Mia dolce Andromeda

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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


                                                                      MIA DOLCE ANDROMEDA

 

 

 

Una ragazzina pallida stringe la mano di sua madre. Ha paura, non vede Albus e James; la loro mamma gli ha detto di andare a giocare, prima della cerimonia, e adesso li sta chiamando a gran voce, facendosi strada tra gli altri adulti.

Il pomeriggio è nero pece, per Rose: alla sua altezza, vede solo gambe fasciate da calze scure e pantaloni pesanti.

Il cielo è azzurro, ma lei sa che nessuno lo guarderà.

Lascia la mano di sua madre senza accorgersene e, quando si volta, lei è sparita. Rose non alza lo sguardo, è spaventata. Cammina senza meta, cercando un punto di riferimento. Non piange; nessuno noterebbe il suo flebile lamento nel coro di singhiozzi che provengono da ogni parte del prato.

Sta per perdere le speranze, quando il suo sguardo affannato scorre veloce su qualcosa e ci ritorna automaticamente, come se fosse naturale.

La solidarietà di due occhi grigi, persi quanto i suoi. Alla sua stessa altezza, forse qualche centimetro di più. Un altro bambino.

È naturale per Rose inquadrare e raggiungere il suo simile, catturata dalla fiducia che normalmente accordiamo a chi ci somiglia.

Così Rose si lascia guidare da quel bambino biondo con il completo impeccabile fuori dal cerchio di adulti. Essi sembrano brulicanti e indaffarati come formichine braccate dal destino. Non nota che ai richiami di Ginny si aggiungono anche quelli di Hermione.

Giocano, finché altre voci non diventano troppo simili a ringhi per essere ignorate. Si voltano nello stesso momento.

«Che cosa ci fai qui?»

«Siamo venuti a porgere le nostre condoglianze».

«Fosse stato per tuo padre, avrei seppellito il mio decenni fa».

«Non parlare di mio padre, Weasley».

«Non te ne vergognavi così tanto, quando assassinava persone innocenti».

«Ron, basta».

«Sparisci, cane. Non ti avvicinare mai più alla nostra famiglia. Le tue condoglianze non ci servono».

«Scorpius!»

Il suo compagno si alza e si spazzola i pantaloni. Le lancia uno sguardo carico di un sentimento che Rose non sa decifrare. Non era odio, ma diffidenza.

Scorpius ha già capito qualcosa che Rose imparerà tra molti anni e che non comprenderà mai davvero; con la malleabilità che caratterizza la indole dei bambini, entrambi si adatteranno a regole fredde e morte come sangue versato, come sangue rappreso.

Si pentiranno di avere fatto loro le faide di altri, ma ancora non lo sanno; si avviano verso le rispettive famiglie, senza dirsi addio.

 

 

 

 

 

                                                                             AUTUNNO

 

 

Rose porta occhiali tondeggianti, dalle lenti spesse incorniciate in un filo d'oro.

In classe, serra le palpebre, solleva la montatura pinzando la stanghetta sinistra tra pollice e indice e si passa le dita sugli stanchi occhi cerulei.

Indossa gli occhiali da un mese; l'ultima nitida estate delle sue pupille l'ha passata nello scantinato della Tana, a guardare vecchi film babbani su un datato televisore che apparteneva a suo nonno Arthur.

Sogni in videocassetta le hanno arso gli occhi, ma questo Scorpius non lo sa; si limita a osservare i suoi gesti. Ogni movimento di Rose Weasley per lui è prezioso come un tozzo di pane per un affamato. La studia come un quadro, cercando la firma segreta dell'artista.

Scorpius detesta tutto: i suoi occhi, quando non sono fissi su Rose, roteano senza posa nelle cavità oculari, in segno di disprezzo e noncuranza per ogni cosa; le sbruffonate e i divertissement del clan Potter-Weasley gli fanno arricciare il naso.

