Heroes Pressure

di SourBliss
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 - La quiete dopo la tempesta ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Heroes Pressure

 

 

Prologo

Plic

Le prime gocce d'acqua stavano cadendo giù dal cielo notturno, lente e piccine, creando piccole pozze scure che inumidivano il terreno, mischiandone terra e sassolini che divenivano fango, o lasciando scie bagnaticce sulle lisce e smeraldine foglie degli alberi. I minacciosi nuvoloni neri non lasciavano intravedere la volta celeste scura e stellata, neanche l'argentea luna riusciva a far capolino dal fitto mare grigio che sembrava stare diventando sempre più minaccioso, e il vento gelido accarezzava i volti scoperti della gente che era ancora in piedi, intenta a dirigersi a casa per potersi riparare dall'imminente tempesta e rilassarsi quietamente sotto le coperte. Le auto erano in coda, una dietro l'altra, formando un lungo serpente variopinto che stentava ad avanzare; poco a poco i suoni della cittadina e della natura aumentavano, mescolandosi tra di loro, creandone un fastidioso rumore che insistentemente rimbombava in quel tunnel a cielo aperto, scatenando l'ira delle persone che volevano fare un meritato riposo. E non osavano mancare i lampi che, veloci, come un battito cardiaco, illuminavano l'ormai cielo colmo di nuvole. Il ritmo della pioggia aumentava minuto dopo minuto e se prima i marciapiedi delle strade venivano calpestati dalla gente, a popolarli erano solo le violente gocce d'acqua che si schiantavano imperterrite. Benché spesso la pioggia regalava un momento di tranquillità, quella notte era l'ultimo elemento che donava a N.Sanity City una visione piuttosto sgradevole. Ma la pioggia, i rumori e le auto ancora in coda non erano l'unico elemento molesto, anzi, problemi più gravi si celavano negli angoli più cupi della metropoli.

In un vicolo buio e abbandonato, popolato da sola maleodorante immondizia sparsa per terra, in un piccolo locale situato sotto il livello della strada, raggiungibile solo scendendo delle scale, regnava il caos. Il fumo compatto e la sua puzza non osavano scomparire e un motivetto veloce suonato al pianoforte, che ricordava la Marcia Turca di Mozart, accompagnava gli schiamazzi di gente intenta a interloquire: c'era chi rimaneva in piedi, chi si gustava la sua birra placidamente seduto sulla sedia, parlando con il proprio a mico o con una donna, chi rimaneva in silenzio a guardare la schiera di gente non intenzionata a calmarsi. Seduto al bancone vi era un grosso bandicoot dal pelo rossastro, in smoking nero e camicia bianca, con un papillon verde che dava un tocco di colore, pezzando i due colori neutri. In bocca teneva un sigaro, quasi consumato, e nella mano sinistra un bicchiere, ancora mezzo pieno, di birra rossa con dei cubetti di ghiaccio immersi. Con il dito compiva sensi rotatori sul bordo del vitreo oggetto, assorto nei suoi pensieri, ad occhi socchiusi che puntavano sul ghiaccio che lentamente si squagliava, ma fu proprio la voce del barman che lo risvegliò, continuando la discussione che precedentemente avevano interrotto con uno stacco di silenzio imbarazzante. 

«Bandicoot, sai che tu e i tuoi amici siete entrati in un brutto affare. Come pensate di poterne uscire?»

La domanda seria dell'uomo, che celava freddezza pungente, fece muovere filminee le orecchie del marsupiale, in procinto di proferir parola sebbene alla fine non uscì un filo di voce, solo un sospiro, mentre occhi smeraldini si posarono sulla figura del suo interlocutore. Una forma bizzara, a forma di un frutto, dotata di grandi occhi, un naso metallico lungo e denti sporgenti. Un tipo buffo, agli occhi della gente, che riusciva a sembrar serio con il completo nero da cameriere.

«Cristalli osate cercare e nei guai vi potrete trovare. Almeno così dicono qui, a N.Sanity City.» Fu l'ultimo avvertimento proferito dall'uomo che si dileguò dal suo posto per andar a servire altri clienti. 

