Zarbon: Il canto del Potere

di Giovievan
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Menzogna ***
Capitolo 2: *** Errore ***
Capitolo 3: *** Fascino ***
Capitolo 4: *** Redenzione ***



Capitolo 1
*** Menzogna ***




 
Prima di iniziare.
Innanzitutto grazie per essere qui! Prima di iniziare volevo precisare che questa storia nasce come uno spin-off della long 
Freezer: Origins e si ambienta tra i capitoli 10 e 11 di quest'ultima, quindi (dal capitolo 3 [Fascino] in poi) presenta lievi spoiler fino al capitolo 10 di Freezer. Può tuttavia essere letta come una storia a sé stante: la necessità di scriverla è nata proprio dal fatto che Zarbon meritasse più spazio di quanto sarei riuscita a dargli in Origins, dove non potevo inserire in modo coerente la sua storia passata e non mi andava di sacrificarla. Quindi eccola qui!
Se è la mia prima storia che leggete e vi viene la curiosità di "incastrarla" nella storia principale per leggerne il continuo, per non spoilerarvi nulla vi consiglio di leggere l'intera serie secondo l'ordine in cui è pensata:
1 - Freezer:Origins (capitoli 1-10)
2 - Zarbon: Il canto del Potere
3 - Freezer:Origins (dal capitolo 11 in poi).
E basta, mi eclisso... buona lettura! :3
- G


 
*  *  *

 
Ogni giorno questa maledetta chioma diventa più difficile da domare.
Intingo nuovamente il pettine nell’olio, infilandolo tra i capelli e compiacendomi di quanto fluidamente scivoli, districandosi tra i nodi che ho sapientemente sciolto. Ogni ciocca si separa dall’altra, l’olio lentamente si assorbe. Alla fine del mio rituale i capelli mi ricadono sulle spalle asciutti, splendenti, perfettamente lisci e morbidi.
Poso il pettine sulla specchiera, alzandomi dalla mia seduta. Non posso non osservare il mio corpo riflesso allo specchio: il mio sguardo indugia sullo statuario profilo dei pettorali, scendendo lentamente a carezzare gli addominali scolpiti: frutto di dura fatica, di sudore, di allenamenti intensi oltre le mie capacità, o almeno così mi ammonisce Illerio. Se i risultati sono questi sarò felice di superare me stesso ogni giorno di più.
Mi sorprendo a sorridere a quella incantevole vista, ma non ho altro tempo da perdere. Afferro la veste nera con una certa urgenza e curandomi di non sgualcirla la indosso stringendomela ai fianchi. La cintura d’oro la sigilla con un click.
«Tornerai presto?»
Non alzo nemmeno lo sguardo. Il monile mi scivola tra le dita, sfiorandomi la fronte quando lo richiudo attorno al mio capo. La campana ricade perfettamente al centro delle sopracciglia emanando un sottile tintinnio.
«Tornerò appena posso» taglio corto.
Vedo con la coda dell’occhio cosa sta accadendo. Olei si stiracchia come una gatta e la sottile coperta di seta le scivola via dal seno, dubito senza che lei lo volesse. Purtroppo per lei non è più il momento degli istinti carnali e al momento non mi interessa darle ulteriori spiegazioni. Anzi, non mi è mai interessato.
«Non farmi attendere» sussurra, languida, e sono certo che si stia aspettando un mio bacio o una mia carezza. Non avrà neanche un sorriso. Un’altra rapida occhiata oltre lo specchio per assicurarmi che tutto sia al suo posto e poi esco dalla stanza, richiudendomi alle spalle la pesante porta di legno.
I corridoi del Palazzo sono così ampi e intricati che, se non fossi cresciuto qui dentro, mi ci perderei senza dubbio. Il pavimento di marmo si estende sempre uguale, distinguendosi soltanto per le screziature che variano di continuo come le vene di un immenso mostro dalla pelle limpida; alle pareti gli arazzi sono tutti diversi, ma estremamente simili, e chi non conosce la Storia non saprebbe nemmeno distinguerne i soggetti, figurarsi riconoscerne le scene e notarne i particolari.
I miei piedi mi conducono esattamente dove sono richiesto. Quando metto piede nella sala il Gran Giudice è già al suo posto, sul seggio centrale dell’ampio scranno a mezzaluna che si trova proprio al centro della stanza. Mi inchino con una rapida riverenza, come è dovuto a un allievo del mio rango.
«Zarbon» mi saluta, con un gioviale sorriso. «Sei in anticipo.»
«È mio dovere» dico, avvicinandomi a lui e ricambiando il sorriso. «Il tempo si avvicina. È bene che inizi a comportarmi come si conviene, nel caso in cui la sorte mi sia propizia.»
«Si avvicina, sì» annuisce lui. Mi fa cenno di sedermi al suo fianco, ma esito.
«Non so se posso, Maestro…»
Mi compiaccio del tono che sono riuscito a formulare. Tormentato, riverente, umile. L’effetto è così immediato che lui stesso si preoccupa di giustificare la sua richiesta.
«È solo una sedia» dice, stringendosi nelle spalle. «Ammiro la tua devozione, figliolo, ma nessuno ti criticherà per esserti seduto al mio fianco.»
M’inchino ancora in segno di ringraziamento e poi avanzo, facendo come mi ha ordinato. Quando mi poggio sulla seduta alla sua destra, quella riservata al Gran Sapiente, un brivido di piacere mi attraversa le membra al pensiero che tra qualche tempo quel posto sarà il mio.
Il volto del Maestro è scavato e le rughe formano una fitta tela che parte dagli angoli degli occhi e giunge fino a quelli della bocca. Provo a non guardare l’orrore della vecchiaia: mi concentro sulle sue iridi, l’unica cosa che in tutti quegli anni è rimasta invariata in lui. Occhi dorati, attraversati da venature nere come profonde crepe, molto meno brillanti dei miei ma comunque incredibilmente affascinanti.
«I tuoi studi?» mi chiede. «A che punto ti trovi?»
«A un ottimo punto, Maestro. Prevedo che tra pochi mesi li terminerò e potrò finalmente dedicarmi alla prova.»
«Ottimo lavoro, figliolo, dico sul serio. Sapevo che saresti stato in gamba. L’ho sempre saputo, a dire il vero, dal momento in cui ti ho trovato sui gradini del Gran Tempio.» lo vedo sorridere con la sua bocca sdentata che mette in vista le sue gengive scure. «Quanto tempo è passato! Decenni. Fitti decenni. E in tutto questo tempo ho sempre creduto in te.»
