Seven Days

di Swetty_Kookie
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** First Day- Monday ***
Capitolo 2: *** Second Day- Tuesday ***
Capitolo 3: *** Third Day- Wednesday ***
Capitolo 4: *** Fourth Day- Thrusday ***
Capitolo 5: *** Fifth Day- Friday ***
Capitolo 6: *** Sixth Day- Saturday ***
Capitolo 7: *** Seventh Day- Sunday ***



Capitolo 1
*** First Day- Monday ***


Era una giornata tranquilla come le altre quel lunedì mattina. Aspettavo pazientemente che l'orario del mio turno finisse. Mi chiedevo ancora che problemi avesse il mio capo per chiudere proprio all'una in punto. In fondo nessuno sarebbe venuto a quell'ora, e la dimostrazione certa era il locale completamente vuoto, non una mosca ad interrompere il silenzio.

Poi il suono dei campanellini, che il mio capo mi aveva costretto ad appendere proprio il giorno prima, sulla porta, tintinnarono. Questo poteva significare solo l'arrivo di un cliente. Ed anche se scocciato da quella nuova presenza, quasi mi trovai a ringraziarlo per aver reso meno noiosa l'ultima mezz'ora che mi spettava lì dietro il bancone.

Entrasti tu, portando nel piccolo bar riscaldato, la tua figura eterea insieme alla brezza primaverile che invadeva Seoul in quei giorni.

Ti guardavo appoggiato al mobile dietro il bancone, che ospitava un lavandino e i chicchi di riso per fare un caffè. Mi chiedevo cosa ci facesse un ragazzo come te, a quell'ora in un bar. Ma poi vidi la tua borsa, dall'area al quanto pesante, ed allora mi divenne più chiaro anche il motivo per il quale i bar fossero aperti fino all'ora di pranzo. Probabilmente per studenti universitari come te.

Ti vidi, mentre spostavi piano lo sgabello per sederti al bancone, facendo penzolare così le tue gambe fasciate da dei jeans neri attillati, ma non troppo.

La prima cosa che facesti fu tirare fuori un piccolo blocco di appunti ed una penna, ma non potevo rimanere solo a guardarti, così decisi di avvicinarmi per prendere le tue ordinazioni.

«Cosa ordina?» ti chiesi, e tu alzasti lo sguardo verso di me, quasi spaventato. Mi ritrovai ad alzare un sopracciglio. Cosa ti aspettavi, di entrare in un bar e non essere servito?

Volevo riderti in faccia, ma i miei occhi incontrarono i tuoi, ed io non potevo fare altro che rimanere a fissare quei due pozzi neri, e perdermici dentro. Erano misteriosi, nascondevi qualcosa, ed io volevo sapere cosa. Ma era ancora troppo presto.

Terminasti tu il nostro contatto visivo, per poi poggiare i tuoi occhi sulla vetrina accanto a te che ospitava i vari dolci e cornetti del giorno, quasi terminati.

Portasti una mano sotto il mento, pensando, e poi parlasti, sorprendendomi un'altra volta «Una fetta di cheesecake al cioccolato, grazie.» stirasti le labbra in un mezzo sorriso, posando nuovamente gli occhi sul blocchetto sotto le tue mani.

La tua voce era profonda, ancora adesso riesco a sentirla nelle orecchie, come se mi stessi parlando in questo momento.

Alzai un sopracciglio. Chi mangerebbe una fetta di torta a quell'ora di pranzo? Ma infondo non potevo dirti nulla, semplicemente presi quella fetta di torta, per poggiarla accanto a te insieme ad un bicchiere d'acqua.

Sorridesti, non appena osservasti il contenuto del piatto, e dopo esserti leccato le labbra, quasi come un bambino, prendesti la forchetta per iniziare a gustare il tuo dolce.

Mi allontanai, ma continuai ad osservarti.

Eri strano. Così strano che avevo pensato persino che tu fossi uno con le rotelle fuori posto, o un alieno. Eri incredibilmente bello per essere un semplice umano.

Sorrisi a quel mio pensiero stupido, per poi osservarti ancora di sottecchi.

Non avevi fatto nulla di strano per essere definito strano, ma per me lo eri. Credevo che nella tua testa ci fosse un mondo parallelo, dove c'eri solo tu, e solo tu ne sapevi l'esistenza. Mi piaceva pensare che vivessi nel tuo mondo. Anche se il tuo mondo era solo fatto da incubi e tristezza. Ma questo non potevo saperlo.

Quella fetta di torta la mangiasti lentamente, così lentamente che solo dopo aver preso il tuo piatto dalle tue mani, completamente vuoto, mi resi conto che era già passato l'orario di chiusura, e di conseguenza anche il mio turno di lavoro. Ma non volevo disturbarti. Avevi posato lo sguardo sul blocchetto, e avevi sbuffato.

Io ero esattamente di fronte a te, e quando alzasti lo sguardo su di me per parlarmi, rimasi un'altra volta sorpreso.

«Era davvero buona.» non dicesti nulla di particolare, ma per la prima volta forse vidi il tuo vero sorriso. Un sorriso quadrato, che mi aveva contagiato, e allora ti sorrisi anch'io. E forse interpretasti il mio sorriso come un silenzioso invito per continuare a parlarmi. Ed io fui felice di poterti ascoltare ancora, rimanendo perplesso per quel mio comportamento. Era strano come il mio essere menefreghista e quasi perennemente annoiato da tutto e tutti, con uno sconosciuto come te, fosse svanito nel nulla.

«Vorrei davvero provare ogni tipo di esperienza..» una frase apparentemente detta solo per attaccare bottone, non sapevo potesse nascondere tanti significati.

Poggiai la testa sul palmo della mia mano sporgendomi verso il bancone, aspettando che tu continuassi a parlare. Sto solo facendo il mio lavoro, pensai, è compito di un barista ascoltare il cliente, mi ero convinto. Era un mio compito, anche se l'orario di lavoro era finito.

«Stavo cercando di scrivere una lista di cose da fare. Anche se non so quante cose si potrebbero fare in una settimana.» aveva riportato lo sguardo sul blocchetto. Non parlai ancora.

«Ma credo che un buon punto di partenza sarebbe trovare qualcuno con cui fare il resto.» annuisti tra te e te, scrivendo poi sul blocchetto il primo punto.

«Poi credo di voler correre sotto la pioggia, strano ma vero, non l'ho mai fatto!» mi avevi sorriso di nuovo, per poi scrivere il tuo secondo punto.

«Voglio viaggiare, anche se non molto lontano. Forse a qualche ora di distanza da Seoul, ma è comunque un viaggio, no?» mi guardasti negli occhi, non curante del fatto che probabilmente avresti potuto annoiarmi, e scrivesti poi il terzo punto.

«Voglio andare in campeggio e rimanere fino a tardi per guardare il tramonto e poi le stelle. In città non se ne vedono molti, anche se il tramonto non è niente male sulla riva del fiume.» continuasti a parlare, scrivendo il quarto punto.

«Credo di voler anche provare il brivido di rubare qualcosa.» alzasti lo sguardo titubante, come se potessi sgridarti, ma l'unica cosa che ritrovai a fare, fu sorridere. E così segnasti il quinto punto.

«Poi dovrei anche trovare l'anima gemella, e farci l'amore. Ma credo sia impossibile in una settimana.» picchiettasti la punta della penna sul labbro, indeciso. Ma poi scrivesti quel sesto punto, con un punto interrogativo tra le parentesi, come se non fossi davvero sicuro di quello. Ed infatti era così, ma lo scrivesti lo stesso.

Alzasti lo sguardo sul tuo cellulare, controllando l'orario, notando che era tardi, sia per te, che per me.

Mi sorridesti prendendo la tua borsa pesante, mettendola su una spalla, per poi lasciare dei soldi sul piattino. Lasciasti più del dovuto, ma non feci in tempo a fermarti, che con un semplice "ciao", te ne andasti, facendo tintinnare quei campanellini, fino a quando la porta non si chiuse da sola, ed io rimasi a guardarla. Avevi lasciato il tuo odore, ed avevi lasciato quel posto vuoto al bancone, che quando eri presente fino ad un attimo prima, sembrava riempire tutto il bar.

Sospirai, per poi prepararmi per chiudere il bar e tornare a casa, dopo il nostro strano incontro. Il nostro primo ed ultimo incontro. Ma ancora non sapevo che non sarebbe stato l'ultimo.

Quel giorno stesso tornai a fare il turno serale. Non mi toccava, ma il mio collega Jimin si era preso un gran raffreddore. Ed in fondo non mi dispiaceva più di tanto, non avevo nulla da fare.

Il bar era pieno di gente quando arrivai, alle sette di sera. Jin stava prendendo le ordinazioni degli ultimi clienti arrivati, e non appena mi vide tirò un sospiro di sollievo.

«Fortuna che sei arrivato Jeongguk, devo letteralmente scappare.» mi aveva molato le ordinazioni appena prese, ed era scappato nei camerini.

Subito mi misi a lavoro, correndo da un tavolo all'altro, mentre cercavo allo stesso tempo di servire i clienti al bancone.

Quando finalmente mi fermai per riprendere fiato, nel bar c'erano solo un gruppetto di ragazze intente a chiacchierare e un vecchietto.

Un'altra cosa di cui potrei lamentarmi col capo sarebbe la mancanza di personale nei turni serali. Come faceva Jimin a gestire tutto questo da solo?

Riempio un bicchiere d'acqua, mentre un'altra volta la porta si apre, e per un momento ho sperato che da quella porta entrassi di nuovo tu. Ma gli unici ad entrare furono dei ragazzini, che dopo aver quasi svaligiato il bar, di caramelle, andarono via gridando. E quando ti vidi esattamente dietro di loro, alla cassa, rimasi sorpreso.

Non ti avevo visto entrare, e trovarti di fronte ai miei occhi all'improvviso, mi fece quasi perdere un battito.

«Vedo che lavori sempre.» mi avevi sorriso, sedendoti poi sullo stesso sgabello di questa mattina, ordinando un caffè. Sembravi meno spaesato adesso.

«Sto sostituendo un collega.» era probabilmente la prima frase che ti dicevo.