Odia essere l'unico in tutta la scuola a trovarli vanesi e arroganti; tutti gli altri, persino i Serpeverde, sembrano succubi di un incantesimo.

L'ammirazione negli occhi dei suoi compagni, anche di quelli più coriacei che la nascondono meglio, non gli sfugge. Tutti vorrebbero essere loro: vorrebbero ballare sui tavoli come James Potter, duellare con la grazia di Albus, volteggiare sulla scopa come Lily Luna, che sfida il cielo con determinazione in ogni condizione atmosferica.

Forse ne è invidioso, ma lo ammette solo quando la sua solitudine gli sembra troppo greve.

Essi sono forze della natura, Scorpius è la pietra che, imperturbabile, viene scalfita dalle loro manifestazioni. Sogna una metamorfosi folle che lo trasformi in tempesta, mille pezzi di granito che esplodano e lo liberino.

Rose è l'unica che la sua insofferenza non riesce a calpestare; è bella ed elegante come un giglio e sottile come un giunco, ma è spenta. I suoi cugini brillano di luce propria, sempre in bilico sulla linea di confine tra splendere e bruciare, ma Rose no: lei ha scelto la semplicità, il grigiore di una vita dimessa e normale, dietro lenti spesse e azzurrine.

Scorpius si chiede spesso cosa l'abbia attratto di lei, sette anni prima, quando uno scorcio di Rose seduta tranquilla in uno scompartimento affollato di scalmanati, un libro tra le mani, gli ha cambiato la vita. Forse il fatto che lei sembrasse fuori posto, come lui.

L'ha guardata per sette anni con occhi affamati; si è beato – se ne vergogna – della sua solitudine. Ha temuto, a ogni risata o sorriso rivolti ad altri, che essi la riaccendessero, che lei diventasse diversa, più simile ai leoni rampanti che la attorniano.

Gli piace pensare di poterla avvicinare in qualsiasi momento, perché lei è sempre sola; immaginare di poter portare con lei il peso della sua diversità; sognare che lei possa alleviare la sua sofferenza e il suo senso di inadeguatezza.

Ma non realizza mai le sue ambizioni. Teme che Rose bruci l'unica oncia di umanità che ha dentro, rifiutando il suo amore e svalutandolo come un'ossessione infantile.

Il suo cuore come un tizzone bruciato, cenere sotto le sue suole.

Scorpius non vuole essere calpestato, e tace.

Ha tentato di parlarle mille volte, ma la paura di diventare lo zimbello della scuola lo perseguita: se non può essere il principe di Hogwarts, non ne sarà neanche il giullare.

Preferisce una sofferenza che può chiudere nel pugno e schiacciare, anche solo per qualche attimo.

Ma lei poi ritorna nella sua mente, sempre, ed è accolta da lui con gratitudine.

Cresce subdolamente da una fiammella e presto brucia tutto il resto.

Torna da me, Rose.

 

 

Rose si è bruciata gli occhi durante un'estate senza sole; ora vive in un mondo di contorni sfocati e colori senza forma né dimensione. Solo quando indossa gli occhiali, i suoi occhi cerulei scompaiono dietro cocci di bottiglia tondeggianti, ma sono più acuti che mai.

Rose guarda i film cercando i particolari che nessuno noterà mai: i movimenti inconsulti e le espressioni parossistiche delle comparse, insetti che zampettano indisturbati dietro baci appassionati, la maestria di una scenografia dipinta.

Quando qualcuno osserverà una fotografia sbiadita della sua Hogwarts, sarà affascinato dai nomi sgargianti che hanno scritto la storia e non noterà null'altro.

La tortura sapere che il viso di Scorpius Malfoy resterà scolpito solo nella sua mente.

Come una sinfonia che raggiunge la spannung dopo pochi minuti e poi cala di intensità, senza però morire, l'amore per Scorpius è rimasto nel cuore di Rose con tenacia inattaccabile e lei è cresciuta con esso per lunghi anni, cibandolo di sguardi rubati e piccoli gesti, finché esso, con la sinuosità di un glicine, ha avvolto il suo cuore battente.