«Sono così onorato» dico, prendendogli la mano avvizzita tra le mie. È fredda, più di quanto dovrebbe. L’anima di questo vecchio, che tanto ha fatto per me e per la mia vita, si sta lentamente spegnendo e ho l’impressione che non mi dispiaccia abbastanza, come se ormai fossi rassegnato a quella consapevolezza. «Sono così onorato e grato, Maestro. Se non fosse stato per te non avrei neanche raggiunto quest’età. O forse l’avrei fatto, ma non avrei mai avuto l’onore di giungere a un tale livello di sapienza.»
Il cielo oltre le grandi vetrate rettangolari inizia a tingersi del rosso dell’alba. Presto questa stanza si riempirà. Ho poco tempo.
«Io voglio davvero superare questa prova» dico. «Sto studiando per questo da quando ho imparato a leggere. Il benessere di Nemanan è l’unica cosa che realmente mi interessi, l'unico futuro che immagino per me. Se non dovessi riuscire a superarla, io… non so cosa farei.»
La sua mano si irrigidisce tra le mie.
«Non accadrà» mi rincuora. «Toqueda e Illerio sono ottimi studiosi, ma tu hai qualcosa in più di loro. Tu sei determinato, Zarbon, te lo si legge negli occhi. Sono certo che questo ti aiuterà.»
«Lo spero» sorrido. Te lo si legge negli occhi, ha detto, ma sta sbagliando: se mi permette di sedere al suo fianco non ha idea di cosa i miei occhi realmente celino. «E spero che i tuoi insegnamenti possano rendermi degno.»
Annuisce lievemente mentre i primi raggi dell’astro rosso iniziano a penetrare attraverso i vetri. Allo stesso tempo qualcosa si muove alle mie spalle. Dalla grande porta fanno il loro ingresso due figure che indossano la toga rossa e due che indossano quella nera. Quando li vedo entrare mi alzo di scatto, liberando il trono che avevo occupato indebitamente.
«Gran Sacerdote, Gran Sapiente.»
Mi salutano con un cenno dello sguardo mentre io mi inchino. I due in veste nera nemmeno si degnano di alzare gli occhi, ma non mi sorprendo; non mi aspettavo un loro saluto.  
Il Gran Sacerdote si siede alla sinistra del mio Maestro, il Gran Sapiente a destra. Spirito, Giustizia e Sapienza: i tre pilastri del culto e del regno di Nemanan, i tre Grandi del Concilio.
«Come mai eri già qui?» mi chiede il Gran Sapiente.
«Sono venuto a comunicare al mio Maestro di aver quasi terminato gli studi. Mi sono necessari due, al massimo tre mesi, poi potrò iniziare la preparazione per la prova.»
«Molto bene» si complimenta. Poi si rivolge ai due allievi. «E voi? A che punto siete?»
«Due mesi saranno sufficienti.»
Toqueda si sfila il cappuccio con fredda compostezza, lasciando che i lunghi capelli mossi gli ricadano sulle spalle accogliendo gli orecchini come cuscini di velluto. Il suo tono di voce non lascia dubbi sul suo fastidio alla mia presenza. Non prova di certo affetto verso di me, e questo vuol dire che mi teme. Ciò non può che compiacermi.
«Sì, basteranno anche per me» segue a ruota Illerio. Anche lei si sfila il cappuccio, ma con un unico gesto che le lascia 
scomposti i corti capelli color smeraldo. Indugio sui suoi occhi che non si voltano a incontrare i miei. La sua poca grazia mi infastidisce, ma del resto non mi sorprende: è sempre stata così.
«E sia» sentenzia il Gran Sapiente, volgendosi a guardare gli altri due membri del Concilio. «Se siete d’accordo fisserei la prova tra quattro mesi esatti, così da dare ai ragazzi tutto il tempo necessario.»
Annuiscono entrambi, stringendosi nelle spalle.
«Per me può andar bene, sì.» annuisce il Gran Sacerdote, incrociando le braccia sotto la lunga barba. Nonostante i suoi centodieci anni è il più giovane dei tre, per questo è tranquillo riguardo il suo posto su quel trono. Anche il mio Maestro dovrà attendere ancora qualche anno. È il Gran Sapiente, il più anziano, colui il cui tempo è ormai scaduto: i suoi ottant’anni di regno sono terminati e il suo successore deve presto essere designato. Sarò io, ovviamente, ma purtroppo la legge impone una selezione ed ecco che queste due menti inferiori tentano di competere con me; nonostante ciò tutti, qui dentro, sanno che uno dei tre voti dei Grandi è già a mio favore. Non potrebbe essere altrimenti, dopo tanti anni di cieca devozione.
Osservo i miei avversari scrutarmi. Illerio sorride, da sbruffona qual è, mentre Toqueda mi guarda sott’occhio con un’ostilità che quasi mi sorprende.
«Potete andare, adesso» ci fa cenno il Grande Giudice. «Ci rivediamo nel pomeriggio. Vi auguro buono studio.»
Ci inchiniamo all’unisono. Le tuniche nere danzano nel lieve vento che penetra dalla porta semiaperta mentre ci voltiamo, dirigendoci verso la Biblioteca per iniziare un nuovo giorno di intenso studio. Prima che possiamo uscire fa il suo ingresso nella stanza un messaggero, che non ci guarda e prosegue ad ampie falcate dinnanzi al trono a mezzaluna.
Rallento e Toqueda mi supera a passo svelto. Mentre voltiamo l’angolo, uscendo dalla sala, riesco a cogliere a stento le prime parole del messo.
Non riesco a resistere alla curiosità e mi fermo, spalle al muro, tentando di ascoltare. Sento distintamente che stanno parlando ma le parole si perdono nell’immensità della sala del Concilio, sfumando senza riuscire a giungermi alle orecchie.
«Impiccione.»
Un lieve pugno si infrange sul mio braccio. Mi volto. Illerio si è fermata accanto a me e sta scuotendo il capo, spaccona come sempre. Senza che possa impedirlo il cuore mi si stringe nel guardarla, ma nego a me stesso questa sensazione.
«Non riuscirai mai a sentire cosa dicono, a meno che tu non abbia allenato anche i muscoli delle orecchie» mi schernisce.
Mi viene da ridere.
«Tentar non nuoce. Di solito un messaggero è sinonimo di guai.»
Nonostante sia qui per prendermi in giro, in fondo è più curiosa di me. Si ferma al mio fianco, gettando lo sguardo oltre la soglia con cautela per non farsi vedere, e io la imito. Il messo sta parlando e i Grandi sembrano ascoltarlo con apprensione, ma non si comprende altro. Quando capisce che non c’è nulla da ascoltare Illerio si stringe nelle spalle.
«Se sta accadendo qualcosa di importante lo scopriremo. Adesso sarà meglio che andiamo.»
Senza aggiungere altro mi supera e si allontana seguendo Toqueda, che è quasi sparito all’orizzonte dell’ampio corridoio. Sono costretto ad abbandonare il proposito anch’io, mio malgrado.
Ha ragione, se ci sono guai saremo i primi a saperlo.
Non perdo altro tempo. Senza esitare mi immergo nel corridoio che, ai raggi dell’astro rosso, sembra intriso di sangue.

