essendo Kurenai
stata troppo giovane, la reggenza è stata ripresa
temporaneamente da Vincent. Una
volta raggiunta l’età giusta è salita
al trono. Ecco. Se l’avevo già detto
meglio, piccolo ripasso…altrimenti vorrà dire che
dovrò andare a inserire
questa piccola info nei capitoli precedenti. Avrei potuto inserirlo qui
ma
credo che avrebbe dato un po’ di fastidio alla narrazione.
Sparai l’ultimo di una serie
di colpi contro il
bersaglio del poligono, poi mi voltai e raggiunsi Vincent, che mi aveva
osservato poco distante. Appoggiai Byakko sul ripiano in legno in modo
da
pulirla in seguito. Era la mia pistola personale: era stata un regalo
di
Vincent il giorno in cui ero riuscita a centrare tutti i bersagli del
poligono.
Erano passati ormai quattro anni dal
giorno in cui ero
arrivata a Wutai per la prima volta e da allora avevo cominciato ad
allenarmi
seriamente in tutte le discipline, guidata dai maestri di Wutai e da
Vincent
stesso, che mi aveva insegnato a sparare. Avevo imparato il
combattimento corpo
a corpo, anche se non sarei mai stata brava come Andrej, come pure le
basi per
le abilità ninja che mi ha permesso di avvicinarmi a Kurenai
ancora di più.
Ormai eravamo praticamente inseparabili.
È stata proprio Kurenai a
darmi finalmente il coraggio
necessario a dare un nome alla spada che mi aveva donato Sephiroth:
Jinsei no
Nagare. Lifestream. Ed è stata sempre Kurenai, quel giorno,
ad aiutarmi a
prendere un’altra decisione, forse più banale
all’apparenza ma cruciale per me
perché segnava ancora un altro punto di svolta nella mia
vita: mi sono tagliata
i capelli. Quei capelli che per la mia famiglia erano uno dei miei
pochi punti
di forza, l’unica cosa bella di me. Li ho tagliati il
più corto possibile e li
ho mantenuti così, lunghi solo qualche centimetro. Mentre mi
tagliava una
ciocca dopo l’altra, non avevo potuto fare a meno di pensare
come avrebbero
reagito i miei genitori vedendomi gettare via
“l’unica mia fonte di bellezza”. Mi
ero chinata in avanti per raccoglierne un ciuffo da terra e me lo ero
rigirata
tra le dita. Credo che mia madre si sarebbe messa a piangere vedendomi
in quel
momento. Non voglio pensare a come avrebbe reagito mio padre,
esattamente. Quello
che so è che non l’avrebbero accettato. So che non
avrebbero capito il perché di
quel gesto. Perché se non sei bella, cosa puoi sperare di
ottenere dalla vita?
Avevo sorriso, se solo avessero potuto sapere quello che una donna
può
diventare. Dopo un attimo Kurenai aveva esclamato: - Finito!
– e mi aveva porto
uno specchio. Ricordo la sensazione che provai nel passarmi le dita tra
i
capelli, ravvivandoli. Mi sentivo sopraffatta e non ero più
riuscita a
trattenermi. Scoppiai in una risata scrosciante. Mi sentivo libera.
Dopo tanto tempo,
forse per la prima volta da quando ero nata mi sentivo libera. Mi
sentivo
veramente solo padrona di me stessa, sentivo di poter fare qualunque
cosa, come
se quei lunghi capelli che avevo appena tagliato avessero rappresentato
l’ultimo
legame che mi teneva legata alle tradizioni della mia famiglia e a
tutto il
male che mi avevano fatto. Ero solo me stessa adesso. Non ero Yuri da
Nacom,
non ero la sorella minore, non ero la figlia dell’allevatore.
Ero solo Yuri. Yuri,
la tigre di Wutai.
- Non so perché continuo ad
assistere ai tuoi
allenamenti – commentò Vincent con un sorriso
malcelato. – Ormai non credo di
avere più niente da insegnarti.
Sapevamo entrambi che veniva qui per
tenermi
compagnia. Per parlare. Nel corso di questi quattro anni, lentamente,
con
cautela, avevo cominciato ad aprirmi con lui, a confidarmi. Vincent
Valentine
sarebbe sempre stato un nonno per Kurenai ma per me? Era diventato
ciò che mio
padre non era mai stato.
Mi sedetti accanto a lui sperando che
riprendesse il
discorso che aveva interrotto quando avevo smesso di sparare. Mi stava
parlando
di Yuffie, di come gliela ricordavo a volte. Non era una cosa che
faceva
spesso, parlare di Yuffie, ma quando succedeva mi trovavo letteralmente
a
pendere dalle sue labbra. Attraverso le sue parole era diventata il mio
modello, la mia aspirazione…avevo anche cominciato a
vestirmi come lei,
inconsciamente o meno.
Vincent si schiarì la gola.
– Ha continuato ad amarmi
fino all’ultimo battito del suo cuore. Io non potevo fare a
meno di amarla,
dopo essermi lasciato alle spalle i fantasmi del passato, non potevo
fare a
meno di metterla al centro del mio mondo. L’ho amata fino
alla fine, la amo
ancora adesso, anche se non ho mai creduto davvero di meritarla
– guardò dritto
davanti a sé, sembrava osservare i fori dei proiettili nelle
sagome di cartone.
Io aspettai che riprendesse a parlare, paziente. – Quando
Sephiroth è venuto da
me, all’inizio non potevo fidarmi. E come poteva essere
altrimenti – riprese
continuando a guardare in lontananza. – Avrei potuto capire
subito che era
cambiato, se solo avessi avuto la volontà di starlo a
sentire, ma lui era così
insistente…ostinato come non l’avevo mai visto,
che mi costrinse a guardare più
da vicino. Sono stati i suoi occhi a convincermi, alla fine. Lo sguardo
che
aveva quando parlava di te… fu allora che capii. Non era
più il mostro che
avevo conosciuto, ma il Soldier di prima classe, eroe di
Midgar…anzi, no – si
corresse voltandosi finalmente a guardarmi. – Non era
più nemmeno quello. Era
un uomo. E la cosa che lo rende un uomo più di tutto il
resto è proprio il
fatto che adesso, con te, lui si consideri tale.
Ripensai all’ultima volta in
cui avevo visto
Sephiroth, alle ultime parole che ci eravamo detti. Potevo rivivere
tutta la
scena alla perfezione nella mia mente, non era passato un giorno senza
che ci
pensassi. “Per quanto avessi
voluto
illudermi di poter essere un uomo con te, un uomo normale, rimango un
mostro”
mi aveva detto.
Sbattei le palpebre nel
tentativo di ricacciare indietro le lacrime. Chissà cosa
aveva fatto durante
quei quattro anni. Aveva viaggiato? Stava bene?
- Ti sta aspettando – mi
disse Vincent come se mi avesse letto nel pensiero.
Lo fissai. Non sapevo cosa rispondere.
