Kingdom hearts 3

di Black Roxas
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** L’inizio di una nuova avventura ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2: La prova ***
Capitolo 3: *** Malefica ***
Capitolo 4: *** La fuga ***
Capitolo 5: *** La ricerca ***
Capitolo 6: *** Il cambiamento di Sora ***
Capitolo 7: *** La battaglia di Riku ***
Capitolo 8: *** L'avventura di Kairi ***
Capitolo 9: *** Le nuove armi di Paprino e Pippo ***
Capitolo 10: *** L'inganno ***
Capitolo 11: *** il salvataggio ***
Capitolo 12: *** La sconfitta di Malefica ***
Capitolo 13: *** Una nuova minaccia ***
Capitolo 14: *** L'attacco ***
Capitolo 15: *** Una gita movimentata ***
Capitolo 16: *** Una semplice vittoria ***
Capitolo 17: *** Un nuovo viaggio ***
Capitolo 18: *** La disfatta di Ade ***
Capitolo 19: *** Pericolo nella terra dei Dragoni ***
Capitolo 20: *** Un potente heartless ***
Capitolo 21: *** Alla ricerca di Sora ***
Capitolo 22: *** Il torneo ***
Capitolo 23: *** Il Monte Olimpo ***
Capitolo 24: *** Le Terre del Branco ***
Capitolo 25: *** La morte di Ansem ***
Capitolo 26: *** L'esperimento ***
Capitolo 27: *** Agrabath ***
Capitolo 28: *** Disordine al castello ***
Capitolo 29: *** Di nuovo insieme ***
Capitolo 30: *** Vecchi Nemici ***
Capitolo 31: *** L'Isola che non c'è ***
Capitolo 32: *** Tempo di Combattere ***
Capitolo 33: *** Un Gelido Inferno ***
Capitolo 34: *** L'Eroe del Silenzio ***



Capitolo 1
*** L’inizio di una nuova avventura ***


KINGDOM HEARTS

 

Capitolo 1: L’inizio di una nuova avventura

Sora si svegliò di colpo... era stata davvero una pessima nottata per lui.

Tutto all’isola era tranquillo ma lui non riusciva più a ritrovare la serenità perduta: dopo aver viaggiato per moltissimi mondi e aver stretto tutte quelle amicizie, non riusciva a credere di essere bloccato sulla sua isola, senza alcuna possibilità di viaggiare. Solo la presenza di Kairi lo aiutava a sentirsi meglio, ma neppure questo era sufficiente. Sentiva la mancanza di Paperino e Pippo, suoi inseparabili compagni nelle numerosissime avventure.

- Chissà che fine hanno fatto – pensava - Probabilmente sono tornati nel loro castello con le rispettive famiglie e forse sentono la mia mancanza

Il giovane strinse forte il suo Keyblade, pensando a quanto fosse starno che l’arma non fosse scomparsa dopo aver compiuto il suo destino e aver sconfitto Heartless e organizzazione XIII. Forse sarebbe rimasto con lui per sempre. Sorrise a quel pensiero.

Intanto Riku guardava il mare. Non poteva fare a meno di ricordare come avesse combattuto contro il suo migliore amico, Sora, solo per aver creduto alle menzogne di Malefica. Non riusciva a farsi una chiara idea sulla vera indole della strega che, nonostante tutto l’odio che provava per loro, li aveva aiutati nel combattimento contro l’organizzazione.

Anche Kairi era molto pensierosa. Fin da quando era una bambina voleva viaggiare, andarsene dall’isola ma ora non voleva altro che stare con Sora. Aveva condiviso con il ragazzo molti viaggi, quando i loro cuori erano uniti; l’aveva cercato poi, mentre lui combatteva contro i nobody e, dopo essersi riunita con Namine, aveva ricevuto un Keyblade da Riku, diventando così una custode. Lo guardò comparire subito, come se fosse dotato di una propria coscienza e non volesse fare altro che comparire magicamente nel momento del bisogno e poi scomparire. Era davvero stupendo, la cosa più bella che avesse mai visto, con il suo colore dorato e i fiori sul fondo; tutto ciò quasi le faceva dimenticare quanto fosse pericoloso e difficile da maneggiare.

Proprio per questo quando era da sola con Sora, il ragazzo le dava qualche lezione di “scherma” in modo che potesse difendersi da sola…

- Ma da cosa? – pensò ad alta voce.

Ormai non c’era più nessuno da combattere, i pochi Heartless rimasti evitavano gli uomini e i pochi che osavano uscire allo scoperto venivano velocemente sconfitti dagli eroi che sostenevano ogni mondo.

Sora guardò fuori dalla finestra. Il sole non era ancora sorto ma dopo quel sogno fatto non riusciva più a dormire. Aveva visto la sua ombra, l’Heartless che era diventato moltissimo tempo prima, tornare e reclamare il suo corpo, ed era così forte che neanche il Keyblade riusciva a scalfirlo.

- Ovviamente questo è impossibile - . si ripeteva, ma il sospetto che un fondo di verità ci poteva essere si era già nascosto in un angolo della sua mente, pronto a tornare alla carica al primo momento di smarrimento o di debolezza.

 

 

 

Intanto, in un luogo totalmente diverso da quelli conosciuti, Ansem si svegliò da un lungo sonno. Era del tutto spaesato. Si trovava in una landa desolata ma non riusciva a capire cosa era successo.

 - Stavo cercando di digitalizzare Kingdom Hearts quando qualcosa è andato storto e dovrei essere morto! Come faccio ad essere sopravvissuto?-

Migliaia di domande affollavano la sua mente e, per ogni dubbio a cui riusciva a dare una buona risposta, altri dieci arrivavano a sostituirlo. Dopo qualche istante di riflessione decise di incominciare a muoversi per scoprire dove si trovava, ma intorno a lui c’erano solo immense distese erbose... una pace innaturale lo accompagnava ad ogni movimento. Dopo aver vagato in lungo e in largo, trovò un covo di Heartless e li distrusse subito senza alcuno sforzo. Continuò per ore, sempre più stanco e affaticato; aveva una fame incredibile e avrebbe mangiato qualunque cosa ma in quel luogo dimenticato dagli dei, sembrava non esserci nulla di commestibile. Si fece coraggio e andò avanti per pura forza di volontà, senza sapere se stesse continuando ad avanzare oppure se stesse girando in tondo. Vagava senza meta, sorretto solo dal bisogno di scoprire la verità sul luogo nel quale si trovava. Dopo un lungo tempo passato a camminare senza mai capire dove fosse, il saggio si accasciò al suolo, incapace di procedere ulteriormente e si addormentò. Il suo, stranamente, fu un sonno calmo e privo di sogni e al risveglio se trovò riposato e in forze, nonostante la fame si facesse ancora sentire. Dopo essersi rimesso in cammino, fu attaccato da una banda di nobody abbastanza potenti, ma niente in confronto ad Ansem. Colpì il primo con una sciabola che in qualche modo gli era stata appesa alla schiena e lo distrusse. Gli altri si allontanarono in modo da uscire dalla sua portata e lo accerchiarono. L’attacco fu così improvviso che quasi non se ne accorse. In quattro lo attaccarono da tutti i lati. Disarmò il primo e uccise il secondo, ma il terzo lo colpì alla gamba facendolo cadere in ginocchio. Era perduto.... Senza una via di scampo si preparò al peggio ma, proprio un attimo prima del colpo mortale, un Keyblade d’oro fermò l’arma dell’avversario e tutti i nemici scomparvero.

 

Nel castello Disney tutto andava come al solito: Paperino correva da una parte all’altra mentre Pippo sonnecchiava tranquillo nell’enorme giardino,  ma tutti erano in apprensione per il Re. Topolino, infatti, pochi giorni prima aveva dichiarato di dover partire per un altro viaggio poiché doveva accertarsi di alcuni eventi e neanche le suppliche di Minni riuscirono a dissuaderlo.

I vecchi compagni di Sora pensavano spesso al ragazzo e, nonostante la felicità di essere di nuovo insieme alle proprie mogli, non riuscivano a non provare un senso di vuoto nel profondo dei loro cuori. Come fare per andare a trovarlo? Tutti i passaggi erano stati chiusi, non c’era modo di poter viaggiare, ma loro avrebbero voluto trovarne lo stesso uno... come sarebbe stato bello poter rivedere tutti gli amici lasciati nei loro mondi a vigilare e guidare i loro compaesani! Improvvisamente Paperino fu scosso da una mano e fece un salto di due metri: un vero record! Si girò e, con sua enorme sorpresa, vide Leon! In un primo momento non volle crederci e pensò che fosse frutto della sua fantasia ma, quando l’uomo lo salutò, capì che era tutto vero: si poteva davvero viaggiare fra i mondi, di nuovo. Non perse neanche un secondo: condusse il suo amico in una stanza riservata agli ospiti e lo fece riposare lì mentre lui chiamava Pippo. Leon, per nulla abituato al lusso del castello, si trovò spaesato e a disagio, ma cercò di non darlo troppo a notare e si riposò per qualche minuto. Arrivarono Pippo e Paperino che lo condussero per le vie del castello mentre l’uomo raccontava loro come aveva fatto a raggiungerli…

 

Erano passati due giorni da quando Sora aveva fatto quel brutto sogno e l’esperienza non si era ripetuta. Tutto era orribilmente noioso e solo gli allenamenti con Riku e Kairi riuscivano a distrarlo. La ragazza era riuscita a padroneggiare la sua arma in modo davvero spettacolare: era brava quasi quanto i ragazzi e batterla diventava ogni volta più difficile. Come poteva fare per andarsene e vivere di nuovo le sue mille avventure? Correre rischi era diventata un’abitudine ma fino a poco prima aveva un motivo: voleva trovare a tutti i costi Kairi; ora, invece...

Sora si perse nei suoi pensieri e non si accorse dell’arrivo di Wakka.

Tutti, sull’isola, non si erano accorti dell’oscurità e tutto era tornato come nell’istante in cui era stato inghiottito e nessuno si era mai accorto delle armi dei ragazzi anche se, del resto, essi facevano di tutto perché non venissero viste da nessuno.

Wakka gli chiese uno scontro con le loro armi giocattolo e Sora lo lasciò vincere, dato che, in caso contrario, il giovane gli avrebbe sicuramente chiesto una rivincita. Sora tornò a casa, salutò la madre ed entrò in camera sua, a riflettere su tutto ciò che aveva visto, fatto e desiderato. Tutti i suoi principi erano stati messi alla prova, i suoi valori erano stati capovolti e aveva fatto cose di cui poi si era pentito. Si rifugiò nell’angolo più remoto del suo cuore, dove poteva sentire la presenza del suo nobody, Roxas. Esso si era riunito a Sora durante la rigenerazione del ragazzo dopo l’esperienza del castello dell’oblio, del quale non ricordava quasi nulla. In esso aveva perso i suoi veri ricordi per rimpiazzarli con alcuni falsi e ora che aveva recuperato quelli originali, avrebbe voluto ricordare di più quello che aveva fatto in quel periodo. Dopo aver parlato con Roxas, tornò al mondo reale, giusto in tempo per sentire la madre chiamarlo: la cena era pronta. Sora mangiò con il solito appetito e chiese il permesso per uscire. Come tutte le sere andò alla spiaggia dove trovò i suoi amici ad aspettarlo e continuò ad allenarsi fino a che non fu troppo stanco per proseguire. Decise di andare subito a dormire, così salutò i due compagni. Stava tornando a casa quando una luce abbagliante si accese davanti a lui e lo costrinse a chiudere gli occhi, così non vide il colpo che stava arrivando e fu colpito in pieno petto. Sora cadde a terra, svenuto.

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Capitolo 2
*** Capitolo 2: La prova ***


 

Capitolo 2: la prova

 

Ansem si guardò attorno, ancora stordito. Aveva riconosciuto l’arma ma non riusciva a scorgere il Re. Che si fosse sbagliato? Impossibile: i nobody non se ne sarebbero mai andati senza un motivo. Una voce acuta lo chiamò. Dietro di lui era apparsa una figura avvolta in un mantello.... Il saggio non seppe cosa pensare. Chiese dunque al nuovo arrivato di dargli del cibo, perché era molto affamato. Topolino acconsentì e, dopo avergli dato ciò che l’amico desiderava, gli chiese come si sentiva. Il saggio era molto confuso e desideroso di scoprire cos’era successo dopo il fallimento della sua macchina. Topolino rifletté un attimo, quasi come se non fosse sicuro di quello che stava per rivelare ma, dopo un istante che parve interminabile, cominciò il suo racconto.

- Dopo che sei stato preso dalla macchina, essa si è fusa e non sono riuscito a ripararla. Sora e gli altri ragazzi hanno sconfitto l’organizzazione e sono tornati nei rispettivi mondi ma io non potevo arrendermi: volevo riportarti in questo mondo perché la tua conoscenza ci è indispensabile e non possiamo assolutamente perderti. Sono andato al castello e mi sono rivolto al tuo computer … esso mi ha assicurato che avrebbe fatto il possibile per riportarti fra noi ed io, molto scettico, sono tornato nel mio mondo…. Poco tempo fa ho ricevuto un messaggio dal tuo computer e ho cercato un modo per viaggiare di nuovo e raggiungerti... Tutti i passaggi fra i mondi sono stati chiusi ma, come ho scoperto, rimangono dei legami molto forti che si possono avere con la luce e l’oscurità: come i membri dell’organizzazione potevano aprire varchi oscuri, noi possiamo aprire varchi di luce per spostarci, anche se questi ultimi richiedano una maggiore energia in quanto gli esseri umani sono più inclini a cedere all’oscurità e nascondono la luce. Tu eri troppo lontano, così sono andato da Leon, gli ha spiegato tutto e mi sono diretto qui da te.

- Ma dove siamo? – chiese Ansem.

- Nel tuo computer – rispose Topolino – è cambiato da quando te ne sei andato: Sora è riuscito a riconquistarlo e ora la sua banca dati è a nostra disposizione. Dopo vari tentativi il computer è riuscito a riportare la tua essenza nel computer ma non si riesce a tirarti fuori... è come se tu dovessi fare qualche cosa prima di uscire e questi nobody che ti hanno attaccato mi hanno dato la conferma. Tu sei troppo vasto e complesso, con tutte le tue conoscenze, per poter stare nella memoria principale: abbiamo dovuto crearne una apposta per te e questo è stato il mondo che i tuoi ricordi, le tue emozioni, il tuo cuore ha creato. Strano che tu sia così a disagio: una terra così arida non può che essere una prova che devi affrontare per poter tornare da noi... -.

- Credo di capire... qui ci deve essere una prova, ma non penso che tu possa aiutarmi a superarla. -

- No, infatti il mio tempo qui è limitato: questo mondo non accetta di buon grado i visitatori e posso stare qui solo per pochi minuti ancora -

I due cominciarono a camminare, scegliendo la strada in quella distesa, fino a quando attorno a Topolino non apparve una luce azzurra. Allora il Re disse – Il mio tempo qui è finito, ora dovrai cavartela da solo... sono certo che ci rivedremo presto – e sparì.

 

Al castello Disney tutto era in agitazione: Pippo e Paperino volevano assolutamente utilizzare le nuove conoscenze per andare da Sora, sulla sua isola ma Leon era contrario. Egli, infatti, sosteneva che per utilizzare le nuove vie, ci vuole un grandissimo sforzo e bisognava essere preparati, non era come guidare una nave! Essi vollero provare lo stesso ma il risultato fu un vero disastro: i due si ritrovarono a due metri da terra e cadendo si presero un tale spavento che Leon non smise di prenderli in giro fino al giorno dopo. Essi, ormai sconfitti, non poterono fare altro che seguire le istruzioni del guerriero e molti esercizi dovettero ripeterli varie volte prima di ottenere risultati accettabili. Solo dopo una settimana ottennero il consenso per andare da Sora e, accompagnati dall’amico, fecero un secondo tentativo.

 

Riku e Kairi passarono l’intera mattinata a cercare Sora ma del tutto inutilmente: l’amico sembrava essersi volatilizzato. Dopo una settimana erano preoccupatissimi e molto irritabili, tanto che tutti avevano cominciato a prendere le distanze da loro. Erano in riva al mare e stavano discutendo su dove poteva essere finito l’amico quando una luce comparve dietro agli alberi e, in pochi attimi, scomparve misteriosamente. I due ragazzi corsero in quella direzione, armi in mano, e provarono a colpire i nuovi arrivati, anche se dovettero fermarsi appena li riconobbero. Si scusarono e li condussero sulla spiaggia, dove avrebbero potuto parlare tranquillamente. Kairi si offrì di ospitare i nuovi venuti a casa sua e Leon, Paperino e Pippo accettarono molto volentieri. I ragazzi rimasero tutta la sera a raccontarsi le loro storie e, alla fine, Leon decise di aiutare i due giovani a padroneggiare l’abilità solo all’inizio per poi lasciarli con Paperino e Pippo che li avrebbero aiutati. Alla fine non ci fu bisogno dei due perché Riku e Kairi, dopo appena un giorno di allenamento, erano già in grado di utilizzare i collegamenti. Solo Leon partì l’indomani, promettendo che avrebbe trovato Sora, così Paperino e Pippo tornarono al loro castello e lasciarono i ragazzi con la promessa che sarebbero tornati per dar loro le notizie più importanti.

Sora si svegliò di soprassalto. Era in una stanza buia e aveva le membra rigide, come se fosse stato fermo troppo a lungo... strano... ricordava solo... un’incredibile luce, un dolore lacerante e poi... doveva essere stato portato via ma... da chi? Dove si trovava? Come aveva fatto ad arrivare fin lì? Tutte domande senza risposta... Sora provò a muoversi ma, con suo stupore, scoprì di essere incatenato... chiamò il Keyblade ma esso non arrivò. Era disperato e aveva le lacrime agli occhi, quando sentì un rumore di passi venire verso di lui.

- Chi c’è? – chiamò il ragazzo, ma nessuno rispose. I rumori erano sempre più vicini quando, improvvisamente, si accese una luce che lo accecò. Quando gli occhi si furono di nuovo abituati alla luce, il ragazzo poté vedere solo una figura incappucciata. Il rapitore era molto alto e non lo degnò di uno sguardo. Sora cercò di colpirlo, ma le catene gli impedivano i movimenti.

- Ma bene – disse una voce femminile e stranamente familiare – L’eroe del Keyblade è stato catturato facilmente, devo dire che mi hai davvero delusa, Sora -. A quel punto il giovane riconobbe la voce – Malefica! Che cosa hai architettato questa volta? Si può sapere? Che cosa vuoi da me? – la strega si tolse il cappuccio e, con voce dura, rispose: - Da te nulla, non sei altro che uno stupido bamboccio... io voglio di nuovo Riku! Lui ha dentro di se un potere che neanche immagini... tu non sei altro che una scusa per farlo venire qui... -. Sora, esterrefatto, chiese cosa avesse di tanto particolare Riku e come pensasse di farlo passare dalla sua parte, ma la donna, con un sorriso beffardo stampato sulle labbra, si girò e si allontanò dalle prigioni del suo nuovo castello senza dire una parola.

 

Erano passati vari giorni da quando Topolino aveva salvato Ansem, ma per il saggio il tempo era diventato qualche cosa di astratto: avanzava senza sosta e dormiva solo quando si sentiva troppo stanco per poter andare avanti. Mangiava poche radici e, occasionalmente, riusciva a trovare qualche frutto. Aveva esplorato in lungo e in largo tutto quel mondo e l’unico luogo in cui non aveva messo piede erano le rovine. Non sapeva come ma esse gli erano familiari. Quel luogo, però, gli metteva addosso una grande ansia. Innanzitutto era pieno di heartless e nobody e, inoltre, aveva l’aria di un luogo maledetto, in qualche modo pericoloso. Decise che quella notte avrebbe dormito e avrebbe affrontato il pericolo solo l’indomani. Quella sera si considerò fortunato: aveva raccolto nel pomeriggio un paio di frutti e ora poteva variare un po’ la sua dieta. Si coricò molto presto dopo la cena e fece un sonno tranquillo e sognò, per la prima volta da quando si era svegliato in quella landa desolata, poco tempo addietro. La mattina arrivò ma, solo quando il sole era già sorto da qualche ora, Ansem si alzò deciso ad entrare nelle rovine. Dopo pochi metri fu attaccato da un gruppo di shadow che sconfisse facilmente, quindi proseguì. Stranamente la planimetria delle rovine era conosciuta, sapeva dove si trovavano i vari edifici e, dopo aver svoltato per la strada che sapeva condurre al castello, capì: si trovava nella sua città! Quello sarebbe stato il suo aspetto se fosse stata conquistata dagli heartless molti anni addietro. Si diresse verso il parco, la vecchia villa, tutto così diverso, troppo reale. Prima che potesse accorgersene, un gruppo misto di heartless e nobody lo attaccò da tutti i lati. Solo all’ultimo secondo poté scansarsi, così ricevendo solo un graffio sulla guancia. Attaccò con una furia che sorprese se stesso e, in pochissimi istanti, sconfisse tutti i nemici ma, purtroppo, ne arrivarono degli altri e poi ancora, sempre di più, fino a quando il povero saggio non se resse più in piedi. Ansem sapeva di non avere più scampo: non ci sarebbe stato nessun re a salvarlo, stavolta, ma la voce di Topolino arrivò fino al suo cuore, infondendogli coraggio. Si disse che non poteva arrendersi e riprese a combattere, nonostante la stanchezza. Gli avversari, però, non finivano mai. Ad un tratto l’arma di Ansem si illuminò e nelle sue mani trovò un Keyblade. Con la nuova arma sconfisse i pochi nemici rimasti e, quelli che sarebbero dovuti arrivare, scapparono in tutte le direzioni. Ansem capì due cose importantissime: aveva superato la prova ma ciò che davvero contava era l’aver ritrovato un nuovo Keyblade, disperso dai tempi delle “Guerre del Keyblade”. Con questa nuova consapevolezza, si apprestò a chiamare Topolino affinché lo facesse finalmente uscire de quel maledetto computer.!

***

Note dell'autore: Grazie a Il_Trio_Infernale per avermi detto che non si vedeva bene... devo darti ragione... era proprio uno schifo

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Capitolo 3
*** Malefica ***


Capitolo 3: Malefica

 

Malefica, nel suo castello, era intenta a pensare.

- Io ho davvero bisogno di Riku?-

 Non riusciva a trovare risposte e, inoltre, sentiva il controllo del ragazzo affievolirsi sempre più. Sora, infatti, continuava a cercare di invocare il Keyblade ed esso rispondeva con energia sempre maggiore. Non sarebbe riuscita a tenerli a bada ancora a lungo... il tempo stringeva e lei cominciava a perdere la pazienza. Aveva bisogno del potere dell’oscurità, di tutte quelle possibilità che solo essa poteva dare. Era già molto forte, ma non abbastanza. Per migliorare aveva un’unica scelta: se Riku non fosse arrivato allora avrebbe dovuto correre un grande rischio e immergersi nell’oscurità più totale, dandole ogni parte di se stessa, diventandone parte. Era ciò che tempo prima aveva fatto anche il suo ragazzo... forse sarebbe potuta diventare così anche lei: un essere invincibile, del tutto protetta dalla magia. Ma era davvero questo che voleva? Aveva davvero aiutato Sora e i suoi amici solo per ottenere il castello dell’organizzazione dietro a Crepuscopoli? Questa era una domanda che nell’ultimo periodo continuava ad assillarla. Era da deboli pensarci, eppure non poteva farne a meno. Ora più che mai voleva tornare ad essere la vecchia strega, priva di rimorsi e ostacoli morali. Riku l’aveva in qualche modo cambiata:sentiva di provare un affetto quasi materno per quel dannato ragazzo, che aveva deciso di prendere sotto la sua ala e l’aveva condotto sulla strada del potere, che poi lui aveva rifiutato per una forse migliore. A volte si sentiva tradita, altre volte si augurava che il ragazzo potesse essere felice e, sempre, sentiva la sua mancanza. -Basta!- si disse mentalmente -Non ci devo più pensare, voglio tornare a essere quella di un tempo!- . aprì il suo cuore all’oscurità senza quasi rendersene conto, e la sua volontà fu riposta nell’angolo più remoto della sua mente, sostituita dal male. Solo dopo qualche tempo si accorse di essere cambiata, senza più quegli assillanti dubbi era come ubriaca, ebbra di potere tento che non si accorse neanche di stringere fra le mani un Keyblade. Esso era nero come la pece, capace di rubare l’anima degli avversari sconfitti; esso aveva una forma molto simile a tutte le altre chiavi, ma terminava con una mano. Strano ma vero: una mano con unghie affilate come rasoi e durissime, quasi indistruttibili, capaci di penetrare fino al cuore di una persona.

 

Dalla sua prigione, Sora avvertì un cambiamento sostanziale: Malefica non pensava più a lui, non lo considerava più, l’aveva per qualche motivo escluso dalle sue attenzioni. Chiamò il Keyblade che arrivò immediatamente e spezzò le sue catene. Aveva in mente un solo obiettivo: andarsene il più lontano possibile. Ma come? Non sapeva neanche come era arrivato fin laggiù, come poteva anche solo sperare di poter fuggire? Eppure, in qualche modo, una voce interiore gli assicurava che ce l’avrebbe fatta; doveva solo aver fede. Corse via dalle prigioni, distrusse uno sciame di shadow, corse via, lontano, sino all’ingresso, dove Malefica lo stava aspettando. Giunto alla porta, vi si fiondò come un razzo ma la strega, attenta e preparata all’arrivo, sigillò l’ingresso in modo da bloccare ogni via di fuga di quello sciocca ragazzino. Si materializzò proprio di fronte a lui, maneggiando la sua nuova arma con un’abilità tale che, a prima vista, si direbbe che non avesse fatto altro per tutta la vita. Attaccò rapidissima il fianco destro ma il ragazzo era ben allento e parò senza troppa fatica il colpo. Il duello proseguì per un tempo che ai due contendenti sembrò infinito, ognuno parando e attaccando senza sosta, senza mai riuscire a colpire in modo significativo l’avversario. Sora cambiò tattica: scambiò la mano con cui teneva la sua arma ma anche così i due rimanevano in perfetto equilibrio. Un affondo deviato, un colpo basso parato, le armi cozzavano ad una velocità incredibile ed ogni volta sprizzavano scintille incandescenti in tutte le direzioni. Quando ormai tutti e due erano esausti, il tempo sembrò bloccarsi, tutti i movimenti sembravano a scatti, come se registrati su una vecchia videocassetta mal funzionante. Dopo una pausa durata non più i due secondi, i due stavano per riprendere lo scontro quando un vortice oscuro, come quelli usati dai membri dell’organizzazione, si aprì in mezzo al campo di battaglia.

 

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Capitolo 4
*** La fuga ***


Capitolo 4: La fuga

 

Dopo essere tornati nel castello, Paperino e Pippo andarono rispettivamente da Merlino e di Fil per allenarsi: durante la pace che c’era stata fino ad allora non avevano fatto altro che dormicchiare e portare lettere, quindi erano decisamente scoordinati e lentissimi. Paperino aveva scordato alcune magie e quelle che ricordava ancora si erano parecchio indebolite; Pippo era lento e molto spesso non riusciva ad utilizzare il suo scudo in modo ottimale... un vero disastro!

 

Topolino era intento ad allenarsi quando sentì un leggero fastidio alla testa. Inizialmente sconcertato, solo dopo capì che era la chiamata di Ansem, che probabilmente aveva superato la sua sfida. Accorse e, con l’aiuto del computer, riportò nel suo mondo l’amico. Quello che vide lo rese molto nervoso: Ansem era malridotto, gli abiti stracciati, sembrava stanchissimo e, soprattutto, era magro come uno stecchino, tanto che il re ebbe la sensazione che sarebbe potuto cadere da un momento all’altro. Ansem fu portato subito in una stanza, sicuramente più accogliente che quella landa desolata, dove dormì due giorni interi, sotto la dolce guardia di Topolino. Quando si svegliò, la prima cosa che disse fu: - Dov’è la colazione?!? – e il re, ridendo, gli porse un vassoio pieno di biscotti, una tazza di caffè molto amaro, il preferito del saggio, e qualche frutto che Ansem trovò fin troppo buono. Dopo essersi rifocillato, il saggio chiese di essere informato su tutti gli avvenimenti importanti avvenuti dopo la sua scomparsa. Topolino gli raccontò tutto, ma non poteva essere certo di alcune cose come, ad esempio, la reale morte di tutti i membri dell’organizzazione XIII. Ansem ascoltò il racconto dell’amico quasi con avidità, registrando nella sua mente ogni parola per poi poter usare la sue nuove conoscenze per trovare Sora. Decise che era prematuro mostrare a qualcuno il suo Keyblade e, senza dare alcuna spiegazione, andò in una stanza appartata, dove avrebbe potuto studiare con tranquillità una linea d’azione da seguire. Ripensò ai vecchi tempi, quando era ancora un giovane studioso intento ad apprendere tutti i segreti dei cuori... che stolto che era stato! Solo molto tempo dopo arrivò a capire che ogni cuore è un mistero a se stante, con i suoi difetti, i suoi potenziali dettati dall’equilibrio in esso esistente tra luce e oscurità. Xemnas... che sciocco che era stato il suo apprendista! Non era mai riuscito a comprendere questo segreto sfuggito anche al suo insegnante nei calcoli da lui fatti per provare a digitalizzare il regno che si stava formando dalla distruzione degli heartless. Di che cosa avevano bisogno i mondi in quel momento? Solo ora si rendeva conto dell’enorme quantità di Keyblade presenti e nascosti dalla vista di tutti... come potevano esserci solo chiavi della luce? Nel mondo non esiste una strada netta: il nero o il bianco; ci sono tantissime sfumature di grigio che, più o meno, si avvicinano alle due possibilità.

 

Una luce accecante riempì la stanza. Sora chiuse gli occhi e Malefica corse in un luogo riparato, pronta a colpire il nuovo venuto. Quando la luce si dissolse, nella stanza c’era così tanta polvere in arie che non si riusciva a vedere nulla se non alcune sagome nere e sfuggenti. Leon si fece strada in quella confusione e portò un ormai stanchissimo Sora lontano dal luogo della battaglia. Camminarono per un paio di minuti che sembrarono ore e si fecero strada tra le macerie del palazzo, staccatesi dal soffitto nel momento dell’apertura del varco. Sentirono un grido disumano, incredibilmente rabbioso. Solo la strega poteva averlo prodotto... ma cosa poteva esserle davvero successo? I due proseguirono fino a raggiungere una ragguardevole distanza e Leon decise di fermarsi. Voleva aprire un nuovo varco e portare il ragazzo lontano da quel luogo, sulla sua isola o, magari, al castello Disney. Optò per la seconda scelta perché più vicino e quindi con meno rischi di errori: era già stanco e avrebbe potuto commettere una sciocchezza percorrendo un tragitto troppo lungo. Il vortice si aprì subito, ubbidiente, permettendo ai due di entrarvi. Lo sbaglio fu minimo e i due si ritrovarono parecchi metri sopra la loro meta, in caduta libera. Fortunatamente, Paperino avvertì subito la presenza dei nuovi venuti e creò sotto di loro un enorme cuscino d’aria che attutì la caduta e salvò loro la vita. Sora fu subito portato in una stanza adibita ad infermeria e Minnie lo medicò come meglio poté: i lividi che il ragazzo si era procurato durante lo scontro con Malefica sarebbero guariti solo con il tempo e il riposo. Il ragazzo, però, non aveva a disposizione nessuna delle due cose. Doveva allenarsi per imparare ad aprire i varchi, capirne a fondo il funzionamento e, magari, sperimentar dei cambiamenti che apportassero più libertà e sicurezza durante i viaggi.

L’allenamento iniziò subito ma il ragazzo, stanco, ci mise alcuni giorni per acquisire la tecnica, anche se si applicava con ogni briciola del suo essere. Un giorno, infatti, svenne a causa dell’enorme fatica fatta per tenere stabile un vortice per più di un minuto circa. Nonostante questo, il ragazzo era voglioso di ritornare dai suoi amici e parlare loro della nuova minaccia: i Dark Keyblade. Malefica aveva il secondo, il primo era stato preso da Riku e poi distrutto dal ragazzo stesso, tornato alla fortezza oscura dopo l’esperienza in Kingdom Hearts per distruggere una potenziale arma in mano nemica. Ma quante altre chiavi esistevano? Impossibile a dirsi. Dove e come trovarle? Anche questo era un problema serio. La “Catena Regale” aveva scelto Sora di sua spontanea volontà ma doveva essere sempre così? Probabilmente no. La maggior parte di queste armi era nascosta in luoghi quasi inaccessibili, in attesa di essere ritrovate... ma da chi? C’erano dei prescelti o chiunque poteva usarle? Arrivati a quel punto, tutto diventava misterioso e Sora decise che non ci avrebbe più pensato prima di aver raccontato ai suoi amici l’esperienza vissuta.

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Capitolo 5
*** La ricerca ***


Capitolo 5: La ricerca

 

Riku e Kairi vennero avvisati immediatamente del salvataggio del loro amico ma non vollero conoscere i particolari: volevano sentire Sora descrivere tutta la disavventura. Erano così impazienti di vederlo che andarono subito da lui, senza neanche preoccuparsi di quello che avrebbero potuto pensare i loro amici non trovando neppure loro da nessuna parte. Arrivarono al castello e, non appena videro il loro amico nel giardino, Kairi lo abbracciò fortissimo, mentre Riku si limitò ad una stretta di mano e ad una calorosa pacca sulla spalla. Passarono insieme tutto il pomeriggio, raccontandosi quello che sapevano o pensavano, facendo progetti e sperando di poter partire presto per una nuova avventura, tutti insieme, per potersi aiutare a vicenda nei momenti difficili. Decisero che come prima cosa sarebbero dovuti andare a cercare il re, ma nessuno aveva idea di dove potesse essere andato, così decisero di aspettarlo al castello e ripresero gli allenamenti, sia di scherma sia per migliorare il controllo dei varchi per viaggiare tra i mondi. Assieme, migliorarono la tecnica e Riku, come sempre attento e scrupoloso in ogni cosa, trovò il modo di usare meno energia per mantenerli allo stesso livello di stabilità e, inoltre, scoprirono di poter mettersi in contatto con il treno fantasma a Crepuscopoli, che poteva portarli in mondi del tutto nuovi attraverso il particolare potere posseduto dai binari dove il treno viaggiava. Erano finalmente tutti insieme: Sora, Riku, Kairi e, arrivati al termine degli allenamenti, anche Paperino e Pippo, che insistettero per poter accompagnare i tre ragazzi nei loro viaggi. Anche il grillo parlante era ansioso di partire, per poter descrivere nuove ed entusiasmanti avventure viste dal vivo, e quindi senza tralasciare alcun particolare. Mancava solo Topolino... chissà come mai spariva sempre e ricompariva solo dopo qualche tempo e aver compiuto una missione difficile e segreta. Dove poteva essere ora? Attesero pochi giorni perché il re comparve davanti a loro con aria urgente e li condusse da Ansem. Il saggio raccontò loro la sua storia e non poté tacere sulla sua nuova arma perché, appena i ragazzi entrarono, i Keyblade sentirono reciprocamente la presenza di uno sconosciuto e accorsero, pronti per essere usati in caso di pericolo. Dopo aver parlato e ascoltato, tutti decisero che la cosa migliore da fare era andare a cercare nuovi Keyblade per poter avere il maggior potere possibile: sicuramente Malefica si era già messa all’opera. Utilizzando i mantelli dell’organizzazione per non essere riconosciuti, i ragazzi si divisero e ognuno andò in un mondo diverso per cercare una nuova chiave.

 

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Capitolo 6
*** Il cambiamento di Sora ***


Capitolo 6: Il cambiamento di Sora

 

Sora andò da Ercole, nel Colosseo. Cercò in ogni anglo, anche il più nascosto, ma non  trovò nemmeno una traccia dell’arma da lui cercata, così scese negli inferi, dove setacciò ogni angolo con risultati negativi. Era davvero stremato, confuso e disorientato. Non capiva... forse non c’era... ma il pensiero non lo convinceva. Voleva trovare l’oggetto così decise di farsi aiutare da Ercole. Lui avrebbe potuto aiutarlo davvero nella ricerca, ma difficilmente avrebbe avuto migliori risultati. Meg decise di andare con il suo amato.

Ade, accortosi della cosa, decise, con riluttanza, di chiedere consiglio a Malefica. il responso fu di ucciderli tutti perché stavano cercando un’arma che avrebbe potuto annientarlo e dovevano essere fermati subito. Come fare? Difficile, Ercole non poteva essere scalfito da armi normali, ma solo dall’oscurità... culla poteva resisterle. Doveva andare al pozzo dei morti e chiedere ai suoi servi di spingere la ragazza nel pozzo dei morti... Ercole si sarebbe sicuramente buttato pere salvarla e così sarebbe diventato vulnerabile... un giochetto da ragazzi. Non volendo rischiare di venire scoperto, decise che non avrebbe chiamato gli heartless, per non far comparire la dannata chiave che, più di una volta, aveva distrutto i suoi piani.

La compagnia si stava avviando verso il fulcro degli inferi, la parte dove risiedono le anime dei morti, quando Meg notò che c’era qualche cosa che non andava: troppo silenzio. La calma era quasi irreale, come se Ade non avesse notato la loro presenza, fatto a dir poco improbabile. Continuarono a camminare, stando sempre in guardia, ma i minuti passavano e con essi anche la tensione dovuta a quel silenzio. Arrivarono abbastanza velocemente a destinazione e cominciarono le ricerche. Meg, curiosa, decise di andare a cercare vicino al pozzo, per vedere le anime. Con fare distratto, diede il via alle ricerche.

I tre demoni erano in attesa. Quando la compagnia entrò nella stanza decisero che attaccare subito sarebbe stato sconveniente, quindi attesero che arrivasse il momento buono. Non dovettero aspettare molto. Quando Meg si incamminò verso il bordo della vasca, nei loro occhi si intravide una luce malevola. Il momento era già arrivato. La ragazza si sporse un po’ e i tre le saltarono addosso, senza che avesse il tempo per reagire. In un attimo Meg si trovò nella vasca con gli spiriti dei morti che si agitavano per la presenza di un essere vivente... presto si sarebbero calmati... li stava raggiungendo... solo un eroe poteva salvarla, mettendo da parte la sua invulnerabilità....

Sora ed Ercole sentirono il grido di Meg. Cosa poteva esserle successo? Guardarono nella sua direzione ma non la videro. Poi, un colore... il suo vestito! Cosa ci faceva fra tutte le anime dei morti? Come poteva essere finita lì? Ercole non attese neanche un secondo: prese la rincorsa e si tuffò senza neanche pensare per un attimo al motivo per cui la ragazza era caduta. Dell’ombra comparve Ade. In mano stringeva una spada molto particolare... era completamente ricoperta dal fuoco! Del resto... Ade tendeva a scaldarsi piuttosto rapidamente...!!! Sora capì subito l’inganno orchestrato dal dio degli inferi e si protese per affrontarlo. Una sfida del tutto impari, era la casa del nemico, solo gli dei e coloro che possedevano una pietra molto particolare potevano rimanere illesi laggiù. Le forze del ragazzo scemarono rapidamente ma non si arrese. Doveva coprire le spalle a Ercole, come avrebbe fatto un vero eroe. Lo doveva all’amico, dopo tutte le avventure che avevano passato assieme, i momenti felici... sfoderò il Keyblade ed attaccò senza sosta, per far perdere tempo al suo avversario. Dopo i primi colpi, però, iniziò a sentire l’arma pesante fra le sue mani, come se di colpo fosse diventata un macigno. Ade non perse tempo ed attaccò a piena potenza. Fu solo grazie agli allenamenti che il ragazzo si scansò e la spada rimase bloccata nel terreno. Infuriato, il dio iniziò a lanciare palle di fuoco contro il ragazzo, ormai inerme e del tutto esposto agli attacchi del nemico. Sora venne scagliato lontano e Ade sorrise soddisfatto: uno scocciatore in meno. Come se lo volesse fare apposta, Sora si rimise in piedi e chiamò con fare beffardo il dio, che si infiammò, letteralmente. La sua ira parve coprire tutti i presenti come un velo, quasi palpabile. Attaccò qualunque cosa gli capitasse a tiro, cieco, totalmente avvolto dall’oscurità da cui traeva potere. Fermarlo era impossibile, ma Sora decise di tentare: doveva combattere fino all’arrivo di Ercole; a quel punto sarebbero usciti d quell’inferno assieme. Alzò a fatica il Keyblade e lo lanciò con tutta la forza che gli era rimasta, colpendo in pieno l’avversario che, solo ora, si volse verso di lui. In quell’istante Sora vide la vita scorrergli davanti e si inginocchiò. Una voce proveniente dal profondo lo scosse. Roxas. Un bagliore lo illuminò e allora vide una speranza. Si sentiva imbattibile, avvolto di luce. I suoi abiti erano argento puro, brillanti; stingeva due Keyblade: Portafortuna nella sinistra e Lontano Ricordo nella destra. Incrociò le chiavi e partì all’attacco come una furia. Dal suo corpo si emanava una luce intensa, che metteva in fuga l’oscurità anche dagli angoli più remoti. – Anche nel buio più completo, c’è una luce che non si spegnerà mai! – gridò Sora con voce possente. Ade venne scagliato lontano, debole anche nel suo regno, umiliato e totalmente sconfitto. Si allontanò velocemente, con la coda fra le gambe, con l’intento di non farsi mai più vedere. Si sedette sul suo trono, reggendosi la testa fra le mani, incapace di proferire parola. Era stato sconfitto per sempre e non avrebbe mai più dato fastidio a nessuno.

Ercole si fece avanti. – Sei stato grandioso! Quanto potere! Ma come hai fatto?- . Sora non seppe cosa rispondere. Non sentiva nessun orgoglio, felicità o soddisfazione, ma solo un senso di velata malinconia. – Gli ho rovinato la vita Erc, ho distrutto tutto ciò che aveva, era convinto che il suo potere fosse invincibile qui e io gli ho aperto gli occhi nel modo più violento. Mi sento malissimo... vorrei tanto andare da lui, tirargli su il morale... ma penso che la prenderebbe malissimo, come se fosse una dimostrazione di pietà- . Ercole non credeva alle sue orecchie. Sora era davvero una persona speciale, si sentiva in colpa addirittura per aver battuto uno dei supercattivi... decise che avevano trovato anche troppo in quel dannato posto... era ora di tornare dai vivi e lasciare Ade a meditare su cosa avrebbe dovuto fare per il resto della sua esistenza.

 

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Capitolo 7
*** La battaglia di Riku ***


Capitolo 7: La battaglia di Riku

 

Riku arrivò alle Terre del Branco, regno dell’incontrastato leone Simba, re di tutti gli animali, saggia guida e grande amico dei ragazzi. Per poter entrare il ragazzo dovette trasformasi in un leone e il risultato fu davvero splendido. La chioma azzurra gli incorniciava un muso deciso ma proporzionato, con l’azzurro intenso degli occhi messo in risalto. Il corpo da felino era slanciato e dava l’impressione di poter arrivare ovunque, saltando o correndo, grazie ai possenti muscoli. Simba lo accolse con un misto di curiosità e diffidenza ma, non appena Riku nominò l’amico Sora, il clima si fece rilassato e molto piacevole. Ma il ragazzo non era andato lì per una gita: voleva trovare un’arma più adatta della sua spada che gli ricordava troppo i tempi passati come Ansem, al totale servizio dell’oscurità. Viaggiò in lungo e in largo ma il risultato fu solo quello di eliminare un paio di heartless troppo coraggiosi. Decise che sarebbe andato in ogni parte di quel luogo immenso, quindi si diresse verso le distese di caccia, dove avrebbe potuto mangiare della carne (oltre alle forme ora aveva anche gli istinti di un vero leone). Era appena entrato in questo luogo quando sentì una voce. Essa non proveniva dall’esterno, ma dalla sua mente, e lo chiamava verso l’altare delle iene, luogo dove quegli orrendi animali mangiavano con tranquillità le prede sottratte ai leoni. Si avvicinò e trovò la figura sfregiata dell’acerrimo nemico di Simba, ormai morto e sepolto, ma presente in quel luogo sottoforma di spirito e visibile solo a coloro che erano stati scelti da lui. Non fidandosi, si avvicinò con cautela, spada in bocca, pronto a difendersi. Lo spirito, però, si dimostrò stranamente pacifico, e sorridendo, chiese al giovane di ritirare la sua arma, giacché non voleva scontri e sangue nel luogo dove il suo corpo era stato sepolto. Accettò, ma rimase lo stesso in guardia, pronto nel caso ci fosse bisogno di reagire. Ormai aveva imparato che di certi tizi era meglio non fidarsi. Il leone, con fare quasi seducente, lo invitò a combattere Simba, perché solo il re possedeva l’oggetto di cui il ragazzo voleva impossessarsi. Riku decise che avrebbe meditato sulla questione ma una parte di lui sin dal primo momento lo aveva messo in guardia e consigliava di non fidarsi di quell’essere fatto di sogni e oscurità. Fece per andarsene quando il leone gli ringhiò contro: - Dove credi di andare? Io non ha finito con te! Iene, all’attacco! - . Riku era pronto a quella reazione e, prima che le due bestie accorse potessero fermarlo, aveva già sguainato la sua spada e si era messo in posizione d’attacco. Le bestie stettero alla larga. Erano orribili: malformate, sproporzionate e del tutto prive di ogni possibile bellezza nei movimenti. Erano solo della bruttissime creature fatte di pelle e muscoli, adatte solo al combattimento. Riku notò una strana luce di compiacimento passare nei loro occhi e, istintivamente, si gettò di lato, schivando per un soffio la lancia che gli era stata scagliata contrò. Gridò di rabbia e squartò i due avversari che aveva davanti, poi, lentamente, quasi come se volesse dimostrare la sua superiorità, si voltò e guardò quanto nemici avrebbe ancora dovuto combattere. Sbiancò. Davanti a lui sembrava esserci l’intero branco delle iene, al completo. Non poteva farcela da solo, era una battaglia troppo impari, ma decise di scendere in campo lo stesso. Sarebbe stato come ammettere la sconfitta anche solo prendere in considerazione l’idea della fuga. Ruggì; un verso così profondo e deciso da mettere paura. Le iene reagirono d’istinto, facendo cioè quello che sapevano fare meglio: attaccare. Si gettarono selvaggiamente sul ragazzo che ne schivò facilmente i colpi e atterrò una al primo colpo. Le altre compresero che non era un avversario da sottovalutare, così usarono una tattica ormai sperimentata e dal risultato quasi garantito: accerchiarono il ragazzo. Riku si sentì in trappola ma decise che non era ne il luogo ne il momento giusto per morire. La consapevolezza della disperata situazione lo travolgeva, ma era abituato a mantenere i nervi saldi, e sfruttò questa sua abilità ancora una volta.

