L'ombra del Beauceant

di Old Fashioned
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


L’ombra del Beauceant




Nel 1877, lo storico tedesco Mertzdorff dichiarò di aver rinvenuto ad Amburgo, all’interno di una loggia massonica, una copia del famigerato Codice Ombra dei Templari.
Nonostante ne sia stato redatto un documento riassuntivo, non vi è più traccia del libro originale, che si suppone si trovi attualmente presso gli archivi del Vaticano.

§

Spagna, dintorni di Murcia

Il fuoco ruggiva ovunque. L'aria torrida, resa opaca dal fumo, risuonava delle urla terrorizzate dei contadini, dei lamenti delle bestie tratte a forza dalle loro stalle e delle grida di guerra dei saraceni. Dalla stia dei porci incendiata provenivano le strida e i tonfi della scrofa impazzita di paura.
Nascosto sotto un carro, Francisco ansava con il cuore che gli scoppiava nel petto. Tossì investito da una folata di fumo acre e si asciugò gli occhi che gli lacrimavano, ma si impose di non muoversi. Nel cortile, i mori stavano radunando tutto ciò che poteva avere un valore: provviste, animali e abitanti della fattoria, soprattutto donne e ragazzi, il cui orribile destino, lo sapeva bene, sarebbe stato quello di finire schiavi.
Li vide spingere avanti Nuria, fin da quella distanza la sentiva piangere e invocare la Vergine. La ragazza si buttò a terra, e uno dei saraceni la prese per i capelli per costringerla ad alzarsi. A quel punto sbucò dal fienile il padre di lei, armato di un forcone, e si lanciò in una carica disperata contro il guerriero moro. Questi non fece altro che spostarsi da una parte, e con un gesto quasi svogliato gli tirò un fendente. L'uomo crollò nella polvere e vi rimase immobile, lo strillo disperato di Nuria lacerò l'aria.
Santa Madre di Dio,” mormorò Francisco facendosi il segno della croce.
Mentre seguiva sgomento lo svolgersi degli eventi, sentì una mano pesante piombargli sulla spalla. Istintivamente cercò di farsi indietro, ma la presa si rinsaldò impedendogli la fuga. Il ragazzo si voltò e si trovò a fissare quelle che gli parvero le fattezze di un demonio: un volto scuro e scavato, con un'appuntita barba nera e occhi di bragia che lo fissavano come se avessero voluto trapassarlo.
Madre di Dio...” ripeté terrorizzato. Il saraceno lo trascinò fuori dal suo nascondiglio, quindi staccò dalla cintura una corda arrotolata e fece per legargliela al collo.
In quel momento, Francisco vide sopraggiungere qualcosa di grande e bianco, colse un baluginio di rosso, e il guerriero moro crollò a terra con un lamento.
Ancora tremante, frastornato, il ragazzo si fece indietro fino ad appoggiarsi con la schiena al tronco di un albero. Vide passare un'altra sagoma bianca: pur nella caligine degli incendi, riconobbe il manto candido e la croce color sangue dei cavalieri del Tempio. “Dio, ti ringrazio,” mormorò.
Arrivò un terzo cavaliere, Francisco lo vide abbassare la lancia e caricare un saraceno, sbalzandolo di sella. Il cavaliere abbandonò poi il ferro nel petto del nemico, estrasse la spada e si diresse verso un altro avversario.
In breve si scatenò nel cortile una mischia furiosa, nella quale si udivano nitriti, urla e clangore di spade. Nel polverone, Francisco cercava di seguire lo scontro come meglio poteva. Per quanto da lontano i cavalieri cristiani sembrassero tutti uguali, ne notò uno, in groppa a un grande cavallo nero, che combatteva come l’Arcangelo Michele. Rimase a seguirlo con lo sguardo: il cavaliere si lanciò in avanti, disarcionò un saraceno con un fendente, quindi ne incalzò un altro con una punta, passandolo da parte a parte. Successivamente fece girare il cavallo per fronteggiare un attacco sul fianco, e di nuovo il suo avversario finì a terra.
Il ragazzo rimase a fissarlo affascinato, constatando che nel combattimento faceva il vuoto intorno a sé.
Fece un lungo sospiro passandosi la mano sul volto madido, poi cercò di deglutire, ma aveva la bocca più arida che se avesse mangiato sabbia, e l'atto non gli diede il sollievo sperato. Volse lo sguardo verso il saraceno con la lancia nel petto: l'uomo era immobile.
Si avvicinò cauto, si piegò a osservarlo: un volto legnoso, scuro anche nel pallore della morte, rigato di sangue. Gli occhi erano spalancati, e sembrava che lo fissassero con odio, come se il saraceno si rammaricasse di non poterlo più uccidere.
Francisco si fece il segno della croce e arretrò di nuovo. Guardò verso il cortile, dove la battaglia ormai era finita. Uno dei Templari era smontato di sella e la gente gli si stringeva intorno. Una donna con i capelli grigi, da quella distanza gli pareva che si trattasse della vecchia Rufina, si inginocchiò e cercò di baciargli la mano, ma il cavaliere scosse la testa e la fece alzare.

Gli occhi fissi sui saraceni che scappavano, fratello Roland spronò il suo robusto morello e abbassò la lancia in posizione di attacco. La punta dell’arma baluginò sinistra sotto il sole.
I due infedeli, che procedevano qualche centinaio di passi davanti a lui, si voltarono a guardarlo da sopra la spalla, quindi si scambiarono una voce e girarono i cavalli, mettendosi a loro volta in posizione d’attacco.
Il Templare rinsaldò la presa sull’arma e spronò di nuovo il destriero, che emise un nitrito e si lanciò in avanti.
Fratello Roland tese i muscoli preparandosi all’impatto, quindi incassò la testa fra le spalle e mirò al torace del più avanzato dei due saraceni.
L’arma colpì, l’uomo fu sbalzato di sella. Il Templare si lasciò sfilare l’asta di mano, e mentre passava oltre estrasse la spada. Parò con quella un fendente alto dell’altro saraceno, fece girare il destriero e gli sferrò un tondo dritto. Il colpo raggiunse il bersaglio e l’infedele si accasciò sulla groppa del cavallo.
Il Templare rimase a fissarlo in silenzio per qualche istante, quindi mormorò a fior di labbra una preghiera, rinfoderò la spada, raccolse la lancia e tornò sui suoi passi.
Il tetto della fattoria nel frattempo era crollato, e per quanto i contadini si affannassero a fare una catena di secchi d’acqua, le fiamme ormai ruggivano senza controllo, divorando qualsiasi cosa. Le donne stavano radunando nel cortile le poche masserizie che erano riuscite a salvare.
Fratello Roland raggiunse i suoi compagni. Uno di quelli che erano smontati di sella sollevò lo sguardo verso di lui e chiese: “Tutto bene?”
A Dio piacendo,” fu la sobria risposta, quindi il cavaliere smontò a sua volta e si tolse l’elmo, rivelando un volto giovane, anche se già segnato su una guancia dal filo bianco di una cicatrice.
Li hai presi?”
Tutti e due.”
L’altro lo occhieggiò attento. “Sei ferito?”
No, fratello Ignacio, sto bene.”
Le redini dei cavalli alla mano, i due si allontanarono di qualche passo dal cortile. Subito si fece loro incontro un ragazzo con una brocca d’acqua e una tazza di terracotta. “Volete bere, signori cavalieri?” domandò loro.
I due Templari si scambiarono un’occhiata, poi fratello Roland rispose: “Non siamo signori, siamo umili servi di Dio. Puoi chiamarci fratelli, se vuoi rivolgerti a noi.”
Il ragazzo annuì volenteroso. “Fratelli,” ripeté, come per imprimerselo nella memoria.
Ti ringraziamo per la tua gentile offerta, ma va' dal nostro comandante con quell’acqua, e mostraci dove possiamo far bere i cavalli.”
E voi signori… fratelli non volete bere?”
Prima i cavalli, che devono sopportare le maggiori fatiche.”
E il comandante della pattuglia,” intervenne fratello Ignacio. Indicò un Templare alto, imponente, con il cranio rasato quasi a zero e una corta barba venata di grigio. “Fratello Léon.”
Sì, signore,” rispose subito il ragazzo, poi si accorse dell’errore e rettificò: “Fratello… volevo dire fratello.”
I due si scambiarono un’occhiata. “Fa niente,” gli rispose con un sorriso fratello Roland. “Come ti chiami?”
Francisco.”
Allora va da fratello Léon, Francisco. Sicuramente sarà assetato.”
Sì, signor fratello.”
Il Templare sorrise di nuovo. “Dimmi solo dov'è l'abbeveratoio, poi provvederemo noi ai cavalli.”
Il ragazzo lo indicò con un gesto, poi corse via.

Il sole stava calando, l'aspro vento della costa fischiava attraverso i cespugli di sparto. Fratello Léon in testa, i cavalieri procedevano ordinatamente in fila per due.
Quanti erano oggi?” chiese a un certo punto fratello Ignacio. La domanda non era rivolta a nessuno in particolare, ma fu fratello Miguel a prendere la parola: “Un po' più del solito, direi.”
Beh, lo credo bene che gli infedeli abbiano mandato più gente,” considerò fratello Ambrosio, “la fattoria di Pozo Aledo era un bel boccone.”
E noi gliel'abbiamo fatto andare di traverso!” intervenne fratello Fermín. Ci fu qualche contenuta risata.
Passò qualche istante di silenzio, poi fratello Jorge disse: “E avete visto quando quella vecchia ha cercato di baciare la mano a fratello Léon? Credevo che gli venisse un colpo!”
Stavolta le risate furono più forti.
Ragazzi!” si sentì in dovere di brontolare il comandante del drappello.
Fratello Léon, bisogna guardarsi dalla compagnia femminile!” lo prese in giro fratello Ambrosio.
Tu smettila subito, razza di insolente,” ringhiò il primo, girandosi addirittura sulla sella per fissarlo in cagnesco, “altrimenti ti mando a fare lo scritturale di fratello Rafael.”
A contare i sacchi di grano che entrano ed escono dai magazzini? No no, non ci tengo!”
Ti ricordo che hai fatto voto di obbedienza,” intervenne fratello Miguel, “e il Tempio si serve anche contando sacchi di granaglie.” Di nuovo tutti risero.
Quando l'ilarità si fu placata, fratello Ignacio si rivolse a fratello Roland: “E tu non dici nulla?”
L'altro sorrise. “Scusami, ero assorto nei miei pensieri.”
Quanti ne hai fatti fuori oggi?”
Fratello Roland parve quasi imbarazzato. “Non li ho contati.”
Dovresti lasciarne qualcuno anche per noi, fratello. Non ti hanno insegnato nulla le Scritture sul valore della condivisione?”
Ragazzi!” si fece sentire ancora una volta fratello Léon.
Fratello Ignacio si finse piccato. “Ehi, io stavo parlando delle Scritture. È un argomento decoroso.”
Conosco il tuo modo di trattare gli argomenti decorosi, quindi fa' silenzio.”

Fratello Roland era ancora immerso nei propri pensieri quando raggiunsero il castello di Murcia. Entrò in silenzio nel cortile, smontò da cavallo e consegnò l'animale al suo scudiero, ma quando si apprestò a seguire gli altri verso il refettorio, apparve sulla soglia delle proprie stanze il commendatario e lo chiamò.
Il cavaliere lo raggiunse.
L'altro lo condusse in una camera che fungeva da studio, raccolse da un tavolo un foglio sul quale c'erano ancora i residui di un sigillo di ceralacca, lo dispiegò e lo scorse brevemente, poi disse: “Questa lettera è giunta oggi dalla Francia.”
Fratello Roland si limitò ad annuire, quindi gli rivolse uno sguardo interrogativo.
È una lettera che parla di te,” spiegò il commendatario. “Evidentemente, sono giunte all'orecchio di qualche maresciallo le imprese da te compiute all'ombra del Beauceant, perché si richiede specificamente la tua presenza.”
Dove, signore?”
Alla commenda di Vaux.”
Fratello Roland quasi non credette alle proprie orecchie, e dovette fare uno sforzo immane per impedirsi di reagire. Incupì comunque lo sguardo e si morse il labbro inferiore. L'altro notò il cambio di espressione e gli chiese: “Vuoi dire qualcosa, fratello?”
Ho dato cattiva prova di me, signore?” fu la domanda.
Perché mi chiedi questo, fratello?”
Vaux è in Lorena, signore, lontano da ogni zona di combattimento. Qual è la colpa che devo espiare?”
Il commendatario emise un sospiro. “Colpe ne abbiamo tutti, fratello. Inoltre, ti ricordo che tu hai fatto voto di obbedienza.”
Il cavaliere si limitò a stringere i denti. “Non ho intenzione di trasgredire gli ordini,” rispose dopo un po', “solo mi chiedevo perché mi si allontana dalla lotta contro gli infedeli.”
Non devi chiederti nulla,” replicò il commendatario in tono più duro, “devi solo obbedire.” Poi, dopo una pausa, citò: “Ogni persona stia sottoposta alle autorità superiori; perché non v’è autorità se non da Dio; e le autorità che esistono, sono stabilite da Dio. Perciò chi resiste all’autorità, si oppone all’ordine di Dio; quelli che vi si oppongono si attireranno addosso una condanna [1].”

§

Lorena, dintorni di Metz

Gwenel de Jussy, figlio più giovane del signore di Jussy, si affacciò alla finestra del palazzo paterno e lasciò vagare lo sguardo sul sagrato della chiesa. Era giorno di mercato, e dappertutto i venditori esibivano la loro merce. C'erano donne con i prodotti della campagna, con uova, polli o latte; c'erano venditori di stoffe, che esponevano pezze multicolori, nastri e passamanerie ricamate; il fabbro con la sua fucina, che faceva cantare l'incudine modellando ferri di cavallo; e poi c'erano i venditori di pellami e quelli di cibi. In un angolo della piazza si esibiva un saltimbanco circondato da un capannello di persone; da un'altra parte c'erano dei musici, e qualche ragazza intrecciava passi di danza al suono della viella.
L'aria era carica di odori, da quello invitante dei cibi e delle spezie a quello sgradevole dello strame e della carne appena macellata.
Un po' in disparte, come se non avessero nulla a che fare con quello che si stava svolgendo nella piazza, c'erano gli uomini della commenda templare, che vendevano i prodotti della fattoria. Per la maggior parte erano servitori, ma li accompagnavano anche uno scritturale e due cavalieri. Gwenel rimase a fissarli assorto. Per quanto vestiti di un semplice manto bianco, senza insegne se non la croce color sangue sulla spalla, quei cavalieri gli parvero magnifici: imponenti, carichi di dignità, autorevoli come patriarchi. Ricordò ciò che aveva sempre sentito dire di loro: leoni con i nemici, agnelli con gli amici. Si chiese se fosse per quello che il loro stendardo di guerra, l'onorato Beauceant, era composto da due strisce orizzontali, una bianca e una nera: forse simboleggiava i due diversi atteggiamenti.
Sospirò: avrebbe voluto essere come loro.
Una voce alle sue spalle lo fece sussultare: “Che stai facendo?”
Il ragazzo si girò di scatto e si trovò di fronte suo fratello Vauquelin. “Ci sono i Templari della commenda di Vaux,” disse per tutta risposta.
Ci sono tutte le settimane,” replicò l'altro noncurante, “non vedo cos'abbiano di strano questa volta.”
Gwenel scosse la testa. “Niente.” Tornò a volgere lo sguardo verso l'angolo della piazza dove si trovavano i Templari. Considerò che intorno a loro c'era l'unica zona pulita e ordinata. Un servitore stava spazzando via le deiezioni di una capra, un altro raccoglieva i fili di paglia sparsi in giro e ne faceva un mucchietto, un terzo allineava con cura le forme di formaggio sul pianale del carro della commenda, sventolandole con un ciuffo di fieno per scacciare le mosche.
Seduto a un tavolino portatile, dopo ogni vendita lo scritturale contava le monete ricevute, poi le metteva in una cassetta di ferro e scriveva qualcosa su un foglio.
Il ragazzo si girò verso il fratello e disse: “Sono molto ordinati.”
Sono molto furbi, più che altro,” rispose Vauquelin, facendo adombrare il più giovane, “non lo sai che il Papa li ha esentati da ogni decima, tassa e gabella?”
Non ci credo.”
Chiedilo a padre Guarin, se non credi a me. Con i margini di guadagno che hanno, possono anche sistemare le loro capre sulla porpora di Tiro invece che sulla paglia, se lo desiderano.”
Raccolgono denaro per difenderci dagli infedeli,” rispose imperterrito il ragazzo.
Lasciali perdere,” replicò il maggiore. “Pensa a sposarti, piuttosto. Io alla tua età l’avevo già fatto.”
Non mi interessa sposarmi, io voglio combattere per Gerusalemme.”
Parli così perché non sai ancora nulla delle donne.”
E non voglio saperne nulla!” ringhiò Gwenel in tono insolitamente duro, quindi abbandonò la sua posizione vicino alla finestra e uscì dalla stanza.
Raggiunse le scale, le discese rapido, attraversò il cortile del castello e da lì passò alla piazza gremita di gente. Serpeggiò tra le bancarelle evitando i mercanti, che attirati dalle sue ricche vesti cercavano di mostrargli le loro merci migliori, quindi raggiunse la zona in cui si trovavano i Templari.
Sembrava che qualcuno avesse tracciato un cerchio invisibile intorno a loro, perché erano circondati da silenzio e ordine. I musici non osavano avvicinarsi, i saltimbanchi li scrutavano di tanto in tanto, indecisi se tentare una burla, ma immancabilmente rinunciavano. Il selciato era sgombro da ogni lordura.
Gwenel osservò le merci in vendita: formaggi, capre ben pasciute, un vitello, vasi di miele. Si sedette su un gradino poco lontano, puntò i gomiti sulle cosce e appoggiò il viso sui palmi delle mani, poi fece girare lo sguardo sulla piazza. In quel momento due donne stavano litigando a gran voce, non riusciva a capire per cosa. Intorno al banco delle carni c’era un tappeto di cascami, e rivoli di sangue riempivano le commessure del selciato. Un cane randagio addentò una coda di vacca e scappò inseguito dalle maledizioni del macellaio. Frattanto era arrivato un mendicante storpio, accompagnato da un ragazzetto ossuto. Il primo cominciò a cantare, cercando di sovrastare con voce stridula gli strumenti dei musici, l’altro si infilò in mezzo alla folla intenta a contrattare, e dopo poco si levò il grido rabbioso di qualcuno che non trovava più la sua scarsella.
Si scatenò immediatamente un parapiglia: tutti cercavano di agguantare il ragazzo, che schizzava fra le gambe della gente come una specie di anguilla. Dopo aver percorso in quel modo la maggior parte del mercato, il ladruncolo corse nella direzione dei cavalieri, forse sperando di dileguarsi attraverso il vicolo che si apriva dietro di loro, ma prima che potesse raggiungerli, un uomo lo afferrò per la collottola e trionfante esclamò: “Finalmente ti ho preso!”
Gli altri lo raggiunsero. “Ladro, ladro!” si udiva gridare.
Si formò un capannello di gente, e tutti sgomitavano per arrivare al ragazzo, per potergli dare almeno un pugno o uno schiaffo. Colpito da tutte le parti, questi urlava e si divincolava.
I due cavalieri si scambiarono un’occhiata, poi uno di essi abbandonò il suo posto accanto allo scritturale e si diresse a passi misurati verso il gruppo. Al suo arrivo, la folla si divise come le acque del Mar Rosso al passaggio di Mosè, ed egli si trovò faccia a faccia con l’uomo che stava tenendo stretto il ladro.
Che cos’ha fatto questo ragazzo?” chiese pacato.
Il reprobo smise di agitarsi. Alla vista del manto bianco, crollò in ginocchio e prese a piagnucolare: “Pietà, buon signore, pietà! Vogliono uccidermi!” protese una mano verso la veste del cavaliere, ma questi si fece impercettibilmente indietro, e il ragazzo si accontentò di appoggiarla al selciato e chinare la testa in segno di sottomissione. “Pietà, buon signore!” implorò di nuovo con voce tremula.
Che cos’hai fatto per meritare l’ira di queste persone?” lo interrogò il Templare.
Io? Niente, lo giuro sulla Vergine!”
Ha rubato!” intervenne un uomo furibondo.
Ha rubato, è un ladro!” fecero eco altre voci.
Il cavaliere impose il silenzio con un gesto. Fissò di nuovo il ragazzo. “Restituisci quello che hai preso,” gli ingiunse.
Non ho preso niente.”
Non mentire. Posso fare qualcosa per te se tu parli con cuore sincero e ti penti, ma se permani nell’errore, come posso aiutarti?”
Il ladro fissò di nuovo il cavaliere, poi fece girare lo sguardo sulla folla minacciosa che lo circondava. Lentamente, a malincuore, si infilò una mano nella camicia e ne trasse la scarsella rubata. La porse al Templare, che la restituì al legittimo proprietario.
Fatto questo, il cavaliere chiese: “Come ti chiami?”
Mathias, buon signore.” Poi, dopo una pausa, in tono accorato riprese: “Vi prego, salvatemi! Mi vogliono uccidere.”
L’altro gli fece cenno di tacere. “Sai lavorare, Mathias?”
Il ragazzo annuì energicamente. “Sì, signore.”
Allora puoi venire alla commenda, ed espiare le tue colpe lavorando. Avrai da mangiare e da dormire, e una veste nuova ogni volta che quella vecchia sarà consumata.”
Per un attimo il ladro rimase interdetto. Fissò poco convinto il suo interlocutore, poi volse lo sguardo verso il mendicante storpio. “Signore, mio padre...” cominciò esitante.
È davvero tuo padre?”
L’altro annuì energicamente. “Oh, sì. Certo che lo è. Mio padre, colui che mi ha generato. Io sono sangue del suo sangue.”
Voglio pensare che sia così,” rispose il cavaliere. “Ma ricorda: posso avere pietà di chi ruba per fame, ma non di chi mente per ottenere vantaggi.” Per quanto fosse quieto, il tono lasciava trasparire un’inflessibilità assoluta.
Mathias deglutì. “Come dite voi, signore,” mormorò. Si voltò di nuovo verso il mendicante.
Va’ da lui e portalo qui,” gli disse il Templare, “se tuo padre, o quello che è, non può più lavorare, lo accoglieremo come opera di carità.”
Grazie, buon signore, che Dio vi benedica.”

Gwenel, che aveva seguito tutta la scena, si sentiva estasiato: che razza di uomini erano quelli, che sapevano essere implacabili con i nemici di Cristo e al tempo stesso pieni di carità con un povero mendicante?
Si avvicinò cauto, e subito uno dei due cavalieri lo salutò. “Voi siete il figlio del signore de Jussy?” gli chiese.
È così.” Con le sue vesti dai colori sgargianti, bordate di vaio, Gwenel si vergognava come se avesse avuto addosso i più sordidi stracci. Ripensò al 'De laude novae militiae', di Bernard de Clairvaux. Lo conosceva praticamente a memoria, ma in particolare gli tornò in mente il passo in cui il santo monaco criticava i costumi della cavalleria laica: voi appesantite i vostri cavalli con tessuti di seta; coprite le vostre cotte di maglia con chissà quali stoffe; dipingete le vostre lance, i vostri scudi e le vostre selle; tempestate d'oro, d'argento e di pietre preziose i finimenti dei vostri cavalli... [2]
Ammiro la vostra veste,” si decise a dire.
È gentile da parte vostra,” fu la sobria risposta del Templare.
Anche tutte queste cose...” indicò i prodotti esposti, “...sono molto belle.”
Siete molto cortese. Qual è il vostro nome?”
Gwenel... Gwenel de Jussy,” rispose il ragazzo.
Io sono fratello Séverin,” si presentò il cavaliere, poi indicò il compagno, che stava aiutando il mendicante a sedersi sul carro, e soggiunse: “E lui è fratello Philippe.”
Il ragazzo prese un gran respiro, e prima di pentirsene chiese: “Come si fa per entrare nell'Ordine?”
Con un sorriso di vaga indulgenza, come quello di un nonno saggio che ascolta un nipotino un po' sventato, fratello Séverin scosse la testa. “Non ve lo consiglio, giovane signore.”
Il ragazzo, che aveva raccolto tutto il suo coraggio per porre la fatidica domanda, trasecolò. “Perché?”
Voi siete nobile. Vorreste rinunciare alla vostra volontà, e fare ciò che vi si ordina per tutto il resto della vostra vita?”
Gwenel citò di nuovo Bernard de Clairvaux, questa volta a voce alta: “Vanno e vengono a un cenno del loro comandante; portano le vesti che egli dà loro, non cercando né altri abiti, né altro nutrimento. Evitano ogni eccesso, nel cibo come nelle vesti, desiderano solo il necessario. Vivono tutti insieme, senza donne né bambini. E poiché nulla manchi loro della perfezione angelica, vivono tutti sotto lo stesso tetto senza possedere niente di personale, uniti dalla loro Regola nel rispetto di Dio.” Si interruppe. Ansimava leggermente e si sentiva le guance in fiamme. “In verità, fratello Séverin, io non ambisco ad altro nella vita,” concluse.
Di nuovo, il Templare sorrise con una certa indulgenza e disse: “Lo so, vista da fuori la nostra vita può sembrare bella e perfetta, ma è intrisa di sacrificio e rinuncia.”
Gwenel stava per ribattere quando alle sue spalle echeggiò un richiamo. Il ragazzo si voltò e vide suo fratello Vauquelin fermo al limitare della piazza. “Nostro padre ci aspetta,” disse questi.
Arrivo,” fu la svogliata risposta, poi Gwenel rivolse nuovamente la propria attenzione al cavaliere. “Non pensate che io parli con leggerezza,” gli disse. “Se vi dico che non ambisco ad altro nella vita, fidatevi che è così.”
Un secondo richiamo lo costrinse ad allontanarsi.

§

Livonia, Castello di Ritterswerder

Fratello Friedrich stava misurando a grandi passi la sala del Capitolo. Percorreva lo spazio in un senso, quindi faceva un dietro-front così brusco che il manto bianco descriveva un arco di cerchio dietro di lui. Poi attraversava di nuovo lo spazio, e arrivato alla parete opposta faceva la stessa cosa.
A un certo punto si fermò, si voltò verso una porta chiusa e la fissò torvo, quindi riprese a camminare.
Passarono lunghi minuti, poi finalmente la porta che ogni tanto il cavaliere scrutava si aprì, e sulla soglia comparve uno scrivano. Fratello Friedrich interruppe il suo nervoso camminare e si voltò verso di lui.
Potete venire, cavaliere,” disse questi, vagamente intimidito dal suo sguardo tagliente.
L'altro annuì senza parlare e si mosse nella sua direzione. Piegando la testa all'indietro per riuscire a guardarlo in faccia, lo scrivano disse: “Il priore vi sta aspettando, fratello.”
Lo so,” fu la secca risposta, poi il cavaliere lo oltrepassò, percorse un breve corridoio e senza bussare aprì una seconda porta.
Al di là c'era una stanza ampia e illuminata da due alte bifore. Il soffitto era sostenuto da volte a sesto acuto, le pareti erano di pietra chiara. Il fuoco che scoppiettava nel camino rendeva la temperatura confortevole.
Al centro del locale c'era un pesante tavolo di quercia, dietro cui sedeva un uomo imponente, dai capelli appena venati di grigio, che indossava un abito bianco con una croce nera sul petto. “Fratello Friedrich,” sospirò questi.
Priore,” rispose l'altro. I suoi occhi chiari, dallo sguardo acuto di rapace, non lo abbandonavano.
Vieni avanti, fratello.”
Il cavaliere si avvicinò, fermandosi a un passo dal tavolo.
Che cos'hai da dire a tua discolpa, fratello?” gli chiese allora il priore.
L'altro si erse in tutta la sua considerevole altezza e rispose: “Non devo discolparmi di nulla.”
A quella frase fece seguito un silenzio rotto solo dal crepitare del ceppo nel camino e dal fischio del vento che si insinuava tra le merlature.
Di nulla, fratello?” fece eco il priore dopo un po'. “Hai ucciso degli ambasciatori lituani, mettendoci in una situazione piuttosto spiacevole con il loro sovrano.”
Non erano ambasciatori, erano spie.”
Il priore sospirò di nuovo. “E tu come fai a saperlo?”
Li ho sorpresi sugli spalti, mentre mandavano messaggi a qualcuno fuori.”
Di nuovo, fratello Friedrich: come fai a sapere che stavano mandando messaggi? E a chi, poi?”
Il cavaliere strinse gli occhi. Per un attimo serrò le labbra, quindi sibilò: “Priore, non sono due giorni che combatto qui in Livonia. Conosco benissimo le usanze di quei pagani senza Dio, la loro lingua e i loro modi. So come si scambiano messaggi, perlopiù a nostra insaputa.” Fece una pausa, non scevra di un certo cupo compiacimento, quindi soggiunse: “Purtroppo per loro, questa volta non si sono imbattuti nel solito credulone ingenuo.”
Il più anziano non poté fare a meno di aggrottare le sopracciglia. “Nella tua superbia, fratello, dimentichi che io sono qui da più tempo di te.”
E allora mi chiedo, priore, perché non siate d'accordo con me. Quelli non erano ambasciatori, e se li avessi lasciati liberi di comunicare con l'esterno, ora il castello sarebbe perduto.”
Avresti dovuto arrestarli e chiedere l'intervento del Capitolo.”
Sì, e intanto quelli facevano la pantomima e smuovevano mezza Livonia per farsi liberare, e alla fine avremmo dovuto lasciarli andare con tante scuse.” Fece una pausa, poi soggiunse: “Così invece il problema è risolto.”
Di nuovo ci fu un lungo silenzio, infine il priore si alzò lentamente in piedi, rivelando un'altezza di poco inferiore a quella del suo interlocutore. Lentamente disse: “Certo, fratello Friedrich, forse questo problema è risolto, ma di certo la tua impulsività e il tuo orgoglio ne hanno creati molti altri. Farai parte del contingente che scorterà i cavalieri feriti alla Komturei [3] di Metz, e poi rimarrai là fino anche non verrai richiamato; hai bisogno di schiariti un po' le idee, e di meditare sul voto di obbedienza che hai formulato al momento di entrare nell'Ordine.”
A quelle parole, gli occhi di fratello Friedrich si accesero di furore. “A Metz?” ringhiò. “Ma Metz è in Lothringen [4]!”
So dove si trova Metz.”
E quindi che cosa dovrei fare laggiù? Imboccare i malati dell'ospedale? Tenere in ordine i registri come una specie di scrivano zoppo? Io sono qui per combattere i nemici della fede!”
Tu sei qui per obbedire,” replicò il priore con voce dura, “E finché non l'avrai capito te ne rimarrai in Lothringen, a meditare sui tuoi peccati d'orgoglio.”

Fratello Theobald, priore del castello di Ritterswerder, stava camminando sugli spalti. Al suo fianco procedeva il suo più fidato aiutante, fratello Richard.
A perdita d'occhio, le campagne erano coperte di neve, le bandiere con la croce nera dell'ordine schioccavano investite dal vento gelido, mentre le loro corde tintinnavano contro i pennoni.
Allora lo mandi via?” chiese a un tratto fratello Richard.
Il priore emise un sospiro. “Non posso fare altro, questa volta l'ha combinata troppo grossa.” Poi, dopo una pausa: “E considera che sono già stato molto generoso, un altro gli avrebbe come minimo fatto perdere l'abito.”
Il che sarebbe stato un gran peccato,” considerò fratello Richard, “perché non c'è nessuno, qui a Rittersewerder, più ardimentoso ed entusiasta di fratello Friderich.”
Non lo so,” replicò pensoso il priore. Si fermò e per un po' rimase a guardare i soldati che facevano esercitazioni con la spada. “Se ognuno di quelli durante una battaglia decidesse di fare di testa sua, perché pensa di essere il migliore e di aver capito la situazione meglio dei suoi comandanti, tu cosa credi che succederebbe?”
Fratello Richard non rispose. Ripresero a camminare.
Dopo un po', fratello Theobald disse: “Capisci che questa volta non posso fare finta di niente, anche per rispetto degli altri fratelli, che si aspettano da me imparzialità e giusto rigore.”
Fratello Friedrich è come un cavallo selvaggio,” lo giustificò fratello Richard, “bisogna saperlo prendere.”
Il priore scosse la testa, quindi rispose: “Direi che hai usato un paragone appropriato: se un cavallo selvaggio non accetta sella e briglie, può essere anche lo stallone più bello e forte che si sia mai visto, ma non serve a nulla.”

§

Lorena, Commenda di Vaux

Fratello Roland raggiunse la commenda di Vaux salutato dalle ombre lunghe del tramonto. Il suo destriero teneva la testa bassa per la stanchezza, e a lui stesso non pareva vero di essere finalmente arrivato alla fine del suo viaggio.
Allontanarsi dalle zone di guerra era stato come discostarsi da un fuoco ruggente. All’inizio, dormire in pace tutta la notte e non dover fare la conta dei morti dopo ogni uscita era stato quasi un sollievo, ma ormai lontano da quelle fiamme sentiva solo freddo e nostalgia. Gli mancava il calore dei suoi fratelli, quella sensazione unica di comunione spirituale che nasceva dal condividere rischi e fatiche, e dava la consapevolezza di potersi fidare ciecamente gli uni degli altri in ogni momento.
Si guardò intorno: abituato ai paesaggi aspri dell’Andalusia, alle dune flagellate dal vento e alle forme contorte delle querce da sughero, la vista delle dolci colline coperte di vigneti gli dava quasi una sensazione di disagio.
Per quanto la sua terra d’origine non fosse distante da quella regione, si sentiva come un pesce fuor d’acqua, e ogni casa a graticcio, ogni contadina che spingeva placida un branco di oche, ogni bambino spensierato che lo salutava, con nessuna preoccupazione se non quella di correre dietro a una palla di stracci, gli faceva crudelmente rimpiangere le robuste mura di pietra del castello di Murcia, il clangore del ferro e l’odore salmastro del mare.
Gli era capitato spesso di ripensare all’assalto della fattoria di Pozo Aledo, e qualche volta aveva anche sorriso tra sé e sé rievocando le battute che i suoi confratelli si erano scambiati sulla via del ritorno.
Una voce lo riscosse bruscamente dai suoi pensieri: “Fratello!”
Rialzò la testa, istintivamente la mano gli corse al pomo della spada.
Fratello, affrettatevi, stiamo per chiudere le porte.”
Roland si raddrizzò sulla sella: la strada terminava davanti ai portoni della commenda, e un fratello di mestiere [5] con le maniche rimboccate e i piedi nudi lo stava chiamando con ampi gesti.
Osservò la struttura che gli si profilava davanti: un insieme di edifici immacolati, dal tetto di paglia, lunghi e bassi, disposti in un ampio circolo e circondati da un muro di pietra. La porta che stava per essere chiusa non avrebbe retto il più fiacco degli assalti dei saraceni. Vi erano solo due edifici in pietra, ed erano la chiesa e la sala del Capitolo. Essi apparivano decisamente più robusti degli altri, e il Templare si domandò se fossero stati pensati come estrema difesa in caso di attacco. Anche se di attacchi non si poteva certo parlare, nel cuore della Francia cristiana.
Fratello, non si può fare tardi!” lo richiamò il portinaio.
Roland convinse il suo stanco destriero ad aumentare un po’ l’andatura, oltrepassò la porta, che in effetti venne subito serrata dietro le sue spalle, ed entrò nel cortile.
Gli si fecero incontro latrando due cani ben pasciuti, dal pelo lustro. Girarono un po' tra i piedi del suo cavallo fiutandolo con interesse, poi tornarono ad accucciarsi senza degnarlo di ulteriori attenzioni. Più lontano, un garzone stava buttando del grano a polli e anatre, che gli si assiepavano intorno chiocciando. Davanti alla scuderia c'erano due cavalli da tiro che attendevano di essere strigliati, e dalla fucina proveniva il battere ritmico del fabbro ferraio.
Fratello Roland fece girare lo sguardo tutt'intorno e poi abbassò gli occhi sui propri abiti: cotta di maglia, spada. La veste bianca sporca per il lungo viaggio. Emise un sospiro.
Mentre si apprestava a scendere da cavallo udì un rumore di passi, e subito dopo una voce lo salutò: “Tu devi essere il fratello che stavamo aspettando!”
Si girò in quella direzione e vide sopraggiungere un cavaliere che vestiva la tunica e il manto bianco dell'Ordine, ma non aveva né spada né usbergo. Questi procedeva a grandi passi verso di lui, con le braccia aperte in un gesto di accoglienza e sul volto un sorriso benevolo.
Fratello Roland smontò da cavallo e si presentò.
L'altro sollevò le sopracciglia con espressione soddisfatta. “Ah, molto bene,” disse poi. “Molto bene. Io sono fratello Geoffroy, commendatario di questa magione. Qui abbiamo proprio un bel posticino, non trovi, fratello? È vero che la Regola impone di bere con moderazione, ma sono ansioso di farti assaggiare il nostro vino: sono certo che ti rinfrancherà meglio di un'intera notte di sonno...”
Mentre il nuovo arrivato parlava, si fecero avanti altre persone. C'erano dei fratelli, tutti disarmati, dei garzoni, degli operai e addirittura, cosa che lo riempì di stupore, un paio di donne. Vestite con la più grande decenza e di età ormai matura, ma donne.
Tutti lo fissavano con curiosità, e fratello Roland ebbe l'impressione che fosse tanto tempo che non vedevano un cavaliere proveniente da una zona di guerra.
Notando che uno stalliere si apprestava condurre il suo cavallo alle scuderie, egli staccò le bisacce della sella, quindi frugò in una di esse e ne trasse una lettera sigillata, che poi porse al commendatario.
Questi interruppe il monologo sull'ultima vendemmia, abbassò gli occhi sulla missiva e chiese: “Che cos'è?”
È una lettera per voi, signore. Ve la manda il commendatario di Murcia.”
Ah, molto bene. Dev'essere proprio la lettera che aspettavo.” Fratello Geoffroy lo prese familiarmente per una spalla. “Vieni, fratello, andiamo dentro, così potrai riposarti dopo che avremo parlato.”

Una volta che furono all'interno dell'edificio del Capitolo, fratello Geoffroy lo condusse in una stanza che fungeva da studio, e mentre lui lo fissava in rispettoso silenzio, accese una candela, poi aprì la lettera, la spiegò e la lesse con attenzione.
Alla fine sollevò lo sguardo e semplicemente apprezzò: “Molto bene.” Poi si voltò nella sua direzione, e notando la sua espressione tesa, chiese: “Qualcosa non va, fratello?”
Posso fare una domanda, signore?”
Ma sì, certo che puoi. È ovvio.”
Lì c'è scritto qual è la mia colpa?”
L'altro sollevò stupito le sopracciglia. “La tua colpa?”
Il commendatario di Murcia non me l'ha voluta dire, ma se mi ha mandato via, è chiaro che devo aver commesso qualche grave mancanza.” Fece una pausa, poi soggiunse: “È da quando sono partito da Murcia che ci sto pensando, signore, e il fatto di non riuscire nella mia limitatezza a capirlo da solo mi sta distruggendo: dove ho sbagliato?”
Fratello Geoffroy scosse la testa. “Tu non hai sbagliato in nulla, fratello,” gli rispose. “Proprio in nulla. Anzi: se vuoi saperlo, sei stato scelto.”
Fratello Roland incupì l'espressione. “Scelto? Che significa?”
L'altro levò gli occhi su di lui, e il primo notò che il suo sorriso bonario era scomparso per lasciare il posto a un'espressione di serietà attenta. Vi era silenzio nella stanza, e l'unica luce era quella che promanava dalla candela che il commendatario aveva acceso. Il cavaliere fissò il suo interlocutore con aspettativa.
Ci sono compiti per cui non tutti sono adatti,” disse questi. “Livelli di conoscenza superiori, per i quali non è sufficiente essere prodi, coraggiosi e leali.”
Fratello Roland si mosse a disagio, facendo tintinnare gli anelli della cotta di maglia. “Che significa?” chiese. Si accorse che aveva involontariamente abbassato la voce, forse contagiato da quello strano clima di mistero.
Fratello Geoffroy si alzò in piedi facendo frusciare il mantello nel movimento. “Immagina dei prigionieri, legati fin dalla nascita all'interno di una caverna, con la faccia rivolta contro la parete,” cominciò. “E immagina che ci sia un fuoco, alle loro spalle, che proietta su quella parete le ombre di vari oggetti. Quei disgraziati si farebbero l'idea che il loro mondo è costituito da quelle ombre, non ti pare?”
Il cavaliere ebbe qualche istante di esitazione, poi rispose: “Sì, signore.”
Fratello Geoffroy annuì come il precettore che vede l'allievo seguire attentamente la lezione. “Ora immagina di liberare uno di quei prigionieri,” proseguì. “Che cosa pensi che succederebbe?”
Credo che quell'uomo vorrebbe uscire dalla caverna, signore.”
Certo, ma inizialmente sarebbe abbagliato dalla luce e proverebbe dolore. Inoltre, all’inizio il mondo reale gli sembrerebbe paradossalmente meno reale di quello che ha sempre visto all'interno della caverna.”
Fratello Roland rimase in silenzio.
Quello che voglio dire,” riprese l'altro dopo un po', “è che tutti noi viviamo all'interno di quella caverna, ma solo i più forti e i più coraggiosi possono sopportare il dolore di uscirne.”
Non capisco, signore,” mormorò il cavaliere. Illuminati dalla candela, gli occhi scuri di fratello Geoffroy sembravano animati da una fiamma interna, che li faceva ardere come tizzoni.
Capirai,” disse il commendatario. Prese la lettera, la piegò di nuovo e la infilò in un cassetto, quindi proseguì: “Starai qui e ti ambienterai. Al momento giusto, verrai presentato a fratello Urbain. Ora puoi andare a riposarti.”