Afferrai Byakko
e cominciai a pulirla con movimenti automatici. Un pensiero aveva
cominciato a
formarsi nella mia mente e mi diceva che era arrivato il momento.
- Stai partendo, vero? –
esclamò Kurenai, balzando
fuori alle mie spalle. Ero così abituata al suo brutto vizio
di origliare certe
conversazioni che non sobbalzai nemmeno. Non sapevo nemmeno come
facesse a
sapere con tale precisioni quali conversazioni ascoltare e quali no.
- Ho aspettato anche troppo tempo
– ammisi finendo di
pulire la pistola. Mi alzai in piedi e la rimisi al suo posto, nella
fondina
che avevo fissato intorno alla vita, sul fianco destro.
- Vorrei tanto venire con te
– confessò Kurenai
lanciandomi le braccia intorno al collo per abbracciarmi.
Tirò su col naso,
quasi in lacrime. – Ma…
La strinsi a mia volta e annuii. Da un
anno era salita
al trono di Wutai al posto di Vincent, aveva delle
responsabilità verso il suo
paese. Lo capivo.
Vincent fece qualche passo e
coprì la distanza che ci
separava. Appoggiò una mano sulla spalla della nipote e la
strinse
affettuosamente. – Vai – le disse serio. È
importante per tutti noi, dicevano i suoi occhi. Negli anni
avevo imparato
a sentire anche le parole che Vincent non pronunciava con la bocca,
dopo un po’
diventava impossibile non leggere nei suoi occhi quello che non diceva.
Kurenai sorrise e lo
abbracciò. Poi abbracciò di nuovo
anche me prima di correre via per parlare con Andrej. Ormai non
c’era nessuna
forza al mondo che avrebbe potuto trattenere quei due a Wutai.
Mi rivolsi a Vincent, approfittando di
quegli ultimi
momenti da soli. – Grazie. Di tutto – dissi e mi
avvicinai timidamente per
abbracciarlo, come aveva fatto Kurenai. Avrei voluto dirgli che per me
era il
stato il padre che non avevo mai avuto. Lo guardai negli occhi ma alla
fine mi
trattenni. Lo sapeva.
- Ti presento l’Highwind IV!
– esclamò Kurenai
facendomi entrare nell’aeronave di famiglia. –
Veloce! Affidabile! Resistente!
La seguii ridacchiando. – La
fai sembrare un prodotto
pubblicitario!
- Abbi pazienza, tigre! – mi
disse Andrej da dietro il
timone. – È da quando è nata che vuole
impossessarsi di questa nave e
finalmente c’è riuscita.
Kurenai gli fece una smorfia poi si
rivolse verso di
me. - Dove dobbiamo andare?
Sospirai. – Non so dove sia
adesso…ho sempre pensato
di tornare a Nacom, nei boschi dietro al paese dove usavamo
incontrarci. Forse
mi ha lasciato qualche indizio.
- Dopo quattro anni? –
domandò Andrej subbioso mentre
accendeva i motori dell’aeronave. Era perplesso, potevo
vederlo. Nemmeno io ero
certa di quello che avrei trovato dopo tanto tempo ma era
l’unica cosa che
potevo fare.
Scrollai le spalle. – Al
momento non ho altre opzioni.
Andai a sedermi in uno dei sedili
imbottiti, quello da
cui potevo guardare meglio fuori. Ero così nervosa che
dovetti trattenere un
brivido. Ero quasi certa che Sephiroth non si sarebbe trovato
lì. Perché mai
avrebbe dovuto aspettarmi nello stesso punto da quattro anni? Ma se
invece l’avesse
fatto? Se la ricerca fosse stata così facile e
l’avessi incontrato subito? Cosa
gli avrei detto? Chiusi gli occhi e appoggiai la fronte contro lo
spesso vetro
dell’oblò. Non importava quanto tempo avrei dovuto
impiegare per trovarlo,
decisi, anche se avessi dovuto impiegare mesi ci sarei riuscita.
Dopotutto lui
mi aveva aspettato per quattro anni: me l’aveva promesso, non
avevo nessun
dubbio a riguardo.
Sospirai e mi strinsi le braccia
intorno al busto. Ma cosa
sarebbe successo quando finalmente ci saremo ritrovati una di fronte
all’altro?
Il viaggio durò diverse ore
e più il tempo passava e
più diventavo nervosa. Quando finalmente
l’aeronave si fermò, mi era salita una
tale nausea che non sapevo dire come mai non mi trovavo con un secchio
in mezzo
alle ginocchia. Ignorai il malessere e mi alzai in piedi, non avevo
tempo per
quello, e raggiunsi Kurenai che stava guardando fuori da uno degli
oblò più
grandi. Ci eravamo fermati sopra il bosco.
- Dovrete calarvi lungo il cavo
d’ancoraggio – spiegò
Andrej incrociando il mio sguardo. – Non
c’è abbastanza spazio per atterrare.
- E che problema
c’è? – esclamò Kurenai, che
stava già
scivolando verso il suolo. Andrej ed io ci scambiammo un sogghigno e la
seguimmo.
Una volta toccato il suolo nessuno
disse più una
parola. Non potevo e Kurenai e Andrej lo capivano, rimanendo in
silenzio a loro
volta. Ero tornata in questo luogo per la prima volta dopo tanto
tempo…ed era
cambiato così tanto. Non il posto. Potevo ancora riconoscere
ogni roccia, ogni
albero. Intravidi anche i resti di quell’albero che Sephiroth
aveva abbattuto
durante quel suo allenamento solitario tanti anni prima. No, era la
situazione
a essere cambiata. Noi eravamo cambiati. Io ero cambiata. Ero diventata
una
donna e quello che avevo sempre desiderato da tutta la vita: una
guerriera.
Solo diventandolo ero riuscita a capire che non era tutto quello che
volevo,
nella mia mente di ragazzina diventare una guerriera aveva
rappresentato
acquisire la capacità di diventare indipendente, di
liberarmi dalle pastoie che
mi legavano alla mia famiglia. Non avevo capito che avrebbe significato
tutto
questo e ancora mi mancava qualcosa.
Impiegai poco tempo a capire che
lì non avrei trovato
niente. Stavo per girarmi verso Andrej e Kurenai per suggerire di
tornare all’Highwind
quando un rumore attirò la mia attenzione. Un chocobo mi
stava osservando da
poco lontano, il suo becco di un giallo brillante e le penne un
po’ arruffate,
di un intenso colore nero. Feci per balzare in piedi ma mi bloccai a
metà del
gesto, non volevo rischiare di spaventarlo e farlo scappare. Il chocobo
mi
squadrò da capo a piedi poi con un
“kwhèèèè!”
cominciò a camminare verso di me
senza esitazione.
Quando solo mezzo metro ci divideva
l’una dall’altra,
alzai una mano per accarezzarlo e anche qui, il chocobo non
sembrò avere
problemi.