Nonostante il continuo parlottare delle persone, era possibile ascoltare con orecchio attento il suono della pioggia che non era cessata, continuando a precipitare sempre più violentemente. Era possibile notarlo dalla piccola finestrella al muro, quasi attaccata al soffitto, e forse era giunto il momento per il rosso peramelide di far ritorno a casa dai suoi fratelli. Egli scese dallo sgabello in legno lentamente, prendendo l'ombrello da terra e avviarsi alla porta d' uscita, dando una repentina occhiata al barman che stava parlando giocondo con dei clienti.

Un sospiro e Crunch Bandicoot era già fuori dal locale, camminando sul marciapiede con l'asta dell'ombrello tra le mani. La gelida brezza gli carezzava le guance ricoperte dal pelo beige del muso, bagnaticcio, mentre gli occhi vigili erano puntati sulle auto che continuavano a procedere lente sull'asfalto. "Chissà cosa sarà successo. Mai vista una fila così lunga in vita mia.", pensò il marsupiale, procedendo il suo cammino sotto il suo riparo in tessuto. Crunch continuava ad essere preso dai suoi pensieri, cotanta era la sua sua concentrazione in essi che non si era neanche accorto di essere arrivato al palazzo la quale vi abitava: un massodontico parellelepipedo rifinito in pietra, colmo di larghe vetrate che davano la vista alle simili strutture che lo circondavano. Era curato e i semplici, bianchi disegni geometrici riuscivano a donare un tocco in più. Crunch si avvicinò al portoncino, facendone scattare la serratura con le chiavi, e strisciò i piedi fino all'ascensore, pigiando un pulsantino che lo avrebbe portato al piano ove il suo appartamento era situato. Ma proprio quando le ante dell'elevatore stavano per chiudersi, una figura femminile riuscì ad interrompere quella lenta chiusura, dandosi una piccola ed agile spinta per poter entrare nello scatolone metallico.

«Mi spiace essere piombata di capofitto nell'ascensore - ridacchiò, scostando con la mano destra un ciuffo biondo e bagnato dal viso roseo, mentre con l'altra si era apprestata a schiacciare il bottone che poco prima era stato premuto dal bandicoot - ma urca, questa pioggia è brutale, non trovi vicino?» Chiese, dandogli un leggero pugnetto sulla spalla, sembrando troppo confidente nei confronti del peramelide che la guardava perplesso, sebbene aveva accennato comunque un sorriso per non sembrare troppo computo con lei. Le diede un occhiata veloce, la sua presenza non era affatto sgradevole, e doveva ammettere sinceramente a se stesso che non era malaccio: una opossum dal visino che al tatto doveva essere delicato, occhioni verdi e un fisico slanciato, delineato dai vestiti bagnati fradici. No, non era affatto una ragazza da sdegnare.

E proprio quando Crunch stava cogliendo la palla al balzo per rivolgerle un'insulsa frasetta, l'ascensore aveva trillato per segnare l'arrivo al piano che era stato richiesto. Ma egli non voleva assolutamente perdere quella piccola occasione, se non l'avesse incontrata in un momento simile non avrebbe mai fatto caso alla sua presenza; era forse destino quell'incontro o era avvenuto per puro caso? 

«Penso sia il tuo piano.» Gli fece notare lei, indicando il portoncino dell'appartamento che si trovava di fronte a loro. Purtroppo neanche una parola era riuscita a scappare dalla bocca tremante di Crunch, neanche un semplice "incontriamoci". Era lì, in silenzio, ad incedere verso la porta di casa sua, perdendo anche la possibilità di salutarla.

"Sono uno stupido".

La fioca luce illuminava a stento il salottino ornato di mobili dalle tonalità chiare e le finestre linde davano una gran visuale degli altri palazzi che si trovavano di fronte. Seduto sul divano in pelle, colorato di un papabile beige, vi era Crunch insieme alla sorella, seduto e pensante, con la testa trattenuta dalle grandi mani che la coprivano in parte, lasciando visibile solo il muso con il naso nero ed inumidito. Un bicchiere colmo d'acqua, ancora tutto pieno, era l'unico oggetto che occupava il piccolo tavolino vitreo che rifletteva le figure dei due animali antropomorfi. Coco, la giovane sorellla che da poco aveva raggiunto l'età adulta, rimaneva in silenzio a guardare il fratellone, accarezzandogli la spalla con movimenti verticali, come per dargli conforto, malgrado non sapesse cosa lo turbasse. 

«Crunch, se sei così per quel motivo, è vero, ci siamo cacciati nei pasticci prendendo quel cristallo ma sappiamo benissimo, tutti e tre, che dobbiamo risolvere questa faccenda. Non piace a nessuno questa situazione, a maggior ragione a Crash, ma dobbiamo farci forza.»

