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Capitolo 1 *** L’inizio di una nuova avventura ***
KINGDOM HEARTS
Capitolo 1: L’inizio di una nuova avventura
Sora si svegliò di colpo... era stata davvero una pessima nottata per lui.
Tutto all’isola era tranquillo ma lui non riusciva più a ritrovare la
serenità perduta: dopo aver viaggiato per moltissimi mondi e aver stretto tutte
quelle amicizie, non riusciva a credere di essere bloccato sulla sua isola,
senza alcuna possibilità di viaggiare. Solo la presenza di Kairi lo aiutava a
sentirsi meglio, ma neppure questo era sufficiente. Sentiva la mancanza di
Paperino e Pippo, suoi inseparabili compagni nelle numerosissime avventure.
- Chissà che fine hanno fatto –
pensava - Probabilmente sono tornati nel
loro castello con le rispettive famiglie e forse sentono la mia mancanza –
Il giovane strinse forte il suo Keyblade, pensando a quanto fosse starno
che l’arma non fosse scomparsa dopo aver compiuto il suo destino e aver
sconfitto Heartless e organizzazione XIII. Forse sarebbe rimasto con lui per
sempre. Sorrise a quel pensiero.
Intanto Riku guardava il mare. Non poteva fare a meno di ricordare come
avesse combattuto contro il suo migliore amico, Sora, solo per aver creduto alle
menzogne di Malefica. Non riusciva a farsi una chiara idea sulla vera indole
della strega che, nonostante tutto l’odio che provava per loro, li aveva
aiutati nel combattimento contro l’organizzazione.
Anche Kairi era molto pensierosa. Fin da quando era una bambina voleva
viaggiare, andarsene dall’isola ma ora non voleva altro che stare con Sora. Aveva
condiviso con il ragazzo molti viaggi, quando i loro cuori erano uniti; l’aveva
cercato poi, mentre lui combatteva contro i nobody e, dopo essersi riunita con
Namine, aveva ricevuto un Keyblade da Riku, diventando così una custode. Lo
guardò comparire subito, come se fosse dotato di una propria coscienza e non
volesse fare altro che comparire magicamente nel momento del bisogno e poi
scomparire. Era davvero stupendo, la cosa più bella che avesse mai visto, con
il suo colore dorato e i fiori sul fondo; tutto ciò quasi le faceva dimenticare
quanto fosse pericoloso e difficile da maneggiare.
Proprio per questo quando era da sola con Sora, il ragazzo le dava qualche
lezione di “scherma” in modo che potesse difendersi da sola…
- Ma da cosa? – pensò ad alta voce.
Ormai non c’era più nessuno da combattere, i pochi Heartless rimasti evitavano
gli uomini e i pochi che osavano uscire allo scoperto venivano velocemente
sconfitti dagli eroi che sostenevano ogni mondo.
Sora guardò fuori dalla finestra. Il sole non era ancora sorto ma dopo quel
sogno fatto non riusciva più a dormire. Aveva visto la sua ombra, l’Heartless
che era diventato moltissimo tempo prima, tornare e reclamare il suo corpo, ed
era così forte che neanche il Keyblade riusciva a scalfirlo.
- Ovviamente questo è impossibile
- . si ripeteva, ma il sospetto che un fondo di verità ci poteva essere si era
già nascosto in un angolo della sua mente, pronto a tornare alla carica al
primo momento di smarrimento o di debolezza.
Intanto, in un luogo totalmente diverso da quelli conosciuti, Ansem si
svegliò da un lungo sonno. Era del tutto spaesato. Si trovava in una landa
desolata ma non riusciva a capire cosa era successo.
- Stavo cercando di digitalizzare Kingdom Hearts quando qualcosa è andato
storto e dovrei essere morto! Come faccio ad essere sopravvissuto?-
Migliaia di domande affollavano la sua mente e, per ogni dubbio a cui
riusciva a dare una buona risposta, altri dieci arrivavano a sostituirlo. Dopo
qualche istante di riflessione decise di incominciare a muoversi per scoprire
dove si trovava, ma intorno a lui c’erano solo immense distese erbose... una
pace innaturale lo accompagnava ad ogni movimento. Dopo aver vagato in lungo e
in largo, trovò un covo di Heartless e li distrusse subito senza alcuno sforzo.
Continuò per ore, sempre più stanco e affaticato; aveva una fame incredibile e
avrebbe mangiato qualunque cosa ma in quel luogo dimenticato dagli dei,
sembrava non esserci nulla di commestibile. Si fece coraggio e andò avanti per
pura forza di volontà, senza sapere se stesse continuando ad avanzare oppure se
stesse girando in tondo. Vagava senza meta, sorretto solo dal bisogno di
scoprire la verità sul luogo nel quale si trovava. Dopo un lungo tempo passato
a camminare senza mai capire dove fosse, il saggio si accasciò al suolo,
incapace di procedere ulteriormente e si addormentò. Il suo, stranamente, fu un
sonno calmo e privo di sogni e al risveglio se trovò riposato e in forze,
nonostante la fame si facesse ancora sentire. Dopo essersi rimesso in cammino,
fu attaccato da una banda di nobody abbastanza potenti, ma niente in confronto
ad Ansem. Colpì il primo con una sciabola che in qualche modo gli era stata
appesa alla schiena e lo distrusse. Gli altri si allontanarono in modo da
uscire dalla sua portata e lo accerchiarono. L’attacco fu così improvviso che
quasi non se ne accorse. In quattro lo attaccarono da tutti i lati. Disarmò il
primo e uccise il secondo, ma il terzo lo colpì alla gamba facendolo cadere in
ginocchio. Era perduto.... Senza una via di scampo si preparò al peggio ma,
proprio un attimo prima del colpo mortale, un Keyblade d’oro fermò l’arma
dell’avversario e tutti i nemici scomparvero.
Nel castello Disney tutto andava come al solito: Paperino correva da una
parte all’altra mentre Pippo sonnecchiava tranquillo nell’enorme giardino, ma tutti erano in apprensione per il Re.
Topolino, infatti, pochi giorni prima aveva dichiarato di dover partire per un
altro viaggio poiché doveva accertarsi di alcuni eventi e neanche le suppliche
di Minni riuscirono a dissuaderlo.
I vecchi compagni di Sora pensavano spesso al ragazzo e, nonostante la
felicità di essere di nuovo insieme alle proprie mogli, non riuscivano a non
provare un senso di vuoto nel profondo dei loro cuori. Come fare per andare a
trovarlo? Tutti i passaggi erano stati chiusi, non c’era modo di poter
viaggiare, ma loro avrebbero voluto trovarne lo stesso uno... come sarebbe
stato bello poter rivedere tutti gli amici lasciati nei loro mondi a vigilare e
guidare i loro compaesani! Improvvisamente Paperino fu scosso da una mano e
fece un salto di due metri: un vero record! Si girò e, con sua enorme sorpresa,
vide Leon! In un primo momento non volle crederci e pensò che fosse frutto
della sua fantasia ma, quando l’uomo lo salutò, capì che era tutto vero: si
poteva davvero viaggiare fra i mondi, di nuovo. Non perse neanche un secondo:
condusse il suo amico in una stanza riservata agli ospiti e lo fece riposare lì
mentre lui chiamava Pippo. Leon, per nulla abituato al lusso del castello, si
trovò spaesato e a disagio, ma cercò di non darlo troppo a notare e si riposò
per qualche minuto. Arrivarono Pippo e Paperino che lo condussero per le vie
del castello mentre l’uomo raccontava loro come aveva fatto a raggiungerli…
Erano passati due giorni da quando Sora aveva fatto quel brutto sogno e l’esperienza
non si era ripetuta. Tutto era orribilmente noioso e solo gli allenamenti con
Riku e Kairi riuscivano a distrarlo. La ragazza era riuscita a padroneggiare la
sua arma in modo davvero spettacolare: era brava quasi quanto i ragazzi e
batterla diventava ogni volta più difficile. Come poteva fare per andarsene e
vivere di nuovo le sue mille avventure? Correre rischi era diventata
un’abitudine ma fino a poco prima aveva un motivo: voleva trovare a tutti i
costi Kairi; ora, invece...
Sora si perse nei suoi pensieri e non si accorse dell’arrivo di Wakka.
Tutti, sull’isola, non si erano accorti dell’oscurità e tutto era tornato
come nell’istante in cui era stato inghiottito e nessuno si era mai accorto
delle armi dei ragazzi anche se, del resto, essi facevano di tutto perché non
venissero viste da nessuno.
Wakka gli chiese uno scontro con le loro armi giocattolo e Sora lo lasciò
vincere, dato che, in caso contrario, il giovane gli avrebbe sicuramente
chiesto una rivincita. Sora tornò a casa, salutò la madre ed entrò in camera
sua, a riflettere su tutto ciò che aveva visto, fatto e desiderato. Tutti i
suoi principi erano stati messi alla prova, i suoi valori erano stati capovolti
e aveva fatto cose di cui poi si era pentito. Si rifugiò nell’angolo più remoto
del suo cuore, dove poteva sentire la presenza del suo nobody, Roxas. Esso si
era riunito a Sora durante la rigenerazione del ragazzo dopo l’esperienza del
castello dell’oblio, del quale non ricordava quasi nulla. In esso aveva perso i
suoi veri ricordi per rimpiazzarli con alcuni falsi e ora che aveva recuperato
quelli originali, avrebbe voluto ricordare di più quello che aveva fatto in
quel periodo. Dopo aver parlato con Roxas, tornò al mondo reale, giusto in
tempo per sentire la madre chiamarlo: la cena era pronta. Sora mangiò con il
solito appetito e chiese il permesso per uscire. Come tutte le sere andò alla
spiaggia dove trovò i suoi amici ad aspettarlo e continuò ad allenarsi fino a
che non fu troppo stanco per proseguire. Decise di andare subito a dormire,
così salutò i due compagni. Stava tornando a casa quando una luce abbagliante
si accese davanti a lui e lo costrinse a chiudere gli occhi, così non vide il
colpo che stava arrivando e fu colpito in pieno petto. Sora cadde a terra,
svenuto.
Ansem si guardò attorno, ancora stordito. Aveva riconosciuto l’arma ma non
riusciva a scorgere il Re. Che si fosse sbagliato? Impossibile: i nobody non se
ne sarebbero mai andati senza un motivo. Una voce acuta lo chiamò. Dietro di
lui era apparsa una figura avvolta in un mantello.... Il saggio non seppe cosa
pensare. Chiese dunque al nuovo arrivato di dargli del cibo, perché era molto
affamato. Topolino acconsentì e, dopo avergli dato ciò che l’amico desiderava,
gli chiese come si sentiva. Il saggio era molto confuso e desideroso di scoprire
cos’era successo dopo il fallimento della sua macchina. Topolino rifletté un
attimo, quasi come se non fosse sicuro di quello che stava per rivelare ma,
dopo un istante che parve interminabile, cominciò il suo racconto.
- Dopo che sei stato preso dalla macchina, essa si è fusa e non sono
riuscito a ripararla. Sora e gli altri ragazzi hanno sconfitto l’organizzazione
e sono tornati nei rispettivi mondi ma io non potevo arrendermi: volevo
riportarti in questo mondo perché la tua conoscenza ci è indispensabile e non
possiamo assolutamente perderti. Sono andato al castello e mi sono rivolto al
tuo computer … esso mi ha assicurato che avrebbe fatto il possibile per
riportarti fra noi ed io, molto scettico, sono tornato nel mio mondo…. Poco
tempo fa ho ricevuto un messaggio dal tuo computer e ho cercato un modo per viaggiare
di nuovo e raggiungerti... Tutti i passaggi fra i mondi sono stati chiusi ma,
come ho scoperto, rimangono dei legami molto forti che si possono avere con la
luce e l’oscurità: come i membri dell’organizzazione potevano aprire varchi
oscuri, noi possiamo aprire varchi di luce per spostarci, anche se questi
ultimi richiedano una maggiore energia in quanto gli esseri umani sono più
inclini a cedere all’oscurità e nascondono la luce. Tu eri troppo lontano, così
sono andato da Leon, gli ha spiegato tutto e mi sono diretto qui da te.
- Ma dove siamo? – chiese Ansem.
- Nel tuo computer – rispose Topolino – è cambiato da quando te ne sei
andato: Sora è riuscito a riconquistarlo e ora la sua banca dati è a nostra
disposizione. Dopo vari tentativi il computer è riuscito a riportare la tua
essenza nel computer ma non si riesce a tirarti fuori... è come se tu dovessi
fare qualche cosa prima di uscire e questi nobody che ti hanno attaccato mi
hanno dato la conferma. Tu sei troppo vasto e complesso, con tutte le tue
conoscenze, per poter stare nella memoria principale: abbiamo dovuto crearne
una apposta per te e questo è stato il mondo che i tuoi ricordi, le tue
emozioni, il tuo cuore ha creato. Strano che tu sia così a disagio: una terra
così arida non può che essere una prova che devi affrontare per poter tornare
da noi... -.
- Credo di capire... qui ci deve essere una prova, ma non penso che tu
possa aiutarmi a superarla. -
- No, infatti il mio tempo qui è limitato: questo mondo non accetta di buon
grado i visitatori e posso stare qui solo per pochi minuti ancora -
I due cominciarono a camminare, scegliendo la strada in quella distesa,
fino a quando attorno a Topolino non apparve una luce azzurra. Allora il Re
disse – Il mio tempo qui è finito, ora dovrai cavartela da solo... sono certo
che ci rivedremo presto – e sparì.
Al castello Disney tutto era in agitazione: Pippo e Paperino volevano
assolutamente utilizzare le nuove conoscenze per andare da Sora, sulla sua isola
ma Leon era contrario. Egli, infatti, sosteneva che per utilizzare le nuove
vie, ci vuole un grandissimo sforzo e bisognava essere preparati, non era come
guidare una nave! Essi vollero provare lo stesso ma il risultato fu un vero
disastro: i due si ritrovarono a due metri da terra e cadendo si presero un
tale spavento che Leon non smise di prenderli in giro fino al giorno dopo.
Essi, ormai sconfitti, non poterono fare altro che seguire le istruzioni del
guerriero e molti esercizi dovettero ripeterli varie volte prima di ottenere
risultati accettabili. Solo dopo una settimana ottennero il consenso per andare
da Sora e, accompagnati dall’amico, fecero un secondo tentativo.
Riku e Kairi passarono l’intera mattinata a cercare Sora ma del tutto
inutilmente: l’amico sembrava essersi volatilizzato. Dopo una settimana erano
preoccupatissimi e molto irritabili, tanto che tutti avevano cominciato a
prendere le distanze da loro. Erano in riva al mare e stavano discutendo su
dove poteva essere finito l’amico quando una luce comparve dietro agli alberi
e, in pochi attimi, scomparve misteriosamente. I due ragazzi corsero in quella
direzione, armi in mano, e provarono a colpire i nuovi arrivati, anche se
dovettero fermarsi appena li riconobbero. Si scusarono e li condussero sulla
spiaggia, dove avrebbero potuto parlare tranquillamente. Kairi si offrì di
ospitare i nuovi venuti a casa sua e Leon, Paperino e Pippo accettarono molto
volentieri. I ragazzi rimasero tutta la sera a raccontarsi le loro storie e,
alla fine, Leon decise di aiutare i due giovani a padroneggiare l’abilità solo
all’inizio per poi lasciarli con Paperino e Pippo che li avrebbero aiutati.
Alla fine non ci fu bisogno dei due perché Riku e Kairi, dopo appena un giorno
di allenamento, erano già in grado di utilizzare i collegamenti. Solo Leon
partì l’indomani, promettendo che avrebbe trovato Sora, così Paperino e Pippo
tornarono al loro castello e lasciarono i ragazzi con la promessa che sarebbero
tornati per dar loro le notizie più importanti.
Sora si svegliò di soprassalto. Era in una stanza buia e aveva le membra
rigide, come se fosse stato fermo troppo a lungo... strano... ricordava solo...
un’incredibile luce, un dolore lacerante e poi... doveva essere stato portato
via ma... da chi? Dove si trovava? Come aveva fatto ad arrivare fin lì? Tutte
domande senza risposta... Sora provò a muoversi ma, con suo stupore, scoprì di
essere incatenato... chiamò il Keyblade ma esso non arrivò. Era disperato e
aveva le lacrime agli occhi, quando sentì un rumore di passi venire verso di
lui.
- Chi c’è? – chiamò il ragazzo, ma nessuno rispose. I rumori erano sempre
più vicini quando, improvvisamente, si accese una luce che lo accecò. Quando
gli occhi si furono di nuovo abituati alla luce, il ragazzo poté vedere solo
una figura incappucciata. Il rapitore era molto alto e non lo degnò di uno
sguardo. Sora cercò di colpirlo, ma le catene gli impedivano i movimenti.
- Ma bene – disse una voce femminile e stranamente familiare – L’eroe del
Keyblade è stato catturato facilmente, devo dire che mi hai davvero delusa,
Sora -. A quel punto il giovane riconobbe la voce – Malefica! Che cosa hai
architettato questa volta? Si può sapere? Che cosa vuoi da me? – la strega si
tolse il cappuccio e, con voce dura, rispose: - Da te nulla, non sei altro che
uno stupido bamboccio... io voglio di nuovo Riku! Lui ha dentro di se un potere
che neanche immagini... tu non sei altro che una scusa per farlo venire qui...
-. Sora, esterrefatto, chiese cosa avesse di tanto particolare Riku e come
pensasse di farlo passare dalla sua parte, ma la donna, con un sorriso beffardo
stampato sulle labbra, si girò e si allontanò dalle prigioni del suo nuovo
castello senza dire una parola.
Erano passati vari giorni da quando Topolino aveva salvato Ansem, ma per il
saggio il tempo era diventato qualche cosa di astratto: avanzava senza sosta e
dormiva solo quando si sentiva troppo stanco per poter andare avanti. Mangiava poche
radici e, occasionalmente, riusciva a trovare qualche frutto. Aveva esplorato
in lungo e in largo tutto quel mondo e l’unico luogo in cui non aveva messo
piede erano le rovine. Non sapeva come ma esse gli erano familiari. Quel luogo,
però, gli metteva addosso una grande ansia. Innanzitutto era pieno di heartless
e nobody e, inoltre, aveva l’aria di un luogo maledetto, in qualche modo
pericoloso. Decise che quella notte avrebbe dormito e avrebbe affrontato il
pericolo solo l’indomani. Quella sera si considerò fortunato: aveva raccolto
nel pomeriggio un paio di frutti e ora poteva variare un po’ la sua dieta. Si
coricò molto presto dopo la cena e fece un sonno tranquillo e sognò, per la
prima volta da quando si era svegliato in quella landa desolata, poco tempo
addietro. La mattina arrivò ma, solo quando il sole era già sorto da qualche
ora, Ansem si alzò deciso ad entrare nelle rovine. Dopo pochi metri fu
attaccato da un gruppo di shadow che sconfisse facilmente, quindi proseguì.
Stranamente la planimetria delle rovine era conosciuta, sapeva dove si
trovavano i vari edifici e, dopo aver svoltato per la strada che sapeva
condurre al castello, capì: si trovava nella sua città! Quello sarebbe stato il
suo aspetto se fosse stata conquistata dagli heartless molti anni addietro. Si diresse
verso il parco, la vecchia villa, tutto così diverso, troppo reale. Prima che
potesse accorgersene, un gruppo misto di heartless e nobody lo attaccò da tutti
i lati. Solo all’ultimo secondo poté scansarsi, così ricevendo solo un graffio
sulla guancia. Attaccò con una furia che sorprese se stesso e, in pochissimi
istanti, sconfisse tutti i nemici ma, purtroppo, ne arrivarono degli altri e
poi ancora, sempre di più, fino a quando il povero saggio non se resse più in
piedi. Ansem sapeva di non avere più scampo: non ci sarebbe stato nessun re a
salvarlo, stavolta, ma la voce di Topolino arrivò fino al suo cuore,
infondendogli coraggio. Si disse che non poteva arrendersi e riprese a
combattere, nonostante la stanchezza. Gli avversari, però, non finivano mai. Ad
un tratto l’arma di Ansem si illuminò e nelle sue mani trovò un Keyblade. Con
la nuova arma sconfisse i pochi nemici rimasti e, quelli che sarebbero dovuti
arrivare, scapparono in tutte le direzioni. Ansem capì due cose
importantissime: aveva superato la prova ma ciò che davvero contava era l’aver
ritrovato un nuovo Keyblade, disperso dai tempi delle “Guerre del Keyblade”.
Con questa nuova consapevolezza, si apprestò a chiamare Topolino affinché lo
facesse finalmente uscire de quel maledetto computer.!
***
Note dell'autore: Grazie a Il_Trio_Infernale per avermi detto che non si vedeva bene... devo darti ragione... era proprio uno schifo
Malefica, nel
suo castello, era intenta a pensare.
- Io ho davvero bisogno di Riku?-
Non riusciva a trovare risposte e, inoltre,
sentiva il controllo del ragazzo affievolirsi sempre più. Sora, infatti,
continuava a cercare di invocare il Keyblade ed esso rispondeva con energia
sempre maggiore. Non sarebbe riuscita a tenerli a bada ancora a lungo... il
tempo stringeva e lei cominciava a perdere la pazienza. Aveva bisogno del
potere dell’oscurità, di tutte quelle possibilità che solo essa poteva dare.
Era già molto forte, ma non abbastanza. Per migliorare aveva un’unica scelta:
se Riku non fosse arrivato allora avrebbe dovuto correre un grande rischio e
immergersi nell’oscurità più totale, dandole ogni parte di se stessa,
diventandone parte. Era ciò che tempo prima aveva fatto anche il suo ragazzo...
forse sarebbe potuta diventare così anche lei: un essere invincibile, del tutto
protetta dalla magia. Ma era davvero questo che voleva? Aveva davvero aiutato
Sora e i suoi amici solo per ottenere il castello dell’organizzazione dietro a
Crepuscopoli? Questa era una domanda che nell’ultimo periodo continuava ad
assillarla. Era da deboli pensarci, eppure non poteva farne a meno. Ora più che
mai voleva tornare ad essere la vecchia strega, priva di rimorsi e ostacoli
morali. Riku l’aveva in qualche modo cambiata:sentiva di provare un affetto
quasi materno per quel dannato ragazzo, che aveva deciso di prendere sotto la
sua ala e l’aveva condotto sulla strada del potere, che poi lui aveva rifiutato
per una forse migliore. A volte si sentiva tradita, altre volte si augurava che
il ragazzo potesse essere felice e, sempre, sentiva la sua mancanza. -Basta!- si disse mentalmente -Non ci devo più pensare, voglio tornare a
essere quella di un tempo!- . aprì il suo cuore all’oscurità senza quasi
rendersene conto, e la sua volontà fu riposta nell’angolo più remoto della sua
mente, sostituita dal male. Solo dopo qualche tempo si accorse di essere
cambiata, senza più quegli assillanti dubbi era come ubriaca, ebbra di potere
tento che non si accorse neanche di stringere fra le mani un Keyblade. Esso era
nero come la pece, capace di rubare l’anima degli avversari sconfitti; esso
aveva una forma molto simile a tutte le altre chiavi, ma terminava con una
mano. Strano ma vero: una mano con unghie affilate come rasoi e durissime,
quasi indistruttibili, capaci di penetrare fino al cuore di una persona.
Dalla sua
prigione, Sora avvertì un cambiamento sostanziale: Malefica non pensava più a
lui, non lo considerava più, l’aveva per qualche motivo escluso dalle sue
attenzioni. Chiamò il Keyblade che arrivò immediatamente e spezzò le sue
catene. Aveva in mente un solo obiettivo: andarsene il più lontano possibile.
Ma come? Non sapeva neanche come era arrivato fin laggiù, come poteva anche
solo sperare di poter fuggire? Eppure, in qualche modo, una voce interiore gli
assicurava che ce l’avrebbe fatta; doveva solo aver fede. Corse via dalle
prigioni, distrusse uno sciame di shadow, corse via, lontano, sino
all’ingresso, dove Malefica lo stava aspettando. Giunto alla porta, vi si fiondò
come un razzo ma la strega, attenta e preparata all’arrivo, sigillò l’ingresso
in modo da bloccare ogni via di fuga di quello sciocca ragazzino. Si
materializzò proprio di fronte a lui, maneggiando la sua nuova arma con
un’abilità tale che, a prima vista, si direbbe che non avesse fatto altro per
tutta la vita. Attaccò rapidissima il fianco destro ma il ragazzo era ben
allento e parò senza troppa fatica il colpo. Il duello proseguì per un tempo
che ai due contendenti sembrò infinito, ognuno parando e attaccando senza
sosta, senza mai riuscire a colpire in modo significativo l’avversario. Sora
cambiò tattica: scambiò la mano con cui teneva la sua arma ma anche così i due
rimanevano in perfetto equilibrio. Un affondo deviato, un colpo basso parato,
le armi cozzavano ad una velocità incredibile ed ogni volta sprizzavano
scintille incandescenti in tutte le direzioni. Quando ormai tutti e due erano
esausti, il tempo sembrò bloccarsi, tutti i movimenti sembravano a scatti, come
se registrati su una vecchia videocassetta mal funzionante. Dopo una pausa
durata non più i due secondi, i due stavano per riprendere lo scontro quando un
vortice oscuro, come quelli usati dai membri dell’organizzazione, si aprì in
mezzo al campo di battaglia.
Dopo essere
tornati nel castello, Paperino e Pippo andarono rispettivamente da Merlino e di
Fil per allenarsi: durante la pace che c’era stata fino ad allora non avevano
fatto altro che dormicchiare e portare lettere, quindi erano decisamente
scoordinati e lentissimi. Paperino aveva scordato alcune magie e quelle che
ricordava ancora si erano parecchio indebolite; Pippo era lento e molto spesso
non riusciva ad utilizzare il suo scudo in modo ottimale... un vero disastro!
Topolino era
intento ad allenarsi quando sentì un leggero fastidio alla testa. Inizialmente
sconcertato, solo dopo capì che era la chiamata di Ansem, che probabilmente
aveva superato la sua sfida. Accorse e, con l’aiuto del computer, riportò nel
suo mondo l’amico. Quello che vide lo rese molto nervoso: Ansem era malridotto,
gli abiti stracciati, sembrava stanchissimo e, soprattutto, era magro come uno
stecchino, tanto che il re ebbe la sensazione che sarebbe potuto cadere da un
momento all’altro. Ansem fu portato subito in una stanza, sicuramente più
accogliente che quella landa desolata, dove dormì due giorni interi, sotto la
dolce guardia di Topolino. Quando si svegliò, la prima cosa che disse fu: -
Dov’è la colazione?!? – e il re, ridendo, gli porse un vassoio pieno di
biscotti, una tazza di caffè molto amaro, il preferito del saggio, e qualche
frutto che Ansem trovò fin troppo buono. Dopo essersi rifocillato, il saggio
chiese di essere informato su tutti gli avvenimenti importanti avvenuti dopo la
sua scomparsa. Topolino gli raccontò tutto, ma non poteva essere certo di
alcune cose come, ad esempio, la reale morte di tutti i membri
dell’organizzazione XIII. Ansem ascoltò il racconto dell’amico quasi con
avidità, registrando nella sua mente ogni parola per poi poter usare la sue
nuove conoscenze per trovare Sora. Decise che era prematuro mostrare a qualcuno
il suo Keyblade e, senza dare alcuna spiegazione, andò in una stanza appartata,
dove avrebbe potuto studiare con tranquillità una linea d’azione da seguire.
Ripensò ai vecchi tempi, quando era ancora un giovane studioso intento ad
apprendere tutti i segreti dei cuori... che stolto che era stato! Solo molto
tempo dopo arrivò a capire che ogni cuore è un mistero a se stante, con i suoi
difetti, i suoi potenziali dettati dall’equilibrio in esso esistente tra luce e
oscurità. Xemnas... che sciocco che era stato il suo apprendista! Non era mai
riuscito a comprendere questo segreto sfuggito anche al suo insegnante nei
calcoli da lui fatti per provare a digitalizzare il regno che si stava formando
dalla distruzione degli heartless. Di che cosa avevano bisogno i mondi in quel
momento? Solo ora si rendeva conto dell’enorme quantità di Keyblade presenti e
nascosti dalla vista di tutti... come potevano esserci solo chiavi della luce?
Nel mondo non esiste una strada netta: il nero o il bianco; ci sono tantissime
sfumature di grigio che, più o meno, si avvicinano alle due possibilità.
Una luce
accecante riempì la stanza. Sora chiuse gli occhi e Malefica corse in un luogo
riparato, pronta a colpire il nuovo venuto. Quando la luce si dissolse, nella
stanza c’era così tanta polvere in arie che non si riusciva a vedere nulla se
non alcune sagome nere e sfuggenti. Leon si fece strada in quella confusione e
portò un ormai stanchissimo Sora lontano dal luogo della battaglia. Camminarono
per un paio di minuti che sembrarono ore e si fecero strada tra le macerie del
palazzo, staccatesi dal soffitto nel momento dell’apertura del varco. Sentirono
un grido disumano, incredibilmente rabbioso. Solo la strega poteva averlo
prodotto... ma cosa poteva esserle davvero successo? I due proseguirono fino a
raggiungere una ragguardevole distanza e Leon decise di fermarsi. Voleva aprire
un nuovo varco e portare il ragazzo lontano da quel luogo, sulla sua isola o,
magari, al castello Disney. Optò per la seconda scelta perché più vicino e
quindi con meno rischi di errori: era già stanco e avrebbe potuto commettere
una sciocchezza percorrendo un tragitto troppo lungo. Il vortice si aprì
subito, ubbidiente, permettendo ai due di entrarvi. Lo sbaglio fu minimo e i
due si ritrovarono parecchi metri sopra la loro meta, in caduta libera.
Fortunatamente, Paperino avvertì subito la presenza dei nuovi venuti e creò
sotto di loro un enorme cuscino d’aria che attutì la caduta e salvò loro la
vita. Sora fu subito portato in una stanza adibita ad infermeria e Minnie lo
medicò come meglio poté: i lividi che il ragazzo si era procurato durante lo
scontro con Malefica sarebbero guariti solo con il tempo e il riposo. Il
ragazzo, però, non aveva a disposizione nessuna delle due cose. Doveva
allenarsi per imparare ad aprire i varchi, capirne a fondo il funzionamento e,
magari, sperimentar dei cambiamenti che apportassero più libertà e sicurezza
durante i viaggi.
L’allenamento
iniziò subito ma il ragazzo, stanco, ci mise alcuni giorni per acquisire la tecnica,
anche se si applicava con ogni briciola del suo essere. Un giorno, infatti,
svenne a causa dell’enorme fatica fatta per tenere stabile un vortice per più
di un minuto circa. Nonostante questo, il ragazzo era voglioso di ritornare dai
suoi amici e parlare loro della nuova minaccia: i Dark Keyblade. Malefica aveva
il secondo, il primo era stato preso da Riku e poi distrutto dal ragazzo
stesso, tornato alla fortezza oscura dopo l’esperienza in Kingdom Hearts per
distruggere una potenziale arma in mano nemica. Ma quante altre chiavi
esistevano? Impossibile a dirsi. Dove e come trovarle? Anche questo era un
problema serio. La “Catena Regale” aveva scelto Sora di sua spontanea volontà
ma doveva essere sempre così? Probabilmente no. La maggior parte di queste armi
era nascosta in luoghi quasi inaccessibili, in attesa di essere ritrovate... ma
da chi? C’erano dei prescelti o chiunque poteva usarle? Arrivati a quel punto,
tutto diventava misterioso e Sora decise che non ci avrebbe più pensato prima
di aver raccontato ai suoi amici l’esperienza vissuta.
Riku e Kairi
vennero avvisati immediatamente del salvataggio del loro amico ma non vollero
conoscere i particolari: volevano sentire Sora descrivere tutta la
disavventura. Erano così impazienti di vederlo che andarono subito da lui,
senza neanche preoccuparsi di quello che avrebbero potuto pensare i loro amici
non trovando neppure loro da nessuna parte. Arrivarono al castello e, non
appena videro il loro amico nel giardino, Kairi lo abbracciò fortissimo, mentre
Riku si limitò ad una stretta di mano e ad una calorosa pacca sulla spalla. Passarono
insieme tutto il pomeriggio, raccontandosi quello che sapevano o pensavano,
facendo progetti e sperando di poter partire presto per una nuova avventura,
tutti insieme, per potersi aiutare a vicenda nei momenti difficili. Decisero
che come prima cosa sarebbero dovuti andare a cercare il re, ma nessuno aveva
idea di dove potesse essere andato, così decisero di aspettarlo al castello e
ripresero gli allenamenti, sia di scherma sia per migliorare il controllo dei
varchi per viaggiare tra i mondi. Assieme, migliorarono la tecnica e Riku, come
sempre attento e scrupoloso in ogni cosa, trovò il modo di usare meno energia
per mantenerli allo stesso livello di stabilità e, inoltre, scoprirono di poter
mettersi in contatto con il treno fantasma a Crepuscopoli, che poteva portarli
in mondi del tutto nuovi attraverso il particolare potere posseduto dai binari
dove il treno viaggiava. Erano finalmente tutti insieme: Sora, Riku, Kairi e,
arrivati al termine degli allenamenti, anche Paperino e Pippo, che insistettero
per poter accompagnare i tre ragazzi nei loro viaggi. Anche il grillo parlante
era ansioso di partire, per poter descrivere nuove ed entusiasmanti avventure
viste dal vivo, e quindi senza tralasciare alcun particolare. Mancava solo
Topolino... chissà come mai spariva sempre e ricompariva solo dopo qualche
tempo e aver compiuto una missione difficile e segreta. Dove poteva essere ora?
Attesero pochi giorni perché il re comparve davanti a loro con aria urgente e
li condusse da Ansem. Il saggio raccontò loro la sua storia e non poté tacere
sulla sua nuova arma perché, appena i ragazzi entrarono, i Keyblade sentirono
reciprocamente la presenza di uno sconosciuto e accorsero, pronti per essere
usati in caso di pericolo. Dopo aver parlato e ascoltato, tutti decisero che la
cosa migliore da fare era andare a cercare nuovi Keyblade per poter avere il
maggior potere possibile: sicuramente Malefica si era già messa all’opera. Utilizzando
i mantelli dell’organizzazione per non essere riconosciuti, i ragazzi si
divisero e ognuno andò in un mondo diverso per cercare una nuova chiave.
Sora andò da
Ercole, nel Colosseo. Cercò in ogni anglo, anche il più nascosto, ma nontrovò nemmeno una traccia dell’arma da lui
cercata, così scese negli inferi, dove setacciò ogni angolo con risultati
negativi. Era davvero stremato, confuso e disorientato. Non capiva... forse non
c’era... ma il pensiero non lo convinceva. Voleva trovare l’oggetto così decise
di farsi aiutare da Ercole. Lui avrebbe potuto aiutarlo davvero nella ricerca,
ma difficilmente avrebbe avuto migliori risultati. Meg decise di andare con il
suo amato.
Ade, accortosi
della cosa, decise, con riluttanza, di chiedere consiglio a Malefica. il
responso fu di ucciderli tutti perché stavano cercando un’arma che avrebbe
potuto annientarlo e dovevano essere fermati subito. Come fare? Difficile,
Ercole non poteva essere scalfito da armi normali, ma solo dall’oscurità...
culla poteva resisterle. Doveva andare al pozzo dei morti e chiedere ai suoi
servi di spingere la ragazza nel pozzo dei morti... Ercole si sarebbe
sicuramente buttato pere salvarla e così sarebbe diventato vulnerabile... un
giochetto da ragazzi. Non volendo rischiare di venire scoperto, decise che non
avrebbe chiamato gli heartless, per non far comparire la dannata chiave che,
più di una volta, aveva distrutto i suoi piani.
La compagnia
si stava avviando verso il fulcro degli inferi, la parte dove risiedono le
anime dei morti, quando Meg notò che c’era qualche cosa che non andava: troppo
silenzio. La calma era quasi irreale, come se Ade non avesse notato la loro
presenza, fatto a dir poco improbabile. Continuarono a camminare, stando sempre
in guardia, ma i minuti passavano e con essi anche la tensione dovuta a quel
silenzio. Arrivarono abbastanza velocemente a destinazione e cominciarono le
ricerche. Meg, curiosa, decise di andare a cercare vicino al pozzo, per vedere
le anime. Con fare distratto, diede il via alle ricerche.
I tre demoni
erano in attesa. Quando la compagnia entrò nella stanza decisero che attaccare
subito sarebbe stato sconveniente, quindi attesero che arrivasse il momento
buono. Non dovettero aspettare molto. Quando Meg si incamminò verso il bordo
della vasca, nei loro occhi si intravide una luce malevola. Il momento era già
arrivato. La ragazza si sporse un po’ e i tre le saltarono addosso, senza che
avesse il tempo per reagire. In un attimo Meg si trovò nella vasca con gli
spiriti dei morti che si agitavano per la presenza di un essere vivente...
presto si sarebbero calmati... li stava raggiungendo... solo un eroe poteva
salvarla, mettendo da parte la sua invulnerabilità....
Sora ed Ercole
sentirono il grido di Meg. Cosa poteva esserle successo? Guardarono nella sua
direzione ma non la videro. Poi, un colore... il suo vestito! Cosa ci faceva
fra tutte le anime dei morti? Come poteva essere finita lì? Ercole non attese
neanche un secondo: prese la rincorsa e si tuffò senza neanche pensare per un
attimo al motivo per cui la ragazza era caduta. Dell’ombra comparve Ade. In
mano stringeva una spada molto particolare... era completamente ricoperta dal
fuoco! Del resto... Ade tendeva a scaldarsi piuttosto rapidamente...!!! Sora
capì subito l’inganno orchestrato dal dio degli inferi e si protese per
affrontarlo. Una sfida del tutto impari, era la casa del nemico, solo gli dei e
coloro che possedevano una pietra molto particolare potevano rimanere illesi
laggiù. Le forze del ragazzo scemarono rapidamente ma non si arrese. Doveva
coprire le spalle a Ercole, come avrebbe fatto un vero eroe. Lo doveva
all’amico, dopo tutte le avventure che avevano passato assieme, i momenti
felici... sfoderò il Keyblade ed attaccò senza sosta, per far perdere tempo al
suo avversario. Dopo i primi colpi, però, iniziò a sentire l’arma pesante fra
le sue mani, come se di colpo fosse diventata un macigno. Ade non perse tempo
ed attaccò a piena potenza. Fu solo grazie agli allenamenti che il ragazzo si
scansò e la spada rimase bloccata nel terreno. Infuriato, il dio iniziò a
lanciare palle di fuoco contro il ragazzo, ormai inerme e del tutto esposto
agli attacchi del nemico. Sora venne scagliato lontano e Ade sorrise
soddisfatto: uno scocciatore in meno. Come se lo volesse fare apposta, Sora si
rimise in piedi e chiamò con fare beffardo il dio, che si infiammò,
letteralmente. La sua ira parve coprire tutti i presenti come un velo, quasi
palpabile. Attaccò qualunque cosa gli capitasse a tiro, cieco, totalmente
avvolto dall’oscurità da cui traeva potere. Fermarlo era impossibile, ma Sora
decise di tentare: doveva combattere fino all’arrivo di Ercole; a quel punto
sarebbero usciti d quell’inferno assieme. Alzò a fatica il Keyblade e lo lanciò
con tutta la forza che gli era rimasta, colpendo in pieno l’avversario che,
solo ora, si volse verso di lui. In quell’istante Sora vide la vita scorrergli
davanti e si inginocchiò. Una voce proveniente dal profondo lo scosse. Roxas.
Un bagliore lo illuminò e allora vide una speranza. Si sentiva imbattibile,
avvolto di luce. I suoi abiti erano argento puro, brillanti; stingeva due
Keyblade: Portafortuna nella sinistra e Lontano Ricordo nella destra. Incrociò
le chiavi e partì all’attacco come una furia. Dal suo corpo si emanava una luce
intensa, che metteva in fuga l’oscurità anche dagli angoli più remoti. – Anche
nel buio più completo, c’è una luce che non si spegnerà mai! – gridò Sora con
voce possente. Ade venne scagliato lontano, debole anche nel suo regno,
umiliato e totalmente sconfitto. Si allontanò velocemente, con la coda fra le
gambe, con l’intento di non farsi mai più vedere. Si sedette sul suo trono,
reggendosi la testa fra le mani, incapace di proferire parola. Era stato
sconfitto per sempre e non avrebbe mai più dato fastidio a nessuno.
Ercole si fece
avanti. – Sei stato grandioso! Quanto potere! Ma come hai fatto?- . Sora non
seppe cosa rispondere. Non sentiva nessun orgoglio, felicità o soddisfazione,
ma solo un senso di velata malinconia. – Gli ho rovinato la vita Erc, ho
distrutto tutto ciò che aveva, era convinto che il suo potere fosse invincibile
qui e io gli ho aperto gli occhi nel modo più violento. Mi sento malissimo...
vorrei tanto andare da lui, tirargli su il morale... ma penso che la
prenderebbe malissimo, come se fosse una dimostrazione di pietà- . Ercole non
credeva alle sue orecchie. Sora era davvero una persona speciale, si sentiva in
colpa addirittura per aver battuto uno dei supercattivi... decise che avevano
trovato anche troppo in quel dannato posto... era ora di tornare dai vivi e lasciare
Ade a meditare su cosa avrebbe dovuto fare per il resto della sua esistenza.
Riku arrivò
alle Terre del Branco, regno dell’incontrastato leone Simba, re di tutti gli
animali, saggia guida e grande amico dei ragazzi. Per poter entrare il ragazzo
dovette trasformasi in un leone e il risultato fu davvero splendido. La chioma
azzurra gli incorniciava un muso deciso ma proporzionato, con l’azzurro intenso
degli occhi messo in risalto. Il corpo da felino era slanciato e dava
l’impressione di poter arrivare ovunque, saltando o correndo, grazie ai
possenti muscoli. Simba lo accolse con un misto di curiosità e diffidenza ma,
non appena Riku nominò l’amico Sora, il clima si fece rilassato e molto
piacevole. Ma il ragazzo non era andato lì per una gita: voleva trovare un’arma
più adatta della sua spada che gli ricordava troppo i tempi passati come Ansem,
al totale servizio dell’oscurità. Viaggiò in lungo e in largo ma il risultato
fu solo quello di eliminare un paio di heartless troppo coraggiosi. Decise che
sarebbe andato in ogni parte di quel luogo immenso, quindi si diresse verso le
distese di caccia, dove avrebbe potuto mangiare della carne (oltre alle forme
ora aveva anche gli istinti di un vero leone). Era appena entrato in questo
luogo quando sentì una voce. Essa non proveniva dall’esterno, ma dalla sua
mente, e lo chiamava verso l’altare delle iene, luogo dove quegli orrendi
animali mangiavano con tranquillità le prede sottratte ai leoni. Si avvicinò e
trovò la figura sfregiata dell’acerrimo nemico di Simba, ormai morto e sepolto,
ma presente in quel luogo sottoforma di spirito e visibile solo a coloro che
erano stati scelti da lui. Non fidandosi, si avvicinò con cautela, spada in
bocca, pronto a difendersi. Lo spirito, però, si dimostrò stranamente pacifico,
e sorridendo, chiese al giovane di ritirare la sua arma, giacché non voleva
scontri e sangue nel luogo dove il suo corpo era stato sepolto. Accettò, ma
rimase lo stesso in guardia, pronto nel caso ci fosse bisogno di reagire. Ormai
aveva imparato che di certi tizi era meglio non fidarsi. Il leone, con fare
quasi seducente, lo invitò a combattere Simba, perché solo il re possedeva
l’oggetto di cui il ragazzo voleva impossessarsi. Riku decise che avrebbe
meditato sulla questione ma una parte di lui sin dal primo momento lo aveva
messo in guardia e consigliava di non fidarsi di quell’essere fatto di sogni e
oscurità. Fece per andarsene quando il leone gli ringhiò contro: - Dove credi
di andare? Io non ha finito con te! Iene, all’attacco! - . Riku era pronto a
quella reazione e, prima che le due bestie accorse potessero fermarlo, aveva
già sguainato la sua spada e si era messo in posizione d’attacco. Le bestie
stettero alla larga. Erano orribili: malformate, sproporzionate e del tutto
prive di ogni possibile bellezza nei movimenti. Erano solo della bruttissime
creature fatte di pelle e muscoli, adatte solo al combattimento. Riku notò una
strana luce di compiacimento passare nei loro occhi e, istintivamente, si gettò
di lato, schivando per un soffio la lancia che gli era stata scagliata contrò.
Gridò di rabbia e squartò i due avversari che aveva davanti, poi, lentamente,
quasi come se volesse dimostrare la sua superiorità, si voltò e guardò quanto
nemici avrebbe ancora dovuto combattere. Sbiancò. Davanti a lui sembrava
esserci l’intero branco delle iene, al completo. Non poteva farcela da solo,
era una battaglia troppo impari, ma decise di scendere in campo lo stesso.
Sarebbe stato come ammettere la sconfitta anche solo prendere in considerazione
l’idea della fuga. Ruggì; un verso così profondo e deciso da mettere paura. Le
iene reagirono d’istinto, facendo cioè quello che sapevano fare meglio:
attaccare. Si gettarono selvaggiamente sul ragazzo che ne schivò facilmente i
colpi e atterrò una al primo colpo. Le altre compresero che non era un
avversario da sottovalutare, così usarono una tattica ormai sperimentata e dal
risultato quasi garantito: accerchiarono il ragazzo. Riku si sentì in trappola
ma decise che non era ne il luogo ne il momento giusto per morire. La
consapevolezza della disperata situazione lo travolgeva, ma era abituato a
mantenere i nervi saldi, e sfruttò questa sua abilità ancora una volta.
Le iene
attaccarono improvvisamente, tutte assieme, ma un bagliore le indusse a fermare
l’attacco. Dalla spada che il leone teneva in bocca cominciarono a sprizzare
scintille incandescenti che non ferivano il leone, ma il loro istinto le
avvertiva di tenersi alla larga. In un attimo, la spada si trasformò. Divenne
lunga e di un colore nero come la pece. Al suo interno, però, era come se
pulsasse una grande luce, visibile chiaramente solo nella parte finale: la
punta ricurva era bianchissima, luminosa, trasmetteva a tutti coloro che la
guardavano sicurezza. Ovviamente, le iene capirono subito che, se avessero
continuato la lotta, sarebbero state massacrate, così si ritirarono, salvando
quello che potevano ma lasciando sul campo le compagne cadute.
Riku non perse
tempo a raccogliere la sfida e inseguire le avversarie: aveva ottenuto quello
che cercava e ora sarebbe dovuto tornare al castello, ma prima voleva salutare
Simba, ringraziarlo per l’ospitalità e chiedendogli il permesso di ritornare.
Il re leone fu molto felice di accettare la proposta e chiese al ragazzo di
salutare Sora e portargli i suoi saluti. Tutto era andato per il meglio, ma per
quanto tempo sarebbe filato tutto così liscio? Riku era molto scettico e
convinto che le ricerche avrebbero finito per danneggiare alcuni membri della
squadra perché il potere, quando lo si sperimenta, diventa come una droga, se
ne vuole sempre di più fino ad arrivare alla decisione drastica di aprire il
proprio cuore all’oscurità; il ragazzo aveva già vissuto quella brutta
esperienza e non era per nulla al mondo disposto a ripeterla.
Kairi arrivò a
Crepuscopoli. La città era esattamente come se la ricordava quando era andata a
cercare Sora e Riku. Per lei era strano tornare in quel luogo ma non poteva
farne a meno. Dove poteva essere l’arma che stava cercando? Non ne aveva idea,
ma la città era già stata perlustrata da cima a fondo, quindi doveva cercare
nei sotterranei. Si avviò verso la collina del tramonto, dove avrebbe trovato
le gallerie. Da lì, si scendeva alle catacombe. La prima parte del viaggio
trascorse senza incidenti, sotto un calore invitante e molto piacevole. La
ragazza decise di non indugiare e, con passo deciso, avanzò. Erano parecchi
minuti che camminava per le ferrovie quando, con grande rammarico, capì che se
avesse voluto trovare un passaggio avrebbe dovuto cercare con grande
attenzione, senza lasciarsi sfuggire il minimo particolare. Iniziò a colpire le
pietre ai lati, cercando di capire se dietro ai muri ci fossero spazi vuoti.
Tutto normale. Niente era fuori posto, ma la ragazza era decisa a non
arrendersi. Incontrò un gruppo di nobody e li distrusse senza la minima
difficoltà, tanto da stupirsi per le sue stesse capacità. Si sedette, stanca
per la lunga ricerca, ma volle riposarsi solo per pochi istanti: non aveva la
minima intenzione di perdere tempo. Si rialzò poco tempo dopo, decisa a
riprovare, quindi scagliò una magia fire
in ogni luogo lì attorno. Sentì un clic metallico e la parete dietro a lei
sparì, magicamente, come se non fosse mai esistita. Attraversò il nuovo
passaggio e arrivò ad una gigantesca caverna, in cui la luce che riusciva a
entrare non bastava per illuminare neanche la metà di quello strano luogo. Per
un istante Kairi ebbe paura. Era un sentimento inaspettato... lo scacciò e fece
due passi verso il centro. Trovò una lanterna e la accese con la magia, poi
iniziò ad accendere anche quelle che man mano trovava appese lungo la parete.
Quando ebbefinito, nella caverna c’era
una strano effetto di luci e ombre, che metteva in ansia la povera ragazza. Ad
un tratto il soffitto sopra l’accesso crollò. Non aveva più via di scampo. Era
caduta in una trappola. Decise che rimanere ferma non l’avrebbe aiutata, così
iniziò a esplorare gli angoli, cercando ciò che prima le era sfuggito... forse anche
la frana era un’illusione. In realtà le rocce erano cadute davvero: la stanza
era vecchissima, poteva avere qualche migliaio di anni. L’odore di chiuso
cominciava a farsi insopportabile. Kairi si avviò verso il centro dove trovò
un’apertura... un’altra trappola? Probabilmente si, si disse, ma non aveva
altra scelta che caderci dentro e poi pensare a come uscirne... inutile
fasciarsi la testa prima del tempo. Si buttò. Cadde per una manciata di
secondi, per poi atterrare su una superficie morbida... sembrava gomma...
rimase qualche istante ferma, cercando di capire dove fosse arrivata quando,
improvvisamente, si accese una luce. Kairi si riparò gli occhi con le mani per
non rimanere abbagliata. Quando i suoi occhi si abituarono, vide che l’intera
superficie della nuova caverna era ricoperta di cristallo e creava un gioco di
luci davvero incantevole. Si perse nelle mille sfumature di giallo riflesse,
per poi constatare che non poteva staccare gli occhi da quella meraviglia,
quasi per paura che, se l’avesse fatto, sarebbe scomparso tutto. Con un grande
sforzo di volontà si costrinse a distogliere lo sguardo a, a occhi bassi,
avanzò. Metteva un piede davanti all’altro, senza sapere dove stava andando,
lasciandosi guidare dall’istinto. Giunse ad una cupola. Le pareti erano tornate
di nuda roccia, quindi alzò lo sguardo. Anche quella strana costruzione era
fata di quello strano cristallo, solo che questo era nero come il carbone,
impossibile che riflettesse alcuna luce. In pochi istanti la stanza si riempì
di un tipo di heartless mai visto: cani neri pieni di artigli, fauci munite di
denti affilati come rasoi, zanne e spuntoni da riccio lungo la schiena; le
zampe terminavano con artigli ben ricurvi. Saltarono addossa alla ragazza
contemporaneamente. Non sapevano esattamente quale fosse la minaccia, quindi
agivano d’istinto, come del resto facevano tutti gli heartless. Ne comparivano
sempre di più, ma la ragazza riusciva a respingerli. Parò un colpo da destra,
scattò a sinistra, fece un affondo distruggendo così un avversario e si voltò,
avendo dome sicurezza la parete alle spalle. Attaccò con un lateralmente,
ruotando il Keyblade e spazzò via due nemici. Saltò e colpì al volo l’ennesimo.
Ne mancava solo uno... per il momento... aveva il fiato corto ma sapeva di non
potersi fermare: se avessero sospettato che stava esaurendo le forze, gli
heartless avrebbero attaccato in massa e per lei non ci sarebbe più stato
scampo. Si lanciò contro l’ultimo rimasto e lo fece a pezzi. Rimasta sola, si
concentrò sulla cupola. Non aveva la minima idea sul suo scopo, quindi decise
di mettersi a studiarla. Quando ebbe finito si era fatta un’idea su cosa doveva
essere: un contenitore... con una serratura... “Chissà si il Keyblade la può aprire” pensò. Puntò l’arma contro il
lucchetto. Partì un raggio di luce, per nulla intenso, ma molto concentrato,
come se si dovesse adattare al tipo di serratura... clic... la cupola iniziò ad aprirsi, come se fosse un fiore,
mostrando i suoi petali, rossi ed accesi. Al centro si poteva vedere l’accesso
al cuore del mondo... da lì provenivano gli heartless. Doveva fermarli... forse
non li avrebbe totalmente eliminati dalla città, ma era convinta che il loro
numero sarebbe drasticamente sceso... purtroppo negli ultimi giorni... gli
heartless avevano in qualche modo avuto modo di riprendersi, erano aumentati,
tornando ad essere una minaccia. Arrivata al centro di quel fiore, i petali si
richiusero sopra di lei, lasciandole lo spazio per respirare e avvolgendola con
un calore che la faceva sentire a casa. Iniziò a scendere, lentamente, come se
il mondo fosse preoccupato di assicurarle la maggior comodità possibile. Quando
arrivò a destinazione, il fiore di cristallo si schiuse di nuovo permettendole
di uscire. Ora si trovava in una stanza non molto grande. Le pareti sembravano
pulsare di vita propria, come si addiceva per il cuore di un mondo...
l’oscurità permeava gli angoli e questo non era certo un buon segno. Arrivarono
gli shadow, centinaia... troppi. Kairi non sapeva come potessero essere
arrivati così numerosi, ma decise di non esitare, cercando di coglierli di
sorpresa. Ne colpì due, allontanando gli altri. Usò solo il polso per ruotare
la sua arma e, dopo dieci minuti di lotta senza tregue, i nemici erano stati
dimezzati, ma le forze della ragazza calavano rapidamente. Gli heartless se ne
accorsero e raddoppiarono gli sforzi ma, così facendo, commisero un errore di
valutazione che avrebbero pagato caro. Kairi ne sconfisse altri dieci, ma gli
ultimi erano troppi, non poteva andare avanti così. Raccolse le energie, partì
di corsa, saltando da una parte all’altra dello stanzino e sconfiggendo gli
ultimi... tranne che due... nobody, più resistenti e forti, capaci di ragionare
attentamente su ciò che dovevano fare. Fintarono un paio di volte, per
verificare lo stato della ragazza, che non si mosse. Rischiarono, attaccandola
in modo rapido. Kairi vide partire l’attacco e alzò il suo Keyblade come
difesa, ma i due nobody lo schivarono e l’attacco andò a segno. La ragazza
venne scagliata contro il muro e l’impatto fu terribile; le mancò il fiato e si
sentì debole, vicina allo svenimento. Fece appello alle sue ultime forze per
rialzarsi in piedi. Sentì lontanamente la voce di Sora incoraggiarla... sapeva
che non era reale, ma vi si aggrappò e con un ultimo sforzo, lanciò il
Keyblade. Esso agì come se avesse una sua volontà: girò, colpendo entrambi gli
avversari, rispedendoli nell’oscurità da cui provenivano. Kairi svenne per la
fatica.