Le iene attaccarono improvvisamente, tutte assieme, ma un bagliore le indusse a fermare l’attacco. Dalla spada che il leone teneva in bocca cominciarono a sprizzare scintille incandescenti che non ferivano il leone, ma il loro istinto le avvertiva di tenersi alla larga. In un attimo, la spada si trasformò. Divenne lunga e di un colore nero come la pece. Al suo interno, però, era come se pulsasse una grande luce, visibile chiaramente solo nella parte finale: la punta ricurva era bianchissima, luminosa, trasmetteva a tutti coloro che la guardavano sicurezza. Ovviamente, le iene capirono subito che, se avessero continuato la lotta, sarebbero state massacrate, così si ritirarono, salvando quello che potevano ma lasciando sul campo le compagne cadute.

Riku non perse tempo a raccogliere la sfida e inseguire le avversarie: aveva ottenuto quello che cercava e ora sarebbe dovuto tornare al castello, ma prima voleva salutare Simba, ringraziarlo per l’ospitalità e chiedendogli il permesso di ritornare. Il re leone fu molto felice di accettare la proposta e chiese al ragazzo di salutare Sora e portargli i suoi saluti. Tutto era andato per il meglio, ma per quanto tempo sarebbe filato tutto così liscio? Riku era molto scettico e convinto che le ricerche avrebbero finito per danneggiare alcuni membri della squadra perché il potere, quando lo si sperimenta, diventa come una droga, se ne vuole sempre di più fino ad arrivare alla decisione drastica di aprire il proprio cuore all’oscurità; il ragazzo aveva già vissuto quella brutta esperienza e non era per nulla al mondo disposto a ripeterla.

 

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Capitolo 8
*** L'avventura di Kairi ***


Capitolo 8: L’avventura di Kairi

 

Kairi arrivò a Crepuscopoli. La città era esattamente come se la ricordava quando era andata a cercare Sora e Riku. Per lei era strano tornare in quel luogo ma non poteva farne a meno. Dove poteva essere l’arma che stava cercando? Non ne aveva idea, ma la città era già stata perlustrata da cima a fondo, quindi doveva cercare nei sotterranei. Si avviò verso la collina del tramonto, dove avrebbe trovato le gallerie. Da lì, si scendeva alle catacombe. La prima parte del viaggio trascorse senza incidenti, sotto un calore invitante e molto piacevole. La ragazza decise di non indugiare e, con passo deciso, avanzò. Erano parecchi minuti che camminava per le ferrovie quando, con grande rammarico, capì che se avesse voluto trovare un passaggio avrebbe dovuto cercare con grande attenzione, senza lasciarsi sfuggire il minimo particolare. Iniziò a colpire le pietre ai lati, cercando di capire se dietro ai muri ci fossero spazi vuoti. Tutto normale. Niente era fuori posto, ma la ragazza era decisa a non arrendersi. Incontrò un gruppo di nobody e li distrusse senza la minima difficoltà, tanto da stupirsi per le sue stesse capacità. Si sedette, stanca per la lunga ricerca, ma volle riposarsi solo per pochi istanti: non aveva la minima intenzione di perdere tempo. Si rialzò poco tempo dopo, decisa a riprovare, quindi scagliò una magia fire in ogni luogo lì attorno. Sentì un clic metallico e la parete dietro a lei sparì, magicamente, come se non fosse mai esistita. Attraversò il nuovo passaggio e arrivò ad una gigantesca caverna, in cui la luce che riusciva a entrare non bastava per illuminare neanche la metà di quello strano luogo. Per un istante Kairi ebbe paura. Era un sentimento inaspettato... lo scacciò e fece due passi verso il centro. Trovò una lanterna e la accese con la magia, poi iniziò ad accendere anche quelle che man mano trovava appese lungo la parete. Quando ebbe  finito, nella caverna c’era una strano effetto di luci e ombre, che metteva in ansia la povera ragazza. Ad un tratto il soffitto sopra l’accesso crollò. Non aveva più via di scampo. Era caduta in una trappola. Decise che rimanere ferma non l’avrebbe aiutata, così iniziò a esplorare gli angoli, cercando ciò che prima le era sfuggito... forse anche la frana era un’illusione. In realtà le rocce erano cadute davvero: la stanza era vecchissima, poteva avere qualche migliaio di anni. L’odore di chiuso cominciava a farsi insopportabile. Kairi si avviò verso il centro dove trovò un’apertura... un’altra trappola? Probabilmente si, si disse, ma non aveva altra scelta che caderci dentro e poi pensare a come uscirne... inutile fasciarsi la testa prima del tempo. Si buttò. Cadde per una manciata di secondi, per poi atterrare su una superficie morbida... sembrava gomma... rimase qualche istante ferma, cercando di capire dove fosse arrivata quando, improvvisamente, si accese una luce. Kairi si riparò gli occhi con le mani per non rimanere abbagliata. Quando i suoi occhi si abituarono, vide che l’intera superficie della nuova caverna era ricoperta di cristallo e creava un gioco di luci davvero incantevole. Si perse nelle mille sfumature di giallo riflesse, per poi constatare che non poteva staccare gli occhi da quella meraviglia, quasi per paura che, se l’avesse fatto, sarebbe scomparso tutto. Con un grande sforzo di volontà si costrinse a distogliere lo sguardo a, a occhi bassi, avanzò. Metteva un piede davanti all’altro, senza sapere dove stava andando, lasciandosi guidare dall’istinto. Giunse ad una cupola. Le pareti erano tornate di nuda roccia, quindi alzò lo sguardo. Anche quella strana costruzione era fata di quello strano cristallo, solo che questo era nero come il carbone, impossibile che riflettesse alcuna luce. In pochi istanti la stanza si riempì di un tipo di heartless mai visto: cani neri pieni di artigli, fauci munite di denti affilati come rasoi, zanne e spuntoni da riccio lungo la schiena; le zampe terminavano con artigli ben ricurvi. Saltarono addossa alla ragazza contemporaneamente. Non sapevano esattamente quale fosse la minaccia, quindi agivano d’istinto, come del resto facevano tutti gli heartless. Ne comparivano sempre di più, ma la ragazza riusciva a respingerli. Parò un colpo da destra, scattò a sinistra, fece un affondo distruggendo così un avversario e si voltò, avendo dome sicurezza la parete alle spalle. Attaccò con un lateralmente, ruotando il Keyblade e spazzò via due nemici. Saltò e colpì al volo l’ennesimo. Ne mancava solo uno... per il momento... aveva il fiato corto ma sapeva di non potersi fermare: se avessero sospettato che stava esaurendo le forze, gli heartless avrebbero attaccato in massa e per lei non ci sarebbe più stato scampo. Si lanciò contro l’ultimo rimasto e lo fece a pezzi. Rimasta sola, si concentrò sulla cupola. Non aveva la minima idea sul suo scopo, quindi decise di mettersi a studiarla. Quando ebbe finito si era fatta un’idea su cosa doveva essere: un contenitore... con una serratura... “Chissà si il Keyblade la può aprire” pensò. Puntò l’arma contro il lucchetto. Partì un raggio di luce, per nulla intenso, ma molto concentrato, come se si dovesse adattare al tipo di serratura... clic... la cupola iniziò ad aprirsi, come se fosse un fiore, mostrando i suoi petali, rossi ed accesi. Al centro si poteva vedere l’accesso al cuore del mondo... da lì provenivano gli heartless. Doveva fermarli... forse non li avrebbe totalmente eliminati dalla città, ma era convinta che il loro numero sarebbe drasticamente sceso... purtroppo negli ultimi giorni... gli heartless avevano in qualche modo avuto modo di riprendersi, erano aumentati, tornando ad essere una minaccia. Arrivata al centro di quel fiore, i petali si richiusero sopra di lei, lasciandole lo spazio per respirare e avvolgendola con un calore che la faceva sentire a casa. Iniziò a scendere, lentamente, come se il mondo fosse preoccupato di assicurarle la maggior comodità possibile. Quando arrivò a destinazione, il fiore di cristallo si schiuse di nuovo permettendole di uscire. Ora si trovava in una stanza non molto grande. Le pareti sembravano pulsare di vita propria, come si addiceva per il cuore di un mondo... l’oscurità permeava gli angoli e questo non era certo un buon segno. Arrivarono gli shadow, centinaia... troppi. Kairi non sapeva come potessero essere arrivati così numerosi, ma decise di non esitare, cercando di coglierli di sorpresa. Ne colpì due, allontanando gli altri. Usò solo il polso per ruotare la sua arma e, dopo dieci minuti di lotta senza tregue, i nemici erano stati dimezzati, ma le forze della ragazza calavano rapidamente. Gli heartless se ne accorsero e raddoppiarono gli sforzi ma, così facendo, commisero un errore di valutazione che avrebbero pagato caro. Kairi ne sconfisse altri dieci, ma gli ultimi erano troppi, non poteva andare avanti così. Raccolse le energie, partì di corsa, saltando da una parte all’altra dello stanzino e sconfiggendo gli ultimi... tranne che due... nobody, più resistenti e forti, capaci di ragionare attentamente su ciò che dovevano fare. Fintarono un paio di volte, per verificare lo stato della ragazza, che non si mosse. Rischiarono, attaccandola in modo rapido. Kairi vide partire l’attacco e alzò il suo Keyblade come difesa, ma i due nobody lo schivarono e l’attacco andò a segno. La ragazza venne scagliata contro il muro e l’impatto fu terribile; le mancò il fiato e si sentì debole, vicina allo svenimento. Fece appello alle sue ultime forze per rialzarsi in piedi. Sentì lontanamente la voce di Sora incoraggiarla... sapeva che non era reale, ma vi si aggrappò e con un ultimo sforzo, lanciò il Keyblade. Esso agì come se avesse una sua volontà: girò, colpendo entrambi gli avversari, rispedendoli nell’oscurità da cui provenivano. Kairi svenne per la fatica.

La ragazza si svegliò di soprassalto. Si trovava in una stanza... come ci era arrivata? Poi, come dei fulmini, i ricordi le tornarono in mente. La battaglia, i nobody... la voce di Sora. Se l’era davvero immaginata? Forse lo spirito del ragazzo era davvero connesso in un modo speciale con il suo... forse l’aveva davvero aiutata... esattamente come aveva fatto lei tempo prima, quando Riku aveva cercato di dividere il suo cuore da quello di Sora.... Kairi si alzò. Ora le forze le erano tornate ed era pronta... il Keyblade si illuminò e lei chiuse la porta dal cuore di quel mondo dagli heartless, lasciando però un varco di luce. Mentre lavorava per ottenere quello scopo, sentì un grande calore nel petto e comprese, istintivamente, di essersi collegata al cuore di quel mondo e, di conseguenza, avrebbe saputo in qualunque momento se quel luogo fosse stato ancora sicuro o meno. Chiusa la serratura, decise di lasciare il mondo, quindi aprì un varco verso il castello Disney e vi entrò.

 

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Capitolo 9
*** Le nuove armi di Paprino e Pippo ***


Capitolo 9: Le nuove armi di Pippo e Paperino

 

Paperino e Pippo decisero di partire insieme, lasciando al castello Ansem e Topolino che, come dicevano loro, dovevano rimanere a casa per sistemare alcuni affari. Aprirono un varco di luce e arrivarono ad Atlantica dove dovettero trasformarsi in tartaruga e calamaro, come l’ultima volta che erano sati in quel mondo.

Usciti dal varco lo spettacolo era eccezionale. Tutti i colori erano tendenti al blu, un’armonia perfetta regnava in fondo al quell’oceano. Quando si guardarono intorno non videro molti pesci ma in compenso crescevano delle splendide piante marine coloratissime; solo a guardarle veniva un sorriso.

I due nuotarono verso il palazzo di re Tritone e, sulla strada, sentirono la voce della loro amica, la sirenetta Ariel che, non appena li vide, corse loro incontro, felicissima di rivederli. Volle farsi raccontare tutte le novità degli altri mondi e, con grande piacere, parlò loro di quelle del suo oceano. Ormai tutto era cambiato e lei, ormai, aveva rinunciato a voler vedere altri mondi... del resto il fondale marino era davvero stupendo e nessuno poteva darle torto de voleva rimanere lì. Re Tritone se la cavava benissimo e, molto soddisfatto fece notare ai due come non ci fossero heartless in nessuno dei luoghi normalmente visitati... certo... il vecchio covo di Ursula era stato lasciato nello stesso stato di un tempo e, probabilmente, era proprio lì che si rifugiavano gli ultimi heartless, dove potevano trovare qualche residuo di oscurità. I due passarono con Ariel la bellezza di due giorni, impiegando solo una piccola parte di essi per le ricerche.

- Abbiamo tutto il tempo del mondo! - si dicevano.

Solo dal terzo iniziarono a fare sul serio, ma con risultati nulli; Atlantica era immensa e sarebbe stato un vero colpo di fortuna trovare subito ciò che cercavano. Passò un’altra notte e, al mattino, i due decisero di setacciare anche il covo della strega. Si diressero lì e lo misero a soqquadro, senza trovare granché. L’unica cosa interessante era una scatoletta nera, apparentemente compatta ma vuota dentro. Sembrava che si dovesse incastrare da qualche parte... ma dove?

Ariel ebbe un’intuizione e disse:   

- Io ho già visto un buco simile a quella scatola! Si trova nella cassa vicino al mio rifugio! Andiamo, muoviamoci! –

Arrivarono dopo circa dieci minuti al rifugio e i due non vollero attendere nemmeno per un secondo. Collocarono il pezzo al suo posto e attesero. Dopo pochi istanti, la cassa iniziò a salire, e si appoggiò due metri a lato. Essa non conteneva assolutamente nulla di interessante quindi, delusi, i due si avviarono verso il castello per prendere la propria roba ed andarsene delusi quando, casualmente, gli occhi di Pippo si posarono sul buco lasciato dalla cassa... profondissimo! Cosa ci sarà in fondo? Fece notare la stranezza a Paperino che strabuzzò gli occhi e corse a dare un’occhiata.

– È vero! – esclamò – Andiamo a vedere cosa c’è sul fondo! –

Pippo non se lo fece ripetere due volte e seguì l’amico nel passaggio. Ariel decise che avrebbe aspettato i due lì vicino, in modo da dare loro una mano quando fossero risaliti.

Sembrava di essere su uno scivolo per i bambini di Crepuscopoli, solo che attorno era tutto buio. Stavano acquistano velocità, il materiale sul quale scivolavano era solido, ma stranamente molleggiante e scivoloso. Quando il tunnel finì, si schiantarono contro il pavimento; ci misero alcuni minuti prima di rendersi conto di non essere più in acqua, ma sulla terraferma! Per loro fu un’incredibile sorpresa e per poco Paperino non si dimenticò di ritrasformarsi. Una volta ripreso il loro aspetto, con una piccola magia accesero la torcia che sembrava essere stata appoggiata ad un gancio appositamente per loro, infatti non era ne troppo in alto ne troppo in basso. Si dissero che erano davvero fortunati e proseguirono fino ad arrivare in una stanza gigantesca. Al centro c’era una cascata... tutto era surreale, come se ci fosse qualche cosa che non andava, ma agli occhi di Pippo e Paperino tutto era bellissimo. La cascata, riflettendo i colori della caverna, diventava verde come uno smeraldo, poi veniva investita da una luce. Questa veniva dall’alto, ma i due non avrebbero mai saputo spiegarselo e, inoltre, non volevano dare spiegazioni all’incredibile spettacolo che avevano di fronte.

Per loro tutto era in regola: una voce nella loro testa si spacciava per i loro pensieri e li invitava ad attraversare la cascata. Essa dava loro una strana sensazione, come se non possedessero qualcosa.

Potere.

Pippo e Paperino non lo avevano mai desiderato ma ora erano convinti di non volere altro. Lo trovarono, sottoforma di armi, nella stanza celata dietro la cascata.

Essa era enorme, tutta bianca, pura come quello che  stavano cercando. Nulla in quel luogo pareva imperfetto, ogni minimo particolare era curato e nulla era sproporzionato o sembrava fuori luogo. Al centro c’era un altarino con tre armi; non i comuni Keyblade, ma lame forgiate con il potere stesso, indistruttibili, belle e terribili. Un arco, una lancia e due spade erano appoggiati alla stessa distanza l’una dall’altra. Il primo sembrava essere l’incarnazione della magia stessa: le sue frecce non erano che sottili fili di magia scagliati contro i nemici a velocità impressionanti; la lancia, attacchi molto potenti anche se da una notevole distanza, dietro alla sicurezza di uno scudo... un’arma molto efficace e terribile; le spade, la potenza era davanti ai loro occhi: le lame rilucevano e sembravano fatte apposta per aiutare i ragazzi a sconfiggere Malefica e gli altri... finalmente avrebbero potuto essere del tutto indipendenti... senza dover sempre contare sull’appoggio degli altri... dovevano solo fare una scelta: due erano loro, la terza sarebbe stata perduta per sempre. Paperino scelse subito l’arco... non avrebbe mai voluto nulla di diverso. In cambio gettò via il suo scettro. Pippo era molto indeciso... non voleva la pura potenza, le spade forse erano troppo per uno come lui... ma la lancia non era certo all’altezza delle due lame... cosa scegliere? Guardò il suo amico, che però gli disse: - La scelta è solo tua, io non posso aiutarti –

Indeciso, optò per la lancia, che gli sembrò più conforme al suo temperamento. Guardò il suo scudo... non voleva rinunciarvi... era ancora utile dopotutto...

La spada e lo scettro sparirono, senza che non venisse chiesto nulla a Pippo, il quale fu davvero felice di non doversi separare dalla sua vecchia arma. I nuovi poteri, però, già avevano iniziato a corrompere i cuori dei due ragazzi, che decisero di andare subito a provare le nuove armi, senza parlarne prima con nessuno. Si diressero proprio verso la fortezza oscura, dove Malefica, consapevole della sciocchezza che i due avevano commesso, li stava aspettando... avrebbe dato loro ciò che volevano....

 

Al castello Disney tutti erano in attesa. Il re aveva fiducia e continuava a ripetere a tutti che i ragazzi erano pronti e ce l’avrebbero fatta; dovevano solo avere fede. Le giornate trascorrevano tranquille e Ansem sfruttava ogni momento libero per proseguire le sue ricerche. Voleva capire più a fondo heartless e nobody, in modo da sconfiggerli e sapere cosa ne sarebbe stato di loro. Finché ci fosse stato anche un solo cuore pieno di oscurità, allora sarebbero arrivati nemici impossibili da eliminare completamente, in quanto sarebbero sempre tornati. Ma come si formava un heartless? Quando una persona perdeva il suo cuore, diventava uno di quei brutti mostriciattoli ma... quale, con esattezza? Era un processo casuale oppure a differenza del cuore si otteneva un heartless diverso? Era tutto così strano... forse era possibile trasformare anche gli animali, ma lui era ormai deciso a condurre le sue ricerche solo in campo teorico. Era stato il suo allievo, Xeanorth, a portare avanti pazzi progetti che, grazie a Sora, Paperino e Pippo erano stati fermati e distrutti. Ovviamente, si disse, anche Riku, Kairi e il re avevano compiuto la loro parte ma, chissà come, la catena regale, il Keyblade più semplice, era stato quello determinante.                         

- Probabilmente un Keyblade diventa più o meno forte a seconda del cuore di colui che lo porta... eppure, Roxas, aveva un Keyblade, anzi due, nonostante il fatto che non avesse un cuore...

 Toc toc. Ansem venne improvvisamente riportato alla realtà. – Avanti – disse, aspettando di vedere chi stesse bussando. Entrò Topolino che, con calma, avvertì il saggio del ritorno di Riku. Ansem scattò in piedi e corse ad ascoltare la storia del ragazzo. Quando Riku mostrò la sua nuova arma, non senza un certo orgoglio, tutti nella stanza rimasero abbagliati: il ragazzo si era dimostrato ancora una volta un forte guerriero. Ora dovevano solo mettere alla prova la spada... Riku decise di andare al Colosseo, dove era noto che gareggiavano varie squadre di heartless capitanate dai soliti nobody. Prima di partire, però, volle aspettare gli altri che, secondo lui, sarebbero arrivati molto presto. Sora arrivò il giorno dopo. Era sbalorditivo: aveva una sicurezza, un modo di fare molto più deciso, aveva già pianificato il suo prossimo viaggio (cosa incredibile agli occhi di tutti) e non vedeva l’ora di mettersi alla prova... di nuovo. Ora sapeva che poteva ricevere un aiuto dal suo nobody e intendeva sfruttare al meglio la nuova conoscenza senza che la voce si spargesse, in modo da cogliere Malefica di sorpresa... se solo avesse saputo che cosa voleva fare quella maledetta  strega! Andò in camera a riposarsi, ma durante il tragitto incontrò Riku, così andò ai giardini con lui. Combatterono sino a sera, senza esagerare, solo per tenersi in forma. Quando furono all’incirca le sette, si ritirarono nelle loro stanze dove fecero una doccia calda, per poi andare a mangiare. Dopo cena nessuno aveva una gran voglia di parlare: si erano già detti tutto durante il pomeriggio, così durante il pasto si creò un’atmosfera strana, fatta di silenzi rotti solo dal tintinnio delle posate. Finito di mangiare, nessuno volle trattenersi, così ognuno si diresse verso la propria stanza per riflettere e, nel caso, riposarsi. Tutti sapevano che ci sarebbero stati alcuni giorni molto intensi a venire, e volevano essere pronti e riposati per potersi rendere utili.

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Capitolo 10
*** L'inganno ***


Capitolo 10: L’inganno

 

Paperino e Pippo arrivarono al castello, convinti che avrebbero sconfitto la strega senza la minima fatica. Setacciarono ogni singola stanza, ma della strega, neanche l’ombra. Paperino decise di andare nella biblioteca che, come sapeva, era molto vasta e, di sicuro, avrebbe trovato qualche nuovo incantesimo...

– Magia elementare... troppo semplice; i segreti del thunder... i fulmini non hanno segreti per me...; attacchi con gli elementi... li conosco già a memoria! –

Indignato, senza quasi accorgersene andò verso la sezione della magia nera, unico tipo che non aveva mai avuto il coraggio di scoprire... ora, invece, sentiva di poter fare tutto. Prese il primo tomo e iniziò a sfogliare le pagine, memorizzando formule e assaporando le promesse di potere contenute in quel libro.

Malefica sorrise, soddisfatta. Il primo dei due allocchi era caduto nella trappola, ma il secondo sarebbe stato più difficile da ingannare.

Pippo era in una stanza del castello, ma non sapeva cosa fare... nulla aveva più alcun interesse per lui, così decise di riposare, aspettando il momento buono... poi avrebbe combattuto contro Malefica... l’idea lo tormentava, desiderava a tal punto quel confronto che sarebbe stato disposto a tutto per ottenerlo. Dormì per diverse ore ma, quando si svegliò, era ancora buio, così approfittò di quel momento di calma per riflettere. La strega usò i suoi poteri per captare i pensieri di Pippo, ma qualche cosa lo schermava, proteggendolo. Iniziò allora ad usare la magia in modo diverso, suadente, a tal punto che Pippo cedette al desiderio di esporsi al benessere che trasmetteva. Errore fatale. Con le difese abbassate, Malefica lo condusse nell’oscurità, facendogli promesse di potere a cui il poveretto non poteva più sottrarsi.

Paperino, nella biblioteca, mandò al diavolo tutte le regole che si era posto contro la magia nera. Voleva sperimentare il suo potere, arrivando a conoscerne tutte le potenzialità. Leggendo quei libri, sembrava che questo tipo di magia non avesse limiti. Iniziò con gli incantesimi basici e, dato che era un mago provetto, non riscontrò alcuna difficoltà. Utilizzò formule proibite e, sbaglio imperdonabile, evocò gli heartless. Essi gli ubbidivano, ma a poco a poco, senza che lui se ne rendesse conto, gli consumavano il cuore... presto sarebbe diventato uno di loro. Passarono due settimane e le menti dei due cambiarono radicalmente. Anche il loro aspetto mutò: Pippo divenne ancora più alto e si riempì di muscoli. Paperino divenne scontroso, irascibile e il piumaggio candido, a poco a poco, divenne scuro, come il suo cuore. Non sapevano più chi erano o cosa erano... avevano una sola consapevolezza: dovevano ubbidire a Malefica, che avrebbe dato loro sempre più oscurità e, con essa, potere. L’unica cosa che rimase immutata fu l’aspetto delle nuove armi: sembrava quasi che fossero già preparate al cambiamento, perché erano state proprio loro a causarlo, e ora avevano dei padroni che le avrebbero sfruttate senza alcun timore, freno o senso di colpa. Erano nelle mani perfette.

 

Al castello Disney era tutto in subbuglio. Era ormai una settimana che anche Kairi era tornata, ma degli ultimi due membri del gruppo, nessuna traccia. La tensione era alle stelle. Ognuno voleva andare a cercarli, ma non avevano la minima idea di dove fossero finiti... erano stati sconfitti dagli heartless? Nessuno voleva escludere del tutto questa possibilità, ma non avrebbero potuto farci nulla.

- Questa attesa mi distrugge! Io vado a cercarli, che la cosa vi piaccia o no! – disse Sora, sbattendo la porta della sua camera.

- E dove vorresti andare, sentiamo! – ribatté Kairi. Fra i due si era formato uno strano rapporto... Sora si era preso una cotta per la ragazza ma non lo avrebbe mai ammesso. Da parte di lei... non era per nulla sicura dei suoi sentimenti quindi, per il momento, non faceva nulla per scoprire le intenzioni del ragazzo.

Kairi era così persa nelle sue riflessioni che non si accorse della presenza del ragazzo nella sua camera. Quando se lo ritrovò a due centimetri dal volto, fece un salto indietro, spaventata. Fortunatamente non gridò, anche perché in caso contrario Sora avrebbe continuato a prenderla in giro a vita.

- Bene – le disse con voce imbarazzata il ragazzo, quando lei si fu calmata e tolse il broncio – Non mi va più di litigare... non con te... voglio essere sincero... partirò domani e vorrei che tu venissi con me-

- Lo sai che non sono d’accordo... come farei... non è da me... come ci resteranno gli altri quando lo verranno a sapere? E poi, dove andremmo? –

- Alla fortezza, forse sarà un buco nell’acqua, ma penso che dovremmo provare... a Crepuscopoli ci sei stata tu, quindi lo escludiamo, come Terre del Branco e Olimpo... rimangono troppi posti da visitare... forse se chiediamo a qualcuno, forse li hanno visti e potrebbero darci una mano... –

- Mi hai convinta... vengo con te... anche se già sento che me ne pentirò –

Kairi, finita la breve conversazione, consigliò al ragazzo di uscire. Non voleva che qualcuno scoprisse le loro intenzioni.

- Posso almeno sapere da dove inizierete le ricerche? – chiese la voce di Topolino alle spalle della ragazza, dopo che questa era andata a prendere una boccata d’aria nel giardino.

- Bene bene, vedo che non siamo mai soli, neanche quando chiudiamo porte e finestre... – disse lei con tono di rimprovero.

- Ci sono vari modi per sapere le cose e, stanne certa, non vi ho spiati... sapevo che prima o poi qualcuno avrebbe preso una decisione del genere, così io ho già iniziato... potete fare a meno di andare all’Isola che non c’è e nella Città di Mezzo... le ho già perlustrate, ma non vi ho trovato nulla... inoltre, la Giungla di Tarzan si deve essere leggermente spostata, infatti non riusciamo ad arrivarci... –

- Pensavamo di iniziare dalla Fortezza, ma... –

- È davvero una buona idea – la interruppe Topolino – Perché non ci ho pensato io? Con l’aiuto di Merlino dovreste riuscire a escludere un altro paio di mondi e, a proposito, aveva detto che doveva mostrare qualche cosa a Sora... –

- Benissimo... così non sarà comunque un viaggio inutile! – disse Kairi con una punta di sarcasmo nella voce.

- Preferiresti rimanere qui? –

- No, ma odio gettarmi nell’ignoto... è più forte di me, sento che le ricerche non porteranno a nulla –

- Ognuno è libero di pensare quello che vuole, ma io ho piena fiducia in voi –

- Grazie, partiremo domani all’alba, se è intenzionato a salutarci... –

- Dubito che ci sarò... non voglio mettere in agitazione Sora... deve pensare che nessuno sappia del suo piano... pensa che più persone lo sappiano e più difficile sarà la sua impresa... la voce potrebbe spargersi... dirò agli altri che siete andati in missione per conto mio, in modo che non si creino sospetti... –

- Grazie... spero di rivederla presto... –

- Ne sono convinto... ora vai a riposare, domani sarà una giornata molto faticosa –

 

All’alba i due ragazzi si trovarono nel giardino; Sora non vedeva l’ora di partire. Kairi non accennò all’incontro della sera precedente e il ragazzo non sospettava nulla al riguardo. Aprirono un varco e vi entrarono. Trovarono subito la strada verso la fortezza, ormai tornata come un tempo: un’oasi di pace dove Leon, Yuffie e gli altri ragazzi mantenevano l’ordine e contribuivano al restauro di alcune parti del castello. Tutti salutarono calorosamente i nuovi venuti, ma dissero loro che Merlino era partito da poco e non sapevano quando sarebbe tornato. Anche la destinazione del viaggio era sconosciuta, ma forse per loro sarebbe tornato, quindi avrebbero fatto meglio ad aspettare.

Due giorni dopo Merlino non era ancora tornato, quindi i ragazzi decisero che era giunto il momento di partire. Ma per dove? Si erano aspettati di trovare un consiglio, invece nulla. Si diressero verso La terra dei Dragoni; forse Mulan e quel draghetto di Mushu avrebbero potuto aiutarli. Lo speravano.

 

Al castello tutto procedeva come previsto. Gli heartless erano in costante aumento. I nuovi poteri dei suoi schiavi erano a dir poco eccezionali, e solo poche persone sarebbero riuscite a contrastarli. Sora, si disse, non era certo uno fra quelli.

Paperino era in biblioteca, dove ormai passava tutto il suo tempo, a studiare ogni singola applicazione di quella sensazionale magia, a volte trovando delle migliorie e appuntandole a lato dei fogli. Sapeva che alla sua padrona avrebbe fatto piacere. Come biasimarlo? Era dipendente da lei in tutto, ma soprattutto per l’oscurità. Il suo bisogno era insaziabile, e la strega era in grado di assecondarlo solo in minima parte. I suoi poteri erano diminuiti, un tempo, ma ora erano più forti che mai, grazie all’immensa forza del suo Keyblade. Come fare per migliorare ancora? Era già la più forte, eppure sentiva la vera chiave sfuggirle dalle meni. Era una strana sensazione: lei era abituata ad ottenere tutto solo per capriccio, e questo suo fallimento nel trovare una semplice riposta era intollerabile.

Pippo era un caso molto diverso. Il suo cambiamento era stato evidente ma, nonostante ciò, una parte del suo io continuava e esistere e lottava per la libertà. Sicuramente sopravviveva grazie a quello stupido scudo che il cavaliere si ostinava a tenere sempre con sé, come se da ciò ne derivasse la sua salvezza, e in effetti era proprio così. Si era accorto di essere stato manipolato, aveva capito di essere prigioniero delle sue stesse scelte, ma ormai era troppo tardi. Non si arrendeva, ma poteva constatare che i suoi sforzi erano inutili. Non si sarebbe mai liberato da solo...

- Sora, aiuto! – gridò Pippo, prima di perdersi nell’ombra. Pensava che sarebbe stato inutile, ma del resto non gli rimaneva altro che tentare... non aveva più nulla da perdere.

Tutto attorno a lui divenne buio.

 

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Capitolo 11
*** il salvataggio ***


Capitolo 11: Il salvataggio

 

Il grido arrivò chiaro a Sora. Era nella Terra dei Dragoni assieme a Kairi già da qualche ora; il luogo era in ottimo stato: i villaggi si erano espansi, nuove zone erano state adattate per rendere favorevoli le pessime condizioni climatiche e, infine, Mulan si era sposata con il capitano dell’esercito. I due formavano una coppia stupenda e solo a guardarli per qualche minuto si provava una sensazione di felicità per i due.

Purtroppo, nessuno aveva visto Paperino e Pippo, ma i ragazzi decisero di andare a cercarli ugualmente, con scarsi risultati purtroppo.

La voce di Pippo arrivò improvvisa e inaspettata, mentre Sora si stava riposando, sdraiato sul letto della stanza che gli era stata assegnata. Essa era debole ma chiara, inviata chissà come. Sobbalzò e andò a parlarne con Kairi. Ora avevano la certezza che le loro peggiori paure si erano avverate: i due erano prigionieri, e solo loro potevano aiutarli. Dalla voce disperata, capì subito che dovevano essere stati presi dall’essere più perfido che ancora ci fosse in circolazione: Malefica.

Non persero tempo e corsero a Crepuscopoli, dove avrebbero dovuto andare già molto tempo prima...

- Preoccupata? – chiese apprensivo Sora

- Ovviamente! Ma sono convinta che la batteremo. – rispose convinta Kairi

- Senti... io non voglio obbligarti. Se non te la senti non venire... lo capirò. È molto pericoloso e non voglio che tu corra rischi inutili –

Kairi gli rivolse un sorriso radioso.

- Lo sai che non ti abbandonerò mai... –

- Grazie – disse il ragazzo arrossendo.

Sora non disse altro, non ce ne sarebbe stato bisogno. Insieme, i due si avvicinarono alla vecchia villa.

La costruzione era cambiata dall’ultima volta che Sora vi era stato. Quei muri si stavano trasformando in qualche cosa che fosse gradito a Malefica. Sora la preferiva prima, ma non poteva farci nulla. Arrivarono all’ingresso; le porte si aprirono cigolando, come se volessero annunciare alla padrona di casa la loro presenza.

Passata la soglia, il ragazzo fu sommerso dai ricordi. Prima quelli di Roxas, membro numero XIII dell’Organizzazione, poi dai suoi. Rivide lo scontro con Riku, l’incapacità dell’amico di sconfiggere il proprio nobody, la sua sfida contro alcuni dei membri...

- Stop – gridò. I ricordi, pian piano cessarono.

Kairi non fece commenti: sapeva cosa stava passando l’amico e non voleva disturbarlo... ora che avevano quasi trovato i loro amici, era normale che il ragazzo avesse un momento di smarrimento, nei suoi ricordi. Anche a lei era successo, molto tempo prima e sapeva che cosa si provava, ma era anche consapevole che da quel confronto Sora ne sarebbe uscito rafforzato e più determinato che mai.

Così fu.

 

Malefica stava osservando i due ragazzi che si avvicinavano. Sembravano così vulnerabili... un alito di vento li avrebbe spazzati via... se non fosse stato per quei loro maledetti Keyblade... ma avrebbero saputo ignorare l’amicizia? Sarebbero riusciti a trovare il coraggio di colpire i nuovi servi? La strega ne dubitava seriamente. Convinta che la vittoria fosse alle porte, andò a chiamare le due creature... ora le chiamava così e, in effetti, non erano altro. Esseri distorti, potenti, appena riconoscibili... non avevano più vincoli. Le avrebbero ubbidito incondizionatamente...

- Andate! – ordinò loro

- Come desiderate, mia signora – risposero i due in coro, le voci roche che sembravano essere quelle del’oscurità in persona.

 

I ragazzi erano nell’atrio principale. Era diverso, dava loro un senso di oppressione che non riuscivano a spiegare.

Un varco oscuro si materializzò dal nulla. Da esso uscirono i due nemici...

Sora non riconobbe i suoi amici. Era come paralizzato dalla bruttezza delle due creature che appena si accorse del Keyblade, appena apparso nella sua mano. Anche i due avevano richiamato le loro armi... una aveva un arco, strano... senza frecce...

Sora strabuzzò gli occhi...

– Non è possibile, quello è lo scudo di Pippo! – esclamò il ragazzo.

Da dietro lo scudo si erse una lancia lunghissima, almeno due metri. Sora e Kairi notarono che i due avevano una strana somiglianza con i loro amici, come se fossero le loro brutte copie.

- Non è possibile! – esclamò Kairi

- Mi rifiuto di combattere contro di voi! – disse Sora, gettando a terra il Keyblade. – Siete miei amici! Non voglio farvi del male! –

Sora venne colpito da una freccia di magia, scagliata da Paperino.

- No! Ma come hai potuto? Non ti ricordi dei viaggi, le avventure e tutto il resto? Uno per tutti e tutti per uno, no? – gridò Kairi.

Subito dopo la lancia la colpì. Kairi venne scagliata dall’altra parte della stanza. A quella visione Sora si infuriò.

- Come avete potuto? – gridò, pieno d’ira. Corse verso i due evocando il Keyblade. Scansò una freccia e colpì in pieno volto Paperino, poi gli attaccò le gambe e lo fece cadere. Accecato dall’ira, colpì l’amico proprio come avrebbe fatto con un heartless. Distrusse ogni sua protezione, fece a pezzi l’arco, solo in apparenza indistruttibile e si voltò.

- Uno è sistemato... dov’è il secondo? –

Pippo si stava allontanando, consapevole delle netta superiorità dell’avversario. Sora con un movimento fluido lo  raggiunse e distrusse la sua lancia. Lo colpì, finché il suo aspetto mutò, l’oscurità sembrò evaporare mentre abbandonava il corpo, mentre l’amico cadeva a terra svenuto.

Kairi, ripresasi, si occupò di Paperino. Anche da lui la maledizione cessò, svenne, ma non aveva la stessa aria felice di Pippo... era come... addolorato per la sconfitta... e sofferente.

- Vai a chiamare gli altri, dobbiamo portarli via da qui... – disse Sora.

- E tu cosa farai? – chiese Kairi

- Quello che faccio ormai da tempo... prenderò a calci sul didietro un altro supercattivo! – disse il ragazzo con aria scherzosa.

- Voglio essere con te, a darti una mano... –

- Lo sai che il tuo posto non è in mezzo al campo di battaglia... tu devi tornare. .Tti faresti solo del male e io... non me lo perdonerei mai... –

- Grazie, sono felice che ti preoccupi per me, ma... –

- Niente ma. Mi sentirò più tranquillo quando ti saprò al sicuro... –

- Va bene... ma se torni anche con un solo graffio, non ti rivolgerò mai più la parola!!! –

Sora sorrise.

- Ok, allora a dopo –

Un varco si aprì e la ragazzi ci entrò, portando con se Pippo e Paperino.

- Molto bene, Malefica. ora basta con i tuoi giochetti. Vieni fuori! –

Un varco oscuro si aprì alle spalle del ragazzo che si girò prontamente, in posizione di difesa, Keyblade in mano.

Malefica stringeva il suo.

I due cominciarono a camminare, girando in tondo, senza che nessuno facesse la prima mossa, aspettando un calo della guardia avversaria.

Partirono nello stesso istante. Le scintille sprizzarono quando le armi cozzarono l’una contro l’altra.

 

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Capitolo 12
*** La sconfitta di Malefica ***


Capitolo 12: La sconfitta di Malefica

 

Al castello tutti erano in ansia. Il re non era riuscito a mentire, così i ragazzi erano tutti molto incerti. Quando si aprì il varco, tutti sguainarono le armi, in posizione d’attacco. Dal varco uscì una figura incappucciata che... trascinava fuori qualche cosa... erano Paperino e Pippo!

Kairi si tolse il cappuccio e disse – Datemi una mano! Questi due pesano una tonnellata! –

Pippo e Paperino furono portati in una stanza molto grande e spaziosa, all’interno del castello dove furono lasciati a riposare.

Tutti gli altri, in giardino, stavano ascoltando il racconto di Kairi quando un varco si aprì in mezzo a loro.

- Eccovi qua, finalmente! Vi ho cercati in una dozzina di mondi! – disse irritato Merlino – Dov’è Sora? –

Kairi fece un breve riassunto della storia anche per il mago.

- Andiamo sul luogo dello scontro, allora – disse Riku. - Voglio aiutare Sora! -

- Sono pienamente d’accordo – disse il re.

Aprirono un varco ed entrarono.

 

Erano pochi minuti che combattevano quando Malefica iniziò a parlare.

- Perché devi sempre intrometterti nei miei piani, sciocco ragazzino? –

- Il mio compito è quello di sconfiggere voi supercattivi... – disse Sora, sorridendo ironico – Anche se alla fine le seccature tornano sempre, in un modo o nell’altro... –

- Come osi, sciocco ragazzino impertinente che non sei altro? Te la faccio vedere io! –

Il duello riprese, ad un ritmo estremo.

Sora iniziava ad essere stanco, non avrebbe retto ancora a lungo, non da solo ma...

Un varco si aprì in un angolo della stanza. Entrambi i contendenti si voltarono, senza badare a che cosa faceva l’altro. Dal varco uscirono Riku e gli altri ragazzi! Topolino e Riku si fecero avanti per dare manforte al ragazzo, ma Sora li allontanò.

- Questa è la mia battaglia. Intervarrete nel caso in cui perderò... non prima. –

La voce decisa e la mano ferma convinsero tutti.

- Bene bene - disse Merlino - Almeno lasciate che ci mettiamo comodi... –

Così dicendo evocò delle tribune dove i ragazzi si sedettero.

- Pronta? – chiese Sora

- Io lo sono sempre! – ribatté Malefica

Il duello riprese, con la stessa intensità di prima, ma qualche cosa era cambiato nel ragazzo; Malefica lo capì intuitivamente, senza riuscire a notare realmente quale fosse la differenza.

Ad un tratto il corpo di Sora si illuminò. Portava gli stessi vestiti che tre anni prima le fate gli avevano costruito con la magia... una delle loro caratteristiche era crescere insieme al padrone. Essi si tinsero di argento.

- Cosa diavolo succede? – chiese Malefica

Un largo sorriso si disegnò sulle lebbra di Sora... - Ti presento la mia ultima forma! –

I due Keyblade che stringeva in mano erano apparsi all’improvviso, ruotando ad altissima velocità.

- Iniziamo a fare sul serio – disse senza alcuna emozione nella voce.

Malefica non vide arrivare il colpo. Sora le fu dietro ancor prima che potesse accorgersi di lui e la colpì ripetutamente. L’ultimo colpo scagliò la strega in aria. Sora saltò e la colpì, ruotando assieme alle sue lame, in una danza frenetica, destinata a distruggere la sua avversaria.

Malefica reagì. Parò un colpo e scagliò il Keyblade contro il ragazzo.

Sora deviò la lama con la sua e fu di nuovo addosso a Malefica che, stavolta, non aveva difese. La colpì ripetutamente, senza alcuna pietà.

Ad un certo punto l’aspetto del ragazzo cambiò. I capelli divennero di un castano molto chiaro, si allungarono appena un attimo ma rimasero nella stessa posizione. Il viso era in qualche modo diverso, forse nell’espressione: era aggressiva, senza alcuna pietà per il nemico. Era tornato il vecchio Roxas. Eppure, non si era del tutto trasformato nel nobody. Era la perfetta unione dei due, un essere completo, del tutto diverso. Un guerriero quasi perfetto. Malefica capì che era la fine. Non aveva alcuna via di fuga. Come avrebbe fatto a salvarsi questa volta? Possibile che fosse davvero finita?

- Combatterò fino all’ultimo respiro – gridò, cercando di convincere se stessa più che gli altri

- Peccato – rispose il ragazzo – Averi anche potuto considerare l’idea di risparmiarti se ti fossi prostrata ai miei piedi ma ora... –

L’attacco fu improvviso. Malefica correva verso l’avversario, consapevole che non si sarebbe mai arresa, soprattutto dopo ciò che quello sbruffone le aveva detto.

Il ragazzo non si mosse. Aspettò l’ultimo secondo per parare, poi colpì la strega in pieno volto. Una magia la protesse.

- Stolta! – disse il ragazzo – Pensi davvero che una barriera così debole possa fermarmi? –

Con un colpo secco, Sora colpì la strega sul petto, dove si proteggeva con maggiore forza. La barriera magica venne distrutta e andò in mille pezzi che si sparsero per tutta la stanza, senza però ferire i ragazzi che osservavano increduli la scena.

- No! – gridò Malefica.

Fu tutto quello che riuscì a dire. Poi. Il Keyblade le si infilò nel petto, come se fosse stato creato apposta per quel momento.

Sora si sedette. Solo ora iniziava a capire fino a che punto si era spinto...

Il cambiamento, capì, era irreversibile. Manteneva la personalità di prima, non sentiva un buco in fondo al petto come Roxas, ma del resto non poteva non essere cambiato. Era il punto di incontro dei due, e quella forma era la migliore, non avrebbe dovuto desiderare di più ma, chissà come mai, non si sentiva soddisfatto. Neanche la vittoria lo entusiasmava.

Kairi corse incontro al ragazzo, rimasto al centro della stanza.

- Come ti senti? – chiese

- Malissimo... dovrei sentirmi a mio agio ma ho la sensazione che ci sia qualche cosa che non vada... –

- Ovvio, sei del tutto cambiato. Non devi fartene una colpa, prima o poi doveva accadere –

- Grazie... –

- Di nulla... –

Aprirono un varco e se ne andarono insieme, lasciando tutti gli altri con un sorriso sulle labbra.

- Torniamo a casa – disse Topolino.

 

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Capitolo 13
*** Una nuova minaccia ***


Capitolo 13: Una nuova minaccia

 

Una figura  vestita di nero entrò nella stanza.

Era un luogo poco accogliente: un letto, una piccola scrivania e, al centro della stanza, alcuni pezzi di una strana macchina.

L’uomo era abbastanza alto, i lineamenti coperti dal lungo mantello, cappuccio calato sul viso. Si avvicinò alla scrivania e, dopo un lieve cenno della mano, comparirono due pile di fogli... erano mesi che stava lavorando a quel progetto e non intendeva lasciare che Sora rovinasse tutto... – del resto – si ripeteva, – si può porre rimedio ad ogni cosa...

Si sedette su una sedia e, con calma, si tolse il cappuccio... il volto fu finalmente visibile: occhi azzurro intenso, viso gioviale, capelli lunghi, quasi azzurri, raccolti in una treccia.

Si concesse un mezzo sorriso: era da tanto che non lo faceva, del resto i nobody non provano sentimenti. Si soffermò su quel pensiero per qualche istante, poi tornò a concentrarsi sul lavoro che stava compiendo.

- Noi nobody siamo davvero magnifici – pensava – Del tutto privi di freni emotivi, capaci di scegliere anche la strada più dolorosa senza sentire rimorso... strano, del resto proveniamo da esseri deboli... –

I suoi pensieri vennero bruscamente interrotti da alcuni heartless che si materializzarono dal nulla.

