Harry Potter...to be continued! di Maggie_G (/viewuser.php?uid=944879)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Uscendo dall'ufficio del preside ***
Capitolo 2: *** Ritrovarsi ***
Capitolo 3: *** Doveri, incontri e strette di mano. ***
Capitolo 4: *** La celebrazione degli eroi di Hogwarts ***
Capitolo 1 *** Uscendo dall'ufficio del preside ***
Aveva appena lasciato Ron ed Hermione nel ufficio del preside quando le ormai familiari scale a chiocciola accanto al gargoyle lo ricondussero in uno dei corridoi della scuola dove, a differenza di qualche ora prima, ora regnava un silenzio ricco di inquietudine e di sollievo. Finalmente l’incubo chiamato Voldemort era definitamente passato ma nonostante l’eroe indiscusso della vicenda apparisse lui, dentro di se non si sentiva vestire minimamente questo ruolo. Aveva combattuto, era vero, si era spinto addirittura là dove pochissimi altri avrebbero accettato di andare offrendo infatti persino la propria vita al nemico in maniera del tutto inerme. Alla fine però aveva vinto. Era riuscito a ritornare a vivere e per il traguardo che aveva appena ottenuto non poté non pensare a tutte quelle persone che prima di lui, offrendo la propria di vita o anche solo interponendosi tra lui e Voldemort, in quella nottata, gli avevano permesso di vincere ed addirittura di sconfiggere la morte.
La parete di fronte a se era mezza distrutta, così come metà dell’intero castello di Hogwarts, ma lì, nel cielo che limpido e azzurro ora imperava sulla scuola quasi facendosi beffa dello stato d’animo delle persone che soffrivano sotto il suo manto, ora Harry si ritrovò a pensare ai suoi genitori che aveva rivisto come in un sogno solo qualche ora prima: a suo padre, morto per consentire a lui ed a sua moglie di scappare per salvargli la vita; a sua madre, morta per salvargli la sua di vita. Ripensò poi a Sirius, il suo padrino, il primo che lui avesse mai considerato al pari di un genitore, che aveva lasciato il suo posto sicuro ed aveva rischiato di tutto pur di difenderlo e di essergli sempre accanto; a Remus, Tonks, Malocchio, Fred insieme a tanti altri conosciuti e non che si erano schierati al suo fianco per combattere in quegli ultimi anni; a Dobby ed a Piton con il coraggio dei quali lui era riuscito ad arrivare a sano e salvo fino a quella sera. Per un attimo ripensò anche a Draco, quando ammise di non conoscerlo in casa sua, a sua madre Narcissa che qualche ora prima aveva mentito al suo signore sulla sua morte ma anche a Peter Minus, il traditore dei suoi genitori, colui il quale per debolezza li aveva venduti a Voldemort rovinandogli la vita a solo un anno d’età ma che poi in un momento in impensata riconoscenza lo aveva liberato dai sotterranei dei Malfoy rimanendo vittima dello stesso dono concessogli dal suo signore. Ripensò poi a tutto ciò che avevano costituito per lui quelle mura ora così incredibilmente danneggiate: i suoi amici Ron ed Hermione da sempre al suo fianco; Ginny insieme alla sua famiglia che l’avevano amato incondizionatamente fin dal primo momento; Neville, Luna, la squadra più fedele dell’Es e l’Ordine della Fenice che avevano riposto fiducia in lui senza remore ed infine i professori primi tra tutti la Mc Granitt che si era sempre posta orgogliosamente in suo sostegno ed a Lumacorno che nonostante tutto gli aveva consentito di scoprire il segreto più temibile ma anche il più fondamentale per distruggere una volta per tutte Voldemort. Esausto, più dai suoi pensieri che dalla stanchezza che provava dentro, spinse il suo peso contro una colonna del corridoio quando sentendo l’oggetto premergli contro la schiena se lo sganciò dalla cintura che lo teneva fermo per poterlo ammirare nelle sue mani. Era il mantello dell’invisibilità dove avvolto in esso vi aveva inserito la bacchetta di sambuco: la bacchetta di Silente. Entrambi erano stati doni indiretti di quell’uomo che per lui era stato tutto: il suo mentore, il suo protettore, la sua guida e la sua forza. In teoria Albus Wulfrick Brian Silente era stato il preside della scuola che l’aveva visto conoscere e crescere per il mago che era nel mondo del quale faceva parte, in pratica era l’uomo che più di tutti aveva saputo comprenderlo, gli aveva dato fiducia incondizionata e l’aveva fatto letteralmente crescere. Se nell’ultimo anno, per una serie di sfortunate coincidenze, stava addirittura arrivando a nutrire dei dubbi nei confronti dell’autenticità di quell’uomo, le ultime ore avevano offerto ad Harry la certezza che la sua fede nei suoi confronti era stata sempre ben riposta. Quell’uomo infatti, nella sua riservatezza e lungimiranza era stato un brillante stratega dall’inizio alla fine ed oltre, capace di saper spostare i fili dei vari personaggi e delle varie azioni al momento giusto e nel modo giusto offrendo a tutti, non sempre in maniera chiara, dei validi strumenti d’appoggio. Quell’uomo era stato un eccellente pedagogo e, ripensandoci ora con il senno del poi, lo era stato fino in fondo consentendo a tutti loro di provare, agire, anche di fallire se necessario, al fine ultimo però d’imparare, rimediare e soprattutto di crescere.
Harry si guardò la mano e stringendo la bacchetta del preside al quale aveva appena promesso nel suo ufficio di restituirla, non poté che sentirsi più orgoglioso di essere l’uomo di Silente fino in fondo. Nessuno mai aveva avuto un ruolo più incisivo nella sua vita e nelle sue azioni come Silente e lui gliene sarebbe stato grato per il resto della sua vita. La vittoria che avevano riportato quel giorno era solo grazie a tutti loro. Solo grazie a Silente. Di questo ne era assolutamente più che convinto.
Era ancora immerso nei suoi pensieri quando un leggero brusio proveniente dai piani inferiori attirò la sua attenzione. In un gesto istintivo si avvolse allora nel mantello dell’invisibilità di suo padre e quasi come un automa iniziò a camminare allontanandosi da quel luogo. Per l’intero mondo magico Harry Potter quel giorno era per la seconda volta il salvatore di quel mondo, il ragazzo-che-è-sopravvissuto, il prescelto e l’unico capace di aver sconfitto Lord Voldemort per sempre ma sotto quel mantello e soprattutto dentro se stesso Harry Potter in quel momento si sentiva solo un ragazzo con un passato tormentato da perdite e sventure ed il peso di un nome e di una reputazione troppo grande e non proprio attinente a quello che lui sentiva e provava per se stesso.
Continuò a camminare senza una meta tra le macerie di quel luogo a lui così familiare fino a quando quasi per caso, alzando un po’ lo sguardo, si ritrovò di fronte al ritratto di una signora grassa ora assente così come tutti i suoi simili nei quadri vicini. La porta nascosta dietro di se era socchiusa così senza pensarci due volte entrò lasciandosi travolgere da un onda d’aria fresca che a quell’altezza riempiva la sala comune dei Grifondoro da un profondo squarcio che durante la battaglia si era creato nel muro accanto al camino. Finalmente si sentì a casa. Le poltrone scarlatte che arredavano la stanza avrebbero dovuto accoglierlo per il suo settimo anno di scuola, rubatogli invece dalle circostanze, così ricacciando indietro quei pensieri riprese a camminare inoltrandosi su, verso i dormitori maschili, fino alla camera degli studenti del settimo anno. La stanza, così come tutte le altre degli anni precedenti, era la stessa di sempre ad eccezione del numero di letti che al posto di essere cinque, ora ve n’erano solo due, quello di Neville e di Seamus, rendendola così più spaziosa e luminosa. Facendosi ancora guidare dalla stanchezza che ormai circolava libera nel suo corpo iniziò a raggiungere il letto di Neville, il più vicino alla porta, quando all’improvviso sulla sua sinistra un rumore fluido attirò la sua attenzione. La camera, quasi leggendo i suoi pensieri, fece riaffiorare un comodino ed terzo letto completamente pulito e pronto per essere utilizzato. Il letto del quale aveva bisogno. Si tolse così istintivamente il mantello e le scarpe e senza neanche alzare le coperte vi si stese di sopra posando la testa, con ancora addosso gli occhiali, sul cuscino: Hogwarts lo voleva tuttora tra le sue mura. E con quel pensiero in mente si addormentò.