La ragazza si
svegliò di soprassalto. Si trovava in una stanza... come ci era arrivata? Poi,
come dei fulmini, i ricordi le tornarono in mente. La battaglia, i nobody... la
voce di Sora. Se l’era davvero immaginata? Forse lo spirito del ragazzo era
davvero connesso in un modo speciale con il suo... forse l’aveva davvero
aiutata... esattamente come aveva fatto lei tempo prima, quando Riku aveva
cercato di dividere il suo cuore da quello di Sora.... Kairi si alzò. Ora le
forze le erano tornate ed era pronta... il Keyblade si illuminò e lei chiuse la
porta dal cuore di quel mondo dagli heartless, lasciando però un varco di luce.
Mentre lavorava per ottenere quello scopo, sentì un grande calore nel petto e
comprese, istintivamente, di essersi collegata al cuore di quel mondo e, di
conseguenza, avrebbe saputo in qualunque momento se quel luogo fosse stato
ancora sicuro o meno. Chiusa la serratura, decise di lasciare il mondo, quindi
aprì un varco verso il castello Disney e vi entrò.
Capitolo 9 *** Le nuove armi di Paprino e Pippo ***
Capitolo 9: Le nuove armi di
Pippo e Paperino
Paperino e
Pippo decisero di partire insieme, lasciando al castello Ansem e Topolino che,
come dicevano loro, dovevano rimanere a casa per sistemare alcuni affari.
Aprirono un varco di luce e arrivarono ad Atlantica dove dovettero trasformarsi
in tartaruga e calamaro, come l’ultima volta che erano sati in quel mondo.
Usciti dal
varco lo spettacolo era eccezionale. Tutti i colori erano tendenti al blu,
un’armonia perfetta regnava in fondo al quell’oceano. Quando si guardarono
intorno non videro molti pesci ma in compenso crescevano delle splendide piante
marine coloratissime; solo a guardarle veniva un sorriso.
I due
nuotarono verso il palazzo di re Tritone e, sulla strada, sentirono la voce
della loro amica, la sirenetta Ariel che, non appena li vide, corse loro
incontro, felicissima di rivederli. Volle farsi raccontare tutte le novità
degli altri mondi e, con grande piacere, parlò loro di quelle del suo oceano. Ormai
tutto era cambiato e lei, ormai, aveva rinunciato a voler vedere altri mondi...
del resto il fondale marino era davvero stupendo e nessuno poteva darle torto
de voleva rimanere lì. Re Tritone se la cavava benissimo e, molto soddisfatto
fece notare ai due come non ci fossero heartless in nessuno dei luoghi
normalmente visitati... certo... il vecchio covo di Ursula era stato lasciato
nello stesso stato di un tempo e, probabilmente, era proprio lì che si
rifugiavano gli ultimi heartless, dove potevano trovare qualche residuo di
oscurità. I due passarono con Ariel la bellezza di due giorni, impiegando solo
una piccola parte di essi per le ricerche.
- Abbiamo tutto il tempo del mondo! - si
dicevano.
Solo dal terzo
iniziarono a fare sul serio, ma con risultati nulli; Atlantica era immensa e
sarebbe stato un vero colpo di fortuna trovare subito ciò che cercavano. Passò
un’altra notte e, al mattino, i due decisero di setacciare anche il covo della
strega. Si diressero lì e lo misero a soqquadro, senza trovare granché. L’unica
cosa interessante era una scatoletta nera, apparentemente compatta ma vuota
dentro. Sembrava che si dovesse incastrare da qualche parte... ma dove?
Ariel ebbe
un’intuizione e disse:
- Io ho già
visto un buco simile a quella scatola! Si trova nella cassa vicino al mio rifugio!
Andiamo, muoviamoci! –
Arrivarono
dopo circa dieci minuti al rifugio e i due non vollero attendere nemmeno per un
secondo. Collocarono il pezzo al suo posto e attesero. Dopo pochi istanti, la
cassa iniziò a salire, e si appoggiò due metri a lato. Essa non conteneva
assolutamente nulla di interessante quindi, delusi, i due si avviarono verso il
castello per prendere la propria roba ed andarsene delusi quando, casualmente,
gli occhi di Pippo si posarono sul buco lasciato dalla cassa... profondissimo!
Cosa ci sarà in fondo? Fece notare la stranezza a Paperino che strabuzzò gli
occhi e corse a dare un’occhiata.
– È vero! –
esclamò – Andiamo a vedere cosa c’è sul fondo! –
Pippo non se
lo fece ripetere due volte e seguì l’amico nel passaggio. Ariel decise che
avrebbe aspettato i due lì vicino, in modo da dare loro una mano quando fossero
risaliti.
Sembrava di
essere su uno scivolo per i bambini di Crepuscopoli, solo che attorno era tutto
buio. Stavano acquistano velocità, il materiale sul quale scivolavano era
solido, ma stranamente molleggiante e scivoloso. Quando il tunnel finì, si
schiantarono contro il pavimento; ci misero alcuni minuti prima di rendersi
conto di non essere più in acqua, ma sulla terraferma! Per loro fu
un’incredibile sorpresa e per poco Paperino non si dimenticò di ritrasformarsi.
Una volta ripreso il loro aspetto, con una piccola magia accesero la torcia che
sembrava essere stata appoggiata ad un gancio appositamente per loro, infatti
non era ne troppo in alto ne troppo in basso. Si dissero che erano davvero
fortunati e proseguirono fino ad arrivare in una stanza gigantesca. Al centro
c’era una cascata... tutto era surreale, come se ci fosse qualche cosa che non
andava, ma agli occhi di Pippo e Paperino tutto era bellissimo. La cascata,
riflettendo i colori della caverna, diventava verde come uno smeraldo, poi
veniva investita da una luce. Questa veniva dall’alto, ma i due non avrebbero
mai saputo spiegarselo e, inoltre, non volevano dare spiegazioni
all’incredibile spettacolo che avevano di fronte.
Per loro tutto
era in regola: una voce nella loro testa si spacciava per i loro pensieri e li
invitava ad attraversare la cascata. Essa dava loro una strana sensazione, come
se non possedessero qualcosa.
Potere.
Pippo e
Paperino non lo avevano mai desiderato ma ora erano convinti di non volere
altro. Lo trovarono, sottoforma di armi, nella stanza celata dietro la cascata.
Essa era
enorme, tutta bianca, pura come quello chestavano cercando. Nulla in quel luogo pareva imperfetto, ogni minimo
particolare era curato e nulla era sproporzionato o sembrava fuori luogo. Al
centro c’era un altarino con tre armi; non i comuni Keyblade, ma lame forgiate
con il potere stesso, indistruttibili, belle e terribili. Un arco, una lancia e
due spade erano appoggiati alla stessa distanza l’una dall’altra. Il primo sembrava
essere l’incarnazione della magia stessa: le sue frecce non erano che sottili
fili di magia scagliati contro i nemici a velocità impressionanti; la lancia,
attacchi molto potenti anche se da una notevole distanza, dietro alla sicurezza
di uno scudo... un’arma molto efficace e terribile; le spade, la potenza era
davanti ai loro occhi: le lame rilucevano e sembravano fatte apposta per
aiutare i ragazzi a sconfiggere Malefica e gli altri... finalmente avrebbero
potuto essere del tutto indipendenti... senza dover sempre contare
sull’appoggio degli altri... dovevano solo fare una scelta: due erano loro, la
terza sarebbe stata perduta per sempre. Paperino scelse subito l’arco... non
avrebbe mai voluto nulla di diverso. In cambio gettò via il suo scettro. Pippo
era molto indeciso... non voleva la pura potenza, le spade forse erano troppo
per uno come lui... ma la lancia non era certo all’altezza delle due lame...
cosa scegliere? Guardò il suo amico, che però gli disse: - La scelta è solo
tua, io non posso aiutarti –
Indeciso, optò
per la lancia, che gli sembrò più conforme al suo temperamento. Guardò il suo
scudo... non voleva rinunciarvi... era ancora utile dopotutto...
La spada e lo
scettro sparirono, senza che non venisse chiesto nulla a Pippo, il quale fu
davvero felice di non doversi separare dalla sua vecchia arma. I nuovi poteri,
però, già avevano iniziato a corrompere i cuori dei due ragazzi, che decisero
di andare subito a provare le nuove armi, senza parlarne prima con nessuno. Si
diressero proprio verso la fortezza oscura, dove Malefica, consapevole della
sciocchezza che i due avevano commesso, li stava aspettando... avrebbe dato
loro ciò che volevano....
Al castello
Disney tutti erano in attesa. Il re aveva fiducia e continuava a ripetere a
tutti che i ragazzi erano pronti e ce l’avrebbero fatta; dovevano solo avere
fede. Le giornate trascorrevano tranquille e Ansem sfruttava ogni momento
libero per proseguire le sue ricerche. Voleva capire più a fondo heartless e
nobody, in modo da sconfiggerli e sapere cosa ne sarebbe stato di loro. Finché
ci fosse stato anche un solo cuore pieno di oscurità, allora sarebbero arrivati
nemici impossibili da eliminare completamente, in quanto sarebbero sempre
tornati. Ma come si formava un heartless? Quando una persona perdeva il suo
cuore, diventava uno di quei brutti mostriciattoli ma... quale, con esattezza?
Era un processo casuale oppure a differenza del cuore si otteneva un heartless diverso?
Era tutto così strano... forse era possibile trasformare anche gli animali, ma
lui era ormai deciso a condurre le sue ricerche solo in campo teorico. Era
stato il suo allievo, Xeanorth, a portare avanti pazzi progetti che, grazie a
Sora, Paperino e Pippo erano stati fermati e distrutti. Ovviamente, si disse,
anche Riku, Kairi e il re avevano compiuto la loro parte ma, chissà come, la
catena regale, il Keyblade più semplice, era stato quello determinante.
- Probabilmente un Keyblade diventa più o meno
forte a seconda del cuore di colui che lo porta... eppure, Roxas, aveva un
Keyblade, anzi due, nonostante il fatto che non avesse un cuore... –
Toc toc.
Ansem venne improvvisamente riportato alla realtà. – Avanti – disse,
aspettando di vedere chi stesse bussando. Entrò Topolino che, con calma,
avvertì il saggio del ritorno di Riku. Ansem scattò in piedi e corse ad
ascoltare la storia del ragazzo. Quando Riku mostrò la sua nuova arma, non
senza un certo orgoglio, tutti nella stanza rimasero abbagliati: il ragazzo si
era dimostrato ancora una volta un forte guerriero. Ora dovevano solo mettere
alla prova la spada... Riku decise di andare al Colosseo, dove era noto che
gareggiavano varie squadre di heartless capitanate dai soliti nobody. Prima di
partire, però, volle aspettare gli altri che, secondo lui, sarebbero arrivati
molto presto. Sora arrivò il giorno dopo. Era sbalorditivo: aveva una
sicurezza, un modo di fare molto più deciso, aveva già pianificato il suo
prossimo viaggio (cosa incredibile agli occhi di tutti) e non vedeva l’ora di
mettersi alla prova... di nuovo. Ora sapeva che poteva ricevere un aiuto dal
suo nobody e intendeva sfruttare al meglio la nuova conoscenza senza che la
voce si spargesse, in modo da cogliere Malefica di sorpresa... se solo avesse
saputo che cosa voleva fare quella maledetta strega! Andò in camera a riposarsi, ma durante
il tragitto incontrò Riku, così andò ai giardini con lui. Combatterono sino a
sera, senza esagerare, solo per tenersi in forma. Quando furono all’incirca le
sette, si ritirarono nelle loro stanze dove fecero una doccia calda, per poi
andare a mangiare. Dopo cena nessuno aveva una gran voglia di parlare: si erano
già detti tutto durante il pomeriggio, così durante il pasto si creò
un’atmosfera strana, fatta di silenzi rotti solo dal tintinnio delle posate.
Finito di mangiare, nessuno volle trattenersi, così ognuno si diresse verso la
propria stanza per riflettere e, nel caso, riposarsi. Tutti sapevano che ci
sarebbero stati alcuni giorni molto intensi a venire, e volevano essere pronti
e riposati per potersi rendere utili.
Paperino e
Pippo arrivarono al castello, convinti che avrebbero sconfitto la strega senza
la minima fatica. Setacciarono ogni singola stanza, ma della strega, neanche
l’ombra. Paperino decise di andare nella biblioteca che, come sapeva, era molto
vasta e, di sicuro, avrebbe trovato qualche nuovo incantesimo...
– Magia
elementare... troppo semplice; i segreti del thunder... i fulmini non hanno
segreti per me...; attacchi con gli elementi... li conosco già a memoria! –
Indignato,
senza quasi accorgersene andò verso la sezione della magia nera, unico tipo che
non aveva mai avuto il coraggio di scoprire... ora, invece, sentiva di poter
fare tutto. Prese il primo tomo e iniziò a sfogliare le pagine, memorizzando
formule e assaporando le promesse di potere contenute in quel libro.
Malefica
sorrise, soddisfatta. Il primo dei due allocchi era caduto nella trappola, ma
il secondo sarebbe stato più difficile da ingannare.
Pippo era in
una stanza del castello, ma non sapeva cosa fare... nulla aveva più alcun
interesse per lui, così decise di riposare, aspettando il momento buono... poi
avrebbe combattuto contro Malefica... l’idea lo tormentava, desiderava a tal
punto quel confronto che sarebbe stato disposto a tutto per ottenerlo. Dormì
per diverse ore ma, quando si svegliò, era ancora buio, così approfittò di quel
momento di calma per riflettere. La strega usò i suoi poteri per captare i
pensieri di Pippo, ma qualche cosa lo schermava, proteggendolo. Iniziò allora
ad usare la magia in modo diverso, suadente, a tal punto che Pippo cedette al
desiderio di esporsi al benessere che trasmetteva. Errore fatale. Con le difese
abbassate, Malefica lo condusse nell’oscurità, facendogli promesse di potere a
cui il poveretto non poteva più sottrarsi.
Paperino,
nella biblioteca, mandò al diavolo tutte le regole che si era posto contro la
magia nera. Voleva sperimentare il suo potere, arrivando a conoscerne tutte le
potenzialità. Leggendo quei libri, sembrava che questo tipo di magia non avesse
limiti. Iniziò con gli incantesimi basici e, dato che era un mago provetto, non
riscontrò alcuna difficoltà. Utilizzò formule proibite e, sbaglio
imperdonabile, evocò gli heartless. Essi gli ubbidivano, ma a poco a poco,
senza che lui se ne rendesse conto, gli consumavano il cuore... presto sarebbe
diventato uno di loro. Passarono due settimane e le menti dei due cambiarono
radicalmente. Anche il loro aspetto mutò: Pippo divenne ancora più alto e si
riempì di muscoli. Paperino divenne scontroso, irascibile e il piumaggio
candido, a poco a poco, divenne scuro, come il suo cuore. Non sapevano più chi
erano o cosa erano... avevano una sola consapevolezza: dovevano ubbidire a
Malefica, che avrebbe dato loro sempre più oscurità e, con essa, potere.
L’unica cosa che rimase immutata fu l’aspetto delle nuove armi: sembrava quasi
che fossero già preparate al cambiamento, perché erano state proprio loro a
causarlo, e ora avevano dei padroni che le avrebbero sfruttate senza alcun
timore, freno o senso di colpa. Erano nelle mani perfette.
Al castello
Disney era tutto in subbuglio. Era ormai una settimana che anche Kairi era
tornata, ma degli ultimi due membri del gruppo, nessuna traccia. La tensione
era alle stelle. Ognuno voleva andare a cercarli, ma non avevano la minima idea
di dove fossero finiti... erano stati sconfitti dagli heartless? Nessuno voleva
escludere del tutto questa possibilità, ma non avrebbero potuto farci nulla.
- Questa attesa mi distrugge! Io vado a cercarli, che la
cosa vi piaccia o no! – disse Sora, sbattendo la porta della sua camera.
- E dove vorresti andare, sentiamo! – ribatté Kairi. Fra
i due si era formato uno strano rapporto... Sora si era preso una cotta per la
ragazza ma non lo avrebbe mai ammesso. Da parte di lei... non era per nulla
sicura dei suoi sentimenti quindi, per il momento, non faceva nulla per
scoprire le intenzioni del ragazzo.
Kairi era così
persa nelle sue riflessioni che non si accorse della presenza del ragazzo nella
sua camera. Quando se lo ritrovò a due centimetri dal volto, fece un salto
indietro, spaventata. Fortunatamente non gridò, anche perché in caso contrario
Sora avrebbe continuato a prenderla in giro a vita.
- Bene – le
disse con voce imbarazzata il ragazzo, quando lei si fu calmata e tolse il
broncio – Non mi va più di litigare... non con te... voglio essere sincero...
partirò domani e vorrei che tu venissi con me-
- Lo sai che
non sono d’accordo... come farei... non è da me... come ci resteranno gli altri
quando lo verranno a sapere? E poi, dove andremmo? –
- Alla
fortezza, forse sarà un buco nell’acqua, ma penso che dovremmo provare... a
Crepuscopoli ci sei stata tu, quindi lo escludiamo, come Terre del Branco e
Olimpo... rimangono troppi posti da visitare... forse se chiediamo a qualcuno,
forse li hanno visti e potrebbero darci una mano... –
- Mi hai
convinta... vengo con te... anche se già sento che me ne pentirò –
Kairi, finita
la breve conversazione, consigliò al ragazzo di uscire. Non voleva che qualcuno
scoprisse le loro intenzioni.
- Posso almeno
sapere da dove inizierete le ricerche? – chiese la voce di Topolino alle spalle
della ragazza, dopo che questa era andata a prendere una boccata d’aria nel
giardino.
- Bene bene,
vedo che non siamo mai soli, neanche quando chiudiamo porte e finestre... –
disse lei con tono di rimprovero.
- Ci sono vari
modi per sapere le cose e, stanne certa, non vi ho spiati... sapevo che prima o
poi qualcuno avrebbe preso una decisione del genere, così io ho già iniziato...
potete fare a meno di andare all’Isola che non c’è e nella Città di Mezzo... le
ho già perlustrate, ma non vi ho trovato nulla... inoltre, la Giungla di Tarzan
si deve essere leggermente spostata, infatti non riusciamo ad arrivarci... –
- Pensavamo di
iniziare dalla Fortezza, ma... –
- È davvero
una buona idea – la interruppe Topolino – Perché non ci ho pensato io? Con
l’aiuto di Merlino dovreste riuscire a escludere un altro paio di mondi e, a
proposito, aveva detto che doveva mostrare qualche cosa a Sora... –
- Benissimo...
così non sarà comunque un viaggio inutile! – disse Kairi con una punta di
sarcasmo nella voce.
- Preferiresti
rimanere qui? –
- No, ma odio
gettarmi nell’ignoto... è più forte di me, sento che le ricerche non porteranno
a nulla –
- Ognuno è
libero di pensare quello che vuole, ma io ho piena fiducia in voi –
- Grazie, partiremo
domani all’alba, se è intenzionato a salutarci... –
- Dubito che
ci sarò... non voglio mettere in agitazione Sora... deve pensare che nessuno
sappia del suo piano... pensa che più persone lo sappiano e più difficile sarà
la sua impresa... la voce potrebbe spargersi... dirò agli altri che siete
andati in missione per conto mio, in modo che non si creino sospetti... –
- Grazie...
spero di rivederla presto... –
- Ne sono
convinto... ora vai a riposare, domani sarà una giornata molto faticosa –
All’alba i due
ragazzi si trovarono nel giardino; Sora non vedeva l’ora di partire. Kairi non
accennò all’incontro della sera precedente e il ragazzo non sospettava nulla al
riguardo. Aprirono un varco e vi entrarono. Trovarono subito la strada verso la
fortezza, ormai tornata come un tempo: un’oasi di pace dove Leon, Yuffie e gli
altri ragazzi mantenevano l’ordine e contribuivano al restauro di alcune parti
del castello. Tutti salutarono calorosamente i nuovi venuti, ma dissero loro
che Merlino era partito da poco e non sapevano quando sarebbe tornato. Anche la
destinazione del viaggio era sconosciuta, ma forse per loro sarebbe tornato,
quindi avrebbero fatto meglio ad aspettare.
Due giorni
dopo Merlino non era ancora tornato, quindi i ragazzi decisero che era giunto
il momento di partire. Ma per dove? Si erano aspettati di trovare un consiglio,
invece nulla. Si diressero verso La terra dei Dragoni; forse Mulan e quel
draghetto di Mushu avrebbero potuto aiutarli. Lo speravano.
Al castello
tutto procedeva come previsto. Gli heartless erano in costante aumento. I nuovi
poteri dei suoi schiavi erano a dir poco eccezionali, e solo poche persone
sarebbero riuscite a contrastarli. Sora, si disse, non era certo uno fra
quelli.
Paperino era
in biblioteca, dove ormai passava tutto il suo tempo, a studiare ogni singola
applicazione di quella sensazionale magia, a volte trovando delle migliorie e
appuntandole a lato dei fogli. Sapeva che alla sua padrona avrebbe fatto
piacere. Come biasimarlo? Era dipendente da lei in tutto, ma soprattutto per
l’oscurità. Il suo bisogno era insaziabile, e la strega era in grado di
assecondarlo solo in minima parte. I suoi poteri erano diminuiti, un tempo, ma
ora erano più forti che mai, grazie all’immensa forza del suo Keyblade. Come
fare per migliorare ancora? Era già la più forte, eppure sentiva la vera chiave
sfuggirle dalle meni. Era una strana sensazione: lei era abituata ad ottenere
tutto solo per capriccio, e questo suo fallimento nel trovare una semplice
riposta era intollerabile.
Pippo era un
caso molto diverso. Il suo cambiamento era stato evidente ma, nonostante ciò,
una parte del suo io continuava e esistere e lottava per la libertà.
Sicuramente sopravviveva grazie a quello stupido scudo che il cavaliere si
ostinava a tenere sempre con sé, come se da ciò ne derivasse la sua salvezza, e
in effetti era proprio così. Si era accorto di essere stato manipolato, aveva
capito di essere prigioniero delle sue stesse scelte, ma ormai era troppo
tardi. Non si arrendeva, ma poteva constatare che i suoi sforzi erano inutili.
Non si sarebbe mai liberato da solo...
- Sora, aiuto!
– gridò Pippo, prima di perdersi nell’ombra. Pensava che sarebbe stato inutile,
ma del resto non gli rimaneva altro che tentare... non aveva più nulla da
perdere.
Il grido arrivò chiaro a Sora. Era nella Terra dei
Dragoni assieme a Kairi già da qualche ora; il luogo era in ottimo stato: i
villaggi si erano espansi, nuove zone erano state adattate per rendere
favorevoli le pessime condizioni climatiche e, infine, Mulan
si era sposata con il capitano dell’esercito. I due formavano una coppia
stupenda e solo a guardarli per qualche minuto si provava una sensazione di
felicità per i due.
Purtroppo, nessuno aveva visto Paperino e Pippo, ma i
ragazzi decisero di andare a cercarli ugualmente, con scarsi risultati
purtroppo.
La voce di Pippo arrivò improvvisa e inaspettata, mentre
Sora si stava riposando, sdraiato sul letto della stanza che gli era stata
assegnata. Essa era debole ma chiara, inviata chissà come. Sobbalzò e andò a
parlarne con Kairi. Ora avevano la certezza che le loro peggiori paure si erano
avverate: i due erano prigionieri, e solo loro potevano aiutarli. Dalla voce
disperata, capì subito che dovevano essere stati presi dall’essere più perfido
che ancora ci fosse in circolazione: Malefica.
Non persero tempo e corsero a Crepuscopoli,
dove avrebbero dovuto andare già molto tempo prima...
- Preoccupata? – chiese apprensivo Sora
- Ovviamente! Ma sono convinta che la batteremo. –
rispose convinta Kairi
- Senti... io non voglio obbligarti. Se non te la senti
non venire... lo capirò. È molto pericoloso e non voglio che tu corra rischi inutili
–
Kairi gli rivolse un sorriso radioso.
- Lo sai che non ti abbandonerò mai... –
- Grazie – disse il ragazzo arrossendo.
Sora non disse altro, non ce ne sarebbe stato bisogno.
Insieme, i due si avvicinarono alla vecchia villa.
La costruzione era cambiata dall’ultima volta che Sora vi
era stato. Quei muri si stavano trasformando in qualche cosa che fosse gradito
a Malefica. Sora la preferiva prima, ma non poteva farci nulla. Arrivarono
all’ingresso; le porte si aprirono cigolando, come se volessero annunciare alla
padrona di casa la loro presenza.
Passata la soglia, il ragazzo fu sommerso dai ricordi.
Prima quelli di Roxas, membro numero XIII dell’Organizzazione, poi dai suoi.
Rivide lo scontro con Riku, l’incapacità dell’amico di sconfiggere il proprio nobody, la sua sfida contro alcuni dei membri...
- Stop – gridò. I ricordi, pian piano cessarono.
Kairi non fece commenti: sapeva cosa stava passando
l’amico e non voleva disturbarlo... ora che avevano quasi trovato i loro amici,
era normale che il ragazzo avesse un momento di smarrimento, nei suoi ricordi.
Anche a lei era successo, molto tempo prima e sapeva che cosa si provava, ma
era anche consapevole che da quel confronto Sora ne sarebbe uscito rafforzato e
più determinato che mai.
Così fu.
Malefica stava osservando i due ragazzi che si
avvicinavano. Sembravano così vulnerabili... un alito di vento li avrebbe
spazzati via... se non fosse stato per quei loro maledetti Keyblade... ma
avrebbero saputo ignorare l’amicizia? Sarebbero riusciti a trovare il coraggio
di colpire i nuovi servi? La strega ne dubitava seriamente. Convinta che la
vittoria fosse alle porte, andò a chiamare le due creature... ora le chiamava
così e, in effetti, non erano altro. Esseri distorti, potenti, appena
riconoscibili... non avevano più vincoli. Le avrebbero ubbidito
incondizionatamente...
- Andate! – ordinò loro
- Come desiderate, mia signora – risposero i due in coro,
le voci roche che sembravano essere quelle del’oscurità in persona.
I ragazzi erano nell’atrio principale. Era diverso, dava
loro un senso di oppressione che non riuscivano a spiegare.
Un varco oscuro si materializzò dal nulla. Da esso
uscirono i due nemici...
Sora non riconobbe i suoi amici. Era come paralizzato
dalla bruttezza delle due creature che appena si accorse del Keyblade, appena
apparso nella sua mano. Anche i due avevano richiamato le loro armi... una
aveva un arco, strano... senza frecce...
Sora strabuzzò gli occhi...
– Non è possibile, quello è lo scudo di Pippo! – esclamò
il ragazzo.
Da dietro lo scudo si erse una lancia lunghissima, almeno
due metri. Sora e Kairi notarono che i due avevano una strana somiglianza con i
loro amici, come se fossero le loro brutte copie.
- Non è possibile! – esclamò Kairi
- Mi rifiuto di combattere contro di voi! – disse Sora,
gettando a terra il Keyblade. – Siete miei amici! Non voglio farvi del male! –
Sora venne colpito da una freccia di magia, scagliata da
Paperino.
- No! Ma come hai potuto? Non ti ricordi dei viaggi, le
avventure e tutto il resto? Uno per tutti e tutti per uno, no? – gridò Kairi.
Subito dopo la lancia la colpì. Kairi venne scagliata
dall’altra parte della stanza. A quella visione Sora si infuriò.
- Come avete potuto? – gridò, pieno d’ira. Corse verso i
due evocando il Keyblade. Scansò una freccia e colpì in pieno volto Paperino,
poi gli attaccò le gambe e lo fece cadere. Accecato dall’ira, colpì l’amico
proprio come avrebbe fatto con un heartless. Distrusse ogni sua protezione,
fece a pezzi l’arco, solo in apparenza indistruttibile e si voltò.
- Uno è sistemato... dov’è il secondo? –
Pippo si stava allontanando, consapevole delle netta
superiorità dell’avversario. Sora con un movimento fluido loraggiunse e distrusse la sua lancia. Lo
colpì, finché il suo aspetto mutò, l’oscurità sembrò evaporare mentre abbandonava
il corpo, mentre l’amico cadeva a terra svenuto.
Kairi, ripresasi, si occupò di Paperino. Anche da lui la
maledizione cessò, svenne, ma non aveva la stessa aria felice di Pippo... era
come... addolorato per la sconfitta... e sofferente.
- Vai a chiamare gli altri, dobbiamo portarli via da
qui... – disse Sora.
- E tu cosa farai? – chiese Kairi
- Quello che faccio ormai da tempo... prenderò a calci
sul didietro un altro supercattivo! – disse il ragazzo con aria scherzosa.
- Voglio essere con te, a darti una mano... –
- Lo sai che il tuo posto non è in mezzo al campo di
battaglia... tu devi tornare. .Tti faresti solo del
male e io... non me lo perdonerei mai... –
- Grazie, sono felice che ti preoccupi per me, ma... –
- Niente ma. Mi sentirò più tranquillo quando ti saprò al
sicuro... –
- Va bene... ma se torni anche con un solo graffio, non
ti rivolgerò mai più la parola!!! –
Sora sorrise.
- Ok, allora a dopo –
Un varco si aprì e la ragazzi ci entrò, portando con se
Pippo e Paperino.
- Molto bene, Malefica. ora basta con i tuoi giochetti.
Vieni fuori! –
Un varco oscuro si aprì alle spalle del ragazzo che si
girò prontamente, in posizione di difesa, Keyblade in mano.
Malefica stringeva il suo.
I due cominciarono a camminare, girando in tondo, senza
che nessuno facesse la prima mossa, aspettando un calo della guardia
avversaria.
Partirono nello stesso istante. Le scintille sprizzarono
quando le armi cozzarono l’una contro l’altra.
Al castello tutti erano in ansia. Il re non era riuscito
a mentire, così i ragazzi erano tutti molto incerti. Quando si aprì il varco,
tutti sguainarono le armi, in posizione d’attacco. Dal varco uscì una figura
incappucciata che... trascinava fuori qualche cosa... erano Paperino e Pippo!
Kairi si tolse il cappuccio e disse – Datemi una mano!
Questi due pesano una tonnellata! –
Pippo e Paperino furono portati in una stanza molto
grande e spaziosa, all’interno del castello dove furono lasciati a riposare.
Tutti gli altri, in giardino, stavano ascoltando il
racconto di Kairi quando un varco si aprì in mezzo a loro.
- Eccovi qua, finalmente! Vi ho cercati in una dozzina di
mondi! – disse irritato Merlino – Dov’è Sora? –
Kairi fece un breve riassunto della storia anche per il
mago.
- Andiamo sul luogo dello scontro, allora – disse Riku. -
Voglio aiutare Sora! -
- Sono pienamente d’accordo – disse il re.
Aprirono un varco ed entrarono.
Erano pochi minuti che combattevano quando Malefica
iniziò a parlare.
- Perché devi sempre intrometterti nei miei piani,
sciocco ragazzino? –
- Il mio compito è quello di sconfiggere voi supercattivi...
– disse Sora, sorridendo ironico – Anche se alla fine le seccature tornano
sempre, in un modo o nell’altro... –
- Come osi, sciocco ragazzino impertinente che non sei
altro? Te la faccio vedere io! –
Il duello riprese, ad un ritmo estremo.
Sora iniziava ad essere stanco, non avrebbe retto ancora
a lungo, non da solo ma...
Un varco si aprì in un angolo della stanza. Entrambi i
contendenti si voltarono, senza badare a che cosa faceva l’altro. Dal varco
uscirono Riku e gli altri ragazzi! Topolino e Riku si fecero avanti per dare
manforte al ragazzo, ma Sora li allontanò.
- Questa è la mia battaglia. Intervarrete nel caso in cui
perderò... non prima. –
La voce decisa e la mano ferma convinsero tutti.
- Bene bene - disse Merlino - Almeno
lasciate che ci mettiamo comodi... –
Così dicendo evocò delle tribune dove i ragazzi si
sedettero.
- Pronta? – chiese Sora
- Io lo sono sempre! – ribatté Malefica
Il duello riprese, con la stessa intensità di prima, ma
qualche cosa era cambiato nel ragazzo; Malefica lo capì intuitivamente, senza
riuscire a notare realmente quale fosse la differenza.
Ad un tratto il corpo di Sora si illuminò. Portava gli
stessi vestiti che tre anni prima le fate gli avevano costruito con la magia...
una delle loro caratteristiche era crescere insieme al padrone. Essi si tinsero
di argento.
- Cosa diavolo succede? – chiese Malefica
Un largo sorriso si disegnò sulle lebbra di Sora... - Ti
presento la mia ultima forma! –
I due Keyblade che stringeva in mano erano apparsi
all’improvviso, ruotando ad altissima velocità.
- Iniziamo a fare sul serio – disse senza alcuna emozione
nella voce.
Malefica non vide arrivare il colpo. Sora le fu dietro
ancor prima che potesse accorgersi di lui e la colpì ripetutamente. L’ultimo
colpo scagliò la strega in aria. Sora saltò e la colpì, ruotando assieme alle
sue lame, in una danza frenetica, destinata a distruggere la sua avversaria.
Malefica reagì. Parò un colpo e scagliò il Keyblade
contro il ragazzo.
Sora deviò la lama con la sua e fu di nuovo addosso a
Malefica che, stavolta, non aveva difese. La colpì ripetutamente, senza alcuna
pietà.
Ad un certo punto l’aspetto del ragazzo cambiò. I capelli
divennero di un castano molto chiaro, si allungarono appena un attimo ma
rimasero nella stessa posizione. Il viso era in qualche modo diverso, forse
nell’espressione: era aggressiva, senza alcuna pietà per il nemico. Era tornato
il vecchio Roxas. Eppure, non si era del tutto trasformato nel nobody. Era la perfetta unione dei due, un essere completo,
del tutto diverso. Un guerriero quasi perfetto. Malefica capì che era la fine.
Non aveva alcuna via di fuga. Come avrebbe fatto a salvarsi questa volta?
Possibile che fosse davvero finita?
- Combatterò fino all’ultimo respiro – gridò, cercando di
convincere se stessa più che gli altri
- Peccato – rispose il ragazzo – Averi anche potuto
considerare l’idea di risparmiarti se ti fossi prostrata ai miei piedi ma
ora... –
L’attacco fu improvviso. Malefica correva verso
l’avversario, consapevole che non si sarebbe mai arresa, soprattutto dopo ciò
che quello sbruffone le aveva detto.
Il ragazzo non si mosse. Aspettò l’ultimo secondo per
parare, poi colpì la strega in pieno volto. Una magia la protesse.
- Stolta! – disse il ragazzo – Pensi davvero che una
barriera così debole possa fermarmi? –
Con un colpo secco, Sora colpì la strega sul petto, dove
si proteggeva con maggiore forza. La barriera magica venne distrutta e andò in
mille pezzi che si sparsero per tutta la stanza, senza però ferire i ragazzi
che osservavano increduli la scena.
- No! – gridò Malefica.
Fu tutto quello che riuscì a dire. Poi. Il Keyblade le si
infilò nel petto, come se fosse stato creato apposta per quel momento.
Sora si sedette. Solo ora iniziava a capire fino a che
punto si era spinto...
Il cambiamento, capì, era irreversibile. Manteneva la
personalità di prima, non sentiva un buco in fondo al petto come Roxas, ma del
resto non poteva non essere cambiato. Era il punto di incontro dei due, e
quella forma era la migliore, non avrebbe dovuto desiderare di più ma, chissà
come mai, non si sentiva soddisfatto. Neanche la vittoria lo entusiasmava.
Kairi corse incontro al ragazzo, rimasto al centro della
stanza.
- Come ti senti? – chiese
- Malissimo... dovrei sentirmi a mio agio ma ho la
sensazione che ci sia qualche cosa che non vada... –
- Ovvio, sei del tutto cambiato. Non devi fartene una
colpa, prima o poi doveva accadere –
- Grazie... –
- Di nulla... –
Aprirono un varco e se ne andarono insieme, lasciando
tutti gli altri con un sorriso sulle labbra.
Era un luogo poco accogliente: un letto, una piccola
scrivania e, al centro della stanza, alcuni pezzi di una strana macchina.
L’uomo era abbastanza alto, i lineamenti coperti dal
lungo mantello, cappuccio calato sul viso. Si avvicinò alla scrivania e, dopo
un lieve cenno della mano, comparirono due pile di fogli... erano mesi che
stava lavorando a quel progetto e non intendeva lasciare che Sora rovinasse
tutto... – del resto – si ripeteva, –
si può porre rimedio ad ogni cosa...
–
Si sedette su una sedia e, con calma, si tolse il
cappuccio... il volto fu finalmente visibile: occhi azzurro intenso, viso
gioviale, capelli lunghi, quasi azzurri, raccolti in una treccia.
Si concesse un mezzo sorriso: era da tanto che non lo
faceva, del resto i nobody non provano sentimenti. Si soffermò su quel pensiero
per qualche istante, poi tornò a concentrarsi sul lavoro che stava compiendo.
- Noi nobody siamo
davvero magnifici – pensava – Deltutto privi di freni emotivi, capaci di
scegliere anche la strada più dolorosa senza sentire rimorso... strano, del
resto proveniamo da esseri deboli... –
I suoi pensieri vennero bruscamente interrotti da alcuni
heartless che si materializzarono dal nulla.
- Ma non si
stancano mai di venire distrutti? Questo Keyblade sarà anche potente ma è una
vera scocciatura! –
Colpì i nuovi arrivati con colpi veloci e sicuri; in
pochi secondi, li sterminò tutti
- Sono proprio senza cervello – disse ad alta voce, come
per prenderli in giro – Non sanno fare altro che seguire il loro istinto...
vanno addirittura a cercare un cuore in me che non ne possiedo neanche uno! –
Senza più proferire parola, si sedette alla scrivania. I
fogli erano pieni di calcoli complessi, schizzi ed appunti. Il nobody si sentì
di nuovo a casa.
Sora aprì gli occhi. Era già mattino inoltrato ma non
c’era la minima traccia del sole degli ultimi giorni... peccato, avrebbe voluto
andare a giocare a beach volley con i suoi amici.
Era già una settimana che aveva sconfitto Malefica e le
cose andavano a meraviglia: riusciva sempre meglio a controllare il nuovo corpo
e, incredibile ma vero, si era fidanzato con Kairi! Ancora non riusciva a
crederci, era successo tutto così in fretta che non sapeva più cosa dire.
Sapeva solo che si era innamorato di lei e questo gli
bastava: non erano necessarie altre spiegazioni.
Riku era seduto sulla spiaggia... era tornato sull’isola,
ma quel mondo non gli piaceva: era insopportabilmente piccolo! Lui voleva
viaggiare, vivere avventure: la vita monotona lo rendeva nervoso.
Evocò il Keyblade. Sentiva che doveva essere usato a fin
di bene ma non riusciva proprio ad indovinare come. Era un custode ma non aveva
la possibilità di usare la sua arma.
Il pensiero per lui era frustrante, non riusciva ad
accettarlo. Iniziò a simulare un combattimento. Parata, affondo, schivata... il
suo corpo era atletico e scattante, in grado di compiere alla perfezione ogni
movimento. All’improvviso apparvero due heartless, seguiti da una moltitudine
di altri.
- Strano –
pensò Riku – Era da tempo che non
attaccavano così in massa –
Non finì di esprimere il pensiero che era già
all’attacco. Distrusse il primo con un affondo e si lanciò sul secondo. Grosso
sbaglio. Dalle spalle arrivò un colpo improvviso che lo scaraventò a terra. Si
rialzò in un baleno e si mise sulla difensiva... erano davvero tanti!
Parò un colpo a destra e ne schivò uno frontale, poi
passò al contrattacco. Eliminò due soldati
contemporaneamente, con un movimento della Keyblade da destra verso
sinistra,poi passò agli shadow. Veloce come un fulmine ne
sconfisse una dozzina attaccandoli senza sosta, ma le sue forze diminuivano.
– Devo sbrigarmi, o
non ce la farò! – pensò il ragazzo, poi impugnò con entrambe le mani il
Keyblade, pronto a sferrare un nuovo attacco.
- Eccomi! Adesso ti aiuto io! – gridò una voce a Riku
familiare. Un sorriso si dipinse sul volto del ragazzo.
- Era ora! Certo che tu non ti mantieni certo in forma! –
- Ah, è così? Bene, allora te la faccio vedere io! –
Era arrivato Sora...
Portafortuna e Lontano Ricordo comparvero nelle mani del
ragazzo. Con un salto si gettò nella mischia, proprio in mezzo ai nemici.
Riku non ebbe neanche il tempo di capire cosa succedesse che
una cinquantina di heartless erano stati sconfitti dai colpi fulminei del
ragazzo.
- Sora è davvero in
gamba... probabilmente li sconfiggerà tutti senza il mio aiuto... gli lascio il
divertimento – pensò il ragazzo.
Dopo due soli minuti, sulla spiaggia non c’era nessuno
esclusi i due ragazzi.
- Forse sei tu quello a cui manca allenamento! – disse
scherzosamente Sora.
- Non direi... io mi stavo trattenendo! –
- Ok, ok tranquillo, stavo solo scherzando –
Sul viso del ragazzo era comparsa un’espressione soddisfatta
che non piacque per niente a Riku, che però decise di lasciar correre e, dopo
aver salutato l’amico, apre un varco per raggiungere Topolino. Doveva
assolutamente parlargli.
Sora, soddisfatto della performance, corse a casa di
Kairi.
La ragazza era in camera sua quando il fidanzato bussò
alla porta di casa. Il tempo non era dei migliori, ma avrebbe sempre potuto
fare un giro con lui per negozi anche se, conoscendolo, forse non era il
caso...
- Ciao! Come stai? –
- Bene, cosa mi racconti di bello? –
- Nulla, ma con questo tempo non possiamo andare in
spiaggia come previsto... –
Non fece in tempo a finire la frase che la ragazza disse
- Quindi andiamo al mercato! –
Un’espressione orribile si dipinse sul volto del ragazzo
che cercò subito di mascherarla, ma con scarso risultato.
Kairi decise che lo avrebbe fatto preoccupare un po’,
anche se, del resto, si aspettava quella reazione.
- Ma bene! Se proprio la metti così... –
Lasciò la frase in sospeso.
Nella mente del ragazzo si affollarono mille finali di
quella discussione, uno peggiore dell’altro, fino a che non poté più sopportare
quel silenzio che per lui era così imbarazzante.
- Cosa vuoi fare? Sappi solo che mi dispiace... – disse
con voce triste Sora.
- Nulla, solo... pensavo che al posta della spiaggia
potremmo andare ad Atlantica! L’acqua è così bella laggiù! –
- Ci sto; non vedo l’ora di vedere come se la cavano
Ariel e gli altri! –
- Allora è deciso, ma Riku? Mi aveva detto che sarebbe
venuto anche lui ma... –
- Ah, giusto! Che sbadato... mi sono dimenticato di
raccontartelo! –
- Cosa? –
Sora le raccontò della battaglia sulla spiaggia.
Kairi non interruppe neanche una volta e, dopo che il
ragazzo ebbe finito disse – Sarà andato a parlare con il Re, quei due sono
molto legati –
- Sono d’accordo – disse Sora – Comunque sono convinto
che dovremmo andare lo stesso ad Atlantica –
- Anche io – rispose la ragazza.
Aprirono un varco verso il mondo e sparirono.
Note dell’autore:
Vorrei
ringraziare tutti coloro che leggono la mia fiction...
Please...
qualcuno che recensisca, anche per dirmi che la storia non gli piace!
universo0 : grazie della recensione... quasi arrossisco!
Continuerò a scrivere la storia, come mi hai chiesto... dimmi se anche questo
capitolo ti è piaciuto!
Al castello Disney tutto era tranquillo. Cip e Ciop
stavano tagliando l’erba del giardino, mentre Paperino studiava su alcuni libri
di magia in biblioteca. Pippo, come al solito, sonnecchiava beato nella sua
stanza.
Topolino era nei sotterranei del castello e mostravaad Ansem la Prima Pietra. Lo studioso ne era
così affascinato che chiese di poter utilizzare la porta ed andare nel passato,
per capirne meglio il funzionamento. All’improvviso sentirono aprirsi la porta
della sala del trono, quindi decisero di tornare dagli altri. Con sommo stupore
videro i due scoiattoli correre a più non posso verso di loro.
- È successa una cosa terribile! – gridarono i due in
coro.
- Parlate – rispose loro il re
- Il giardino è stato invaso dagli heartless! Ci sono
anche alcuni Nobody! Aiutateci, Pippo e Paperino non riusciranno trattenerli
ancora a lungo! -
- Ma sono così tanti? Quei due se la cavano bene... –
chiese Ansem
- Almeno un centinaio, se non di più! –
- Va bene, non tratteniamoci oltre amico mio –
Detto questo topolino corse verso i giardini, seguito a
ruota dal saggio; entrambi già impugnavano i rispettivi Keyblade.
Riku uscì dal varco. Una palla di fuoco sfiorò il
ragazzo, bruciacchiandogli i capelli
- Ma che diavolo
succede qui? –
Vide gli heartless e corse verso essi. Pippo e Paperino
stavano combattendo, ma gli avversari erano davvero troppi. Ne distrusse un
paio mulinando la Keyblade e parò un colpo diretto a Paperino. I ragazzi si
misero in modo che ognuno coprissi le spalle agli altri.
I nemici attaccarono tutti insieme ma Paperino li colpì
scagliando al momento giusto un cerchio di fuoco che protesse i ragazzi e sterminò
gli avversari. Un gruppo di soldati
attaccò ma Riku e Pippo contennero l’attacco e solo due poterono battere in
ritirata.
- Avremmo bisogno
di Sora! – pensò Riku.
In quel momento arrivarono il re e Ansem.
- Ora sì che si ragiona! – esclamò Paperino.
Gli altri fecero un cenno di ringraziamento nei confronti
dei nuovi arrivati e ripartirono all’attacco. Sembrava che non esaurissero mai
le energie!
Riku ne abbatté una dozzina con pochi colpi precisi ma
potenti.
Pippo difendeva Paperino che scagliava fulmini in tutte
le direzioni, lasciando vuoti apparentemente incolmabili fra i nemici.
Topolino si esibì in straordinari attacchi aerei, mentre
Ansem combatté con calma, distruggendo sistematicamente chiunque gli si parasse
davanti.
In pochi minuti tutti gli avversari furono sconfitti e
rimandati nell’oscurità da cui provenivano ma, mentre Pippo e Paperino
festeggiavano la vittoria, Topolino, Ansem e Riku si allontanarono, discutendo
sul motivo per cui ci fossero così tanti heartless... ormai dovrebbero essere
stati quasi del tutto eliminati! Ne dovrebbero rimanere poche centinaia ma
quelli che avevano attaccato! Era inconcepibile il fatto che si esponessero
tanto!
Se il re, inizialmente, era curioso di scoprire la verità,
dopo il racconto del ragazzo sulla battaglia in spiaggia all’Isola del Destino,
divenne preoccupato.
Dovevano capire che cosa stava accadendo.
Andarono alla sala del trono.
- Non ci dovrebbero essere, non così tanti! – esordì il
re.
- Sono d’accordo – disse Ansem, con tono di voce eccessivamente
calmo – Ma ciò non cambia quello che è successo –
- E ciò significa che qualcuno sfrutta il potere
dell’oscurità per diventare più forte – disse con un sorriso sulle labbra.
Finalmente aveva l’occasione di sfuggire alla noiosissima vita che conduceva
sull’Isola.
- Non è detto – disse Ansem – Anche se la tua ipotesi è
la più probabile –
- Ma come dobbiamo fare per scoprire se è giusta? –
chiese il re.
- Non possiamo – disse con semplicità Ansem, che sembrava
avere sempre la risposta pronta a tutte le domande.
- E dovremmo rimanere qui con le mani in mano? – chiese
Riku, con tono deluso.
- Temo di si, ragazzo mio – replicò Topolino.
- Lo sapete che non mi piace affatto l’idea – disse Riku,
voltandosi nella direzione dell’uscita.
- Lo sappiamo – replicò Ansem – Ma non puoi fare nulla.
Non sappiamo nemmeno con chi hai a che fare! –
- Non importa – disse Riku – Io lo troverò –
- E come? – chiese Topolino, quasi con aria di sfida.
- Io sento la puzza di oscurità in tutte le persone –
disse il ragazzo, imperterrito.
-vorresti
metterti ad annusare tutti gli abitanti dei vari mondi? –
La voce di Ansem era tranquilla.
Riku divenne paonazzo.
- Certo che... – non sapeva più come andare avanti.
- Forse conviene che torni sull’isola e aspetti. Io ed
Ansem cercheremo qualche cosa da cui iniziare le ricerche. Nel frattempo, non
fare sciocchezze –
Il tono era quello di un padre che parla al figlio.
- Va bene – disse Riku rassegnato.
Il ragazzo aprì un varco per tornare all’Isola e vi entrò
senza commentare oltre.
- No, di nuovo! – esclamò il ragazzo. Si era rimesso il
cappuccio e, come se potesse essere arrabbiato, aveva picchiato il pugno sul
tavolo, mandandolo quasi in pezzi.
- Ero così vicino... sono anni che lavoro, ma senza
successo! Come fare... -
Il ragazzo si sedette. Non poteva permettersi
distrazione, non ora che era quasi riuscito nel suo scopo. Certo, avrebbe
dovuto combattere, ma questo non gli importava. Era abbastanza forte...
Riprese in mano i fogli
- Devo aver dimenticato di considerare qualche
variabile... ma quale? –
Il ragazzo continuava a struggersi e, durante i suoi
esperimenti modellava l’oscurità con grande maestria, senza immergersi in essa
ma piegandola alla sua volontà... era davvero eccezionale.
- Ecco la soluzione! Non ho abbastanza potere – disse,
dopo aver riesaminato i calcoli almeno due volte.
- Ora devo solo
pensare a come procurarmelo... – pensò.
Doveva rimanere calmo e non montarsi la testa... non poteva avere
sentimenti, ma se non fosse stato attento sarebbe diventato schiavo
dell’oscurità che utilizzava... bastava il minimo errore, la più piccola
distrazione e tutto il suo lavoro sarebbe stato vano.
Decise che era il momento di andare a Crepuscopoli, del
resto era lì che in un prossimo futuro si sarebbe trasferito.
Aprì un varco oscuro di fianco a lui, diede un’ultima
occhiata ai fogli su cui lavorava da tanto tempo ed infine entrò nel varco
oscuro.
Sora e Kairi arrivarono ad Atlantica. Quando arrivarono
videro subito che c’era qualche cosa che non andava: non c’era neanche un pesce
in giro... era davvero un brutto segno.
- Aiuto! – gridò una voce femminile.
Ariel comparve da dietro uno scoglio, inseguita da un
paio di heartless. Erano davvero strani: simili a squali, lunghi e dal corpo
affusolato, con occhi gialli e una fila di denti affilati come rasoi in bella
vista; il tipico simbolo degli heartless era impresso sul loro petto...
- Eccoci! – gridò Sora.
I due ragazzi nuotarono a più non posso e sbarrarono la
strada agli heartless. Questi non fecero una piega e attaccarono i nuovi
venuti.
Sora passò accanto al primo e cercò un punto debole da
dietro, ma venne colpito dalla coda che lo scaraventò sul fondale.
Kairi fu più cauta: si riparò dietro alla sua Keyblade e
attese la mossa avversaria. Guidati dall’istinto, i due heartless la
attaccarono, senza successo perché lei schivò e colpì con grande rapidità e
prontezza: stava diventando una brava guerriera.
L’heartless colpito si infuriò e iniziò a colpire alla
cieca. Era esattamente ciò che aspettava la ragazza. Gli passò alle spalle e
colpì senza pietà, distruggendolo, ma senza badare al secondo.
L’avversario rimanente notò la dimenticanza e attaccò.
Kairi non vide arrivare il colpo, ma quando scorse una sagoma nera arrivare,
capì che era troppo tardi. Chiuse gli occhi.
Il colpo non arrivò.
Sora si era messo in mezzo e fermò l’attacco con il suo
corpo.
Kairi gridò.
Il corpo del suo ragazzo stava lentamente cadendo sul
fondale...
Accecata dalla rabbia, la ragazza gridò e, per la prima
volta, combatté perché colpire quel nemico le dava soddisfazione, placava il
suo desiderio di vendetta.
Sora rimase stordito dal colpo. Sentiva i rumori della
lotta molto lontani, anche se la battaglia si stava svolgendo a pochi metri da
lui; tutto era così irreale, si sentiva stanco e si stava abbandonando al
sonno.
Poi, sentì la voce di Kairi.
Una nuova forza parve nascergli in corpo: voleva vivere.
Lottò con tutte le sue forze, e accolse con piacere il dolore... finalmente
sentiva qualche cosa.
Improvvisamente si accorse di non sentire più i rumori della
battaglia...
- Che strano, cos’è
successo? – si chiese prima di cadere in un profondo sonno ristoratore.
Il ragazzo incappucciato arrivò a Crepuscopoli. Pensava
che sarebbe rimasto nella città per qualche tempo, quindi trascorse il primo
giorno esplorando in lungo e in largo la città. Spesso si perdeva nei suoi
pensieri e rimaneva immobile per lunghi minuti, per poi riscuotersi e
rimettersi a camminare.