Egli è soltanto un particolare del quadro complessivo, ma, una volta che i suoi occhi l'hanno arpionato, è uscito solo di raro dal suo campo visivo. È ben allenata ad abbassare lo sguardo prima che egli lo intercetti, e per questo motivo sa bene quanto egli disprezzi i suoi cugini.

Scorpius tamburella con le dita, quando sente la risata squillante di Lily riecheggiare nella Sala Grande, porta le mani alle tempie quando Albus si mette in mostra a Difesa Contro le Arti Oscure, sbuffa quando vede qualche primino paonazzo sotto il peso dei libri di Hugo.

Rose si vergogna terribilmente della sua famiglia, dei loro eccessi da monarchi assoluti; il senso di colpa nei confronti dei suoi parenti non conta nulla, quando lo sguardo di Scorpius si fa torbido e lei percepisce bene che nel paiolo del suo disprezzo c'è anche un pizzico di invidia e, forse, ammirazione.

Trova le sue stranezze e i percorsi tortuosi dei suoi pensieri, così evidenti per lei, affascinanti.

Vorrebbe parlargli, ma sa che il suo è un desiderio fatuo.

Uno scherzo del destino ha messo tra di loro un ossimoro: egli non la ama perché è una Weasley, non la odia perché non lo è abbastanza.

È sicura che lo sguardo di Scorpius non si sia mai soffermato su di lei più del necessario.

 

 

A novembre il vento è freddo, ma Scorpius siede su una panchina del parco e legge. Passano due Grifondoro dell'ultimo anno e lo guardano con spregio. Malfoy li ignora. Rose guarda con stupore e disprezzo, mentre uno dei due prende la borsa di Scorpius e ne rovescia il contenuto sul terreno fangoso. I loro passi si accompagnano alle loro risate.

Scorpius rimane accoccolato sul terreno nella ridicola pantomima di un inchino involontario, intento a raccogliere i suoi averi. Rose si avvicina quasi senza volerlo, ma, come posa le mani su un quaderno macchiato, lo sguardo di Scorpius è una condanna che non può sopportare.

Connivenza. Un'accusa dalla quale non può scagionarsi. È colpevole di essere Grifondoro, di essere Weasley, di essere aquila e leone.

«Non voglio il tuo aiuto. Tu sei come loro» sembra dirle lo sguardo di Scorpius. Rose lascia il quaderno tra le sue mani gelide e scappa a nascondersi nella sua torre, il luogo del delitto.

 

Scorpius la guarda andare via con uno sguardo ferito che non riesce a nascondere. Ha visto nei suoi occhi, che bucano il vetro delle lenti, come il sole attraversa la superficie dell'acqua, la diffidenza con la quale tutti si approcciano a lui, come se fosse una specie di bestia feroce, pronta a spalancare le fauci.

Fa male, che lei l'abbia visto sconfitto e aggiogato, ma brucia di più che lei sia scappata da lui.

 

 

                                                                                         INVERNO

 

La neve cade a dicembre, su un paesaggio che ha già perso da mesi ogni vitalità. Il castello tace reverente, sotto la pace del cielo limpido.

 

Pur in un mondo che cerca disperatamente di scrollarsi di dosso le sue etichette, molti si aggrappano con le unghie ai nomi e alle convenzioni, si rifugiano in una categoria per non emergere dalla folla.

Percy McLaggen è un fulmine che spacca a metà il tavolo di Grifondoro; il suo posto sulla panca corrisponde al centro perfetto ed è attorniato da una decina di ragazzine che, le voci sottili come foglie fruscianti, friniscono in coro, elogiando il loro eroe.

Rose riceve una gomitata da sua cugina. Lily la guarda con inequivocabile malizia e Rose arrossisce. Pensa che la cugina l'abbia sorpresa a scrutare il tavolo di Serpeverde, ma, con suo grande sollievo, non è così.