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Capitolo 2 *** Ritrovarsi ***
Riaprì gli occhi dopo un tempo indefinito trovandosi confuso
e disorientato. La debole luce che riusciva ad avvertire era come
coperta da nebbia e toccandosi gli occhi si accorse di non avere
più su se gli occhiali. Allungando un braccio attorno a se,
tastò a tentoni l’aria fino a quando, toccato un
mobile in legno, non vi ritrovò al di sopra quello che al
suo tocco riconobbe subito come le sottili assi di metallo di
ciò che cercava. Inforcò allora i suoi occhiali e
dopo essersi seduto distrattamente sul letto riuscì
finalmente a riacquistare la concezione del luogo dove si trovava e la
consapevolezza di ciò che era accaduto, ora, in mancanza
della stanchezza che l’aveva accompagnato fino ad allora, gli
pesò addosso come un macigno ardente sul suo cuore.
La camera, rimasta intatta nonostante la battaglia che aveva coinvolto
l’intero castello, ora era illuminata da una debole luce
color magenta così Harry, istintivamente, voltandosi per
osservare la finestra da dove quella luce arrivava, finalmente si
accorse di una figura che, accovacciata nell’ombra di fronte
ad uno dei finestroni, lo osservava.
Il suo sguardo, così profondo, tenace e triste strinse come
in una morsa il suo cuore. Solo poche ore prima l’aveva
rivista, più bella e combattiva di come l’aveva
lasciata ed ora ritrovarla così, accanto a lui, illuminata
al viso solo da una piccola striscia di luce dell’alba che
stava per sorgere, sentì il suo cuore riprendere un moto
accelerato. Ginny era una delle cose più belle che la vita
gli aveva offerto. Con lei aveva trovato complicità, attesa,
amore, una vita che chiunque altro suo coetaneo aveva avuto e che a lui
era stata preclusa fin da piccolo. Con lei, per la prima volta aveva
iniziato a vivere la sua di vita. Le circostanze passate
l’avevano costretto a prendere decisioni nei loro confronti
che non desiderava. Per salvaguardarla era stato costretto non solo ad
allontanarsi da lei ma anche quasi a soffocare i suoi sentimenti nei
suoi confronti mentre ora, tutt’ad un tratto, si
trovò a pensare che nonostante tutto lui non
l’aveva mai dimenticata. Non avrebbe mai potuto farlo.
La mappa del malandrino, dove sopra osservando il suo nome poteva
sentirla più vicina a se, era stata nel suo esilio in
quell’ultimo anno una pura forza ad andare avanti. A
combattere. Non solo per contribuire ad eliminare una minaccia
dell’intero mondo magico, al quale ormai apparteneva di
diritto, ma la presenza di Ginny, così come di altre persone
che lui amava e che appartenevano alla sua vita, inconsapevolmente,
l’avevano spinto a combattere anche per ottenere finalmente
una loro libertà, una loro vita, lontano da continue minacce
di morte, lontano da continui pregiudizi ma soprattutto lontano da
continue aspettative legate al suo nome. Troppi di loro avevano
rischiato la propria vita solo perché colpevoli di essergli
molto vicini. Contribuire ad eliminare la causa di tutti quei tormenti
in quel momento sentì fosse stata la ricompensa migliore per
ripagarli di tutti i loro sacrifici.
Harry non sapeva ancora di essere un mago che già era
diventato famoso a causa della tragedia privata che gli era capitata a
solo un anno d’età. Dopo la notte appena
trascorsa, ora era consapevole più che mai che
l’appellativo “prescelto” sarebbe stato
tatuato alla sua identità per sempre eppure dentro di se,
più di tutto, da quel momento sperava anche
d’indossare per tutti solo le vesti di Harry Potter: un
semplice ragazzo di diciassette anni con il suo gruppo di amici ed una
fidanzata che amava profondamente. Ora aveva bisogno di trovare una sua
normalità semmai ne sarebbe stato in grado ma soprattutto se
la ragazza in questione aveva ancora intenzione di ritenersi tale. Dal
giorno del funerale di Silente infatti aveva deciso di premere il
pulsante pausa sulla loro storia e sebbene il bacio che Ginny gli aveva
“regalato” per il suo compleanno era stato una
delle cose più belle ed intense mai ricevute, in quel
momento, in sua presenza, si sentì ad un tratto in
difficoltà. Una parte nostalgica di se desiderava alzarsi da
lì, afferrarla di slancio e baciarla come non aveva mai
fatto prima ma d’altra parte non riusciva tuttavia a non
considerare e ad accettare la situazione che tutti loro stavano
affrontando in quelle ore all’interno di quelle mura che
riflettevano i cuori infranti e distrutti di coloro che erano appena
sopravvissuti a quella battaglia.
“Sapevo che ti avrei trovato qui. Ho pensato che potevi aver
fame al tuo risveglio così ho chiesto a Kreacher di
prepararti qualcosa da mangiare. Hermione non era molto contenta ma...
-iniziò a parlare Ginny storcendo la bocca come se non le
importasse del parere dell’amica. - Beh, non so cosa sia
riuscito a trovare nelle cucine ma te l’ha sistemato
lì.” Continuò facendogli cenno di
guardare accanto a lui.
Harry allora, facendosi guidare dal suo sguardo, volse la testa verso
il comodino accanto al suo letto notando solo in quel momento un
vassoio con alcuni panini sopra ed, accanto ad esso, il suo mantello
dell’invisibilità piegato con cura con su, poste
una accanto all’altra e posate con leggerezza, la sua
bacchetta e quella di Silente.
“Grazie. – Le rispose allora Harry con un mezzo
sorriso sentendosi fiero della complicità che ancora
riuscivano ad avere tra loro. Un panino ed una buona dose di sonno
erano proprio ciò che più aveva desiderato
dall’uscita dell’ufficio di Silente e lei
l’aveva saputo. - Kreacher è qui?” Le
chiese allora per evitare un silenzio imbarazzante tra loro.
“Si. Con gli altri elfi hanno anche combattuto nella
battaglia anche se...non credo tu te ne sia accorto. – Gli
rispose velando il suo sguardo nuovamente di tristezza ma riprendendosi
subito dopo... - A proposito, credo che possa aver avuto qualche botta
in testa il tuo elfo, sai?”
“Kreacher è ferito?”
“Fisicamente non mi è sembrato ma mi ha...o
meglio, ti ha dimostrato una strana gentilezza ed apprensione. A casa
non abbiamo mai avuto un elfo domestico, perciò non so come
si comportano di solito, ma a quanto ho notato si è
dimostrato sinceramente più fedele a te che non in tutto
quel tempo che l’ho visto approcciarsi con Sirius, da quel
che ricordo quando siamo stati a Grimmauld Place, certo.”
Spiegò Ginny sincera.
Quelle parole rincuorarono inaspettatamente Harry. La confusione che
l’aveva coinvolto in battaglia infatti gli aveva fatto
sfuggire la presenza degli elfi ma sapere ora di Kreacher al suo
fianco, sano e salvo, calmò il suo dispiacere
nell’averlo lasciato solo a Grimmauld Place, dopo la loro
fuga dal Ministero della Magia, rendendolo orgoglioso di lui.
“Kreacher...se non consideriamo l’amicizia con
Dobby...è anche per me il primo elfo, perciò non
so come funziona con loro, però grazie a qualche direttiva
di Hermione devo dire che è il migliore che potessi
desiderare.”
“Furba quell'Hermione!” gli rispose così
lei riprendendo una sua vecchia battuta ascoltata dopo il funerale di
Silente e facendolo di fatto sorridere.
“Vuoi un panino?” le chiese allora Harry afferrando
il primo che gli veniva a tiro per iniziare a mangiarlo.
“Non ho fame, grazie.”
“Sei sicura? Ne avresti bisogno...”
“Oh beh. Ci sono tante cose che avremmo bisogno non credi?