Le schiette parole di Coco erano riuscite a far tirar su la testa di Crunch, probabilmente dandogli un barlume di speranza e di ciò egli doveva esserne grato benché non era solo quello a dargli una sensazione di angoscia. Il suo sguardo l'aveva rivolto alle finestre, in particolar modo a ciò che vi era dietro ad esse: quella non si prospettava una notte tranquilla, la pioggia sembrava non volersi fermare ma, fortunatamente, il chiasso infernale dei veicoli era finito, placando la collera della gente che voleva dormire. Che ore erano? Era tardi o i due Bandicoot potevano permettersi di rimanere svegli ancora un po'?

Ad entrambi non interessava e non poteva importare neanche al cristallo rinchiuso dentro l'armadio che non smetteva di illuminarsi intensamente, colorando il guardaroba di un brillante fucsia. Come era possibile che un innocente oggetto aveva messo nei guai quella povera famiglia? Cosa aveva di così speciale? La sua valuta? Aveva qualche sconosciuto potere? Crash, segretamente ancora sveglio, osservava il mobile luccicante, catturato da quel colore che sembrava sbucar fuori da una discoteca. Sapeva che rimaner sveglio la notte non gli avrebbe fatto bene ma quella bellezza meritava ancora qualche altro piccolo sguardo. Ma rimaneva ignaro dell'avventura che avrebbe affrontato e di quanti problemi sarebbero saliti a galla, colmandolo di gioia, amore e dolore.

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Capitolo 2
*** Capitolo 1 - La quiete dopo la tempesta ***


Capitolo 1

"La quiete dopo la tempesta"


La quiete si espandeva cautamente per tutta N.Sanity City in quella tarda mattina primaverile, ed essa quasi pareva una situazione paradossale per via della notte turbolenta che era passata, come se qualcuno avesse esaudito il desiderio di molta gente che quella notte stentava a dormire. La gente affollava i marciapiedi della città e pronti ad accoglierli erano negozi, mercatini e uffici da un ordione invidiabile. Seppur continuasse a persistere la longilinea fila di macchine, esse avanzavano fluidamente, senza creare intoppi che causassero un lanciante frastuono che sarebbe tornato ad assilare le persone che volevano godersi quella piacevole mattinata. La serenità non mancava neanche nella parte occidentale della metropoli: una piazza dal candido colore era popolata da giocosi ed audaci animaletti che correvano e sguazzavano dentro la fontana riposta al centro del piazzale, attorniata da allettanti sculture moderne che non passavano inosservate.

Ad ammirare tale vitalità era una ragazzina dal pallore cadaverico, seduta su una panchina a passarsi il dito meccanico sotto al naso per non starnutire. I lunghi capelli corvini erano fermati da due ferretti argentei che a fatica li trattenevano, facendone cadere piccole e sottili ciocche che le solleticavano il collo. Accanto a lei erano seduti due animali antropomorfi, entrambi con la schiena poggiata allo schienale ad osservare il panorama che li circondava, a differenza della ragazza che continuava a stare ricurva e con la testa trattenuta dalla mano destra, pensierosa.

«Nina, che ci facciamo qui?» chiese l'animale in camicia verde, guardando pietosamente una signora che ricorreva faticosamente il proprio cagnolino con il guinzaglio in mano. Benché egli aspettava una risposta dalla ragazza, il suo amico dalle sembianze di un dingo e un coccodrillo aveva preso la briga di colmare la sua curiosità, replicando amichevolmente:

«Gira la voce che qualcuno abbia trovato un cristallo violaceo in un buio vicoletto. Dovremmo...- il dingo-coccodrillo diede una veloce occhiataccia alla ragazza che aveva corrugato la fronte in segno di fastidio, alzando la voce per farle sentire l'ultima parola che aveva pronunciato -...DOVREMMO cercare l'idiota che ha deciso di prenderlo ma se continuiamo a oziare in questa panchina non prenderemo un bel niente. Per caso erro, Nina?»