La sera andò in un ostello che si affacciava a Corso
della Stazione; l’indomani sarebbe stato il grande giorno.
La mattina era fresco e riposato e, dopo aver fatto
un’abbondante colazione, si diresse verso l’Area del Tram. Si camminò subito
verso il buco nel muro che aveva visto il giorno precedente: sapeva che lo
avrebbe condotto alla Vecchia Villa.
Attraversò il boschetto e si trovò davanti l’edificio.
Era chiuso a chiave...
- Inutile –
pensò.
Evocò il Keyblade e aprì la serratura... nulla di più
semplice.
La villa era abbandonata da vario tempo e alcune piante
rampicanti si erano fatte largo sui muri: uno spettacolo davvero deprimente che,
in ogni caso, non disturbò affatto il ragazzo il quale continuò a muoversi
imperterrito.
Se la casa era brutta all’esterno, non ci sono parole per
descrivere come era all’interno: alcuni muri erano crollati, le porte in legno
iniziavano a marcire... un puzzo di chiuso impregnava l’aria.
La pianta non era molto complessa, ma dalle statue ormai
rotte, i tappeti e i quadri si poteva intuire che una volta la casa doveva
essere stata molto lussuosa.
Dall’ingresso si potevano notare due grosse rampe di
scale che si collegavano alle due estremità di un corridoio sopraelevato. Sulla
destra, al piano terra, si poteva scorgere una porta bloccata dalle macerie
mentre a sinistra nulla ostruiva il passaggio verso un’altra stanza.
Si diresse verso quest’ultima stanza, aprì la porta e...
- Nulla – esclamò quasi con rabbia – Solo un tavolo
sfondato dal lampadario! Doveva essere stata la sala da pranzo ma non può
esserci nulla lì... -
Decise di optare per la porta bloccata. Evocò il Keyblade
e distrusse le macerie con pochi, potentissimi colpi. All’interno il pavimento
era pressoché distrutto, si potevano scorgere poche piastrelle azzurre qua e là...
entrò.
Il luogo doveva essere stato un bagno... ora non c’era
più molto. Il soffitto era crollato e non si vedeva nulla.
- Tanta fatica per
niente! – pensò e si allontanò verso la rampa di sinistra.
Salì e si trovò davanti ad una porta diversa da tutto il
resto; era tenuta ancora abbastanza bene... la aprì.
Una camera bianca lo accolse. La luce creava degli
stupendi giochi di colore che avrebbero lasciato senza fiato chiunque. Il ragazzo,
freddo come la pietra, invece, non ci badò neanche. Si diresse verso il
tavolino situato al centro della stanza. Era pieno di disegni riguardanti Sora
e i suoi amici... ma anche riguardanti l’organizzazione... li prese tutti,
erano davvero interessanti; uscì con i disegni sotto al braccio soddisfatto di
ciò che aveva trovato anche se non era lì per quelli... doveva trovare una
fonte di energia per il suo piano e ce n’era solo una abbastanza potente...
doveva andare nel Mondo Che Non Esiste.
Passò all’ultima stanza...
Aprì la porta...
- Impressionante... i miei complimenti a DiZ, o forse
dovrei dire Ansem! – disse il ragazzo ad alta voce, come se il saggio potesse
sentirlo.
Il sistema era ancora aperto e si poteva vedere il
livello sotterraneo. Davanti a lui c’erano delle scale che si affrettò a
scendere.
La porta si aprì automaticamente quando lui si avvicinò.
- Wow! – esclamò.
La nuova stanza era piccola. Tutto era di un blu
elettrico, al centro un immenso computer mentre in fondo, contro al muro, c’era
un piccolo tavolino. Una porta ad apertura automatica, come le aveva battezzate
il nobody, era immobile davanti a lui.
Il ragazzo era appassionato di computer e quello presente
nella stanza era il migliore che avesse mai visto... di nuovo Ansem lo aveva
lasciato a bocca aperta.
Si sedette e, con pochi tocchi leggeri e precisi su una
lastra situata sul fianco della poltrona davanti al monitor, iniziò ad
esplorare quello che era la più grande fonte di informazioni che avesse mai
visto. Aprì file, cartelle, immagini, testi... senza mai sapere quello che
avrebbe trovato: spesso erano nominati come “progetto 1”, “progetto 2” e così
via.
Prese un cd dal tavolino lì a fianco e salvò tutto quello
che poteva. Aveva voglia di rivedere tutto una volta arrivato a casa. Poi,
quasi per caso, vide una cartella... “Roxas and Sora”... interessante...
Doppio clic.
Davanti a lui apparve una grande quantità di
sottocartelle: “Rigenerazione di Sora”, “Chi è Roxas”, “Sentimenti di Roxas” e
via dicendo... c’erano appunti sulle macchine e sulla rigenerazione; inoltre,
il computer aveva memorizzato tutti i falsi ricordi del ragazzo e ciò che era
successo al castello dell’oblio. Scoprì i tradimenti dei membri, i complotti, i
giochi di potere... tutto ciò che doveva esserci.
Rimase incollato al computer tutto il giorno e la notte,
salvando i dati importanti sui cd e rammaricandosi di non poter stare lì per
tutto il tempo che voleva... aveva una missione da compiere. Il varco verso la
sua destinazione era stato chiuso e doveva trovare il modo di riaprirlo...
Trovò una nuova cartella... la aprì... un solo
programma...
Doppio clic sull’icona.
La schermata divenne nera e apparve una scritta:
“Digitare la passwordnumero tentativi
rimanenti: 3”
- Dannazione! – disse il ragazzo... – Fortuna che c’è un
suggerimento... vediamo... –
“Dolce preferito di Roxas”
- Fantastico... – disse ironicamente.
Doveva scoprirlo e c’erano solo tre persone che sapevano
la risposta...
Tornò in città e si recò al rifugio, li avrebbe aspettati
lì.
Dopo una quindicina di minuti, i ragazzini arrivarono...
erano diversi dai disegni: cresciuti, ma probabilmente ricordavano ancora.
- Buongiorno – disse loro.
- E tu chi sei? – chiese Pence
- Non essere scortese! – disse Olette all’amico
- Ho bisogno del vostro aiuto – continuò il ragazzo, come
se gli altri non avessero neanche aperto bocca – Devo andare nell’altra
Crepuscopoli, sapete cosa intendo, vero? –
- Certo - risposero in coro – Ma non possiamo: abbiamo
promesso di non aiutare mai nessuno... quel luogo è pericoloso, faresti meglio
a tornare da dove sei venuto –
- Spiacente, ma non posso: ho una missione da compiere;
se non mi direte la password con le buone, allora ve la estorcerò con le
cattive –
- Che così sia, noi non diremo nulla. Fai pure del tuo
peggio –
Avevano appena finito di dirlo che il nobody li aveva
circondati con una fitta oscurità.
I ragazzi erano confusi.
Una nebbia scura si alzò da terra ed entrò nei ragazzi,
nel vero senso della parola.
Gridarono tutti nello stesso istante, ma nessuno poté
sentirli: l’oscurità li aveva isolati da tutto il resto.
- Ti prego, basta – provarono a chiedere
- La password, prima –
Il dolore si intensificò. Tentarono in tutti i modi di
sopportarlo.
- Visto che non cedete... –
Un sorriso malizioso si dipinse sul suo volto e per
l’ennesima volta manipolò l’oscurità. Fece in modo che esse prendesse il
controllo delle menti poco disciplinate dei ragazzi, ma lasciò che rimanessero
coscienti, in modo che comprendessero cosa li obbligava a fare. Il primo a
cedere fu Heyner.
- La password, grazie –
- Gelato al sale marino –
- Molto bravo... mi raccomando, continua così... –
Un’ondata di dolore travolse i ragazzi e li fece svenire.
Il nobody si mise il cappuccio e se ne andò.
- Cosa sta succedendo? Proprio non capisco! – esclamò
Riku.
- Non ne sono sicuro... devo partire – rispose il Re.
- Ti prego, fammi venire con te! –
- No, Riku –
- Perché? Lo sai che ci tengo... –
- Mi dispiace, tu devi rimanere e vegliare sui tuoi
amici, loro hanno bisogno con te. Mi accompagnerei tu, Ansem? –
- Ne sarei onorato – rispose il saggio.
Riku accettò a malincuore la decisione presa dal re, del
resto non poteva farci nulla.
- Torno alla mia isola – annunciò il ragazzo
- Aspetta un attimo, voglio dirti che non ho scelta: di
te mi fido ed è per questo che ti voglio dove potrai davvero aiutarmi –
- Ok, ho capito anche se... non importa. Ciao a tutti, ci
vedremo presto – esclamò.
Riku aprì un varco per l’isola e ci entrò.
Quando arrivò a destinazione era già sera. Comparì sulla
spiaggia, poi si diresse verso la cittadina.
- Ciao Riku! – esclamò Wakka vedendolo.
- Ciao, come stai? –
- Bene. Ti va di venire in spiaggia con me? –
- No, grazie. Stavo cercando Sora e Kairi... li hai visti
per caso? –
- No, sono scomparsi stamattina. Probabilmente in un
luogo appartato! – disse Wakka strizzando l’occhio a Riku.
- Probabile – convenne il ragazzo che aveva già intuito cosa
doveva essere successo – Vado a scovarli! Ci vediamo! –
I due si allontanarono e Riku arrivò a casa.
- Dove potrebbero
essere andati? –
Si stese sul
letto, pensando.
- Dunque...
volevano andare in spiaggia ma il tempo non è bello... quindi... devono essere
andati su un altro mondo... ma quale? –
Il ragazzo andò avanti a pensarci per tutta la sera,
senza trovare soluzioni.
Mangiò, si fece una doccia e si infilò nel letto. Era
stata una giornata faticosa e si addormentò subito.
Quella notte fu piena di sogni sul passato, alcuni non
molto piacevoli... l’immagine dell’heartless di Xeanorth lo ossessionava, era
come se non potesse fare a meno del potere che offriva... ora però era guidato
dalla luce e non avrebbe potuto chiedere di meglio, o almeno così pensava.
Quando si svegliò il mattino seguente non aveva il minimo
ricordo dei sogni solo una strana sensazione, come se ci fosse qualche cosa di
terribilmente sbagliato, ma non riusciva a capire cosa...
Si alzò sbadigliando e si vestì. Corse subito a casa di
Sora, dove scoprì che non era rientrato per la notte e i genitori pensavano che
fosse a casa di Kairi. Si recò anche lì ma non trovò nessuno.
- Davvero strano...
sarebbero dovuti ternare... a meno che non sia accaduto loro qualche cosa -
Il pensiero si insinuò nella mente del ragazzo che decise
di partire. Avrebbe chiesto consiglio a Merlino, non voleva disturbare il re
per una cosa così poco grave... anche se, in fondo al suo cuore, sapeva che non
poteva permettersi di perdere così i suoi amici. Erano troppo importanti per
lui.
Uscì dal varco proprio davanti alla casa del mago che gli
aprì subito
- Accomodati... –
- Grazie, ma ho una certa fretta, vedi... –
- So che i tuoi amici sono scomparsi. Ieri mattina sono
andati ad Atlantica, ma non sono ancora tornati –
- Come lo sai? –
- In effetti, mi sono accorto di riuscire a percepire i
varchi, capire da dove arrivano, dove sono diretti e, nel caso in cui li
conosca, anche chi li attraversa... davvero un’abilità interessante – spiegò il
mago, quasi vantandosene.
- Grazie mille per l’aiuto –
- Di nulla, ma ora devi affrettarti... –
- Giusto. Buona fortuna, ragazzo –
Riku aprì un varco ed entrò. Finalmente stava per andare
ad aiutare i suoi amici... sempre che non fosse troppo tardi, ma non voleva
pensare a quell’eventualità.
Sora si svegliò il mattino seguente con un incredibile
dolore alla testa.
- Dove sono? – chiese, stupendosi di essere riuscito a
parlare.
- Sei a palazzo. Abbiamo fatto tutto il possibile per
guarirti e, a quanto pare, ci siamo riusciti! – rispose Ariel, sorridendogli.
Ad un tratto ricordò tutto: gli heartless, lo scontro, si
era messo in mezzo fra loro e...
- Dov’è Kairi? Come sta? – chiese, preoccupatissimo.
- Sto bene, grazie a te... non dovevi farlo – disse la
ragazza, appena entrata nella stanza.
Un debole sorriso apparve sulle labbra di Sora.
- Invece sì –
Detto questo, cadde in un sonno profondo, senza sogni.
- Cosa facciamo ora? – chiese Kairi alla sirena
- Lasciamo che si riposi, ha preso un brutto colpo e ci metterà
un po’ per riprendersi –
- Ok, intanto? –
- Raccontami tutto... come stanno le cose fra voi? –
chiese con voce innocente Ariel.
Kairi arrossì di colpo.
- Noi... – passò qualche secondo di silenzio – Stiamo
insieme ora... anzi, da circa un mese, ormai –
- Fantastico! Sono proprio felice per voi! –
Kairi sorrise, imbarazzatissima.
- Grazie, ma dimmi... come stanno le cose tra te e il tuo
bel principe? – chiese per cambiare argomento.
Questa volta fu Ariel a imbarazzarsi e diventare rossa
come un peperone.
- Noi... non è stato facile... ma alla fine ho convinto
mio padre a trasformarlo in uno di noi: ora siamo felici insieme –
Kairi guardò Sora...
- È così carino quando dorme... –
- Sono d’accordo – disse la sirena, visibilmente contenta
di aver cambiato discorso.
Il volto di Kairi si fece preoccupato
- Dimmi la verità... quegli heartless erano gli unici? –
Ariel abbassò lo sguardo e si prese un lunghissimo
istante prima di emettere un sospiro
- No, purtroppo. Mio padre sta combattendo contro quegli
esseri da settimane ormai e li contiene, ma essi sembrano non avere mai fine...
sono troppi e lui è stanco –
- Questa faccenda non mi piace affatto – ammise la
ragazza – Proverò ad aiutarvi –
- Come? – chiese la sirenetta – Sono troppi e troppo
potenti. Hai visto come hanno... –
Fece un cenno verso Sora, tacendo poi di colpo.
- Tranquilla, non mi farò trovare impreparata, di questo
puoi essere certa –
- Ok, come preferisci, ma io non potrò aiutarti: non sono
una combattente –
- Non importa; non avrei mai voluto comunque rischiare la
tua vita –
Detto questo la ragazza si avviò determinata verso
l’uscita.
Uscì dal palazzo e si trovò di fronte cinque heartless.
- Bene – pensò tra sé –Iniziamo
–
Fintò sul primo che schivò prontamente, lasciando però
scoperto il secondo, che trovatosi spiazzato, venne distrutto dalla ragazza.
Gli altri quattro formarono un gruppo compatto e si diressero verso di lei...
- Come faccio? –
pensò.
In quel momento un fulmine colpì gli heartless, che
scomparvero rapidamente.
Kairi si voltò e si trovò faccia a faccia con re Tritone
- Cosa ci fai qui, ragazza? –
- Voglio essere d’aiuto –
- Bene, allora che ne dici di sconfiggere questi odiosi
heartless con me? –
- Ne sarei onorata... –
- Bene, seguimi. Finora non ci sono mai stato, ma penso di
sapere quale sia il covo dei nostri nemici, ma sappi che non sarà una
passeggiata –
- Sono pronta –
- Bene –
I due si diressero al relitto.
- Il covo di Ursula non è ancora stato preso – spiegò
Tritone – È troppo distante, loro sono lì nel relitto. Guarda. –
Il re lanciò un fulmine con il suo tridente e subito una
cinquantina di heartless uscì allo scoperto.
Kairi li attaccò senza dare loro il tempo di reagire e ne
uccise sei, muovendo rapidamente la Keyblade prima che quelli potessero reagire.
Due avversari la stavano attaccando da dietro ma un
fulmine li travolse.
Kairi ripartì all’attacco ruotando il Keyblade regalatole
da Riku...
Tritone sfruttò quel movimento: lo potenziò con la magia
del suo tridente in modo che creasse un vortice magico.
Il piano funzionò e in campo rimasero solo due avversari.
Un varco si materializzò in mezzo al campo e da esso uscì
Riku.
- Felice che ve la caviate anche senza di me, ma voglio
partecipare anche io alla festa! – esclamò il ragazzo vedendo le armi.
- Sei il benvenuto – disse Tritone e Kairi annuì.
Altri cento heartless apparirono e i due ragazzi si
gettarono nella mischia.
Alcuni vennero sconfitti subito, ma la maggior parte
indietreggiò, in attesa del momento propizio per attaccare.
- Prendi! – gridò Riku, lanciando a Kairi la sua arma.
La ragazza la afferrò al volo e si lanciò in mezzo ai
nemici, facendo roteare le armi.
Tritone, dal canto suo, li tempestava con fulmini e
saette, arrostendone quanti più poteva.
Kairi si fece largo tra i nemici e arrivò fino al centro
del loro schieramento senza la minima difficoltà.
- Attenta! – gridò Riku, capendo la tattica nemica... non
aveva mai visto heartless così preparati: avevano lasciato che la ragazza
entrasse per poi chiudersi su di lei in un’ondata mortale.
Kairi sentì l’avvertimento, ma ormai era in trappola.
Combatté furiosamente e si aprì un passaggio, nemico dopo
nemico. Era quasi uscita quando le sue forze si esaurirono del tutto; non era abituata
a combattere tanto a lungo e tanto intensamente. Con le poche energie che le
erano rimaste, indirizzò entrambi i Keyblade a Riku, in modo che potesse finire
ciò che lei aveva iniziato.
Svenne, affondando sempre di più nelle acque del bellissimo
oceano.
Tritone, capendo cosa era successo, aveva creato una
barriera elettrica attorno al corpo indenne della ragazza e l’aveva portata al
sicuro, lontano dal relitto, consegnandola alle cure di Ariel. Riku decise che
doveva rimanere. Combatté fino a che non ci fu più neanche un heartless, poi,
senza forze, lasciò che la corrente lo trasportasse fino al castello.
Il ragazzo tornò al computer. Tutto era esattamente dove
lo aveva lasciato. Si sedette e aprì la cartella, poi il programma
- Sono ad un passo
dalla riuscita! – pensò e, per un attimo, sentì dentro di sé una gioia
senza eguali...
- Dannazione! Il
mio somebody è ancora in vita e queste emozioni... non so se volerle oppure
no... –
- Bando alle ciance – disse ad alta voce, quasi stesse
cercando di convincere se stesso che era la cosa giusta da fare.
Strano, il ragazzo non aveva mai avuto neanche un
ripensamento, perché aveva proprio in quel momento, così vicino alla meta, dei
dubbi?
Digitò la password e una porta si aprì. La schermata del
computer divenne nera e ritornò alla schermata iniziale.
Il ragazzo scese dalla poltrona, prese tutto quello di
cui aveva bisogno e si avviò. Lasciò carte e cd su un tavolino lì a fianco, in
modo che non lo impicciassero durante la sua missione.
Estrasse dalla tasca uno strano congegno... una specie di
pistola con una forma molto bombata e un colore giallo lampeggiante con strisce
rosse. Essa terminava con una spirale dove si convogliava l’energia e la si
riutilizzava per i propri scopi.
Avanzò senza problemi, distruggendo i pochi nobody che
gli si paravano davanti. Doveva raggiungere l’altare del niente... il percorso
fu relativamente semplice ma, quando arrivò verso il fondo, si trovò davanti
una porta chiusa e una specie di lapide, come pensò lui, sana, vicino ad altre
distrutte. Ai piedi di questa c’era scritto “Roxas, la Chiave del Destino”.
Il ragazzo capì che era una porta e Roxas era il custode
di essa... doveva sconfiggerlo per proseguire... ma Roxas si era ricongiunto
con Sora! Non potava essere ancora lì!
Entrò, curioso di poter vedere come ci era riuscito.
Il posto era completamente diverso da come se lo era
aspettato... era su una gigantesca lastra di vetro, sulla quale era stata
dipinta un’immagine di Roxas che impugnava le sue due Keyblade; sullo sfondo una
specie di torre, semicoperta dal corpo del ragazzo. Attorno ad essa, c’erano
degli ampi spazi colorati che avrebbero potuto ricordare le antiche chiese
gotiche che si trovavano alla Città di Mezzo. Ad un tratto apparve un varco
oscuro dal quale uscì una figura incappucciata che impugnò due Keyblade.
- Fantastico- pensò
il ragazzo mentre evocava la sua.
Roxas fu velocissimo: gli arrivò alle spalle senza che
lui se ne accorgesse e lo colpì. Il ragazzo venne scaraventato lontano.
Si rialzò e partì all’attacco, ma Roxas era troppo veloce
e, dopo aver schivato il colpo, lo colpì sullo stomaco con una lama e poi gli
spazzò le gambe con l’altra.
Il ragazzo si trovò con un Keyblade puntato sulla gola.
Ricorse all’oscurità e fece in modo che avvolgesse
l’avversario.
Nulla da fare: schivò anche questa muovendosi a velocità
sovrumana...
- Ma come fai? – chiese il ragazzo.
Nessuna risposta. Roxas era già ripartito ma il nobody
l’aveva visto e parò il colpo.
Il duello andò avanti come se i due non si stancassero
mai ma, dopo minuti che sembrarono ore ad entrambi, il ragazzo abbassò la
guardia per un istante. Roxas sfruttò quella distrazione e il Keyblade volò via
dalle mani del ragazzo.
Quando il ragazzo cercò di prenderlo, Roxas lo bloccò lo
bloccò con uno dei suoi e attese. Come si aspettava l’avversario richiamò la
sua arma e, nell’istante in cui era scoperto, colpì.
Il povero ragazzo, ormai sfinito, venne scaraventato sul
bordo della lastra di vetro. Miracolosamente si rialzò. Decise di giocarsi il
tutto per tutto: evocò l’oscurità e la usò per difendersi. Non era mai stato a
contatto con essa e, in quel momento, sentì che qualche cosa andava storto e
lui non poteva farci niente...
Attaccò. Come se fosse la cosa più naturale del mondo,
Roxas schivò e colpì ma, nonostante la potenza del colpo, il numero XIII venne
scaraventato lontano...
- Ce l’ho
fatta! – pensò il ragazzo.
Con sua sorpresa, Roxas svanì e davanti al nobody
comparve una porta... la attraversò.
Era tornato al luogo da cui era venuto, la Prova dell’Esistenza,
ma ora la porta che conduceva all’Altare del Niente era aperta: aveva superato
la prova.
Il resto del viaggio non presentò molti problemi anche se,
a volte, faceva fatica ad eliminare i nobody che gli si paravano davanti,
perché era stanchissimo dopo il combattimento con il n° XIII, ma non voleva
assolutamente concedersi alcuna pausa.
Arrivò al punto più alto del castello, dove era davvero
vicino a Kingdom Hearts... finalmente era arrivato... non vedeva l’ora.
Prese il suo congegno e lo azionò. Aveva bisogno di una
grande energia per attivarlo e molta di più perché funzionasse, fino ad ora era
riuscito solo ad attivarla, ma questo non era sufficiente: voleva di più.
Puntò verso il cuore e sparò. Un raggio di energia partì
dal mondo fino alla pistola che, in poco tempo, si attivò.
I cuori erano davvero potenti...
In una capsula posta al centro della macchina, iniziò a
comparire una nebbiolina oscura, che presto iniziò a compattarsi...
Poco alla volta, si formarono dodici persone dai
lineamenti sfocati e irriconoscibili ma che stavano lentamente prendendo
forma... per crearli serviva davvero una grande quantità di energia e Kingdom
Hearts sembrava iniziare a cedere.
- No, non adesso! –
pensò il nobody, preoccupato per l’ennesimo fallimento.
Le figure si facevano sempre più nitide...
Il mondo si stava rimpicciolendo...
- Si! – gridò il ragazzo quando furono del tutto
formati... - ora basta solo che li crei –
Salvò il lavoro svolto in una memoria situata all’interno
del macchinario.
Delle figure incappucciate apparvero davanti a lui,
trasparenti come fantasmi
-
L’organizzazione vive di nuovo! –
pensò il ragazzo.
Xemnas si stava togliendo il cappuccio quando accadde
qualche cosa di terribile: Kingdom Hearts esplose! Non potendo più reggere il
mondo aveva liberato tutti i cuori di cui era composto ed era sparito nel
nulla!
- È davvero un
peccato che non ci sia riuscito, ma ora ho i corpi, mi manca solo il carattere
e gli appunti di Ansem mi daranno un grande aiuto –
Il ragazzo tornò indietro, fino al computer, recuperò i
documenti lasciati e aprì un varco verso casa.
Al castello di Tritone tutti erano preoccupati.
- Ma dove sarà finito? – non faceva che ripetere Kairi
- Vedrai che starà bene... – la rassicurava Ariel, anche
se la voce era poco convinta
In quel clima di preoccupazione, nessuno badò ad
abbassare la voce, così Sora si svegliò.
Era ancora indolenzito, ma riusciva a muoversi... si alzò
e nuoto fino alla porta dove riusciva a distinguere le parole degli altri.
Nessuno si accorse di lui fin da quando, dopo aver
sentito il racconto che Tritone narrava a Sebastian egli gridò - Cosa è
successo? –
Il ragazzo non poteva assolutamente sopportare di perdere
l’amico.
Tutti rimasero a bocca aperta, non aspettandosi di
vederlo così presto poi, quando si furono ripresi, gli dissero di calmarsi
perché sarebbe andato tutto bene.
- Tutto bene un corno! – esclamò il ragazzo – Io vado a
cercarlo! –
Tritone gli bloccò la strada.
- Cosa credi di fare? Ti sei appena ripreso! –
- Non mi importa! – rispose Sora in tono quasi di sfida –
Io non abbandono gli amici! –
- E chi l’avrebbe fatto? È stato lui a voler rimanere... mi
ha detto di andare via! –
- Infatti non te ne faccio una colpa – ribatté in tono
pacato – Solo... voglio andare a cercarlo –
- Non se ne discute neanche! – disse Riku, appena
arrivato al castello – Scusate il ritardo ma ero stanco e la corrente mi ha
trascinato un po’ troppo in là... –
Detto ciò sorrise, poi si accasciò al suolo, spossato.
- Presto! – gridò Ariel
Subito Kairi e Tritone presero il ragazzo e lo portarono
su una parte rialzata dove potesse riposare.
Mentre un pesce dottore di nome Fidus visitava Riku, Sora
rimase in disparte, per poi chiedere notizie a Kairi.
- Come sta? –
- Bene direi: non è ferito in modo grave solo... molto
stanco –
- Bene, già ero preoccupato: non uscivate più da lì! –
- Fidus ha voluto fare molti controlli, tutto qui –
- Si, me ne rendo conto e lo ringrazio –
- Torneremo a casa quando Riku si sarà ripreso? –
- Direi proprio di si ma, nel frattempo, ti va di venire
a fare una nuotata con me? –
- Va bene, vado solo ad avvertire Ariel poi andiamo –
Cinque minuti dopo partirono. Tornarono solo nel tardo
pomeriggio e trovarono Riku che stava ancora riposando sul suo “letto”
- Ho la netta sensazione che dormiremo qui anche stanotte
– disse Sora
- E ti dispiace? – ribatté Kairi
- No affatto solo... non vorrei che i miei si preoccupassero
–
- Dubito, del resto tu non sei mai a casa! – disse lei,
ridacchiando
- Effettivamente... – rispose lui, grattandosi la testa e
scompigliandosi i capelli come faceva di solito quando era imbarazzato.
Entrambi scoppiarono in una fragorosa risata.
Continuarono a parlare del più e del meno fino a che, tempo dopo, non entrò
Ariel.
- Sera ragazzi... la cena è servita! –
- Cosa si mangia? – chiese Sora
- Pesce... – rispose la sirenetta
Con uno sguardo preoccupato, Sora chiese – Cucinato come?
–
- In che senso cucinato? – chiese la sirenetta, dubbiosa.
- Vorresti dire che voi il pesce lo mangiate crudo?!? –
chiese Sora con voce davvero preoccupata
- Ovvio... voi no? –
- Noi lo facciamo cuocere sul fuoco... – disse Kairi
prima che Sora divenisse scortese – Ma penso che lo potremo mangiare anche
così, vero Sora? –
- Certo... – rispose titubante il ragazzo
- Bene... che strana abitudine! Comunque, se volete
seguirmi, la sala da pranzo è di qua –
Durante il tragitto Sora si avvicinò a Kairi senza farsi
notare.
- Dobbiamo proprio? –
- Secondo te, dove lo accendi un fuoco quaggiù? –
- Si hai ragione... –
In quel momento Ariel si girò, ma Sora si era già
allontanato abbastanza, quindi la sirena non sospettò nulla.
La cena fu davvero ottima e anche Sora, che all’inizio
era alquanto perplesso, mangiò tutto senza più fiatare.
Riku si svegliò nella sua stanza che era notte fonda. Non
si sentiva stanco, solo molto confuso: doveva aver dormito tutto il giorno...
Provò ad alzarsi ma era troppo debole e il suo corpo si
rifiutò di muoversi. Amareggiato, il ragazzo si sdraiò e si addormentò pochi
minuti dopo.
La mattina seguente Sora e Kairi si svegliarono di buon
ora per andarevedere come stesse il
loro amico ma, con grande sorpresa, trovarono il letto vuoto.
Diedero l’allarme e la ricerca del ragazzo iniziò.
Dopo trenta estenuanti minuti di ricerca, lo trovarono in
cucina, intento a mangiare
- Buongiorno ragazzi! Complimenti per il cibo... è
davvero delizioso! –
- Come osi – strillò Kairi – Noi ti abbiamo cercato
dappertutto e tu eri qui ad abbuffarti! –
Era sull’orlo della lacrime.
Il ragazzo se ne accorse e soffocò la risata che gli
stava venendo naturale; la sua espressione divenne seria
- Mi dispiace... era presto e non credevo che sareste
venuti subito a cercarmi –
-Io lo perdono – si intromise Sora – Del resto... anche
io ho un certo appetito! –
Riku lo guardò riconoscente mentre Kairi rimase senza
parole.
Nella stanza scese un silenzio imbarazzante, che nessuno
trovava il coraggio di infrangere.
- Quando tornate a casa? – chiese Ariel, interrompendo
quel silenzio che stava dientando insopportabile.
- Non saprei... – disse Kairi – Riku? –
Gli occhi di tutti furono puntati sul ragazzo
- Mi spiace ma dovremo partire subito dopo colazione –
- Capisco... – disse la sirenetta
- Non preoccuparti, verremo di nuovo a trovarti! – la
rassicurò Sora.
I tre mangiarono con calma e, quando ebbero finito,
salutarono tutti, aprirono un varco e tornarono a casa.
Nel Mondo che non Esiste tutto era buio senza Kingdom Hearts.
Nulla rischiarava il castello.
Centinaia di heartless si erano radunati in quel luogo,
sempre di più...
Tutti con lo sguardo verso l’alto, tutti che guardavano
un punto dove l’oscurità si era fatta più fitta.
Attendevano.
Poi esplosero, tutti nello stesso istante.
Miliardi di cuori si levarono verso l’alto, tutti verso
quell’immenso buco nero.
Un cuore, pieno, completo, si formò nel cielo, immobile.
*****
Note dell’autore
Ciao a tutti!
Eccoci
arrivati alla fine di questo interminabile capitolo! Che ne dite?
Recensite
numerosi... anche per dirmi che non vi è piaciuto!
universo0:
grazie dei complimenti... troppo gentile come al solito!
Quando il ragazzo arrivò a casa, tutto era tranquillo.
Il suo computer era spento, così decise di accenderlo e
salvare i suoi nuovi dati... aveva molto da imparare.
Durante l’attesa, decise di mangiare. Il pasto fu
decisamente frugale, ma non era importante perché ai nobody non serviva
mangiare molto.
Non stava più nella pelle.
Bip... il computer aveva finito! Si incollò davanti allo
schermo.
Leggeva come un matto, studiava ogni minimo dettaglio
delle figure e imparava quali erano stati gli errori dei membri
dell’organizzazione, i loro punti deboli e quelli di forza...
Mancava un solo dettaglio: il numero XIII... Roxas.
Se le sue supposizioni erano giuste, quello che aveva
combattuto era solo una parte del vero Roxas; lui voleva che tornasse appieno
nell’organizzazione, doveva trovare il modo di separarlo da Sora.
Cercò la cartella che, casualmente, sembrava non esserci
da nessuna parte.
- Sarà nei cd... –
Controllò il primo... nulla.
Non ebbe più fortuna con il secondo ma, finalmente, sul
terzo trovò quello che cercava. Decise di salvare i file e, con grande
sorpresa, scoprì che c’erano già, proprio sotto ai suoi occhi... strano che non
li avesse visti.
Aprì la cartella. Una serie di immagini comparve in
anteprima... macchine, schizzi, appunti.
L’ultimo file era una sottocartella. Doppio clic... voleva
una password.
Gelato al sale marino... non successe nulla... la
password non era quella...
Organizzazione XIII... nulla...
Sora... niente...
- dubito che... –
Xeanorth... la cartella si aprì
- Chissà come mai
Ansem ha scelto come password proprio il nome del suo allievo... non importa...
quello che conta è leggere... nulla è più importante... –
La cartella conteneva gli appunti su anni di ricerche:
processi, metodi per velocizzare la rigenerazione di Sora, appunti sulla
memoria di Roxas.
Tutto molto interessante, ma nulla che potesse essergli
davvero utile.
Quasi per caso cliccò sulla parola “memoria”... si aprì
un collegamento ad un file nascosto.
- Furbo il
nostro amico; sono stato davvero fortunato –
La pagina era davvero fantastica... c’era tutto: come
togliere la memoria, riacquistarla, dare nuovi ricordi senza l’aiuto di Namine
e con sorpresa del ragazzo, anche come dividere Nobody da Somebody.
- Probabilmente
serviva se qualche cosa fosse andato storto... davvero sciocco a non cancellare
i dati... –
Passò tutta la sera a studiare.
La macchina era davvero molto complessa: servivano una
grande quantità di elementi, alcuni molto rari, che lui non aveva a
disposizione. In compenso aveva scoperto tutto sui meccanismi... Roxas si
sarebbe ricordato tutto: Sora, i suoi sentimenti riflessi... i Keyblade...
questa era la vera preoccupazione del ragazzo. Se quei Keyblade si fossero
rivelati troppo potenti, che cosa avrebbe fatto? Era davvero incredibile: per
una volta, non era sicuro di quello che stava facendo.
Era quasi patetico.
Per quanto riguardava gli altri membri, avrebbe sfruttato
due fattori: sarebbero resuscitati con il loro carattere, lui avrebbe solo
perfezionato le loro capacità, senza renderli troppo forti, solo più utili ai
suoi scopi.
Quello che più lo incuriosiva era Axel... davvero uno
strano personaggio: capace di uccidere solo per ottenere fiducia, capace di
complottare alle spalle di tutti, in segreto. Era davvero il numero uno, solo...
non forte quanto Xemnas; era davvero un rischio per lui, se fosse migliorato
avrebbe potuto essere un valido alleato oppure il peggior nemico, astuto e
prudente, capace di aspettare il momento più propizio e poi agire.
Quello che più incuriosiva il ragazzo era il legame che
si era creato tra Roxas e Axel... due grandi amici, cosa avevano di tanto
comune quei due? Secondo Axel, sia Roxas che Sora lo facevano sentire come se
avesse un cuore e forse aveva anche ragione... l’amicizia era alla base del
cuore di Sora ed era stato proprio grazie a questa che, quando molto tempo
prima Riku gli aveva sottratto il Keyblade, il ragazzo era riuscito a
riottenere la sua arma...
Il Keyblade è di chi ha un cuore davvero puro... strano
che anche Riku, nonostante tutto, ne avesse uno... ma non importava, del resto,
per lui era una fortuna.
Andò avanti a studiare tutta la sera fino a che, ad un
tratto, non si sentì stanchissimo e andò a dormire. Aveva bisogno di riposo...
l’indomani avrebbe iniziato a cercare i cristalli necessari per costruire la
macchina... davvero difficili da trovare.
La fortuna, però fu dalla sua parte: al Colosseo, ormai
rimesso a nuovo, era stata organizzata una coppa che, come premio, aveva
proprio una di quelle pietre... davvero provvidenziale. Il ragazzo sperò che le
cose continuassero ad andare bene per lui...
Si addormentò quasi subito ed ebbe un sonno abbastanza
tranquillo.
Il mattino seguente si alzò e fece colazione, poi aprì un
varco.
Quando ne uscì era sull’Olimpo e davanti a lui c’era un
tavolo per le iscrizioni.
Si registrò e attese, seduto in disparte daglialtri “eroi” che avrebbero partecipato.
Il torneo iniziò. Il suo turno venne quasi subito.
Era contro un ragazzo alto e muscoloso che utilizzava una
grossa spada come se fosse stata un fuscello.
Evocò il Keyblade.
Gong.
L’avversario si gettò all’attacco ma il ragazzo si spostò
leggermente di lato in modo che il colpo andasse contro il pavimento.
Prima che il ragazzo potesse sollevare l’arma che
miracolosamente non gli era scivolata dalle mani dopo l’impatto con il terreno,
si trovò con una lama appoggiata contro la gola.
Diedero la vittoria al nobody, che passò al secondo turno.
Gli altri incontri si susseguirono rapidi e interessanti,
ma nessuno era all’altezza del nobody.
La finale arrivò verso mezzogiorno.
I due avversari si presentarono sul ring e lo scontro
ebbe inizio.
L’avversario era un uomo gigantesco, sulla quarantina,
fisico possente ma agile...
L’uomo si lanciò all’attacco ma il ragazzo schivò il
colpo e contrattaccò.
La parata fu pronta, poi un affondo schivato.
Il duello durò qualche minuto poi, all’improvviso, il
ragazzo si levò in aria e lanciò una sfera di magia contro l’avversario.
Egli, che non era certo uno sprovveduto, alzò la sua
spada come difesa e parò anche questo ennesimo colpo.
Il nobody era furioso... non poteva certo usare tutti i
suoi poteri contro quella nullità!
Si lanciò all’attacco a testa bassa, caricando come un
toro.
Era esattamente quello che l’uomo aspettava; si spostò a
destra e calò un fendente micidiale.
Il ragazzo, accortosi dello sbaglio, decise di rischiare
il tutto per tutto. Continuò l’assalto e, quando l’uomo colpì, fece una
capriola sul filo della sua spada.
Ci rimise i capelli ma la spada dell’uomo era incastrata
a terra e questi non sarebbe riuscito a liberare la lama con tanta facilità.
L’uomo si rese conto che non sarebbe mai riuscito a
riprendere la sua arma così non ci provò nemmeno ma, sorprendendo tutti, si
gettò di lato.
- Che cosa pensi di fare disarmato? – chiese ridendo il
giovane.
- Chi ti dice che io sono disarmato? – replicò con voce
sicura l’uomo.
Estrasse dal fodero un’altra spada, fino a quel momento
invisibile.
Un lampo di rabbia comparve sul volto del ragazzo.
L’avversario attaccò ma non fu per niente rapido cosa che
stupì non poco il nobody
- Che si stia
stancando? – pensò, già sicuro
che la vittoria fosse nelle sue mani.
Si spostò leggermente di lato e attaccò.
L’uomo, molto esperto, scansò l’attacco e colpì l’arma
che aveva perso in precedenza, facendola saltare in aria e prendendola al
volo... ora combatteva con due lame.
Attaccò senza aspettare che il nobody reagisse e lo
scagliò a terra.
- Dannazione –
pensò il ragazzo – Devo reagire! –
Si alzò e si mise in posizione d’attacco; l’uomo proruppe
in una poderosa risata.
Il nobody attaccò con una velocità incredibile e nemmeno
il suo avversario vide che gli era arrivato alle spalle.
Colpì senza pietà, prima le gambe poi, dopo che l’avversario
non poté più reggersi in piedi, colpì ai polsi rompendogli le ossa... quel
poveraccio non avrebbe potuto più combattere per un bel po’.
Dopo un lungo silenzio, si diede la vittoria al ragazzo
che prese il premio e, senza degnare nessuno di una parola o ascoltare i
complimenti, se ne andò.
***
Note dell’autore: ecco a voi un nuovo capitolo... che ne dite? Sicuramente
più corto di quello precedente... cosa pensate del nobody? Ditemi... sono
curioso di sapere che cosa ne pensate! Al prossimo capitolo...
Topolino guardò Ansem. Erano andati a vedere il torneo e
ora erano perplessi: quel ragazzo era davvero formidabile ma non aveva mostrato
tutta la sua potenza, era ovvio... inoltre impugnava un Keyblade! Davvero
sorprendente.
- Cosa facciamo? – chiese il re
- Nulla, per il momento –
- Non vorrai lasciarlo andare via così! –
- Cosa pensi che dovremmo fare? Lui non ha fatto nulla
per cui possiamo dirgli qualche cosa! –
- Dunque? –
- Dunque – disse paziente il saggio – Ce ne torniamo
dritti a casa –
- Cosa? Ma sei matto? –
- No, amico mio... gli parleremo quando sarà il momento –
- Va bene – disse il re, rassegnato.
Aprirono un varco e se ne andarono.
Quando arrivarono al castello, trovarono Paperino e Pippo
alle prese con alcuni heartless ma, prima che potessero intervenire, la coppia
aveva già steso tutti gli avversari.
- Bravi, vedo che fate progressi – disse il re
- Noi... ci stiamo solo allenando un pochino! –
- E fate bene– intervenne il saggio – State facendo
enormi progressi! –
- Grazie, signore! –
- Cosa facciamo? – chiese il re quando si furono
allontanati dai due, intenti a chiacchierare pochi passi indietro.
- Innanzitutto, direi che noi dovremmo stare qui e
mandare Pippo e Paperino a cercare quel ragazzo nei vari mondi... – rispose
Ansem
- Perché loro? Non potremmo andare noi? Non me la sento
di mandare i ragazzi a compiere una missione tanto pericolosa... –
- Forse hai ragione, ma loro hanno stretto amicizia con
molte persone degli altri mondi e, di sicuro, otterrebbero molto più aiuto –
- Si, in effetti se la metti così sono d’accordo –
- Devo andare io ad avvisarli? – chiese il saggio,
comprendendo la riluttanza del re.
- No. È compito mio –
- Come preferisci –
Topolino si avviò verso i due.
- Ragazzi... devo affidarvi una missione... – iniziò
Topolino quando i due lo guardarono con aria interrogativa.
- Ci dica, siamo pronti! – risposero i due, felici del
fatto che il re facesse tanto affidamento su di loro.
- Dovete andare in giro per i mondi e cercare una
persona... –
- Chi sarebbe questo tizio? –
- È un nobody secondo noi... e può utilizzare il Keyblade
–
- Sembra davvero interessante! Sora può venire con noi? –
Topolino ci rifletté un lungo istante poi disse
- No, lo manderò assieme a Kairi su altri mondi. Mi
raccomando, quando lo troverete, non attaccatelo mai: limitatevi a informarmi
sul luogo in cui si trova –
Paperino e Pippo fecero una smorfia come per dire che non
erano d’accordo, poi annuirono di malavoglia... del resto Topolino rimaneva pur
sempre il oro re.
- Dunque... voi visiterete La terra dei Dragoni, Il monte
Olimpo, Agrabadh, l’Isola che non c’è e la Giungla Profonda. Dovrete cercare un
ragazzo abbastanza alto, capelli argento sfumati di azzurro, casacca come
quelli dell’organizzazione... –
- Ma è Riku! –
- No ragazzi, probabilmente è il suo nobody... quindi non
può che essere molto potente –
- Bene... dobbiamo muoverci subito Paperino – disse Pippo
– Il viaggio promette di essere molto lungo e prima arriviamo meglio sarà per
tutti noi –
- Sono molto orgoglioso di voi – disse il re – So che vi
farete onore. Ora andate –
I due non se lo fecero ripetere due volte e aprirono un
varco... la loro missione era iniziata.
- Bene – pensò
Topolino – Ora devo pensare a Kairi e
Sora... Riku mi spiace ma dovrà vigilare e basta... so che non sarà d’accordo
ma di sicuro gli altri otterranno molta più collaborazione rispetto a lui... ed
è ovvio che sia così... lui ha sempre agito in maniera eroica dietro alle
quinte e solo in pochi sono disposti a rendergliene merito... mi dispiace per
lui, ha delle enormi potenzialità. –
Un rumore di passi lo fece tornare alla realtà. Si voltò
e vide Ansem che si avvicinava...
- Dunque lascerai Riku da solo sull’isola? A me non
sembra proprio una buona idea... sai com’è quel ragazzo... –
- Si, ma che altro potrei fare? Non mi sembra il caso di
mandarlo da solo e con gli altri creerebbe diffidenza... –
- La ragazza no? –
- Con quel visino innocente non potrebbe mai crearne –
- Si, in effetti è così... –
- Cosa proponi per Riku? –
- Potremo mandarlo a combattere in ogni torneo... quel
ragazzo era interessato al premio... se non l’hai notato ha lasciato la coppa
vicino al secondo... ha in mente un piano e quella pietra mi ricorda qualche
cosa ma non ricordo con esattezza... –
- È una buona idea... solo... se fosse davvero il Nobody
di Riku? –
- Sarebbe il più pericoloso di tutti e, probabilmente,
solo il suo somebody potrebbe fermarlo... –
- Hai idea dei poteri che potrebbe avere? –
- Pensandoci... Roxas è nato grazie ad un Keyblade e
poteva controllarli... forse, visto che Riku ha ceduto il suo potere
all’oscurità... –
- Non voglio neanche considerare quell’opportunità –
sentenziò il re – Metterebbe tutti noi in gravissimo pericolo –
I due si recarono alla sala del trono. Lì trovarono
Minnie e Paperina e spiegarono loro che cosa stava succedendo; era giusto che,
una volta tanto, sapessero quello che stava succedendo. Quasi senza volerlo,
però, il re tacque loro riguardo i loro sospetti sulla natura del nobody... del
resto, dovevano ancora scoprirne le intenzioni.
- Vogliamo andare subito ad avvertire Sora, Riku e Kairi?
– chiese Ansem
- No, credo che sia il caso di dare loro un attimo di
riposo... del resto, hanno già lottato ad Atlantica... –
- Si, ma potrebbero iniziare in mondi dove gli Heartless
sono pochi, in modo da non dover combattere troppo... –
- In questi tempi, nessun mondo è più sicuro... –
- In effetti è così – ammise il saggio, dopo qualche
secondo di silenzio.
Così aspettarono l’indomani a mezzogiorno e poi, dopo
aver mangiato, aprirono un varco e vi entrarono.
Sora e Kairi erano insieme sulla spiaggia. Ormai era sera
e il sole stava tramontando. Sull’acqua i riflessi dorati creavano uno
spettacolo mozzafiato.
- Vorrei che questo momento non finisse mai – disse Sora.
- Sono d’accordo – sussurrò la ragazza che si strinse a
lui.
Ormai era almeno un’ora che erano lì ma nessuno dei due
aveva la minima intenzione di tornare a casa: le rispettive famiglie già si
immaginavano che i ragazzi sarebbero rimasti assieme fino a tardi.
Riku era in un altro punto della spiaggia e rifletteva
sui possibili motivi dell’aumento improvviso degli heartless.
Quale ne era la ragione? Più ci pensava, più sentiva la
risposta sfuggirgli dalle mani. I suoi amici, ovviamente, neanche se la
ponevano la domanda... erano troppo impegnati a pensare ad altro.
- In ogni caso,
forse una nuova avventura sarà molto utile a tutti... –
Si sdraiò guardando i cielo. Chiuse gli occhi e sentì
solo il rumore del mare e gli parve che le onde avrebbero portato via tutte le
sue preoccupazioni. Si addormentò lì senza che la cosa lo disturbasse
minimamente: era da tempo abituato a rimanere lì anche la notte e, di solito,
dormendo vicino al mare, riusciva a svegliarsi meno teso del sito e a pensare
meglio ai problemi, spesso trovandone la risposta.
Era ormai mezzanotte quando Sora e Kairi decisero di
lasciarsi.
Il mattino seguente presentò all’isola un cielo
azzurrissimo, privo di nuvole. Il sole era così caldo che i ragazzi si misero
gli abiti più leggeri che avevano. Passarono tutto il tempo a giocare a beach
volley e, stranamente, anche Riku si unì al gruppo, dimostrandosi un bravissimo
giocatore.
A mezzogiorno andarono al bar dell’isola dove mangiarono
un panino poi, non visti, tornarono alla spiaggia e impugnarono i Keyblade: era
ora dell’allenamento quotidiano. Riku aveva appena parato un colpo dall’alto di
Sora che un varco si aprì in mezzo a loro.
Ne uscirono il re ed Ansem.
Vennero accolti calorosamente e rimasero a guardare
l’allenamento, le chiacchiere sarebbero arrivate più tardi. Senza volerlo, si
allenarono per ben due ore senza mai fermarsi, poi i ragazzi si gettarono a
terra, sfiniti. Le armi scomparvero.
- Dunque – iniziò Riku con affanno – Di che cosa dovevate
parlarci? –
- Volevamo affidarvi una missione – disse Topolino con
voce seria – Sora e Kairi, voi dovrete esplorare alcuni mondi e cercare un
nobody. Egli sembra un ragazzo alto, viso aguzzo, occhi azzurri, capelli lunghi
fino alle spalle color blu argentato –
- Molto bene – dissero i due, in coro.
- E io? – si affrettò a chiedere Riku – Non vorrà per
caso tagliarmi fuori di nuovo!?! –
- Si... – disse Topolino – E no. Tu non andrai a cercare
nessuno. Dovrai svolgere un altro compito di cui poi parleremo in privato. Ora,
tornando agli altri, ho già mandato Pippo e Paperino su alcuni mondi quindi
direi che a voi restano Il Paese delle Meraviglie, le Terre del Branco, la
Città di Halloween, Crepuscopoli e Redient Garden. Mi raccomando siate
prudenti. –
- Può dirci qualche altro particolare del nobody che
dobbiamo cercare? –
- Può usare il Keyblade – rispose con tono asciutto
Ansem, sorprendendo tutti – Ed è molto bravo in questo. È un avversario
temibile. Come vi ha già detto il re, dovete stare molto attenti –
- Ma solo Roxas poteva usare il Keyblade! –
- A quanto pare no – decretò calmo Topolino – Lo abbiamo
visto con i nostri occhi... –
- Va bene, allora partiamo. Arrivederci. Ciao Riku! –
I due aprirono un varco e vi entrarono.
- Chi sarebbe quel nobody? Non mi dica che... – iniziò
Riku
- È esattamente quello che temiamo. Lo abbiamo visto
all’opera e temiamo che non abbia combattuto al massimo anzi, si sia limitato
molto. – rispose Topolino
- Dove ha combattuto? Voglio andarci subito! –
- E ci andrai, di questo puoi esserne certo solo, non
subito. Ha combattuto al Colosseo in un torneo in cui mettevano in palio una
pietra molto rara. Pensiamo che gli serva a qualche cosa... –
- Ma non sapete cosa ed è per questo che li mandate a
cercarlo... – lo anticipò il ragazzo.
Era davvero veloce quando si trattava di arrivare al
cuore del problema e Topolino, una volta in più, si stupì. Era davvero raro che
una persona così intelligente fosse anche un bravissimo combattente.
- Ora, il prossimo torneo sarà la prossima settimana.
Puoi scegliere se venire con noi al castello oppure stare qui. –
- Mi sembra ovvio che vengo con voi! Però voglio che vi alleniate
con me durante le attese –
- Come preferisci... – disse Ansem, che non vedeva l’ora
di mettersi alla prova con quel ragazzo.
Un sorriso soddisfatto comparve sul volto di Riku.
Finalmente aveva quella pietra. Era stato davvero un
colpo di fortuna poterla avere così facilmente. Ora aveva bisogno di una pietra
ardente e alcune schegge gelanti... poteva comprare dai moguri le steli
mithril, quindi quelle non erano un problema.
Decise di andare negli inferi dove si poteva trovare
tutto quello che gli occorreva. Aprì un varco e vi entrò.
Quando arrivò, era già sera, così decise di farsi
ospitare da Ade. Avrebbe iniziato il giorno seguente le ricerche; per il
momento, la cosa migliore da fare era riposare.
Davanti all’entrata della sala del dio degli inferi,
c’era Cerbero, con le sue tre teste intente a contendersi un boccone di carne
- È decisamente
l’essere più stupido e feroce che io abbia mai visto... penso proprio che dovrò
combattere... che noia –
Si avvicinò senza preoccuparsi di essere subito notato
dal cagnone.
Subitole teste si alzarono con aria minacciosa. Gli occhi
erano rossi come tizzoni ardenti.
Attaccarono tutte e tre assieme.
- Penoso – pensò
il ragazzo poi saltò in alto, schivando l’attacco.
La testa centrale spalancò le fauci, ma lui vi mise in
mezzo il Keyblade che la bloccò in quella scomodissima posizione. Tirò un
violentissimo calcio contro la testa, facendo attenzione a non essere colpito
dalle altre che, a quanto pareva, sentivano anch’esse il dolore provato
dall’altra.
Cerbero cadde ma si rialzò velocemente e provò a
sorprendere quello stupefacente avversario con un colpo della coda.
Il nobody si limitò a saltare poi, non soddisfatto,
richiamò il Keyblade e inchiodò la coda al suolo.
Cerbero gridò di dolore, poi scappò.
Dall’alto Ade applaudì.
- I miei complimenti, sei davvero sensazionale! –
- Cerco un luogo dove dormire – rispose asciutto il
ragazzo, abituato ad arrivare subito al punto.
Ade non aggiunse altro e lo condusse fino ad un
appartamento spartano dove un servo portò la cena verso le 20.00; l’alloggio
era meglio di quanto il ragazzo si aspettasse: era abituato a dormire sulla
nuda pietra e il letto, seppur molto scomodo, era sicuramente molto meglio.
- Farò meglio a non abituarmi troppo. Non posso
concedermi tutti questi comfort. –
Dopo aver formulato questo pensiero, si addormentò.
La mattina seguente il ragazzo si svegliò riposato e
pronto a intraprendere la ricerca.