- Lei Lan? – dissi esitante
e ottenni subito un
entusiasta “kwéé” di
risposta. Non potevo crederci che fosse rimasta lì per
tutti quegli anni, da sola nel bosco si era inselvatichita ed era
riuscita
addirittura a cambiare colore, da rosso a nero. Mi voltai verso Kurenai
e
Andrej. – Era il mio chocobo – spiegai commossa.
Kurenai mi sorrise. – Posso?
– domandò indicando Lei
Lan. Annuii e la lasciai avvicinare. Kurenai toccò le
morbide piume del collo
dell’animale. – Non avevo mai visto un chocobo
così da vicino – mi confessò. A Wutai
non li usiamo per spostarci e li ho sempre visti solo da lontano.
Lasciai Kurenai con Lei Lan per
qualche minuto mentre
mi costrinsi a fare un altro giro della radura, anche se ormai sapevo
che non
vi avrei trovato nessun indizio.
Andrej mi si affiancò.
– Dove pensi di andare adesso?
– mi domandò notando i miei scarsi risultati.
Scrollai le spalle e guardai verso
ovest, dove sapevo
trovarsi Nacom. – Si torna a casa a quanto pare.
- Non ho capito cosa vorresti scoprire
qui – disse
Kurenai portandosi dietro Lei Lan con una cavezza che avevamo
improvvisato con
un pezzo di corda.
- È inutile continuare ad
aggirarsi alla cieca tra gli
alberi. Probabilmente non sapranno niente di Sephiroth, ma forse
sapranno dirmi
qualcosa di Shin o di Seimei. Glielo devo dopotutto.
Feci un respiro profondo, cercando di
scacciare via il
nervosismo che mi stava assalendo, e mi inoltrai nella piazza
cittadina, certa
che qualcuno avrebbe riconosciuto e mi si sarebbe avvicinato. Passarono
diversi
minuti, qualcuno ogni tanto mi lanciava un’occhiata e credevo
stesse per
riconoscermi, prima di capire che non l’avrebbero fatto. Mi
squadravano, certo,
così come squadravano Andrej e Kurenai. Dopotutto eravamo
due ragazze e un
ragazzo vestiti con abiti da combattimento e armati fino ai denti.
Avrei dovuto
capirlo subito che non saremmo passati inosservati in un paesino dalla
mentalità arretrata come Nacom, soprattutto Kurenai ed io.
Avvistai dall’altra parte
della piazza una ragazza che
conoscevo. Feci cenno ad Andrej e Kurenai di aspettarmi e la raggiunsi.
– Keira
– la chiamai per attirare la sua attenzione.
La ragazza si voltò verso
di me e mi squadrò un paio
di volte, lanciò un’occhiata dietro di me verso
Andrej e Kurenai, poi fece
tornare l’attenzione su di me. – Ci conosciamo?
– mi domandò.
Rimasi di stucco. Va bene non
riconoscermi vedendomi
passare per strada, ma nemmeno parlando faccia a faccia nessuno era in
grado di
ricordarsi di me?
Per un attimo temetti di aver
sbagliato persona ma no,
era proprio Keira. Non eravamo state amiche da giovani. Non ero mai
stata amica
di nessuno nel villaggio ma lei la ricordavo bene. Era stata il mio
ideale di
bellezza per anni, avevo invidiato i suoi capelli, il suo viso, la
forma dei
suoi fianchi…tutto. Avevo creduto che se fossi diventata
come lei, se fossi stata lei, sarei
stata felice.
Adesso i suoi capelli avevano
cominciato a sbiadirsi,
non erano ancora striati di grigio ma avevano perso quel colore pieno
di un
tempo. Il suo viso era sciupato, con una grossa ruga che le solcava la
fronte. Era
incinta e anche il suo corpo aveva, prevedibilmente, perso la linea di
un
tempo.
- Volevo sapere – cominciai
ma venni interrotta da due
bambine che mi sfrecciarono davanti e andarono ad appendersi al vestito
di
Keira. Due bambine e un terzo in arrivo, quindi. – Volevo
avere notizie di due
ragazzi che vivevano qui – ripresi una volta che fu riuscita
a zittire le
figlie.
- Ah – sospirò
Keira capendo subito di chi stavo
parlando. – Seimei e Shin. Quattro anni fa
c’è stata una tragedia. La casa dove
vivevano ha preso fuoco. Non sanno come sia successo. Shin viveva
già lontano
quando è successo. Seimei è stato
l’unico sopravvissuto. Gli altri fratelli, la
sorella, la madre e il padre…sono morti tutti. Suppongo che
non potesse più
restare qui – fece una pausa lasciando vagare lo sguardo
verso dove era sorta
la mia casa.
- Keira! – urlò
qualcuno poco lontano. Lei sobbalzò,
afferrò le bambine per mano e cominciò a
dirigersi velocemente verso l’uomo che
la chiamava.
- È mio marito –
mi disse in tono di scusa. – Devo
proprio andare.
- Aspetta – la fermai, visto
che aveva già cominciato
ad allontanarsi. – Non mi hai detto dove sono adesso Shin e
Seimei.
Keira rallentò senza
però fermarsi. Scrollò le spalle,
come se non capisse che importanza potesse avere. – Sono anni
che nessuno ha
più notizie di loro. Quando Seimei se
n’è andato da qui so che aveva intenzione
di raggiungere Shin a Junon.
Cercai di ringraziarla ma ormai non
era più portata
d’orecchio. Raggiunsi Andrej e Kurenai che mi avevano
pazientemente aspettata
dove li avevo lasciati. Lanciai loro un sorriso di ringraziamento. In
quel
momento non credevo di riuscire a parlare.
Keira, la ragazza che per anni avevo
desiderato
essere, adesso ricopriva il ruolo che mio padre aveva voluto per me.
Era
invecchiata, più dei venticinque anni che doveva avere,
sembrava stanca e
triste.
Nessuno mi aveva riconosciuta. Nel
villaggio dove
avevo passato quasi tutta la mia vita nessuno era stato in grado di
riconoscermi, anzi, mi credevano morta.
Mi passai stancamente una mano sulla
faccia. Avevo
difficoltà a processare tutto quanto in pochi secondi. E
ancora non avevo idea
di dove potesse trovarsi Sephiroth.
Mi sentii appoggiare una mano sulla
spalla. – Tutto
bene? Hai scoperto qualcosa? – mi sorrise Kurenai.
- Credono tutti che sia morta
– dissi in un soffio,
abbandonando le braccia lungo i fianchi.
Kurenai spalancò gli occhi
ma non disse niente. Non
credo ci sia niente che uno possa dire dopo una cosa del genere.
- Quindi, che si fa? – si
intromise Andrej a braccia
conserte. Odiava aspettare e non ne poteva più di girare in
tondo senza sapere
cosa fare.
- Andiamo a Junon – risposi
sbuffando. – È l’unica
cosa che mi viene in mente in questo momento.
Gli occhi di Kurenai si illuminarono.
– Possiamo
andarci in sella a dei chocobo?
Scoppiai a ridere, tornando
immediatamente di buon
umore. – Siete sempre sicuri di voler venire con me?