Fratello Roland uscì dallo studio del commendatario in preda a pensieri contrastanti. Da una parte lo sollevava sapere di non aver commesso alcuna mancanza, ma dall’altra non gli era per niente chiaro che genere di compito avrebbe dovuto svolgere.
Se non si trattava di combattere per la fede, che cosa avrebbe dovuto fare?
Si guardò intorno disorientato. Nel frattempo era calata la sera, ed egli riusciva a vedere qualcosa unicamente grazie alla lama di luce che filtrava da sotto la porta dello studio di fratello Geoffroy.
Ricordava la strada che portava all’esterno, quindi pose una mano alla parete e cautamente prese a camminare in quella direzione.
Non aveva fatto tre passi che cominciò a sentire dei rumori alle sue spalle. Immediatamente si irrigidì: qualcuno si stava avvicinando.
Si girò lentamente e vide un alone di luce che andava facendosi man mano più intenso. Qualcuno disse: “Fratello Roland? Sei qui per caso?”
Chi mi chiama?” ringhiò l’interpellato, facendo un istintivo passo indietro.
In fondo al corridoio comparve una figura vestita di bianco con una lanterna in mano. “Sono fratello Olivier,” si presentò.
Ancora diffidente, l’altro non si mosse. “Come fai a sapere il mio nome?” chiese.
Il nuovo arrivato si avvicinò, rivelandosi un giovane fratello di alta statura, con i capelli e gli occhi chiari. “Diciamo che l’ho dedotto dagli indizi. Sapevo che doveva arrivare un fratello di nome Roland dalla Spagna,” disse con un lieve sorriso, “e quando ti ho visto nel cortile, ho capito subito che eri tu.”
Come hai fatto a capirlo?”
Basta guardarti per accorgersi che vieni da una zona di guerra, fratello.”
Qui è buio,” replicò Roland, senza abbandonare la posizione di guardia. “Come hai fatto a capire che ero la stessa persona del cortile?”
Oh, via. Sei appena uscito dallo studio di fratello Geoffroy, nel quale praticamente non è mai entrato nessuno di noi. Questo significa che sei un ospite di riguardo.” Fece una breve pausa, poi soggiunse: “Come vedi, basta osservare e ragionare.”
Fratello Roland rimase in silenzio e lentamente assunse una postura più rilassata. “Scusa se sono stato scortese,” disse infine, “Devo ancora abituarmi a questi luoghi.”
L’altro annuì e chiese: “Dove prestavi servizio?”
Murcia.”
Fratello Olivier sollevò le sopracciglia. “Un'assegnazione molto dura.”
La conosci?”
Ne ho sentito parlare.” Si incamminò, facendo cenno a Roland di seguirlo. “Ora ti accompagno in camerata,” disse poi, “così potrai lasciare l’usbergo prima di venire in refettorio.”
L’altro si limitò ad annuire. A Murcia si mangiava con usbergo, elmo e spada al fianco, e non era raro che si abbandonasse il pasto a metà per rintuzzare qualche assalto dei saraceni. L’idea di andare in refettorio con addosso solo tunica e mantello lo faceva sentire praticamente nudo.
Sai, per certi aspetti ti invidio,” gli disse dopo un po' fratello Olivier. “In senso buono, s'intende,” soggiunse poi.
Perché?”
Tu hai difeso davvero la fede, con le armi in pugno.”
Fratello Roland non rispose. Un po' per la stanchezza, ma un po' perché non avrebbe saputo cosa dire per non offendere il suo interlocutore. Era passato da un castello fortificato a una tranquilla fattoria, e ancora non riusciva a capacitarsene.
Fu fratello Olivier che dopo un po' aggiunse: “In ogni caso, la fede si serve in tanti modi, e a Murcia non si potrebbe certo combattere, se non ci fosse chi rifornisce il castello del necessario.”
Già, hai ragione,” sospirò Roland, più che altro desideroso di dargli ragione e far cessare il chiacchericcio.
Fu fratello Olivier che concluse: “Desiderare la gloria delle armi è sbagliato, bisogna desiderare solo la gloria di Dio.” Tacque per qualche istante, forse in attesa di una risposta, poi soggiunse: “Non nobis domine [6], giusto?”

§

Fraello Roland pose le redini sul collo del cavallo e afferrò un ciuffo di criniera per montare in sella, ma qualcuno dietro di lui esclamò: “Aspetta!”
Il cavaliere si voltò: stava arrivando a grandi passi fratello Adrien, uno dei cavalieri più anziani di Vaux, che ormai a causa dell'età raramente usciva dalla commenda. “Fatti vedere,” disse questi. Fece un passo indietro e lo squadrò con una lunga occhiata dal basso verso l'alto.
Il più giovane colse uno sguardo di disapprovazione, ma rimase in silenzio.
Pensi di essere a posto?” gli chiese allora l'altro.
Fratello Roland abbassò gli occhi sulla propria tenuta, quindi rispose: “Spada affilata ieri sera, usbergo, basilardo in cintura, elmo alla normanna, bendaggi di emergenza nelle bisacce della sella e otre d'acqua. Credo di non aver dimenticato nulla, fratello Adrien.”
Il maggiore emise un sospiro. “È un mese che sei qui e ancora non hai capito niente,” brontolò deluso, e prima che fratello Roland potesse replicare, proseguì: “La fede non si difende solo con la spada in pugno, non si difende solo tagliando la testa a chi la minaccia. Noi diamo un'immagine di ordine, di pulizia fisica e morale, di rigore. Ci mostriamo affidabili e disciplinati. Se tu vai in giro come se ti fossi appena allontanato dal campo di battaglia, che immagine darai alla gente?”
Il più giovane non rispose.
Cerca di adeguarti, fratello. Ostinarsi a fare le cose a proprio modo quando tutti le fanno diversamente è segno di superbia.”
Roland chinò appena la testa. “Mi dispiace, fratello Adrien,” rispose, “sono abituato a vestirmi così, l'ho fatto senza pensarci.”
L'altro occhieggiò il convoglio che si andava formando nel cortile. In quel momento, due garzoni stavano conducendo fuori dalla scuderia la mula bianca che ogni mese trasportava a Metz le cassette con i guadagni della commenda. “Parlerò col guardarobiere,” sospirò alla fine, “vedrò se ha un mantello decente da assegnarti. Non puoi andare in città conciato in quel modo.”
Fratello Roland rimase a guardarlo mentre si allontanava, poi abbassò di nuovo gli occhi sui propri abiti. A Murcia, nessuno si sarebbe sognato di riprenderlo perché non aveva un mantello abbastanza candido. Anzi, laggiù era raro che non ci fossero tuniche macchiate di sugna, polvere o sangue.
In quel momento, sopraggiunse fratello Olivier. “Che voleva il Cerbero?” gli chiese.
Al solito.”
Il nuovo arrivato sollevò le sopracciglia. “Oh, capisco. Abiti disordinati, giusto?”
Fratello Roland si limitò ad annuire. Sistemò meglio la testiera del suo cavallo, gli pettinò il ciuffo con le dita, quindi soggiunse: “Non voglio essere diverso dagli altri, ma vengo da un posto dove essere vestiti nella maniera più comoda poteva fare la differenza tra vivere o morire. Certe cose ormai le faccio senza nemmeno rendermene conto.”
Fratello Olivier sorrise. “Non preoccuparti,” gli rispose, “fratello Adrien è solo dispiaciuto di non poter essere lui a scortare la mula bianca. Devi avere pazienza.”

Quando uscirono dalla commenda, fratello Roland notò un ragazzetto vestito di stracci saltare in piedi e allontanarsi di corsa. Si rivolse a fratello Olivier, che cavalcava al suo fianco: “Chi è quello?”
L'altro si strinse nelle spalle. “Non saprei. Ogni giorno vengono qui tanti poveri a prendere le elemosine.”
Ma quello l'avevi mai visto?”
Mi pare di no.”
Fratello Roland si voltò nella direzione in cui il ragazzo si era allontanato, ma non notò nulla di strano.
Che c'è?” volle sapere il confratello.
Il primo si strinse nelle spalle. “Niente, credo. Forse sono io che vedo pericoli anche dove non ce ne sono.” Rivolse lo sguardo alla mula, che procedeva tranquilla, tenuta per la cavezza da un fratello di mestiere, e poi si guardò intorno: un contadino si fece il segno della croce quando li vide passare, un paio di ragazze ridacchiarono fra loro. A parte ciò, nessuno sembrava prestare loro attenzione.
Quando si furono allontanati di qualche centinaio di passi, fratello Roland si voltò indietro, addirittura girandosi sulla sella per vedere meglio, ma tutto gli parve a posto.
Prese allora a osservare la strada.
Dopo un po', fratello Olivier lo affiancò. “Qualcosa non va?” gli chiese. “È da quando siamo partiti che sei inquieto.”
C'è troppa calma.”
L'altro si guardò intorno. “Non più del solito, direi. Non c'è mai molta gente su questa strada.”
Il primo emise un sospiro. “Scusami, fratello. Forse non sono ancora riuscito ad abituarmi a questi posti. Penso sempre a qualche pericolo.”
La strada serpeggiava attraverso un alternarsi di boschi e campi a maggese. Non c'era nessuno in giro e gli unici rumori che si udivano erano lo stormire delle fronde e il cinguettio degli uccelli.
Fratello Roland però rimaneva inquieto. Continuava a pensare al ragazzetto che era scappato via quando il convoglio era uscito da Vaux, e la cosa gli sembrava sempre più sospetta. “Quanto manca a Metz?” chiese.
La risposta non fece in tempo a giungere. Con la coda dell'occhio Fratello Roland colse un movimento nella vegetazione. In un gesto istintivo afferrò fratello Olivier e lo tirò verso il basso: la freccia che avrebbe dovuto piantarglisi nel collo si perse tra le fronde.
Sfoderò la spada e si guardò intorno: nel sottobosco c'erano delle sagome, gli parve anche di riconoscere la giubba azzurra del ragazzo che era scappato a Vaux. Smontò da cavallo.
Che fai?” gli chiese fratello Olivier.
Prova tu a combattere in sella qui in mezzo.” Colse un'ombra in avvicinamento, balzò in avanti: tra le frasche c'era un uomo con una spada. Lo impegnò in combattimento, ma già alle sue spalle si udivano nitriti e voci concitate. La mula scartò, facendo tintinnare il carico che trasportava.
Fratello Roland abbatté l'avversario dopo appena due scambi, quindi si girò e corse accanto a fratello Olivier, che nel frattempo era smontato a sua volta. C'erano altri uomini intorno al convoglio, vide uno afferrare le redini della mula. La bestia fece una mezza impennata e poi scartò di nuovo, con maggiore forza, appiattendo le orecchie sul collo.
Tenetela!” urlò fratello Roland, “Non fatela allontanare!”
Nessuno si mosse: dei fratelli di mestiere, un paio erano troppo spaventati per fare qualsiasi cosa, uno era a terra sanguinante e gli altri non erano in vista. Fu fratello Olivier che recuperò le redini della bestia e la trattenne. Un brigante gli si avventò addosso, ma fratello Roland estrasse il pugnale, lo afferrò per la veste e lo strattonò all'indietro, poi gli piantò la lama nel petto. Subito dopo, estrasse l'arma e si girò fulmineo, e con un tondo rovescio tagliò la gola a un secondo brigante che stava per assalirlo alle spalle. A quel punto, i superstiti si diedero alla fuga tra gli alberi.
Quando i passi dei malintenzionati si persero nella foresta, Fratello Roland rinfoderò l'arma, quindi fischiò per chiamare il suo cavallo, che si avvicinò obbediente. Staccò l'otre dalla sella e bevve qualche sorso d'acqua, poi lo porse al compagno. “Hai sete?”
Mi hai salvato la vita,” ansimò questi per tutta risposta.
Te l'avevo detto che quel tizio non mi piaceva.” Gli porse di nuovo l'otre. “Bevi un sorso.”
Fratello Olivier si dissetò.
Si occuparono poi del ferito, che era uno dei garzoni della scuderia. Il ragazzo, di nome Amé, giaceva a terra col volto cereo, ma fortunatamente le sue condizioni non erano gravi.
Fratello Roland tolse dalla bisaccia della sella le bende che vi aveva riposto, quindi si chinò accanto a lui e gli aprì la tunica, mettendo a nudo un taglio sul fianco. La ferita era poco profonda, e aveva già smesso di sanguinare. Il cavaliere la bendò con la disinvoltura dell'abitudine. “Possiamo andare,” disse alla fine.
Un momento,” intervenne fratello Olivier.
Fratello Roland gli rivolse uno sguardo interrogativo.
Amé Non può venire in quelle condizioni,” spiegò allora il primo. “Darebbe un'impressione di debolezza e disordine, cosa che non sarebbe certo opportuna.”
L'altro aprì la bocca per replicare, ma si accorse che tutti li stavano guardando. “Certo, naturalmente,” si limitò a dire.
È meglio che torni a Vaux. Thibault lo accompagnerà.”
Il chiamato si fece avanti. “Certo, cavaliere,” rispose con deferenza.
Non date spettacoli sconvenienti lungo la strada.”
State tranquillo, cavaliere,” assicurò Thibault per entrambi.
Ora possiamo andare,” disse fratello Olivier. “Anzi, muoviamoci. Non vorrei arrivare in ritardo.”

§

La prima cosa che fratello Roland notò quando arrivarono a Metz, fu un imponente castello a cavallo di un corso d'acqua, con un giro di mura merlate e due alte torri dal tetto conico ai lati del portone d'ingresso. Si fece schermo con la mano per guardare le bandiere che garrivano sul maniero, ma col sole del primo pomeriggio che gli batteva sugli occhi, non riusciva a distinguerne il disegno.
È quello?” chiese.
Fratello Olivier scosse la testa. “No, quello è il castello dei cavalieri tedeschi.”
I cavalieri teutonici?”
Sì, ne vedrai qui in città. Hanno anche un ospedale.” Fece una breve pausa, poi soggiunse: “E quindi, capirai che a maggior ragione non possiamo sfigurare.”
Non siamo in buoni rapporti con i cavalieri tedeschi?”
Ma certo. Dobbiamo mostrare benevolenza per i nostri fratelli minori.”
Roland lanciò un’altra occhiata al castello e tutto gli parvero quei cavalieri, fuorché fratelli minori, ma preferì non replicare. Mentre stava ancora osservando il maniero, vide il portone schiudersi lentamente. Da esso uscirono alcuni uomini a cavallo.
Il primo montava un alto destriero grigio, la cui corporatura poderosa era accentuata da una gualdrappa bianca con le croci nere. Portava l’abito bianco, l’usbergo e il mantello con la croce nera sulla spalla, ma la cosa che lo colpì maggiormente fu che indossava un Grande Elmo che ai lati aveva due imponenti ali bianche e nere, arcuate a semicerchio. Rimase a fissarlo perplesso finché fratello Olivier non lo richiamò alla realtà: “Non avevi mai visto un cavaliere tedesco?”
Qualche volta, ma mai in armi.”
Hanno una certa predilezione per le apparenze, non ti pare?”

Fermi sul ciglio della strada, Michel e Bertrand, due membri della milizia, appoggiati alle rispettive alabarde guardavano passare il gruppetto di Templari.
Eccoli qui, come ogni mese,” considerò il primo. “Puntuali come la Quaresima.”
L'altro rimase in silenzio.
Mi piacerebbe proprio sapere quanti soldi portano,” buttò lì Michel dopo un po'. “Sarei curioso di dare un'occhiata a quelle cassette, una volta o l'altra.”
Perché?” gli chiese Bertrand.
L'altro assunse una vaga aria di mistero, poi rispose: “Lo sai che nessuno è mai riuscito a mettere le mani su uno dei loro libri mastri? Rispondono solo al Papa.”
Conosco uno che è diventato fratello di mestiere,” disse Bertrand dopo un po', “e lui dice che sono bravi.”
Bravi? Che significa?”
Danno molte elemosine ai poveri, curano gli infermi. Loro stessi non possono possedere più di quattro denari a testa. Una volta un fratello cavaliere morì, e quando guardarono nella sua scarsella trovarono più soldi del consentito. Lo sai cosa successe?”
No, che cosa?”
Lo seppellirono senza la veste bianca!”
Michel annuì. “Una punizione terribile,” considerò poi in tono sarcastico.
Tra i due calò il silenzio. Di comune accordo si misero in movimento e percorsero un tratto di strada con passo misurato, sogguardando di tanto in tanto all'interno delle botteghe, e ricevendone occhiate di torva diffidenza in risposta.
Attraversarono la piazza della cattedrale, e da lì Michel fece cenno di svoltare in un vicolo stretto, al centro del quale correva un canaletto di scolo. Un paio di bambini che stavano giocando sulla soglia di una casa scomparvero all'interno dell'abitazione, da un davanzale un gatto li fissò e poi scappò via. Rimase solo una vecchia silenziosa che filava seduta su uno sgabello, ma probabilmente perché ormai non ci vedeva quasi più e non aveva capito che erano sbirri.
Perché passiamo per di qui?” chiese Bertrand.
Voglio vederli arrivare alla commenda.”
Sì, ma perché?”
Voglio capire cosa fanno, quella è gente strana. Non danno confidenza a nessuno, guardano tutti dall’alto in basso.” Abbassò la voce. “C’è chi parla di eresia, lo sai?”
Eresia? Cavalieri della fede che praticano l’eresia?”
Michel annuì energicamente. “Se ne sentono tante, sui quei cari fratelli guerrieri. Anche che facciano proprio tutto fra di loro.” Sogghignò, e dando una gomitata nelle costole del collega, con aria complice gli chiese: “Capisci cosa intendo?”
Ecco, veramente no. Cosa vuoi dire?”
Tutto fra di loro, pensaci un po’.”










[1] Romani 13:1,2 (NR)
[2] San Bernardo di Chiaravalle, De laude novae militiae (In lode della nuova milizia).
[3] Equivalente teutonico della commenda templare.
[4] Lorena.
[5] Contadini e artigiani appartenenti all’Ordine, che svolgevano il loro servizio nelle commende.
[6] Non nobis domine, non nobis sed nomini tuo da gloriam (Non a noi, Signore. Non a noi, ma al tuo nome dà gloria). Motto dei Templari, tratto dal Salmo 114 della Bibbia (CEI).

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


Salve gente, eccomi qui con un altro mappazzone tutto per voi!^^
Scusate se posto i capitoli cosi velocemente, e se sono così lunghi. Esigenze di contest, non posso fare altrimenti.

Ringrazio per prima cosa l’ottima, coltissima e gentilissima Saelde_und_Ehre, che ha supervisionato il mio Medioevo e mi ha fornito i termini in Mittelhochdeutsch. Sappiate che è merito suo se l’ambientazione è credibile.

Ringrazio poi sentitamente tutti coloro che sono passati a dare un’occhiata, e soprattutto ringrazio chi è stato così gentile da commentarmi, ovvero Saelde_und_ehre, John Spangler, by a lady, queenjane, mystery_koopa, evelyn80, alessandroago_94, innominetuo, Syila, _Polx_ e Yonoi.



Capitolo 2

Ansante, con gli abiti ormai fradici di sudore e farfalle bianche che gli danzavano davanti agli occhi, Gwenel de Jussy disse: “Ancora una volta.”
Giunse lapidaria la risposta del maestro d'armi: “Siete troppo stanco, juncherre.”
Il ragazzo strinse i denti. “Devo imparare a combattere in qualsiasi situazione, anche esausto, anche ferito. Andiamo avanti, meister Wulf.”
L'uomo lo fissò impassibile, quindi rispose: “Ho detto no, juncherre. Vostro padre non mi ha fatto venire da Norimberga, dopo tutti i maestri francesi che avete avuto, per insegnare a voi come spaccare la legna. Vostro padre vuole che io faccia di voi un cavaliere perfetto.”
Gwenel aggrottò le sopracciglia in un'espressione adirata. “Il mio futuro, meister Wulf, non è quello di fare qualche torneo ogni tanto, quando gli impegni del feudo me lo consentiranno. Io voglio diventare cavaliere del Tempio, e combattere contro i nemici della fede.”
A maggior ragione, allora, dovete padroneggiare perfettamente l'uso delle armi,” commentò l'altro.
È da quando avevo sette anni che ho maestri d’armi,” ringhiò il ragazzo. “Ora le armi le voglio usare!” Scattò in avanti caricando un fendente.
Meister Wulf, che sembrava quasi distratto, in un attimo alzò la spada in una parata alta, quindi con un secco movimento del polso girò l'arma in un tondo dritto. Il ragazzo si immobilizzò con la lama dell'istruttore sul collo.
Capite cosa voglio dire, juncherre?” domandò l'uomo in tono pacato. “Dovete imparare a non farvi prendere dall'emozione, e a dosare le vostre forze come un bravo amministratore.” Fece una pausa, poi abbassando la lama soggiunse: “Se al posto mio ci fosse stato un saraceno, voi sareste morto.” Il duro accento tedesco rendeva quelle parole ancora più ferali.
Gwenel abbassò lo sguardo.
Riposate, ora.”
Va bene, ma dopo voglio combattere ancora.”
Al momento giusto. Ora non serve.”
Ma perché?”
Il maestro d'armi emise un sospiro. “Venite qui,” disse prendendolo per una spalla. Lo condusse a una panca e gli fece cenno di sedersi, poi prese posto accanto a lui. “Io ho combattuto in Outremer [1],” disse poi.
Gwenel fece tanto d'occhi. “Davvero?”
Sono stato crucesignato per dieci anni, all'assedio di San Giovanni d'Acri sono stato tra gli ultimi ad abbandonare la città assieme ai Tempelritter... ai Cavalieri del Tempio.”
Non me l'avevate mai detto, meister Wulf,” mormorò Gwenel, in preda alla sensazione di vago imbarazzo di chi si accorge di aver parlato a sproposito senza rendersene conto.
Ecco perché quando vi parlo di combattimenti veri so quello che dico,” fu la secca risposta dell'uomo. “Con la preparazione che avete adesso, voi non durereste un'ora in una guerra. Quello che sapete fare va bene per le giostre di corte, non certo per veri nemici che vogliono uccidervi con ogni mezzo.”
Il ragazzo ebbe l'impressione che quel tono duro avesse oltre a quello di educarlo anche il compito di rintuzzare qualche brutto ricordo, e non replicò. Rimase in silenzio per un po', i gomiti appoggiati alle ginocchia e il viso tra i palmi delle mani. Infine rialzò la testa, si voltò fino a fissare il maestro d'armi negli occhi e gli disse: “Allora insegnatemi, meister Wulf. Io voglio diventare un Cavaliere del Tempio. Voi li avete visti combattere, io voglio imparare a combattere come loro.”
L'uomo annuì, i suoi lineamenti legnosi sembrarono vagamente addolcirsi. “Voi imparerete a combattere anche meglio, se mi obbedirete.”

§

Fratello Roland smontò da cavallo. Mathias, un ragazzo che a quanto aveva capito era stato accolto per carità alla commenda di Vaux, si affrettò a prendere l'animale per le briglie, quindi con deferenza lo condusse accanto al carro, in una zona della piazza che si trovava all'ombra. Il Templare lo udì parlargli a bassa voce.
Si voltò verso il confratello Olivier, che era dritto in piedi, immobile e con lo sguardo rivolto in avanti come se fosse stato a guardia del Santo Sepolcro.
Fece scorrere lo sguardo tutt'intorno: bancarelle, chioschi. Un venditore di cibarie cotte stava magnificando a gran voce i suoi prodotti; l'esposizione di una merciaia sedicente parigina aveva attirato una compagine di donne e ragazze, che si stavano contendendo nastri, stoffe e fili da ricamo. Il macellaio stava tranquillamente eviscerando una carcassa appesa per le zampe posteriori, e alcuni randagi appostati a distanza di sicurezza dalle sue pedate non lo perdevano d'occhio.
Accanto alla porta della chiesa era in corso una rissa tra mendicanti e saltimbanchi su chi avesse il diritto di elemosinare lì. Un paio di sbirri annoiati stavano seguendo da lontano la contesa, pronti a intervenire ma al tempo stesso ben decisi a non effondere energie non necessarie.
Per l'ennesima volta, il suo pensiero andò a Murcia. Quando era arrivato là, la prima notte c'era stato un assalto dei saraceni, e prima che la pressione si allentasse quel tanto da consentire almeno qualche ora consecutiva di sonno, erano passate due settimane. Aveva ancora sul braccio la larga cicatrice biancastra di una ferita che era guarita da sola, come Dio aveva voluto, perché non c'era stato il tempo di darle nemmeno un'occhiata.
E dopo tutto ciò, abito candido e usbergo lucidato a sabbia di fiume dall'instancabile Mathias, era finito a montare la guardia ai denari raccolti con la vendita degli ortaggi.
Probabilmente, il Signore aveva voluto punire la sua superbia, costringerlo alla giusta umiltà.
La voce soddisfatta di fratello Olivier lo distrasse dalle sue meditazioni: “Oggi è una buona giornata.”
Cosa?”
Non vedi? Il buon fratello Nazaire quasi non riesce a stare dietro ai conti.”
Chiamato in causa, il tesoriere, un ometto curvo, con pochi capelli grigi e un paio di lenti sul naso, annuì compiaciuto.
Fratello Roland non replicò. Si chiese quanti giorni sarebbe durato un cavaliere come fratello Nazaire a Murcia, e la risposta fu chiaramente pochi.
Seguì un lungo silenzio, rotto solo dal vociare lontano della piazza e dai polli della commenda che chiocciavano piano nelle stie.
Alla fine, fratello Olivier gli chiese: “Qualcosa non va?”
No, è tutto a posto.”
Mentire è peccato, caro fratello. Coraggio, aprimi il tuo cuore, dimmi cosa ti turba.”
Roland emise un sospiro. “Non lo so. È che non mi aspettavo… questo.”
Olivier annuì consapevole. “Oh, certo. Capisco.” Lo prese per una spalla e lo sospinse per qualche passo. “Credo che anche se ci allontaniamo un po’ nessuno penserà di derubare fratello Nazaire,” disse con un mezzo sorriso. “Non certo dopo la tua prodezza nel bosco.”
Camminarono per un po' fianco a fianco.
Le cose stanno cambiando,” soggiunse poi fratello Olivier quando si trovarono a debita distanza. “Il mondo sta cambiando, e così anche l’Ordine.”
Roland aggrottò le sopracciglia. “Che intendi dire?”
Outremer è persa...”
La riconquisteremo!” lo interruppe l’altro con foga, ma il primo scosse la testa con un sorriso quasi di indulgenza. “Costerebbe troppo, e nessuno ha più tempo e voglia di imbarcarsi nell’impresa. I saraceni sono sempre più forti, i margini di guadagno sempre minori. A chi interessa ormai?”
Ma noi siamo i difensori della fede.”
E dov’è più minacciata, ormai, la fede? I Teutonici se ne sono dovuti andare fino in Livonia, per trovare dei pagani. No, dà retta a me, non è più questo il nostro compito. Presto smetteremo di essere guerrieri sudici, che dormono per terra e vivono con la spada in pugno.”
Fratello Roland strinse gli occhi. “Per diventare cosa?” domandò cupo.
L’altro alzò le spalle in un gesto noncurante. “Diplomatici, finanzieri, uomini di studio. È così che manterremo il nostro potere: consigliando e ispirando i regnanti, curando nel migliore dei modi i loro interessi.”
Ma noi siamo cavalieri.”
Non più, ormai. Non solo, perlomeno. Prendi fratello Nazaire, per esempio: io credo che non sappia tenere in mano nemmeno un coltello da cucina, ma i libri mastri sono il suo pane. E non è neppure nobile, è un borghese che è entrato nell’Ordine quando è rimasto vedovo.”
Fratello Roland rimase per un po’ chiuso in un silenzio meditativo, infine chiese: “E i briganti nella foresta? Pensi che avrei dovuto usare la diplomazia per convincerli ad andarsene?”
Come hai visto tu stesso, è bastato un solo cavaliere per farli scappare. I tempi delle battaglie sono finiti.” Gli batté una mano sulla spalla con fare amichevole, poi aggiunse: “Io me ne torno da fratello Nazaire, è sempre bene non indurre i ladri in tentazione. Tu resta qui ancora un po’, se vuoi. Magari puoi fare un giro per la piazza, così la gente ti vede.”
A che serve che la gente mi veda?”
Il nostro manto bianco è sempre apprezzato. Farai buona impressione.”
D’accordo.”
Mantieni atteggiamenti dignitosi.”
Come se ci fosse bisogno di ripeterlo,” brontolò fratello Roland, quindi si allontanò torvo, con le braccia allacciate dietro la schiena e le spalle ingobbite.

Nonostante le raccomandazioni del confratello, il Templare si tenne lontano dalla folla del mercato: aveva bisogno di riflettere. Si sedette sul bordo di una fontana un po’ in disparte ed emise un sospiro. Aveva passato anni a combattere, praticamente sapeva fare solo quello. Come avrebbe potuto trasformarsi in un diplomatico o in un mercante?
Un rumore alle sue spalle lo fece scattare: si girò rapido e si trovò di fronte un ragazzo. Lo osservò attento: poteva avere sui diciotto anni, e non era sicuramente un popolano. Aveva vesti pregiate, e portava i capelli biondi lunghi fino alle spalle. Al fianco aveva una spada di buona fattura.
Fratello Roland si alzò in piedi. “Salute a voi,” gli disse.
Salute a voi, cavaliere,” rispose il giovane, e poi rimase fermo a fissarlo. Il Templare si accorse che gli stava rivolgendo lo stesso sguardo che anche lui, a suo tempo, aveva rivolto ai cavalieri dell’Ordine. “Posso fare qualcosa per voi?” gli chiese.
Il ragazzo si fece avanti. “Mi chiamo Gwenel de Jussy,” si presentò.
De Jussy?” fece eco l’altro, “Appartenete per caso alla famiglia del signore di questo borgo?”
Sono suo figlio.”
Piacere di conoscervi, io sono fratello Roland.”
Il ragazzo annuì. “Fratello Roland,” ripeté.
Posso fare qualcosa per voi?” chiese di nuovo il Templare.
L’altro prese un gran respiro. “Posso rimanere qui a parlare un po’ con voi?” domandò.
S, certo. Naturalmente. Che cosa volete sapere?”
Qualcosa sulla vita nell’Ordine, magari.” Fece una breve pausa, poi con aria sognante soggiunse: “È bella, vero?”
A quelle parole, fratello Roland si sentì invadere dall’amarezza. Senza rispondere alla domanda, disse: “Voi state meditando di entrare nell’Ordine.”
Sì, è così!” esclamò il ragazzo con slancio.
Beh, non fatelo,” lo raffreddò il Templare, “a meno che non abbiate tutta questa voglia di passare la vita in povertà, a obbedire senza discutere a ogni ordine che vi viene impartito dai vostri superiori.”
L’altro abbassò gli occhi, poi rispose: “Io non sono fatto per la vita di corte, signore. Non amo le feste e lo sfarzo, mentre ricerco la semplicità e la vita in comune con altri fratelli. Voglio dedicare la mia vita a combattere per Cristo e per la Vergine Maria.”
No, meglio di no,” replicò il cavaliere. “Magari sareste contento per i primi mesi, forse per un anno, ma poi ve ne pentireste, e io avrei il rimorso di non avervi dissuaso quando ne avevo la possibilità.”
Voi non potete dissuadermi, signore,” fu la candida risposta del ragazzo, “Io ho già preso la mia decisione. Non ambisco ad altro che a portare la croce e a combattere i nemici della fede.”
L’amarezza di fratello Roland si fece se possibile ancora più profonda. “Combattere, dite? Guardate un po’ laggiù,” gli indicò il gruppetto di fratelli di mestiere impegnati a vendere i prodotti della commenda, “Quelli sono gli unici combattimenti cui potrete anelare se entrerete nell’Ordine.”
Il ragazzo lo fissò ammutolito.
Voi immaginavate Outremer, vero? Sconfiggere i saraceni, liberare il Santo Sepolcro.”
Sì, è così.”
Beh, nulla di tutto questo vi aspetta, se entrerete nell’Ordine. Andate a parlare con fratello Olivier, se non credete a me, è quello in piedi laggiù.” Gli indicò il confratello. “E ora, scusatemi, devo tornare ai miei doveri.” Si alzò, rivolse al ragazzo un rapido inchino del busto, quindi se ne andò.

Gwenel rimase per un po’ a fissare confuso le ampie spalle del Templare che si allontanava. Forse aveva sbagliato qualcosa, aveva parlato a sproposito senza rendersene conto. Non riusciva a spiegarsi, altrimenti, perché il cavaliere se ne fosse andato in quel modo così brusco.
Si voltò verso il gruppetto di fratelli di mestiere, ponderando l’eventualità di andare a parlare anche con quel fratello Olivier di cui fratello Roland gli aveva parlato, ma mentre stava per farlo udì un aumento dei clamori nella piazza. “I cavalieri!” sentì gridare.
Subito si infilò tra la folla e corse a vedere.
Quando capì di cosa si trattava, stabilì che era il Cielo che gli stava mandando un messaggio: stava passando un drappello di Templari in armi. Cavalcavano a due a due, disciplinati e maestosi nei loro manti bianchi con la croce scarlatta sulla spalla. Uno dei cavalieri della prima fila reggeva il Beauceant, che sventolava lieve nella brezza. Non provenivano dalla colonna altri rumori che lo scalpiccio degli zoccoli e il tinnire del metallo.
Gwenel sentì il cuore balzargli nel petto. Fu certo di non aver mai visto uno spettacolo più bello, più solenne e più esaltante della silente compagine che stava in quel momento percorrendo la strada maestra, e desiderò con tutto se stesso di farne parte.