E a quel rimprovero la fanciulla scattò in avanti, rimanendo alzata, dando le spalle ai due che la guardavano con curiosità, pronti a sentire le sue parole che si saranno rivelate grezze e arroganti. Fece una piroetta verso i suoi amici, incrociando le braccia sotto al petto e rivolgere loro la parola:

«Stare qui e vedere questa gente che rincorre i propri animali come idioti mi fa incazzare e le tue parole, Dingodile, stavano per farmi toccare l'apice della rabbia. Troviamo al più presto questo cristallo, almeno saremo a casa prima di pranzo e mio zio non si lagnerà come un moccioso»

I due seguirono immediatamente la ragazza, andando verso un bar-ristorante poco affollato dove prendere un buon caffè prima di iniziare le loro ricerche. E nell'istante in cui stavano per varcare la soglia della porta, Dingodile fu fermato dall'attenzione che aveva riversato in una giovane bandicoot dal pelo arancione: piccola, magra e dal bellissimo crine dorato. Era stato catturato da quell'innocente creatura che quasi gli pareva angelica ma la sua lucidità non fece tardi ad arrivare, venendo attratto dalle parole di una cameriera:

«Prego, accomodatevi e benvenuti nel bar-ristorante Aku Aku»

Il dingo-coccodrillo alzò lo sguardo per poterlo nuovamente posare nella giovane ragazza ma di ella non vi era più traccia.

La luce mattutina filtrava dalle sottili veneziane dal color panna, illuminando un grande e moderno ufficio arricchito di bonsai e mobili bianchi. Il leggero profumo di incenso si espandeva rapidamente, raggiungendo ogni singolo angolino e dare un senso di tranquillità a chiunque entrasse. Ma la confortevole sensazione era sopraffatta dalla preoccupazione di Coco, con le mani sulla scrivania e la fronte corrugata in segno di paura. Gli occhi verdi e lucidi rimanevano puntati sulla sedia in pelle nera dietro la scrivania in ciliegio, girata verso l'unica finestra della stanza dalle tendine alzate.

«Aku, te ne prego, dacci una mano»

E la sedia ruotò verso la ragazza, rivelando che, ad udirla, non era altro che una fluttuante maschera lignea dagli occhi gialli. La ragazza rimase in silenzio, gettandosi sulla poltroncina bianca che dietro si trovava. Un aura di disagio iniziò a circondarla, facendole abbassare lo sguardo per non incrociare quello serio della maschera.

«Coco, figliola, spiegami come sono andati i fatti. Ho bisogno di sapere cosa sia successo la scorsa notte, altrimenti non saprei come aiutarvi. Percepisco il tuo terrore ma cosa è che ti preoccupa così tanto?»

La ragazza sospirò, cercando di trattenere le lacrime che volevano uscire ad ogni costo e, con il timore che ancora annebbiava la sua coscienza, alzando la testa per potersi rilassare mentre i braccioli venivano stretti dalle sue piccole mani.

«Io e Crash passammo di fronte a un vicolo mentre stavamo percorrendo la via di ritorno. Notammo qualcosa luccicare e così ci avicinammo, scoprendo che si trattava di un cristallo, e così decidemmo di portarlo al sicuro. Inoltre, penso che qualcuno ci abbia visti.» Spiegò, cercando di essere il più sintetica possibile per non lasciar che Aku Aku cadesse tra le braccia della noia. Quest'ultimo inarcò un sopraccio, fluttuando via dalla sedia per alzare, magicamente, una veneziana.

«Chi vi ha visti?»

«Non saprei, quando mi girai per andarmene vidi una figura alta e grossa, con delle orecchie appuntite, che scappò non appena ci stavamo per avvicinare. Questi sono i tratti che maggiormente ricordo, poi il buio»

«Questo è un grosso problema. Ciò che non mi spiego è come quel cristallo fosse finito lì»

E alla fine di quella sentenza, Aku guardò la ragazza con una seria espressione. Era rimasto incredulo dopo aver udito quel racconto, non riusciva a credere che ci fossero ancora cristalli sparsi nella metropoli, soprattutto dopo che la loro caverna fu distrutta anni fa grazie a lui e l'aiuto di una cara amica. Ma chi era quella persona che ancora era in possesso di quei potenti oggetti? Eppure Aku era sicuro di non aver percepito la loro potenza dopo quell'atto distruttivo che dovette a tutti i costi applicare malgrado il suo rifiuto. Benché egli continuava a mostrarsi calmo sotto gli occhi di Coco, lo stupore e l'ansia erano sovrani nei suoi pensieri, incapace di fermarli. Ma non doveva rimanere fermo lì, a calcolare con minuzia quella situazione per poterne uscire vincitore, doveva agire e guidare i tre bandicoot alla ricerca della verità. Se c'era un'altra caverna era suo compito distruggerla, con o senza l'aiuto della sua giovane amica.