«Allora deve essere il mio giorno fortunato.» avevo finito di preparare il tuo caffè, e l'avevo appena messo sul bancone, quando mi dicesti quella frase. Non riuscii nemmeno ad avere il tempo di formularla che il gruppo di ragazzine schiamazzando si era avvicinato per pagare. Così ti lasciai bere il tuo caffè, dedicando la mia attenzione a quelle ragazzine.

Ma una volta andate via mi parlasti di nuovo «Stavano letteralmente impazzendo per te.» dicesti scherzoso, ed io feci solo un'alzata di spalle.

«Trovato altre cose da fare?» ti chiesi, e tu rimanesti sorpreso.

«Non credevo mi stessi davvero ascoltando.» confessò.

Alzai ancora una volta le spalle «Perché non avrei dovuto?»

«Perché sono un estraneo, e sono solo un cliente.»

Avevi ragione, in effetti, ma era stato più forte di me ascoltarti. Non ti risposi, o almeno non subito «C'è bisogno di conoscerla una persona per ascoltarla?» dopo questa mia frase, il nostro botta e risposta terminò.

Ti avevo sorpreso ancora, e mi piaceva. Mi piaceva sorprenderti.

Ma tu mi sorprendesti ancora di più «Ti va di essere quel qualcuno che mi accompagnerà per fare il resto dei punti?» mi chiedesti.

Ti riferivi al primo punto: trovare qualcuno.

«Perché me?» ti chiesi. Sembrava una richiesta assurda, ma ero disposto ad accontentarti. Non so precisamente perché. Forse per non vedere la delusione nei tuoi occhi, o forse perché in fondo non ci avrei perso nulla. O almeno così credevo.

Ma volevo comunque una ragione per il quale avevi scelto proprio me.

«Perché sai ascoltarmi. Ho chiesto a qualche mio amico universitario, ma non hanno tempo da perdere con me.»

«Ed io secondo te, ne ho?» solo dopo mi resi conto che il mio modo di parlare probabilmente ti aveva ferito. Volevi solo una persona che ti accompagnasse, ed io volevo accompagnarti «Scusa.»

«No, hai ragione.» avevi abbassato lo sguardo sorridendo.

Ecco, probabilmente era quello lo sguardo che non volevo vederti addosso.

«E comunque, un po' di tempo da perdere ne ho.» bastò questo per farti risollevare la testa, con gli occhi spalancati, pieni di sorpresa.

Iniziasti improvvisamente a parlare a manetta, ma io ero troppo impegnato a sorriderti trovando il tuo imbarazzo adorabile. Finì col chiederti io il tuo numero di telefono e il tuo nome, dicendoti di mia spontanea volontà il mio. Se avessi aspettato te, probabilmente non ce lo saremmo mai detto.

Kim Taehyung. Ti si addiceva.

Ancora non riesco a spiegarmi come io abbia potuto accettare di aiutare un estraneo, un cliente. Ma non eri più un cliente. Ed io per te non ero più il tuo barista.

Ed in un certo senso mi piaceva, trovavo divertente quella situazione. Anche se di divertente non c'era poi molto. Ma questo, lo avrei saputo solo dopo.


N.d.a.
Ehillà! Ed eccomi di nuovo qui a rovinarvi un'altro lunedì! Ahah. 
A quanto pare non riesco a stare lontana da voi xD
Sono tornata con una mini-fic, che avrà sette capitoli. Quindi un capitolo al giorno fino a domenica! 
Ero molto titubante nel pubblicarla, visto che ce l'ho da un po', ma l'ho riletta e sistemata, ed anche se magari può sembrare scontata, volevo condividerla con voi :)
Spero che vi possa piacere, e che lascerete qualche commentino ;)
A presto
~
Ale

 

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Capitolo 2
*** Second Day- Tuesday ***


Martedì mattina era la mia giornata libera. Un giorno senza senso. Non era sabato, e di conseguenza non sarei potuto uscire per andarmi a divertire, ma era comunque un giorno tranquillo. Volevo rimanere nel letto tutto il giorno, ed alzarmi solo all'orario di pranzo. O almeno quella era la mia intenzione.

Ero a torso nudo con dei pantaloni della tuta neri, che mi arrivavano sotto al ginocchio, quando mi chiamasti al telefono per la prima volta. Diedi un'occhiata al telefono prima di risponderti.

Le 10:24.

«Pronto?»sapevo chi eri, ma non volevo dare l'impressione di quello che stava aspettando una tua telefonata. Perché in realtà la stavo aspettando eccome.

Di quel ragazzo timido, tramite il telefono, nemmeno l'ombra "Dove sei?" mi chiedesti, senza nemmeno salutarmi.

Mi infastidii, ma non te lo dissi. Mi misi seduto sul mio letto, passando una mano prima su un occhio, stropicciandolo e poi tra i capelli «A casa mia.»

"Ah..- la delusione dalla tua voce era chiara –ero venuto qui al bar. Non lavori oggi?"

Ebbi una stretta al petto, allora non capii perché, ma adesso so che non volevo farti soffrire, non volevo che tu ci rimanessi male «E' il mio giorno libero- ti spiegai, e non sentendo più la tua voce dall'altro lato del telefono, parlai ancora –Ma se vuoi possiamo vederci. Insomma, se mi stai chiamando è per questo, no?»

Odiavo il dover prendere perennemente l'iniziativa. Era stata una tua idea quella di scegliere me, allora perché ero io a doverti spronare?

"Si, cioè... non volevo disturbarti." mi ritrovai a sorridere, anche se tu non potevi vederlo.

«E' ok, dove possiamo vederci?» ignorasti completamente la mia domanda.

"Dici che potrebbe piovere?l mi chiedesti.

D'istinto guardai fuori dalla mia finestra. Era una bella giornata, impossibile che piovesse.

«Non credo.- confessai. Il tuo secondo punto era quello di voler correre sotto la pioggia, ed allora ricordai –Andiamo... a Geoje? E' una foresta poco lontana da Seoul, e capita spesso che piova, anche per giorni a volte.» ci ero andato più di una volta con i miei genitori, ed ogni volta pioveva.

"Jeongguk.- fu la prima volta che mi chiamasti per nome -Perché stai facendo questo?"

Non volevo risponderti, non perché mi vergognassi. Semplicemente, non lo sapevo nemmeno io il motivo per il quale stavo facendo tutto questo per un estraneo... per te «Non puoi solo ringraziarmi?»

Nella mia mente, il tuo silenzio lo avevo interpretato come un accenno positivo con la testa «Ci vediamo tra mezz'ora alla fermata degli autobus.» ti avevo detto, e tu annuisti per poi chiudere la telefonata.

Ed ancora una volta, ero stato io a prendere la decisione.

Davvero non capivo perché lo facevo. Consideravo il mio giorno libero, un giorno sacro. Nemmeno i miei amici mi chiedevano di vederci quando ero a casa in quei giorni. Ma lui no. Ero stato persino io ad organizzare un'uscita. Per cosa poi? Per realizzare un suo desiderio.

Ero completamente impazzito, ne ero certo. Non sapevo però che a lungo andare, sarebbe stato sempre peggio.

Ti raggiunsi dopo quella mezz'ora, che avevo impiegato a riempire lo zaino di cose da portare, sia per me, sia per te. Mi sembrò naturale farlo. Non avresti mica potuto organizzare le tue cose se eri fuori.

Ti vidi seduto sulla panchina, mentre mi aspettavi. Poco più lontani un gruppo di ragazzi con degli zaini, che probabilmente avevano avuto la nostra stessa idea. Vidi che ti guardarono di sottecchi, mentre tu eri troppo impegnato a guardarti la punta delle scarpe.

Mi sedetti accanto a te, lanciando prima loro un'occhiataccia, che solo pochi compresero.

Non ti salutai, semplicemente mi sedetti accanto a te, aspettando che questa volta, fossi tu a parlare per primo.

«Ci hai messo cinque minuti in più.» quello era il tuo saluto. Fantastico.

«Ho perso tempo per preparare lo zaino.» ed io stupido che mi giustificavo pure.

Si era formato un silenzio imbarazzante, interrotto solo dal rumore dell'autobus che si fermò proprio davanti a noi.

Quando ti fermasti davanti al guidatore, che aspettava i tuoi soldi, ti girasti verso di me «Non mi hai detto che avrei dovuto pagare.» lo guardai un attimo, aveva lo sguardo arrabbiato.

Sospirai e finii col pagare per entrambi.

Ci sedemmo a circa metà autobus, lui dalla parte del finestrino, io accanto a lui.

Era arrabbiato con me. Potevo capirlo dal suo modo di fare. Non mi guardava o toccava nemmeno per sbaglio. Ma quella volta lasciai perdere. Gli passerà, avevo pensato.

Non avrei mai immaginato che mi avresti ignorato per tutto il resto della giornata.

Ero letteralmente furioso per il tuo comportamento, mentre tu eri furioso con me per chissà quale motivo e con il tempo, che anche in quella foresta sembrava voler splendere.

Dopo ore a camminare nel più totale silenzio, ci sedemmo su una delle tante panchine in quel sentiero illuminato dalla luce arancione del tramonto, che rifletteva per terra l'ombra degli alberi grandi e sottili. Non sopportavo più il tuo silenzio.

«Posso sapere perché ti stai comportando in questo modo?» ti girasti di scatto, evidentemente sorpreso dalla mia voce, che aveva interrotto il silenzio tra noi, e in quella foresta.

Mi guardasti stranito, ed io con gli occhi t'incitai a parlarmi. Da quando ci eravamo visti quel giorno, non mi avevi sorriso nemmeno una volta.

Ma continuasti a non parlare, guardandomi solamente negli occhi. Così provai ad indovinare «Sei arrabbiato perché ho pagato io? O perché ho detto qualcosa di sbagliato? Dimmelo!» era la prima volta che insistevo per sapere qualcosa. La mia natura da menefreghista mi aveva sempre suggerito di fregarmene, appunto. Ma con te non potevo, non ci riuscivo.

«Non piove nemmeno qui!» dicesti pochi minuti dopo. Era la scusa più idiota che avessi mai sentito.