«Percy non ti ha tolto gli occhi di dosso da quando si è seduto» le sussurra Lily all'orecchio. Rose si volta stupita, ignorando le proteste di sua cugina, e si scontra con lo sguardo liquido del re di Grifondoro. Abbassa gli occhi, il volto in fiamme.

Lily equivoca il suo comprensibile imbarazzo. «Ah, allora ti piace! Beh, ho sentito Mandy dire a Vicky che Percy pensava di invitarti...»

Rose smette di ascoltare.

Le piace? Forse no, ma non si è mai sentita desiderata da un ragazzo e, nonostante non sia lui, un fuoco caldo le si attizza nel petto.

Scopre presto che l'amore bollente di Percy è capace di spazzare via il suo dolore con l'irruenza di una mareggiata. Per questo motivo cade sotto il suo incantesimo in fretta. Vuole provare cosa si sente a essere amate e, se Scorpius non può darle amore, allora è giusto che perda il suo, sentenzia l'arbitro inflessibile della sua coscienza.

 

 

Così il timore di Scorpius infine si avvera; la sua amata è lontana, persa in un turbine di emozioni nuove e inedite, che la inebriano e la sconvolgono. È un'altra, lui non la riconosce più.

Rose arriva a lezione – tutte le lezioni – sorridente e scompigliata, ogni centimetro del suo corpo porta i segni di un amore furtivo consumato a mozziconi. Scorpius abbassa lo sguardo; non riesce a vederla senza immaginarla avvolta a Percy McLaggen.

Rose, intanto, assorbe lo stupore dei professori con la leggerezza di una farfalla, getta sul tavolo i libri e i quaderni immacolati e fissa lo sguardo sognante fuori dalla finestra.

Vive il sogno che Scorpius non può darle e ha relegato a malincuore il suo primo amore in un angolo della sua mente. Quel ragazzo diverso è tornato a essere un particolare del suo mondo sfocato; Rose non indossa più gli occhiali, anche se vede a macchie, perché Percy ha detto che senza sta meglio e lei vuole davvero piacergli.

È inverno, ma la primavera regna nel cuore di Rose. È nuova, è diversa: ora può ballare sui tavoli e ridere ad alta voce. Scopre per la prima volta le gioie di essere amata: ora sa che, qualsiasi cosa lei faccia, indossi, dica, qualcuno là fuori la venera. Venera lei, Rose. Non c'è pensiero più dolce, mentre balla abbracciata a Percy sotto la neve.

Scorpius la guarda da una finestra. Non sono mai stati così distanti: una donna in fiamme e un uomo solo¹.

In fondo alla bocca ha l'amaro della perdita.

 

I suoi stessi sogni lo mettono in imbarazzo.

Il suo riflesso lo schernisce dallo specchio, sicuro, senza paura, senza anima. Il giovane Malfoy stringe tra le dita i rimasugli del suo cuore e non sa che farne. È un tozzo di pane secco, che potrebbe sbriciolare nel pugno. Contrae i muscoli della mano, ma si sveglia prima della fine.

Gli sguardi degli altri gli scivolano addosso; durante l'inverno Serpeverde è più freddo che mai e il settimo anno è troppo tardi per tentare di sciogliere la diffidenza degli altri. Se sei solo, sei pericoloso o strano, anche nel covo degli ambiziosi e dei traditori.

Scorpius Malfoy. Un nome parlante, come si suol dire: lo Scorpione, che si tende e si biforca nel manto del cielo sotto la guida di Antares, l'angelo caduto. Malfoy, il marchio del traditore, quello che suo padre nasconde tutto l'anno, invano, perché basta il suo cognome a suscitare il disprezzo delle persone.

A volte passa tutta la notte disteso sulla schiena nell'aula di Astronomia, a riempirsi gli occhi di stelle sotto la vetrata che sormonta la stanza.

