Il Sole e la Luna

di Generale Capo di Urano
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Tenendosi per mano ***
Capitolo 2: *** Coccolandosi da qualche parte ***
Capitolo 3: *** Guardando un film ***



Capitolo 1
*** Tenendosi per mano ***



I
Tenendosi per mano


Appuntamento... altrui 


 

«Elisabeth…»
Un gemito, un lamento strozzato.
«Elisabeth, la mano…»
Ungheria, con lo sguardo fisso poco lontano e mordendosi nervosamente le unghie della mano sinistra, girò appena le pupille per poter vedere con la coda dell’occhio il compagno seduto accanto a lei. «Dici che sono troppo nervosa?» domandò, con tono preoccupato.
«N-no, figurati… solo un pochino.»
Austria credette di cominciare a perdere la sensibilità delle dita a causa della forza con cui la ragazza le stava stringendo. Erszébet finalmente se ne accorse e allentò un po’ la presa, provocando un sospiro di sollievo da parte dell’altro. Indossava un cappello nero a tesa larga e degli occhiali da sole – identici a quelli che l’aveva costretto a mettere, assieme a un orribile borsalino grigio che aveva ripescato da chissà dove – e tra l’uno e l’altra apparivano tanto ridicoli che probabilmente, invece che passare inosservati, ottenevano esattamente l’effetto opposto.
«È che… guardalo! Non è possibile!» La bella ungherese indicò un tavolo a pochi passi di distanza dal loro, dove due individui ben noti stavano chiacchierando amabilmente, del tutto ignari della loro presenza – e per fortuna, avrebbe aggiunto Roderich.
“Chiacchierare amabilmente” non era però forse il miglior modo per descrivere ciò che stava accadendo, perché da quel poco che potevano vedere un affascinante giovanotto dai tratti mediterranei stava flirtando spudoratamente con un bel ragazzo biondo che non pareva afferrare minimamente i segnali che il compagno gli stava mandando.
«Un cretino. Prussia ha cresciuto un cretino.»
«Non esageriamo, non può essere messo così male… ecco, un attimo, sentilo.»
Videro Italia appoggiare il volto sul pugno chiuso e sorridere sornione, con le palpebre socchiuse, mentre con l’altra mano girava il cucchiaino nella tazzina di caffè appoggiata sul tavolino.
“E dimmi, ti sei fatto male quando sei caduto dal cielo?”
“Ma se ti ho detto dieci minuti fa che il volo è andato bene…”
Veneziano sospirò sconsolato; Ungheria scattò in piedi come una molla. «Andiamo, che problemi hai?!»
Austria fece appena in tempo a tirarla nuovamente sulla sedia e a coprirli entrambi con il cappello di lei, prima che metà della gente presente in piazza si girasse a guardarli. Simulò un casquet improvvisato, portando il volto a pochi centimetri dal suo, respirando lentamente mentre pregava che tutti – ma soprattutto i due idioti loro conoscenti – li scambiassero per una novella coppietta un po’ eccentrica.
Erszébet si lasciò sfuggire una risatina. «Hai degli occhi bellissimi» scherzò, fissandogli gli occhiali da sole.
«Non possiamo pretendere di spiare qualcuno se esci allo scoperto così, però…»
«Lo so, mi sono lasciata prendere dall’irritazione.»
«In effetti hai ragione, è cretino quanto il fratello. Era un tentativo talmente stupido e disperato che persino Gilbert avrebbe capito che ci stava provando.»
Spiarono i due da dietro al cappello, e solo quando furono sicuri che fossero tornati alle loro chiacchiere ripresero la loro normale posizione. La donna cercò nuovamente la sua mano e Roderich ricambiò la stretta, portando entrambe le loro mani sul tavolinetto del bar.
«Oh, ho capito, fingiamo di essere due fidanzatini che si fanno gli affari loro. Sei un genio.»
«Fingiamo?»
«Dai, hai capito quello che intendevo. Ho un’altra idea…»
Ungheria fermò il primo venditore di rose che passava di lì, indicandogli i due ragazzi. «Guardi, lo vede quel tizio biondo e alto laggiù? Sono sicura che ha proprio bisogno di un mazzo di fiori da regalare al suo moroso, lo vede com’è disperato? Vada, vada. No, io non… no, a noi non… Roderich? Aiuto?»
Austria sospirò, acconsentendo a comprare una rosa. «Lo faccio per un bene superiore.» Gliela porse, accennando un sorriso. Le accarezzò lievemente il palmo della mano e gliela strinse appena, avvertendo il lieve tepore della sua pelle; l’ungherese appoggiò il capo sulla sua spalla.