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Capitolo 2
*** Errore ***


«Non so come tu faccia a sprecare tanto tempo con i tuoi allenamenti. Io riesco a stento a studiare e basta.»
«Ecco perché io diverrò Gran Sapiente e tu no.»
Ride, non sembra prendersela. Forse è convinta di cogliere nelle mie parole una sottile ironia, ma ce n’è meno di quanto crede.
Addenta il suo pezzo di pane, masticandolo con calma, e il mio sguardo è rapito dal suo viso. Seguo il profilo delle labbra carnose risalendo per il naso e finendo nei suoi occhi più dorati che mai. Mi hanno sempre ammaliato, fin da bambino, fin dal momento in cui per la prima volta mi ci immersi fino in fondo fuoriuscendone a stento. Un errore di gioventù che ogni tanto mi ritorna alla mente, come adesso. Chissà se ci ripensa anche lei… ma ora non siamo più i due giovani orfani che lottavano per meritarsi un posto nella immensa società di Nemanan e assieme potevano essere più forti. Adesso siamo avversari, e lei e Toqueda sono l’unica cosa che mi separa dal potere che ho sempre sognato e ora è più vicino che mai. Non possiamo permetterci di andare oltre e lei lo sa, anche se spesso sembra dimenticarlo.
«E se lo diventassi io? Sarebbe un bel colpo, no?»
Chissà se ci crede davvero. Mi viene da sorridere.
«Non accadrà», dico. Non accadrà perché io non sono nato per essere a vita un Consigliere: io sono nato per essere un Grande. E se il prossimo Gran Sapiente non dovessi essere io il suo mandato non durerà ottant’anni, perché in qualche modo la sua vita si concluderà molto prima. Quindi non accadrà, e speraci.
Queste parole non possono essere pronunciate, ma risuonano nella mia mente e mi minacciano di uscire. Le trattengo. Non voglio che sappia che sarei davvero capace di ucciderla, se le circostanze lo richiedessero, così come ucciderei chiunque altro si metta tra me e il potere che mi spetta. Nemmeno il suo sguardo le darebbe il diritto di togliermi ciò che è mio… eppure sono certo che lei stia pensando lo stesso.
Si alza, lisciandosi la toga nera con le mani.
«Allora è stato un piacere parlare con lei, Maestro. Un vero piacere. Spero di rincontrarla quando verrò a portarle la toga rossa dopo averla accuratamente stirata, come ogni buon Consigliere dovrebbe fare. Magari l’aiuterò a indossarla… o a toglierla.»
Una scossa mi attraversa a quelle parole e al tono con cui sono state pronunciate, ricche di una malizia che non posso ignorare. Mi alzo, avvicinandomi a lei tanto da costringerla ad alzare gli occhi per guardare nei miei. Mi godo ogni sua reazione, dal lieve brivido che la coglie quando mi avvicino al mezzo sorriso che le sue labbra disegnano quando parlo. Lei può provarci, ma in questo gioco sono sempre stato più bravo io.
«Dovresti smetterla di lanciarmi certe provocazioni. Potrei coglierle.»
Non risponde. Si allontana, con quel mezzo sorriso che non l’abbandona e mi resta incollato in testa, voltandosi verso la Biblioteca e immergendosi tra i suoi scaffali.
Nemmeno il suo sguardo le darebbe il diritto di togliermi ciò che è mio.
Mi passo una mano tra i capelli, sistemandoli al meglio dietro le orecchie. Oltre la mia spavalderia si nasconde una tempesta. Non so quanto ancora riuscirò a resisterle se decide di provocarmi in questo modo, ma in ogni caso, anche se dovessi cederle, nulla mi smuoverà dal mio scopo. Nulla.
Qualcosa sott’occhio mi disturba. Toqueda, seduto qualche posto più in là, mi sta fissando con uno sguardo pieno di sfida. È l’unico, tra noi tre, a provenire da una famiglia ricca e a non essere cresciuto a Palazzo; è evidente che si senta minacciato e sia convinto di avere molte meno possibilità di noi, che siamo già nelle simpatie del Concilio. Non prova particolare affetto nei miei confronti, ma è comprensibile: fossi in lui anch’io sarei certo di non avere speranze. Se non altro ammiro la sua tenacia.
«Cos’hai da guardare?» gli domando. Lui non smette di sostenere il mio sguardo.
«Credi che non si noti?»
Alzo le sopracciglia, dubbioso ma fermo. Non ho intenzione di mostrare a questo ragazzino neanche la minima esitazione.
«Di che stai parlando?»
«Del fatto che non ti importa. Di lei. Del Concilio. Di Nemanan. Non ti interessa di nulla, Zarbon, solo del potere. Non so come facciano tutti a essere cosi ciechi… eppure è palese. Traspare da ogni tuo movimento, dalla superbia con cui parli; te lo si legge persino negli occhi.»
Stringo i pugni. La verità di quelle parole è così palpabile che non riesco a negarla, anche se lo vorrei; mi colpisce come uno schiaffo, urlandomi a pieni polmoni che è vero, dannazione, ci sono cose che amo e cose che desidero, ma nessuna di queste ha tanta importanza quanto il potere a cui aspiro. Eppure non posso ammetterlo.
«Il Gran Giudice nei miei occhi ha letto determinazione» riesco a dire, tentando di mantenere un tono fermo. «Sarà meglio che t’impegni per conquistarti il posto nel Concilio, perché ti svelo che ha ragione lui.»
Ride, beffardo. Ignora le mie ultime parole.
«Spero solo che una volta che sarai Gran Sapiente utilizzerai 
come si deve il potere che ti sarà dato» dice. Nei suoi occhi leggo solo ostilità: sta dando per scontato che sarò io a vincere. «Invece, qualora il Gran Giudice decidesse di giudicarci per ciò che valiamo davvero e vincessi io, ti mostrerò come fare.»
«Stai insinuando che sarei favorito?» ringhio, scattando in piedi. I palmi delle mani puntellati sul tavolo iniziano a stringere il legno in una morsa che quasi lo deforma. «Come osi? Come osi insinuare che il Gran Giudice sia corrotto?»
«Non ho mai detto che lo sia. Ma sii onesto, Zarbon, credi davvero che sceglierebbe me al tuo posto dopo tutti gli anni in cui sei stato il suo pupillo? Ti basta una buona prova, il resto verrà da sé. Tutto ciò è una farsa!»
Quest’ultima frase è urlata, quasi ringhiata nella frustrazione e nella rabbia. Si alza di scatto, voltandosi e dirigendosi verso la porta. Emana furia, come un'aura che lo avvolge e arriva tangibile fino a me.
Mi dirigo anch’io verso il mio angolo. Mentre torno a studiare mi ritrovo a sperare che, in qualche modo, abbia ragione lui.
  
*  *  *
 
La porta della stanza cigola prima di richiudersi. Ho atteso ben oltre il calare dell'astro prima di rientrare nella speranza che Olei si sia stancata di attendermi e abbia deciso di andarsene. Ho ancora negli occhi quelli di Illerio e il solo pensiero di toccare un'altra mi disgusta.
Purtroppo le mie aspettative vengono deluse. Olei è distesa a letto, con un leggero tomo aperto a metà tra le mani. Appena mi vede lo richiude, poggiandolo sulle coperte con un largo sorriso.
«Mi hai fatta attendere» dice. Intravedo le sue forme al di sotto del sottile strato di tessuto, ma stavolta smuovono in me meno emozione del solito. Non ho voglia di un corpo qualsiasi… ho voglia di Illerio, solo di lei.
«Vattene» le intimo sfilandomi la tunica e poggiandola al suo gancio con delicatezza.
«Non trattarmi così.»
Lasciva, scivola fuori dalle coperte e arriva al mio fianco. La sua mano morbida come velluto mi sfiora il braccio percorrendo il mio tricipite dall’alto al basso, ma quel tocco non ha nulla di sensuale: è invadente, indesiderato. Mi viene voglia di spingerla lontano.
«Ho aspettato tutta la sera che tornassi. Lascia che almeno...»
«Ti ho detto di andartene» ripeto, e stavolta il mio tono duro sembra colpirla. Si irrigidisce, ritraendo la mano e coprendosi i seni nudi con le braccia conserte. 
«Credi di avere il diritto di trattarmi in questo modo?» sussurra. Mi sembra sull’orlo delle lacrime, ma spero non pensi di farmi pena in questo modo.
«Io non ti tratto in nessun modo. Sei tu che insisti a venire da me.»
«Vengo da te perché ti amo, Zarbon, anche se tu continui a trattarmi come un giocattolo!» prorompe, e attraverso lo specchio noto i suoi occhi brillare di lacrime. Lacrime mentitrici. 
«No, tu vieni da me perché sai che presto sarò nel Concilio. Ma puoi star tranquilla: tu non sarai al mio fianco, qualunque cosa accada. Sei stata solo uno svago, come ti avevo detto prima di iniziare questo gioco. O forse credevi di potermi far cambiare idea?»
Sta tremando dalla collera e dalla vergogna. Si riveste in pochi attimi e senza nemmeno una parola esce, sbattendo la porta. Inspiro profondamente, sedendomi alla mia specchiera e sfilandomi il monile dalla fronte.
Afferro il pettine mentre la mia mente vaga. Olei non è stata la prima ad avvicinarsi a me solo per secondi fini, che fossero la bellezza del mio corpo o la mia vicinanza al Gran Giudice. Sono stato fin troppo corretto ad avvisarla di non aspettarsi nulla prima di incontrarci per la prima volta, ma ora me ne pento: non meritava tanta attenzione. Eppure adesso sono certo che non tornerà.
Il pettine scivola assieme al ricordo di quel corpo sotto le coperte i cui contorni sfocati pian piano sfumano. Il senso di sollievo è ben presto sostituito da qualcos'altro, un sentimento che lentamente si concretizza. Lo riconosco: è desiderio. Desiderio per ciò che non posso avere e che l'inconscio mi urla di andarmi a prendere. Ho sempre provato un’insana attrazione per ciò che non possiedo, ma nessun pensiero mi ha mai dato tanti problemi quanto questo. Ho resistito per mesi immergendomi nello studio e nell’allenamento fisico, stremando il mio corpo e la mia mente nel tentativo di dimenticare… ma lei per me è una dipendenza. E non si guarisce mai davvero dalle dipendenze se non lo si desidera.
Potrei consumarmi in questi pensieri per ore come faccio ogni giorno, struggendomi e infine mettendomi a letto pur di impedirmi di fare qualsiasi altra cosa. Questa sera, però, non ne ho la forza. Zittisco tutti i miei pensieri, che iniziano a diventare insostenibili, e lascio che il mio corpo faccia ciò che vuole. Indosso la toga e il cappuccio e in un attimo sono all'esterno, nel corridoio scuro in cui sono già state spente le lanterne. Pochi momenti dopo spingo la sua porta senza bussare, mettendo piede nella stanza nel tentativo di non far rumore nonostante sia lì proprio per farmi sentire.
La vedo intenta a piegare la sua toga prima di appenderla al gancio, in quella stanza che sarebbe perfettamente uguale alla mia se non fosse speculare. Alla luce della fiamma che brucia nella lanterna il suo corpo, coperto dalla veste bianca della notte, sembra delinearsi perfettamente nitido.
Si volta incontrando il mio sguardo appena calo il cappuccio; sgrana gli occhi e mi guarda, incredula. 
«Che ci fai qui?»
Sbaglio, dolcezza. Compio un grave errore, forse il più grave della mia vita.
Non rispondo. Mi richiudo la porta alle spalle senza far rumore. 
«Non dovresti essere qui»
Per mille motivi non dovrei essere qui.
Mi avvicino a lei in poche falcate senza mai distogliere lo sguardo dal suo. Lei mi segue con gli occhi finché non arrivo a pochi centimetri dal suo viso.
«Zarbon...»
Non ha modo di aggiungere altro. Le prendo il volto tra le mani, infilando le dita tra i capelli e intrappolando le sue labbra sulle mie. Lei resiste per qualche attimo ma non ha scampo: si lascia andare, dischiudendo lentamente le sue. Mi bacia con avidità, come se fosse l'ultima volta. Io divoro ogni suo respiro e mi immergo nei suoi occhi, ancora e ancora; proprio nell’unico posto da cui avrei dovuto stare lontano. 
Sei un perfetto idiota.
Mi immergo e so che ritornare a galla sarà impossibile, perché sto annegando.
 