- Ma non si stancano mai di venire distrutti? Questo Keyblade sarà anche potente ma è una vera scocciatura! –

Colpì i nuovi arrivati con colpi veloci e sicuri; in pochi secondi, li sterminò tutti

- Sono proprio senza cervello – disse ad alta voce, come per prenderli in giro – Non sanno fare altro che seguire il loro istinto... vanno addirittura a cercare un cuore in me che non ne possiedo neanche uno! –

Senza più proferire parola, si sedette alla scrivania. I fogli erano pieni di calcoli complessi, schizzi ed appunti. Il nobody si sentì di nuovo a casa.

 

Sora aprì gli occhi. Era già mattino inoltrato ma non c’era la minima traccia del sole degli ultimi giorni... peccato, avrebbe voluto andare a giocare a beach volley con i suoi amici.

Era già una settimana che aveva sconfitto Malefica e le cose andavano a meraviglia: riusciva sempre meglio a controllare il nuovo corpo e, incredibile ma vero, si era fidanzato con Kairi! Ancora non riusciva a crederci, era successo tutto così in fretta che non sapeva più cosa dire.

Sapeva solo che si era innamorato di lei e questo gli bastava: non erano necessarie altre spiegazioni.

Riku era seduto sulla spiaggia... era tornato sull’isola, ma quel mondo non gli piaceva: era insopportabilmente piccolo! Lui voleva viaggiare, vivere avventure: la vita monotona lo rendeva nervoso.

Evocò il Keyblade. Sentiva che doveva essere usato a fin di bene ma non riusciva proprio ad indovinare come. Era un custode ma non aveva la possibilità di usare la sua arma.

Il pensiero per lui era frustrante, non riusciva ad accettarlo. Iniziò a simulare un combattimento. Parata, affondo, schivata... il suo corpo era atletico e scattante, in grado di compiere alla perfezione ogni movimento. All’improvviso apparvero due heartless, seguiti da una moltitudine di altri.

- Strano – pensò Riku – Era da tempo che non attaccavano così in massa

Non finì di esprimere il pensiero che era già all’attacco. Distrusse il primo con un affondo e si lanciò sul secondo. Grosso sbaglio. Dalle spalle arrivò un colpo improvviso che lo scaraventò a terra. Si rialzò in un baleno e si mise sulla difensiva... erano davvero tanti!

Parò un colpo a destra e ne schivò uno frontale, poi passò al contrattacco. Eliminò due soldati contemporaneamente, con un movimento della Keyblade da destra verso sinistra,  poi passò agli shadow. Veloce come un fulmine ne sconfisse una dozzina attaccandoli senza sosta, ma le sue forze diminuivano.

Devo sbrigarmi, o non ce la farò! – pensò il ragazzo, poi impugnò con entrambe le mani il Keyblade, pronto a sferrare un nuovo attacco.

- Eccomi! Adesso ti aiuto io! – gridò una voce a Riku familiare. Un sorriso si dipinse sul volto del ragazzo.

- Era ora! Certo che tu non ti mantieni certo in forma! –

- Ah, è così? Bene, allora te la faccio vedere io! –

Era arrivato Sora...

Portafortuna e Lontano Ricordo comparvero nelle mani del ragazzo. Con un salto si gettò nella mischia, proprio in mezzo ai nemici.

Riku non ebbe neanche il tempo di capire cosa succedesse che una cinquantina di heartless erano stati sconfitti dai colpi fulminei del ragazzo.

- Sora è davvero in gamba... probabilmente li sconfiggerà tutti senza il mio aiuto... gli lascio il divertimento – pensò il ragazzo.

Dopo due soli minuti, sulla spiaggia non c’era nessuno esclusi i due ragazzi.

- Forse sei tu quello a cui manca allenamento! – disse scherzosamente Sora.

- Non direi... io mi stavo trattenendo! –

- Ok, ok tranquillo, stavo solo scherzando –

Sul viso del ragazzo era comparsa un’espressione soddisfatta che non piacque per niente a Riku, che però decise di lasciar correre e, dopo aver salutato l’amico, apre un varco per raggiungere Topolino. Doveva assolutamente parlargli.

Sora, soddisfatto della performance, corse a casa di Kairi.

La ragazza era in camera sua quando il fidanzato bussò alla porta di casa. Il tempo non era dei migliori, ma avrebbe sempre potuto fare un giro con lui per negozi anche se, conoscendolo, forse non era il caso...

- Ciao! Come stai? –

- Bene, cosa mi racconti di bello? –

- Nulla, ma con questo tempo non possiamo andare in spiaggia come previsto... –

Non fece in tempo a finire la frase che la ragazza disse - Quindi andiamo al mercato! –

Un’espressione orribile si dipinse sul volto del ragazzo che cercò subito di mascherarla, ma con scarso risultato.

Kairi decise che lo avrebbe fatto preoccupare un po’, anche se, del resto, si aspettava quella reazione.

- Ma bene! Se proprio la metti così... –

Lasciò la frase in sospeso.

Nella mente del ragazzo si affollarono mille finali di quella discussione, uno peggiore dell’altro, fino a che non poté più sopportare quel silenzio che per lui era così imbarazzante.

- Cosa vuoi fare? Sappi solo che mi dispiace... – disse con voce triste Sora.

- Nulla, solo... pensavo che al posta della spiaggia potremmo andare ad Atlantica! L’acqua è così bella laggiù! –

- Ci sto; non vedo l’ora di vedere come se la cavano Ariel e gli altri! –

- Allora è deciso, ma Riku? Mi aveva detto che sarebbe venuto anche lui ma... –

- Ah, giusto! Che sbadato... mi sono dimenticato di raccontartelo! –

- Cosa? –

Sora le raccontò della battaglia sulla spiaggia.

Kairi non interruppe neanche una volta e, dopo che il ragazzo ebbe finito disse – Sarà andato a parlare con il Re, quei due sono molto legati –

- Sono d’accordo – disse Sora – Comunque sono convinto che dovremmo andare lo stesso ad Atlantica –

- Anche io – rispose la ragazza.

Aprirono un varco verso il mondo e sparirono.

 

Note dell’autore:

Vorrei ringraziare tutti coloro che leggono la mia fiction...

Please... qualcuno che recensisca, anche per dirmi che la storia non gli piace!

 

universo0 : grazie della recensione... quasi arrossisco! Continuerò a scrivere la storia, come mi hai chiesto... dimmi se anche questo capitolo ti è piaciuto!

 

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Capitolo 14
*** L'attacco ***


Capitolo 14: L’attacco

 

Al castello Disney tutto era tranquillo. Cip e Ciop stavano tagliando l’erba del giardino, mentre Paperino studiava su alcuni libri di magia in biblioteca. Pippo, come al solito, sonnecchiava beato nella sua stanza.

Topolino era nei sotterranei del castello e mostrava  ad Ansem la Prima Pietra. Lo studioso ne era così affascinato che chiese di poter utilizzare la porta ed andare nel passato, per capirne meglio il funzionamento. All’improvviso sentirono aprirsi la porta della sala del trono, quindi decisero di tornare dagli altri. Con sommo stupore videro i due scoiattoli correre a più non posso verso di loro.

- È successa una cosa terribile! – gridarono i due in coro.

- Parlate – rispose loro il re

- Il giardino è stato invaso dagli heartless! Ci sono anche alcuni Nobody! Aiutateci, Pippo e Paperino non riusciranno trattenerli ancora a lungo! -

- Ma sono così tanti? Quei due se la cavano bene... – chiese Ansem

- Almeno un centinaio, se non di più! –

- Va bene, non tratteniamoci oltre amico mio –

Detto questo topolino corse verso i giardini, seguito a ruota dal saggio; entrambi già impugnavano i rispettivi Keyblade.

Riku uscì dal varco. Una palla di fuoco sfiorò il ragazzo, bruciacchiandogli i capelli

- Ma che diavolo succede qui? –

Vide gli heartless e corse verso essi. Pippo e Paperino stavano combattendo, ma gli avversari erano davvero troppi. Ne distrusse un paio mulinando la Keyblade e parò un colpo diretto a Paperino. I ragazzi si misero in modo che ognuno coprissi le spalle agli altri.

I nemici attaccarono tutti insieme ma Paperino li colpì scagliando al momento giusto un cerchio di fuoco che protesse i ragazzi e sterminò gli avversari. Un gruppo di soldati attaccò ma Riku e Pippo contennero l’attacco e solo due poterono battere in ritirata.

- Avremmo bisogno di Sora! – pensò Riku.

In quel momento arrivarono il re e Ansem.

- Ora sì che si ragiona! – esclamò Paperino.

Gli altri fecero un cenno di ringraziamento nei confronti dei nuovi arrivati e ripartirono all’attacco. Sembrava che non esaurissero mai le energie!

Riku ne abbatté una dozzina con pochi colpi precisi ma potenti.

Pippo difendeva Paperino che scagliava fulmini in tutte le direzioni, lasciando vuoti apparentemente incolmabili fra i nemici.

Topolino si esibì in straordinari attacchi aerei, mentre Ansem combatté con calma, distruggendo sistematicamente chiunque gli si parasse davanti.

In pochi minuti tutti gli avversari furono sconfitti e rimandati nell’oscurità da cui provenivano ma, mentre Pippo e Paperino festeggiavano la vittoria, Topolino, Ansem e Riku si allontanarono, discutendo sul motivo per cui ci fossero così tanti heartless... ormai dovrebbero essere stati quasi del tutto eliminati! Ne dovrebbero rimanere poche centinaia ma quelli che avevano attaccato! Era inconcepibile il fatto che si esponessero tanto!

Se il re, inizialmente, era curioso di scoprire la verità, dopo il racconto del ragazzo sulla battaglia in spiaggia all’Isola del Destino, divenne preoccupato.

Dovevano capire che cosa stava accadendo.

Andarono alla sala del trono.

- Non ci dovrebbero essere, non così tanti! – esordì il re.

- Sono d’accordo – disse Ansem, con tono di voce eccessivamente calmo – Ma ciò non cambia quello che è successo –

- E ciò significa che qualcuno sfrutta il potere dell’oscurità per diventare più forte – disse con un sorriso sulle labbra. Finalmente aveva l’occasione di sfuggire alla noiosissima vita che conduceva sull’Isola.

- Non è detto – disse Ansem – Anche se la tua ipotesi è la più probabile –

- Ma come dobbiamo fare per scoprire se è giusta? – chiese il re.

- Non possiamo – disse con semplicità Ansem, che sembrava avere sempre la risposta pronta a tutte le domande.

- E dovremmo rimanere qui con le mani in mano? – chiese Riku, con tono deluso.

- Temo di si, ragazzo mio – replicò Topolino.

- Lo sapete che non mi piace affatto l’idea – disse Riku, voltandosi nella direzione dell’uscita.

- Lo sappiamo – replicò Ansem – Ma non puoi fare nulla. Non sappiamo nemmeno con chi hai a che fare! –

- Non importa – disse Riku – Io lo troverò –

- E come? – chiese Topolino, quasi con aria di sfida.

- Io sento la puzza di oscurità in tutte le persone – disse il ragazzo, imperterrito.

-  vorresti metterti ad annusare tutti gli abitanti dei vari mondi? –

La voce di Ansem era tranquilla.

Riku divenne paonazzo.

- Certo che... – non sapeva più come andare avanti.

- Forse conviene che torni sull’isola e aspetti. Io ed Ansem cercheremo qualche cosa da cui iniziare le ricerche. Nel frattempo, non fare sciocchezze –

Il tono era quello di un padre che parla al figlio.

- Va bene – disse Riku rassegnato.

Il ragazzo aprì un varco per tornare all’Isola e vi entrò senza commentare oltre.

 

- No, di nuovo! – esclamò il ragazzo. Si era rimesso il cappuccio e, come se potesse essere arrabbiato, aveva picchiato il pugno sul tavolo, mandandolo quasi in pezzi.

- Ero così vicino... sono anni che lavoro, ma senza successo! Come fare... -

Il ragazzo si sedette. Non poteva permettersi distrazione, non ora che era quasi riuscito nel suo scopo. Certo, avrebbe dovuto combattere, ma questo non gli importava. Era abbastanza forte...

Riprese in mano i fogli

- Devo aver dimenticato di considerare qualche variabile... ma quale? –

Il ragazzo continuava a struggersi e, durante i suoi esperimenti modellava l’oscurità con grande maestria, senza immergersi in essa ma piegandola alla sua volontà... era davvero eccezionale.

- Ecco la soluzione! Non ho abbastanza potere – disse, dopo aver riesaminato i calcoli almeno due volte.

- Ora devo solo pensare a come procurarmelo... – pensò. Doveva rimanere calmo e non montarsi la testa... non poteva avere sentimenti, ma se non fosse stato attento sarebbe diventato schiavo dell’oscurità che utilizzava... bastava il minimo errore, la più piccola distrazione e tutto il suo lavoro sarebbe stato vano.

Decise che era il momento di andare a Crepuscopoli, del resto era lì che in un prossimo futuro si sarebbe trasferito.

Aprì un varco oscuro di fianco a lui, diede un’ultima occhiata ai fogli su cui lavorava da tanto tempo ed infine entrò nel varco oscuro.

 

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Capitolo 15
*** Una gita movimentata ***


Capitolo 15: Una gita movimentata

 

Sora e Kairi arrivarono ad Atlantica. Quando arrivarono videro subito che c’era qualche cosa che non andava: non c’era neanche un pesce in giro... era davvero un brutto segno.

- Aiuto! – gridò una voce femminile.

Ariel comparve da dietro uno scoglio, inseguita da un paio di heartless. Erano davvero strani: simili a squali, lunghi e dal corpo affusolato, con occhi gialli e una fila di denti affilati come rasoi in bella vista; il tipico simbolo degli heartless era impresso sul loro petto...

- Eccoci! – gridò Sora.

I due ragazzi nuotarono a più non posso e sbarrarono la strada agli heartless. Questi non fecero una piega e attaccarono i nuovi venuti.

Sora passò accanto al primo e cercò un punto debole da dietro, ma venne colpito dalla coda che lo scaraventò sul fondale.

Kairi fu più cauta: si riparò dietro alla sua Keyblade e attese la mossa avversaria. Guidati dall’istinto, i due heartless la attaccarono, senza successo perché lei schivò e colpì con grande rapidità e prontezza: stava diventando una brava guerriera.

L’heartless colpito si infuriò e iniziò a colpire alla cieca. Era esattamente ciò che aspettava la ragazza. Gli passò alle spalle e colpì senza pietà, distruggendolo, ma senza badare al secondo.

L’avversario rimanente notò la dimenticanza e attaccò. Kairi non vide arrivare il colpo, ma quando scorse una sagoma nera arrivare, capì che era troppo tardi. Chiuse gli occhi.

Il colpo non arrivò.

Sora si era messo in mezzo e fermò l’attacco con il suo corpo.

Kairi gridò.

Il corpo del suo ragazzo stava lentamente cadendo sul fondale...

Accecata dalla rabbia, la ragazza gridò e, per la prima volta, combatté perché colpire quel nemico le dava soddisfazione, placava il suo desiderio di vendetta.

Sora rimase stordito dal colpo. Sentiva i rumori della lotta molto lontani, anche se la battaglia si stava svolgendo a pochi metri da lui; tutto era così irreale, si sentiva stanco e si stava abbandonando al sonno.

Poi, sentì la voce di Kairi.

Una nuova forza parve nascergli in corpo: voleva vivere. Lottò con tutte le sue forze, e accolse con piacere il dolore... finalmente sentiva qualche cosa.

Improvvisamente si accorse di non sentire più i rumori della battaglia...

- Che strano, cos’è successo? – si chiese prima di cadere in un profondo sonno ristoratore.

 

Il ragazzo incappucciato arrivò a Crepuscopoli. Pensava che sarebbe rimasto nella città per qualche tempo, quindi trascorse il primo giorno esplorando in lungo e in largo la città. Spesso si perdeva nei suoi pensieri e rimaneva immobile per lunghi minuti, per poi riscuotersi e rimettersi a camminare.

La sera andò in un ostello che si affacciava a Corso della Stazione; l’indomani sarebbe stato il grande giorno.

La mattina era fresco e riposato e, dopo aver fatto un’abbondante colazione, si diresse verso l’Area del Tram. Si camminò subito verso il buco nel muro che aveva visto il giorno precedente: sapeva che lo avrebbe condotto alla Vecchia Villa.

Attraversò il boschetto e si trovò davanti l’edificio. Era chiuso a chiave...

- Inutile – pensò.

Evocò il Keyblade e aprì la serratura... nulla di più semplice.

La villa era abbandonata da vario tempo e alcune piante rampicanti si erano fatte largo sui muri: uno spettacolo davvero deprimente che, in ogni caso, non disturbò affatto il ragazzo il quale continuò a muoversi imperterrito.

Se la casa era brutta all’esterno, non ci sono parole per descrivere come era all’interno: alcuni muri erano crollati, le porte in legno iniziavano a marcire... un puzzo di chiuso impregnava l’aria.

La pianta non era molto complessa, ma dalle statue ormai rotte, i tappeti e i quadri si poteva intuire che una volta la casa doveva essere stata molto lussuosa.

Dall’ingresso si potevano notare due grosse rampe di scale che si collegavano alle due estremità di un corridoio sopraelevato. Sulla destra, al piano terra, si poteva scorgere una porta bloccata dalle macerie mentre a sinistra nulla ostruiva il passaggio verso un’altra stanza.

Si diresse verso quest’ultima stanza, aprì la porta e...

- Nulla – esclamò quasi con rabbia – Solo un tavolo sfondato dal lampadario! Doveva essere stata la sala da pranzo ma non può esserci nulla lì... -

Decise di optare per la porta bloccata. Evocò il Keyblade e distrusse le macerie con pochi, potentissimi colpi. All’interno il pavimento era pressoché distrutto, si potevano scorgere poche piastrelle azzurre qua e là... entrò.

Il luogo doveva essere stato un bagno... ora non c’era più molto. Il soffitto era crollato e non si vedeva nulla.

- Tanta fatica per niente! – pensò e si allontanò verso la rampa di sinistra.

Salì e si trovò davanti ad una porta diversa da tutto il resto; era tenuta ancora abbastanza bene... la aprì.

Una camera bianca lo accolse. La luce creava degli stupendi giochi di colore che avrebbero lasciato senza fiato chiunque. Il ragazzo, freddo come la pietra, invece, non ci badò neanche. Si diresse verso il tavolino situato al centro della stanza. Era pieno di disegni riguardanti Sora e i suoi amici... ma anche riguardanti l’organizzazione... li prese tutti, erano davvero interessanti; uscì con i disegni sotto al braccio soddisfatto di ciò che aveva trovato anche se non era lì per quelli... doveva trovare una fonte di energia per il suo piano e ce n’era solo una abbastanza potente... doveva andare nel Mondo Che Non Esiste.

Passò all’ultima stanza...

Aprì la porta...

- Impressionante... i miei complimenti a DiZ, o forse dovrei dire Ansem! – disse il ragazzo ad alta voce, come se il saggio potesse sentirlo.

Il sistema era ancora aperto e si poteva vedere il livello sotterraneo. Davanti a lui c’erano delle scale che si affrettò a scendere.

La porta si aprì automaticamente quando lui si avvicinò.

- Wow! – esclamò.

La nuova stanza era piccola. Tutto era di un blu elettrico, al centro un immenso computer mentre in fondo, contro al muro, c’era un piccolo tavolino. Una porta ad apertura automatica, come le aveva battezzate il nobody, era immobile davanti a lui.

Il ragazzo era appassionato di computer e quello presente nella stanza era il migliore che avesse mai visto... di nuovo Ansem lo aveva lasciato a bocca aperta.

Si sedette e, con pochi tocchi leggeri e precisi su una lastra situata sul fianco della poltrona davanti al monitor, iniziò ad esplorare quello che era la più grande fonte di informazioni che avesse mai visto. Aprì file, cartelle, immagini, testi... senza mai sapere quello che avrebbe trovato: spesso erano nominati come “progetto 1”, “progetto 2” e così via.

Prese un cd dal tavolino lì a fianco e salvò tutto quello che poteva. Aveva voglia di rivedere tutto una volta arrivato a casa. Poi, quasi per caso, vide una cartella... “Roxas and Sora”... interessante...

Doppio clic.

Davanti a lui apparve una grande quantità di sottocartelle: “Rigenerazione di Sora”, “Chi è Roxas”, “Sentimenti di Roxas” e via dicendo... c’erano appunti sulle macchine e sulla rigenerazione; inoltre, il computer aveva memorizzato tutti i falsi ricordi del ragazzo e ciò che era successo al castello dell’oblio. Scoprì i tradimenti dei membri, i complotti, i giochi di potere... tutto ciò che doveva esserci.

Rimase incollato al computer tutto il giorno e la notte, salvando i dati importanti sui cd e rammaricandosi di non poter stare lì per tutto il tempo che voleva... aveva una missione da compiere. Il varco verso la sua destinazione era stato chiuso e doveva trovare il modo di riaprirlo...

Trovò una nuova cartella... la aprì... un solo programma...

Doppio clic sull’icona.

La schermata divenne nera e apparve una scritta: “Digitare la password    numero tentativi rimanenti: 3”

- Dannazione! – disse il ragazzo... – Fortuna che c’è un suggerimento... vediamo... –

“Dolce preferito di Roxas”

- Fantastico... – disse ironicamente.

Doveva scoprirlo e c’erano solo tre persone che sapevano la risposta...

Tornò in città e si recò al rifugio, li avrebbe aspettati lì.

Dopo una quindicina di minuti, i ragazzini arrivarono... erano diversi dai disegni: cresciuti, ma probabilmente ricordavano ancora.

- Buongiorno – disse loro.

- E tu chi sei? – chiese Pence

- Non essere scortese! – disse Olette all’amico

- Ho bisogno del vostro aiuto – continuò il ragazzo, come se gli altri non avessero neanche aperto bocca – Devo andare nell’altra Crepuscopoli, sapete cosa intendo, vero? –

- Certo - risposero in coro – Ma non possiamo: abbiamo promesso di non aiutare mai nessuno... quel luogo è pericoloso, faresti meglio a tornare da dove sei venuto –

- Spiacente, ma non posso: ho una missione da compiere; se non mi direte la password con le buone, allora ve la estorcerò con le cattive –

- Che così sia, noi non diremo nulla. Fai pure del tuo peggio –

Avevano appena finito di dirlo che il nobody li aveva circondati con una fitta oscurità.

I ragazzi erano confusi.

Una nebbia scura si alzò da terra ed entrò nei ragazzi, nel vero senso della parola.

Gridarono tutti nello stesso istante, ma nessuno poté sentirli: l’oscurità li aveva isolati da tutto il resto.

- Ti prego, basta – provarono a chiedere

- La password, prima –

Il dolore si intensificò. Tentarono in tutti i modi di sopportarlo.

- Visto che non cedete... –

Un sorriso malizioso si dipinse sul suo volto e per l’ennesima volta manipolò l’oscurità. Fece in modo che esse prendesse il controllo delle menti poco disciplinate dei ragazzi, ma lasciò che rimanessero coscienti, in modo che comprendessero cosa li obbligava a fare. Il primo a cedere fu Heyner.

- La password, grazie –

- Gelato al sale marino –

- Molto bravo... mi raccomando, continua così... –

Un’ondata di dolore travolse i ragazzi e li fece svenire. Il nobody si mise il cappuccio e se ne andò.

 

- Cosa sta succedendo? Proprio non capisco! – esclamò Riku.

- Non ne sono sicuro... devo partire – rispose il Re.

- Ti prego, fammi venire con te! –

- No, Riku –

- Perché? Lo sai che ci tengo... –

- Mi dispiace, tu devi rimanere e vegliare sui tuoi amici, loro hanno bisogno con te. Mi accompagnerei tu, Ansem? –

- Ne sarei onorato – rispose il saggio.

Riku accettò a malincuore la decisione presa dal re, del resto non poteva farci nulla.

- Torno alla mia isola – annunciò il ragazzo

- Aspetta un attimo, voglio dirti che non ho scelta: di te mi fido ed è per questo che ti voglio dove potrai davvero aiutarmi –

- Ok, ho capito anche se... non importa. Ciao a tutti, ci vedremo presto – esclamò.

Riku aprì un varco per l’isola e ci entrò.

Quando arrivò a destinazione era già sera. Comparì sulla spiaggia, poi si diresse verso la cittadina.

- Ciao Riku! – esclamò Wakka vedendolo.

- Ciao, come stai? –

- Bene. Ti va di venire in spiaggia con me? –

- No, grazie. Stavo cercando Sora e Kairi... li hai visti per caso? –

- No, sono scomparsi stamattina. Probabilmente in un luogo appartato! – disse Wakka strizzando l’occhio a Riku.

- Probabile – convenne il ragazzo che aveva già intuito cosa doveva essere successo – Vado a scovarli! Ci vediamo! –

I due si allontanarono e Riku arrivò a casa.

- Dove potrebbero essere andati?

 Si stese sul letto, pensando.

- Dunque... volevano andare in spiaggia ma il tempo non è bello... quindi... devono essere andati su un altro mondo... ma quale? –

Il ragazzo andò avanti a pensarci per tutta la sera, senza trovare soluzioni.

Mangiò, si fece una doccia e si infilò nel letto. Era stata una giornata faticosa e si addormentò subito.

Quella notte fu piena di sogni sul passato, alcuni non molto piacevoli... l’immagine dell’heartless di Xeanorth lo ossessionava, era come se non potesse fare a meno del potere che offriva... ora però era guidato dalla luce e non avrebbe potuto chiedere di meglio, o almeno così pensava.

Quando si svegliò il mattino seguente non aveva il minimo ricordo dei sogni solo una strana sensazione, come se ci fosse qualche cosa di terribilmente sbagliato, ma non riusciva a capire cosa...

Si alzò sbadigliando e si vestì. Corse subito a casa di Sora, dove scoprì che non era rientrato per la notte e i genitori pensavano che fosse a casa di Kairi. Si recò anche lì ma non trovò nessuno.

- Davvero strano... sarebbero dovuti ternare... a meno che non sia accaduto loro qualche cosa -

Il pensiero si insinuò nella mente del ragazzo che decise di partire. Avrebbe chiesto consiglio a Merlino, non voleva disturbare il re per una cosa così poco grave... anche se, in fondo al suo cuore, sapeva che non poteva permettersi di perdere così i suoi amici. Erano troppo importanti per lui.

Uscì dal varco proprio davanti alla casa del mago che gli aprì subito

- Accomodati... –

- Grazie, ma ho una certa fretta, vedi... –

- So che i tuoi amici sono scomparsi. Ieri mattina sono andati ad Atlantica, ma non sono ancora tornati –

- Come lo sai? –

- In effetti, mi sono accorto di riuscire a percepire i varchi, capire da dove arrivano, dove sono diretti e, nel caso in cui li conosca, anche chi li attraversa... davvero un’abilità interessante – spiegò il mago, quasi vantandosene.

- Grazie mille per l’aiuto –

- Di nulla, ma ora devi affrettarti... –

- Giusto. Buona fortuna, ragazzo –

Riku aprì un varco ed entrò. Finalmente stava per andare ad aiutare i suoi amici... sempre che non fosse troppo tardi, ma non voleva pensare a quell’eventualità.

 

Sora si svegliò il mattino seguente con un incredibile dolore alla testa.

- Dove sono? – chiese, stupendosi di essere riuscito a parlare.

- Sei a palazzo. Abbiamo fatto tutto il possibile per guarirti e, a quanto pare, ci siamo riusciti! – rispose Ariel, sorridendogli.

Ad un tratto ricordò tutto: gli heartless, lo scontro, si era messo in mezzo fra loro e...

- Dov’è Kairi? Come sta? – chiese, preoccupatissimo.

- Sto bene, grazie a te... non dovevi farlo – disse la ragazza, appena entrata nella stanza.

Un debole sorriso apparve sulle labbra di Sora.

- Invece sì –

Detto questo, cadde in un sonno profondo, senza sogni.

- Cosa facciamo ora? – chiese Kairi alla sirena

- Lasciamo che si riposi, ha preso un brutto colpo e ci metterà un po’ per riprendersi –

- Ok, intanto? –

- Raccontami tutto... come stanno le cose fra voi? – chiese con voce innocente Ariel.

Kairi arrossì di colpo.

- Noi... – passò qualche secondo di silenzio – Stiamo insieme ora... anzi, da circa un mese, ormai –

- Fantastico! Sono proprio felice per voi! –

Kairi sorrise, imbarazzatissima.

- Grazie, ma dimmi... come stanno le cose tra te e il tuo bel principe? – chiese per cambiare argomento.

Questa volta fu Ariel a imbarazzarsi e diventare rossa come un peperone.

- Noi... non è stato facile... ma alla fine ho convinto mio padre a trasformarlo in uno di noi: ora siamo felici insieme –

Kairi guardò Sora...

- È così carino quando dorme... –

- Sono d’accordo – disse la sirena, visibilmente contenta di aver cambiato discorso.

Il volto di Kairi si fece preoccupato

- Dimmi la verità... quegli heartless erano gli unici? –

Ariel abbassò lo sguardo e si prese un lunghissimo istante prima di emettere un sospiro

- No, purtroppo. Mio padre sta combattendo contro quegli esseri da settimane ormai e li contiene, ma essi sembrano non avere mai fine... sono troppi e lui è stanco –

- Questa faccenda non mi piace affatto – ammise la ragazza – Proverò ad aiutarvi –

- Come? – chiese la sirenetta – Sono troppi e troppo potenti. Hai visto come hanno... –

Fece un cenno verso Sora, tacendo poi di colpo.

- Tranquilla, non mi farò trovare impreparata, di questo puoi essere certa –

- Ok, come preferisci, ma io non potrò aiutarti: non sono una combattente –

- Non importa; non avrei mai voluto comunque rischiare la tua vita –

Detto questo la ragazza si avviò determinata verso l’uscita.

Uscì dal palazzo e si trovò di fronte cinque heartless.

- Bene – pensò tra sé –Iniziamo –

Fintò sul primo che schivò prontamente, lasciando però scoperto il secondo, che trovatosi spiazzato, venne distrutto dalla ragazza. Gli altri quattro formarono un gruppo compatto e si diressero verso di lei...

- Come faccio? – pensò.

In quel momento un fulmine colpì gli heartless, che scomparvero rapidamente.

Kairi si voltò e si trovò faccia a faccia con re Tritone

- Cosa ci fai qui, ragazza? –

- Voglio essere d’aiuto –

- Bene, allora che ne dici di sconfiggere questi odiosi heartless con me? –

- Ne sarei onorata... –

- Bene, seguimi. Finora non ci sono mai stato, ma penso di sapere quale sia il covo dei nostri nemici, ma sappi che non sarà una passeggiata –

- Sono pronta –

- Bene –

I due si diressero al relitto.

- Il covo di Ursula non è ancora stato preso – spiegò Tritone – È troppo distante, loro sono lì nel relitto. Guarda. –

Il re lanciò un fulmine con il suo tridente e subito una cinquantina di heartless uscì allo scoperto.

Kairi li attaccò senza dare loro il tempo di reagire e ne uccise sei, muovendo rapidamente la Keyblade prima che quelli potessero reagire.

Due avversari la stavano attaccando da dietro ma un fulmine li travolse.

Kairi ripartì all’attacco ruotando il Keyblade regalatole da Riku...

Tritone sfruttò quel movimento: lo potenziò con la magia del suo tridente in modo che creasse un vortice magico.

Il piano funzionò e in campo rimasero solo due avversari.

Un varco si materializzò in mezzo al campo e da esso uscì Riku.

- Felice che ve la caviate anche senza di me, ma voglio partecipare anche io alla festa! – esclamò il ragazzo vedendo le armi.

- Sei il benvenuto – disse Tritone e Kairi annuì.

Altri cento heartless apparirono e i due ragazzi si gettarono nella mischia.

Alcuni vennero sconfitti subito, ma la maggior parte indietreggiò, in attesa del momento propizio per attaccare.

- Prendi! – gridò Riku, lanciando a Kairi la sua arma.

La ragazza la afferrò al volo e si lanciò in mezzo ai nemici, facendo roteare le armi.

Tritone, dal canto suo, li tempestava con fulmini e saette, arrostendone quanti più poteva.

Kairi si fece largo tra i nemici e arrivò fino al centro del loro schieramento senza la minima difficoltà.

- Attenta! – gridò Riku, capendo la tattica nemica... non aveva mai visto heartless così preparati: avevano lasciato che la ragazza entrasse per poi chiudersi su di lei in un’ondata mortale.

Kairi sentì l’avvertimento, ma ormai era in trappola.

Combatté furiosamente e si aprì un passaggio, nemico dopo nemico. Era quasi uscita quando le sue forze si esaurirono del tutto; non era abituata a combattere tanto a lungo e tanto intensamente. Con le poche energie che le erano rimaste, indirizzò entrambi i Keyblade a Riku, in modo che potesse finire ciò che lei aveva iniziato.

Svenne, affondando sempre di più nelle acque del bellissimo oceano.

Tritone, capendo cosa era successo, aveva creato una barriera elettrica attorno al corpo indenne della ragazza e l’aveva portata al sicuro, lontano dal relitto, consegnandola alle cure di Ariel. Riku decise che doveva rimanere. Combatté fino a che non ci fu più neanche un heartless, poi, senza forze, lasciò che la corrente lo trasportasse fino al castello.

 

Il ragazzo tornò al computer. Tutto era esattamente dove lo aveva lasciato. Si sedette e aprì la cartella, poi il programma

- Sono ad un passo dalla riuscita! – pensò e, per un attimo, sentì dentro di sé una gioia senza eguali...

- Dannazione! Il mio somebody è ancora in vita e queste emozioni... non so se volerle oppure no... –

- Bando alle ciance – disse ad alta voce, quasi stesse cercando di convincere se stesso che era la cosa giusta da fare.

Strano, il ragazzo non aveva mai avuto neanche un ripensamento, perché aveva proprio in quel momento, così vicino alla meta, dei dubbi?

Digitò la password e una porta si aprì. La schermata del computer divenne nera e ritornò alla schermata iniziale.

Il ragazzo scese dalla poltrona, prese tutto quello di cui aveva bisogno e si avviò. Lasciò carte e cd su un tavolino lì a fianco, in modo che non lo impicciassero durante la sua missione.

Estrasse dalla tasca uno strano congegno... una specie di pistola con una forma molto bombata e un colore giallo lampeggiante con strisce rosse. Essa terminava con una spirale dove si convogliava l’energia e la si riutilizzava per i propri scopi.

Avanzò senza problemi, distruggendo i pochi nobody che gli si paravano davanti. Doveva raggiungere l’altare del niente... il percorso fu relativamente semplice ma, quando arrivò verso il fondo, si trovò davanti una porta chiusa e una specie di lapide, come pensò lui, sana, vicino ad altre distrutte. Ai piedi di questa c’era scritto “Roxas, la Chiave del Destino”.

Il ragazzo capì che era una porta e Roxas era il custode di essa... doveva sconfiggerlo per proseguire... ma Roxas si era ricongiunto con Sora! Non potava essere ancora lì!

Entrò, curioso di poter vedere come ci era riuscito.

Il posto era completamente diverso da come se lo era aspettato... era su una gigantesca lastra di vetro, sulla quale era stata dipinta un’immagine di Roxas che impugnava le sue due Keyblade; sullo sfondo una specie di torre, semicoperta dal corpo del ragazzo. Attorno ad essa, c’erano degli ampi spazi colorati che avrebbero potuto ricordare le antiche chiese gotiche che si trovavano alla Città di Mezzo. Ad un tratto apparve un varco oscuro dal quale uscì una figura incappucciata che impugnò due Keyblade.

- Fantastico- pensò il ragazzo mentre evocava la sua.

Roxas fu velocissimo: gli arrivò alle spalle senza che lui se ne accorgesse e lo colpì. Il ragazzo venne scaraventato lontano.

Si rialzò e partì all’attacco, ma Roxas era troppo veloce e, dopo aver schivato il colpo, lo colpì sullo stomaco con una lama e poi gli spazzò le gambe con l’altra.

Il ragazzo si trovò con un Keyblade puntato sulla gola.

Ricorse all’oscurità e fece in modo che avvolgesse l’avversario.

Nulla da fare: schivò anche questa muovendosi a velocità sovrumana...

- Ma come fai? – chiese il ragazzo.

Nessuna risposta. Roxas era già ripartito ma il nobody l’aveva visto e parò il colpo.

Il duello andò avanti come se i due non si stancassero mai ma, dopo minuti che sembrarono ore ad entrambi, il ragazzo abbassò la guardia per un istante. Roxas sfruttò quella distrazione e il Keyblade volò via dalle mani del ragazzo.

Quando il ragazzo cercò di prenderlo, Roxas lo bloccò lo bloccò con uno dei suoi e attese. Come si aspettava l’avversario richiamò la sua arma e, nell’istante in cui era scoperto, colpì.

Il povero ragazzo, ormai sfinito, venne scaraventato sul bordo della lastra di vetro. Miracolosamente si rialzò. Decise di giocarsi il tutto per tutto: evocò l’oscurità e la usò per difendersi. Non era mai stato a contatto con essa e, in quel momento, sentì che qualche cosa andava storto e lui non poteva farci niente...

Attaccò. Come se fosse la cosa più naturale del mondo, Roxas schivò e colpì ma, nonostante la potenza del colpo, il numero XIII venne scaraventato lontano...

- Ce l’ho fatta! – pensò il ragazzo.

Con sua sorpresa, Roxas svanì e davanti al nobody comparve una porta... la attraversò.

Era tornato al luogo da cui era venuto, la Prova dell’Esistenza, ma ora la porta che conduceva all’Altare del Niente era aperta: aveva superato la prova.

Il resto del viaggio non presentò molti problemi anche se, a volte, faceva fatica ad eliminare i nobody che gli si paravano davanti, perché era stanchissimo dopo il combattimento con il n° XIII, ma non voleva assolutamente concedersi alcuna pausa.

Arrivò al punto più alto del castello, dove era davvero vicino a Kingdom Hearts... finalmente era arrivato... non vedeva l’ora.

Prese il suo congegno e lo azionò. Aveva bisogno di una grande energia per attivarlo e molta di più perché funzionasse, fino ad ora era riuscito solo ad attivarla, ma questo non era sufficiente: voleva di più.

Puntò verso il cuore e sparò. Un raggio di energia partì dal mondo fino alla pistola che, in poco tempo, si attivò.

I cuori erano davvero potenti...

In una capsula posta al centro della macchina, iniziò a comparire una nebbiolina oscura, che presto iniziò a compattarsi...

Poco alla volta, si formarono dodici persone dai lineamenti sfocati e irriconoscibili ma che stavano lentamente prendendo forma... per crearli serviva davvero una grande quantità di energia e Kingdom Hearts sembrava iniziare a cedere.

- No, non adesso! – pensò il nobody, preoccupato per l’ennesimo fallimento.

Le figure si facevano sempre più nitide...

Il mondo si stava rimpicciolendo...

- Si! – gridò il ragazzo quando furono del tutto formati... - ora basta solo che li crei –

Salvò il lavoro svolto in una memoria situata all’interno del macchinario.

Delle figure incappucciate apparvero davanti a lui, trasparenti come fantasmi

- L’organizzazione vive di nuovo! – pensò il ragazzo.

Xemnas si stava togliendo il cappuccio quando accadde qualche cosa di terribile: Kingdom Hearts esplose! Non potendo più reggere il mondo aveva liberato tutti i cuori di cui era composto ed era sparito nel nulla!

- È davvero un peccato che non ci sia riuscito, ma ora ho i corpi, mi manca solo il carattere e gli appunti di Ansem mi daranno un grande aiuto –

Il ragazzo tornò indietro, fino al computer, recuperò i documenti lasciati e aprì un varco verso casa.

 

Al castello di Tritone tutti erano preoccupati.

- Ma dove sarà finito? – non faceva che ripetere Kairi

- Vedrai che starà bene... – la rassicurava Ariel, anche se la voce era poco convinta

In quel clima di preoccupazione, nessuno badò ad abbassare la voce, così Sora si svegliò.

Era ancora indolenzito, ma riusciva a muoversi... si alzò e nuoto fino alla porta dove riusciva a distinguere le parole degli altri.

Nessuno si accorse di lui fin da quando, dopo aver sentito il racconto che Tritone narrava a Sebastian egli gridò - Cosa è successo? –

Il ragazzo non poteva assolutamente sopportare di perdere l’amico.

Tutti rimasero a bocca aperta, non aspettandosi di vederlo così presto poi, quando si furono ripresi, gli dissero di calmarsi perché sarebbe andato tutto bene.

- Tutto bene un corno! – esclamò il ragazzo – Io vado a cercarlo! –

Tritone gli bloccò la strada.

- Cosa credi di fare? Ti sei appena ripreso! –

- Non mi importa! – rispose Sora in tono quasi di sfida – Io non abbandono gli amici! –

- E chi l’avrebbe fatto? È stato lui a voler rimanere... mi ha detto di andare via! –

- Infatti non te ne faccio una colpa – ribatté in tono pacato – Solo... voglio andare a cercarlo –

- Non se ne discute neanche! – disse Riku, appena arrivato al castello – Scusate il ritardo ma ero stanco e la corrente mi ha trascinato un po’ troppo in là... –

Detto ciò sorrise, poi si accasciò al suolo, spossato.

- Presto! – gridò Ariel

Subito Kairi e Tritone presero il ragazzo e lo portarono su una parte rialzata dove potesse riposare.

Mentre un pesce dottore di nome Fidus visitava Riku, Sora rimase in disparte, per poi chiedere notizie a Kairi.

- Come sta? –

- Bene direi: non è ferito in modo grave solo... molto stanco –

- Bene, già ero preoccupato: non uscivate più da lì! –

- Fidus ha voluto fare molti controlli, tutto qui –

- Si, me ne rendo conto e lo ringrazio –

- Torneremo a casa quando Riku si sarà ripreso? –

- Direi proprio di si ma, nel frattempo, ti va di venire a fare una nuotata con me? –

- Va bene, vado solo ad avvertire Ariel poi andiamo –

Cinque minuti dopo partirono. Tornarono solo nel tardo pomeriggio e trovarono Riku che stava ancora riposando sul suo “letto”

- Ho la netta sensazione che dormiremo qui anche stanotte – disse Sora

- E ti dispiace? – ribatté Kairi

- No affatto solo... non vorrei che i miei si preoccupassero –

- Dubito, del resto tu non sei mai a casa! – disse lei, ridacchiando

- Effettivamente... – rispose lui, grattandosi la testa e scompigliandosi i capelli come faceva di solito quando era imbarazzato.

Entrambi scoppiarono in una fragorosa risata. Continuarono a parlare del più e del meno fino a che, tempo dopo, non entrò Ariel.

- Sera ragazzi... la cena è servita! –

- Cosa si mangia? – chiese Sora

- Pesce... – rispose la sirenetta

Con uno sguardo preoccupato, Sora chiese – Cucinato come? –

- In che senso cucinato? – chiese la sirenetta, dubbiosa.

- Vorresti dire che voi il pesce lo mangiate crudo?!? – chiese Sora con voce davvero preoccupata

- Ovvio... voi no? –

- Noi lo facciamo cuocere sul fuoco... – disse Kairi prima che Sora divenisse scortese – Ma penso che lo potremo mangiare anche così, vero Sora? –

- Certo... – rispose titubante il ragazzo

- Bene... che strana abitudine! Comunque, se volete seguirmi, la sala da pranzo è di qua –

Durante il tragitto Sora si avvicinò a Kairi senza farsi notare.

- Dobbiamo proprio? –

- Secondo te, dove lo accendi un fuoco quaggiù? –

- Si hai ragione... –

In quel momento Ariel si girò, ma Sora si era già allontanato abbastanza, quindi la sirena non sospettò nulla.

La cena fu davvero ottima e anche Sora, che all’inizio era alquanto perplesso, mangiò tutto senza più fiatare.

Riku si svegliò nella sua stanza che era notte fonda. Non si sentiva stanco, solo molto confuso: doveva aver dormito tutto il giorno...

Provò ad alzarsi ma era troppo debole e il suo corpo si rifiutò di muoversi. Amareggiato, il ragazzo si sdraiò e si addormentò pochi minuti dopo.

La mattina seguente Sora e Kairi si svegliarono di buon ora per andare  vedere come stesse il loro amico ma, con grande sorpresa, trovarono il letto vuoto.

Diedero l’allarme e la ricerca del ragazzo iniziò.

Dopo trenta estenuanti minuti di ricerca, lo trovarono in cucina, intento a mangiare

- Buongiorno ragazzi! Complimenti per il cibo... è davvero delizioso! –

- Come osi – strillò Kairi – Noi ti abbiamo cercato dappertutto e tu eri qui ad abbuffarti! –

Era sull’orlo della lacrime.

Il ragazzo se ne accorse e soffocò la risata che gli stava venendo naturale; la sua espressione divenne seria

- Mi dispiace... era presto e non credevo che sareste venuti subito a cercarmi –

-Io lo perdono – si intromise Sora – Del resto... anche io ho un certo appetito! –

Riku lo guardò riconoscente mentre Kairi rimase senza parole.

Nella stanza scese un silenzio imbarazzante, che nessuno trovava il coraggio di infrangere.

- Quando tornate a casa? – chiese Ariel, interrompendo quel silenzio che stava dientando insopportabile.

- Non saprei... – disse Kairi – Riku? –

Gli occhi di tutti furono puntati sul ragazzo

- Mi spiace ma dovremo partire subito dopo colazione –

- Capisco... – disse la sirenetta

- Non preoccuparti, verremo di nuovo a trovarti! – la rassicurò Sora.

I tre mangiarono con calma e, quando ebbero finito, salutarono tutti, aprirono un varco e tornarono a casa.

 

Nel Mondo che non Esiste tutto era buio senza Kingdom Hearts. Nulla rischiarava il castello.

Centinaia di heartless si erano radunati in quel luogo, sempre di più...

Tutti con lo sguardo verso l’alto, tutti che guardavano un punto dove l’oscurità si era fatta più fitta.

Attendevano.

Poi esplosero, tutti nello stesso istante.

Miliardi di cuori si levarono verso l’alto, tutti verso quell’immenso buco nero.

Un cuore, pieno, completo, si formò nel cielo, immobile.

 

*****

Note dell’autore

Ciao a tutti!

Eccoci arrivati alla fine di questo interminabile capitolo! Che ne dite?

Recensite numerosi... anche per dirmi che non vi è piaciuto!

 

universo0: grazie dei complimenti... troppo gentile come al solito!

 

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Capitolo 16
*** Una semplice vittoria ***


Capitolo 16: Una semplice vittoria 

 

Quando il ragazzo arrivò a casa, tutto era tranquillo.