- Buon giorno – lo salutò Ade quando si incrociarono –
Posso sapere come mai sei qui? –
- Ho bisogno di alcune schegge gelanti e una pietra
ardente – rispose asciutto il ragazzo
- Molto bene... si da il caso che io possegga quello che
cerchi –
Un lampo di interesse passò per gli occhi del ragazzo,
che si affrettò a nasconderlo, ma Ade l’aveva già notato.
Il dio dell’oltretomba continuò come se nulla fosse
- Penso che noi due potremmo avere un accordo –
- Dipende da che cosa vuoi in cambio –
- Ovviamente il prezzo deve essere equivalente... non
sono pietre che trovi come se niente fosse: sono rare e difficili da ottenere –
- Lo so. Dimmi che cosa vuoi ma non essere ridicolo e non
farmi richieste assurde –
- Va bene – disse i dio sogghignando – Voglio solo la testa
di Ercole su un piatto d’argento –
- Condita con olio e aceto magari? Mai, e questo lo
sapevi benissimo. Ercole lo posso battere, ma non in un torneo –
- Come preferisci... quindi forse queste – sulla sua mano
apparvero le pietre – forse non ti interessano più di tanto –
- Andrò a cercarle da solo –
- Ma bravo, e dove? –
- Qui. Nei tuoi corridoi ce ne sono alcuni giacimenti ben
nascosti –
- Certo, ma non ti permetterò mai di prenderli da lì –
- Prova a impedirmelo, se ne hai il coraggio... –
- Tu non puoi competere con me, soprattutto nel mio
mondo! –
Il ragazzo rimase in silenzio, aspettando la mossa
dell’avversario.
I capelli di Ade si trasformarono da blu intenso a rosso
fiammante - Io ti distruggo! – disse il dio con rabbia.
Il ragazzo si limitò ad evocare il suo Keyblade.
Ade attaccò velocemente e scaraventò il ragazzo contro la
parete.
- Tutto qui? – lo derise – A quanto pare sei forte solo a
parole... –
Il ragazzo sorrise e una leggera aura oscura avvolse il
suo corpo
- Con te, stolto, non devo frenarmi! –
Ade ebbe, per la prima volta in vita sua, paura. Quel
ragazzo aveva un potere illimitato e lui non avrebbe potuto fare nulla per
impedire la disfatta. Nessuna maledizione dell’oltretomba poteva proteggerlo e
i suoi colpi appena scalfivano le difese di quel mostro. Doveva assolutamente
salvare il suo onore, così decise che la cosa migliore era perdere ed essere al
limite distrutto dall’oscurità. Non era esattamente la fine che si era
aspettato anzi, a dire il vero, lui non i era mai aspettato una fine.
Fintò a destra ma il ragazzo non si mosse così lo colpì
con un pugno infuocato in pieno volto.
Il grido di gioia gli morì in gola quando vide, pochi
attimi dopo, che il nobody non si era fatto nulla: neanche un capello
bruciacchiato! Era inconcepibile che fosse tutto finito così.
La Keyblade venne calata inesorabilmente su di lui. Era
la fine. In un istante, rivide tutta la sua vita e le cattive azioni che aveva
commesso, i giochi di potere con la strega Malefica, l’oscurità che albergava
nel suo cuore era così pesante che quasi fu felice di non dover più pensare a
nulla... essere con coloro che un tempo erano stati suoi sudditi sarebbe stato
liberante, niente più pesi o responsabilità, nessun pensiero...
Ade si accorse, però, di essere incredibilmente attaccato
ala vita e, all’ultimo istante, si arrese. I suoi capelli tornarono blu e il
dio abbassò le braccia.
Il ragazzo rimase stupito e non capì quello che stava
accadendo. Se Ade avesse voluto tendergli una trappola, quello era il momento
buono ma, stranamente, non giocò sporco; forse qualche cosa era davvero
accaduta nel profondo del dio e ma lui non aveva ne tempo ne voglia di indagare.
Il nobody sogghignò soddisfatto e disse – Ora posso
andare a prendermi le mie pietre? –
- No, te le do qui io... non c’è bisogno che ti disturbi
a scavare –
Detto questo tirò fuori dalla tasca le pietre che, alla
luce del pozzo dei morti, luccicavano in modo strano, surreale, quasi
malignamente.
- Grazie e arrivederci – disse il ragazzo prima di creare
un varco oscuro e tornare verso casa.
Ade, invece, tornò al suo alloggio privato dove sarebbe
rimasto per giorniinteri senza vedere
mai nessuno; ovviamente, gli dei non hanno bisogno di mangiare in abbondanza e,
comunque, Ade pensava che il digiuno gli avrebbe fatto bene.
In quei giorni di isolamento meditò su ciò che doveva
fare. Non poteva certo gridare a tutto il mondo che era cambiato ma sentiva che
avrebbe dovuto parlarne con qualcuno che poi, discretamente, dicesse agli eroi
del suo cambiamento. Solo, non trovava la persona adatta: si vergognava troppo
per mandare uno dei suoi demoni e nessuno sarebbe mai sceso da lui se non vi
fosse stato costretto.
Avrebbe aspettato e, forse, sarebbe rimasto li per
sempre, cercando di isolarsi e nascondersi così da tutti i mali che, solo
allora, si rendeva conto di aver commesso.
Capitolo 19 *** Pericolo nella terra dei Dragoni ***
Capitolo 19: Pericolo nella Terra dei Dragoni
Pippo e Paperino arrivarono alla Terra dei Dragoni. Era
mezzogiorno e il sole era alto nel cielo ma di Mulan nessuna traccia.
- Ma dove sarà
finita? Abbiamo una voglia matta di vederla! – pensavano i due.
Il loro varco era apparso sulla Vetta dei Monti dove
nessuno avrebbe notato la loro presenza. Come al solito c’erano quattro o
cinque heartless che davano loro noia, ma vennero sconfitti dopo appena due
minuti di combattimento dai due inviati del re.
Pippo e Paperino si avviarono verso il villaggio dove ora
risiedeva Mulan perché la capitale, come diceva lei, era troppo affollata e non
le piaceva.
- Forse qui la troviamo – dissero ad alta voce i due ma,
quando furono abbastanza vicini, videro delle colonne di fumo salire dalle casa
nonostante fosse piena estate!
Il fumo era nero come la pece e i due, pochi metri più
avanti, iniziarono sentire odore di bruciato.
Corsero verso le abitazioni ma trovarono macerie ovunque
e le ultime parti in legno stavano bruciando creando un alone denso, quasi
palpabile.
- Ma cosa è successo qui? – chiese Paperino
- E che ne so io? – ribatté Pippo – Se invece di farci
domande senza risposta andassimo alla capitale, forse scopriremmo qualche cosa
–
Ogni loro passo li portava dentro quell’orribile
spettacolo: le case erano quasi del tutto crollate, vanificando anni di lavoro
degli abitanti della Terra dei Dragoni.
Quella desolazione li accompagnò fino all’accampamento e
oltre, lasciandoli letteralmente senza fiato. Le piante erano secche, orribilmente
contorte, alcune avevano ancora poche foglie anche se davano l’impressione che
sarebbero cadute da un momento all’altro.
Quando arrivarono alla capitale rimasero sbalorditi: la
gente si era barricata in casa, i negozi erano chiusi, mendicanti chiedevano
l’elemosina e i due diedero loro quasi tutti i munny messi da parte in quei
tempi.
Arrivarono al palazzo reale e lo trovarono pieno di
guardie che si rifiutarono di lascarli entrare
- Ma è una vera ingiustizia! Mi lamenterò con Mulan! –
disse Paperino.
- Chi si lamenterà con me? – chiese una voce femminile
alle sue spalle.
I due si voltarono.
- Paperino, Pippo! Che gioia rivedervi! Fate largo
guardie, questi sono amici fidati e possono andare liberamente dove vogliono –
Le guardie si spostarono di lato e la ragazza riprese –
Quando siete arrivati? –
- Giusto ora, per la verità. Ma che cosa succede qui,
ultimamente? –
- Siamo stati attaccati. Un enorme drago bianco ci ha
colti di sorpresa e noi non abbiamo potuto fare nulla per fermarlo –
- E ora? – chiesero curiosi i due, quasi
contemporaneamente
- Adesso – disse la ragazza dando una nota quasi
disperata alla parola – Regna incontrastato su tutto il territorio tranne che
la capitale –
- Possiamo fare qualche cosa? –
- Sarebbe fantastico ma dubito che voi... a proposito,
dov’è Sora? –
- Doveva partire per altri mondi con Kairi... ma forse
potremmo andare a cercarlo... due Keyblade saranno di certo più efficaci che
uno scudo e uno scettro –
- Molto bene. Vi ringrazio di cuore... senza di voi sarei
persa –
- Di nulla –
Detto questo i due partirono alla ricerca dell’amico,
aprendo un varco di luce.
Mulan si allontanò, diretta verso le difese della città.
- Speriamo che lo
trovino in fretta... non so quanto potremo resistere ancora –
I due arrivarono al castello Disney dove trovarono Riku
intento negli allenamenti. Non vedendoli, si limitò a puntare il Keyblade alla
gola di Pippo che, che si fece riconoscere gridandogli addosso.
- Ma ti sembra il modo di salutare i tuoi amici? Che
diavolo hai al posto del cervello, razza di imbranato? –
- Scusa – disse per l’ennesima volta il ragazzo – Ma
siete arrivati nel momento sbagliato e... –
- Ok... sai dov’è Sora? – chiese Pippo, cercando di
cambiare discorso.
- No, ormai è partito da un po’ di tempo –
- Peccato perché abbiamo decisamente bisogno di aiuto –
- Posso aiutarvi io –
- Davvero lo faresti? –
- Certo, basta avvisare il re –
Detto questo Riku si avviò, raccomandando ai due di
rimanere lì. Parlò con Topolino e, dopo aver insistito molto, ottenne la sua
approvazione. Partirono subito per il mondo di Mulan.
Arrivarono alla capitale che era già sera e la trovarono
in uno stato pietoso: le mura esterne ormai erano quasi perse e tutti i soldati
erano impegnati a combattere contro un immenso dragone bianco che in quel
momento stava scagliando lingue di fuoco contro i suoi avversari.
- Eccoci! – gridarono e iniziarono l’attacco
Paperino spense le fiamme con un getto d’acqua gelida. Il
drago si infuriò e si volse verso i nuovi venuti con un ruggito di sfida.
Scagliò una fiammata, prontamente parata da Pippo con il
suo scudo.
Riku, non visto, si portò alle spalle della bestia e attaccò
alla testa del bestione ma non fu abbastanza silenzioso, così venne colpito
dalla coda del gigante.
Si rialzò prima che quella potesse prenderlo e
stritolarlo e scansò lateralmente. La coda colpì a vuotosi schiantò contro il terreno.
Il drago ruggì per il dolore e attaccò con una fiammata.
Paperino, vedendo le fiamme avanzare, lanciò contro la
bestia un blocco di ghiaccio che si sciolse solo parzialmente contro la fiamma
e colpì sul petto il drago.
Riku lo prese per la coda, sperando di infastidirlo, ma
questo non lo degnò della minima attenzione, lanciando fiamme contro i soldati
che stavano arrivando.
- Grosso errore sottovalutarmi! – gridò Riku,
aggrappandosi agli spuntoni che crescevano sulla schiena del gigantesco animale
per arrivare sino al collo.
Il dragone spiccò il volo, andando sempre più in alto.
Faceva freddo.
Riku iniziò a tremare violentemente, le mani facevano
sempre più fatica a tenere saldamente la punta.
Paperino guardava impotente la scena. Non poteva aiutare
il custode del Keyblade finché il drago rimaneva a quell’altezza; li osservò in
silenzio, pronunciando una muta preghiera, poi oltrepassarono il denso strato
di nuvole che ricopriva quel mondo.
La luce del sole abbagliò Riku, che dovette trattenersi
dal portare le mani agli occhi.
Il drago ruggì, le fiamme sgorgavano dalle sue fauci, ma
lui sentiva solo un leggero formicolio.
Riku cercò di usare anche le gambe per tirarsi su, ma
esse non gli risposero.
- Sono spacciato – pensò
in un momento di lucidità, prima di cadere in una specie di trance in cui l’unica
cosa importante era tenere saldamente quella dannata punta.
Il drago riprese a salire, ma iniziava ad essere stanco. Un
leggero stato di brina comparve su tutto il suo corpo, ad eccezione delle ali,
che continuava a muovere furiosamente per prendere quota.
Volò verso quello che doveva essere il nord per un paio
di minuti poi, stremato, si abbandonò ad una corrente ascensionale, che lo
portò un paio di metri più in alto.
Il drago capì che non avrebbe resistito oltre.
Puntò la testa e iniziò a scendere verso la terra. La
corrente d’aria investì Riku, che sentì lo stomaco ribaltarsi in subbuglio. Aveva
la sensazione di avere il cuore in gola.
- Feeeeeeeeeeeeeeeeeeeeermo! –
gridò, più che altro per espellere tutta l’aria che aveva nei polmoni. Si sentì
subito meglio ma, dopo una decina di secondi in apnea, si accorse di non avere
più aria nei polmoni. Inspirò a fondo, ma questo lo portò ad avere un conato di
vomito.
- Dannazione! – pensò
mentre continuava a stringere spasmodicamente la punta.
Poi le mani scivolarono e lui iniziò a cadere liberamente.
Il drago sentì che qualche cosa era cambiato. Si sentiva
più leggero. Alla sua mente stanca ci volle una manciata di secondi prima di
capire quello che era successo.
Ruggì, vittorioso e una vampata di fuoco uscì dalle sue
labbra.
Riku non sentiva più nulla, nemmeno il vento contro i suo
corpo. Si stava lentamente abbandonando, poi vide la capitale.
Capì che quelli erano i suoi ultimi istanti di vita.
Chiuse gli occhi, aspettando l’impatto definitivo.
Paperino vide il corpo si Riku che cadeva, pochi metri
più a sinistra.
- Devo aiutarlo! – si
disse, ripassando mentalmente tutti gli incantesimi che conosceva.
- Non so che fare! – disse, quando non gli venne in mente
nulla per aiutare il ragazzo.
- Puoi fare in modo che il vento soffi alle mie spalle? –
chiese improvvisamente Pippo.
- Si, ma... –
- Fallo e basta! Non abbiamo più tempo! –
- Wind! – gridò Paperino e un vento fortissimo iniziò a
spirare dalla loro spalle.
Pippo lanciò il suo scudo e vi saltò sopra. Sfrecciò in
direzione d Riku, in vento che lo sospingeva...
- Più veloce, più
veloce! – si diceva, mentre Riku cadeva inesorabilmente.
Tre metri, il ragazzo era ad una spanna dalla sua testa.
- Ce la posso
fare... –
Pippo allungò le braccia.
Lo scudo, che era sollevato un metro da terra, si
schiantò quando subì anche il peso del ragazzo.
- Preso! – esclamò Pippo, prima di schiantarsi al suolo.
I due rotolarono per diversi metri prima di fermarsi.
Quando Paperino li raggiunse, erano coperti di lividi.
- Energia! – iniziò a dire il mago di corte, eliminando i
lividi più grossi.
In poco tempo, Paperino non aveva più energie, ma nessuno
degli altri due provava più il minimo dolore.
Il mago si accasciò al suolo, sfinito.
Un ruggito pervase l’aria, poi una colonna di fuoco si
abbatté sul terreno, a diversi metri da loro.
Il drago era tornato per finire quello che aveva
iniziato.
Riku fece un movimento della mano, nella quale comparve
la sua Keyblade, poi attaccò.
Un’enorme sfera oscura partì dalla punta della lama,
arrivando a sfiorare l’avversario, che si era scostato solo di pochi
millimetri, facendosi beffe dell’attacco avversario.
Quando la sfera gli fu vicina, però, delle scariche di
energia oscura simili a lampi si abbatterono su di lui, in particolare sulle
ali; quella più vicina venne squarciata da parte a parte, lasciando passare l’ariae non permettendogli più di volare.
Il drago atterrò malamente sulle zampe e tutto attorno a
lui si alzò un nuvolone di polvere.
Era appena fuori dalle mura della città.
Riku uscì di scatto, seguito a ruota da Pippo, mentre
Paperino era troppo stanco anche solo per rimettersi in piedi.
Il drago, quando li vide, lanciò loro un getto di fuoco.
Pippo si mise davanti al custode, riparandolo con il suo
scudo.
Riku scattò in avanti, poi con un balzo menò un fendente
verso il petto dell’avversario.
IL drago lo vide appena in tempo per scansarsi, ma la sua
immensa mole era troppo anche per lui, non riuscì a schivare del tutto l’arma
dell’avversario, che lo trafisse tra il collo e l’ala.
Il drago ruggì di dolore, poi lanciò un getto di fiamme
contro quell’odioso moscerino che osava attaccarlo. Gli aveva provocato più
dolore da solo che tutti gli uomini di quella insulsa terra messi insieme con
le loro patetiche armi.
Riku scansò di lato. Era stanco, ma il drago ancora di
più, e lo sapeva.
Scivolò tra le sue gambe, poi attaccò la pancia.
Un altro ruggito di dolore.
La coda del drago si mosse fulminea contro Riku, che non
ebbe il tempo di spostarsi e venne scaraventato a diversi metri di distanza.
Pippo lanciò il suo scudo contro la tasta del drago, che per
tutta risposta lo deviò con un movimento sprezzante.
- Devo tenerlo
occupato fino a che Riku non si riprende! –
La Keyblade del ragazzo era ancora incastrata nella
pancia del drago e gli causava continue fitte.
Il drago ruggì di nuovo.
Pippo tremò a quel verso, poi attaccò di nuovo, con il
solo risultato di infastidire l’avversario.
Riku, intanto, si stava rialzando a fatica. Con un
movimento della mano, richiamò la Keyblade.
Dall’addome del drago iniziò a colare sangue.
Riku si avvicinò cauto. Non aveva più molte energie.
Paperino, ripresosi, arrivò dietro ai due e scagliò un Thunder
contro il drago.
Il fulmine lo colpì in pieno, ma non ebbe più molto
effetto. Il drago doveva essere abituato a volare anche con il maltempo.
Riku fece per attaccare, quando dal drago si levò un
gemito sommesso e l’animale si accasciò al suolo, esausto e privo delle forze
che l’emorragia all’addome gli stava lentamente consumando.
Le guardie si avvicinarono cautamente e lo colpirono
piano con le armi, commentando su quanto pericoloso potesse essere rimanergli
vicino. Riku decise che era il caso di ucciderlo quando, nello stupore
generale, il drago si alzò e iniziò a parlare!
- Fermi! Vi prego, sono stato disonesto e brutale, ma non
voglio morire! Lascerò in pace questo luogo e me ne andrò sulla vetta, anche se
lassù è così freddo... – disse con voce spezzata.
- Senti... – disse Mulan – Se volessi, potresti rimanere
qui con noi in pace, ma devi aiutarci a ricostruire quello che hai distrutto –
disse la giovane con aria risoluta e un sorriso sulle labbra – Paperino,
potresti curare il suo taglio? –
Il mago la guardò come se fosse pazza, poi si affrettò ad
eseguire.
- Tu sei matta – disse qualcuno tra le guardie.
- Accetto - disse il drago, dopo che il mago ebbe curato
le sue ferite
Tutti rimasero sbalorditi dalla risposta del drago.
- Giura che non attaccherai mai più ne le nostre città ne
il nostro bestiame – disse Mulan, con tono solenne.
- Lo giuro – replicò il drago – E sappi che la parola
della mia razza significa un patto vincolante, che non prendiamo mai alla
leggera –
- Mi fido – disse la giovane, che poi si rivolse al
terzetto.
- Voi che cosa avete intenzione di fare ora? -
- Noi dovremmo tornare al nostro mondo - disse Riku – Ma
prima dobbiamo chiedervi una cosa –
Descrissero a Mulan il ragazzo ma quella negò di aver
visto un ragazzo simile mane avrebbe parlato con suo padre e, se avesse avuto
delle novità, avrebbe mandato Mushu ad avvisarli. Così Pippo e Paperino
ripartirono verso il nuovo mondo e verso nuove avventure.
Riku, invece, rimase ancora qualche minuto a contemplare
le bellezze della capitale, poi tornò al castello Disney.
Tutto era così piccolo e dovettero bere quella disgustosa
pozione che li rimpicciolì fino a che non furono talmente piccoli da poter
girare indisturbati per quel mondo. La porta, come al solito, era mezza
addormentata e si rifiutò di lasciar entrare i due nel tribunale della Regina
di Cuori.
Ella era la sovrana più strana che fosse mai esistita: i
suoi modi erano un vero problema, era permalosa e dettava le leggi come e
quando pareva a lei. Tutte le volte che ne aveva la necessità, faceva una legge
che le facesse comodo, che poi eliminava quando cessava la sua utilità.
- Ma che dobbiamo fare? – chiese Sora esasperato.
- Calmo... – ribatté Kairi – Qui è tutto così carino! –
- Carino!?! – esclamò il ragazzo – Qui è tutto una noia
mortale! Anche l’altra volta la porta era addormentata... e poi, non possiamo
trovare qualche cosa di meglio per rimpicciolirci? –
- Dai, non fare il difficile! Andiamo... –
I due giovani entrarono dalla porta laterale.
Sora fu invaso dai ricordi di quella starna avventura
vissuta molto tempo prima. Ancora ricordava quell’heartless a forma di clown
che tanto lo aveva fatto penare... storia passata, ora doveva concentrarsi sula
sua nuova missione.
Le guardie a forma di carta lo bloccarono con le loro
lance ma la voce di una bambina li raggiunse da dietro.
- Calma, ragazzi, sono amici. Possono passare –
Era Alice.
- Ciao! Che piacere rivederti! Capiti proprio al momento
giusto – disse Sora
- Il piacere è mio. Non finirò mai di ringraziarti per
avermi salvata da Malefica... e lei chi è? – replicò la bambina.
-Si chiama Kairi
–
- Piacere di conoscerti, Alice – disse la ragazza.
Alice li guardò per un istante poi chiese – Siete
fidanzati? –
I due arrossirono come peperoni e rimasero in silenzio,
imbarazzati.
- Direi di si – riprese la bambina con un sorriso – Ma
forse è meglio evitare l’argomento. Parlando d’altro, qui la regina è più
magnanima ora... hai davvero compiuto un miracolo, solo... –
Alice esitò.
- Qual è il problema ora? – chiese Sora che nel frattempo
si era ripreso
- Lo Stregatto – disse con riluttanza Alice – Si è
trasformato in un assassino. Ora non appena vede una carta, la distrugge e la
regina è sempre più arrabbiata... temo per la pace che si è instaurata qui... –
- Ci penseremo noi – disse Kairi, sorprendendo tutti per
la prontezza di quella risposta.
- Grazie – disse la bambina
I due ragazzi si allontanarono da Alice e si avviarono
verso il Bosco di Lato.
L’entrata di quel boschetto era davvero strana: due
alberi crescevano storti, curvandosi l’uno verso l’altro formando un arco e i
loro rami intrecciati creavano stupendi contrasti tra luce e ombra, che fecero
rabbrividire i due ragazzi che indugiarono a lungo su quello spettacolo per
qualche secondo, poi ripresero il cammino fino ad arrivare al centro di quella
piccola macchia d’alberi.
Lo Stregatto non si fece attendere e arrivò subito nella
sua consueta forma, con quel sorriso quasi odioso sempre stampato sulle labbra
e la testa che ogni tanto gli cadeva sulle mani; gli occhi, di un colore molto
vicino al marrone, erano profondi e penetranti e, se li si guardava bene,
davano l’illusione di sapere tutto ma non voler rivelare nulla che non fosse
strettamente necessario.
- Benvenuti. Vedo che Alice è già riuscita ad ingannarvi
– disse con quel suo modo sicuro e irritante. Era ovvio che si stesse prendendo
gioco di loro ma come capire quali erano le sue vere intenzioni? Aiutarli
sconfiggere la vera cattiva oppure portarli del tutto fuori strada?
Alice arrivò ma non disse nulla. Sora la avvicinò ma lei
decretò che erano loro a dover scegliere di chi fidarsi. Lei doveva solo attendere
sperare che la loro fosse la decisione giusta.
- Io credo a lei – disse Kairi. Qualche cosa
nell’atteggiamento della bambina la attirava a lei, come una calamita,
irresistibile.
Sora fu molto più titubante nella scelta. Il gatto era
sempre il solito mentre Alice era diversa, meno bambina e forse troppo brava
nel far credere che tutto fosse come l’ultima volta. Kairi la conosceva solo in
quel momento ed era naturale che avesse subito preso in simpatia la bambina.
- Non so cosa dire – disse infine Sora - Potreste mentire
entrambi –
- Cosa?!? – esclamò Kairi – Secondo te lei ha l’aria di
una che sta mentendo? – disse, sforzandosi di mantenere calma la voce,
indicando la bambina.
- Non ne sono sicuro, ma entrambi ci nascondono qualche
cosa, di questo sono certo –
- Davvero? A me sembra proprio di no invece! Io mi fido
di Alice –
- Mai fidarsi cecamente di una persona, esclusi sé stessi
– disse il gatto, con l’aria di saperla lunga
- Tu sta zitto! – esclamò la ragazza.
Kairi evocò il Keyblade. A quel punto Sora capì. La finta
Alice era riuscita a manipolare Kairi a tal punto che la ragazza avrebbe fatto
qualunque cosa le fosse stata chiesta. Il ragazzo non evocò la sua arma ma gli
artigli dello Stragatto erano già spuntati, pronti alla difesa.
- Visto? – disse in tono supplicante la bambina – Quel
gatto cattivo vuole aggredirmi, difendimi! –
Kairi si lanciò all’attacco, ma Sora le si parò davanti.
La ragazza si fermò.
- Non esitare, aiutami! – esclamò la bambina, ma
l’attenzione della ragazza era tutta per gli occhi di Sora e sentì a malapena
la supplica.
- Non fare stupidaggini – le disse il ragazzo guardandola
negli occhi, ma lei fuggì al suo sguardo.
- Io... – Kairi non fu capace di andare avanti. Una parte
di lei, nel profondo, le impediva di colpire quel ragazzo che si metteva
davanti al gatto. Non lo riconosceva più, ma nel suo aspetto, la sua voce, la
sua determinazione le erano così familiari...
Sora si avvicinò di un passo.
- Ma che sta
facendo? – si chiese Kairi – Perché
non lo posso colpire? –
Il ragazzo fece un altro passo nella sua direzione. Ormai
erano a meno di un passo, gli occhi dell’una a pochi centimetri da quelli
dell’altro.
- Kairi, guardami. Lo sai che quello che stai facendo è
sbagliato, vieni con me... –
Le prese la mano.
A quel contatto la sua mente si aprì e Kairi capì tutto:
gli inganni, le parole amichevoli, la finta ingenuità.
Si girò lentamente.
- Dov’è Alice – disse con una calma che era tutta
apparenza. Dentro di lei la rabbia montava furiosa, voleva uscire e la spingeva
a uccidere quell’essere che si spacciava per Alice.
L’espressione di Alice non era ne spaventata ne tanto
meno dubbiosa. Il suo volto era una maschera di ghiaccio, sulla quale non si
leggeva nessuna emozione.
- L’avete voluto voi – disse, la voce totalmente prima di
emozioni.
La bambina si trasformò. Iniziò a crescere fino ad
arrivare a due metri contro i loro venti centimetri. Il suo corpo iniziò a
contorcersi e divenne completamente nero, il simbolo degli heartless evidente
sul petto.
Il viso era sfigurato e ora assomigliava molto più a
quello di un serpente: era allungato, gli occhi distanti fra loro e una lingua
biforcuta usciva ogni tanto da una bocca che spesso lasciava scoperti denti
affilati.
Il resto del corpo manteneva sembianza quasi umane, con
fili simili a catene che scendevano dalle braccia e le gambe erano ricoperte di
scaglie.
I due ragazzi evocarono di nuovo i Keyblade e si
lanciarono all’attacco, ma subito il mostro li ricacciò indietro. Era troppo
grosso e potente e loro non potevano riprendere le loro dimensioni.
Sora corse verso l’avversario e saltò per evitare che il
braccio lo colpisse. Si appese ad una delle catene e iniziò ad arrampicarsi
mentre Kairi, capito il piano del ragazzo, distraeva il mostro colpendolo sulle
gambe.
Indisturbato, Sora arrivò all’altezza del petto e guardò
giù. Fu un grosso errore, perché fu preso da un colpo di vertigini. Si tenne
ben saldo alla corda, ma non riuscì a smettere di guardare il terreno. Poi vide
Kairi che combatteva allo stremo per dargli un po’ di tempo e si fece coraggio.
Riprese la scalata e salì ancora qualche centimetro e arrivò alla spalla.
L’heartless capì e cercò di scrollarsi il ragazzino di
dosso e iniziò a muoversi senza una direzione precisa.
Sora notò che non riusciva a portare le mani sulle
spalle, come se non avesse gomito.
- Ecco il tuo punto
debole, bruttissimo! – pensò il ragazzo che però stava perdendo
l’equilibrio.
Decise di giocarsi il tutto per tutto e piantò il
Keyblade in profondità nella carne, aggrappandosi poi ad esso con tutte le sue
forze.
Kairi, intanto, si era allontanata dall’heartless e
guardava impotente la scena. Sora aveva appena fatto una mossa molto rischiosa
e temeva che potesse pagare caro quell’azzardo. La parte della spalla dove il
Keyblade era affondato si staccò di netto. Sora non se l’aspettava di certo e
cadde rovinosamente. Il volo da quell’altezza gli sarebbe stato fatale e lui ne
era consapevole ma capì anche che ora il nemico doveva essere fermo. Richiamò
il Keyblade e prese la mira. Lo lanciò con tutta la forza che gli era rimasta
contro il simbolo impresso sul petto.
La Catena Regale trafisse il mostro da parte a parte, poi
usci e si conficcò nel muro.
Sora continuava la sua discesa, quasi come se il tempo si
fosse fermato e la sua caduta fosse destinata a continuare in eterno.
Tutto accadeva molto lentamente attorno a lui, ma il
ragazzo aveva una sola consapevolezza: era arrivata la fine.
Kairi rimase ferma, impotente di fronte alla caduta del
ragazzo.
Tutto si svolgeva così velocemente che solo dopo la
ragazza avrebbe capito che cosa era successo con esattezza.
Lo Stregatto si tolse la testa e la lanciò contro Sora
con una tale violenza che il ragazzo venne scagliato contro la un albero.
Arrivò esattamente sul nido d’uccello gigante e lì svenne,
circondato da uova grosse il doppio di lui. Kairi lo raggiunse, balzando su
alcuni funghi e poi sul ramo dell’albero, ma lo Stregatto le impedì di
svegliare il custode.
- È meglio lasciarlo riposare. Tu hai un altro compito:
devi trovare la vera Alice. È tenuta prigioniera in quella casa bizzarra laggiù
– disse indicando con la zampa un punto non troppo lontano.
- Vado – acconsentì la ragazza dopo essere scesa dal
nido. Si avviò e la strada le costò meno tempo del previsto.
Nella casa tutto era avvolto in un’oscurità perenne e
Kairi ne ebbe paura. Sentì un rumore di passi vicino a lei ma non riuscì a
distinguere nessuno.
Un brusio attirò la sua attenzione. Avanzò in quella
direzione e sbatté contro un muro. Lo seguì fino a quando toccò un anello in
metallo. Iniziò a tastarlo disperatamente, alla ricerca di una torcia.
- Ti prego, ti
prego... –
La toccò.
- Sì! –
Cercò di sfilarla dall’anello, me senza alcun risultato.
- Non importa... – si
disse.
- Fire! – disse, puntando la Key verso l’anello.
La accese senza esitazioni e allora ne scorse un’altra e
poi un’altra ancora. Le accese tutte e le ombre si rifugiarono in piccoli spazi
ristretti.
La stanza in cui si trovava aveva solo la porta da cui
era entrata la ragazza e una dal lato opposto.
Kairi entrò nella seconda stanza e la trovò molto ben
illuminata, più di prima. Apparve lo Stregatto, con quel suo solito sorrisetto
odioso.
- Qui la luce potrebbe alquanto confonderti... – disse
con fare enigmatico, poi sparì senza più proferire parola.
La stanza era piena di porte, alcune addirittura volanti.
Le aprì tutte, dalla prima all’ultima, ma trovò sempre vicoli ciechi.
- Dannazione! – disse fra se e se.
Pensò alle parole dello Stregatto ma non trovò alcuna risposta.
La luce non proveniva da lampade o torce, ma sembrava essere magica, e lei non
sarebbe mai riuscita e spegnerla.
Era a due passi da una porta che inciampò e cadde. Nella
caduta chiuse gli occhi, aspettandosi di sbattere contro il legno, ma arrivò
diretta al pavimento. Aprì gli occhi e vide di essere in mezzo alla porta: metà
corpo da una parte e il resto dall’altra.
Un incredibile senso di costrizione la avvolse,
attenagliandole lo stomaco.
- Non capisco –
pensò disperata – Non può essere! È come se
la porta fosse... –
Le venne l’illuminazione. Capì che le porte erano tutte
finzioni e non doveva spegnere la luce, ma non usarla nella sua ricerca,
tenendo gli occhi chiusi. Uno stratagemma davvero ingegnoso. Toccò la parete e
da lì percorse tutta la superficie della stanza ma niente. Le sue certezze
iniziarono a vacillare, poi un pensiero la la colpì – Forse la porta è collegata alla prossima
stanza per mezzo della magia e non tocca le pareti! –
La ragazza iniziò a perlustrare la stanza con gli occhi sempre
serrati, con sicurezza sempre maggiore. All’improvviso, le sue mani toccarono
qualche cosa di ruvido, diverso da tutto quello che aveva sentito prima di quel
momento nella stanza. Spinse e l’oggetto si spostò. Senza esitare, fece alcuni
passi avanti e sentì la magia avvolgerla e portarla in un altro luogo.
Era una stranissima sensazione, un calore che la
avvolgeva piacevolmente, senza però lasciarle alcuna scelta: non poteva
fermarsi, la magia la trascinava inesorabilmente. Quando sentì i piedi sul pavimento,
tenne gli occhi chiusi ancora qualche minuto, come se volesse essere certa di
dove fosse giunta. Poi li aprì e si trovò in uno sgabuzzino infido, piccolo e
maleodorante. In fondo c’era un lettino e su esso si scorgeva una figura esile.
Si avvicinò con cautela e scorse la bambina che stava
cercando, esile e molto magra, come che ha patito la fame per giorni.
La bambina guardò negli occhi la nuova venuta, ma non
ebbe la forza di dirle nulla, era troppo stanca.
Kairi le si avvicinò e le sussurrò parole rassicuranti
all’orecchio, poi la prese in braccio e ripercorse a ritroso le stanza, finché
non arrivò alla porta di legno, che stavolta era evidente contro la parete.
Nella stanza precedente, le porte erano scomparse,
lasciando solo l’uscita.
La porta che aveva attraversato era proprio al centro
della stanza.
Kairi sorrise.
- Così facile
eppure, se il gatto non mi avesse aiutata... –
Uscì in fretta. Nella prima stanza le luci erano ancora
accese e Kairi si diresse verso l’aria aperta, e quando attraversò la porta si
trovò di nuovo nel Bosco di Lato.
Il vento le accarezzava la pelle, una sensazione
piacevole, che le fece venire un brivido.
Sora si era appena svegliato. Si trovò davanti lo
Stregatto sorridente, calmo e tranquillo.
- La tua amica ha ritrovato Alice – disse senza
preamboli, stranamente senza indovinelli – So che trovi strana questa mia
chiarezza, ma ti sei appena svegliato e non voglio certo che parli male di me
alla regina. Mi dà sempre dei dolci così buoni –
Disse quell’ultima frase quasi a se stesso, quasi fosse
una semplice considerazione.
- Perché mi dici questo? – chiese curioso il ragazzo
- Ormai mi sono addolcito, senza più tutti quegli
heartless, non posso più essere enigmatico, perché non ci sono più enigmi! Ora
molti mi considerano solo un dolce gattino! –
- Un dolce
gattino – Sora pensò all’enormità di
quell’affermazione. Tutto stava cambiando e lui solo ora iniziava a capirlo.
Forse era vero che c’erano troppi buoni e niente cattivi. Doveva esserci un
certo equilibrio e la luce non doveva cercare di prevalere sull’ombra le due
dovevano compensarsi a vicenda.
- Pensieri davvero profondi – il gatto interruppe i suoi
pensieri in modo fin troppo brusco.
- Grazie di avermi distolto – replicò Sora.
- Volevo solo dirti che la tua ragazza sta tornando –
Sora arrossì di colpo, ma cercò di ricomporsi e, quando
Kairi arrivò sul nido, il colorito del ragazzo era tornato normale e lei non si
accorse di nulla. Teneva la mano ad una bambina che assomigliava moltissimo ad
Alice, ma Sora stentò a riconoscere la bambina timida che aveva incontrato
tempo prima. Era dimagrita e sembrava che non mangiasse da parecchi giorni.
Lo Stregatto le offrì un panino, che fece comparire dal
nulla.
- Chissà come fa...
– si chiese Sora, con un sorriso.
A giudicare dal suo appetito, il ragazzo immaginò che la
bambina avesse davvero digiunato, anche se, probabilmente, non per sua scelta.
La bambina era cambiata anche nel profondo: il gatto notò
subito che Alice non parlava e si era chiusa in se stessa. Qualche cosa non
andava ma non riusciva a capire che cosa. Forse non lo avrebbe capito mai e
questo pensiero lo metteva a disagio.
Cercò di avvicinarla, di farla ridere ma tutti i suoi
tentativi furono inutili. Lo Stregatto era davvero di malumore e anche il suo
tipico sorriso era svanito dalle labbra, anche se cercava di comportarsi come
se nulla fosse.
- Cosa credi che dovremmo fare? – chiese Sora poco tempo
dopo. Non sapeva bene a chi l’avesse chiesto, ma la voce della regina di cuori
lo raggiunse da dietro.
- Io e Alice, in questo periodo, ci siamo avvicinate
molto. Poi è cambiata e non ci siamo più parlate. Quando il coniglio è venuto a
raccontarmi dello scontro, mi sono liberata il prima possibile e mi sono
fiondata qui. A lei posso pensarci io. Voi dovreste andare. Se non mi sbaglio,
siete qui per un motivo, ma nessuno sa quale possa essere –
- Stiamo cercando una persona – disse Sora e descrisse il
nobody.
- Qui non c’è nessuno che corrisponda a quella persona,
ma emanerò subito un mandato di cattura e, se si farà vivo, manderò qualcuno ad
avvisarti –
- La tua offerta è molto gentile, ma forse è meglio che
mandi il tuo emissario al castello Disney dove troverà re Topolino. È meglio
che parli con lui. Per quanto riguarda Alice, sono d’accordo nel lasciarla alle
tue cure. Tornerò per assicurarmi che stia bene –
La regina si allontanò mentre il ragazzo rimase fermo, a
riflettere su quanto era successo.
Rimase in quella posizione per qualche minuto, poi Kairi
lo scosse dolcemente.
- Che cosa facciamo? –
- Ci ho già pensato io. La Regina di Cuori mi ha promesso
che si prenderà cura di lei. Noi abbiamo una missione, che di certo non finisce
ora –
La voce era sicura, ma la ragazza lesse nel suo sguardo
l’incertezza.
-Andiamo – disse, anche se con riluttanza – Ma prima
andiamo a salutare tutti –
Così fecero e, pochi minuti dopo, aprirono il varco.
- Arrivederci – disse loro Alice, che nel frattempo aveva
mangiato ancora trangugiando tutto con ingordigia.
La faccina sorridete della bambina fu l’ultima cosa che i
due ragazzi videro, poi la luce li avvolse completamente.
Note dell’autore
Chiedo scusa a tutti i lettori per la lentezza
prima di aggiungere questo nuovo capitolo...
Il ragazzo era tornato alla sua dimora. Si tolse il suo
cappuccio e i capelli fluenti uscirono, ribelli.
Accese il forno appoggiato sul tavolino, poi mise del
metallo. Usò i sui poteri e il calore aumentò, fondendo il pezzo e lasciandolo
in n contenitore. Sul suo viso iniziarono a scorrere gocce di sudore, che
vennero asciugate con la manica dell’abito nero.
Il nobody iniziò ad usare la magia per plasmare quel
liquido e ottenne un basamento perfetto.
- Ecco un altro
problema! Il metallo che serve per creare il macchinario è moltissimo e io non
posso certo comprarlo! Di certo non mi metterò a lavorare, ma forse posso
ottenerlo in altro modo... –
Finì di formulare quel pensiero che era già in strada e
correva verso l’officina più vicina. Lì costruivano spade e altre armi, e i
loro magazzini erano sempre molto ben forniti, esattamente quello che serviva a
lui. Si avvolse nell’oscurità in modo che nessuno lo vedesse e passò a fianco della
clientela, indisturbato. Il luogo era parecchio affollato.
- Bene – pensò
il ragazzo –Almeno non morirà di fame
dopo che gli avrò tolto quasi tutto il metallo che possiede... –
Passò dal retro e svoltò l’angolo. Si trovò faccia a
faccia con un enorme cane da guardia che, pur non vedendolo, iniziò a fiutare
nella sua direzione. Si spostò rapidamente, cercando di non fare nemmeno il
minimo rumore, per non dover essere obbligato a uccidere il cane. Provò pena
per quell’animale, obbligato a fare la guardia per un boccone o due di carne
per pasto. Provare sentimenti lo aveva sempre infastidito, era davvero
patetico, ma presto si sarebbe riunito con il suo somebody pur continuando a
controllare il suo corpo. Roxas era un fallito, per questo Sora aveva avuto il
sopravvento, ma tutto sarebbe cambiato. Avrebbe istruito la Chiave del Destino
e ne avrebbe fatto un suo fedele aiutante. Non gli avrebbe nascosto nulla, in
modo da ottenere con facilità la sua fiducia. Aveva già programmato tutto ed
era pronto ad ogni cosa per riportare in vita l’organizzazione.
Riprese a camminare e arrivò fino al magazzino dove trovò
enormi scatoloni. La quantità era davvero enorme e avrebbe avuto bisogno della
metà di tutta quella roba.
Creò un varco oscuro e vi spinse dentro tutte le casse
tranne una dozzina. L’uomo che lavorava lì non sarebbe stato del tutto scoperto
e doveva essergli grato per quello. Il ragazzo attraversò il varco richiudendolo
appena dopo il suo passaggio e arrivando così fino alla sua spartana dimora.
Iniziò subito a fondere e lavorare il metallo e, per finire la macchina, gli
occorse tutta la notte e metà del giorno seguente anche perché dovette
consultare molte volte le istruzioni: il progetto era davvero molto complesso.
Tutto ora era pronto: doveva solo riportare alla luce
Roxas. La parte più difficile arrivava adesso perché sconfiggere Sora non si
sarebbe certo rivelato un compito semplice, soprattutto dopo che si era fuso a
quel livello con il suo nobody.
Un dubbio gli balenò in mente: - E se la macchina non fosse adatta? Ansem aveva fatto calcoli solo per
un livello di fusione medio - basso, ma ora tutto era cambiato e lui non era
capace di ripetere i calcoli dello studioso, molto più in gamba di lui-
Quel giorno fu teso e la notte seguente si non addormentò
che alle cinque. Dormì a lungo, senza svegliarsi ma sognando vari scenari in
cui affrontava Sora e scopriva sempre che era nettamente inferiore al suo
avversario. Nonostante continuasse a gridare e sentisse i colpi sognati come
reali, non si svegliò che alle quattro del pomeriggio e la prima cosa che fece
fu dannarsi per essere rimasto addormentato per tutto quel tempo.
- E ora procediamo –
si disse il ragazzo dopo essersi ripreso – Andiamo
a cercare Sora e bando ai dubbi, la macchina funzionerà perfettamente e Roxas
sarà mio –
Pensò a dove potesse essere il ragazzo e provò nel luogo
più ovvio: l’Isola del Destino. Aprì un varco oscuro e vi entrò.
Quando raggiunse la destinazione, il cielo si stava già
scurendo, a causa della lontananza dei pianeti, infatti, questi ricevevano luce
in diversi momenti, quindi il nobody non si stupì troppo della differenza di
orario. Non si fermò a mangiare, ma si diresse alla spiaggia, dove incontrò
Wakka.
- Ciao, ho bisogno di un’informazione –
- Certo, spara – disse il ragazzo, senza preoccuparsi
minimamente del fatto che non conosceva il ragazzo che aveva di fronte.
- Sai dov’è Sora? –
- No, qui non lo vediamo da diverso tempo...e adesso che ci penso non si vedono più
neanche Riku e Kairi! Speriamo che quei tre disperati non abbiano intenzione di
passare nelle loro camere tutta l’estate! –
Wakka, ormai, stava parlando quasi da solo e il ragazzo
lo lasciò perdere. Decise che, per sicurezza, avrebbe controllato a casa di
Sora, ma era già sicuro che non sarebbe riuscito a trovarlo lì. Probabilmente
era partito con l’intento di trovarlo...
- Come è strano il
destino! – pensò fra se e se il ragazzo, mentre camminava. Prima che se ne
potesse accorgere, arrivò al luogo cercato.
Si riscosse e bussò. Il luogo gli dava dei ricordi
felici, che si affrettò a nascondere in un angolo della sua mente.
Alla porta si affacciò una donna sulla quarantina,
presumibilmente la madre di Sora.
- Possa aiutarti? –
- In effetti si... sto cercando Sora –
Il viso della donna si fece preoccupato – Mi spiace, ma è
partito per un lungo viaggio assieme ai suoi amici e tornerà solo fra molto
tempo... il fatto è che non mi ha mai mandato sue notizie, quindi non posso
neanche sapere se sta bene –
- Suo figlio è un ragazzo in gamba, signora. Sono
convinto che sta meglio di noi –
Un sorriso grato comparve sul volto della madre e il
nobody si allontanò, infuriato con se stesso per quella gentilezza non
richiesta. Era stato strano per lui. Quel gesto gli era stato naturale, come se
gli fosse arrivato dal profondo del cuore ma questo, ovviamente, era
impossibile: i nobody non hanno un cuore.
Sull’isola non Sora non c’era. Con questa convinzione, il
nobody si avviò vesso la spiaggia, riflettendo sul prossimo luogo dove sarebbe
dovuto andare. Il castello Disney era il più indicato, ma lì avrebbe trovato
Ansem e Topolino. Due Keyblade non erano certo da prendere sottogamba, anche se,
con i suoi poteri, alla fine avrebbe avuto la meglio. C’era anche la
possibilità che ci fosse anche un terzo avversario, Riku e a quel punto per lui
non ci sarebbe stata speranza. Erano pochissime le persone che potevano
contrastarlo, primo fra tutti Riku, il suo somebody. Il secondo era Sora, ma
con lui lo scontro non poteva essere evitato se voleva riportare in vita Roxas.
Era arrivato alla spiaggia, ma non se ne accorse, tanto
era intento nei suoi pensieri. Quando si accorse di essere rimasto davanti
all’acqua come un cretino per chissà quanto tempo, si riscosse, ma non se ne
andò. Si lasciò cullare dal suono delle onde fino ad addormentarsi, esattamente
come succedeva, di tanto in tanto, a Riku.
Il mattino si svegliò riposato e in forma, pronto a
riprendere la ricerca. Sarebbe andato a Redient Garden, dove forse Merlino o
Leon avrebbero potuto, inconsapevolmente, aiutarlo nella ricerca.
Aprì il varco oscuro con sicurezza ed energia, tanto che
ne creò uno di potenza doppia, rischioso ma molto più veloce. Quel giorno si
sentiva bene e pensava che tutto sarebbe andato per il verso giusto, quindi
entrò, incurante del pericolo.
Quando ne uscì non era esattamente dove avrebbe voluto.
Si trovava oltre la zona in costruzione e lì incontrò Sephiroth. Era strano, ma
quando uscì dal varco l’uomo era a due passi, quasi come se lo stesse
aspettando.
Si stupì che quel nobody potesse essere ancora lì dopo
che si era battuto prima con Sora e poi con Cloud tempo prima. Avrebbe dovuto
affrontarlo o si sarebbe alleato con quella potenza?
Al castello
Disney tutto procedeva per il meglio. Dopo il ritorno di Riku la vita non era
cambiata di una virgola e al ragazzo la situazione piaceva.
Gli allenamenti erano stabiliti a certi orari e per il resto
del tempo poteva fare quello che più voleva, senza che nessuno lo disturbasse.
Passava la maggior parte del tempo in biblioteca, a leggere testi di tutti i
generi, ma aveva una predilezione per quelli in cui erano descritte tecniche di
combattimento e piccoli accorgimenti che, come notava in allenamento, potevano
essere molto utili.
La settimana procedette senza alcun fatto particolarmente
strano e il giorno del torneo arrivò prima di quanto tutti si fossero
aspettati.
Riku si disse pronto e andò subito all’Olimpo, seguito a
ruota da Topolino. Una volta giunti a destinazione, il re si diedeun’occhiata intorno, ma non vide il ragazzo
che gli interessava, così informò Riku della mancanza.
- Non importa – rispose subito il ragazzo – Vorrà dire
che sarà solo un allenamento un po’ più intenso –
- Come preferisci. Il banco delle iscrizioni è laggiù. Io
qui non ho nulla da fare, quindi con il tuo permesso... –
- Certo Topolino, vai pure, qui li sistemo in quattro e
quattr’otto e ti raggiungo –
- Va bene, ma fai attenzione. Mai sottovalutare
l’avversario –
- Grazie del consiglio, lo terrò a mente. Ora vado, ciao
–
Detto questo il ragazzo si mise in coda per la
iscrizioni.
Il torneo iniziò verso mezzogiorno, ma gli incontri
preliminari furono molto rapidi, quindi si passò subito agli incontri
successivi.
Riku non volle strafare, quindi si limitò a far volare
lontano l’arma dell’avversario. Nessun colpo spettacolare o cose del genere,
quindi non ottenne molta approvazione dal pubblico, cosa che, ovviamente, non
gli interessava per niente.
I concorrenti erano molti e il ragazzo dovette attendere
molto prima di poter combattere di nuovo ma, alla fine, arrivò anche il suo
turno. Salì al centro del ring, evocò il Keyblade ma tenne l’arma abbassata,
aspettando l’avversario che arrivò con due minuti di ritardo.
- Scusa per l’attesa piccolo. Tanto non importa, dubito
che tu abbia fretta di essere distrutto –
- Il tuo atteggiamento impertinente potrebbe costarti
caro, amico –
Riku disse l’ultima parola con sarcasmo, prendendo in
giro l’avversario che cadde nella trappola. Quando il gong suonò, si gettò
all’attacco ma Riku era troppo veloce e, dopo essersi spostato lateralmente,
con un guizzo del polso fece volare la spada dell’avversario dall’altra parte
del ring.
- Il vincitore è... –
- Aspetti – disse Riku, ridacchiando – Forse il mio
avversario ha solo perso la concentrazione, lasciamo che riprenda la sua arma e
che dimostri a tutti quanto è forte! –
Riku guardò con aria strafottente il suo avversario che
andava con calma dall’altra parte del ring. Era un ragazzo sulla ventina, alto
e biondo, fisico atletico. Probabilmente il preferito delle ragazzine...
peccato che avesse incontrato un custode, sarebbe potuto arrivare molto più in
alto.
Riku gli lanciò il Keyblade a pochi centimetri di
distanza.
- Ma che diavolo fai? – chiese sorpreso il ragazzo
- Voglio solo mostrarti una cosa –
Il ragazzo guardò Riku di sasso mentre, con un brusco
movimento della mano, richiamava la sua arma.
- Io mi ritiro – disse, fra lo stupore generale – Non
sono un avversario degno per uno come lui –
- L’incontro è finito. Il vincitore è Riku! –
La voce di Ercole, commentatore eccezionale per quel
torneo, si fece sentire forte e chiara in ogni angolo dello stadio.
Gli incontri si susseguirono uno dopo l’altro con colpi
di scena e vittorie all’ultimo secondo, ma a Riku non importava nulla. Quello
era solo un allenamento un po’ più lungo e noioso in vista dello scontro con il
suo nobody. Forse si sarebbero anche ricongiunti, alla fine. Riku non sapeva se
quello era esattamente quello che voleva... lui voleva dipendere solo dalla
luce, mentre il suo nobody faceva parte dell’oscurità e non era convinto di
voler farsi carico di quella parte di se stesso. Si riscosse sentendosi
chiamare da Ercole. Doveva tornare sul ring per il suo terzo incontro. Si alzò
lentamente e iniziò a camminare verso il ring, senza fretta, aveva ancora
qualche minuto.
Salì che il suo avversario non era ancora arrivato e la
cosa lo fece arrabbiare non poco. Si costrinse a rimanere calmo quando il
giovane salì con l’aria da sbruffone.
Non stette neanche a vedere come era messo fisicamente o
osservarne i dettagli. Quando il gong suonò si catapultò contro l’avversario e,
prima che potesse fare qualche cosa, questi si trovò la lama puntata sulla
gola. L’incontro era durato poco ma il pubblico aveva gradito la schiettezza
del ragazzo, che ora iniziava a piacere ala gente.
Riku tornò ai propri pensieri. Oramai era arrivato alle
semifinali, un incontro abbastanza serio, finalmente. Non voleva vincere a
tutti i costi, del resto era solo un allenamento. Abbandono in fretta quei
pensieri, riflettendo poi su quanto potesse essere difficile battere il suo
nobody. Fino ad allora era stato abbastanza astratto come concetto, ma ora
stava diventando sempre più reale e il momento si avvicinava sempre più
- Sora saprebbe cosa
dire ora... –
Si stupì di quel pensiero, giunto così inatteso ma
naturale e si rese conto, per l’ennesima volta, di quanto fosse fortunato ad
avere un amico come Sora. Lui era un tipo così spontaneo, pensava in modo
pratico e si sarebbe gettato da un ponte per i suoi amici. Forse era fin troppo
legato a quelle emozioni che gli davano la forza di reagire e di continuare a
lottare... i suoi amici erano la sua forza, il motivo per andare avanti
nonostante le difficoltà, la certezza che, alla fine, sarebbero tornati tutti
insieme, amici come prima nonostante tutti i cambiamenti.