Una doccia, ricostruire questo castello, ritornare alle nostre
vite...” sbottò Ginny all’improvviso
costringendosi a guardare fuori dal finestrone dove l’alba
ora dominava sull’intero territorio di Hogwarts.
Harry rimase spiazzato. Riposò il panino sul vassoio e
guardandola comprensivo...
“Hai ragione.” Le disse sincero abbassando
così lo sguardo sulle sue mani ancora sporche.
“Senti...scusa Harry, non ce l’ho con te. Davvero.
E’ solo che sono stufa di sentirmi dire dagli altri di cosa
ho bisogno o no! Non sono più una bambina da difendere e
proteggere contro i cattivi ma mi piacerebbe che ognuno di voi mi
accettaste per quella che sono veramente...con le mie
capacità e con i miei limiti. Non ho ancora la maggiore
età, è vero, ma non credo che sia necessario
avere diciassette anni per difendere i propri ideali e ciò
che si ama! Insomma...” continuò riversandogli
addosso tutta la sua frustrazione repressa nelle ultime ore.
“Ginny, hai ragione.” La bloccò
così Harry sentendosi anch’egli responsabile.
Capiva perfettamente lo stato d’animo di Ginny. Ancora
ricordava lucidamente la rabbia che gli ribolliva dentro
quell’estate quando tutti, Silente in primis,
l’avevano escluso da tutte le notizie e le iniziative che
stavano nascendo dopo il ritorno di Voldemort. Anche lui si era sentito
escluso ed aveva dato di matto contro Ron ed Hermione una volta
arrivato a Grimmauld Place. Nessuno meglio di lui riusciva a capirla in
quel momento. Si alzò così in piedi e senza
pensarci sopra continuò...
“Ed anch’io ti devo le mie scuse per come mi sono
comportato nella stanza delle necessità prima della
battaglia. So perfettamente come ti senti, quello che hai provato
e...quella che sei. So bene come ci si sente quando tu ti sei
dimostrato all’altezza e gli altri sminuiscono il tuo lavoro
solo perché per loro sei piccolo. Ed allora, per lo stesso
motivo, ti tengono all’oscuro di tutto chiudendoti sotto una
campana di vetro affinché tu non possa farti male quando
invece il tuo unico desiderio è quello di combattere per
ciò in cui credi, per le persone che ami e per renderti
utile! Ma ti dirò una cosa: troppe persone sono morte nella
mia vita per proteggermi, per salvarmi o per aiutarmi. Attorno a me ho
visto troppe vite spegnersi a causa del mio nome ed è
proprio per questo che prima nella stanza delle necessità
non ti ho dato appoggio affinché scendessi in battaglia. Non
volevo chiuderti sotto una campana di vetro, non ho nessuna
autorità per farlo ne, credo, tu con le tue
capacità, ne abbia bisogno. Ma se non ti ho sostenuta
è stato solo per egoismo. Non avrei saputo andare avanti se
tu fossi stata in pericolo. Non che degli altri non me ne importi ma
tu... Nell’ultimo anno con tuo fratello Ron ed Hermione
abbiamo dovuto affrontare prove rischiose e pericolose ma se sono
riuscito ad andare avanti è stato anche perché
sapevo che tu e la tua famiglia, sebbene potrebbe sembrare paradossale
ora dirlo, eravate al sicuro. Ho avuto dei doveri da compiere e per
farlo mi sono addirittura consegnato a Voldemort pur di garantirvi un
futuro migliore. Un giorno, se tu me lo consentirai, mi piacerebbe
raccontarti un po’ ciò che abbiamo vissuto seppur
non è stato un periodo felice. Ma insomma...ecco...volevo
dirti che per me non sei affatto piccola o indifesa. Insomma...guarda
che ancora me la ricordo sai la tua fattura orcovolante durante le
lezioni con l’ES!” Concluse così Harry
con un mezzo sorriso sulle labbra.
Circa un anno prima Harry non si sarebbe mai espresso in quel modo ma
la battaglia appena conclusa aveva lasciato diversi strascichi in
ognuno di loro e se lui voleva ricominciare una nuova vita, parlare
alla persona che amava con estrema sincerità,
all’improvviso gli sembrò un buon modo per farlo.
Ginny a quelle parole spostò allora il suo sguardo su di lui
e ricambiandolo debolmente in un falso sorriso...
“Allora durante le lezioni con l’ES non eri
totalmente distratto! Qualche volta mi osservavi!” Gli
rispose allusiva.
“Ero il vostro insegnante se non sbaglio. Ovvio che guardavo
i miei allievi! E poi se non ricordo male ero più distratto
durante certi allenamenti a quidditch!”
“Dici?”
“Un bolide in testa non si dimentica facilmente, te
l’assicuro!”
“Ci credo...ci credo!” gli rispose sorridendo per
la prima volta in maniera sincera alzandosi allora da terra e
consentendo alla luce fuori dalla finestra d’illuminare
meglio quell’angolo della stanza.
“Che ore sono piuttosto? Quant’ho
dormito?” Le chiese allora Harry ritornando alla
realtà.
Era incredibile come Ginny, nonostante tutto, riuscisse ancora a farlo
catapultare in un altro presente.
“Sono le cinque e mezza del mattino. Si può dire
che hai dormito mezza giornata, credo. Io sono qui solo da ieri
sera.”
“Mezza giornata??? – Esclamò allora
Harry allarmato iniziando a cercare le scarpe sul pavimento per
indossarle. - Ma...”
“I funerali ci saranno solo stamattina sul tardi. –
Lo interruppe Ginny come a leggergli il pensiero. - Hanno pensato di
svolgerli e di seppellirli direttamente qui ad Hogwards per rendergli
omaggio. Ieri hanno chiamato i familiari maghi e babbani delle vittime,
gli auror hanno trasferito i mangiamorte catturati ad Azkaban
e...insomma si sono occupati di varie cose.”
“Chi se ne sta occupando?”
“La Mc Granitt e Kingsley che a proposito ha ricevuto un
comunicato dal Ministero con cui l’hanno promosso
provvisoriamente Ministro della magia.”
“Kingsley, Ministro della magia? Finalmente uno che mi piace!
– Esclamò Harry sarcastico. - E...lui?”
facendosi ad un tratto serio e guardandola negli occhi.
“I mangiamorte caduti sono stati consegnati ai familiari
oppure chi non ha nessuno come lui...se ne sta occupando il Ministero.
Ma non sappiamo altro. Kingsley dice che è meglio che ad
occuparsene siano pochi fidati e che la destinazione sia sconosciuta
per non fomentare future idolatrie.”
“Credo sia meglio così allora. D’ora in
avanti non voglio saperne più niente.” Le
dichiarò Harry strofinandosi gli occhi e sedendosi
nuovamente sul letto.
“Il prescelto ha deciso di andare in pensione?” Gli
chiese Ginny sedendoglisi accanto e provocandogli strane scosse dentro
di se.
“Credo che il prescelto abbia già avuto e dato fin
troppo, no?”
“Si. Lo penso anch’io. Ma a proposito di
avere...sbaglio o quella accanto alla tua è la bacchetta di
Voldemort?” Gli fece notare lei osservando le bacchette
ancora riposte con cura sul mantello.
“Quella veramente era...anzi, è la bacchetta di
Silente. Ed ora che mi ci fai pensare credo proprio di aver bisogno del
tuo aiuto, sai?!”
“Credevo che il prescelto si fosse ritirato!”
“Infatti non è il prescelto a chiederlo.
E’ Harry Potter.”
“Allora se la metti così è meglio che
Harry Potter si mostri per quello che è. –
Ricambiò Ginny alzandosi in piedi e dopo avergli puntato la
bacchetta contro... - Gratta e netta!” Esclamò
pulendolo da tutto lo sporco che gli era rimasto addosso dalla
battaglia.
“Bentornato Harry Potter!” Lo salutò
allora con un sorriso accennato prendendolo per mano.
“E’ veramente bello rivederti Ginny!”