Il suo computer era spento, così decise di accenderlo e salvare i suoi nuovi dati... aveva molto da imparare.

Durante l’attesa, decise di mangiare. Il pasto fu decisamente frugale, ma non era importante perché ai nobody non serviva mangiare molto.

Non stava più nella pelle.

Bip... il computer aveva finito! Si incollò davanti allo schermo.

Leggeva come un matto, studiava ogni minimo dettaglio delle figure e imparava quali erano stati gli errori dei membri dell’organizzazione, i loro punti deboli e quelli di forza...

Mancava un solo dettaglio: il numero XIII... Roxas.

Se le sue supposizioni erano giuste, quello che aveva combattuto era solo una parte del vero Roxas; lui voleva che tornasse appieno nell’organizzazione, doveva trovare il modo di separarlo da Sora.

Cercò la cartella che, casualmente, sembrava non esserci da nessuna parte.

- Sarà nei cd... –

Controllò il primo... nulla.

Non ebbe più fortuna con il secondo ma, finalmente, sul terzo trovò quello che cercava. Decise di salvare i file e, con grande sorpresa, scoprì che c’erano già, proprio sotto ai suoi occhi... strano che non li avesse visti.

Aprì la cartella. Una serie di immagini comparve in anteprima... macchine, schizzi, appunti.

L’ultimo file era una sottocartella. Doppio clic... voleva una password.

Gelato al sale marino... non successe nulla... la password non era quella...

Organizzazione XIII... nulla...

Sora... niente...

- dubito che... –

Xeanorth... la cartella si aprì

- Chissà come mai Ansem ha scelto come password proprio il nome del suo allievo... non importa... quello che conta è leggere... nulla è più importante... –

La cartella conteneva gli appunti su anni di ricerche: processi, metodi per velocizzare la rigenerazione di Sora, appunti sulla memoria di Roxas.

Tutto molto interessante, ma nulla che potesse essergli davvero utile.

Quasi per caso cliccò sulla parola “memoria”... si aprì un collegamento ad un file nascosto.

- Furbo il nostro amico; sono stato davvero fortunato –

La pagina era davvero fantastica... c’era tutto: come togliere la memoria, riacquistarla, dare nuovi ricordi senza l’aiuto di Namine e con sorpresa del ragazzo, anche come dividere Nobody da Somebody.

- Probabilmente serviva se qualche cosa fosse andato storto... davvero sciocco a non cancellare i dati... –

Passò tutta la sera a studiare.

La macchina era davvero molto complessa: servivano una grande quantità di elementi, alcuni molto rari, che lui non aveva a disposizione. In compenso aveva scoperto tutto sui meccanismi... Roxas si sarebbe ricordato tutto: Sora, i suoi sentimenti riflessi... i Keyblade... questa era la vera preoccupazione del ragazzo. Se quei Keyblade si fossero rivelati troppo potenti, che cosa avrebbe fatto? Era davvero incredibile: per una volta, non era sicuro di quello che stava facendo.

Era quasi patetico.

Per quanto riguardava gli altri membri, avrebbe sfruttato due fattori: sarebbero resuscitati con il loro carattere, lui avrebbe solo perfezionato le loro capacità, senza renderli troppo forti, solo più utili ai suoi scopi.

Quello che più lo incuriosiva era Axel... davvero uno strano personaggio: capace di uccidere solo per ottenere fiducia, capace di complottare alle spalle di tutti, in segreto. Era davvero il numero uno, solo... non forte quanto Xemnas; era davvero un rischio per lui, se fosse migliorato avrebbe potuto essere un valido alleato oppure il peggior nemico, astuto e prudente, capace di aspettare il momento più propizio e poi agire.

Quello che più incuriosiva il ragazzo era il legame che si era creato tra Roxas e Axel... due grandi amici, cosa avevano di tanto comune quei due? Secondo Axel, sia Roxas che Sora lo facevano sentire come se avesse un cuore e forse aveva anche ragione... l’amicizia era alla base del cuore di Sora ed era stato proprio grazie a questa che, quando molto tempo prima Riku gli aveva sottratto il Keyblade, il ragazzo era riuscito a riottenere la sua arma...

Il Keyblade è di chi ha un cuore davvero puro... strano che anche Riku, nonostante tutto, ne avesse uno... ma non importava, del resto, per lui era una fortuna.

Andò avanti a studiare tutta la sera fino a che, ad un tratto, non si sentì stanchissimo e andò a dormire. Aveva bisogno di riposo... l’indomani avrebbe iniziato a cercare i cristalli necessari per costruire la macchina... davvero difficili da trovare.

La fortuna, però fu dalla sua parte: al Colosseo, ormai rimesso a nuovo, era stata organizzata una coppa che, come premio, aveva proprio una di quelle pietre... davvero provvidenziale. Il ragazzo sperò che le cose continuassero ad andare bene per lui...

Si addormentò quasi subito ed ebbe un sonno abbastanza tranquillo.

Il mattino seguente si alzò e fece colazione, poi aprì un varco.

Quando ne uscì era sull’Olimpo e davanti a lui c’era un tavolo per le iscrizioni.

Si registrò e attese, seduto in disparte dagli  altri “eroi” che avrebbero partecipato.

Il torneo iniziò. Il suo turno venne quasi subito.

Era contro un ragazzo alto e muscoloso che utilizzava una grossa spada come se fosse stata un fuscello.

Evocò il Keyblade.

Gong.

L’avversario si gettò all’attacco ma il ragazzo si spostò leggermente di lato in modo che il colpo andasse contro il pavimento.

Prima che il ragazzo potesse sollevare l’arma che miracolosamente non gli era scivolata dalle mani dopo l’impatto con il terreno, si trovò con una lama appoggiata contro la gola.

Diedero la vittoria al nobody, che passò al secondo turno.

Gli altri incontri si susseguirono rapidi e interessanti, ma nessuno era all’altezza del nobody.

La finale arrivò verso mezzogiorno.

I due avversari si presentarono sul ring e lo scontro ebbe inizio.

L’avversario era un uomo gigantesco, sulla quarantina, fisico possente ma agile...

L’uomo si lanciò all’attacco ma il ragazzo schivò il colpo e contrattaccò.

La parata fu pronta, poi un affondo schivato.

Il duello durò qualche minuto poi, all’improvviso, il ragazzo si levò in aria e lanciò una sfera di magia contro l’avversario.

Egli, che non era certo uno sprovveduto, alzò la sua spada come difesa e parò anche questo ennesimo colpo.

Il nobody era furioso... non poteva certo usare tutti i suoi poteri contro quella nullità!

Si lanciò all’attacco a testa bassa, caricando come un toro.

Era esattamente quello che l’uomo aspettava; si spostò a destra e calò un fendente micidiale.

Il ragazzo, accortosi dello sbaglio, decise di rischiare il tutto per tutto. Continuò l’assalto e, quando l’uomo colpì, fece una capriola sul filo della sua spada.

Ci rimise i capelli ma la spada dell’uomo era incastrata a terra e questi non sarebbe riuscito a liberare la lama con tanta facilità.

L’uomo si rese conto che non sarebbe mai riuscito a riprendere la sua arma così non ci provò nemmeno ma, sorprendendo tutti, si gettò di lato.

- Che cosa pensi di fare disarmato? – chiese ridendo il giovane.

- Chi ti dice che io sono disarmato? – replicò con voce sicura l’uomo.

Estrasse dal fodero un’altra spada, fino a quel momento invisibile.

Un lampo di rabbia comparve sul volto del ragazzo.

L’avversario attaccò ma non fu per niente rapido cosa che stupì non poco il nobody

- Che si stia stancando? – pensò, già sicuro che la vittoria fosse nelle sue mani.

Si spostò leggermente di lato e attaccò.

L’uomo, molto esperto, scansò l’attacco e colpì l’arma che aveva perso in precedenza, facendola saltare in aria e prendendola al volo... ora combatteva con due lame.

Attaccò senza aspettare che il nobody reagisse e lo scagliò a terra.

- Dannazione – pensò il ragazzo – Devo reagire!

Si alzò e si mise in posizione d’attacco; l’uomo proruppe in una poderosa risata.

Il nobody attaccò con una velocità incredibile e nemmeno il suo avversario vide che gli era arrivato alle spalle.

Colpì senza pietà, prima le gambe poi, dopo che l’avversario non poté più reggersi in piedi, colpì ai polsi rompendogli le ossa... quel poveraccio non avrebbe potuto più combattere per un bel po’.

Dopo un lungo silenzio, si diede la vittoria al ragazzo che prese il premio e, senza degnare nessuno di una parola o ascoltare i complimenti, se ne andò.

 

***

Note dell’autore: ecco a voi un nuovo capitolo... che ne dite? Sicuramente più corto di quello precedente... cosa pensate del nobody? Ditemi... sono curioso di sapere che cosa ne pensate! Al prossimo capitolo...

Black  Roxas

 

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Capitolo 17
*** Un nuovo viaggio ***


Capitolo 17: Un  nuovo viaggio

 

Topolino guardò Ansem. Erano andati a vedere il torneo e ora erano perplessi: quel ragazzo era davvero formidabile ma non aveva mostrato tutta la sua potenza, era ovvio... inoltre impugnava un Keyblade! Davvero sorprendente.

- Cosa facciamo? – chiese il re

- Nulla, per il momento –

- Non vorrai lasciarlo andare via così! –

- Cosa pensi che dovremmo fare? Lui non ha fatto nulla per cui possiamo dirgli qualche cosa! –

- Dunque? –

- Dunque – disse paziente il saggio – Ce ne torniamo dritti a casa –

- Cosa? Ma sei matto? –

- No, amico mio... gli parleremo quando sarà il momento –

- Va bene – disse il re, rassegnato.

Aprirono un varco e se ne andarono.

Quando arrivarono al castello, trovarono Paperino e Pippo alle prese con alcuni heartless ma, prima che potessero intervenire, la coppia aveva già steso tutti gli avversari.

- Bravi, vedo che fate progressi – disse il re

- Noi... ci stiamo solo allenando un pochino! –

- E fate bene– intervenne il saggio – State facendo enormi progressi! –

- Grazie, signore! –

- Cosa facciamo? – chiese il re quando si furono allontanati dai due, intenti a chiacchierare pochi passi indietro.

- Innanzitutto, direi che noi dovremmo stare qui e mandare Pippo e Paperino a cercare quel ragazzo nei vari mondi... – rispose Ansem

- Perché loro? Non potremmo andare noi? Non me la sento di mandare i ragazzi a compiere una missione tanto pericolosa... –

- Forse hai ragione, ma loro hanno stretto amicizia con molte persone degli altri mondi e, di sicuro, otterrebbero molto più aiuto –

- Si, in effetti se la metti così sono d’accordo –

- Devo andare io ad avvisarli? – chiese il saggio, comprendendo la riluttanza del re.

- No. È compito mio –

- Come preferisci –

Topolino si avviò verso i due.

- Ragazzi... devo affidarvi una missione... – iniziò Topolino quando i due lo guardarono con aria interrogativa.

- Ci dica, siamo pronti! – risposero i due, felici del fatto che il re facesse tanto affidamento su di loro.

- Dovete andare in giro per i mondi e cercare una persona... –

- Chi sarebbe questo tizio? –

- È un nobody secondo noi... e può utilizzare il Keyblade –

- Sembra davvero interessante! Sora può venire con noi? –

Topolino ci rifletté un lungo istante poi disse

- No, lo manderò assieme a Kairi su altri mondi. Mi raccomando, quando lo troverete, non attaccatelo mai: limitatevi a informarmi sul luogo in cui si trova –

Paperino e Pippo fecero una smorfia come per dire che non erano d’accordo, poi annuirono di malavoglia... del resto Topolino rimaneva pur sempre il oro re.

- Dunque... voi visiterete La terra dei Dragoni, Il monte Olimpo, Agrabadh, l’Isola che non c’è e la Giungla Profonda. Dovrete cercare un ragazzo abbastanza alto, capelli argento sfumati di azzurro, casacca come quelli dell’organizzazione... –

- Ma è Riku! –

- No ragazzi, probabilmente è il suo nobody... quindi non può che essere molto potente –

- Bene... dobbiamo muoverci subito Paperino – disse Pippo – Il viaggio promette di essere molto lungo e prima arriviamo meglio sarà per tutti noi –

- Sono molto orgoglioso di voi – disse il re – So che vi farete onore. Ora andate –

I due non se lo fecero ripetere due volte e aprirono un varco... la loro missione era iniziata.

- Bene – pensò Topolino – Ora devo pensare a Kairi e Sora... Riku mi spiace ma dovrà vigilare e basta... so che non sarà d’accordo ma di sicuro gli altri otterranno molta più collaborazione rispetto a lui... ed è ovvio che sia così... lui ha sempre agito in maniera eroica dietro alle quinte e solo in pochi sono disposti a rendergliene merito... mi dispiace per lui, ha delle enormi potenzialità.

Un rumore di passi lo fece tornare alla realtà. Si voltò e vide Ansem che si avvicinava...

- Dunque lascerai Riku da solo sull’isola? A me non sembra proprio una buona idea... sai com’è quel ragazzo... –

- Si, ma che altro potrei fare? Non mi sembra il caso di mandarlo da solo e con gli altri creerebbe diffidenza... –

- La ragazza no? –

- Con quel visino innocente non potrebbe mai crearne –

- Si, in effetti è così... –

- Cosa proponi per Riku? –

- Potremo mandarlo a combattere in ogni torneo... quel ragazzo era interessato al premio... se non l’hai notato ha lasciato la coppa vicino al secondo... ha in mente un piano e quella pietra mi ricorda qualche cosa ma non ricordo con esattezza... –

- È una buona idea... solo... se fosse davvero il Nobody di Riku? –

- Sarebbe il più pericoloso di tutti e, probabilmente, solo il suo somebody potrebbe fermarlo... –

- Hai idea dei poteri che potrebbe avere? –

- Pensandoci... Roxas è nato grazie ad un Keyblade e poteva controllarli... forse, visto che Riku ha ceduto il suo potere all’oscurità... –

- Non voglio neanche considerare quell’opportunità – sentenziò il re – Metterebbe tutti noi in gravissimo pericolo –

I due si recarono alla sala del trono. Lì trovarono Minnie e Paperina e spiegarono loro che cosa stava succedendo; era giusto che, una volta tanto, sapessero quello che stava succedendo. Quasi senza volerlo, però, il re tacque loro riguardo i loro sospetti sulla natura del nobody... del resto, dovevano ancora scoprirne le intenzioni.

- Vogliamo andare subito ad avvertire Sora, Riku e Kairi? – chiese Ansem

- No, credo che sia il caso di dare loro un attimo di riposo... del resto, hanno già lottato ad Atlantica... –

- Si, ma potrebbero iniziare in mondi dove gli Heartless sono pochi, in modo da non dover combattere troppo... –

- In questi tempi, nessun mondo è più sicuro... –

- In effetti è così – ammise il saggio, dopo qualche secondo di silenzio.

Così aspettarono l’indomani a mezzogiorno e poi, dopo aver mangiato, aprirono un varco e vi entrarono.

 

Sora e Kairi erano insieme sulla spiaggia. Ormai era sera e il sole stava tramontando. Sull’acqua i riflessi dorati creavano uno spettacolo mozzafiato.

- Vorrei che questo momento non finisse mai – disse Sora.

- Sono d’accordo – sussurrò la ragazza che si strinse a lui.

Ormai era almeno un’ora che erano lì ma nessuno dei due aveva la minima intenzione di tornare a casa: le rispettive famiglie già si immaginavano che i ragazzi sarebbero rimasti assieme fino a tardi.

Riku era in un altro punto della spiaggia e rifletteva sui possibili motivi dell’aumento improvviso degli heartless.

Quale ne era la ragione? Più ci pensava, più sentiva la risposta sfuggirgli dalle mani. I suoi amici, ovviamente, neanche se la ponevano la domanda... erano troppo impegnati a pensare ad altro.

- In ogni caso, forse una nuova avventura sarà molto utile a tutti...

Si sdraiò guardando i cielo. Chiuse gli occhi e sentì solo il rumore del mare e gli parve che le onde avrebbero portato via tutte le sue preoccupazioni. Si addormentò lì senza che la cosa lo disturbasse minimamente: era da tempo abituato a rimanere lì anche la notte e, di solito, dormendo vicino al mare, riusciva a svegliarsi meno teso del sito e a pensare meglio ai problemi, spesso trovandone la risposta.

Era ormai mezzanotte quando Sora e Kairi decisero di lasciarsi.

Il mattino seguente presentò all’isola un cielo azzurrissimo, privo di nuvole. Il sole era così caldo che i ragazzi si misero gli abiti più leggeri che avevano. Passarono tutto il tempo a giocare a beach volley e, stranamente, anche Riku si unì al gruppo, dimostrandosi un bravissimo giocatore.

A mezzogiorno andarono al bar dell’isola dove mangiarono un panino poi, non visti, tornarono alla spiaggia e impugnarono i Keyblade: era ora dell’allenamento quotidiano. Riku aveva appena parato un colpo dall’alto di Sora che un varco si aprì in mezzo a loro.

Ne uscirono il re ed Ansem.

Vennero accolti calorosamente e rimasero a guardare l’allenamento, le chiacchiere sarebbero arrivate più tardi. Senza volerlo, si allenarono per ben due ore senza mai fermarsi, poi i ragazzi si gettarono a terra, sfiniti. Le armi scomparvero.

- Dunque – iniziò Riku con affanno – Di che cosa dovevate parlarci? –

- Volevamo affidarvi una missione – disse Topolino con voce seria – Sora e Kairi, voi dovrete esplorare alcuni mondi e cercare un nobody. Egli sembra un ragazzo alto, viso aguzzo, occhi azzurri, capelli lunghi fino alle spalle color blu argentato –

- Molto bene – dissero i due, in coro.

- E io? – si affrettò a chiedere Riku – Non vorrà per caso tagliarmi fuori di nuovo!?! –

- Si... – disse Topolino – E no. Tu non andrai a cercare nessuno. Dovrai svolgere un altro compito di cui poi parleremo in privato. Ora, tornando agli altri, ho già mandato Pippo e Paperino su alcuni mondi quindi direi che a voi restano Il Paese delle Meraviglie, le Terre del Branco, la Città di Halloween, Crepuscopoli e Redient Garden. Mi raccomando siate prudenti. –

- Può dirci qualche altro particolare del nobody che dobbiamo cercare? –

- Può usare il Keyblade – rispose con tono asciutto Ansem, sorprendendo tutti – Ed è molto bravo in questo. È un avversario temibile. Come vi ha già detto il re, dovete stare molto attenti –

- Ma solo Roxas poteva usare il Keyblade! –

- A quanto pare no – decretò calmo Topolino – Lo abbiamo visto con i nostri occhi... –

- Va bene, allora partiamo. Arrivederci. Ciao Riku! –

I due aprirono un varco e vi entrarono.

- Chi sarebbe quel nobody? Non mi dica che... – iniziò Riku

- È esattamente quello che temiamo. Lo abbiamo visto all’opera e temiamo che non abbia combattuto al massimo anzi, si sia limitato molto. – rispose Topolino

- Dove ha combattuto? Voglio andarci subito! –

- E ci andrai, di questo puoi esserne certo solo, non subito. Ha combattuto al Colosseo in un torneo in cui mettevano in palio una pietra molto rara. Pensiamo che gli serva a qualche cosa... –

- Ma non sapete cosa ed è per questo che li mandate a cercarlo... – lo anticipò il ragazzo.

Era davvero veloce quando si trattava di arrivare al cuore del problema e Topolino, una volta in più, si stupì. Era davvero raro che una persona così intelligente fosse anche un bravissimo combattente.

- Ora, il prossimo torneo sarà la prossima settimana. Puoi scegliere se venire con noi al castello oppure stare qui. –

- Mi sembra ovvio che vengo con voi! Però voglio che vi alleniate con me durante le attese –

- Come preferisci... – disse Ansem, che non vedeva l’ora di mettersi alla prova con quel ragazzo.

Un sorriso soddisfatto comparve sul volto di Riku.

Topolino aprì un vortice e tutti vi entrarono.

 

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Capitolo 18
*** La disfatta di Ade ***


Capitolo 18: La disfatta di Ade

 

Finalmente aveva quella pietra. Era stato davvero un colpo di fortuna poterla avere così facilmente. Ora aveva bisogno di una pietra ardente e alcune schegge gelanti... poteva comprare dai moguri le steli mithril, quindi quelle non erano un problema.

Decise di andare negli inferi dove si poteva trovare tutto quello che gli occorreva. Aprì un varco e vi entrò.

Quando arrivò, era già sera, così decise di farsi ospitare da Ade. Avrebbe iniziato il giorno seguente le ricerche; per il momento, la cosa migliore da fare era riposare.

Davanti all’entrata della sala del dio degli inferi, c’era Cerbero, con le sue tre teste intente a contendersi un boccone di carne

- È decisamente l’essere più stupido e feroce che io abbia mai visto... penso proprio che dovrò combattere... che noia

Si avvicinò senza preoccuparsi di essere subito notato dal cagnone.

Subitole teste si alzarono con aria minacciosa. Gli occhi erano rossi come tizzoni ardenti.

Attaccarono tutte e tre assieme.

- Penoso – pensò il ragazzo poi saltò in alto, schivando l’attacco.

La testa centrale spalancò le fauci, ma lui vi mise in mezzo il Keyblade che la bloccò in quella scomodissima posizione. Tirò un violentissimo calcio contro la testa, facendo attenzione a non essere colpito dalle altre che, a quanto pareva, sentivano anch’esse il dolore provato dall’altra.

Cerbero cadde ma si rialzò velocemente e provò a sorprendere quello stupefacente avversario con un colpo della coda.

Il nobody si limitò a saltare poi, non soddisfatto, richiamò il Keyblade e inchiodò la coda al suolo.

Cerbero gridò di dolore, poi scappò.

Dall’alto Ade applaudì.

- I miei complimenti, sei davvero sensazionale! –

- Cerco un luogo dove dormire – rispose asciutto il ragazzo, abituato ad arrivare subito al punto.

Ade non aggiunse altro e lo condusse fino ad un appartamento spartano dove un servo portò la cena verso le 20.00; l’alloggio era meglio di quanto il ragazzo si aspettasse: era abituato a dormire sulla nuda pietra e il letto, seppur molto scomodo, era sicuramente molto meglio.

-  Farò meglio a non abituarmi troppo. Non posso concedermi tutti questi comfort.

Dopo aver formulato questo pensiero, si addormentò.

La mattina seguente il ragazzo si svegliò riposato e pronto a intraprendere la ricerca.

- Buon giorno – lo salutò Ade quando si incrociarono – Posso sapere come mai sei qui? –

- Ho bisogno di alcune schegge gelanti e una pietra ardente – rispose asciutto il ragazzo

- Molto bene... si da il caso che io possegga quello che cerchi –

Un lampo di interesse passò per gli occhi del ragazzo, che si affrettò a nasconderlo, ma Ade l’aveva già notato.

Il dio dell’oltretomba continuò come se nulla fosse

- Penso che noi due potremmo avere un accordo –

- Dipende da che cosa vuoi in cambio –

- Ovviamente il prezzo deve essere equivalente... non sono pietre che trovi come se niente fosse: sono rare e difficili da ottenere –

- Lo so. Dimmi che cosa vuoi ma non essere ridicolo e non farmi richieste assurde –

- Va bene – disse i dio sogghignando – Voglio solo la testa di Ercole su un piatto d’argento –

- Condita con olio e aceto magari? Mai, e questo lo sapevi benissimo. Ercole lo posso battere, ma non in un torneo –

- Come preferisci... quindi forse queste – sulla sua mano apparvero le pietre – forse non ti interessano più di tanto –

- Andrò a cercarle da solo –

- Ma bravo, e dove? –

- Qui. Nei tuoi corridoi ce ne sono alcuni giacimenti ben nascosti –

- Certo, ma non ti permetterò mai di prenderli da lì –

- Prova a impedirmelo, se ne hai il coraggio... –

- Tu non puoi competere con me, soprattutto nel mio mondo! –

Il ragazzo rimase in silenzio, aspettando la mossa dell’avversario.

I capelli di Ade si trasformarono da blu intenso a rosso fiammante - Io ti distruggo! – disse il dio con rabbia.

Il ragazzo si limitò ad evocare il suo Keyblade.

Ade attaccò velocemente e scaraventò il ragazzo contro la parete.

- Tutto qui? – lo derise – A quanto pare sei forte solo a parole... –

Il ragazzo sorrise e una leggera aura oscura avvolse il suo corpo

- Con te, stolto, non devo frenarmi! –

Ade ebbe, per la prima volta in vita sua, paura. Quel ragazzo aveva un potere illimitato e lui non avrebbe potuto fare nulla per impedire la disfatta. Nessuna maledizione dell’oltretomba poteva proteggerlo e i suoi colpi appena scalfivano le difese di quel mostro. Doveva assolutamente salvare il suo onore, così decise che la cosa migliore era perdere ed essere al limite distrutto dall’oscurità. Non era esattamente la fine che si era aspettato anzi, a dire il vero, lui non i era mai aspettato una fine.

Fintò a destra ma il ragazzo non si mosse così lo colpì con un pugno infuocato in pieno volto.

Il grido di gioia gli morì in gola quando vide, pochi attimi dopo, che il nobody non si era fatto nulla: neanche un capello bruciacchiato! Era inconcepibile che fosse tutto finito così.

La Keyblade venne calata inesorabilmente su di lui. Era la fine. In un istante, rivide tutta la sua vita e le cattive azioni che aveva commesso, i giochi di potere con la strega Malefica, l’oscurità che albergava nel suo cuore era così pesante che quasi fu felice di non dover più pensare a nulla... essere con coloro che un tempo erano stati suoi sudditi sarebbe stato liberante, niente più pesi o responsabilità, nessun pensiero...

Ade si accorse, però, di essere incredibilmente attaccato ala vita e, all’ultimo istante, si arrese. I suoi capelli tornarono blu e il dio abbassò le braccia.

Il ragazzo rimase stupito e non capì quello che stava accadendo. Se Ade avesse voluto tendergli una trappola, quello era il momento buono ma, stranamente, non giocò sporco; forse qualche cosa era davvero accaduta nel profondo del dio e ma lui non aveva ne tempo ne voglia di indagare.

Il nobody sogghignò soddisfatto e disse – Ora posso andare a prendermi le mie pietre? –

- No, te le do qui io... non c’è bisogno che ti disturbi a scavare –

Detto questo tirò fuori dalla tasca le pietre che, alla luce del pozzo dei morti, luccicavano in modo strano, surreale, quasi malignamente.

- Grazie e arrivederci – disse il ragazzo prima di creare un varco oscuro e tornare verso casa.

Ade, invece, tornò al suo alloggio privato dove sarebbe rimasto per giorni  interi senza vedere mai nessuno; ovviamente, gli dei non hanno bisogno di mangiare in abbondanza e, comunque, Ade pensava che il digiuno gli avrebbe fatto bene.

In quei giorni di isolamento meditò su ciò che doveva fare. Non poteva certo gridare a tutto il mondo che era cambiato ma sentiva che avrebbe dovuto parlarne con qualcuno che poi, discretamente, dicesse agli eroi del suo cambiamento. Solo, non trovava la persona adatta: si vergognava troppo per mandare uno dei suoi demoni e nessuno sarebbe mai sceso da lui se non vi fosse stato costretto.

Avrebbe aspettato e, forse, sarebbe rimasto li per sempre, cercando di isolarsi e nascondersi così da tutti i mali che, solo allora, si rendeva conto di aver commesso.

 

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Capitolo 19
*** Pericolo nella terra dei Dragoni ***


Capitolo 19: Pericolo nella Terra dei Dragoni

 

Pippo e Paperino arrivarono alla Terra dei Dragoni. Era mezzogiorno e il sole era alto nel cielo ma di Mulan nessuna traccia.

- Ma dove sarà finita? Abbiamo una voglia matta di vederla! – pensavano i due.

Il loro varco era apparso sulla Vetta dei Monti dove nessuno avrebbe notato la loro presenza. Come al solito c’erano quattro o cinque heartless che davano loro noia, ma vennero sconfitti dopo appena due minuti di combattimento dai due inviati del re.

Pippo e Paperino si avviarono verso il villaggio dove ora risiedeva Mulan perché la capitale, come diceva lei, era troppo affollata e non le piaceva.

- Forse qui la troviamo – dissero ad alta voce i due ma, quando furono abbastanza vicini, videro delle colonne di fumo salire dalle casa nonostante fosse piena estate!

Il fumo era nero come la pece e i due, pochi metri più avanti, iniziarono sentire odore di bruciato.

Corsero verso le abitazioni ma trovarono macerie ovunque e le ultime parti in legno stavano bruciando creando un alone denso, quasi palpabile.

- Ma cosa è successo qui? – chiese Paperino

- E che ne so io? – ribatté Pippo – Se invece di farci domande senza risposta andassimo alla capitale, forse scopriremmo qualche cosa –

Ogni loro passo li portava dentro quell’orribile spettacolo: le case erano quasi del tutto crollate, vanificando anni di lavoro degli abitanti della Terra dei Dragoni.

Quella desolazione li accompagnò fino all’accampamento e oltre, lasciandoli letteralmente senza fiato. Le piante erano secche, orribilmente contorte, alcune avevano ancora poche foglie anche se davano l’impressione che sarebbero cadute da un momento all’altro.

Quando arrivarono alla capitale rimasero sbalorditi: la gente si era barricata in casa, i negozi erano chiusi, mendicanti chiedevano l’elemosina e i due diedero loro quasi tutti i munny messi da parte in quei tempi.

Arrivarono al palazzo reale e lo trovarono pieno di guardie che si rifiutarono di lascarli entrare

- Ma è una vera ingiustizia! Mi lamenterò con Mulan! – disse Paperino.

- Chi si lamenterà con me? – chiese una voce femminile alle sue spalle.

I due si voltarono.

- Paperino, Pippo! Che gioia rivedervi! Fate largo guardie, questi sono amici fidati e possono andare liberamente dove vogliono –

Le guardie si spostarono di lato e la ragazza riprese – Quando siete arrivati? –

- Giusto ora, per la verità. Ma che cosa succede qui, ultimamente? –

- Siamo stati attaccati. Un enorme drago bianco ci ha colti di sorpresa e noi non abbiamo potuto fare nulla per fermarlo –

- E ora? – chiesero curiosi i due, quasi contemporaneamente

- Adesso – disse la ragazza dando una nota quasi disperata alla parola – Regna incontrastato su tutto il territorio tranne che la capitale –

- Possiamo fare qualche cosa? –

- Sarebbe fantastico ma dubito che voi... a proposito, dov’è Sora? –

- Doveva partire per altri mondi con Kairi... ma forse potremmo andare a cercarlo... due Keyblade saranno di certo più efficaci che uno scudo e uno scettro –

- Molto bene. Vi ringrazio di cuore... senza di voi sarei persa –

- Di nulla –

Detto questo i due partirono alla ricerca dell’amico, aprendo un varco di luce.

Mulan si allontanò, diretta verso le difese della città.

- Speriamo che lo trovino in fretta... non so quanto potremo resistere ancora –

 

I due arrivarono al castello Disney dove trovarono Riku intento negli allenamenti. Non vedendoli, si limitò a puntare il Keyblade alla gola di Pippo che, che si fece riconoscere gridandogli addosso.

- Ma ti sembra il modo di salutare i tuoi amici? Che diavolo hai al posto del cervello, razza di imbranato? –

- Scusa – disse per l’ennesima volta il ragazzo – Ma siete arrivati nel momento sbagliato e... –

- Ok... sai dov’è Sora? – chiese Pippo, cercando di cambiare discorso.

- No, ormai è partito da un po’ di tempo –

- Peccato perché abbiamo decisamente bisogno di aiuto –

- Posso aiutarvi io –

- Davvero lo faresti? –

- Certo, basta avvisare il re –

Detto questo Riku si avviò, raccomandando ai due di rimanere lì. Parlò con Topolino e, dopo aver insistito molto, ottenne la sua approvazione. Partirono subito per il mondo di Mulan.

 

Arrivarono alla capitale che era già sera e la trovarono in uno stato pietoso: le mura esterne ormai erano quasi perse e tutti i soldati erano impegnati a combattere contro un immenso dragone bianco che in quel momento stava scagliando lingue di fuoco contro i suoi avversari.

- Eccoci! – gridarono e iniziarono l’attacco

Paperino spense le fiamme con un getto d’acqua gelida. Il drago si infuriò e si volse verso i nuovi venuti con un ruggito di sfida.

Scagliò una fiammata, prontamente parata da Pippo con il suo scudo.

Riku, non visto, si portò alle spalle della bestia e attaccò alla testa del bestione ma non fu abbastanza silenzioso, così venne colpito dalla coda del gigante.

Si rialzò prima che quella potesse prenderlo e stritolarlo e scansò lateralmente. La coda colpì a vuoto  si schiantò contro il terreno.

Il drago ruggì per il dolore e attaccò con una fiammata.

Paperino, vedendo le fiamme avanzare, lanciò contro la bestia un blocco di ghiaccio che si sciolse solo parzialmente contro la fiamma e colpì sul petto il drago.

Riku lo prese per la coda, sperando di infastidirlo, ma questo non lo degnò della minima attenzione, lanciando fiamme contro i soldati che stavano arrivando.

- Grosso errore sottovalutarmi! – gridò Riku, aggrappandosi agli spuntoni che crescevano sulla schiena del gigantesco animale per arrivare sino al collo.

Il dragone spiccò il volo, andando sempre più in alto.

Faceva freddo.

Riku iniziò a tremare violentemente, le mani facevano sempre più fatica a tenere saldamente la punta.

Paperino guardava impotente la scena. Non poteva aiutare il custode del Keyblade finché il drago rimaneva a quell’altezza; li osservò in silenzio, pronunciando una muta preghiera, poi oltrepassarono il denso strato di nuvole che ricopriva quel mondo.

La luce del sole abbagliò Riku, che dovette trattenersi dal portare le mani agli occhi.

Il drago ruggì, le fiamme sgorgavano dalle sue fauci, ma lui sentiva solo un leggero formicolio.

Riku cercò di usare anche le gambe per tirarsi su, ma esse non gli risposero.

- Sono spacciato – pensò in un momento di lucidità, prima di cadere in una specie di trance in cui l’unica cosa importante era tenere saldamente quella dannata punta.

Il drago riprese a salire, ma iniziava ad essere stanco. Un leggero stato di brina comparve su tutto il suo corpo, ad eccezione delle ali, che continuava a muovere furiosamente per prendere quota.

Volò verso quello che doveva essere il nord per un paio di minuti poi, stremato, si abbandonò ad una corrente ascensionale, che lo portò un paio di metri più in alto.

Il drago capì che non avrebbe resistito oltre.

Puntò la testa e iniziò a scendere verso la terra. La corrente d’aria investì Riku, che sentì lo stomaco ribaltarsi in subbuglio. Aveva la sensazione di avere il cuore in gola.

- Feeeeeeeeeeeeeeeeeeeeermo! – gridò, più che altro per espellere tutta l’aria che aveva nei polmoni. Si sentì subito meglio ma, dopo una decina di secondi in apnea, si accorse di non avere più aria nei polmoni. Inspirò a fondo, ma questo lo portò ad avere un conato di vomito.

- Dannazione! – pensò mentre continuava a stringere spasmodicamente la punta.

Poi le mani scivolarono e lui iniziò a cadere liberamente.

Il drago sentì che qualche cosa era cambiato. Si sentiva più leggero. Alla sua mente stanca ci volle una manciata di secondi prima di capire quello che era successo.

Ruggì, vittorioso e una vampata di fuoco uscì dalle sue labbra.

Riku non sentiva più nulla, nemmeno il vento contro i suo corpo. Si stava lentamente abbandonando, poi vide la capitale.

Capì che quelli erano i suoi ultimi istanti di vita.

Chiuse gli occhi, aspettando l’impatto definitivo.

Paperino vide il corpo si Riku che cadeva, pochi metri più a sinistra.

- Devo aiutarlo! – si disse, ripassando mentalmente tutti gli incantesimi che conosceva.

- Non so che fare! – disse, quando non gli venne in mente nulla per aiutare il ragazzo.

- Puoi fare in modo che il vento soffi alle mie spalle? – chiese improvvisamente Pippo.

- Si, ma... –

- Fallo e basta! Non abbiamo più tempo! –

- Wind! – gridò Paperino e un vento fortissimo iniziò a spirare dalla loro spalle.

Pippo lanciò il suo scudo e vi saltò sopra. Sfrecciò in direzione d Riku, in vento che lo sospingeva...

- Più veloce, più veloce! – si diceva, mentre Riku cadeva inesorabilmente.

Tre metri, il ragazzo era ad una spanna dalla sua testa.

- Ce la posso fare... –

Pippo allungò le braccia.

Lo scudo, che era sollevato un metro da terra, si schiantò quando subì anche il peso del ragazzo.

- Preso! – esclamò Pippo, prima di schiantarsi al suolo.

I due rotolarono per diversi metri prima di fermarsi.

Quando Paperino li raggiunse, erano coperti di lividi.

- Energia! – iniziò a dire il mago di corte, eliminando i lividi più grossi.

In poco tempo, Paperino non aveva più energie, ma nessuno degli altri due provava più il minimo dolore.

Il mago si accasciò al suolo, sfinito.

Un ruggito pervase l’aria, poi una colonna di fuoco si abbatté sul terreno, a diversi metri da loro.

Il drago era tornato per finire quello che aveva iniziato.

Riku fece un movimento della mano, nella quale comparve la sua Keyblade, poi attaccò.

Un’enorme sfera oscura partì dalla punta della lama, arrivando a sfiorare l’avversario, che si era scostato solo di pochi millimetri, facendosi beffe dell’attacco avversario.

Quando la sfera gli fu vicina, però, delle scariche di energia oscura simili a lampi si abbatterono su di lui, in particolare sulle ali; quella più vicina venne squarciata da parte a parte, lasciando passare l’aria  e non permettendogli più di volare.

Il drago atterrò malamente sulle zampe e tutto attorno a lui si alzò un nuvolone di polvere.

Era appena fuori dalle mura della città.

Riku uscì di scatto, seguito a ruota da Pippo, mentre Paperino era troppo stanco anche solo per rimettersi in piedi.

Il drago, quando li vide, lanciò loro un getto di fuoco.

Pippo si mise davanti al custode, riparandolo con il suo scudo.

Riku scattò in avanti, poi con un balzo menò un fendente verso il petto dell’avversario.

IL drago lo vide appena in tempo per scansarsi, ma la sua immensa mole era troppo anche per lui, non riuscì a schivare del tutto l’arma dell’avversario, che lo trafisse tra il collo e l’ala.

Il drago ruggì di dolore, poi lanciò un getto di fiamme contro quell’odioso moscerino che osava attaccarlo. Gli aveva provocato più dolore da solo che tutti gli uomini di quella insulsa terra messi insieme con le loro patetiche armi.

Riku scansò di lato. Era stanco, ma il drago ancora di più, e lo sapeva.

Scivolò tra le sue gambe, poi attaccò la pancia.

Un altro ruggito di dolore.

La coda del drago si mosse fulminea contro Riku, che non ebbe il tempo di spostarsi e venne scaraventato a diversi metri di distanza.

Pippo lanciò il suo scudo contro la tasta del drago, che per tutta risposta lo deviò con un movimento sprezzante.

- Devo tenerlo occupato fino a che Riku non si riprende! –

La Keyblade del ragazzo era ancora incastrata nella pancia del drago e gli causava continue fitte.

Il drago ruggì di nuovo.

Pippo tremò a quel verso, poi attaccò di nuovo, con il solo risultato di infastidire l’avversario.

Riku, intanto, si stava rialzando a fatica. Con un movimento della mano, richiamò la Keyblade.

Dall’addome del drago iniziò a colare sangue.

Riku si avvicinò cauto. Non aveva più molte energie.

Paperino, ripresosi, arrivò dietro ai due e scagliò un Thunder contro il drago.

Il fulmine lo colpì in pieno, ma non ebbe più molto effetto. Il drago doveva essere abituato a volare anche con il maltempo.

Riku fece per attaccare, quando dal drago si levò un gemito sommesso e l’animale si accasciò al suolo, esausto e privo delle forze che l’emorragia all’addome gli stava lentamente consumando.

Le guardie si avvicinarono cautamente e lo colpirono piano con le armi, commentando su quanto pericoloso potesse essere rimanergli vicino. Riku decise che era il caso di ucciderlo quando, nello stupore generale, il drago si alzò e iniziò a parlare!

- Fermi! Vi prego, sono stato disonesto e brutale, ma non voglio morire! Lascerò in pace questo luogo e me ne andrò sulla vetta, anche se lassù è così freddo... – disse con voce spezzata.

- Senti... – disse Mulan – Se volessi, potresti rimanere qui con noi in pace, ma devi aiutarci a ricostruire quello che hai distrutto – disse la giovane con aria risoluta e un sorriso sulle labbra – Paperino, potresti curare il suo taglio? –

Il mago la guardò come se fosse pazza, poi si affrettò ad eseguire.

- Tu sei matta – disse qualcuno tra le guardie.

- Accetto - disse il drago, dopo che il mago ebbe curato le sue ferite

Tutti rimasero sbalorditi dalla risposta del drago.

- Giura che non attaccherai mai più ne le nostre città ne il nostro bestiame – disse Mulan, con tono solenne.

- Lo giuro – replicò il drago – E sappi che la parola della mia razza significa un patto vincolante, che non prendiamo mai alla leggera –

- Mi fido – disse la giovane, che poi si rivolse al terzetto.

- Voi che cosa avete intenzione di fare ora? -

- Noi dovremmo tornare al nostro mondo - disse Riku – Ma prima dobbiamo chiedervi una cosa –

Descrissero a Mulan il ragazzo ma quella negò di aver visto un ragazzo simile mane avrebbe parlato con suo padre e, se avesse avuto delle novità, avrebbe mandato Mushu ad avvisarli. Così Pippo e Paperino ripartirono verso il nuovo mondo e verso nuove avventure.

Riku, invece, rimase ancora qualche minuto a contemplare le bellezze della capitale, poi tornò al castello Disney.

 

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Capitolo 20
*** Un potente heartless ***


Capitolo 20: Un potente heartless

 

Sora e Kairi arrivarono al Paese delle Meraviglie. Non era cambiato nulla rispetto all’ultima volta ma ai due il paese fece un certo effetto.

Tutto era così piccolo e dovettero bere quella disgustosa pozione che li rimpicciolì fino a che non furono talmente piccoli da poter girare indisturbati per quel mondo. La porta, come al solito, era mezza addormentata e si rifiutò di lasciar entrare i due nel tribunale della Regina di Cuori.

Ella era la sovrana più strana che fosse mai esistita: i suoi modi erano un vero problema, era permalosa e dettava le leggi come e quando pareva a lei. Tutte le volte che ne aveva la necessità, faceva una legge che le facesse comodo, che poi eliminava quando cessava la sua utilità.

- Ma che dobbiamo fare? – chiese Sora esasperato.

- Calmo... – ribatté Kairi – Qui è tutto così carino! –

- Carino!?! – esclamò il ragazzo – Qui è tutto una noia mortale! Anche l’altra volta la porta era addormentata... e poi, non possiamo trovare qualche cosa di meglio per rimpicciolirci? –

- Dai, non fare il difficile! Andiamo... –

I due giovani entrarono dalla porta laterale.

Sora fu invaso dai ricordi di quella starna avventura vissuta molto tempo prima. Ancora ricordava quell’heartless a forma di clown che tanto lo aveva fatto penare... storia passata, ora doveva concentrarsi sula sua nuova missione.

Le guardie a forma di carta lo bloccarono con le loro lance ma la voce di una bambina li raggiunse da dietro.

- Calma, ragazzi, sono amici. Possono passare –

Era Alice.

- Ciao! Che piacere rivederti! Capiti proprio al momento giusto – disse Sora

- Il piacere è mio. Non finirò mai di ringraziarti per avermi salvata da Malefica... e lei chi è? – replicò la bambina.

-  Si chiama Kairi –

- Piacere di conoscerti, Alice – disse la ragazza.

Alice li guardò per un istante poi chiese – Siete fidanzati? –

I due arrossirono come peperoni e rimasero in silenzio, imbarazzati.

- Direi di si – riprese la bambina con un sorriso – Ma forse è meglio evitare l’argomento. Parlando d’altro, qui la regina è più magnanima ora... hai davvero compiuto un miracolo, solo... –

Alice esitò.

- Qual è il problema ora? – chiese Sora che nel frattempo si era ripreso

- Lo Stregatto – disse con riluttanza Alice – Si è trasformato in un assassino. Ora non appena vede una carta, la distrugge e la regina è sempre più arrabbiata... temo per la pace che si è instaurata qui... –

- Ci penseremo noi – disse Kairi, sorprendendo tutti per la prontezza di quella risposta.

- Grazie – disse la bambina

I due ragazzi si allontanarono da Alice e si avviarono verso il Bosco di Lato.

L’entrata di quel boschetto era davvero strana: due alberi crescevano storti, curvandosi l’uno verso l’altro formando un arco e i loro rami intrecciati creavano stupendi contrasti tra luce e ombra, che fecero rabbrividire i due ragazzi che indugiarono a lungo su quello spettacolo per qualche secondo, poi ripresero il cammino fino ad arrivare al centro di quella piccola macchia d’alberi.

Lo Stregatto non si fece attendere e arrivò subito nella sua consueta forma, con quel sorriso quasi odioso sempre stampato sulle labbra e la testa che ogni tanto gli cadeva sulle mani; gli occhi, di un colore molto vicino al marrone, erano profondi e penetranti e, se li si guardava bene, davano l’illusione di sapere tutto ma non voler rivelare nulla che non fosse strettamente necessario.

- Benvenuti. Vedo che Alice è già riuscita ad ingannarvi – disse con quel suo modo sicuro e irritante. Era ovvio che si stesse prendendo gioco di loro ma come capire quali erano le sue vere intenzioni? Aiutarli sconfiggere la vera cattiva oppure portarli del tutto fuori strada?

Alice arrivò ma non disse nulla. Sora la avvicinò ma lei decretò che erano loro a dover scegliere di chi fidarsi. Lei doveva solo attendere sperare che la loro fosse la decisione giusta.

- Io credo a lei – disse Kairi. Qualche cosa nell’atteggiamento della bambina la attirava a lei, come una calamita, irresistibile.

Sora fu molto più titubante nella scelta. Il gatto era sempre il solito mentre Alice era diversa, meno bambina e forse troppo brava nel far credere che tutto fosse come l’ultima volta. Kairi la conosceva solo in quel momento ed era naturale che avesse subito preso in simpatia la bambina.