Se Rose fosse una costellazione, pensa, sarebbe Andromeda², incatenata alla roccia della sua genealogia; brillerebbe tra Perseo e Cassiopea, oscurata dalla luce del suo sposo e di sua madre.

 

«Mia dolce Andromeda...» confessa, in un sussurro spezzato.

 

La immagina libera, slegata dal suo sangue mitico, bella come un angelo, i capelli rossi a incorniciare un viso rilassato, senza crucci a incresparlo.

Poi chiude gli occhi e nel silenzio della torre la sua fantasia indossa i calzari alati, finché il ragazzo non spalanca gli occhi e, rosso di vergogna, fugge da se stesso.

Capisce, fin troppo bene, che una Weasley non può amare un Malfoy che è troppo spaventato per rivolgerle la parola, ma abbastanza audace da fantasticare su di lei nell'oscurità della sua tana. Deplora il suo nome e il suo carattere; mai come in quel momento si sentirà indegno di lei.

 

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


                                                                                                            PRIMAVERA

 

Rose si guarda allo specchio, raccoglie i capelli in una coda, poi li lascia cadere sulle spalle.

Si morde il labbro; solleva di nuovo le ciocche rosse. Sfida il suo riflesso nello specchio e perde. Scombina un po' l'acconciatura, non vuole sembrare troppo formale.

Si strofina forte le guance, cercando di dare loro un po' di colore. La sua pelle, mortalmente pallida ed emaciata, contrasta con gli occhi arrossati.

Grazie al cielo, ho una bocca per bere³, si dice, in un tentativo di patetica ironia. In quei giorni piange tanto e si disidrata. Ha le labbra perennemente secche e la sua tristezza la rende debole. Allunga una mano a prendere gli occhiali, ma all'ultimo momento li lascia sul tavolino ed esce senza.

È il suo compleanno: la vorranno vedere allegra e frivola, la metteranno al centro dell'attenzione e le punteranno addosso un riflettore.

Rose non si sente una stella; non vuole brillare per tutti, no, le basta fare parte dell'immagine. Ha provato a essere diversa, per qualche mese ci è anche riuscita, ma ha capito troppo in fretta che quello non è il suo posto.

Percy⁴, invece, brilla di luce propria; l'ha resa la sua luna e l'ha usata per risplendere ancora di più. È luminoso come il dio Sole, quando stringe la mano di Rose in corridoio, e nessuno può fare a meno di guardarli.

Ma quando sono soli, Percy è solo un ragazzo; quando le porte sono chiuse a chiave e nessuno può sorprenderli, qualcosa scricchiola. Egli è meno affascinante e ammaliante, persino meno bello. La tratta senza delicatezza, come se l'intimità fosse un dovere e le apparizioni in pubblico fossero ludibrio. Fa sesso senza emozione; entra ed esce da lei goffamente e in fretta. Le dedica solo un paio di carezze aride, prima di rivestirsi.

Rose ha imparato dai film e dai libri che l'amore è fuoco e passione e intimità, ma è troppo inesperta e dubbiosa per confrontarsi con Percy. Prende ciò che lui le offre e non chiede nulla di più. Nella sua testa, però, immagina altre mani che la stringono e diversi capelli da accarezzare. Chiude gli occhi ed è con Scorpius, che è tornato prepotentemente a fare da padrone nella sua testa. Si sente in colpa: tradisce Percy con il pensiero di Scorpius, mentre tradisce il pensiero di Scorpius con Percy.

Studia di notte; consegna i compiti in tempo, segue le lezioni, ma passa i pomeriggi con gli amici di Percy, a fingere di essere la fidanzata modello. È popolare, ammirata, copiata, ma infelice.

È una stella.

L'altro giorno ha visto Scorpius in corridoio. Si sente debole, quando lui la guarda anche solo per un attimo, e lei ha paura dei suoi occhi. Non riesce a reggere l'intensità che lui riesce a mettere in ogni singolo sguardo. In quei momenti, non c'è niente di più del rammarico in lei: sa che lui la disprezza di più, adesso che è diventata come i suoi cugini, uno di quelle banderuole dai colori chiassosi che lui odia tanto.