§

I pugni puntati sui fianchi, fratello Adrien fece scorrere lo sguardo critico sul cortile. “Spazzate di nuovo,” ordinò poi. I servi raccolsero le ramazze e in silenzio cominciarono a darsi da fare.
Il cavaliere si diresse alle scuderie. “Qui è tutto a posto?” chiese, scrutando dubbioso il candido edificio.
Sì, signore,” rispose il capo dei garzoni di stalla.
I cavalli sono stati strigliati? I pavimenti sono puliti?”
Sì, tutto a posto, signore.”
Vediamo.” Si introdusse risoluto nella costruzione.
Poco distanti, fratello Roland e fratello Olivier, le braccia conserte sul petto, fissavano i servi che spazzavano l’immacolato cortile. “È la terza volta che glielo fa rifare,” constatò il primo perplesso.
Devi avere pazienza,” rispose l’altro, “è un po’ agitato.”
Perché?”
Oggi vengono i cavalieri tedeschi, non vuole sfigurare.”
Arrivano dei Templari dalla Germania?”
Fratello Olivier scosse la testa. “No, i cavalieri Teutonici di Metz. Fratello Adrien è preoccupato di non fare un’impressione sufficientemente solenne sui nostri fratelli minori.”
L’altro non rispose. Almeno i cavalieri Teutonici combattevano contro i pagani in tutta l’Europa dell’est. Almeno non erano famosi perché prestavano denaro al re, ma perché facevano le crociate. Rievocò l’immagine dell’imponente maniero di Metz e di nuovo trovò la parola ‘minori’ decisamente fuori luogo. “Cosa vengono a fare?” chiese dopo un po’. Sperò che fosse un incontro in previsione qualche attività marziale.
Fratello Geoffroy ha comprato da loro dei cavalli da tiro della Livonia. Oggi ce li portano.”
Capisco,” fu la delusa risposta.
Ti aspettavi per caso una giostra?” chiese fratello Olivier, con l’aria di considerare la cosa molto buffa.
L’altro non rispose. Da qualche mese a quella parte, nulla di ciò che accadeva corrispondeva più a ciò che si sarebbe aspettato, per cui rinunciò a parlare.
Poco dopo, vide il fratello portinaio saltare su dalla sua sedia. L’uomo era lo stesso che lo aveva accolto al suo arrivo, ma questa volta gli era stato categoricamente vietato di stare a piedi nudi e vestito in modo sciatto: aveva le scarpe ben lucidate e una tunica di lana scura [2] su cui spiccava la croce scarlatta.
Tutti si voltarono in direzione del portone che si stava lentamente aprendo.
Il primo a entrare fu un cavaliere in sella a un poderoso destriero da guerra grigio. Portava un semplice elmo alla normanna, l’usbergo e il mantello bianco con la croce nera sulla spalla. Dietro di lui venivano un sergente e alcuni soldati. Quattro di essi conducevano per la cavezza altrettanti cavalli da tiro dal manto baio lucidato a specchio, alti ciascuno non meno di diciassette palmi al garrese.
Belle bestie,” commentò qualcuno alle spalle di Roland.
Quelle a quattro zampe,” specificò un altro. Serpeggiò qualche risatina.
Silenzio!” ingiunse fratello Geoffroy, quindi andò incontro al cavaliere che stava smontando di sella.
Fratello Roland lo seguì attento con lo sguardo. Non riusciva a sentire quello che si dicevano, ma vide il tedesco togliersi l’elmo e farsi scivolare indietro il cappuccio di maglia, rivelando una capigliatura biondo pallido. Era alto un bel po’ più di fratello Geoffroy, e dava l’impressione di potersi caricare in spalla senza sforzo uno dei quattro cavalli che aveva portato.
Evidentemente parlava il francese, perché lui e fratello Geoffroy si scambiarono una serie di convenevoli. Infine fece un cenno, e i soldati gli condussero i cavalli da tiro.
Di nuovo lui e il commendatario parlarono un po', poi le lunghine passarono di mano, e le bestie vennero menate alle scuderie.
A quel punto, fratello Roland si rivolse a fratello Olivier: “Che ne pensi?”
L'altro corrugò appena la fronte. “È uno abituato a stare con la spada in mano, viene dal nord della Germania, tende ad essere di carattere irruente. Posso anche ipotizzare che non sia qui in Francia da tanto tempo, sebbene parli bene il francese.”
E tu come fai a saperlo?”
Fratello Olivier si strinse nelle spalle. “Ho osservato, ho dedotto,” rispose semplicemente. E al silenzio del confratello soggiunse: “Sembra che stia parlando amabilmente, ma non vedi come tiene d'occhio tutto? Questo è uno che ha imparato a sue spese a non abbassare mai la guardia.”
Fratello Roland annuì con uno strano senso di soddisfazione. “Vado a presentarmi,” disse poi.
L'altro aggrottò le sopracciglia. “Cosa? Perché dovresti farlo?”
È un cavaliere, sono curioso di conoscerlo.”
Non ci pensare nemmeno, si farà l'impressione che siamo un branco di cialtroni insubordinati. Che figura fai fare a fratello Geoffroy?”
Fratello Roland rispose: “Farà la figura di un commendatario cortese, che presenta i suoi fratelli cavalieri all'ospite.” Detto questo, si mosse per avvicinarsi ai due.
Non aveva fatto il primo passo che il cavaliere tedesco aveva già rivolto verso di lui uno sguardo acuto di rapace. Si fissarono, e fratello Roland vide nella sua espressione una conferma delle ipotesi di fratello Olivier. Gli sorrise.
L'altro gli restituì il sorriso, poi si voltò verso fratello Geoffroy e disse: “Tutti parlano con giusta ragione del grande valore dei Templari. Posso avere l'onore di conoscere i cavalieri di questa magione?”
Questa è solo una piccola commenda,” si schermì fratello Geoffroy, “ci sono più che altro fratelli di mestiere e studiosi.” Fece una breve risata e soggiunse: “Come me, ad esempio. Non ho più l'età per combattere, per cui ora mi dedico ai libri.”
Voi non siete di certo più vecchio del priore che comanda il castello da cui provengo, signore,” replicò il tedesco, “e lui è quello che combatte più di tutti, a Ritterswerder.”
C'è anche da dire che qui, come vedete, non abbiamo molte occasioni di combattere.”
L'altro annuì. “Lo so fin troppo bene, signore,” rispose con un sospiro.
Roland, che stava seguendo lo scambio, a quel punto si avvicinò ulteriormente. Il commendatario sembrò accorgersi di lui solo in quel momento. Sorrise in un modo che al cavaliere parve quasi di sollievo, poi disse: “Ma ecco qui un vero combattente, direttamente da un castello dell'Andalusia: fratello Roland.” Lo prese familiarmente per una spalla, lo sospinse verso l'ospite. “Fratello Roland, questi è fratello... Friedrich?” Il tedesco annuì, l'altro assunse l'espressione dell'alunno che ha risposto a una domanda tirando a indovinare e vede il precettore soddisfatto. “È fratello Friedrich, dell'Ordine Teutonico. Vorresti essere così gentile da fargli visitare la commenda?”
Ma certo, signore.”
Ah, molto bene. Molto bene. E ora scusatemi, ma i miei doveri mi reclamano. È stato un piacere, fratello Frédéric.”
I due lo guardarono allontanarsi, poi si scambiarono un'occhiata. “Friedrich von Rotburg,” si presentò di nuovo il tedesco tendendo la mano.
L'altro la strinse. “Io sono fratello Roland.”
Piacere di conoscervi.”
Piacere mio,” rispose il Templare, quindi disse: “Beh, venite con me. Da cosa preferite cominciare, la vigna, il forno o la stalla?”
La risposta del tedesco giunse lapidaria: “Da dove vi addestrate con le armi.”
L'altro, che aveva già mosso qualche passo, si immobilizzò e si girò verso di lui. Si scambiarono un secondo lungo sguardo. Alla fine, fratello Roland ripeté: “Venite con me.”
Lo condusse al campo di addestramento. Si accorse di guardarsi intorno, e l’inconfessato motivo era evitare che altri confratelli si unissero a loro. Aveva l'impressione di essere un animale selvatico che ha finalmente trovato del cibo, e va a nascondersi nel folto della foresta, al riparo da chi possa portarglielo via.
Arrivarono al limitare di uno spiazzo circondato da una pista da galoppo e disseminato di manichini di paglia e ostacoli di vario genere. Non c'era nessuno. “Qui è dove ci alleniamo,” disse.
Il tedesco annuì grave, poi replicò: “Il valore in battaglia dei cavalieri Templari è leggendario. Tutti ne parlano, per cui ero curioso di vedervi combattere.”
Ecco... come vi ha detto fratello Geoffroy, questa è solo una piccola commenda.”
Ma voi siete un cavaliere.”
L'altro sentì il cuore accelerare i battiti. “Che intendete dire?”
Che nessuno ci impedisce di combattere un po' fra noi.”
Fratello Roland esitò qualche secondo, ma poi scosse la stessa. “Ecco, veramente dovrei chiedere il permesso a fratello Geoffroy. La Regola ci vieta di esercitarci senza l'autorizzazione di un superiore.”
L'altro annuì grave. “Capisco,” disse. Poi, dopo una pausa: “Siete qui da molto?”
Qualche mese.”
E vi piace?”
È il mio dovere, che mi piaccia o meno è irrilevante.”
Cominciarono a camminare fianco a fianco. L'aria era tiepida, e piena del cinguettio degli uccelli e del frinire di migliaia di insetti. Le viti rigogliose mostravano già i frutti che di lì a qualche mese le avrebbero piegate verso terra. Intenti alle loro occupazioni, i fratelli di mestiere si inchinavano rispettosamente vedendoli passare.

Oltrepassarono i campi, raggiungendo una zona incolta nella quale c'erano i resti di un’antica cappella. Il rudere era ombreggiato da grandi alberi e coperto di rampicanti. “Questo è il posto che preferisco,” disse il Templare.
Fratello Friedrich si guardò intorno, poi si girò verso la commenda, che da lì appariva come un insieme di casette bianche col tetto di paglia, disposte intorno ai due edifici di pietra come le pecore intorno a un pastore. Sembrava un pacifico villaggio di contadini, più che un convento di frati guerrieri.
Si voltò di nuovo verso il Templare: alto, dritto, una cicatrice bianca che gli tagliava una guancia. La pelle era abbronzata, le mani indurite dall’uso della spada. Gli occhi erano scuri, penetranti, ma vi si coglieva una malinconia profonda, da animale selvatico obbligato alla cattività.
Dove avete combattuto?” gli chiese.
L’altro sembrò animarsi. “Sono stato tre anni ad Arcos de la Frontera, tre ad Aguilar e poi uno a Murcia.”
Avete sempre combattuto contro i saraceni, quindi.”
Sì, è così. E voi?”
Conoscete la Livonia?”
Ne ho sentito parlare. Voi avete combattuto là?”
Il tedesco annuì. “Quattro anni ad Ascheraden, due a Christmemel, uno a Georgenburg e due a Ritterswerder.”
È da parecchio che combattete.”
Da quando avevo diciassette anni, e voi?”
Diciotto.”
Fratello Friedrich si sedette su una pietra. “E adesso siamo qui,” concluse con un sospiro.
Fratello Roland prese posto accanto a lui e disse: “Nemmeno voi siete contento di aver abbandonato i combattimenti, vero?”
Il tedesco si girò a fissarlo negli occhi. “Vi risponderò come avete fatto voi con me: è il mio dovere, che io ne sia contento o meno è irrilevante.”
L’altro rimase in silenzio per qualche istante, quindi constatò: “Vedo che ragioniamo allo stesso modo.”
Mi pare di sì,” assentì il primo.
Passò un po’ di tempo, nel quale i due rimasero in silenzio ad ascoltare lo stormire delle fronde agitate dalla brezza. Infine il Templare chiese: “Come mai parlate così bene la mia lingua, fratello Friedrich?”
L’altro sorrise quasi con imbarazzo. “Da ragazzo volevo leggere i poemi di Chrétien de Troyes e non li trovavo tradotti in tedesco, così ho chiesto a mio padre di procurarmi un precettore che mi insegnasse il francese.”
Allora sono stato fortunato.”
Perché?”
Perché così posso parlare con voi.”
Fratello Friedrich rimase in silenzio per un po’, quindi rispose: “Anch’io sono stato fortunato.”
Simultaneamente si voltarono l’uno verso l’altro, ma prima che il tedesco potesse aggiungere altro, sentirono qualcuno chiamarli. Subito fratello Roland scattò in piedi. “Temo che ci siamo attardati oltre il consentito,” disse, e senza aggiungere altro si incamminò rapido.
Fratello Friedrich lo seguì pensoso. Forse era ancora troppo abituato agli spazi ampi della Livonia, alle pianure che si estendevano a perdita occhio e alle galoppate nella neve, ma più passavano i giorni, più i vigneti e i campi della Lorena gli sembravano soffocanti. E non erano solo le coltivazioni a inquietarlo, ma anche la generica aria laboriosa, pacifica e tranquilla che sembravano avere tutti, Templari inclusi.
L’incarico di portare i cavalli alla commenda, che inizialmente lo aveva riempito di aspettativa e curiosità, gli stava suscitando una sensazione di disagio simile a quella che avrebbe potuto provare nel vedere una belva feroce costretta alla catena.
Nel cortile c’erano altri tre cavalieri, che egli giudicò coetanei di fratello Roland. “Eccovi qui!” li apostrofò uno di essi, alto e con i capelli chiari. “Dove vi eravate nascosti?”
Ignorando la domanda, l’altro rispose: “Fratello Olivier, ti presento fratello Friedrich von Rotburg, dell’Ordine Teutonico.” Poi, rivolto al tedesco: “Questi sono i miei confratelli: fratello Olivier, fratello Philippe e fratello Séverin.”
Ci fu uno scambio di strette di mano, poi fratello Séverin, un giovanottone con le spalle larghe e l’espressione volenterosa, domandò: “Avete già visitato la nostra chiesa?”
In effetti no,” rispose fratello Friedrich.
Che ne direste allora di vederla? Abbiamo un po’ di tempo prima che suoni la campana della cena.”
Fratello Friedrich annuì. “La vedrei molto volentieri.”
Intervenne quello che era stato presentato come fratello Philippe: “Parlate molto bene il francese, signore.”
Il tedesco gli rivolse un leggero inchino del busto. “Grazie, i vostri poeti epici mi hanno conquistato e mi hanno spinto ad apprenderlo.”
L’altro parve stupito. “I nostri poeti epici?”
Chrétien de Troyes, Robert de Boron...” I volti perplessi dei suoi interlocutori lo convinsero a interrompere l’elenco.
Noi non leggiamo queste cose,” concluse lapidario fratello Olivier, “quando non siamo impegnati ad allenarci o a svolgere i nostri servizi, preferiamo ascoltare le Scritture.”
Capisco.”
Intervenne di nuovo fratello Séverin: “Entriamo in chiesa, fratello?”
Volentieri.”
Mentre lo seguiva all’interno dell’edificio, fratello Friedrich lo osservò: era sicuramente più muscoloso di fratello Roland, ma non aveva certo la sua andatura elastica da predatore. Le sue mani robuste davano l’idea di poter spezzare in due un ferro di cavallo, ma erano lisce come quelle di uno scrivano. Pensò che sarebbe potuto essere un ottimo boscaiolo, o magari un fabbro, mentre stentava a immaginarlo nell’atto di combattere.
Cercò con lo sguardo fratello Roland, che subito lo raggiunse e si portò al suo fianco.

§

Il primo mattino era la parte del giorno in cui nella commenda fervevano maggiormente i lavori: c’erano gli animali da rigovernare, bisognava cominciare a cuocere i pasti, si facevano le pulizie e si sistemavano gli alloggi.
Un po’ in disparte rispetto a tutta quell’attività, fratello Friedrich e fratello Roland camminavano lentamente fianco a fianco. “E così ve ne andate?” domandò il francese.
Sì, i miei doveri mi chiamano al castello di Metz,” rispose l’altro. Si voltò verso i suoi soldati, che gli stavano sellando il destriero, poi soggiunse: “Mi dispiace di non aver duellato con voi.”
Anche a me dispiace.”
Avremo altre occasioni, spero.”
Fratello Roland scosse la testa. “Non credo. Voi non conoscete la nostra Regola, ma vi posso dire che su certe cose è molto rigida. Se io combattessi senza permesso, perderei l’abito.”
L’altro lo fissò stupito. “Davvero?”
È la Regola.”
Come fate allora ad allenarvi? Il valore dei Templari è leggendario, e non posso credere che si acquisisca facendo poco esercizio solo quando lo permettono i superiori.”
Fratello Roland alzò le spalle e rispose: “L’avete visto anche voi: in questo posto si privilegiano le attività dei fratelli di mestiere rispetto all’uso della spada. Fratello Geoffroy è un uomo dedito alla contemplazione e allo studio, più che altro.”
Capisco,” rispose fratello Friedrich, anche se in realtà non capiva affatto. Che senso aveva essere cavalieri, passare una vita a imparare l’uso delle armi, se poi tale uso veniva sottoposto a tali e tante restrizioni da impedirne formalmente la pratica? Riconosceva i buoni combattenti a colpo d’occhio, e quel fratello Templare lo era senza dubbio. Possibile che i suoi superiori lo obbligassero alla sola vita da monaco, togliendogli quasi del tutto quella del guerriero?
Ci deve essere un modo,” disse dopo un po’.
In quel momento li raggiunse fratello Geoffroy. “Fratello Frédéric,” lo salutò, “volete già lasciarci?”
Come dicevo a fratello Roland, signore, i miei doveri mi chiamano a Metz.”
Ah, già. Certamente, vi capisco. I doveri non si possono trascurare.”
Cercando di ignorare il fatto che il commendatario appariva decisamente sollevato all’idea di vederlo partire, fratello Friderich lanciò una fugace occhiata a fratello Roland, quindi disse: “Avrei un’ultima grazia da chiedervi, signore.”
Fratello Geoffroy lo fissò stupito. “Una grazia?”
Sì, signore.”
Ebbene, che cosa vorreste, fratello? Se è in mio potere, ve la concederò volentieri.”
Il tedesco fece un lieve sorriso e rispose: “È di certo in vostro potere, signore. Tutti conoscono il valore in battaglia dei cavalieri del Tempio, vi chiedo la grazia di concedere a me e ai miei confratelli l’onore di combattere con loro in un torneo.”
La richiesta lasciò il commendatario per qualche istante senza parole. “Un torneo?” ripeté alla fine.
À plaisance [3],” specificò il tedesco.
L’altro scosse con decisione la testa. “Ma è un evento troppo mondano, cavaliere. È contro la Regola.”
Sarebbe solo per allenamento, signore. Niente spettatori, insegne o altri strumenti di vanità.” Lanciò uno sguardo a fratello Roland e concluse: “Solo onorevole combattimento.”
Fratello Geoffroy si sistemò la tunica con gesti vagamente nervosi, poi borbottò: “Beh, cavaliere, la vostra richiesta non è delle più usuali, lasciatemelo dire.”
Ne sono consapevole.”
Il commendatario si prese il mento fra le dita con fare pensoso. Fratello Friedrich ebbe l’impressione che volesse rifiutare, ma al tempo stesso non volesse mettersi in cattiva luce con l’Ordine Teutonico. “Voi cosa ne dite, fratello Roland?” chiese infine.
L’interpellato prese un respiro e socchiuse gli occhi come assorto nell’intento di dare la migliore risposta possibile. Infine disse: “Io credo che un torneo senza pubblico e insegne non sarebbe un evento mondano, ma solo necessario e utile allenamento.”
Fratello Geffroi annuì grave. “Ci penseremo,” proferì infine. “Valuteremo. Chiederò anche il parere del Siniscalco.”
Vi ringrazio, signore,” disse fratello Friedrich, poi fece un cenno al sergente, che subito inquadrò gli uomini per la marcia. Un soldato gli portò il cavallo.
Il cavaliere controllò il sottopancia, poi mise le redini sul collo dell’animale e si preparò a montare in sella. “Arrivederci, signore,” disse al commendatario, “è stato un onore conoscervi. Parlerò al mio priore della vostra cortese ospitalità.” Si voltò poi verso fratello Roland. “Arrivederci anche a voi. Confido che presto potremo incrociare le spade.” Si guardò intorno alla ricerca degli altri cavalieri, ma non li vide da nessuna parte.
Salì a cavallo, e con un ultimo cenno di saluto si diresse verso il portone.

§

La commenda di Vaux comparve dietro una curva. A quella vista, la mula bianca allungò il passo con tale vigore che il fratello di mestiere che la accompagnava rischiò di vedersi strappare dalle mani la corda della cavezza. “E sta’ buona!” protestò l’uomo, cercando di riportarla all’obbedienza con uno strattone.
Fratello Roland, che cavalcava qualche passo più indietro, osservò muto la scena. Pensò che bisognava proprio essere muli, per aver voglia di tornare in un posto dove non c’era altro da fare che lavori agricoli.
A quel pensiero, il senso di colpa lo attraversò come una fitta di dolore: stava mettendo in discussione il voto di obbedienza. Se i suoi superiori, ispirati da Dio, avevano stabilito di mandarlo a Vaux, dovevano avere delle ragioni che lui, nella sua imperfezione e fallacia, non poteva capire. Erano la superbia e l’orgoglio a instillargli pensieri simili, e probabilmente avrebbe fatto bene a parlarne quanto prima a fratello Geoffroy, aprendogli il proprio cuore e invocando il perdono. Si voltò verso fratello Olivier, che cavalcava come se stesse scortando la reliquia della Vera Croce. L’altro gli restituì lo sguardo e gli chiese: “Che c’è, sei stanco?”
Roland scosse la testa. “Stavo pensando.”
A cosa?”
Niente di particolare.” Tacque per qualche secondo, poi soggiunse: “Quando a Metz siamo passati davanti al castello dei cavalieri Teutonici, ho guardato se c’era fratello Friedrich.”
Fratello Olivier sollevò le sopracciglia come di fronte a un’inaspettata eccentricità. “E perché mai?” gli chiese.
Mi sarebbe piaciuto fermarmi a salutarlo.”
L’altro assunse un’espressione incredula. “Bontà divina!” protestò, con un tono a metà fra l’esasperazione e lo sbalordimento, “E perché mai avresti dovuto fare una cosa del genere? Quando andiamo a Metz non lo facciamo certo per svagarci, ma per servire il Tempio.”
Credo che potremmo intrattenere buoni rapporti con i cavalieri tedeschi.”
A che ci servirebbe?”
Sono cavalieri.”
E quindi?”
Le regole della cavalleria...” cominciò fratello Roland, ma fratello Olivier, in tono brusco, lo interruppe: “Noi abbiamo solo una Regola da seguire, ed è quella del Tempio.”
Ma...”
Ti prego di non insistere, se la gente ci vedesse discutere tra noi, potremmo dare un cattivo esempio. Ne riparleremo quando saremo arrivati, se proprio ci tieni.” Detto questo, fratello Olivier volse lo sguardo in avanti e si chiuse in un ostinato silenzio.
Fratello Roland chinò appena il capo. Stava calando la sera, e intorno alla commenda stava sorgendo un piccolo villaggio di ripari di fortuna, eretti dai medicanti che di buon mattino sarebbero andati a prendere le elemosine elargite dal Tempio. Qua e là brillava qualche piccolo fuoco di bivacco, gruppetti di bambini sudici si rincorrevano schiamazzando. Una vecchia che camminava reggendosi a una stampella si fermò a guardarli mentre passavano e si fece il segno della croce.
Fratello Roland pensò per l’ennesima volta al ritorno dalla fattoria di Pozo Aledo, e di nuovo una cocente fitta di nostalgia lo fece soffrire.
Il portone della commenda si spalancò, lasciando intravedere il cortile, nel quale i fratelli di mestiere si muovevano intenti alle loro occupazioni.
Anche il suo cavallo a quel punto allungò il passo, ed egli non fece nulla per trattenerlo. Si lasciò anzi portare quasi docilmente, e quando ebbe varcato la soglia gli permise di raggiungere lo spiazzo davanti alla scuderia.
A quel punto smontò di sella, e rimase piuttosto stupito nel sentirsi chiamare da fratello Geoffroy.
Avete bisogno di me, signore?” chiese rivolgendogli un breve inchino del busto. Per un attimo fu attraversato dal pensiero che il commendatario volesse riprenderlo per lo scarso entusiasmo con cui serviva a Vaux, ma l’altro gli disse: “Finalmente sei arrivato, fratello. Molto bene, ti attendevo con ansia.” Prima che l’altro potesse replicare, proseguì: “Vieni con me.”
Lo precedette all’interno dell’edificio del Capitolo. “Vieni,” ripeté, quasi in tono di rattenuta urgenza, poi raggiunse la porta del suo studio. La aprì e annunciò: “Eccolo.” Poi, rivolgendosi di nuovo a lui: “Vieni, entra.”
Lo spinse all’interno della stanza.
Fratello Roland si guardò intorno, e alla luce incerta di una candela che ardeva sulla tavola vide che sullo scanno normalmente usato da fratello Geoffroy sedeva un’altra persona. Si fermò perplesso: il nuovo arrivato portava il manto bianco dell’Ordine, ma il cappuccio calato fin sugli occhi impediva di distinguere qualsiasi cosa del suo volto. Le braccia erano conserte sul petto, e le mani infilate nelle maniche della tunica.
È lui,” disse fratello Geoffroy, rivolgendosi al misterioso personaggio.
Fratello Roland volse lo sguardo verso il commendatario in una muta richiesta di spiegazioni.
Credo sia quello più adatto,” proseguì questi, continuando a ignorarlo in favore del misterioso ospite, “ma l’ultima parola spetta a voi, naturalmente.”
Passò qualche istante di completa immobilità. Il silenzio era rotto solo dal lieve crepitare della candela, i tremolii della fiammella gettavano ombre inquietanti sulla figura paludata di banco.
Fratello Roland tese i muscoli mentre lo invadeva una sensazione di allarme, e dovette fare uno sforzo di volontà per non arretrare verso la porta.
Il commendatario sembrò accorgersene, perché gli mise una mano sulla spalla e di nuovo lo spinse avanti.
A quel punto, il visitatore si alzò lentamente in piedi. Il Templare percepì uno sguardo acuto provenire dal buio del cappuccio. Uno sguardo indagatore, attento, che lo scrutava con inquietante meticolosità.
Chi siete, signore?” osò chiedere.
Alla domanda fece seguito un lunghissimo silenzio. Poi, quando ormai fratello Roland si era convinto che non avrebbe ricevuto alcuna risposta, si fece udire la voce del nuovo arrivato: “Voi chi pensate che io sia, fratello?”
Il timbro era maschile, autorevole. Vi si percepivano saggezza e forza d’animo, ma anche un’inflessibile durezza.
Il Templare tentennò. “Non saprei, signore. Portate il mantello dell’Ordine, ma non credo di avervi mai visto, né ricordo la vostra voce.”
Non mi avete mai visto,” confermò l’altro pacato.
Seguì un altro lungo silenzio, poi fratello Roland chiese nuovamente: “E allora chi siete, signore?” Pur rispettoso, il tono aveva assunto una lieve nota di durezza.
Fratello Geoffroy fece per intervenire, ma l’uomo incappucciato liberò una mano dal viluppo delle maniche, e protendendola verso di lui in un gesto ieratico disse: “Lascia. Voglio vedere che indole ha.” Le braccia tornarono a incrociarsi sul petto. “Voglio vedere se è adatto ai nostri scopi.”
Quali sarebbero questi scopi?” ringhiò fratello Roland, facendo un passo indietro. Fratello Geoffroy cercò di trattenerlo, ma il più giovane si liberò con una nervosa scrollata di spalle. “Chi siete voi? Che cosa volete da me?”
Voi avete formulato un voto di obbedienza,” gli ricordò con voce dura l’uomo incappucciato.
Un voto di obbedienza ai superiori designati dal Tempio, non a chicchessia.”
Pensate che io non sia uno di essi? Eppure vesto il manto dell’Ordine, e come vedete il vostro commendatario mi porta rispetto.”
Fratello Roland strinse i denti. “Dimostratemi che appartenete al Tempio. Fatemi vedere il vostro volto.”
Altrimenti?”
Altrimenti devo pensare che siate un impostore,” disse l’altro. Il suo sguardo si fece cupo, ed egli arretrò mettendo mano all’elsa della spada.
Fratello Roland!” esclamò il commendatario afferrandogli il polso. “Che stai facendo?”
Chi è costui?” ringhiò l’altro di rimando. “Che cosa vuole da me?”
L’incappucciato, che aveva seguito impassibile la scena, a questo punto disse: “Ho visto abbastanza.”
Seguì qualche secondo di un silenzio carico di tensione, poi fratello Geoffroy chinò il capo e sospirò: “Vi prego di perdonarmi se non ho saputo scegliere in modo adeguato.”
Al contrario. La vostra scelta è stata ottima.” Si rivolse a fratello Roland: “Domani inizieremo.”
Domani inizieremo che cosa?” fu la diffidente replica.
Intervenne a questo punto fratello Geoffroy: “Torna agli alloggi, spogliati dell’usbergo e va a consumare il pasto serale con i confratelli. A tempo debito verrai informato sui tuoi nuovi doveri.”

Fratello Roland abbandonò pensoso l’edificio del Capitolo. Paragonata alla penombra opprimente che regnava nello studio del commendatario, la morbida luce del crepuscolo gli fece stringere gli occhi come il sole di mezzogiorno. Inspirò l’aria tersa della sera, cercando di liberarsi della sensazione di disagio che l’aveva pervaso.
Riandò con la mente al giorno in cui era arrivato a Vaux: qualcuno lo aveva scelto, ma per cosa?
Ricordò che in quell'occasione il commendatario aveva fatto un nome: fratello Urbain. Si chiese se si trattasse dell'uomo con cui aveva appena parlato.
Se fosse stato davvero lui, con il comportamento che aveva tenuto nei suoi confronti rischiava come minimo di perdere l'abito. La cosa in realtà non lo spaventò particolarmente, non perché non gli importasse di perdere l'abito, quanto piuttosto perché aveva avuto la sensazione che il misterioso visitatore avesse in un certo senso apprezzato la sua reazione violenta.
Ricordava bene quello che l'uomo aveva detto a fratello Geoffroy: la vostra scelta è stata ottima.
Fratello Olivier gli si affiancò. Ancora immerso nei suoi pensieri, turbato, fratello Roland reagì d'istinto facendo un salto indietro.
Che ti prende?” chiese l'altro stupito.
Scusa, ero distratto.”
Togli la mano dalla spada, almeno, prima che ti veda qualcuno.”
Fratello Roland abbassò gli occhi e si accorse di aver istintivamente portato la destra all'impugnatura dell'arma. “Scusa,” ripeté.
Se ti vede fratello Adrien è capace di farne un caso di stato.” Poi, imitando il tono del cavaliere: “Un fratello che minaccia con le armi un altro fratello, inaudito!”
Ero distratto, ho agito senza pensare.”
L'altro annuì. “Me ne sono accorto. Qualcosa non va?”
No, no. Tutto a posto.”
Mentire è peccato, te l'ho già detto. Che cosa voleva il commendatario?”
Fratello Roland si voltò a fissarlo negli occhi. “Perché vuoi saperlo?” gli chiese.
L'altro sollevò perplesso le sopracciglia. “Siamo confratelli,” rispose, “Viviamo insieme, condividiamo tutto. Se ti vedo turbato, mi sembra normale chiederti che cos'hai.”
A quelle parole fece seguito un lungo silenzio. Infine, fratello Roland rilassò le spalle, che un attimo prima aveva irrigidito, e si decise a dire: “Scusami. Forse devo ancora abituarmi a questo posto, prendo tutto come un'aggressione e reagisco di conseguenza. Fratello Geoffroy non voleva niente di particolare, non preoccuparti.”
Beh, meglio così. Ti aiuto a togliere l'usbergo?”
Sì, grazie.”

Nello studio del commendatario, i due uomini sedevano al tavolo uno di fronte all’altro. Fra loro palpitava la fiamma della candela ormai mezza consumata.
Sono contento che vi abbia soddisfatto,” disse fratello Geffroy, “ho fatto molta fatica a trovarlo proprio come lo volevate.”
L’altro si fece scivolare indietro il cappuccio, rivelando un volto ascetico, magro fino all’emaciazione, solcato da profonde rughe. Nelle orbite incavate brillavano occhi neri e acuti, dallo sguardo penetrante. “È importante che risponda a certi requisiti,” rispose in tono grave, “non possiamo rischiare di affidarci alla persona sbagliata.”
La voce del commendatario vibrò di apprensione: “Siamo dunque a questo punto?”
Il primo annuì in silenzio. La fiamma danzante della candela giocava con i suoi lineamenti scavati, conferendo loro l'aspetto grottesco di una maschera. “L'Ordine si trova su un baratro,” rispose in tono cupo, “e nessuno di noi ha il potere di impedire la sua eventuale caduta. Possiamo solo attendere gli eventi e prepararci a quello che verrà, e voglia Dio che non sia ciò che temo.”
Fratello Geoffroy emise un sospiro e pregò: “Ditemi che idea vi siete fatto della situazione in cui ci troviamo, fratello Urbain.”
Outremer è perduta,” esordì l'altro, e all'espressione incredula del commendatario, proseguì: “è inutile farsi illusioni: dopo l'assedio di San Giovanni d'Acri, nessuno ha più interessi per quelle zone, e nessuno vuole più impegnarsi in una riconquista che richiederebbe un immenso dispendio di uomini e mezzi.”
Mezzi che la maggior parte dei sovrani d'Europa non possiede o non vuole impiegare nell'impresa,” interloquì fratello Geoffroy.
L'altro annuì grave, quindi proseguì: “Stando così le cose, vedete bene che il nostro Ordine è in pericolo: siamo nati per difendere i luoghi santi, ma i luoghi santi non ci sono più. E quindi, i migliori combattenti della Cristianità, un esercito di ventimila cavalieri sparso in tutta l'Europa, che risponde del proprio operato solo al Papa, cominciano a non essere visti di buon occhio dai sovrani.” Fratello Urbain si alzò e cominciò a camminare lento per la stanza, apparendo e scomparendo nel cerchio di luce della candela. “C'è chi ci diffama,” giunse la sua voce dal buio, “chi ci accusa di aver perduto i luoghi santi a causa della nostra viltà e inettitudine.”
Questa, poi...” sbottò fratello Geoffroy. L'altro fece un gesto come per scacciare qualche insetto particolarmente molesto e disse: “Lo sdegno è fuori luogo, fratello. Quella che vi ho riferito non è solo un'ignobile diceria: è uno degli arieti di cui si stanno servendo per cercare di sfondare le porte della nostra cittadella.” Fece una pausa, poi in tono sibillino soggiunse: “E vi dirò: non è nemmeno il più pericoloso di essi.”
Che intendete dire?”
Il Codice Ombra,” fu la risposta, che giunse dal buio come se a pronunciarla fosse stato un fantasma. “È trapelato, e già cominciano a strisciare, come serpenti odiosi, le prime voci di eresia.”
Al costernato silenzio dell'interlocutore, fratello Urbain in tono ammonitore aggiunse: “Lo sapete anche voi cosa succede durante le investiture.”
L'altro non rispose, e a quelle parole cariche di minaccia fece seguito un lungo silenzio, rotto soltanto dal frusciare della veste e dai passi di fratello Urbain, che continuava a camminare per la stanza. Dopo un po' si fece udire di nuovo la voce del Templare: “E in tutto questo, l'Ordine, che dovrebbe affrontare la temperie compatto come un muro, si sta sfaldando in dissidi interni: da una parte abbiamo de Molay che sta cercando con tutte le forze di conservare la nostra struttura militare, ma dall'altra abbiamo il Visitatore dell'Occidente, de Pérraud, che vorrebbe trasformarci in banchieri e diplomatici.” Si sedette di nuovo. “Avrete sentito quello che è successo con il Tesoriere de la Tour, immagino.”
So che ha concesso un prestito alle casse reali senza chiedere l'autorizzazione di de Molay.”
Conoscete per caso l'ammontare del prestito?”
Fratello Geoffroy scosse la testa.
Allora ve lo dirò io,” rispose fratello Urbain, piegandosi in avanti come per confidare un segreto. “Trecentomila fiorini,” scandì.
L'altro rimase in silenzio per un bel po', poi ripeté: “Trecentomila? Ma è il bilancio annuale di una piccola nazione.”
Precisamente, e de la Tour gliel'ha concesso senza chiedere alcuna autorizzazione. Era tutto denaro di creditori privati, per inciso. Non appena l'ha saputo, de Molay l'ha espulso dall'Ordine, ma de Pérraud l'ha protetto, e dicono che il Tesoriere si sia comportato nei confronti del Gran Maestro con inaudita arroganza, come chi è sicuro della propria impunità.” Fece una pausa, poi soggiunse: “Il Re è avido, il Papa incerto. Credo che dovremo prepararci al peggio.”
Fu la volta di fratello Geoffroy di alzarsi in piedi. Il commendatario prese a girare su e giù come in preda a una frenesia incontrollabile. La fiammella della candela tremolava investita dalle folate d'aria mosse dal suo mantello. “Che cosa dobbiamo fare?” disse alla fine. “Non possiamo lasciare che vada perduto tutto quello che abbiamo acquisito. Tutti gli studi, le ricerche... dove andranno a finire?”
È per questo che vi ho suggerito di trovare un fratello cavaliere che rispondesse a determinati requisiti. Non abbiamo più molto tempo, credo.”

§

Fratello Roland affiancò il commendatario all'uscita dalla chiesa. “Signore?” lo chiamò.
L'altro lo fissò, e al cavaliere parve di cogliere un vago moto di imbarazzo. Pensò che temesse di sentirsi rivolgere domande su quanto era accaduto la sera prima, per cui lo prevenne: “Chiedo il permesso di fare allenamento con le armi, signore.”
A quelle parole, Fratello Geoffroy parve in effetti sollevato. “Con le armi?” ripeté, come se la cosa gli suscitasse qualche genere di stupore.
È troppo tempo che non faccio addestramento, signore, e questo non è bene.”
Il commendatario annuì. “Ma certo, l'addestramento è importante. Va' pure.”
Posso spingere il cavallo al galoppo [4], signore?”
Fratello Geoffroy lo fissò diffidente, e fratello Roland ebbe l'impressione che stesse valutando il rischio di un eventuale destriero azzoppato, di cui avrebbe dovuto rendere conto all'Ordine. Infine l'uomo emise un sospiro e disse: “Molto bene, va’ pure. Confido nel tuo buon senso.”
Grazie, signore.”
Fratello Roland si fece portare il cavallo dallo scudiero, montò in sella e si diresse verso il campo di addestramento.
Gli piaceva allenarsi, amava sentire in mano il peso dell’arma, e amava dominare il destriero con la forza delle gambe mentre lo lanciava alla carica, ma in quel frangente il piacere era l’ultimo dei suoi obiettivi. Aveva bisogno più che altro di pensare, e riusciva a farlo meglio se era impegnato in qualche attività marziale.
Aveva ancora davanti agli occhi l’immagine inquietante dell’uomo incappucciato. Ricordava la sua voce, autorevole e ferma, e i suoi movimenti misurati. Ne aveva tratto un’impressione di forza morale, come di chi sia in grado di porsi uno scopo e perseguirlo a discapito di qualsiasi cosa, e se da una parte quel pensiero gli aveva suscitato ammirazione, dall’altra lo aveva in un certo senso impensierito.
Ancora una volta, si chiese cosa significasse il fatto che era stato scelto. Per che cosa, poi?
Spinse il cavallo al piccolo galoppo, e a quell’andatura compì un giro di pista. Una volta che lo ebbe completato, guidò l’animale verso un rettilineo lungo il quale erano collocati a intervalli regolari dei manichini di paglia. Sfoderò la spada, che brillò nel sole del mattino, strinse le ginocchia e si piegò appena in avanti sulla sella. Allentò la presa sulle redini, e il destriero, che conosceva ormai bene il comando, si lanciò al galoppo sfrenato. Il vento nelle orecchie, gli occhi che gli lacrimavano per la velocità, fratello Roland oltrepassò i primi due manichini, godendosi semplicemente la cavalcata, quindi raggiunto il terzo sollevò la spada e sferrò un tondo dritto, decapitandolo di netto. Proseguì verso il successivo senza rallentare, ma all’ultimo momento scartò sollevando una nube di polvere, fece girare l’animale sulle zampe posteriori e invertì la direzione della corsa. Colpì di nuovo il manichino che aveva già decapitato, passò oltre e di nuovo scartò girando su se stesso. Il cavallo fece una mezza impennata, quindi riprese il galoppo.

Si allenò con intensità, sia a cavallo che a piedi. Da una parte rimpiangeva che non ci fosse qualche fratello cavaliere a condividere quell’attività, ma dall’altra si godeva quel momento di solitudine, così raro nell’Ordine.
Quando fu stanco, sedette su un tronco e si fece scivolare all’indietro il cappuccio di maglia, poi si sfilò un guanto e si passò la mano tra i capelli fradici di sudore. Piegò la testa all’indietro, e per un po’ rimase semplicemente a contemplare il cielo di smalto.
Una voce lo distrasse: “Fratello Roland?”
Con un movimento istintivo, il Templare scattò in piedi, e la mano come al solito gli corse al pomo della spada.
Fratello Olivier si stava avvicinando. “Sono solo io,” disse.
Fratello Roland emise il fiato che aveva involontariamente trattenuto. “Scusami,” rispose.
Fa niente, tanto non c’è fratello Adrien in giro.” Fece una risatina, poi soggiunse: “E io non ti denuncerò al Capitolo perché hai fatto il gesto di estrarre un’arma di fronte a un fratello, quindi puoi rilassarti.”
L’altro allontanò la mano dalla spada, quindi chiese: “Sei venuto a fare un po’ di allenamento, fratello?”
Il primo scosse la testa. “Scusami, ma oggi non ho tempo. Sono qui per chiederti un favore, in realtà.”
Un favore?”
Sì, un ragazzo vuole visitare la commenda, ma io ho da fare. Visto che tu sei libero, potresti accompagnarlo? Tanto ormai la conosci bene quanto me.”
Veramente mi stavo allenando,” gli fece notare fratello Roland.
L’ho lasciato in chiesa,” fu la risposta, “non farlo aspettare troppo, oppure diranno che i Templari sono scortesi con gli ospiti, e questo non è bene.” Detto questo, fratello Olivier si allontanò rapido. “Grazie, a buon rendere,” aggiunse poi senza nemmeno voltarsi.