- Non so cosa dire – disse infine Sora - Potreste mentire entrambi –

- Cosa?!? – esclamò Kairi – Secondo te lei ha l’aria di una che sta mentendo? – disse, sforzandosi di mantenere calma la voce, indicando la bambina.

- Non ne sono sicuro, ma entrambi ci nascondono qualche cosa, di questo sono certo –

- Davvero? A me sembra proprio di no invece! Io mi fido di Alice –

- Mai fidarsi cecamente di una persona, esclusi sé stessi – disse il gatto, con l’aria di saperla lunga

- Tu sta zitto! – esclamò la ragazza.

Kairi evocò il Keyblade. A quel punto Sora capì. La finta Alice era riuscita a manipolare Kairi a tal punto che la ragazza avrebbe fatto qualunque cosa le fosse stata chiesta. Il ragazzo non evocò la sua arma ma gli artigli dello Stragatto erano già spuntati, pronti alla difesa.

- Visto? – disse in tono supplicante la bambina – Quel gatto cattivo vuole aggredirmi, difendimi! –

Kairi si lanciò all’attacco, ma Sora le si parò davanti. La ragazza si fermò.

- Non esitare, aiutami! – esclamò la bambina, ma l’attenzione della ragazza era tutta per gli occhi di Sora e sentì a malapena la supplica.

- Non fare stupidaggini – le disse il ragazzo guardandola negli occhi, ma lei fuggì al suo sguardo.

- Io... – Kairi non fu capace di andare avanti. Una parte di lei, nel profondo, le impediva di colpire quel ragazzo che si metteva davanti al gatto. Non lo riconosceva più, ma nel suo aspetto, la sua voce, la sua determinazione le erano così familiari...

Sora si avvicinò di un passo.

- Ma che sta facendo? – si chiese Kairi – Perché non lo posso colpire? –

Il ragazzo fece un altro passo nella sua direzione. Ormai erano a meno di un passo, gli occhi dell’una a pochi centimetri da quelli dell’altro.

- Kairi, guardami. Lo sai che quello che stai facendo è sbagliato, vieni con me... –

Le prese la mano.

A quel contatto la sua mente si aprì e Kairi capì tutto: gli inganni, le parole amichevoli, la finta ingenuità.

Si girò lentamente.

- Dov’è Alice – disse con una calma che era tutta apparenza. Dentro di lei la rabbia montava furiosa, voleva uscire e la spingeva a uccidere quell’essere che si spacciava per Alice.

L’espressione di Alice non era ne spaventata ne tanto meno dubbiosa. Il suo volto era una maschera di ghiaccio, sulla quale non si leggeva nessuna emozione.

- L’avete voluto voi – disse, la voce totalmente prima di emozioni.

La bambina si trasformò. Iniziò a crescere fino ad arrivare a due metri contro i loro venti centimetri. Il suo corpo iniziò a contorcersi e divenne completamente nero, il simbolo degli heartless evidente sul petto.

Il viso era sfigurato e ora assomigliava molto più a quello di un serpente: era allungato, gli occhi distanti fra loro e una lingua biforcuta usciva ogni tanto da una bocca che spesso lasciava scoperti denti affilati.

Il resto del corpo manteneva sembianza quasi umane, con fili simili a catene che scendevano dalle braccia e le gambe erano ricoperte di scaglie.

I due ragazzi evocarono di nuovo i Keyblade e si lanciarono all’attacco, ma subito il mostro li ricacciò indietro. Era troppo grosso e potente e loro non potevano riprendere le loro dimensioni.

Sora corse verso l’avversario e saltò per evitare che il braccio lo colpisse. Si appese ad una delle catene e iniziò ad arrampicarsi mentre Kairi, capito il piano del ragazzo, distraeva il mostro colpendolo sulle gambe.

Indisturbato, Sora arrivò all’altezza del petto e guardò giù. Fu un grosso errore, perché fu preso da un colpo di vertigini. Si tenne ben saldo alla corda, ma non riuscì a smettere di guardare il terreno. Poi vide Kairi che combatteva allo stremo per dargli un po’ di tempo e si fece coraggio. Riprese la scalata e salì ancora qualche centimetro e arrivò alla spalla.

L’heartless capì e cercò di scrollarsi il ragazzino di dosso e iniziò a muoversi senza una direzione precisa.

Sora notò che non riusciva a portare le mani sulle spalle, come se non avesse gomito.

- Ecco il tuo punto debole, bruttissimo! – pensò il ragazzo che però stava perdendo l’equilibrio.

Decise di giocarsi il tutto per tutto e piantò il Keyblade in profondità nella carne, aggrappandosi poi ad esso con tutte le sue forze.

Kairi, intanto, si era allontanata dall’heartless e guardava impotente la scena. Sora aveva appena fatto una mossa molto rischiosa e temeva che potesse pagare caro quell’azzardo. La parte della spalla dove il Keyblade era affondato si staccò di netto. Sora non se l’aspettava di certo e cadde rovinosamente. Il volo da quell’altezza gli sarebbe stato fatale e lui ne era consapevole ma capì anche che ora il nemico doveva essere fermo. Richiamò il Keyblade e prese la mira. Lo lanciò con tutta la forza che gli era rimasta contro il simbolo impresso sul petto.

La Catena Regale trafisse il mostro da parte a parte, poi usci e si conficcò nel muro.

Sora continuava la sua discesa, quasi come se il tempo si fosse fermato e la sua caduta fosse destinata a continuare in eterno.

Tutto accadeva molto lentamente attorno a lui, ma il ragazzo aveva una sola consapevolezza: era arrivata la fine.

Kairi rimase ferma, impotente di fronte alla caduta del ragazzo.

Tutto si svolgeva così velocemente che solo dopo la ragazza avrebbe capito che cosa era successo con esattezza.

Lo Stregatto si tolse la testa e la lanciò contro Sora con una tale violenza che il ragazzo venne scagliato contro la un albero.

Arrivò esattamente sul nido d’uccello gigante e lì svenne, circondato da uova grosse il doppio di lui. Kairi lo raggiunse, balzando su alcuni funghi e poi sul ramo dell’albero, ma lo Stregatto le impedì di svegliare il custode.

- È meglio lasciarlo riposare. Tu hai un altro compito: devi trovare la vera Alice. È tenuta prigioniera in quella casa bizzarra laggiù – disse indicando con la zampa un punto non troppo lontano.

- Vado – acconsentì la ragazza dopo essere scesa dal nido. Si avviò e la strada le costò meno tempo del previsto.

Nella casa tutto era avvolto in un’oscurità perenne e Kairi ne ebbe paura. Sentì un rumore di passi vicino a lei ma non riuscì a distinguere nessuno.

Un brusio attirò la sua attenzione. Avanzò in quella direzione e sbatté contro un muro. Lo seguì fino a quando toccò un anello in metallo. Iniziò a tastarlo disperatamente, alla ricerca di una torcia.

- Ti prego, ti prego... –

La toccò.

- Sì! –

Cercò di sfilarla dall’anello, me senza alcun risultato.

- Non importa... – si disse.

- Fire! – disse, puntando la Key verso l’anello.

La accese senza esitazioni e allora ne scorse un’altra e poi un’altra ancora. Le accese tutte e le ombre si rifugiarono in piccoli spazi ristretti.

La stanza in cui si trovava aveva solo la porta da cui era entrata la ragazza e una dal lato opposto.

Kairi entrò nella seconda stanza e la trovò molto ben illuminata, più di prima. Apparve lo Stregatto, con quel suo solito sorrisetto odioso.

- Qui la luce potrebbe alquanto confonderti... – disse con fare enigmatico, poi sparì senza più proferire parola.

La stanza era piena di porte, alcune addirittura volanti. Le aprì tutte, dalla prima all’ultima, ma trovò sempre vicoli ciechi.

- Dannazione! – disse fra se e se.

Pensò alle parole dello Stregatto ma non trovò alcuna risposta. La luce non proveniva da lampade o torce, ma sembrava essere magica, e lei non sarebbe mai riuscita e spegnerla.

Era a due passi da una porta che inciampò e cadde. Nella caduta chiuse gli occhi, aspettandosi di sbattere contro il legno, ma arrivò diretta al pavimento. Aprì gli occhi e vide di essere in mezzo alla porta: metà corpo da una parte e il resto dall’altra.

Un incredibile senso di costrizione la avvolse, attenagliandole lo stomaco.

- Non capisco – pensò disperata – Non può essere! È come se la porta fosse... –

Le venne l’illuminazione. Capì che le porte erano tutte finzioni e non doveva spegnere la luce, ma non usarla nella sua ricerca, tenendo gli occhi chiusi. Uno stratagemma davvero ingegnoso. Toccò la parete e da lì percorse tutta la superficie della stanza ma niente. Le sue certezze iniziarono a vacillare, poi un pensiero la la colpì – Forse la porta è collegata alla prossima stanza per mezzo della magia e non tocca le pareti! –

La ragazza iniziò a perlustrare la stanza con gli occhi sempre serrati, con sicurezza sempre maggiore. All’improvviso, le sue mani toccarono qualche cosa di ruvido, diverso da tutto quello che aveva sentito prima di quel momento nella stanza. Spinse e l’oggetto si spostò. Senza esitare, fece alcuni passi avanti e sentì la magia avvolgerla e portarla in un altro luogo.

Era una stranissima sensazione, un calore che la avvolgeva piacevolmente, senza però lasciarle alcuna scelta: non poteva fermarsi, la magia la trascinava inesorabilmente. Quando sentì i piedi sul pavimento, tenne gli occhi chiusi ancora qualche minuto, come se volesse essere certa di dove fosse giunta. Poi li aprì e si trovò in uno sgabuzzino infido, piccolo e maleodorante. In fondo c’era un lettino e su esso si scorgeva una figura esile.

Si avvicinò con cautela e scorse la bambina che stava cercando, esile e molto magra, come che ha patito la fame per giorni.

La bambina guardò negli occhi la nuova venuta, ma non ebbe la forza di dirle nulla, era troppo stanca.

Kairi le si avvicinò e le sussurrò parole rassicuranti all’orecchio, poi la prese in braccio e ripercorse a ritroso le stanza, finché non arrivò alla porta di legno, che stavolta era evidente contro la parete.

Nella stanza precedente, le porte erano scomparse, lasciando solo l’uscita.

La porta che aveva attraversato era proprio al centro della stanza.

Kairi sorrise.

- Così facile eppure, se il gatto non mi avesse aiutata... –

Uscì in fretta. Nella prima stanza le luci erano ancora accese e Kairi si diresse verso l’aria aperta, e quando attraversò la porta si trovò di nuovo nel Bosco di Lato.

Il vento le accarezzava la pelle, una sensazione piacevole, che le fece venire un brivido.

 

Sora si era appena svegliato. Si trovò davanti lo Stregatto sorridente, calmo e tranquillo.

- La tua amica ha ritrovato Alice – disse senza preamboli, stranamente senza indovinelli – So che trovi strana questa mia chiarezza, ma ti sei appena svegliato e non voglio certo che parli male di me alla regina. Mi dà sempre dei dolci così buoni –

Disse quell’ultima frase quasi a se stesso, quasi fosse una semplice considerazione.

- Perché mi dici questo? – chiese curioso il ragazzo

- Ormai mi sono addolcito, senza più tutti quegli heartless, non posso più essere enigmatico, perché non ci sono più enigmi! Ora molti mi considerano solo un dolce gattino! –

- Un dolce gattino – Sora pensò all’enormità di quell’affermazione. Tutto stava cambiando e lui solo ora iniziava a capirlo. Forse era vero che c’erano troppi buoni e niente cattivi. Doveva esserci un certo equilibrio e la luce non doveva cercare di prevalere sull’ombra le due dovevano compensarsi a vicenda.

- Pensieri davvero profondi – il gatto interruppe i suoi pensieri in modo fin troppo brusco.

- Grazie di avermi distolto – replicò Sora.

- Volevo solo dirti che la tua ragazza sta tornando –

Sora arrossì di colpo, ma cercò di ricomporsi e, quando Kairi arrivò sul nido, il colorito del ragazzo era tornato normale e lei non si accorse di nulla. Teneva la mano ad una bambina che assomigliava moltissimo ad Alice, ma Sora stentò a riconoscere la bambina timida che aveva incontrato tempo prima. Era dimagrita e sembrava che non mangiasse da parecchi giorni.

Lo Stregatto le offrì un panino, che fece comparire dal nulla.

- Chissà come fa... – si chiese Sora, con un sorriso.

A giudicare dal suo appetito, il ragazzo immaginò che la bambina avesse davvero digiunato, anche se, probabilmente, non per sua scelta.

La bambina era cambiata anche nel profondo: il gatto notò subito che Alice non parlava e si era chiusa in se stessa. Qualche cosa non andava ma non riusciva a capire che cosa. Forse non lo avrebbe capito mai e questo pensiero lo metteva a disagio.

Cercò di avvicinarla, di farla ridere ma tutti i suoi tentativi furono inutili. Lo Stregatto era davvero di malumore e anche il suo tipico sorriso era svanito dalle labbra, anche se cercava di comportarsi come se nulla fosse.

- Cosa credi che dovremmo fare? – chiese Sora poco tempo dopo. Non sapeva bene a chi l’avesse chiesto, ma la voce della regina di cuori lo raggiunse da dietro.

- Io e Alice, in questo periodo, ci siamo avvicinate molto. Poi è cambiata e non ci siamo più parlate. Quando il coniglio è venuto a raccontarmi dello scontro, mi sono liberata il prima possibile e mi sono fiondata qui. A lei posso pensarci io. Voi dovreste andare. Se non mi sbaglio, siete qui per un motivo, ma nessuno sa quale possa essere –

- Stiamo cercando una persona – disse Sora e descrisse il nobody.

- Qui non c’è nessuno che corrisponda a quella persona, ma emanerò subito un mandato di cattura e, se si farà vivo, manderò qualcuno ad avvisarti –

- La tua offerta è molto gentile, ma forse è meglio che mandi il tuo emissario al castello Disney dove troverà re Topolino. È meglio che parli con lui. Per quanto riguarda Alice, sono d’accordo nel lasciarla alle tue cure. Tornerò per assicurarmi che stia bene –

La regina si allontanò mentre il ragazzo rimase fermo, a riflettere su quanto era successo.

Rimase in quella posizione per qualche minuto, poi Kairi lo scosse dolcemente.

- Che cosa facciamo? –

- Ci ho già pensato io. La Regina di Cuori mi ha promesso che si prenderà cura di lei. Noi abbiamo una missione, che di certo non finisce ora –

La voce era sicura, ma la ragazza lesse nel suo sguardo l’incertezza.

-Andiamo – disse, anche se con riluttanza – Ma prima andiamo a salutare tutti –

Così fecero e, pochi minuti dopo, aprirono il varco.

- Arrivederci – disse loro Alice, che nel frattempo aveva mangiato ancora trangugiando tutto con ingordigia.

La faccina sorridete della bambina fu l’ultima cosa che i due ragazzi videro, poi la luce li avvolse completamente.

 

Note dell’autore

Chiedo scusa a tutti i lettori per la lentezza prima di aggiungere questo nuovo capitolo...

Grazie a tutti coloro che continuano a leggere...

Al prossimo capitolo!!!

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Capitolo 21
*** Alla ricerca di Sora ***


Capitolo 21: Alla ricerca di Sora

 

Il ragazzo era tornato alla sua dimora. Si tolse il suo cappuccio e i capelli fluenti uscirono, ribelli.

Accese il forno appoggiato sul tavolino, poi mise del metallo. Usò i sui poteri e il calore aumentò, fondendo il pezzo e lasciandolo in n contenitore. Sul suo viso iniziarono a scorrere gocce di sudore, che vennero asciugate con la manica dell’abito nero.

Il nobody iniziò ad usare la magia per plasmare quel liquido e ottenne un basamento perfetto.

- Ecco un altro problema! Il metallo che serve per creare il macchinario è moltissimo e io non posso certo comprarlo! Di certo non mi metterò a lavorare, ma forse posso ottenerlo in altro modo... –

Finì di formulare quel pensiero che era già in strada e correva verso l’officina più vicina. Lì costruivano spade e altre armi, e i loro magazzini erano sempre molto ben forniti, esattamente quello che serviva a lui. Si avvolse nell’oscurità in modo che nessuno lo vedesse e passò a fianco della clientela, indisturbato. Il luogo era parecchio affollato.

- Bene – pensò il ragazzo –Almeno non morirà di fame dopo che gli avrò tolto quasi tutto il metallo che possiede...

Passò dal retro e svoltò l’angolo. Si trovò faccia a faccia con un enorme cane da guardia che, pur non vedendolo, iniziò a fiutare nella sua direzione. Si spostò rapidamente, cercando di non fare nemmeno il minimo rumore, per non dover essere obbligato a uccidere il cane. Provò pena per quell’animale, obbligato a fare la guardia per un boccone o due di carne per pasto. Provare sentimenti lo aveva sempre infastidito, era davvero patetico, ma presto si sarebbe riunito con il suo somebody pur continuando a controllare il suo corpo. Roxas era un fallito, per questo Sora aveva avuto il sopravvento, ma tutto sarebbe cambiato. Avrebbe istruito la Chiave del Destino e ne avrebbe fatto un suo fedele aiutante. Non gli avrebbe nascosto nulla, in modo da ottenere con facilità la sua fiducia. Aveva già programmato tutto ed era pronto ad ogni cosa per riportare in vita l’organizzazione.

Riprese a camminare e arrivò fino al magazzino dove trovò enormi scatoloni. La quantità era davvero enorme e avrebbe avuto bisogno della metà di tutta quella roba.

Creò un varco oscuro e vi spinse dentro tutte le casse tranne una dozzina. L’uomo che lavorava lì non sarebbe stato del tutto scoperto e doveva essergli grato per quello. Il ragazzo attraversò il varco richiudendolo appena dopo il suo passaggio e arrivando così fino alla sua spartana dimora. Iniziò subito a fondere e lavorare il metallo e, per finire la macchina, gli occorse tutta la notte e metà del giorno seguente anche perché dovette consultare molte volte le istruzioni: il progetto era davvero molto complesso.

Tutto ora era pronto: doveva solo riportare alla luce Roxas. La parte più difficile arrivava adesso perché sconfiggere Sora non si sarebbe certo rivelato un compito semplice, soprattutto dopo che si era fuso a quel livello con il suo nobody.

Un dubbio gli balenò in mente: - E se la macchina non fosse adatta? Ansem aveva fatto calcoli solo per un livello di fusione medio - basso, ma ora tutto era cambiato e lui non era capace di ripetere i calcoli dello studioso, molto più in gamba di lui-

Quel giorno fu teso e la notte seguente si non addormentò che alle cinque. Dormì a lungo, senza svegliarsi ma sognando vari scenari in cui affrontava Sora e scopriva sempre che era nettamente inferiore al suo avversario. Nonostante continuasse a gridare e sentisse i colpi sognati come reali, non si svegliò che alle quattro del pomeriggio e la prima cosa che fece fu dannarsi per essere rimasto addormentato per tutto quel tempo.

- E ora procediamo – si disse il ragazzo dopo essersi ripreso – Andiamo a cercare Sora e bando ai dubbi, la macchina funzionerà perfettamente e Roxas sarà mio

Pensò a dove potesse essere il ragazzo e provò nel luogo più ovvio: l’Isola del Destino. Aprì un varco oscuro e vi entrò.

Quando raggiunse la destinazione, il cielo si stava già scurendo, a causa della lontananza dei pianeti, infatti, questi ricevevano luce in diversi momenti, quindi il nobody non si stupì troppo della differenza di orario. Non si fermò a mangiare, ma si diresse alla spiaggia, dove incontrò Wakka.

- Ciao, ho bisogno di un’informazione –

- Certo, spara – disse il ragazzo, senza preoccuparsi minimamente del fatto che non conosceva il ragazzo che aveva di fronte.

- Sai dov’è Sora? –

- No, qui non lo vediamo da diverso tempo...  e adesso che ci penso non si vedono più neanche Riku e Kairi! Speriamo che quei tre disperati non abbiano intenzione di passare nelle loro camere tutta l’estate! –

Wakka, ormai, stava parlando quasi da solo e il ragazzo lo lasciò perdere. Decise che, per sicurezza, avrebbe controllato a casa di Sora, ma era già sicuro che non sarebbe riuscito a trovarlo lì. Probabilmente era partito con l’intento di trovarlo...

- Come è strano il destino! – pensò fra se e se il ragazzo, mentre camminava. Prima che se ne potesse accorgere, arrivò al luogo cercato.

Si riscosse e bussò. Il luogo gli dava dei ricordi felici, che si affrettò a nascondere in un angolo della sua mente.

Alla porta si affacciò una donna sulla quarantina, presumibilmente la madre di Sora.

- Possa aiutarti? –

- In effetti si... sto cercando Sora –

Il viso della donna si fece preoccupato – Mi spiace, ma è partito per un lungo viaggio assieme ai suoi amici e tornerà solo fra molto tempo... il fatto è che non mi ha mai mandato sue notizie, quindi non posso neanche sapere se sta bene –

- Suo figlio è un ragazzo in gamba, signora. Sono convinto che sta meglio di noi –

Un sorriso grato comparve sul volto della madre e il nobody si allontanò, infuriato con se stesso per quella gentilezza non richiesta. Era stato strano per lui. Quel gesto gli era stato naturale, come se gli fosse arrivato dal profondo del cuore ma questo, ovviamente, era impossibile: i nobody non hanno un cuore.

Sull’isola non Sora non c’era. Con questa convinzione, il nobody si avviò vesso la spiaggia, riflettendo sul prossimo luogo dove sarebbe dovuto andare. Il castello Disney era il più indicato, ma lì avrebbe trovato Ansem e Topolino. Due Keyblade non erano certo da prendere sottogamba, anche se, con i suoi poteri, alla fine avrebbe avuto la meglio. C’era anche la possibilità che ci fosse anche un terzo avversario, Riku e a quel punto per lui non ci sarebbe stata speranza. Erano pochissime le persone che potevano contrastarlo, primo fra tutti Riku, il suo somebody. Il secondo era Sora, ma con lui lo scontro non poteva essere evitato se voleva riportare in vita Roxas.

Era arrivato alla spiaggia, ma non se ne accorse, tanto era intento nei suoi pensieri. Quando si accorse di essere rimasto davanti all’acqua come un cretino per chissà quanto tempo, si riscosse, ma non se ne andò. Si lasciò cullare dal suono delle onde fino ad addormentarsi, esattamente come succedeva, di tanto in tanto, a Riku.

Il mattino si svegliò riposato e in forma, pronto a riprendere la ricerca. Sarebbe andato a Redient Garden, dove forse Merlino o Leon avrebbero potuto, inconsapevolmente, aiutarlo nella ricerca.

Aprì il varco oscuro con sicurezza ed energia, tanto che ne creò uno di potenza doppia, rischioso ma molto più veloce. Quel giorno si sentiva bene e pensava che tutto sarebbe andato per il verso giusto, quindi entrò, incurante del pericolo.

Quando ne uscì non era esattamente dove avrebbe voluto. Si trovava oltre la zona in costruzione e lì incontrò Sephiroth. Era strano, ma quando uscì dal varco l’uomo era a due passi, quasi come se lo stesse aspettando.

Si stupì che quel nobody potesse essere ancora lì dopo che si era battuto prima con Sora e poi con Cloud tempo prima. Avrebbe dovuto affrontarlo o si sarebbe alleato con quella potenza?

 

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Capitolo 22
*** Il torneo ***


Capitolo 22: Il torneo

 

Al castello Disney tutto procedeva per il meglio. Dopo il ritorno di Riku la vita non era cambiata di una virgola e al ragazzo la situazione piaceva.

Gli allenamenti erano stabiliti a certi orari e per il resto del tempo poteva fare quello che più voleva, senza che nessuno lo disturbasse. Passava la maggior parte del tempo in biblioteca, a leggere testi di tutti i generi, ma aveva una predilezione per quelli in cui erano descritte tecniche di combattimento e piccoli accorgimenti che, come notava in allenamento, potevano essere molto utili.

La settimana procedette senza alcun fatto particolarmente strano e il giorno del torneo arrivò prima di quanto tutti si fossero aspettati.

Riku si disse pronto e andò subito all’Olimpo, seguito a ruota da Topolino. Una volta giunti a destinazione, il re si diede  un’occhiata intorno, ma non vide il ragazzo che gli interessava, così informò Riku della mancanza.

- Non importa – rispose subito il ragazzo – Vorrà dire che sarà solo un allenamento un po’ più intenso –

- Come preferisci. Il banco delle iscrizioni è laggiù. Io qui non ho nulla da fare, quindi con il tuo permesso... –

- Certo Topolino, vai pure, qui li sistemo in quattro e quattr’otto e ti raggiungo –

- Va bene, ma fai attenzione. Mai sottovalutare l’avversario –

- Grazie del consiglio, lo terrò a mente. Ora vado, ciao –

Detto questo il ragazzo si mise in coda per la iscrizioni.

Il torneo iniziò verso mezzogiorno, ma gli incontri preliminari furono molto rapidi, quindi si passò subito agli incontri successivi.

Riku non volle strafare, quindi si limitò a far volare lontano l’arma dell’avversario. Nessun colpo spettacolare o cose del genere, quindi non ottenne molta approvazione dal pubblico, cosa che, ovviamente, non gli interessava per niente.

I concorrenti erano molti e il ragazzo dovette attendere molto prima di poter combattere di nuovo ma, alla fine, arrivò anche il suo turno. Salì al centro del ring, evocò il Keyblade ma tenne l’arma abbassata, aspettando l’avversario che arrivò con due minuti di ritardo.

- Scusa per l’attesa piccolo. Tanto non importa, dubito che tu abbia fretta di essere distrutto –

- Il tuo atteggiamento impertinente potrebbe costarti caro, amico –

Riku disse l’ultima parola con sarcasmo, prendendo in giro l’avversario che cadde nella trappola. Quando il gong suonò, si gettò all’attacco ma Riku era troppo veloce e, dopo essersi spostato lateralmente, con un guizzo del polso fece volare la spada dell’avversario dall’altra parte del ring.

- Il vincitore è... –

- Aspetti – disse Riku, ridacchiando – Forse il mio avversario ha solo perso la concentrazione, lasciamo che riprenda la sua arma e che dimostri a tutti quanto è forte! –

Riku guardò con aria strafottente il suo avversario che andava con calma dall’altra parte del ring. Era un ragazzo sulla ventina, alto e biondo, fisico atletico. Probabilmente il preferito delle ragazzine... peccato che avesse incontrato un custode, sarebbe potuto arrivare molto più in alto.

Riku gli lanciò il Keyblade a pochi centimetri di distanza.

- Ma che diavolo fai? – chiese sorpreso il ragazzo

- Voglio solo mostrarti una cosa –

Il ragazzo guardò Riku di sasso mentre, con un brusco movimento della mano, richiamava la sua arma.

- Io mi ritiro – disse, fra lo stupore generale – Non sono un avversario degno per uno come lui –

- L’incontro è finito. Il vincitore è Riku! –

La voce di Ercole, commentatore eccezionale per quel torneo, si fece sentire forte e chiara in ogni angolo dello stadio.

Gli incontri si susseguirono uno dopo l’altro con colpi di scena e vittorie all’ultimo secondo, ma a Riku non importava nulla. Quello era solo un allenamento un po’ più lungo e noioso in vista dello scontro con il suo nobody. Forse si sarebbero anche ricongiunti, alla fine. Riku non sapeva se quello era esattamente quello che voleva... lui voleva dipendere solo dalla luce, mentre il suo nobody faceva parte dell’oscurità e non era convinto di voler farsi carico di quella parte di se stesso. Si riscosse sentendosi chiamare da Ercole. Doveva tornare sul ring per il suo terzo incontro. Si alzò lentamente e iniziò a camminare verso il ring, senza fretta, aveva ancora qualche minuto.

Salì che il suo avversario non era ancora arrivato e la cosa lo fece arrabbiare non poco. Si costrinse a rimanere calmo quando il giovane salì con l’aria da sbruffone.

Non stette neanche a vedere come era messo fisicamente o osservarne i dettagli. Quando il gong suonò si catapultò contro l’avversario e, prima che potesse fare qualche cosa, questi si trovò la lama puntata sulla gola. L’incontro era durato poco ma il pubblico aveva gradito la schiettezza del ragazzo, che ora iniziava a piacere ala gente.

Riku tornò ai propri pensieri. Oramai era arrivato alle semifinali, un incontro abbastanza serio, finalmente. Non voleva vincere a tutti i costi, del resto era solo un allenamento. Abbandono in fretta quei pensieri, riflettendo poi su quanto potesse essere difficile battere il suo nobody. Fino ad allora era stato abbastanza astratto come concetto, ma ora stava diventando sempre più reale e il momento si avvicinava sempre più

- Sora saprebbe cosa dire ora...

Si stupì di quel pensiero, giunto così inatteso ma naturale e si rese conto, per l’ennesima volta, di quanto fosse fortunato ad avere un amico come Sora. Lui era un tipo così spontaneo, pensava in modo pratico e si sarebbe gettato da un ponte per i suoi amici. Forse era fin troppo legato a quelle emozioni che gli davano la forza di reagire e di continuare a lottare... i suoi amici erano la sua forza, il motivo per andare avanti nonostante le difficoltà, la certezza che, alla fine, sarebbero tornati tutti insieme, amici come prima nonostante tutti i cambiamenti.

- E ora ecco l’incontro di semifinale che vede Riku contro Pietro! –

Il nome del suo avversario non gli era nuovo, ma non capiva dove lo avesse già sentito. Quando il suo avversario salì sul ring, lo riconobbe: era l’aiutante di Malefica quando aveva creato quell’esercito di heartless!

Quando Pietro vide il suo avversario e capì chi fosse, rabbrividì. Da quando Malefica, all’insaputa di tutti, lo aveva cacciato dopo la sconfitta del suo esercito di heartless, aveva provato a non combinare casini: lavorava per guadagnarsi dei munny, faceva di tutto per non attirare l’attenzione, ma la passione per la lotta gli era rimasta quindi, se era libero, partecipava ai tornei del Monte Olimpo. Ebbe paura ma non lo diede a vedere anzi, con coraggio tirò fuori la sua lama. Pietro era cambiato anche nell’aspetto. Era dimagrito e presentava un fisico atletico anche se ancora si poteva notare qualche chiletto di troppo sulla pancia. Il suo abbigliamento stupì Riku: aveva un vestito rosso uguale a quello di Sora

- Come hai fatto ad ottenere quel vestito, e che trucchetti speri di usare per battermi? –

- Immaginavo che non ti saresti fidato di me, amico di Sora. Ma sappi che sono cambiato e questo abito l’ho acquistato dalle tre fate alla torre del vecchio mago... –

- Non credo neanche ad una parola – disse Riku seccamente, senza badare al fatto che l’incontro era già iniziato

- Penso che il modo migliore di dimostrartelo sia combattendo! – ribatté Pietro mettendosi in posizione.

- Molto bene, comunque chiamami Riku la prossima volta –

Riku disse le ultime parole sarcasticamente, mettendosi a sua volta in posizione.

- Arrivo! – avvertì Pietro prima di scagliarsi all’attacco, senza troppa foga.

Il duello iniziò ma i due si stavano solo studiando. Pietro non poté capire molto della tecnica dell’avversario, troppo in gamba per mostrare le sue capacità sin dall’inizio. Riku, invece, ammirò la tecnica pulita e i movimenti fluidi dell’avversario e si concentrò, pregustando finalmente un incontro dego di uno come lui.

Pietro attaccò menando un fendente da destra, parato dal Keyblade di Riku, poi si abbassò e puntò alle gambe, ma il ragazzo saltò e sferrò un colpo dall’alto, senza però avere nessun effetto perché l’avversario si spostò velocemente di lato, facendo in modo che l’arma si bloccasse a terra.

Riku, con un gesto atletico, saltò due metri indietro poi, con un gesto della mano, richiamò la Keyblade.

Pietro rimase stupito ma non abbassò la guardia così, quando Riku si lanciò contro di lui, parò l’affondo e fece uno sgambetto al ragazzo che inciampò e cadde ma rotolò a lato e stavolta fu l’arma di Pietro a incastrarsi nel ring ma l’uomo, con un secco strattone, la riprese. Nel frattempo Riku si era alzato e correva verso Pietro. La situazione era decisamente alla pari, ma nessuno dei due voleva ammetterlo e combattevano con tutte le forze, convinti che il prossimo colpo sarebbe stato quello vincente. I colpi di scena non mancarono ma, dopo mezz’ora di combattimento senza tregue, entrambi erano stremati e sapevano che, al primo passo falso, si sarebbero traditi, così perdendo l’incontro.

Si scagliarono nello stesso istante e le loro lame si incontrarono di nuovo, sprizzando scintille tutto intorno. Entrambi avevano vari graffi e ferite, di cui nessuna grave ma tutte molto dolorose; facevano del loro meglio per non pensarci, ma risultava sempre più difficile ignorarle.

Si allontanarono di nuovo, esausti. Riku si pentì di non aver mai voluto imparare qualche magia, ma era inutile piangere sul latte versato, soprattutto in quel momento.

Pietro, invece, non pesò neanche per un momento di essere disonesto; durante tutto quel combattimento era stato esemplare e, piuttosto che barare, avrebbe preferito perdere con dignità, del resto Riku era al suo livello e poteva vincere, doveva solo crederci.

Pietro si lanciò in un ennesimo attacco, subito imitato da Riku. Si incrociarono di nuovo: nulla di fatto. Le lame restarono a contatto in una prova di forza che li vedeva alla pari. Tutto era inutile e si resero conto che avrebbe vinto quello che avrebbe resistito di più a quello strazio.

Riku attaccò di nuovo, ma Pietro era troppo stremato per reagire. Quando vide che il suo avversario gli era addosso, reagì d’istinto alzando la lama ma la difesa fu troppo debole e non riuscì a parare il colpo. La sua spada gli cadde rovinosamente addosso e gli procurò uno squarcio sul petto che non gli permetteva di respirare regolarmente.

- Medico sul ring! L’incontro è vinto da Riku! –

Riku rimase accanto a Pietro e gli fece pressione sulla ferita in modo da iniziare a bloccare la fuoriuscita di sangue in attesa dell’arrivo dei medici. Quando essi arrivarono, lo portarono al campo dove gli fasciarono il petto e lo lasciarono a riposare, dopo aver utilizzato alcune magie di guarigione.

Riku rimase a lungo al suo fianco e, quando si svegliò, gli rivolse un lungo sorriso.

- Complimenti, ti sei battuto bene –

- Si, anche tu non sei male! –

I due risero insieme, poi Pietro tornò serio.

- Ora vai, devi assolutamente vincere questo torneo, anche per me –

- Certo, ormai anche l’altra semifinale sarà finita e tra qualche minuto ci sarà la finale! –

- Finalmente! Già si inizia a vedere il crepuscolo e io inizio ad avere fame! –

- A chi lo dici! –

I due continuarono a scherzare per qualche momento, poi Riku si allontanò per andare a controllare cosa succedeva sul ring. I due stavano scendendo in quell’istante ed Ercole, dopo aver annunciato il vincitore, decretò dici minuti di pausa per far riposare i finalisti.

Il tempo passò in fretta e Riku venne chiamato sul campo. Il suo avversario era Cloud.

- E tu che ci fai qui? E Sephiroth che fine ha fatto? Dopo tutta la fatica che hai fatto per sconfiggerlo non puoi essertelo fatto scappare! –

- A dire il vero, ci eravamo riuniti, ma luce e ombra non vogliono un equilibrio, come sarebbe giusto. Entrambe si vorrebbero dominare l’una sul’altra e, alla fine, ci siamo separati di nuovo. Sono qui per combatterlo nuovamente, magari si iscrive a qualche torneo... –

Un lungo silenzio seguì quelle parole, interrotta infine dalla voce di Ercole che decretava iniziato l’incontro, dopo il gong.

I due si misero in posizione, sapendo che sarebbe stata una grande battaglia, in tutti i sensi.

Claud attaccò per primo, mulinando la sua enorme spada. Riku parò il colpo senza troppe difficoltà e rispose con delle tecniche da manuale. Ovviamente fu prevedibile e Claud non ebbe difficoltà a parare o schivare. Dopo cinque minuti di combattimento, i due come se si fossero messi d’accordo, iniziarono a combattere seriamente. Riku aprì le danze con un velocissimo fendente, Claud rispose con un affondo. Entrambi i colpi andarono  segno, lasciando ferite non molto gravi.

Riku si lanciò di peso sull’avversario ma questi schivò l’attacco buttandosi di lato.

Claud cadde ma si rialzò subito e partì al contrattacco sena esitazioni. Velocissimo, saltò alle spalle del suo avversario e lo colpì alle gambe e Riku cadde, riuscendo in qualche modo a tenere stretta la sua arma. Cloud attaccò, ma Riku rotolò di fianco schivando il colpo, per poi rimettersi in piedi con un colpo di reni e partire all’attacco con un affondo. Cloud parò con qualche difficoltà l’attacco, sbilanciandosi all’indietro. Il ragazzo, notando lo scarso equilibrio dell’avversario, mantenne a contatto le lame e spinse con tutto il suo peso. Cloud cadde a terra, prendendo una botta alla spalla destra. Riku, cercando di evitare di cadergli addosso, si spinse in avanti, riuscendo a fare una capriola sopra all’avversario e rialzandosi velocemente. Anche Cloud non rimase a terra, rialzando si con l’aiuto della spada. Entrambi avevano il fiato corto, ma non erano disposti a mollare. Cloud attaccò, creando con la sua spada una parabola diretta alla testa di Riku. Il ragazzo non provò nemmeno a parare il colpo, limitandosi a schivarlo con un veloce spostamento all’indietro e, approfittando del fatto che la spada fosse molto pesante, saltò verso l’avversario, il braccio teso per l’ennesimo affondo, che colse Cloud senza difese. Il biondo venne colpito sulla spalla destra.

- Dannazione! – si disse, portandosi la mano sulla ferita – Non riesco a muovere il braccio! –

Ad un tratto Cloud sentì qualche cosa di gelido sulla gola.

- Il vincitore è Riku! – annunciò la voce di Ercole.

Dalla folla partì un boato assordante e Riku alzò il braccio, salutando tutte quelle persone.

Le premiazioni si conclusero verso le otto di sera e Riku decise che sarebbe tornato subito al castello Disney.

 

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Capitolo 23
*** Il Monte Olimpo ***


Capitolo 23: Il Monte Olimpo

 

Paperino e Pippo arrivarono nell’oltretomba grazie al varco. Tutto era tranquillo e nessun heartless li disturbò.

- Tutto questo è molto strano – disse Paperino

- Sono d’accordo, dobbiamo scoprire che cosa è cambiato. Questo mondo, ora, mi sembra così poco spaventoso e di solito Ade fa di tutto perché sia il più pericoloso possibile! –

Rimasero in silenzio e si incamminarono verso la sala di Ade, dove avrebbero dovuto combattere contro Cerbero per essere ammessi al cospetto del dio dei morti.

Quando arrivarono lì, videro uno spettacolo davvero insolito: le anime del pozzo erano in subbuglio, come se la catene che le tenevano ferme si fossero di colpo indebolite ed esse sentissero di poter infestare il mondo dei vivi.

Si affrettarono verso l’ingresso della sala dove, stranamente, non c’era il cane a tre teste.

- Ma che succede? – chiese Paperino, guardandosi attorno. Nessuno gli diede risposta.

Entrarono con circospezione e videro quello che non si sarebbero mai aspettati, neanche nel più remoto dei sogni: Ade era seduto sul suo trono con n’aria da cane bastonato e, tutto ad un tratto, la maledizione degli inferi li abbandonò.

- Che cosa combini? – chiese subito Paperino.

- Non lo vedi? Sono depresso! – rispose con aria rassegnata Ade.

- E come mai? – chiese curioso Pippo.

Il dio narrò ai due ragazzi del nobody e di come gli avesse dato una dura lezione. Non tralasciò nulla e, alla fine, si sentì un po’ meglio, anche se non era affatto disposto a tornare a compiere il suo compito.

- Ma tu non puoi morire! – esclamò Paperino – Tu sei un dio! Il dio più cattivo di tutti, che controlla i morti e vorrebbe in ogni modo sconfiggere Ercole! Non puoi abbandonare tutto così! –

- In primo luogo – disse con tono pacato Ade – Posso essere ucciso dall’oscurità. Inoltre, non provo più alcun rancore nei confronti di Ercole. Ormai è acqua passata e non ci voglio più pensare –

I due non cedettero alle loro orecchie. Il dio era cambiato profondamente, ma questo non aveva certo giovato all’Olimpo. Non faceva altro che piangersi addosso e scappare da ogni pericolo; le persone che morivano erano prese in consegna dai demoni che servivano il dio, ma ormai ne svolgevano tutte le mansioni. Tutto era cambiato e l’Infernodromo, luogo dove avvenivano i grandi tornei dei morti, era caduto in disuso. Nell’oltretomba tutto era in fase di decomposizione e, se nessuno avesse fatto niente, le anime dei morti sarebbero tornate e avrebbero tormentato i vivi per l’eternità.

Pippo e Paperino corsero via da quel luogo ormai desolato e si avviarono verso il Colosseo.  Lì tutto sembrava normale, nonostante sugli sguardi di tutti c’era un’aria triste e rassegnata.

- Ciao ragazzi! – li salutò Ercole quando li vide.

- Ciao Erc! – rispose Pippo – Ma non sai che cosa succede giù negli inferi? –

- Si, purtroppo. Ma non abbiamo la più pallida idea su come far tornare Ade normale. Qualcuno dovrebbe andare a parlare con mio padre, io non posso, ho scelto d rimanere qui tempo fa… -

- Andiamo noi – si offrirono i due, senza esitazioni.

- Sappiate che è un luogo pericolosissimo – si intromise Fil – Nessuno di coloro che si è avventurato in quella direzione è mai tornato –

- Vorrà dire che saremo i primi – dissero loro con leggerezza.

- Bravi! È così che voglio i miei cuccioli d’eroe! –

Poche ore dopo, i due si misero in marcia verso il monte, luogo assolutamente vietato ai mortali che, per arrivarci, avrebbero dovuto dimostrarsi degli eroi e superare alcune sfide che gli dei avevano predisposto per loro.

Iniziarono la scalata e tutto procedette nel migliore dei modi. Quando la salita divenne troppo ripida per continuare a camminare, Paperino usò la magia e i due volarono fino a quando non trovarono la cima, pianeggiante, lunghissima, i cui contorni si perdevano all’orizzonte.

I due sapevano che sarebbe stato solo l’inizio del viaggio, ma non potevano che essere soddisfatti per la loro riuscita. Paperino, anche se non lo dava a vedere, era decisamente provato per la magia compiuta e, molto presto, iniziò a non riuscire più a tenere il passo dell’amico, così fu costretto a chiedere una pausa, spiegando le sue ragioni.

Pippo acconsentì anche perché iniziava a fare buio e non avrebbero potuto continuare ad avanzare ancora per molto, dunque trovarono una radura e lì si accamparono. Presero dei rami caduti e piccoli pezzi di legno, senza tagliare le piante in nessun modo, in modo che gli dei non si infuriassero con loro.

La notte passò senza incidenti, il fuoco acceso magicamente da Paperino tenne lontani i pochi animali che abitavano quel luogo.

Si svegliarono e mangiarono con le bacche e le radici commestibili che trovarono ai bordi della radura, vicina ad un torrentello che, la sera pretendente, non avevano notato, anche perché dall’acqua non proveniva alcun rumore.

Continuarono ad andare avanti tutta la mattina e, alla fine, arrivarono ad un enorme stadio.

L’accesso era delimitato da due colonne che svettavano verso il cielo, imponenti. L’intera struttura sembrava d’oro tanto scintillava al sole. Capirono subito che avrebbero dovuto combattere. Entrarono e seguirono il lungo corridoio, messi in soggezione dall’enorme struttura. Era antichissima e ci si sarebbe potuti perdere facilmente se, nella pietra, non fossero state incise le indicazioni necessarie. Oltre ad esse, sulle mura e sul soffitto, erano raffigurate scene di antiche storie, quali ad esempio una guerra ferocissima, un uomo-toro e molte altre, ma i due non poterono capire nulla di quello che era raffigurato.

- Certo che questi dei pensano proprio a tutto! – pensò Pippo.

Stava per parlare delle sue osservazioni con il mago di corte quando Zeus in persona apparve davanti a loro.

 - Benvenuti, Pippo e Paperino. – disse con voce autoritaria – La vostra sfida per parlare con noi inizia qui. Dovrete fidarvi di voi stessi e del vostro compagno per procedere verso il nostro mondo. Sappiate che, in caso di sconfitta morirete. Siete ancora in tempo per ritirarvi. –

- Procediamo – disse subito Paperino.

- Molto bene –

Il dio schioccò le dita e i due si trovarono al centro di un’arena vuota.

Paperino guardò perplesso il suo amico e, con sommo stupore, vide i suoi occhi vitrei! Gli chiese che cosa gli fosse successo, ma non sentì ne la propria voce che risposta dell’amico. Non ebbe il tempo di riflettere che un paio di heartless comparì, attaccandoli. Pippo non si mosse, allungando le mani in avanti, come per orientarsi.

- Paperino, Paperino… che succede? Non ci vedo nulla! –

Paperino non capì e, con una magia, fece cadere due fulmini che distrussero gli avversari.

- Ma che diavolo fai? – disse Paperino, che però solo in quel momento si accorse di non potersi sentire! Iniziò ad urlare come un forsennato, ma era tutto inutile. Mille domande gli affollarono la mente: non poteva parlare o non ci sentiva? Come era successo?

Pippo, sentendo le urla dell’amico, si girò verso di lui, con aria interrogativa. Solo a quel punto Paperino, che si era girato al movimento, vide gli occhi dell’amico: vitrei.

- Ma tu non ci vedi! –

Pippo provò a rispondere, ma Paperino lo fermò.

- Fermo, non ci sento… fammi un cenno della testa… -

Pippo annuì.

- Attento! Dietro di te! –

Un heartless era appena comparso e stava attaccando. Per puro riflesso, Pippo lanciò il suo scudo contro il nemico e lo centrò in pieno, riprese la sua arma, ma nel frattempo ne erano apparsi altri. Paperino lo difese con il fuoco, parlando a Pippo di quello che faceva per tranquillizzare l’amico.

- Alla tua destra! – disse Paperino e Pippo lanciò di nuovo il suo scudo che tornò come un boomerang, dopo aver distrutto l’heartless.

Continuarono a combattere e, alla fine, i nemici furono sconfitti del tutto. Dopo alcuni attimi, le loro facoltà tornarono normali.

- Ci vedo! – gridò Pippo.