“Ludwig, guarda! Che belle rose!”
“Vuole comprare delle rose per il suo ragazzo? Guardi che belle, guardi, gli piacciono, vede?”
“Il mio ragaz- no, aspetti, io non…”
“Dai, così poi stasera… eh! Capito? Dai, due rose. Una.”
“Stasera cosa?”

“Mi arrendo. Ludwig, porca puttana, comprami una rosa e basta, che poi ti spiego.”












Angolino della disperazione
Alla fine, mi sono decisa anche io a fare questa follia. Più che altro è un modo per dedicarmi a qualche storiella leggera nei tempi morti - e per scrivere ancora qualcosa sugli amori della mia vita, dato che è un po' che non mi occupo di questi due (ironico che il primo capitolo sembri più incentrato su tutt'altra coppia, ma è bello immaginarli impazzire per il loro figlioletto adottivo e per quel pirla del suo compagno. Purtroppo Germania in amore è come il fratello: impedito.)
Chissà quando mai continuerò, ma pazienza. Chi vivrà vedrà, come si dice...



 
Il sole e la luna - Claudio Baglioni

 

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Capitolo 2
*** Coccolandosi da qualche parte ***



II
Coccolandosi da qualche parte


Domenica mattina


 
 
«Roderich, è mattino.»
«È domenica...»
«Lo so che è domenica, ma è comunque tardi...»
Erszébet cercò di sollevarsi dal letto, ma le braccia pallide e magre del compagno la trattennero e la strinsero contro il suo petto – Austria, con la mente ancora annebbiata a causa del sonno, affondò il volto tra i suoi capelli mossi e spettinati e la donna si lasciò sfuggire un sospiro che pareva tutt’altro che infastidito. Lasciò ricadere il capo sul cuscino morbido, permettendogli di baciare il proprio collo e le proprie spalle, emettendo di tanto in tanto un risolino deliziato e agitandosi appena quando il respiro caldo di Roderich le solleticava la pelle e la faceva sussultare.
Un velo di sonno tornò ad impossessarsi dei suoi occhi e tentò di trattenere uno sbadiglio mentre cercava nuovamente di divincolarsi e il compagno la tratteneva, ostinato, stretta a sé.
«Per quanto ancora hai intenzione di crogiolarti nel letto?»
«Posso rispondere “tutto il giorno”?»
Ungheria accennò un sorriso, girandosi quel tanto che bastava per intravedere il volto assonnato dell’austriaco e tirargli scherzosamente un ciuffo di capelli. «Chissà da chi ha preso il piccolo Veneziano...»
«Mi devo reputare offeso?»
Erszébet rise, sbadigliò, sollevò con fatica il busto per riuscire a sedersi; Austria lasciò che le proprie braccia cadessero a peso morto sul materasso, con un lamento contrariato. L’ungherese non poté fare altro che notare, con una punta di tenerezza, quanto potesse essere dolce quando si lasciava andare – e lei aveva l’opportunità di osservare, ogni giorno, la parte di lui più affettuosa e rilassata.
Roderich sfregò gli occhi con il pollice e l’indice della mano destra, per poi sollevarsi sui gomiti e rivolgerle lo sguardo con gli occhi ancora offuscati – non che, generalmente, potesse vedere molto senza i propri occhiali. «Quindi dobbiamo proprio?»
«Non è che puoi vivere per sempre nel letto... anche se lo vorresti.»
Austria emise un lieve sbuffo, mettendosi finalmente a sedere, non senza fatica. Ungheria ridacchiò e si accoccolò per qualche secondo contro il suo petto, lasciandogli poi un piccolo bacio sulla guancia; rimase stretta a lui per qualche altro istante, prima di far scivolare le gambe giù dal letto e cercare, a tentoni, le pantofole abbandonate lì accanto la sera prima.
«Se ci alziamo poi posso anche darti il bacio del buongiorno, no?»
«Perché non adesso?»
«Con la bocca impastata e l’alito di fogna che ci si ritrova la mattina? Anche no!»
«Vero, vero. Hai vinto tu.»
«Bleah.»
Solo in quel momento si accorsero degli occhietti viola che li fissavano dall’uscio socchiuso, con un’espressione a metà tra l’assonnato e il disgustato. Pareva quasi una statua, il piccolo Kugelmugel, una minuscola statuina con il pigiamino lilla, deciso a non muoversi da lì finché non avesse ricevuto attenzioni; non gli piaceva parlare, si limitava ad aspettare che qualcuno lo notasse.
«Edwin, da quanto tempo sei lì?»
Il bambino scrollò le spalle. Roderich si limitò a scuotere la testa, ormai abituato alle stranezze della Micronazione, mentre Erszébet riusciva finalmente ad alzarsi e dirigersi verso la porta con un sorriso.
«Hai fame? Vado a preparare la colazione. Tu vedi di alzarti!» Disse l’ultima frase puntando il dito contro il compagno, provocando un leggero sorriso sul volto di lui.
«Sì, sì...» fu la sua risposta, mentre osservava i due sparire dietro l’uscio.
Non appena li udì scendere le scale, tornò ad accoccolarsi tra le coperte ancora tiepide.