«E sai arrabbiato con me per questo? Sai che non posso comandare il tempo e far piovere con uno schiocco di dita, vero?» schioccai le mie dita proprio a poca distanza dal tuo viso.

Ti vidi abbassare la testa imbarazzato, e mi sentii in colpa. Mi facevi impazzire con i tuoi comportamenti. Eri un'incognita. E a me dava fastidio con capire.

«Certo che lo so, solo che..»

Quasi come se il destino volesse prendermi in giro, dopo poco più di un minuto dal mio schiocco di dita, le prime gocce di pioggia iniziarono a scendere, prima lentamente, poi sempre più violente, sulla terra e sui nostri corpi.

Il sentiero pian piano iniziò a bagnarsi completamente. Onestamente odiavo quel posto. Odiavo che quando piovesse la terra si appiccicasse alle mie scarpe.

Ma tu iniziasti a sorridere genuinamente, ti alzasti puntando le mani a palmo aperto verso il cielo, quasi come se volessi raccogliere la pioggia.

Eri davvero arrabbiato per la pioggia?, mi ritrovai a pensare.

Iniziasti a correre, mentre la tua risata iniziò a riempire il silenzio. Giocavi con gli scoiattoli, cercando di fargli scendere dall'albero, sul quale loro si erano riparati. Poi venisti verso di me, e mi dicesti «Facciamo una corsa. Chi arriva per ultimo al chiosco, paga la cena all'altro.» ed infondo, cosa c'era di male? Ero già zuppo, al chiosco ci saremmo dovuti andare lo stesso, e se le persone ci vedessero correre penserebbero che corriamo per ripararci dalla pioggia. Quindi annuii.

Lo vidi scattare divertito, tutto l'imbarazzo che aveva regnato nelle ore precedenti era come scomparso.

Avevo lo zaino in spalla, ma non fu questo l'ostacolo che m'impedì di raggiungerti.

Respiravo l'odore del muschio e della natura. Era piacevole, mi faceva sentire sereno.

«Yah, non vale!» dicesti con il fiatone, quando non avevamo percorso nemmeno mezzo sentiero, prima di arrivare al chiosco.

«Mi sa che qualcuno qui non è abituato? Cos'è Taehyung, non ti hanno mai insegnato a correre?» dissi quelle parole scherzando, mentre saltellavo sul posto aspettando che tu mi raggiungessi stanco.

Non sapevo che le mie parole fossero veritiere, solo dopo lo venni a sapere.

«Forse è meglio camminare.» dicesti fermandoti, ed io ti ascoltai, camminando poi vicino a te.

Il nostro respiro era affannoso, a causa della corsa, ma comunque continuammo a camminare verso il chiosco. Il nostro autobus sarebbe arrivato entro mezz'ora.

«E' stato divertente. Anche se mi sento completamente bagnato dalla testa ai piedi.» annuii sorridendoti. Ero felice che in un qualche modo ti fosse piaciuto. Anche se prima stavo per dare inizio ad una discussione.

«Eri davvero arrabbiato con la pioggia?» ti chiesi divertito, ma tu non rispondesti, ed io ti lasciai stare ancora una volta.

Arrivammo al chiosco prima di quanto sperassi. L'autobus non era ancora arrivato, e su una panchina erano seduti il gruppo di ragazzi di questa mattina.

Decidesti di rimanere sotto la pioggia, con la testa bassa, e quando la rialzasti i tuoi occhi erano lucidi. Non ho mai saputo se stessi piangendo o meno. E se lo stavi facendo, la pioggia copriva le lacrime sul tuo viso.

«Non innamorarti di me.» mi dicesti, ed io rimasti alquanto sorpreso da quella tua affermazione.

«Cosa ti fa credere che potrei innamorarmi di te?» volevo davvero sembrare freddo e distaccato, ma in qualche modo mi avevi già preso, senza rendertene conto, senza fare niente di particolare. Non era colpa tua, era solo colpa mia.

«Niente. Vorrei solo assicurarmi che tu non lo faccia. Non voglio farti soffrire inutilmente.» vedesti l'autobus in lontananza allontanandoti da me, e salendo per primo sull'autobus.

Mi avevi lasciato con un nodo al cuore, e tanta confusione in testa.

Volevo chiederti spiegazioni, ma sapevo già che non avresti mai soddisfatto la mia voglia di sapere. Perché io volevo sapere, sapere tutto di te, della tua vita, del tuo carattere, del tuo passato, dei tuoi incubi, delle cose che ti rendevano felici.

Era un pensiero strano visto che non ti conoscevo bene. Anzi, non ti conoscevo proprio. Ed io volevo conoscerti. Mi avevi incuriosito con la tua aria stralunata, i tuoi modi di fare, e il tuo sorriso che si dipingeva sul tuo volto per le minime cose.

E mi facevi uno strano effetto al petto che io volevo continuare a sentire ancora, magari fino a quando non avrei trovato qualcos'altro di più bello, di più emozionante, che mi faccia perdere la testa; o magari avresti continuato a farmi questo effetto per tutta la vita.

Ti vidi agitare la mano, per richiamarmi. Così ti raggiunsi salendo sull'autobus, stessi posti, ma emozioni diverse.

«Sono arrivato per primo, quindi mi offrirai la cena!» dicesti sedendoti.

Ti guardai male, avevo pagato per te i biglietti dell'autobus, e pretendevi anche che ti pagassi la cena. Il mio sguardo contrariato ed infastidito ti fecero fare una risata, ma dentro di me non ero davvero infastidito. Eri tu, ed in un certo senso andava bene.

«Non hai nemmeno finito di correre, perché dovrei farlo io?»

«Non abbiamo finito di correre.- mi correggesti –E comunque la scommessa non l'avevamo annullata, e dato che sono arrivato per primo sull'autobus, pagherai la mia cena!» era una scusa bella e buona.

«Aishringraziami per non avere problemi economici!» avevo rinunciato. In fondo cosa sarebbe stato il costo di una cena, se il tempo che passavo lo passavo con te?

«Mancano solo cinque giorni. Stai con me per altri cinque giorni.» lo dicesti sussurrando, ed io non me la sentii di chiederti il motivo. Ero curioso, ma avevo paura. Ti saresti allontanato da me, prima ancora che potessi prendere coscienza dei sentimenti che già provavo per te.

«Ma adesso sono davvero stanco, e devo andare a casa, non posso fare troppo tardi.» dicesti guardando nel vuoto.

«Cos'hai il coprifuoco?» davvero la mia intenzione era quella di fare una battuta, ma avrei preferito cucirmi la bocca dopo la tua espressione triste, come se ricordassi qualcosa di brutto, e poi la tua risposta.

«Più o meno..» che significava tutto, ma non significava niente.

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Capitolo 3
*** Third Day- Wednesday ***


Quel mercoledì mattina lavoravo. Dopo esserci separati, tornati a Seoul non mi avevi più parlato e non mi avevi più telefonato. Nemmeno un messaggio.

Non capivo ancora perché mi sentivo così vuoto senza la tua presenza, e pur di aspettare una tua telefonata, finì col passare più tempo al telefono, aspettando anche solo un messaggio , che a servire i clienti. Beccandomi irrimediabilmente una strigliata da parte del capo.

Fare il turno serale. Ecco qual era stata la mia punizione per colpa tua. Anche se colpa tua fondamentalmente non era, o forse non del tutto. La colpa l'avrei dovuta dare a me stesso, per la mia mente troppo influenzata da te, dalla tua non presenza in quel momento.

«Sono felice che tu sia qui, Jungkook. Il mercoledì vengono gli artisti di strada ad esibirsi, ed oggi ne verrà uno molto famoso. Straboccherà di gente! Ed io mi sono appena ripreso.» mi sorrideva Jimin, ma io non avevo trovato mai così fastidioso fare un turno di lavoro.

Volevo scriverti per sapere che fine avessi fatto, ma non ero io a doverti cercare. Eri tu a doverlo fare! Ma involontariamente le mie mani erano già sul mio telefono, sulla tua chat vuota.

Mi facevi arrabbiare, ma volevo scriverti lo stesso. Mi destabilizzavi troppo. Così per non morire logorato dalla curiosità, o per meglio dire preoccupazione, che molto presto sarebbe diventata ossessione, ti scrissi un semplice "Come stai?"

Non immaginavo una tua risposta immediata, ed infatti, la tua risposta non arrivò subito come speravo. Fino a quando i primi clienti non entrarono, ed io fui costretto ad abbandonare il telefono dietro il bancone. Non sapendo che dopo quelli che per te furono dieci minuti, per me furono ore, giunse la tua risposta:

"Mi devi una cena ricordi! Ti aspetto tra un'ora, questo è il mio indirizzo xxx"

Quando lessi il tuo messaggio era l'una di notte. Erano passate esattamente quattro ore da quando me l'avevi inviato, ed io l'avevo visto solo dopo essermi cambiato dopo una serata di lavoro intensa. La gente era venuta numerosa nel locale, per vedere un ballerino soprannominato J-Hope, ed in effetti era davvero bravo. Ed avrei avuto la possibilità di conoscerlo a fine serata, se solo non avessi lasciato tutto e fossi corso da te.

Non avevo pensato che avresti potuto non aspettarmi, che saresti potuto andare a dormire. Solo dopo essermi trovato di fronte la porta del tuo appartamento mi porsi queste domande.

Ma ormai ero lì. Busserò solo una volta, mi ero ripromesso.

Ma sorprendentemente tu apristi la porta dopo nemmeno due tocchi.

Mi apristi sorridendo, avevi dei pantaloni della tuta grigi così come il tuo cardigan. Il sorriso quadrato contrastava con gli occhi arrossati e gonfi. Non volevo pensare che tu avessi pianto per colpa mia, anche se probabilmente era proprio quello il motivo. Mi misi in testa che avevi sonno, ed avevi bisogno di dormire, per giustificare i tuoi occhi.

Non volevo illudermi.

«Finalmente ti sei fatto vivo! Lo sai per quanto ho aspettato? Per colpa tua il cibo si è tutto raffreddato!»

Ti guardai spaesato. Non eri arrabbiato?