 *  *  *
  
«Ricordi di quella volta, da ragazzini?»
Infila le dita tra i miei capelli. Li ha sistemati in una treccia perfetta che mi ricade sulla spalla come una cascata di smeraldo; ha detto che mi dona, che mi rende principesco, e io le credo anche se non posso vedermi. 
Il suo seno preme contro il mio fianco, caldo e morbido. I suoi occhi si tuffano nei miei. 
«Ci sarebbe un bel po' di roba da ricordare» le sorrido. «A che ti riferisci? A quando ti prendevo a calci nelle palestre? O forse a quando perdevi ogni singola sfida che tu stessa mi proponevi?»
Il tocco delicato si trasforma in un pugno deciso che mi scuote. Mi sfugge un gridolino che sopprimo per evitare che qualcuno degli allievi ci senta dalle stanze attigue.
«Idiota» ride lei. «Mi riferivo a quando mi baciasti dietro al colonnato. Ricordi? Ci beccarono e dovemmo sorbirci la ramanzina del Gran Giudice sul decoro, l'intimità...»
«In fondo ci disse solo di farlo nelle nostre stanze e non in pubblico. Non c’è una regola che ci impedisca di stare insieme.»
«No, non c’è una regola.» nei suoi occhi sfuggenti, che si staccano dai miei correndo lontano, leggo qualcosa che non vorrei vedere. «Ma non siamo più ragazzini e non possiamo permetterci legami.»
Si allontana, mettendosi distesa sul fianco. Non posso che far scorrere lo sguardo su ogni centimetro della sua pelle azzurra, tanto chiara da apparire grigia alla luce della lanterna. 
Quelle parole mi turbano ma so che sono la verità.
«Non voglio che si sappia.» continua. «Siamo avversari. Dobbiamo essere forti, determinati, aggressivi… questo non è nulla di tutto ciò. È volubilità, è debolezza.»
D’istinto vorrei piegarmi su di lei e sfiorarle le labbra dicendole che non mi importa, che è lei la cosa più importante, che possiamo smettere di resistere e lottare contro ciò che vogliamo e essere al contempo avversari... ma non posso farlo. Non sarebbe giusto mentirle come lei non sta mentendo a me. I nostri corpi sono l'unica cosa di noi che potrà mai unirsi; le nostre anime sono troppo distanti e competono per un posto che è unico. Neanche legandoci indissolubilmente potremmo starci in due: saremmo destinati a spezzarci.
Non riesco a far altro che annuire. Lei si distende sulla schiena, osservando il soffitto, e all’improvviso sorride.
«Guarda dove siamo arrivati… eppure ricordo ancora quando ti trovammo. Eri così piccolo e bluastro. Un esserino davvero orribile.»
«Sei fortunata che non abbia potuto vedere te» controbatto.
«Te lo giuro!» ride lei. «Quando il Gran Giudice ti sollevò da quel cesto pensai: quindi sono stata così brutta anch'io?»
«Taci!» la schernisco. «Quanti anni potevi avere? Tre? È impossibile che ricordi una cosa del genere.»
«Che poca fede.»
«E poi non mi pare che tu dica lo stesso adesso, o sbaglio?»
Finge di scrutarmi e riflettere.
«No, in effetti non sei male. Sei meglio di Toqueda, questo è certo.»
Sento una lieve punta di gelosia quando lo nomina, al pensiero che anche lui possa desiderarla quanto lo faccio io. Lei lo nota subito, ovviamente.
«Non andate molto d'accordo.»
Non ti interessa di nulla, Zarbon, solo del potere.
Il ricordo delle sue parole mi travolge senza che io possa impedirlo. Il mio corpo deve essersi irrigidito, perché lei se ne accorge.
«Tutto bene?»
Mi alzo, annuendo. All’improvviso l’incantesimo si spezza e l'entità dell'errore che ho commesso mi si manifesta in tutta la sua imponenza. D'un tratto anche la sola vicinanza a lei mi è insopportabile. 
«Sarà meglio che vada» dico mentre mi chiudo la toga ai fianchi. «Abbiamo solo due mesi per concludere gli studi. Svegliarci ancora stanchi non ci aiuterà.»
Lei annuisce senza provare a fermarmi. Forse ha intuito il mio tormento interiore; forse lei per prima sta sopprimendo quella sensazione da quando mi ha visto entrare. 
Apro la porta di legno, ma mentre sto per scivolare fuori la sua voce mi blocca. 
«Buonanotte, Zarbon.»
Mi volto con un sorriso verso di lei. La mia dannazione. L'unica cosa che non posso e non potrò mai avere. 
Se non posso averti dovrò distruggerti.
«Buonanotte, Illerio.»
La porta si chiude alle mie spalle e io, silenzioso, scivolo tra le ombre. Quando ritorno nella mia stanza mi tolgo la toga, gettandola alla rinfusa sul letto, e dinnanzi allo specchio mi passo una mano sul volto per distendere i muscoli contratti del viso. 
Ho ancora i capelli legati nella treccia che lei mi ha fatto. Mi metto a letto senza toccarla. Mi ripeto che la scioglierò domani o che forse la terrò perché in fondo mi dona... ma sono davvero un ingenuo se credo di poter mentire a me stesso.