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Capitolo 3 *** Doveri, incontri e strette di mano. ***
Harry, stavolta accompagnato da Ginny, finì di mangiare i panini preparati da Kreacher e dopo aver ripreso le sue cose, mano nella mano, si avviarono di sotto incamminandosi nel castello silenzioso. Scesero i vari piani senza parlare, lasciandosi avvolgere dal calore dell’altro provocato con il semplice tocco delle loro mani e più scendevano più nelle loro menti ritornavano inesorabilmente al presente ed ai macigni dei loro cuori ora in attesa di essere smaltiti. La guerra aveva portato con se troppe ferite e se quelle fisiche con il tempo si sarebbero rimarginate, altre, situate nel profondo di loro stessi, entrambi erano ben consapevoli che l’avrebbero cambiati ed accompagnati per sempre. Con quella consapevolezza arrivarono al primo piano dove passando di fronte ad un corridoio l’attenzione di Harry venne catturata dalla luce soffusa ed ondeggiante delle candele che illuminavano le aule aperte. Sentì la mano di Ginny irrigidirsi di scatto e dopo averla vista abbassare lo sguardo in maniera nervosa Harry capì immediatamente che in quelle aule avevano riposto i corpi dei caduti in battaglia tra i quali, in primo piano nei pensieri dei due, c’erano quelli di Remus, Tonks e di Fred. Stringendo in maniera più decisa la presa sulla mano della ragazza allora la trascinò con se e scendendo l’ultima rampa di scale semi distrutta dai combattimenti si ritrovarono nuovamente di fronte alla maestosa porta di quercia dell’ingresso ora aperta e ostruita da pezzi di castello, polvere e pietre colorate e scintillanti delle case di Hogwarts. Solo lì il loro silenzio fu interrotto da un leggerissimo brusio proveniente dalla sala grande dove si erano radunati alcuni sopravvissuti e familiari per restare vicini ai loro morti o per attendere il funerale previsto per quel giorno. Probabilmente alcuni di loro aspettavano di rivederlo, salutarlo, chiedergli informazioni o ringraziarlo ma Harry, che ancora non si sentiva pronto ed all’altezza di tutto quello, facendo così un lieve gesto con la testa alla sua accompagnatrice ancora silenziosa e pallida, passò oltre l’ingresso fino a ritrovarsi nell’immenso prato che ospitava l’entrata al castello. Superarono i resti della casa di Hagrid, con il suo orto di zucche, e con passo veloce e sicuro di diressero verso il maestoso lago nero dove in un punto preciso delle sue sponde, al limitare della foresta proibita, si trovava finalmente la loro destinazione. La tomba di Silente. Tutt’attorno, disposte in un ordine circolare frastagliato, in quelle ore di loro assenza qualcuno vi aveva disposto circa una cinquantina di altre postazioni destinate alle vittime di quella battaglia. Quella, a quanto gli aveva detto Ginny ad un suo cenno, era stata un’idea della Mc Granitt desiderosa di rendere onore alle vittime che avevano dato fiducia e speranza a Silente e che avevano perso la loro stessa vita in quel luogo. Ad Harry immediatamente sembrò una buona idea e così senza curarsi d’altro avanzò spedito verso il suo obiettivo provando una stretta al cuore nel vedere la tomba dell’uomo che più gli era stato accanto nella sua vita, oltraggiata, profanata e con il marmo crepato. La lontananza dal castello gli aveva permesso di salvarsi dagli scenari più devastanti della battaglia ma ciò che il suo nemico Voldemort aveva osato compiere in quel luogo era ciò che più orribile e vandalico chiunque potesse mai compiere o semplicemente pensare nel mondo babbano così come in quello magico. Fu allora osservando quelle ferite sul marmo che per la prima volta, da diverse ore, l’aver sconfitto Voldemort, l’artefice di tutte quelle azioni malefiche, lo fece sentire bene quasi come avesse iniziato a respirare aria fresca e pulita dopo una prigionia trascorsa in un luogo cupo e chiuso.
“Mi aiuti?” chiese a Ginny dopo un tempo indefinito ed insieme, senza l’ausilio della magia, scostarono leggermente il coperchio della tomba per aprirne uno spiraglio.
Senza guardarvi dentro infilò con delicatezza la bacchetta di sambuco al suo interno lasciandola scivolare dolcemente fino in fondo per poi con la stessa forza richiudere lo spiraglio aperto fino a riportare la tomba al suo stato iniziale. Fecero così qualche passo indietro e...
“Grazie.” Pronunciò Harry sommessamente e Ginny in risposta lo abbracciò dalla vita per poi soffermarsi insieme a guardare la tomba del loro ex Preside.
“Signor Potter.” Chiamò all’improvviso una voce gentile alle loro spalle facendoli voltare sorpresi.
“Professoressa.”
“Ci domandavamo tutti dove fosse finito. Ed anche lei, signorina Weasley, i suoi genitori erano preoccupati.”
“Ci scusi professoressa. E’ colpa mia se ci siamo assentati.” Si fece avanti Harry come a difendere se stesso e Ginny da una possibile punizione per aver infranto qualche regola scolastica.
La Mc Granitt parve capirlo ed infatti...
“Non mi sembra il caso di dare colpe a nessuno. Piuttosto...posso fare qualcosa per te?” gli chiese con fare materno inarcando la sua bocca in un leggero sorriso.
Harry seppur era ancora assente nei suoi pensieri la osservò fugacemente. La loro professoressa di trasfigurazione era sempre stata una donna forte, orgogliosa, severa e ligia al dovere. Indossava sia dentro che fuori un’austerità profonda e nonostante ora mostrasse un’aria stanca e gli abiti non molto in ordine com’era stato abituato a vederla in tutti quegli anni, da quando l’aveva rivista e difesa sulla torre dei corvonero, si ritrovò a volerle veramente bene e ad essere orgoglioso di quella donna.
“Volevo dirle grazie, professoressa. Per tutto. Insomma...” si lasciò sfuggire in maniera onesta lasciando parlare ancora una volta solo il suo cuore.
“Harry, non c’è bisogno neanche di ringraziarmi. Sai bene che potrei risponderti che è stato un dovere per tutti noi ma la verità...e su questo credo che il professor Silente non si sia mai sbagliato... – continuò lanciando una veloce occhiata alla tomba alle loro spalle - è che solo rimanendo insieme, compiendo ognuno di noi il nostro dovere che siamo riusciti a combattere ed a vincere quel mostro. E poi...abbiamo avuto tutti fiducia in te. Nessuno può mettere in dubbio che tu sia stato la nostra speranza migliore.”
Quelle parole colsero Harry del tutto impreparato. Escluso l’evento accaduto nella torre di corvonero o quando gli aveva comunicato che era diventato il cercatore più giovane da circa un secolo e che suo padre sarebbe stato orgoglioso di lui, Harry non aveva mai sentito la Mc Granitt esprimersi con tanta enfasi nei confronti di nessuno, men che meno nei suoi. E l’utilizzo che aveva appena fatto chiamandolo direttamente con il suo nome era la chiara manifestazione di tutto quello. Avrebbe voluto risponderle con qualcosa di appropriato ma improvvisamente ogni parola o discorso gli sembrarono banali, quasi stupidi. Sentiva solo un immenso affetto ed un’immensa riconoscenza nei suoi confronti ed osservando ora la sua espressione si accorse che nonostante il suo silenzio, le sue intenzioni erano state recepite dalla donna.
“Professoressa mi chiedevo se era possibile...ecco, sistemarla un po’.” Esordì Harry dopo un tempo imprecisato deviando il discorso come a volersi togliere dall’imbarazzo del momento.
“Credimi Harry, insieme al professor Vitious abbiamo cercato di fare di tutto per sistemarla in queste ore ma a parte raggiungere il risultato che vedi... Evidentemente ci sono magie che non si possono risanare come nelle altre.” Gli rispose allora sinceramente dispiaciuta guardando la tomba alle spalle dei due ragazzi.
“Capisco. Beh, la mia era solo una curiosità. Ma già che sono qui, posso farle io qualcosa professoressa?” le chiese allora quasi a rincuorarla facendo un cenno alle basi bianche tutt’attorno.
“Più di quello che hai già fatto? No Harry, grazie, ma d’ora in poi credo che sia più giusto, anzi doveroso che tu ti goda i tuoi diciassette anni.” Gli rispose ancora una volta la donna guardando però stavolta anche Ginny, ancora al suo fianco.