Angolino carino e coccoloso (circa)
Dovrei seriamente controllare ogni volta gli altri prompt prima di scrivere, dato che mi sono ricordata solo ora che ce n'è uno chiamato "during their morning ritual(s)" - pazienza, ho un'idea diversa per quello. Anyway, non è nulla di che questo capitoletto, anche perché le coccole non ispirano altro che fluff a volontà (e mentre scrivevo questa frase mi sono venute in mente centinaia di situazioni angst in cui due persone potrebbero coccolarsi).
Austria come sempre non c'ha voglia di fare un tubo, ma lo si ama anche per questo. E il fatto che voglia vivere per sempre nel letto non si riferisce solo al dormire IF YOU KNOW WHAT I MEAN. Kugelmugel ogni tanto apparirà, perché è una creaturina bellissima e lo adoro.

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Capitolo 3
*** Guardando un film ***



III
Guardando un... film?


Viszlát nyár


 
Erszébet, stravaccata sul divano in una posizione tutt’altro che umanamente accettabile, staccò per qualche secondo gli occhi dalle immagini in movimento sul televisore per spostare lo sguardo sul marito accanto a lei: Roderich era seduto normalmente, con le braccia ancora incrociate davanti al petto, ma la sua testa era piegata all’indietro, appoggiata neanche troppo comodamente allo schienale, e il suo respiro era lento e regolare.
«Ehi, già dormi?»
Non ricevette risposta e ridacchiò, punzecchiandolo lievemente e pizzicandogli il braccio, dispettosa; quello si scostò un poco, mugugnando un debole “sono sveglio”, prima di tornare al precedente stato di completa inerzia. La donna piegò le labbra in un sorriso addolcito, decidendo di lasciarlo in pace, mentre tornava a girarsi verso lo schermo. Dopotutto, era comprensibile: avevano fatto zapping fino a una mezzoretta prima, senza trovare nulla di interessante, per poi optare per un filmetto da quattro soldi – ancora non aveva capito se dovesse essere una commedia romantica, un film comico o un horror, considerata la qualità della recitazione degli attori – su un canale secondario di cui neanche conoscevano l’esistenza. Avrebbero potuto fare tutt’altro, quella sera, ma la fiacchezza di quella serata e l’udito fin troppo sensibile del piccolo Kugelmugel li avevano fatti desistere dai loro propositi.
Ungheria si sollevò, sedendosi a gambe incrociate e andando ad appoggiare il capo sulla spalla del compagno ormai in coma profondo – stava quasi... russando? – e socchiudendo le palpebre, nel faticoso tentativo di vincere il sonno; aveva almeno il diritto di sapere come sarebbe andata a finire quella tortura.

Stava giusto cercando di seguire con serietà una scena che forse, nelle intenzioni originali, doveva risultare addirittura tragica – e il suo dover trattenere le risate dimostrava che non c’era affatto riuscita – quando una consapevolezza improvvisa le balenò nella mente e le fece dimenticare del tutto quel film ridicolo: «Ehi, ma stasera c’è l’Eurovision!»
Tutt’a un tratto pimpante come se avesse dormito per otto ore filate, abbandonò la spalla di Austria – che non reagì minimamente, cotto com’era – e si allungò verso il tavolinetto di vetro davanti al divano per riuscire a raggiungere il telecomando. Gli diede una gomitata, mentre cambiava canale, non troppo forte. «Roderich, l’Eurovision!»
«Hm-mh, sì, sto ascoltando.»
«Guarda che c’è pure l’Austria... va beh, arrangiati.»
Tornò ad accoccolarsi contro lo schienale con un sorriso, ogni traccia di sonno ormai completamente cancellata; la serata, alla fine, stava finendo meglio del previsto. Perlomeno, aveva la possibilità di vedere qualcosa di tutt’altro che noioso.