- E ora ecco l’incontro di semifinale che vede Riku
contro Pietro! –
Il nome del suo avversario non gli era nuovo, ma non
capiva dove lo avesse già sentito. Quando il suo avversario salì sul ring, lo
riconobbe: era l’aiutante di Malefica quando aveva creato quell’esercito di
heartless!
Quando Pietro vide il suo avversario e capì chi fosse,
rabbrividì. Da quando Malefica, all’insaputa di tutti, lo aveva cacciato dopo
la sconfitta del suo esercito di heartless, aveva provato a non combinare
casini: lavorava per guadagnarsi dei munny, faceva di tutto per non attirare
l’attenzione, ma la passione per la lotta gli era rimasta quindi, se era
libero, partecipava ai tornei del Monte Olimpo. Ebbe paura ma non lo diede a
vedere anzi, con coraggio tirò fuori la sua lama. Pietro era cambiato anche
nell’aspetto. Era dimagrito e presentava un fisico atletico anche se ancora si
poteva notare qualche chiletto di troppo sulla pancia. Il suo abbigliamento
stupì Riku: aveva un vestito rosso uguale a quello di Sora
- Come hai fatto ad ottenere quel vestito, e che
trucchetti speri di usare per battermi? –
- Immaginavo che non ti saresti fidato di me, amico di
Sora. Ma sappi che sono cambiato e questo abito l’ho acquistato dalle tre fate
alla torre del vecchio mago... –
- Non credo neanche ad una parola – disse Riku
seccamente, senza badare al fatto che l’incontro era già iniziato
- Penso che il modo migliore di dimostrartelo sia combattendo!
– ribatté Pietro mettendosi in posizione.
- Molto bene, comunque chiamami Riku la prossima volta –
Riku disse le ultime parole sarcasticamente, mettendosi a
sua volta in posizione.
- Arrivo! – avvertì Pietro prima di scagliarsi
all’attacco, senza troppa foga.
Il duello iniziò ma i due si stavano solo studiando.
Pietro non poté capire molto della tecnica dell’avversario, troppo in gamba per
mostrare le sue capacità sin dall’inizio. Riku, invece, ammirò la tecnica
pulita e i movimenti fluidi dell’avversario e si concentrò, pregustando
finalmente un incontro dego di uno come lui.
Pietro attaccò menando un fendente da destra, parato dal
Keyblade di Riku, poi si abbassò e puntò alle gambe, ma il ragazzo saltò e
sferrò un colpo dall’alto, senza però avere nessun effetto perché l’avversario
si spostò velocemente di lato, facendo in modo che l’arma si bloccasse a terra.
Riku, con un gesto atletico, saltò due metri indietro
poi, con un gesto della mano, richiamò la Keyblade.
Pietro rimase stupito ma non abbassò la guardia così,
quando Riku si lanciò contro di lui, parò l’affondo e fece uno sgambetto al
ragazzo che inciampò e cadde ma rotolò a lato e stavolta fu l’arma di Pietro a
incastrarsi nel ring ma l’uomo, con un secco strattone, la riprese. Nel
frattempo Riku si era alzato e correva verso Pietro. La situazione era
decisamente alla pari, ma nessuno dei due voleva ammetterlo e combattevano con
tutte le forze, convinti che il prossimo colpo sarebbe stato quello vincente. I
colpi di scena non mancarono ma, dopo mezz’ora di combattimento senza tregue,
entrambi erano stremati e sapevano che, al primo passo falso, si sarebbero
traditi, così perdendo l’incontro.
Si scagliarono nello stesso istante e le loro lame si
incontrarono di nuovo, sprizzando scintille tutto intorno. Entrambi avevano
vari graffi e ferite, di cui nessuna grave ma tutte molto dolorose; facevano
del loro meglio per non pensarci, ma risultava sempre più difficile ignorarle.
Si allontanarono di nuovo, esausti. Riku si pentì di non
aver mai voluto imparare qualche magia, ma era inutile piangere sul latte
versato, soprattutto in quel momento.
Pietro, invece, non pesò neanche per un momento di essere
disonesto; durante tutto quel combattimento era stato esemplare e, piuttosto
che barare, avrebbe preferito perdere con dignità, del resto Riku era al suo
livello e poteva vincere, doveva solo crederci.
Pietro si lanciò in un ennesimo attacco, subito imitato
da Riku. Si incrociarono di nuovo: nulla di fatto. Le lame restarono a contatto
in una prova di forza che li vedeva alla pari. Tutto era inutile e si resero
conto che avrebbe vinto quello che avrebbe resistito di più a quello strazio.
Riku attaccò di nuovo, ma Pietro era troppo stremato per
reagire. Quando vide che il suo avversario gli era addosso, reagì d’istinto
alzando la lama ma la difesa fu troppo debole e non riuscì a parare il colpo.
La sua spada gli cadde rovinosamente addosso e gli procurò uno squarcio sul
petto che non gli permetteva di respirare regolarmente.
- Medico sul ring! L’incontro è vinto da Riku! –
Riku rimase accanto a Pietro e gli fece pressione sulla
ferita in modo da iniziare a bloccare la fuoriuscita di sangue in attesa
dell’arrivo dei medici. Quando essi arrivarono, lo portarono al campo dove gli
fasciarono il petto e lo lasciarono a riposare, dopo aver utilizzato alcune
magie di guarigione.
Riku rimase a lungo al suo fianco e, quando si svegliò, gli
rivolse un lungo sorriso.
- Complimenti, ti sei battuto bene –
- Si, anche tu non sei male! –
I due risero insieme, poi Pietro tornò serio.
- Ora vai, devi assolutamente vincere questo torneo,
anche per me –
- Certo, ormai anche l’altra semifinale sarà finita e tra
qualche minuto ci sarà la finale! –
- Finalmente! Già si inizia a vedere il crepuscolo e io
inizio ad avere fame! –
- A chi lo dici! –
I due continuarono a scherzare per qualche momento, poi
Riku si allontanò per andare a controllare cosa succedeva sul ring. I due
stavano scendendo in quell’istante ed Ercole, dopo aver annunciato il
vincitore, decretò dici minuti di pausa per far riposare i finalisti.
Il tempo passò in fretta e Riku venne chiamato sul campo.
Il suo avversario era Cloud.
- E tu che ci fai qui? E Sephiroth che fine ha fatto?
Dopo tutta la fatica che hai fatto per sconfiggerlo non puoi essertelo fatto
scappare! –
- A dire il vero, ci eravamo riuniti, ma luce e ombra non
vogliono un equilibrio, come sarebbe giusto. Entrambe si vorrebbero dominare
l’una sul’altra e, alla fine, ci siamo separati di nuovo. Sono qui per
combatterlo nuovamente, magari si iscrive a qualche torneo... –
Un lungo silenzio seguì quelle parole, interrotta infine
dalla voce di Ercole che decretava iniziato l’incontro, dopo il gong.
I due si misero in posizione, sapendo che sarebbe stata
una grande battaglia, in tutti i sensi.
Claud attaccò per primo, mulinando la sua enorme spada.
Riku parò il colpo senza troppe difficoltà e rispose con delle tecniche da
manuale. Ovviamente fu prevedibile e Claud non ebbe difficoltà a parare o
schivare. Dopo cinque minuti di combattimento, i due come se si fossero messi d’accordo,
iniziarono a combattere seriamente. Riku aprì le danze con un velocissimo
fendente, Claud rispose con un affondo. Entrambi i colpi andaronosegno, lasciando ferite non molto gravi.
Riku si lanciò di peso sull’avversario ma questi schivò
l’attacco buttandosi di lato.
Claud cadde ma si rialzò subito e partì al contrattacco
sena esitazioni. Velocissimo, saltò alle spalle del suo avversario e lo colpì
alle gambe e Riku cadde, riuscendo in qualche modo a tenere stretta la sua
arma. Cloud attaccò, ma Riku rotolò di fianco schivando il colpo, per poi
rimettersi in piedi con un colpo di reni e partire all’attacco con un affondo.
Cloud parò con qualche difficoltà l’attacco, sbilanciandosi all’indietro. Il ragazzo,
notando lo scarso equilibrio dell’avversario, mantenne a contatto le lame e
spinse con tutto il suo peso. Cloud cadde a terra, prendendo una botta alla
spalla destra. Riku, cercando di evitare di cadergli addosso, si spinse in
avanti, riuscendo a fare una capriola sopra all’avversario e rialzandosi
velocemente. Anche Cloud non rimase a terra, rialzando si con l’aiuto della
spada. Entrambi avevano il fiato corto, ma non erano disposti a mollare. Cloud
attaccò, creando con la sua spada una parabola diretta alla testa di Riku. Il ragazzo
non provò nemmeno a parare il colpo, limitandosi a schivarlo con un veloce
spostamento all’indietro e, approfittando del fatto che la spada fosse molto
pesante, saltò verso l’avversario, il braccio teso per l’ennesimo affondo, che
colse Cloud senza difese. Il biondo venne colpito sulla spalla destra.
- Dannazione! – si
disse, portandosi la mano sulla ferita – Non
riesco a muovere il braccio! –
Ad un tratto Cloud sentì qualche cosa di gelido sulla
gola.
- Il vincitore è Riku! – annunciò la voce di Ercole.
Dalla folla partì un boato assordante e Riku alzò il
braccio, salutando tutte quelle persone.
Le premiazioni si conclusero verso le otto di sera e Riku
decise che sarebbe tornato subito al castello Disney.
Paperino e
Pippo arrivarono nell’oltretomba grazie al varco. Tutto era tranquillo e nessun
heartless li disturbò.
- Tutto questo
è molto strano – disse Paperino
- Sono d’accordo,
dobbiamo scoprire che cosa è cambiato. Questo mondo, ora, mi sembra così poco
spaventoso e di solito Ade fa di tutto perché sia il più pericoloso possibile!
–
Rimasero in
silenzio e si incamminarono verso la sala di Ade, dove avrebbero dovuto combattere
contro Cerbero per essere ammessi al cospetto del dio dei morti.
Quando
arrivarono lì, videro uno spettacolo davvero insolito: le anime del pozzo erano
in subbuglio, come se la catene che le tenevano ferme si fossero di colpo
indebolite ed esse sentissero di poter infestare il mondo dei vivi.
Si affrettarono
verso l’ingresso della sala dove, stranamente, non c’era il cane a tre teste.
- Ma che
succede? – chiese Paperino, guardandosi attorno. Nessuno gli diede risposta.
Entrarono con
circospezione e videro quello che non si sarebbero mai aspettati, neanche nel
più remoto dei sogni: Ade era seduto sul suo trono con n’aria da cane bastonato
e, tutto ad un tratto, la maledizione degli inferi li abbandonò.
- Che cosa
combini? – chiese subito Paperino.
- Non lo vedi?
Sono depresso! – rispose con aria rassegnata Ade.
- E come mai? –
chiese curioso Pippo.
Il dio narrò ai
due ragazzi del nobody e di come gli avesse dato una dura lezione. Non
tralasciò nulla e, alla fine, si sentì un po’ meglio, anche se non era affatto
disposto a tornare a compiere il suo compito.
- Ma tu non
puoi morire! – esclamò Paperino – Tu sei un dio! Il dio più cattivo di tutti,
che controlla i morti e vorrebbe in ogni modo sconfiggere Ercole! Non puoi
abbandonare tutto così! –
- In primo
luogo – disse con tono pacato Ade – Posso essere ucciso dall’oscurità. Inoltre,
non provo più alcun rancore nei confronti di Ercole. Ormai è acqua passata e
non ci voglio più pensare –
I due non
cedettero alle loro orecchie. Il dio era cambiato profondamente, ma questo non
aveva certo giovato all’Olimpo. Non faceva altro che piangersi addosso e
scappare da ogni pericolo; le persone che morivano erano prese in consegna dai
demoni che servivano il dio, ma ormai ne svolgevano tutte le mansioni. Tutto
era cambiato e l’Infernodromo, luogo dove avvenivano i grandi tornei dei morti,
era caduto in disuso. Nell’oltretomba tutto era in fase di decomposizione e, se
nessuno avesse fatto niente, le anime dei morti sarebbero tornate e avrebbero
tormentato i vivi per l’eternità.
Pippo e
Paperino corsero via da quel luogo ormai desolato e si avviarono verso il
Colosseo.Lì tutto sembrava normale,
nonostante sugli sguardi di tutti c’era un’aria triste e rassegnata.
- Ciao ragazzi!
– li salutò Ercole quando li vide.
- Ciao Erc! –
rispose Pippo – Ma non sai che cosa succede giù negli inferi? –
- Si,
purtroppo. Ma non abbiamo la più pallida idea su come far tornare Ade normale.
Qualcuno dovrebbe andare a parlare con mio padre, io non posso, ho scelto d
rimanere qui tempo fa… -
- Andiamo noi –
si offrirono i due, senza esitazioni.
- Sappiate che
è un luogo pericolosissimo – si intromise Fil – Nessuno di coloro che si è
avventurato in quella direzione è mai tornato –
- Vorrà dire
che saremo i primi – dissero loro con leggerezza.
- Bravi! È così
che voglio i miei cuccioli d’eroe! –
Poche ore dopo,
i due si misero in marcia verso il monte, luogo assolutamente vietato ai
mortali che, per arrivarci, avrebbero dovuto dimostrarsi degli eroi e superare
alcune sfide che gli dei avevano predisposto per loro.
Iniziarono la
scalata e tutto procedette nel migliore dei modi. Quando la salita divenne
troppo ripida per continuare a camminare, Paperino usò la magia e i due
volarono fino a quando non trovarono la cima, pianeggiante, lunghissima, i cui
contorni si perdevano all’orizzonte.
I due sapevano
che sarebbe stato solo l’inizio del viaggio, ma non potevano che essere
soddisfatti per la loro riuscita. Paperino, anche se non lo dava a vedere, era
decisamente provato per la magia compiuta e, molto presto, iniziò a non
riuscire più a tenere il passo dell’amico, così fu costretto a chiedere una
pausa, spiegando le sue ragioni.
Pippo
acconsentì anche perché iniziava a fare buio e non avrebbero potuto continuare
ad avanzare ancora per molto, dunque trovarono una radura e lì si accamparono.
Presero dei rami caduti e piccoli pezzi di legno, senza tagliare le piante in
nessun modo, in modo che gli dei non si infuriassero con loro.
La notte passò senza
incidenti, il fuoco acceso magicamente da Paperino tenne lontani i pochi
animali che abitavano quel luogo.
Si svegliarono
e mangiarono con le bacche e le radici commestibili che trovarono ai bordi
della radura, vicina ad un torrentello che, la sera pretendente, non avevano
notato, anche perché dall’acqua non proveniva alcun rumore.
Continuarono ad
andare avanti tutta la mattina e, alla fine, arrivarono ad un enorme stadio.
L’accesso era
delimitato da due colonne che svettavano verso il cielo, imponenti. L’intera
struttura sembrava d’oro tanto scintillava al sole. Capirono subito che
avrebbero dovuto combattere. Entrarono e seguirono il lungo corridoio, messi in
soggezione dall’enorme struttura. Era antichissima e ci si sarebbe potuti
perdere facilmente se, nella pietra, non fossero state incise le indicazioni
necessarie. Oltre ad esse, sulle mura e sul soffitto, erano raffigurate scene
di antiche storie, quali ad esempio una guerra ferocissima, un uomo-toro e
molte altre, ma i due non poterono capire nulla di quello che era raffigurato.
- Certo che questi dei pensano proprio a
tutto! – pensò Pippo.
Stava per
parlare delle sue osservazioni con il mago di corte quando Zeus in persona
apparve davanti a loro.
- Benvenuti, Pippo e Paperino. – disse con
voce autoritaria – La vostra sfida per parlare con noi inizia qui. Dovrete
fidarvi di voi stessi e del vostro compagno per procedere verso il nostro
mondo. Sappiate che, in caso di sconfitta morirete. Siete ancora in tempo per
ritirarvi. –
- Procediamo –
disse subito Paperino.
- Molto bene –
Il dio schioccò
le dita e i due si trovarono al centro di un’arena vuota.
Paperino guardò
perplesso il suo amico e, con sommo stupore, vide i suoi occhi vitrei! Gli
chiese che cosa gli fosse successo, ma non sentì ne la propria voce che
risposta dell’amico. Non ebbe il tempo di riflettere che un paio di heartless
comparì, attaccandoli. Pippo non si mosse, allungando le mani in avanti, come
per orientarsi.
- Paperino, Paperino… che succede? Non ci vedo nulla! –
Paperino non capì
e, con una magia, fece cadere due fulmini che distrussero gli avversari.
- Ma che
diavolo fai? – disse Paperino, che però solo in quel momento si accorse di non
potersi sentire! Iniziò ad urlare come un forsennato, ma era tutto inutile.
Mille domande gli affollarono la mente: non poteva parlare o non ci sentiva?
Come era successo?
Pippo, sentendo
le urla dell’amico, si girò verso di lui, con aria interrogativa. Solo a quel
punto Paperino, che si era girato al movimento, vide gli occhi dell’amico:
vitrei.
- Ma tu non ci
vedi! –
Pippo provò a
rispondere, ma Paperino lo fermò.
- Fermo, non ci
sento… fammi un cenno della testa…
-
Pippo annuì.
- Attento!
Dietro di te! –
Un heartless
era appena comparso e stava attaccando. Per puro riflesso, Pippo lanciò il suo
scudo contro il nemico e lo centrò in pieno, riprese la sua arma, ma nel
frattempo ne erano apparsi altri. Paperino lo difese con il fuoco, parlando a
Pippo di quello che faceva per tranquillizzare l’amico.
- Alla tua
destra! – disse Paperino e Pippo lanciò di nuovo il suo scudo che tornò come un
boomerang, dopo aver distrutto l’heartless.
Continuarono a
combattere e, alla fine, i nemici furono sconfitti del tutto. Dopo alcuni
attimi, le loro facoltà tornarono normali.
- Ci vedo! –
gridò Pippo.
- E io ti sento!
– ribatté Paperino – Ma abbiamo superato solo la prima prova. Ora dovremmo
cavarcela da soli –
- Non
capisco... –
- Zeus ci ha
detto che avremmo dovuto contare sull’altro e fin qui ci siamo riusciti, ma poi
ha aggiunto che avremmo dovuto cavarcela da soli quindi la prossima prova
dovremo separarci, non c’è altra spiegazione – spiegò Paperino all’amico.
Pippo si disse
d’accordo, anche se non gli piaceva affatto l’idea di dover combattere da solo.
Lui non era certo un guerriero e nulla avrebbe mai potuto cambiare questo
fatto.
Uscirono
dall’altra parte dello stadio e camminarono fino a sera, poi trovarono una
radura e si fermarono.
Gli dei fecero
loro un regalo per essere riusciti nella prima prova e fecero trovare loro un cesto
di vimini, pieno di frutti e radici commestibili.
I due decisero
di non mangiare tutto, ma avanzare qualche cosa per l’indomani.
Quella sera non
trovarono legno, quindi non accesero nessun fuoco e, quando riuscirono ad
addormentasi, passarono una notte davvero terribile: fredda e piena di incubi.
La mattina
seguente mangiarono di malavoglia, poi si avviarono verso la prova seguente.
Camminarono per
un paio d’ore, in silenzio, meditando su quello che avrebbero dovuto
affrontare. Dopo alcune ore di cammino, arrivarono ad una costruzione enorme,
antica come lo stadio. Essa iniziava con un corridoio che i due iniziarono a
percorrere. Quando entrò, Paperino sentì subito la presenza di una magia molto
potente.
Ne parlò con
Pippo, che gli rispose in malo modo. Era troppo agitato, l’idea di separarsi
dall’amico lo rendeva intrattabile, così Paperino lo lasciò da solo con i suoi
pensieri.
Con la morte
nel cuore, si raccomandarono a vicenda di stare attenti e si diedero
appuntamento dall’altra parte.
Paperino avanzò
di qualche passo nel lungo corridoio, poi si volse indietro. Cercò di ascoltare
il rumore dei passi del suo amico, ma l’unica cosa che sentì fu il silenzio. Le
pareti di quel luogo erano molto spesse e i rumori non passavano.
Riprese a
camminare, incerto, non sapendo se sarebbe riuscito a portare a termine la sua
prova.
Un heartless
sbucò all’improvviso dal soffitto e Paperino alzò lo scettro per difendersi.
Con un rapido gioco di polso, l’heartless gli sfilò dalle mani la sua arme e
Paperino rimase senza difese. Si guardò attorno e vide, in fondo alla stanza,
una teca, con una piccola spada. L’arma non era granché e, forse, non poteva
colpire gli heartless. Il dubbio si annidò nella mente di Paperino, che fece di
tutto per ignorarlo. Corse dall’altra parte della stanza e ruppe il vetro,
prendendo l’arma fra le mani.
La spada era
molto pesante, ma decorata finemente. L’elsa era corta ma comoda, lunghi fili
d’oro la percorrevano e formavano strani disegni, che a Paperino sembravano
simboli magici. Nonostante questo, quando Paperino provò ad evocare la magia
attraverso la spada, questa esplose in modo confuso perché l’oggetto, come
intuì il mago di corte, non era adatto a contenere ed invocare magie. I dubbi
riaffiorarono, ma non ebbe tempo per rifletterci: un gruppo ben nutrito
composto da shadow, soldati, e simili attaccò il mago, che tentò
disperatamente di non essere travolto dalla sua furia. Iniziò a lottare,
consapevole del fatto che la propria vita era in pericolo, ma tuttisuoi attacchi andarono a vuoto.
I suoi peggiori
timori erano diventati realtà: nessuno dei suoi colpi andava a segno. Si
credette spacciato, poi gli venne in mente la promessa fatta a Pippo e la
fiducia riposta in lui dal re. Capì in quell’istante che non poteva mollare.
Evocò la sua magia attraverso la spada e si concentrò al massimo, dimenticando
tutti i dubbi che gli erano venuti pochi minuti prima.
Essa rispose in
modo lento, come se si svegliasse da un lungo sonno, e proruppe con una grande
esplosione che distrusse tutto.
Paperino capì
che non poteva uscire indenne dalla magia che aveva evocato. Doveva
assolutamente contenerla, quindi concentrò tutti i suoi ultimi sforzi nel
creare una barriera protettiva. La magia, questa volta, rispose.
L’arma era
magica, ma era rimasta come addormentata troppo a lungo e, per funzionare,
aveva bisogno di una grande fiducia.
Paperino svenne
ma in mano, al posto della spada, aveva di nuovo il suo scettro.
***
Pippo camminò
tranquillamente, come se non avesse paura della sfida che lo attendeva. In
realtà faceva di tutto per non pensarci e, in quel momento, ricordava i momenti
trascorsi assieme a Sora, le loro avventure. Le ripercorse tutte e fu come se,
a poco a poco, tutta la determinazione di Soradiventasse sua
e procedette con passo sempre più sicuro verso quello che lo aspettava. Arrivò in una
stanza enorme: le pareti si innalzavano ameno per venti metri, ma il soffitto
era fatto di specchi e dava la sensazione che il posto fosse molto più grande.
Un heartless mostruoso lo attaccò all’improvviso, rapido
e mortale. Era simile ad un soldato, ma almeno grosso il doppio e solo a
guardarlo venivano i brividi.
A Pippo sembrò che si fosse staccato dal muro stesso e,
per istinto, alzò il suo scudo per ripararsi. L’arma si frantumò, ma respinse
il colpo e, spezzandosi, produsse un’onda d’urto che distrusse l’heartless.
Pippo era disperato. Il suo amato scudo, l’arma che lo
aveva accompagnato per tanti viaggi, era andata perduta.
- Come farò ora? – si
chiese.
Poi pensò a Sora, anni addietro, quando era nella
Fortezza Oscura di Malefica. Ai tempi lui aveva perso la sua arma, ma poi aveva
trovato il coraggio di andare avanti.
- Posso farcela! – si
disse, gettando a terra i pezzi del suo scudo. Si guardò attorno, cercando
qualche cosa con cui difendersi, ma non c’era nulla di adatto.
Solo dopo aver osservato la stanza in lungo e in largo,
vide uno strano luccichio.
Si avvicinò a quella che si rivelò una teca contenete uno
scettro simile a quello di Paperino.
La prese in mano e lo soppesò. Era un’arma davvero
perfetta, totalmente bilanciata, ma stranamente sembrava nel posto sbagliato
fra le sue mani.
Non ebbe il tempo di pensare a quella sua difficoltà nel
maneggiare l’arma, perché due shadow
gli si pararono davanti e lui cercò di colpirli. Senza successo purtroppo.
I nemici schivavano tutti i suoi colpi o forse, come si
trovò a pensare, era l’arma che si rifiutava di colpire quei mostri.
Pensò a Paperino. Lui avrebbe potuto evocare la magia ma
l’amico non c’era, dunque avrebbe dovuto cavarsela da solo.
Attaccò, pensando che se avesse vinto avrebbe potuto
rivedere l’amico. Ci mise tutta la foga che possedeva ed ogni colpo era
perfetto, ma all’ultimo secondo lo scettro deviava e sbatteva contro il
pavimento.
- Maledizione! –
pensò Pippo – Devo assolutamente trovare
il modo di batterli! –
All’improvviso si trovò catapultato nel passato, quando
era ancora al castello con Topolino e tutti i suoi amici. I mondi, a quel
tempo, erano felici e tutto procedeva in modo magnifico. Paperino, ai tempi,
sosteneva che un buon capo della guardia avrebbe dovuto capire almeno le
fondamenta della magia e il re si disse d’accordo. Pippo iniziò un
addestramento magico, mai portato a termine e fino a quel momento, non aveva
mai sfruttato le doti acquisite. Tutto d’un tratto seppe esattamente cosa fare.
Evocò la magia, che rispose lentamente, richiamata dopo un lungo periodo e
resistente al suo richiamo. Ma Pippo era troppo determinato e rinnovò il
richiamo con tutte le sue energie e, questa volta, la magia arrivò e uscì dallo
scettro sottoforma di un grande fioco che avvolse ogni cosa che incontrò e la
incenerì.
Gli heartless si moltiplicarono, ma vennero distrutti
ogni volta. Pippo sentiva di essere invincibile e si abbandonò nel potere che
la magia gli conferiva e non ebbe nessuna pietà, distruggendoli anche mentre
scappavano.
Il capo della guardia barcollò ma non cedette. Si stava
rendendo conto di quello che aveva commesso solo in quel momento, e non
riusciva a perdonarsi. Si era lasciato andare e rischiava di non riuscire più a
smettere, tanto era il desiderio di continuare a falciare gli avversari con
fasci di magia.
- Basta! – si
disse, con una forza che lo sorprese, derivata dalla disperazione.
Lo scettro gli scomparve dalla mano e lui non riuscì a
reprimere un senso di tristezza che lo invase.
Davanti a lui comparve il suo vecchio scudo e lo scettro.
Era davanti a una scelta terribile: un potere immenso o la sua vecchia vita?
La scelta era durissima e alla fine prese lo scettro.
Era così perfetto, pareva dare la certezza di un potere
immenso, gloria e rispetto. Gli sussurrò parole suadenti e gli insinuò in testa
che sarebbe potuto diventare lui il re, con esso.
Strinse l’arma con forza, poi la rimise a posto. Il suo
vecchio scudo gli dava la possibilità di essere ancora autonomo, ma debole e
insignificante rispetto a Riku, Kairi, Sora o il re stesso.
La sua mano si protese di novo verso lo scettro e solo
allora gli balenò in mente l’immagine del suo amico, in difficoltà e si vide
spezzare gli incantesimi e andare a salvarlo. Poi pensò all’indole dell’amico e
a come avrebbe reagito.
- Nessuno ti ha
chiesto di aiutarmi, non hai sentito Zeus? Devo cavarmela da solo, e tu mi
togli la mia possibilità. Non ti voglio più vedere! –
Sentì la voce dell’amico dentro di se e capì che la
scelta che stava facendo era sbagliata. Prese lo scettro e lo strine forte poi,
con un colpo secco, lo spezzò e questo scomparve. Prese in mano il suo scudo e
continuò a sentirlo diverso.
Lo esaminò d cima a fondo, ma non trovò neanche un
particolare fuori posto. Era di nuovo suo e stavolta nessuno lo avrebbe più
aggirato in quel modo.
- Grazie, dei
dell’Olimpo – pensò, prima di allontanarsi da quel luogo, che così tanto
gli aveva ricordato.
Seguì il corridoio e arrivò all’uscita. Si trovava in una
radura nel bel mezzo del bosco, ma del suo amico nessuna traccia.
Decise che lo avrebbe aspettato e avrebbero dormito lì.
Cercò della legna da ardere, ma trovò solo qualche ramo secco e si dovette
accontentare di quel piccolo risultato. Andò alla ricerca di qualche cosa di
commestibile ed ebbe più fortuna: in quel luogo crescevano molte piante da
frutta e radici commestibile e riempì una borsa improvvisata che si era
costruito con delle foglie giganti e delle corde che si era portato per il
viaggio.
Tornò alla radura e si sedette vicino ad un grosso cedro.
In pochi minuti si addormentò tanto profondamente che neanche uno dei cannoni
di Port Royal avrebbe potuto svegliarlo.
***
Paperino si svegliò.
- Per quanto tempo avrò
dormito? – si domandò subito.
Sarebbe stato impossibile saperlo, la stanza dove si
trovava era del tutto chiusa, solo delle lanterne appese al soffitto la
illuminavano debolmente.
Si avviò verso l’uscita, stringendo il suo scettro più
forte che poteva, come se avesse paura di perderlo di nuovo.
Quando arrivò all’uscita scoprì che era notte fonda e si
chiese se Pippo lo stesse già aspettando. Con stupore notò il compagno che
dormiva vicino al fuoco, appoggiato ad un albero.
Si avvicinò e vide che il suo amico era ferito. Invocò la
magia per curarlo, ma senza alcun risultato. Dubbioso, iniziò a sondarle con la
magia, ma essa non funzionava. C’era una sola spiegazione logica, ma era
davvero impossibile: Pippo avrebbe dovuto usare una magia molto potente senza
essere pronto e aver utilizzato anche il proprio corpo come catalizzatore.
Paperino non volle svegliare l’amico e, così si accoccolò
vicino al fuoco e si addormentò.
***
Era una splendida mattinata e i due amici si svegliarono
con il canto degli uccelli. Non c’era neanche una nuvola in cielo e farfalle
multicolori tappezzavano il prato e lo rendevano uno spettacolo mozzafiato.
Paperino si svegliò per primo e, con un sonoro sbadiglio,
salutò quella splendida giornata.
Pippo si alzò pochi minuti dopo e salutò allegro l’amico.
- Buon giorno! Quando sei arrivato? –
- Ieri notte, non so a che ora –
- Molto bene. Hai notato cosa c’è là? – disse indicando
un punto in lontananza
- Ma quella è... – Paperino non riuscì a finire la frase
tanto era incredulo
- Giusto, quella è la vetta del Monte Olimpo, dove
finalmente potremo parlare agli dei –
- Speriamo che ci aiutino –
- Con tutta la strada che abbiamo fato, vorrei anche
vedere! –
Tutti e due risero di gusto, poi fecero colazione. Si
avviarono verso la vetta e, dopo qualche miglio, arrivarono a destinazione.
Le case degli dei erano stupende, semplici ma allo stesso
tempo ricche ed eleganti.
Gli dei erano molto indaffarati e solo Zeus andò ad
accoglierli per condurli nella propria dimora.
La casa del padre degli dei era molto distante dalle
altre ma anche molto più grande e lussuosa. Le mura erano fatte d’oro e aveva
un giardino immenso, con piscina e grosso prato, dove c’era la stalla di
Pegaso, il cavallo alato di Ercole.
All’interno la casa era tappezzata di arazzi disegni
rappresentanti le prodezze di Zeus ed Ercole, suo figlio. Degli altri dei era
possibile vedere solo Era, moglie di Zeus e unica che riusciva a tenere a bada
il marito.
Il dio li condusse attraverso i vari corridoi, in quello
che si sarebbe potuto definire un vero e proprio labirinto.
Arrivarono infine ad una sala delle udienze dove c’erano
due sedie già posizionate davanti ad un trono alto cinque metri, d’oro e strani
disegni argentei. Le sedie, al contrario, erano in legno, senza alcun disegno e
parevano essere state messe lì apposta per far sentire in imbarazzo chi vi
sedesse.
Zeus si sedette sul trono indicando ai due le sedie.
Negli occhi di Paperino comparve una strana luce, che scomparve immediatamente,
sostituita da un’espressione cordiale.
Il padre degli dei sorrise si presentò loro, anche se non
ce n’era alcun bisogno.
- Che cosa vi spinge qui? –
- Dobbiamo chiedere il vostro aiuto –
- Faremo il possibile per coloro che sono arrivati fin
qui. Cosa volete: gloria, ricchezza, potere? –
- Le vostre offerte sono molto generose, ma dobbiamo
chiedervi un favore di tutt’altro tipo –
- Non esitate dunque – disse il padre degli dei,
amichevole – Sono qui apposta –
- Vede, il problema riguarda l’oltretomba –
- Non capisco, non vorrete forse che io resusciti un
morto?!? –
I due raccontarono tutta la loro storia mentre Zeus
ascoltava senza mai interromperli, con fare sempre più preoccupato.
- Dunque vorremmo che ci aiutaste a far tornare Ade come
prima, in modo che il mondo torni di nuovo ad essere sicuro – concluse
Paperino.
Zeus rimase in silenzio per lunghi istanti, pensieroso,
poi congedò gli ospiti senza dare loro alcuna risposta. Chiamò le ancelle che
accompagnarono i due alle stanza degli ospiti.
Paperino e Pippo rimasero in camera per molto tempo.
Fecero un bagno e mangiarono quello che le ancelle portarono loro, poi attesero
finché non fu chiaro che quel giorno non avrebbero più visto il dio. Si stesero
su morbidi letti, con lenzuola di seta morbidissima e un materasso così morbido
da adattarsi alle pieghe del corpo, diventando comodissimo. Quella note
dormirono come mai in vita loro, poi si svegliarono, freschi e pronti a
iniziare una nuova giornata. I due fecero un altro bagno, approfittando del
momento, consapevoli che non ne avrebbero fatto più neanche uno tanto lungo e
confortevole per almeno una settimana.
Erano le nove quando un’ancella venne a prenderli e li
condusse attraverso i corridoi fino all’uscita.
- Zeus mi ha detto di comunicarvi che oggi potete stare
qui, mentre lui pensa a quello che deve fare. In confidenza, lo avete
sbalordito non poco. Nessuno era mai venuto qui con intenti così nobili,
infatti siete i primi ad aver compiuto l’impresa. –
L’ancella si allontanò velocemente, probabilmente per
andare a svolgere un altro compito.
Anche Paperino e Pippo si incamminarono ed esplorarono in
lungo ed in largo quel luogo meraviglioso. Andarono alla stalla di Pegaso,
conobbero molte divinità fra cui Apollo e Atena con cui passarono molto tempo.
Non mangiarono se non quando fu ora di cena, troppo
intenti ad osservare le meraviglie di quel luogo per sentire la fame.
Apollo li invitò a casa sua e loro accettarono l’invito.
L’abitazione era normale, ma all’interno c’erano archi di tutte le grandezze,
adatti per un dio abile con quell’arma come lui. La cena fu a base di frutta e
vegetali perché, come spiegò ai due il dio, la carne era il cibo dei banchetti
e si mangiava solo in occasioni speciali.
Quella sera si trattennero assieme agli dei fino a notte
fonda e ballarono con loro, chiacchierarono e si divertirono un po’,
consapevoli del fatto che l’indomani sarebbero dovuti tornare all’inferno per
affrontare Ade.
Raccontarono a tutti la loro storia e chiunque diceva
loro che erano davvero persone in gamba e non avrebbero dovuto cambiare mai. Apollo
addirittura strinse un forte legame di amicizia con i due e li invitò a
tornare, almeno di tanto in tanto, per aggiornarlo su quello che succedeva
sugli altri mondi.
Andarono a dormire e, il mattino seguente, si svegliarono
sereni, pronti ad affrontare quello che li aspettava.
Zeus in persona andò a chiamarli e li condusse nella sala
delle udienze dove le sedie in legno erano state sostituite da altre con
schienali molto comodi e imbottiti, molto comode.
- Ho deciso che vi aiuterò. Ecco a voi questa magia. –
Attorno ai due comparve una nuvola bianca che iniziò e
loro, per magia, impararono il nuovo incantesimo.
- Dovere stare attenti, conoscete solo la teoria di
questa magia, non sapete nulla al riguardo di quante energie vi toglie. Inoltre
vi consiglio di utilizzarla spesso, per capire come sfruttarla al meglio. Essa,
come dovreste aver capito, non solo vi permette di lanciare saette contro gli
avversari, ma po’ anche utilizzarle come una barriera per difendervi. È un’arma
molto utile, sfruttatela bene. Ora andate, e sappiate che gi dei sono con voi –
- Lei non viene? –
- No, mi dispiace ma non posso, devo rimanere qui, senza
di me gli altri non se la saprebbero cavare neanche per un paio di giorni –
- Capiamo - disse Paperino – E apprezziamo il suo aiuto.
Solo, vorrei chiederle se c’è una via più rapida di quelle già percorsa per
arrivare all’oltretomba–
- Se escludi la morte – disse ridacchiando Zeus – Potete
chiedere a Pegaso di darvi un passaggio –
- Grazie mille – dissero i due, quasi in coro.
Fecero un piccolo inchino e si allontanarono, diretti
alle stalle.
Quando vi arrivarono, il cavallo volante stava mangiando,
ma smise subito e li portò al Colosseo in una mezz’ora.
Ercole li accolse con un gran sorriso, mentre Fil disse,
con la sua solita aria scorbutica che avrebbero fatto meglio ad allenarsi prima
di intraprendere un’impresa come quella.
Dopo una lunga ed estenuante discussione con
l’allenatore, Ercole si offrì di aiutare la coppia, e i due accettarono.
Pochi minuti dopo erano già all’entrata dell’oltretomba,
ma sin da lì si potevano sentire le voci dei morti, ormai prossimi a liberarsi
dalle catene che li legavano. Corsero lungo i corridoi senza incontrare nemmeno
un heartless e arrivarono velocemente alla sala di Ade. Anche questa volta non
c’era Cerbero ad attenderli,loro
passarono indisturbati.
Quando li vide, Ade fece un lungo sospiro, poi tornò ad
avere la sua aria da cane bastonato.
- Ade, riprenditi! Non lo vedi che questo posto, la tua
residenza, sta andando in malora?!? –
- Non me ne importa niente –
La voce del dio era così depressa che fece pietà ad
Ercole, ma servì solo a far infuriare Pippo che lo attaccò senza pietà.
- Sei solo un pappamolle! Forse il nobody avrebbe dovuto
ucciderti, così ci saremmo liberati di un perdente come te! –
- Sono perfettamente d’accordo – disse quello con aria
noncurante – Peccato che sono una divinità e pertanto immortale, eh? –
- Basta con questi discorsi da debolucci! – disse
Paperino.
- Sono d’accordo! – si aggiunse Pippo – Non vedi che qui
stai facendo doppiamente la figura dell’imbranato? –
- E allora? Ve l’ho già detto, non me ne importa nulla! –
- Thunderega! – gridò Paperino, continuò il mago
lanciando una saetta contro Ade.
- Se proprio non vuoi ascoltarci, allora sarà meglio che
troviamo un altro dio dei morti! -
Il colpo fece muovere qualche cosa nella mente del dio,
ma furono le parole a ferirlo nel profondo e fargli perdere il controllo. In
pochi istanti Ade riprese tutti i suoi poteri e lanciò contro di loro un masso
incandescente, prontamente deviato da Ercole.
- Levatevi dai piedi, devo riparare il mio mondo, non
vedete in che casino è? – disse con voce autoritaria.
- Molto bene, allora noi ce ne andiamo – disse Paperino
che se ne andò velocemente, seguito da Ercole e Pippo. Non erano ancora
arrivati alla fine della sala che una palla di fuoco raggiunse Paperino,
mandandolo al tappeto.
- Questo è per la saetta di prima! – gli disse il dio.
Gli eroi non avrebbero mai potuto affrontare Ade senza la
pietra dell’Olimpo, che attualmente non avevano.
Cerbero, che finalmente dopo tanti giorni sentì il
richiamo del padrone, si fiondò contro i fuggitivi e li braccò proprio
all’ingresso.
- Lo affronto io – si offrì Ercole
- Nemmeno tu puoi farcela con la maledizione –
I due si scagliarono all’attacco e utilizzarono la nuova
magia di Zeus.
- Thunderega! – gridarono assieme.
Cerbero lanciò un ululato di profondo dolore che arrivò
fino ad Ade il quale, sentendolo, richiamò la bestia e giurò che l’avrebbe
fatta pagare a quei brutti ficcanaso. Era tornato il solito dio dei morti.
Paperino e Pippo, sapendo che il ragazzo non viveva lì,
decisero di salutare tutti gli amici e aprirono un varco per il mondo
successivo e vi entrarono.
Le anime, finalmente, non erano un problema in quanto dopo
pochi secondi erano state messe a tacere dal solito dio dei morti.
Note del’autore
Scusate il ritardo nell’aggiornare, ma in questo periodo
sono molto incasinato con la scuola! Sparo che questo nuovo capitolo vi
piaccia... a presto!
Sora e Kairi arrivarono alle terre del branco e si
trasformarono in due leoni. Si trovavano sulla rupe dei re e da lì potavano
vedere tutta la distesa della savana sottostante. Lo spettacolo era stupendo,
ma i leoni non erano sulla rupe, quindi Sora iniziò a preoccuparsi. Li cercò
nella grotta, poi salì fin sulla vetta, ma niente, non c’era anima viva.
Chiese a Kairi cosa ne pensava, ma la ragazza non era mai
stata in quel mondo, quindi non seppe dare una risposta.
Fidandosi del suo istinto, Sora scese dalla vetta e si
avviò verso la zona di caccia. C’era la possibilità che il branco fosse lì.
Esplorarono tutta la zona con scarsi risultati e, alla
fine, decisero di andare nella foresta. Forse lì avrebbero trovato delle
risposte. Entrarono nella Valle degli Gnu, dove vivevano le iene, che subito quelle
apparvero per difendere il oro territorio. Al loro fianco c’erano anche degli
heartless e subito i Keyblade apparvero nelle bocche dei due ragazzi.
Con un balzo felino, Sora fu subito addosso alle
avversarie che non poterono fare nulla, quindi subirono i colpi finché non ne
ebbero abbastanza, poi scapparono. Erano esseri codardi, che cacciavano in
massa per essere più forti ma da sole non valevano molto. Sora si aspettava che
tornassero con i rinforzi, e non voleva essere perso in quel punto. Se avessero
dovuto combattere, lo avrebbero fatto dove faceva più comodo a loro, cioè dove
la maggioranza numerica non poteva essere schiacciante. Gli heartless, vedendo
le iene fuggire, se ne andarono senza colpo ferire.
Avanzare a quattro zampe era un’esperienzatutta nuova per Kairi che aveva qualche
problema, per cui dovettero tenere un passo lento anche se la cosa non
dispiacque loro, anzi ne erano felici poiché così potevano ammirare gli
stupendi paesaggi che quel mondo incontaminato proponeva.
Non fecero soste, alla fine, arrivarono alla meta. La
giungla si stagliava di fronte a loro, con il suo paesaggio ricco di alberi
dalle chiome sgargianti e quell’odore nell’aria che ricordava i bei momenti
trascorsi e dava una speranza per il futuro.
Inspirarono a fondo, poi entrarono senza esitazioni. Non
c’erano rumori molto forti, ma se si ascoltava bene si poteva sentire il canto
degli uccelli in lontananza e il vento muoveva le foglie e sembrava desse un
ritmo agli animali che si univano a quel canto. L’effetto era sbalorditivo e
Kairi ne rimase tanto impressionata che si fermò e si sedette, per godere
ancora di quelle bellezze.
Anche Sora si sedette accanto a lei, ascoltando e
cercando di tenere il ritmo di quella melodia.
- Ehi Timon, ma dove ti eri cacciato? –
La voce di Pumba distrusse il suono e riportò i ragazzi
al mondo reale.
- Ciao, come stai? – chiese Sora cordiale.
- Aiuto! I leoni mi vogliono mangiare! Aiuto! –
Subito il ruggito di Simba si alzò nell’aria e anche
Pumba rabbrividì.
- Cosa succede qui? Vi avevo detto di restare lontani
dalla foresta durante la mia assenza! –
- Ciao Simba, cosa ci fai qui? – chiese Sora ridacchiando.
- Ma, sei proprio tu? Pumba, sei sempre il solito! Loro
sono gli amici che ci hanno aiutato a sconfiggere mio zio Scaar –
- Ah, già, hai proprio ragione, ma io non vedo l’uccello
e la tartaruga – disse Pumba irritato per la brutta figura.
- Certo che non li vedi – disse Sora – Non sono qui con
noi, sono in missione da soli. Quasi ma dimenticavo! – Sora si batté una zampa
sul muso – Questa è Kairi –
- Piacere di fare la
tua conoscenza – disse Simba facendo un piccolo inchino.
Pumba provò ad imitare il leone, ma fece un inchino goffo
e molto buffo, quindi tutti si misero a ridere.
Tornando serio, Sora chiese a Simba come mai sulla rupe
non ci fosse nessuno.
- Cosa? È davvero strano, sarà meglio che vada a
controllare! –
- Veniamo con te – disse Kairi.
La decisione era presa e il re dei leoni non fece
commenti. Insieme, i tre si avviarono verso i territori di caccia.
Non incontrarono anima viva durante il tragitto e tennero
un buon passo.
Kairi ebbe qualche difficoltà a seguirli, ma comprendeva
la fretta del leone, quindi no si lamentò e fece di tutto per stargli dietro.
Quando arrivarono a destinazione, le facevano male le zampe tanto che quasi non
riusciva più a camminare.
Arrivarono in cima alla rupe, ma anche questa volta non
videro nessuno.
- Molto strano – commentò Simba – Sto iniziando a
preoccuparmi seriamente –
- Siamo d’accordo – disse Kairi, che si era seduta per
riposare un po’.
- Penso che sia ora di scoprire che cosa c’è sotto questo
mistero – disse Sora.
- No, è meglio se tu rimani qui con lei. Non essendo
abituata a muoversi su quattro zampe è distrutta e non ce la farebbe a
procedere oltre –
- Non puoi andare da solo, aspetta qui con noi –
- No, prima voglio andare a parlare con l’ombra di mio
padre, da solo se non ci eri ancora arrivato. Kairi era la scusa per farti
stare qui – disse Simba rassegnato a dire la verità al ragazzo, che a volte
sembrava fare apposta a non capire le circostanze.
La ragazza, nel frattempo si era addormentata.
- Molto bene, vai pure. Ma sta attento – disse Sora,
ormai rassegnato.
- Come al solito –rispose Simba
Vedendo che non c’era niente altro da fare, Sora si mise
a guardare Kairi. Avrebbe preferito non farlo ma in quelle circostanze non
aveva molta scelta. Dovete ammettere che era molto carina anche sottoforma di
leonessa.
La stava ancora osservando quando un gruppo di heartless,
attratti dalla presenza di una custode debole, arrivarono.
Subito il Keyblade comparve nella bocca di Sora e questi
iniziò ad attaccare senza tregua i nemici, distruggendoli ad uno ad uno.
- Se avessi delle mani ti applaudirei – disse una voce
acuta alle spalle del ragazzo.
Sora si girò e, con grande stupore vide una iena vicino
al corpo di Kairi.
- Sta lontano da lei – sibilò.
- Non servono a nulla le minacce – ribatté la iena, che
fece finta di mordere la ragazza
Sora non ci vide più dalla rabbia e in bocca gli
apparvero due nuovi Keyblade, che sostituirono la Catena Regale.
Muovendosi in modo quasi supersonico, fu dietro alla iena
senza che questa lo vedesse e le sferrò un colpo che la scaraventò lontano
qualche passo.
- Ma come hai... –
Non terminò mai la frase. Con un colpo violentissimo,
Sora le lanciò contro un Keyblade.
La iena cadde senza alcun rumore, svenuta. Sora decise
che non poteva rimanere lì, quindi la prese e la portò di corsa ai margini
della Rupe, per poi tornare dalla ragazza: non gli piaceva lasciarla troppo
tempo da sola, soprattutto nelle condizioni attuali.
Kairi si svegliò al suono della voce acuta della iena, ma
rimase immobile. Non voleva destare sospetti, quindi si limitò ad osservare la
scena. Quando la iena finse di azzannarla, poté sentire l’alito puzzolente sul
collo, e non riuscì a non muoversi. Dovette assolutamente spostarsi, ma nessuno
dei due contendenti se ne accorse. La ragazza vide il compagno attaccare come
una furia pur di difenderla, e questo la rincuorò. Dopo qualche istante vide il
Keyblade colpire nel petto della iena, e capì di essere al sicuro.
Non riuscì però a realizzare del tutto quello che era
successo: era molto stanca e la mente ancora annebbiata. Nonostante tutti i
suoi sforzi, Kairi scivolò di nuovo nel sonno.
Quando si svegliò di nuovo, il sole era ancora alto nel
cielo. Vide Sora a fianco a lei, intento a mangiare. Non era un bello
spettacolo, quindi distolse gli occhi. L’aria sulla rupe era frizzante a causa
dell’altitudine e aiutò la ragazza a svegliarsi completamente.
Quando vide che si alzava, Sora si voltò verso di lei.
- Buon giorno! Dormito bene? –
- Si... niente male – disse la ragazza con fare
noncurante.
- Ci credo! Hai dormito per almeno un giorno. Sai che ore
sono? –
- No, furbone! Mi sono appena svegliata! –
- Si giusto, allora te lo dico io... saranno almeno le
due del pomeriggio! –
Mentre i due ragazzi discutevano, Simba stava facendo
ritorno alla rupe dei re. Aveva parlato con il padre, Mufasa, ma il vecchio re
non lo aveva aiutato molto. L’unica cosa chiara era il fatto che erano in
pericolo e, per ritrovare i leoni scomparsi, avrebbero dovuto affrontare prove
molto difficili.
Simba era convinto che assieme ai suoi amici sarebbe
riuscito a portare a compimento l’impresa.
Era da qualche minuto che stava correndo, ormai vicino
alla meta, quando vide finalmente la rupe. Iniziò a percorrere il sentiero, ma
alcuni heartless lo ostacolarono. Si gettò senza timore su di loro, gli artigli
protesi, pronti a colpire.
Gli avversari contrattaccarono, ma il leone era troppo
superiore e, all’apparenza, instancabile.
Apparvero shadow,
soldati, e altri heartless che non
aveva mai visto. Erano grossi, la grossa pancia li difendeva, riparandoli da
qualunque attacco.
Non erano di quel mondo anzi, qualcuno li aveva
sicuramente portati lì.
Non c’era tempo per gli indugi, quindi Simba attaccò come
se fosse la cosa più normale del mondo e distrusse molti avversari. Anche le
forze del giovane leone, però, iniziavano a vacillare e li heartless,
accorgendosene, raddoppiarono gli sforzi rubargli il cuore, che bramavano
vedendolo forte e puro.
- Curioso – si
disse il leone – Come non siano in grado
di pensare ma si abbandonino all’istinto e facciano sempre i comodi altrui –
Gli heartless, infatti, sono al servizio di colui che
ritengono il più forte e non lo abbandonano mai, anche se poi si trovano in
svantaggio.
Simba rinnovò i suoi sforzi, ma per ogni avversario che
distruggeva,altri due apparivano e prendevano il suo posto, senza dare al leone
il tempo di riprendere fiato.
Dall’alto della rupe, Sora vide iniziare lo scontro. Era
impossibile che Simba ce la facesse ma non poteva abbandonare Kairi ne lasciare
che combattesse al suo fianco: era ancora troppo debole. Ad un tratto gli venne
un idea. Trascinò l’amica in un angolo appartato e quasi invisibile, poi chiamò
Simba.
Il leone corse subito verso il ragazzo sulla cima della
rupe, dove il ragazzo lo avrebbe aiutato. Capiva il motivo per cui non voleva
scendere, e lo approvava. Avrebbe fatto lo stesso per Nala o qualunque altro
leone a lui caro.
Quando Simba si mise in posizione di fianco a Sora, i due
si guadarono per un attimo negli occhi, poi il Keyblade comparve nella bocca
del ragazzo. Erano pronti. Attesero pochi ma lunghissimi secondi, poi l’assalto
iniziò. Erano rimasti solo shadow e soldati ma in quantità così elevata che
sarebbe stato difficile contarli anche avendo a disposizione tutto il tempo del
mondo. Saranno stati almeno un milione, pensava il ragazzo, nonostante sapesse
che un tale numero fosse impossibile da raggiungere per qualsiasi mago. Troppi,
per chiunque.
- Morirei per dare
a Kairi la possibilità di scappare – pensò Sora.
La mente di Simba, invece, era vuota e il suo corpo
emanava una sicurezza che pochi sarebbero riusciti ad eguagliare.
Gli heartless attaccarono, ma i due erano molto forti e
ressero l’attacco, respingendoli. Il passaggio per la rupe era disseminato di
copi contorti che svanivano, lasciando il posto ad altri avversari che subito
si gettavano all’attacco.
All’incirca mille heartless erano morti nei primi minuti
di combattimento, madue erano sfiniti.
Kairi, per un momento, rimase a guardare la battaglia che
infuriava, poi si rialzò a fatica. Aveva sentito nel sonno che qualcuno l’aveva
spostata, ma non aveva fatto neanche una piega. Dopo la discussione on il
ragazzo, si era sentita svuotata di tutte le energie e si era addormentata per
l’ennesima volta.
- Sto arrivando! – gridò la ragazza
- Vai, qui li tengo io per un po’. Non deve assolutamente
combattere, è ancora debole – disse Simba a Sora a bassa voce, in modo che solo
lui potesse sentire.
Il ragazzo annuì, poi si avvicinò a Kairi.
- Non devi combattere –
- Cosa? Io faccio quello che voglio –
- No, mi spiace, sei troppo debole, ma puoi aiutarci lo
stesso –
Le lacrime arrivarono fino agli occhi della ragazza
- Io non voglio abbandonarti – disse con fermezza.
- E non lo farai, promesso. Ti chiedo solo di andare dal
re e avvertirlo di quanto sta accadendo qui. Lui verrà a darci una mano e tu
sarai stata molto più utile di quanto lo saresti morendolasciandomi qui da solo –
Anche gli occhi del ragazzo si erano riempiti di lacrime,
che però ricacciò indietro.