A volte se chiude gli occhi e si concentra molto, le sembra di essere quasi vera e non una bambola costruita ad arte.

Non le importa della falsa felicità, della popolarità per procura che ha acquistato nei mesi precedenti; preferirebbe essere solo una comparsa con Scorpius che una stella al braccio di Percy.

Un dolore autentico o una felicità finta.

Ma sa che la scelta più onesta è anche la più dolorosa. Ha paura di soffrire.

Vorrebbe avere la forza di scegliere la seconda opzione, di tirarsi fuori dalla sofferenza che la sua passione irrisolta per Scorpius è diventata, ma è troppo debole. La sua è una lotta che non può vincere.

Mentre gli occhi di Scorpius tornano a lampeggiarle in mente, pensa che presto dimenticherà questi sprazzi di lucidità; non passerà molto tempo prima che si dimentichi com'era essere, anche se per poco, una Rose diversa.

Non sa ancora se è la sua salvezza o la sua condanna.

 

 

Il coro di “Buon compleanno!” scoppia prepotente nella Sala Grande. Scorpius non ha bisogno di sapere che cosa, o più precisamente chi, l'ha innescato. Prende la sua borsa e si dirige verso l'uscita. È di cattivo umore, come sempre. Lo sguardo fosco non perde di intensità neanche quando passa accanto a Rose e il suo profumo gli solletica le narici. Riesce a non degnarla di un'occhiata e, esultando dentro di sé per la sua forza d'animo, esce.

«Scorpius!»

Il suo cuore ha un sussulto, ma egli cerca di metterlo a tacere e di voltarsi piano. Rose è davanti a lui, trafelata ma a disagio. Gli è corsa dietro.

Gli porge un libro. Scorpius riconosce la copertina: è suo, era nella sua borsa.

«Ti è caduto» gli spiega, accennando un sorriso timido. «Grazie» risponde lui. Vorrebbe dire qualcosa per non lasciarla andare via. Il panico inibisce i suoi pensieri, ogni frase che formula nella sua testa suona irrimediabilmente imbarazzante.

«Le affinità elettive. Mi ha sempre incuriosito, ma non l'ho mai letto» dice Rose; anche lei sembra incredula e imbarazzata e Scorpius ne è rincuorato. Forse in lei c'è ancora qualcosa della vecchia Rose.

Senza pensarci due volte, le porge il tomo. «Te lo presto. Io l'ho finito giorni fa» le risponde, troppo frettoloso per riuscire a sembrare a suo agio. Balbetta, quasi.

Rose sorride e prende il libro senza farselo ripetere. Più tardi si chiederà se non sia stata troppo affrettata e temerà di essergli parsa maleducata, ma per ora l'istinto la guida e nel suo intimo esulta.

Lo saluta e scappa, stringendosi il libro al cuore non appena si volta.

Scorpius la richiama. «Buon compleanno!» esclama, quando sono ormai già lontani, senza smettere di camminare.

In un attimo, Rose si sente cadere; la sua libertà è finita per sempre.

È il ventuno marzo e quel pomeriggio, quando Percy, tentando di infilarsi nel suo letto, getta a terra il libro di Scorpius, Rose lo spinge gentilmente fuori dalla porta.

Mentre guarda la primavera sbocciare fuori dalla finestra, pulisce gli occhiali impolverati sulla manica della maglia.

 

Aprile e maggio scorrono come fotogrammi sulla pellicola, in un turbine di fioriture sequenziali e profumate passate inosservate; più di un'esplosione, la primavera è un virus che si insinua nelle ossa e scorre nel sangue fino alle meningi, dove libera la sua tossina.

Non c'è più tempo, il dogma che regola le vite frenetiche degli studenti destinati a lasciare il castello.

Non c'è più tempo, urlano i passerotti e le magnolie agitate dal vento.