«Coco, alzati e chiama i tuoi fratelli. Questo è un guaio, un grosso e pericoloso guaio che non necessita solo il mio aiuto. I miei poteri sono limitati e da soli non piassiamo andare avanti. Preparate le valigie, andremo a trovare una vostra vecchia conoscenza.»

E quando Coco stava alzandosi dalla sedia, la vibrazione di un telefonino fu l'unico suono che aveva impedito al silenzio tombale di subentrare nell'ufficio. La ragazza si apprestò a rispondere al posto di Aku Aku ma non ebbe neanche tempo di pronunciare una parola che venne fermata dalla voce iraconda di Crunch.

«Coco, siamo nella merda! Apprestati a venire con Aku, qui rischiamo di morire!»

Ormai una cappa nera aveva preso possesso dell'appartamento ove i tre Bandicoot abitavano. Il fuoco si espandeva in ogni angolo e i tappeti si infiammavano come fossero carta, creando una barriera ardente che impediva la fuga a Crash e Crunch. E una figura longilinea si avvicinava lentamente a loro, muovendosi sinuosamente come fosse un serpente, lento ed aggraziato, pronto a chinarsi per prendere il brillante cristallo che si trovava poco distante dal bandicoot rosso.

«Quesssto lo prendiamo noi.»

«Fermo, non osare toccarlo!»

La figura del varano di Komodo si fece più chiara non appena egli si avvicinò al marsupiale, puntandogli vicino alla gola la punta della sciabola che rifletteva la faccia impaurita di Crash. Crunch strinse i denti ed arricciò il naso, ringhiando flebilmente per intimidire il nemico che stava sghignazzando.

«Altrimenti? Mi tagli la gola con la tua afilatisssima arma?» Sibillò il rettile con irritante lentezza, sorridendo malignamente mentre a passo svelto indietreggiava, voltandosi dopo che una voce lo aveva chiamato, lasciando i due fratelli a una morte lenta e dolorosa. Crash preso dal panico si agitava, correndo da una parte all'altra nella stanza per poter fuggire, schivando le fiamme goffamente. E quest'ultime si avvicinavano, mangiando qualsiasi cosa che dinnanzi a loro si poneva e i bandicoot, ormai con la schiena poggiata alla parete, abbandonavano l'unica speranza che avevano. Dove diavolo erano i pompieri? La polizia? Perché non arrivava neanche un misero soccorso?

Proprio quando l'unica speranza che avevano era andata in frantumi, l'opossum bionda incontrata da Crunch la sera prima entrò in stanza, cacciando il fumo con un esile braccio scoperto mentre si apprestava ad estinguere le fiamme con l'estintore. Prese Crunch e Crash dai polsi, tirandoli fuori da quell'inferno e lasciare loro respirare aria pulita.

«State bene? Siete feriti? Chiamo un'ambula-»

«Non ce n'è bisogno, grazie.» Rispose il grosso peramelide, interrompendola mentre continuava a tossire. Egli si voltò ma di Crash non vi era traccia. Era come svanito e Crunch si voltava impaurito alla ricerca del pelo arancio del fratello. Tre richiami ma nessuna risposta arrivò, neanche un semplice gesto con la mano guantata. Crunch sperava che il fratello non fosse corso via, rincorrendo i due nemici che avevano appiccato il fuoco all'appartamento. Ma quel suo pensiero non era altro che la realtà. Crash scendeva le scale con tanta velocità che era quasi arrivato al piano terra dell'edificio, nonostante fosse sicuro che non avrebbe trovato i due ladri, ma egli voleva a tutti costi uscire fuori da quel palazzo, non solo per respirare aria non contaminata ma per poter scorgere almeno qualche piccolo indizio che lo avrebbe indirizzato a quei lucertoloni verdi. Ma nulla apparì ai suoi occhi, solo la sorella che insieme ad Aku si avvicinavano sempre di più. E un senso di rabbia lo percosse, deluso del suo comportamento codardo che prima si era manifestato nella sua coscienza. Lui non doveva temere nulla, neanche le situazioni pericolose, doveva essere forte come il fratello per compensare la poca intelligenza che possedeva. Sapeva di non essere uno stupido e di non avere l'intelletto della sorella ma doveva essere forte, non doveva lasciare che la paura strisciasse nella sua coscienza.