- Non possiamo certo lasciarti
divorare metà della
popolazione di Midgar mentre cerchi il tuo amato –
sbottò Andrej mentre si
dirigeva verso il negozi d’oggetti per comprare
dell’erba ghisal. Il suo tono
era brusco ma sapevo che stava ridendo sotto i baffi. A Wutai lui era
l’unico
che mi chiamava col soprannome che avevano scelto per me la
“Tigre di Wutai”
per prendermi affettuosamente in giro e non perdeva occasione per
creare nuove
battute o nuovi giochi di parole. Lo adoravo per questo.
Raggiungemmo la pianura fuori del
villaggio per
catturare due chocobo per loro. Volevano provarci loro stessi, quindi
li
lasciai fare. Mi limitai a restare un po’ in disparte a
osservarli, sarebbe
stato uno spasso vedere cosa si sarebbero inventati ma dopo un
po’ non fui più
in grado di concentrarmi sui miei amici. Le parole di Keira mi avevano
molto
colpita. Mi credevano morta. Tutti quanti, per anni, avevano pensato
che fossi
morta. Ripensai all’ultima volta che Seimei mi aveva vista,
pestata a sangue e
tra le braccia dell’uomo che aveva appena ucciso la nostra
famiglia e dato
fuori alla nostra casa.
Il senso di colpa mi colpì
con una fitta allo stomaco.
Era colpa mia: perché non avevo mai trovato il coraggio per
scrivere loro? Eravamo
rimasti solo noi tre, perché non avevo potuto far loro
sapere che ero viva? Mi avevano
fatto un funerale? Nascosi il viso tra le mani sentendomi bruciare gli
occhi.
Qualcuno mi poggiò una mano
sulla spalla. Alzai lo
sguardo e mi trovai a fissare Kurenai. Non disse una parola, mi strinse
in un
abbraccio strettissimo e non mi lasciò andare. Dopo un
attimo un altro paio di
braccia ci circondò e mi ritrovai stretta in mezzo ai miei
due migliori amici. Dopotutto
anche loro erano la mia famiglia. Mi lasciai andare a un pianto
vigoroso e una
volta cominciato sembrava non fossi più in grado di
smettere. Quand’era stata l’ultima
volta che avevo pianto così? Non riuscivo a ricordarmelo.
Piansi e piansi. Per
tutto quello che avevo passato e per tutto quello che avevo tenuto
stretto
dentro di me. I miei amici non si mossero finché non mi fui
calmata ed ero così
grata per il conforto che mi davano senza volere niente in cambio,
nemmeno una
spiegazione.
Mi lasciarono andare ed entrambi mi
sorrisero senza
dire una parola. Non potei fare a meno di ricambiare. Soddisfatti, si
girarono
e ricominciarono a inseguire i loro futuri chocobo. Finalmente serena,
sollevato l’ultimo peso dal cuore, scoppiai a ridere. Erano
così imbranati, ma
li lasciai fare.
Dopo aver visto fallire i loro
tentativi per più di
un’ora li raggiunsi continuando a ridere. Presi
l’ultima erba ghisal che ci era
rimasta e tornai dopo poco con due esemplari per loro due.
- Dopotutto ero la figlia di un
allevatore di chocobo!
– esclamai spronando Lei Lan alla corsa, partendo tutti e tre
in direzione di
Junon.
- Come sai che vive ancora qui?
– domandò Andrej
salendo dietro di me le scale per l’appartamento di Shin.
Digrignai i denti. – Non lo
so, And. Lo sto solo sperando tanto
tanto altrimenti dovremo appena
metterci a cercarlo.
- A che piano hai detto che si trova?
– si intromise
Kurenai prima che lui ed io cominciassimo a litigare, come spesso
accadeva in
queste situazioni.
- Secondo piano – ripetei.
– Ci siamo. Si trova in
fondo a questo corridoio.
Mi fermai sull’ultimo
scalino. Mi sentivo un groppo
alla gola. Cosa sarebbe successo una volta percorsi quegli ultimi metri
e
avessi bussato a quella liscia porta verde. Avrebbe aperto mio fratello
o uno
sconosciuto? E se Shin davvero viveva ancora lì, mi avrebbe
riconosciuta? Avevo
immaginato questa situazione così tante volte nella mia
mente nei quattro anni
passati, avevo vagliato ogni possibilità.
Vedendo che non sembravo avere
intenzione di muovermi,
Kurenai mi spinse con forza sulla schiena e solo i miei riflessi mi
permisero di
mantenere l’equilibrio senza aggrapparmi alla balaustra.
Mi girai a fissarla con rimprovero.
– Un attimo –
sibilai tra i denti.
- Guarda che è inutile
tergiversare – mi rimproverò
Kurenai salendo gli ultimi scalini e appoggiandosi alla balaustra per
guardare
in basso, verso la strada, dove avevamo lasciato Lei Lan e gli altri
due
chocobo ad aspettarci. – Se aspetti
un’illuminazione o qualcosa del genere non
arriverà, e lo sai.
Andrej invece fece spallucce. - E poi
magari non abita
nemmeno più qui.
Raddrizzai la schiena. – Ora
vado – dissi e raggiunsi
la porta dell’appartamento senza nemmeno respirare. Ripresi
una boccata d’aria
solo dopo aver suonato il campanello.
Sentii dei passi avvicinarsi
dall’altra parte della
porta. Il cuore mi martellava una piccola marcia nel petto. Lanciai
un’occhiata
veloce verso Kurenai e Andrej: erano di fianco a me ma avevano comunque
lasciato un paio di passi di distanza tra di noi, in modo da lasciarmi
un po’
di spazio.
La porta si aprii e davanti a me
c’era Shin. Fino a un
momento prima non avrei saputo dire che emozione avrei provato
vedendolo di
nuovo dopo tanto tempo, che tipo di reazione avrei avuto. In quel
momento,
l’unica cosa che mi sentii di fare fu sorridergli. Nonostante
l’imbarazzo,
nonostante quel soffio di paura che provavo per quello che era
successo, ero
felice di rivedere mio fratello maggiore.
L’espressione sulla sua
faccia però non cambiò. Rimase
freddamente cordiale, con un filo di curiosità, forse un
po’ confusa:
l’espressione di chi si trova davanti a un estraneo. Non mi
aveva riconosciuta.
Da mio fratello mi ero aspettata
qualcosa di più, ma
una parte di me lo capiva. Negli ultimi anni ero diventata una donna:
gli
ultimi tratti infantili erano svaniti, i lunghi capelli con i quali mi
aveva
sempre visto erano spariti, sostituiti da un corto taglio che nel
nostro
villaggio raramente si vedeva anche addosso agli uomini, e i miei
occhi… beh, i
miei occhi erano diventati verde acqua.
- Shin – gli dissi.
– Sono io – feci una pausa,
sperando che bastasse quello per accendere un bagliore di
riconoscimento nel
suo sguardo. – Sono Yuri – aggiunsi quando questo
non successe.
Solo allora Shin sbarrò gli
occhi. – Com’è possibile?