Quando fratello Roland, dopo aver portato il cavallo in scuderia ed essersi tolto l’usbergo e il gambeson fradicio di sudore, entrò in chiesa, si trovò faccia a faccia con il figlio del signore di Jussy.
Voi qui?” gli chiese stupito.
La mia strada è questa,” disse il ragazzo per tutta risposta, “Io voglio entrare nell’Ordine.”
L’altro emise un sospiro. “Venite, visitiamo la commenda.”
Che cosa devo fare per entrare nell’Ordine?” insisté il ragazzo senza muoversi, “Devo parlare con il commendatario?”
Fratello Roland gli si avvicinò. Gli mise una mano sulla spalla, un gesto quasi da fratello maggiore, poi scosse la testa e disse: “Voi vedete le nostre belle armi e i bei cavalli, vedete la ricchezza delle nostre commende, ma non avete idea di quello che in realtà dobbiamo sopportare.”
A quelle parole, proferite in tono carico di amarezza, il più giovane dapprima gli rivolse uno sguardo interdetto, ma subito dopo la sua espressione si fece nuovamente decisa, ed egli disse: “Allora spiegatemelo voi, cavaliere. Voglio sapere tutto dell’Ordine.” Annuì come per sottolineare il concetto, quindi chiarì: “Voglio sapere cosa mi aspetta.”
Fratello Roland distolse lo sguardo da quello carico di entusiasmo del giovane. Per un attimo si rivide ragazzo, mentre rivolgeva le stesse identiche domande a un cavaliere con la croce scarlatta sulla spalla.
Fugacemente si chiese se, potendo tornare indietro, avrebbe fatto le stesse scelte. Se avrebbe sopportato fatica, umiliazioni, disciplina, ferite, digiuni… “Voi non sapete cosa vi aspetta,” ripeté, “Ma sapete qual è la cosa peggiore? Che se anche io vi raccontassi tutte le prove che Dio mi ha posto dinnanzi, una per una, esse non farebbero che accrescere il vostro entusiasmo e il vostro desiderio di entrare nell’Ordine.”
Ed è un male, cavaliere?”
Lo è per voi. Quella che l’Ordine ci impone è una vita molto dura, e una volta fatta la scelta di donarsi al Tempio, essa è irrevocabile. Voglio che pensiate molto bene al passo che avete in animo di fare, valutandone i pro e i contro con mente serena.”
Così parlando si spostarono nel cortile, e presero a camminare lentamente fianco a fianco. Come ogni mattina, le attività fervevano e i fratelli di mestiere andavano su e giù indaffarati come api intorno a un alveare.
Il giovane de Jussy si guardava intorno meravigliato. Vide passare un paio di cavalieri e quasi inciampò per seguirli con lo sguardo.
Fate attenzione,” gli raccomandò fratello Roland afferrandolo per un braccio. Avrebbe forse dovuto compiacersi di tanto entusiasmo, ma ne fu invece intristito, perché sapeva a quali e quante prove quello stesso entusiasmo sarebbe stato sottoposto nel corso degli anni di appartenenza all’Ordine, cominciando proprio dai primi momenti di essa, con la seconda parte della cerimonia di investitura.
Ditemi,” gli chiese, senza rallentare il passo, “Perché volete entrare nell’Ordine?”
Il ragazzo distolse a fatica lo sguardo dai due cavalieri e lo volse verso il suo accompagnatore. “Voi credete che il mio sia una specie di capriccio infantile,” disse, e il tono non era quello di una domanda.
Non lo so,” rispose il Templare con un sospiro, “Proprio per questo ve lo sto chiedendo. Ma vi avviso di una cosa: se la vostra motivazione non è pura, ben ponderata e salda, rischiate di soffrire molto nell’Ordine.”
L’altro si fermò e si voltò a fissarlo. I suoi occhi lampeggiavano ardenti. “Pensate che io adesso non stia soffrendo, imprigionato in una vita di corte che detesto?”
In tono duro, il Templare rispose: “Voi non avete idea di cosa significhi soffrire.”
Il ragazzo non replicò. Ripresero a camminare affiancati, fratello Roland si limitava a illustrargli in tono neutro le varie parti della commenda.
Alla fine, il ragazzo chiese: “Cavaliere, posso farvi una domanda?”
L’altro annuì. “Ma certo.”
Voi siete pentito della vostra scelta?”
Per qualche istante il Templare rimase in silenzio. Era pentito della sua scelta? Per un attimo rivide, nitidi come se li avesse avuti ancora davanti agli occhi, i confratelli di Murcia. Rivide le battaglie, risentì il clangore delle spade e gli acuti nitriti dei cavalli da guerra. E soprattutto rievocò il senso di calore, cameratismo e appartenenza che veniva dal rischiare la vita insieme tutti i giorni, uniti nella sofferenza come negli ideali.
No, non lo sono,” rispose.







[1] Con questo termine si intendevano genericamente i domini crociati in Siria e Palestina.

[2] L’abito bianco era riservato ai cavalieri. Sergenti, fratelli di mestiere e servi vestivano di bruno scuro, grigio scuro o nero.

[3] Ovvero un torneo nel quale ci si limita solo a lievi ferite.

[4] La Regola templare vietava espressamente di spingere il cavallo al galoppo negli addestramenti senza il permesso di un superiore.


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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


Salve a tutti, ecco il temuto malloppone!
Come sempre, ringrazio tutti coloro che sono passati a dare un’occhiata, e rivolgo un ringraziamento speciale a chi è stato così gentile da lasciarmi un commento, ovvero Saelde_und_Ehre, queenjane, mystery_koopa. John Spangler, alessandroago_94, molang, evelyn80, _Polx_ e Rose Ardes (ex by a lady^^).






Capitolo 3

Fratello Roland uscì dagli alloggi talmente in ordine che nemmeno fratello Adrien trovò nulla da ridire. Per l’occasione aveva detto a Mathias di lucidare la cotta di maglia con la sabbia, e sorella Agathe, una delle due donne presenti nella commenda, gli aveva lavato tunica e mantello fino a renderli più bianchi della neve.
Così vestito, andò alla ricerca di fratello Geoffroy.
Lo trovò impegnato in una conversazione piuttosto animata con un uomo in borghese.
Fermatosi a debita distanza, rimase a osservare attento il nuovo arrivato: poteva avere sui quarant’anni, vestiva abiti da nobile e teneva per le redini un magnifico palafreno di razza turcomanna, bardato con finimenti ornati d’argento.
L’uomo, evidentemente contrariato da qualcosa, parlava a voce alta e gesticolava.
Fratello Roland ponderò se allontanarsi con discrezione, ma in quel momento la voce del nuovo arrivato si alzò di tono: “Che cosa avete detto a mio figlio?”
La risposta del commendatario giunse invece decisamente pacata: “A cosa vi riferite, barone de Jussy?”
Mio figlio ha perso il senno,” replicò l’altro adirato, “Non fa che ciarlare di entrare nel vostro Ordine, di votarsi al Tempio! È nato signore, e vuole diventare un servo!” Fece una pausa, che utilizzò per far girare uno sguardo sprezzante tutt’intorno, poi riprese: “Voi dovete avergli detto qualcosa per convincerlo. Che cosa gli avete promesso?”
Fratello Geoffroy fissò il furente interlocutore con espressione serafica, quindi rispose: “In verità, barone, noi facciamo di tutto per dissuadere i postulanti. Non promettiamo né ricchezze né onori, ma solo privazioni e sofferenza.”
Fandonie!” berciò de Jussy. “Del resto, è ben noto quello che si dice di voialtri cavalieri del Tempio!” Fece una breve pausa, quasi aspettandosi che l’altro gli chiedesse conto delle sue affermazioni, ma fratello Geoffroy si limitò a fissarlo in silenzio. “Si sa quello che fate!” riprese allora, “Le voci girano. Avete fatto voto di povertà e siete pieni di denari, avete fatto voto di obbedienza e rendete conto del vostro operato solo al Papa, avete fatto voto di castità e...”
Basta così, signore,” lo interruppe fratello Geoffroy con voce severa.
Il barone de Jussy tacque, confuso dall’improvviso cipiglio del commendatario, ma subito dopo ringhiò: “Sono io che dico basta, lasciate perdere mio figlio. Lui non ha niente da spartire con voi.”
Vostro figlio ha l’età per scegliere da solo,” fu la gelida replica del Templare. “Deciderà lui se entrare nell’Ordine o no. Noi non lo incoraggeremo, ma di certo non lo scacceremo, se la sua volontà di vestire la croce è pura e ferma.”
Ci sarà un modo per impedirvelo!”
Sempre in tono tranquillo, il Templare rispose: “Nel vostro sproloquio, una cosa giusta l’avete detta, barone: noi rispondiamo solo al Papa.”
Incapace di trovare una risposta, l’altro si limitò a rivolgergli uno sguardo di fuoco, poi rimontò in sella al palafreno e scomparve al galoppo.
Fratello Geoffroy emise un sospiro. “Molto bene,” disse. Si voltò verso fratello Roland e soggiunse: “Hai visto quanto può essere ingrata la gente che vive nel lusso e nella sicurezza? Sono certo che dove servivi prima, nessuno diceva queste cose dei cavalieri del Tempio.”
Fratello Roland rievocò l’immagine della donna che aveva cercato di baciare la mano a fratello Léon. “No, signore,” rispose.
Il commendatario annuì con vigore. “Ma certo, chi viene difeso da noi, chi deve a noi vita e beni, conosce il nostro valore.” Lo squadrò dal basso verso l’alto. “Come mai quest’abito impeccabile, fratello?”
L’altro abbassò gli occhi. “Ecco, signore, vorrei chiedervi una grazia.”
Dovevo immaginarlo. Cosa vuoi, dunque?”
Visto che andrò a Metz con la mula bianca, vi chiedo il permesso di portare i saluti della commenda di Vaux al castello dei cavalieri tedeschi.”
Fratello Geoffroy aggrottò le sopracciglia perplesso. “Vuoi andare a salutare i cavalieri tedeschi?”
Magari potrei dire loro che siamo soddisfatti dei cavalli, e poi informarli sul torneo.”
Ancora con questo torneo?” sbuffò il commendatario. “Confusione, disordine, spese straordinarie, tutti i lavori che rimangono indietro… pensi che siamo qui per sollazzarci come dei nobilastri sfaccendati?”
Fratello Roland scosse la testa. “No, signore, ma forse fratello Friedrich sta aspettando una risposta.”
Ah, fratello Frédéric, certo,” borbottò l’altro. “Digli che ho chiesto il parere al Siniscalco.” Tacque per qualche istante, poi in tono ammonitore aggiunse: “Ma vi voglio qui entro sera, ricordatelo.”
Grazie, signore.”
Trascorrere la notte fuori è un’infrazione che ti farebbe perdere l’abito. Lo sai, vero?”
Non succederà, signore.”

Soddisfatto forse per la prima volta da quando era a Vaux, fratello Roland raggiunse fratello Olivier. Questi, che si stava preparando a montare in sella, interruppe il gesto e lo squadrò come aveva fatto il commendatario, quindi con voce pacata gli chiese: “Dobbiamo farci accompagnare da qualcuno che sappia il tedesco, per caso?”
L’altro lo fissò stupefatto. “Cosa?”
Fratello Olivier si strinse nelle spalle e rispose: “Ti presenti vestito come se dovessi scortare il Santo Padre in persona, stiamo andando a Metz, quando sono venuti i tedeschi sei stato con uno di loro per tutto il tempo e non ti risolvevi a lasciarlo partire, e adesso ti ho visto parlare un bel po’ con fratello Geoffroy. Ne deduco che gli hai chiesto di passare al castello dei cavalieri tedeschi, come peraltro desideravi fare da tempo. Cosa ci troverai, poi, in quei Sassoni...”
Fratello Roland si limitò a far cenno allo stalliere di portargli il cavallo, quindi montò in sella, si sistemò il mantello in modo che cadesse bene sulla groppa del destriero, indossò l’elmo alla normanna e chiese: “Andiamo?”
Quanta fretta,” lo prese in giro fratello Olivier. “Ricordati che prima dobbiamo portare alla magione di Metz i guadagni della commenda.”
Ma sì, certo. Prima partiamo e prima finiamo, no?”

§

In procinto di cominciare il giro di ronda, Michel e Bertrand, membri della milizia reale, raccolsero le rispettive alabarde e se le misero in spalla.
In quel momento, entrò nel cortile della caserma un messaggero esausto, in groppa a un cavallo schiumante. I due, che stavano per uscire sulle strade, si scambiarono un’occhiata perplessa e si fermarono incuriositi.
Il nuovo arrivato si accorse di loro. Smontò da cavallo e chiese: “Dove posso trovare il vostro capitano?”
Fu Michel a rispondere per entrambi: “Si sta occupando dei novellini assieme al sergente, che vuoi da lui?”
Ho qui un dispaccio urgente da Parigi.”
Da’ qua, glielo porto io.”
Il messaggero scosse la testa e si strinse al petto la pergamena sigillata come se Michel stesse per portargliela via. “Ho ordine di consegnarla solo al capitano,” disse poi con sussiego.
Il capitano è impegnato,” rispose l’armigero, “inoltre, io non so nemmeno leggere, quindi cosa vuoi che mi importi di quello che c’è scritto in quel foglio?”
Fa lo stesso,” fu la risposta, “Ho ordine di consegnare questa missiva,” calcò la voce sul termine, “al capitano in persona.”
Michel alzò gli occhi al cielo ostentando esasperazione. “E va bene, se proprio ci tieni, vieni con me.” Fece qualche passo, poi girandosi a guardare il messaggero da sopra la spalla, soggiunse: “Poi però non te la prendere con me, se il capitano ti piglia a calci nel culo perché l’hai disturbato.”
Scomparvero all’interno della caserma.

Michel raggiunse nuovamente Bertrand. “Andiamo,” disse, recuperando l’alabarda che aveva lasciato appoggiata al muro.
Che voleva quel tizio?” gli chiese il commilitone.
Mah,” borbottò il primo, “Chi ci capisce qualcosa è bravo.” Si avviò verso il portone che dava sulla strada. “Portava un ordine sigillato, che deve essere aperto solo alla mezzanotte tra il dodici e il tredici ottobre.”
Un ordine sigillato?” fece eco Bertrand stupefatto, “E cosa dice?”
Non fare l’idiota: è sigillato, come faccio a saperlo?”
Tu sai sempre tutto,” rispose l’altro.
Presero a camminare fianco a fianco lungo la strada. Come sempre, dalle botteghe provenivano occhiate torve nella loro direzione, e la gente faceva di tutto per non incrociare la loro strada. Un vecchio sputò da una parte vedendoli passare, ma non appena Michel si voltò verso di lui con fare minaccioso, si affrettò a rientrare in casa e a chiudersi la porta dietro le spalle con un tonfo.
Udirono poi un rumore di zoccoli associato al tinnire di metallo. Si girarono e videro un gruppetto di Templari, cavalieri e fratelli di mestiere, che procedeva al centro della strada.
Fu la volta di Michel di sputare da una parte con disprezzo. “Eccoli lì, i damerini,” ringhiò. “Tutti belli puliti sui loro cavalli da guerra strigliati alla perfezione, e non certo da loro. Con la loro mula bianca carica di denari, come ogni mese.”
I cavalieri del Tempio difendono la fede,” gli ricordò Bertrand, seguendo con lo sguardo il silenzioso gruppetto.
Beh, io ho fede,” protestò l’altro, “perché allora non mi danno un po’ di quei denari? Così posso difendermi dalla sete andando a bere in una taverna.”
L’altro lo fissò risentito. “A te non piacciono i cavalieri del Tempio,” constatò.
Michel scosse la testa. “Certo che non mi piacciono. Sono tanto marci dentro quanto sono bianchi fuori.”
E tu come lo sai?”
Te l’ho già detto: basta ascoltare le voci che girano su di loro.” Abbassò il tono, poi soggiunse: “Fra le altre cose, si parla di sodomia e di eresia...”
Non ci credo,” lo interruppe Bertrand categorico.
L’altro usò il calzuolo dell’alabarda per sollevare il coperchio di una cesta appoggiata sulla soglia di una casa, constatò che dentro non c’era nulla e la lasciò perdere. “Vedrai se non ho ragione,” disse sibillino al collega. “Ti ripeto che quelli sono sepolcri imbiancati, bianchi fuori e marci dentro.” Si voltò a fissare i cavalieri che si allontanavano e di nuovo sputò per terra con fare sprezzante.

§

Fratello Roland tirò le redini e per qualche istante rimase a contemplare il maniero dell’Ordine Teutonico: dal punto in cui si era fermato, riusciva a vedere le due alte torri bianche, dal tetto conico. Tra esse si trovava un ampio portone, in quel momento aperto, oltre il quale si vedeva un cortile immacolato, in cui transitavano figure vestite di bianco.
Si avvicinò piano, facendo risuonare il selciato sotto gli zoccoli del cavallo. Subito due soldati si fecero avanti, ma quando si accorsero che la croce sul suo mantello era rossa e non nera, si fermarono interdetti. Si scambiarono qualche rapida frase, poi uno di essi scomparve all’interno del corpo di guardia, e ne uscì pochi istanti dopo accompagnato da un sergente. Il graduato lo squadrò a sua volta perplesso per qualche istante, poi gli disse: “Sît ir willekommen, herre.” Si spostò da una parte come per farlo passare.
Il Templare fece avanzare adagio il destriero, e quando fu all’altezza dei tre si fermò e chiese: “Qualcuno parla la mia lingua?”
Potete parlare con me, herre,” rispose il sergente.
Fratello Roland smontò da cavallo e disse: “Sto cercando un cavaliere di nome Friedrich.”
Bruoder Friedrich,” ripeté l’uomo, come tra sé e sé. Poi, a voce più alta: “Certo, herre. Vi accompagno.”
Disse qualcosa in tedesco, e subito uno dei due soldati si fece avanti per prendere in consegna il cavallo. Fratello Roland gli lasciò le redini dell’animale e si dispose a seguire il sergente.
Oltrepassarono il posto di guardia ed entrarono nel cortile principale, poi il graduato lo condusse attraverso uno stretto corridoio a una porta che si apriva su un cortile più piccolo, nel quale gli unici rumori che si udivano erano il gorgogliare dell’acqua che scorreva alcune braccia più in basso e lo stormire delle fronde dei salici.
Il sergente si fermò sulla soglia. “Là in fondo, herre,” disse poi, indicando due figure vestite di bianco, con la croce nera sul mantello.
Grazie.”
Il Templare fece qualche passo avanti. Fratello Friedrich, lo riconobbe subito dai capelli biondi, era in piedi, mentre l’altro, di corporatura egualmente robusta ma con i capelli scuri, era seduto e aveva un libro aperto sulle ginocchia. I due cavalieri erano assorti in una conversazione e non si erano accorti di lui.
Rimase per un po’ a guardarli e si sentì pungere da una fitta di nostalgia. Quello che c’era fra quei due giovani uomini non aveva nulla a che fare con la cortese, fredda consuetudine che si era instaurata tra lui e gli altri cavalieri di Vaux. Era un sentimento profondo, intenso, che lui conosceva bene, perché era il tipo di amicizia che nasceva esclusivamente sui campi di battaglia. Anche a quella distanza riusciva a percepirne il calore.
Il cavaliere seduto fece per alzarsi, ma si muoveva con difficoltà, come se avesse male da qualche parte. Subito fratello Friedrich corse a sostenerlo. L’altro disse qualcosa, ed entrambi risero.
Il Templare chinò la testa con un sospiro e per un istante ponderò l’eventualità di andarsene senza disturbarli.
Era ancora immerso in quei pensieri quando fratello Friedrich si accorse di lui. Subito fece un gesto di saluto ed esclamò: “Bruoder… fratello Roland! Questa è davvero una sorpresa.”
Disse qualcosa all’altro cavaliere, facendogli cenno di sedersi di nuovo, poi gli si fece incontro.
Fratello Roland,” ripeté, “sono contento di rivedervi.”
Anch’io,” rispose il Templare.
Si strinsero la mano, poi il tedesco disse: “Venite, vi presento il mio confratello, Adalbert von Hohenburg.”
Io… forse eravate impegnato, non vorrei disturbare.”
No, venite, sarà contento di poter parlare con un vero cavaliere del Tempio.” Fece una pausa, poi in tono di spiegazione soggiunse: “È un appassionato di Wolfram von Eschenbach, sapete.”
Così parlando, raggiunsero l’altro cavaliere. Fratello Friedrich disse dapprima qualcosa in tedesco, poi proseguì in francese: “Ti presento fratello Roland, come vedi è un cavaliere del Tempio. Fratello Roland, vi presento fratello Adalbert.”
L’altro gli porse la mano. “Scusate se non mi alzo,” disse, “ma sono stato ferito, e faccio ancora fatica a compiere certi movimenti.”
A quelle parole fratello Friedrich fissò il confratello, e il templare colse un barlume di apprensione nei suoi occhi grigi. “Ferito è dire poco,” brontolò. “Per settimane siamo stati certi che Dio volesse chiamarlo a sé.”
Ma non l’ha fatto,” replicò l’altro, “Però i miei superiori, per punirmi di essermi lasciato colpire da un pagano, mi costringono a oziare qui.”
Vi capisco,” sospirò fratello Roland. “Io non sono stato ferito, ma sono qui a oziare esattamente come voi.”
Davvero? Che cosa avete fatto di male?”
Non lo so. Pensate che chi mi ha mandato qui l’ha fatto credendo di concedermi un privilegio.”
Valli a capire. Sembra che arrivati a un certo punto non si ricordino più che il più grande privilegio per un cavaliere è combattere.”
Già.”
Perché non vi sedete un po’, fratello Roland?” propose fratello Adalbert. “Mi piacerebbe farvi qualche domanda sul Tempio.”
Volentieri,” rispose l’altro prendendo posto, poi in tono scherzoso soggiunse: “Ma non fatemi domande sul Graal, io servo a Vaux, non a Munsalvaesche.”
Gli occhi celesti di fratello Adalbert si illuminarono. “Conoscete il Parzival?”
Fratello Roland annuì. “Purtroppo non ho molte occasioni per dedicarmi alla lettura, ma lo amo molto.”
Questa è davvero una bella notizia. Io e il Fritz, qui, amiamo leggere i poemi epici. Magari ogni tanto potreste unirvi a noi.”
Il Templare ripensò alla fatica che gli era costato strappare quell’ora di permesso alla rigida programmazione della giornata. Emise un sospiro e rispose: “Purtroppo non sarà così facile. Il Tempio non vede di buon occhio certe attività.”
L’altro lo fissò sinceramente stupito. “Davvero?”
È così.”
Ach so.” Fratello Adalbert alzò lo sguardo sul confratello.
Molti di noi leggono,” disse allora questi. “Alcuni scrivono, anche. Non è vero, Adalbert?”
L'altro annuì.
Voi… scrivete?” chiese basito fratello Roland.
Beh, un po’. Adesso sto lavorando a un poema epico, Daz liet von der vergezzenen helden… Il canto degli eroi dimenticati, nella vostra lingua.”
Di cosa parla?” chiese il Templare.
Antiche famiglie delle Alpi. Io sono di quelle parti, e così sto riscrivendo un poema epico di Frouwe Mathilde, una contessa bavarese.”
Stava per aggiungere altro, ma comparve sulla porta un fratello di mezz'età, corpulento, che portava una tunica grigia e un grembiule bianco che gli arrivava quasi fino ai piedi. Questi disse qualcosa in tedesco. Fratello Adalbert gli rispose nella stessa lingua, quindi in francese spiegò: “Scusatemi, è l'ora della medicazione.” Si puntellò per alzarsi, e subito fratello Friedrich scattò ad aiutarlo. Si scambiarono qualche frase a bassa voce in tedesco, poi fratello Adalbert si rivolse a fratello Roland: “È stato un piacere conoscervi.” Gli porse la mano.
Anche per me,” gli assicurò il Templare, stringendogliela con calore.
Spero che tornerete a trovarci.”
Mi piacerebbe molto.”
Con un ultimo cenno di saluto, fratello Adalbert si incamminò cauto. Fratello Roland dapprima seguì con lo sguardo la sua andatura incerta, poi si voltò verso fratello Friedrich e si accorse che questi non aveva occhi che per il confratello. Lo vide fremere, come pronto a lanciarsi in avanti, se mai l'altro avesse dato segno di aver necessità di aiuto.
Alla fine fratello Adalbert si appoggiò alla robusta spalla del fratello infermiere e se ne andò in sua compagnia, e fratello Friedrich si rilassò. Rivolse un'ultima fugace occhiata alla porta chiusa, poi tornò a fissare il Templare. “Quando l'hanno riportato a Ritterswerder, tutti pensavano che non avrebbe nemmeno passato la notte,” disse cupo. “Due ferite in pieno petto, l'usbergo squarciato come una rete da pesca.” Aggrottò le sopracciglia, quindi soggiunse: “Diciamo che il compito di scortare lui mi ha reso meno gravoso questo trasferimento.”
Fratello Roland rimase in silenzio per un po', poi chiese: “Perché siete stato inviato qui, fratello Friedrich?”
L'altro strinse i denti. Per qualche istante fissò lontano lo sguardo da rapace, poi, come parlando a se stesso, rispose: “Ci sono momenti in cui si deve scegliere, fratello Roland.”
Che intendete dire?”
Momenti in cui si è chiamati a decidere, e si accetta di rispondere delle proprie decisioni.”
Il Templare scosse la testa. “Non vi seguo, fratello.”
Allora sarò più chiaro,” rispose il tedesco. “Decidere se eseguire gli ordini, e perdere il castello, o non eseguirli, e salvarlo.”
L'altro lo fissò trasecolato. “Voi avete fatto questo?”
Ho ucciso degli ambasciatori che mi era stato ordinato di scortare. Se non l'avessi fatto, ora Ritterswerder sarebbe in mano nemica, perché gli ambasciatori erano in realtà spie lituane.”
Fratello Roland rimase in silenzio, chiedendosi se in una situazione del genere sarebbe riuscito a fare la stessa cosa. Il primo, e per lungo tempo l'unico insegnamento che aveva ricevuto quando era diventato cavaliere del Tempio era stato che gli ordini si eseguono. Sempre, incondizionatamente, senza discussione. Era quella la forza del Templari, gli avevano ripetuto fino alla nausea, era quello il segreto della loro disciplina e del loro valore in battaglia.
Il che era vero, naturalmente, in ogni situazione a parte quella che gli aveva appena descritto fratello Friedrich.
Si voltò verso il tedesco. “Mi dispiace,” gli disse, “posso solo immaginare il vostro tormento nel prendere una decisione del genere.”
L'altro emise un sospiro. “A volte il bene comune esige il sacrificio di sé,” rispose lapidario.
I due rimasero in silenzio per un po'. Di nuovo, gli unici rumori che si udivano erano lo stormire dei salici e il gorgogliare lieve dell'acqua. Alla fine, fratello Roland disse: “Non ho ancora abbandonato la speranza di incrociare le armi con voi. So che il mio commendatario ha parlato con il Siniscalco, per quanto riguarda la vostra richiesta.”
Fratello Friedrich sorrise. “State parlando del torneo?”
Ho buone speranze.”
Ne sono felice. Sono ansioso di misurarmi contro i celebri cavalieri del Tempio.”
L’altro non rispose. Pensò a fratello Olivier, sempre impeccabile, sprezzante di ogni attività che comportasse l’uso delle armi; a fratello Séverin, grande e grosso, ma con le mani lisce come quelle di una fanciulla; e a fratello Philippe, bravissimo nel rimettere giovani marioli sulla retta via con buone parole piene di saggezza.
In quel momento, la porta si aprì di nuovo e sulla soglia comparve un soldato. Fratello Friedrich gli rivolse la parola in tedesco, i due si scambiarono qualche frase, poi l’armigero salutò e se ne andò.
Ci sono i vostri confratelli alla porta,” disse il Teutonico. “Chiedono di voi.”
Di già?” non poté fare a meno di replicare fratello Roland. Il commendatario gli aveva concesso un’ora, ma di sicuro non ne era passata neppure la metà.
Debbo lasciarvi,” disse poi a malincuore. Si alzò in piedi e si voltò verso la porta, come se si aspettasse di veder spuntare fratello Olivier da un momento all’altro.
Fratello Friedrich si alzò a sua volta. “Vi accompagno,” gli disse.
Raggiunsero il portone. Fratello Olivier, a cavallo, tamburellava nervosamente con le dita sull’arcione della sella. Dietro di lui c’erano i fratelli di mestiere e la mula bianca, tutti già in formazione di marcia.
Eccoti qui,” lo accolse. Salutò anche il tedesco con un cenno del capo, poi disse: “Andiamo?”
Fratello Roland si limitò ad annuire. Strinse la mano di fratello Friedrich e montò in sella. “Ci rivedremo presto,” gli assicurò, fissandolo dritto negli occhi.
L'altro non distolse lo sguardo. “Lo so,” rispose.
Andiamo?” ripeté fratello Olivier, questa volta in tono vagamente spazientito.

§

Quando rientrarono a Vaux, fratello Geoffroy li stava attendendo.
Ci siamo attardati troppo, signore?” chiese fratello Olivier, quindi scoccò un’occhiata risentita a fratello Roland.
Il commendatario scosse la testa. “No, fratelli, non preoccupatevi. Ho solo bisogno di fratello Roland.”
Di me, signore?” chiese stupito il Templare.
Sì, porta il cavallo in scuderia e poi raggiungimi.”
L’altro spinse la cavalcatura verso l’edificio indicato. Fratello Olivier gli si affiancò e disse: “Lo vedi? Ora ti assegnerà una punizione, te l’avevo detto che avremmo fatto tardi.”
Fratello Roland non rispose, ma pensò che non gli sarebbe importato di farsi frustare davanti a tutti ogni venerdì, se questo gli avesse conferito in cambio la possibilità di fermarsi al castello dei cavalieri tedeschi ogni volta che andava a Metz.
Lasciò il cavallo agli scudieri e poi raggiunse il commendatario.
L’uomo lo accolse con un’espressione di serietà grave, tanto che fratello Roland si convinse che effettivamente intendesse punirlo per il suo ritardo e si preparò a ricevere un’aspra reprimenda.
Il momento è arrivato,” lo accolse invece l’altro. Gli mise una mano sulla spalla. “Vieni,” disse poi.
Cominciarono a camminare lentamente. Si staccarono dal cortile della commenda e procedettero per un po' verso i campi. Nel tramonto di tarda estate le ombre degli alberi si allungavano sui prati, nell’aria c’era un silenzio estatico e raccolto. “Che cosa vedi?” chiese dopo un po’ fratello Geoffroy.
Fratello Roland si voltò stupito a fissarlo. “Signore?”
Dimmi che cosa vedi.”
L’altro fece girare lo sguardo tutt’intorno. “La campagna?” propose esitante.
Il commendatario annuì come chi si sente dire esattamente quello che si sarebbe aspettato. “Sai leggere?” gli chiese.
Sì, signore.”
E quando hai in mano un libro, ti accontenti di contemplare la sua rilegatura?”
No, signore.”
Fratello Geoffroy assentì con espressione compiaciuta. “È esatto, perché l’esterno delle cose non ci rivela che una minima parte della loro essenza.” Fece qualche passo, poi proseguì: “Tutto questo, vedi, non è che apparenza, non è che uno, forse il minore, degli aspetti del mondo e delle cose.” Annuì come per sottolineare il concetto, quindi abbassò leggermente il tono: “Anche il Tempio è ben altro rispetto a quello che i tuoi occhi non addestrati sono in grado di vedere, fratello Roland.”
Di nuovo, il più giovane lo fissò stupefatto. “Domando perdono?” chiese, dopo qualche istante di silenzio.
Il Tempio è depositario di sapienza. Le conoscenze che abbiamo accumulato in anni di studio e ricerca ci conferiscono la capacità di vedere le cose quali esse sono, nella loro vera essenza.” Fece una pausa, durante la quale continuò a camminare lentamente, quindi in tono improvvisamente duro concluse: “Questa sapienza deve essere preservata a ogni costo.”
Fratello Roland si voltò verso di lui. “Non capisco, signore. È forse in pericolo?” Si guardò intorno: erano nel cuore della Francia, in una zona pacifica, dove tutti li amavano e dove il più grande pericolo sembrava essere costituito da quattro briganti che si davano alla fuga dopo i primi colpi di spada. Una zona prospera, tranquilla, addirittura noiosa, per un cavaliere abituato a combattere ogni giorno.
Non ti biasimo per ciò che hai appena detto,” rispose l'altro. “I tuoi occhi vedono ancora gli idoli che il fuoco proietta sulla parete della caverna.” Emise un lungo sospiro, poi soggiunse: “Tu devi essere liberato, devi vedere il mondo com'è veramente.”
Fratello Roland non rispose. Aveva l'impressione di trovarsi davanti a una porta chiusa, oltre la quale c'era qualcosa che lo avrebbe cambiato per sempre. “Perché io?” chiese alla fine.
Sei stato scelto.”
Il che vuol dire tutto e niente,” replicò in tono improvvisamente duro il più giovane.
Lungi dal risentirsi, l'altro parve compiaciuto. “Ogni cosa è tutto e niente,” si limitò a rispondere. “Questa sera non ti ritirerai con i confratelli. Verrai invece nella sala del Capitolo, e lì attenderai i miei ordini.”

§

Fratello Roland fu grato che la Regola imponesse di non parlare durante la cena, perché aveva un disperato bisogno di riflettere. La pur breve passeggiata con il suo superiore era stata in grado di stravolgere completamente la sua idea del Tempio, e di già quando si guardava intorno, e vedeva i confratelli chini sul pasto della sera, gli sembrava di trovarsi fra estranei. Il passo delle Sacre Scritture, al quale normalmente prestava orecchio devoto, aveva una musicalità dissonante, come di uno strumento incrinato.
Quando fu dato il segnale fu il primo ad alzarsi, e subito uscì dal refettorio. Fratello Olivier gli tenne dietro. “Non vieni a dormire?” gli chiese.
Bruscamente riscosso dai suoi pensieri, fratello Roland rispose: “No, io... devo assentarmi.”
Le latrine sono dall'altra parte.”
Voglio passeggiare un po', fratello. Devo pensare.”
Fratello Olivier aggrottò le sopracciglia. Fece per aggiungere qualcosa, ma l'altro gli girò le spalle con un movimento brusco e si allontanò nel buio.
Quando fu solo, fratello Roland si allontanò un po' e si sedette su una staccionata. Da lì si girò a osservare il Capitolo, che si stagliava nero e imponente contro un cielo che andava colorandosi di indaco.
Cosa sarebbe successo là dentro?
Si accorse di essere teso, ma in un modo diverso rispetto all'inquietudine che lo pervadeva nell'imminenza di una battaglia. Inspirò profondamente l'aria calma della sera, cercando di farsela entrare dentro come un balsamo benefico.
Raggiunse l'edificio. La porta era accostata e da essa filtrava un debole spiraglio di luce. Spinse l'anta, che cedette con un cigolio.
Al di là il silenzio era perfetto. Una sola candela, posata su una mensola, spandeva intorno un chiarore appena sufficiente a delineare le strutture architettoniche. Nell'aria c'era il consueto odore di cera d'api e incenso, sotto il quale serpeggiava però un sentore più strano, come di umidità e chiuso.
Fece qualche passo, che echeggiò contro la volta immersa nel buio. “Signore?” chiamò guardandosi intorno. “Signore, siete qui?”
Avanzò ancora, continuando a sondare l'ambiente con una strana sensazione di inquietudine.
Signore?”
Si arrestò di colpo: dal buio erano emerse due figure. Entrambe ammantate di bianco, avevano i cappucci calati sul volto, così che i loro lineamenti erano sostituiti da una voragine nera.
Il Templare si irrigidì, e come sempre la mano gli corse d'istinto alla spada.
Non preoccuparti, fratello Roland,” lo tranquillizzò la voce pacata del commendatario.
Siete voi, signore?”
Sì, non preoccuparti,” ripeté l'altro. “Seguici.”
I due gli girarono le spalle e presero a camminare in perfetto silenzio. Pur nel buio quasi completo, si muovevano con sicurezza, come chi segue un percorso che conosce già perfettamente.
Raggiunsero una porta. Fratello Roland ricordava di averla sempre vista chiusa, ma in quel frangente era aperta, e da essa promanava l'odore che aveva percepito entrando nel Capitolo.
Le due figure, che il giovane cavaliere intravedeva come vaghi fantasmi chiari, vi entrarono e scomparvero nelle tenebre più complete.
Fratello Roland allargò cauto le braccia, e le sue dita incontrarono pareti umide e fredde. Spinse avanti il piede e si accorse che c'era una scala che portava verso il basso.
Scese per un tempo che gli parve interminabile, con solo il rumore dei passi di chi lo precedeva a guidarlo, e le mani che scorrevano lungo muri via via più scabri e grezzi.
Alla fine si trovò su un pavimento di pietre, in una stanza che a giudicare dai rumori doveva essere piccola e col soffitto basso.
L'aria era pesante, carica dell'odore greve degli ossari.
Brillò dapprima una scintilla, che in quel buio colpì i suoi occhi come una lama, poi un fiammella incerta rischiarò l'ambiente.
Il Templare si guardò intorno: erano nel vestibolo di quella che gli parve una specie di chiesa. Davanti a loro c'era una porta, oltre la quale si intravedeva una sala sostenuta da colonne cerchiate di ferro. Il pavimento e le pareti erano coperti di simboli che non conosceva, in fondo c'era una specie di altare, sul quale era posato un libro.
Si voltò verso i suoi accompagnatori. Fratello Geoffroy si fece scivolare indietro il cappuccio, imitato dopo poco dall'altro. Fratello Roland si trovò a fissare i lineamenti scavati e lo sguardo bruciante di fratello Urbain.
Che significa tutto questo?” chiese facendo un passo indietro. I suoi occhi saettavano dall'uno all'altro senza riuscire a trovare pace.
Le labbra della saggezza sono aperte solo alle orecchie della comprensione,” proclamò la voce autorevole di fratello Urbain.
Il più giovane si immobilizzò. “Che significa?” ripeté.
Fratello Geoffroy ti ha parlato del vero scopo del Tempio,” disse l'altro.
Conosco lo scopo del Tempio,” rispose con voce dura fratello Roland. “Difendere i luoghi santi, proteggere i pellegrini.”
Questa è solo la meno nobile delle sue funzioni.”
Nel silenzio opprimente si udiva solo qualche lieve fruscio di vesti. Di nuovo, fratello Roland fece girare lo sguardo dall’uno all’altro dei suoi accompagnatori, poi lo fissò in quello di fratello Geoffroy come chiedendogli spiegazioni. Questi si limitò a voltarsi verso il confratello più anziano, come a significare di chi fosse l'autorità in quel frangente.
Di nuovo in tono duro, fratello Roland allora replicò: “Se combattere per la fede è la meno nobile, quale sarebbe la più elevata? Prestare soldi?”
Fratello Urbain scosse la testa. “Sei ancora schiavo della concretezza. Dovrai imparare i sette principi ermetici, dovrai compiere l'iniziazione che libererà dai vincoli terreni la tua parte divina, ovvero l'intelletto.”
Fratello Roland scosse la testa. “Io non sono un sapiente,” disse dopo un lungo silenzio. “Sono un uomo d'armi, avvezzo alla spada e alla disciplina. Non so nulla di queste cose. Perché avete scelto proprio me?”
Perché presto ci sarà da combattere,” rispose sibillino fratello Urbain. “Presto saranno necessarie proprio le armi, per difendere il sapere che abbiamo accumulato.”

Congedato fratello Roland con l'obbligo della più stretta segretezza, gli altri due fecero ritorno al tempio sotterraneo. Entrarono nella navata e si avvicinarono all'altare su cui era posato il libro.
Fratello Urbain vi passò sopra la mano. “Anni di studio,” mormorò come tra sé e sé. “La filosofia sufi, i precetti del Vecchio della Montagna, la sapienza orientale, lo gnosticismo, l'ermetismo...” Alzò bruscamente la testa. I suoi occhi neri, illuminati dalla fiammella danzante della candela, mandavano lampi. “Questo è il vero Graal,” disse, alzando il tono della voce. “La sapienza, fonte di vita eterna.”
Fratello Geoffroy annuì grave. “E di lui che ve ne pare, maestro? Siete ancora soddisfatto della mia scelta?”
È uno stallone turcomanno, focoso ma docile sotto una mano esperta. È un bene che abbia carattere, se fosse troppo remissivo non servirebbe al nostro scopo.”
Fratello Geoffroy si limitò ad annuire, e l'altro riprese: “Il sapiente ha il dovere di preservare con ogni mezzo le conoscenze che ha acquisito.” I suoi occhi grifagni sembrarono farsi ancora più brucianti. “Il sapere è tutto. Anche la vita di qualche non iniziato è nulla, paragonata al sapere.”
Questo vuol dire che fratello Roland potrebbe morire, nel portare a termine la missione?”
Se anche accadesse, non sarebbe nulla di diverso da ciò che ha giurato di fare nel momento in cui è entrato a nell'Ordine.”
L'altro emise un sospiro. “Che cosa dovrà fare?” chiese poi.
Fratello Urbain fece scorrere di nuovo la mano ossuta sulla rilegatura del libro. “Se sarà necessario, questo andrà portato al sicuro. Deve essere preservato a discapito di qualsiasi altra cosa, non possiamo rischiare che cada nelle mani di chi non ha gli strumenti per capirlo, ma allo stesso tempo non posso affidarlo a chi non sia in grado di comprendere almeno a grandi linee il valore inestimabile del suo contenuto.”
Quindi volete istruirlo, maestro?”
Almeno nelle conoscenze di base. Spero solo di averne il tempo.”