- E io ti sento! – ribatté Paperino – Ma abbiamo superato solo la prima prova. Ora dovremmo cavarcela da soli –

- Non capisco... –

- Zeus ci ha detto che avremmo dovuto contare sull’altro e fin qui ci siamo riusciti, ma poi ha aggiunto che avremmo dovuto cavarcela da soli quindi la prossima prova dovremo separarci, non c’è altra spiegazione – spiegò Paperino all’amico.

Pippo si disse d’accordo, anche se non gli piaceva affatto l’idea di dover combattere da solo. Lui non era certo un guerriero e nulla avrebbe mai potuto cambiare questo fatto.

Uscirono dall’altra parte dello stadio e camminarono fino a sera, poi trovarono una radura e si fermarono.

Gli dei fecero loro un regalo per essere riusciti nella prima prova e fecero trovare loro un cesto di vimini, pieno di frutti e radici commestibili.

I due decisero di non mangiare tutto, ma avanzare qualche cosa per l’indomani.

Quella sera non trovarono legno, quindi non accesero nessun fuoco e, quando riuscirono ad addormentasi, passarono una notte davvero terribile: fredda e piena di incubi.

La mattina seguente mangiarono di malavoglia, poi si avviarono verso la prova seguente.

Camminarono per un paio d’ore, in silenzio, meditando su quello che avrebbero dovuto affrontare. Dopo alcune ore di cammino, arrivarono ad una costruzione enorme, antica come lo stadio. Essa iniziava con un corridoio che i due iniziarono a percorrere. Quando entrò, Paperino sentì subito la presenza di una magia molto potente.

Ne parlò con Pippo, che gli rispose in malo modo. Era troppo agitato, l’idea di separarsi dall’amico lo rendeva intrattabile, così Paperino lo lasciò da solo con i suoi pensieri.

Con la morte nel cuore, si raccomandarono a vicenda di stare attenti e si diedero appuntamento dall’altra parte.

Paperino avanzò di qualche passo nel lungo corridoio, poi si volse indietro. Cercò di ascoltare il rumore dei passi del suo amico, ma l’unica cosa che sentì fu il silenzio. Le pareti di quel luogo erano molto spesse e i rumori non passavano.

Riprese a camminare, incerto, non sapendo se sarebbe riuscito a portare a termine la sua prova.

Un heartless sbucò all’improvviso dal soffitto e Paperino alzò lo scettro per difendersi. Con un rapido gioco di polso, l’heartless gli sfilò dalle mani la sua arme e Paperino rimase senza difese. Si guardò attorno e vide, in fondo alla stanza, una teca, con una piccola spada. L’arma non era granché e, forse, non poteva colpire gli heartless. Il dubbio si annidò nella mente di Paperino, che fece di tutto per ignorarlo. Corse dall’altra parte della stanza e ruppe il vetro, prendendo l’arma fra le mani.

La spada era molto pesante, ma decorata finemente. L’elsa era corta ma comoda, lunghi fili d’oro la percorrevano e formavano strani disegni, che a Paperino sembravano simboli magici. Nonostante questo, quando Paperino provò ad evocare la magia attraverso la spada, questa esplose in modo confuso perché l’oggetto, come intuì il mago di corte, non era adatto a contenere ed invocare magie. I dubbi riaffiorarono, ma non ebbe tempo per rifletterci: un gruppo ben nutrito composto da shadow, soldati, e simili attaccò il mago, che tentò disperatamente di non essere travolto dalla sua furia. Iniziò a lottare, consapevole del fatto che la propria vita era in pericolo, ma tutti  suoi attacchi andarono a vuoto.

I suoi peggiori timori erano diventati realtà: nessuno dei suoi colpi andava a segno. Si credette spacciato, poi gli venne in mente la promessa fatta a Pippo e la fiducia riposta in lui dal re. Capì in quell’istante che non poteva mollare. Evocò la sua magia attraverso la spada e si concentrò al massimo, dimenticando tutti i dubbi che gli erano venuti pochi minuti prima.

Essa rispose in modo lento, come se si svegliasse da un lungo sonno, e proruppe con una grande esplosione che distrusse tutto.

Paperino capì che non poteva uscire indenne dalla magia che aveva evocato. Doveva assolutamente contenerla, quindi concentrò tutti i suoi ultimi sforzi nel creare una barriera protettiva. La magia, questa volta, rispose.

L’arma era magica, ma era rimasta come addormentata troppo a lungo e, per funzionare, aveva bisogno di una grande fiducia.

Paperino svenne ma in mano, al posto della spada, aveva di nuovo il suo scettro.

 

***

 

Pippo camminò tranquillamente, come se non avesse paura della sfida che lo attendeva. In realtà faceva di tutto per non pensarci e, in quel momento, ricordava i momenti trascorsi assieme a Sora, le loro avventure. Le ripercorse tutte e fu come se, a poco a poco, tutta la determinazione di Sora diventasse sua e procedette con passo sempre più sicuro verso quello che lo aspettava. Arrivò in una stanza enorme: le pareti si innalzavano ameno per venti metri, ma il soffitto era fatto di specchi e dava la sensazione che il posto fosse molto più grande.

Un heartless mostruoso lo attaccò all’improvviso, rapido e mortale. Era simile ad un soldato, ma almeno grosso il doppio e solo a guardarlo venivano i brividi.

A Pippo sembrò che si fosse staccato dal muro stesso e, per istinto, alzò il suo scudo per ripararsi. L’arma si frantumò, ma respinse il colpo e, spezzandosi, produsse un’onda d’urto che distrusse l’heartless.

Pippo era disperato. Il suo amato scudo, l’arma che lo aveva accompagnato per tanti viaggi, era andata perduta.

- Come farò ora? – si chiese.

Poi pensò a Sora, anni addietro, quando era nella Fortezza Oscura di Malefica. Ai tempi lui aveva perso la sua arma, ma poi aveva trovato il coraggio di andare avanti.

- Posso farcela! – si disse, gettando a terra i pezzi del suo scudo. Si guardò attorno, cercando qualche cosa con cui difendersi, ma non c’era nulla di adatto.

Solo dopo aver osservato la stanza in lungo e in largo, vide uno strano luccichio.

Si avvicinò a quella che si rivelò una teca contenete uno scettro simile a quello di Paperino.

La prese in mano e lo soppesò. Era un’arma davvero perfetta, totalmente bilanciata, ma stranamente sembrava nel posto sbagliato fra le sue mani.

Non ebbe il tempo di pensare a quella sua difficoltà nel maneggiare l’arma, perché due shadow gli si pararono davanti e lui cercò di colpirli. Senza successo purtroppo.

I nemici schivavano tutti i suoi colpi o forse, come si trovò a pensare, era l’arma che si rifiutava di colpire quei mostri.

Pensò a Paperino. Lui avrebbe potuto evocare la magia ma l’amico non c’era, dunque avrebbe dovuto cavarsela da solo.

Attaccò, pensando che se avesse vinto avrebbe potuto rivedere l’amico. Ci mise tutta la foga che possedeva ed ogni colpo era perfetto, ma all’ultimo secondo lo scettro deviava e sbatteva contro il pavimento.

- Maledizione! – pensò Pippo – Devo assolutamente trovare il modo di batterli!

All’improvviso si trovò catapultato nel passato, quando era ancora al castello con Topolino e tutti i suoi amici. I mondi, a quel tempo, erano felici e tutto procedeva in modo magnifico. Paperino, ai tempi, sosteneva che un buon capo della guardia avrebbe dovuto capire almeno le fondamenta della magia e il re si disse d’accordo. Pippo iniziò un addestramento magico, mai portato a termine e fino a quel momento, non aveva mai sfruttato le doti acquisite. Tutto d’un tratto seppe esattamente cosa fare. Evocò la magia, che rispose lentamente, richiamata dopo un lungo periodo e resistente al suo richiamo. Ma Pippo era troppo determinato e rinnovò il richiamo con tutte le sue energie e, questa volta, la magia arrivò e uscì dallo scettro sottoforma di un grande fioco che avvolse ogni cosa che incontrò e la incenerì.

Gli heartless si moltiplicarono, ma vennero distrutti ogni volta. Pippo sentiva di essere invincibile e si abbandonò nel potere che la magia gli conferiva e non ebbe nessuna pietà, distruggendoli anche mentre scappavano.

Il capo della guardia barcollò ma non cedette. Si stava rendendo conto di quello che aveva commesso solo in quel momento, e non riusciva a perdonarsi. Si era lasciato andare e rischiava di non riuscire più a smettere, tanto era il desiderio di continuare a falciare gli avversari con fasci di magia.

- Basta! – si disse, con una forza che lo sorprese, derivata dalla disperazione.

Lo scettro gli scomparve dalla mano e lui non riuscì a reprimere un senso di tristezza che lo invase.

Davanti a lui comparve il suo vecchio scudo e lo scettro. Era davanti a una scelta terribile: un potere immenso o la sua vecchia vita?

La scelta era durissima e alla fine prese lo scettro.

Era così perfetto, pareva dare la certezza di un potere immenso, gloria e rispetto. Gli sussurrò parole suadenti e gli insinuò in testa che sarebbe potuto diventare lui il re, con esso.

Strinse l’arma con forza, poi la rimise a posto. Il suo vecchio scudo gli dava la possibilità di essere ancora autonomo, ma debole e insignificante rispetto a Riku, Kairi, Sora o il re stesso.

La sua mano si protese di novo verso lo scettro e solo allora gli balenò in mente l’immagine del suo amico, in difficoltà e si vide spezzare gli incantesimi e andare a salvarlo. Poi pensò all’indole dell’amico e a come avrebbe reagito.

- Nessuno ti ha chiesto di aiutarmi, non hai sentito Zeus? Devo cavarmela da solo, e tu mi togli la mia possibilità. Non ti voglio più vedere!

Sentì la voce dell’amico dentro di se e capì che la scelta che stava facendo era sbagliata. Prese lo scettro e lo strine forte poi, con un colpo secco, lo spezzò e questo scomparve. Prese in mano il suo scudo e continuò a sentirlo diverso.

Lo esaminò d cima a fondo, ma non trovò neanche un particolare fuori posto. Era di nuovo suo e stavolta nessuno lo avrebbe più aggirato in quel modo.

- Grazie, dei dell’Olimpo – pensò, prima di allontanarsi da quel luogo, che così tanto gli aveva ricordato.

Seguì il corridoio e arrivò all’uscita. Si trovava in una radura nel bel mezzo del bosco, ma del suo amico nessuna traccia.

Decise che lo avrebbe aspettato e avrebbero dormito lì. Cercò della legna da ardere, ma trovò solo qualche ramo secco e si dovette accontentare di quel piccolo risultato. Andò alla ricerca di qualche cosa di commestibile ed ebbe più fortuna: in quel luogo crescevano molte piante da frutta e radici commestibile e riempì una borsa improvvisata che si era costruito con delle foglie giganti e delle corde che si era portato per il viaggio.

Tornò alla radura e si sedette vicino ad un grosso cedro. In pochi minuti si addormentò tanto profondamente che neanche uno dei cannoni di Port Royal avrebbe potuto svegliarlo.

 

***

 

Paperino si svegliò.

- Per quanto tempo avrò dormito? – si domandò subito.

Sarebbe stato impossibile saperlo, la stanza dove si trovava era del tutto chiusa, solo delle lanterne appese al soffitto la illuminavano debolmente.

Si avviò verso l’uscita, stringendo il suo scettro più forte che poteva, come se avesse paura di perderlo di nuovo.

Quando arrivò all’uscita scoprì che era notte fonda e si chiese se Pippo lo stesse già aspettando. Con stupore notò il compagno che dormiva vicino al fuoco, appoggiato ad un albero.

Si avvicinò e vide che il suo amico era ferito. Invocò la magia per curarlo, ma senza alcun risultato. Dubbioso, iniziò a sondarle con la magia, ma essa non funzionava. C’era una sola spiegazione logica, ma era davvero impossibile: Pippo avrebbe dovuto usare una magia molto potente senza essere pronto e aver utilizzato anche il proprio corpo come catalizzatore.

Paperino non volle svegliare l’amico e, così si accoccolò vicino al fuoco e si addormentò.

 

***

 

Era una splendida mattinata e i due amici si svegliarono con il canto degli uccelli. Non c’era neanche una nuvola in cielo e farfalle multicolori tappezzavano il prato e lo rendevano uno spettacolo mozzafiato.

Paperino si svegliò per primo e, con un sonoro sbadiglio, salutò quella splendida giornata.

Pippo si alzò pochi minuti dopo e salutò allegro l’amico.

- Buon giorno! Quando sei arrivato? –

- Ieri notte, non so a che ora –

- Molto bene. Hai notato cosa c’è là? – disse indicando un punto in lontananza

- Ma quella è... – Paperino non riuscì a finire la frase tanto era incredulo

- Giusto, quella è la vetta del Monte Olimpo, dove finalmente potremo parlare agli dei –

- Speriamo che ci aiutino –

- Con tutta la strada che abbiamo fato, vorrei anche vedere! –

Tutti e due risero di gusto, poi fecero colazione. Si avviarono verso la vetta e, dopo qualche miglio, arrivarono a destinazione.

Le case degli dei erano stupende, semplici ma allo stesso tempo ricche ed eleganti.

Gli dei erano molto indaffarati e solo Zeus andò ad accoglierli per condurli nella propria dimora.

La casa del padre degli dei era molto distante dalle altre ma anche molto più grande e lussuosa. Le mura erano fatte d’oro e aveva un giardino immenso, con piscina e grosso prato, dove c’era la stalla di Pegaso, il cavallo alato di Ercole.

All’interno la casa era tappezzata di arazzi disegni rappresentanti le prodezze di Zeus ed Ercole, suo figlio. Degli altri dei era possibile vedere solo Era, moglie di Zeus e unica che riusciva a tenere a bada il marito.

Il dio li condusse attraverso i vari corridoi, in quello che si sarebbe potuto definire un vero e proprio labirinto.

Arrivarono infine ad una sala delle udienze dove c’erano due sedie già posizionate davanti ad un trono alto cinque metri, d’oro e strani disegni argentei. Le sedie, al contrario, erano in legno, senza alcun disegno e parevano essere state messe lì apposta per far sentire in imbarazzo chi vi sedesse.

Zeus si sedette sul trono indicando ai due le sedie. Negli occhi di Paperino comparve una strana luce, che scomparve immediatamente, sostituita da un’espressione cordiale.

Il padre degli dei sorrise si presentò loro, anche se non ce n’era alcun bisogno.

- Che cosa vi spinge qui? –

- Dobbiamo chiedere il vostro aiuto –

- Faremo il possibile per coloro che sono arrivati fin qui. Cosa volete: gloria, ricchezza, potere? –

- Le vostre offerte sono molto generose, ma dobbiamo chiedervi un favore di tutt’altro tipo –

- Non esitate dunque – disse il padre degli dei, amichevole – Sono qui apposta –

- Vede, il problema riguarda l’oltretomba –

- Non capisco, non vorrete forse che io resusciti un morto?!? –

I due raccontarono tutta la loro storia mentre Zeus ascoltava senza mai interromperli, con fare sempre più preoccupato.

- Dunque vorremmo che ci aiutaste a far tornare Ade come prima, in modo che il mondo torni di nuovo ad essere sicuro – concluse Paperino.

Zeus rimase in silenzio per lunghi istanti, pensieroso, poi congedò gli ospiti senza dare loro alcuna risposta. Chiamò le ancelle che accompagnarono i due alle stanza degli ospiti.

Paperino e Pippo rimasero in camera per molto tempo. Fecero un bagno e mangiarono quello che le ancelle portarono loro, poi attesero finché non fu chiaro che quel giorno non avrebbero più visto il dio. Si stesero su morbidi letti, con lenzuola di seta morbidissima e un materasso così morbido da adattarsi alle pieghe del corpo, diventando comodissimo. Quella note dormirono come mai in vita loro, poi si svegliarono, freschi e pronti a iniziare una nuova giornata. I due fecero un altro bagno, approfittando del momento, consapevoli che non ne avrebbero fatto più neanche uno tanto lungo e confortevole per almeno una settimana.

Erano le nove quando un’ancella venne a prenderli e li condusse attraverso i corridoi fino all’uscita.

- Zeus mi ha detto di comunicarvi che oggi potete stare qui, mentre lui pensa a quello che deve fare. In confidenza, lo avete sbalordito non poco. Nessuno era mai venuto qui con intenti così nobili, infatti siete i primi ad aver compiuto l’impresa. –

L’ancella si allontanò velocemente, probabilmente per andare a svolgere un altro compito.

Anche Paperino e Pippo si incamminarono ed esplorarono in lungo ed in largo quel luogo meraviglioso. Andarono alla stalla di Pegaso, conobbero molte divinità fra cui Apollo e Atena con cui passarono molto tempo.

Non mangiarono se non quando fu ora di cena, troppo intenti ad osservare le meraviglie di quel luogo per sentire la fame.

Apollo li invitò a casa sua e loro accettarono l’invito. L’abitazione era normale, ma all’interno c’erano archi di tutte le grandezze, adatti per un dio abile con quell’arma come lui. La cena fu a base di frutta e vegetali perché, come spiegò ai due il dio, la carne era il cibo dei banchetti e si mangiava solo in occasioni speciali.

Quella sera si trattennero assieme agli dei fino a notte fonda e ballarono con loro, chiacchierarono e si divertirono un po’, consapevoli del fatto che l’indomani sarebbero dovuti tornare all’inferno per affrontare Ade.

Raccontarono a tutti la loro storia e chiunque diceva loro che erano davvero persone in gamba e non avrebbero dovuto cambiare mai. Apollo addirittura strinse un forte legame di amicizia con i due e li invitò a tornare, almeno di tanto in tanto, per aggiornarlo su quello che succedeva sugli altri mondi.

Andarono a dormire e, il mattino seguente, si svegliarono sereni, pronti ad affrontare quello che li aspettava.

Zeus in persona andò a chiamarli e li condusse nella sala delle udienze dove le sedie in legno erano state sostituite da altre con schienali molto comodi e imbottiti, molto comode.

- Ho deciso che vi aiuterò. Ecco a voi questa magia. –

Attorno ai due comparve una nuvola bianca che iniziò e loro, per magia, impararono il nuovo incantesimo.

- Dovere stare attenti, conoscete solo la teoria di questa magia, non sapete nulla al riguardo di quante energie vi toglie. Inoltre vi consiglio di utilizzarla spesso, per capire come sfruttarla al meglio. Essa, come dovreste aver capito, non solo vi permette di lanciare saette contro gli avversari, ma po’ anche utilizzarle come una barriera per difendervi. È un’arma molto utile, sfruttatela bene. Ora andate, e sappiate che gi dei sono con voi –

- Lei non viene? –

- No, mi dispiace ma non posso, devo rimanere qui, senza di me gli altri non se la saprebbero cavare neanche per un paio di giorni –

- Capiamo - disse Paperino – E apprezziamo il suo aiuto. Solo, vorrei chiederle se c’è una via più rapida di quelle già percorsa per arrivare all’oltretomba 

- Se escludi la morte – disse ridacchiando Zeus – Potete chiedere a Pegaso di darvi un passaggio –

- Grazie mille – dissero i due, quasi in coro.

Fecero un piccolo inchino e si allontanarono, diretti alle stalle.

Quando vi arrivarono, il cavallo volante stava mangiando, ma smise subito e li portò al Colosseo in una mezz’ora.

Ercole li accolse con un gran sorriso, mentre Fil disse, con la sua solita aria scorbutica che avrebbero fatto meglio ad allenarsi prima di intraprendere un’impresa come quella.

Dopo una lunga ed estenuante discussione con l’allenatore, Ercole si offrì di aiutare la coppia, e i due accettarono.

Pochi minuti dopo erano già all’entrata dell’oltretomba, ma sin da lì si potevano sentire le voci dei morti, ormai prossimi a liberarsi dalle catene che li legavano. Corsero lungo i corridoi senza incontrare nemmeno un heartless e arrivarono velocemente alla sala di Ade. Anche questa volta non c’era Cerbero ad attenderli,  loro passarono indisturbati.

Quando li vide, Ade fece un lungo sospiro, poi tornò ad avere la sua aria da cane bastonato.

- Ade, riprenditi! Non lo vedi che questo posto, la tua residenza, sta andando in malora?!? –

- Non me ne importa niente –

La voce del dio era così depressa che fece pietà ad Ercole, ma servì solo a far infuriare Pippo che lo attaccò senza pietà.

- Sei solo un pappamolle! Forse il nobody avrebbe dovuto ucciderti, così ci saremmo liberati di un perdente come te! –

- Sono perfettamente d’accordo – disse quello con aria noncurante – Peccato che sono una divinità e pertanto immortale, eh? –

- Basta con questi discorsi da debolucci! – disse Paperino.

- Sono d’accordo! – si aggiunse Pippo – Non vedi che qui stai facendo doppiamente la figura dell’imbranato? –

- E allora? Ve l’ho già detto, non me ne importa nulla! –

- Thunderega! – gridò Paperino, continuò il mago lanciando una saetta contro Ade.

- Se proprio non vuoi ascoltarci, allora sarà meglio che troviamo un altro dio dei morti! -

Il colpo fece muovere qualche cosa nella mente del dio, ma furono le parole a ferirlo nel profondo e fargli perdere il controllo. In pochi istanti Ade riprese tutti i suoi poteri e lanciò contro di loro un masso incandescente, prontamente deviato da Ercole.

- Levatevi dai piedi, devo riparare il mio mondo, non vedete in che casino è? – disse con voce autoritaria.

- Molto bene, allora noi ce ne andiamo – disse Paperino che se ne andò velocemente, seguito da Ercole e Pippo. Non erano ancora arrivati alla fine della sala che una palla di fuoco raggiunse Paperino, mandandolo al tappeto.

- Questo è per la saetta di prima! – gli disse il dio.

Gli eroi non avrebbero mai potuto affrontare Ade senza la pietra dell’Olimpo, che attualmente non avevano.

Cerbero, che finalmente dopo tanti giorni sentì il richiamo del padrone, si fiondò contro i fuggitivi e li braccò proprio all’ingresso.

- Lo affronto io – si offrì Ercole

- Nemmeno tu puoi farcela con la maledizione –

I due si scagliarono all’attacco e utilizzarono la nuova magia di Zeus.

- Thunderega! – gridarono assieme.

Cerbero lanciò un ululato di profondo dolore che arrivò fino ad Ade il quale, sentendolo, richiamò la bestia e giurò che l’avrebbe fatta pagare a quei brutti ficcanaso. Era tornato il solito dio dei morti.

Paperino e Pippo, sapendo che il ragazzo non viveva lì, decisero di salutare tutti gli amici e aprirono un varco per il mondo successivo e vi entrarono.

Le anime, finalmente, non erano un problema in quanto dopo pochi secondi erano state messe a tacere dal solito dio dei morti.

 

Note del’autore

Scusate il ritardo nell’aggiornare, ma in questo periodo sono molto incasinato con la scuola! Sparo che questo nuovo capitolo vi piaccia... a presto!

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Capitolo 24
*** Le Terre del Branco ***


Capitolo 24: Le Terre del Branco

 

Sora e Kairi arrivarono alle terre del branco e si trasformarono in due leoni. Si trovavano sulla rupe dei re e da lì potavano vedere tutta la distesa della savana sottostante. Lo spettacolo era stupendo, ma i leoni non erano sulla rupe, quindi Sora iniziò a preoccuparsi. Li cercò nella grotta, poi salì fin sulla vetta, ma niente, non c’era anima viva.

Chiese a Kairi cosa ne pensava, ma la ragazza non era mai stata in quel mondo, quindi non seppe dare una risposta.

Fidandosi del suo istinto, Sora scese dalla vetta e si avviò verso la zona di caccia. C’era la possibilità che il branco fosse lì.

Esplorarono tutta la zona con scarsi risultati e, alla fine, decisero di andare nella foresta. Forse lì avrebbero trovato delle risposte. Entrarono nella Valle degli Gnu, dove vivevano le iene, che subito quelle apparvero per difendere il oro territorio. Al loro fianco c’erano anche degli heartless e subito i Keyblade apparvero nelle bocche dei due ragazzi.

Con un balzo felino, Sora fu subito addosso alle avversarie che non poterono fare nulla, quindi subirono i colpi finché non ne ebbero abbastanza, poi scapparono. Erano esseri codardi, che cacciavano in massa per essere più forti ma da sole non valevano molto. Sora si aspettava che tornassero con i rinforzi, e non voleva essere perso in quel punto. Se avessero dovuto combattere, lo avrebbero fatto dove faceva più comodo a loro, cioè dove la maggioranza numerica non poteva essere schiacciante. Gli heartless, vedendo le iene fuggire, se ne andarono senza colpo ferire.

Avanzare a quattro zampe era un’esperienza  tutta nuova per Kairi che aveva qualche problema, per cui dovettero tenere un passo lento anche se la cosa non dispiacque loro, anzi ne erano felici poiché così potevano ammirare gli stupendi paesaggi che quel mondo incontaminato proponeva.

Non fecero soste, alla fine, arrivarono alla meta. La giungla si stagliava di fronte a loro, con il suo paesaggio ricco di alberi dalle chiome sgargianti e quell’odore nell’aria che ricordava i bei momenti trascorsi e dava una speranza per il futuro.

Inspirarono a fondo, poi entrarono senza esitazioni. Non c’erano rumori molto forti, ma se si ascoltava bene si poteva sentire il canto degli uccelli in lontananza e il vento muoveva le foglie e sembrava desse un ritmo agli animali che si univano a quel canto. L’effetto era sbalorditivo e Kairi ne rimase tanto impressionata che si fermò e si sedette, per godere ancora di quelle bellezze.

Anche Sora si sedette accanto a lei, ascoltando e cercando di tenere il ritmo di quella melodia.

- Ehi Timon, ma dove ti eri cacciato? –

La voce di Pumba distrusse il suono e riportò i ragazzi al mondo reale.

- Ciao, come stai? – chiese Sora cordiale.

- Aiuto! I leoni mi vogliono mangiare! Aiuto! –

Subito il ruggito di Simba si alzò nell’aria e anche Pumba rabbrividì.

- Cosa succede qui? Vi avevo detto di restare lontani dalla foresta durante la mia assenza! –

- Ciao Simba, cosa ci fai qui? – chiese Sora ridacchiando.

- Ma, sei proprio tu? Pumba, sei sempre il solito! Loro sono gli amici che ci hanno aiutato a sconfiggere mio zio Scaar –

- Ah, già, hai proprio ragione, ma io non vedo l’uccello e la tartaruga – disse Pumba irritato per la brutta figura.

- Certo che non li vedi – disse Sora – Non sono qui con noi, sono in missione da soli. Quasi ma dimenticavo! – Sora si batté una zampa sul muso – Questa è Kairi –

 - Piacere di fare la tua conoscenza – disse Simba facendo un piccolo inchino.

Pumba provò ad imitare il leone, ma fece un inchino goffo e molto buffo, quindi tutti si misero a ridere.

Tornando serio, Sora chiese a Simba come mai sulla rupe non ci fosse nessuno.

- Cosa? È davvero strano, sarà meglio che vada a controllare! –

- Veniamo con te – disse Kairi.

La decisione era presa e il re dei leoni non fece commenti. Insieme, i tre si avviarono verso i territori di caccia.

Non incontrarono anima viva durante il tragitto e tennero un buon passo.

Kairi ebbe qualche difficoltà a seguirli, ma comprendeva la fretta del leone, quindi no si lamentò e fece di tutto per stargli dietro. Quando arrivarono a destinazione, le facevano male le zampe tanto che quasi non riusciva più a camminare.

Arrivarono in cima alla rupe, ma anche questa volta non videro nessuno.

- Molto strano – commentò Simba – Sto iniziando a preoccuparmi seriamente –

- Siamo d’accordo – disse Kairi, che si era seduta per riposare un po’.

- Penso che sia ora di scoprire che cosa c’è sotto questo mistero – disse Sora.

- No, è meglio se tu rimani qui con lei. Non essendo abituata a muoversi su quattro zampe è distrutta e non ce la farebbe a procedere oltre –

- Non puoi andare da solo, aspetta qui con noi –

- No, prima voglio andare a parlare con l’ombra di mio padre, da solo se non ci eri ancora arrivato. Kairi era la scusa per farti stare qui – disse Simba rassegnato a dire la verità al ragazzo, che a volte sembrava fare apposta a non capire le circostanze.

La ragazza, nel frattempo si era addormentata.

- Molto bene, vai pure. Ma sta attento – disse Sora, ormai rassegnato.

- Come al solito –  rispose Simba

Vedendo che non c’era niente altro da fare, Sora si mise a guardare Kairi. Avrebbe preferito non farlo ma in quelle circostanze non aveva molta scelta. Dovete ammettere che era molto carina anche sottoforma di leonessa.

La stava ancora osservando quando un gruppo di heartless, attratti dalla presenza di una custode debole, arrivarono.

Subito il Keyblade comparve nella bocca di Sora e questi iniziò ad attaccare senza tregua i nemici, distruggendoli ad uno ad uno.

- Se avessi delle mani ti applaudirei – disse una voce acuta alle spalle del ragazzo.

Sora si girò e, con grande stupore vide una iena vicino al corpo di Kairi.

- Sta lontano da lei – sibilò.

- Non servono a nulla le minacce – ribatté la iena, che fece finta di mordere la ragazza

Sora non ci vide più dalla rabbia e in bocca gli apparvero due nuovi Keyblade, che sostituirono la Catena Regale.

Muovendosi in modo quasi supersonico, fu dietro alla iena senza che questa lo vedesse e le sferrò un colpo che la scaraventò lontano qualche passo.

- Ma come hai... –

Non terminò mai la frase. Con un colpo violentissimo, Sora le lanciò contro un Keyblade.

La iena cadde senza alcun rumore, svenuta. Sora decise che non poteva rimanere lì, quindi la prese e la portò di corsa ai margini della Rupe, per poi tornare dalla ragazza: non gli piaceva lasciarla troppo tempo da sola, soprattutto nelle condizioni attuali.

Kairi si svegliò al suono della voce acuta della iena, ma rimase immobile. Non voleva destare sospetti, quindi si limitò ad osservare la scena. Quando la iena finse di azzannarla, poté sentire l’alito puzzolente sul collo, e non riuscì a non muoversi. Dovette assolutamente spostarsi, ma nessuno dei due contendenti se ne accorse. La ragazza vide il compagno attaccare come una furia pur di difenderla, e questo la rincuorò. Dopo qualche istante vide il Keyblade colpire nel petto della iena, e capì di essere al sicuro.

Non riuscì però a realizzare del tutto quello che era successo: era molto stanca e la mente ancora annebbiata. Nonostante tutti i suoi sforzi, Kairi scivolò di nuovo nel sonno.

Quando si svegliò di nuovo, il sole era ancora alto nel cielo. Vide Sora a fianco a lei, intento a mangiare. Non era un bello spettacolo, quindi distolse gli occhi. L’aria sulla rupe era frizzante a causa dell’altitudine e aiutò la ragazza a svegliarsi completamente.

Quando vide che si alzava, Sora si voltò verso di lei.

- Buon giorno! Dormito bene? –

- Si... niente male – disse la ragazza con fare noncurante.

- Ci credo! Hai dormito per almeno un giorno. Sai che ore sono? –

- No, furbone! Mi sono appena svegliata! –

- Si giusto, allora te lo dico io... saranno almeno le due del pomeriggio! –

Mentre i due ragazzi discutevano, Simba stava facendo ritorno alla rupe dei re. Aveva parlato con il padre, Mufasa, ma il vecchio re non lo aveva aiutato molto. L’unica cosa chiara era il fatto che erano in pericolo e, per ritrovare i leoni scomparsi, avrebbero dovuto affrontare prove molto difficili.

Simba era convinto che assieme ai suoi amici sarebbe riuscito a portare a compimento l’impresa.

Era da qualche minuto che stava correndo, ormai vicino alla meta, quando vide finalmente la rupe. Iniziò a percorrere il sentiero, ma alcuni heartless lo ostacolarono. Si gettò senza timore su di loro, gli artigli protesi, pronti a colpire.

Gli avversari contrattaccarono, ma il leone era troppo superiore e, all’apparenza, instancabile.

Apparvero shadow, soldati, e altri heartless che non aveva mai visto. Erano grossi, la grossa pancia li difendeva, riparandoli da qualunque attacco.

Non erano di quel mondo anzi, qualcuno li aveva sicuramente portati lì.

Non c’era tempo per gli indugi, quindi Simba attaccò come se fosse la cosa più normale del mondo e distrusse molti avversari. Anche le forze del giovane leone, però, iniziavano a vacillare e li heartless, accorgendosene, raddoppiarono gli sforzi rubargli il cuore, che bramavano vedendolo forte e puro.

- Curioso – si disse il leone – Come non siano in grado di pensare ma si abbandonino all’istinto e facciano sempre i comodi altrui –

Gli heartless, infatti, sono al servizio di colui che ritengono il più forte e non lo abbandonano mai, anche se poi si trovano in svantaggio.

Simba rinnovò i suoi sforzi, ma per ogni avversario che distruggeva,altri due apparivano e prendevano il suo posto, senza dare al leone il tempo di riprendere fiato.

Dall’alto della rupe, Sora vide iniziare lo scontro. Era impossibile che Simba ce la facesse ma non poteva abbandonare Kairi ne lasciare che combattesse al suo fianco: era ancora troppo debole. Ad un tratto gli venne un idea. Trascinò l’amica in un angolo appartato e quasi invisibile, poi chiamò Simba.

Il leone corse subito verso il ragazzo sulla cima della rupe, dove il ragazzo lo avrebbe aiutato. Capiva il motivo per cui non voleva scendere, e lo approvava. Avrebbe fatto lo stesso per Nala o qualunque altro leone a lui caro.

Quando Simba si mise in posizione di fianco a Sora, i due si guadarono per un attimo negli occhi, poi il Keyblade comparve nella bocca del ragazzo. Erano pronti. Attesero pochi ma lunghissimi secondi, poi l’assalto iniziò. Erano rimasti solo shadow e soldati ma in quantità così elevata che sarebbe stato difficile contarli anche avendo a disposizione tutto il tempo del mondo. Saranno stati almeno un milione, pensava il ragazzo, nonostante sapesse che un tale numero fosse impossibile da raggiungere per qualsiasi mago. Troppi, per chiunque.

- Morirei per dare a Kairi la possibilità di scappare – pensò Sora.

La mente di Simba, invece, era vuota e il suo corpo emanava una sicurezza che pochi sarebbero riusciti ad eguagliare.

Gli heartless attaccarono, ma i due erano molto forti e ressero l’attacco, respingendoli. Il passaggio per la rupe era disseminato di copi contorti che svanivano, lasciando il posto ad altri avversari che subito si gettavano all’attacco.

All’incirca mille heartless erano morti nei primi minuti di combattimento, ma  due erano sfiniti.

Kairi, per un momento, rimase a guardare la battaglia che infuriava, poi si rialzò a fatica. Aveva sentito nel sonno che qualcuno l’aveva spostata, ma non aveva fatto neanche una piega. Dopo la discussione on il ragazzo, si era sentita svuotata di tutte le energie e si era addormentata per l’ennesima volta.

- Sto arrivando! – gridò la ragazza

- Vai, qui li tengo io per un po’. Non deve assolutamente combattere, è ancora debole – disse Simba a Sora a bassa voce, in modo che solo lui potesse sentire.

Il ragazzo annuì, poi si avvicinò a Kairi.

- Non devi combattere –

- Cosa? Io faccio quello che voglio –

- No, mi spiace, sei troppo debole, ma puoi aiutarci lo stesso –

Le lacrime arrivarono fino agli occhi della ragazza

- Io non voglio abbandonarti – disse con fermezza.

- E non lo farai, promesso. Ti chiedo solo di andare dal re e avvertirlo di quanto sta accadendo qui. Lui verrà a darci una mano e tu sarai stata molto più utile di quanto lo saresti morendo  lasciandomi qui da solo –

Anche gli occhi del ragazzo si erano riempiti di lacrime, che però ricacciò indietro.

Sora aprì un Varco, ma Kairi esitò. Il ragazzo la sospinse in avanti, poi lei entrò. Tutta la concentrazione del ragazzo, ora, era sulla battaglia contro gli heartless.

Ritornò di corsa da Simba, velocissimo sulle sue quattro zampe, ed attaccò. Nonostante la superiorità degli heartless, il Keyblade di Sora mieté molte vittime, che rimasero agonizzanti sul terreno prima di scomparire. Sora era una furia e Simba non poté fare altro che guardare l’amico penetrare sempre più in profondità nelle linee avversarie.

Nessuno riusciva ad ostacolare la sua avanzata: il custode era veloce e letale. In pochi minuti, da solo era riuscito a uccidere almeno cento heartless, ma nonostante tutti i suoi sforzi, i nemici erano troppi e nessuno era invincibile.

I nemici, però, indietreggiavano, intimoriti dal potere dell’arma ma ad un tratto il loro atteggiamento cambiò

Accerchiarono Sora e, solo con la loro superiorità numerica, lo intrappolarono irrimediabilmente.

Simba decise che era giunto il momento di intervenire.

Ruggì e per un attimo quello fu l’unico rumore che si sentì. Gli heartless erano spaventati, non riuscivano più a capire che cosa succedeva, ma non vennero presi dal panico e rimasero ai loro posti.

Simba corse verso di loro e ne distrusse alcuni, penetrando sempre più in profondità nello schieramento nemico.

Sora, per parte sua, iniziò ad attaccare con foga, in modo da riuscire a scappare.

I due continuavano a combattere e mietevano sempre più vittime, ma nulla sembrava in grado di sconfiggere così tanti nemici.

 

Intanto, al castello Disney...

Un varco oscuro si materializzò e ne uscì Kairi. Si trovava nel giardino e finalmente aveva di nuovo il suo aspetto normale.

Cip e Ciop le corsero incontro, preoccupati. La ragazza svenne, troppo stanca dopo il viaggio.

Subito Cip corse da Topolino, che in quel momento era in riunione per questioni urgenti con Minnie e Paperina, oltre che Riku e gli altri abitanti del castello. Lo scoiattolo entrò nella stanza gridando

- Kairi è appena uscita da un varco ed è svenuta, presto aiutatela! –

Riku corse al massimo delle sue possibilità e in pochi istanti fu nel giardino. Prese in braccio la ragazza e la portò in una stana vicino al consiglio.

Topolino decise di finire in fretta la riunione, quindi espose subito i suoi progetti e disse a tutti di riflettere su quello che stava accadendo, poi raggiunse il ragazzo nello stanzino.

Kairi ora dormiva tranquilla, ma presto la avrebbero dovuta svegliare, almeno per sapere che cosa era successo a Sora: non era da lei abbandonare un amico.

 

Nelle terre del branco.

- Ma dove sei finita Kairi, abbiamo bisogno di quei dannati rinforzi! – pensava ogni tanto Sora e qualche volta temeva che la ragazza non fosse riuscita ad arrivare al castello e fosse chissà dove.

Distrusse uno shadow che gli si parò davanti. Ormai aveva raggiunto Simba, ma ora erano in due ad essere accerchiati.

Il numero dei nemici era stato dimezzato, ma nulla faceva loro sperare di poter vincere. Gli amici non arrivavano ma, in compenso, erano sempre più gli avversari che li sfidavano. Non avevano più fiato, ed erano costretti a combattere a turni, in modo che ognuno si riposasse almeno qualche minuto.

Quando gli avversari capirono la tattica avversaria, attaccarono in massa e di nuovo i due si trovarono a combattere insieme.

Un soldato colpì Sora ad una gamba e il ragazzo cadde a terra.

Simba lo distrusse mentre Sora si rialzava a fatica e riprendeva quella lotta disperata.

Sora decise che si sarebbe sacrificato e iniziò a raccogliere tutte le sue forze. Ne lasciò nel corpo solo quelle strettamente necessarie alla sopravivenza, poi scagliò una magia improvvisa.

Simba si accorse solo all’ultimo momento delle intenzioni dell’amico. Vide una cupola di fuoco magico innalzarsi attorno a lui e Sora, per poi espandersi e distruggere tutti gli heartless rimasti.

La battaglia era vinta e i nemici erano stati sconfitti tutti.

Sora svenne, il battito debole e il respiro irregolare.

Un varco oscuro si aprì e ne uscirono Riku, Topolino ed Ansem in forma di leoni, arrivati troppo tardi per poter fare qualche cosa.

Raccontarono a Simba di come Kairi fosse svenuta per poi riprendersi e raccontare lo stretto necessario.

Tutti erano partiti subito, ma a quanto parve, troppo tardi per fermare l’inevitabile.

- Non è colpa vostra – disse Simba dopo aver ascoltato tutta la storia – Inoltre, penso che si riprenderà. Ha la pellaccia dura il nostro amico –

Topolino annuì, in silenzio.

- Cosa farai ora? – chiese Riku

- Andrò a cercare gli altri leoni –

- Allora vengo con te –

- No, devo farlo da solo –

L’espressione di Riku si fece dura, i suoi sentimenti vennero nascosti da una maschera di indifferenza – Come preferisci... – disse, alla fine.

Il leone pensava di capire quello che pensava il ragazzo, ma non poteva fare nulla per lui. Il suo popolo lo attendeva, ed era giusto che partisse.

In silenzio, lasciò che Sora fosse curato dai suoi amici, e se ne andò.

Camminò lentamente, in silenzio, facendo il meno rumore possibile. Stava per addentrarsi nel territorio delle iene, e farsi attaccare subito non sarebbe stata una buona idea.

Le iene non l’avevano mai visto di buon occhi, da quando aveva ucciso l’heartless di Scaar, che le favoreggiava. Ora il cibo per loro era poco, e spesso dovevano accontentarsi di spiluccare quel poco di carne lasciata dai leoni sulle ossa delle loro prede.

L’unico rimasto in disparte sulla rupe era Ansem. Non gli piaceva affatto quella situazione e aveva trovato un luogo, la vetta, dove poter pensare indisturbato. Portare via un intero branco di leoni e leonesse non era affatto semplice. La prima cosa da fare era capire come avevano fatto.

In effetti spostarle sarebbe stato molto difficile, ma una piccola magia non avrebbe permesso loro di vedere il branco! Probabilmente i leoni erano tutti lì, ma solo pochi potevano vederli. Una trovata davvero geniale da parte di una mente fantastica. Non poteva fare più nulla per Simba, che era andato alla ricerca del branco che non avrebbe mai trovato, ma avrebbe potuto rompere l’incantesimo! Ma farlo non sarebbe stato affatto semplice, sempre che le sue ipotesi fossero giuste. Innanzitutto doveva cercare residui di magia.

- Questa, purtroppo, non è la mia specialità. Inoltre, saranno state nascoste molto bene... se solo Paperino fosse qui ad aiutarmi! –

Il mago di corte, però, era in esplorazione chissà dove e non lo avrebbe mai trovato in tempo. Dovevano bastare le sue sole forze.

Iniziò a concentrarsi e captò segnali magici molto potenti.

- È stato fin troppo facile – pensò il saggio

Si immedesimò nella magia e capì che aveva parlato troppo presto. Quella che sentiva era la potenza della magia usata da Sora per vincere la battaglia. Era ovunque, tanto potente che riempiva tutto lo spazio circostante e lo copriva come una coperta, in attesa di esaurire tutte le energie residue. Cercò di ignorarla ma era troppo pressante e alla fine dovette arrendersi.

 

Simba era appena arrivato nel territorio delle iene. La desolazione era evidente: le terre poco curate, dove crescevano pochi alberi piccoli e contorti, nessun animale che si facesse vedere.

Capì che era un bersaglio molto facile, ma cercò di non farci caso. Era troppo importante trovare il suo branco, nulla poteva fermarlo.

Una iena molto imprudente si fece vedere e subito Simba le fu addosso in pochissimi istanti e la immobilizzò puntandole gli artigli alla gola.

- Dov’è il mio branco? –

- E io che ne so? La prossima volta non perderli di vista, sempre che avrai una prossima volta – negli occhi della iena si accese una luce malevola.

- Sta attento a come mi parli – disse Simba, guardando la iena truce.

- Ok, ok... –

- Ora dimmi dove sono – nella voce del leone non c’era traccia di comprensione e tutto stava ad indicare che se non avesse risposto, avrebbe ucciso la iena. Gli occhi della poveretta si riempirono di una genuina paura, perché non aveva mentito: non sapeva davvero dove si fossero cacciati i leoni!

- Ok, basta con le stupidaggini – disse con un filo di paura la iena, ormai in preda al panico – Non lo so dove sono! –

Il leone lesse il terrore che si faceva strada negli occhi della sua interlocutrice quindi decise di lasciar perdere. Non gli sarebbe stato di nessun aiuto ucciderla.

Senza degnarla di uno sguardo, si allontanò con passo lento, senza mai smettere di rimuginare su quello che gli aveva detto il padre. Non aveva voluto svelare il le rivelazioni a nessuno anche se non gli era stato vietato di farlo; sentiva le parole del padre come sue e di nessun altro.

Ripensò a quella sera

Era arrivato nel cuore della foresta, in una radura che prima non aveva mai notato, e da lì poteva vedere tutto il cielo stellato.

All’improvviso era apparso, proprio tra le stelle, il viso del padre.

- Quello che cerchi – disse - è proprio sotto ai tuoi occhi. Sei tu, insieme ai tuoi amici, che non puoi vederlo a causa di un incantesimo –

-  Ma come posso riavere il mio branco, quello che una volta era stato il tuo?-

- Dovrai andare alla ricerca di una verità che va oltre la tua comprensione. Quello che hai fatto fino a ora lo capivi, ma per poter ritrovare gli altri, dovrai disfarti di tutti i dubbi e le incertezze. Il viaggio sarà pericoloso, ma alla fine, se sarai stato degno, troverai i tuoi sudditi –

Alla fine del breve colloquio, Mufasa se ne andò, la sua figura si dissolse nell’aria lasciando nel cuore di Simba un senso di vuoto assoluto

Fino a quel momento il re leone aveva pensato che andando nelle terre delle iene avrebbe trovato il suo branco, ma ora non ne era più tanto convinto. Lì avrebbe solo dovuto affrontare, da solo, le sue paure più grandi.

I leoni erano sotto ai suoi occhi...

- Che cosa volevi dirmi, padre! – disse sottovoce, nella folle speranza che Mufasa venisse a dargli conforto e una zampa per andare avanti.

non accadde nulla e Simba decise che per il momento si sarebbe fermato a riflettere su quello ce lo aspettava.