– esclamò con la bocca spalancata ma
già con le braccia distese per stringermi
in un abbraccio. Sorrisi ancora più di prima e lo abbracciai
a mia volta.
– Credevamo che fossi morta!
– mi spiegò guardandomi
in viso, registrando tutti i cambiamenti che erano avvenuti in me. Mi
sfiorò i
capelli con un sorriso ironico, se c’era una persona che
poteva capire perché
li avevo tagliati, era lui, ma quando si rese conto del colore dei miei
occhi,
la sua espressione si scurì.
- I tuoi occhi sono di un colore
diverso – notò con
tono piatto.
Mi sciolsi dal suo abbraccio.
– Oh, sono solo lenti a
contatti – gli spiegai sforzando una breve risata. Non potevo
certo dirgli la
verità. – Sono molto di moda a casa.
Feci un gesto verso Kurenai. Notando i
suoi occhi
color rubino, Shin sembrò accettare la mia spiegazione e
mise l’argomento da
parte. La fissò ancora per un lungo istante, prima di
tornare a guardare verso
di me. Sapeva di aver già visto Kurenai da qualche parte,
dopotutto avevano
trasmesso l’incoronazione per televisione quando era
successa. Trovai assurdo
che mio fratello avesse più facilità a
riconoscere un’estranea che aveva visto
in televisione piuttosto che me. Credo comunque che non
collegò Kurenai alla reggente
di Wutai, non in quel momento comunque, e con una leggera scrollata di
spalle
spostò di nuovo l’attenzione su di me.
- Sì, ma dove
sei
stata? – volle sapere notando certamente la scelta che avevo
fatto del termine
‘casa’ visto che entrambi sapevamo che non stavo
parlando di Nacom.
- A Wutai.
Corrugò la fronte ancora di
più. – Perché non hai mai
scritto?
Distolsi lo sguardo, spostandolo sul
muro dietro di
lui. Tornai a guardarlo. – Non ci sono riuscita.
Shin fece un passo in avanti
afferrandomi per le
spalle. – Dov’è Sephiroth?
Quel…quel mostro.
Mi irrigidii. Non mi piaceva quando le
persone
diventavano così fisiche con me. – Non lo so.
Dov’è Seimei?
Sentendo il nome dell’unico
altro membro della nostra
famiglia ancora in vita, Shin mi lasciò andare e fece un
passo indietro,
tornando sotto lo stipite della porta. Si passò una mano sul
viso e sospirò. –
Ti ricordi quattro anni fa, quando sei venuta a trovarmi?
Feci un verso affermativo.
- Ricordi quelle strane persone che
abbiamo incontrato
alla fiera?
Sospirai e mi coprii gli occhi con una
mano,
massaggiandoli con indice e pollice. Questa
davvero, davvero, davvero avrei preferito evitarla, pensai.
Avevo saputo
dal primo momento in cui li avevo visti che mi avrebbero portato guai.
– Le
truppe di Nanaki – conclusi stancamente.
Shin mi guardò sorpreso dal
modo in cui li avevo
chiamati. Tutti li conoscevano come Progetto Jenova o, ancora
più
semplicemente, come le truppe di Cosmo Canyon. Erano poche le persone
che le
conoscevano con quel modo.
- Sì. Come fai a saperlo?
Abbassai la mano e riaprì
gli occhi. – Me ne ha
parlato Vincent Valentine.
- Vincent Valentine? –
ripeté mio fratello, sempre più
confuso. – Il reggente di Wutai?
- Non è più il
reggente di Wutai – lo corressi e a
quel punto non me ne fregava niente di non essere chiara. Di trovarmi
faccia a
faccia con una setta di fanatici non era mai stato nei miei piani.
– Seimei? –
insistetti.
Shin era tornato a fissare Kurenai.
Dopo un attimo
spalancò gli occhi. L’aveva riconosciuta ma non
disse una parola a riguardo.
- Dopo – fece una brevissima
pausa, in cerca del
termine giusto – “l’incidente”
è venuto qui, naturalmente. All’inizio non ero
nemmeno riuscito a capire di cosa stava parlando. Ci sono voluti due
giorni
prima che riuscisse a spiegarmi cosa era successo.
Si fermò a guardarmi,
ripensando a chissà cosa. –
Ancora adesso, non so quando bene sia stato di ricordarsi i fatti.
Quello che
so è che era certo che fosse tutta colpa di Sephiroth.
– si lasciò scappare una
risata nervosa. – Sephiroth, capisci? Un uomo morto da cento
anni era venuto a
casa nostra per uccidere la mia famiglia e dare fuoco alla mia casa.
Non
riuscivo a credergli ma lui ne era così certo –
sospirò, cominciando a
tormentarsi l’orologio che aveva legato al polso. –
e ha deciso che l’avrebbe
trovato per ucciderlo.
Shin scosse la testa con una smorfia.
– Non potevo
andare con lui. Avevo un lavoro, mi sto per sposare, io… non
potevo lasciare
tutto per andare a inseguire un fantasma. Poi ha incontrato il progetto
Jenova.
È andato a Cosmo Canyon, è entrato a far parte
delle truppe. Lo hanno
addestrato, credo. Sono dalle tracce di Sephiroth da quella volta. Io
ormai sono
anni che non lo vedo più. Ogni tanto mi invia delle lettere
ma non parliamo più
tanto. – Scrollò le spalle. –
L’ultima volta che ho sentito Seimei, più di tre
settimane fa, sembravano sulla buona strada.
Sentii un brivido scendermi lungo la
schiena. Se le
truppe di Nanaki fossero riusciti a trovare Sephiroth ci sarebbe
certamente
stato uno scontro. Sephiroth avrebbe combattuto. Non credevo che un
branco di
soldatucci potesse essere in grado di sconfiggerlo, ma se anche fosse
stato, il
numero delle vittime sarebbe stato alto. – Come faccio a
trovarlo? – scattai
preoccupata.
- L’unica è
andare a Cosmo Canyon ma, Yuri, non credo
sia una buona idea – mi disse mentre avevo già
cominciato a girarmi per tornare
dai chocobo e rimetterci in viaggio.
- Devo andare. Seimei potrebbe essere
in pericolo –
gli spiegai cominciando ad allontanarmi.
Shin mi afferrò un braccio,
fermandomi. – Hai tutto il
diritto di volerti vendicare – mi rassicurò
condiscendente. – Ma devi essere
realistica. Non è compito tuo questo. Devi lasciar fare a
chi ne è in grado.
- Io… - cominciai, per
spiegargli la situazione. Si
stava preoccupando per me non sapendo che erano anni ormai che ero in
grado di
occuparmi di me stessa.
- Devi capire che non è
qualcosa di cui si dovrebbe
occupare una ragazza – continuò lui senza
ascoltarmi. – Devi lasciare che se ne
occupino gli uomini.
Sentii distrattamente Andrej fischiare
tra i denti e
annotai tra me e me di dargli un bel pugno più tardi.
“Non stuzzicate la tigre”
borbottava sempre in quelle situazioni.