§

Conducendo il cavallo per le redini, Gwenel de Jussy fece qualche passo nel cortile, poi si fermò e controllò se il sottopancia era ben stretto. Raddrizzò le bisacce che aveva fissato alla sella, poi diede qualche pacca sul collo dell'animale. Si voltò indietro, e per un po' lasciò vagare lo sguardo sulla facciata del palazzo paterno. Non c'era nessuno alle finestre.
Emise un sospiro, buttò le redini sul collo del cavallo e si apprestò a montare in sella, ma in quel momento il rumore di una porta che si apriva lo distrasse. Si voltò in quella direzione. “Meister Wulf!” esclamò.
Ve ne andate, juncherre?” chiese il maestro d'armi avvicinandosi con passo misurato. Aveva l'espressione di chi sa perfettamente cosa sta succedendo e perché.
Sì, vado,” rispose il ragazzo. “È la mia strada.”
Il tedesco lo fissò negli occhi. Lo sguardo aveva una nota di solennità grave. “Se avete capito che è la vostra strada, fate bene a seguirla,” gli disse.
Il ragazzo annuì, poi abbassò fugacemente gli occhi. “Mio padre non ha neppure voluto salutarmi,” sospirò.
Capirà, juncherre. E comunque, se non capisce, è la vostra vita, non la sua.”
Tra i due calò il silenzio. Gwenel si girò ancora una volta verso il palazzo, poi tornò a rivolgere l'attenzione al maestro d'armi. “Vi ringrazio per tutto quello che mi avete insegnato, meister Wulf,” gli disse. Gli porse la mano.
L'altro gliela strinse con vigore.
Il ragazzo non abbandonò la presa, ma anzi si protese in avanti ad abbracciarlo. “Grazie di tutto,” ripeté.
L’altro dapprima si irrigidì vagamente imbarazzato, poi rispose all’abbraccio. Infine gli pose entrambe le mani sulle spalle, e fissandolo negli occhi disse: “Juncherre, nû var, und gebe dir got sîne krefte [1].”
Il ragazzo sbatté le palpebre e deglutì cercando di trattenere le lacrime.
Sî tapfer unde wîs [2].”
Gwenel annuì. Avrebbe voluto dire qualcosa, ma si sentiva un groppo in gola. Montò in sella e si allontanò senza voltarsi indietro.

Il fratello portinaio si apprestava a chiudere le porte quando il ragazzo arrivò a Vaux. “Che cosa fate qui?” gli domandò stupefatto.
Chiedo asilo,” rispose semplicemente Gwenel. Poi, visto che l’altro tentennava, aggiunse: “Fatemi parlare con il commendatario.”
Ma è quasi ora di cena, non posso disturbarlo.”
Fate come vi ho detto!” replicò il ragazzo, alzando leggermente la voce. “Devo parlare con lui.”
A che proposito?”
Devo parlare con lui.”
Prontamente chiamato, fratello Geoffroy si avvicinò al portone, e subito riconobbe il figlio del barone de Jussy. “Voi qui?” gli chiese stupito.
Il ragazzo smontò da cavallo, prese un gran respiro e infine disse: “Vi faccio formale richiesta di entrare nell’Ordine del Tempio, signore.”
Cosa? Adesso?”
Sì, signore. Ho abbandonato la mia famiglia e sono pronto a lasciarmi alle spalle anche tutto il resto. La mia vita è qui.”
Fratello Geoffroy si grattò perplesso la testa. Fissò il ragazzo, che gli rimandò uno sguardo di incrollabile entusiasmo, poi gli chiese: “Ci avete pensato bene? Sappiate che è una scelta irrevocabile.”
Il più giovane annuì, e quasi con vago compiacimento rispose: “Tutti hanno cercato di dissuadermi, signore, ma io sono deciso: voglio votarmi al Tempio.”
L’altro lo fissò, ancora poco convinto. “D’accordo,” gli disse, “allora tornate domani e vedremo quel che si può fare.”
Gwenel scosse la testa. “Non posso tornare domani. Non ho posto dove dormire, né altro a parte ciò che porto addosso.”
State scherzando?”
Affatto, signore. Ho lasciato la casa di mio padre senza la sua benedizione.”
I due si fissarono in silenzio per qualche secondo, infine il commendatario disse: “In tal caso, credo che non ci sia altro da fare che darvi ospitalità, almeno per questa notte. Poi domani vedremo.”
Voglio entrare nell’Ordine, signore. Sono deciso.”
Per ora venite con me, domani ne riparleremo.”

§

Fratello Roland spinse il destriero al piccolo trotto. “E così, volete proprio entrare nell’Ordine?” chiese.
Fece fare una conversione al cavallo, che girò sulle zampe posteriori e in un attimo partì al galoppo in senso opposto.
In sella a un destriero da guerra, che gli era stato fornito per l’occasione al posto del suo snello palafreno, Gwenel rispose: “Sono deciso. So che questa è la mia vita.”
Fratello Roland brandì la lancia spuntata da esercitazione. “E sentiamo, cosa vi aspettate da questa vita che avete scelto con tanto ardore?”
So che è la mia vita,” ripeté il ragazzo imperterrito. “Non lo so cosa mi aspetterà. Quello che decideranno i miei superiori, immagino.” Fece una pausa, durante la quale rivolse lo sguardo al cielo, poi proseguì: “Di una cosa però sono certo: voglio con tutto il mio cuore portare la croce di sangue sul petto.”
Può darsi che sul vostro petto ci sarà solo il sangue, senza nessuna croce,” ribatté brusco fratello Roland, quindi in tono duro gli ingiunse: “In guardia, vediamo cosa sapete fare.”
Abbassò la lancia in posizione di attacco. Fissò il ragazzo. L’avrebbe colpito, era deciso a farlo. Gli avrebbe fatto assaggiare la polvere un paio di volte, giusto per fargli capire che la vita dei cavalieri del Tempio non era neppure lontanamente quella esaltante e colma atti eroici che lui si aspettava.
Spronò il destriero, che partì sollevando zolle di terra con gli zoccoli.
Il ragazzo abbassò a sua volta la lancia e partì al galoppo.
Fratello Roland tese i muscoli, e puntò la lancia verso la spalla destra del ragazzo. Di solito lo faceva per trafiggere a morte l'avversario, in quel caso avrebbe solo sfruttato la propria forza per disarcionarlo. Lo vide mordersi il labbro inferiore e stringere la presa sulla propria lancia, con una commovente espressione di buona volontà. Spronò ancora.
L'esito dell'impatto lo colse alla sprovvista: con una torsione del busto eseguita all'ultimo momento, il ragazzo riuscì a schivare quasi completamente il colpo che avrebbe dovuto scaraventarlo al suolo. Perse la compostezza e per qualche istante lottò per raddrizzarsi sulla sella, ma un attimo dopo fece fare una conversione al cavallo e si mise di nuovo in posizione d'attacco.
Fratello Roland strinse i denti: evidentemente il ragazzino voleva fare sul serio.
Spronò di nuovo. Questa volta puntò direttamente al fianco del suo avversario: il colpo gli avrebbe mozzato il respiro e lo avrebbe fatto piegare in due per il dolore, ma soprattutto gli avrebbe insegnato che combattere contro i saraceni non era esattamente come esercitarsi nel cortile del castello paterno.
All'impatto, l'altro si lasciò sfuggire un gemito soffocato. Fu sbalzato all'indietro, ma all'ultimo riuscì ad aggrapparsi a un ciuffo di criniera, e pur senza la lancia ed evidentemente sofferente, si raddrizzò alla meglio sulla sella. “Mi concedete un altro assalto?” ansimò.
Il Templare annuì. Lasciò che il ragazzo si procurasse una seconda lancia, quindi mise il cavallo al piccolo trotto. Nel frattempo fissava di sottecchi il suo avversario: aveva le labbra pallide, probabilmente stava stringendo i denti per non lamentarsi, ma non voleva cedere. Te la sei voluta, pensò, e spinse il cavallo al galoppo.
Forse perché il dolore dei colpi precedenti gli rendeva difficile muoversi, il ragazzo non riuscì come le altre volte a schivare la maggior parte dell'impatto. Fu sbalzato all'indietro e cadde a terra, ma in un attimo era di nuovo dritto sulle gambe. Sfoderò la spada.
Fratello Roland tornò in posizione d'attacco. Notò che il volto del ragazzo aveva assunto un'espressione sorpresa, e in tono duro gli disse: “Pensate di essere in uno dei tornei che la nobiltà organizza per svagarsi? Questa è guerra, non aspettatevi cortesie cavalleresche.”
Spronò il cavallo.

La spada in pugno, ansante, Gwenel de Jussy fissò il cavaliere che gli si stava facendo incontro al galoppo. Cercò di mantenersi freddo e di pensare agli insegnamenti di meister Wulf, ma aveva troppa paura: non del dolore o di eventuali ferite, ma di essere considerato inetto nel combattimento e di essere allontanato dal Tempio prima ancora di riuscire a entrarci.
Strinse la presa sull'impugnatura dell'arma, i tonfi degli zoccoli in avvicinamento rimbombavano come un cupo tamburo di guerra. Vista dalla sua posizione, la mole del destriero lanciato alla massima velocità sembrava una montagna in procinto di crollargli addosso.
Tese i muscoli, si preparò a saltare di lato.
Il cavaliere aveva evidentemente previsto la sua mossa, perché la lancia lo intercettò a metà del balzo, e se fosse stava vera l'avrebbe infilzato come un tordo. Essendo spuntata lo sbatté invece semplicemente all'indietro, con il respiro mozzo per la violenza dell'impatto e farfalle bianche che gli danzavano davanti agli occhi.
Gwenel strinse i denti e si rialzò. Cercò con lo sguardo fratello Roland, preparandosi a fronteggiare l'ennesima carica, ma il Templare era fermo al limitare del campo e stava parlando con un confratello appiedato. I due si scambiarono qualche frase, poi il primo smontò di sella, e tenendo l'animale per le redini continuò a parlare con il nuovo arrivato. Il ragazzo notò che di tanto in tanto si voltavano verso di lui.
Nessuno gli aveva detto di non muoversi, per cui pian piano, un passo dopo l'altro, massaggiandosi il fianco indolenzito, prese ad avvicinarsi.
Il fratello con cui aveva combattuto stava dicendo: “Sì, si muove bene, ma...”
A me pare che sia sufficiente,” lo interruppe l'altro, alto e coi capelli chiari. “Le armi le sa usare.” Fece una breve pausa, quindi soggiunse: “E poi lo sai come stanno le cose, qui a Vaux.”
Il primo assunse un'espressione contrariata. “Noi siamo i difensori del Tempio,” replicò con voce dura, “combattere è la nostra principale attività, e nell'uso delle armi ci è richiesta l'eccellenza.”
Il biondo fece un movimento come per scacciare un insetto molesto. “Ne abbiamo già parlato,” disse con un sospiro, poi si voltò verso Gwenel, che lo stava fissando in silenzio. “Voi, venite qui.”
Il ragazzo lo raggiunse.
Sapete leggere e scrivere?” gli chiese quando si fu avvicinato.
Sì, signore.”
E fare di conto?”
Sì, signore.
L'altro annuì. “È quello che serve,” disse poi. “E ora, scusatemi.” Con un breve inchino del busto prese congedo e si allontanò a passo svelto.
Gwenel rimase a fissarlo in silenzio, poi si voltò verso il cavaliere in armi.
L'altro si strinse nelle spalle, come a fargli capire che non era in grado di dargli una spiegazione. “Vi ho fatto molto male?” chiese.
Istintivamente, Gwenel si portò la mano al fianco indolenzito. “No, non tanto, signore,” si affrettò a rispondere.
Bugiardo. Siete talmente bianco che sembrate sul punto di cascare per terra.”
Scusate, signore,” si giustificò il ragazzo, come se fosse tutta colpa sua.
Scusate voi, piuttosto. Ma non serbatemi rancore: l'ho fatto solo per farvi capire cosa vi aspetterà se mai scenderete davvero in battaglia contro i nemici della fede.”
Gwenel chinò appena la testa. “Vi ringrazio, signore.”
Presero a camminare lentamente fianco a fianco. Sotto il sole della tarda estate, le viti si piegavano verso terra, appesantite dai grappoli gonfi di succo. Le fronde dei faggi frusciavano piano nella brezza, uno stormo di oche cenerine attraversò il cielo.
Stanno già cominciando a migrare,” constatò fratello Roland.
Il ragazzo le seguì con lo sguardo e chiese: “Significa qualcosa?”
Che ci aspetta un inverno molto rigido.”
Gwenel non rispose, e per un po' continuarono semplicemente a camminare in silenzio.
Alla fine, fu il Templare a prendere la parola: “Presto saremo fratelli, a quanto pare.”
Lo spero.”
Ne siete contento?”
È ciò che sogno dalla prima volta che ho tenuto in mano una spada, signore.”
Non temete la durezza della nostra vita?”
Il ragazzo scosse la testa, e quando parlò le guance gli si riaccesero di colore: “Io anelo a essa, signore. Non chiedo altro che di essere messo alla prova.”

§

Fratello Olivier radunò i confratelli dopo il pasto serale. “Avete sentito?” chiese loro, “Pare che tra un po' ci sarà da fare un'inconvenientia.” Il tono era infastidito.
Odio quella roba,” brontolò fratello Philippe.
Fratello Séverin alzò le spalle. “È inutile recriminare, ci siamo passati tutti.” Poi, dopo una pausa: “A chi la dobbiamo fare?”
Fratello Olivier rispose: “Quel ragazzetto, il de Jussy. Il commendatario ha provato a dissuaderlo in tutti i modi, ma niente: vuole diventare cavaliere del Tempio.”
Quasi mi dispiace, poveraccio,” intervenne fratello Philippe, “Pensate quanto ci rimarrà male.” Guardò gli altri e pose la ferale domanda: “Chi la fa?”
Seguì un silenzio imbarazzato.
Dovete essere almeno in due,” intervenne fratello Olivier dopo un po'.
Come sarebbe a dire dovete?” chiese fratello Philippe. “Tu non ti conti?”
L'altro scosse la testa. “Odio quelle stupide pantomime volgari,” replicò infastidito.
Intervenne per la prima volta fratello Roland: “Fanno parte della tradizione. Sono necessarie.”
È roba da armigeri ubriachi. Se ci tenete tanto, fatele voi.”
È la regola, fratello Olivier,” gli ricordò l'altro.
In quel momento sopraggiunse Gwenel de Jussy. In attesa che arrivasse il Luogotenente del Gran Maestro per la cerimonia d'investitura, viveva presso la Commenda, non avendo altro posto dove stare, e spesso la sera si univa a quelli che presto sarebbero stati i suoi confratelli.
Buona sera, cavalieri,” li salutò.
Gli giunse in risposta qualche grugnito. Fratello Philippe divenne di colpo estremamente interessato al bordo del proprio mantello, fratello Séverin prese a fissare con attenzione i ciottoli del selciato.
Il ragazzo fece saettare lo sguardo dall'uno all'altro, e infine lo fissò su fratello Roland. “Qualcosa non va?” gli chiese.
Il Templare scosse la testa. “Non preoccuparti, niente di importante.”
Il più giovane fece girare un altro sguardo poco convinto sui cavalieri, quindi di nuovo fissò fratello Roland.
Stavamo solo decidendo chi deve andare domani con la mula bianca,” disse questi. Gli appoggiò una mano sulla spalla e propose: “Ti va di passeggiare un po'?”
Sì, volentieri.”
Si incamminarono verso le vigne, lungo quello che ormai era diventato il loro percorso favorito. Le sere si stavano accorciando, e il cielo era di un vivido color cobalto, contro il quale le strutture della commenda apparivano come sagome nere punteggiate qua e là di luci. L'aria era fresca, e vibrava del frinire degli ultimi insetti.
Domani possiamo fare un po' di esercizio?” chiese Gwenel.
Domani no, andrò a Metz con la mula bianca. E comunque non ti serve tutto questo esercizio.”
Sì, invece. Devo migliorare.”
Hai avuto un ottimo maestro, sai già combattere molto bene.” Fratello Roland fece scorrere lo sguardo tutt'intorno, poi soggiunse: “E comunque, che occasioni avrai di combattere, stando qui? Il più grande nemico, in questo posto, sono gli storni che beccano i chicchi d'uva.”
Diventerò un cavaliere del Tempio, devo saper usare la spada meglio di chiunque altro.”
Il maggiore non rispose. Ancora una volta gli parve di rivedere se stesso, alla vigilia della cerimonia d'investitura. Anche lui aveva aspettato quel momento con la stessa trepidazione, attanagliato dal terrore di non essere all'altezza del Tempio, e allo stesso tempo anelando con tutto se stesso a farne parte.
Ripensò all'inconvenientia, e pregò di non essere tra coloro che sarebbero stati scelti per portarla a termine.

§

Preceduto da un soldato con la croce nera sul petto, fratello Roland giunse a un ampio cortile. Lo spiazzo era delimitato da una parte da un alto muro merlato, e dall'altra dalla sponda del fiume. Trasversalmente correva uno steccato di legno, oltre il quale il fondo era di terra battuta, e segnato da innumerevoli impronte di zoccoli.
Il soldato disse qualcosa in tedesco, poi gli rivolse un breve inchino e si allontanò rapido.
Il Templare fece qualche passo avanti e si appoggiò con i gomiti sullo steccato. Al di là c'erano fratello Friedrich e fratello Adalbert. Il primo era fermo in piedi, l'altro invece era a cavallo e stava trottando in un circolo che aveva il confratello come centro.
Rimase a guardarli in silenzio. Fratello Friedrich disse qualcosa e l'altro mise il cavallo al piccolo galoppo, allargando man mano il cerchio. Il primo, dritto in piedi e con le mani sui fianchi, girava lentamente su se stesso per seguire le evoluzioni del compagno.
Poi fratello Adalbert fece rallentare il destriero, fece un altro giro al trotto, infine raggiunse il compagno, e senza smontare di sella gli disse qualcosa. Questi gli rispose, e per un po' i due rimasero a conversare, uno appoggiato sull'arcione con le due mani, l'altro con la testa piegata all'indietro per guardarlo in viso.
Poi fratello Adalbert smontò da cavallo. Per quanto più fluidi rispetto a quando l’aveva visto per la prima volta, i suoi movimenti non dovevano essere ancora del tutto sicuri, ed egli perse l'equilibrio. Subito fratello Friedrich scattò a sostenerlo, l'altro si schermì e i due inscenarono ridacchiando una finta colluttazione.
Alla fine il biondo scompigliò affettuosamente i capelli scuri del compagno, che scrollò la testa e disse qualcosa. Entrambi risero.
Come la volta precedente, fratello Roland fu attraversato da un’acuta fitta di nostalgia. Mosse un braccio per attirare la loro attenzione, e subito fratello Friedrich lo fissò attento. Aggrottò per un attimo le sopracciglia, poi i suoi lineamenti si distesero ed egli esclamò: “Fratello Roland!”
Gli si fece incontro.
Come state, fratello Roland?” gli chiese quando furono faccia a faccia.
Bene, grazie,” rispose il Templare, poi volse lo sguardo verso fratello Adalbert e disse: “Vedo che il vostro confratello sta migliorando.”
Fratello Friedrich annuì. “Sì, grazie a Dio.” Gli fece cenno di raggiungerli, e l’altro si avvicinò tenendo il cavallo per le redini.
Fratello Adalbert!” lo accolse fratello Roland, “Sono contento di vedere che state meglio.”
Il tedesco sorrise. Era meno pallido della prima volta che l’aveva visto, e gli occhi erano ancora più celesti di come li ricordava. “Sto molto meglio, grazie. Voi come state?”
Bene, grazie. Il vostro libro?”
Sta procedendo spedito. L’unico vantaggio di essere qui è che almeno ho tempo per scrivere.”
Fratello Roland sorrise, poi fissò lo sguardo sul destriero e disse: “Riuscite già a montare a cavallo, vedo.”
Il sorriso dell’altro prese una nota impertinente. “Non ditelo a nessuno: non avrei il permesso di farlo.”
Il Templare trasecolò. “Cosa? Non avreste il permesso?”
Se dessi retta al fratello infermiere, passerei le mie giornate a letto come un vecchio di cent’anni.”
Stupefatto da quella disinvolta insubordinazione, fratello Roland disse: “Ma forse… ecco, io penso che lo dica per il vostro bene.”
Ach, il bene di un cavaliere è combattere. Giusto, Fritz?”
L’altro si limitò ad annuire. I due si scambiarono un’occhiata, poi fratello Adalbert soggiunse: “Però adesso è meglio che vada a riportare il cavallo in scuderia, prima che mi scoprano. Con permesso.”
Si incamminò. Fratello Friedrich lo seguì per qualche istante con lo sguardo, poi tornò a dedicare la propria attenzione all’ospite. “Sono contento che siate tornato,” disse.
E io sono contento di essere qui,” rispose fratello Roland. Emise un sospiro, poi disse: “Sentivo il bisogno di parlarvi.”
L’altro si voltò a fissarlo. “Qualcosa vi turba?”
Sì. E mi struggo, perché ciò che sto per dirvi dovrebbe invece riempirmi di gioia.”
Fratello Friedrich lo prese gentilmente per una spalla. “Venite,” lo esortò, “Passeggiamo un po’ lungo il fiume.”
Il Templare annuì e si incamminarono fianco a fianco. L’acqua scorreva placida accanto a loro, gorgogliando di tanto in tanto fra le pietre muscose delle sponde; il sole traeva luccichii dorati dalla superficie mobile dell’acqua. Da qualche parte, lontano, una donna stava cantando, forse mentre lavava i panni.
Che cosa c’è ce non va?” chiese il tedesco dopo un po’.
Fratello Roland trasse un lungo respiro e disse: “A giorni ci sarà una cerimonia d’investitura presso la mia commenda.”
E non siete contento?”
L’altro esitò a lungo prima di rispondere. Infine mormorò: “Dovrei, so che dovrei.” Alzò gli occhi fino a incontrare quelli grigi e trasparenti del suo interlocutore. “Ma non riesco a provare gioia al pensiero di ciò che sta per accadere.”
Perché?”
Perché so che la vita nel Tempio non è nulla di ciò che lui si aspetta. Lui immagina battaglie, imprese eroiche, invece...” Si interruppe.
Invece?”
Una banale esistenza da contabile. Da cane da guardia per i guadagni della commenda, se sarà fortunato. Io non volevo crederci, ma ho dovuto rassegnarmi: l’Ordine non è più quello che era, non siamo più i difensori della fede, e sinceramente non so cosa diventeremo.”
Voi cavalieri del Tempio siete una leggenda,” replicò il tedesco, “e anche solo per questo motivo fare parte del vostro Ordine dovrebbe essere un onore di cui non tutti sono degni.” Di nuovo gli mise una mano sulla spalla. “Non crucciatevi, chi fa questa scelta sa a cosa va incontro.”
Fratello Roland annuì in silenzio. Lasciò passare qualche istante, poi chiese: “Voi vi siete mai pentito della vostra scelta, fratello Friedrich?”
No,” giunse lapidaria la risposta.
Mai una volta?”
Mai sinceramente. Ogni tanto, forse, ho desiderato di avere dei superiori diversi, o di essere assegnato ad altri castelli rispetto a quello in cui servivo.” Si interruppe brevemente, si sistemò il mantello bianco sulle spalle, quindi riprese: “Ma vedete, quando entriamo in un Ordine, noi cessiamo di essere individui per diventare parti di un tutto, e per ciò stesso, la grandezza dell’Ordine di cui facciamo parte è anche la nostra, e al medesimo tempo, ogni nostra azione, compiuta in seno all’Ordine, contribuisce a renderlo più forte.”
Fratello Roland annuì pensoso. Procedettero in silenzio per un po’, poi il tedesco riprese: “Svolgere il proprio dovere come se da esso dipendesse il destino del mondo, questa è l’essenza di tutto. Questo è ciò che rende la vita degna di essere vissuta.”
Eppure voi avete disobbedito, nel momento in cui avete ritenuto che eseguire gli ordini avrebbe portato un danno al castello in cui servivate.”
E lo rifarei. In quel momento, il mio dovere era salvare il castello, e io l’ho portato a termine, nella mia imperfezione, come meglio ho potuto.”
Ma i vostri superiori vi hanno punito.”
Fratello Friedrich annuì. “Non avrebbero potuto comportarsi in modo diverso, un Ordine deve privilegiare il tutto a scapito del singolo.”
Voi dite, fratello?”
Ne sono fermamente convinto. E se il singolo non è disposto ad accettare di essere subordinato al tutto, allora è meglio che non entri in un Ordine come i nostri.”
È proprio questo il problema,” sospirò fratello Roland. “Non so se il giovane che riceverà l’investitura ha capito tutto questo.”
Il tedesco gli rivolse uno sguardo che le sue iridi grige rendevano di ferro. In tono duro gli disse: “Prima lo capisce e meglio è, fratello. Non risparmiategli nulla, perché tutto quello che gli regalate adesso, lo pagherà cento volte più caro in futuro.”










[1] Juncherre, adesso va’, e che Dio ti dia la forza.
[2] Sii valoroso e saggio.



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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


Cari lettori e care lettrici,
ecco un’altra orrenda mappazza per voi, spero che non mi odierete troppo.
Ringrazio come sempre tutti coloro che sono passati di qui. Come solito, un ringraziamento speciale va a chi mi ha gentilmente commentato, ovvero Saelde_und_Ehre, Jon Spangler, alessandroago_94, syila, queenjane, evelyn80, mystery_koopa, Rose Ardes, Enchalott, molang e _Polx_






Capitolo 4

Gwenel percorse per l'ennesima volta la stanza in cui aveva trascorso la notte, poi andò alla finestra e si rizzò sulle punte dei piedi per guardare fuori. Finalmente era comparso il vago chiarore che precede l'alba, e già i fratelli di mestiere stavano cominciando a svolgere i primi compiti della giornata.
C'era più fermento del solito, in realtà, perché presso la commenda si trovavano alcuni ospiti: un Cappellano e il Luogotenente del Gran Maestro che avrebbero dovuto officiare la sua investitura, più tutto il loro seguito. Se ne sentì quasi in colpa. Ormai aveva imparato a conoscere fratello Geffroy, perlomeno nelle sue caratteristiche più salienti, e poteva solo immaginare quanta agitazione e preoccupazione gli causasse quello che sarebbe di lì a poco successo.
In effetti, lui stesso era agitato e preoccupato. Di non essere degno di ciò che stava chiedendo, principalmente. Di dare cattiva prova di sé, di rivelarsi una delusione per fratello Roland.
Ripensò al ruvido guerriero che si era accollato l'onere di ultimare la sua preparazione: per quanto tutti i cavalieri dal manto bianco gli sembrassero meravigliosi e solenni, gli era chiaro che fratello Roland, nel bene e nel male, a Vaux era un lupo in mezzo ai cani.
Era una creatura selvatica, torva, spesso chiusa in silenzi impenetrabili. L'aveva visto raramente sorridere, ma la sua non era la puntigliosa acrimonia di fratello Adrien, per il quale niente era mai come sarebbe dovuto essere. Dava piuttosto l'idea di tristezza ardente, che come una fiamma lo rendeva luminoso ma al tempo stesso inesorabilmente lo consumava.
Pensò che nonostante il dolore interiore che sembrava tormentarlo, avrebbe voluto essere come lui.
Rivolse lo sguardo al crocifisso, appeso al centro di una parete completamente bianca. Teoricamente avrebbe dovuto trascorrere il suo tempo pregando. Avrebbe dovuto invocare Cristo e la Vergine Maria.
La verità era che ogni volta che ci provava, il suo pensiero cominciava a saettare in ogni direzione, sottraendosi alla sua volontà come un cavallo riottoso.
Quando la situazione si fece insostenibile, andò alla porta e la schiuse. Si affacciò all'esterno: nessuno sembrava fare caso a lui. Non sapeva se gli fosse permesso abbandonare la stanza, ma era certo che non sarebbe riuscito a rimanere tra quelle quattro mura un istante di più.
Quasi non ricordava più l’entusiasmo che l’aveva pervaso all’inizio. Come un prato fiorito che viene coperto da una tardiva nevicata, esso era stato nei giorni raggelato da un tormentoso senso d’inadeguatezza.
A ogni momento sentiva su di sé il peso di ciò che stava per fare, delle aspettative che gli altri nutrivano nei suoi confronti, e di quelle che lui stesso aveva per la vita che da lì in poi avrebbe condotto.
Fece qualche passo all'esterno: l'aria era ancora fredda, le superfici conservavano l'umidità della notte. La porta della chiesa era aperta e da dentro proveniva una luce. Sorella Agathe stava lavando il pavimento, e intanto canticchiava a bassa voce.
Passarono due fratelli di mestiere, trasportando una tavola di legno su cui erano disposte delle forme di pane bianco ponte per il forno; l'addetto alle cantine uscì reggendo con cautela un'anfora impolverata.
Gwenel se ne sentì più che mai in colpa: tutto ciò stava accadendo a causa sua. Immaginò il commendatario a fare i conti delle spese straordinarie e dei mancati guadagni causati dall'impiego dei fratelli di mestiere per allestire la cerimonia. Continuò a camminare, rabbrividendo nei suoi abiti leggeri. Si sentiva la testa pesante per la stanchezza della veglia notturna, ma al tempo stesso era pervaso da una smania che non gli concedeva requie. Ancora e ancora andava ai momenti in cui fratelli cavalieri che non aveva mai visto prima gli avevano fatto visita, e gli avevano posto domande sulla sua vita passata, e su quello che si aspettava dalla sua vita futura. Si chiedeva se le sue risposte fossero state giuste, se avessero fatto buona impressione.
Nessuno del resto gli aveva dato suggerimenti su come e cosa rispondere, nemmeno fratello Roland, che sulla cerimonia di investitura era stato paradossalmente il più reticente di tutti.
Si accorse infine di aver preso il sentiero che conduceva al vigneto. Raggiunse quello che sapeva essere il luogo favorito del suo mentore, ovvero le rovine della chiesa, e lì si sedette su una pietra in attesa del sorgere del sole.

Fratello Roland scivolò silenziosamente fuori dal dormitorio. Già il primo lattiginoso chiarore della giornata cominciava a delimitare i contorni delle cose, e nel cortile si udivano le voci e i passi dei fratelli di mestiere.
Andò alla porta che dava sull’esterno e la socchiuse. Fuori c’era Gwenel che passeggiava a capo chino, con le mani allacciate dietro la schiena. Persino con quella poca luce riuscì a cogliere la sua espressione preoccupata.
Si ritrasse. Probabilmente aveva ragione fratello Friedrich: quello non era il momento di raggiungerlo, né di mostrarsi soccorrevole e rassicurante come un bravo precettore. Il ragazzo doveva bere fino alla feccia l’amaro calice, assaporare fino in fondo l’orribile solitudine di chi è chiamato a prendere una decisione irrevocabile e a sopportarne per sempre le conseguenze.
Tornò al dormitorio. Nella luce tenue della fiammella ormai morente, i suoi confratelli coperti dalle coltri bianche gli ricordarono corpi avvolti nei sudari. Si sedette sul proprio letto, appoggiò la schiena alla parete e si circondò le ginocchia con le braccia.
Inspirò gonfiando il torace più che poteva, poi lasciò andare l’aria in un lungo sospiro.
A quel punto, fratello Séverin si girò verso di lui e a bassa voce gli chiese: “Per caso vuoi diventare un suonatore di olifante?”
Fratello Roland si voltò verso di lui. “Cosa?”
Sei preoccupato?”
No, io...”
L’altro abbandonò le coltri e si alzò in piedi, poi gli disse: “Vieni, andiamo di là.”
Lo condusse nella stanza attigua, in modo da non disturbare i confratelli ancora addormentati, poi gli chiese: “Che c’è, temi che il ragazzo possa ripensarci?”
Forse vorrei che lo facesse.”
Fratello Séverin lo fissò stupito. “Perché mai vorresti una cosa del genere, dopo essertelo tenuto sotto l’ala come una specie di chioccia per tutto questo tempo? Hai paura che ti faccia sfigurare?”
Fratello Roland scosse la testa. “No, è un bravo ragazzo.”
E allora di cosa hai paura? Temi che dopo l’inconvenientia sarà arrabbiato con te?”
L’inconvenientia è necessaria,” si limitò a replicare l’altro.
Fratello Séverin si grattò perplesso la testa. Dalla sua espressione era chiaro che riteneva di aver passato in rassegna tutte quelle che considerava possibili cause del malumore del confratello. Lo fissò sconfitto. “E allora cosa c’è?” si risolse a chiedergli.
L’altro si strinse nelle spalle. “Non lo so,” ammise. “È come un macigno che ho sul cuore, e neppure io riesco a capire che cosa sia. Forse dovrei confessarmi.”
Beh, giusto, fallo,” gli rispose fratello Séverin sollevato. “Svuota il mastello, ripulisciti dentro. Vedrai che dopo ti sentirai meglio.”
Fratello Roland scosse la testa. “Temo che non sia così semplice.”
Per qualche istante i due rimasero immobili, prestando un orecchio distratto ai rumori della commenda che pian piano si svegliava, poi fratello Séverin disse: “Invece è semplice, fratello. Cosa c’è di complicato nella nostra vita? Dobbiamo servire e pregare, tutto qui.”

§

Due cavalieri ammantati di bianco comparvero sulla soglia della stanza in cui Gwenel attendeva. “È l’ora,” annunciò uno di essi.
Il ragazzo si alzò in piedi in silenzio. Non aveva mai visto nessuno dei due, e questo contribuiva ad aumentare il suo disagio. Ancora una volta si chiese se stesse facendo tutto bene, se stesse dando buona prova di sé. Tentò di ripassare mentalmente le parole che avrebbe dovuto dire, ma nell’agitazione gli sembrava di avere una tabula rasa al posto del cervello.
Venite con noi,” disse il cavaliere, quindi gli girò le spalle e prese ad allontanarsi con andatura misurata.
Gwenel deglutì. Raggiunse la soglia e per un po’ rimase fermo a cercare con lo sguardo fratello Roland. È già in chiesa, si disse ansioso, deve essere già in chiesa.
Si voltò verso l’edificio: le due ante del portone erano spalancate, e da dentro proveniva il chiarore di innumerevoli candele.
Tutt’intorno c’erano mantelli bianchi, e qua e là qualche abito nero da sacerdote. I sergenti e i fratelli di mestiere osservavano da rispettosa distanza.
Raggiunse la chiesa e vi entrò. Fu attraversato da un onda di sollievo nel momento in cui scorse fratello Roland.
Come gli avevano insegnato, percorse la navata e si inginocchiò dinnanzi all’altare, coperto per l’occasione da una tovaglia ricamata. Giunse le mani, e cercando di non far tremare la voce si rivolse al cappellano dicendo: “Signore, sono venuto davanti a Dio, davanti a voi e davanti ai fratelli, e vi prego, vi imploro per Dio e per Nostra Signora, di accogliermi nella vostra compagnia e di farmi partecipe dei benefici della casa.”
Il sacerdote, un uomo alto, imponente, con una lunga barba grigia, prima di rispondere lo fissò grave. Infine disse: “Amato fratello, tu chiedi molto, perché del nostro Ordine non vedi che la scorza che è al di fuori. La scorza che tu vedi sono i nostri bei cavalli e le nostre armature; vedi che mangiamo e beviamo bene e abbiamo begli abiti, e per questo credi che con noi starai bene. Ma tu non sai quali dure regole vigono all’interno: perché è cosa dura per te, che sei nato signore, dover diventare servo altrui. Perché d’ora in poi non farai più ciò che desideri. Infatti, se vuoi stare di qua dal mare ti si manderà di là, se vuoi andare ad Acri ti si manderà in terra di Tripoli, o di Antiochia o di Armenia, oppure nelle Puglie o in Sicilia o in Lombardia o in Francia o in Borgogna o in Inghilterra o in molte altre terre dove abbiamo case e possedimenti. E se vorrai dormire ti si farà vegliare, e se qualche volta vorrai vegliare, ti si farà andare a riposare nel tuo letto. E quando sarai a tavola e vorrai mangiare, ti si comanderà di alzarti e di andare dove un altro vorrà, e tu non saprai mai dove. Le dure parole di rimprovero che tante volte ti saranno rivolte, dovrai sopportarle. Ora considera bene, dolce fratello, se potrai sopportare tutte queste difficoltà [1].”
Gwenel deglutì e dovette fare uno sforzo per mantenersi immobile con le mani giunte, perché nel caldo della chiesa piena di candele si sentiva avvampare, e aveva l’impressione che il sudore gli scendesse a rivoli sul volto. Con voce roca rispose: “Sì, signore. Le sopporterò se così vuole Dio.”
Il sacerdote riprese: “Amato fratello, non devi chiedere di entrare fra noi né per possedere ricchezze, né per stare negli agi, né per raccogliere onori. Devi invece chiederlo per tre cose: l’una, per abbandonare il peccato di questo mondo; l’altra, per servire Nostro Signore; la terza, infine, per essere povero e fare penitenza per salvare la tua anima.”
Prima di rispondere, il ragazzo cercò con gli occhi fratello Roland. Di nuovo si sentì vacillare per il calore e la mancanza d’aria, e ruppe la sua rigida posizione appoggiando una mano al pavimento.
Ti senti bene, fratello?” gli chiese qualcuno.
Sentì delle mani afferrarlo e sostenerlo.
Sto bene...” mormorò, mentre un’ineffabile sensazione di pace lo invadeva. Non chiedeva altro, in effetti, che quella comunione di spiriti, quell’attenzione reciproca. “Sto bene,” ripeté con voce più ferma. Si raddrizzò e giunse nuovamente le mani.
Il sacerdote annuì e chiese: “Vuoi essere, d’ora in avanti, per tutti i giorni della tua vita, servo e schiavo della casa?”
Gwenel si volse ancora fugacemente verso fratello Roland. Cercò il suo sguardo, ma il cavaliere lo teneva fisso in avanti. “Sì, a Dio piacendo, signore,” rispose, questa volta con voce ferma.
Vuoi anche rinunciare alla tua volontà, d’ora in avanti e per tutti i giorni della tua vita, per fare ciò che ti si ordinerà?”
Sì, a Dio piacendo, signore.”
L’altro annuì grave e lo scrutò attento, come per valutare in anticipo la saldezza dei suoi propositi, quindi concluse: “Ora esci, e prega Nostro Signore che ti consigli.”
Gwenel si alzò in piedi e percorse la navata in senso opposto. Si ritrovò all’esterno, e l’aria fresca di nuovo lo fece sentire talmente leggero che fu costretto ad appoggiarsi al muro con la mano per mantenere l’equilibrio.
Una voce attirò la sua attenzione: “Ce l’avete quasi fatta.”
Il ragazzo si voltò. “Fratello Olivier?”
Siete sempre deciso?” chiese il cavaliere.
Sì, certo che lo sono.”
L’altro rimase in silenzio per qualche istante, quindi in tono mellifluo soggiunse: “Siete ancora in tempo a rinunciare, sapete?”
Gwenel aggrottò le sopracciglia e lo fissò perplesso. “Perché mi state consigliando di rinunciare?” gli chiese.
Fratello Olivier scosse la testa con un sorrisetto di superiorità. “Non vi sto consigliando proprio nulla,” rispose, “Vi sto solo facendo sapere che nel caso decidiate di ripensarci, siete ancora in tempo.”
E questo l’avevo capito,” replicò il ragazzo. “Quello che non mi è chiaro è perché me lo stiate dicendo. Pensate che io non sia adatto all’Ordine del Tempio?”
Oh, voi siete indubbiamente adatto. Ma vedrete, vi aspetta una bella sorpresa.”
Prima che Gwenel potesse chiedergli a cosa si riferisse, un cavaliere uscì dalla chiesa per richiamarlo.
Il ragazzo tornò all’altare e di nuovo si inginocchiò e giunse le mani. Lo prese la vertigine di poco prima, ed egli si sentì come fluttuare, investito dal calore dei ceri e dall’odore pungente dell’incenso. Cercando come sempre di mantenere ferma la voce, si rivolse al sacerdote: “Signore, vengo davanti a Dio, davanti a voi e davanti ai fratelli, e vi imploro, per Dio e Nostra Signora, di accogliermi nella vostra compagnia e di ammettermi spiritualmente e temporalmente ai benefici della casa, come colui che vuole essere servo e schiavo della casa, ora e per sempre.”
L’uomo annuì grave e chiese: “Sei ben deciso, amato fratello, a essere servo e schiavo della casa, a lasciare la tua volontà personale per sempre e fare quella altrui? Vuoi sopportare tutte le durezze che sono in uso nella casa ed eseguire tutti gli ordini che ti verranno impartiti?”
Sì, signore, a Dio piacendo.”
Per l’ennesima volta cercò lo sguardo di fratello Roland. Il cavaliere lo stava fissando, ma non sembrava avere un’espressione soddisfatta. Dava piuttosto l’idea di essere turbato, o teso. Si chiese se avesse fatto qualche errore, se l’avesse in qualche modo scontentato, e le parole di fratello Olivier gli risuonarono in mente: siete ancora in tempo a rinunciare.
Si morse il labbro inferiore, si accorse che il sacerdote gli stava dicendo qualcosa. Levò imbarazzato gli occhi verso di lui.
Dicevo, fratello: Hai una sposa o una fidanzata, che potrebbe reclamarti con il diritto della Santa Chiesa?”
Gwenel scosse la testa. “No, signore.”
Hai servito in un altro Ordine? Hai pronunciato voti o promesse?”
No, signore.”
Alle spalle del sacerdote di fece avanti un cavaliere che reggeva solennemente una stoffa bianca ripiegata. In un angolo di essa si notava qualcosa di rosso.
Il ragazzo ebbe un tuffo al cuore: quello era il mantello.
Nonostante ogni suo proposito di fermezza, la testa cominciò a vorticargli. Si rese conto che gli venivano poste altre domande, alle quali rispose d’istinto, senza riuscire a staccare gli occhi dal prezioso indumento.
Infine, in preda a un’emozione che minacciava di sopraffarlo, tremante e col volto in fiamme, ascoltò dalle labbra del sacerdote la formula di accoglimento nell’Ordine: “Noi, in nome di Dio e della Vergine Maria, di San Pietro e del pontefice romano nostro padre, e di tutti i fratelli del Tempio, ti ammettiamo a tutti i benefici della casa. Ti promettiamo pane e acqua, e la povera veste della casa, e molta pena e lavoro.”
A quel punto l’uomo gli fece cenno di alzarsi, quindi prese dalle mani del cavaliere la cappa bianca con la croce scarlatta, gliela pose sulle spalle e gliela allacciò al collo: era un Templare.
Intorno a lui, tutti intonarono il salmo Ecce quam bonum et quam iucundum habitare fratres [2].
Successivamente fu recitato un Pater noster.
Conclusa anche quella preghiera, si fece avanti fratello Geoffroy, lo prese per le spalle e si piegò a baciarlo sulla bocca [3].
Ancora frastornato, esausto, ebbro di gioia, fratello Gwenel si sentiva abbracciare e dare pacche sulle spalle da ogni parte. Fuori suonavano le campane, i fumi dell’incenso erano più densi che mai.