«Mi dispiace, ero a lavoro ed ho letto solo dieci minuti fa il tuo messaggio.» dissi entrando per la prima volta in casa tua. Era ordinata, vuota. Non c'era nessun quadro od oggetti personali. Come se fosse pronta per essere lasciata.

«Capisco, però mi sa che adesso dovremmo mangiare qualcos'altro. Sto morendo di fame!»

Mi facesti strada per il piccolo corridoio sul quale si affacciavano due porte, che presupposi fossero il bagno e la tua stanza da letto, visto che alla fine del piccolo corridoio c'era il tavolo seguito da una piccola cucina, e sulla sinistra della stanza era presente un piccolo divano ed una televisione. Una libreria vuota accanto.

«Avresti dovuto mangiare quando hai visto che non ti rispondevo. Sarei anche potuto non venire.»

«Sei venuto però, quindi ho fatto bene. Anche se adesso il riso è tutto asciutto e freddo.»

Guardai la tavola imbandita, due ciotole di riso ai vari poli del tavolo e dei contorni tipicamente coreani al centro. Un pranzo semplice, ma che comunque mi sarebbe dispiaciuto buttare.

Ti guardai mentre prendevi le ciotole di riso per buttarle nella spazzatura.

«No, aspetta!- ti dissi. Non volevo che lo buttassi. Avevi impiegato tempo per cucinarlo –Lo mangio io.»

«Ma è freddo.» mi dicesti scettico.

«Non m'importa.» lo ripresi tra le mani, sedendomi sulla sedia, prendendo le bacchette dal tavolo, iniziando letteralmente a divorare il riso. Non era buono, ma ero un bravo attore.

«Avremmo potuto ordinare d'asporto.» dicesti sedendoti di fronte a me, con la testa poggiata al palmo della mano.

«Sarebbe stato uno spreco.» mi servii da solo, e tu iniziasti a mangiare lo stesso, insieme a me.

Dopo quella cena fredda, passammo qualche minuto in silenzio, interrotto solo da un tuo starnuto.

Mi voltai verso di te, notando le tue guance particolarmente arrossate, e quando mi notasti, sorridesti «E' stato bello stare sotto la pioggia, ma sono cagionevole di salute, quindi oggi ho avuto un po' di febbre.»

«Allora dovresti metterti a letto.» negasti con la testa.

«Ho trovato qualche film da vedere.» ti guardai contrariato.

«Non se ne parla, devi andare a letto. Abbiamo altri giorni per poter guardare un film!» non volevo alzare la voce di due toni. Ma io ero stato preoccupato per te tutto il giorno, e sapere che tu fossi stato da solo con la febbre, chiuso qua dentro, mi faceva arrabbiare. Avresti dovuto avvisarmi, allora.

«No, il resto della settimana è già organizzato. Andremo a vedere il tramonto, andremo a fare un viaggio—»

«Sai che esistono anche altre settimane? Sembra che tu debba andartene da un momento all'altro.» volevo solo che tu ti rimettessi.

«In questa settimana voglio fare queste cose, del resto non m'importa!- ti eri alzato anche tu, urlando leggermente –E poi dovresti davvero smetterla di preoccuparti per me! Non ti ho chiesto di farmi da baby sitter, ma semplicemente di farmi compagnia per il resto della settimana!»

Ti guardai infuriato. Volevo davvero prenderti a pugni. Io mi preoccupavo per te, ma a te semplicemente servivo per accompagnarti, per svolgere quei punti che ti eri scritto in quel blocchetto.

«Certo che sei davvero ridicolo!» quando mi arrabbiavo sapevo dire cose davvero crudeli. Ed anche quella volta non fui da meno.

«Pensi che giri tutto intono a te, per caso?» ti chiesi retorico, mentre mi facevo più vicino, mentre tu rimanevi sul posto, ed anche se avessi voluto muoverti non avresti potuto, visto che il divano dietro di te ti avrebbe bloccato.

«Chi ti credi di essere per entrare nella mia vita e stravolgermela, solo perché tu devi fare delle cose stupidissime in una settimana?!» ancora non parlavi, ma non mi sarei fermato lì.

«Pretendi di essere accompagnato ovunque, ma devo essere sempre io a cercarti. Ti faccio delle domande e non mi rispondi!'Ti senti tanto importante e ti senti in diritto di ignorarmi e fare quello che vuoi?»

I tuoi occhi lucidi erano un chiaro segnale, che era arrivato il momento di smetterla, che non avrei dovuto continuare. Ma non mi diedi ascolto «E poi che roba è: correre sotto la pioggia, guardare il tramonto, fare l'amore..- scoppiai a ridergli in faccia –Cosa sei una femminuccia per caso?» ti guardavo con occhi derisori.

«Aish... ma non fartene una colpa, tranquillo.- ti poggiai una mano sulla spalla –Non è colpa tua. E' solo colpa mia.» annui con la testa, per dare ragione a me stesso. Ti vidi deglutire, i tuoi occhi si erano riempiti di lacrime, che non facesti ancora uscire però «Non so perché ho dato retta ad uno spostato come te.» mi allontani, riprendendo il giaccone rimettendomelo.

«Dimmi la verità, sei uscito da un manicomio e hai solo una settimana prima che ti vengano a riprendere per riportarti dentro?» fu lì che probabilmente esagerai.

Mi spingesti verso la porta d'ingresso e con una voce strozzata mi dicesti «Vattene Jeon Jeongguk, hai parlato anche abbastanza!» fu solo quando mi ritrovai fuori dal tuo appartamento che mi resi conto della cazzata che avevo fatto. Ma era troppo tardi.

«Dovevo immaginarmi che eri esattamente come tutti gli altri.» riuscì a sentire solo flebilmente quella frase, seguita da dei singhiozzi mal trattenuti.

Mi sarei preso a pugni da solo. Non era mia intenzione quella di ferirti, ma quel giorno mi sentì così arrabbiato con te, che non riuscii a trattenermi.

Pensavo che la mia rabbia fosse dovuta al tuo apparente egocentrismo, ai tuoi modi infantili, a quegli stupidi punti che proprio di fronte a me avevi scritto.

Non potevo immaginare che fosse dovuta alla paura. La paura di non poterti più rivedere. Perché ogni volta che dicevi la frase 'fino alla fine della settimana' una strana sensazione mi attanagliava il petto.

Dove anrdai? Non ti vedrò mai più?

Queste erano le domande perenni che continuavo a farmi. Ma ancora mi ostinavo a non voler accettare il fatto che tu, in qualche modo, con i tuoi occhi scuri, mi avessi stregato.

Mi avevi già reso dipendente da te, ed io non volevo essere dipendete da te. Perché avevo paura. Come potevo dipendere da una persona che ha esplicitamente dichiarato che dalla settimana prossima non potremmo più vederci? Come potevo innamorarmi di una persona senza nemmeno conoscerla realmente.

Ed allora inconsciamente ti avevo riferito quelle parole per paura. Perché la mia mente pensava che sarebbe stato meglio separarsi prima da te. Ma il cuore mi diceva che era con te che dovevo stare. Anche se tu, esattamente il giorno prima, mi avevi severamente vietato di provare amore per te.

E per una volta scelsi il cuore. E non ti ascoltai.

Guardai la porta di fronte a me, ed estrassi il cellulare dalla tasca.

"Mi dispiace." ti scrissi.

Sentì dal tuo appartamento il tuo cellulare suonare, e così scrissi ancora "Sono ancora qua fuori."

La tua risposta mi arrivò, non come la speravo io, ma arrivò "Vattene."

"Domani chiedo un giorno libero. Andiamo dove vuoi, anche se per me dovresti riposare ancora."

Ormai mi ero già perso. Ormai ero già con te, perennemente nei miei pensieri, nella mia testa, ed anche se non volevo ammetterlo e non capivo cosa fosse, me ne fregai. Volevo vederti. Ed allora ti avrei visto.

Era amore? Mi rifiutavo di crederlo. Non potevo credere che uno come me, si fosse innamorato a prima vista. Ma forse sì, era amore.

"Ti ho già detto di andartene."

"Domani passo a prenderti io. Se vuoi vedere le stelle e un bel tramonto, so io dove portarti."

"Inizi ad essere inquietante. Vattene prima che chiami la polizia."

Sorrisi, per poi scendere le scale scrivendo un "A domani."

Non mi giunse una risposta, ma sapevo che ti avrei rivisto il giorno dopo.

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Capitolo 4
*** Fourth Day- Thrusday ***


Come avevo ti avevo promesso, avevo preso un giorno libero. In realtà non l'avevo preso solo quel giovedì, ma fino al fine della settimana. Avevo usato la scusa dei miei genitori malati per tornare a Busan, ed il capo, collegando il mio strano atteggiamento del giorno prima, alla mia richiesta, mi aveva accontentato, e si era anche scusato.

Erano da poco passate le tre del pomeriggio, quando bussai ancora alla tua porta, ma tu non accennavi a rispondermi, anche se sapevo che eri in casa. Avevo sentito il rumore dei piedi nudi sul parquet da fuori il tuo appartamento.

«Taehyung, aprimi, so che sei lì dentro.» ti dissi, mentre sbattevo il pugno sulla porta. Avevo deciso di prendermi una mattinata per chiarirmi le idee e cercare di allontanarti un po' dalla mia mente. Ci ero riuscito solo per una mezz'ora, quando mi ero appisolato nella vasca da bagno.

Sentii delle imprecazioni da parte tua, e quando evidentemente non ne potesti più, mi venisti ad aprire. Ancora i vestiti della scorsa notte.

«Vuoi smetterla di fare così tanto baccano?! Sveglierai i vicini! E poi cosa ci fai qui?!» la tua voce uscì roca, e quando ti vidi, nonostante mi stessi sgridando, ti sorrisi. Eri bello anche se sembravi appena sveglio.

Senza il tuo permesso entrai in casa tua per la seconda volta, con la semplice scusa dei vicini «Allora parliamo dentro, così non disturberemo nessuno.»

Come se fossi stato a casa mia mi tolsi il giaccone, poggiandolo malamente sul tuo divano, sotto il tuo sguardo confuso e arrabbiato.