Sora aprì un Varco, ma Kairi esitò. Il ragazzo la
sospinse in avanti, poi lei entrò. Tutta la concentrazione del ragazzo, ora,
era sulla battaglia contro gli heartless.
Ritornò di corsa da Simba, velocissimo sulle sue quattro
zampe, ed attaccò. Nonostante la superiorità degli heartless, il Keyblade di
Sora mieté molte vittime, che rimasero agonizzanti sul terreno prima di
scomparire. Sora era una furia e Simba non poté fare altro che guardare l’amico
penetrare sempre più in profondità nelle linee avversarie.
Nessuno riusciva ad ostacolare la sua avanzata: il
custode era veloce e letale. In pochi minuti, da solo era riuscito a uccidere
almeno cento heartless, ma nonostante tutti i suoi sforzi, i nemici erano
troppi e nessuno era invincibile.
I nemici, però, indietreggiavano, intimoriti dal potere
dell’arma ma ad un tratto il loro atteggiamento cambiò
Accerchiarono Sora e, solo con la loro superiorità
numerica, lo intrappolarono irrimediabilmente.
Simba decise che era giunto il momento di intervenire.
Ruggì e per un attimo quello fu l’unico rumore che si
sentì. Gli heartless erano spaventati, non riuscivano più a capire che cosa
succedeva, ma non vennero presi dal panico e rimasero ai loro posti.
Simba corse verso di loro e ne distrusse alcuni,
penetrando sempre più in profondità nello schieramento nemico.
Sora, per parte sua, iniziò ad attaccare con foga, in
modo da riuscire a scappare.
I due continuavano a combattere e mietevano sempre più
vittime, ma nulla sembrava in grado di sconfiggere così tanti nemici.
Intanto,
al castello Disney...
Un varco oscuro si materializzò e ne uscì Kairi. Si
trovava nel giardino e finalmente aveva di nuovo il suo aspetto normale.
Cip e Ciop le corsero incontro, preoccupati. La ragazza
svenne, troppo stanca dopo il viaggio.
Subito Cip corse da Topolino, che in quel momento era in
riunione per questioni urgenti con Minnie e Paperina, oltre che Riku e gli
altri abitanti del castello. Lo scoiattolo entrò nella stanza gridando
- Kairi è appena uscita da un varco ed è svenuta, presto
aiutatela! –
Riku corse al massimo delle sue possibilità e in pochi
istanti fu nel giardino. Prese in braccio la ragazza e la portò in una stana
vicino al consiglio.
Topolino decise di finire in fretta la riunione, quindi
espose subito i suoi progetti e disse a tutti di riflettere su quello che stava
accadendo, poi raggiunse il ragazzo nello stanzino.
Kairi ora dormiva tranquilla, ma presto la avrebbero
dovuta svegliare, almeno per sapere che cosa era successo a Sora: non era da
lei abbandonare un amico.
Nelle
terre del branco.
- Ma dove sei
finita Kairi, abbiamo bisogno di quei dannati rinforzi! – pensava ogni
tanto Sora e qualche volta temeva che la ragazza non fosse riuscita ad arrivare
al castello e fosse chissà dove.
Distrusse uno shadow
che gli si parò davanti. Ormai aveva raggiunto Simba, ma ora erano in due ad
essere accerchiati.
Il numero dei nemici era stato dimezzato, ma nulla faceva
loro sperare di poter vincere. Gli amici non arrivavano ma, in compenso, erano
sempre più gli avversari che li sfidavano. Non avevano più fiato, ed erano
costretti a combattere a turni, in modo che ognuno si riposasse almeno qualche
minuto.
Quando gli avversari capirono la tattica avversaria,
attaccarono in massa e di nuovo i due si trovarono a combattere insieme.
Un soldato
colpì Sora ad una gamba e il ragazzo cadde a terra.
Simba lo distrusse mentre Sora si rialzava a fatica e
riprendeva quella lotta disperata.
Sora decise che si sarebbe sacrificato e iniziò a
raccogliere tutte le sue forze. Ne lasciò nel corpo solo quelle strettamente
necessarie alla sopravivenza, poi scagliò una magia improvvisa.
Simba si accorse solo all’ultimo momento delle intenzioni
dell’amico. Vide una cupola di fuoco magico innalzarsi attorno a lui e Sora,
per poi espandersi e distruggere tutti gli heartless rimasti.
La battaglia era vinta e i nemici erano stati sconfitti
tutti.
Sora svenne, il battito debole e il respiro irregolare.
Un varco oscuro si aprì e ne uscirono Riku, Topolino ed
Ansem in forma di leoni, arrivati troppo tardi per poter fare qualche cosa.
Raccontarono a Simba di come Kairi fosse svenuta per poi
riprendersi e raccontare lo stretto necessario.
Tutti erano partiti subito, ma a quanto parve, troppo
tardi per fermare l’inevitabile.
- Non è colpa vostra – disse Simba dopo aver ascoltato
tutta la storia – Inoltre, penso che si riprenderà. Ha la pellaccia dura il
nostro amico –
Topolino annuì, in silenzio.
- Cosa farai ora? – chiese Riku
- Andrò a cercare gli altri leoni –
- Allora vengo con te –
- No, devo farlo da solo –
L’espressione di Riku si fece dura, i suoi sentimenti
vennero nascosti da una maschera di indifferenza – Come preferisci... – disse,
alla fine.
In silenzio, lasciò che Sora fosse curato dai suoi amici,
e se ne andò.
Camminò lentamente, in silenzio, facendo il meno rumore
possibile. Stava per addentrarsi nel territorio delle iene, e farsi attaccare
subito non sarebbe stata una buona idea.
Le iene non l’avevano mai visto di buon occhi, da quando
aveva ucciso l’heartless di Scaar, che le favoreggiava. Ora il cibo per loro
era poco, e spesso dovevano accontentarsi di spiluccare quel poco di carne lasciata
dai leoni sulle ossa delle loro prede.
L’unico rimasto in disparte sulla rupe era Ansem. Non gli
piaceva affatto quella situazione e aveva trovato un luogo, la vetta, dove
poter pensare indisturbato. Portare via un intero branco di leoni e leonesse non
era affatto semplice. La prima cosa da fare era capire come avevano fatto.
In effetti spostarle sarebbe stato molto difficile, ma
una piccola magia non avrebbe permesso loro di vedere il branco! Probabilmente
i leoni erano tutti lì, ma solo pochi potevano vederli. Una trovata davvero
geniale da parte di una mente fantastica. Non poteva fare più nulla per Simba,
che era andato alla ricerca del branco che non avrebbe mai trovato, ma avrebbe
potuto rompere l’incantesimo! Ma farlo non sarebbe stato affatto semplice,
sempre che le sue ipotesi fossero giuste. Innanzitutto doveva cercare residui
di magia.
- Questa,
purtroppo, non è la mia specialità. Inoltre, saranno state nascoste molto
bene... se solo Paperino fosse qui ad aiutarmi! –
Il mago di corte, però, era in esplorazione chissà dove e
non lo avrebbe mai trovato in tempo. Dovevano bastare le sue sole forze.
Iniziò a concentrarsi e captò segnali magici molto
potenti.
- È stato fin
troppo facile – pensò il saggio
Si immedesimò nella magia e capì che aveva parlato troppo
presto. Quella che sentiva era la potenza della magia usata da Sora per vincere
la battaglia. Era ovunque, tanto potente che riempiva tutto lo spazio
circostante e lo copriva come una coperta, in attesa di esaurire tutte le
energie residue. Cercò di ignorarla ma era troppo pressante e alla fine dovette
arrendersi.
Simba era appena arrivato nel territorio delle iene. La
desolazione era evidente: le terre poco curate, dove crescevano pochi alberi
piccoli e contorti, nessun animale che si facesse vedere.
Capì che era un bersaglio molto facile, ma cercò di non
farci caso. Era troppo importante trovare il suo branco, nulla poteva fermarlo.
Una iena molto imprudente si fece vedere e subito Simba
le fu addosso in pochissimi istanti e la immobilizzò puntandole gli artigli
alla gola.
- Dov’è il mio branco? –
- E io che ne so? La prossima volta non perderli di
vista, sempre che avrai una prossima volta – negli occhi della iena si accese
una luce malevola.
- Sta attento a come mi parli – disse Simba, guardando la
iena truce.
- Ok, ok... –
- Ora dimmi dove sono – nella voce del leone non c’era
traccia di comprensione e tutto stava ad indicare che se non avesse risposto,
avrebbe ucciso la iena. Gli occhi della poveretta si riempirono di una genuina
paura, perché non aveva mentito: non sapeva davvero dove si fossero cacciati i
leoni!
- Ok, basta con le stupidaggini – disse con un filo di
paura la iena, ormai in preda al panico – Non lo so dove sono! –
Il leone lesse il terrore che si faceva strada negli
occhi della sua interlocutrice quindi decise di lasciar perdere. Non gli
sarebbe stato di nessun aiuto ucciderla.
Senza degnarla di uno sguardo, si allontanò con passo
lento, senza mai smettere di rimuginare su quello che gli aveva detto il padre.
Non aveva voluto svelare il le rivelazioni a nessuno anche se non gli era stato
vietato di farlo; sentiva le parole del padre come sue e di nessun altro.
Ripensò a quella sera
Era
arrivato nel cuore della foresta, in una radura che prima non aveva mai notato,
e da lì poteva vedere tutto il cielo stellato.
All’improvviso
era apparso, proprio tra le stelle, il viso del padre.
-
Quello che cerchi – disse - è proprio sotto ai tuoi occhi. Sei tu, insieme ai
tuoi amici, che non puoi vederlo a causa di un incantesimo –
-Ma come posso riavere il mio branco, quello
che una volta era stato il tuo?-
-
Dovrai andare alla ricerca di una verità che va oltre la tua comprensione.
Quello che hai fatto fino a ora lo capivi, ma per poter ritrovare gli altri, dovrai
disfarti di tutti i dubbi e le incertezze. Il viaggio sarà pericoloso, ma alla
fine, se sarai stato degno, troverai i tuoi sudditi –
Alla
fine del breve colloquio, Mufasa se ne andò, la sua figura si dissolse
nell’aria lasciando nel cuore di Simba un senso di vuoto assoluto
Fino a quel momento il re leone aveva pensato che andando
nelle terre delle iene avrebbe trovato il suo branco, ma ora non ne era più
tanto convinto. Lì avrebbe solo dovuto affrontare, da solo, le sue paure più
grandi.
I leoni erano sotto ai suoi occhi...
- Che cosa volevi dirmi, padre! – disse sottovoce, nella
folle speranza che Mufasa venisse a dargli conforto e una zampa per andare
avanti.
non accadde nulla e Simba decise che per il momento si
sarebbe fermato a riflettere su quello ce lo aspettava.
Sulla rupe tutti erano impegnati: Riku, in disparte,
continuava i suoi allenamenti come se nulla fosse accaduto; Kairi teneva la zampa
di Sora, ancora addormentato mentre Topolino, ogni tanto, andava ad una fonte
non molto lontana ed bagnava una foglia abbastanza grossa, la forma che
ricordava vagamente un grosso triangolo, che apparteneva ad un albero tipico di
quel mondo, per appoggiarla sulla fronte del ragazzo e dargli un po’di
sollievo.
Ansem era in disparte, nel disperato tentativo di trovare
una fonte magica molto ben nascosta. Riusciva a malapena ad escludere i
potentissimi residui della magia di Sora, che erano diventati più deboli a
causa della dispersione che tanto il saggio aspettava.
Solo dopo parecchio tempo Ansem iniziò a sentire le prime
tracce di quella magia che tanto aveva cercato.
Cercò di immedesimarsi in essa, di diventarne parte, ma
era davvero un compito arduo.
Sfruttò tutte le sue conoscenze ma era inutile: ogni
singola volta era come se quella magia capisse le sue intenzioni e lo respingesse.
Davvero un bel grattacapo. Ansem rimase a pensare ad una soluzione per tutto il
pomeriggio.
Simba si rimise in viaggio che il sole era già basso
all’orizzonte. Secondo la sua esperienza, ci sarebbero state ancora due o tre
ore di luce, quindi avrebbe potuto addentrarsi ancora nel territorio delle iene
e, magari, trovare un luogo riparato dove passare la notte.
Continuò a camminare fino ad arrivare ad una piccola
caverna. Vi entrò, sperando che fosse vuota. Fu deluso quando vide un’ombra
avvicinarsi a lui.
Si affrettò ad allontanarsi, non voleva avere problemi
con altre iene prima che fosse arrivato il tempo di sfoderare gli artigli e
ricordare loro chi fosse il re dei leoni.
Continuò a camminare ma, poco dopo essersi allontanato
dalla caverna, iniziò ad avere la sensazione di essere seguito.
Avanzò come se niente fosse ma quella strana sensazione
di oppressione continuò a perseguitarlo.
Alla fine decise di fermarsi ed affrontare quella che,
ormai, era convinto essere una iena. Si voltò e, per un attimo, ebbe paura.
Un’ombra mostruosamente grossa si stagliava stranamente
verso il cielo, ed era quella di suo zio Scaar.
- No! – ruggì il leone – Non tu! Ritorna tra i morti a
cui appartieni! –
La figura perse i suoi lineamenti e i dettagli divennero
confusi, poi il volto mutò leggermente e Simba poté riconoscere suo padre.
Il leone non seppe cosa dire, ma quando anche la figura
del padre se ne andò, una piccola lacrima cadde sul terreno.
Altra ombre si susseguirono, sempre più veloci. Simba
riconobbe Sora morente, i suoi amici che lo accusavano, il suo branco
condannato, a causa sua, ad una pena eterna. Il peggio fu che, in cuor suo, quelle
immagini bruciavano come se fossero vere.
Decise che sarebbe andato contro a tutto e a tutti pur di
riuscire nella sua impresa. Con un grande sforzo di volontà rinnegò quelle
immagini e si costrinse a pensare che erano false, che poteva ancora cambiare
le cosa. Avrebbe riportato a casa il branco e, con esso, avrebbe salvato i suoi
amici.
Non esitò neanche per un secondo e si lanciò all’attacco
di quell’ombra che tanto cercava di indurlo ad abbandonare; in quel momento era
un leone i cui lineamenti erano familiari ma per qualche ragione non riusciva a
riconoscerlo.
Quando le fu addosso, l’ombra si dissolse nel nulla e,
per il momento, con essa sparirono anche tutte le preoccupazioni di Simba.
Il leone continuò il suo cammino.
Era il tramonto ormai quando finalmente trovò un’altra
grotta. Non voleva combattere, quindi entrò con circospezione.
Arrivò in una grossa cavità e ormai iniziava a sperare
che la caverna fosse davvero vuota. Tutto ad un tratto qualche cosa lo attaccò.
Era arrivata dall’ombra e Simba non l’aveva neanche vista arrivare. Quando si
accorse del pericolo, era già a terra disteso, con le unghie puntate alla gola.
- Che cosa vuoi? – a parlare era stata una iena
vecchissima ma scaltra, ancora in forma.
- Solo dormire al riparo –
- E chi saresti per avere questo privilegio? –
- Il re dei leoni, ma nemmeno io posso dormire nella tua
caverna se tu non vuoi –
- Parole sagge, per questo stanotte sarò clemente –
La iena ritirò le unghie e si accucciò in un angolo.
Simba dormì tranquillamente, soprattutto perché si
fidava. Aveva letto in quegli occhi furbi ed esperti che ci si poteva fidare e
non dubitava mai del suo istinto.
Ansem non riusciva a darsi pace. Era tutto il pomeriggio
che provava a scoprire il segreto di quello stupido incantesimo ma proprio non
ci riusciva.
Era complesso, raffinato, impossibile capirne il
meccanismo. Sapeva che nascondeva i leoni, o almeno lo sospettava, ma c’era
qualche cosa di più. Era come se non nascondesse sololoro, ma neanche i leoni potessero vederli.
L’illuminazione arrivò proprio grazie a quei pensieri. Forse
l’incantesimo non solo nascondeva i leoni, ma li lasciava in una realtà
parallela e loro non potevano accorgersi di nulla. Cerò di immedesimarsi in
quel nuovo pensiero e finalmente poté vedere delle forme tutto attorno a lui,
sagome prive di contorni definiti ma che non potevano non essere i leoni
scomparsi. Anch’essi parvero vederlo e, a quanto parve, si spaventarono non
poco. Iniziarono a scartare vicino alla sua forma ma Ansem non riusciva a
capirne il motivo. Iniziò a staccarsi da quel mondo parallelo, senza però che l’incantesimo
si accorgesse di lui. Rimase in esso, come una sua parte sempre più
indispensabile, e alla fine vide che non poteva fare nulla per liberare i
leoni: erano una prova che qualcuno aveva predisposto per Simba. Vide tutte le
prove che questo qualcuno aveva preparato e proprio pochi minuti prima Simba
aveva superato la seconda: non avrebbe dovuto seguire i suoi pregiudizi e
avrebbe dovuto fidarsi di quello che in realtà sentiva. Ansem, però, vide anche
che le prossime side sarebbero state molto più dure.
Si staccò dall’incantesimo e tornò, dopo tanto tempo,
alla realtà. Topolino lo stava osservando da quel minuto.
- Vedo ce sei tornato fra noi – disse il re con ton di
rimprovero.
- Ho avuto qualche impegno – rispose il saggio in modo
ambiguo. Non voleva assolutamente rivelare a nessuno quello che aveva appena
scoperto.
- Molto bene... – disse Topolino, con un tono
rinunciatario che sorprese Ansem, ma allo stesso tempo lo tranquillizzò: non
avrebbe dovuto inventare alcuna scusa. Senza proferir altre parole, Topolino si
avviò verso la fonte d’acqua per bere, mentre Ansem, stanco dopo lo sforzo,
andò direttamente a dormire.
Riku aveva finito gli allenamenti da un po’ di tempo,
così decise che per lui era ora di tornare al castello Disney. Topolino, dopo
il rifiuto di Ansem, anche se molto implicito, non era in vena di discussioni,
quindi non disse nulla se non un semplice -Fa quello che vuoi –
Riku non aggiunse altro e aprì un varco verso quella che
ormai considerava casa.
Tutti passarono una notte tranquilla, a parte Sora. Il
ragazzo non riusciva a riprendere conoscenza e iniziò ad avere i primi incubi.
Sognò che Kairi si fosse perduta in un mondo lontano e non potesse fuggire, il
nobody che stava cercando lo sconfiggevo e lo dava in pasto all’oscurità, vide
che tutti lo combattevano ma nessuno lo vinceva, vide Sephiroth che spazzava
via Claud.
Alla fine gridò e la voce, quasi disumana, ruppe il
silenzio della notte svegliando tutti coloro che stavano dormendo nei pressi
del ragazzo.
Topolino, sentito il grido, accorse subito e toccò la
fronte del ragazzo: era bollente, la febbre era salita vertiginosamente e Sora
doveva assolutamente essere curato. C’era però un problema: il ragazzo, in
quelle condizioni, non poteva essere trasportato e non sarebbe mai
sopravvissuto ad un viaggio in un varco.
Ansem, per la prima volta da quando erano arrivati, andò
a vedere da vicino le condizioni del ragazzo che, per dare una possibilità ad
un amico, aveva dato tutto se stesso. Lo ammirava molto e non pensava di essere
capace di un tale gesto di altruismo. Non era certo un caso che le Keyblade
avessero scelto proprio lui.
Il mattino seguente Simba si svegliò molto riposato.
Sapeva che lo attendeva una nuova prova e capiva che avrebbe dovuto muoversi.
Cercò la vecchia iena che lo aveva ospitato, ma non la
trovò.
– Sarà a caccia – si
disse, poi proseguì.
Tutto attorno a lui era in silenzio, nemmeno il vento
faceva il minimo rumore muovendo le foglie e tutto sembrava immobile.
Proseguì per almeno mezz’ora, poi dovette fermarsi.
Davanti a lui c’era un burrone molto profondo e l’altra parte era molto
distante. Difficile raggiungerla con un salto. Eppure non aveva la minima
scelta; sperò che il coraggio fosse sufficiente, poi prese la rincorsa e saltò.
- Più veloce, più
veloce! – continuava a ripetersi mentre correva.
Spiccò il salto... troppo corto. Simba si accorse subito
che non ce l’avrebbe mai fatta e chiuse gli occhi. Sapeva che non sarebbe mai
riuscito a sopravvivere a quell’altezza. Pensò a suo padre e sorrise... sarebbe
morto come lui, cadendo.
L’immagine di suo padre gli balenò nella mente, ma
stranamente non lo vide come l’idolo che aveva sempre ammirato. Lo guardò con
gli occhi di un leone qualunque e vide tutti i suoi difetti, gli sbagli e i
traguardi raggiunti. Facendo un reale bilancio, il padre era stato un buon re,
ma non certo uno dei migliori. Questa consapevolezza lo attanagliò e aprì gli
occhi, gridando. Solo a questo punto il leone si accorse che non stava più
cadendo. Era strano, come se l’aria fosse solida. Guardò verso il basso,
vedendo che era appoggiato ad un ponte che non poteva essere visto dall’altra
parte.
Ripensò a quando aveva rivisto suo padre. Sapeva già da
tempo quelle verità, ma non era mai riuscito ad accettarle fino in fondo. Solo
in quel momento poteva davvero sapere che cosa ci voleva per essere un vero re.
Continuò a camminare, sentendosi osservato da qualche cosa
che non poteva né vedere né sentire, ma sapeva che esisteva. Era una starna
sensazione che lo abbandonava solo di notte, mentre dormiva.
Simba continuò il suo cammino. Si stava avvicinando
sempre di più alla foresta, infatti si potevano vedere sempre più alberi e, di
tanti in tanto, si trovava anche qualche prato dove il vento non poteva
arrivare a strapparla.
Arrivò fino ala foresta dove sarebbe andato incontro,
inconsapevolmente, alla prova successiva. Ora che aveva capito gli errori del
padre, avrebbe dovuto capire che cosa avrebbe dovuto fare per essere quello ch
il padre non era riuscito a diventare.
Continuò a camminare verso quel posto così pieno di bei
ricordi, ripensò dopo tanto tempo a Timon e Pumba, amici fedelissimi che era
andato a trovare dopo molto tempo, troppo in effetti. Capì che per essere un
buon re non avrebbe mai dovuto confondere i suoi doveri con il senso della
vita.
Si ripromise che non avrebbe mai più cercato di essere il
migliore ad ogni costo ma sarebbe stato normale e, se agli altri non fosse
piaciuto, sarebbero stati liberi di scegliere un nuovo re, lui sarebbe stato
d’accordo.
Continuò ad avanzare ed ogni volta che faceva una
riflessione si sentiva sempre più leggero e pronto per andare avanti.
Sulla rupe, intanto, Sora si era svegliato. Il ragazzo
fece un lungo sbadiglio che richiamò attenzione di tutti i presenti. Subito
Topolino corse verso il ragazzo e si informò su come stesse.
Ora aveva la fronte bagnata fradicia e si sentiva molto
debole.
- Almeno il fatto che si sia svegliato è un buon segno,
ma non dobbiamo assolutamente smettere di curarlo –
La voce di Ansem arrivava da qualche parte dietro il
ragazzo, che cercò di girarsi. Topolino lo fermò.
- Tu ora devi riposare – disse con voce dolce il re.
Sora, rassicurato, chiuse gli occhi e tornò a dormire,
dimentico del mondo attorno a lui.
Non appena Sora si addormentò, il saggio si chinò su di
lui e iniziò ad usare qualche magia di guarigione, anche se piuttosto
elementare, sul ragazzo.
Sora sognò molto i quelle ore di sonno, ma al risveglio
non ricordava assolutamente nulla. La giornata lì sul monte sarebbe passata
come tutte le altre, in attesa di Simba.
Il leone, intanto, era andato avanti nel suo cammino e
stava per affrontare una prova davvero difficile.
Un intero branco di centauri, esseri che Simba aveva solo
sentito nominare, stavano correndo verso di lui. Essi, infatti, avevano
percepito l’odore dell’intruso in quello che da molto era il loro territorio
già a diverse miglia di distanza. Solitamente avrebbero lasciato correre ma, in
quel caso, qualche cosa diceva loro di andare a controllare.
Simba sentì il rumore degli zoccoli e si rifugiò dietro
ad un grosso cespuglio. Purtroppo non era esperto di caccia e non si accorse di
non essere sottovento, quindi i centauri presero al volo l’occasione. Si
fermarono a pochi metri da lui, consapevoli che quella che ormai consideravano
una preda li stava osservando, e iniziarono a muoversi tutto intorno, con
un’espressione confusa sul viso.
Un sorriso si fece strada sulle labbra del leone che
iniziava a sperare di non essere notato.
La sua espressione si fece seria quando si accorse che il
branco di centauri lo stava lentamente accerchiando.
Pian piano uscì dal suo nascondiglio, ormai conscio di
avere tutti gli occhi puntati verso di se.
- Eccomi, dunque. Mi avete stanato –
- Eccome, ma tu ci hai reso facile il lavoro – disse
quello che sembrava essere il capo dei centauri
Un’espressione stupita si dipinse sul volto del leone e
tutti i centauri si misero a ridere.
- Non dirmi che non ti sei accorto di non essere
sottovento! – esclamò.
- In effetti non sono mai andato a caccia inmodo serio... di solito le nostre prede non
hanno un naso raffinato e sensibile come il vostro –
- Che cosa ci fai qui? – chiese il centauro tornando
serio.
Solo in quel momentoSimba si accorse della forma fisica che possedevano i suoi
interlocutori: dalla vita in su il corpo era come quello di Sora quando non era
in viaggio nelle Terre del Branco, anche se molto più muscoloso e la pelle era
scura, come quella di coloro che stanno molte ore al giorno sotto al sole.
Dalla vita in giù erano come cavalli, rari ma presenti nelle Terre. I corpi
lasciavano intravedere una muscolatura possente e l’espressione del viso era
quelle delle presone antiche, che hanno visto così tanto da arrivare a pensare
che il loro mondo non abbia più alcun segreto con loro.
Il leone capì subito che quelli erano avversari davvero
strepitosi non sarebbe mai riuscito a sconfiggerli tutti.
Il centauro notò con molto piacere il modo in cui Simba
ammirava il suo corpo ma, dopo cinque minuti, decise che ne aveva abbastanza e
ripeté la domanda appena posta a voce decisamente alta, facendo tornare il re
dei leoni alla realtà.
- Io... sono qui perché sevo trovare gli altri leoni – il
tono di Simba non era molto convinto e un sorriso si dipinse sulle labbra del
suo interlocutore.
- Perché non li cerchi alla rupe? –
- Forse lì non ci sono? –
- Beh, di qui non sono passati, quindi se vuoi ti concedo
di andare indietro. Se vuoi passare dovrai combattere –
- Lo sai bene che contro di voi non ho speranze –
- E chi ha mai detto che dovrai affrontarci tutti? – la
voce era derisoria – Combatterai con me e, se vincerai, andrai avanti ma, se
perdi, sarai la nostra cena, ho già l’acquolina in bocca! –
Simba vide in quello scontro l’unica salvezza del suo
popolo quindi accettò di buon grado.
Il centauro si lanciò all’attacco così velocemente che
Simba lo vide all’ultimo istante e si gettò di lato, riducendo i danni ad un
piccolo graffietto sulla zampa. Il leone contrattaccò con foga, ma l’avversario
era fortissimo. Abituato a combattere chiunque lo ostacolasse, era un veterano
dei combattimenti e non aveva la minima difficoltà a controbattere e tutti i
suoi attacchi andavano a segno, lasciando sempre qualche ferita sanguinante sul
corpo del re dei leoni.
In preda al panico e alla rabbia, Simba decise che era
disposto a tutto per salvare i suoi amati leoni e concedette il suo cuore
all’oscurità, diventando un heartless.
L’heartless di Simba, avvolto in un’aura oscura, aprì per
la prima volta gli occhi. era incredibile la sensazione di invincibilità che
provava, quel senso di rabbia folle. Subito volle andare a strappare il cuore
di colui che l’aveva fatto nascere.
Il centauro vide un’ombra balzargli addosso e, prima che
se ne rendesse conto, era con la schiena a terra e le unghie puntate alla gola.
L’heartless di Simba non volle avere pietà e
istintivamente volle dare il colpo di grazia. Aveva già alzato la zampa quando
vide il volto di Sora e, nel profondo, sentì di averlo tradito. Si guardò
attorno e vide gli occhi stupiti e perduti di tutti quei centauri e li vide
come i suoi leoni, sperduti senza una guida. Guardò il sole e vi vide la luce
che avrebbe dovuto guidarlo. Venne avvolto da un bagliore intenso e ritornò ad essere
se stesso. Tiro via la zampa dalla gola del centauro e si allontanò di qualche
passo.
- Perché mi risparmi la vita? – chiese subito il capo dei
centauri.
- Perché tutti loro hanno bisogno della tua guida – disse
Simba, accennando con la testa a tutti i presenti
- Non è un valido motivo –
- Per me si – rispose, cocciuto.
- E va bene. Puoi passare e ti auguro di trovare quello
che cerchi –
- Grazie. Spero che nel futuro potremo essere amici e
collaborare –
- Di certo. Ora va, il tempo è prezioso –
Senza aggiungere altro, Simba si allontanò con passo
spedito, con l’intenzione di tornare molto presto dai centauri.
Ormai si era fatta sera e Simba sapeva che non sarebbe
stato per nulla saggio proseguire. La zona che stava attraversano era piena di
boschetti, ormai si poteva vedere bene la foresta dove per tanti anni aveva
vissuto lontano dagli altri.
Trovò una radura e si sdraiò sotto ad un grosso albero
dal troco molto chiaro, alto vari metri, che dava riparo a molti animali. Esso
era grosso e vecchio ma dava, al una tale sensazione di sicurezza che Simba non
avrebbe mai potuto andare a dormire da un’altra parte.
Ansem stava osservando le prove che Simba affrontava.
Riusciva addirittura a capire come si sentisse colui che aveva evocato la magia
e, stranamente, era come se fosse felice del fatto che il leone le superava
tutte, dalla prima all’ultima.
La prova finale, però, sarebbe stata una prova che lo
avrebbe sconvolto. Avrebbe dovuto affrontare la parte oscura di se stesso e
avrebbe dovuto accettarla.
- Come fare ad
avvisarlo? – pensava spesso, ma sapeva che non poteva fare proprio nulla.
Ansem decise che era ora di parlare a Topolino delle sue
scoperte. Fino a quel momento aveva tenuto tutto per se, ma era arrivato il
momento di giocare a carte scoperte. Voleva assolutamente guadagnarsi di nuovo
la fiducia totale del re che, come il saggio aveva notato e condiviso, lo
osservava e spiava. Non si era mai stupito del comportamento dell’amico che
faceva esattamente quello che avrebbe fatto lui nei suoi panni.
- Volevo parlarti, è una fortuna che tu sia arrivato
proprio ora –
- Bene allora. Dimmi. –
Ansem iniziò il racconto senza nascondere i suoi
fallimenti. Descrisse le protezioni di quella magia, l’incontro con i leoni, le
avventure di Simba. I due rimasero a parlare tutta la notte e, il mattino dopo,
erano troppo stanchi per discutere, quindi si coricarono che il sole era già
sorto e non si sarebbero svegliati fino al pomeriggio inoltrato.
Simba si svegliò. Voleva andare avanti, ma prima fece una
magra colazione, per mettere almeno qualche cosa nello stomaco. Non poteva
essere lucido e combattere se aveva fame.
Il leone si incamminò senza sapere che quella che stava
per affrontare sarebbe stata la sua ultima prova, che lo avrebbe fatto
diventare o il re che avrebbe sempre voluto essere oppure lo avrebbe condotto
ad una morte che non poteva nemmeno immaginare.
Era già da tempo che camminava, pensando a quello che era
successo negli ultimi giorni. Il sacrificio di Sora era stato provvidenziale,
ma se non avesse continuato, si ripeteva, sarebbe stato del tutto inutile.
Arrivò alla foresta che conosceva tanto bene.
Si trovò ben presto in una radura che conosceva bene:
quando era solo un leoncino, era stato lì che Timon e Pumba lo avevano trovato
mentre cercavano i loro insetti. I due lo avevano cresciuto e trasformato in
quello che era. Solo allora si rese conto che in realtà non aveva mai veramente
desiderato essere rimasto con gli altri perché la sua casa era proprio lì in
quella foresta. La rupe era solo il luogo dove avrebbe dovuto andare per tutta
la vita a guidare il suo branco.
Un’ombra si mosse rapida tra i cespugli e Simba si
catapultò in quella direzione, ma senza trovare nulla.
Si girò e si trovò di fronte alla sua copia.
- E tu chi diavolo sei? – chiese, nella voce un misto di
stupore e determinazione
- Il tuo nobody, mio caro –
- Ma... –
- Hai ceduto il tuo cuore all’oscurità – disse il nobody
sorridendo – E mi hai dato la vita, liberandomi. Ora la tua parte oscura
risiede in me, ma non puoi essere completo senza essa. Ognuno è fatto di luci e
ombre e non è possibile scindere le due. Ci deve essere un equilibrio. Puoi
scegliere se riunirti a me e convivere con te stesso in modo del tutto
consapevole oppure combattermi, e morire nel tentativo –
Simba rimase interdetto. Aveva capito quello che era
successo, ma non poteva accettare il fatto che doveva avere dentro di se anche
quel mostro. Comprese solo allora che non poteva andare sempre tutto bene e
doveva rischiare. Decise che prima avrebbe preso un po’ di tempo.
- Sai dove sono i leoni? – chiese curioso.
- Tu, nel profondo, sai dove sono –
- Ma che cosa dici? Io non so nulla! –
- Questo è quello che ti sei costretto a credere –
- Tu sei pazzo! –
- Ehi, stai dando del pazzo a te stesso! –
- Almeno dimmi il motivo dei mie incontri! Non potevano
essere del tutto casuali! Prima la vecchia iena, poi i centauri e ora tu... –
Il nobody rimase in silenzio, sorridendo
- E che ne so io? Sono appena nato, ricordi? –
- Brutto... ! –
Dicendo questo, Simba si lanciò all’attacco, ma il suo
nobody era troppo veloce.
- Ma come fai? Del resto, non puoi essere tanto diverso
da me! –
- Infatti, solo che io non ho paura dio sfruttare
l’immenso potenziale che tu rinneghi. Tuo padre ci... –
Rimase qualche tempo in silenzio, per sottolineare quella
parola, poi proseguì.
- Ci ha dato un immenso potenziale per i combattimenti.
Tu lo usi solo in minima parte e solo quando ti sei trasformato in un heartless
lo hai capito ma non accettato, almeno non consciamente. Il suo subconscio ha
cercato di mascherare la verità, ma nessun heartless diventa più forte di
prima, solo usa tutto quello che fino a prima aveva paura di tirare fuori. E
scommetto che ti è piaciuto... –
Il nobody si concesse una pausa.
Aveva dannatamente ragione, sembrava sapere tutti i suoi
pensieri, anche i più intimi, nonostante si fossero separati. Non voleva
ricongiungersi con li, ma lo avrebbe fatto per il bene del suo popolo. Solo,
non sapeva se dopo sarebbe ancora stato degno di essere il capo. Poi,
all’improvviso, un pensiero gli balenò in mente.
- Perché sono
diventato re? Perché sono figlio di mio padre? Forse Scaar sarebbe meglio di
me? –
Scacciò tutte quelle domande, ma esse ritornarono, sempre
più insistenti. Dovette riflettere, del resto il suo nobody non sembrava tanto
ansioso di combattere. Decise che sarebbe andato in ordine.
Per prima cosa, era diventato re perché Rafki lo aveva
ritenuto degno, ma se sapesse quello che aveva passato forse avrebbe cambiato
opinione.
- O forse no – Si
disse. Tutti i grandi re avevano avuto le loro sfide interiori, le debolezze,
le vittorie.
Ripensò a tutti i suoi eroi e notò che nessuno non aveva
commesso errori. Erano leoni come lui, niente di più, solo che loro avevano
avuto il coraggio di affrontare i loro difetti e convivere con loro.
Decise che era ora di rispondersi sulla domanda più
importante: Scaar era stato meglio di lui? Solo ora pensava che forse era così.
Del resto lo zio aveva polso e sapeva che non aveva mai concesso nulla a
nessuno. Ma del resto lui non aveva mai proibito nulla a nessuno, anche quando
era consigliabile farlo. Si era sempre comportato come un debole che tenta in
tutti i modi di tenere il potere per se. Almeno per finta...
Uno sbuffo lo distrasse dalle sue riflessioni. Il nobody
non aveva tutta la pazienza del mondo, ovviamente. Si era stufato di aspettare
e voleva sapere la decisione del somebody.
- Allora, cosa hai deciso? – chiese, con una nota
frettolosa nella voce.
- Ancora non lo so – disse Simba con tono di sfida – Sono
ancora nella fase di autocommiserazione, poi ci potrebbe essere il pensiero
positivo e poi, infine... la risposta! –
- Le tue battute non mi piacciono affatto, io non ho
tempo da perdere. O andiamo insieme a recuperare il tuo branco oppure ci vado
da solo dopo averti eliminato –
Quelle parole fecero sussultare Simba.
- Tu sai dove sono? –
- Ovvio. Non hai ancora capito, non è così? –
- Capito cosa? – chiese Simba sempre più confuso.
- Capito lo scopo delle prove, della mia esistenza.
Certo, lo ammetto, io non sarei dovuto esistere e la prova finale doveva essere
molto diversa. –
Il tono del nobody divenne vago e il leone capì che non
gli stava dicendo nulla in quel modo, se non che il suo interlocutore era uno
sbaglio e a lui non importava proprio nulla.
Dovette cercare a fondo dentro di se, poi vide la
soluzione.
- Aiutami a vedere le mie potenzialità – disse, tutto d’un
fiato.
- Le vedrai non appena ci saremo uniti, di nuovo. Sempre
che tu non voglia soccombere –
Gli artigli del nobody uscirono lentamente e parvero
prendersi gioco del leone che avevano davanti, ma Simba si costrinse a rimanere
calmo.
- Tu sei una parte di me, molto nascosta, quello che non
viene mai alla luce del sole ma si nasconde nella parte più remota della mia
mente. Solo ora posso capire che cosa mi è successo quando ho combattuto contro
Scaar. Tu mi hai aiutato, con i tuoi riflessi molto sviluppati, dandomi tutta
la forza necessaria per sconfiggere mio zio... –
- Vedo che solo ora inizi a capire chi hai di fronte.
Dunque, mi rivuoi con te o no? –
- Non ne sono sicuro. Il tuo potere, da dove deriva? –
- Dall’oscurità, come tutto il potere –
- Anche la luce ha i suoi mezzi –
- Si, su questo hai perfettamente ragione, ma il vero
potere non è fra essi –
- Giusto, alla luce non interessa avere la supremazia, si
accontenta di essere in equilibrio con l’ombra. Sono i suoi guerrieri che non
riescono a comprendere questo concetto. Luce e ombra devono equivalere, e
nessuno può esistere senza l’altra.–
- Bene, vedo che un buon pensiero ne tira un altro... –
- C’è solo una cosa. Chi mi ha voluto mettere alla prova
e perché ? –
- Alla prima domanda, non ti risponderò mai, ma tu, nel
profondo, lo sai. Per quello che riguarda la seconda, eccoti il motivo, anche
se non mi crederai mai –
Simba guardò il suo interlocutore negli occhi, ma il suo
sguardo rimase sempre fisso, imperscrutabile.
- Parla –
- Bene, allora ecco tutto. Le prove ti dovevano
dimostrare se sei degno veramente del posto che hai. Ma prima di dimostrarlo ad
altri, lo devi dimostrare a te stesso. Pensaci un attimo. La vecchia iena era
pericolosa, ma tu sapevi che non ti avrebbe fatto del male e non l’hai
aggredita. Hai fatto la cosa giusta. –
- Ok, ma il resto? I centauri? –
- Loro dovevano farti capire che non sei invincibile e ci
sarà sempre qualcuno più forte di noi leoni –
- E tu come fai a sapere tutte queste cose? –
- Perché ho parlato con colui che le ha progettate e lui
mi ha spiegato tutto. È stato davvero gentile. Io ero perduto, alla mercé di
chiunque e lui mi ha detto chi ero, perché ero nato e quale poteva essere il
mio destino. Ora sei tu che devi fare la scelta –
Tutto appariva così assurdo agli occhi di Simba, poi capì
che quello che aveva davanti era una parte importante di se stesso e senza di
essa sarebbe cambiato. Si sarebbe trasformato davvero nel codardo che temeva di
essere.
- Accetto – disse infine, con una voce che a stento
riconosceva come propria – Ma prima dimmi chi è stato a farmi questo –
- Lo sai che non posso –
- Non parlavo delle prove –
- E di che cosa allora? –
- Da dove sono sbucati fuori tutti quegli heartless? –
- Davvero, questo non lo so, ma penso che fossero
attirati dal Keyblade del tuo amico anzi, del nostro amico –
- Va bene, muoviamoci –
- Da quanto aspettavo questo momento! Mi chiedo come sia.
Non ho mai provato a immaginarlo... –
Finì la frase e un intenso bagliore bianco lo circondò,
poi il nobody si scompose in mille e più piccole lucine che, ad una ad una,
entrarono nel corpo di Simba. Il leone poté sentire che tornava ad essere di
nuovo completo.
Con passo sicuro, tornò alla rupe, dove sapeva che
c’erano i leoni che lo aspettavano.
Il sole era alto nel cielo quando i leoni comparvero
sulla rupe, come per magia. Lì trovarono Topolino e gli altri e non seppero
cosa dire!
Poi, quando Rafki vide il corpo di Sora, ancora bollente
per la febbre, calmò il branco e disse a due leonesse di portare Sora nella sua
caverna.
Lì ascoltò il battito del cuore del piccolo eroe che un
tempo aveva sperato di poter diventare re dei leoni. Era un caro amico e la
scimmia voleva assolutamente aiutarlo.
Gli cosparse il corpo con un miscuglio di erbe pestate e
intinte nell’acqua.
Topolino e Ansem rimasero al fianco del ragazzo per tutta
la convalescenza durante la quale Sora chiamava molto spesso la sua amica
Kairi.
Le erbe ebbero un effetto miracoloso: Sora guarì due
giorni dopo, poche ore prima dell’arrivo di Simba.
Il leone, notò il ragazzo, era più sicuro di se e non
aveva mai alcuna esitazione.
Sora decise che era meglio non chiedergli nulla a
proposito di quello che aveva passato e Simba non era propenso a parlarne.
Topolino, Ansem e Sora decisero che per loro era giunto
il momento di rientrare. Aprirono il loro varco di luce e vi entrarono, diretti
verso il castello Disney.
Il ragazzo aveva passato vari giorni per pianificare
l’operazione che stava per compiere.Si
rendeva conto che, per scoprire dov’era Sora, avrebbe dovuto andare al castello
Disney e chiedere a Topolino, ma da solo non ci sarebbe mai riuscito. Aveva
bisogno dell’aiuto di colui che riteneva il migliore di tutti.
Axel.
Sephiroth era lì con lui. Erano passati vari giorni da
quando lo aveva incontrato ma non era riuscito a sconfiggerlo. Era impossibile
farlo a meno che non fosse Claud a sfidarlo. Come ormai sapeva, Sephiroth era
immune al suo potere. Come gli aveva detto durante l’incontro, una persona che
nasce dall’oscurità non può essere colpita da essa. Lui era nato proprio
dall’oscurità del cuore di Claud e quindi era immune agli straordinari poteri
del ragazzo.
Il nobody ripensò a quello che era accaduto quel giorno.
Dopo
aver incontrato Sephiroth, gli aveva chiesto, senza molti preamboli di unirsi a
lui. Come era prevedibile, il nobody si era rifiutato in quanto, d solito,
lavorava da solo. Dopo che il ragazzo aveva insistito, Sephiroth decise di
metterlo alla prova e si misurò con lui. Il ragazzo era molto forte, ma non
aveva nemmeno un briciolo della tecnica e dell’esperienza del suo rivale che,
dopo pochi scambi di colpi, lo sconfisse usando la sua lunghissima spada per
fargli perdere l’equilibrio.
-
Non sei degno di essere mio socio – disse con tono sprezzante nella voce
-
Non è ancora finita – replicò il ragazzo, coraggiosamente.
Usò
il potere dell’oscurità contro l’avversario ma, sorprendentemente, esso lo
aveva attraversato senza nemmeno sfiorarlo.
Allora
aveva cambiato tattica, usandolo per diventare più veloce e preciso e, grazie
ad esso, riuscì ad eguagliare Sephiroth il quale, però, non combatteva sul
serio e durante l’incontro non sfoderò tutta la sua potenza.
Dopo
una mezz’ora di combattimento, il nobody era sfinito. Non riusciva più a
controllare il potere dell’oscurità e dovette rinunciare ad esso. Al contrario,
Sephiroth era in gran forma e nulla sembrava stancarlo. Dopo due rapidissimi
colpi, stese il ragazzo e li disse che aveva superato la prova. Sarebbe
diventato un suo socio, allo stesso livello, ma non voleva ancora far sapere al
mondo che era tornato.
- Allora, ci muoviamo o no? –
Le parole di Sephiroth fecero tornare il ragazzo al
presente.
- Si, sono pronto. Mi sono preparato bene e fino ad ora
tutte le prove indicavano che il mio potere è più che sufficiente –
- Allora procedi – il tono era freddo e distaccato.
Il ragazzo iniziò ad invocare il potere dell’oscurità per
far tornare Axel. Il corpo del n° VIIIera nella macchina che il ragazzo aveva usato tempo prima, assieme al
suo spirito. Riportarlo alla vita era abbastanza semplice per il fatto che un
nobody non aveva un cuore, quindi si potevano prevedere le sue reazioni.
Un cuore, infatti, è imprevedibile e sarebbe stato troppo
difficile farlo tornare dal mondo dei morti senza traumi.
Concentrò il suo potere sulla figura di Axel che il
ragazzo aveva completato rifinendone il carattere attraverso i dati scaricati
dal computer di Ansem. Grazie al caro Tron aveva tutto quello che voleva.
La casacca scura comparve nella stanza dopo pochi
secondi. Iniziava la parte più difficile.
Il ragazzo si concentrò al massimo. L’oscurità entrò
nella macchina, isolando Axel da tutti gli altri. Lo prese, dividendolo dagli
altri, che facevano pressino per essere riportati anche loro nel mondo dei
vivi.
- Ma che diamine!
Devono proprio intromettersi?-
Si chiese il ragazzo, le gocce di sudore gli imperlavano
la fronte.
- Ce la fai? – chiese Sephiroth con tono sprezzante.
L’unica risposta che ottenne fu un grugnito, nello stesso
istante in cui una luce abbagliante si concentrò nella casacca nera dell’Organizzazione,
devo pochi istanti dopo apparve Axel.
- Che diavolo succede? – chiese Axel quando riuscì a
parlare.
Il ragazzo gli raccontò la sua storia e gli propose di
unirsi a lui. Gli tacque alcuni “dettagli” come il fatto che poteva portare in
vita, di nuovo, tutti i membri dell’organizzazione. Gli propose di aiutarlo a
far tornare Roxas.
Axel non poté fare altro che accettare. Avrebbe fatto di
tutto per ritrovare il suo amico, l’unico che lo facesse davvero sentire bene,
l’unico con cui, alla fine, era davvero legato. Prima come adesso.
- Siamo diretti al castello Disney, dove Topolino ci dirà
dove si trova Sora. –
- E come conti di farlo diventare un heartless? –
- Non lo farò. C’è una macchina che separerà Sora da
Roxas. Allora noi uccideremo il primo e il secondo sarà di nuovo nostro –
- Gli altri? –
- Altri chi? –
- Xemnas, e i suoi... X–E–M–N–A–S,
got it memorized? –
- Si, lo so chi era il capo –
- Era? –
- Sora lo ha ucciso, quindi non era degno di essere il
capo dell’Organizzazione –
- E tu conti di prendere il suo posto... –
- Molto perspicace... –
- Penso che ti appoggerò –
- Grazie, mi fa piacere saperlo –
- A patto che Roxas torni fra noi –
- Ovvio, ovvio. Un altro custode mi farà comodo –
- In che senso un altro? –
- Nel senso che anche io sono un custode –disse il ragazzo evocando la sua Keyblade
- Bene, felice per te – fu la risposta secca del n° VIII.
Al castello Disney tutto era tranquillo. Kairi si era
ripresa e Sora le stava accanto tutto il tempo. Riku si era isolato, invece.
Era da tempo che non vedeva Kairi, ma lei non aveva occhi che per Sora.
Invidiava quel ragazzo in un modo che va oltre la semplice cotta che ormai era
convinto di aveva per la fidanzata del suo amico. Spesso si vergognava dei suoi
sentimenti, ma non poteva fare nulla.
Cercava di non pensarci e si allenava per tutto il tempo
che aveva a disposizione.
Qualche volta Sora lo aiutava, ma il ragazzo non poteva impegnarsi
più di tanto. Da quando si era unito del tutto a Roxas, aveva acquisito una
potenza inimmaginabile. Possedeva addirittura tre Keyblade: la Catena Regale,
il Portafortuna e il Lontano Ricordo. Poteva evocare la prima da sola oppure le
altre due, come una volta faceva Roxas.
Era proprio durante un allenamento ce un varco oscuro si
aprì e ne uscirono due tizi con la stessa casacca dell’organizzazione XIII !
Non poteva certo chiedere aiuto, era troppo orgoglioso
per farlo.
- Chi siete? – chiese.
Axel, per tutta risposta, si tolse il cappuccio.
- Tu! – gridò Sora che per caso passava di lì.
- Già, io. L’ultima volta ti ho dato una bella mano, ma
non sperarci di nuovo! –
Anche l’altro tizio si tolse il cappuccio e si rivelò
essere la copia di Riku, solo con qualche cosa di oscuro. Sarebbe difficile per
Sora spiegare quello che aveva provato alla loro comparsa.
- Ma che storia è questa? – chiese Sora, che ancora non
capiva quello che stava accadendo.
- È il mio nobody – disse Riku con voce asciutta.
- Esatto – replicò quello – E sono qui per te! – disse,
puntando il dito verso Sora.
- E come mai vuoi me? –
- Davvero non lo capisci? Beh, allora non ti rovino la
sorpresa! –
- Tu combatterai contro di me – disse Ansem, arrivato
proprio in quel momento. La voce calma e asciutta faceva percepire tutta la sua
determinazione.
- Non voglio ucciderti, vecchio, non dopo che mi hai
aiutato così tanto –
- Io che cosa ho fatto? –
- Il tuo computer a Crepuscopoli mi ha dato tutte le
informazioni necessarie –
- Capisco, quindi hai avuto accesso a tutte le mie
ricerche... – considerò il saggio, con tono rassegnato. Da molto non pensava agli
studi che aveva fatto tempo prima.
- Esatto. E ora, se vuoi scusarmi –
Ansem si parò davanti al nobody.
- Non così in fretta – disse, la voce imperiosa.
- Va bene, se proprio vuoi morire –
I due evocarono i rispettivi Keyblade e si misero inposizione. Erano molto abili e lo scontro
prometteva di essere molto bilanciato.
Il ragazzo sapeva di poter vincere mentre Ansem capiva
che la sua situazione era decisamente delle peggiori. Non poteva resistere
molto a lungo contro il poter dell’oscurità e lo sapeva.
Il ragazzo decise che non avrebbe sfruttato il suo
talento, almeno non subito. Attaccò in modo classico, seguendo alla regola
tutte le regole che si seguivano nella scherma. Presto capì che la perfezione
teorica non era sufficiente. Attacchi e parate erano prevedibili e presto
entrambi iniziarono a giocare sull’inventiva.
Vederli combattere era uno spettacolo entusiasmante e
Axel si rifiutò di combattere: volva assistere a tutto il duello. Voleva, in
realtà, studiare il vero potenziale di quel nobody e trovarne i punti deboli.
Solo allora avrebbe potuto sconfiggerlo e prendere il posto che gli spettava
come capo dell’organizzazione. Lui era il più forte, o almeno di questo era
convinto il Nobody che non aveva mai accettato il fatto che Roxas se ne fosse
andato. Ora, però, aveva l’occasione di ritrovarlo dopo tanto tempo.
Continuò a seguire lo scontro, ma presto fu ovvio che
Ansem era nettamente superiore.
Il ragazzo non avrebbe voluto usare in modo tanto
evidente il suo potere, ma non ebbe scelta.
Creò una palla di oscurità che poi lanciò contro il
nemico, scaraventandolo contro la parete del castello.
- No! – gridò invano Sora.
Il ragazzo era micidiale e in un baleno fu addosso al
saggio e lo trafisse con la sua arma.
Ansem non avrebbe mai pensato di morire così, combattendo
per la giusta causa ma, in realtà, ne era felice. Aveva ottenuto quello che
voleva e molto di più. Quello scontro era l’ultimo sfizio che voleva voluto
togliersi e sapeva già dall’inizio che avrebbe perso. Pensò alla sua vita, i
suoi allievi, tutti si erano trasformati in heartless lasciando quel guscio
vuoto ch erano i loro nobody.
Erano stati sconfitti tutti ma a quanto pareva potevano
essere fatti tornare. Il ragazzo ce l’’aveva fatta.
Soddisfatto attese il colpo di grazia, che non tardò ad
arrivare. La lama penetrò nella carne fino al cuore. Sorrise, sapendo che per
lui era la fine.
Mentre esalava il suo ultimo respiro, anche il Keyblade
scomparve dalle sue mani, per andare al Cimitero delle Keyblade, luogo dove
tutte le armi sacre si radunano quando il loro Custode muore.A tutti gli spettatori sembrò che,
scomparendo, la chiave si facesse beffe di Ansem, che non era stato capace di
sconfiggere il suo avversario.
Sora rimase sconcertato. Non avrebbe mai pensato che ci
potesse essere qualcuno tanto potente. Quel nobody aveva sconfitto Ansem con un
colpo solo.Era davvero inaudito, il suo
potere era davvero oltre l’immaginabile.
Sora sorrise. Finalmente aveva trovato qualcuno con cui
sarebbe stato davvero bello battersi.
- Ora è il mio turno – disse Riku, deciso.