Sulla rupe tutti erano impegnati: Riku, in disparte, continuava i suoi allenamenti come se nulla fosse accaduto; Kairi teneva la zampa di Sora, ancora addormentato mentre Topolino, ogni tanto, andava ad una fonte non molto lontana ed bagnava una foglia abbastanza grossa, la forma che ricordava vagamente un grosso triangolo, che apparteneva ad un albero tipico di quel mondo, per appoggiarla sulla fronte del ragazzo e dargli un po’di sollievo.

Ansem era in disparte, nel disperato tentativo di trovare una fonte magica molto ben nascosta. Riusciva a malapena ad escludere i potentissimi residui della magia di Sora, che erano diventati più deboli a causa della dispersione che tanto il saggio aspettava.

Solo dopo parecchio tempo Ansem iniziò a sentire le prime tracce di quella magia che tanto aveva cercato.

Cercò di immedesimarsi in essa, di diventarne parte, ma era davvero un compito arduo.

Sfruttò tutte le sue conoscenze ma era inutile: ogni singola volta era come se quella magia capisse le sue intenzioni e lo respingesse. Davvero un bel grattacapo. Ansem rimase a pensare ad una soluzione per tutto il pomeriggio.

 

Simba si rimise in viaggio che il sole era già basso all’orizzonte. Secondo la sua esperienza, ci sarebbero state ancora due o tre ore di luce, quindi avrebbe potuto addentrarsi ancora nel territorio delle iene e, magari, trovare un luogo riparato dove passare la notte.

Continuò a camminare fino ad arrivare ad una piccola caverna. Vi entrò, sperando che fosse vuota. Fu deluso quando vide un’ombra avvicinarsi a lui.

Si affrettò ad allontanarsi, non voleva avere problemi con altre iene prima che fosse arrivato il tempo di sfoderare gli artigli e ricordare loro chi fosse il re dei leoni.

Continuò a camminare ma, poco dopo essersi allontanato dalla caverna, iniziò ad avere la sensazione di essere seguito.

Avanzò come se niente fosse ma quella strana sensazione di oppressione continuò a perseguitarlo.

Alla fine decise di fermarsi ed affrontare quella che, ormai, era convinto essere una iena. Si voltò e, per un attimo, ebbe paura.

Un’ombra mostruosamente grossa si stagliava stranamente verso il cielo, ed era quella di suo zio Scaar.

- No! – ruggì il leone – Non tu! Ritorna tra i morti a cui appartieni! –

La figura perse i suoi lineamenti e i dettagli divennero confusi, poi il volto mutò leggermente e Simba poté riconoscere suo padre.

Il leone non seppe cosa dire, ma quando anche la figura del padre se ne andò, una piccola lacrima cadde sul terreno.

Altra ombre si susseguirono, sempre più veloci. Simba riconobbe Sora morente, i suoi amici che lo accusavano, il suo branco condannato, a causa sua, ad una pena eterna. Il peggio fu che, in cuor suo, quelle immagini bruciavano come se fossero vere.

Decise che sarebbe andato contro a tutto e a tutti pur di riuscire nella sua impresa. Con un grande sforzo di volontà rinnegò quelle immagini e si costrinse a pensare che erano false, che poteva ancora cambiare le cosa. Avrebbe riportato a casa il branco e, con esso, avrebbe salvato i suoi amici.

Non esitò neanche per un secondo e si lanciò all’attacco di quell’ombra che tanto cercava di indurlo ad abbandonare; in quel momento era un leone i cui lineamenti erano familiari ma per qualche ragione non riusciva a riconoscerlo.

Quando le fu addosso, l’ombra si dissolse nel nulla e, per il momento, con essa sparirono anche tutte le preoccupazioni di Simba.

Il leone continuò il suo cammino.

Era il tramonto ormai quando finalmente trovò un’altra grotta. Non voleva combattere, quindi entrò con circospezione.

Arrivò in una grossa cavità e ormai iniziava a sperare che la caverna fosse davvero vuota. Tutto ad un tratto qualche cosa lo attaccò. Era arrivata dall’ombra e Simba non l’aveva neanche vista arrivare. Quando si accorse del pericolo, era già a terra disteso, con le unghie puntate alla gola.

- Che cosa vuoi? – a parlare era stata una iena vecchissima ma scaltra, ancora in forma.

- Solo dormire al riparo –

- E chi saresti per avere questo privilegio? –

- Il re dei leoni, ma nemmeno io posso dormire nella tua caverna se tu non vuoi –

- Parole sagge, per questo stanotte sarò clemente –

La iena ritirò le unghie e si accucciò in un angolo.

Simba dormì tranquillamente, soprattutto perché si fidava. Aveva letto in quegli occhi furbi ed esperti che ci si poteva fidare e non dubitava mai del suo istinto.

 

Ansem non riusciva a darsi pace. Era tutto il pomeriggio che provava a scoprire il segreto di quello stupido incantesimo ma proprio non ci riusciva.

Era complesso, raffinato, impossibile capirne il meccanismo. Sapeva che nascondeva i leoni, o almeno lo sospettava, ma c’era qualche cosa di più. Era come se non nascondesse solo  loro, ma neanche i leoni potessero vederli.

L’illuminazione arrivò proprio grazie a quei pensieri. Forse l’incantesimo non solo nascondeva i leoni, ma li lasciava in una realtà parallela e loro non potevano accorgersi di nulla. Cerò di immedesimarsi in quel nuovo pensiero e finalmente poté vedere delle forme tutto attorno a lui, sagome prive di contorni definiti ma che non potevano non essere i leoni scomparsi. Anch’essi parvero vederlo e, a quanto parve, si spaventarono non poco. Iniziarono a scartare vicino alla sua forma ma Ansem non riusciva a capirne il motivo. Iniziò a staccarsi da quel mondo parallelo, senza però che l’incantesimo si accorgesse di lui. Rimase in esso, come una sua parte sempre più indispensabile, e alla fine vide che non poteva fare nulla per liberare i leoni: erano una prova che qualcuno aveva predisposto per Simba. Vide tutte le prove che questo qualcuno aveva preparato e proprio pochi minuti prima Simba aveva superato la seconda: non avrebbe dovuto seguire i suoi pregiudizi e avrebbe dovuto fidarsi di quello che in realtà sentiva. Ansem, però, vide anche che le prossime side sarebbero state molto più dure.

Si staccò dall’incantesimo e tornò, dopo tanto tempo, alla realtà. Topolino lo stava osservando da quel minuto.

- Vedo ce sei tornato fra noi – disse il re con ton di rimprovero.

- Ho avuto qualche impegno – rispose il saggio in modo ambiguo. Non voleva assolutamente rivelare a nessuno quello che aveva appena scoperto.

- Molto bene... – disse Topolino, con un tono rinunciatario che sorprese Ansem, ma allo stesso tempo lo tranquillizzò: non avrebbe dovuto inventare alcuna scusa. Senza proferir altre parole, Topolino si avviò verso la fonte d’acqua per bere, mentre Ansem, stanco dopo lo sforzo, andò direttamente a dormire.

Riku aveva finito gli allenamenti da un po’ di tempo, così decise che per lui era ora di tornare al castello Disney. Topolino, dopo il rifiuto di Ansem, anche se molto implicito, non era in vena di discussioni, quindi non disse nulla se non un semplice -Fa quello che vuoi –

Riku non aggiunse altro e aprì un varco verso quella che ormai considerava casa.

Tutti passarono una notte tranquilla, a parte Sora. Il ragazzo non riusciva a riprendere conoscenza e iniziò ad avere i primi incubi. Sognò che Kairi si fosse perduta in un mondo lontano e non potesse fuggire, il nobody che stava cercando lo sconfiggevo e lo dava in pasto all’oscurità, vide che tutti lo combattevano ma nessuno lo vinceva, vide Sephiroth che spazzava via Claud.

Alla fine gridò e la voce, quasi disumana, ruppe il silenzio della notte svegliando tutti coloro che stavano dormendo nei pressi del ragazzo.

Topolino, sentito il grido, accorse subito e toccò la fronte del ragazzo: era bollente, la febbre era salita vertiginosamente e Sora doveva assolutamente essere curato. C’era però un problema: il ragazzo, in quelle condizioni, non poteva essere trasportato e non sarebbe mai sopravvissuto ad un viaggio in un varco.

Ansem, per la prima volta da quando erano arrivati, andò a vedere da vicino le condizioni del ragazzo che, per dare una possibilità ad un amico, aveva dato tutto se stesso. Lo ammirava molto e non pensava di essere capace di un tale gesto di altruismo. Non era certo un caso che le Keyblade avessero scelto proprio lui.

 

Il mattino seguente Simba si svegliò molto riposato. Sapeva che lo attendeva una nuova prova e capiva che avrebbe dovuto muoversi.

Cercò la vecchia iena che lo aveva ospitato, ma non la trovò.

Sarà a caccia – si disse, poi proseguì.

Tutto attorno a lui era in silenzio, nemmeno il vento faceva il minimo rumore muovendo le foglie e tutto sembrava immobile.

Proseguì per almeno mezz’ora, poi dovette fermarsi. Davanti a lui c’era un burrone molto profondo e l’altra parte era molto distante. Difficile raggiungerla con un salto. Eppure non aveva la minima scelta; sperò che il coraggio fosse sufficiente, poi prese la rincorsa e saltò.

- Più veloce, più veloce! – continuava a ripetersi mentre correva.

Spiccò il salto... troppo corto. Simba si accorse subito che non ce l’avrebbe mai fatta e chiuse gli occhi. Sapeva che non sarebbe mai riuscito a sopravvivere a quell’altezza. Pensò a suo padre e sorrise... sarebbe morto come lui, cadendo.

L’immagine di suo padre gli balenò nella mente, ma stranamente non lo vide come l’idolo che aveva sempre ammirato. Lo guardò con gli occhi di un leone qualunque e vide tutti i suoi difetti, gli sbagli e i traguardi raggiunti. Facendo un reale bilancio, il padre era stato un buon re, ma non certo uno dei migliori. Questa consapevolezza lo attanagliò e aprì gli occhi, gridando. Solo a questo punto il leone si accorse che non stava più cadendo. Era strano, come se l’aria fosse solida. Guardò verso il basso, vedendo che era appoggiato ad un ponte che non poteva essere visto dall’altra parte.

Ripensò a quando aveva rivisto suo padre. Sapeva già da tempo quelle verità, ma non era mai riuscito ad accettarle fino in fondo. Solo in quel momento poteva davvero sapere che cosa ci voleva per essere un vero re.

Continuò a camminare, sentendosi osservato da qualche cosa che non poteva né vedere né sentire, ma sapeva che esisteva. Era una starna sensazione che lo abbandonava solo di notte, mentre dormiva.

Simba continuò il suo cammino. Si stava avvicinando sempre di più alla foresta, infatti si potevano vedere sempre più alberi e, di tanti in tanto, si trovava anche qualche prato dove il vento non poteva arrivare a strapparla.

Arrivò fino ala foresta dove sarebbe andato incontro, inconsapevolmente, alla prova successiva. Ora che aveva capito gli errori del padre, avrebbe dovuto capire che cosa avrebbe dovuto fare per essere quello ch il padre non era riuscito a diventare.

Continuò a camminare verso quel posto così pieno di bei ricordi, ripensò dopo tanto tempo a Timon e Pumba, amici fedelissimi che era andato a trovare dopo molto tempo, troppo in effetti. Capì che per essere un buon re non avrebbe mai dovuto confondere i suoi doveri con il senso della vita.

Si ripromise che non avrebbe mai più cercato di essere il migliore ad ogni costo ma sarebbe stato normale e, se agli altri non fosse piaciuto, sarebbero stati liberi di scegliere un nuovo re, lui sarebbe stato d’accordo.

Continuò ad avanzare ed ogni volta che faceva una riflessione si sentiva sempre più leggero e pronto per andare avanti.

Sulla rupe, intanto, Sora si era svegliato. Il ragazzo fece un lungo sbadiglio che richiamò attenzione di tutti i presenti. Subito Topolino corse verso il ragazzo e si informò su come stesse.

Ora aveva la fronte bagnata fradicia e si sentiva molto debole.

- Almeno il fatto che si sia svegliato è un buon segno, ma non dobbiamo assolutamente smettere di curarlo –

La voce di Ansem arrivava da qualche parte dietro il ragazzo, che cercò di girarsi. Topolino lo fermò.

- Tu ora devi riposare – disse con voce dolce il re.

Sora, rassicurato, chiuse gli occhi e tornò a dormire, dimentico del mondo attorno a lui.

Non appena Sora si addormentò, il saggio si chinò su di lui e iniziò ad usare qualche magia di guarigione, anche se piuttosto elementare, sul ragazzo.

Sora sognò molto i quelle ore di sonno, ma al risveglio non ricordava assolutamente nulla. La giornata lì sul monte sarebbe passata come tutte le altre, in attesa di Simba.

Il leone, intanto, era andato avanti nel suo cammino e stava per affrontare una prova davvero difficile.

Un intero branco di centauri, esseri che Simba aveva solo sentito nominare, stavano correndo verso di lui. Essi, infatti, avevano percepito l’odore dell’intruso in quello che da molto era il loro territorio già a diverse miglia di distanza. Solitamente avrebbero lasciato correre ma, in quel caso, qualche cosa diceva loro di andare a controllare.

Simba sentì il rumore degli zoccoli e si rifugiò dietro ad un grosso cespuglio. Purtroppo non era esperto di caccia e non si accorse di non essere sottovento, quindi i centauri presero al volo l’occasione. Si fermarono a pochi metri da lui, consapevoli che quella che ormai consideravano una preda li stava osservando, e iniziarono a muoversi tutto intorno, con un’espressione confusa sul viso.

Un sorriso si fece strada sulle labbra del leone che iniziava a sperare di non essere notato.

La sua espressione si fece seria quando si accorse che il branco di centauri lo stava lentamente accerchiando.

Pian piano uscì dal suo nascondiglio, ormai conscio di avere tutti gli occhi puntati verso di se.

- Eccomi, dunque. Mi avete stanato –

- Eccome, ma tu ci hai reso facile il lavoro – disse quello che sembrava essere il capo dei centauri

Un’espressione stupita si dipinse sul volto del leone e tutti i centauri si misero a ridere.

- Non dirmi che non ti sei accorto di non essere sottovento! – esclamò.

- In effetti non sono mai andato a caccia in  modo serio... di solito le nostre prede non hanno un naso raffinato e sensibile come il vostro –

- Che cosa ci fai qui? – chiese il centauro tornando serio.

Solo in quel momento  Simba si accorse della forma fisica che possedevano i suoi interlocutori: dalla vita in su il corpo era come quello di Sora quando non era in viaggio nelle Terre del Branco, anche se molto più muscoloso e la pelle era scura, come quella di coloro che stanno molte ore al giorno sotto al sole. Dalla vita in giù erano come cavalli, rari ma presenti nelle Terre. I corpi lasciavano intravedere una muscolatura possente e l’espressione del viso era quelle delle presone antiche, che hanno visto così tanto da arrivare a pensare che il loro mondo non abbia più alcun segreto con loro.

Il leone capì subito che quelli erano avversari davvero strepitosi non sarebbe mai riuscito a sconfiggerli tutti.

Il centauro notò con molto piacere il modo in cui Simba ammirava il suo corpo ma, dopo cinque minuti, decise che ne aveva abbastanza e ripeté la domanda appena posta a voce decisamente alta, facendo tornare il re dei leoni alla realtà.

- Io... sono qui perché sevo trovare gli altri leoni – il tono di Simba non era molto convinto e un sorriso si dipinse sulle labbra del suo interlocutore.

- Perché non li cerchi alla rupe? –

- Forse lì non ci sono? –

- Beh, di qui non sono passati, quindi se vuoi ti concedo di andare indietro. Se vuoi passare dovrai combattere –

- Lo sai bene che contro di voi non ho speranze –

- E chi ha mai detto che dovrai affrontarci tutti? – la voce era derisoria – Combatterai con me e, se vincerai, andrai avanti ma, se perdi, sarai la nostra cena, ho già l’acquolina in bocca! –

Simba vide in quello scontro l’unica salvezza del suo popolo quindi accettò di buon grado.

Il centauro si lanciò all’attacco così velocemente che Simba lo vide all’ultimo istante e si gettò di lato, riducendo i danni ad un piccolo graffietto sulla zampa. Il leone contrattaccò con foga, ma l’avversario era fortissimo. Abituato a combattere chiunque lo ostacolasse, era un veterano dei combattimenti e non aveva la minima difficoltà a controbattere e tutti i suoi attacchi andavano a segno, lasciando sempre qualche ferita sanguinante sul corpo del re dei leoni.

In preda al panico e alla rabbia, Simba decise che era disposto a tutto per salvare i suoi amati leoni e concedette il suo cuore all’oscurità, diventando un heartless.

L’heartless di Simba, avvolto in un’aura oscura, aprì per la prima volta gli occhi. era incredibile la sensazione di invincibilità che provava, quel senso di rabbia folle. Subito volle andare a strappare il cuore di colui che l’aveva fatto nascere.

Il centauro vide un’ombra balzargli addosso e, prima che se ne rendesse conto, era con la schiena a terra e le unghie puntate alla gola.

L’heartless di Simba non volle avere pietà e istintivamente volle dare il colpo di grazia. Aveva già alzato la zampa quando vide il volto di Sora e, nel profondo, sentì di averlo tradito. Si guardò attorno e vide gli occhi stupiti e perduti di tutti quei centauri e li vide come i suoi leoni, sperduti senza una guida. Guardò il sole e vi vide la luce che avrebbe dovuto guidarlo. Venne avvolto da un bagliore intenso e ritornò ad essere se stesso. Tiro via la zampa dalla gola del centauro e si allontanò di qualche passo.

- Perché mi risparmi la vita? – chiese subito il capo dei centauri.

- Perché tutti loro hanno bisogno della tua guida – disse Simba, accennando con la testa a tutti i presenti

- Non è un valido motivo –

- Per me si – rispose, cocciuto.

- E va bene. Puoi passare e ti auguro di trovare quello che cerchi –

- Grazie. Spero che nel futuro potremo essere amici e collaborare –

- Di certo. Ora va, il tempo è prezioso –

Senza aggiungere altro, Simba si allontanò con passo spedito, con l’intenzione di tornare molto presto dai centauri.

Ormai si era fatta sera e Simba sapeva che non sarebbe stato per nulla saggio proseguire. La zona che stava attraversano era piena di boschetti, ormai si poteva vedere bene la foresta dove per tanti anni aveva vissuto lontano dagli altri.

Trovò una radura e si sdraiò sotto ad un grosso albero dal troco molto chiaro, alto vari metri, che dava riparo a molti animali. Esso era grosso e vecchio ma dava, al una tale sensazione di sicurezza che Simba non avrebbe mai potuto andare a dormire da un’altra parte.

 

Ansem stava osservando le prove che Simba affrontava. Riusciva addirittura a capire come si sentisse colui che aveva evocato la magia e, stranamente, era come se fosse felice del fatto che il leone le superava tutte, dalla prima all’ultima.

La prova finale, però, sarebbe stata una prova che lo avrebbe sconvolto. Avrebbe dovuto affrontare la parte oscura di se stesso e avrebbe dovuto accettarla.

- Come fare ad avvisarlo? – pensava spesso, ma sapeva che non poteva fare proprio nulla.

Ansem decise che era ora di parlare a Topolino delle sue scoperte. Fino a quel momento aveva tenuto tutto per se, ma era arrivato il momento di giocare a carte scoperte. Voleva assolutamente guadagnarsi di nuovo la fiducia totale del re che, come il saggio aveva notato e condiviso, lo osservava e spiava. Non si era mai stupito del comportamento dell’amico che faceva esattamente quello che avrebbe fatto lui nei suoi panni.

- Topolino? – chiese, vedendo avvicinarsi un’ombra

- Sono io – rispose il re.

- Volevo parlarti, è una fortuna che tu sia arrivato proprio ora –

- Bene allora. Dimmi. –

Ansem iniziò il racconto senza nascondere i suoi fallimenti. Descrisse le protezioni di quella magia, l’incontro con i leoni, le avventure di Simba. I due rimasero a parlare tutta la notte e, il mattino dopo, erano troppo stanchi per discutere, quindi si coricarono che il sole era già sorto e non si sarebbero svegliati fino al pomeriggio inoltrato.

Simba si svegliò. Voleva andare avanti, ma prima fece una magra colazione, per mettere almeno qualche cosa nello stomaco. Non poteva essere lucido e combattere se aveva fame.

Il leone si incamminò senza sapere che quella che stava per affrontare sarebbe stata la sua ultima prova, che lo avrebbe fatto diventare o il re che avrebbe sempre voluto essere oppure lo avrebbe condotto ad una morte che non poteva nemmeno immaginare.

 

Era già da tempo che camminava, pensando a quello che era successo negli ultimi giorni. Il sacrificio di Sora era stato provvidenziale, ma se non avesse continuato, si ripeteva, sarebbe stato del tutto inutile. Arrivò alla foresta che conosceva tanto bene.

Si trovò ben presto in una radura che conosceva bene: quando era solo un leoncino, era stato lì che Timon e Pumba lo avevano trovato mentre cercavano i loro insetti. I due lo avevano cresciuto e trasformato in quello che era. Solo allora si rese conto che in realtà non aveva mai veramente desiderato essere rimasto con gli altri perché la sua casa era proprio lì in quella foresta. La rupe era solo il luogo dove avrebbe dovuto andare per tutta la vita a guidare il suo branco.

Un’ombra si mosse rapida tra i cespugli e Simba si catapultò in quella direzione, ma senza trovare nulla.

Si girò e si trovò di fronte alla sua copia.

- E tu chi diavolo sei? – chiese, nella voce un misto di stupore e determinazione

- Il tuo nobody, mio caro –

- Ma... –

- Hai ceduto il tuo cuore all’oscurità – disse il nobody sorridendo – E mi hai dato la vita, liberandomi. Ora la tua parte oscura risiede in me, ma non puoi essere completo senza essa. Ognuno è fatto di luci e ombre e non è possibile scindere le due. Ci deve essere un equilibrio. Puoi scegliere se riunirti a me e convivere con te stesso in modo del tutto consapevole oppure combattermi, e morire nel tentativo –

Simba rimase interdetto. Aveva capito quello che era successo, ma non poteva accettare il fatto che doveva avere dentro di se anche quel mostro. Comprese solo allora che non poteva andare sempre tutto bene e doveva rischiare. Decise che prima avrebbe preso un po’ di tempo.

- Sai dove sono i leoni? – chiese curioso.

- Tu, nel profondo, sai dove sono –

- Ma che cosa dici? Io non so nulla! –

- Questo è quello che ti sei costretto a credere –

- Tu sei pazzo! –

- Ehi, stai dando del pazzo a te stesso! –

- Almeno dimmi il motivo dei mie incontri! Non potevano essere del tutto casuali! Prima la vecchia iena, poi i centauri e ora tu... –

Il nobody rimase in silenzio, sorridendo

- E che ne so io? Sono appena nato, ricordi? –

- Brutto... ! –

Dicendo questo, Simba si lanciò all’attacco, ma il suo nobody era troppo veloce.

- Ma come fai? Del resto, non puoi essere tanto diverso da me! –

- Infatti, solo che io non ho paura dio sfruttare l’immenso potenziale che tu rinneghi. Tuo padre ci... –

Rimase qualche tempo in silenzio, per sottolineare quella parola, poi proseguì.

- Ci ha dato un immenso potenziale per i combattimenti. Tu lo usi solo in minima parte e solo quando ti sei trasformato in un heartless lo hai capito ma non accettato, almeno non consciamente. Il suo subconscio ha cercato di mascherare la verità, ma nessun heartless diventa più forte di prima, solo usa tutto quello che fino a prima aveva paura di tirare fuori. E scommetto che ti è piaciuto... –

Il nobody si concesse una pausa.

Aveva dannatamente ragione, sembrava sapere tutti i suoi pensieri, anche i più intimi, nonostante si fossero separati. Non voleva ricongiungersi con li, ma lo avrebbe fatto per il bene del suo popolo. Solo, non sapeva se dopo sarebbe ancora stato degno di essere il capo. Poi, all’improvviso, un pensiero gli balenò in mente.

- Perché sono diventato re? Perché sono figlio di mio padre? Forse Scaar sarebbe meglio di me? –

Scacciò tutte quelle domande, ma esse ritornarono, sempre più insistenti. Dovette riflettere, del resto il suo nobody non sembrava tanto ansioso di combattere. Decise che sarebbe andato in ordine.

Per prima cosa, era diventato re perché Rafki lo aveva ritenuto degno, ma se sapesse quello che aveva passato forse avrebbe cambiato opinione.

- O forse no – Si disse. Tutti i grandi re avevano avuto le loro sfide interiori, le debolezze, le vittorie.

Ripensò a tutti i suoi eroi e notò che nessuno non aveva commesso errori. Erano leoni come lui, niente di più, solo che loro avevano avuto il coraggio di affrontare i loro difetti e convivere con loro.

Decise che era ora di rispondersi sulla domanda più importante: Scaar era stato meglio di lui? Solo ora pensava che forse era così. Del resto lo zio aveva polso e sapeva che non aveva mai concesso nulla a nessuno. Ma del resto lui non aveva mai proibito nulla a nessuno, anche quando era consigliabile farlo. Si era sempre comportato come un debole che tenta in tutti i modi di tenere il potere per se. Almeno per finta...

Uno sbuffo lo distrasse dalle sue riflessioni. Il nobody non aveva tutta la pazienza del mondo, ovviamente. Si era stufato di aspettare e voleva sapere la decisione del somebody.

- Allora, cosa hai deciso? – chiese, con una nota frettolosa nella voce.

- Ancora non lo so – disse Simba con tono di sfida – Sono ancora nella fase di autocommiserazione, poi ci potrebbe essere il pensiero positivo e poi, infine... la risposta! –

- Le tue battute non mi piacciono affatto, io non ho tempo da perdere. O andiamo insieme a recuperare il tuo branco oppure ci vado da solo dopo averti eliminato –

Quelle parole fecero sussultare Simba.

- Tu sai dove sono? –

- Ovvio. Non hai ancora capito, non è così? –

- Capito cosa? – chiese Simba sempre più confuso.

- Capito lo scopo delle prove, della mia esistenza. Certo, lo ammetto, io non sarei dovuto esistere e la prova finale doveva essere molto diversa. –

Il tono del nobody divenne vago e il leone capì che non gli stava dicendo nulla in quel modo, se non che il suo interlocutore era uno sbaglio e a lui non importava proprio nulla.

Dovette cercare a fondo dentro di se, poi vide la soluzione.

- Aiutami a vedere le mie potenzialità – disse, tutto d’un fiato.

- Le vedrai non appena ci saremo uniti, di nuovo. Sempre che tu non voglia soccombere –

Gli artigli del nobody uscirono lentamente e parvero prendersi gioco del leone che avevano davanti, ma Simba si costrinse a rimanere calmo.

- Tu sei una parte di me, molto nascosta, quello che non viene mai alla luce del sole ma si nasconde nella parte più remota della mia mente. Solo ora posso capire che cosa mi è successo quando ho combattuto contro Scaar. Tu mi hai aiutato, con i tuoi riflessi molto sviluppati, dandomi tutta la forza necessaria per sconfiggere mio zio... –

- Vedo che solo ora inizi a capire chi hai di fronte. Dunque, mi rivuoi con te o no? –

- Non ne sono sicuro. Il tuo potere, da dove deriva? –

- Dall’oscurità, come tutto il potere –

- Anche la luce ha i suoi mezzi –

- Si, su questo hai perfettamente ragione, ma il vero potere non è fra essi –

- Giusto, alla luce non interessa avere la supremazia, si accontenta di essere in equilibrio con l’ombra. Sono i suoi guerrieri che non riescono a comprendere questo concetto. Luce e ombra devono equivalere, e nessuno può esistere senza l’altra. 

- Bene, vedo che un buon pensiero ne tira un altro... –

- C’è solo una cosa. Chi mi ha voluto mettere alla prova e perché ? –

- Alla prima domanda, non ti risponderò mai, ma tu, nel profondo, lo sai. Per quello che riguarda la seconda, eccoti il motivo, anche se non mi crederai mai –

Simba guardò il suo interlocutore negli occhi, ma il suo sguardo rimase sempre fisso, imperscrutabile.

- Parla –

- Bene, allora ecco tutto. Le prove ti dovevano dimostrare se sei degno veramente del posto che hai. Ma prima di dimostrarlo ad altri, lo devi dimostrare a te stesso. Pensaci un attimo. La vecchia iena era pericolosa, ma tu sapevi che non ti avrebbe fatto del male e non l’hai aggredita. Hai fatto la cosa giusta. –

- Ok, ma il resto? I centauri? –

- Loro dovevano farti capire che non sei invincibile e ci sarà sempre qualcuno più forte di noi leoni –

- E tu come fai a sapere tutte queste cose? –

- Perché ho parlato con colui che le ha progettate e lui mi ha spiegato tutto. È stato davvero gentile. Io ero perduto, alla mercé di chiunque e lui mi ha detto chi ero, perché ero nato e quale poteva essere il mio destino. Ora sei tu che devi fare la scelta –

Tutto appariva così assurdo agli occhi di Simba, poi capì che quello che aveva davanti era una parte importante di se stesso e senza di essa sarebbe cambiato. Si sarebbe trasformato davvero nel codardo che temeva di essere.

- Accetto – disse infine, con una voce che a stento riconosceva come propria – Ma prima dimmi chi è stato a farmi questo –

- Lo sai che non posso –

- Non parlavo delle prove –

- E di che cosa allora? –

- Da dove sono sbucati fuori tutti quegli heartless? –

- Davvero, questo non lo so, ma penso che fossero attirati dal Keyblade del tuo amico anzi, del nostro amico –

- Va bene, muoviamoci –

- Da quanto aspettavo questo momento! Mi chiedo come sia. Non ho mai provato a immaginarlo... –

Finì la frase e un intenso bagliore bianco lo circondò, poi il nobody si scompose in mille e più piccole lucine che, ad una ad una, entrarono nel corpo di Simba. Il leone poté sentire che tornava ad essere di nuovo completo.

Con passo sicuro, tornò alla rupe, dove sapeva che c’erano i leoni che lo aspettavano.

Il sole era alto nel cielo quando i leoni comparvero sulla rupe, come per magia. Lì trovarono Topolino e gli altri e non seppero cosa dire!

Poi, quando Rafki vide il corpo di Sora, ancora bollente per la febbre, calmò il branco e disse a due leonesse di portare Sora nella sua caverna.

Lì ascoltò il battito del cuore del piccolo eroe che un tempo aveva sperato di poter diventare re dei leoni. Era un caro amico e la scimmia voleva assolutamente aiutarlo.

Gli cosparse il corpo con un miscuglio di erbe pestate e intinte nell’acqua.

Topolino e Ansem rimasero al fianco del ragazzo per tutta la convalescenza durante la quale Sora chiamava molto spesso la sua amica Kairi.

Le erbe ebbero un effetto miracoloso: Sora guarì due giorni dopo, poche ore prima dell’arrivo di Simba.

Il leone, notò il ragazzo, era più sicuro di se e non aveva mai alcuna esitazione.

Sora decise che era meglio non chiedergli nulla a proposito di quello che aveva passato e Simba non era propenso a parlarne.

Topolino, Ansem e Sora decisero che per loro era giunto il momento di rientrare. Aprirono il loro varco di luce e vi entrarono, diretti verso il castello Disney.

 

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Capitolo 25
*** La morte di Ansem ***


Capitolo 25: La morte di Ansem

 

Il ragazzo aveva passato vari giorni per pianificare l’operazione che stava per compiere.  Si rendeva conto che, per scoprire dov’era Sora, avrebbe dovuto andare al castello Disney e chiedere a Topolino, ma da solo non ci sarebbe mai riuscito. Aveva bisogno dell’aiuto di colui che riteneva il migliore di tutti.

Axel.

Sephiroth era lì con lui. Erano passati vari giorni da quando lo aveva incontrato ma non era riuscito a sconfiggerlo. Era impossibile farlo a meno che non fosse Claud a sfidarlo. Come ormai sapeva, Sephiroth era immune al suo potere. Come gli aveva detto durante l’incontro, una persona che nasce dall’oscurità non può essere colpita da essa. Lui era nato proprio dall’oscurità del cuore di Claud e quindi era immune agli straordinari poteri del ragazzo.

Il nobody ripensò a quello che era accaduto quel giorno.

Dopo aver incontrato Sephiroth, gli aveva chiesto, senza molti preamboli di unirsi a lui. Come era prevedibile, il nobody si era rifiutato in quanto, d solito, lavorava da solo. Dopo che il ragazzo aveva insistito, Sephiroth decise di metterlo alla prova e si misurò con lui. Il ragazzo era molto forte, ma non aveva nemmeno un briciolo della tecnica e dell’esperienza del suo rivale che, dopo pochi scambi di colpi, lo sconfisse usando la sua lunghissima spada per fargli perdere l’equilibrio.

- Non sei degno di essere mio socio – disse con tono sprezzante nella voce

- Non è ancora finita – replicò il ragazzo, coraggiosamente.

Usò il potere dell’oscurità contro l’avversario ma, sorprendentemente, esso lo aveva attraversato senza nemmeno sfiorarlo.

Allora aveva cambiato tattica, usandolo per diventare più veloce e preciso e, grazie ad esso, riuscì ad eguagliare Sephiroth il quale, però, non combatteva sul serio e durante l’incontro non sfoderò tutta la sua potenza.

Dopo una mezz’ora di combattimento, il nobody era sfinito. Non riusciva più a controllare il potere dell’oscurità e dovette rinunciare ad esso. Al contrario, Sephiroth era in gran forma e nulla sembrava stancarlo. Dopo due rapidissimi colpi, stese il ragazzo e li disse che aveva superato la prova. Sarebbe diventato un suo socio, allo stesso livello, ma non voleva ancora far sapere al mondo che era tornato.

- Allora, ci muoviamo o no? –

Le parole di Sephiroth fecero tornare il ragazzo al presente.

- Si, sono pronto. Mi sono preparato bene e fino ad ora tutte le prove indicavano che il mio potere è più che sufficiente –

- Allora procedi – il tono era freddo e distaccato.

Il ragazzo iniziò ad invocare il potere dell’oscurità per far tornare Axel. Il corpo del n° VIII  era nella macchina che il ragazzo aveva usato tempo prima, assieme al suo spirito. Riportarlo alla vita era abbastanza semplice per il fatto che un nobody non aveva un cuore, quindi si potevano prevedere le sue reazioni.

Un cuore, infatti, è imprevedibile e sarebbe stato troppo difficile farlo tornare dal mondo dei morti senza traumi.

Concentrò il suo potere sulla figura di Axel che il ragazzo aveva completato rifinendone il carattere attraverso i dati scaricati dal computer di Ansem. Grazie al caro Tron aveva tutto quello che voleva.

La casacca scura comparve nella stanza dopo pochi secondi. Iniziava la parte più difficile.

Il ragazzo si concentrò al massimo. L’oscurità entrò nella macchina, isolando Axel da tutti gli altri. Lo prese, dividendolo dagli altri, che facevano pressino per essere riportati anche loro nel mondo dei vivi.

- Ma che diamine! Devono proprio intromettersi?-

Si chiese il ragazzo, le gocce di sudore gli imperlavano la fronte.

- Ce la fai? – chiese Sephiroth con tono sprezzante.

L’unica risposta che ottenne fu un grugnito, nello stesso istante in cui una luce abbagliante si concentrò nella casacca nera dell’Organizzazione, devo pochi istanti dopo apparve Axel.

- Che diavolo succede? – chiese Axel quando riuscì a parlare.

Il ragazzo gli raccontò la sua storia e gli propose di unirsi a lui. Gli tacque alcuni “dettagli” come il fatto che poteva portare in vita, di nuovo, tutti i membri dell’organizzazione. Gli propose di aiutarlo a far tornare Roxas.

Axel non poté fare altro che accettare. Avrebbe fatto di tutto per ritrovare il suo amico, l’unico che lo facesse davvero sentire bene, l’unico con cui, alla fine, era davvero legato. Prima come adesso.

- Siamo diretti al castello Disney, dove Topolino ci dirà dove si trova Sora. –

- E come conti di farlo diventare un heartless? –

- Non lo farò. C’è una macchina che separerà Sora da Roxas. Allora noi uccideremo il primo e il secondo sarà di nuovo nostro –

- Gli altri? –

- Altri chi? –

- Xemnas, e i suoi... X–E–M–N–A–S, got it memorized? –

- Si, lo so chi era il capo –

- Era? –

- Sora lo ha ucciso, quindi non era degno di essere il capo dell’Organizzazione –

- E tu conti di prendere il suo posto... –

- Molto perspicace... –

- Penso che ti appoggerò –

- Grazie, mi fa piacere saperlo –

- A patto che Roxas torni fra noi –

- Ovvio, ovvio. Un altro custode mi farà comodo –

- In che senso un altro? –

- Nel senso che anche io sono un custode –  disse il ragazzo evocando la sua Keyblade

- Bene, felice per te – fu la risposta secca del n° VIII.

 

Al castello Disney tutto era tranquillo. Kairi si era ripresa e Sora le stava accanto tutto il tempo. Riku si era isolato, invece. Era da tempo che non vedeva Kairi, ma lei non aveva occhi che per Sora. Invidiava quel ragazzo in un modo che va oltre la semplice cotta che ormai era convinto di aveva per la fidanzata del suo amico. Spesso si vergognava dei suoi sentimenti, ma non poteva fare nulla.

Cercava di non pensarci e si allenava per tutto il tempo che aveva a disposizione.

Qualche volta Sora lo aiutava, ma il ragazzo non poteva impegnarsi più di tanto. Da quando si era unito del tutto a Roxas, aveva acquisito una potenza inimmaginabile. Possedeva addirittura tre Keyblade: la Catena Regale, il Portafortuna e il Lontano Ricordo. Poteva evocare la prima da sola oppure le altre due, come una volta faceva Roxas.

Era proprio durante un allenamento ce un varco oscuro si aprì e ne uscirono due tizi con la stessa casacca dell’organizzazione XIII !

Non poteva certo chiedere aiuto, era troppo orgoglioso per farlo.

- Chi siete? – chiese.

Axel, per tutta risposta, si tolse il cappuccio.

- Tu! – gridò Sora che per caso passava di lì.

- Già, io. L’ultima volta ti ho dato una bella mano, ma non sperarci di nuovo! –

Anche l’altro tizio si tolse il cappuccio e si rivelò essere la copia di Riku, solo con qualche cosa di oscuro. Sarebbe difficile per Sora spiegare quello che aveva provato alla loro comparsa.

- Ma che storia è questa? – chiese Sora, che ancora non capiva quello che stava accadendo.

- È il mio nobody – disse Riku con voce asciutta.

- Esatto – replicò quello – E sono qui per te! – disse, puntando il dito verso Sora.

- E come mai vuoi me? –

- Davvero non lo capisci? Beh, allora non ti rovino la sorpresa! –

- Tu combatterai contro di me – disse Ansem, arrivato proprio in quel momento. La voce calma e asciutta faceva percepire tutta la sua determinazione.

- Non voglio ucciderti, vecchio, non dopo che mi hai aiutato così tanto –

- Io che cosa ho fatto? –

- Il tuo computer a Crepuscopoli mi ha dato tutte le informazioni necessarie –

- Capisco, quindi hai avuto accesso a tutte le mie ricerche... – considerò il saggio, con tono rassegnato. Da molto non pensava agli studi che aveva fatto tempo prima.

- Esatto. E ora, se vuoi scusarmi –

Ansem si parò davanti al nobody.

- Non così in fretta – disse, la voce imperiosa.

- Va bene, se proprio vuoi morire –

I due evocarono i rispettivi Keyblade e si misero in  posizione. Erano molto abili e lo scontro prometteva di essere molto bilanciato.

Il ragazzo sapeva di poter vincere mentre Ansem capiva che la sua situazione era decisamente delle peggiori. Non poteva resistere molto a lungo contro il poter dell’oscurità e lo sapeva.

Il ragazzo decise che non avrebbe sfruttato il suo talento, almeno non subito. Attaccò in modo classico, seguendo alla regola tutte le regole che si seguivano nella scherma. Presto capì che la perfezione teorica non era sufficiente. Attacchi e parate erano prevedibili e presto entrambi iniziarono a giocare sull’inventiva.

Vederli combattere era uno spettacolo entusiasmante e Axel si rifiutò di combattere: volva assistere a tutto il duello. Voleva, in realtà, studiare il vero potenziale di quel nobody e trovarne i punti deboli. Solo allora avrebbe potuto sconfiggerlo e prendere il posto che gli spettava come capo dell’organizzazione. Lui era il più forte, o almeno di questo era convinto il Nobody che non aveva mai accettato il fatto che Roxas se ne fosse andato. Ora, però, aveva l’occasione di ritrovarlo dopo tanto tempo.

Continuò a seguire lo scontro, ma presto fu ovvio che Ansem era nettamente superiore.

Il ragazzo non avrebbe voluto usare in modo tanto evidente il suo potere, ma non ebbe scelta.

Creò una palla di oscurità che poi lanciò contro il nemico, scaraventandolo contro la parete del castello.

- No! – gridò invano Sora.

Il ragazzo era micidiale e in un baleno fu addosso al saggio e lo trafisse con la sua arma.

Ansem non avrebbe mai pensato di morire così, combattendo per la giusta causa ma, in realtà, ne era felice. Aveva ottenuto quello che voleva e molto di più. Quello scontro era l’ultimo sfizio che voleva voluto togliersi e sapeva già dall’inizio che avrebbe perso. Pensò alla sua vita, i suoi allievi, tutti si erano trasformati in heartless lasciando quel guscio vuoto ch erano i loro nobody.

Erano stati sconfitti tutti ma a quanto pareva potevano essere fatti tornare. Il ragazzo ce l’’aveva fatta.

Soddisfatto attese il colpo di grazia, che non tardò ad arrivare. La lama penetrò nella carne fino al cuore. Sorrise, sapendo che per lui era la fine.

Mentre esalava il suo ultimo respiro, anche il Keyblade scomparve dalle sue mani, per andare al Cimitero delle Keyblade, luogo dove tutte le armi sacre si radunano quando il loro Custode muore.  A tutti gli spettatori sembrò che, scomparendo, la chiave si facesse beffe di Ansem, che non era stato capace di sconfiggere il suo avversario.

 

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Capitolo 26
*** L'esperimento ***


Capitolo 26: L’esperimento

 

Sora rimase sconcertato. Non avrebbe mai pensato che ci potesse essere qualcuno tanto potente. Quel nobody aveva sconfitto Ansem con un colpo solo.  Era davvero inaudito, il suo potere era davvero oltre l’immaginabile.

Sora sorrise. Finalmente aveva trovato qualcuno con cui sarebbe stato davvero bello battersi.

- Ora è il mio turno – disse Riku, deciso.

- Va bene, allora combatterai con me – rispose Axel, ridendo – Sora è del mio amico, non vorrai rovinare tutto! –

- Io accetto la sfida –

La voce di Sora risuonò decisa e nessuno gli avrebbe fatto cambiare idea.

Riku capì questo e si arrese. Non avrebbe potuto fare nulla, se non sconfiggere Axel.

- Molto bene allora – disse il ragazzo mettendosi in posizione, concentrato.

Sora evocò la Catena Regale e un’espressione stupita si dipinse sul volto di Riku, che la fece sparire subito.

- Combattiamo?- disse Axel.

- No, preferisco vedere loro due – rispose il ragazzo.

- Sai una cosa? Anche io – replicò il membro numero VIII.

Il duello iniziò, subito rapido ed entrambi cercavano di studiare l’avversario senza far capire molto di se.

Andarono avanti per qualche minuto, poi il ragazzo evocò la sua magia, senza la quale era nettamente inferiore ai suoi avversari. In passato, capì, aveva tenuto testa a Sephiroth solo perché egli non aveva sfoderato il cento per cento della sua forza.

La magia colpì nello stesso modo in cui aveva distrutto le difese di Ansem, ma Sora era pronto. Parò con la sua arma l’ondata di oscurità e la respinse al mittente. Fatto ciò decise che i giochi erano terminati. La Catena Regale scomparve dalle sue mani e il nobody pensò, per un istante, di aver vinto. Poi tutto si fece confuso e nelle mani del ragazzo comparvero due Keyblade!

- Due! – esclamò il ragazzo – Impossibile! Pensavo che fosse stato solo un caso! –

- Invece no, a quanto pare. Ora si inizia a combattere seriamente! –

Sora scattò tanto velocemente che il ragazzo non lo vide arrivare e si trovò con il viso sul terreno, con un terribile dolore allo stomaco.

- Ma come hai fatto? –

- Allenamento... – disse Sora, serio.

Il ragazzo usò l’oscurità per diventare più veloce, ma non servì a nulla. Quel ragazzo era troppo forte per pensare di avere la minima possibilità di batterlo. Lo stesso gli era capitato quando combatteva con l’ombra di Roxas, tempo prima.

Cercò di aumentare ancora la sua velocità, ma non gli servì a nulla. Quel ragazzo era diventato troppo veloce e forte. Doveva inventarsi al più presto qualche cosa o sarebbe stato miseramente sconfitto. Decise che avrebbe puntato sulla difesa: se non riusciva a diventare abbastanza veloce, allora avrebbe cercato almeno di parare tutti i suoi colpi. Prima o poi si sarebbe stancato di attaccare.

Sora capì che il suo avversario non poteva farcela. Era ancora inesperto e teneva testa a tutti gli altri solo grazie al potere dell’oscurità, senza di esso non era nulla. Attaccò un’altra volta, ma qualche cosa andò male: attorno al corpo del ragazzo, proprio all’ultimo istante, si era eretta una barriera che Sora aveva distrutto, ma il colpo si era indebolito parecchio e non aveva ottenuto i risultati previsti, anche se era andato a segno e aveva aperto una piccola ferita alla spalla sinistra.

- Dannazione, mi ha colpito anche con la barriera! – pensò il ragazzo, disperato.

Sora attaccò di nuovo, con più forza di prima in modo che la barriera si spezzasse con più facilità ma questa volta essa resse il colpo. Sora era sconcertato e il ragazzo lo colpì ad una gamba, fortunatamente senza ferirlo, mentre il custode era ancora sbilanciato.

Sora, con la gamba dolorante, attaccava come un animale in gabbia e spesso andava a segno.

Il nobody era sempre più sorpreso e stava sempre sulla difensiva, senza mai sferrare un attacco.

Il duello continuò per vari minuti, poi il suo controllo sull’oscurità iniziò a diminuire.

 

Kairi era in camera sua e si stava pettinando quando sentì i primi colpi. All’inizio pensò che fosse Riku che si allenava ma poi comprese che non era così, soprattutto dopo quella tremenda esplosione. Andò dal re che decise di accompagnarla. Lui, dalla Sala della Prima Pietra non aveva sentito nulla. I due corsero fino al giardino e arrivarono pochi minuti dopo che Sora fosse colpito.