«Che diavolo stai facendo? Ti avevo chiaramente detto di andartene, e non solo per ieri sera, ma per tutto il resto della settimana!»

Mi ero alzato le maniche della felpa. Avevo caldo, ma tu notasti quel mio gesto, distogliendo subito lo sguardo dai miei avambracci. Sorrisi internamente.

«Sono venuto per svolgere gli altri punti. Cos'altro volevi fare? Viaggiare? Guardare le stelle e il tramonto? Ho la soluzione che fa al caso nos» mi ero girato per prendere il mio telefono, per farti vedere delle foto della villa dei miei nonni a Busan. Erano morti da anni ormai, e nessuno sarebbe stato in quella polveriera. Ma era circondato dagli alberi, quindi sarebbe stata il posto perfetto per guardare le stelle.

«Non avevi detto che erano dei punti da femminuccia?» mi avevi interrotto.

Mi rigirai verso di te, sospirando «Ti ho detto che mi dispiace. Quando sono arrabbiato dico cose senza pensarci due volte.»

Mi guardavi in modo strano, confuso «Sai che con 'non innamorarti di me', intendevo anche qualsiasi altro sentimento?» mi dicesti.

Sorrisi «Infatti, non sono innamorato di te. E comunque la cosa è reciproca.» mentì.

«Non preoccuparti, perché io ti odio.»

«E' comunque un sentimento. Si avvicina molto all'amore sai? Solo che al posto di pensare sempre a me in un modo positivo, mi pensi in un modo negativo. Ma sono sempre nei tuoi pensieri.» ti sorrisi, e tu rimanesti sorpreso dalla mia affermazione. Così continuai.

«Anche se a causa di quello che ti ho detto ieri, tu adesso mi odi, ti ho promesso che ti avrei fatto compagnia nello svolgere quei punti, ed io mantengo le promesse. Quindi adesso vestiti, andiamo da qualche parte che sono sicuro che ti piacerà.» non ricordavo di essere così logorroico. Di solito erano i miei amici a parlare sempre ed io rimanevo in silenzio ad ascoltarli, mentre con te era il contrario.

«Mi sono appena svegliato, non—» un vano tentativo di controbattere.

«Non accetto eccezioni, andiamo!»

Il viaggio era durato la bellezza di tre ore in macchina. Jimin mi doveva dei favori per ogni volta che coprivo i suoi turni, ed io non avendo una macchina, ma la patente per guidarla, glie l'avevo chiesta per qualche giorno. E lui, anche se titubante, mi aveva consegnato le chiavi della vettura, affidandomela.

Era stato un viaggio silenzioso, gli unici momenti in cui avevamo parlato erano stati due semplici scambi di battute per sapere se avessi mangiato. Mi annuisti solamente, poi per il resto, delle canzoni classiche avevano riempito le nostre orecchie fino alla fine del viaggio, e non ci eravamo più parlati.

«Siamo arrivati.» dissi, mentre fermavo la macchina proprio di fronte alla vecchia casa dei miei nonni. Era circondata dal verde, dove i raggi di sole filtravano dalle foglie creando ombre sui nostri volti.

Cinguettavano i vari uccelli, nascosti tra gli alberi, che si alzarono in volo non appena una forte esclamazione provenne dalle tue labbra.

«WoahDaebak!» avevi urlato, correndo verso la casa, e guardando poi il lungo sentiero che ci avrebbe portato alla città.

Sembravi un bambino mentre esploravi la zona, rimanendo impressionato anche solo nel guardare delle piccole margherite per terra.

«Avevo detto che ti sarebbe piaciuto!» ti dissi sorridendo, mentre tu mi guardasti annuendo.

Non c'era più traccia di quell'astio, dovuto alla discussione fatta il giorno prima.

Mi poggiai alla mia macchina per osservarti mentre toccavi ed ispezionavi qualsiasi cosa capitasse sotto il tuo sguardo curioso.

Mi venne voglia di chiederti perché solo una settimana, e non due, o tre? O sempre.

«Il sole dovrebbe calare verso le sette, ed ora sono... le 6:45!- esclamasti all'improvviso, venendo verso di me –Dobbiamo trovare un posto alto dove possiamo guardare il tramonto!» afferrasti la mia mano, iniziando a trascinarmi lontano da casa dei miei nonni.

«Yah, non dovremmo allontanarci.» cercai di dirti, ma tu eri troppo preso dallo scovare un posto in alto.

E alla fine lo trovasti.

Non l'avevo mai visto. Forse in questi tre anni in cui io sono stato lontano da questo posto, lo hanno costruito.

C'era una parte della foresta disboscata, dove al contrario c'erano solo due panchine, ed una ringhiera a separare la parte finale della terra, dal piccolo dirupo che ci separava dalla vegetazione.

Quando arrivammo avevi il fiato corto, ma la tua espressione era felice, affascinata.

Il sole era ancora alto, ma molto presto sarebbe scomparso tra la vegetazione.

«E' malinconico e bello allo stesso tempo, guardare il sole sparire per dare spazio alla notte.» ci eravamo avvicinati alla ringhiera, sulla quale tu ti eri poggiato con i gomiti, per sorreggere poi la tua testa con il palmo della mano. Io ero rimasto indietro ad osservarti.

La tua figura era in penombra ai miei occhi, così non riuscii a distinguere bene il tuo volto, le tue espressioni, che se solo mi fossi avvicinato, anche solo un po', avrei capito che fossero sofferenti, tristi.

«Perché malinconico?» ti chiesi.

«Perché significa che un altro giorno è passato.»

E' passato a cosa?, mi ritrovai a pensare.

«Ce ne sono altri di giorni.» ti dissi, ricordando solo in un secondo momento il particolare della settimana.

«Già.» dicesti solo, chiudendo così la conversazione. Avrei tanto voluto riaprirla per sapere cosa mi nascondevi, avrei voluto insistere. Ma anche se lo avessi fatto, sarebbe stato inutile.

«Oh guarda!» mi distogliesti dai miei pensieri, facendomi avvicinare alla ringhiera.

Il sole stava pian piano scendendo, di un colore arancione forte, mentre colorava il cielo di un rosso chiaro. Ai nostri occhi era spezzato, diviso in due dalla vegetazione.

Fino a quando non scomparve del tutto, lasciando spazio al cielo blu notte, nel quale non si riuscivano ancora a distinguere le stelle.

«Ed un altro punto è andato.» dissi, sospirando. Ti girasti dalla mia parte con il sorriso sulle labbra, mentre i tuoi occhi risultavano ai miei leggermente lucidi. Ma in quel momento non ci feci caso.

«Dovremmo rientrare.» annuii a quella tua affermazione, mentre ci dirigevamo nuovamente verso il bosco, adesso buio e fitto.

Speravo vivamente di ritornare alla macchina, sani e salvi, ma l'impresa divenne quasi impossibile.

Cercai di far abituare meglio i miei occhi al buio, per poter guardare gli alberi e gli ostacoli che ci avrebbero impedito di camminare.

Continuai a muovere i passi, sentendo i legnetti sotto le mie scarpe rompersi, per poi bloccarmi, non sentendo più la tua presenza dietro di me.
«Taehyung?» dissi con un tono di voce normale, mentre mi guardavo attorno per trovare la tua figura.

«Taehyung!» questa volta gridai più forte, e quando finalmente ti sentii lamentare, ti vidi rannicchiato vicino ad un albero.

«J-Jeongguk..» mi avvicinai e ti vidi con le mani sopra le orecchie, per coprirle.

Ti afferrai un polso d'istinto mentre un sorriso divertito era spuntato sulle mie labbra, a quella reazione infantile.

«Che ti prende?» ti feci alzare, abbandonando poi il tuo polso esile, ma tu al contrario non mi lasciasti. Afferrasti la mia mano, stringendola forte, mentre ti facevi più vicino a me.

«Ho paura del buio.» confessasti. Una risata uscì dalle mie labbra, e fui fortunato di trovarmi al buio, o avrei potuto vedere la rabbia nei tuoi occhi, mentre mi fissavano storti.

Non rispondesti a quella risata, ma comunque tenesti stretta la mia mano.

«Vuoi scendere dalla montagna tenendomi per mano?» ti chiesi, e mi arrivò solo un cenno positivo da parte tua. Così sospirai, e ti trascinai con me, tenendoti stretto come se fossi la cosa più preziosa che avessi. Ed ancora non lo sapevo che lo eri già diventato.

«Perché hai paura del buio?» ti chiesi, mentre continuavo a far strada.

«Ti interessa davvero saperlo?- rispondesti scettico, ma comunque non aspettasti una mia risposta per continuare –Semplicemente non mi piace. Non riesco a vedere niente, e a non sentire niente. E' come se fossi... morto.»

Annui alle tue parole, mentre vedevo la fine del bosco, e le prime luci dei lampioni che circondavano la villa, che fortunatamente mi ero preoccupato di accendere prima di andarcene.

«Lo vedi molto negativamente. Io non so cosa darei per poter non vedere niente o sentire niente anche solo per un'ora.» risposi. Non era nemmeno una risposta a te, ma una mia riflessione detta ad alta voce.

Non vidi il tuo volto spento dietro di me, dopo le mie parole.

«Comunque è tardi per tornare a Seoul ora. E' pericoloso mettersi sulla strada adesso.» ti dissi, e tu mi guardasti confuso. Facevi molte espressioni buffe, le ricordo tutte, anche adesso.

«E come facciamo?»

«Rimaniamo qui, semplice. Poi, non hai mai visto la vita notturna di Busan?» ti dissi, sorridendoti. Negasti con la testa, e con le nostre mani ancora intrecciate, ti trascinai verso il sentiero che ci avrebbe portato verso la città movimentata.

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Capitolo 5
*** Fifth Day- Friday ***


Era mezzanotte inoltrata quando ci ritrovammo ancora tra le strade affollate di Busan. Sui nostri volti erano stampati dei sorrisi divertiti. Ci guardavamo e ridevamo genuinamente mentre ascoltavamo la musica degli artisti di strada. Chi cantava, chi ballava da solo o in gruppo.