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Capitolo 3
*** Fascino ***


Ritorna la luce dell'astro e con essa l'alba che mi sveglia dal mio sonno tormentato. Dei miei sogni confusi e sfocati ricordo poco o nulla e non ho intenzione di fermarmi a rievocarli.
Sciolgo la treccia solo per pettinare i capelli, poi la ricreo ponendomela sulla spalla. Indosso la toga nera che mi sembra ancora intrisa del suo odore. Ovunque mi volti mi pare di rivederla. È stato un errore, un grave errore, e io lo sapevo: avrei dovuto immaginare che mi avrebbe fatto questo effetto.
Dentro di me provo solo rabbia. Rabbia verso di lei, che mi ha costretto a desiderarla con tutte le sue provocazioni.
Ma se non l’avesse fatto non l’avrei desiderata ugualmente?
Rabbia verso di me, che voglio il potere ma non sono nemmeno capace di resistere a una tentazione.
Una tentazione o una dipendenza?
Rabbia verso il destino che ci ha fatti incontrare senza darci alcuna speranza di poter essere felici insieme.
Oppure la possibilità c’è e siamo noi a non volerla cogliere?
Detesto questo stato di impotenza e furore. Non riesco a trattenermi e, per qualche attimo, percepisco il potere che nascondo da tutta la vita urlarmi di liberarlo. Lo farei pur di sfogarmi, ma non accadrà. Non ho alcuna intenzione di allertare il Palazzo né tantomeno di rischiare di scorgere allo specchio la bestia in cui la rabbia cieca mi trasforma.
Tento di non pensarci; metto piede nella sala del Concilio in perfetto orario nonostante tutto, ma mi accorgo all'istante che qualcosa non va. I tre Grandi sono già al loro posto e ai piedi del trono c'è il messaggero intento a riferire. Mi nasconderei per provare a carpire ciò che dice, ma l'ho notato tardi e mi hanno già visto entrare.
Mi blocco. Credevo che avrei dovuto attendere ma il Gran Sapiente mi fa cenno di avanzare senza interrompere il messo. Pochi passi e sono al suo fianco.
«...e sarà qui a ore» dice. «Ha chiesto che siate voi in persona ad accoglierlo e a quanto pare lo pretende. Credo sia meglio accontentarlo.»
«Accontentarlo?» si altera il Gran Sacerdote. La lunga barba verde trema dallo sdegno. «Voi vorreste assecondare un tipo del genere? Io non lo accetto!»
«Hai sentito cosa raccontano di lui» cerca di farlo ragionare il Gran Giudice. «Potrebbe essere una considerevole minaccia e io non voglio sottovalutarlo. Finché le sue richieste saranno così leggere potremo assecondarle, non trovate?»
Il Gran Sapiente annuisce ma il Gran Sacerdote non è per nulla convinto.
«No, no e no» nega scuotendo il capo. «Se iniziamo con l'assecondarlo ci dimostreremo remissivi. Tiranni di quello stampo non desiderano altro.»
«Il suo emissario ci ha riferito che su Netiko ha fatto saltare in aria un abitante con un dito» riferisce il messo. «Con un dito. Miei Signori, credetemi, la minaccia è forte. Non indispettitelo... giocate d'astuzia. Non possiamo vincere altrimenti contro una tale potenza.»
Annuiscono. Persino il Gran Sacerdote si placa seppure sia visibilmente in disaccordo.
«Va bene, aggiornaci quando è in avvicinamento»
Il messaggero li saluta e mi supera, sparendo alle mie spalle. È allora che il Gran Giudice si rivolge a me facendomi cenno di avvicinarmi.
«Vieni, Zarbon, vieni pure. Speravo di non dover turbare il tuo studio con questi imprevisti ma purtroppo i nostri timori si sono concretizzati prima di quanto credessimo.»
«Di che si tratta?» chiedo.
Il Gran Sacerdote scuote il capo con disappunto. «Guai, ecco di che si tratta.»
«Non essere così pessimista» ribatte il Gran Sapiente. Mi accorgo che alle mie spalle stanno sopraggiungendo anche Illerio e Toqueda, ma evito di voltarmi a guardarli.
Cosa provi? Sei arrabbiata come me o farai come se nulla fosse accaduto, come sempre?
«A quanto pare ieri è atterrata in città una strana navicella che portava con sé un individuo.» spiega il Gran Sapiente interrompendo il filo dei miei pensieri. M’impongo di ascoltarlo. «Costui ha detto di essere un emissario di un certo Lord Freezer, un tiranno che ha dichiarato di volersi impadronire di Nemanan. All’inizio credevamo fosse null’altro che un pirata spaziale ma poi l’emissario ha iniziato a raccontare delle storie su come questo Freezer abbia già conquistato altri pianeti con la violenza e persino condotto un genocidio ai danni della popolazione di Madoria.»
Sgrano gli occhi dalla sorpresa.
«Madoria?»
Annuiscono. Da quel che so Madoria è uno dei pianeti più grandi e potenti della nostra Galassia non tanto per l’aggressività conquistatrice dei suoi abitanti, dato che non hanno la tecnologia per abbandonare il pianeta, quanto per la loro potenza fisica. Madoria non è un pianeta che conquista, ma nemmeno un pianeta che si fa conquistare. Com’è possibile che qualcuno vi abbia addirittura compiuto un genocidio?
«Quante navi ha?»
«Una sola. Il messaggero parla di quattromila uomini, ma il problema non sono loro… è lui. Questo Freezer pare essere un oppressore spietato. Hai sentito cosa ha detto il nostro messaggero…»
…su Netiko ha fatto saltare in aria un abitante con un dito…
«…a quanto pare sa domare l’energia e sa farlo molto bene.» conclude, inspirando profondamente. «Non so cosa dirvi. Potrebbero essere tutte storie. Non riusciremo a comprendere l’entità del pericolo finché non lo conosceremo, temo.»
«Dovremmo farlo saltare in aria mentre è in avvicinamento» nega il Gran Sacerdote.
«E rischiare di inimicarcelo così? Se davvero è potente come narrano non abbiamo speranze di batterlo. Tu rischieresti?»
«Se davvero fosse potente come narrano non avrebbe bisogno di intimidirci con i suoi messaggeri. Prenderebbe il pianeta con la forza e basta.»
«Sono d’accordo con te. Ecco perché ti stai preoccupando inutilmente.»
Si volge verso di noi. Le due toghe nere si sono poste al mio fianco.
«Non so se abbiate intenzione di studiare, oggi, ma preferiremmo che foste con noi. Il destino del pianeta potrebbe essere a rischio.»
«Ci saremo» confermo senza nemmeno chiedere agli altri. Dopo tutto ciò che ho sentito è impensabile che io mi perda quest’incontro. Se davvero costui è ciò che dice di essere il pericolo che avvolge Nemanan è così grande che quasi avverto i brividi al solo pensiero.
Ha compiuto un genocidio su Madoria…
Non aggiungo altro. Mi inchino e ritorno sui miei passi, verso la mia stanza, senza nemmeno sfiorare con lo sguardo i due che erano accanto a me.
  