Non c'è più tempo, la voce riecheggia tra le torri e si schianta contro i vetri delle finestre.

Essa parla a chi sa ascoltare.

 

                                                                                                                         ESTATE

 

I MAGO cessano di terrorizzare gli studenti del settimo anno quando giugno volge al termine. Rimane giusto qualche notte e qualche giorno di pace, in cui gli studenti, che si sono alienati da tutto e tutti in vista degli esami, riprendono confidenza con il castello e si preparano a dargli il loro addio definitivo.

La malinconia appesantisce l'atmosfera. I più giovani gioiscono per l'inizio delle vacanze estive, si promettono l'un l'altro di scriversi ogni giorno e di vedersi spesso. Hanno il cuore leggero, passano i pomeriggi liberi sdraiati nel parco.

Rose cammina accarezzando i muri; ha sempre le mani sporche di polvere e i polpastrelli arrossati, ma non è la sola a fare strane cose. Ogni studente saluta Hogwarts nel suo modo personale e privato. Persino il clan Potter-Weasley piange in silenzio i membri uscenti.

 

Le valigie sono pronte e alcuni sono anche già partiti. Rose aspetta il treno. Ha salutato i professori, Hagrid, ogni angolo della scuola dove è stata felice. Ha rivolto occhiate amorevoli a tutti i dipinti, ai fantasmi, persino alle armature.

Non piange più; aspetta in piedi nel giardino, incurante del caldo. Ogni tanto si sventola con un pezzo di carta.

Non ha ancora salutato Scorpius. Per una volta in vita sua ha giocato d'astuzia. Ha tenuto per mesi Le affinità elettive sul comodino, pur avendolo terminato in appena una settimana. Non le importa che lui pensi che se ne sia dimenticata, vuole solo una scusa per potergli dire addio.

Non solo si è abituata a lui, ma è assuefatta. Non ha più la speranza che la sua situazione possa cambiare; semplicemente ha atteso la fine del settimo anno con sentimenti contrastanti: desiderando che la sua agonia finisca e che l'assenza di Scorpius le porti sollievo e finalmente la pace, oppure temendo di non vederlo mai più, prospettiva che la terrorizza e la rende triste e ombrosa.

Potrebbe dirglielo adesso. Accarezza l'idea, mentre lo aspetta nel luogo concordato per incontrarsi, davanti al Lago Nero. Deve essere il caldo, pensa, quando l'idea non le sembra più così folle.

È l'ultimo giorno di scuola, probabilmente non lo incontrerà mai più. Potrebbe tentare di invitarlo a cena. No, la cena è troppo impegnativa; magari un pranzo o un caffé in un bar. Si immagina seduta nel dehor di un locale con Scorpius, impegnata in una conversazione o intenta a ridere di una sua battuta. Le sembra un sogno, bellissimo ma irreale. Come al solito dimentica di non essere solo Rose, ma Rose Weasley, e che lui non è solo Scorpius, ma Scorpius Malfoy.

Scorpius la sorprende mentre non si è ancora decisa. È accaldato, ma bello: i suoi capelli assorbono la luce del sole e la rigettano tutt'intorno, creando una sorta di alone dorato intorno alla testa del loro proprietario. A Rose ricorda il bambino che ha visto a King's Cross sette anni prima e che l'ha subito affascinata.

Il parco è quasi deserto; tutti gli studenti si sono allontanati a gruppetti verso la stazione, solo loro sono rimasti indietro. La solitudine mette entrambi a disagio. È Rose a rompere il silenzio.

«Ti ho riportato il libro» dice, porgendoglielo. Lui lo prende, ma quasi a malincuore. Rimane nella sua mano che lo rigira, lo sfoglia, tortura le pagine. Poi Scorpius pensa che Rose potrebbe risentirsi, se credesse che lui stia controllando le condizioni del volume, e si ferma.

«Grazie. Ti è piaciuto?» le chiede.

Rose sorride e abbassa gli occhi. «Veramente, no. La fine è... devastante» mormora.