Per tutto il tempo le nostre mani non si erano separate un attimo. Ti tenevo stretto come se avessi paura di perderti, come se qualcuno potesse rubarti via da me.

Era strano, perché mi facevi questo effetto mai provato prima. Ma io ti avevo fatto una promessa, si, ma non potevi sapere che dentro di me l'avevo già infranta. Forse anche prima di farla.

«Ehi» mi richiamasti, ed io voltai il mio sguardo alla tua figura dietro di me, ferma, mentre guardava un'ventiquattrore.

«Ricordi il punto in cui dicevo di voler provare a rubare qualcosa?» avevo già capito cosa avevi in mente. E non mi piaceva per niente.

«Taehyung, scordatelo. E' pieno di gente qui, non possiamo fare niente di avventato.»

Ti girasti a guardarmi imbronciato, con il labbro inferiore sporgente «Mi hai detto che mi avresti accompagnato in tutti i punti!» iniziasti a fare una voce lagnosa.

«Si, ma qui rischiamo di passare la notte in cella se ci prendono!»

«Non ci prenderanno.» insistevi, ed alla fine mi feci convincere.

Entrammo in quel ventiquattrore. Non c'era quasi nessuno, ed era piuttosto piccolo. Il proprietario era appisolato sulla sedia, e quando eravamo entranti, non avevamo fatto il minimo rumore, così da poterci nascondere in uno dei reparti.

Volevi rubare qualcosa, e quel qualcosa non era altro che cioccolata. Dolci.

«Tieni, non entrano tutte nella mia tasca.» mi dicesti sottovoce, ed io afferrai quelle barrette, infilandomele in tasca.

«Non credi che basti? Andiamo prima che ci becchino.» ero piuttosto fifone quando si parlava di fare cose contro la legge.

Annuisti, e infilando l'ultima barretta di cioccolata nella tasca, alzandoti, non ti accorgesti che la facesti cadere, facendo rumore. Non troppo forte, ma abbastanza da risvegliare il proprietario, che non appena ci vide iniziò ad urlare e a rincorrerci.

Ti presi per mano, correndo il più veloce possibile e trascinandoti fuori dal negozio con me. Non andò esattamente come avevo pianificato, perché l'uomo aveva afferrato il tuo cappotto e aveva alzato un pugno in aria, pronto a farlo scontrare con la tua guancia. Mi misi difronte a lui, beccandomelo al posto tuo, e lasciando un attimo il proprietario sconcertato. Così ne approfittai.

Scappammo fuori, ed iniziammo correre.

«Ladri! Sono dei ladri! Prendeteli!» sentimmo l'uomo urlare, e delle persone si girarono a guardarlo stranito. Altri provarono a rincorrerci, ma ormai eravamo troppo lontani, ma non abbastanza da smettere di correre.

Quando ci ritrovammo verso la via per ritornare alla villa, iniziasti a ridere sguaiatamente, mentre io prendevo fiato. Ridevi così tanto che gli occhi iniziarono a lacrimarti.

«Oh Dio, ho creduto davvero che ci avrebbe presi.» con gli occhi sgranati ti toccasti il petto, sentendo il tuo cuore battere.

«Però siamo riusciti a prendere la cioccolata.» continuasti fiero di te stesso, per poi posare i tuoi occhi su di me. La tua espressione cambiò, da divertita a dispiaciuta. Provasti a parlare, ma t'interruppi.

«Andiamo. Le stelle saranno sicuramente più visibili adesso.» dissi iniziando ad incamminarmi, e questa volta non fui io a prendere la tua mano, ma tu.

Avevamo deciso di sdraiarci sul cofano della macchina sportiva di Jimin. Volevo che entrassimo in casa, visto che non avevo scordato la tua febbre del giorno precedente, ma tu avevi insistito. E pur di accontentarti, presi qualche coperta che avevo portato apposta da casa, mettendola sui nostri corpi. Avevo una mano sotto la testa per mantenerla, ed un braccio steso, sul qual avevi poggiato la testa tu. In realtà l'avevi messa molto più vicino al mio petto, ma non mi davi fastidio.

Guardavi il cielo blu notte, pieno di stelle. Eri affascinato. Spostavi i tuoi occhi da una parte all'altra, come se stessi guardando cose definite.

«Secondo te cosa sono le stelle?» mi chiedesti.

«Come cosa sono? Non è semplice? Sono corpi celesti che brillano.» ti spiegai, mentre puntavo lo sguardo su una di essa.

«No..- dicesti con voce lamentosa –Non credi che potrebbero essere le persone che una volta hanno vissuto sulla terra? Credo che se tu fossi una stella saresti poco luminoso Jeongguk. Non hai per niente fantasia.» ridacchiai al tuo commento, mentre istintivamente piegai il braccio verso la tua testa, giocando con i ciuffi dei tuoi capelli. Morbidi e lisci.

«Ed io?- mi chiedesti –Se fossi una stella, come sarei?» ascoltai la tua domanda, e la prima cosa che vidi fu una stella particolarmente luminosa.

Alzai il braccio per indicartela «Quella lì.- ti dissi sorridendo –Ti conosco da poco, ed anche se sembri strano, brilleresti come quella stella. Quando sorridi, brilli come quella stella.» sentì la tua testa muoverti sulla mia spalla, e puntasti i tuoi occhi sulla mia figura.

Avevo detto quella frase senza pensarci. Senza pensare alle conseguenze che avrebbe causato.

Ti alzasti per guardarmi e involontariamente incastrai i miei occhi con i tuoi. E non riuscii ad allontanarli.

«Lo pensi davvero?» mi chiedesti. Non potei fare a meno di arrossire. Insomma, ti avevo detto quella frase senza pensarci, preso dall'atmosfera e dal discorso. Ma adesso, confermare il tutto di fronte a te, mentre mi guardi curioso, m'imbarazza.

Ma non riuscii a mentirti. Annuii solo con la testa, ed adesso erano le tue guance ad arrossarsi dall'imbarazzo.

Passò qualche minuto di silenzio, interrotto solo dalla tua voce «Mi dispiace.- mi dicesti, mentre facesti sfiorare la punta del tuo dito sul mio labbro leggermente spaccato all'angolo della bocca –E' colpa mia.» continuasti.

Non guardavi più le stelle adesso. Ora eri girato a pancia in giù, con il tuo volto a pochi centimetri di distanza dal mio.

«Non è colpa tua. Non mi hai detto tu di mettermi in mezzo.»

«Ma ti ho costretto a—»

«Va bene così.» avevo fermato il tuo flusso di parole.

Ti sentii sospirare, e dopo aver abbassato un po' lo sguardo, lo ripuntasti su di me.

«Non ti stai innamorando, vero?» ridacchiai.

«Perché devo essere solo io quello ad innamorarsi di te? Non potrebbe essere il contrario?» negasti con la testa.

«No, questa è una cosa davvero impossibile.- ci rimasi male, ma subito dopo mi sorprendesti –Ma... P-posso togliere il punto interrogativo all'ultimo punto?» mi chiedesti.

Ricordavo bene in cosa consistesse l'ultimo punto. Ma l'imbarazzo presente sul tuo volto, che ti colorava le orecchie, mi spinse a far finta di non ricordare in cosa consistesse.

«Ricordami qual era.» mi issai sugli avambracci, diminuendo ancora di più la distanza tra i nostri volti.

Il mio cuore, non volendo, aveva iniziato a battere più velocemente. Ma riuscivo a mascherarlo bene, così come il mio sorriso compiaciuto o come le mie emozioni in generale.

«N-non ricordi?- balbettasti sgranando gli occhi –Ma.. Cioè..» l'imbarazzo era palpabile.

«D-dovrei prendere il blocchetto per f-fartelo leggere, sì...» annuisti tra te e te, ma non volevo che ti allontanassi, anche solo per un secondo.

Facesti per alzarti, ma afferrai il tuo avanbraccio, e ti costrinsi a guardare nella mia direzione, poggiando le mani sul mio petto per sorreggerti.

«C-cosa?» le nostre labbra erano davvero troppo vicine. Potei sentire il tuo respiro infrangersi sulle mie labbra, dopo che balbettasti quella domanda. Che domanda non era realmente. Volevi solo sapere cosa mi stesse passando per la testa per averti costretto a non allontanarti.

«Me lo ricordo.» fissavo le tue labbra, mentre cercavo di non perdere il controllo e baciarti lì, seduta stante.

Non sapevo se avessi mai baciato qualcuno in vita tua, ma il mio cervello mi urlava che no, non lo avevi mai fatto.

Rimanemmo forse per minuti così, a poca distanza. Non sapevo se baciarti o meno. Le mie labbra formicolavano dalla voglia di farlo, e proprio mentre stavo per decidermi tu parlasti.

«N-non m'innamorerò di te, s-se lo fai..» sussurrasti, e fu come una conferma quella.

Feci posare le mie labbra sulle tue delicatamente, come se potessi romperti se avessi anche solo pressato di più su quei boccioli.

Portai la mia mano dietro la tua nuca, come se avessi paura che da un momento all'altro potessi allontanarti, cambiando idea.

Sentivo il cuore impazzire nel petto, e mentre inglobai il tuo labbro inferiore tra le mie labbra per stuzzicarlo, morderlo e succhiarlo, ti sentì fremere sulle mie labbra.

Mi stavi pian piano facendo impazzire. Mi misi a sedere, trovandomi adesso in una posizione più alta rispetto alla tua.

Accarezzai le tue guance iniziando a muovere le mie labbra sulle tue, che si facevano lambire dalle mie.

Chiudesti gli occhi, mentre cercavi di rilassarti sulle mie labbra.

Fu casto, dolce e caldo il nostro primo bacio.

Quando mi staccai dalle tue labbra per darti fiato, l'unica cosa che riuscisti a fare fu nascondere il tuo volto imbarazzato nell'incavo del mio collo. Le tue ciglia mi solleticavano, ed io ridacchiai per il tuo imbarazzo. Sembrava che niente e nessuno avrebbe potuto scalfire quel ragazzo che avevo visto al bar, che con molto nonchalance aveva iniziato a parlare con un cameriere, elencando i punti di quello che avrebbe voluto fare per una settimana. E invece eri tra le mie braccia oltremodo imbarazzato per un bacio.