Ero una persona diversa. Non avrei
più permesso a
nessuno di mettermi i piedi in testa, di dirmi quello che potevo o non
potevo
fare. Pensare di potermi dire cosa dovevo
fare.
Gli sorrisi dura, forzatamente.
Appoggiai una mano
sulla sua facendo una lieve pressione. – Lasciami andare
– gli dissi. Aspettai
un momento, quando lui non lo fece, mi tolsi la mano dal braccio e feci
per
allontanarmi ma Shin mi afferrò ancora una volta, con
più forza di prima. Fino
a qualche anno prima, mi avrebbe lasciato dei lividi della forma delle
sue dita
su tutto il braccio.
- Non ti permetto di andartene.
Per un attimo, vidi rosso. Alzai lo
sguardo per
fissarlo con gli occhi che mi scintillavano d’ira.
- Tu non hai idea di come stanno le
cose – gli
ringhiai contro. – È una cosa che posso fare io e
soltanto io. È una cosa che
devo fare da sola – afferrai il braccio con cui mi stava
trattenendo, utilizzando
senza fatica la stessa forza che stava usando lui, non di
più o avrei potuto
fargli dei danni permanenti, e costringendolo a mollare la presa. Mi
guardò
allibito. – Non permetterò più a
nessuno di pormi su uno scalino più in basso
di loro. Nessuna donna, nessun uomo. Nessuno. Mai più.
Solo allora Shin capì,
glielo lessi nello sguardo.
Realizzò che la katana e la pistola che portavo con me con
tanta disinvoltura
non erano né per bellezza né per fare scena.
Capì che non poteva cercare di
usare su di me i metodi che si erano sempre usati nella nostra
famiglia, perché
non lo avrei permesso. Vidi un’ombra di vergogna in lui
quando realizzò che
aveva cercato di comportasi con me come nostro padre aveva sempre
fatto, ma lo
perdonai: non si può crescere in una famiglia come la nostra
e uscirne intatto,
ma se solo ci avesse provato un’altra volta gli avrei
spezzato il braccio. Lo
sapevo io e lo sapeva anche lui.
Gli presi la testa tra le mani e gli
appoggiai un
bacio sulla fronte prima di girarmi per andarmene. Infilai due dita tra
le
labbra e fischiai, richiamando i chocobo. Appoggiai una mano sulla
balaustra e
mi tirai su, mantenendomi in equilibrio sul ginocchio, pronta a
saltare. Mi
girai a guardarlo un’ultima volta.
- Non sono più la piccola
ragazza del villaggio. Sono
la tigre di Wutai. Lo decido io il mio destino!
Saltai e atterrai in groppa a Lei Lan.
Andrej e
Kurenai mi seguirono un attimo dopo. Incitammo i chocobo e partimmo di
corsa.
Destinazione: Cosmo Canyon.
Eccolo
qua. Come al
solito mi scuso per il ritardo -.- la vita, la pigrizia e uno splendido
blocco
dello scrittore si sono messi in mezzo. Per farmi perdonare (per
l’ennesima
volta) ecco un bel capitolo lungo lungo. E una notizia!
…mancano solo due
capitoli alla fine. Ebbene sì, mi sono messa e ho fatto
quattro calcoli con la
trama e in due capitoli (belli lunghi anche loro, eh!) avrò
finalmente finito
Il mio maestro. Dai che manca poco!
Spero che
il capitolo
vi sia piaciuto. Un super ringraziamento a “the one winged
angel” che è stata
così gentile da leggere il capitolo in anteprima e mi ha
dato dei preziosi
consigli per migliorarlo e renderlo più omogeneo. Un bacione
:-*
Negli
appunti mi ero
segnata una scena da mettere subito dopo che Yuri, Andrej e Kurenai
saltano in
groppa ai chocobo ma scrivendo ho realizzato che…questa
storia è in prima
persona xD Lo so, dopo ventisei capitoli avrei dovuto accorgermene :-p
e
insomma, ho dovuto tagliare questa scena… mi dispiace un
po’ quindi ve la
ripropongo qui, dal punto di vista di Shin. Sono solo poche righe, non
emozionatevi ;) Un bacio a tutti. Alla prossima!
Shin corse alla balaustra e
guardò dabbasso. Vide sua
sorella allontanarsi cavalcando fieramente un chocobo nero. La
seguivano il
ragazzo e la ragazza che l’avevano accompagnata fino a quel
momento.
Ricordandosi l’aspetto di entrambi realizzò la
loro identità. Andrej Carpov e
Kurenai Kusaragi Valentine.
Ma allora chi era sua sorella? Chi era
la donna che
gli era comparsa davanti? La fiera guerriera seguita dai regnanti di
Wutai?
- Yuri, chi sei diventata?
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Capitolo 27 *** Cosmo Canyon ***
27. COSMO CANYON
“Se potessi… viaggerei. Vorrei vedere
tutto il mondo.”
Era notte. Il cielo un mare brillante di stelle. Stavamo
distesi
sulla schiena, uno accanto all’altro, il mio fianco contro il
suo.
Lui mi stringeva la mano e, mentre parlavo, mi sfiorava il dorso con
le labbra. Le sentii inclinarsi verso l’alto in un lieve
sorriso.
“Da sola?” Il suo respiro mi
scaldò la pelle.
Girai la testa verso di lui e strofinai la fronte contro la
sua
spalla. “Immagino che qualcuno potrebbe venire con me, se
volesse.”
Lui si girò su un fianco per potermi guardare negli
occhi. “Io
credo che vorrebbe.” Poi si chinò per baciarmi.
Mi svegliai con un sussulto. Non aprii gli occhi, respirai a fondo un
paio di volte per prendere tempo. Cercai di trattenere nella mente le
immagini che avevo visto in sogno ma i ricordi stavano già
cominciando a scivolare via. Quanti anni erano passati.
Aprii gli occhi, il cielo sopra di me era ancora scuro ma cominciava
a mostrare i primi segni dell’alba.
Voltai la testa verso sinistra, Kurenai e Andrej stavano ancora
dormendo beatamente nei loro sacchi a pelo. Sorrisi, felice di averli
lì con me. So che avrei potuto benissimo portare a termine
la mia
ricerca anche senza di loro ma sapere che erano venuti con me per
aiutarmi e sostenermi mi dava la consapevolezza di non essere da
sola. Una sensazione che avevo provato poche volte nella mia vita,
prima di aver incontrato Sephiroth.
Mi alzai facendo attenzione a non fare rumore. Arrotolai il sacco a
pelo e caricai le nostre provviste sui Chocobo in modo da dare loro
qualche minuto in più di sonno.
Pochi minuti dopo Andrej grugnì e seppi che si stava
svegliando. Uso
il termine grugnire generosamente: era più simile al rumore
che
faceva un Behemot quando moriva.
- Porca vacca cos’era quello? – esclamò
Kurenai balzando in
piedi. Si guardò intorno allarmata, quando posò
gli occhi su di me
capì. Si batté una mano sulla fronte. –
Andrej, alzati prima che
ti faccia rotolare a calci fino al fiume.