Era ancora in quel trasognato stato d’animo quando fratello Roland lo afferrò per un braccio. “Vieni con noi,” disse in tono brusco. Assieme a lui c’era fratello Séverin.
Gwenel lo fissò, e il cipiglio del cavaliere raffreddò alquanto l’entusiasmo che l’aveva pervaso. “Ho fatto qualcosa di sbagliato?” chiese.
Vieni con noi.” ripeté l’altro evitando il suo sguardo carico d’apprensione.
Lo condussero in sacrestia, poi fratello Séverin chiuse la porta e si infilò la chiave nella scarsella. “E adesso baciami il culo, stronzetto,” gli disse.
Che cosa?” chiese il ragazzo stupefatto.
Ti ho detto di baciarmi il culo. Ora inginocchiati e obbedisci.”
Ma...”
Siamo tutti sodomiti, qui, non lo sai? E la Regola impone l’obbedienza, quindi se avrò voglia di scopare con te, tu non potrai rifiutarti.” Gli strizzò l’occhio con fare complice.
Il ragazzo arretrò bruscamente. “Che cosa significa questo?” Rivolse a fratello Roland uno sguardo che sembrava chiedergli aiuto, ma il Templare si limitò a mostrargli un crocifisso. “Rinnegalo tre volte,” gli ordinò in tono duro, “sputaci sopra, e poi fa quello che fratello Séverin ti sta ordinando. Hai sentito i discorsi sull’obbedienza, no? Credevi che fossero solo delle frottole per fare un po’ di scena?”
Io… non posso rinnegare Cristo,” ansimò. “Non posso farlo.” Scosse la testa, arretrando passo dopo passo. Si fermò solo quando arrivò con le spalle contro la parete. Fratello Roland lo raggiunse e gli disse: “Rinnega Cristo, avanti!” di nuovo gli mostrò la croce. “Te lo sto ordinando!”
Gwenel scosse la testa angosciato. Non riconosceva più il mentore in cui aveva imparato a confidare nelle ultime settimane: i suoi occhi erano accesi d’ira, brucianti. Il suo volto era una maschera feroce. “Ti ho ordinato di rinnegare Cristo, dannato moccioso!” ringhiò. “Cos’è, esegui solo gli ordini che ti piacciono?”
N-no, io…”
Un ceffone lo fece barcollare. “Rinnega Cristo per tre volte!” urlò fratello Roland afferrandolo per la veste, “Esegui l’ordine!”
Gwenel si accorse di avere le guance rigate di lacrime. “Roland, io...” balbettò.
L’altro gli diede un secondo violento manrovescio. “Fratello Roland, stronzetto! Credi di essere ancora nel castello di tuo padre? Credi di essere un principino? Qui non conti un cazzo, devi solo obbedire e stare zitto!”
E baciarmi il culo,” intervenne fratello Séverin, alzandosi la veste e mostrandogli le terga. “Anzi, già che ci sei, prendimelo anche in bocca. Tu devi essere uno che se la cava bene a succhiare il cazzo.”
Stupefatto, terrorizzato, indignato, fratello Gwenel arretrò brusco, sottraendosi all’incalzare degli altri due. Si buttò contro la porta e prese a percuoterla furiosamente col pugno. “Aiuto!” urlò. “Fratello Geoffroy, accorrete!”
Alle sue spalle, fratello Séverin ghignò. “Ma sentitelo, vuole il papà! Non è capace di difendersi da solo!”
Aiuto!” urlò di nuovo il ragazzo, poi si sentì strappare all’indietro da qualcuno che lo tirava per il mantello. Crollò al suolo, ma prima di riuscire a rialzarsi si trovò di fronte fratello Roland. Il suo sguardo bruciava come metallo fuso. “Sai quello che devi fare,” sibilò.
Il più giovane scosse la testa. “No, non voglio.”
Sei Templare da meno di cinque minuti e vuoi già disobbedire? È per questo che sei entrato nell’Ordine?” Imitò la sua voce, dandole però un’odiosa tonalità di falsetto: “Sì, a Dio piacendo, signore.”
Fratello Gwenel si asciugò la lacrime con mano tremante. “Ma… ma perché devo farlo?” singhiozzò.
L’altro lo afferrò di nuovo per i vestiti, lo strattonò in piedi. “Non c’è un perché, testa di cazzo!” sbraitò. “Quando ricevi un ordine devi obbedire, è chiaro? Devi obbedire!”
Accanto a lui, fratello Séverin in tono sprezzante constatò: “Questo qui è meglio che vada a fare il trovatore in qualche castello di effeminati. Con noi non ha niente da spartire.” Estrasse da uno stipo una statua di legno che rappresentava una specie di idolo barbuto, quindi aggiunse: “Dà un bacio a Bafometto, almeno, se non sei capace di fare altro.”
A… Bafometto?” Di nuovo il ragazzo fece guizzare lo sguardo smarrito dall’uno all’altro dei confratelli.
Obbedisci,” gli ingiunse fratello Roland.
Che cos’è quella statua? Che cosa significa?”
Il confratello lo fissò con durezza. “Tu fai troppe domande. Il tuo confratello più anziano ti ha appena dato un ordine, e tu non lo stai eseguendo.”
È un ordine blasfemo.”
Osi criticare?”
Il ragazzo aggrottò le sopracciglia. “Che cosa significa tutto questo?” chiese per l’ennesima volta, “Volete farmi credere che l’ordine del Tempio sia un’accozzaglia di sodomiti eretici?”
Fratello Séverin gli diede uno spintone. “Attento a come parli, moccioso.”
Ma se siete stato proprio voi a chiedermi di… fare certe cose!”
Tu devi stare zitto e obbedire,” replicò l’altro, continuando a spintonarlo. “Obbedire, hai capito?”
Intervenne fratello Roland, che in tono duro gli disse: “Vuoi già perdere l’abito? Perché è questo che succederà, se non obbedisci.”
Ma mi stai chiedendo di rinnegare Cristo!”
Non te lo sto chiedendo, stupido moccioso, te lo sto ordinando! Capisci la differenza?”
Fratello Gwenel si trovò di nuovo con le spalle contro il muro, ansante, frastornato, con il cuore che minacciava di scoppiargli nel petto e brividi in tutto il corpo. In piedi di fronte a lui, i suoi confratelli lo stavano fissando con occhi di fuoco. Fratello Roland gli teneva il crocifisso davanti al viso. “Sputaci sopra,” gli ordinò.
Il ragazzo piegò la testa da una parte. “Non lo farò.”
A quelle parole seguì un silenzio raggelante. I due Templari più anziani rimasero immobili a fissarlo.
Fratello Gwenel sollevò adagio lo sguardo, lo fece guizzare dall’uno all’altro, ricevendone in risposta espressioni impenetrabili. Alla fine si slacciò il mantello e se lo fece scivolare giù dalle spalle, poi lo porse a fratello Roland. “Tieni,” gli disse.
Il maggiore non si mosse. “Credi che sia così facile?” gli chiese sprezzante. “Scusate, ho scherzato e ora me ne torno a casa mia? Credi che funzioni così?”
Ora sei un Templare,” intervenne fratello Séverin, “e le sanzioni seguono la Regola. Sarai imprigionato fino a che non deciderai di obbedire.”
Il ragazzo strinse i denti, ma non si mosse.
Ci fu un altro momento di immobilità carica di tensione, poi i due più anziani si scambiarono uno sguardo. “Io penso che possa bastare,” disse fratello Roland.
Sì, basta,” rispose fratello Séverin, “non c’è bisogno di strappargli anche i vestiti e sbaciucchiarlo da tutte le parti, altrimenti questo moccioso si caga addosso e comincia a invocare la mamma.” Raccolse l’idolo che aveva appoggiato su un mobile e lo ripose nello stipo. “Ecco che il vecchio Bafometto è tornato a casa,” ridacchiò.
Trasecolato, fratello Gwenel li fissava incapace di proferire parola.
Questa è una prova,” gli disse allora fratello Roland, “serve a far capire ai nuovi che quando si parla di vita dura e di obbedienza assoluta non sono solo vuote parole. Ora rimettiti il mantello che ti spiego il resto delle regole.”
Come sarebbe a dire?” chiese il ragazzo, senza abbandonare la sua posizione.
Hai capito benissimo. Questa è una prova, e tutti la devono passare.”
Mi hai insultato e picchiato.”
I saraceni ti farebbero di peggio. Essere Templare non significa leccare il miele, ricordatelo sempre. Significa sopportare e obbedire.”

§

Fratello Roland entrò nell’edificio del Capitolo. Ormai conosceva bene la strada per quello che aveva scoperto chiamarsi Tempio Nero, ed era in grado di percorrerla anche al buio.
Arrivò alla porta, che era già aperta, e discese adagio la scala umida.
Giù c’erano ad attenderlo fratello Geffroy e fratello Urbain, alla tenue luce di una candela. “Ebbene,” lo accolse il primo, “com’è andata oggi?”
Il più giovane si limitò ad aggrottare le sopracciglia.
L’inconvenientia è sempre spiacevole, ti capisco.”
Fratello Gwenel ne è rimasto molto turbato.”
Come è giusto che sia,” intervenne fratello Urbain. Poi, dopo una pausa: “Ti sei mai chiesto che significato abbia l’inconvenientia?”
So bene a cosa serve,” rispose fratello Roland. “Viene utilizzata per mettere alla prova i nuovi Templari, per valutare la forza del loro carattere.”
Fratello Urbain assentì col capo. “Anche,” concesse. “Mettere alla prova la debole mente non addestrata dei nuovi Templari può avere forse un'utilità pratica.” Lentamente si avvicinò all’altare e prese a sfogliare il libro che vi era posato sopra. “Come sempre, però, ci sono vari livelli di comprensione, fratello,” proseguì, lo sguardo fisso sulle pagine miniate, “ci sono significati nascosti, che solo lo studio permette di comprendere. Tu sai, per esempio, cosa significa il bacio sulle terga?”
Serve a far credere ai nuovi Templari che si troveranno in mezzo ai sodomiti, per vedere come reagiscono.”
Fratello Urbain scosse la testa come di fronte a una cosa molto ingenua. “No, no.” Addirittura gli aleggiò sul volto scavato un vago sorriso. “I saggi dell’Oriente insegnano che c’è un serpente addormentato alla base della spina dorsale. In questo serpente, che porta il nome di Kundalini, è insita una grande forza, che si manifesta se esso viene risvegliato.” Continuò a sfogliare le pagine una dopo l’altra, fermandosi alla figura di un uomo seduto a gambe incrociate, con fiori dai molti petali e dai vari colori dipinti lungo la colonna vertebrale, dall’osso sacro alla testa. “Questi, vedi, sono i Chakra,” disse fratello Urbain seguendoli col dito uno dopo l’altro. “Sono quegli elementi del corpo sottile nei quali è conservata l’energia divina. E qui,” picchiettò su una forma scura che si trovava all’altezza del coccige, “c’è la Kundalini addormentata. Ora, tu sai come si fa a risvegliarla?”
Fratello Roland scosse la testa in silenzio.
È l’alito di vita che la risveglia. Il respiro. Quello che viene adesso interpretato come bacio, in realtà non è altro che un soffio alla base della spina dorsale.” Indicò di nuovo la figura. “Il soffio della vita,” chiarì, “che risveglia la Kundalini e fa sì che essa scateni le sue energie.”
Capisco,” borbottò poco convinto il più giovane.
L’altro lo scrutò dubbioso. “No, tu adesso non capisci, perché non ne hai ancora gli strumenti. Ma avrai tempo per imparare.”
E lo sputo sul crocifisso, signore?” chiese allora fratello Roland. “È sempre quel vostro serpente che lo richiede?”
Altre pagine scorsero con un lieve fruscio. “E se io ti dicessi che quello che ti hanno sempre insegnato su Cristo non è vero?” chiese poi con uno sguardo astuto fratello Urbain. “Se ti dicessi che era un essere umano, perfetto ma mortale?”
Sarebbe eresia,” rispose in tono glaciale fratello Roland.
L’altro non parve molto turbato da quell’affermazione. “Sì, gli ignoranti potrebbero definirla tale,” rispose, poi lo fissò dritto negli occhi, e proseguì: “Ma noi rifiutiamo ogni rappresentazione fisica del divino, perché significherebbe svilirlo costringendolo nella materia bruta, e rifiutiamo la croce, in quanto odioso simbolo dello strumento di tortura usato per ucciderlo.” Si raddrizzò nella persona, e con voce solenne concluse: “Ecco perché sputiamo sulla croce, e perché rinneghiamo Cristo. Non sono che vuoti idoli, che distolgono dalla contemplazione della vera divinità.”
A quelle parole, fratello Roland rimase immobile. Fugacemente si chiese se anche quella che si stava svolgendo fosse una specie di inconvenientia, di tipo forse un po' più raffinato rispetto a quella normale, per valutare la sua forza d'animo in vista di qualche compito importante.
Ti sei mai chiesto perché i Templari possono confessarsi solo ai sacerdoti dell'Ordine?” lo riscosse fratello Urbain.
Queste cose non possono essere confessate a un sacerdote normale,” fu l'immediata risposta.
Di nuovo, l'altro non parve particolarmente impressionato. “La resurrezione della carne non esiste, l'intermediazione dei sacerdoti è inutile. L'individuo è solo nel contatto con Dio, e lo può raggiungere unicamente con un percorso personale di purificazione e conoscenza.”
Il libro si chiuse con un tonfo, lo spostamento d'aria fece tremare la fiammella della candela. “Dovrai imparare ancora molte cose,” disse fratello Urbain, “I principi dello gnosticismo e dell'ermetismo, il mitraismo, i precetti di base della qabbalah e dell'alchimia, la dottrina di Zoroastro. Colui che cerca, non cessi dal cercare, finché non trova. Quando troverà sarà commosso, e quando sarà commosso contemplerà e regnerà su tutto [4].”
Non capisco, signore.”
Capirai. Ora torna in camerata, e non fare parola con nessuno di quanto hai visto e udito.”

Quando fratello Roland se ne fu andato, gli altri due per un po' mantennero il silenzio. Infine, fratello Geoffroy chiese: “Continua a sembrarvi adatto, maestro?”
Più che mai. È bene che non ceda facilmente, le menti deboli sono influenzabili e prone alla paura.” Passò di nuovo la mano sulla rilegatura del libro, come per togliere un invisibile strato di polvere, quindi proseguì: “Ci serve qualcuno che sia intelligente e disciplinato, ma che abbia anche volontà e forza d'animo. Non deve cedere di fronte al primo che gli fa la voce grossa.”
Fratello Geoffroy si limitò ad annuire pensoso.
Fratello Urbain prese un pezzo di tela e lo stese sul libro, con un gesto che assomigliava a quello di una madre che stende una coperta sul figlio neonato. “Alle volte mi dispiace di non avere più tempo a disposizione,” sospirò. “Sarebbe davvero esaltante trasmettere tutte le conoscenze che abbiamo accumulato a quel cavaliere, e farne il guerriero perfetto.”
Il guerriero perfetto, maestro?”
Per prima cosa renderlo esperto di ogni dottrina ermetica, insegnargli i principi della geometria sacra e metterlo a parte dei segreti del Tempio di Salomone, e poi risvegliare la sua Kundalini, e renderlo in grado di padroneggiarne l'energia. Diventerebbe un guerriero invincibile.” Fece una pausa, durante la quale parve assorto in profonde meditazioni, quindi annunciò: “Devo vederlo combattere.”
Combattere? Intendete con le armi?”
Sì. Non basteranno le teorie, per quanto profonde, a salvare ciò che abbiamo accumulato. Saranno necessari il ferro e il sangue.”

§

Seduto al tavolo del suo studio, Fratello Geoffroy diede una scorsa a un foglio coperto di scrittura fitta e appesantito da numerosi sigilli, poi disse: “Sembra che alla fine il Siniscalco abbia deciso di dare seguito alla richiesta di quel cavaliere tedesco.”
Fratello Roland, in piedi davanti a lui, ebbe un tuffo al cuore, ma si guardò bene dal farlo trasparire. Si limitò a rimanere immobile, e fissò il foglio come se fosse stato completamente bianco.
Il commendatario proseguì: “Oggi andrai a Metz con la mula bianca. Quando sarai sulla strada del ritorno, ti fermerai presso il castello dei cavalieri tedeschi, e consegnerai al loro priore una missiva che io ti darò.”
Sì, signore.”
Speriamo solo che questa faccenda non crei troppa confusione,” sospirò l'altro tra sé e sé. Poi, a voce più alta: “Torna qui prima di partire, ti consegnerò la lettera per il priore del castello teutonico.”
Sì, signore,” rispose fratello Roland, ma non si mosse.
Fu fratello Geoffroy che dopo un po' alzò lo sguardo e chiese: “C'è altro, fratello?”
Ecco, signore, vorrei portare con me il nuovo confratello, in modo che possa cominciare a impratichirsi dei servizi che svolgiamo per il Tempio.”
Il più anziano annuì con energia. “Ma certo,” approvò, “molto giusto. Dirai a fratello Olivier che oggi andrai a Metz con fratello Gwenel.
Sì, signore.”
Come sta andando il nuovo fratello, dà buona prova di sé?”
Sì, certo, signore. Si impegna molto.”
Molto bene. Ora va', devo scrivere la lettera e ho bisogno di concentrarmi.”
Fratello Roland uscì, e percorrendo il corridoio del Capitolo non poté fare a meno di lanciare una fugace occhiata alla porta che conduceva al Tempio Nero, in quel momento serrata.
Talmente serrata, anzi, da far dubitare che fosse mai stata aperta.
Pensò che quella porta era un po' come fratello Geoffroy: umile e dimesso all'apparenza, ma nella sostanza custode di segreti inimmaginabili.
Uscì pensoso dall'edificio e vide che i servi stavano già preparando gli animali per il viaggio a Metz. Un garzone stava sellando il suo morello, altri due erano impegnati a bardare la mula bianca.
Era un po' inquieto all'idea di rimanere solo con Gwenel. Per quanto si fossero formalmente chiariti, capiva che il ragazzo non aveva ancora superato del tutto i fatti dell'inconvenientia.
Era diventato cauto, guardingo. Parlava raramente, e sempre osservandolo di sottecchi per spiare la sua reazione. Se poteva, evitava di rimanere da solo con lui.
Trovò il ragazzo in chiesa. “Va’ a metterti l’usbergo,” gli disse semplicemente, “Oggi andiamo a portare a Metz i guadagni della commenda.”
Gwenel si limitò ad annuire, poi si alzò dalla panca su cui era seduto e sempre in silenzio si allontanò.
L’altro preferì non seguirlo. Tornò in cortile, montò in sella e fece fare al destriero qualche passo sulla terra battuta, poi si piegò a controllare il sottopancia e lo tirò di un buco.
Quando si raddrizzò vide sopraggiungere fratello Gwenel in armi, con usbergo, spada ed elmo alla normanna. “Monta a cavallo,” gli ordinò, “e poi seguimi.”
Si allontanarono di qualche passo dai servi e dai fratelli di mestiere. “Adesso finiscila,” gli disse brusco quando furono a una distanza sufficiente, “la commedia è durata anche troppo.”
Il ragazzo gli rivolse uno sguardo di pietra. “Io mi fidavo di te,” replicò calmo.
E puoi ancora farlo.”
Dopo… quella cosa?”
Dì un po’,” lo aggredì fratello Roland in tono duro, “dove credevi di essere entrato, in un convento di Clarisse? Noi siamo soldati, prima che frati, e saper sopportare certe cose è necessario. Hai idea di cosa ti farebbero dei saraceni, se ti prendessero?”
Il più giovane rimase in silenzio.
Te lo dico io,” fu la brusca replica: “Se sei molto fortunato, ti decapitano e basta. Se invece non lo sei, prima ti torturano per giorni e giorni, e più a ungo duri, più loro si divertono. E poi, quando si sono stancati di sentirti urlare, ti uccidono.”
L’altro continuava a tacere.
Quindi, fratello Gwenel,” riprese fratello Roland spazientito, “a me non interessa se tu ti senti offeso e umiliato nel profondo. Hai voluto diventare un Templare? Comportati di conseguenza.”
Detto questo, spronò il cavallo e raggiunse i servi che stavano caricando la mula. “Si parte appena pronti,” disse a voce abbastanza alta da essere udito anche dal giovane confratello.

La strada per Metz era come sempre quasi sgombra di viandanti. Gwenel ricordava di averla percorsa qualche volta, in compagnia del padre e del fratello, ma era stato anni prima, e non riconosceva quasi nulla di ciò che lo circondava.
Il che poteva dirsi anche per tutto il resto: non riconosceva più nulla. Si era ripetuto fino all’ossessione che era solo una questione dei primi giorni, che doveva prendere confidenza con l’ambiente, che poi si sarebbe abituato, ma continuava nonostante tutto a sentirsi un pesce fuor d’acqua.
Aveva ricevuto delle frustate un venerdì mattina, dopo la riunione del Capitolo, e ancora non era riuscito a capire perché. Non c’era un codice scritto cui attenersi, del resto, solo il Gran Maestro e qualche alto dignitario ne possedevano una copia. Gli innumerevoli obblighi della vita monastica gli venivano comunicati giorno dopo giorno dai confratelli più anziani, ed era impossibile ricordarseli tutti.
Fratello Roland, sul quale aveva fatto affidamento fino al momento di prendere i voti, aveva rivelato un aspetto di sé che l’aveva spaventato a morte. Ancora non riusciva ad abbandonare la sensazione di disagio che lo coglieva quando aveva a che fare con lui.
Ricordava bene, del resto, il suo sguardo di fuoco, e la violenza che aveva messo nelle percosse che gli aveva inflitto. Ne aveva avuto la testa indolenzita per ore.
Chissà, forse aveva sbagliato, forse non era abbastanza duro per diventare un cavaliere del Tempio. Si voltò verso fratello Roland come per dirgli qualcosa, ma subito dopo rinunciò: una delle prime cose che aveva imparato era che non si doveva mai discutere al di fuori delle mura della commenda, ma anzi bisognava dare un’idea di concordia e mitezza: leoni con i nemici, agnelli con gli amici.

§

Andiamo al castello?” chiese fratello Gwenel, fissando i possenti bastioni della fortezza sul fiume.
Fratello Roland non poté evitare un vago sorriso: anche lui, la prima volta che l'aveva visto, aveva pensato che quel maniero appartenesse al Tempio. “È quello dei cavalieri tedeschi,” rispose. Evitò di definirli fratelli minori come era solito fare fratello Olivier. “Ci andremo dopo.”
Il ragazzo non rispose, probabilmente temeva di parlare a sproposito, quindi preferiva tacere. Fratello Roland rimpianse ancora una volta di non essere a Murcia: se Gwenel fosse entrato nell'Ordine laggiù, sicuramente le cose sarebbero andate molto meglio. Di nuovo sorrise fra sé e sé, pensando al modo che avevano i suoi vecchi confratelli di far superare al neofita le durezze dell'inconvenientia: la cosa aveva a che fare con molto vino e molte risate, e normalmente si protraeva fino all'alba del giorno dopo.
Si voltò verso fratello Gwenel e disse: “Devo portare una lettera al loro priore da parte di fratello Geoffroy, inoltre vorrei presentarti degli amici.”
Di nuovo silenzio da parte del ragazzo.
Ci passeremo dopo aver lasciato i soldi alla nostra magione.”

Il soldato alla porta sorrise vedendo fratello Roland avvicinarsi. “Sît ir willekommen, herre,” lo salutò, e poi si fece da parte per consentirgli il passaggio.
Il Templare avanzò adagio. Si voltò verso il confratello, e vide che questi lo stava guardando come avrebbe potuto fare con San Francesco mentre ammansiva il lupo.
Vieni,” gli disse in tono rassicurante.
Tu vieni spesso qui?” Il tono dava l'idea che Gwenel non si capacitasse della cosa.
Ogni volta che vengo a Metz.”
Fratello Roland smontò da cavallo e gli fece cenno di fare altrettanto, quindi si rivolse alla guardia: “Bruoder Friedrich?”
L'altro annuì soddisfatto nel sentire usare la propria lingua, e con un mezzo inchino del busto rispose: “Vi accompagno, herre.”
Li condusse al grande cortile lungo il fiume. Questa volta non si udivano il gorgogliare dell'acqua o lo stormire dei salici, perché l'aria risuonava di un furioso clangore di spade.
Nel centro dello spiazzo, due cavalieri stavano combattendo come belve inferocite.
Fratello Gwenel li seguì dapprima per un po' con lo sguardo, poi guardò fratello Roland con l'aria di chiedergli spiegazioni.
Questi distolse a fatica l'attenzione dallo scontro e disse: “Vedi? Quella è gente che viene da una zona di guerra. È gente che quando colpisce fa male.”
Il più giovane non proferì parola.
Fratello Roland tornò a concentrarsi sui cavalieri: uno dei due incalzava con colpi che sembravano quelli di un maglio, però di una precisione micidiale. L'altro non si lasciava impressionare, parava e rispondeva con uguale forza, tanto che a volte il primo era costretto a interrompere il proprio avanzare per difendersi. Si girarono intorno per un po', cercando dei punti scoperti senza trovarli, poi finalmente uno dei due ruppe la guardia per un attimo. L'altro non aspettava che quel momento, e di nuovo ripresero a duellare come se volessero uccidersi a vicenda.
Tedeschi...” sospirò dopo un po'.
Il ragazzo si voltò a fissarlo con espressione interrogativa. “Tedeschi,” ripeté l'altro, “se non si picchiano come fabbri ogni volta che hanno una spada in mano non sono contenti.” Detto questo agitò il braccio per attirare l'attenzione dei due cavalieri.
I due letteralmente si pietrificarono a metà di un assalto. Simultaneamente si voltarono nella sua direzione, quindi abbassarono le spade e gli si fecero incontro.
Quando si furono avvicinati, entrambi si tolsero l'elmo alla normanna che portavano e si fecero scivolare indietro i cappucci di maglia.
Fratello Friedrich, fratello Adalbert!” li salutò con calore fratello Roland. Si strinsero le mani e si diedero pacche sulle spalle. “Come state?” chiese poi, rivolto a entrambi.
Vedo che avete qui un confratello,” disse fratello Friedrich, rivolgendo sul giovane Gwenel il suo sguardo di rapace. Il ragazzo abbassò gli occhi intimidito.
Fratello Roland lo sospinse in avanti. “È un nuovo acquisto del Tempio: ordinato meno di un mese fa.”
Questo è molto bello,” apprezzò il cavaliere. Quindi, rivolto al più giovane: “Come vi chiamate, fratello?”
Gwenel de Jussy, signore,” disse d'istinto il ragazzo, poi si corresse: “Volevo dire fratello Gwenel, scusatemi.”
Io sono fratello Friedrich von Rotburg.” Indicò il compagno, poi aggiunse: “E lui è fratello Adalbert von Hohenburg.” Il chiamato si inchinò. “Piacere di conoscervi,” disse tendendo la mano.
Intervenne a quel punto fratello Roland: “Vedo che vi siete ristabilito, fratello Adalbert.”
L'altro si schermì con fare modesto. “Faccio ancora un po' di fatica, ma le forze mi stanno tornando.”
Allora sono davvero preoccupato, perché temo che vi saranno tornate del tutto quando ci incontreremo.”
A quelle parole, lo sguardo fratello Friedrich si fissò sul Templare. “Ci incontreremo?” chiese.
L'altro sorrise e annuì. “Ho qui una lettera del mio commendatario per il vostro priore. Chiede un torneo à plaisance, fra noi e voi.”
Questa è una magnifica notizia,” apprezzò il tedesco.
Sì, non so cosa l'abbia finalmente convinto, finora le mie preghiere non avevano ottenuto nulla.”
Dite davvero?”
Non ama accadimenti insoliti, che possano turbare la quiete della commenda.”
Il tedesco annuì perplesso. “Ach so,” commentò alla fine.

§

Per quanto fratello Geoffroy facesse del suo meglio per tentare di mantenere il decoro della commenda templare, il clima festoso e insolito aveva contagiato un po’ tutti. Dapprima erano stati i soldati tedeschi a fraternizzare con i garzoni e i fratelli di mestiere: avevano cominciato a comunicare, con il poco di francese che parlavano, o a gesti se non c’erano altri mezzi a disposizione, e ormai loro e i francesi si consideravano già amici e compagni d’arme.
Conservavano uno scrupoloso silenzio alla presenza dei superiori, ma appena quelli voltavano l’angolo, c’erano canti, risate e scambi di oggetti.
I sergenti mantenevano formalmente l’ordine, ma la curiosità reciproca era molto alta e anche loro, se solo ne avevano l’occasione, cercavano di fraternizzare con i loro omologhi stranieri.
Quelli che fraternizzavano più di tutti, poi, erano i cavalieri. Nonostante le vesti bianche e le croci, per un attimo erano tornati giovani nobili in attesa di battersi fra loro, e nel frattempo si raccontavano le rispettive imprese.
Vanitas vanitatum, et omnia vanitas [5],” borbottò fratello Adrien, lanciando intorno occhiate velenose. “Guardali qua, questi bellimbusti: subito pronti a fare la ruota come tanti pavoni.”
Non si rivolgeva a nessuno in particolare, e anzi si affrettò a distogliere lo sguardo quando uno dei cavalieri tedeschi lo fissò incuriosito.
Passò oltre, ingobbito, le mani dietro la schiena e la testa incassata nelle spalle. Qualcuno gli rivolse anche un’occhiata mentre si allontanava torvo, ma l’interesse di tutti tornò subito ai discorsi di combattimenti e giostre.

In piedi accanto a fratello Roland, Gwenel osservava il gruppo di cavalieri. Nonostante fosse a sua volta un Templare, nessuno faceva caso a lui, forse perché invece di buttarsi nelle conversazioni, che procedevano imbastite in uno strano miscuglio di tedesco, francese e latino, preferiva rimanere in silenzio.
Fratello Séverin stava ridendo e scambiandosi pacche sulle spalle con un tedesco grosso quanto lui, ma con i capelli biondi e le guance rosse da ragazzino. Fratello Philippe invece citava frasi delle Scritture che si potevano adattare alle necessità della conversazione, e il suo interlocutore, un tizio legnoso che sembrava un parente stretto di meister Wulf, gli rispondeva a tono.
Fratello Roland stava conversando amabilmente con i due cavalieri che gli aveva presentato a Metz e un terzo che lui non aveva mai visto, al quale i primi due traducevano le parti in francese.
L’unico che rimaneva in disparte, ostentando un’aria annoiata, era fratello Olivier.
Incuriosito, fratello Gwenel lo raggiunse. “Cosa fai qui?” gli chiese.
L’altro alzò le spalle in un gesto sprezzante. “Non mi interessano gli stupidi convenevoli con i cavalieri tedeschi. Dobbiamo batterci? Bene, battiamoci e facciamola finita, non vedo il motivo di perdere tutto questo tempo.”
Ma le regole della cavalleria...”
Cominci a parlare come il tuo amico Roland?” lo interruppe infastidito fratello Olivier. “Noi abbiamo un’unica Regola, ed è quella del Tempio. Tutto il resto sono solo vane chiacchiere.”
Fratello Gwenel aprì la bocca per dire qualcosa, ma poi decise di rinunciare e si allontanò. Un passo dopo l’altro, abbandonò il cortile per dirigersi verso lo spiazzo delle esercitazioni.
Il posto non aveva nulla di diverso rispetto a come era sempre stato, non c’erano né bandiere né ornamenti di sorta.
L’unico elemento di novità erano un paio di fratelli di mestiere con dei rastrelli e altri con delle ramazze che si davano da fare per rendere il terreno liscio e senza asperità di sorta. Lungo la pista da galoppo, un altro fratello spingeva una carriola piena di terra, e dove gli zoccoli dei cavalli avevano lasciato le impronte più profonde, ne faceva cadere una palata.
Altri due stavano sistemando degli scanni lungo uno dei lati dello spiazzo. Gwenel ne contò tre: uno era sicuramente di fratello Geoffroy e l’altro del comandante del gruppo teutonico. Si chiese a chi fosse destinato il terzo.
Mentre era assorto in quei ragionamenti, sentì alle proprie spalle degli improvvisi clamori. Si girò e vide che gli scudieri stavano portando fuori i cavalli bardati.
Anche da quella distanza riconobbe il riottoso morello di fratello Roland e l’enorme, ma placidissimo castrone baio di fratello Séverin. Sorrise fra sé e sé: avevano proposto al confratello un destriero più nevrile per il torneo, ma la risposta era stata: “E se poi mi si imbizzarrisce mentre sono in mischia? Molto meglio un animale tranquillo.”
Il che, in effetti, aveva anche senso.
I cavalli dei Teutonici erano bardati con delle gualdrappe bianche ornate di croci nere, tanto che tutti gli animali, a dispetto del diverso colore dei manti, sembravano identici.
Mentre era assorto nella contemplazione di quegli strani fantasmi, Gwenel si accorse che fratello Roland lo stava chiamando.
Cominciamo a prepararci,” annunciò questi quando furono faccia a faccia. “Il commendatario vuole vedere prima la mischia.”
Il ragazzo si limitò ad annuire. Avrebbe dovuto essere contento di battersi, normalmente lo sarebbe stato, ma come ormai spesso succedeva, si sentiva messo alla prova, osservato.
Dalla sua condotta in quel frangente forse avrebbero preso decisioni su dove inviarlo, su cosa fargli fare. Aveva il terrore di essere ritenuto poco adatto al combattimento ed essere destinato a mansioni di scrivano o contabile. Maledisse la propria conoscenza del latino, che lo metteva a rischio di svolgere tali umilianti compiti, ma subito dopo maledisse anche il proprio orgoglio, che non lo rendeva sufficientemente umile di fronte agli ordini dei suoi superiori. Emise un sospiro.
Che c'è?” gli chiese fratello Roland. Gli mise una mano sulla spalla.
Come mai si fa questo torneo?”
L'altro involontariamente sorrise. “È bello misurarsi con altri cavalieri,” rispose volgendo lo sguardo verso il gruppo dei Teutonici. “E poi è un ottimo allenamento. Quando combatti sempre con le stesse tre o quattro persone, perdi flessibilità, non riesci più a far fronte a mosse impreviste.”
Tu dici che fratello Geoffroy ha fatto questo ragionamento quando ha chiamato i cavalieri tedeschi?”
Fratello Roland scosse la testa. “Non lo so,” disse poi. “Avrà avuto i suoi motivi, immagino.” Gli diede uno scherzoso pugno sulla spalla, poi soggiunse: “Intanto però godiamocelo, che ne dici?”

Fratello Gwenel fece un respiro profondo, e il fiato uscì come un sibilo di drago dalle fessure dell'elmo. Visto con un gran pentolare in testa, il campo era solo una striscia orizzontale, come il fondo miniato di una pagina.
Strinse appena gli occhi, il cavallo raspò il suolo con l'anteriore.
Buono,” gli raccomandò il ragazzo, dandogli qualche pacca sul collo, ma l'animale sbuffò e raspò di nuovo.
Lo schieramento dei Teutonici comunicava in effetti una vaga inquietudine. Avevano dei cimieri sugli elmi, ma nessun colore a parte nero e argento [6], così che sembrava di avere di fronte un esercito di statue, o di figure di ghiaccio.
Il morello di fratello Roland alzò la testa ed emise un nitrito, poi scosse la criniera. Il cavaliere dovette tirare le redini per trattenerlo.
Gwenel stava ancora rivolgendo la propria attenzione al riottoso animale quando giunse il segnale dell'attacco: in un istante si trovò lanciato al galoppo assieme a tutti gli altri, poi i due schieramenti giunsero in contatto, ed egli corse verso un cavaliere che sul cimiero aveva due ali eleganti rivolte all'indietro, color metallo ma con un bordo rosso e blu così sottile che da lontano non l'aveva neanche notato.
Strinse la lancia e le redini, tese i muscoli e si preparò all'impatto, ma all'ultimo momento il cavaliere fece fare una scartata al cavallo e sottrasse bersaglio, quindi fece girare l'animale sui posteriori e in un attimo fu alle sue spalle. Gwenel cercò di girarsi, ma già l'altro gli stava premendo la punta della lancia fra le scapole.
Rimasero per un attimo immobili, al ragazzo parve di cogliere un bagliore celeste nella fessura dell'elmo alato, poi il cavaliere tedesco si fece indietro, lasciò cadere la lancia ed estrasse la spada, come per fargli capire che gli concedeva un altro assalto.
Gwenel sfoderò a sua volta la spada. Osservò l'avversario, cercando di individuare un punto scoperto in quello che gli appariva più o meno come una specie di muro invalicabile, e finalmente gli parve di intravederlo: lanciò il cavallo in avanti, fintò un tondo dritto e poi, quando l'altro alzò la spada per parare, deviò la lama trasformando il colpo in un fendente rovescio.
Colpì nel segno, ma aveva scoperto la guardia, e si trovò con la lama del tedesco sul collo.
Avete vinto,” ansimò il ragazzo.
Entrambi abbiamo colpito,” fu la risposta, proferita in un francese spigoloso ma corretto. “Prego, concedetemi un altro assalto.”