“Professoressa!!! Ecco dov’era finita! - si sentì chiamare all’improvviso alle spalle mentre una figura slanciata la raggiunse velocemente - Kingsley ha appena mandato un collaboratore del ministero. Sono stati persino a Spinner’s End ma di lui non c’è traccia. Non si trova da nessuna parte.” Gli comunicò il ragazzo senza badare ad Harry e Ginny presenti.
“Ho capito, ho capito signor Weasley.” gli rispose frettolosamente portandosi stancamente una mano alle tempie come a voler trovare una soluzione.
“Chi state cercando?” s’intromise allora nella conversazione Harry spinto dalla curiosità.
“Harry!!! Ginny!!! Mamma e papà ti stavano cercando...” li saluto allora Charlie notandoli solo in quel momento.
“Arrivo Charlie.” Le rispose così la ragazza staccandosi da Harry e dopo essersi guardati negli occhi come a voler comunicare tra loro tacitamente, raggiunse il fratello per ritornare insieme a lui dal resto della sua famiglia.
“Durante l’ultimo scontro tu e Voldemort avete parlato di Severus...cioè, il professor Piton.” Continuò allora la Mc Granitt senza badare alla breve interruzione.
“Si professoressa. Voldemort ha ucciso Piton l’altra notte. E so anche dove si trova il suo corpo ora. Io, Ron ed Hermione l’abbiamo visto uccidere con i nostri occhi.”
“Con i vostri occhi??? Ma dove? Non siamo riusciti a trovarlo da nessuna parte! E perché poi? Era uno di loro...” esclamò allarmata portandosi entrambe le mani davanti alla bocca spalancata dalla sorpresa della notizia appena acquisita.
“Il suo corpo si trova qui ad Hogwarts. Nel molo del lago nero. E poi comunque non era uno di loro, come ho già riassunto ieri mattina. Beh, questa storia è lunga ma come ho cercato di spiegare a Voldemort stesso, Piton...”
“Il professor Piton, Harry. Indipendentemente dalle azioni che ha commesso lui era un tuo professore.” Lo corresse prontamente la Mc Granitt mostrandogli il suo classico cipiglio severo alle regole.
“Emmm, si, mi scusi. Il professor Piton, come dicevo, da quando sono morti i miei genitori, per amore di mia madre è stato sempre un uomo del professor Silente. E’ stato una sua spia. Era uno di noi ed anche lui la scorsa notte è caduto per difenderci.”
“Ma caro... Ha ucciso il professor Silente, te lo sei dimenticato?! Ha permesso che i Carrow infondessero il terrore su Hogwarts! Aveva la fiducia di Voldemort! Era segnato sul braccio dal marchio nero!” ribattè la donna in maniera oltraggiata e orripilata al solo pensiero di tutte quelle cose a carico del suo collega.
“Non potrei mai dimenticare certe cose professoressa. Se lo facessi rinnegherei tutto ciò che ho passato, tutto ciò che è stato, offenderei la memoria stessa di coloro che prenderanno posto su queste postazioni bianche. Ma non posso neanche rinnegare la verità per quanto sorprendente, strana ed oscura questa si manifesti. Una volta il professor Silente mi disse che la verità era una cosa meravigliosa e terribile e che per questo andava trattata con grande cautela. Beh, io da allora credo fermamente in quelle parole ed è per questo che non le mento quando le dico che il professor Severus Piton è stato uno degli uomini più coraggiosi e fedeli sul quale il professor Silente abbia mai potuto contare. Ha compiuto anche lui i suoi sbagli in passato e di questi ne ha dovuto portare il peso per tutto il resto della sua vita, ma le assicuro che tra gli errori non vi rientra l’uccisione del professor Silente dal momento che lui è stato, all’insaputa di tutti noi, complice della sola volontà dello stesso professor Silente.”
A quelle parole la Mc Granitt trasalì e si bloccò, incapace di andare avanti o di proferir qualsivoglia parola. Lo osservava studiandolo da cima a fondo cercando di scorgere la verità nelle sue parole. Dopo anni d’esperienza nell’insegnamento, a contatto costantemente con ragazzi abituati a mentire o a modificare i fatti, sapeva riconoscere perfettamente dove vi era verità, bugia o illusione di qualcosa che poi si manifestava in altro modo. Lo osservò per qualche minuto in silenzio ma alla fine addolcendo la sua espressione...
“Potter ti ho dato fiducia in guerra...non vedo perché dovrei smettere di farlo proprio ora. Più ti osservo e più mi ricordi del professor Silente. Anche lui si fidava ciecamente di te e devo ammettere che nel riconoscere una persona non si è mai sbagliato. Ci indicheresti dove recuperare il corpo del professor Piton?”.
“E magari sarebbe anche il caso di aggiungere una postazione in più tra queste già presenti, non trova professoressa?” le chiese accorciando ulteriormente le distanze tra loro.
La donna non rispose ma rivolgendogli un breve sorriso accondiscendente e dopo avergli posato una mano sulla spalla come volergli dare sostegno, insieme si avviarono verso il molo ai piedi del castello.
Il resto della mattinata Harry lo svolse insieme a Ron ed Hermione accogliendo gli ultimi partecipanti alla cerimonia di commemorazione, preparando i corpi per essere trasferiti all’esterno, compreso quello ormai recuperato di Piton, stringendo mani che gli venivano poste e distribuendo parole di condoglianze a coloro che gli venivano di fronte. Incontrò anche un raggiante Kreacher che dopo averlo lodato entusiasta per le sue azioni e per esserne uscito vincitore gli chiese il consenso di poter aiutare gli altri suoi simili nelle mansioni affidategli dalla Mc Granitt il giorno prima. Continuò così, facendo avanti e indietro tra le varie stanze ed i vari corridoi del castello, quando entrando in una delle ultime aule non si ritrovò la signora Weasley che alzandosi velocemente dalla sedia accanto al cadavere del figlio che aveva vegliato per tutto quel tempo, in lacrime gli si buttò addosso stritolandolo in un abbraccio stritola costole com'era sua abitudine fare.
“Mi hai salvata la vita. Ci hai salvati la vita. A tutti noi. Non smetterò mai di ringraziare Merlino e tutti i maghi per averti messo nel nostro cammino. Io ieri ho perso un figlio ma non posso smettere di ringraziare la vita per avermi dato te che ormai ti considero a tutti gli effetti un altro figlio della mia famiglia.” Gli confidò dolcemente seppur con la voce rotta dai pianti e mantenuta in piedi dalla presa salda di Harry e di Percy.
Harry si sentì morire dentro. I Weasley erano stati fin da subito la famiglia che non aveva mai avuto. Persino più dei Dursley che lo erano dal sangue, lui si sentiva a casa solo con loro e nel profondo sentì di aver perso veramente anche lui un fratello quella sera. Fred e George erano stati suoi complici, suoi salvatori, erano coloro che gli avevano permesso di scoprire una parte di suo padre regalandogli la mappa del malandrino ed erano quelli che gli avevano fatto scoprire l’allegria, la gioia e la voglia di vivere anche quando niente attorno dava modo per cui esserlo. Ora, senza Fred, sentì che una parte di tutto ciò che avevano rappresentato i gemelli per lui si era compromesso per sempre e questo non gli dava pace. Seguendo le insistenze di Percy, dopo un pò Molly ritornò a sedersi al suo posto così Harry guardandosi attorno, dopo aver visto Ron ed Hermione entrare nella stanza, vicini e con le mani allacciate, istintivamente gli si fiondò contro abbracciandoli quasi come se in loro ritrovasse il porto sicuro dove rifugiarsi nella tempesta interiore che si stava abbattendo nel suo animo. Quei due gli erano stati vicini fin dal suo primo viaggio sull’Hogwarts express. Erano diventati subito i suoi complici, confidenti, la compagnia migliore che avesse mai potuto sperare nel suo lungo viaggio. Era grazie a loro se Harry era riuscito a sopravvivere e se aveva potuto sconfiggere Voldemort. Tutti consideravano Harry l’eroe dell’intero mondo magico ma dentro di se lui sapeva perfettamente che si sbagliavano. I veri eroi dell’intero mondo magico era l’intera squadra capeggiata da Silente, che aveva combattuto per un mondo migliore e ,nel suo caso, era solo grazie alla fedeltà e fiducia di Ron ed all’intelligenza e caparbietà di Hermione se lui poteva addirittura considerarsi ancora vivo.