Scoppiai a ridere.
- Non... me lo immaginavo così. – commentai quando
ci trovammo di
fronte a Cosmo Canyon. Davanti a noi c’erano solo terra e
roccia
rosse. Brulle. Solo qualche ciuffo d’erba cresceva ogni pochi
metri
ma non si poteva parlare di vera vegetazione e Cosmo Canyon era una
specie di piccolo ammasso di case di pietra accatastate sulla cima di
una formazione rocciosa. Il cancello di acciaio era l’unica
cosa
che donava al posto un’aria vagamente autoritaria.
Andrej diede voce ai miei pensieri. - Non è il posto in cui
mi
aspetterei di trovare un esercito.
- Perché, Wutai? – Kurenai buttò la
testa all’indietro con
quella risata chiara e squillante che la caratterizzava.
- Wutai ha delle mura? – sorrisi inclinando la testa.
– E delle
case con, non so, due piani e un cortile?
- Chi se ne frega – ci interruppe Andrej cercando di
mantenere
sotto controllo la propria cavalcatura, non era molto portato.
–
Tanto dobbiamo trovare Siamei, mica unirci a loro.
- Seimei – lo corressi sovrappensiero.
Kurenai catturò il mio sguardo e mi indicò con un
cenno della testa
una delle due torri di pietra che circondavano il cancello. Due
uomini ci stavano fissando.
Smontai da Lei Lan, dopo un momento Kurenai ed Andrej mi imitarono.
Avrei preferito evitare di farmi sparare addosso prima di riuscire a
parlare con qualcuno.
Carezzai Lei Lan e le diedi due pacche sul collo. – Vai a
riposarti, ragazza. E portati dietro questi due – le indicai
gli
altri due Chocobo. – Appena avrò bisogno di te ti
chiamerò.
Lei Lan gorgheggiò felice e si allontanò di
corsa, gli altri due
Chocobo subito dietro di lei.
Mi avvicinai al cancello ma prima che potessi provare a richiamare
l’attenzione di qualcuno, due uomini uscirono da una
porticina
laterale.
- Cosa volete?
Feci un passo avanti. – Sto cercando mio fratello. Si chiama
Seimei. Mi hanno detto che si trova qui.
- Lo conosco Seimei – disse il primo uomo. – Ma
sì, dai – girò
la testa verso il secondo. – Quel giovane a cui ha sterminato
la
famiglia.
- Anche tu vuoi unirti a noi? – il secondo uomo mi si
avvicinò. Mi
sovrastava in altezza e stava deliberatamente incombendo su di me.
Cercava di intimorirmi, senza dubbio. – Ti capisco. Anche io
vorrei
vendicarmi. Ma questo non è il posto adatto a delle
ragazzine.
Gli sorrisi. Dietro di me, sentii Andrej trattenere una risata.
Tirai indietro la testa e lo colpii in mezzo agli occhi.
L’uomo
cadde a terra come un sacco di patate e Andrej scoppiò in
una risata
fragorosa.
Sorrisi all’uomo ancora in piedi che mi guardava a bocca
aperta.
Era così allibito che non aveva nemmeno pensato di tirare
fuori
un’arma.
- Penso di potermela cavare.
L’uomo mi fece entrare senza dire una parola prima di
soccorrere il
compagno che si stava contorcendo atterra con le mani sulla fronte.
- Ti prego, Ti – Andrej fece il gesto di asciugarsi le
lacrime
dagli occhi – se continui a farmi ridere così non
ci torno vivo a
Wutai. E non per i motivi che credi tu.
- Il motivo che credo io è che ti lancio giù da
un dirupo se
continui a fare l’idiota. Quanto sono lontana?
- Non siete divertenti. Nessuna delle due! – Andrej
puntò un dito
accusatore contro Kurenai. – Ricordo benissimo cosa hai detto
questa mattina. Questo gioco di “buttiamo Andrej
giù da qualcosa”
sta diventando vecchio molto in fretta – incrociò
le braccia sul
petto e mise il muso.
Attraversammo la grande piazza sabbiosa che costituiva il centro del
villaggio. Alla nostra sinistra cominciava una scala che si
arrampicava sul nostro lato creando la struttura a cono che avevamo
riconosciuto avvicinandoci. In cima si stagliava quello che sembrava
un osservatorio.
- Sarà lassù? - ipotizzo Andrej facendo un gesto
con la mano.
- La tua ipotesi vale tanto quanto la mia – risposi
cominciando a
salire la scalinata.
Man mano che avanzavamo, fummo in grado di vedere sempre più
persone. Erano di tutte le età, o quasi, tutti loro erano
abbastanza
grandi o abbastanza giovani da poter brandire un’arma. Tutti
ci
fissarono, alcuni di loro ci indicarono. In realtà,
indicavano
soprattutto me.
Davanti alla porta dell’osservatorio c’erano altre
due guardie
che questa volta non ci fermarono. Ci diedero una lunga occhiata e
poi ci fecero cenno di entrare.
Vincent mi aveva raccontato di tutti i suoi compagni di squadra, per
fortuna, perché anche sapendo chi stavo per incontrare,
trovarmi
faccia a faccia con Red XIII rimase fu un’esperienza
stranissima.
Red, o Nanaki, era un’immensa bestia dal pelo fulvo simile a
un
cane o a un leone. Nonostante l’aspetto feroce, i suoi occhi
brillavano di un’acuta intelligenza.
Con un balzo, scese dal soppalco su cui stava riposando e ci si
piazzò davanti. Ci girò intorno, proprio come un
felino, poi si
fermò davanti a Kurenai.
Avvicinò il muso al suo viso e la annusò per
alcuni lunghi secondi.
Annuì, sembrava compiaciuto.
- Ti ha mandato tuo nonno? Bene, era ora che prendesse una posizione
a riguardo – spostò lo sguardo su di noi. - Chi
hai portato con
te?
- Sono due dei nostri migliori guerrieri. Andrej e Yuri –
Kurenai
ci indicò. - Potresti aver sentito parlare di Yuri. Abbiamo
saputo
che suo fratello Seimei si è unito a voi.
Nanaki spostò su di me il suo unico occhio ambrato. -
Sì, ho
sentito molto parlare di te – si voltò verso una
delle guardie. -
Andate a chiamare Seimei, ditegli che sua sorella è qui.
- Che cos’è che fate qui, esattamente? - gli
domandai senza
lasciarmi intimidire dal modo con cui mi fissava.
- Valentine non vi ha detto niente?
- Sappiamo che avete qualcosa a che fare con Sephiroth.
Nanaki fece un verso simile a uno starnuto. - Tipico suo. Lasciare le
spiegazioni agli altri. Sì, ho creato questa organizzazione
tanti,
tanti anni fa. Le persone hanno dimenticato, ma noi no. Nella sua
follia Sephiroth ha quasi distrutto il pianeta, è stato
sconfitto. E
poi è tornato. Per tutti questi anni abbiamo cercato di
scoprire
tutti i modi, tutti i luoghi che potrebbero farlo tornare, e fermarlo
prima che possa di nuovo provare a distruggerci tutti.