Scorpius, in uno slancio disperato che nemmeno lui capisce, decide di esporsi.

«Finisce male?»

Lei lo guarda stupita. «Pensavo l'avessi letto tutto».

«Non tutto».

Rose arrossisce e risponde: «Non poteva andare altrimenti. Erano... dannati dal principio». La voce le si spezza a metà della frase e un groppo doloroso le schiaccia la gola. Ricaccia indietro le lacrime. Ringrazia le sue lenti spesse, che nascondono tutto, anche i sentimenti.

Scorpius rimane inchiodato sul posto, senza sapere cosa dire, il dolore a intorbidirgli gli occhi azzurri.

Forse non c'è bisogno di dire nulla di più. Rose ha riassunto tutto perfettamente; per questo la ama: spesso è fuoco e vento, lo disturba e lo tortura, ma in alcune rare occasioni riesce a mettere pace nel suo cuore.

Ma l'amore non è pace e non è neanche il silenzio pregno di rimpianto che si instaura tra di loro.

Forse capiscono, mentre si fissano a lungo negli occhi, forse non scalfiscono neanche la superficie.

Si incamminano insieme, senza riuscire a dirsi nulla.

Finalmente, sono in pace con loro stessi e l'uno con l'altro.

Hanno aperto la partita sette anni fa e la chiudono adesso in parità. Sembra giusto che la loro non-storia rimanga tra le mura di Hogwarts: è un amore troppo fragile per sopravvivere al mondo esterno.

Lo affidano con reverenza alla memoria del castello, sapendo che esso non li tradirà.

 

Alla stazione si perdono di vista; sul treno si siedono ai capi opposti della carovana; a King's Cross non si cercano.

Di Rose e Scorpius rimane solo uno sguardo carico d'amore e dolore, sulla riva di un lago in un giorno d'estate, e una frase, implicita ma reale: è troppo tardi.

Ma c'è un albero a Hogwarts, che accarezza con le sue fronde l'acqua del lago e protegge un segreto morto da tempo.

Due costellazioni, tracciate con la punta di un coltello da un giovane innamorato, imbarazzato dalla dolcezza dei suoi sentimenti stessi: le stelle appena abbozzate, le linee di congiunzione storte e calcate. Un ricordo che almeno quell'albero custodirà per sempre, quando gli occhi di chi l'ha vissuto saranno diventati opachi e fissi.

Un particolare sullo sfondo di una fotografia color seppia, un mistero per gli occhi di chi sa cercare.

Ma il sipario si è abbassato prima che gli attori finissero di dire le loro battute e il pubblico si è alzato senza certezze.

Ti amerò per sempre, Rose.

Ti amerò per sempre, Scorpius.

 

 

 

 

¹ Citazione dalla canzone “Hotel Supramonte” di Fabrizio de Andrè.

² Andromeda nella mitologia greca era figlia di Cassiopea, che offese gli dei vantandosi di essere più bella delle Nereidi. Per questo motivo Poseidone mandò sulle coste del regno di Cefeo, padre di Andromeda, un mostro marino per fermare il quale fu necessario sacrificare la fanciulla. Ella venne poi salvata da Perseo, mentre era già incatenata alla roccia pronta a essere divorata. Nella storia Rose è Andromeda perché espia il “peccato” di essere figlia di Hermione e Ron, gli eroi, posizione che la mette in difficoltà con non solo con Scorpius ma anche con gli altri compagni. Inoltre è anche un rimando all'Andromeda potteriana, emblema della rottura delle convenzioni Purosangue.

³ Citazione dalla canzone “Hotel Supramonte” di Fabrizio de Andrè.

⁴ Il nome Percy è un rimando al Perseo mitico, il cognome McLaggen l'ho utilizzato per analogia con i libri originali, in cui Cormac McLaggen dà il tormento a Hermione. L'avevo immaginato come un ipotetico figlio o nipote.

 

 

 

 

 

 

 

 

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