Era ancora stretto a loro due quando il signor Weasley lo chiamò debolmente dal corridoio alle spalle dei suoi amici.
“Harry, c’è una persona che desidera conoscerti.” Gli comunicò gentilmente per poi, passandogli accanto, stringergli una spalla come a fargli forza e coraggio nello stesso tempo.
Si allontanò dai suoi amici di controvoglia, pensando di dover dare l’ennesima stretta di mano o l’ennesima parola di conforto come tutti a quanto pareva ora si aspettavano da lui quando invece uno sguardo affranto ma nello stesso tempo fiero, proprio come lo era stato quello del suo padrino Sirius e della famiglia Black in generale, così come una lucente chioma riccia e castana, attirarono l’attenzione di Harry all’istante. Ricordava perfettamente la prima volta che l’aveva vista ed ora, a distanza di tempo, non poté non ammettere che la somiglianza con sua sorella Bellatrix era ancora molto marcata seppur poi ad una più attenta osservazione la signora di fronte a se era molto diversa dalla donna con gli occhi spiritati di malvagia follia che una volta aveva avuto l’impulso di cruciare ardentemente.
“Ci rivediamo Harry Potter.” Lo salutò Andromeda porgendogli la mano.
Harry ricambiò gentile quella stretta. Seppur non l’aveva mai frequentata, l’affetto che nutriva per Tonks e il dolore che lo univa in prima persona a quella donna ora di fronte a lui che aveva visto perdere il marito, la figlia e il genero in quella lunga guerra ora lo facevano sentire più in empatia a lei di quanto non avesse mai potuto considerare.
“Speravo di farlo in maniera diversa. Ma soprattutto con una compagnia più numerosa.” Ricambiò Harry lasciandosi trasportare ancora una volta quel giorno solo dal suo cuore.
La donna parve capire perfettamente le sue intenzioni ed infatti, abbassando il viso sul fagotto che teneva in braccio e che Harry notò solo in quel momento, addolcì il suo sguardo scoprendo così da una coperta un ciuffo di capelli grigi e lucenti.
“Lo speravo anch’io, credimi. Per me, per te ma anche per...il nostro piccolo Teddy.” Fece la donna e girandosi il fagottino tra le mani gli consentì di vedere per la prima volta un piccolo neonato paffuto che chiudendo le manine a pugno dormiva beatamente nelle braccia della nonna.
“Edward...Teddy...Remus Lupin ti presento il tuo padrino, Harry James Potter.” Concluse così lei allungando le braccia affinché Harry potesse prenderlo nelle sue.
“Ma io...” ribatté prontamente Harry all’improvviso sgranando gli occhi ed alzando le mani come a difendersi.
“Non vorrai dirmi che hai paura di tenere in braccio un neonato!? Per Merlino, Harry, hai appena sconfitto Voldemort e ti preoccupi di questo?” lo derise affettuosamente Andromeda per poi una volta convinto aiutarlo a reggergli meglio la testa.
Harry si ritrovò così assorto e totalmente rapito da quel piccolo esserino che aveva in braccio. Aveva sempre sentito dire che i bambini, fin da piccoli, assomigliavano ad uno dei genitori ma lui in quel momento non riuscì a non pensare che il suo figlioccio, giusto per iniziare a fare un po’ di pratica nel suo ruolo, non era altro che il frutto dell’amore, della speranza e del desiderio di due delle persone che più aveva stimato ed apprezzato nella sua vita. Due persone che avevano saputo insegnare a tutti loro la bellezza della diversità facendone il loro punto di forza nonostante per se stessi era stato doloroso essere diversi. Due persone che nonostante i pregiudizi ed i falsi canoni della società avevano trovato un punto d’incontro forte ed importante nell’amore. Nel loro amore che ora splendeva e dormiva tranquillamente tra le sue braccia. Era ancora immerso nei suoi pensieri quando i capelli del neonato si tinsero di bel turchese intenso ed aprendo gli occhi gli mostrò per la prima volta due piccole gemme dorate della stessa intensità del colore degli occhi di Remus.
“Signora Tonks, si è svegliato!” esclamò allora Harry preso leggermente dal panico dal repentino cambiamento del bimbo nelle sue braccia facendo ridere nello stesso tempo Ron, Hermione ed il signor Weasley che intanto si erano uniti a loro nel corridoio.
“L’ho visto ed a giudicare dal colore dei capelli devo dire che si trova bene nelle tue braccia. Teddy è un metamorfomagus come la mia Dora ed a quanto ho potuto notare in queste ultime ore, tende a modificare i capelli in turchese quando è contento.”
A quella spiegazione Harry si sentì rincuorato e sentendosi più spontaneo con la posizione con cui tenerlo...
“Spero che sarò un buon padrino per te, piccolo Teddy.” Gli confidò a bassa voce Harry, guardandolo ancora tra le sue braccia, stavolta un po’ emozionato.
“Ne sono certa anche se però non dimenticare che la nonna sono io!” gli rispose simpaticamente Andromeda allusiva ma riprendendo il suo cipiglio fiero come una vera Black.
“Su questo non credo che ci saranno mai dubbi, non si preoccupi.”
Su quello, Harry, ne era assolutamente certo.
“Andromeda?” si sentì all’improvviso una donna alle spalle dell’interessata.
Si voltarono così nella direzione della voce rimanendo tutti sorpresi, curiosi, alcuni addirittura allibiti dalla persona che silenziosa li aveva raggiunti. L’unica rimasta impassibile ed indifferente della sua presenza era proprio Andromeda che infatti...
“Narcissa.” La salutò afona, distaccata pur mostrando una cortesia altezzosa com’era diffuso usare tra tutti i componenti della famiglia Black.
La sorella infatti parve abituata così soprassedendo al tono...
“Non ti ruberò molto tempo. Io e la mia famiglia dobbiamo presentarci di fronte al Wizengamot tra poco ma volevo solo dirti che abbiamo sepolto Bella, Bellatrix, stamattina all'alba nella cappella di famiglia. So che magari sarebbe stato più appropriato farlo in quella dei Lestrange ma...beh...ecco...volevo solo che tu lo sapessi.”
L’ascoltarono tutti attentamente, osservandola parlare tranquilla, solo a tratti in imbarazzo, nonostante invece suo marito Lucius e Draco alle sue spalle, in fondo al corridoio, sembravano sentirsi decisamente fuori luogo. Gli altri presenti allora, ascoltate le sue parole, ad un tratto sentirono di trovarsi in presenza di qualcosa di intimo, di privato, così accogliendo le parole di Arthur Weasley si allontanarono dalle due donne lasciando sole a parlare due sorelle da troppo tempo allontanate dalla famiglia e dalle divergenze d’opinioni personali e sociali.
Proprio in quel momento Harry, inconsciamente, stringendo ancor più a se quel bambino tra le braccia, si ritrovò a svolgere per la prima volta nella sua vita il ruolo di padrino. Osservò di sfuggita il signor Weasley entrare nell'aula per raggiungere sua moglie così senza pensarci due volte iniziò ad allontanarsi da quell'ambiente così poco adatto ad un neonato tanto piccolo dirigendosi verso le scale. All'improvviso si sentì quasi in dovere ad allontanare il piccolo Teddy dal dolore e dalle brutture di quella parte di castello. Passò accanto ai due Malfoy seguito solo dai suoi amici. Entrambi i ragazzi, rivali giurati fino a qualche ora prima, si concessero ora un lungo sguardo ricco di significati. Entrambi rimasero ai loro posti: Draco accanto al padre ed Harry affiancato dai suoi amici di sempre Ron ed Hermione. Entrambi sapevano perfettamente che nonostante la guerra alcune cose non sarebbero cambiate mai. Ognuno avrebbe mantenuto il suo ruolo, i propri ideali ed i propri pregiudizi. Ognuno avrebbe continuato a circondarsi delle proprie compagnie ma, per la prima volta nelle loro vite, Draco ed Harry ora si ritrovarono ad guardarsi con rispetto ed un modo tutto loro e personale di gratitudine. Hermione avrebbe addirittura giurato di aver scorto anche un mezzo sorriso tirato tra i due ma silenziosamente, così come si erano incontrati, ognuno di loro proseguì per la propria strada.