- Va bene, allora combatterai con me – rispose Axel, ridendo
– Sora è del mio amico, non vorrai rovinare tutto! –
- Io accetto la sfida –
La voce di Sora risuonò decisa e nessuno gli avrebbe fatto cambiare
idea.
Riku capì questo e si arrese. Non avrebbe potuto fare nulla,
se non sconfiggere Axel.
- Molto bene allora – disse il ragazzo mettendosi in
posizione, concentrato.
Sora evocò la Catena Regale e un’espressione stupita si
dipinse sul volto di Riku, che la fece sparire subito.
- Combattiamo?- disse Axel.
- No, preferisco vedere loro due – rispose il ragazzo.
- Sai una cosa? Anche io – replicò il membro numero VIII.
Il duello iniziò, subito rapido ed entrambi cercavano di
studiare l’avversario senza far capire molto di se.
Andarono avanti per qualche minuto, poi il ragazzo evocò la
sua magia, senza la quale era nettamente inferiore ai suoi avversari. In
passato, capì, aveva tenuto testa a Sephiroth solo perché egli non aveva
sfoderato il cento per cento della sua forza.
La magia colpì nello stesso modo in cui aveva distrutto le
difese di Ansem, ma Sora era pronto. Parò con la sua arma l’ondata di oscurità
e la respinse al mittente. Fatto ciò decise che i giochi erano terminati. La
Catena Regale scomparve dalle sue mani e il nobody pensò, per un istante, di
aver vinto. Poi tutto si fece confuso e nelle mani del ragazzo comparvero due
Keyblade!
- Due! – esclamò il ragazzo – Impossibile! Pensavo che fosse
stato solo un caso! –
- Invece no, a quanto pare. Ora si inizia a combattere
seriamente! –
Sora scattò tanto velocemente che il ragazzo non lo vide
arrivare e si trovò con il viso sul terreno, con un terribile dolore allo
stomaco.
- Ma come hai fatto? –
- Allenamento... – disse Sora, serio.
Il ragazzo usò l’oscurità per diventare più veloce, ma non
servì a nulla. Quel ragazzo era troppo forte per pensare di avere la minima
possibilità di batterlo. Lo stesso gli era capitato quando combatteva con
l’ombra di Roxas, tempo prima.
Cercò di aumentare ancora la sua velocità, ma non gli servì
a nulla. Quel ragazzo era diventato troppo veloce e forte. Doveva inventarsi al
più presto qualche cosa o sarebbe stato miseramente sconfitto. Decise che
avrebbe puntato sulla difesa: se non riusciva a diventare abbastanza veloce,
allora avrebbe cercato almeno di parare tutti i suoi colpi. Prima o poi si
sarebbe stancato di attaccare.
Sora capì che il suo avversario non poteva farcela. Era
ancora inesperto e teneva testa a tutti gli altri solo grazie al potere
dell’oscurità, senza di esso non era nulla. Attaccò un’altra volta, ma qualche
cosa andò male: attorno al corpo del ragazzo, proprio all’ultimo istante, si
era eretta una barriera che Sora aveva distrutto, ma il colpo si era indebolito
parecchio e non aveva ottenuto i risultati previsti, anche se era andato a
segno e aveva aperto una piccola ferita alla spalla sinistra.
- Dannazione, mi ha
colpito anche con la barriera! – pensò il ragazzo, disperato.
Sora attaccò di nuovo, con più forza di prima in modo che la
barriera si spezzasse con più facilità ma questa volta essa resse il colpo.
Sora era sconcertato e il ragazzo lo colpì ad una gamba, fortunatamente senza
ferirlo, mentre il custode era ancora sbilanciato.
Sora, con la gamba dolorante, attaccava come un animale in
gabbia e spesso andava a segno.
Il nobody era sempre più sorpreso e stava sempre sulla
difensiva, senza mai sferrare un attacco.
Il duello continuò per vari minuti, poi il suo controllo
sull’oscurità iniziò a diminuire.
Kairi era in camera sua e si stava pettinando quando sentì i
primi colpi. All’inizio pensò che fosse Riku che si allenava ma poi comprese
che non era così, soprattutto dopo quella tremenda esplosione. Andò dal re che
decise di accompagnarla. Lui, dalla Sala della Prima Pietra non aveva sentito nulla.
I due corsero fino al giardino e arrivarono pochi minuti dopo che Sora fosse
colpito.
Il nobody, ormai indebolito, li vide ma non poteva fare
nulla per portare a suo vantaggio la situazione. Sia il re che la ragazza
possedevano un Keyblade, quindi era fuori discussione andare a cercare guai,
soprattutto in quello stato.
Axel guardava impassibile la scena. Non aveva la minima
intenzione di schierarsi con quel ragazzino e, in ogni caso, Sora era diventato
troppo forte, nulla lo avrebbe fermato in quel momento.
Riku era sconcertato. Non aveva mai visto Sora combattere in
quel modo ed era davvero fantastico. Capì solo in quei minuti di combattimento
quanto giocasse quando si allenava con lui ma sapeva che da quel momento in
poi, il divario che si era creato fra di loro sarebbe stato incolmabile.
Sora attaccò ma, prima di arrivare all’avversario inciampò,
apparentemente sul nulla.
Il ragazzo aveva aspettato quel momento: il piccolo filo di
oscurità che aveva messo lì aveva finalmente funzionato. Era già da tempo che
l’aveva messo lì e Sora lo aveva evitato per pura fortuna.
Sora cadde rovinosamente a terra ma si rialzò subito,
arrabbiato per quello scherzo di cattivo gusto. In quel momento, però, Kairi
gridò rivelando a Sora dov’era e distraendolo.
Il nobody sfruttò subito l’occasione, colpendo il suo
avversario alla testa alla testa e facendolo svenire. Axel, rapido, prese il
corpo in braccio e scomparve in un varco oscuro, subito seguito dal ragazzo.
Axel arrivò nel laboratorio, che faceva anche da casa a
quello strano ragazzo. Era il nobody di Riku, quello di cui Vexen aveva fatto
una copia, molto tempo prima ma questo no centrava molto. Aveva battuto Sora
solo grazie ad un colpo di fortuna anche se nemmeno Sephiroth era tanto forte.
Fortunato lui, che grazie all’oscurità del cuore di Claud si risollevava ogni
volta...
Il ragazzo si avvicinò ad Axel. Non gli piaceva il suo
atteggiamento, troppo ribelle e incontrollabile, voleva Roxas perché era suo
amico ma non sapeva se entrare o meno nell’Organizzazione. Sarebbe stato
imbarazzante per lui essere riammesso e poi guardato come un traditore dagli
altri, ma non avrebbe avuto scelta. Sora era un caso molto particolare e
nessuno poteva eguagliarlo.
- Siamo pronti – disse con un tono impaziente – Procediamo.
Mettetelo nella vasca –
- Tu non mi dai ordini, bello. Ti ricordo che posso andare
via quando voglio, se mi fai arrabbiare – disse Sephiroth con tono di sfida.
- Allora vattene –
- Con molto piacere –
Sephiroth aprì un varco oscuro e se ne andò senza fare altri
commenti.
- Tu che hai intenzione di fare? –
- Rimango – disse semplicemente Axel.
- Devo farlo –
pensò –Se voglio riavere Roxas. Poi noi
ce ne andiamo, insieme questa volta –
Axel prese il corpo di Sora e lo immerse nella vasca piena
di quel liquido giallino che gi faceva schifo. L’esperimento era iniziato.
Gli effetti furono immediati. Dal corpo del ragazzo iniziò
ad uscire il suo nobody!
Poi, accadde un imprevisto: Roxas si riunì a Sora, solo che
stavolta le sembianze erano quelle del nobody!
- Ma che cavolo è
successo? – si chiese Axel.
- Ecco, ha funzionato! – disse entusiasta il ragazzo – Ora,
con noi, c’è Roxas! –
- E il corpo di Sora? –
- Non ne ho la più pallida idea –
- Io sì, in realtà –
Roxas si era appena alzato dalla vasca e, in braccio,
portava il corpo del suo somebody, che non era affatto tornato nel corpo di
Roxas, ma si era semplicemente accasciato in una posizione per cui i due non
potevano vederlo.
Paperino e Pippo continuarono il loro viaggio e la meta,
questa volta, era la città di Agrabadh.
Il palazzo del sultano era abitato, finalmente, da
Jasmine e il suo sposo, Aladdin, che si
impegnava ogni giorno per dare loro quello di cui avevano bisogno. Era stato
fatto molto, la città, ricostruita dal genio, era cresciuta e continuava a
prosperare. La caverna delle meraviglie era stata sigillata in modo che nessuno
potesse più accedervi e trovare il modo di combinare guai. Purtroppo essi,
anche quando non sono cercati, arrivano e causano fin troppo scompiglio.
I due viaggiatori erano arrivati proprio davanti al
vecchio negozio del mercante, luogo che sembrava abbandonato.
Entrarono e trovarono la luce accesa.
- Che cosa volete? Lasciatemi in pace! – disse una voce
debole e poco convinta.
- Ma tu sei il mercante? –
- Ero, brutti scocciatori. Ma da che mondo venite? –
- A dire il vero, dal castello Disney... – disse Pippo
divertito.
- Non sarete per caso gli amici di Sora! – disse il
mercante, riconoscendoli – Fintamente siete tornati! Il nuovo sultano non si
fida di me e non crede che i guai sono in vista! –
- E fa bene – disse Paperino – Che cosa ti aspetti dopo
aver tradito tutti qui in città? –
- In effetti nulla – disse il mercante con voce pentita –
Ma ora voglio aiutare! Voi potreste convincerlo che non sto mentendo! –
- Ma chi è ora il sultano? – chiese Pippo
- E non ve lo immaginate? –
Gli occhi dei due si fecero dubbiosi, poi scossero la
testa.
- È Aladdin! –
L’espressione dei due si fece stupita e poi felice.
- Siamo contenti per lui – disse Paperino.
- Si, ma non ne vuole sapere di me! Ma io l’ho vista! –
esclamò il mercante.
- Vista cosa? –
- la lampada di Jafar, cosa se no? –
- Ma non può essere, era andata distrutta! –
- A quanto pare no –
- E dove l’avresti vista? –
- In mano al più ricco mercante della zona. In cinque
giorni ha accumulato tanti di quei soldi che potrebbe comprare il titolo di
sultano! –
- Dove la possiamo vedere? –
- Non è così che funziona, ma mi deve un piccolo favore e
sono convinto che possiamo entrare –
- E che gli chiederai? –
- Una piccola somma per riprendere i commerci, visto che
i sultano dà soldi a tutti tranne che a me! –
- Non gli possiamo dare torto e tu lo sai –
- Andiamo e non discutiamone più –
I tre si allontanarono dalla bottega, ormai in rovina, e
il mercante li condusse ad una casa lussuosissima, che era stata costruita, a
detta sua, in pochi secondi e poi era stata usata la magia per mascherare
l’accaduto.
Effettivamente, Paperino percepiva alcuni residui di
magia, ma non poteva dire a che cosa fosse servita in quanto era troppo tempo
che quelle tracce erano lì.
- Andiamo a vedere – disse il mercante che ormai non
aveva più nulla da perdere.
I tre entrarono e vennero accolti in modo ben poco
caloroso.
- Che diavolo volete? – chiese il ricco mercante, con
aria sdegnosa.
- Io voglio un favore. Quello che mi devi –
- Io non ti devo proprio nulla –
- E invece sì, brutto ingrato che non sei altro. Quando
io ero ricco grazie ai commerci ho avviato la tua attività prestandoti dei
soldi –
- Che poi ti ho restituito –
- Si, ma il favore rimane –
- Ok, ok. Venite con me e risolviamo questa faccenda una
volta per tutte –
Paperino e Pippo si guardarono intorno, ma la lampada non
c’era da nessuna parte.
Arrivarono allo studio privato dove, in bella vista sulla
scrivania, c’era una lampada identica a quella di Jafar,solo che era stata colorata in modo strano,
dei simboli che a Paperino sembrarono rune la ricoprivano interamente.
- Eccoti i soldi – disse il ricco mercante, dandogli un
sacchetto mezzo vuoto di munny.
- Solo questi? –
- Tu non mi hai dato gran che – il ricco mercante sorrise
ironico – E ricordati che se fra due anni non li riavrò tutto quello che era
tuo diventerà mio –
- Certo, certo. Gentile come al solito. Venite ragazzi,
andiamo via –
- Gusto, ma loro chi sono? –
- I miei due garzoni. Appena assunti, anche se sono solo
in prova –
- Ok – replicò quello, poco convinto.
Quando furono fuori dalla maestosa casa, Paperino iniziò
a lamentarsi.
- Chi saremmo noi? Due semplici garzoni? Te la faccio
vedere io! –
- Fermo Paperino. Non è il caso di scaldarsi tanto! –
disse Pippo.
- E tu che ne sai? Io il garzone non lo farò mai! Sono o
no un mago? –
- Si, ma doveva inventarsi qualche cosa... –
- Va beh. Ma sappi che io il garzone non lo faccio –
- E io non ti vorrei – disse il mercante.
- Bene –
- Benissimo! –
- Si giusto, benissimo –
- Ehi, ragazzi, basta! Non vorrete fare i bambini! –
- Certo che no, ma ha cominciato lui! – dissero quasi
contemporaneamente e a Pippo scappò un sospiro rassegnato.
I due continuarono a camminare tenendosi il broncio, poi
il mercante si rivolse a Pippo.
- Vai da Aladin? –
- Certo, ovvio –
- Allora ricordati di parlare di me! –
- E io non esisto? – chiese ancora più offeso Paprino.
- Scusa, ma chi sei? Chi a parlato, io non ti vedo! –
disse il mercante recitando da vero attore la sua parte, poi si rifugiò nel suo
negozio ormai in rovina.
Il volto di Paperino era diventato rosso di rabbia ma
alla fine lasciò perdere, aspettando con ansia l’occasione di prendersi la sua
rivincita. Il mercante aveva vinto una battaglia, ma non la guerra.
Continuarono a camminare in silenzio fino a quando non
furono in vista del palazzo.
- Che ne dici, Paperino. Cosa dovremmo dire ad Aladdin? –
chiese Pippo incerto.
- Non ne sono sicuro. Vero che quella lampada è molto
simile a quella di Jafar ma qualche cosa in questa storia non mi convince –
- Si, del resto abbiamo visto distrutta con i nostri
occhi quella lampada! Mi pare difficile non averla notata mentre tornava... –
I due stavano ancora parlando quando arrivarono al
palazzo. Un uomo in uniforme li accolse con distacco.
- Come mai siete qui? – chiese gelido.
- Siamo amici di Aladin e vorremo almeno salutarlo! –
disse indignato Paperino
- Spiacente ma il sultano è molto impegnato e non può
ricevervi senza un appuntamento –
- O mio dio! Mi
sembra di essere a Redient... – pensò Pippo.
- Noi dovremmo cosa? Brutta guardia maleducata, io sono
un mago e se non togli il tuo grosso e ingombrante sedere da lì giuro che ti
incenerisco! –
- Ma che coraggio per un pivello come te! Avanti, non ho
problemi –
La guardia aveva decisamente esagerato e Paperino non
resistette. Un fulmine colpì in pieno il poveretto che svenne all’istante.
- Ma poverino... non dovresti ridurre così le persone! –
esclamò Pippo che venne ricambiato del suo intervento con un’occhiataccia.
- Non c’era bisogno di scaldarsi tanto – disse una voce
femminile da un angolo.
- Jasmine! - Dissero i due all’unisono.
- Esatto – replicò la ragazza – Immagino che saprete
tutto su Aladdin –
- Naturalmente – disse Pippo, nettamente più loquace del
suo compagno.
- Vi porto da lui –
- Aspetta un momento – disse Paperino, con tono
stranamente calmo.
- Paperino ma... – disse Pippo incerto.
- No, dobbiamo parlarne con lei. Sento che è la persona
giusta –
- Parlarmi di che cosa? – chiese curiosa la ragazza.
- Abbiamo incontrato il mercante – esordì Pippo
- E ci ha detto che la lampada di Jafar era ancora qui –
- Si, ha detto anche a noi questa balla – disse Jasmine.
- Infatti inizialmente non ci ha creduto ma poi siamo
andati da quel ricco mercante e abbiamo visto la lampada! –
- Impossibile – replicò la ragazza – Forse era simile...
–
- La forma e il colore erano quelli, solo che su di essa
c’erano degli strani disegni... –
- Qui sento puzza di bruciato – disse Jasmine, che
iniziava ad avere i primi dubbi.
- Genio! – chiamò.
Il Genio arrivò subito, comparendo dopo una nuvola rosa.
- Dimmi tutto, piccola mia –
- Ehi, da quando questa confidenza? – chiese Paperino.
- Geloso? – chiese il Genio.
Tutti scoppiarono in una fragorosa risata.
- Dobbiamo chiederti una cosa – riprese Jasmine seria – È
possibile che Jafar sia sopravvissuto? –
- Assolutamente no – disse il genio, sicuro – Ma negli
ultimi tempi ho sentito magia nera qui –
- Può essere stata usata per riportarlo in vita? –
- Si, e in effetti le ultime volte mi era sembrato di
sentire quel pazzo in giro... –
- Ma la sua lampada, se pitturata, lo può contenere
ancora? – chiese Pippo che, dall’arrivo del Genio, non aveva aperto bocca.
- Si. Se mi stai parlando di strani disegni tribali,
quelli servono per potenziare il controllo sul genio. Avrai desideri infiniti
ma la tua vita sarà più breve.Molti
sono disposti a questo –
- Si, anche perché si può chiedere tutto, no? –
- Beh, in effetti quasi tutto. Non roba come vita eterna
o altri sogni simili –
- Capisco – disse pensierosa Jasmine.
- Penso che dovremmo avvertire Aladdin – disse Pappo.
- Assolutamente no – replicò Jasmine – Lui vive nella
costante paura del ritorno di Jafar e una notizia come questa lo stenderebbe...
–
- Giusto. Ma allora che facciamo? – chiese Paperino.
- Non ne sono sicura ma penso che dovrei andare a dare
un’occhiata. –
- E come pensi di intrufolarti lì? – chiese il Genio.
- Non mi intrufolerò da nessuna parte. Ti ricordo che
sono io ad avere il potere e posso andare lì con una scusa qualunque –
La principessa iniziò a pensare una plausibile.
- Ci sono! – esclamò – Basta dire che devo fare un
controllo della sua situazione commerciale per considerare se affidargli un
incarico –
- Si, e poi cosa gli assegni? –
- Se i nostri sospetti sono veri, gli affiderò solo
qualche munny e una casa diroccata! –
Senza ulteriori chiacchiere il gruppo si incamminòverso la casa del mercante.
- Noi non possiamo venire – disse Pippo.
- Ha ragione – osservò Paperino – Il vecchio mercante ci
crede i nuovi garzoni del mercante –
- Potrei camuffarvi con la magia – propose il Genio.
- Si, ma le nostre voci sono alquanto particolari e non
tarderebbe a scoprirci – disse Pippo.
- Hanno ragione loro, Genio. Potete dirmi dov’era la
lampada? –
- Si, ovvio – disse Paperino – Era nello studio –
- Troppo prevedibile quel mercante. Vedrò quello che
posso fare –
- Noi andiamo da Aladdin. Gli farà piacere un saluto –
- Non ne sarei tanto sicura. Non è più l’Aladdin che
conoscevo. È cambiato, troppo impegnato sul lavoro e non dedica tempo a nulla e
nessuno –
- Incredibile! – esclamò Paperino
- Già. In bocca al lupo – disse il Genio.
- Crepi – rispose sarcastico Pippo
I due gruppetti si avviarono nelle due direzioni opposte.
Pippo e Paperino arrivarono presto alla casa del sultano.
Lì c’erano le solite guardie che, questa volta, li fecero passare senza
proferire parola. Paperino fece un sorriso beffardo e soddisfatto.
- Solitamente è
molto più socievole – pensava Pippo – Ma
la discussione con il mercante lo ha messo davvero di malumore. Non lo vedo
così da quando eravamo atterrati casualmente nella giungla profonda!–
I ricordi invasero i pensieri di Pippo che si abbandonò
ad essi fino all’arrivo alla porta.
- Quante ne abbiamo
passate! –
La porta si aprì silenziosa alla prima spinta.
- Questa sì che è fortuna! – esclamò Paperino
distogliendo il compagno dai ricordi.
- Andiamo a cercarlo! – replicò Pippo
I due si avviarono in fretta attraverso il palazzo, che
era davvero grandissimo. Fortunatamente la pianta era molto semplice, c’era un
unico corridoio che portava in tutte le stanze. Lo percorsero fino alla fine e
si trovarono di fronte ad una porta in oro massiccio.
- Ma che succede qui? – chiese Paperino – Ad Aladdin non
sono mai interessati certi lussi! –
- Ora si! – esclamò la voce del nuovo sultano dietro a
loro.
- Ma che cosa?!? –
Paperino disse quelle parole senza quasi accorgersene,
preso da un colpo di rabbia improvviso; non che non fosse già di malumore, ma
quello era stato davvero il colmo.
- Calmati, Paperino! – disse severamente Pippo all’amico.
Poi, rivolgendosi ad Aladin – Da quanto tempo! Siamo contenti di rivederti! –
- Si, si anche io, ma ora ho molto da fare... – disse il
sultano con tono decisamente annoiato – Se chiedete a quell’uomo laggiù vi
indicherà le stanze che vi ho assegnato vedendovi. Solo, non disturbatemi, sono
davvero molto impegnato –
Il tono sbalordì i due che si rivolsero uno sguardo
perplesso.
- Ok – disse a sorpresa Paperino – Speriamo che verrai tu
da noi quando avrai un po’ di tempo –
- Certo – replicò il sultano poco convinto prima di
allontanarsi.
I due si avviarono in silenzio verso il cortile; quando
vi arrivarono si sedettero all’ombra di un grosso albero, unico rimasto lì, in
mezzo a statue e fontane, per parlare.
- Jasmine ha decisamente ragione! Quello non può essere
Aladdin! – esclamò Pippo.
- Non lo so... – disse Paperino – Gli abitanti sembrano
felici del suo operato –
- E con questo? È forse giusto dimenticare gli amici, la
moglie e tutte le cose al di fuori dl tuo lavoro? – chiese Pippo, con tono
furioso.
- Certo che no ma... –
- Tu per caso ignori Paperina quando sei al castello? –
- No, ma io non comando... –
- Si, ma come mago di corte potresti essere sempre in
biblioteca a studiare le tue magie e non preoccuparti di lei –
- Lo sai che non farei mai una cosa così. Io amo
Paperina! –
- Anche Aladdin amava Jasmine ma ora... non so più che
cosa pensare! –
- Nemmeno io –
Rimasero in silenzio fino all’arrivo di Jasmine e del Genio,
che li raggiunsero subito.
- Allora? – chiesero i duesperanzosi – Come avete visto Aladdin? –
I due risposero scuotendo la testa.
- Noi, per fortuna, abbiamo scoperto qualche cosa. Quella
è davvero la lampada di Jafar. Genio ha sentito l’odore di quello sciagurato
fin dal cortile! –
Anche questa volta i due si limitarono ad un cenno della
testa.
- Che cosa avete? –
- Nulla – disse Pippo – Solo, non pensavamo che il lavoro
rendesse così –
- Non penso che sia stato il lavoro, o almeno non più –
disse Jasmine – Perché, ora che ci penso, ha questo carattere da quando il ricco
mercante ha iniziato a fare fortuna –
- Quindi, dici che potrebbe essere stato Jafar? – chiese
il Genio.
- Dico di sì –
- Ma non ne hai la certezza – disse Pippo.
- Esatto –
- Che facciamo? – chiese Jasmine.
- Innanzitutto - disse Genio – Hai trovato qualche cosa
che non andava? –
- In effetti si – replicò la ragazza.
- Che cosa, esattamente? –
- Il fatto che fino a qualche anno fa, le sue entrate
erano decisamente basse poi, un giorno, ha fatto una vendita non specificata
che lo ha reso miliardario. Ora, o c’è lo zampino di Jafar oppure è coinvolto
in affari loschi –
- In tutti e due i casi dobbiamo fermarlo, ma come? –
- Chiederò a mio marito di fare una firma – disse Jasmine
– Tanto mi accontenta sempre e non leggerà nemmeno quello che firma –
- Ok, ma non ti sembra ingiusto? –
- Ti sembra che il nostro amico sia stato leale con lui?
–
- Beh, no ma... –
- Ma non mi lascia altra scelta. Lui ha iniziato una
partita che non ci possiamo permettere di lasciargli vincere –
Jasmine entrò nel palazzo mentre gli altri
chiacchieravano del più e del meno.
Genio era molto interessato alle vicende degli altri
mondi, soprattutto dopo aver viaggiato così tanto in compagnia di Sora.
- Come sta Sora? – chiese ad un tratto.
- Sta benone direi. L’ultima volta che l’ho visto ha dato
una bella batosta a Malefica, l’ultima volta mi auguro –
- E gli altri? Aveva ritrovato i suoi amici, ma poi? –
- È rimasto sull’isola fino a che... –
Paperino continuò il racconto, con Pippo che alle volte
lo correggeva o ricordava particolari.
Il tempo volò e, quando Jasmine arrivò, era già tardi.
- Che ne dite di rimanere con noi questa sera? –
- Va bene – disse Pippo – Ma come la metti con Aladdin? –
Lo sguardo della ragazza si fece improvvisamente triste.
- È ormai da tanto tempo che mangia in ufficio , tra le
sue carte... –
- Mio dio! Questa storia deve finire! –
- Lo so, ma ora andiamo –
I quattro si incamminarono verso la sala da pranzo dove
mangiarono a sazietà per poi ritirarsi nelle proprie stanze, dopo che la
principessa definì la più bella cena da molto, troppo tempo.
L’indomani mattina Pippo e Paperino dormirono fino a
tardi, tanto che, quando scesero per la colazione, scoprirono erano le undici
passate, così decisero di aspettare il pranzo e intanto pianificarono assieme a
Jasmine e il Genio come recuperare la lampada di Jafar.
– L’unico modo per metterla la sicuro – diceva la
principessa – è metterla nella nostra cassaforte, ma prima dobbiamo togliere
quei simboli –
- Va bene, ma sappiate che non andranno via così
facilmente – disse Genio.
- Non ti seguiamo – disse Paperino confuso
- Per farli non è stata usata una vernice o altro, ma un
rituale magico anche molto complesso. Un tempo mi era capitato e so come
scioglierlo –
- E come? – chiese Jasmine.
- È la cosa più difficile che si possa fare. Il problema
più grosso sta nel fatto che inizialmente bisogna intingere la lampada in una
vasca piena di... –
Il genio preferì non continuare ma gli altri furono molto
insistenti, convincendolo ad andare avanti nonostante la sua riluttanza.
- E va bene – si arrese alla fine – La vasca deve essere
piena di sangue umano –
Un’espressione disgustata si dipinse sui volti dei
presenti.
- Come vi dicevo, io non posso aiutarvi. Dovete trovare
da soli il modo –
- Ma non si può fare senza uccidere le persone! – disse
rabbiosa Jasmine.
- Forse si – disse Paperino – basta che prendiamo il
sangue dai morti! –
- Ma dovremmo disseppellirli! – disse Jasmine che
ripugnava l’idea.
- Meglio morti che vivi! – la contraddisse Pippo.
- Io non posso aiutarvi. L’uso di magia per annullare
l’incantesimo prima del tempo produrrebbe disastri inimmaginabili... – disse
Genio, con tono contrito.
- Quindi non puoi nemmeno disseppellire magicamente i
morti? – chiese Jasmine
- Proprio no... –
Quella stessa sera, I quattro si avviarono verso la
periferia della città, dove il cimitero non era mai frequentato. La principessa
scavò la prima buca ma, quando vide il cadavere, le venne un capogiro e dovette
andare a stendersi poco lontano, dove non poteva sentire la puzza di cadavere.
Genio aiutava comunque, scavando e utilizzando uno strano
macchinario che aveva trovato molto tempo prima nella Caverna delle Meraviglie.
Esso era una piccola aspira sangue. Bastava metterla nei
punti dove scorreva la maggior quantità del liquido e quello veniva preso e
immagazzinato in un contenitore.
Genio l’aveva analizzato e non aveva trovato traccia di
magia in esso, quindi poteva esser utilizzata per il loro scopo.
Andarono avanti tutta la notte a estrarre il sangue da
quei poveri cadaveri e una volta Jasmine, non reggendone la vista, svenne.
Alla fine erano stanchi e sporchi di terra, ma finalmente
erano riusciti a ottenere ciò di cui avevano bisogno e tornarono a castello che
era ancora buio. Andarono a letto dopo una cena frugale e un buon bagno che, a
detta di tutti, si erano proprio meritati.
Per quelle poche ore che rimanevano prima dell’alba
nessuno chiuse occhio, troppo preoccupati per quello che sarebbe successo
l’indomani. Genio aveva detto che, una volta, aveva visto il rito, ma non aveva
accennato a quanto tempo fosse passato... si sarebbe ricordato di tutte le
parole? Serviva qualche intonazione particolare? Jafar se ne sarebbe potuto
accorgere?
I dubbi non li abbandonarono mai.
Al mattino, quando scesero per la colazione, non
mangiarono molto, la mente lontana.
Andarono alla casa del mercante subito dopo e camminarono
con passo così spedito che dopo una decina di minuti erano arrivati.
Jasmine suonò al campanello. Paperino camuffò se stesso e
Pippo in modo che il mercante non li riconoscesse, mentre Genio si rese
semplicemente invisibile.
- Che cosa c’è ancora? – chiese il ricco mercante con
voce di sufficienza vedendo la principessa – E chi sono questi due tipi? –
- Questi due tipi sono inquisitori! – disse Paperino con
rabbia – E provi di nuovo a usare quel tono con la principessa e noi le
togliamo tutti i suoi averi per oltraggio! –
Il mercante impallidì ma non si mosse. Il tono divenne
rispettoso – Per quale motivo siete venuti qui? –
- L’ultima volta non mi sono del tutto convinta – disse
gentile Jasmine – Vorrei ricontrollare qualche particolare –
- Rivuole tutti i miei libri? –
-No, la ringrazio, solo il secondo –
- Come preferisce –
Si avviarono verso la stanza. Quando vi entrarono iniziarono
a guardarsi intorno. La lampada era sempre al solito posto, ma non c’erano
finestre dove calarla.
- Poco male –
si disse Jasmine – vorrà dire ce gliela
porteremo via proprio sotto il naso –
Iniziò a riesaminare la parte che le interessava e trovò
subito quello che cercava. Fece chiamare il ricco marcante che la raggiunse
pochi minuti dopo.
- Ditemi tutto, mia signora –
Jasmine nascose un sorriso soddisfatto e gli chiese
chiarimenti su quel traffico che lo aveva reso tanto ricco.
- Spezie dell’oriente – disse il mercante – Le migliori
che abbia mai visto –
Il tono era molto convinto ma una luce poco rassicurate
brillò negli occhi dell’uomo quando la principessa annuì.
- Molto bene...- disse con tono convinto – Ho quasi
finito –
- Con permesso – disse il mercante allontanandosi.
Jasmine non posò nemmeno gli occhisul libro, ma prese la lampada e la nascose
nell’abito.
- Ho finito, annunciò. Vorrei scusarmi per il disturbo ce
sicuramente vi ho procurato –
- Nessun disturbo – disse il mercante che, arrivato come
una saetta, le parlò facendole intendere che intendeva tutto il contrario.
Jasmine uscì e fece intempo ad attraversale il cortile quando la voce del ricco squarciò il
silenzio.
- Tradimento! Mi hanno derubato! Inseguite quei luridi
personaggi! –
I tre si misero a correre a più non posso e Paperino
lasciò cadere i travestimenti. Le guardie, colte impreparate, non riuscirono a
capire in tempo quello che stava succedendo e, quando partirono, l’inseguimento
era già concluso perché i ladri si erano dileguati!
- Dove andiamo? – chiese Jasmine ansimando.
- Alla casa del traditore – disse Paperino – È l’ultimo
posto dove verrebbero a cercarci –
- Va bene – rispose la principessa.
Quando arrivarono alla casa in rovina del povero
mercante, Jasmine chiese ai due di preparare una vasca mentre lei andava a
prendere il sangue.
- Fortuna che è
chiuso – pensò la principessa – Detesto
la vista di quella... –
Interruppe i suoi pensieri vedendo che i due già si
stavano avviando.
- Genio, tu vieni con me e mi copri le spalle – disse
Jasmine.
- Nessun problema – rispose questi.
Pippo e Paperino entrarono nella stanzetta.
- Che cosa volete? – chiese la voce del mercante.
- Dobbiamo chiedervi un favore... – disse Paperino.
- Tu? Solo se mi baci i piedi! –
Pippo sbarrò gli occhi.
Paperino, stranamente, non si arrabbiò.
- Se è solo questo
che vuole lo accontenterò per il bene della città –
Pugnalando il suo orgoglio, Paperino si inginocchiò e
baciò i piedi del mercante, che rimase sconcertato da quel gesto quasi quanto
Pippo.
- Ok, che cosa volete? – chiese, dopo qualche attimo passato
a ricomporsi.
- Che ospiti noi e Jasmine per il pomeriggio –
- Avete parlato bene di me? –
- Abbiamo detto tutto quello che era successo. Non c’era
bisogno d’altro, anche se con Aladdin non sarebbe cambiato molto –
- Che cosa intendete? –
- Che il sultano è cambiato, trascura tutto a parte il
lavoro e non ha mai tempo per nessuno –
- Meglio no? –
- Trascura anche la moglie! –
- Eccessivo! Non si può ignorare una donna così carina! –
- A quanto pare... – disse Pippo interrompendo i due – Ma
dovremmo preparare la vasca –
- Hai per caso un contenitore che possa contenere una
lampada? –
- Si – disse soddisfatto il mercante – Eccola qui –
La cassetta non era molto grande, ma più che sufficiente
per il loro scopo.
- Eccomi! –
La voce di Jasmine echeggiò nella stanza prima
dell’ingresso della ragazza, sorridente come al solito.
- Ecco qui quello che ci occorre –
Disse tirando fuori dall’abito lampada e contenitore.
- Fantastico! – disse allegro il mercante – Potrei darvi
questo –
Disse tirando fuori da uno scaffale mezzo marcio un
vecchio tomo con un consistente strato di polvere sopra.
Il mercante soffiò sopra la copertina e una nuvoletta si
levò nell’aria.
- Questo – disse il mercante – È un antichissimo libro di
magia –
- È quello che ci occorre – disse Genio che entrava in
quel momento – L’ho visto, anni fa. Vai a pagina... cinquecento... non mi
ricordo! –
- Ok cinquecento... uno, due, tre –
Il mercante continuò a sfogliare pagine fino ad arrivare,
dopo qualche interminabile minuto, alla pagina cercata.
- Eccola! – disse entusiasta – il titolo non inganna
“Togliere incantesimi dalle lampade” –
Continuò a sfogliare fino a ce nonvide gli stessi disegni che c’erano sulla
lampada di Jafar.
- Qui abbiamo un bel problema... non capisco nulla! –
disse il mercante, con voce delusa.
Genio si fece avanti e riconobbe subito il vecchissimo
dialetto che si parlava millenni prima in quella terra.
- Io lo so leggere – annunciò, dopo che ebbe trovato la
pagina che cercava – Per le lingue ho sempre avuto una certa passione. Questo
mi sembra decisamente complicato. Lo so leggere ma alcune parti non riesco a
comprenderle –
- Dici che l’incantesimo riuscirà? –
- Si, ma in effetti dovremmo ringraziare il nostro
mercante di fiducia! Non mi ricordavo questa parte... –
- Come al solito – disse Jasmine.
Tutti scoppiarono a ridere fino a quando Genio chiese il
silenzio; riempì il contenitore con il sangue raccolto e vi immerse la lampada
che creò una specie di aura nella stanza, dolore e rabbia, sentimenti che
probabilmente Jafar stava provando in quel momento.
Genio iniziò a parlare con voce bassa e sibilante,
diventando sempre più roca.
Tutti erano nel silenzio più totale, nessuno proferiva
parola nel timore di interrompere l’incantesimo.
Paperino ascoltava e sentiva la magia che cresceva dentro
il corpo di Genio mentre questi aveva iniziato a cantare una strana litania.
Tutto era immobile, poi dal corpo di Genio si creò
un’intensa luce che illuminò tutta la stanzetta.
Dal sangue si levò l’immagine di Jafar che li minacciava
con i suoi poteri, ma Genio non si fermò e ben presto tutti capirono che era
solo un’illusione.
- Mio dio... –
pensava Jasmine, spaventata a morte – Mai
visto nulla di simile. Non vedo l’ora che sia finita –
Iniziò a pensare ad Aladdin che probabilmente, in quel
momento, stava scrivendo qualche lettera a una persona di potere.
- Che cosa stiamo
facendo? Qui sento chiaramente la magia anche se non sono Paperino... – si
diceva Pippo – Sta diventando tutto molto
pericoloso e non possiamo fare proprio nulla –
Genio leggeva tranquillo quando iniziò a sentire che
qualche cosa stava cambiando. Non si era spaventato quando l’ombra di Jafar era
uscita dalla lampada, ma non riusciva a trascurare questo nuovo ostacolo.
All’improvviso, sentì delle voci, nella sua testa.
- Che cosa aspetti?
Usa la magia e velocizza questa stupidata! Tu puoi fare tutto! – dicevano
- No! La mia magia
avrebbe effetti inauditi! –
- E da chi
l’avresti sentito? –
- Da chi lo
sapeva... –
Mentre aveva questa discussione interiore con quelle
vocine, continuava a leggere correttamente, ma la sua certezza vacillava.
- In effetti,
potrebbero aver ragione! Che motivo ho di non usare i miei poteri? Sono fatti
apposta! –
- Esatto! – le
voci tornarono all’assalto – Avanti!
Distruggi Jafar una volta per tutte! –
La volontà di Genio era duramente messa alla prova ma non
cedette. Continuò a cantare e leggere, sempre più stanco e demotivato.
- Che cosa aspetti?
Avanti! –
- No! Io non cederò
–
Iniziò ad ignorare le voci che si facevano ad ogni
tentativo sempre più suadenti fino a quando esse non si fecero deboli e
scostanti, fino a scomparire del tutto. Genio non aveva mai smesso di leggere.
Peperino sentiva quello che accadeva al genio ma non
sapeva che cosa fare. Se avesse usato la magia, avrebbe rischiato di mandare a
monte la loro unica occasione. Sapeva, nel profondo, che gli inseguitori erano
sulle loro tracce.
Genio aveva già
letto i tre quarti della pagina. Era decisamente speranzoso e mentre leggeva
poteva già vedere la vittoria incombente. Jafar sarebbe stato nelle loro mani.
Non avrebbe potuto disobbedire ai loro ordini e proprio per quello sarebbe
stato del tutto inerme.
All’improvviso, dal nulla, le voci tornarono.
Non erano le stesse, più numerose, consistenti lo
accusavano dicrimini orribili.
All’inizio non riusciva a distinguerle, poi ne riconobbe
alcune e non riuscì più a capire quello che accadeva. Sapeva che doveva
continuare a leggere, ma allo stesso tempo non poteva fare a meno di ascoltare
quello che gli veniva detto.
Gli venivano raccontati episodi della sua vita da un
altro punto di vista. Spesso, all’inizio, era dipinto come un eroe, poi si
capiva che tutti provavano risentimento nei suoi confronti.
Un generale lo accusava di aver esaudito un desiderio che
costò la città di Agrabadh, un tempo bellissima, poi distrutta dalla guerra che
lui stesso aveva scatenato. Poteva sentire le grida strazianti dei bambini che
perdevano le madri, donne che chiedevano un aiuto che non sarebbe mai arrivato,
mentre luise ne stava bello tranquillo
nella sua lampada senza la minima preoccupazione.
- Ma che razza di
mostro sono? – iniziò a pensare – Nessuno
mi vorrebbe accanto con tutto il male che ho fatto –
Guardò Jasmine ma non vide la solita ragazza. Vide la sua
peggior paura, cioè la rabbia che la ragazza provava nei suoi confronti perché
non era riuscito a far tornare Aladdin quello di una volta.
Non smise di leggere, perso nelle voci di coloro che lo
accusavano, troppo demoralizzato per reagire.
Cedette e diede loro ragione, per tutto quello che aveva
fatto.
Poi, però, ebbe una nuova consapevolezza. Per riparare ai
torti fatti, avrebbe sconfitto Jafar per sempre, in modo che non avrebbe mai
più potuto tornare a dare fastidio. Se lo prometté e le voci si spensero,
calme.
Genio lesse l’ultimo paragrafo, poi rimase in silenzio
per un lungo istante.
Dal sangue della scatola si levò una luce bianca che
illuminò la stanza. La lampada di Jafar si levò in aria e i simboli vennero
cancellati dalla lampada.
- Evviva! – gridarono tutti a quella vista.
L’unico che rimase in disparte e non festeggiò fu il
genio. Quello che aveva sentito lo turbava ancora, aveva capito che quello che
aveva visto era vero, lui era stato la causa di molte disgrazie e solo in quel
momento si rendeva conto di quello che aveva fatto.
Jasmine comprese quello che il genio stava passando e
decise di parlargli.
- Che cosa hai visto? –
- Nulla – cercò di dissimulare, con scarso successo.
- Molto bene, ma sappi che se quello che provi è rimorso
per il fatto che non puoi far tornare Aladdin come prima, non devi
assolutamente scusarti –
L’imbarazzo era evidente sul volto del genio, che non
riusciva mai a mentire a quella ragazza. Qualunque cosa dicesse, lei era capace
di leggergli nell’anima e capire quello che provava.
- Avanti – disse Jasmine – Chiamiamo il nostro amico –
Prese la lampada e iniziò a strofinare fino a che non ne
uscì il consueto fumo rosso.
- Ditemi quello che volete! Avete tre desideri –
Nella voce c’era odio puro, ma non poteva che recitare la
formula e aspettare. Ora i padroni erano loro.
- Il primo desiderio – disse sicura Jasmine – È che Aladdin
torni ad essere normale, quello che era quando mi ha sposata –
- Fatto – disse con tono rassegnato Jafar – Altro? –
- Si. Voglio che dai molti munny al nostro amico
mercante- disse indicando il padrone di casa.
- Molto bene... –
- E come terzo ed ultimo desiderio, vorrei che... –
Si rivolse al genio.
- Che cosa gli chiediamo? –
- Tutti hanno il diritto di avere una seconda
possibilità. Anche un tipo spietato come lui. Fai in modo che torni ad essere
un uomo normale, senza ricordi della sua vita passata –
- Molto bene – disse Jasmine che poi ripeté il desiderio
a Jafar chiedendogli anche di cambiare aspetto una volta tornato umano.
La lampada scomparve immediatamente dalle mani della
principessa che si incammino sorridente verso il palazzo.
- Come mai siete venuti qui? – chiese all’improvviso
Jasmine a Pippo e Paperino.
- Stiamo cercando un nobody. Ha l’aspetto di un ragazzo
sui sedici, alto e capelli argentei... mai visto? –
Sia Jasmine che il genio ci rifletterono a lungo, poi
dissentirono.
- No, ci dispiace, ma terremo gli occhi aperti nel caso
fosse in giro –
- Grazie mille – dissero i due, visibilmente delusi – Ora
dobbiamo riprendere la ricerca –
- Almeno fermatevi per la cena! –
- Va bene – si arresero i due.
Paperino e Pippo decisero che avrebbero passato lì la
notte e per poi ripartire il mattino seguente attraverso il loro varco di luce.
Kairi era sconvolta. Da quando aveva assistito a
quell’incontro era rimasta nella sua camera, da sola e a volte non mangiava.
- Non possiamo andare avanti così – disse un giorno
Topolino, che faceva ancora fatica ad accettare la morte del saggio – Dobbiamo
reagire. Pippo e Paperino stanno ancora perlustrando i vari mondi e magari sono
molto vicini alla tana di quel nobody. –
Riku si limitò ad annuire, pensando di partire alla
ricerca dell’amico. Non importava quello che doveva fare o quanto dovesse
sacrificare, per l’amico era disposto a fare qualunque cosa.
- Prendo Kairi e vado ad esplorare i mondi che ancora
mancavano ai due. Non mi interessa se lei non vuole muoversi, noi dobbiamo
aiutarlo –
Risoluto, il ragazzo si avviò alla camera della giovane,
rimanendo poi sull’uscio per lungo tempo.
Anche da lì, Riku poteva sentire distintamente i
singhiozzi si Kairi. La ragazza non riusciva ancora a riprendersi.
Appoggiò la mano sulla maniglia, ma la porta era chiusa a
chiave.
Bussò.
- Posso entrare? –
Non ebbe risposta. Riku si arrabbiò, ma sapeva che era
meglio non sfondare la porta che, oltretutto, era di Topolino.
Decise di tentare di nuovo.
- Kairi! – gridò, inmodo che la ragazza lo potesse sentire.
- Vai via! – gli disse di rimando, sconsolata.
- Apri, ti prego! Devo solo parlarti! –
Nella stanza, Kairi aveva nascosto la testa sotto al
cuscino.
- Ètutta colpa mia... – pensava – Se non avessi parlato non sarebbe successo e
lo avrebbe sconfitto –
Sentiva lontana la voce di Riku, che insisteva per
entrare.
- Vorrà provare a
consolarmi, dirmi che non è colpa mia, ma so che in realtà non la pensa così.
Sono solo un peso –
- Apri! Ti voglio solo parlare! –
- Tanto è inutile,
Riku – pensava – So quello che pensi
e non ho intenzione di ascoltare le tue bugie –
Fuori dalla porta, Riku non sapeva più che cosa fare. Con
le buone non otteneva nulla, ma forse riusciva a capire la ragazza. Perdere le
persone care era davvero un’esperienza orribile e lui lo sapeva bene. La
ragazza rischiava di cedere il suo cuore all’oscurità pur di riuscire a trovare
Sora.
- Sempre che sia
ancora vivo –
Riku cacciò dalla mente quel pensiero, decidendo che
avrebbe parlato alla ragazza con toni diversi.
- Apri! – le gridò arrabbiato.
La ragazza non rispose.
- Ti ho detto di aprire! – il tono era sempre più
minaccioso – O hai intenzione di rimanere lì a vita? Pensi forse che se
rimarrai lì a piangere come una bambina di cinque anni Sora ti apparirà
davanti? Perché se è così, mi pento di averti dato la Keyblade che tieni in
mano! –
Riku era riuscito nel suo intento. Kairi era sconvolta da
quelle parole, non avrebbe mai pensato che Riku potesse ferirla così nel
profondo, dopo tutto quello che avevano passato insieme.
Anche il ragazzo, dal canto suo, era rimasto con l’amaro
in bocca dopo aver detto quelle parole. Non le pensava, ma erano necessarie per
provocare una qualsiasi reazione della ragazza.
Kairi evocò la sua Keyblade, rabbiosa. Aprì la porta e,
quando Riku si affrettò a spalancarla, lo colpì duramente al petto, facendolo
cadere.
Il ragazzo non si sarebbe mai aspettato una reazione
simile, ma i suoi allenamenti lo avevano reso molto veloce. Schivò il secondo
colpo rotolandosi, poi evocò la sua Keyblade e si scagliò all’attacco. Non
voleva colpire la ragazza, quindi si limitò a farle volare via dalle mani la
sua arma al primo istante di cedimento.
- Forse Riku aveva
ragione. Io non sono degna di avere quest’arma. Ce l’ho solo perché serviva
qualcuno in più che combattesse, ma non me la sono mai meritata. –
Kairi cadde in ginocchio, la Keyblade al suo fianco
scomparve, silenziosa.
- Non è successo niente – le disse Riku all’orecchio.
Come unica risposta, Kairi iniziò a piangere sulla sua
spalla.
- Tranquilla, non penavo veramente quello che ti ho
detto, ma almeno ora sei qui e possiamo andare a cercare Sora? –
- E dove? – riuscì a dire Kairi prima di scoppiare di
nuovo in lacrime.
- Ancora non lo so, ma Pippo e Peperino saranno ancora da
qualche parte a cercarlo. Noi dobbiamo fare la nostra parte -
La ragazza non aprì bocca, ma Riku non si arrese.
- Andiamo a cercarlo –
Kairi si limitò ad annuire.
- Quali mondi vi mancano? –
Kairi ci rifletté un lungo istante, poi rispose.
- Dovevamo andare alla Città di Hallowin, Redient Garden
e Crepuscopoli –
- E dove pensi che sia il nostro amico? –
- Non ne ho idea – disse mortificata Kairi.
- Beh, io direi di partire da Redient, visto che lì ci
sono molti amici che possono darci una mano –
- Ok –
Riku aprì un varco verso la città.
Era ormai sera e Topolino non era ancora uscito dalla sua
stanza. Dopo aver parlato con Riku, era indeciso. Era ormai chiaro che il
nobody del ragazzo non avrebbe mai più partecipato ad una coppa, quindi era
giusto lasciarlo partire.
Riprese in mano il diario di Ansem. Non c’era nulla che
potesse aiutarlo, ma le ricerche del saggio gli davano conforto in quei momenti
bui.
Minnie bussò alla porta, discretamente, come solo lei
sapeva fare.
- Entra – disse con voce stanca Topolino
La porta si aprì e la regina entrò lentamente nella
stanza.
Il luogo era molto accogliente: una piccola stanza, il
letto contro la parete a nord, una scrivania sulla destra e una piccola
libreria sulla sinistra. Tutto era deliziosamente decorato con intarsi d’oro e
argento che formavano disegni complicati e luminosi.
Sulla scrivania c’erano penna e calamaio, un vecchio
libro mai restituito alla biblioteca.
Davanti alla scrivania una sedia in legno senza alcun
disegno; essa stonava con il resto dell’arredamento.
- Che ci fa quella vecchia sedia lì? – chiese Minni.
- Non ne ho idea – disse Topolino che solo in quel
momento notava la differenza – Sarà stata una delle scope che avrà fatto
confusione... una volta lavavano solo, ora invece fanno davvero di tutto! –
- Già, davvero utili – la regina si sentì in colpa.
Quando aveva saputo quello che era successo, si era affrettata a sostituire la
sedia prima che il marito si chiudesse lì, in modo da avere un argomento con
cui cominciare. Solo ora si rendeva conto di quanto fosse patetico
quell’espediente. Nulla avrebbe fatto tornare il marito quello di prima, almeno
non fino a quando egli non avesse deciso che era ora di andare avanti.
- Che cosa ti turba? Fino a pochi anni fa pensavi che
Ansem fosse morto e te la sei sempre cavata –
- Non è quello – disse Topolino che non voleva ferire la
moglie rispondendole male.
Al’inizio, parlarle dei suoi sospetti fu difficile ma,
man mano che andava avanti sentiva come se il peso di quelle congetture
scivolasse via e lui rinacque.
- Quel nobody ha trovato il modo di far tornare in vita
quelli dell’Organizzazione. Axel era morto e sepolto, ma ora, a quanto pare, è
tornato e nulla può fermare quello sciagurato dal riprendersi tutti i membri
dell’organizzazione e portare in vita, totalmente, Kingdom Hearts.
- Esso si, è luce ma non solo. Non può essere così
facile. Non sono convinto che quello che ci viene mostrato sia solo una parte o
l’intero mondo. –
- Si, non riesco a seguirti ma posso capire quello che
provi –
- Forse, ma solo io posso fermarlo. Sora poteva riuscire
nell’impresa, ma a quanto pare non è stato in grado –
- Ci sono anche Riku, Kairi, Pippo e Paperino. Non sei
mai stato solo –
- Lo so, ma nessuno, nemmeno io ero al livello di Sora.
Da quando si era unito con Roxas, era diventato l’unico che poteva sconfiggere
il male. Ora non so dove sia, ma mi pare chiaro che lo scopo di quel
maledettissimo nobody era riprendersi Roxas, Sora non contava nulla e forse,
una volta finito quello che deve fare, lo ucciderà –
- Nessuno può sapere con certezza quello che succederà,
ma sicuramente se non dormi non potrai affrontare quello che il futuro ha in
serbo per te – lo rimproverò Minnie – Quindi ora forza, dormi fino a quando non
ti chiamerò per la cena –
Il re non ebbe la forza di reagire e solo allora si
accorse di quanto fosse stanco. Da quando Sora era stato rapito, raramente
aveva chiuso occhio, passando spesso le notti in bianco per studiare vecchi
libri spesso inutili allo scopo.
Si addormentò subito, profondamente e quando Minnie venne
a svegliarlo, lui dormiva ancora così la regina preferì non disturbarlo.
Topolino avrebbe dormito fino al mattino seguente.
Note dell’autore Chiedo umilmente scusa tutti
per avervi fatto aspettare tanto. Cercherò in questo periodo di andare un po’
avanti...
Grazie di cuore a tutti coloro che ancora seguono la mia Fanfic!
- Come ti senti? – chiese una voce familiare che, però,
non riconobbe.
- Mele, ho un gran mal di testa – disse il ragazzo, che
chissà come mai trovava conforto in quella voce.
- Sai chi sono? Come sei finito qui? –
- No – rispose Sora – Mi ricordo solo il combattimento,
stavo vincendo, poi Kairi ha urlato... da lì nulla fino ad ora –
- Direi che devo spiegarti alcune cose –
Ora la voce era a fianco a lui, quindi Sora si girò e con
sua sorpresa, vide il suo nobody!
- Ma tu dovresti... – non finì la frase, vedendo Roxas
impaziente.
- Axel e quel nobody mi hanno fatto uscire di nuovo dal
tuo corpo e mi hanno offerto di tornare a far parte dell’Organizzazione –
- Ma tu non hai accettato – concluse Sora.
- Si, ma nemmeno a me andava a genio l’idea – la voce di
Axel risuonò alle spalle dei ragazzi
- Tu? Hai aiutato quel nobody a rapirmi! –
- Beh, si ma l’ho fatto solo perché volevo il ritorno di
Roxas –
La voce era dispiaciuta ma, nel frattempo, si poteva
sentire una nota soddisfatta.
- Quindi non ti interessa far di nuovo parte dei Tredici?
– chiese Sora incredulo.
- No, non direi dopo che ho passato l’ultima volta a
combatterla come un traditore. Ma sono contento di essere tornato e sappi che non
ti aiuterò come l’ultima volta. Ci tengo alla mia nuova vita, se così la
possiamo chiamare... –
Sora sorrise. Ancora non era riuscito a capire Axel,
spietato contro i nemici, fedele agli amici, un personaggio davvero strano.