*  *  *
  
La grossa nave è stata fatta atterrare nella pianura alle spalle del Palazzo per evitare che creasse problemi a quest’ultimo e alle case. È molto più imponente di quanto mi aspettassi: se per ora contiene solo quattromila uomini temo che le mire di quest’essere siano ancora lontane dall’essere soddisfatte.
Io, gli altri due allievi e i tre Grandi, circondati da una fitta folla di cittadini curiosi, attendiamo in semicerchio l’arrivo di Lord Freezer poche decine di metri più in là da dove è atterrato. Forse dovrei temere o essere in ansia ma tutto ciò che provo è una strana frenesia. La curiosità di conoscere questo sedicente distruttore mi sta divorando.
Non ci fa aspettare. Dopo pochi minuti, dalla polvere rossa che si innalza tra l’erba a ogni suo passo, emerge in lontananza una piccola delegazione che si fa strada verso di noi.
Sarebbe stato molto meno strano se questo temibile tiranno spaziale fosse stato l’individuo alto e longilineo, dalla pelle grigia e i grandi occhi neri, che cammina alla sua destra; ancor meno se fosse stato il madoriano alla sua sinistra, così possente che i muscoli delle braccia affiorano vigorosi sottopelle. Invece è evidente chi sia al comando, anche se la scoperta mi lascia interdetto.
Arriva fluttuando su un seggio che non sfiora il terreno finché non si trova proprio di fronte a noi: solo in quel momento quella strana poltrona perde quota e si stabilizza tra l’erba, affondando tre lunghi piedi estraibili nel terreno e permettendo a Lord Freezer di saltarvi fuori. Finalmente posso osservare bene il nostro visitatore.
È piccolo, troppo per essere potente quanto dice. Per guardarlo in viso devo abbassare lo sguardo. Certo, i suoi muscoli rendono evidente che non sia debole, ma il pensiero che sia un genocida mi sembra troppo poco credibile… almeno finché non inizia a parlare.
«Salve.»
Lo osserviamo roteare la coda e allargare le braccia verso di noi, forse in segno di saluto. In volto ha un sorriso sicuro ma malevolo che lascia trasparire un’intensa arroganza. Eppure ciò che più mi sorprende sono gli occhi sanguigni da cui è evidente che una volta catturati non si possa sfuggire.
«Benvenuto, Lord Freezer» avanza il Gran Giudice a mani giunte. «Siamo lieti di darti il benvenuto su Nemanan.»
«Oh, che accoglienza. Vedo che l’idea di usare un messaggero ha dato i suoi frutti.»
Si guarda intorno scrutando i tre Grandi a uno a uno, senza fretta. Il sorriso non lo abbandona mai: già da solo è incredibilmente maligno, ma abbinato alla sua voce mette davvero i brividi. Non c’è nulla in quest’essere che non trasudi superbia e incuta un profondo timore.
«Vuol dire che non perderemo tempo in convenevoli. Dovrebbero già avervi riferito chi sono e cosa voglio.»
Tutti annuiscono senza fiatare tranne il Gran Giudice. Con le mani conserte sostiene il suo sguardo.
«Sappiamo che vuoi impossessarti del nostro pianeta, sì. Purtroppo però non credo di aver compreso quali siano le condizioni.»
Lo osserva con evidente fastidio.
«Siete voi ad avere la memoria corta o sono i miei messaggeri a essere poco efficienti?»
Non attende una risposta, anzi volta il capo verso il madoriano.
«Dodoria, chi è stato mandato qui da Sorbet?»
«Uno dei suoi» taglia corto quell’essere dalle sembianze mostruose. «Se vuoi te lo porto.»
«Saresti gentile, sì.»
Il madoriano annuisce e si solleva dal suolo, levitando in modo molto più aggraziato rispetto a quello che mi sarei atteso dalla sua stazza; del resto non ero nemmeno convinto che sapesse usare l’aura. Si dirige verso la nave, sparendo alle sue spalle proprio mentre Lord Freezer torna a rivolgersi al Concilio.
«Vi ho fatto una domanda. Gradirei che rispondeste.»
«Non ci è stato detto» si affretta a rispondere il mio Maestro. «Ci è stato riferito che avremmo avuto tutti i dettagli durante quest’incontro.»
Sospira e scuote il capo lentamente. Sembra contrariato, ben poco contento dell’operato del suo messaggero. Mentre lo osservo mi accorgo che seguo ogni sua mossa, ogni suo movimento senza riuscire a togliergli gli occhi di dosso, come in una trance: la sicurezza e la fierezza con cui si muove mi ammaliano, la regalità che mostra è degna di un imperatore.
È incredibile di come quest'essere emani un'aura così terrificante. Persino i suoi uomini lo guardano con muto rispetto e non osano nemmeno muoversi senza il suo comando. Non capisco cosa sia, se le sue parole, il suo tono di voce o il suo fare incredibilmente composto ma che nella sua raffinatezza cela un'incredibile minaccia. Tutto ciò che so è che non riesco a staccargli gli occhi di dosso. Non riesco a dubitare che possieda tutta la spietatezza che si narra.
Deve essersene accorto, perché per un attimo si volta e i suoi occhi incrociano i miei. Ho un brivido. Quello sguardo mi trapassa a metà, scavando nelle profondità del mio essere, forse leggendo ciò che non doveva. Dura un attimo, ma è abbastanza per lasciarmi turbato; quando si volta verso il Concilio il brivido non mi abbandona.
«Purtroppo non tutti sono capaci di eseguire un ordine in modo decente. Spero che possiate perdonarmi per questa mancanza, anche se non è di certo mia.»
Quello che Lord Freezer ha chiamato Dodoria appare in lontananza e lui si volta a osservarlo mentre diventa sempre più vicino, finché non gli atterra accanto. Con lui è arrivato un soldato che veste la stessa uniforme di tutti gli altri, Lord Freezer compreso.
Lo indica con un dito interpellando il Gran Giudice.
«È lui?»
Il mio Maestro annuisce. Intanto, con la coda dell’occhio, noto che l’emissario sta tremando e il suo tremore diviene insopportabile quando Lord Freezer gli si rivolge.
«Dimmi, per quale ragione hai svolto il tuo compito a metà?»
«Credevo di dover riferire della sua volontà di prendere il pianeta» sputa fuori lui a un’incredibile velocità; persino le parole gli sussultano in gola prima di uscire. Lord Freezer scuote ancora il capo e la luce rossa dell’astro si riflette sulle sue corna splendenti.
«Ti rifarò la domanda e stavolta spero di ricevere una risposta coerente: per quale ragione hai svolto il tuo compito a metà?»
«Io… io pensavo…»
Non sa che dire e non riuscirebbe nemmeno a farlo. Lord Freezer incalza e qualcosa mi fa pensare che si stia divertendo a osservare il suo panico. Ho uno strano presentimento.
«Tu pensavi? E da quando in qua il tuo ruolo è pensare? Il tuo ruolo è portare messaggi. E un messaggero che porta messaggi a metà… converrai con me che non serve.»
Il presentimento si fa più forte che mai.
Su Netiko ha fatto saltare in aria un abitante con un dito… con un dito…
Mi chiedo se fosse lo stesso dito che solleva, puntandolo verso il petto del suo emissario, prima che si illumini di un’energia così intensa da mescolarsi ai raggi dell’astro rosso tutt’attorno.
Non lo farà davvero…
E invece lo fa. Il raggio trapassa il petto del soldato, che senza un lamento ricade in ginocchio per poi accasciarsi tra l’erba immersa nel terreno che si tinge ancor più di rosso quando si impregna del suo sangue.
Tutti tacciono. Nessuno osa parlare, del resto cosa ci sarebbe da dire? Credo che tutti qui intorno siano sconvolti e dovrei anch’io, dovrei, ma non ci riesco.
Sono a bocca aperta. È incredibile. Trovavo strano che i suoi sottoposti fossero letteralmente terrorizzati da lui nonostante non appaia intimidatorio né li minacci direttamente, ma ora capisco. È il suo atteggiamento a minacciare, sono i suoi occhi, è il tono della sua voce che non lascia seconde possibilità. Ed è assurdo con quanta facilità abbia eliminato uno dei suoi uomini solo per mostrarci che può farlo… perché è questo il motivo. Lord Freezer sta giocando con noi e con i nostri sentimenti, ci sta dimostrando quanto è superiore senza nemmeno sfidarci.
Si sfrega le mani, poi torna a rivolgersi a noi come se nulla fosse successo. Il suo tono è calmo e ciò rende tutto immensamente più terrificante.
«Dunque, le condizioni sono queste: se accetterete il pianeta cambierà nome in pianeta Freezer numero quattro e da allora in poi risponderete ai miei ordini, qualunque essi siano e in qualsiasi momento arrivino. Inoltre dovrete fornirmi i vostri uomini migliori in ogni campo, principalmente in quello fisico dato che necessito di guerrieri per il mio esercito. Dopo di questo partirò e non sentirete parlare di me fino a nuovo ordine. Allora, che ne dite? Non trovate sia conveniente?»
Sorride, godendosi le espressioni incredule di chiunque gli capiti sott’occhio. Nessuno a cui la vita sia minimamente cara oserebbe rifiutare dopo ciò che ha fatto… ma è ovvio che non gli piaccia infondere terrore con le intimidazioni. Preferisce farlo con il sorriso.
«Sì, sono termini assai convenienti» si inchina il mio Maestro. I miei occhi, così come quelli di tutti i presenti, scattano a guardarlo; sono incredulo. Quindi vuole davvero sottomettersi?
Anche gli altri due Grandi sembrano condividere il mio dubbio, ma non intervengono. Si fidano di lui più che di chiunque altro, anche se persino io trovo strano un tale atteggiamento da parte sua.
Lord Freezer invece non dubita di nulla, troppo impegnato a godersi la vittoria. Incrocia le braccia alle sue spalle e ci rivolge un riso trionfante; ho l’impressione che si aspettasse già di sottometterci con una tale facilità.
«Bene» dice. Poi si rivolge al madoriano alle sue spalle. «Peccato, pare che questa volta non ci saranno fuochi d'artificio.»
Il madoriano ride, assecondandolo; sembra essere l’unico a non temerlo ed è anche l’unico a cui Lord Freezer si rivolga con una certa confidenza.
Rotea la lunga coda muscolosa dietro di sé, inchinandosi leggermente verso il Concilio.
«Allora il patto è siglato. Quanto tempo vi occorrerà per radunare gli uomini?»
«Puoi lasciarci per qualche ora a deliberare su come muoverci? Ti faremo sapere al prima possibile, dopo aver trovato il modo migliore per eseguire la selezione.»
«E sia» annuisce con un cenno sbrigativo della mano. Poi si volta, saltando in maniera aggraziata nella sua poltrona e prendendo posto al comando. «Tre ore. Che vi bastino.»
«Ci basteranno.»
Senza aggiungere altro Lord Freezer si volta e, seguito dalla sua delegazione, ritorna verso la sua nave immergendosi nell'orizzonte da cui è giunto.