Il mio primo impulso fu di scoppiare a ridere, ma mi trattenni. Mi
limitai a una smorfia. - Beh, mi sembra che abbiate mancato
l’obiettivo di circa tre chilometri.
Nanaki mi guardò, pensai
che forse stava
cercando di intimidirmi. Ricambiai duramente lo sguardo.
- Qual è il piano adesso?
- si intromise
Kurenai, percependo chissà che tipo di ostilità
tra di noi.
Nanaki spostò l’attenzione su di lei. - Dobbiamo
distruggerlo –
sospirò – prima che diventi un nuovo potente
semidio.
Sollevai un sopracciglio. - Come
fate a sapere
che non lo sia già? È già in giro da
anni. Perché aspettare fino
a questo momento?
- Perché è
rimasto nascosto. Abbiamo saputo
della sua ricomparsa proprio da tuo fratello in seguito agli eventi
di quella notte. Sono anni che lo cerchiamo e solo poche settimane
fa, per la prima volta dopo anni, ci è giunto un indizio su
dove
trovarlo.
- Dove?
Nanaki mi fissò, il suo
sguardo era cauto,
realizzai. Mi domando cosa stesse pensando su di me. Aprì la
bocca
per rispondere quando un rumore di passi richiamò la nostra
attenzione.
Ci voltammo verso la porta da cui
eravamo
entrati e lì vidi Seimei per la prima volta dopo
così tanti anni.
Feci un passo verso di lui, improvvisamente a corto di parole.
Anche lui mi guardava, muto. Lo vidi
corrugare
la fronte. Feci ancora qualche passo verso di lui, ormai eravamo
vicini, quasi uno di fronte all’altro, e da quella distanza
potei
vedere i lineamenti del suo viso mutare nel momento in cui mi
riconobbe. Almeno,
pensai
amaramente, ci
ha impiegato
meno tempo di Shin.
- Yuri – sussurrò incredulo. Senza aspettare una
risposta da parte
mia, fece un balzo in avanti e mi circondò con le braccia. -
Yuri –
ripeté, la voce carica di emozione.
- Va tutto bene – gli appoggiai una mano sulla nuca e gli
accarezzai i capelli.
Ci allontanammo quel tanto che bastava per poterci guardare negli
occhi, ancora uno tra le braccia dell’altro. Seimei trattenne
un
singhiozzo. - Credevamo che ti avesse ucciso, - mi disse, ripetendo
quello che mi aveva già detto Shin.
Ignorai il suo ultimo commento. - Sei, questa… questa
è una setta.
Come ti sei sognato di unirti a loro? - gli domandai sottovoce. Era
una delle domande che aveva continuato a girarmi in testa da quando
avevo avuto la notizia da Shin.
Lo
scrutai
negli occhi mentre attendevo una risposta, e quello che vidi mi
lasciò a bocca aperta. Un brivido freddo mi percorse la
schiena.
Alzai le braccia e gli afferra i lati del volto. Avvicinai il mio
viso al suo, osservandogli gli occhi. Non potevo crederci. Forse non
volevo crederci.
- Mako? - la voce mi uscì strozzata. - Hai perso il lume
della
ragione?
Seimei alzò il mento, orgoglioso. - Tutti noi siamo stati
esposti
all’energia Mako. - Era così fiero. Volevo
vomitare. - È
l’unico modo per poter avere una speranza di sconfiggere
quell’assassino.
Lasciai cadere le braccia lungo i fianchi e feci un passo indietro.
Scossi la testa. - Oh, Sei. Capisci così poco…
- Proprio tu parli.
Sollevai un sopracciglio e incrociai le braccia, aspettando che mi
dicesse il resto.
Lo vidi deglutire. - Proprio tu parli, - ripeté –
ma anche i tuoi
occhi sono cambiati.
Mi strinsi le spalle, tornando per un secondo indietro con la mente,
a Sephiroth e al Lifestream. Scossi la testa. - Questo non è
Mako,
Sei. È una cosa del tutto diversa.
Restammo
tutti
in silenzio. Potevo sentire gli occhi di Kurenai e Andrej che ci
osservavano e, suppongo, anche quelli di Nanaki, ma in quel momento
non riuscivo a staccare gli occhi da mio fratello.
Nemmeno Seimei sembrava più sapere cosa dire per un lungo
momento. -
Non ti ho chiesto cosa ci fai qui – mi disse dopo aver
raccolto i
pensieri.
-
Ti stavo
cercando – ero consapevole di quanto la mia risposta potesse
sembrare elusiva. Vedevo che anche Seimei se ne era reso conto ma per
qualche motivo, decise di non insistere.
- Cosa farai adesso? - mi chiese invece.
-
Il mio piano
consisteva quasi completamente nell’arrivare qui –
mentii. - Ma,
- aggiunsi dopo un secondo, chiedendomi se stavo dicendo le cose
giuste. - Lo sto cercando anche io. Venire con voi mi da maggiori
probabilità di trovarlo.
Vidi
negli
occhi di Seimei il momento in cui realizzò che la sua
presenza qui,
che l’esserci ritrovati, non era che una felice coincidenza.
Che
era solo uno scalino verso il mio vero obiettivo: Sephiroth.
Il suo viso è sempre stato un libro aperto e potevo vedere
uno per
uno i pensieri che si susseguivano nella sua mente. Aiutarmi? Non
aiutarmi? Certo, voleva vendicarsi ma ormai anche il desiderio di
gloria era presente in lui. Forse la mia presenza lo avrebbe messo in
ombra in qualche modo? Sono sicura che capisse più di quello
che
lasciava trasparire, su quello che era successo tra me e Sephiroth.
Alla fine, però, decise in mio favore. Si voltò a
guardare Nanaki -
Faccio io da garante per Yuri.
Nanaki annuì. Sospirò. - Preparatevi allora. Lo
abbiamo trovato,
finalmente. Sephiroth si trova alle rovine di Midgar.
Seimei scattò sull’attenti e corse via.
Io mi girai verso Kurenai e Andrej. Ci scambiammo uno sguardo
d’intesa e ci incamminammo di nuovo verso l’entrata
di Cosmo
Canyon per partire con le truppe.
È un
aereo? È
un
uccello? NO! È un
capitolo. Il
cui
sottotitolo potrebbe essere “non importa che sia bello,
importa che
sia scritto”: nuova filosofia di vita.
Scherzi a
parte, chi non muore
si rivede eccetera. Ve lo dico, il prossimo capitolo è
l’ultimo,
quindi...altri sei anni? (ma come NON sono divertente). Ci provo,
giuro ma ormai scrivere questa storia è come cavare il
sangue da una
rapa. Spero comunque che vi piaccia e ci vediamo col finale!
(ps. Yuri che
va in giro a
dare testate alla gente KroganStyle è la mia nuova cosa
preferita).
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