“Credo anch'io che sarai un ottimo padrino sai Harry?” gli disse allora Hermione avvicinandosi di più a lui una volta giunti nell'atrio della scuola.
“Non so se hai ragione Hermione ma di una cosa ne sono sicuro. Ce la metterò tutta affinché sia così!” le rispose Harry per poi, sorridendo al bambino, uscire dal castello insieme a loro per illuminare quel loro momento dai raggi del sole.
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Capitolo 4 *** La celebrazione degli eroi di Hogwarts ***
Il sole ormai era alto nel cielo ed arrivata l’ora stabilita
per la cerimonia, splendeva così caldo e limpido che ai suoi
spettatori parve farsi beffa del dolore e della sofferenza delle
persone che placidamente vi muovevano sotto il suo manto. Quel giorno,
disposti intorno alle postazioni bianche, all’improvviso
sembrò non esistere nessuna differenza di genere o di
specie. Non vi era più nessuna discriminazione o
differenziazione. Quella battaglia l’avevano combattuta tutti
e, così come le vittime che aveva provocato, ora a rendergli
omaggio vi erano maghi, babbani familiari dei caduti, elfi domestici
della scuola insieme a Kreacher, il gigante Grop, centauri, abitanti
marini che affioravano dalle torbide acque del lago nero, fantasmi
brillanti alla luce del sole e Pix, in veste insolitamente seria, che
da solo rendeva bene l’idea
dell’eccezionalità della situazione. Vi erano
giovani studenti, adulti ed anziani, ricchi, poveri, nati babbani,
mezzosangue e purosangue gli uni accanto agli altri per la prima volta
senza badare a pregiudizi o a disparità sociali. Persino
alcuni folletti della Gringott, che al momento della battaglia non vi
avevano preso parte, ora erano presenti a commemorare la vincita dei
“portatori di bacchette” che avevano reso giustizia
agli assassini dei loro simili caduti sotto l'ira di Voldemort. Vi
erano tutti e tutti si ritrovarono uniti nello stesso dolore. A
differenza del funerale di Silente, stavolta non avevano predisposto
nessun posto a sedere cosicché ognuno fosse libero di
posizionarsi dove meglio credesse per rendere omaggio alla vittima che
più desiderasse. Kingsley, poco prima della cerimonia chiese
ad Harry di formulare un discorso per l’occasione ma al fermo
rifiuto della Mc Granitt affinchè quel gesto arrivasse dallo
stesso ragazzo in maniera volontaria, Harry non poté che
ringraziare la donna per il sostegno che ancora una volta aveva avuto
la perspicacia di concedergli. Per troppo tempo aveva dovuto vestire un
ruolo troppo grande per lui, fatto di obblighi, di doveri, di immagini
pubbliche da doversi sorbire e sopportare. Ora, come la sua
professoressa gli aveva detto qualche ora prima, aveva solo voglia di
essere se stesso e di godersi i suoi diciassette anni. Aveva voglia di
esprimersi solo quando lo avesse ritenuto necessario e non quando gli
altri si aspettavano che lui lo facesse. Voleva essere solo Harry
Potter e non il Ragazzo-che-è-sopravvissuto con una
cicatrice sulla fronte. Voleva buttarsi tutto dietro le spalle
mantenendo però sempre dentro di se le persone che
l’avevano amato e abbandonato lungo il suo cammino e
l’insegnamento che quegli avvenimenti gli avevano lasciato
come esperienza di vita.
Accompagnandosi ancora alla famiglia Weasley e ad Andromeda con Teddy,
ritornato tra le sue braccia, Harry con Ron, Hermione e Ginny ritornata
nuovamente al suo fianco, si erano appena posizionati in
piedi tra le tombe di Fred, Remus e Tonks quando il corteo
dei corpi avvolti in brillanti stoffe bianche prese ad uscire dal
castello, trasportati da parenti ed amici per poi posizionarsi sopra i
rispettivi blocchi bianchi così com’era stato per
il funerale di Silente mentre, così come allora, il solito
ufficiante prese posizione di fronte alla tomba del loro ex preside. Il
silenzio, interrotto da qualche sospiro e gemito di pianto, risuonava
nell’aria in maniera pesante accomunando tutti negli stessi
pensieri e tormenti. Era un momento strano in cui il dolore perforante
per la perdita dei loro cari si accompagnava inesorabile al sollievo
per aver superato quel momento difficile.
L’ufficiante iniziò a parlare e istintivamente i
quattro si presero per mano alle quali in maniera naturale si unirono
via via anche quelle di George, degli altri fratelli Weasley e Fleur,
di Angelina, Katie Bell e Lee Jordan, uniti a loro per piangere la
morte di Fred, Remus e Tonks, alle quali infine seguirono via via le
mani di tutti gli altri partecipanti alla cerimonia fino a formare una
lunga, immensa catena di strette di mano che riuscì a creare
quasi un abbraccio intorno a tutte quelle tombe bianche. E fu quel
semplice gesto che ad Harry, guardandosi distrattamente intorno, lo
fece sentire accanto e vicino a loro più di quanto e
quando era stato costretto ad elargire strette di mano e
parole rincuoranti. Per la prima volta nella sua vita non si
sentì più il prescelto ma uno di loro. Anche lui
un sopravvissuto a piangere la morte di amici a lui cari.
L’ufficiante aveva appena finito il suo sermone quando
Kingsley, allontanatosi dalla bara di Remus dove vi aveva preso posto,
lo affiancò e tirando un lungo sospiro, come a farsi
coraggio, iniziò…
“In questi momenti si potrebbe dire qualunque cosa, elogiare
ognuno di loro per il coraggio, l’impegno e la dedizione con
i quali si sono spesi fino alla morte…ma la
verità è che non ci sono parole capaci di
comunicare il giusto cordoglio per la perdita che abbiamo avuto, non ci
sono parole o gesti capaci di sanare il dolore che ognuno di noi sta
provando in questo momento nei nostri cuori ma soprattutto non ci sono
parole capaci di esprimere fino in fondo il valore di ogni corpo ora
fasciato di bianco che abbiamo di fronte ai nostri occhi. –
esordì Kingsley con la sua voce calda - Per la battaglia,
per la storia, per l’evento che abbiamo passato loro non
saranno altro che un numero che andrà ad aggiungersi a tutti
coloro che si sono spesi in questi anni così tormentati ma
per noi…per tutti noi che siamo presenti…loro non
erano affatto un numero. Loro erano padri, madri, figli, fratelli,
sorelle, nipoti, amici e persone che abbiamo amato e che porteremo nel
cuore per sempre. Erano anime con le quali siamo legati da ricordi,
affetto, storie. Sono un pezzo del nostro cuore che lasciandoci hanno
portato con se. E dal momento che per noi non sono un numero ma sono
una persona vera e propria ora passerò ad elencare i loro
nomi uno per uno.”
Passò così ad elencare decine e decine di nomi
per poi facendo evanescere la pergamena, farne apparire una nuova e
continuare…
“Qualche ora fa un amico che ho avuto modo e
l’onore di ritenerlo tale, nella battaglia che ci ha visti
entrambi schierarci fianco a fianco, mi disse che non contava il numero
di bacchette che si stavano impiegando ma il valore di chi quelle
bacchette le impugnava. Ecco, quest’amico è morto
di fronte ai miei occhi, da un anatema che uccide solo qualche ora dopo
avermi detto questa sua frase ed è con le stesse parole che
ora nelle vesti di Ministero della magia sono orgoglioso di assegnare
queste medaglie a chi come lui, in tutto questo periodo di terrore ha
fatto tutto il possibile affinché la scorsa notte siamo
riusciti a conseguire questo risultato.”