Quando di comune accordo decisero di raggiungere i rispettivi margini del campo, di assalti ne aveano disputati parecchi. Dopo i primi momenti di imbarazzo, Gwenel aveva anche abbandonato le remore che fino a quel momento l'avevano trattenuto, e si era semplicemente divertito, dimenticandosi in quel breve lasso di tempo di ogni preoccupazione.
Smontò dal cavallo, che subito venne preso in consegna dagli scudieri, e si sedette sull'erba. Si tolse l'elmo e si fece scivolare all'indietro il cappuccio di maglia. Fu quasi grato che in quella giornata di inizio autunno non ci fosse il sole, perché i refoli d'aria fresca erano piacevoli sulla pelle accaldata, e la luce bigia che filtrava dalle nuvole non abbagliava.
Sul campo erano rimasti un paio di cavalieri per ogni schieramento. Riconobbe i due francesi, più che altro dai loro destrieri, visto che portavano l'elmo: erano fratello Roland e fratello Olivier.
Il primo stava duellando con un cavaliere che montava un animale poderoso, e portava un elmo con due grandi ali a semicerchio, con la parte inferiore nera e quella superiore bianca.
Per un po' rimase a fissarli affascinato: erano così veloci che faceva quasi fatica a seguire i loro movimenti. In pratica, tutto quello che vedeva era un vorticare di stoffe bianche su cui di tanto in tanto riusciva a distinguere qualcosa di nero o rosso. Il ferro non brillava in quella luce smorta, e se ne udiva solo il suono, quando le spade cozzavano l'una contro l'altra.
I due cavalli scalpitavano girandosi furiosamente intorno, e ogni scartata sollevava schizzi di sabbia che arrivavano fin sull'erba.
Quei due vanno avanti fino a domani,” sospirò qualcuno al suo fianco.
Gewnel si girò e vide uno dei due cavalieri che aveva conosciuto a Metz. Assorbito dallo scontro, non si era nemmeno accorto che si fosse seduto accanto a lui. “Cosa?” domandò stupito.
L'altro indicò il Teutonico. “Quando combatte, è peggio di un mastino che ha azzannato un osso, e mi sembra che il vostro confratello abbia la stessa indole.”
In effetti sì,” rispose il Templare.
L'altro annuì. “Sarà meglio che ci mettiamo comodi,” suggerì poi.
Fratello Gwenel seguì per un po' lo scontro, poi chiese: “Come mai portate quegli ornamenti sugli elmi?”
Per riconoscerci l'uno con l'altro, principalmente,” fu la risposta. “E forse anche per conservare un piccolo ricordo della nostra vecchia vita.”
La vostra Regola lo permette?”
In Livonia si combatte solo d'inverno,” spiegò il cavaliere, “Tutti bianchi, in mezzo al bianco: potete immaginare le difficoltà. I bracci delle croci a volte si confondono con i rami degli alberi, che contro la neve sembrano neri, ma un cimiero come i nostri si riconosce da lontano.”
Gwenel annuì. “Sì, credo di sì.” Fissò ancora una volta i due cavalieri sul campo, poi fece girare lo sguardo tutt'intorno. Notò a quel punto che uno degli scanni era occupato da qualcuno che portava un mantello bianco con il cappuccio tirato fin sugli occhi, tanto che da quella distanza sembrava avere solo un buco nero al posto della faccia. Cercò di capire se aveva sulla spalla una croce rossa o nera, ma non ci riuscì. “Conoscete quell'uomo?” chiese al cavaliere tedesco.
Questi lo osservò, poi scosse la testa. “Mai visto prima.”
Il Templare stava per replicare quando uno scoppio di acclamazioni li distrasse: sul campo, i due cavalieri si erano finalmente fermati. “Parità!” decretò fratello Adrien, che in virtù della sua acribia era stato scelto come giudice.

Fratello Roland smontò ansante da cavallo. Sin da quando era sceso in campo, e aveva riconosciuto l'elmo alato, si era aspettato che non sarebbe stato facile tener testa a quel cavaliere.
Non sapeva perché: forse si era fatto l'idea che un cimiero così vistoso dovesse necessariamente comportare equivalenti virtù guerriere, oppure, più semplicemente, il suo occhio addestrato da anni di combattimenti aveva riconosciuto nel modo di muoversi e nel portamento di quel cavaliere i tratti caratteristici di un avversario di valore.
Fatto sta che non aveva mai sudato tanto, e per strappare un pareggio, per di più!
Si tolse l'elmo e lo consegnò a uno scudiero, poi si liberò del cappuccio di maglia e si passò una mano sul volto rigato di sudore.
Ach!” esclamò il Teutonico quando lo vide in faccia, la voce ancora falsata dalla barriera di metallo. Si sfilò a sua volta il Grande Elmo.
Fratello Friedrich?” chiese quel punto fratello Roland stupefatto.
Voi! Dovevo aspettarmelo.”
E voi! Mi avete fatto sputare sangue.”
Anche voi!”
D'impulso si abbracciarono, dandosi ampie pacche sulle spalle.
È stato un piacere duellare con voi,” disse il tedesco.
Anche per me,” fu la risposta. “Il più bel combattimento degli ultimi anni.”
E ci restano ancora da disputare gli scontri individuali,” rispose fratello Friedrich, con l'aria di chi sta dicendo che rimane ancora da gustare il piatto migliore di un banchetto.
Sarà un piacere.”
In quel momento, fratello Roland vide arrivare fratello Gwenel in compagnia di fratello Adalbert. “Un bellissimo scontro!” apprezzò quest'ultimo, non appena si fu avvicinato. Il più giovane rimase in silenzio, limitandosi a riguadagnare la sua posizione accanto a fratello Roland.
Ti sei battuto bene?” gli chiese il maggiore, circondandogli le spalle con un braccio. Gli rivolse uno sguardo affettuoso.
Ho fatto del mio meglio.”
A quelle parole, intervenne fratello Adalbert: “Per caso montavate un baio con le balzane agli anteriori?”
Sì.”
Il tedesco si rivolse direttamente a fratello Roland: “Si è battuto bene, ve lo confermo.”
Eravate voi?” chiese il ragazzo stupito.
L'altro annuì.
Continuarono a parlare per un po' delle mischie disputate, scambiandosi pareri e consigli.

Dopo un pomeriggio di scontri, arrivarono a sera talmente stanchi che nessuno ebbe bisogno di imporre il silenzio in refettorio. Persino fratello Adrien, che di solito vigilava su certe cose peggio di un Cerbero, poté trascorrere la cena tranquillo come se fosse stato da solo.
Solo quando i cavalieri uscirono all'aperto le conversazioni ricominciarono, anche se su un tono minore rispetto a quelle del mattino.
Fratello Roland si allontanò da solo nel buio. Non si sentiva così felice, così appagato da molti mesi, e il suo carattere lo portava in casi come quello a cercare un beato isolamento. Inspirò socchiudendo gli occhi, poi emise il fiato lentamente, lasciandosi pervadere dalla sensazione piacevole dei muscoli che pian piano si rilassavano.
A un tratto, sentì un fruscio non lontano. Subito si immobilizzò, i muscoli si tesero nuovamente ed egli portò d'istinto la mano alla spada. “Chi c'è?” ringhiò.
Si fece avanti fratello Olivier. “Solo io.” Poi, dopo una pausa: “E togli quella mano, non sei più a Murcia.”
Che fai qui?” gli chiese fratello Roland, tornando lentamente alla posizione rilassata.
L'altro alzò le spalle. “Troppo chiasso. Non mi piace la confusione.”
Non ti sei divertito oggi?”
Non vedo il motivo di abbandonarmi a certi divertimenti stupidi,” fu la tagliente risposta.
Fratello Roland si voltò a fissarlo: un fisico snello ma robusto, che ricordava quello di un levriero. L'aveva visto combattere, e ne aveva tratto impressioni discordanti. Di velocità e di forza, principalmente, ma anche di una strana, serpentina freddezza.
Era bene, ovviamente, mantenere la mente fredda in battaglia, ma fratello Olivier gli aveva comunicato l'idea di qualcuno che svolge una professione ormai nota e nemmeno tanto interessante.
Non l'aveva visto appassionarsi al combattimento, né l'aveva sentito parlare dei duelli o della mischia, né a francesi né a tedeschi.
Eppure era un cavaliere, e teoricamente avrebbe dovuto esaltarsi come tutti gli altri per certe cose.
Con permesso, fratello,” gli disse, poi gli girò le spalle e raggiunse gli altri in preda alla strana sensazione che nel suo confratello ci fosse qualcosa di strano, come una nota dissonante in una musica, o una parola sbagliata in un testo.












[1] Testo originale della cerimonia di investitura, come riportato nella Regola. Anche la descrizione della cerimonia segue fedelmente lo schema di quella reale.
[2] Com’è bello abitare tutti insieme tra fratelli.
[3] Non insorgano i detrattori dello slash: si tratta del bacio di omaggio feudale.
[4] Vangelo gnostico di Tommaso.
[5] Vanità di vanità, tutto è vanità. (Ecclesiaste; 1, 2 e 12, 8)
[6] Il bianco in araldica.

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***


Salve a tutti/e! Ecco l’ultimo capitolo dell’orrendo mappazzone.
Grazie a tutti coloro che hanno avuto la pazienza di seguirmi in questo delirio nonostante la sua lunghezza. Un ringraziamento in particolare va a chi mi ha lasciato un parere, ovvero Saelde_und_Ehre, John Spangler, mystery_koopa, Enchalott, alessandroago_94, evelyn80, Yonoi, Syila, queenjane, _Polx_, molang e innominetuo.






Capitolo 5

La stanza era piccola e quasi buia, vi regnava un odore di cuoio, ferro e grasso rancido. Dal soffitto basso pendeva una piccola lanterna a olio, che gettava tutt’intorno una luce fioca e tremolante.
Due uomini sedevano uno di fronte all’altro a un vecchio tavolo sbilenco, con il piano segnato da punte di lama e macchie di unto.
L’orologio del campanile batté il dodicesimo colpo.
Ci siamo,” disse Renard Desprez, capitano della milizia reale a Metz. L’uomo che sedeva di fronte a lui, il sergente anziano Antoine Coutier, annuì lentamente, e in tono grave proclamò: “È l’ora.”
Il capitano annuì a sua volta, poi si girò a fissare lo sguardo su uno stipo chiuso a chiave. Fece l’atto di alzarsi per raggiungerlo, ma all’ultimo desistette.
Di nuovo i due uomini si scambiarono uno sguardo teso.
Lo stanno aprendo in tutto il regno, signore,” osservò poi il sergente. Anche lui si girò verso lo stipo, come per suggerire al suo superiore cosa fare.
Lo so,” rispose l’altro, che comunque ancora non si risolveva a muoversi. “La mezzanotte fra il dodici e il tredici di ottobre, gli ordini erano chiari.”
Direi ce ci siamo, signore.”
Il capitano non rispose, e nella stanza calò un silenzio carico di inquietudine. In lontananza si percepì flebile il richiamo di una sentinella, da qualche parte un gatto gnaulò in tono spettrale.
Gli ordini sono ordini,” sospirò alla fine Desprez. Si alzò facendo cigolare la sedia, quindi estrasse dalla camicia una chiave che portava al collo e la infilò nella serratura del piccolo armadio.
Trasse dal mobile un rotolo pesante e coperto di sigilli, e per un po’ si limitò a fissarvi sopra lo sguardo, come se i suoi occhi avessero avuto il potere di penetrare gli strati di pergamena e leggerne direttamente il contenuto, prima che esso divenisse manifesto a chiunque e fosse necessario ottemperare a ciò che ordinava. Infine con un sospiro tornò al tavolo e si sedette. Estrasse dalla cintura il pugnale e con la punta della lama fece leva sotto il primo dei sigilli, che si spaccò con un crepitio da vecchio osso.
Gli altri seguirono la stessa sorte, e il rotolo si aprì docile, rivelando un testo fitto e disposto su due colonne.
Il capitano vi fissò sopra lo sguardo, e dapprima sollevò le sopracciglia stupefatto, quindi le aggrottò in una torva maschera di disappunto. “Per la lancia di San Giorgio,” borbottò. La sua espressione si fece se possibile ancora più cupa.
Il sergente si piegò appena in avanti. A bassa voce chiese: “Che cosa dice, signore?”
Te lo leggo,” fu la risposta, quindi il capitano si schiarì la voce e cominciò a declamare: “Siamo venuti a sapere che i fratelli del Tempio, camuffando il lupo da agnello, nascondendosi dietro l’abito dell’Ordine, insultando miserabilmente la nostra religione, crocifiggono di nuovo Nostro Signore Gesù Cristo, e lo coprono di ingiurie più terribili di quelle che sopportò sulla croce. Quando nuovi fratelli entrano nell’Ordine, viene presentata loro la sua immagine: essi la rinnegano tre volte, e con orribile crudeltà le sputano tre volte in faccia; poi vengono condotti nudi di fronte a colui che li riceve o a un suo sostituto: egli, secondo l’odioso rito dell’Ordine, li bacia prima sul fondo della spina dorsale, poi sull’ombelico e infine sulla bocca, con profonda vergogna dell’umana dignità. Essi sono costretti, per i voti che pronunciano e senza timore di offendere la legge umana, a darsi l’un l’altro per effetto del terribile vizio del concubinaggio. Questa gente immonda ha abbandonato la fonte di acqua viva e l’ha sostituita con la statua del vitello d’oro, immolando vittime agli idoli. Vista la preventiva e diligente inchiesta fatta sulle dicerie del popolo dal nostro caro fratello in Cristo Guillaume de Paris, inquisitore degli eretici ed eletto dall’autorità apostolica, noi abbiamo decretato che tutti i membri dell’Ordine nel nostro regno siano arrestati, senza alcuna eccezione, fatti prigionieri e destinati al tribunale ecclesiastico [1]”
Il capitano smise di leggere e alzò gli occhi sul subalterno.
Questi scosse stupefatto la testa. “Ma che cazzo...” cominciò, poi si interruppe. “Scusate, signore,” borbottò.
L’altro fece un gesto come per dire che non importava, ma non aggiunse altro.
Fu il sergente Coutier che dopo un po’ disse: “Il problema, signore, è uno solo: e se quelli non vogliono farsi arrestare?”
C’è un ordine del re,” fu l’asciutta risposta.
Con tutto il rispetto, capitano, secondo voi quanti dei nostri uomini sarebbero necessari, per tenere testa a un Templare che non ha intenzione di obbedire all’ordine del re?”

Michel si bilanciò in spalla l’asta dell’alabarda, poi rabbrividì nella luce sbiadita dell’alba. “Dannata stagione,” brontolò. “Umida e fredda come un pesce morto.” Si voltò verso il commilitone Bertrand, che con espressione turbata guardava gli altri soldati uscire dalle camerate e allinearsi nel cortile, poi in tono trionfante lo apostrofò: “Hai visto che avevo ragione?”
L’altro si voltò verso di lui. “Su cosa?”
Quelli là sono da arrestare tutti. Te l’avevo detto, io, che erano dei poco di buono.” E al silenzio del primo insisté: “Eretici e sodomiti. Avevo ragione, vedi? E tu a ripetere come uno scemo: ma no, mio cugino dice che sono bravi, che danno molte elemosine… Te lo dico io che elemosine danno!” Fece un gesto osceno.
Adesso non ricominciare,” brontolò Bertrand.
Io dico solo quel che è vero. Se il re ha deciso di farli arrestare, ci sarà un motivo, no?”
L’altro grugnì qualcosa di inintelligibile.
Non sai cosa rispondere, eh?” lo provocò Michel. “Il re non è mica stupido, l’ha capito benissimo che questi qua sono tanto marci dentro quanto sono bianchi fuori.”

§

Sugli spalti del castello di Metz, Fratello Friedrich girava avanti e indietro come un animale in gabbia. Di tanto in tanto si fermava, appoggiava le mani sulle merlature e si sporgeva come se avesse voluto balzare giù, poi riprendeva il suo nervoso camminare.
A distanza di sicurezza, le guardie lo fissavano mute.
Appoggiato a un muro con le braccia conserte sul petto, fratello Adalbert seguiva il suo irrequieto passeggiare con una sorta di rassegnata indulgenza.
La vuoi piantare?” disse dopo un po’.
L’altro si fermò sui due piedi, quindi gli rivolse uno sguardo cupo. “Hai sentito cosa stanno facendo?” si limitò a ringhiare.
Dipende. Di cosa stai parlando?”
Arrestano i Templari.”
Chi li arresta?”
La milizia reale.”
Fratello Adalbert sollevò stupito le sopracciglia. “E tu come fai a saperlo?”
L’ha detto sorella Bertha [2] al rientro dal mercato. Ha detto che tutta la città è bloccata per questo motivo, e che ci consigliano di non uscire da qui, per non essere confusi con i cavalieri del Tempio.”
L’altro scrollò le spalle. “Lo sai anche tu quanto parla sorella Bertha.”
Ha detto che all’alba sono entrati nella magione templare e hanno portato via tutti,” replicò fratello Friedrich, poi tornò a sporgersi dal bastione, e per un po’ rimase a scrutare la città stringendo gli occhi come un astore.
Fritz?” lo richiamò dopo un po’ fratello Adalbert.
L’altro si girò torvo. “Che c’è?”
Il primo aprì la bocca per rispondere, ma in quel momento sbucò da una strada laterale un carro coperto trainato da una pariglia di cavalli. A cassetta c’erano due soldati della milizia reale.
Il veicolo curvò per immettersi nella strada che costeggiava le mura, e attraverso la grata che ne chiudeva la parte posteriore, i due videro al suo interno dei mantelli bianchi con la croce scarlatta sulla spalla.
Si scambiarono un’occhiata perplessa.
Donnerwetter, non è possibile,” disse alla fine fratello Adalbert. “Perché mai dovrebbero fare una cosa del genere?”
È quello che voglio scoprire,” disse in tono duro fratello Friedrich. Si girò come per andarsene.
L’altro lo fermò afferrandolo per una spalla. “Aspetta. Cosa vuoi fare?”
Vado a parlare col priore, ovviamente. Lui saprà cosa sta succedendo.”
Ne saprà quanto noi, immagino.”
Fratello Friedrich si liberò dalla presa con una brusca scrollata, poi rispose: “Ma può informarsi, a lui spiegheranno perché stanno arrestando i Templari.”
Potrebbero anche dirgli che non sono faccende che riguardano i tedeschi.”
Oppure noi potremmo essere i prossimi, e in ogni caso voglio capire perché arrestano i cavalieri del Tempio. Voglio sapere cosa sta succedendo.”
Fritz...”
Vado a parlare col priore,” fu la risposta. Un attimo dopo, il cavaliere scomparve nella tromba delle scale.
Fratello Adalbert alzò gli occhi al cielo.

Fratello Luitpold, priore del castello di Metz, sollevò lo sguardo dalla lettera che stava scrivendo. Sulla soglia del suo studio era comparso fratello Otto, un ministeriale che aveva mansioni di segretario.
Ebbene, che c’è?” gli chiese.
L’altro si inchinò. “Un cavaliere chiede di vedervi, signore.”
Il priore aggrottò le sopracciglia. “Un cavaliere? E chi sarebbe?”
Fratello Friedrich, signore.”
All’udire quel nome, fratello Luitpold alzò gli occhi al cielo con un sospiro. “Cosa vuole ancora?”
Non lo so, signore. Sembra molto inquieto.”
Il giorno che non sarà inquieto sarà morto, pensò tra sé e sé il priore, che ben conosceva ormai le intemperanze del subalterno, poi a voce alta disse: “Fa passare, sentiamo cosa vuole questa volta.”
Trascorse qualche minuto, poi Fratello Friedrich entrò a grandi passi e si fermò a guatarlo come avrebbe fatto un toro prima di incornare un rivale. “Priore,” ringhiò a denti stretti.
Che cosa c’è, fratello?” chiese l’altro in tono neutro.
Stanno arrestando i cavalieri del Tempio,” fu la secca risposta. “Voi per caso sapete per quale motivo?”
La notizia suonò talmente inaspettata che fratello Luitpold aggrottò le sopracciglia e semplicemente replicò: “Cosa?”
Il cavaliere emise uno sbuffo di impazienza. Si erse in tutta la sua notevole altezza e lentamente scandì: “Stanno arrestando i cavalieri del Tempio.”
Voi come fate a saperlo?”
Li ho visti. Vengono portati via dalla milizia del re.”
Chissà cosa avrete visto. E poi, comunque, non sono faccende che riguardano il nostro Ordine.”
Gli occhi di fratello Friedrich parvero mandare lampi. “Sono fratelli cavalieri!” replicò brusco. “Voglio sapere cosa sta succedendo, datemi il permesso di uscire.”
L’altro lo fissò con durezza. “Assolutamente no. Voi rimarrete qui e non farete nessuna delle azioni dissennate che di certo avete in mente. Non voglio che replichiate l’incidente di Ritterswerder.”
Con quell’incidente, priore, ho salvato il castello,” ringhiò il cavaliere fissandolo come se avesse voluto incenerirlo. Fratello Luitpold lo vide stringere i pugni con tale forza che le nocche sbiancarono.
Basta così,” disse allora, raddrizzandosi con fare autorevole sulla sedia. “Voi non andrete da nessuna parte. Obbedirete ai miei ordini, tanto per cambiare, e ve ne starete qui. Se vi vedo anche solo avvicinarvi al portone, giuro che questa volta vi faccio perdere l’abito per sempre [3].”
Sono fratelli cavalieri,” ripeté il più giovane imperterrito. “Dobbiamo aiutarli.”
Fratello Luitpold emise un sospiro. “Prima dobbiamo capire cosa sta succedendo,” replicò in tono esasperato, “dobbiamo capire se è vero che il re li sta facendo arrestare, e perché, magari. Lo sapete anche voi che girano voci strane sul Tempio.”
Sono false.”
L’altro alzò gli occhi al cielo. “Mi informerò. In ogni caso, poiché la carità e l’aiuto non si negano ai fratelli, se i cavalieri del Tempio verranno qui, li accoglieremo.” fece una pausa, poi in tono ammonitore aggiunse: “Ma vi proibisco formalmente di uscire dalle mura del castello e prendere iniziative personali.”
Fratello Friedrich si limitò ad annuire torvo, quindi rimase immobile al centro della stanza.
Che cosa c’è ancora?” gli chiese il priore dopo un po’.
Mi concedete mandare un messaggio alla commenda di Vaux?”
Prima devo informarmi su ciò che sta accadendo. E ora andate.”

§

Fratello Roland sussultò e aprì gli occhi. Fece girare lo sguardo tutt’intorno: nel debole chiarore che precede l’alba, intravedeva solo le vaghe sagome dei suoi confratelli addormentati. Si passò una mano sul viso, e la ritrasse umida di sudore. Eppure non era caldo, in camerata. Cominciava anzi la stagione in cui la coperta bastava appena per non sentire freddo la notte.
Si mise a sedere e di nuovo si guardò intorno. Gwenel dormiva rannicchiato, con la coperta tirata fin sulla testa: probabilmente non si era ancora abituato ai rigori della vita monastica. Fratello Séverin, invece, disteso sulla schiena russava beatamente con la coperta a mezzo corpo. Gli altri erano bozzoli bianchi che si perdevano nella penombra.
Attento a non fare rumore si alzò in piedi, recuperò l’involto dei vestiti e uscì dalla stanza. Guardò fuori: era ancora presto per la Prima [4], eppure avvertiva una strana inquietudine, un senso di urgenza tormentosa. Inspirò ed espirò lentamente cercando di fare il vuoto in testa: era la stessa sensazione che lo prendeva prima delle battaglie.
Sentì un fruscio provenire dalla camerata. “Gwenel?” chiese a bassa voce.
Non gli giunse risposta.
Si affacciò alla porta. “Gwenel?” ripeté, ma il ragazzo dormiva immobile. Rimase per un po’ fermo a guardare, ma non vide alcun movimento.
Tornò sui suoi passi, finì di vestirsi e uscì all’aperto. L’aria del mattino era immobile, umida. Non si udiva il minimo rumore, gli uccelli tacevano.
Si guardò intorno, la sensazione che stesse per succedere qualcosa era più opprimente che mai.
Improvvisamente, dei colpi sul portone lo fecero sussultare. Uno stormo di corvi si alzò in volo gracchiando, i cani della commenda cominciarono a latrare.
Aprite!” urlò una voce dall’esterno. “Aprite, in nome del re!”
Istintivamente, fratello Roland portò la mano al fianco, solo per rendersi conto che non si era ancora affibbiato la spada.
Subito dopo, successero molte cose: i colpi contro il portone si ripeterono, più imperiosi di prima, e di nuovo qualcuno urlò: “In nome del re, vi ordino di aprire!”
Il fratello portinaio uscì di corsa da un edificio e si precipitò a tirare i catenacci, ma nello stesso momento anche fratello Geoffroy uscì dal capitolo e urlò: “Non farlo!”
Fratello Roland lo fissò: era scarmigliato, sommariamente vestito e aveva il volto di un pallore spettrale.
Attirati dalle urla, anche gli altri fratelli cavalieri uscirono dal dormitorio, e così fecero i fratelli di mestiere e i garzoni. “Che cosa sta succedendo?” chiese qualcuno.
Non aprite!” ripeté fratello Geoffroy, poi raggiunse la porta, e a voce alta chiese: “Chi è che vuole entrare?”
Aprite, in nome del re! Abbiamo un mandato di arresto!”
Un mandato di arresto? Per chi?”
Tutti i cavalieri del Tempio sono in arresto, per ordine del re, e la commenda è sotto sequestro con tutto ciò che contiene. Consegnatevi spontaneamente, oppure saremo costretti a entrare con la forza.”
Cosa? Ma...”
Un colpo violento fece scricchiolare l’anta di legno.
Aprite o sfondiamo la porta!” urlò la voce dall’esterno.
Fratello Geoffroy arretrò, si volse verso i fratelli cavalieri. “Alle stalle!” ordinò. “Sellate e andatevene! Aprite il cancello che dà sui campi e passate da lì.”
Gli altri si guardarono l’un l’altro stupefatti, ma non si mossero.
Andate!” ripeté il commendatario, con la voce incrinata da una nota stridula di paura.
Fratello Roland lo fissò ed ebbe la sensazione che egli sapesse perfettamente cosa stava succedendo. “Muoviamoci!” urlò ai frastornati confratelli, “Prendete le armi! Possiamo difenderci!” Afferrò fratello Séverin per un braccio e lo sospinse verso il dormitorio.
I cani continuavano a latrare, qua e là si sentivano mormorii preoccupati. I servi e i fratelli di mestiere si dileguavano alla ricerca di nascondigli.
In quel momento, fratello Geoffroy lo raggiunse. “È il momento,” ansimò con sguardo spiritato, stringendogli un braccio come se avesse voluto conficcarvi le dita. Sul volto livido gli scendevano grosse gocce di sudore.
Che cosa sta succedendo?” chiese fratello Roland.
Vieni con me!” disse l’altro per tutta risposta, quindi lo trascinò all’interno del Capitolo. Raggiunse la porta che conduceva al Tempio Nero, con mani tremanti estrasse la chiave che portava al collo e fece scattare la serratura. “Il Codice Ombra deve essere portato in salvo a tutti i costi,” gli disse. “Questo è il motivo per cui sei stato chiamato qui, e il motivo per cui sei stato introdotto ai primi segreti gnostici.”
Ma cosa sta succedendo?”
Accuse di eresia! Sapevamo che sarebbe successo.”
Fratello Roland lo fissò stupefatto. “Eresia?”
Sì, tutto è partito da quella maledetta abitudine dell’inconvenientia. Ma ora non c’è tempo di spiegarti, devi salvare il libro.”
Dove lo devo portare?” gli chiese il più giovane. “E gli altri? Che sarà di loro?”
Il sapere è più importante.”
Più importante dei fratelli cavalieri?” ribatté l’altro con una punta di durezza nella voce.
Fratello Geoffroy non rispose: stava già scendendo verso il Tempio Nero.
Quando furono giù, scomparve nelle tenebre muovendosi con la sicurezza dell’abitudine, quindi ricomparve con il libro ancora avvolto nel panno bianco e glielo mise in braccio. “Portalo via,” gli ordinò. “Portalo a Sainte-Ruffine, da fratello Urbain. Lui saprà cosa farne.”
Ma gli altri?” Fratello Roland non si risolveva ad andarsene in quel modo.
Fa’ quello che ti dico!” gli ingiunse il commendatario. “Ogni minuto di ritardo può essere quello fatale!”
Corsero su. Nel frattempo i colpi al portone erano aumentati di intensità e frequenza, e già intorno ai cardini cominciavano a cadere calcinacci.
Fratello Roland si guardò intorno: fratello Séverin e fratello Philippe avevano indossato l’usbergo.
Gli altri?” chiese.
Gwenel è dentro,” rispose fratello Séverin indicando il dormitorio.
Arretrate,” ordinò fratello Roland, con il pesante libro stretto al petto, “ci attesteremo vicino alle scuderie. Chiamate gli altri.”
Guardò verso il dormitorio, e con sollievo vide affacciarsi Gwenel. “Porta la mia spada!” gli urlò. Il ragazzo tornò dentro.
Che cosa sta succedendo?” gli chiese fratello Philippe.
Niente di buono,” rispose, “preparatevi a difendervi.” Si guardò intorno. “Fratello Olivier?”
Come in risposta alla sua domanda, in quel momento il confratello apparve, armato di tutto punto, ma senza il mantello dell’Ordine, né la croce vermiglia sul petto. Andò alla porta e afferrò il catenaccio.
Ma che fa?” trasecolò fratello Séverin.
Fratello Olivier fece scattare il primo dei chiavistelli. Il fratello portinaio si era già dileguato, ma il commendatario si fece avanti per fermarlo.
In un attimo, l’altro si sfilò il pugnale dalla cintura e glielo conficcò nel petto fino all’elsa, lo rigirò e lo estrasse, quindi spinse via l’uomo morente con indifferenza, e tirò i catenacci uno dopo l’altro.
Le due ante si spalancarono, e una moltitudine di sbirri armati fino ai denti si riversò nel cortile.
Fratello Roland fu il primo a riprendersi. “Indietro!” urlò, “Alle scuderie!” Adocchiò Gwenel e gli disse: “Corri!”
Il ragazzo lo raggiunse. “La tua spada.”
L’altro se l’affibbiò in cintura. “Ora va’ con gli altri alle scuderie, svelto! Sellate i cavalli.”
E tu?”
Muoviti!”
I soldati avanzarono. Fratello Roland impegnò in combattimento un paio di essi, ma gli altri gli dilagarono intorno come un’onda di piena, e dopo poco il Templare dovette arretrare per non venire accerchiato.
Si unì ai compagni. “Non facciamoci circondare,” ordinò conciso.
Fissò i soldati in avvicinamento. Armigeri di paese, perlopiù. Nessuno di loro valeva il decimo di un cavaliere, ma anche un cinghiale alla fine soccombe, in una muta di cani.
Appoggiò il libro e lo coprì con un mucchio di paglia, poi si mise in guardia. “Fratello Olivier è un traditore,” informò secco gli altri, “fratello Geoffroy è morto. Non fateli avvicinare e cerchiamo di andarcene da qui.”
Per dirigersi dove, poi, era un problema che avrebbe affrontato dopo. “Non fateli avvicinare,” ripeté. “L’alternativa è finire nelle prigioni del re.”
Ma non abbiamo fatto niente,” si lamentò una voce smarrita alle sue spalle.
Meno chiacchiere, e ammazza tutto quello che si avvicina,” ribatté brusco fratello Roland.
Si scatenarono numerosi scontri. Come sempre capitava durante la battaglie, il Templare fece il vuoto in mente e lasciò che fossero l’istinto e l’esperienza a guidarlo.
Vide Gwenel abbattere un soldato con un fendente, e fratello Séverin spingerne via un altro come se fosse stato uno straccio vecchio. Fratello Philippe arretrò incalzato da un armigero, ma riuscì a sottrarre bersaglio e a contrattaccare. Poi si udì uno schiocco, e i Templari videro un dardo che finiva di vibrare conficcato nella parete di legno.
Hanno le balestre!” esclamò fratello Séverin.
A quelle parole fecero seguito un secondo e un terzo schiocco, poi si udì un grido, e fratello Philippe rovinò al suolo. La spada gli scivolò di mano e cadde con un sinistro clangore. Subito dopo anche fratello Séverin, a sua volta colpito da un dardo, stramazzò con un lamento.
Fratello Roland a quel punto si lanciò in avanti a testa bassa. Abbandonate tecnica e strategia, cercava solo di fare il vuoto intorno a sé, nella speranza di costringere la milizia ad arretrare quel tanto che avrebbe permesso a lui e Gwenel di montare a cavallo e abbandonare la commenda.
Era impegnato in un ennesimo assalto, quando una voce fredda lo apostrofò: “Ora basta, per favore.”
L’assurdità di quel richiamo costrinse fratello Roland a fermarsi.
Il Templare si voltò ansante e si trovò davanti fratello Olivier che stringeva contro di sé fratello Gwenel, e intanto gli puntava il pugnale alla gola.
Giù la spada, per favore,” ordinò gelido.
Fratello Roland rimase immobile.
Giù la spada,” ripeté allora l’altro. Premette leggermente la lama, e lungo il collo del ragazzo scese adagio una goccia di sangue.
L’arma cadde a terra.
Molto bene,” apprezzò fratello Olivier. “Vedo che sai anche ragionare, quando vuoi.” Poi, a voce più alta: “Guardie!”
Due robusti soldati si avvicinarono a fratello Roland e lo presero per le braccia. Questi alzò sul confratello uno sguardo di fuoco. “Traditore,” ringhiò.
L’altro assunse un’espressione di sufficienza, quindi rispose. “Al contrario, direi. Mai si vide fedeltà più incrollabile della mia.”
Fratello Roland si limitò a fissarlo cupo. L'altro spinse via Gwenel, che venne subito afferrato da due guardie, poi disse: “Sono tre lunghi anni che mi sorbisco tutte le idiozie del Tempio facendo finta di essere uno di voi.”
Che significa?”
Il re ha infiltrato spie nell’Ordine, e ovviamente nessuno si è mai accorto di nulla. Per tutto questo tempo, io e tanti altri abbiamo raccolto informazioni e le abbiamo riferite a chi di dovere, ed ecco che ora esse vengono messe a frutto.” Fece una pausa, poi con un sorrisetto soggiunse: “Nascondere la Regola [5] non è servito a gran che, non ti pare?”
L’altro ignorò l’osservazione. “Quindi non sei un cavaliere?” si limitò a chiedere.
Il primo fece una risata sprezzante. “Non ho nulla a che fare con idioti della vostra risma, capaci solo di masticare giaculatorie e vendere polli. Sono il capitano Olivier D’Airelle della milizia reale.”
Fratello Roland incupì lo sguardo e tese i muscoli.
Non fare stupidaggini,” lo ammonì il capitano, “Ti ricordo che non ci metto nulla a tagliare la gola al tuo amichetto.”
Si vede proprio che non sei uno di noi,” fu la sdegnosa replica, “altrimenti sapresti che un cavaliere del Tempio non teme la morte.”
Detto questo, con uno strattone liberò un braccio dalla presa degli armigeri, estrasse il pugnale di uno di essi e lo usò per colpire quello che gli stava tenendo l’altro braccio. Vide che qualcuno sollevava la balestra, quindi afferrò un’altra guardia e se ne fece scudo, poi ne gettò il corpo contro il capitano, facendolo cadere a terra. Subito dopo prese Gwenel per la tunica e lo tirò a sé.
Corsero alle scuderie, estrasse il libro dal mucchio di paglia, poi montarono in sella ai due cavalli già sellati e si allontanarono al galoppo, inseguiti dai rabbiosi sibili dei dardi.

§

Dal folto di una macchia, fratello Roland scrutava Sainte-Ruffine. Era ormai mattino inoltrato, ma non si vedeva alcun segno delle milizie reali. La vita della commenda, anzi, sembrava procedere nel solito modo.
Torna a casa tua, Gwenel,” disse senza distogliere lo sguardo dal gruppo di edifici.
Il ragazzo lo fissò stupefatto. “Cosa?”
Jussy non è lontano. Rientra a casa tua, riprendi la vita di prima. Non è troppo tardi.”
Il ragazzo spronò il cavallo fino ad affiancarsi a lui, quindi rispose: “No, io voglio rimanere con te. Andremo insieme a Jussy, se vuoi.”
Il maggiore scosse la testa. “Non lascerò il Tempio.”
Allora non lo lascerò neppure io.”
Fratello Roland si voltò fino a fissarlo negli occhi. “Tu devi andartene,” gli disse. “Non so cosa stia accadendo, perché ci mettano in prigione, ma una cosa mi è ben chiara: non voglio che questo succeda a te. Quindi vattene, per favore.”
E tu?”
Devo compiere un’ultima missione.”
Gwenel chinò la testa. Si girò nella direzione in cui si trovava Jussy, poi tornò a rivolgere lo sguardo verso di lui. “La compiremo insieme,” disse. Gli rivolse un pallido sorriso.
Gwenel...”
Neppure io voglio lasciare il Tempio.” Si morse il labbro inferiore, poi a voce più bassa soggiunse: “E non voglio lasciare te. Compiremo l'ultima missione, e se Dio riterrà di chiamarci a sé, moriremo come cavalieri.”
Fratello Roland non rispose. Come spiegare a quel ragazzo così pieno di entusiasmo e coraggio che la morte era forse la migliore delle prospettive che li attendevano? Sarebbe stato dolce, anzi, morire in combattimento, con la croce di sangue sul petto.
Più probabilmente, ciò che li attendeva era un'odiosa prigionia, trascinati nel fango, accusati di ogni nefandezza, destinati a subire gli interrogatori dell'Inquisizione.
Non lo sfiorò neppure l'idea che l'Inquisizione avrebbe anche potuto giudicare l'Ordine innocente. Primo, perché non accadeva quasi mai che l'Inquisizione abbandonasse la preda che aveva ghermito. Secondo, perché capiva che un'accusa di quel genere, proveniente addirittura dal re, non aveva alcun bisogno di essere provata. Era la fine dell'Ordine, e loro ci erano capitati in mezzo.
Fece scivolare la mano alla bisaccia della sella e le sue dita incontrarono la sagoma del libro che vi aveva riposto. Trasse un lungo respiro, poi disse: “Andiamo, Gwenel.”
In fondo era bello, nella tempesta che si stava preparando, guardare al proprio fianco e incontrare lo sguardo limpido di un amico.

Sporchi, esausti e insanguinati com'erano, quando entrarono nel cortile della commenda fecero calare un costernato silenzio. I pochi fratelli di mestiere che non erano nei campi rimasero a fissarli stupefatti, e per parecchio tempo nessuno ebbe il coraggio di proferire parola.
Solo un fratello cavaliere, che si affacciò a un certo punto da una porta, si avvicinò e sconcertato chiese: “Che cosa vi è successo, fratelli?”
Fratello Roland si voltò a fissarlo: faccia pulita, abito candido, l'espressione di chi non si capacita di ciò che sta vedendo.
Smontò da cavallo. “Non sai niente, fratello?”
A che proposito?”
Roland rinunciò a rispondere. “Devo parlare immediatamente con fratello Urbain,” disse.
Ora sta lavorando, gli farò presente che... qual è il vostro nome, fratello?”
Fratello Roland, mi conosce già.”
L'altro annuì con un sorriso volenteroso. “Glielo farò presente senz'altro,” gli assicurò. “E ora, se volete entrare per ristorarvi un po'...”
Fratello Roland lo afferrò bruscamente per un braccio, e strinse la presa fino a strappargli uno stupefatto gemito di dolore. “Devo parlare con fratello Urbain adesso,” ripeté con minacciosa lentezza. “È cosa della massima importanza.”
Di fronte a quel cipiglio, l'altro non ebbe il coraggio di ribattere, e si limitò a fargli strada. Seguito da Gwenel che portava l'involto con il libro, fratello Roland fu condotto nella chiesa, e da lì a una stanza della sacrestia dalle pareti coperte di librerie alte fino al soffitto. Affogate tra le scaffalature, le snelle bifore quasi scomparivano, e la luce proveniva perlopiù da alcune candele.
Al centro della stanza si trovava un tavolo, al quale fratello Urbain sedeva, curvo su un tomo dalle pagine coperte di scrittura e strane immagini.
Al loro arrivo, egli si alzò con inaspettata energia, aggirò il tavolo e li raggiunse, scrutandoli attento. Il suo sguardo li percorse rapido, infine si fissò sull'involto che il ragazzo teneva fra le braccia. “Il libro?” chiese.
Fratello Roland ebbe di nuovo l'impressione che il suo interlocutore fosse perfettamente al corrente di ciò che era accaduto, tuttavia gli domandò: “Sapete cosa sta succedendo, signore?”
Qui siamo al sicuro,” fu la risposta, proferita con uno strano tono sbrigativo. “Siamo al sicuro, per ora.” Scrutò di nuovo l'involto. “Il libro?” ripeté.
Fratello Roland fece cenno al compagno di consegnarlo. Fratello Urbain glielo strappò letteralmente di mano, quindi fissò torvo Gwenel. “Non l'avrai guardato, spero,” ringhiò diffidente.
No, signore,” fu la candida risposta del ragazzo.
Meglio così,” brontolò sbrigativo l'altro. “E sia ringraziato Dio, che ha guidato la scelta di fratello Geoffroy su un uomo ardimentoso e fedele.” Passò le dita sull'involto, dando l'idea di riconoscere attraverso la stoffa ogni chiodo e ogni piega della rilegatura, quindi andò a riporlo in una cassapanca.
Fatto questo, si rialzò a fissare i due Templari.
Fratello Roland gli restituì lo sguardo, quindi chiese: “Che sarà di noi, signore?”
Di noi, di noi...” borbottò l'altro, come in risposta a una domanda molto sciocca e anche un po' impertinente. “Intendi di te e del tuo confratello, oppure di tutti noi?”
Entrambe le cose, signore.”
Fiat voluntas Dei,” si limitò a proferire fratello Urbain. “E ora lasciatemi,” aggiunse poi in tono infastidito, “Fratello Louis vi aiuterà a sistemarvi.”