«Crash, santo cielo, che è accaduto? State bene? Avete bisogno di aiuto?»

Quella serie di domande non riuscivano a tangere l'attenzione di Crash che muoveva la testa per guardare cosa si trovava dietro la figura della sorella. Ma nulla apparve e un moto di ira si manifestò dentro di lui, dandogli la possibilità di meditare e farlo concentrare al suo nemico, volendo far giustizia da fargli rimpiangere le sue gesta. Egli guardò Coco, stringendola a se mentre quest'ultima ricambiava, nascondendo il muso nel collo di lui per poter placare la paura. E all'abbraccio si aggiunse anche Crunch che  era uscito dal palazzo insieme alla giovane opossum, alla ricerca del fratello. Erano tutti riuniti e ad osservarli da lontano era la didelfida dai codini biondi, catturata da quella dolcezza che avrebbe voluto ricevere da quando era un infante, scaldandole il cuore.

«Va bene, va bene ragazzi, ora concentriamoci sulle cose serie. Coco, Aku, avete visto per caso dei varani di Komodo che scappavano?»

«Varani di Komodo?» chiese l'opossum avvicinandosi al gruppo, visibilmente interessata alla loro discussione. Lo sguardo di Crunch cadde nella sua figura, sciogliendo l'abbraccio per potersi avvicinare a lei e presentarla alla famiglia, poggiandole la grande mano sulla spalla.

«Ah, sì, lei è Pasadena. Mentre stavamo cercando Crash mi ha offerto il suo aiuto per uscire da questo guaio»

In segno di preoccupazione le orecchie di Coco si abbassarono, guardando Aku con la fronte corrugata. Davvero quella ragazza voleva offrire il suo aiuto, senza conoscere la disasteosa situazione la quale erano entrati?

«Pasadena, sei sicura di volerci aiutare? In questi giorni non stiamo passando dei momenti rosa e fiori, come hai appena visto ci hanno distrutto casa e non sappiamo dove andare»

Il trambusto delle sirene dell'ambulanza e della polizia si intensificò e una serie di macchine nere si fermò di fronte al palazzo, seguite da un furgoncino bianco e uno rosso. Esse si spensero e da una delle macchine scese un basso omino verde dagli occhi rossi e una gamba metallica, vestito in divisa e con un elmetto che gli copriva il capo.

«Coraggio racazzi, perlustrate l'area e il palazzo, non pertiamo tempo, ja.»

«Ebenizer?» Gli occhi di Pasadena si illuminarono e con una corsa raggiunse la figura del cyborg che alla sua vista aveva allargato le braccia, contento di quel piacevole incontro con una sua vecchia amica.

«Pasadena, cara, come ztai? Mi rallegra non vederti caput dopo quezto casino. Che è successo?»

«Ebenizer, quanto mi sei mancato!» Gli sorrise lei, abbracciandolo  con tutta la forza che aveva, arrivando a stritolarlo come fosse un povero peluche. Per alcuni minuti un silenzio imbarazzante si era creato tra i due, entrambi intenti a scambiarsi sorrisi amichevoli, ma Pasadena fu obbligata a rompere il ghiaccio, dovendo chiedere a malincuore un aiuto all'amico:

«Odio chiederti favori, a maggior ragione ora che ci siamo incontrati dopo tanto tempo...- ella si voltò verso i bandicoot, sospirando prima che continuasse il discorso -... Ti chiedo in ginocchio di aiutarci. Di nascosto se possibile» Propose con serietà, notando lo sguardo perplesso dell'amico che aveva inclinato la testa per guardare la famigliola alle spalle di Pasadena. Ebenizer pensò ai tempi passati, quando ancora lui e la ragazza erano uniti dalla passione di corse automobilistiche, e di quanto si fossero sostenuti negli anni, uscendo fuori dalle situazioni critiche che spesso colpivano il suo ex parco Motorworld, facendolo cadere quasi nel baratro. Benché lui e l'amica avevano preso strade differenti dopo che esso aveva raggiunto la bancarotta anni fa, entrambi non avevano mai lasciato che quel legame di amicizia e rispetto reciproco sparisse e in quel preciso istante, Ebenizer Von Clutch, non riusciva, non poteva tirarsi indietro di fronte a quella richiesta di cortesia: era a capo di una squadra di polizia, un uomo di tutto rispetto che aiutava i bisognosi, e Pasadena era la sua migliore amica che gli aveva sempre offerto supporto morale; doveva dare una mano a lei e ai suoi amici. Egli le prese le mani e la guardò negli occhi, pronto ad offrirle l'appoggio da lei richiesto, e quest'ultima gli sorrise, colma di felicità che a fatica riusciva a reprimere.