Passò a elencare così circa sei nomi con i quali
gli conferì l’ordine di merlino in diverse
classi…
“Ed infine l’uomo della mia frase
precedente. A Remus John Lupin va l’ordine di
Merlino prima classe per il suo impegno, la sua tempra morale e per
aver insegnato a tutti noi l’altra faccia della luna dove la
ferocia animale s’inclina ad un profondo senso
umano.” Concluse così chinando il suo sguardo un
po’ commosso e lasciando spazio alle parole della Mc Granitt.
Durante la cerimonia parecchie facce si erano rivolte verso Harry
aspettando, quasi desiderando o imponendo un suo discorso, una sua
parola, un suo intervento su ciò che era stato, su
ciò che pensava di quelle vittime o come parola di conforto
ma Harry, chiudendosi a riccio e volendo quasi sparire da quegli
sguardi non se la sentì di dire nulla in pubblico. Anche lui
stava soffrendo come tutti loro e come tutti loro desiderava farlo in
silenzio rimuginando i propri pensieri nella propria mente.
Sentì la Mc Granitt parlare di come le cose alla fine erano
andate nel verso giusto grazie alla forza che tutti erano riusciti a
mostrare rimanendo uniti su un unico fronte comune dove alla fine gli
ideali di giustizia e di libertà si erano sopraffatti a
quelli di terrore ed assedio creati da Voldemort e dai suoi seguaci ed
a quelle parole Harry si sentì, ancora una volta,
completamente in sintonia con lei.
Sentì la mano di Ginny continuare a stringere la sua in una
stretta tenace e possente e voltandosi a guardarla la
ritrovò con lo sguardo basso e gli occhi di quel splendido
nocciola lucidi. Capì subito che, per non aggiungersi alla
reazione disperata di sua madre, la ragazza stava cercando di
ricacciare indietro le sue lacrime così agendo
d’impulso l’avvolse sulle spalle con un braccio
cercando d’infonderle quanto più calore possibile,
per farle sentire la sua vicinanza mentre di sfuggita notò
Hermione stringersi più forte al braccio di Ron
presumibilmente per lo stesso motivo. Andromeda, invece, dopo aver
ispirato orgogliosa alla notizia della medaglia concessa a suo genero,
stringeva forte tra le sue braccia il piccolo Teddy cullandolo e
soffrendo in silenzio così com’era stata educata
dalla sua famiglia in passato. Sicuramente sarebbe scoppiata una volta
rimasta sola nel privato della sua casa ma ora, con uno sguardo perso
nei suoi pensieri osservava prima il corpo avvolto di sua figlia vicino
a quello del marito entrambi senza vita per poi spostarlo a quello del
nipote che incurante della situazione aveva ripreso a dormire tra le
sue braccia placidamente vivente, sano e salvo grazie anche al
sacrificio dei suoi genitori.
La cerimonia si era appena conclusa e dopo aver assistito in completo
silenzio alla sparizione dei corpi all’interno di splendenti
lastre bianche, apparse come per magia dalle postazioni dove erano
stati adagiati, l’intero corteo di spettatori
iniziò a disperdersi orientati ognuno alle proprie
destinazioni. Solo un numero limitato di loro, soprattutto componenti
dell’Ordine e pochi altri a loro vicini, ritornarono al
castello per poi accomodarsi in sala grande attorno ad una singola
lunga tavolata. Nessuno voleva proferire parola. Quella cerimonia era
pesata sopra tutti loro quasi quanto la battaglia stessa. Ora dovevano
solo capacitarsi, assimilare, capire e poi lasciare fare al tempo il
suo corso ed il suo lavoro consentendogli di superare il loro dolore e
di farli andare avanti.
Colui che risaltava maggiormente in quel gruppo di amici era George, di
natura sempre solare ed allegra, dalla notte della battaglia si era
chiuso in un silenzio intimo e personale. Lui non aveva solo perso un
fratello bensì un’intera parte di se stesso. Il
suo gemello Fred si era portato con se la loro complicità,
la loro allegria, la loro intraprendenza negli scherzi e negli affari.
Manteneva costantemente lo sguardo basso, senza lacrime, allontanandosi
da ogni approccio che gli altri attorno a lui cercavano di conferirgli
come a dargli conforto. Lui era stato tutta una vita in compagnia di un
fratello dal suo stesso aspetto, dal suo stesso carattere, dalla sua
stessa ambizione ed ora che si era ritrovato da solo si
sentì quasi spaesato e confuso, incapace di vivere in un
mondo troppo grande per lui solo. La sua spalla era Fred ed ora che lui
non c’era si sentì quasi costretto a rinascere, ad
imparare ed a crescere facendo leva solo su stesso. Gli altri, che ogni
tanto posavano gli occhi su di lui, all’ennesimo suo tacito
rifiuto di approccio, capirono la sua intenzione a voler rimanere solo
e così pur rimanendogli accanto fisicamente lo lasciarono
nel suo silenzio.
“Credo che sia giunta l’ora di pensare a
ricostruire questo posto definitivamente.”
Sentenziò la Mc Granitt rompendo il silenzio che si era
creato tutt’attorno.
“Minerva se vuoi noi siamo a tua completa
disposizione!” le rispose Lumacorno accennando a lui ed al
piccolo professor Vitious sedutogli accanto.
“Esatto, signora preside!” le confermò
Vitious stesso facendo sorridere tutti, Minerva compresa.
“E noi!” continuarono allora in coro le altre
docenti presenti, insieme a Madama Chips ed a Madama Pince, quasi
sdegnate della mancata considerazione nei loro confronti.
“Oh beh, ovviamente ci sono anch’io. Sempre che la
nuova preside mi consentirà di mantenere il mio
lavoro.” Si fece avanti allora Gazza quasi timidamente
stringendo ancora tra le sue braccia la sua Mrs Purr.
“Sono lieta che tutti voi, miei cari colleghi, siate presenti
a fare ancora una volta squadra. Riguardo a lei Mastro Gazza per quanto
io e lei abbiamo avuto delle divergenze in passato sono assolutamente
certa che non potrei contare su nessun altro di migliore di lei per il
suo lavoro qui…così come di Hagrid per il
suo.” Gli rispose concludendo il suo sguardo sul
guardiacaccia seduto tranquillo ad un angolo del lungo tavolo che
sentendosi chiamato in causa trasalì per poi portarsi la sua
enorme tovaglia a quadratoni rossi ad asciugare i suoi scuri occhioni
lucidi dalla commozione.
“Signora preside io…” fece allora per
parlare ma...
“Non vorrai dirmi Hagrid che vuoi rifiutare la mia proposta?
So che la tua casa è andata distrutta ma anch’essa
faceva parte di Hogwarts e, come per il castello, conto di
ricostruirla. Inoltre non credere che non abbia già
considerato la tua famiglia! Tuo fratello Grop sono certa che
troverà la montagna sopra Hogsmeade molto piacevole. E poi
la scuola ha bisogno di un guardiacaccia e di un custode delle sue
chiavi che gli sia fedele e non potrei veramente pensare a nessuno
meglio di te.” Lo interruppe la donna mostrandogli il suo
solito cipiglio che non ammetteva repliche.
“Hagrid, ha ragione la professoressa Mc Granitt. Credo che
Hogwarts non sarebbe la stessa senza di te!” Le diede man
forte Charlie Weasley guardando insieme a tutti gli altri presenti
verso il gigante ancora commosso e senza parole.
“Io…io…non ci volevo rifiutare
professoressa…emmm…preside… Ma dopo
che dite così…
Insomma…io…”
“Molto bene, Hagrid! Molto bene. Vedo che siamo riusciti a
convincerti e poi ricordati…anzi, vorrei ricordarvi
tutti…che io sono ancora la professoressa Mc Granitt per
voi. Tutti noi abbiamo ancora viva nella nostra memoria la figura di un
uomo che è stato il legittimo preside di questa scuola per
molto tempo. So che i consiglieri ed il nostro nuovo Primo Ministro mi
hanno investita di questo incarico ma personalmente avrò
bisogno di molto tempo ancora per abituarmi a ricoprire questo
ruolo.” Concluse così lei suscitando commozione,
orgoglio in tutti i presenti ed ulteriori lacrimoni e soffiate di naso
commosse di Hagrid.
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