Fratello Gwenel si mise sulle spalle il mantello – un mantello pulito e intatto, che il guardarobiere di Sainte-Ruffine gli aveva consegnato al posto del suo – e uscì dall'edificio del refettorio. La notte era fredda, le stelle erano nascoste da uno strato di nubi. Vide passare un paio di fratelli di mestiere che trasportavano un calderone fumante, dalla fucina proveniva il battere ritmico e musicale del martello.
Sospirò e mosse qualche svogliato passo, mentre un'angosciante sensazione di irrealtà lo pervadeva: com'era possibile che a poche miglia di distanza li avessero quasi uccisi, e lì invece tutto fosse come al solito?
Non c'erano le milizie del re, a Sainte-Ruffine? Non era arrivato fin lì l'ordine di arresto?
O forse quello di Vaux era stato solo una specie di strano incubo?
Di nuovo si voltò verso la direzione in cui si trovava Jussy: a qualche ora di cavallo da lì c'era la sua vita precedente. Gli sarebbe bastato davvero poco per farvi ritorno, e poi avrebbe potuto dimenticarsi dell'Ordine come avrebbe fatto con una brutta avventura fortunatamente finita bene.
Ripensò all'abito, al senso di appartenenza. Fino ad allora, non si era mai sentito veramente a casa da nessuna parte. Aveva sempre cercato qualcos'altro, qualcosa che spesso non riusciva bene a definire neppure lui, qualcosa di più.
Non era certo di averlo trovato nell'Ordine, ma al contrario era certo che ormai la sua vita precedente, quella del figlio minore di un piccolo feudatario, non rivestiva più per lui alcun interesse.
Si voltò verso l'edificio, e sorrise quando vide comparire sulla porta la sagoma imponente di fratello Roland. Questi rimase un po' fermo sulla soglia, con un atteggiamento che a Gwenel ricordò quello di un lupo intento a fiutare l'aria, poi si avvide di lui e risoluto lo raggiunse. “Come stai?” gli chiese quando furono vicini. Il ragazzo vide che pur nella scarsa luce lo stava scrutando attento.
Bene, sono solo un po' stanco.”
Hai mangiato a sufficienza?”
Sì, non preoccuparti,” gli assicurò il ragazzo. Rimase per un po' in silenzio, poi timidamente chiese: “Roland, posso farti una domanda?”
L'altro assentì. “Dimmi.”
Perché sta succedendo tutto questo?”
Fratello Roland trasse un lungo sospiro, infine in tono grave rispose: “Lo sa Dio.”
Di che cosa siamo accusati?”
L'altro scrollò le spalle. “Di tutto e di niente.” Fece una lunga pausa, poi soggiunse: “Non dobbiamo più esistere, questo è il punto.”
Che significa?”
Dove va un cacciatore, se non c'è più selvaggina? Dove va un cerusico, se non ci sono più ammalati?”
Il ragazzo alzò gli occhi su di lui: ormai il suo viso era solo una vaga sagoma bianca nella quale tuttavia si coglieva il baluginare dello sguardo. “Non ti capisco,” sussurrò.
La risposta giunse carica di amarezza: “Dove va il guardiano, se non c'è più nulla a cui fare la guardia?”

§

Fratello Roland si rigirava inquieto sul pagliericcio. Lui e Gwenel erano in una stanza al piano di sopra del dormitorio, di quelle dove normalmente venivano alloggiati gli ospiti.
L'ambiente era piccolo e sobriamente arredato, ma rispetto all'essenzialità delle camerate appariva addirittura opulento. Il fatto che non ci fosse la lucerna accesa [6] suscitava nel Templare una strana inquietudine, come se il venire meno di quella consolidata usanza rappresentasse il primo segno della rovina incombente.
Si alzò adagio, attento a non far cigolare il letto, e poi uscì in corridoio. Era completamente vestito, e aveva impedito anche a Gwenel di spogliarsi: non si fidava di quella strana calma, e voleva essere pronto a ogni evenienza.
Camminò un po' su e giù, poi si sedette accanto a una finestra. Nel frattempo la luna era uscita dalle nubi, e la sua luce fredda delineava i contorni delle cose.
Lasciò vagare lo sguardo sulla commenda addormentata e per un po' rimase così, semplicemente assorto nei suoi pensieri, ad ascoltare un vago lamento di gufo lontano.

Non sapeva quanto tempo fosse passato quando notò dei movimenti nel cortile: un uomo magro, molto alto e vestito di scuro attraversò lo spiazzo con una strana andatura un po' curva e si diresse verso il portone. Per un po' rimase in ascolto di qualcosa, poi si guardò intorno, e infine protese una mano che nella luce fredda della luna sembrava quella di uno scheletro, afferrò i catenacci e uno dopo l'altro li fece scorrere nelle loro guide.
Fratello Roland aggrottò le sopracciglia e rimase a osservare. Aveva fatto fatica per via degli abiti borghesi, ma l'andatura gli era risultata inconfondibile: si trattava di fratello Urbain.
Sotto i suoi occhi stupiti, egli schiuse la porta quel tanto da consentire il passaggio di una persona, e pochi istanti dopo, qualcuno si infilò effettivamente dentro: era un uomo della milizia alto e snello, molto probabilmente giovane, dal portamento elastico e marziale.
I due parlarono rapidamente fra loro, poi il nuovo arrivato aprì maggiormente il portone, e da esso sgusciarono dentro numerosi soldati. Fratello Roland notò che avevano annerito con la fuliggine le lame delle alabarde e gli elmi, per evitare che brillassero sotto la luna.
Gli uomini si mossero verso l’edificio che lui e Gwenel occupavano.
A quella vista, egli tornò rapidamente in camera e scosse il ragazzo, che sbatté gli occhi, poi mormorò: “Cosa succede?”
Zitto e seguimi,” rispose fratello Roland sottovoce.
Ma cosa...?”
Andiamo.”
Si mossero cauti, mantenendosi rasenti ai muri. Dal piano inferiore cominciavano a provenire grida soffocate, tramestio e clangore di armi.
Cosa succede?” ripeté il ragazzo allarmato.
I soldati del re.”
Gwenel non replicò, e i due procedettero guidati dalla luce incerta che filtrava dalle finestre. Trovarono infine una scala che portava verso il basso.
Fratello Roland fece segno di attendere e per un po' rimase in ascolto, poi cominciò a scendere adagio, un gradino dopo l'altro, fermandosi su ognuno ad ascoltare.
I rumori che provenivano dal basso si facevano sempre più intensi e inquietanti: ora si udivano grida di dolore e invocazioni, frammiste al rumore di suppellettili infrante e di metallo che cozzava contro altro metallo. Evidentemente, pur sorpreso nel sonno, qualche fratello stava cercando di difendersi.
Fratello Roland fece mente locale: non avrebbe avuto alcun senso scendere ad aiutare i confratelli. Non aveva più una spada, tanto per cominciare: la sua era rimasta sul selciato di Vaux quando il capitano D'Airelle gliel'aveva fatta buttare. Non sapeva poi quanti fossero laggiù, e in che ambiente si muovessero.
L'unica cosa che verosimilmente avrebbe ottenuto, sarebbe stata spingere fra le braccia della milizia se stesso e Gwenel.
Percepì sulla nuca lo sguardo acuto del ragazzo. Si girò e nel buio colse il brillio liquido dei suoi occhi azzurri. “Cosa facciamo?” mormorò Gwenel.
Dobbiamo andarcene.”
Ma... i fratelli?”
Fratello Roland scosse la testa. “Non possiamo fare più niente per loro.”
Da sotto provenne il rumore di qualcosa di fragile che andava in frantumi, e poi di legno spaccato. Una voce gridò 'per l'amor di Dio', ma subito dopo si udì un tonfo ed essa si spense in un gemito.
Continuarono a scendere, raggiungendo infine un vestibolo sul quale si aprivano alcune porte. Da una di esse proveniva un tremulo chiarore, che lambiva le pareti come una risacca.
Di nuovo fratello Roland fece cenno al ragazzo di aspettare, poi avanzò lentamente e tenendosi a ridosso dello stipite azzardò un'occhiata al di là.
La stanza era una camerata rettangolare, in quel momento ingombra di soldati. I letti erano per la maggior parte rovesciati e privi delle coperte, che erano sparse in giro. Uno era addirittura rotto, come se ci fosse finito sopra qualcosa di molto pesante. Il contenuto dei pagliericci squarciati fluttuava ovunque.
Sorpresi con ogni evidenza nel sonno, i cavalieri, perlopiù con solo la camicia e le brache addosso, avevano le mani legate dietro la schiena ed erano addossati contro una parete. Uno di essi giaceva immobile, con un rivolo di sangue che da una ferita alla testa dilagava lentamente sul pavimento.
Vide uno dei soldati avvicinarsi a un prigioniero che per età avrebbe potuto forse essere suo padre, con una venerabile barba bianca, spintonarlo e strappargli via la sottile cintura [7] che la Regola imponeva durante la notte. “E questa cos'è, pezzo di merda?” gridò poi, colpendolo in faccia con un manrovescio. “Che cos'è? Te la intendi con Satana? Hai stretto un patto con lui?”
Il Templare dovette faticare per impedirsi di correre in aiuto del confratello: c'erano almeno venti guardie nella stanza, sarebbe stato solo un inutile suicidio.
Si fece avanti a quel punto l'uomo che aveva visto alla porta, quello snello e dal portamento marziale. “Basta, Laurent,” ordinò in tono vagamente annoiato, “non rubiamo il mestiere al tribunale dell'Inquisizione.”
Scusate, signore.”
Fratello Roland si sentì invadere dall'ira: avrebbe riconosciuto quella voce sprezzante fra mille. Rimase tuttavia immobile a seguire le mosse di quello che fino a poco prima aveva creduto un fratello e compagno d'armi.
Il capitano D'Airelle diede qualche conciso ordine, e i soldati cominciarono a spingere fuori i Templari prigionieri. Fratello Roland non poté fare a meno di pensare ai rigori della stagione, e a come quei poveretti avrebbero potuto affrontarli con l'abbigliamento sommario che indossavano.
Strinse i denti e i pugni in modo spasmodico, costringendosi più che mai a rimanere immobile.
La stanza, nel frattempo, si era vuotata. Il capitano fece per andarsene a sua volta, ma sopraggiunse fratello Urbain a fermarlo.
Siamo d'accordo allora?” chiese il nuovo arrivato.
Potete andarvene,” concesse l'altro.
Il primo non si mosse.
Ebbene?” lo incalzò il capitano.
Ecco...” cominciò fratello Urbain, “L'accordo comprendeva anche altro... se ben ricordate.” Gli scoccò un'occhiata dubbiosa.
D'Airelle assunse l'espressione di chi si è appena ricordato di una commissione un po' fastidiosa da portare a termine. “Ah, già.” rispose, e non aggiunse altro, limitandosi a fissare l'interlocutore con sguardo neutro.
Il libro,” gli ricordò dopo un po' fratello Urbain.
L'altro annuì grave, quindi lo corresse: “I libri.”
Di nuovo tra i due calò un silenzio carico di tensione. “Io vi ho aperto la porta, vi ho consegnato i miei confratelli risparmiando sangue e fatica ai vostri soldati,” ringhiò fratello Urbain. Fissò torvo il militare. “Gli accordi erano chiari: a me sarebbe rimasto il libro.”
Gli accordi erano altrettanto chiari per me,” replicò D'Airelle. “Potete tenere tutta la vostra biblioteca, oltre alla vita e alla libertà personale naturalmente, ma il Codice Ombra va al tribunale dell'Inquisizione.”
A quelle parole, l'altro si erse costernato. “Ma il Codice è la summa del nostro sapere,” replicò agitato, “È tutto quello che abbiamo raccolto in decenni di studio.”
Mettiamola così,” fu la risposta, pronunciata quasi in tono di sarcastica degnazione: “Conservando la vita, potrete acquisire nuovo sapere. Senza la vita, godere del sapere accumulato vi sarà impossibile.”
A quel punto, fratello Roland arretrò silenziosamente: aveva sentito abbastanza. Se non poteva liberare i poveretti che aveva visto spingere via come bestie, poteva almeno privare il tribunale dell'Inquisizione di un'arma.
Raggiunse Gwenel. “Cerchiamo un’uscita,” sussurrò.
Cosa sta succedendo di là?”
Dobbiamo portare via il libro,” disse fratello Roland per tutta risposta.
Il ragazzo si limitò ad annuire.
L’altro considerò che probabilmente i soldati stavano tornando tutti nel cortile, e una volta svuotata dei suoi occupanti la camerata, non avevano motivi per rimanere nell’edificio. Posò l’orecchio contro una porta chiusa, rimase in ascolto per un po’ e poi provò ad abbassare la maniglia, che cedette docilmente. Alla scarsa luce del vestibolo videro che si trattava del refettorio, arredato con lunghi tavoli già coperti delle tovaglie bianche per il pasto del mattino. Più oltre, nella parete di fondo, intravidero un’altra porta. “Quella darà sulle cucine,” disse il Templare, “e le cucine comunicano sempre con l’esterno.”
Attraversarono rapidi la sala.
Oltre la porta c’era in effetti una cucina. La bocca del forno aperta e un pasticcio crudo abbandonato su un tavolo fecero capire ai due che i fratelli di mestiere si erano allontanati in tutta fretta.
Percepirono un soffio d’aria fredda, e si accorsero che in effetti c’era una porta socchiusa. “Laggiù,” disse fratello Roland.
Sbucarono in un cortile ingombro di ceste vuote e cataste di legna da ardere, nel quale nulla si mosse, a parte un gatto che al loro apparire fuggì via. I due si guardarono intorno, e subito individuarono la mole imponente della chiesa.
Muoviamoci,” disse il maggiore.
Ma non hai neanche una spada, e fuori è pieno di soldati.”
E i soldati hanno armi, giusto?”
Sì, ma...”
Andiamo.”

Fratello Roland scivolò silenzioso lungo il muro dell’edificio. Più avanti, di spalle rispetto a lui, un soldato appoggiato all’alabarda fissava distrattamente i suoi commilitoni che facevano salire i prigionieri sui carri.
Il Templare si avvicinò adagio. Recitò mentalmente una preghiera, per la salvezza dei suoi poveri confratelli, principalmente, ma anche per l’anima del soldato. Quando l’ebbe terminata, fece un cenno a Gwenel, poi balzò in avanti, e prima che l’armigero riuscisse a rendersi conto di quello che stava succedendo, gli aveva già rotto l’osso del collo.
Mentre accompagnava la caduta del corpo perché non facesse rumore, il ragazzo afferrò l’alabarda.
Trascinarono il cadavere in una zona buia.
Ora ho un’arma,” sussurrò fratello Roland, afferrando l'asta che Gwenel reggeva ancora tra le mani. La soppesò provandone il bilanciamento, eseguì un paio di affondi, poi disse: “Andiamo alla chiesa. Dobbiamo portare via quel libro.”
Come faremo a entrare?”
In quel momento, videro passare una figura vestita di nero, alta e curva. Roland si appiattì contro la parete e spinse Gwenel a fare altrettanto. “È quel traditore,” sussurrò con voce appena udibile.
Fratello Urbain si guardò fugacemente intorno, poi, constatato di essere solo, estrasse dall'abito una chiave che teneva legata al collo. Andò al portone della chiesa, la infilò nella toppa e fece scattare la serratura, poi sgusciò dentro e accostò l'anta dietro di sé. Non si udì alcun rumore di chiavistelli.
Bene, andiamo,” disse fratello Roland. Si mossero cauti ai margini del sagrato, quindi salirono i tre scalini che conducevano al portone e silenziosamente scivolarono dentro.
All'interno l'aria era fredda, e aveva un vago odore di incenso e di fiori appassiti. L'oscurità era completa, a parte un vago chiarore da un lato dell'abside.
I Templari vi si diressero, e videro che la luce proveniva da una porta socchiusa, oltre la quale c'era un corridoio rischiarato da una piccola candela. Si udiva un frenetico tramestio.
Avanzarono cauti, badando a non fare alcun rumore. Fratello Roland, che procedeva per primo, si trovò a un certo punto sulla soglia dello studio tappezzato di libri nel quale il traditore li aveva ricevuti. Questi era chino su una cassapanca e vi stava rovistando dentro.
Sul tavolo erano ammucchiati alla rinfusa dei volumi, tutti dello stesso colore e di dimensioni simili.
Il Templare si fece avanti e beffardo chiese: “Vuoi tradire di nuovo, cane?”
L'altro sussultò e scattò in piedi con tale rapidità che perse l'equilibrio e dovette appoggiarsi con una mano a uno degli scaffali.
Non contento di aver condannato a morte i tuoi fratelli per i tuoi sporchi interessi, vuoi far credere al capitano che gli hai consegnato il Codice Ombra mentre in realtà gli stai dando tutt'altro?”
Fratello Urbain lo fissò con occhi grifagni. “Che cosa vuoi?” lo apostrofò. “Come osi entrare qui dentro senza il mio permesso?”
Per tutta risposa, il Templare recitò: “Or io vi dico: chiunque mi riconoscerà davanti agli uomini, anche il Figlio dell'uomo lo riconoscerà davanti agli angeli di Dio. Ma chi mi rinnegherà davanti agli uomini, sarà rinnegato davanti agli angeli di Dio [8].”
Fratello Urbain assottigliò lo sguardo e sibilò: “Ma guarda un po', l'asino che vuol farsi dottore. Tu pensa a eseguire gli ordini, e non chiederti perché ti vengono impartiti, tanto non capiresti.”
L'altro fece un passo avanti. Si fece scivolare l'alabarda dalla spalla e la impugnò. “Sei un lurido traditore,” gli disse per tutta risposta. “Il male che hai fatto forse non si può riparare, ma almeno eviterò che tu ne faccia ancora.”
Ah, davvero?” lo provocò fratello Urbain, nello sguardo una luce sprezzante e gelida. “Hai la presunzione di avere gli strumenti per combattere il male? Tu non sei nessuno, sei solo un piccolo uomo aggrappato alle sue misere cognizioni da chierico di campagna. Anche se quel povero ingenuo di fratello Geoffroy ha voluto cominciare a istruirti, tu non sai ancora niente, i tuoi occhi sono ciechi, le tue orecchie sorde. La tua mente è piccola, attaccata alle minuzie di tutti i giorni.” Fece una pausa, in cui rimase a fissarlo vagamente ansante, poi in tono più basso, addirittura amaro, riprese: “Che cos'è la tua miserabile esistenza, o quella dei tuoi fratelli, paragonata al sapere? Gli uomini si possono rifare, sono meri ammassi di carne imperfetta, ma il sapere... il sapere è Dio! Il sapere è perfezione dello spirito, è vita eterna, è...”
Non fece in tempo a finire la frase. Fratello Roland spinse in avanti l'alabarda e lo passò da parte a parte, quindi estrasse la lama e si preparò a colpirlo di nuovo, ma in quel momento si udì il passo di svariate persone in rapido avvicinamento.
Roland!” esclamò Gwenel.
L'altro fece scorrere lo sguardo sui libri sparsi, ma non riconobbe fra essi il Codice Ombra. Prima che avesse il tempo di cercare altrove, però, irruppero nella stanza il capitano D'Airelle e alcuni soldati. “Ma guarda chi si vede,” disse questi ironico. “Pensavamo di trovare quel vecchio avvoltoio, ed ecco che invece spunta fuori il buon Roland. Butta quel bastone, prima di farti male.”
Vieni a prenderlo,” fu la risposta.
Il capitano fece una breve risata. “Cosa vuoi fare con un'alabarda qui dentro?”
Passarti da parte a parte come ho fatto con lo schifoso che è sul pavimento.”
Ma ti devi avvicinare, prima, non ti pare? E intanto i miei uomini ti hanno già abbattuto come un bue al macello.”
Vediamo chi sarà il bue al macello,” replicò brusco fratello Roland, poi cercò lo sguardo di Gwenel e gridò: “Non nobis, domine!”

Il grido di guerra colpì Gwenel come una sferzata: egli d'impulso strinse la spada che aveva in pugno e si gettò sul più vicino dei nemici. Lo trapassò con una punta alla gola, poi ritrasse la lama e colpì un altro con un fendente rovescio.
Vide fratello Roland far girare l’alabarda talmente in fretta che la lama emise un sordo sibilo, poi si abbatté contro uno dei soldati tagliandolo praticamente in due, e infine esaurì la sua forza contro uno scaffale, facendone schizzare via grosse schegge.
Il Templare abbandonò l’ingombrante asta, raccolse il pugnale di un caduto e incalzò un altro dei soldati, che arretrando nel luogo angusto travolse quello che si trovava dietro di lui. Egli in un attimo gli fu addosso, lo trafisse al petto, estrasse la lama e squarciò la gola al secondo, poi balzò da una parte per evitare l’assalto del capitano D’Airelle, rotolò all’indietro, ma perse l’equilibrio, e l’altro ne approfittò per farsi più vicino.
Gwenel vide la scena, e corse verso i due. Si buttò in avanti con una punta, ma l’altro lo vide arrivare, si girò fulmineo, prese ferro deviando il colpo, e subito dopo rispose con un tondo rovescio. Il ragazzo tentò di sottrarsi, ma non fu abbastanza veloce, e il morso della lama sulla spalla gli strappò un gemito di dolore.
Gwenel!” urlò fratello Roland.
Sto bene,” gli assicurò il ragazzo. Tentò di incalzare l’avversario, ma questi rispose tirando a sua volta una punta, che gli trafisse il fianco.
Ecco cosa succede a combattere senza usbergo,” disse il capitano in tono sarcastico. Avrebbe voluto aggiungere una risatina, che però fratello Roland gli fece morire in gola con un violento assalto.
Sotto gli occhi di Gwenel, che era scivolato alla base di una parete col respiro mozzo dal dolore, il Templare riuscì a oltrepassare la guardia di quello che era stato il suo confratello. L’altro, consapevole del pericolo, tentò di arretrare, ma il primo lo afferrò per una spalla. “Dove vai?” ringhio. Ora, sotto misura e con un pugnale in mano, era lui ad essere in vantaggio.
Il capitano abbandonò la spada ed estrasse a sua volta la daga.
La vista annebbiata, Gwenel li vedeva girarsi intorno come animali rabbiosi, colpendosi fulminei, e un attimo dopo allontanandosi per sottrarsi ai colpi dell’altro. Li vide studiarsi in un teso silenzio per lunghi istanti, e poi balzare l’uno contro l’altro.
Sentì entrambi gemere più volte di dolore, e presto la tunica bianca di fratello Roland fu rigata di sangue.
Il ragazzo cercò di alzarsi per aiutarlo, ma era come se il suo corpo non volesse obbedirgli, ed egli era costretto a fissare, impotente, i due uomini che si scontravano all’ultimo sangue.
Alla fine crollarono a terra ancora avvinghiati, rotolarono ringhiando e gemendo di dolore, colpendosi come forsennati.
Poi lo scontro si fermò. Il capitano della milizia emise un ultimo lamento, poi si afflosciò come uno straccio vecchio e rimase supino, con gli occhi vitrei fissi al soffitto.
Fratello Roland, abbandonato prono su di lui, ansava pesantemente.
Gwenel si sollevò in ginocchio alla meglio, lo raggiunse, lo rivoltò sulla schiena e a fatica trattenne un grido d’orrore: il suo confratello aveva un pugnale piantato nel petto fino all’elsa. Subito lo afferrò per estrarlo, ma l’altro lo fermò. “Lascia...” gli disse con voce incerta.
Ma Roland,” protestò il ragazzo, e già sentiva le lacrime pungergli gli occhi, “Devo curarti, e poi dobbiamo andare via.” Deglutì. “Devo tamponare la ferita.”
È troppo tardi,” mormorò l’altro. “Devi andare tu, io non potrei seguirti. Prendi il libro che è nella cassapanca, e portalo al sicuro, non deve cadere nelle mani degli inquisitori.”
Ma io...” Gwenel si rese conto di avere la voce rotta e le lacrime che gli scorrevano lungo le guance. “Ma io non posso… senza di te.”
Devi andare. Sei un cavaliere del Tempio, e questo è l’ultimo ordine che ti do.”
L’altro si asciugò gli occhi con la manica, poi tentò di farlo alzare. “Roland, per favore,” lo implorò.
Il maggiore sollevò con fatica la mano e la pose sulla sua, poi strinse debolmente la presa. “Va’,” mormorò, “porta al sicuro il libro, mettilo dove nessuno possa trovarlo. Ho fiducia in te.”
Roland...” ripeté il ragazzo, ma non gli giunse più alcuna risposta.
Si alzò malfermo, stremato, attraversato da fitte di dolore lancinante. Come in sogno andò alla cassapanca, e ne estrasse l’involto bianco. Si girò un’ultima volta verso fratello Roland: il cavaliere giaceva immobile, e già il pallore della morte si era diffuso sul suo volto severo. La sua espressione indomita si era fatta nella morte remota e carica di dignità.
Addio, Roland,” singhiozzò, poi corse fuori.
Si allontanò nel buio, dolorante, sanguinante, accecato dalle lacrime. Si tenne lontano dal bagliore delle fiaccole e nessuno lo vide, forse perché Dio, consapevole del suo strazio, aveva steso una mano pietosa su di lui. Fuggì verso la campagna brulla. Corse malfermo fino a che le luci di Sainte-Ruffine non scomparvero, e a quel punto, ormai sul fare dell’alba, si lasciò cadere nel letto di un canale secco, dove si nascose tra le radici dei salici.

§

Fratello Adalbert fissò perplesso fratello Friedrich. “Dove vai?” gli chiese.
A Vaux,” rispose l’altro. Controllò il sottopancia del destriero da guerra bardato di tutto punto, con tanto di gualdrappa.
Il primo lo fissò poco convinto. “Il priore ti ha dato il permesso?”
Ha detto che posso accertarmi di come stanno le cose.”
Di persona?”
Fratello Friedrich alzò le spalle. “Non l’ha specificato.”
Fritz, sta attento,” lo ammonì fratello Adalbert. “È la volta che fratello Luitpold ti manda davvero a badare i polli.”
L’altro si voltò a fissarlo negli occhi e in tono grave rispose: “Voglio andare a controllare, ho un brutto presentimento.”
E ci vai in armi?”
Così non c’è rischio che mi scambino per un Templare.” Montò in sella.
Fratello Adalbert prese il cavallo per le redini. “Fritz, senti...”
Sì?”
Aspettami, vengo anch’io.”

§

Gwenel riaprì gli occhi tremante di freddo e torturato da una sete atroce. Il cielo era di nuovo coperto, per cui faceva fatica a rendersi conto dell’orario. Provò a muoversi, e il suo corpo gli rimandò fitte di dolore talmente intense che gli fecero correre dei brividi sottopelle.
Abbassò gli occhi sull’involto di tela bianca che stringeva ancora fra le braccia, e le lacrime minacciarono di ricominciare a scendergli lungo le guance.
Si rialzò adagio, serrando i denti per trattenere i gemiti. La manica destra dell’abito era dura di sangue secco, e così il fianco sinistro. Con gesti esitanti prese un lembo del mantello e lo strappò per confezionare bende di fortuna, che poi strinse sulle ferite.
Fatto questo, sporse cauto la testa dal letto del canale: la campagna era deserta, gli alberi ormai spogli protendevano rami neri verso il cielo. I lunghi solchi paralleli dei campi arati si perdevano in un orizzonte nebbioso.
Dove portare il libro?
Non aveva soldi, era ferito, era esausto, indossava abiti che potevano comportare il suo arresto immediato, che cosa poteva fare?
Si sedette di nuovo. Scartò subito l’idea di raggiungere Jussy: forse ce l’avrebbe fatta, in fondo non era lontano, ma non voleva esporre la sua famiglia a inutili rischi. Tutti sapevano che il figlio minore del barone de Jussy era entrato nell’Ordine del Tempio, e quello era il primo posto dove le milizie del re sarebbero andate a cercarlo, una volta accertato che non era fra i Templari arrestati a Vaux.
Le milizie del re,” ripeté a mezza voce.
Il re di Francia non aveva alcun potere sui tedeschi.
Guardò di nuovo fuori dal canalone, e rimase a scrutare fino a che non fu certo che non ci fosse nessuno. Dopo di che si inerpicò fuori a fatica, e con il libro stretto al petto prese a camminare in direzione di Metz.
Era quasi grato alla stanchezza e al dolore fisico, perché essi lo distoglievano al pensiero di fratello Roland.

Raggiunse finalmente la strada per Metz. Aveva fatto larghi giri per evitare masserie e villaggi, perché temeva che i contadini, riconoscendo la sua croce scarlatta, l’avrebbero denunciato agli sbirri. Aveva anche pensato di indossare la tunica alla rovescia, in modo che il simbolo dell’Ordine non si vedesse, ma non era sicuro di riuscire, ferito e dolorante com’era, a togliersela, rovesciarla e indossarla di nuovo. Senza contare che andando in giro sporco, insanguinato e con gli abiti a brandelli avrebbe in ogni caso attirato l’attenzione.
Si nascose in una macchia sul ciglio della strada e per un po’ rimase immobile in ascolto, poi, quando fu certo che non ci fosse nessuno, riprese la marcia in direzione della città.
Guardò il cielo: ormai doveva essere primo pomeriggio. Avrebbe dovuto trovare un nascondiglio nei dintorni della città, per entrarvi verso sera, protetto dalla luce fioca del crepuscolo.
In quel momento, cominciò a sentire alle sue spalle un abbaiare di grossi cani.
Si irrigidì in ascolto, i muscoli già tesi e pronti alla fuga, e dopo un po’ si sovrapposero ai latrati delle urla di incitamento. “Hanno trovato la pista!” gridò qualcuno.
Cominciò a correre con tutta la velocità che le sue gambe doloranti gli consentivano.
L’abbaiare aumentò.
Eccolo là!” sentì urlare alle sue spalle.
Deve avere un libro!” disse qualcun altro. “Non rovinate il libro!”
Gwenel continuò a correre senza voltarsi indietro, ansante, con il cuore che sembrava volergli balzare fuori dalla gola a ogni battito.
Qualcuno lo afferrò per il mantello e lo fece cadere all’indietro, il ragazzo rotolò via, si rialzò e riprese la fuga, solo per vedersi correre incontro altri due armigeri. Tutt’intorno c’era il latrare furioso dei mastini, che tiravano le catene bramosi di avventarglisi addosso.
Riuscì a riguadagnare la strada, ma un dolore lancinante alla schiena gli strappò un grido di dolore. Crollò in avanti, si sollevò sui gomiti in un ultimo tentativo di trascinarsi via, ma ecco che a un tratto le grida di incitamento e trionfo dei suoi aguzzini cessarono per lasciare il posto a un silenzio attonito, nel quale si udì poi poderoso galoppo.
Incapace di alzarsi, Gwenel sentiva vibrare il terreno come percosso da qualcosa di molto pesante.
Alzò gli occhi ormai annebbiati: contro il cielo si stagliava un cavaliere in armi. Questi montava un destriero dalla gualdrappa bianca, e portava un Grande Elmo ornato di ali bianche e nere.
Si sentì invadere da una sensazione di sollievo. “Dio, ti ringrazio,” mormorò, e poi perse la cognizione delle cose.

§

Vestito di una semplice tunica lunga e di una sopraveste pesante, Gwenel sedeva nel piccolo cortile sull’acqua. In piedi accanto a lui, Fratello Friedrich reggeva un involto di tela un tempo bianca, incrostato di sangue secco e sporcizia. “Era questo che volevate?” gli chiese.
Il ragazzo annuì. Era ancora smagrito e pallido, ma ormai, dopo alcun settimane trascorse nell’ospedale teutonico, stava cominciando a riprendersi. “Sono felice che l’abbiate salvato.”
L’altro sorrise. “Non avrei potuto fare altrimenti: anche nell’incoscienza continuavate a stringerlo così forte che hanno faticato a togliervelo quando è stato il momento di medicarvi.” Lo appoggiò sulla panca.
Mi dispiace,” rispose Gwenel. Fece scorrere le dita sull’involto come se lo stesse accarezzando. Un velo di malinconia gli incupì i lineamenti.
L’importante è che ora stiate meglio,” rispose il tedesco, mettendogli una mano sulla spalla.
Il ragazzo si limitò a emettere un sospiro.
Lo so,” assentì l’altro, stringendo appena la presa, “Perdere fratello Roland è stato un duro colpo per tutti. Ma almeno è caduto da eroe, prima che trascinassero nel fango l’Ordine che aveva giurato di servire.”
Gwenel deglutì, faticando a trattenere le lacrime come ogni volta che si parlava di lui, poi disse: “Non credo che avrebbe voluto vedere quello che sta succedendo adesso.”
Fratello Friedrich stava per rispondere quando sopraggiunse fratello Adalbert.
I tre si scambiarono alcuni convenevoli, poi il nuovo arrivato adocchiò l’involto di tela e chiese: “Finalmente possiamo sapere cosa c’è dentro?”
Il più giovane abbassò lo sguardo. “È un libro.”
Un libro?” fece eco l’altro, subito interessato.
Sì, un libro che fratello Roland mi ha ordinato di proteggere a costo della vita.”
Cosa che peraltro stavate per fare,” rispose fratello Adalbert. Poi, dopo una pausa: “Possiamo vederlo?”
Il ragazzo spostò alternativamente lo sguardo dall’uno all’altro dei due Teutonici. Doveva a loro se era vivo, in salute e al sicuro. Ricordava la stima che entrambi avevano per fratello Roland, e quella che il suo mentore aveva sempre nutrito nei loro confronti.
Sollevò l’involto e lo porse a fratello Adalbert.
Questi lo prese e ne estrasse un libro dalla semplice rilegatura di pelle marrone. “Non ha titolo,” disse perplesso, rigirandoselo fra le mani. Lo appoggiò sulla panca, e con fratello Friedrich che guardava da sopra la sua spalla, lo aprì a caso e cominciò a sfogliarlo. Comparvero strane figure di corpi umani con fiori dai molti petali lungo la spina dorsale, simboli alchemici, testi scritti con alfabeti sconosciuti, l'Albero Sefirotico, principi ermetici e gnostici.
Che cos’è?” chiese fratello Adalbert. Teneva la voce bassa, come se non volesse farsi sentire.
Fratello Roland ha detto di nasconderlo e non farlo vedere mai più a nessuno,” disse Gwenel per tutta risposta.
Lo credo bene,” intervenne fratello Friedrich. Sfogliò anche lui qualche pagina del misterioso libro, e si fermò sull’immagine del vessillo bianco e nero dell’Ordine. “Qui parla del Beauceant,” disse rivolto a Gwenel, poi lesse: “Il dualismo espresso da questo emblema rappresenta le due forze cosmiche opposte e complementari, la lotta tra il Bene e il Male, il costante dinamismo dei due principi fondamentali che muove e governa il mondo.” Richiuse il volume, lo scrutò per un po’ con le sopracciglia aggrottate, infine disse: “Lo metteremo nella biblioteca, lì sarà al sicuro. Nessuno può cercare qualcosa di cui non conosce l’esistenza.”
Vi ringrazio, fratello Friedrich,” rispose Gwenel.
Fratello Roland è morto per difenderlo,” commentò l’altro, come per sottolineare l’importanza del volume, ma il più giovane con voce pacata rispose: “Io credo che fratello Roland sia morto per difendere la sua idea di Tempio, in realtà.”
Fratello Friedrich si voltò a fissarlo. “Che intendete dire?”
Avrebbe potuto lasciare il libro a Sainte-Ruffine e far perdere le sue tracce senza alcuna fatica, ma ha preferito sacrificare la vita per portarlo in salvo a tutti i costi.” Fece una pausa, durante la quale si passò una mano sugli occhi, poi proseguì: “Io credo che lui abbia voluto dimostrare che nonostante il fango e le accuse infamanti, gli ideali di eroismo e sacrificio del Tempio sono rimasti puri.”
Nessuno rispose, e sul gruppetto calò un silenzio solenne.
Soffiò a quel punto un refolo di vento freddo, che sibilò tra i rami ormai spogli dei salici. Ancora debole per le ferite ricevute, il ragazzo rabbrividì.
Il Teutonico si tolse il mantello e glielo pose sulle spalle. “Ecco, va meglio così?”
L’altro lo fissò stupefatto. “Ma… fratello Friedrich...”
Puoi tenerlo. Sei uno di noi, ora.”










[1] Testo originale dell’ordine di arresto dei Templari, probabilmente redatto da Guillaume de Nogaret.
[2] Nell’Ordine Teutonico c’erano anche delle sorelle, che avevano principalmente il compito di assistere i malati negli ospedali.
[3] Perdere l’abito (ovvero perdere il diritto di portare il mantello bianco con la croce dell’Ordine) era una pena che veniva applicata per gravi infrazioni della Regola, e di solito durava per un periodo limitato di tempo, durante il quale il fratello decaduto subiva varie umiliazioni, come ad esempio quella di mangiare per terra e non a tavola con gli altri. Perdere l’abito per sempre significava essere espulsi dall’Ordine (e trascorrere il resto della propria vita in convento, o nei casi gravi imprigionato).
[4] Preghiera che viene recitata verso le 06.00 del mattino.
[5] Il testo che raccoglieva tutte le regole e le usanze del Tempio era posseduto solo dal Gran Maestro e da alcuni alti dignitari, per evitare che potesse essere letto da estranei. Tutte le norme di comportamento all’interno delle commende e delle magioni erano tramandate oralmente.
[6] Nelle camerate dei Templari era d'uso tenere una lanterna accesa tutta la notte.
[7] Poco più di una cordicella che tutti i Templari portavano sotto i vestiti. Aveva la funzione di impedire che durante la notte la camicia si arrotolasse lasciando il torso scoperto. Nel corso dei processi fu considerata un simbolo di idolatria e stregoneria.
[8] Lc. 12:8-9







PICCOLO ANGOLO DELL’AUTORE: lo so, non pago di avervi trifolato le gonadi con questa storia praticamente infinita, ho anche la pretesa di scrivervi un pensierino di chiusura. Non odiatemi, giuro che sarò breve.
Questa è la mia versione del “mito” dei Templari. Mito che nella realtà non è mai esistito, ma è stato essenzialmente creato ad arte dall’Inquisizione quando le circostanze storico-politiche hanno reso necessaria l’eliminazione dell’Ordine.
I riferimenti al Tempio Nero e al Codice Ombra prendono spunto da dati storici, ma la forza mitopoietica dell’Ordine è tale che non sapremo mai con quali e quante discipline misteriose i Templari vennero in contatto, e cosa effettivamente acquisirono da esse.
Tutti questi segreti – che forse segreti non sono mai stati – sono perduti per sempre, e rimane a colmare i vuoti solo la fantasia degli scrittori (o degli scribacchini, come nel mio caso).
Detto ciò, io vi ringrazio di nuovo, perché sono i lettori che rendono le storie vive, e voi avete fatto vivere la mia storia.

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