«Mi inventerò qualcoza per chiudere il caso, ja. Ora andate, ci penzerò io.»

E mentre Pasadena saltellava verso i nuovi amici, un medico si avvicinò al cyborg, in procinto di parlare, bloccato da un gesto della mano di quest'ultimo che osservava la ragazza contenta, desideroso di iniziare le ricerche nonostante ella non gli avesse parlato della situazione che i Bandicoot stavano passando. Il medico era rimasto perplesso, anche lui intento a fissare il gruppetto, mentre il poliziotto si stava incamminando verso la sua auto, facendo girare le chiavi nel dito e fischiettando una canzoncina che fin da piccolo aveva amato.

«Ragazzi, vediamo di non perderci in chiacchiere e apprestiamoci a partire, non vorremmo mica viaggiare nel cuore della notte, vero?» Chiese Aku Aku, fermando il continuo parlottare dei quattro giovani animali che gli avevano rivolto l'attenzione, udendo i pompieri che parlavano tra di loro mentre stavano svolgendo il loro lavoro, continuando a scendere e a salire nel palazzo.

«Prendiamo la macchina?»

«E mi par logico Crunch, sicuramente non ho la minima intenzione di usare i miei poteri per colpa della vostra poltroneria.» Lo rimproverò, udendo le  risatine di Pasadena che guardava il grosso peramelide dalle gote rossicce, preso dalla vergogna mentre si dirigeva insieme a Crash verso la macchina. Nelle labbra di Aku si accentuò un sorrisetto divertito e i suoi occhi si spostarono verso la strada quasi priva di auto. La poca circolazione di veicoli avrebbe fatto arrivare il gruppo alla meta in poco tempo, dando loro la possibilità di mettersi al lavoro e di iniziare le loro ricerche.

Coco osservava con occhi vispi la cartina geografica stropicciata che tra le mani teneva, ed essi non osavano smettere di muoversi, concentrandosi sul territorio rurale la quale lei e i suoi compagni di viaggio si trovavano, studiandolo nel dettaglio. Le colline erano ricoperte da grandi distese di fiori colorati e gli alberi sparsi non lasciavano che quel pacifico posticino rimanesse vuoto, proiettando la loro ombra per formare una piccola area che proteggeva dai raggi solari. A riempire quel grande tappeto dalla bassa erbetta era una piccola e carina casetta campagnola dai toni caldi, recintata e con accanto una capanna che ospitava qualche bovino, un container colmo d'acqua e un' altra casupola la quale uscivano pigolii e chioccii del pollame. Il profumo della paglia aveva raggiunto le narici dei visitatori e un piccolo cagnolino dal candido pelo li osservava da dietro la finestra della casa, impaziente di andare lncontro a loro per giocare.

«Non pensavo si fosse dato alla vita campagnola, scommetto che starà passando una vita tranquilla» Parlò la maschera mentre svolazzava verso il portoncino, seguito dai quattro animali antropomorfi che continuavano ad ammirare il posticino. Tutto era ben diverso dalla città: gli alberi erano di un bel verde acceso, così come il soffice prato, e l'aria era pulita e fresca. Un vero benessere per chi voleva passare la propria vita in pace. Pasadena bussò alla porta e il cagnolino che dentro la casa si trovava iniziò ad abbaiare, correndo in tondo ed  esaltato dall'arrivo di nuova gente, ma il chiasso che faceva fu interrotto dalle urla di un uomo che provenivano dal piano superiore dell'abitazione.

«Dudù, santo Dio, datti una calmata o ti lancio una provetta in tes-» La parola dell'uomo fu interrotta non appena i suoi occhi si focalizzarono sulle figure dei cinque ospiti che lo aspettavano dietro la porta. Egli scese di corsa le scale, aprendola, e i suoi occhi si spalancarono per quella sorpresa che non si sarebbe mai aspettato.

«Ciao Brio, è un piacere incontrarti dopo tanto tempo.»

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