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Capitolo 4
*** Redenzione ***


 «Sei forse impazzito?»
La barba del Gran Sacerdote trema dalla collera così come le sue mani, che si stringono assieme in un gesto disperato. Potrebbe sembrare colui che è rimasto più colpito dall'accaduto, eppure sono pronto a scommettere che il più turbato qui sia io. Comunque comprendo lo sgomento: ciò che ha detto e fatto il mio Maestro non è per niente da lui.
«Gli hai consegnato il pianeta sotto gli occhi del popolo! Cosa ti è passato per la testa?» continua a inveire il Gran Sacerdote. Non riesce a crederci. Eppure il Gran Sapiente non interviene e il Gran Giudice, inaspettatamente, sorride. Non credo che la situazione non gli sia chiara: l'unica alternativa è che abbia un piano.
«Vecchio ingenuo» sorride. «Hai visto anche tu come si è messo in mostra. Ha tenuto a dimostrare che per lui la vita non vale nulla e che non avrebbe esitato a prendersi la nostra. Cosa credi che fosse opportuno fare? Sfidarlo e farci ammazzare?»
«Ma consegnargli il pianeta!»
«Non gli abbiamo consegnato nulla. Non ancora.»
Attendiamo con pazienza che sia lui a parlare, senza incalzarlo; si schiarisce la voce, poi continua.
«Ci ha dato tre ore per deliberare. Abbiamo tre ore per capire come ingannarlo.»
I presenti annuiscono. È chiaro che adesso serviranno tutte le nostre doti di strateghi per affrontare la minaccia.
«Abbiamo convenuto che dovremo usare l'astuzia» annuisce il Gran Sapiente. «In fondo le sue condizioni sono vantaggiose sul serio. Se non fosse che pretende di sequestrare i nostri uomini migliori potremmo persino accettare.»
«Concordo con te, ma credo che se accettassimo rischieremmo più del previsto» interviene il Maestro. «Ha detto che potremmo aspettarci un suo ordine in qualsiasi momento... sono certo che non esiterebbe a razziare e distruggere il pianeta o ad assoldarci tutti nel suo esercito, se fosse necessario. No, dobbiamo fare in modo che se ne vada senza crearci troppi danni. Se poi dovesse ritornare potremmo scacciarlo unendo le forze con qualcun altro.»
«Potremmo chiedere aiuto ai Gemelli» propone il Gran Sapiente, e questa mi sembra un’ottima idea. Val e i suoi due gemelli, i tre pianeti dell'orbita dell’Astro Nero, sono tra i più avanzati della nostra galassia e Nemanan è in ottimi rapporti con loro.
«Sì, potremmo mandarlo via con una scusa e intanto richiamare anche i Gemelli a raccolta. Sono certo che tra poco questo Lord Freezer diventerà anche un loro problema... unire le forze è l’unica soluzione.»
I due Grandi annuiscono, ma il Gran Sacerdote sembra dubbioso. 
«Non se ne andrà senza i nostri uomini» nega. «E io non ho intenzione di consegnargliene nemmeno uno. Correrebbero un immenso pericolo a rimanere lì mentre tramiamo alle sue spalle... anzi, forse lo correrebbero a prescindere.»
Il Maestro sembra rifletterci.
«Possiamo inventare una scusa per rimandare questo problema. L’unico limite è che occorrerebbe concedergli un individuo come garanzia, ma anche questo potrebbe andare a nostro vantaggio poiché potremmo sfruttarlo per osservarlo dall’interno. Quando Freezer tornerà sul pianeta secondo gli accordi, prima che lo attacchiamo, costui potrebbe facilmente fuggire dalla nave.»
Tutti annuiscono, ma la domanda aleggia senza che nessuno osi pronunciarla. Chi sarebbe tanto folle da assumersi una tale responsabilità? Chi metterebbe a rischio la propria vita in quel modo? Chi…
«Andrò io.»
Non ho parlato volontariamente. Quelle due parole sono scivolate via dalle mie labbra da sole, senza che potessi fermarle, guidate dalla strana urgenza che si sta impadronendo di me: per qualche motivo desidero essere io a condurre questo gioco.
Gli occhi di tutti, nella sala, si puntano su di me. Il Gran Giudice mi guarda sorpreso proprio come io ho guardato lui poco tempo prima.
«Non ce n'è bisogno, Zarbon» tenta di dissuadermi. Lo interrompo prima che possa continuare.
«Non starò con le mani in mano mentre il mio pianeta corre un tale pericolo. Se voglio la responsabilità di governarlo accetto anche quella di proteggerlo.»
Nessuno osa contraddire una tale logica tranne che la mia stessa coscienza. So che quelle parole, per quanto meravigliosamente credibili, sono una falsità. Io non voglio proteggere Nemanan: voglio mostrare il mio coraggio e la mia forza, proprio come ha fatto Freezer con noi. Voglio allontanarmi da Illerio. Voglio avvicinarmi a Freezer.
I Grandi si guardano e annuiscono senza fiatare. Sanno che se perdono l’occasione di mandare me non troveranno nessun altro disposto ad assumersi un tale compito, ma l’idea di spingermi al suicidio li turba più del dovuto. Più di tutti il Gran Giudice, che tuttavia non controbatte.
«So che te la caverai. Sei in gamba.»
Inspiro profondamente. Ciò che sto facendo è una vera pazzia, ma non riesco a pensare ad altro.
«Andrò nella mia camera a prepararmi. Col vostro permesso.»
Mi inchino lievemente, ma qualcosa nel mio movimento non è fluido. Fuggo letteralmente dalla stanza mentre i nervi mi tremano così profondamente da spezzarmi il respiro.
 