Ti abbracciai. Ne avevo bisogno e volevo farlo. Sentivo il cuore scaldarsi mentre ti tenevo stretto tra le mie braccia. Sentivo che era la cosa più giusta che potesse esserci. Che tu eri la cosa più giusta che mi fosse mai capitata.

Poi ti sentii il tuo respiro pesante. Ti eri addormentato tra le mie braccia.

Ridacchiai. Come potevi dormire dopo che avevo appena finito di baciarti?

Ti spostai delicatamente, senza svegliarti, nella macchina, per evitare che prendessi freddo, e guardandoti, mi addormentai accanto a te. Fino al giorno dopo.

Volevo ritornare a Seoul, per passare il resto del giorno con te. E così feci.

Dormisti per tutto il viaggio, e solo dopo essermi fermato a casa tua, posai una mano sul tuo braccio per svegliarti.

«Mi dispiace dormiglione, ma devo restituire la macchina al mio amico.» dissi, ridendo, mentre ti vidi aprire gli occhi.

Te li stropicciasti e dopo aver fatto un po' di storie, scendesti dalla macchina. Prima di chiudere la portiera però, ti fermasti a guardarmi.

«D-dopo torni?» mi chiedesti.

Ed io ti sorrisi solamente, e dopo aver strizzato l'occhio per rassicurarti, partii.

Inutile dire, che finii col passare tutto il resto della giornata in tua compagnia.

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Capitolo 6
*** Sixth Day- Saturday ***


Sabato. Un giorno che avrei passato, come d'abitudine ormai, con i miei amici.

L'abitudine sarebbe stato uscire, passare un po' di tempo in una sala giochi, prendere dell'alcol e tornare a casa non ubriaco, ma nemmeno sobrio.

Ma per quel sabato decisi che avrei rotto quella solita routine.

'Di la verità Guk, ti sei trovato la ragazza?'

'Traditore. Vuoi dire che devo passare tutta la serata solo con Nam? No no... Nam io rimango a casa oggi!'

'Yoongi! Che diavolo'

'Se non c'è Guk a placarti, inizi a diventare logorroico, e io di mal di testa ci voglio soffrire solo dopo una sbronza!'

Ridacchiai leggendo i messaggi dei miei amici. Non l'avrei passato con loro perché avevo intenzione di passarlo con te.

Ignorai i messaggi che continuavano ad arrivare dalla chat di gruppo con i miei amici, per chiamarti. Volevo sentirti.

"Jeongguk?" mi rispondesti dopo nemmeno due squilli. Stavi aspettando una mia telefonata?

«Ehi Taehyung.» deglutii. Ti avevo chiamato senza pensare a cosa dirti, ma fu la tua voce a sorprendermi, ancora.

"J-Jeongguk, ti va... di stare con me sta sera?" mi chiedesti. Improvvisamente non riuscii più a vedere le tue parole in un modo puro. Avevi detto di voler togliere il punto interrogativo all'ultimo punto. Quello sul fare l'amore. E noi ci eravamo baciati. Non era normale pensare in modo poco puro, adesso?

«Si.» ti dissi soltanto. Ero fuori a fare rifornimento per il mio frigorifero, quando intravidi un volantino infisso all'uscita del supermarket. Era un invito a partecipare gratuitamente allo spettacolo dei delfini che si sarebbe svolto nel grande acquario di Seoul solo per quella volta all'anno «Vuoi... Ti va se andiamo allo spettacolo dei delfini?» dovevamo pur fare qualcosa. La tensione tra di noi era troppa, e avevo intenzione di farla sparire come meglio potevo.

Probabilmente annuisti sorridendo dall'altra parte del telefono, per poi darmi una vera conferma a voce "Si".

Ti salutai con l'impegno di passarti a prendere quella sera una mezz'oretta prima dell'inizio dello spettacolo.
 

Era stata una fila estenuante quella per entrare nell'acquario. Fosse stato per me, me ne sarei andato, ma il tuo viso curioso che guardava il coupon dello spettacolo, che raffigurava dei delfini che saltavano dalla piscina, ed il tuo metterti sempre sulle punte dei piedi per vedere quanta fila ci mancasse ancora, mi avevano convinto a rimanere, fingendomi interessato.

«Dice che i delfini sanno fare tre capriole di seguito, qui.» mi informasti puntando un dito, su un punto preciso del coupon, mostrandomelo.

Annuii per non farti rimanere male e poi ti girasti ancora «Dicono anche che ci sarà un estrazione nel pubblico per poter accarezzare il delfino e dargli da mangiare!- dicesti ancora più entusiasta –Devo assolutamente essere io!»
 

«Volevo davvero dare da mangiare ai delfini...» camminavamo per le strade di Seoul, affollate e piene di odori provenienti dai vari ristoranti o chioschi all'aperto, e di suoni provenienti dalle discoteche.

«Dai, non avrebbero potuto scegliere te. Avevi una bambina accanto.» ridacchiai per il tuo viso triste, avendo però un accenno positivo da parte tua. Sospirasti e poi alzasti lo sguardo verso di me.

Forse fu la prima volta che ci guardammo negli occhi quella sera. Avevi evitato il mio sguardo, ancora troppo imbarazzato. Ma adesso che si erano incontrati ancora, i nostri occhi, non avevano più intenzione di separarsi.

Ti afferrai la mano, intrecciandola con la mia, mantenendo il contatto visivo, ricevendo da te solo un sorriso imbarazzato.

Continuammo a camminare, fermandoci di tanto in tanto in qualche negozio, o in qualche chiosco per prendere da mangiare, fino a quando non si fece tardi abbastanza, da costringermi ad accompagnarti a casa.

Eravamo esattamente in quel momento riprodotto dai film americani, dove lui accompagna lei alla porta, ed inizia l'imbarazzo. Lo bacio o no? Se mi chiede di salire, salgo o no?

Credevo che si sarebbero riprodotte anche con te quelle scene d'imbarazzo, ma non fu così.

«Grazie.» iniziasti a dire, ed io mi ritrovai ad annuire. Poi continuasti.

«Sai, io... l'ho tolto davvero il punto interrogativo. Non voglio dirti che d-devi rispettarlo per forza. C-cioè non sei obbligato!» o meglio, l'imbarazzo c'era stato, ma solo da parte tua.

«Va bene.» ti guardai, e i tuoi occhi sbalorditi mi fissarono. Sentivo che era giusto così.

«Dico sul serio, tu non—»

«Se ho detto che va bene, significa che va bene.»

Mi fissasti per un'altra manciata di minuti, per poi estrarre le chiavi dalla tua tasca, ed aprire la porta che ci avrebbe portato nella tua casa.

Sentivo la tensione che c'era tra noi, ma volevo renderti il più tranquillo possibile.

Così non ti diedi il tempo nemmeno di accendere la luce, poi delicatamente portai le mie mani sulle tue guance, facendo pressione solo per poterti portare vicino a me, per baciarti nel modo più dolce che riuscissi a fare.

Chiudesti ancora una volta gli occhi, lasciandomi continuare, mentre le nostre lingue s'incontrarono ancora.

Non smettevamo di baciarci, era come un lento cullarsi, che pian piano fece svanire la tensione, dando posto così al desiderio. Il desiderio di baciarti il collo, di morderti una guancia, di accarezzare i tuoi fianchi, di farti ansimare sotto il mio tocco.

Lentamente ed incerto, facesti un passo indietro per condurmi nella tua stanza. Capii che era quella a destra, e così ti aiutai a non compiere movimenti goffi, per poi, dopo essere entrati nella stanza, chiudere la porta, come se qualcuno potesse entrarci e disturbarci.

Ti feci stendere lentamente sul materasso sovrastandoti, senza gravarti addosso però.

Non avevamo nemmeno tolto la giacca leggera, che si usava durante i primi giorni d'estate, non del tutto caldi, dove alla sera il vento si alzava freddo.

Così te lo tolsi lentamente, e così feci con il mio. Tu avevi una maglietta bianca a maniche lunghe, leggera, io una maglietta nera a maniche corte. Eravamo esattamente gli opposti.

Ti alzai la maglietta, senza sfilartela, iniziando a baciare la pelle morbida, dove ci sarebbero dovuti essere degli addominali, del quale tu eri privo, se non proprio un accenno.

Sentii vibrare il tuo stomaco sotto le mie labbra, mentre rabbrividivi. Volevo che diventasse la tua prima volta perfetta. Volevo essere gentile e delicato con te, non violento e rude come mi era capitato nelle poche esperienze avute in passato.

Potevo sentire il tuo cuore battere all'impazzata, mentre iniziavo ad armeggiare con la cintura dei tuoi pantaloni. Rivelavano già la protuberanza che ti avevo causato a causa dei miei baci sul collo e sullo stomaco, sul basso ventre.

Ti liberai dai pantaloni stretti, facendoti rimanere così solo con quella maglia bianca e in boxer, per poi posizionarmi ancora a cavalcioni su di te.

Avevi il viso arrossato e gli occhi lucidi. Eri bellissimo anche quando il piacere stava invadendo la tua mente e il tuo corpo.

«Jeong-Jeongguk..- mi richiamasti ed anche se con il fiato corto e il viso completamente rosso, continuasti –V-voglio fare anche io q-qualcosa.»

Mi ritrovai a sorridere, e a spostarmi da te, per poi ritrovarmi con le tue gambe attorcigliate ai miei fianchi, mentre mi sfilavi la maglietta nera, rimanendo a fissare il mio corpo, più scolpito, ma meno morbido del tuo.

Mi ritrovai una tua mano sul petto che lentamente accarezzava i miei addominali, ridisegnandoli con le dita. Non riuscii a trattenermi dal baciarti ancora, anche se volevi prendere tu posizione in quel momento. I tuoi occhi persi ad ammirare il mio corpo mi avevano fatto perdere ancora una volta il controllo.

Abbracciai il tuo busto, mentre rimanevi avvinghiato ai miei fianchi, facendo sprofondare il mio viso nel tuo collo.

Il tuo odore, è qualcosa che duramente riuscirà a sparire dalla mia mente.