- Comunque – la voce di Roxas riportò Sora alla realtà –
Ce ne siamo andati lasciandolo solo. Sappiamo dov’è la sua base, in un
nascondiglio quasi invisibile qui a Crepuscopoli. Possiamo batterlo, se
combattiamo uniti –
- Non penso. Io e Roxas insieme eravamo una forza ma ora
non siamo ancora abbastanza numerosi. Io penso che dovremmo andare al castello
Disney e chiedere aiuto –
- A chi? Al re? Riku? Kairi? – chiese Axel scettico.
- Esatto – replicò Sora.
- Va be – disse Roxas – Io dico che almeno il re e Riku
possano esserci di aiuto – disse Roxas
- Si, ma la ragazza no – rispose Axel.
Sora rimase in silenzio. Aveva vinto, almeno in parte
quella battaglia, non doveva chiedere troppo.
- Dovremo sbrigarci, però. Sicuramente quel nobody starà
cercando di riportare in vita gli altri – disse Roxas.
- Sono d’accordo ma, piuttosto, qualcuno sa come si
chiama? –
- Non guardate me, io lo chiamavo “Nobody di Riku” ! –
disse Sora.
- Forse non ha mai pensato ad un nome... – disse Axel –
Fissato com’è a riportare in vita quella stupida Organizzazione... –
- Sono d’accordo, ma ora sbrighiamoci – disse Sora.
- Beh, in effetti conosco un albergo, a Redient Garden
che non è mica tanto male –
- Andiamo – disse Roxas – Ma tu come ti sposti? –
- Con varchi di luce – rispose Sora
- Apri, noi ti seguiamo –
Il ragazzo fece come gli veniva detto e tutti entrarono
nel varco, prima che si richiudesse.
Riku si svegliò. Era a casa di Merlino, luogo piccolo ma
accogliente. Un tavolino circolare al centro, un computer per Cid, qualche
stanzetta attigua con i letti e un bagno. Contri la parete era stata
posizionata, probabilmente con l’aiuto della magia,una piccola libreria, insufficiente a
contenere tutti i tomi del mago che continuava a promettere che ne avrebbe
comprata una nuova manon lo faceva mai.
Su un piccolo tavolino, nascosto tra due pile di libri, c’era il Bosco dei
Cento Acri, mondo di Winnie de Pooh e dei suoi amici.
- Che strano pensare un mondo contenuto
in un libro – si diceva Riku.
Il sole era già sorto da qualche ora, ma Merlino non era ancora arrivato. Ne
Cid ne Leon avevano visto il ragazzo, ma forse il mago ne sapeva qualche cosa.
Il ragazzo si mise a sedere sul suo letto. Non sapeva che ore fossero, ma non
aveva più sonno.
Si alzò e iniziò a fare il letto ma, dopo aver preso
toccato le lenzuola, queste iniziarono a muoversi da sole e il letto, in pochi
secondi, era a posto.
- Incredibile! Voglio anche io questa
magia! – pensò il ragazzo.
Aprì la porta e trovò tutti già svegli.
- Buon giorno! – le disse una sorridente Kairi.
- Ciao – disse Riku, sbadigliando.
- Che ora sono? –
- Tranquillo, sono solo le sette –
Riku tirò un sospiro di sollievo. Si aspettava
decisamente di peggio.
- La colazione è là sul tavolo – disse Kairi
- Bene –
Riku non lo diede a vedere, ma aveva una fame da lupi e
finì la sua razione in pochi secondi.
Qualcuno bussò alla porta.
- Avanti – disse Cid.
- Magari è Merlino
– pensò Riku, che poi scartò l’idea. Se fosse stato il mago, sarebbe
entrato nella casa con la magia, apparendo in una nube bianca.
La porta si aprì e, con sorpresa di Leon, rimasto al
tavolo, entrò Cloud!
-Ehi, amico! – disse subito l’uomo – Da quanto tempo! Che
mi racconti? –
- Nulla di bello – disse il ragazzo – Sephiroth è
tornato. Luce e ombra non sono fatti per rimanere assieme molto a lungo, così,
durante una lotta per ottenere il controllo, ci siamo separati di nuovo. Penso
che accadrà tutte le volte che proverò a tenerlo dentro di me –
- Capisco, quindi quel mostro è di nuovo qui –
- Non ne sono sicuro. Può usare i varchi oscuri, quindi
potrebbe essere ovunque –
- Questa proprio non ci voleva, ma guardiamo il lato
positivo della cosa: sei ancora qui con noi! –
Leon riuscì a strappare un sorriso dalle labbra del
ragazzo.
- Com’è andata poi? –
- Sono accadute tane cose dalla tua partenza: la
sconfitta dell’organizzazione, Sora ha battuto definitivamente Malefica, o
almeno così speriamo... –
- Vedo che mi sono perso un mucchio di avventure!
Comunque, dov’è il ragazzo? –
Le espressioni di tutti si fecero cupe.
- Ok, meglio evitare l’argomento – disse, serio.
- No – disse Riku.
Solo in quel momento Cloud si accorse della presenza dei
due ragazzi.
Dopo le presentazioni, Riku narrò la storia della ricerca
al suo nobody fino al rapimento di Sora. Tralasciando la disperazione di Kairi,
concluse che erano venuti al Redient Garden per cercare l’amico.
- Una bella storia, devo ammetterlo, ma non penso che lo
troverete qui. Ho setacciato la città i alla ricerca di Sephiroth e non l’ho
trovato –
- Dannazione! – disse Riku a bassa voce.
Era mattino inoltrato quando Axel si svegliò. Dovette
pensare un attimo a quello che era successo il giorno prima per capire dov’era.
La stanza era buia. Nessuno dei tre si era ancora alzato
ma lui avrebbe presto svegliato tutti. Avevano dormito anche troppo anche se,
in effetti, era da anni che non dormiva così bene... al castello i letti erano
così scomodi!
Alzò le tapparelle della finestra che si affacciava alla
piazza del secondo distretto.
- Sveglia! – gridò ai compagni.
Per tutta risposta, Sora emise un lungo sbadiglio mentre
Roxas si girò dall’altra parte, affondando la testa nel cuscino.
- Questo è davvero troppo! – disse Axel.
Alzò la mano e una decina di simili si materializzarono e attaccarono i ragazzi.
Le Keyblade apparvero all’istante e i due distrussero
senza la minima fatica gli avversari, nonostante si fossero appena svegliati.
- Ma ce bisogno c’era di mandarci addosso i tuoi Nobody?- chiese arrabbiato Roxas.
- Ora va molto meglio – disse per tutta risposta Axel.
- Andiamo a fare colazione – propose Sora.
- A quest’ora? Ma non vedi che il sole è già alto nel
cielo? –
- Si ma... –
- Niente ma. Si va a cercare i tuoi amici –
- Un attimo. Forse Leon potrebbe aiutarci –
- Chi? – chiese Axel.
- L’unico guerriero decente che vive ancora qui – disse
Roxas – Certo, se ci fosse anche Cloud –
- Ma tu come le sai queste cose? –
- Ti devo ricordare che ero con Sora fino a poco tempo
fa? Quello che so io lo sa lui e viceversa! Got it memorized? –
- Ehi, quella è la mia battuta! –
- Già, l’ho solo presa in prestito. Anche se avresti
dovuto usarla più spesso con Demyx, lui e i suoi bigliettini... –
- Si, non me lo ricordare! –
- Andiamo! - Disse Sora a cui non interessava per nulla
ascoltare vecchie storie, che per altro conosceva, sull’Organizzazione –
I tre si incamminarono verso la casa di Merlino.
Quando arrivarono,
era quasi mezzogiorno.
- State indietro – disse Sora mentre si avvicinava – Ci
parlo prima io. È meglio che non vi facciate ancora vedere –
Bussò.
- Ma chi cavolo può essere a quest’ora? –
Sora sentì la voce di Riku. – Non può essere! – pensò.
Leon aprì la porta.
- Ehi ragazzi, questa sì che è una sorpresa. Abbiamo qui
il nostro Sora! –
Tutti corsero alla porta, ma Kairi fu la più veloce e
arrivò per prima, gettandosi fra le braccia del ragazzo.
- Ma cosa è successo? –
- È una lunga storia. In ogni caso ho portato con me
degli amici, coloro che mi hanno salvato, se così si può dire –
- Falli entrare! – disse Riku.
- Ok... ragazzi! Venite! –
Da un angolo in ombra si avvicinarono Axel e Roxas.
- Loro? La Keyblade di Riku era già comparsa nelle mani
del ragazzo –
- Si. Loro mi hanno salvato. E abbiamo bisogno del tuo
aiuto, ti spiegheranno tutto loro. Ma ora abbassa quell’arma o ce ne andiamo –
Kairi, ce nel frattempo aveva lasciato Sora, mise una
mano sull’arma di Riku, abbassandola.
- Se l’hanno salvato, non possono avere cattive
intenzioni –
- Tu non li conosci! –
- Ma conosco Sora. Non posso credere che porterebbe qui
gente di cui non si fida –
La Keyblade sparì.
- Ok, entrate – disse Riku.
- Cloud? – la voce di Sora era sbalordita – Ma che ci fai
qui? –
Il ragazzo, rimasto seduto sul divano per tutto il tempo,
raccontò di nuovo la sua storia.
- Questa non ci voleva – disse Sora.
- Non sarà una minaccia per noi – disse Axel.
Tutti lo guardarono, aspettando una spiegazione. Axel si
scrollò le spalle.
- Si era unito al nostro amico... qualcuno di voi ne sa
il nome? Comunque, quando il tuo Nobody – disse guardando Riku – Lo ha voluto
controllare troppo, allora lui se ne è andato. Non ci ostacolerà –
Cloud annuì.
- Normale. È uno spirito libero e non accetterebbe mai di
essere considerato inferiore a qualcuno –
- Che facciamo ora? – chiese Riku.
- Innanzitutto - disse Sora – Penso che dovremmo chiedere
aiuto al re –
- Per poi sconfiggere il tuo nobody. Che ne dite se lo
chiamiamo Dark? – disse Axel
- Per me è uguale – rispose Riku asciutto.
- Bene – disse Sora. Ora andiamo –
Aprì un varco oscuro e tutti i presenti vi entrarono.
- Non importa – si
disse – Io posso rievocare gli altri.
Sora li ha battuti da soli, ma tutti insieme saranno inarrestabili –
Il piano era già nella sua mente.
Prese il suo macchinario e si concentrò sul primo
elemento che voleva in squadra. Non tutti gli interessavano molto, ma alla fine
l’Organizzazione sarebbe stata completa, di nuovo. Axel e Roxas sarebbero anche
potuti passare dalla parte del nemico, ma lui era un custode, degno sostituto
del Nobody di Sora, mentre per quello che riguardava Axel, se ne sarebbe potuto
trovare un altro.
Lexaeus era il primo della lista. Con il suo potere,
poteva diventare fortissimo. Solo Riku era riuscito a batterlo, ma era acqua
passata.
Evocò il potere dell’oscurità sulla forma del numero V.
Come era accaduto per Axel, la prima cosa a
materializzarsi fu la casacca.
Dark si concentrò, cercando di imprimere nel corpo di
Lexaeus tutti i suoi comportamenti, abitudini, il suo carattere.
Dopo vari minuti, il Nobody era sudato e tremante dalla
fatica ma ciò non contava nulla.
- Il primo è qui – pensò
soddisfatto, prima di cadere in un sonno profondo.
Lexaeus era confuso. Dopo la consapevolezza di essere
morto per mano di Riku, non avrebbe mai detto che sarebbe potuto tornare e
riavere una rivincita.
L’Eroe del Silenzio era tornato, più forte e più
determinato a sconfiggere il ragazzo che, tempo fa, lo aveva battuto.
Rimase a pensare a tutto quello che era successo. Sul
tavolino c’erano dei documenti. Si sedette su una sedia, molto scomoda
oltretutto, e iniziò a sfogliarli. Su di essi c’era tutta la storia avvenuta
dopo il castello dell’oblio.
Venne a conoscenza del fatto che tutti erano morti e
temette di essere solo. Poi, però, capì che il vero scopo del Nobody che lo
aveva riportato in vita era prendere il posto di Xemnas a capo dell’Organizzazione.
Non che la cosa gli importasse molto.
Lui era lì solo perché aveva da sempre voluto essere
completo e solo Kingdom Hearts aveva il potere di dargli quello che più di
tutto desiderava: un cuore. Non potere o forza, ma sentimenti veri, magari da
poter condividere con qualcuno.
Quando finì di leggere vide quello strano ragazzo che
armeggiava con un oggetto.
Stava per andare a parlargli, ma una nube oscura lo fece
scomparire.
- È giunta l’ora
che un altro amico torni a vivere – pensò prima di concentrarsi su Zexion.
Come al solito, il processo lo lasciò privo di forze, ma
il Burattinaio Mascherato era di nuovo tra i vivi. Il potere del n° VI era smisurato, tanto che Dark svenne addosso al nuovo
arrivato.
Zexion vide appena in tempo il ragazzo che gli veniva
pericolosamente addosso e lo afferrò al volo. Non aveva mai sentito un tale
potere neppure in Xemnas il superiore, ma non era certo il momento di
preoccuparsi. Quel ragazzo lo aveva riportato alla vita, e questo bastava per
avere la riconoscenza del Burattinaio Mascherato.
Lexaeus era rimasto stupito. Il potere di quel ragazzo
era incredibile, ora il n° VI era di nuovo in vita!
Gli fece un cenno e il compagno, dopo aver appoggiato
delicatamente sul letto il ragazzo, andò da lui.
Il numero V, silenzioso come al solito, gli indicò i
fogli sul tavolo e Zexion li lesse con interesse.
- Wow – disse alla fine – Davvero incredibile! Non avrei
mai pensato che qualcuno potesse davvero battere Xemnas! È davvero formidabile,
ma se continueremo così allora saremo abbastanza da tenere testa a quei
mocciosi. Per batterli ci mancherebbe solo Marluxia, con la sua magia di cura e
la falce, poi saremmo a cavallo... certo che anche le lance di Xaldin non
sarebbero male! –
Zexion era un chiacchierone, ma Lexaeus non gli diede
corda. Annuì lievemente, poi lo sguardo si perse nel vuoto.
Il Burattinaio era leggermente contrariato. Di solito
almeno gli rispondevano!
Si toccò i capelli, confortato dal trovare il suo ciuffo
che gli copriva l’occhio destro al solito posto.
Di fisionomia snella, il numero VI
era sempre della stessa idea. Non era necessario usare la violenza contro i
nemici, ma bastava mettere davanti ai loro occhi le visioni giuste e quelli
avrebbero fatto un passo falso come gettarsi da un burrone o colpirsi da soli.
Nulla era più semplice.
Zexion, però, non disdegnava il combattimento corpo a
corpo e, quando voleva, il suo libro poteva prendere la forma dell’arma del suo
avversario. Il ragazzo di prima, intanto, si era rialzato.
- Dovresti rimanere a letto – lo ammonì Zexion
- No, devo chiamare un altro. È per questo che sono qui.
Chi mi consigli? –
- Non lo so. Ci farebbero comodo sia Marluxia con la sua
magia che Xaldin con le sue lance –
- Tra i due? –
- Xaldin – disse sorprendentemente Lexaeus – Ma sta
attento. Ci vuole un grande potere per creare le sue armi –
- Sono d’accordo –
- Basterà che utilizzi più oscurità del solito – disse
sicuro il ragazzo che si allontanò.
Pochi minuti dopo anche il Feroce Lanciere era di nuovo
nel mondo dei vivi, ma il povero ragazzo, come pensò Zexion, era stato troppo
affrettato nel richiamarlo, quindi avrebbe dormito fino al giorno seguente.
Anche Xaldin fu messo al corrente degli eventi ma, a
differenza di Lexaeus, lui si mise a parlare molto volentieri con Zexion, il
quale era contentissimo di aver trovato qualcuno più espansivo.
Note dell'autoreUn ringraziamento a tutti coloro che mi seguono, in particolare a franky94 per l'ultima recensione. So che questo capitolo non è il massimo, ma prometto che i prossimi saranno migliori. Questo mi serve per andare avanti nella storia!
Erano sulla riva, da cui si poteva vedere la nave di
capitan Uncino, temuto padrone dei mari, che da sempre cercava di acciuffare
Peter Pan, senza molto successo. Da quando Sora aveva aiutato il giovane a
sconfiggere il pirata, però, tutto era cambiato. Peter se n’era andato con
Wendy e nessuno sapeva più che fine aveva fatto.
Sull’isola, c’era un nuovo capo, Leo, che comandava i
bambini solo perché era un gran bullo, capace solamente a malmenare quei pochi
che, ogni tanto, cercavano di ribellarsi ai suoi comandi assurdi e del tutto
senza senso. Il ragazzo aveva circa dodici anni, capelli dritti verso l’alto e
teneva in mano una spadina di legno che, tutto sommato, non sapeva nemmeno usare
molto bene.
Quando vide Pippo e Paperino, subito li chiamò.
- Ehi, voi due, venite un po’ qua! –
- Ma che vorrà quello là? – chiese Pippo a bassa voce.
- Non ne ho idea, ma forse è meglio che lo accontentiamo!
–
I due si incamminarono, tranquilli.
- Di corsa, azza di pelandroni! –
Il ragazzo aveva esagerato.
- Ehi, brutto mocciosetto che non sei altro, a chi
avresti dato del pelandrone? Io ti spezzo le ossa! –
La voce di Paperino era così minacciosa che il ragazzino
tremò per un istante poi, con voce spavalda, replicò.
- E come? –
- No, Paperino, no!
–
Le speranze di Pippo erano vane, in quanto Paperino aveva
già preso il suo scettro e scagliato un Tundaga a due centimetri dalla testa
del bambino, che era impallidito improvvisamente.
- Non provare ai più a giocare con me, o il fulmine ti
cadrà in testa! –
La voce di Paperino non ammetteva repliche.
- Che cosa volete? – chiese il ragazzo con aria
forzatamente umile.
- Innanzitutto, vorremmo vedere Peter –
- Peter chi? – chiese il ragazzo, visibilmente confuso.
- Peter Pan, e chi se no? –
Il ragazzo scoppiò a ridere.
- Ma da che mondo venite? Non lo sapete che Peter se ne è
andato da parecchio tempo? –
Le facce dei due divennero stupite, poi incredule.
- Eh già. Se ne scappato con la sua Wendy e nessuno lo ha
più rivisto –
- Ok, qui va tutto bene? –
- Si, a parte il fatto che da un po’ i pirati hanno un
nuovo capitano. Spugna, il vecchio nostromo, che è più che deciso a vendicarsi
della morte di Uncino –
- Possiamo darvi una mano? –
- Dubito. Da qualche tempo sono apparse qui sull’isola
strane creature che non possiamo colpire e che portano via i nostri compagni.
Da un centinaio che eravamo, ora siamo solo in venti –
- Ci possiamo pensare noi a loro –
- E come? –
- Le nostre armi sono efficaci contro i vostri heartless
–
- Quindi è così che si chiamano? Hear....
che? –
- Heartless! Ma sei sordo? –
- No, no ho capito! –
Nello sguardo del ragazzo si poteva leggere la paura che
un fulmine gli cadesse in testa.
- Fate pure! Vi saremmo molto grati! –
- Tranquillo – disse Pippo – Paperino non ti farebbe mai
del male –
Rivolse un’occhiataccia al compagno.
- Vero? –
- Beh ecco... no, non ti farei troppo male –
Una luce maligna si accese nei suoi occhi giusto per il
tempo che il ragazzo la notasse.
- Ora andiamo – disse Pippo sconsolato.
Sulla nave dei corsari, intanto, Spugna guardava verso la
riva con il suo cannocchiale. Aveva visto sulla spiaggia i due compagni del
ragazzo che aveva ucciso Uncino.
- Non so se i miei
heartless li batteranno–
Da molto tempo ormai non si definiva più un heartless.
Lui era qualche cosa di più di un semplice shadow
o un soldato aereo.
Sapeva che per controllare gli heartless serviva
l’oscurità, così aveva ceduto tutto il suo cuore ad essa, pur di ottenere il
potere assoluto.
Almeno, ora, i suoi compagni non lo prendevano più in
giro, soprattutto dopo che aveva lanciato un coltello alla gola di quello
stupido che aveva avuto il coraggio di schernirlo davanti a tutti.
- Uomini! – chiamò.
Dopo pochi istanti, tutti i pirati erano davanti alla
cabina del capitano, timorosi di quello che sarebbe potuto accadere loro.
- Ho visto gli amici del ragazzo che ha ucciso il nostro
amato uncino sull’isola! –
- Andiamo a prenderli! – gridò qualcuno nella folla.
- Chi ha parlato? – chiese Spugna, il tono gelido.
Dopo qualche attimo di esitazione, un uomo si fece
avanti, la testa china e lo sguardo piantato sul pavimento.
- Sono stato io, signore –
Il sorriso di Spugna dimostrava che il capitano era
soddisfatto.
- Molto bene. Hai detto bene, andremo a prenderli,
subito. Per la tua prontezza, ti nomino vice-capitano! –
Lo sguardo di tutti si fece stupito. Nessuno era entrato
nelle grazie del nuovo capitano.
- Qualcuno ha delle obbiezioni? –
Nessuno rispose. Il neopromosso vice-capitano sapeva
benissimo che al primo sbaglio avrebbe pagato un conto salatissimo.
- E allora che ci fate ancora lì, branco di zoticoni
buoni a nulla che non siete altro! Calate le scialuppe, prendete le armi e
aspettatemi. Ovviamente io viaggerò con due rematori volontari –
Nessuno avrebbe mai voluto adempire a quel compito,
quindi, alla fine, vennero scelte due persone a caso. Come al solito, i due più
giovani vennero obbligati con la forza. Essi non dissero nulla ma, quando il
capitano li vide,gridò.
- Perché sempre i soliti? Qualcun altro. –
Due uomini vennero spinti avanti. Spugna non ricordava di
averli mai visti per più di un paio di volte, quindi non disse nulla.
- Ora andiamo! –
Le scialuppe vennero calate e tutti i pirati si diressero
all’isola.
Paperino e Pippo erano da ore alla ricerca di heartless.
Ne avevano distrutti moltissimi, ed ora volevano riposarsi. Tornarono al
rifugio dei pochi bambini sopravvissuti e presero una delle brandine ancora
libere.
Si addormentarono subito.
I bambini, intanto, erano tutti intenti a giocare. Non
avevano altro da fare per divertirsi, quindi impersonavano i personaggi delle
loro storie. Come era prevedibile, Leo impersonava Peter Pan e un piccolino era
Uncino.
Il capo dei bambini sperduti era il più forte ma,
soprattutto dopo l’incontro con Paperino, temeva che una saetta gli arrivasse
in testa, quindi era molto più gentile con gli altri membri della banda.
Avevano appena finito l’ennesima scena, quando i pirati irruppero nella tenda.
Un grido si levò e i due si svegliarono.
- Ma che cosa... –
- Sorpresa! –
I pirati attaccarono subito.
Paperino venne scaraventato contro la parete, mentre
Pippo riuscì a parare i colpi, rischiando però di essere sopraffatto da un
momento all’altro.
Pippo usò la magia, respingendo molti avversari, ma le
sue forze si esaurivano velocemente. Era disperato, non sapeva più che cosa
fare.
- Che cosa posso
fare? –
I bambini iniziarono ad attaccare i pirati, colpendoli
duramente e facendoli retrocedere. Uno schiaffeggiò Paperino fino a farlo
rinvenire.
- Ma che cosa succede? – chiese il mago di corte.
- Ci attaccano! Ci servono i tuoi fulmini! –
- Ok – disse Paperino frettolosamente – Thundara! –
Una scarica di fulmini si abbatté sui pirati, facendone
cadere svenuti alcuni.
I pochi rimasti se la diedero a gambe più in fretta che
poterono, senza nemmeno più pensare alla tremenda punizione che avrebbero
ricevuto una volta tornati alla nave.
Spugna vide la disfatta dei suoi uomini e l’ira ribollì
dentro di lui.
- Come avete osato! – disse il capitano.
Attaccò i due come una furia, ma Pippo parò facilmente i
suoi colpi.
- Si vede che non sei molto allenato –
Il volto di Spugna divenne una maschera di rabbia
- Non provarci nemmeno! Ora te la faccio vedere io! –
I colpi divennero sempre più veloci e precisi, dopo poco
erano tanto potenti che lo scudo poteva solo deviarli.
Ad ogni colpo mancato, Spugna cambiava.
Il suo aspetto diventava sempre più contorto e
affusolato, il capitano si stava trasformando nella creatura che Pippo non avrebbe
mai voluto vedere.
Quando la sua trasformazione si fu completata, Spugna non
aveva più bisogno della spada che impugnava.
Le mani erano affilate come coltelli e le braccia così
lunghe che parevano arrivare ovunque.
- Non possiamo
batterlo! – pensarono i due, intimoriti.
I bambini si lanciarono all’attacco, senza farsi
spaventare d al fatto che i loro colpi non aveva nessun effetto.
- Se voi non volete combattere, noi lo faremo fino alla
fine! – disse Leo, stranamente coraggioso
Pippo si riscosse e lanciò il suo scudo contro il nemico,
che fece qualche passo all’indietro.
- Blizaga! – gridò Paperino scagliando un’enorme sfera di
ghiaccio sul terreno sotto ai piedi del mostro, che cadde rovinosamente.
- Non mi avrete con così poco!- gridò rabbioso Spugna, rialzandosi nonostante
il ghiaccio.
La voce del Capitano si era fatta roca e disumana, quasi venisse dall’inferno.
- Forza Pippo! – gridò paperino mentre l’amico gli saltava sulle spalle.
Pippo lanciò il suo scudo contro la testa di Spugna, che per un attimo vide le
stelle, ma la sua risposta non tardò ad arrivare. I possenti artigli si mossero
veloci contro gli avversari, che per un miracolo si scansarono in tempo. Il
cappello di Paperino venne staccato dalla sua testa.
- Questa me la paghi! –
Il mago non era riuscito a finire la frase che già l’Heartless
si era affrettato ad attaccare di nuovo con i suoi artigli.
Stavolta, però, Paperino era pronto.
- Reflexga! –
Gli artigli si scontrarono contro la barriera e vennero
respinti, seppure questa venne distrutta dalla violenza del colpo.
Pippo non perse l’occasione e colpì l’avversario alle
gambe, facendolo cadere di schiena.
- Adesso Paperino! –
- Certo! – Il mago
scagliò un fulmine che, cadendo dal cielo, andò a colpire l’Heartless proprio
sullo stemma del Cuore che li accomuna.
Il mostro, lentamente, si dissolse in una nube di fumo
nero.
Tutti i bambini fecero festa.
- Qui non vogliamo più Pirati! – disse Leo.
Un coro di esclamazioni si levò dagli altri bambini
- Noi siamo finalmente liberi! E, per evitare che in
futuro i pirati ci diano di nuovo fastidio, bruceremo la loro nave! –
I bambini, prima titubanti, gioirono.
- Paperino? – chiese Leo.
- Si? –
- Puoi mandare un fulmine sula loro nave? –
- Certo, ma cosa ne farete dei pirati rimasti? –
- Saranno liberi di rimanere con noi –
- Molto bene. Tundaga! –
Un fulmine colpì la nave che iniziò a bruciare per poi
calare a picco.
-Sentite ragazzi,
non è che per caso avete visto un giovane... –
Paperino descrisse il ragazzo, ma i bambini non avevano
mai visto nessuno che corrispondesse alla descrizione.
- Non importa, quello che conta è il fatto che ci siamo
rivisti –
All’improvviso, tutti udirono un suono decisamente
familiare.
- Trilli! – gridarono i bambini.
- Ciao ragazzi, vedo che avete già stretto amicizia con Pippo
e Paperino! –
- Già, ma per caso hai trovato Peter? –
Lo sguardo della fatina si fecetriste.
- Purtroppo si. È un uomo ormai, un adulto. Non può più
tornare qui, ma devo dire che mi è sembrato felice, con Wendy –
- Allora va bene così. L’importante è essere felici,
giusto? – disse Leo con un sorriso.
- Si – dissero tutti.
- Ci spiace, ma orsa noi dobbiamo andare – disse Paperino.
- Ci mancherete! –dissero i bambini in coro.
- Ma lo sapete che noi siamo adulti? – chiese Pippo.
- Ma non è possibile! Sembrate come noi da come vi
comportate! Se rimarrete qui starete benissimo! –
- Non ne dubitiamo, ma abbiamo una missione da compiere e
non possiamo fermarci un secondo di più –
Aprirono un varco e, dopo aver salutato tutti, se ne
andarono.
La prossima destinazione era il castello Disney. Era ora
che dicessero a qualcuno che avevano scoperto.
Al casello Disney nessuno era tranquillo. Il re era
sempre nelle sue stanze a studiare, mentre gli altri facevano qualunque cosa
pur di non pensare a quello che sarebbe potuto succedere ai ragazzi.
Quel Nobody era decisamente pericoloso, e nessuno si
sentiva tranquillo.
Un varco di luce si aprì in mezzo al giardino.
Tutti corsero a vedere e ci fu un grido di gioia nel veder uscire Pippo e
Paperino.
- Sete tornati! Come è andata? –
- Non male... – disse Pippo, schivo. Avrebbe voluto parlare delle sue avventure
con il re, prima di tutto.
- Noi dovremmo vedere il re... – disse, quasi si stesse
scusando.
- È nelle sue stanze – disse Minnie, con voce dispiaciuta
– Non esce da vari giorni e non sappiamo proprio cosa fare! –
I volti dei due si fecero preoccupati.
- Cosa è successo? –
- Il Nobody è stato qui – disse Minnie – E ha ucciso
Ansem per poi rapire Sora. Riku e Kairi sono andati a cercarlo, ma non abbiamo
più notizie di loro da un paio di giorni –
- No! Questa proprio non ci voleva! – disse Pippo – Il
Nobody non è in nessuno dei mondi che abbiamo visitato, quindi... –
- Quindi potrebbe già aver sconfitto di nuovo Sora, non
sai che potenza quel... quel... mostro! –
- Hai ragione, non lo sappiamo, quindi andremo subito a
cercarlo – disse Pippo – Ma prima andremo a parlare con il re! –
I due si recarono nelle stanze reali, con passi lunghi e
nel più rigoroso silenzio.
- Possiamo entrare? – chiesero i due, dopo aver bussato
alla porta del re, che si spalancò quasi subito.
- Pippo, Paperino, che sorpresa rivedervi! – disse lui con la sua voce acuta,
felice.
- Siamo tornati per dire che l’unico mondo che non
abbiamo controllato è la giungla profonda –
- Bene, pensavo
che foste molto più indietro! – disse Topolino, all’apparenza soddisfatto. In
realtà, quando li aveva visti sperava che lo avessero trovato.
Un varco di luce si aprì improvvisamente in mezzo alla
stanza.
- Ma? – chiese il re, colto di sorpresa.
Dal varco uscirono Sora, Riku, Kairi, Leon, Cloud, Axel e
un ragazzetto che Topolino non aveva mai visto.
- Fermi, loro sono amici! – disse Sora vedendo il re
evocare la sua Keyblade.
- Mi hanno aiutato a fuggire, anzi... – disse arrossendo
– mi hanno caricato in spalla e mi hanno portato via quindi... –
- Ci possiamo fidare – concluse Topolino, che non sapeva
che cosa pensare.
- Sapete dov’è il suo covo? – chiese Pippo.
- Si, si trova nel sottosuolo di Crepuscopoli, molto
vicino alla stazione –disse Axel, con
tono sicuro.
- Come mai lo hai tradito? – chiese Topolino.
- A me bastava Roxas – disse indicando il ragazzo – Non
conquistare l’Organizzazione. Lui mi fa sentire come se avessi davvero un Cuore
e tanto mi basta. Con Sora avevo una sensazione molto simile, ma non era la
stessa –
- Capisco – disse Topolino, che ancora non si fidava per
nulla. Nonostante questo, il tono era gentile.
- È tempo che combattiamo – disse sicuro Riku – Se
vogliamo andare –
- No – disse Roxas, che non aveva ancora aperto bocca da
quando era arrivato – Lui, come dovreste sapere, trae il suo potere
dall’Oscurità. Non possiamo combatterlo ora, che la notte si avvicina, dovremo
andare domani –
- E rischiare di dover combattere altri tuoi colleghi? –
- Si – disse Axel – Rox ha ragione, non possiamo batterlo
senza il favore della luce –
- Capisco – disse Topolino – Aspetteremo. Ora, andiamo a
tavola, dovrebbe esserci spazio per tutti.
Era ormai sera quando, a scapito di tutte le previsioni,
Dark si svegliò.
- Devo agire
ora, che il mio potere è maggiore, se voglio avere più alleati – pesava.
Evocò il suo potere e lo sentì rispondere più voglioso
del solito.
- Larxene –
scelse. – Evocherò lei –
Iniziò a sfruttare il suo potere e, senza troppi sforzi,
anche la Ninfa Selvaggia era di nuovo in vita.
- Ce la posso
fare– si disse – Vexen –
Anche il Freddo Accademico tornò in vita, pregustando la
sua vendetta contro Axel, che ai tempi aveva tradito tutti nel Castello
dell’Oblio e lo aveva ucciso colpendolo alle spalle come solo un traditore come
lui poteva fare.
Il giovane, però, era troppo debole per continuare,
quindi condusse a fatica i nuovi arrivati verso gli altri, in modo che
potessero essere aggiornati su quello che era successo dopo la loro morte.
- Perché non possiamo gioire degli eventi
felici o disperarci per la morte di un nostro amico? – I due, nel frattempo, elessero gli appunti, poi il Freddo
Accademico andò a dormire
- La scienza dice che se non si dorme abbastanza, non si
può combattere al meglio! – disse a quelli che lo guardavano stupiti.
Larxene era più arzilla, ma anche molto arrabbiata. Non
poteva credere che Axel fosse un doppiogiochista. L’avrebbe pagata cara.
- Che cosa facciamo? – chiese – Andiamo a cercarli? –
- No – disse Zexion – Lascia che siano loro a venire nel
nostro territorio, avremo dei vantaggi non indifferenti –
- Ma per te che differenza fa? Tu crei le tue illusioni –
disse Xaldin
- Si, ma dubito che voi possiate capire –
- Che cosa? –
- La dinamica del mio modo di combattere –
- Va beh, se lo dici tu –
- Che ne dite se
tornassimo al castello? – disse Larxene, come se avesse avuto l’idea più
geniale del mondo.
- Devo ricordarti che loro ci sono già stati? – chiese
Zexion, con tono neutro.
- Non in tutte le stanze –
- No, ma sanno orientarsi nel nostro castello. Qui sarà
molto meglio –
- Ok, ok se lo dici anche tu, Xaldin –
La Ninfa Selvaggia si mise in una posizione più comoda e prese a leggere il
romanza dal quale non si staccava mai, sin da quando era una Nobody.
- Piantala di fare l’asociale! – disse Xigbar, quasi a
prenderla in giro. Un fulmine, preciso e micidiale, cadde sulla testa del
cecchino, che rimase immobile, fumante, per qualche tempo.
- Ma era proprio necessario? – Chiese Zexion, che si
tenne qualche passo lontano, giusto per sicurezza.
- Si – disse Larxene, gelida quasi quanto Vexen.
Era ormai mattina al castello Disney e tutti erano pronti
a partire.
- Andiamo? Chiese Topolino –
Tutti risposero con un cenno della testa. Axel aprì un
passaggio verso Crepuscopoli e tutti vi entrarono.
Anche nella città era ancora mattino.
Si avviarono verso la stazione, poi svoltarono in un
stradina laterale.
La città era immensa, anche se la maggior parte delle
strade era nascosta o poco visibile.
Axel e Roxas guidavano la fila, seguiti dagli altri.
Arrivarono alle gallerie e vi entrarono senza alcuna
esitazione. Roxas bussò contro una parete che sembrava normalissima e un
passaggio si rivelò ai loro occhi. Peccato che c’era un muro alla fine del
passaggio!
- E ora? - chiese Sora
- Continuiamo, amico mio – disse Axel che andò a sbattere
contro la parete, attraversandola.
- È solo un’illusione! Non c’è pericolo! –
Tutti la attraversaronoe, dopo pochi minuti, vennero attaccati dai Nobody. Ce n’erano di tutti
i tipi, ma in particolare Simili, che si muovevano in quel modo strano, quasi
liquido, che faceva girare la testa.
Iniziarono a combattere ma, dopo i primi colpi, il gruppo
venne diviso e una parete di energia separò Roxas, Sora, Axel, Riku e Topolino
dagli altri.
- Andate avanti! Gridò Leon. Qui ci pensiamo noi! –
I cinque rimasti si avviarono. Era arrivata l’ora di
combattere.
Note
dell'autore
Ringrazio tutti coloro
che ancora leggono la mia storia. Chiedo scusa se ci ho messo tanto ad
aggiornare, ma in questo periodo la scuola è opprimente!
I pochi rimasti continuarono a camminare, fino a che non
trovarono cinque strade alternative.
- Dobbiamo dividerci – disse Roxas.
- L’idea non mi piace – replicò Sora, poco convinto.
-Ma non abbiamo altra scelta – concluse Topolino, con
tono rassegnato.
Ognuno prese una strada diversa e, dopo che ebbero preso
il sentiero, gli accessi ai corridoi crollarono, in modo che nessuno potesse
tornare indietro.
- Certo che
l’oscurità è molto utile se vuoi creare delle stanze in più – pensò Axel,
che aveva quasi raggiunto la stanza, vedeva in fondo una luce.
Quando la vide, iniziò a ridere.
- Ciao, nonno Vexen – gridò a squarciagola – Come stai?
L’ultima volta che ci siamo visti sei... Morto? –
- Il tuo umorismo è deprimente, Axel –
Un trono di ghiaccio si innalzò dal suolo e sopra di esso
il Freddo Accademico, le braccia comodamente distese sui braccioli, le gambe
che penzolavano a qualche metro d’altezza.
La stanza era abbastanza spoglia. Il pavimento era
ricoperto di ghiaccio e sulle pareti crescevano piante che parevano congelate.
- L’ultima volta stavo facendo il mio esperimento con
Sora, volevo vedere se le illusioni di Naminè erano più o meno reali... tu
sarai in grado di battermi senza colpirmi alle spalle, come la scorsa volta,
traditore che non sei altro? –
- Ora lo vedremo! – disse Axel, evocando i suoi Chakram e facendo sciogliere il
ghiaccio attorno a lui con una vampata di fiamme di almeno mezzo metro.
- Notevole! – disse Vexen, che dopo pochi secondi aveva
creato uno spuntone di ghiaccio e l’aveva lanciato contro l’avversario.
- Patetico – disse Axel con aria annoiata, lanciando una
sfera di fuoco contro il Freddo Accademicoche sciolse lo spuntone di
ghiaccio, avvicinandosi pericolosamente all’avversario.
Vexen si riparò dietro allo scudo.
- Tutto qui? – Axel era eccitatissimo all’idea di
combattere proprio contro quello scienziato che tempo fa aveva distrutto.
– Ora ti faccio vedere io! –
Dal suo corpo, si espanse una colonna di fuoco che si
scagliò contro tutto quello che incontrava, facendolo bruciare. Il fuoco si
fermò anche sul pavimento, continuando ad ardere.
Anche il trono di Vexen si sciolse, facendo cadere il
Freddo Accademico che, rialzandosi, aveva il viso paonazzo di rabbia.
Iniziò ad utilizzare il suo scudo come una spada, ma era
del tutto inutile, il suo avversario sembrava troppo veloce anche solo per
entrare nella sua guardia e strappargli un graffietto.
- Come posso fare?
–
Continuò a cercare gli affondi, ma senza alcun risultato
che tenere impegnato l’avversario.
Con un veloce movimento della mano, creò una colona di
ghiacciò che intrappolò Axel ma questa, dopo un paio di colpi, era già sciolta
e tutto tornò come prima.
- Tutto qui? – lo derise Axel – Ora ti mostro io quello
che vuol dire la parola attaccare –
Si lanciò nel fuoco che ormai aveva accerchiato i due,
diventando invisibile.
Dopo pochi secondi, fu alle spalle dell’avversario, e lo
colpì duramente, per poi tornare a nascondersi.
- Non sei altro che un codardo! – disse sperando di
intaccare l’orgoglio dell’avversario.
- Davvero? – la voce arrivava da tutte le direzioni
–Io non direi. Sei tu quello che si
nasconde dietro ad uno scudo! –
Di nuovo Axel lo colpì alla schiena. Il Chakram ferì
Vexen, portandosi via un piccolo strato di pelle.
- Ma non ti vergogni di colpirmi in modo tanto
disonorevole? –
- No! Sei tu quello che ha iniziato! Io ho solo
reagito... –
Altro colpo alle spalle.
Vexen era sempre più debole. Chiuse gli occhi, iniziò a
girare su se stesso, sempre più veloce.
Delle scaglie di ghiaccio freddissimo si creavano e
venivano scagliate contro il fuoco, a casaccio, riuscendo quasi sempre a
penetrarlo.
- Non mi colpirai mai! –
Axel attaccò ancora, ma questa volta il Freddo accademico
era pronto. Stava ancora ruotando, quindi il suo scudo parò il colpo
dell’avversario scagliando vie le due armi.
Rapidissimo, Vexen colpì Axel con il suo scudo,
bloccandolo poi a mezz’aria.
Continuò a tempestarlo di colpi, fino a quando il fuoco
attorno a loro si spense.
- Pensavi di aver già vinto? Ti sbagliavi, caro il mio
Soffio di Fiamme Danzanti... un titolo più ridicolo proprio non potevi
sceglierlo –
Axel venne avvolto da una calotta di ghiaccio che lo
paralizzò all’istante.
Vexen usava il suo scudo per colpirlo con tutta la forza
che aveva.
Dal corpo di Axel divampò un fuoco caldissimo, che
sciolse il ghiaccio.
- Anche tu cantavi vittoria un po’ troppo in fretta! –
- Tu dici? –
Tre spuntoni di ghiaccio si conficcarono nella schiena di
Axel, che gridò per il dolore.
- Ricorda, i traditori sono sempre i più deboli! –
- Davvero? –
Una colonna di fuoco si alzò sotto Vexen, facendolo
volare via.
- Io non sono più traditore di te, che volevi rivelare la
verità a Sora, non più di Marluxia, che voleva prendere il posto di Xemnas o di
Larxene, che non desiderava altro che il potere! –
- Forse hai ragione, ma allora chi si salva nell’Organizzazione?
–
- Nessuno – disse Axel prima di lanciare uno dei suoi
Chakram contro l’avversario.
Vexen parò con lo scudo, che poi utilizzò per attaccare.
Il giovane era stanco, e schivare i colpi diventava ogni
minuto più difficile.
- Già a pezzi? Non sei più quello di una volta! –
-Questo lo dici tu!- esclamò
Axel, le armi gli comparvero in mano e si mise in posizione difensiva.
Entrambi i contendenti ansimavano, le ferite iniziavano a pesare su entrambi,
ma nessuno dei due aveva intenzione di mollare. Non adesso.
Axel lanciò uno dei suoi Chakram contro Vexen, che si limitò a spostarsi un po’
a sinistra.
- Devi fare molto meglio che questo per battermi... pensavi davvero che tanto
basti? -
Una luce vittoriosa passò negli occhi di Axel e il Freddo Accademico capì. Si
voltò di scatto, parando all’ultimo secondo l’arma, che stava tornando indietro
come un Boomerang.
Come Axel vide la rotazione dell’avversario, scagliò contro di lui la seconda
arma.
Stavolta, il n° IV non poté fare nulla e il colpo arrivò, durissimo, contro la
sua schiena già segnata.
- Questo è il colmo! – esclamò quello, colonne di ghiaccio attorno a lui.
- No, solo furbizia mia! – replicò Axel, che si mise in posizione, le braccia
lungo il corpo e le armi, che erano tornate nelle sue mani.
Le colonne terminarono di crescere all’altezza di tre metri, con uno spuntone
finale di almeno trenta centimetri. Una di esse, si sollevò dal terreno, e
scattò in direzione di Axel, che vi saltò sopra. La colonna si schiantò contro
il muro, rimanendovi incastrata con il Nobody sopra, in perfetto equilibrio, o
quasi, infatti dato il tremendo scossone, dopo pochi istanti Axel dovette
allargare le braccia per evitare di cadere rovinosamente. Quattro paletti di
ghiaccio partirono contro di lui, ma vennero fermati da una sfera di fuoco
lanciata appena il Nobody si accorse del pericolo.
- Adesso basta! – esclamo Vexen. Tutte le pareti si riempirono di ghiaccio e
dal terreno iniziarono ad uscire degli spuntoni.
- Eh no! Anche io ho ancora abbastanza energie! – Tutto il ghiaccio di Vexen
venne coperto di fiamme, che non riuscivano però a scioglierlo in quanto il
Freddo Accademico continuava a dare nuove energie al suo ghiaccio.
Il clima della stanza, nonostante le fiamme, era freddissimo, e presto Axel
ebbe i primi brividi di freddo.
- Adesso non fai più tanto lo sbruffone, vero? -
Axel non si mosse, concentrato. Le fiamme aumentarono di potenza, iniziando
lentamente a sciogliere prima le colonne, poi i muri.
- Finito qui, Ghiacciolo? – chiese Axel, con tono derisorio.
- Dici? – chiese quasi lo volesse sfidare.
Delle colonne si alzarono dal terreno, sempre più alte.
- Nulla! – disse Axel – In confronto a queste! -
Dal terreno salirono le stesse colonne, solo che infuocate.
I due blocchi si scontrarono, andando ad annullarsi a vicenda. Vexen scattò
verso l’avversario, lo scudo puntato contro di lui.
- Pessima mossa!- Poco avanti allo scienziato si alzò una
colonna di fuoco e questi vi arrivò esattamente sopra. Questa lo portò fino al
soffitto, senza causargli danni in quanto, almeno, si stava proteggendo con
loscudo. L’impatto con il soffitto fu
doloroso e Vexen cadde, quasi non avesse conoscenza.
Axel non si lasciò scappare l’occasione e partì all’attacco, colpendolo finché
non riusciva a difendersi.
- Bravo Axel... – disse Vexen dopo l’ennesimo colpo . Mi hai sconfitto e
pretendi anche di attaccare un corpo che non è in grado di difendersi! Sei solo
un codardo -
Axel divenne furioso.
- E tu un debole! -
Schiocco delle dita. Una immensa fiammata colpì Vexen da sotto, riducendolo in
cenere.
- Dimmi quello che vuoi, ma io sono io ed è per questo che sono stato l’unico a
non essere mai stato battuto da nessuno! -
Ansimante, Axel si diresse verso la porta che era magicamente comparsa al lato
opposto della stanza.
Riku
camminava nel silenzio più totale. Il corridoio era vuoto, ma poteva vedere l’uscita.
Arrivò in una stanza spoglia, non molto grande e poco
accogliente.
Al posto del pavimento c’era un prato.
- Benvenuto, Riku –
- Contento di ritrovarti, Lexaeus. Ti senti meglio? –
- Si... ma fra poco tu non sarai altro che una polpetta.
Preparati! –
Riku evocò la Keyblade.
- Molto bene... – disse Lexaeus con un sogghigno.
Il ragazzo sorrise.
L’Eroe del Silenzio si gettò all’attacco, portando un
colpo perfetto contro la spalla destra del ragazzo.
Riku scansò il colpo a fatica e provò il contrattacco ma,
come l’ultima volta, l’avversario era nettamente più forte di lui.
- Se solo potessi ancora... – non volle
finire quel pensiero.
Ansem era ormai passato e non avrebbe mai più dato alcun
fastidio, anche se lo rendeva più potente.
Riku cercò di passare alle spalle del gigante, ma era
difficile evitarlo.
Continuava a sferrare colpi, con potenza crescente e alla
fine Riku non riuscì più a pararli.
Iniziò a schivare, ma molto spesso veniva colpito di
striscio.
- Devo vincere, per
Sora –
Attaccò e andò a segno, colpendo l’avversario al braccio
sinistro e aprendogli un piccolo squarcio.
- Questo non ti basterà per vincere! – disse con tono
convinto Lexaeus.
Il ragazzo continuò ad attaccare, ma nessuno degli altri
colpi andò a segno e presto il giovane rimase senza forze, con il fiatone.
- Stanco? L’ultima volta avevi l’aiuto dell’oscurità,
ecco perché hai vinto. Ora non sei altro che un debole. Mi fai solo perdere
tempo –
Veloce e mortale, il colpo partì ma Riku era pronto.
Scansò di lato e, spiccato un salto, colpì l’avversario quando aveva ancora la
guardia bassa.
Uno squarcio non molto profondo si aprì sul petto del
nobody.
- Che cosa pensi di fare? – chiese Riku – Non mi hai
ancora sconfitto –
Una colonna di terra si alzò sotto di Riku, facendolo
volare contro la parete.
Riku si rialzò a fatica, facendo leva con le gambe contro
il pavimento.
- Non sei ancora stanco? Non lo vedi che combattere è
inutile? –
- No, io vedo solo il mio avversario! –
Riku lanciò la Keyblade che colpì l’avversario e lo fece
indietreggiare di qualche passo, per poi tornare in mano al ragazzo.
- Mi dispiace, ma non puoi vincere! Io sono troppo più
forte! –
Lexaeus si lanciò all’attacco, ma Riku cadde prima di
venire colpito, quasi del tutto privo di forze.
La spada dell’Eroe del Silenzio si conficcò così a fondo
nella roccia che ci sarebbe voluto troppo tempo per riprenderla.
Riku cercò di colpire l’avversario, ma quello si scansò
all’ultimo, lasciando la sua arma.
- Bene, adesso
almeno ho un piccolo vantaggio - Pensò Riku, quasi sollevato. Non ebbe finito di pensarlo che un colpo alla
schiena gli tolse il respiro.
- Non è possibile... – si disse il
ragazzo, mentre cadeva a terra. L’arma venne come sputata al terreno e presa al
volo dall’Eroe del Silenzio, che si mise in posizione di attacco.
- È finita – disse in un soffio, prima di partire. Riku era disteso a terra,
senza forze. Vide a malapena il suo avversario, ma non poteva fare nulla per
evitare il colpo.
- Riku!-
Era una voce nota, eppure il ragazzo non avrebbe saputo dire di chi era. Essa
lo spronò ad alzare la sua lama, in modo da parare. Ed in effetti le lame si
incrociarono, sprizzando scintille.
Riku si alzò in piedi, contrastando il peso dell’avversario. Lento ed inesorabile, un passo dopo
l’altro, il ragazzo continuò ad avanzare, sentendo la sua Key stranamente
leggera, ma senza guardare quasi avesse paura che, anche lanciando una sola
occhiata, poetesse perdere quel poco di vantaggio che aveva. L’uomo indietreggiò fino alla parete in fondo, che aveva
l’aspetto di un enorme sperone roccioso.
- No! -
Gridò, per poi spingersi in avanti. Riku parve incerto un attimo, poi si lasciò
andare, cadendo indietro con la schiena a terra e disimpegnando così la lama
dell’avversario che tutto ad un tratto non ebbe più equilibrio.
Riku lasciò che quello passasse oltre, poi veloce lo colpì alla schiena,
letale. La lama entrò in profondità, perforando la carne.
- Bravo... – disse Lexaeus – Ma non potrà mai bastare! -
La lama guizzò veloce contro il ragazzo, che ormai era allo stremo. Le forze
erano quasi esaurite, ma sapeva che doveva vincere. Si abbassò evitando l’arma
avversaria, poi si lanciò addosso all’avversario. La sua Keyblade, ora la vide,
entrò nell’avversario, da cui uscì un bagliore seguito dall’Oscurità più
nera...
La Via Per l’Alba era tornata.
- Mi hai battuto, di nuovo –
Il corpo del numero V iniziava ad essere lentamente
consumato dall’Oscurità.
- Ma io non poso andarmene così. Prima devo dirti che
sono soddisfatto. Ti sei dimostrato più forte di me e mi hai battuto. Questo –
Disse tirando fuori dalla tunica un piccolo oggetto
avvolto nel mantello – È per te. Non ti dimenticare mai che hai sempre degli
amici su cui contare –
L’Eroe del Silenzio scomparve definitivamente.
Riku era distrutto, troppo stanco per rialzarsi in piedi.
Prese in mano l’involto che gli aveva dato Lexaeus e tolse il panno che lo
nascondeva.
Dentro, c’era una lettera.
Caro Riku,
se ora stai
leggendo questa lettera, vuol dire che mi hai battuto. Dubitando di avere il
tempo di dirti tutto, ho deciso di scrivere queste poche righe in modo che tu
capissi.
Il nobody che
ci ha riportati in vita è un pazzo. Vuole a tutti i costi riportare in vita un’Organizzazione
che già prima di essere sconfitta era in pezzi. Nessuno si fidava degli altri,
molti erano considerati inferiori e alcuni, come Marluxia, volevano il potere
per loro alle volte istigati da altri, ma non mi dilungherò sulle questioni
riguardanti i XIII.
Sappi che io
non voglio più essere testimone di stupide fantasie che esistono solo nella
testa di quel Nobody, il tuo Nobody.
Sappi che,
alla fine, avete collezionato abbastanza cuori, quindi Kingdom Hearts è
finalmente completo. Non so se renderà di nuovo i cuori dei nobody rimasti,
sinceramente non so nemmeno se ne voglio ancora uno.
Dopo tutti i
crimini che ho commesso, penso che l’unico sentimento che potrei provare
sarebbe sconforto e non potrei fare nulla.
Sappi che sono
contento di morire per mano tua, almeno penso che così sia. È l’unica
sensazione che posso provare...
Ricordati
sempre che puoi contare sui tuoi amici. Loro potrebbero essere il tesoro più
prezioso del mondo. Non allontanarli.
Con questo io
ti saluto e spero che saprai, al momento giusto, quello che è più giusto fare.
Lexaeus, l’Eroe del Silenzio
Quando ebbe finito di leggere, richiuse il foglio e lo
mise davanti al cuore, addormentandosi profondamente poco dopo.
Note
dell’autore Non
lo so, ma questo capitolo non mi soddisfa appieno... spero che per voi lettori
sia gradito...