 *  *  *
  
Quando la porta di legno scivola non alzo il volto dallo specchio. La mia mano continua a coprirmi il viso per metà, seguendo il profilo del naso e intrappolando sul palmo i miei respiri spezzati.
Speravo che venisse. Non lo avevo ammesso a me stesso, ma ora che è qui non posso negare di essere felice di vederla.
Si avvicina a me con una strana espressione in viso che non riesco a decifrare. Potrebbe essere paura, ma di cosa? Che io muoia o che io fallisca?
«Sei un vero idiota.»
Tante volte mi sono sentito chiamare in quel modo da lei, ma stavolta non sta giocando. Quella frase è stata pronunciata in un tono duro, pieno di rancore e disappunto. Mi passo la mano sul viso e poggio i gomiti sul ripiano, guardandola avanzare dal riflesso nello specchio.
«Che c’è? Hai il coraggio di affrontare Lord Freezer e non ne hai per rispondere a me?»
«Che diritto hai a chiamarmi così?»
«Ti chiamo come meglio credo. Sei un idiota, Zarbon. Ti farai ammazzare nel modo più stupido che possa esistere.»
Sorrido, sprezzante.
«Non mi ammazzerà, puoi starne certa. Vattene.»
Si blocca, con i pugni stretti. Vorrebbe andarsene, forse vorrebbe addirittura mandarmi al diavolo, ma qualcosa la trattiene e so di che si tratta, perché provo anch’io la stessa voglia di dirle addio.
«E la prova? Cosa ne sarà? Finisce davvero tutto in questo modo?»
«Se Freezer distruggesse il pianeta non esisterebbe più alcuna prova.»
«Freezer non distruggerà il pianeta se seguiamo il piano del Concilio. L’unica cosa che cambia è che mandando qualcun altro tu potresti continuare a prepararti, e…»
«Non mi interessa.»
Quelle parole lapidarie la congelano.
«Non mi interessa della prova.» Non mi interessa di te, né di Nemanan. Toqueda aveva ragione, mi interessa solo del potere. E il potere che Lord Freezer può darmi non lo troverò mai 
su questo misero pianeta.
«Giusto, tu sei il nostro salvatore!» mi schernisce. «Colui che fermerà il tiranno con la forza del suo sapere! Cosa credi che avverrà quando Lord Freezer scoprirà che lo spii riferendoci le sue intenzioni? Perché tutto mi è parso, meno che uno sprovveduto e uno che perdona.»
«Non scoprirà nulla. Non corro pericoli. Quanto tempo ancora passerai qui a ronzare? Vattene, Illerio, o rendi utile questa tua visita in altri modi.»
Pronunciare queste parole non mi costa quanto credevo, ma è solo perché sono certo che non se ne andrà. Infatti non lo fa. Resta immobile alle mie spalle, forse lottando tra il desiderio di rispondermi male e quello di baciarmi. Infine mi guarda dritto negli occhi e noto che i suoi si riempiono di lacrime.
«Sai perché sono qui a dire ciò che dico, Zarbon. Non posso credere che tu non provi lo stesso.»
Nemmeno il suo sguardo le darebbe il diritto di togliermi ciò che è mio.
La guardo senza muovermi. È questo il momento che più temevo: quello in cui la scelta mi si presenta dinnanzi agli occhi, sul tavolo dei giochi, e io devo prendere la mia decisione. Il problema è che ormai non è più una scelta: troppe tappe sono già state segnate. Oltre i miei sentimenti ho già dato la mia parola al Concilio e per nulla al mondo potrei tirarmi indietro, nemmeno per lei.
Potresti dirle che la ami. Non cambierebbe nulla se non il peso che ti porti dentro.
Eppure quelle parole non arrivano alla mia bocca. Non riesco che a scuotere il capo.
«L’unica cosa che provo in questo momento è paura.» Paura che Lord Freezer non accetti la nostra proposta e i miei piani non possano compiersi. Paura che qualcosa vada storto e io non raggiunga il potere che pretendo. «Paura per Nemanan. E questo non può cambiarlo nemmeno ciò che provo, qualunque cosa sia.»
«Smettila di negarlo a te stesso.»
«Non sto negando nulla a me stesso.»
Mi afferra la spalla con una presa salda che mi costringe a voltarmi sulla sedia e ad alzare il viso per incontrare il suo. Le lacrime sono sparite, ora nei suoi occhi leggo solo collera.
«Stai andando a morire. Mi stai abbandonando senza che io sappia nemmeno ciò che provi per me. Perché sei venuto da me, ieri sera? Cosa sono per te, Zarbon? Solo un’altra delle tue puttane?»
Afferro quella mano e me la scrollo di dosso come una piuma, spingendola lontano. Lei la ritrae, prendendosi il polso che le ho stretto forse con troppa forza. Dentro di me divampa l’incendio della furia e a stento riesco a trattenere la bestia dal mostrarsi.
«Vattene, Illerio.» Vattene, prima di riuscire a farmi mettere in discussione tutto.
Finalmente è troppo per lei. Senza una parola di più fugge dalla stanza, lasciando la porta semiaperta e me nell’oscurità di cui mi sono circondato.
Ho trascorso lunghi anni a cercare questa fermezza, a coltivarla, a farla crescere in me come un germoglio proteggendola da ogni debolezza. La mia vita è stata un continuo prepararmi a essere pronto a tutto pur di raggiungere i miei scopi, persino a dei sacrifici. E lei sarà il mio sacrificio più grande, perché nulla, nemmeno il suo dannato sguardo le darà il diritto di togliermi ciò che è mio.
  
*  *  *
  
Quando Lord Freezer si presenta, nello stesso luogo in cui si è tenuto il primo incontro, inizio a pensare che quello che sto facendo sia una completa follia.
Ho stretto i Grandi in un abbraccio prima di incamminarci verso il nostro destino. Solo noi quattro senza alcuna toga nera, nemmeno la mia, che ho sostituito con l’uniforme che uso per allenarmi nelle palestre.
Stavolta è solo e non scende dal suo seggio, anzi sembra persino annoiato da quella visita. Quando ci poniamo dinnanzi a lui ci osserva, curioso.
«Allora, avete deciso?»
Avanzo d’un passo. «Sì, Lord Freezer. Abbiamo trovato il modo migliore per accogliere la sua richiesta.»
Mi osserva dal basso verso l’alto come se si chiedesse chi io sia e che cosa ci faccia lì assieme al Concilio, ma non lo domanda direttamente. Si limita ad attendere una vera risposta alla sua domanda, e il Maestro si affretta a dargliela.
«Il nostro pianeta non è famoso per i suoi combattenti. Non possediamo un grande esercito e non abbiamo mai avuto bisogno di mantenerlo attivo. Tuttavia non vogliamo mancarti di rispetto fornendoti dei guerrieri che non siano all’altezza delle tue truppe, quindi abbiamo pensato di riservarci del tempo per allenare i nostri migliori uomini nelle palestre gravitazionali di Nemanan, fornite di un sistema che accelera l’addestramento moltiplicandone l’efficacia. Potrai passarli a prelevare in seguito, quando saranno degni di essere chiamati combattenti; intanto il migliore dei nostri uomini si imbarcherà con te, come garanzia della nostra fedeltà.»
Riflette, squadrandomi ancora con un atteggiamento che mi fa sentire studiato più che osservato; infine solleva le spalle.
«Considerando che presto potrei avere una flotta al seguito, meglio risparmiare spazio per nuovi guerrieri mentre voi allenate i vostri. Del resto non ho alcuna intenzione di caricare altra feccia a bordo. E sia, ma che non ve la prendiate comoda. Tornerò appena avrò finito con i pianeti qui intorno.»
Senza aggiungere altro si volta e il suo trono volante scatta in direzione della nave. So che adesso è il mio turno: il momento che tanto attendevo è finalmente arrivato.
Mi volto per dare una rapida occhiata ai tre Grandi e li saluto con un sorriso. Mi attraversa un brivido al pensiero che quello sguardo sarà l’ultimo. Quel momento mi rimane incastrato nei ricordi senza che io lo desideri, senza che lo voglia: avrei preferito che fosse tutto più sfumato e indolore.
Non perdo altro tempo. Mi sollevo, lanciandomi all’inseguimento del temibile Lord Freezer, e scuoto il capo ripetendomi che tutto ciò che ho sempre desiderato è tra le mie mani: finalmente sarò artefice del mio destino senza terzi incomodi.
Mentre mi avvicino osservo il trono volante ascendere alla nave attraverso il portello inferiore, che rimane aperto per me. Pochi attimi dopo vi metto piede anch’io, non prima di aver lanciato un ultimo sguardo a Nemanan.
La terra rossa puntellata da erba chiara. I riflessi sanguigni dell’astro sulle vetrate del Palazzo. Le vaste pianure e le piccole e fitte città. I colli lontani. Nulla mi lega a questo pianeta se non il trono che volevo con tanto ardore, eppure abbandonarlo per sempre mi dà uno strano senso di nostalgia e inquietudine.
Ma dura poco.
Mentre il portello della nave di Lord Freezer si richiude alle mie spalle chiudo gli occhi. È questo il momento più importante: quello in cui deve avvenire il cambiamento.
Ciò che ero non deve più esistere.
Ciò che amavo non deve più esistere.
L’unica cosa che deve esistere è ciò che ho sempre desiderato: il potere.
 

 
 *  *  *

 
Ci siamo!
Ecco la fine di questo spin-off, ma nonostante questi quattro capitoli dal POV di Zarbon segnino la fine de Il canto del Potere, la storia non finisce qui!
Se volete conoscere il continuo della vicenda potete farlo dal POV di Freezer leggendo la long
Freezer:Origins. Per continuare a leggere la storia di Zarbon dovrete ricollegarvi al capitolo 11, Il raffinato adulatore, ma ovviamente vi consiglio di leggerla dall’inizio per non perdervi tutti i dettagli della vicenda: ciò che avverrà d'ora in poi è collegato ai capitoli precedenti.
Vi ringrazio di cuore per aver letto, con un abbraccio in particolare a coloro che hanno lasciato una recensione con le proprie opinioni. Siete preziosi, dico sul serio, se sto continuando a scrivere e pubblicare questa storia è principalmente grazie al vostro sostegno!
Allora ciao. Nel caso... ci vediamo di là :P
A presto!

G

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