Continuammo a baciarci, fino a che sia l'uno, sia l'altro non ne potemmo più.

«T-ti prego Jeongguk...» accolsi quella tua silenziosa richiesta, e così ti accontentai.

Mi alzai su due gambe, solo per poter permettere nuovamente alla tua schiena di toccare il materasso, e alla tua testa di toccare i cuscini.

Ti preparai il più possibile, ed anche se per te quello fu solo un prolungamento di quell'agonia del piacere, me ne fosti grato.

Ti feci mio nel modo più dolce possibile. I nostri gemiti riempirono subito la stanza, fino a quando entrambi non ci svuotammo, lasciando poi posto ai nostri respiri affannosi.

«Ricordi che oltre a fare l'amore, c'era anche qualcos'altro che volevo trovare?» girai la testa quanto bastava per poter vedere le tue ciglia. Eri poggiato alla mia spalla, ed entrambi guardavamo il soffitto come se fosse la cosa più interessante del pianeta, rimanendo in silenzio. O almeno fino al tuo intervento.

«Ehm...» non la ricordavo. Ma chiunque non sarebbe riuscito a ricordarla dopo quello che avevamo fatto.

«Era trovare l'anima gemella.» dicesti, con un tono divertito. Non eri arrabbiato perché l'avevo scordato?

«Oh...- riuscì a dire solo –E.. pensi di averla trovata?» ti chiesi. Una piccola parte del mio cuore sperava vivamente che fossi io, ma l'altra parte, quella più razionale mi diceva che no, era impossibile.

«Sai che è impossibile trovarla in una settimana..- ridacchiò –Però sono felice che tu mi abbia aiutato a fare.. questo.» feci finta di non rimanere deluso dalla tua risposta.

«Ti avevo promesso che ti avrei accompagnato per tutti i punti, ed anche se inizialmente ero un po' scontroso, ho mantenuto la promessa.»

«Già.- sorridesti, per poi guardarmi –Comunque, credo che adesso dormirò un po'.»

Si, dormirai...

Ti lasciai un ultimo bacio sulle labbra, prima di vederti voltarmi le spalle. Credevo sarebbe stato l'ultimo bacio di quella giornata, invece, fu l'ultimo bacio di sempre.

Poi chiusi gli occhi. Anch'io ero esausto di quella lunga giornata. Solo adesso, rimpiango di non averti guardato un'ultima volta.

«L'ho trovata la mia anima gemella, Jeongguk.»

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Capitolo 7
*** Seventh Day- Sunday ***


Quello, fu il giorno più brutto della mia vita.

Ricordo che mi svegliai nel tuo letto dopo l'ultima serata passata insieme, ed ero accanto a te. O almeno tu sembravi essere accanto a me, ancora addormentato tra le braccia di Morfeo.

Decisi di alzarmi, senza disturbarti. Era domenica mattina, e tecnicamente l'ultimo giorno che avremmo passato insieme. Ma ero tranquillo, volevo che avessi un bel risveglio.

Così mi diressi in cucina e aprii il frigo cercando qualcosa per fare colazione. Avevo optato per una colazione italiana.

Avevo trovato del succo d'arancia e dei cornetti confezionati. Così dopo aver posato il tutto su un vassoio, mi diressi di nuovo verso la tua stanza.

«Sveglia dormiglione.» dissi ridacchiando, mentre entravo.

Poggiai la colazione sul comodino accanto a te, per poi andare ad aprire le tende «Taehyung, c'è un bel sole, perché non andiamo a fare una passeggiata?»

Mi girai verso di te, adesso eri illuminato dalla luce del sole. Ma c'era qualcosa che non andava.

«Taehyung.» ti richiamai. Niente, nemmeno un lamento.

Mi avvicinai a te per scuoterti un po', e non appena posai la mano sulla tua guancia, fredda come il ghiaccio, mi accorsi di quel piccolo, ma importante, fondamentale, particolare.

Non respiravi.

Mi si bloccò il respiro in gola, tra l'incredulo e lo scioccato. Sentivo la gola bruciare e il terrore farsi strada nei miei occhi, quando finalmente realizzai che quella mattina non ti eri svegliato con me.

Le lacrime iniziarono ad uscire copiose dai miei occhi, mentre indietreggiavo, trascinando per sbaglio il vassoio, facendo cadere il bicchiere di vetro pieno di succo di frutta, che avevo preparato per te.

Cadde a terra rompendosi in mille pezzi, proprio come me, che dopo essermi accasciato a terra, avendo la tua figura immobile davanti ai miei occhi, mi ruppi.

Erano passate settimane da quando ti avevo visto. Probabilmente, se non avessi fatto cadere a terra il bicchiere, la vicina di casa non si sarebbe preoccupata e non sarebbe venuta a controllare cosa fosse successo. Se non l'avesse fatto, sarei potuto rimanere ancora un altro po' con te.

Avevo ripreso la mia vita normale, anche se era cambiato qualcosa. Non uscivo più con i miei amici, lavoravo con uno sguardo assente, perennemente perso nel vuoto, mentre ogni mattina, mezz'ora prima di chiudere il bar, fissavo la sedia vuota, sul quale ti sedesti la prima volta. Rivivevo la scena nella mia testa continuamente, e ti sorridevo, e ti parlavo.

Il mio atteggiamento divenne così strano che il proprietario mi aveva dato altri giorni di riposo. Avevo sentito sussurrare Jin e Jimin alle mie spalle, avevano detto che avevo bisogno di uno psicologo. Ma io stavo bene, non avevo bisogno né di quei giorni di riposo, né di uno psicologo.

Stavo bene. E loro non capivano.

Perché il lunedì accetto la tua proposta, il martedì ti porto a Geoje, il mercoledì litighiamo, il giovedì ti porto a vedere il tramonto, e nella notte del venerdì guardiamo le stelle. Il sabato sono a casa tua, a fare l'amore con te.

Il tuo profumo è ancora su di me, i tuoi occhi mi guardano ancora, le tue labbra mi baciano ancora, le tue mani mi toccano ancora.

E poi arriva la domenica. La domenica non ci incontriamo, non ti porto a Geoje, non litighiamo e non guardiamo le stelle o il tramonto, e né tanto meno facciamo l'amore. La domenica ti vengo a trovare, anche se tu non ne sei ancora a conoscenza, perché noi ci incontriamo ogni lunedì di ogni settimana.

Cammino calpestando i ciotolini di quel sentiero che mi porta da te.

Sono felice, ti sto portando dei fiori.

Poi ti vedo, mi stai sorridendo, mi stai aspettando, e così mi avvicino a te.

Kim Taehyung

1995-2018

«Woah Taehyung, non sapevo fossi un mio hyung!» dico accarezzandoti una guancia. Non è morbida, è fredda sotto il vetro plastificato della foto.

Una lacrima inizia a scendere copiosa dai miei occhi, mentre guardo la tua figura farsi sempre meno nitida.

Lo venni a sapere solo dopo che eri malato Taehyung. Me lo aveva spiegato la tua vicina che tanto odiavo, perché mi aveva separato da te, quando io invece avrei voluto abbracciarti in quel letto per tutta la giornata, per tutta la vita.

Me lo ha raccontato lei e non i medici, perché non avevamo un legame di parentela e non potevano rivelarmi informazioni private.

Mi ha detto che avevi una strana malattia, una di quelle malattie rare della quale non si conosce nemmeno il nome. Una malattia che avevi dalla nascita e che per tutta la vita ti aveva segnato.

Eri cagionevole di salute, ti affaticavi spesso, guardavi nel vuoto, eri sofferente... non mi ero mai soffermato su quella parte di te.

Ti aveva dato un'altra settimana di vita il tuo dottore, il giorno in cui mi incontrasti. Eppure sei andato via un giorno prima.

Credevo che in qualche modo saresti partito, non saresti stato più a Seoul a causa di un destino crudele, non comandato dalla tu volontà. Questo era il pensiero che si era instaurato nella mia testa. Non credevo che saresti andato via dalla terra.

Facevi discorsi trani, il tramonto,

«Perché malinconico?» ti chiesi.

«Perché significa che un altro giorno è passato.»

Il buio,

«Perché hai paura del buio?» ti chiesi.

«Semplicemente non mi piace. Non riesco a vedere niente, e a non sentire niente. E' come se fossi... morto.»

Le stelle..

«Secondo te cosa sono le stelle?» mi chiedesti.

«Come cosa sono? Non è semplice? Sono corpi celesti che brillano.»

«No..- dicesti con voce lamentosa –Non credi che potrebbero essere le persone che una volta hanno vissuto sulla terra? Credo che se tu fossi una stella saresti poco luminoso Jeongguk. Non hai per niente fantasia.»

Sorrisi ripensando a quei momenti passati con te.

Mi mancavi, mi mancavi così tanto. Eri stato meschino ed egoista. Anche se mi avevi vietato di innamorarmi ti te, io l'avevo fatto. E forse non è del tutto colpa tua, ma è anche colpa mia.

Immagino se quel giorno ti avessi rifiutato e non avessi accettato quella pazzia, perché era una pazzia, dell'accompagnarti nei vari punti che scrivesti proprio di fronte a me.

Probabilmente adesso non sarei qui a contemplare un pensiero che non avrei mai creduto di poter anche solo lontanamente immaginare.

Lascio il mazzo di fiori sulla tua tomba, e lasciai il cimitero che presto, avrebbe scavato un'altra fossa.

Perché io ero stato il tuo primo ed ultimo punto, perché io ero la tua anima gemella.

Perché volevo che la settimana continuasse.

E se volevo questo, c'era solo un modo per farlo, per raggiungerti.

E questa volta per sempre.

End




N.d.a.
Ok, allora, non uccidetemi. E' un cliché lo so, ma era da tempo che volevo scriverne una così, e questa mi è embrata la storia adatta. Spero che vi sia piaciuta lo stesso.
Sono triste, but okay. 
Voglio ringraziare LoveFandom22 ZevisLovers (ogni riferimento a fairy tail è puramente casuale, lol), per aver recensito. Grazie anche ai lettori silenziosi <3
Spero di non avervi deluso.
A presto~
Ale



 

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