Non che la tranquillità dovesse avere vita lunga: il suo desiderio di commentare ogni singola esibizione con qualcuno doveva essere soddisfatta – ma quel morto di sonno del suo adorato compagno non sembrava avere la minima intenzione di partecipare ad un’accesa conversazione su quanto l’esibizione dell’Ucraina fosse indiscutibilmente e meravigliosamente trash, sulla bellezza delle canzoni dell’Albania e della Danimarca e sulla Svezia che sembrava aver deciso di portare Justin Bieber come partecipante. Erszébet sbuffò e abbassò gli occhi sullo schermo del cellulare, tornando a seguire la discussione degli altri – bisognava ammetterlo, non c’era nulla di più divertente del litigare su chi avesse la canzone migliore.

“Scusate, quando tocca a noi?” scrisse, impaziente.

“Se vince Cipro ammazzo qualcuno.”

“Ehi, che ti abbiamo fatto?”

“Dai, tesoro, guardiamoci in faccia, non è una canzone che merita di vincere...”

“Ma perché noi dobbiamo essere ultimi?”

“Ma perché la Svezia si è qualificata, quella è la vera domanda.”

“CAGATEMI!”

“Bonjour finesse! Adesso ci siete voi, subito dopo Giustino Biberino 2.0”

“Tu sai già che hai il mio voto Hun, vero?”

Ungheria sorrise al cellulare, prima che un lampo di genio le balenasse nel cervello. Si girò verso il compagno un’ultima volta: «Tesoro, dormi?»
Respiro lento, nessuna risposta; Erszébet, infame come non mai, ridacchiò sottovoce mentre riprendeva in mano il telecomando.
Quell’immensa sofferenza dell’esibizione svedese terminò e la donna cominciò ad alzare, piano piano, il volume che fino a quel momento era rimasto piuttosto basso; aspettò di vedere, sul palco, i propri rappresentanti, prima di alzarlo al massimo.

Se quella fosse stata una gara di salto in alto, probabilmente Austria avrebbe battuto il record mondiale. Schizzò in aria come un gatto, con la tachicardia a mille, prima di tapparsi in fretta e furia le orecchie non appena scoperto cosa l’avesse svegliato. «Che accidenti è?!»

Játsszunk nyílt lapokkal végre
A hajómnak mennie kell
És itt fog hagyni téged


Ungheria scoppiò a ridere, rotolando tra i cuscini del divano; un mezzo spaventato Kugelmugel entrò in salotto, domandandosi cosa stesse succedendo.
«Ti sei svegliato, tesoro?»
«Stai cercando di uccidermi?»
La compagna cercò con fatica di riprendere fiato e di sollevarsi, prima di crollare nuovamente sulle ginocchia del compagno, ridendo e cantando allo stesso tempo.
«VISZLÁT, NYÁR, MOST MÁR ELKÉSTÉL
MERT AZT HAZUDTAD, ENYÉM LESZEL
DE NEM JÖTTÉL!»



Alla fin fine, poco le importò di non aver raggiunto le prime posizioni: si considerava decisamente il vincitore morale. Il povero Roderich, seppur traumatizzato a vita, si consolò con il terzo posto di una competizione che non aveva neppure seguito – ma poco importava, poteva vantarsene comunque.







Angolino del delirio
E comunque mi sto ancora domandando come abbiano fatto Cipro e Svezia ad ottenere tutti quei punti. La gente si droga — e noi raderemo al suolo San Marino per poi ricoprirla di sale. Stronzi.
Anyway, sì, forse dovrei smetterla di interpretare i prompt un po' come mi pare... ma così è più divertente. Volevo approfittare dell'hype che mi ha assalito per l'Eurovision e per l'Ungheria — se non avete ancora ascoltato quella figata stratosferica della loro canzone, fatelo — e ancora non ho digerito il fatto che non abbiano vinto. E quindi torturo Roderich, perché ovviamente è la cosa migliore da fare in questi casi.

 

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