Il nobody, ormai indebolito, li vide ma non poteva fare nulla per portare a suo vantaggio la situazione. Sia il re che la ragazza possedevano un Keyblade, quindi era fuori discussione andare a cercare guai, soprattutto in quello stato.

Axel guardava impassibile la scena. Non aveva la minima intenzione di schierarsi con quel ragazzino e, in ogni caso, Sora era diventato troppo forte, nulla lo avrebbe fermato in quel momento.

Riku era sconcertato. Non aveva mai visto Sora combattere in quel modo ed era davvero fantastico. Capì solo in quei minuti di combattimento quanto giocasse quando si allenava con lui ma sapeva che da quel momento in poi, il divario che si era creato fra di loro sarebbe stato incolmabile.

Sora attaccò ma, prima di arrivare all’avversario inciampò, apparentemente sul nulla.

Il ragazzo aveva aspettato quel momento: il piccolo filo di oscurità che aveva messo lì aveva finalmente funzionato. Era già da tempo che l’aveva messo lì e Sora lo aveva evitato per pura fortuna.

Sora cadde rovinosamente a terra ma si rialzò subito, arrabbiato per quello scherzo di cattivo gusto. In quel momento, però, Kairi gridò rivelando a Sora dov’era e distraendolo.

Il nobody sfruttò subito l’occasione, colpendo il suo avversario alla testa alla testa e facendolo svenire. Axel, rapido, prese il corpo in braccio e scomparve in un varco oscuro, subito seguito dal ragazzo.

 

Axel arrivò nel laboratorio, che faceva anche da casa a quello strano ragazzo. Era il nobody di Riku, quello di cui Vexen aveva fatto una copia, molto tempo prima ma questo no centrava molto. Aveva battuto Sora solo grazie ad un colpo di fortuna anche se nemmeno Sephiroth era tanto forte. Fortunato lui, che grazie all’oscurità del cuore di Claud si risollevava ogni volta...

Il ragazzo si avvicinò ad Axel. Non gli piaceva il suo atteggiamento, troppo ribelle e incontrollabile, voleva Roxas perché era suo amico ma non sapeva se entrare o meno nell’Organizzazione. Sarebbe stato imbarazzante per lui essere riammesso e poi guardato come un traditore dagli altri, ma non avrebbe avuto scelta. Sora era un caso molto particolare e nessuno poteva eguagliarlo.

- Siamo pronti – disse con un tono impaziente – Procediamo. Mettetelo nella vasca –

- Tu non mi dai ordini, bello. Ti ricordo che posso andare via quando voglio, se mi fai arrabbiare – disse Sephiroth con tono di sfida.

- Allora vattene –

- Con molto piacere –

Sephiroth aprì un varco oscuro e se ne andò senza fare altri commenti.

- Tu che hai intenzione di fare? –

- Rimango – disse semplicemente Axel.

- Devo farlo – pensò –Se voglio riavere Roxas. Poi noi ce ne andiamo, insieme questa volta –

Axel prese il corpo di Sora e lo immerse nella vasca piena di quel liquido giallino che gi faceva schifo. L’esperimento era iniziato.

Gli effetti furono immediati. Dal corpo del ragazzo iniziò ad uscire il suo nobody!

Poi, accadde un imprevisto: Roxas si riunì a Sora, solo che stavolta le sembianze erano quelle del nobody!

- Ma che cavolo è successo? – si chiese Axel.

- Ecco, ha funzionato! – disse entusiasta il ragazzo – Ora, con noi, c’è Roxas! –

- E il corpo di Sora? –

- Non ne ho la più pallida idea –

- Io sì, in realtà –

Roxas si era appena alzato dalla vasca e, in braccio, portava il corpo del suo somebody, che non era affatto tornato nel corpo di Roxas, ma si era semplicemente accasciato in una posizione per cui i due non potevano vederlo.

 

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Capitolo 27
*** Agrabath ***


Capitolo 27: Agrabadh

 

Paperino e Pippo continuarono il loro viaggio e la meta, questa volta, era la città di Agrabadh.

Il palazzo del sultano era abitato, finalmente, da Jasmine e il suo sposo, Aladdin,  che si impegnava ogni giorno per dare loro quello di cui avevano bisogno. Era stato fatto molto, la città, ricostruita dal genio, era cresciuta e continuava a prosperare. La caverna delle meraviglie era stata sigillata in modo che nessuno potesse più accedervi e trovare il modo di combinare guai. Purtroppo essi, anche quando non sono cercati, arrivano e causano fin troppo scompiglio.

I due viaggiatori erano arrivati proprio davanti al vecchio negozio del mercante, luogo che sembrava abbandonato.

Entrarono e trovarono la luce accesa.

- Che cosa volete? Lasciatemi in pace! – disse una voce debole e poco convinta.

- Ma tu sei il mercante? –

- Ero, brutti scocciatori. Ma da che mondo venite? –

- A dire il vero, dal castello Disney... – disse Pippo divertito.

- Non sarete per caso gli amici di Sora! – disse il mercante, riconoscendoli – Fintamente siete tornati! Il nuovo sultano non si fida di me e non crede che i guai sono in vista! –

- E fa bene – disse Paperino – Che cosa ti aspetti dopo aver tradito tutti qui in città? –

- In effetti nulla – disse il mercante con voce pentita – Ma ora voglio aiutare! Voi potreste convincerlo che non sto mentendo! –

- Ma chi è ora il sultano? – chiese Pippo

- E non ve lo immaginate? –

Gli occhi dei due si fecero dubbiosi, poi scossero la testa.

- È Aladdin! –

L’espressione dei due si fece stupita e poi felice.

- Siamo contenti per lui – disse Paperino.

- Si, ma non ne vuole sapere di me! Ma io l’ho vista! – esclamò il mercante.

- Vista cosa? –

- la lampada di Jafar, cosa se no? –

- Ma non può essere, era andata distrutta! –

- A quanto pare no –

- E dove l’avresti vista? –

- In mano al più ricco mercante della zona. In cinque giorni ha accumulato tanti di quei soldi che potrebbe comprare il titolo di sultano! –

- Dove la possiamo vedere? –

- Non è così che funziona, ma mi deve un piccolo favore e sono convinto che possiamo entrare –

- E che gli chiederai? –

- Una piccola somma per riprendere i commerci, visto che i sultano dà soldi a tutti tranne che a me! –

- Non gli possiamo dare torto e tu lo sai –

- Andiamo e non discutiamone più –

I tre si allontanarono dalla bottega, ormai in rovina, e il mercante li condusse ad una casa lussuosissima, che era stata costruita, a detta sua, in pochi secondi e poi era stata usata la magia per mascherare l’accaduto.

Effettivamente, Paperino percepiva alcuni residui di magia, ma non poteva dire a che cosa fosse servita in quanto era troppo tempo che quelle tracce erano lì.

- Andiamo a vedere – disse il mercante che ormai non aveva più nulla da perdere.

I tre entrarono e vennero accolti in modo ben poco caloroso.

- Che diavolo volete? – chiese il ricco mercante, con aria sdegnosa.

- Io voglio un favore. Quello che mi devi –

- Io non ti devo proprio nulla –

- E invece sì, brutto ingrato che non sei altro. Quando io ero ricco grazie ai commerci ho avviato la tua attività prestandoti dei soldi –

- Che poi ti ho restituito –

- Si, ma il favore rimane –

- Ok, ok. Venite con me e risolviamo questa faccenda una volta per tutte –

Paperino e Pippo si guardarono intorno, ma la lampada non c’era da nessuna parte.

Arrivarono allo studio privato dove, in bella vista sulla scrivania, c’era una lampada identica a quella di Jafar,  solo che era stata colorata in modo strano, dei simboli che a Paperino sembrarono rune la ricoprivano interamente.

- Eccoti i soldi – disse il ricco mercante, dandogli un sacchetto mezzo vuoto di munny.

- Solo questi? –

- Tu non mi hai dato gran che – il ricco mercante sorrise ironico – E ricordati che se fra due anni non li riavrò tutto quello che era tuo diventerà mio –

- Certo, certo. Gentile come al solito. Venite ragazzi, andiamo via –

- Gusto, ma loro chi sono? –

- I miei due garzoni. Appena assunti, anche se sono solo in prova –

- Ok – replicò quello, poco convinto.

Quando furono fuori dalla maestosa casa, Paperino iniziò a lamentarsi.

- Chi saremmo noi? Due semplici garzoni? Te la faccio vedere io! –

- Fermo Paperino. Non è il caso di scaldarsi tanto! – disse Pippo.

- E tu che ne sai? Io il garzone non lo farò mai! Sono o no un mago? –

- Si, ma doveva inventarsi qualche cosa... –

- Va beh. Ma sappi che io il garzone non lo faccio –

- E io non ti vorrei – disse il mercante.

- Bene –

- Benissimo! –

- Si giusto, benissimo –

- Ehi, ragazzi, basta! Non vorrete fare i bambini! –

- Certo che no, ma ha cominciato lui! – dissero quasi contemporaneamente e a Pippo scappò un sospiro rassegnato.

I due continuarono a camminare tenendosi il broncio, poi il mercante si rivolse a Pippo.

- Vai da Aladin? –

- Certo, ovvio –

- Allora ricordati di parlare di me! –

- E io non esisto? – chiese ancora più offeso Paprino.

- Scusa, ma chi sei? Chi a parlato, io non ti vedo! – disse il mercante recitando da vero attore la sua parte, poi si rifugiò nel suo negozio ormai in rovina.

Il volto di Paperino era diventato rosso di rabbia ma alla fine lasciò perdere, aspettando con ansia l’occasione di prendersi la sua rivincita. Il mercante aveva vinto una battaglia, ma non la guerra.

Continuarono a camminare in silenzio fino a quando non furono in vista del palazzo.

- Che ne dici, Paperino. Cosa dovremmo dire ad Aladdin? – chiese Pippo incerto.

- Non ne sono sicuro. Vero che quella lampada è molto simile a quella di Jafar ma qualche cosa in questa storia non mi convince –

- Si, del resto abbiamo visto distrutta con i nostri occhi quella lampada! Mi pare difficile non averla notata mentre tornava... –

I due stavano ancora parlando quando arrivarono al palazzo. Un uomo in uniforme li accolse con distacco.

- Come mai siete qui? – chiese gelido.

- Siamo amici di Aladin e vorremo almeno salutarlo! – disse indignato Paperino

- Spiacente ma il sultano è molto impegnato e non può ricevervi senza un appuntamento –

- O mio dio! Mi sembra di essere a Redient... – pensò Pippo.

- Noi dovremmo cosa? Brutta guardia maleducata, io sono un mago e se non togli il tuo grosso e ingombrante sedere da lì giuro che ti incenerisco! –

- Ma che coraggio per un pivello come te! Avanti, non ho problemi –

La guardia aveva decisamente esagerato e Paperino non resistette. Un fulmine colpì in pieno il poveretto che svenne all’istante.

- Ma poverino... non dovresti ridurre così le persone! – esclamò Pippo che venne ricambiato del suo intervento con un’occhiataccia.

- Non c’era bisogno di scaldarsi tanto – disse una voce femminile da un angolo.

- Jasmine! - Dissero i due all’unisono.

- Esatto – replicò la ragazza – Immagino che saprete tutto su Aladdin –

- Naturalmente – disse Pippo, nettamente più loquace del suo compagno.

- Vi porto da lui –

- Aspetta un momento – disse Paperino, con tono stranamente calmo.

- Paperino ma... – disse Pippo incerto.

- No, dobbiamo parlarne con lei. Sento che è la persona giusta –

- Parlarmi di che cosa? – chiese curiosa la ragazza.

- Abbiamo incontrato il mercante – esordì Pippo

- E ci ha detto che la lampada di Jafar era ancora qui –

- Si, ha detto anche a noi questa balla – disse Jasmine.

- Infatti inizialmente non ci ha creduto ma poi siamo andati da quel ricco mercante e abbiamo visto la lampada! –

- Impossibile – replicò la ragazza – Forse era simile... –

- La forma e il colore erano quelli, solo che su di essa c’erano degli strani disegni... –

- Qui sento puzza di bruciato – disse Jasmine, che iniziava ad avere i primi dubbi.

- Genio! – chiamò.

Il Genio arrivò subito, comparendo dopo una nuvola rosa.

- Dimmi tutto, piccola mia –

- Ehi, da quando questa confidenza? – chiese Paperino.

- Geloso? – chiese il Genio.

Tutti scoppiarono in una fragorosa risata.

- Dobbiamo chiederti una cosa – riprese Jasmine seria – È possibile che Jafar sia sopravvissuto? –

- Assolutamente no – disse il genio, sicuro – Ma negli ultimi tempi ho sentito magia nera qui –

- Può essere stata usata per riportarlo in vita? –

- Si, e in effetti le ultime volte mi era sembrato di sentire quel pazzo in giro... –

- Ma la sua lampada, se pitturata, lo può contenere ancora? – chiese Pippo che, dall’arrivo del Genio, non aveva aperto bocca.

- Si. Se mi stai parlando di strani disegni tribali, quelli servono per potenziare il controllo sul genio. Avrai desideri infiniti ma la tua vita sarà più breve.  Molti sono disposti a questo –

- Si, anche perché si può chiedere tutto, no? –

- Beh, in effetti quasi tutto. Non roba come vita eterna o altri sogni simili –

- Capisco – disse pensierosa Jasmine.

- Penso che dovremmo avvertire Aladdin – disse Pappo.

- Assolutamente no – replicò Jasmine – Lui vive nella costante paura del ritorno di Jafar e una notizia come questa lo stenderebbe... –

- Giusto. Ma allora che facciamo? – chiese Paperino.

- Non ne sono sicura ma penso che dovrei andare a dare un’occhiata. –

- E come pensi di intrufolarti lì? – chiese il Genio.

- Non mi intrufolerò da nessuna parte. Ti ricordo che sono io ad avere il potere e posso andare lì con una scusa qualunque –

La principessa iniziò a pensare una plausibile.

- Ci sono! – esclamò – Basta dire che devo fare un controllo della sua situazione commerciale per considerare se affidargli un incarico –

- Si, e poi cosa gli assegni? –

- Se i nostri sospetti sono veri, gli affiderò solo qualche munny e una casa diroccata! –

Senza ulteriori chiacchiere il gruppo si incamminò  verso la casa del mercante.

- Noi non possiamo venire – disse Pippo.

- Ha ragione – osservò Paperino – Il vecchio mercante ci crede i nuovi garzoni del mercante –

- Potrei camuffarvi con la magia – propose il Genio.

- Si, ma le nostre voci sono alquanto particolari e non tarderebbe a scoprirci – disse Pippo.

- Hanno ragione loro, Genio. Potete dirmi dov’era la lampada? –

- Si, ovvio – disse Paperino – Era nello studio –

- Troppo prevedibile quel mercante. Vedrò quello che posso fare –

- Noi andiamo da Aladdin. Gli farà piacere un saluto –

- Non ne sarei tanto sicura. Non è più l’Aladdin che conoscevo. È cambiato, troppo impegnato sul lavoro e non dedica tempo a nulla e nessuno –

- Incredibile! – esclamò Paperino

- Già. In bocca al lupo – disse il Genio.

- Crepi – rispose sarcastico Pippo

I due gruppetti si avviarono nelle due direzioni opposte.

Pippo e Paperino arrivarono presto alla casa del sultano. Lì c’erano le solite guardie che, questa volta, li fecero passare senza proferire parola. Paperino fece un sorriso beffardo e soddisfatto.

- Solitamente è molto più socievole – pensava Pippo – Ma la discussione con il mercante lo ha messo davvero di malumore. Non lo vedo così da quando eravamo atterrati casualmente nella giungla profonda!

I ricordi invasero i pensieri di Pippo che si abbandonò ad essi fino all’arrivo alla porta.

- Quante ne abbiamo passate! –

La porta si aprì silenziosa alla prima spinta.

- Questa sì che è fortuna! – esclamò Paperino distogliendo il compagno dai ricordi.

- Andiamo a cercarlo! – replicò Pippo

I due si avviarono in fretta attraverso il palazzo, che era davvero grandissimo. Fortunatamente la pianta era molto semplice, c’era un unico corridoio che portava in tutte le stanze. Lo percorsero fino alla fine e si trovarono di fronte ad una porta in oro massiccio.

- Ma che succede qui? – chiese Paperino – Ad Aladdin non sono mai interessati certi lussi! –

- Ora si! – esclamò la voce del nuovo sultano dietro a loro.

- Ma che cosa?!? –

Paperino disse quelle parole senza quasi accorgersene, preso da un colpo di rabbia improvviso; non che non fosse già di malumore, ma quello era stato davvero il colmo.

- Calmati, Paperino! – disse severamente Pippo all’amico. Poi, rivolgendosi ad Aladin – Da quanto tempo! Siamo contenti di rivederti! –

- Si, si anche io, ma ora ho molto da fare... – disse il sultano con tono decisamente annoiato – Se chiedete a quell’uomo laggiù vi indicherà le stanze che vi ho assegnato vedendovi. Solo, non disturbatemi, sono davvero molto impegnato –

Il tono sbalordì i due che si rivolsero uno sguardo perplesso.

- Ok – disse a sorpresa Paperino – Speriamo che verrai tu da noi quando avrai un po’ di tempo –

- Certo – replicò il sultano poco convinto prima di allontanarsi.

I due si avviarono in silenzio verso il cortile; quando vi arrivarono si sedettero all’ombra di un grosso albero, unico rimasto lì, in mezzo a statue e fontane, per parlare.

- Jasmine ha decisamente ragione! Quello non può essere Aladdin! – esclamò Pippo.

- Non lo so... – disse Paperino – Gli abitanti sembrano felici del suo operato –

- E con questo? È forse giusto dimenticare gli amici, la moglie e tutte le cose al di fuori dl tuo lavoro? – chiese Pippo, con tono furioso.

- Certo che no ma... –

- Tu per caso ignori Paperina quando sei al castello? –

- No, ma io non comando... –

- Si, ma come mago di corte potresti essere sempre in biblioteca a studiare le tue magie e non preoccuparti di lei –

- Lo sai che non farei mai una cosa così. Io amo Paperina! –

- Anche Aladdin amava Jasmine ma ora... non so più che cosa pensare! –

- Nemmeno io –

Rimasero in silenzio fino all’arrivo di Jasmine e del Genio, che li raggiunsero subito.

- Allora? – chiesero i due  speranzosi – Come avete visto Aladdin? –

I due risposero scuotendo la testa.

- Noi, per fortuna, abbiamo scoperto qualche cosa. Quella è davvero la lampada di Jafar. Genio ha sentito l’odore di quello sciagurato fin dal cortile! –

Anche questa volta i due si limitarono ad un cenno della testa.

- Che cosa avete? –

- Nulla – disse Pippo – Solo, non pensavamo che il lavoro rendesse così –

- Non penso che sia stato il lavoro, o almeno non più – disse Jasmine – Perché, ora che ci penso, ha questo carattere da quando il ricco mercante ha iniziato a fare fortuna –

- Quindi, dici che potrebbe essere stato Jafar? – chiese il Genio.

- Dico di sì –

- Ma non ne hai la certezza – disse Pippo.

- Esatto –

- Che facciamo? – chiese Jasmine.

- Innanzitutto - disse Genio – Hai trovato qualche cosa che non andava? –

- In effetti si – replicò la ragazza.

- Che cosa, esattamente? –

- Il fatto che fino a qualche anno fa, le sue entrate erano decisamente basse poi, un giorno, ha fatto una vendita non specificata che lo ha reso miliardario. Ora, o c’è lo zampino di Jafar oppure è coinvolto in affari loschi –

- In tutti e due i casi dobbiamo fermarlo, ma come? –

- Chiederò a mio marito di fare una firma – disse Jasmine – Tanto mi accontenta sempre e non leggerà nemmeno quello che firma –

- Ok, ma non ti sembra ingiusto? –

- Ti sembra che il nostro amico sia stato leale con lui? –

- Beh, no ma... –

- Ma non mi lascia altra scelta. Lui ha iniziato una partita che non ci possiamo permettere di lasciargli vincere –

Jasmine entrò nel palazzo mentre gli altri chiacchieravano del più e del meno.

Genio era molto interessato alle vicende degli altri mondi, soprattutto dopo aver viaggiato così tanto in compagnia di Sora.

- Come sta Sora? – chiese ad un tratto.

- Sta benone direi. L’ultima volta che l’ho visto ha dato una bella batosta a Malefica, l’ultima volta mi auguro –

- E gli altri? Aveva ritrovato i suoi amici, ma poi? –

- È rimasto sull’isola fino a che... –

Paperino continuò il racconto, con Pippo che alle volte lo correggeva o ricordava particolari.

Il tempo volò e, quando Jasmine arrivò, era già tardi.

- Che ne dite di rimanere con noi questa sera? –

- Va bene – disse Pippo – Ma come la metti con Aladdin? –

Lo sguardo della ragazza si fece improvvisamente triste.

- È ormai da tanto tempo che mangia in ufficio , tra le sue carte... –

- Mio dio! Questa storia deve finire! –

- Lo so, ma ora andiamo –

I quattro si incamminarono verso la sala da pranzo dove mangiarono a sazietà per poi ritirarsi nelle proprie stanze, dopo che la principessa definì la più bella cena da molto, troppo tempo.

L’indomani mattina Pippo e Paperino dormirono fino a tardi, tanto che, quando scesero per la colazione, scoprirono erano le undici passate, così decisero di aspettare il pranzo e intanto pianificarono assieme a Jasmine e il Genio come recuperare la lampada di Jafar.

– L’unico modo per metterla la sicuro – diceva la principessa – è metterla nella nostra cassaforte, ma prima dobbiamo togliere quei simboli –

- Va bene, ma sappiate che non andranno via così facilmente – disse Genio.

- Non ti seguiamo – disse Paperino confuso

- Per farli non è stata usata una vernice o altro, ma un rituale magico anche molto complesso. Un tempo mi era capitato e so come scioglierlo –

- E come? – chiese Jasmine.

- È la cosa più difficile che si possa fare. Il problema più grosso sta nel fatto che inizialmente bisogna intingere la lampada in una vasca piena di... –

Il genio preferì non continuare ma gli altri furono molto insistenti, convincendolo ad andare avanti nonostante la sua riluttanza.

- E va bene – si arrese alla fine – La vasca deve essere piena di sangue umano –

Un’espressione disgustata si dipinse sui volti dei presenti.

- Come vi dicevo, io non posso aiutarvi. Dovete trovare da soli il modo –

- Ma non si può fare senza uccidere le persone! – disse rabbiosa Jasmine.

- Forse si – disse Paperino – basta che prendiamo il sangue dai morti! –

- Ma dovremmo disseppellirli! – disse Jasmine che ripugnava l’idea.

- Meglio morti che vivi! – la contraddisse Pippo.

- Io non posso aiutarvi. L’uso di magia per annullare l’incantesimo prima del tempo produrrebbe disastri inimmaginabili... – disse Genio, con tono contrito.

- Quindi non puoi nemmeno disseppellire magicamente i morti? – chiese Jasmine

- Proprio no... –

Quella stessa sera, I quattro si avviarono verso la periferia della città, dove il cimitero non era mai frequentato. La principessa scavò la prima buca ma, quando vide il cadavere, le venne un capogiro e dovette andare a stendersi poco lontano, dove non poteva sentire la puzza di cadavere.

Genio aiutava comunque, scavando e utilizzando uno strano macchinario che aveva trovato molto tempo prima nella Caverna delle Meraviglie.

Esso era una piccola aspira sangue. Bastava metterla nei punti dove scorreva la maggior quantità del liquido e quello veniva preso e immagazzinato in un contenitore.

Genio l’aveva analizzato e non aveva trovato traccia di magia in esso, quindi poteva esser utilizzata per il loro scopo.

Andarono avanti tutta la notte a estrarre il sangue da quei poveri cadaveri e una volta Jasmine, non reggendone la vista, svenne.

Alla fine erano stanchi e sporchi di terra, ma finalmente erano riusciti a ottenere ciò di cui avevano bisogno e tornarono a castello che era ancora buio. Andarono a letto dopo una cena frugale e un buon bagno che, a detta di tutti, si erano proprio meritati.

Per quelle poche ore che rimanevano prima dell’alba nessuno chiuse occhio, troppo preoccupati per quello che sarebbe successo l’indomani. Genio aveva detto che, una volta, aveva visto il rito, ma non aveva accennato a quanto tempo fosse passato... si sarebbe ricordato di tutte le parole? Serviva qualche intonazione particolare? Jafar se ne sarebbe potuto accorgere?

I dubbi non li abbandonarono mai.

Al mattino, quando scesero per la colazione, non mangiarono molto, la mente lontana.

Andarono alla casa del mercante subito dopo e camminarono con passo così spedito che dopo una decina di minuti erano arrivati.

Jasmine suonò al campanello. Paperino camuffò se stesso e Pippo in modo che il mercante non li riconoscesse, mentre Genio si rese semplicemente invisibile.

- Che cosa c’è ancora? – chiese il ricco mercante con voce di sufficienza vedendo la principessa – E chi sono questi due tipi? –

- Questi due tipi sono inquisitori! – disse Paperino con rabbia – E provi di nuovo a usare quel tono con la principessa e noi le togliamo tutti i suoi averi per oltraggio! –

Il mercante impallidì ma non si mosse. Il tono divenne rispettoso – Per quale motivo siete venuti qui? –

- L’ultima volta non mi sono del tutto convinta – disse gentile Jasmine – Vorrei ricontrollare qualche particolare –

- Rivuole tutti i miei libri? –

-No, la ringrazio, solo il secondo –

- Come preferisce –

Si avviarono verso la stanza. Quando vi entrarono iniziarono a guardarsi intorno. La lampada era sempre al solito posto, ma non c’erano finestre dove calarla.

- Poco male – si disse Jasmine – vorrà dire ce gliela porteremo via proprio sotto il naso –

Iniziò a riesaminare la parte che le interessava e trovò subito quello che cercava. Fece chiamare il ricco marcante che la raggiunse pochi minuti dopo.

- Ditemi tutto, mia signora –

Jasmine nascose un sorriso soddisfatto e gli chiese chiarimenti su quel traffico che lo aveva reso tanto ricco.

- Spezie dell’oriente – disse il mercante – Le migliori che abbia mai visto –

Il tono era molto convinto ma una luce poco rassicurate brillò negli occhi dell’uomo quando la principessa annuì.

- Molto bene...- disse con tono convinto – Ho quasi finito –

- Con permesso – disse il mercante allontanandosi.

Jasmine non posò nemmeno gli occhi  sul libro, ma prese la lampada e la nascose nell’abito.

- Ho finito, annunciò. Vorrei scusarmi per il disturbo ce sicuramente vi ho procurato –

- Nessun disturbo – disse il mercante che, arrivato come una saetta, le parlò facendole intendere che intendeva tutto il contrario.

Jasmine uscì e fece in  tempo ad attraversale il cortile quando la voce del ricco squarciò il silenzio.

- Tradimento! Mi hanno derubato! Inseguite quei luridi personaggi! –

I tre si misero a correre a più non posso e Paperino lasciò cadere i travestimenti. Le guardie, colte impreparate, non riuscirono a capire in tempo quello che stava succedendo e, quando partirono, l’inseguimento era già concluso perché i ladri si erano dileguati!

- Dove andiamo? – chiese Jasmine ansimando.

- Alla casa del traditore – disse Paperino – È l’ultimo posto dove verrebbero a cercarci –

- Va bene – rispose la principessa.

Quando arrivarono alla casa in rovina del povero mercante, Jasmine chiese ai due di preparare una vasca mentre lei andava a prendere il sangue.

- Fortuna che è chiuso – pensò la principessa – Detesto la vista di quella... –

Interruppe i suoi pensieri vedendo che i due già si stavano avviando.

- Genio, tu vieni con me e mi copri le spalle – disse Jasmine.

- Nessun problema – rispose questi.

Pippo e Paperino entrarono nella stanzetta.

- Che cosa volete? – chiese la voce del mercante.

- Dobbiamo chiedervi un favore... – disse Paperino.

- Tu? Solo se mi baci i piedi! –

Pippo sbarrò gli occhi.

Paperino, stranamente, non si arrabbiò.

- Se è solo questo che vuole lo accontenterò per il bene della città –

Pugnalando il suo orgoglio, Paperino si inginocchiò e baciò i piedi del mercante, che rimase sconcertato da quel gesto quasi quanto Pippo.

- Ok, che cosa volete? – chiese, dopo qualche attimo passato a ricomporsi.

- Che ospiti noi e Jasmine per il pomeriggio –

- Avete parlato bene di me? –

- Abbiamo detto tutto quello che era successo. Non c’era bisogno d’altro, anche se con Aladdin non sarebbe cambiato molto –

- Che cosa intendete? –

- Che il sultano è cambiato, trascura tutto a parte il lavoro e non ha mai tempo per nessuno –

- Meglio no? –

- Trascura anche la moglie! –

- Eccessivo! Non si può ignorare una donna così carina! –

- A quanto pare... – disse Pippo interrompendo i due – Ma dovremmo preparare la vasca –

- Hai per caso un contenitore che possa contenere una lampada? –

- Si – disse soddisfatto il mercante – Eccola qui –

La cassetta non era molto grande, ma più che sufficiente per il loro scopo.

- Eccomi! –

La voce di Jasmine echeggiò nella stanza prima dell’ingresso della ragazza, sorridente come al solito.

- Ecco qui quello che ci occorre –

Disse tirando fuori dall’abito lampada e contenitore.

- Fantastico! – disse allegro il mercante – Potrei darvi questo –

Disse tirando fuori da uno scaffale mezzo marcio un vecchio tomo con un consistente strato di polvere sopra.

Il mercante soffiò sopra la copertina e una nuvoletta si levò nell’aria.

- Questo – disse il mercante – È un antichissimo libro di magia –

- È quello che ci occorre – disse Genio che entrava in quel momento – L’ho visto, anni fa. Vai a pagina... cinquecento... non mi ricordo! –

- Ok cinquecento... uno, due, tre –

Il mercante continuò a sfogliare pagine fino ad arrivare, dopo qualche interminabile minuto, alla pagina cercata.

- Eccola! – disse entusiasta – il titolo non inganna “Togliere incantesimi dalle lampade” –

Continuò a sfogliare fino a ce non  vide gli stessi disegni che c’erano sulla lampada di Jafar.

- Qui abbiamo un bel problema... non capisco nulla! – disse il mercante, con voce delusa.

Genio si fece avanti e riconobbe subito il vecchissimo dialetto che si parlava millenni prima in quella terra.

- Io lo so leggere – annunciò, dopo che ebbe trovato la pagina che cercava – Per le lingue ho sempre avuto una certa passione. Questo mi sembra decisamente complicato. Lo so leggere ma alcune parti non riesco a comprenderle –

- Dici che l’incantesimo riuscirà? –

- Si, ma in effetti dovremmo ringraziare il nostro mercante di fiducia! Non mi ricordavo questa parte... –

- Come al solito – disse Jasmine.

Tutti scoppiarono a ridere fino a quando Genio chiese il silenzio; riempì il contenitore con il sangue raccolto e vi immerse la lampada che creò una specie di aura nella stanza, dolore e rabbia, sentimenti che probabilmente Jafar stava provando in quel momento.

Genio iniziò a parlare con voce bassa e sibilante, diventando sempre più roca.

Tutti erano nel silenzio più totale, nessuno proferiva parola nel timore di interrompere l’incantesimo.

Paperino ascoltava e sentiva la magia che cresceva dentro il corpo di Genio mentre questi aveva iniziato a cantare una strana litania.

Tutto era immobile, poi dal corpo di Genio si creò un’intensa luce che illuminò tutta la stanzetta.

Dal sangue si levò l’immagine di Jafar che li minacciava con i suoi poteri, ma Genio non si fermò e ben presto tutti capirono che era solo un’illusione.

- Mio dio... – pensava Jasmine, spaventata a morte – Mai visto nulla di simile. Non vedo l’ora che sia finita –

Iniziò a pensare ad Aladdin che probabilmente, in quel momento, stava scrivendo qualche lettera a una persona di potere.

- Che cosa stiamo facendo? Qui sento chiaramente la magia anche se non sono Paperino... – si diceva Pippo – Sta diventando tutto molto pericoloso e non possiamo fare proprio nulla –

Genio leggeva tranquillo quando iniziò a sentire che qualche cosa stava cambiando. Non si era spaventato quando l’ombra di Jafar era uscita dalla lampada, ma non riusciva a trascurare questo nuovo ostacolo.

All’improvviso, sentì delle voci, nella sua testa.

- Che cosa aspetti? Usa la magia e velocizza questa stupidata! Tu puoi fare tutto! – dicevano

- No! La mia magia avrebbe effetti inauditi! –

- E da chi l’avresti sentito? –

- Da chi lo sapeva... –

Mentre aveva questa discussione interiore con quelle vocine, continuava a leggere correttamente, ma la sua certezza vacillava.

- In effetti, potrebbero aver ragione! Che motivo ho di non usare i miei poteri? Sono fatti apposta! –

- Esatto! – le voci tornarono all’assalto – Avanti! Distruggi Jafar una volta per tutte! –

La volontà di Genio era duramente messa alla prova ma non cedette. Continuò a cantare e leggere, sempre più stanco e demotivato.

- Che cosa aspetti? Avanti! –

- No! Io non cederò –

Iniziò ad ignorare le voci che si facevano ad ogni tentativo sempre più suadenti fino a quando esse non si fecero deboli e scostanti, fino a scomparire del tutto. Genio non aveva mai smesso di leggere.

Peperino sentiva quello che accadeva al genio ma non sapeva che cosa fare. Se avesse usato la magia, avrebbe rischiato di mandare a monte la loro unica occasione. Sapeva, nel profondo, che gli inseguitori erano sulle loro tracce.

 Genio aveva già letto i tre quarti della pagina. Era decisamente speranzoso e mentre leggeva poteva già vedere la vittoria incombente. Jafar sarebbe stato nelle loro mani. Non avrebbe potuto disobbedire ai loro ordini e proprio per quello sarebbe stato del tutto inerme.

All’improvviso, dal nulla, le voci tornarono.

Non erano le stesse, più numerose, consistenti lo accusavano di  crimini orribili.

All’inizio non riusciva a distinguerle, poi ne riconobbe alcune e non riuscì più a capire quello che accadeva. Sapeva che doveva continuare a leggere, ma allo stesso tempo non poteva fare a meno di ascoltare quello che gli veniva detto.

Gli venivano raccontati episodi della sua vita da un altro punto di vista. Spesso, all’inizio, era dipinto come un eroe, poi si capiva che tutti provavano risentimento nei suoi confronti.

Un generale lo accusava di aver esaudito un desiderio che costò la città di Agrabadh, un tempo bellissima, poi distrutta dalla guerra che lui stesso aveva scatenato. Poteva sentire le grida strazianti dei bambini che perdevano le madri, donne che chiedevano un aiuto che non sarebbe mai arrivato, mentre lui  se ne stava bello tranquillo nella sua lampada senza la minima preoccupazione.

- Ma che razza di mostro sono? – iniziò a pensare – Nessuno mi vorrebbe accanto con tutto il male che ho fatto –

Guardò Jasmine ma non vide la solita ragazza. Vide la sua peggior paura, cioè la rabbia che la ragazza provava nei suoi confronti perché non era riuscito a far tornare Aladdin quello di una volta.

Non smise di leggere, perso nelle voci di coloro che lo accusavano, troppo demoralizzato per reagire.

Cedette e diede loro ragione, per tutto quello che aveva fatto.

Poi, però, ebbe una nuova consapevolezza. Per riparare ai torti fatti, avrebbe sconfitto Jafar per sempre, in modo che non avrebbe mai più potuto tornare a dare fastidio. Se lo prometté e le voci si spensero, calme.

Genio lesse l’ultimo paragrafo, poi rimase in silenzio per un lungo istante.

Dal sangue della scatola si levò una luce bianca che illuminò la stanza. La lampada di Jafar si levò in aria e i simboli vennero cancellati dalla lampada.

- Evviva! – gridarono tutti a quella vista.

L’unico che rimase in disparte e non festeggiò fu il genio. Quello che aveva sentito lo turbava ancora, aveva capito che quello che aveva visto era vero, lui era stato la causa di molte disgrazie e solo in quel momento si rendeva conto di quello che aveva fatto.

Jasmine comprese quello che il genio stava passando e decise di parlargli.

- Che cosa hai visto? –

- Nulla – cercò di dissimulare, con scarso successo.

- Molto bene, ma sappi che se quello che provi è rimorso per il fatto che non puoi far tornare Aladdin come prima, non devi assolutamente scusarti –

L’imbarazzo era evidente sul volto del genio, che non riusciva mai a mentire a quella ragazza. Qualunque cosa dicesse, lei era capace di leggergli nell’anima e capire quello che provava.

- Avanti – disse Jasmine – Chiamiamo il nostro amico –

Prese la lampada e iniziò a strofinare fino a che non ne uscì il consueto fumo rosso.

- Ditemi quello che volete! Avete tre desideri –

Nella voce c’era odio puro, ma non poteva che recitare la formula e aspettare. Ora i padroni erano loro.

- Il primo desiderio – disse sicura Jasmine – È che Aladdin torni ad essere normale, quello che era quando mi ha sposata –

- Fatto – disse con tono rassegnato Jafar – Altro? –

- Si. Voglio che dai molti munny al nostro amico mercante- disse indicando il padrone di casa.

- Molto bene... –

- E come terzo ed ultimo desiderio, vorrei che... –

Si rivolse al genio.

- Che cosa gli chiediamo? –

- Tutti hanno il diritto di avere una seconda possibilità. Anche un tipo spietato come lui. Fai in modo che torni ad essere un uomo normale, senza ricordi della sua vita passata –

- Molto bene – disse Jasmine che poi ripeté il desiderio a Jafar chiedendogli anche di cambiare aspetto una volta tornato umano.

La lampada scomparve immediatamente dalle mani della principessa che si incammino sorridente verso il palazzo.

- Come mai siete venuti qui? – chiese all’improvviso Jasmine a Pippo e Paperino.

- Stiamo cercando un nobody. Ha l’aspetto di un ragazzo sui sedici, alto e capelli argentei... mai visto? –

Sia Jasmine che il genio ci rifletterono a lungo, poi dissentirono.

- No, ci dispiace, ma terremo gli occhi aperti nel caso fosse in giro –

- Grazie mille – dissero i due, visibilmente delusi – Ora dobbiamo riprendere la ricerca –

- Almeno fermatevi per la cena! –

- Va bene – si arresero i due.

Paperino e Pippo decisero che avrebbero passato lì la notte e per poi ripartire il mattino seguente attraverso il loro varco di luce.

 

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Capitolo 28
*** Disordine al castello ***


Capitolo 28: Disordine al castello

 

Al castello Disney tutti erano preoccupati. Sora era stato portato via e nessuno osava parlarne.

Kairi era sconvolta. Da quando aveva assistito a quell’incontro era rimasta nella sua camera, da sola e a volte non mangiava.

- Non possiamo andare avanti così – disse un giorno Topolino, che faceva ancora fatica ad accettare la morte del saggio – Dobbiamo reagire. Pippo e Paperino stanno ancora perlustrando i vari mondi e magari sono molto vicini alla tana di quel nobody. –

Riku si limitò ad annuire, pensando di partire alla ricerca dell’amico. Non importava quello che doveva fare o quanto dovesse sacrificare, per l’amico era disposto a fare qualunque cosa.

- Prendo Kairi e vado ad esplorare i mondi che ancora mancavano ai due. Non mi interessa se lei non vuole muoversi, noi dobbiamo aiutarlo –

Risoluto, il ragazzo si avviò alla camera della giovane, rimanendo poi sull’uscio per lungo tempo.

Anche da lì, Riku poteva sentire distintamente i singhiozzi si Kairi. La ragazza non riusciva ancora a riprendersi.

Appoggiò la mano sulla maniglia, ma la porta era chiusa a chiave.

Bussò.

- Posso entrare? –

Non ebbe risposta. Riku si arrabbiò, ma sapeva che era meglio non sfondare la porta che, oltretutto, era di Topolino.

Decise di tentare di nuovo.

- Kairi! – gridò, in  modo che la ragazza lo potesse sentire.

- Vai via! – gli disse di rimando, sconsolata.

- Apri, ti prego! Devo solo parlarti! –

Nella stanza, Kairi aveva nascosto la testa sotto al cuscino.

- È tutta colpa mia... – pensava – Se non avessi parlato non sarebbe successo e lo avrebbe sconfitto –

Sentiva lontana la voce di Riku, che insisteva per entrare.

- Vorrà provare a consolarmi, dirmi che non è colpa mia, ma so che in realtà non la pensa così. Sono solo un peso –

- Apri! Ti voglio solo parlare! –

- Tanto è inutile, Riku – pensava – So quello che pensi e non ho intenzione di ascoltare le tue bugie –

Fuori dalla porta, Riku non sapeva più che cosa fare. Con le buone non otteneva nulla, ma forse riusciva a capire la ragazza. Perdere le persone care era davvero un’esperienza orribile e lui lo sapeva bene. La ragazza rischiava di cedere il suo cuore all’oscurità pur di riuscire a trovare Sora.

- Sempre che sia ancora vivo –

Riku cacciò dalla mente quel pensiero, decidendo che avrebbe parlato alla ragazza con toni diversi.

- Apri! – le gridò arrabbiato.

La ragazza non rispose.

- Ti ho detto di aprire! – il tono era sempre più minaccioso – O hai intenzione di rimanere lì a vita? Pensi forse che se rimarrai lì a piangere come una bambina di cinque anni Sora ti apparirà davanti? Perché se è così, mi pento di averti dato la Keyblade che tieni in mano! –

Riku era riuscito nel suo intento. Kairi era sconvolta da quelle parole, non avrebbe mai pensato che Riku potesse ferirla così nel profondo, dopo tutto quello che avevano passato insieme.

Anche il ragazzo, dal canto suo, era rimasto con l’amaro in bocca dopo aver detto quelle parole. Non le pensava, ma erano necessarie per provocare una qualsiasi reazione della ragazza.

Kairi evocò la sua Keyblade, rabbiosa. Aprì la porta e, quando Riku si affrettò a spalancarla, lo colpì duramente al petto, facendolo cadere.

Il ragazzo non si sarebbe mai aspettato una reazione simile, ma i suoi allenamenti lo avevano reso molto veloce. Schivò il secondo colpo rotolandosi, poi evocò la sua Keyblade e si scagliò all’attacco. Non voleva colpire la ragazza, quindi si limitò a farle volare via dalle mani la sua arma al primo istante di cedimento.

- Forse Riku aveva ragione. Io non sono degna di avere quest’arma. Ce l’ho solo perché serviva qualcuno in più che combattesse, ma non me la sono mai meritata. –

Kairi cadde in ginocchio, la Keyblade al suo fianco scomparve, silenziosa.

- Non è successo niente – le disse Riku all’orecchio.

Come unica risposta, Kairi iniziò a piangere sulla sua spalla.

- Tranquilla, non penavo veramente quello che ti ho detto, ma almeno ora sei qui e possiamo andare a cercare Sora? –

- E dove? – riuscì a dire Kairi prima di scoppiare di nuovo in lacrime.

- Ancora non lo so, ma Pippo e Peperino saranno ancora da qualche parte a cercarlo. Noi dobbiamo fare la nostra parte -

La ragazza non aprì bocca, ma Riku non si arrese.

- Andiamo a cercarlo –

Kairi si limitò ad annuire.

- Quali mondi vi mancano? –

Kairi ci rifletté un lungo istante, poi rispose.

- Dovevamo andare alla Città di Hallowin, Redient Garden e Crepuscopoli –

- E dove pensi che sia il nostro amico? –

- Non ne ho idea – disse mortificata Kairi.

- Beh, io direi di partire da Redient, visto che lì ci sono molti amici che possono darci una mano –

- Ok –

Riku aprì un varco verso la città.

Era ormai sera e Topolino non era ancora uscito dalla sua stanza. Dopo aver parlato con Riku, era indeciso. Era ormai chiaro che il nobody del ragazzo non avrebbe mai più partecipato ad una coppa, quindi era giusto lasciarlo partire.

Riprese in mano il diario di Ansem. Non c’era nulla che potesse aiutarlo, ma le ricerche del saggio gli davano conforto in quei momenti bui.

Minnie bussò alla porta, discretamente, come solo lei sapeva fare.

- Entra – disse con voce stanca Topolino

La porta si aprì e la regina entrò lentamente nella stanza.

Il luogo era molto accogliente: una piccola stanza, il letto contro la parete a nord, una scrivania sulla destra e una piccola libreria sulla sinistra. Tutto era deliziosamente decorato con intarsi d’oro e argento che formavano disegni complicati e luminosi.

Sulla scrivania c’erano penna e calamaio, un vecchio libro mai restituito alla biblioteca.

Davanti alla scrivania una sedia in legno senza alcun disegno; essa stonava con il resto dell’arredamento.

- Che ci fa quella vecchia sedia lì? – chiese Minni.

- Non ne ho idea – disse Topolino che solo in quel momento notava la differenza – Sarà stata una delle scope che avrà fatto confusione... una volta lavavano solo, ora invece fanno davvero di tutto! –

- Già, davvero utili – la regina si sentì in colpa. Quando aveva saputo quello che era successo, si era affrettata a sostituire la sedia prima che il marito si chiudesse lì, in modo da avere un argomento con cui cominciare. Solo ora si rendeva conto di quanto fosse patetico quell’espediente. Nulla avrebbe fatto tornare il marito quello di prima, almeno non fino a quando egli non avesse deciso che era ora di andare avanti.

- Che cosa ti turba? Fino a pochi anni fa pensavi che Ansem fosse morto e te la sei sempre cavata –

- Non è quello – disse Topolino che non voleva ferire la moglie rispondendole male.

Al’inizio, parlarle dei suoi sospetti fu difficile ma, man mano che andava avanti sentiva come se il peso di quelle congetture scivolasse via e lui rinacque.

- Quel nobody ha trovato il modo di far tornare in vita quelli dell’Organizzazione. Axel era morto e sepolto, ma ora, a quanto pare, è tornato e nulla può fermare quello sciagurato dal riprendersi tutti i membri dell’organizzazione e portare in vita, totalmente, Kingdom Hearts.

- Esso si, è luce ma non solo. Non può essere così facile. Non sono convinto che quello che ci viene mostrato sia solo una parte o l’intero mondo. –

- Si, non riesco a seguirti ma posso capire quello che provi –

- Forse, ma solo io posso fermarlo. Sora poteva riuscire nell’impresa, ma a quanto pare non è stato in grado –

- Ci sono anche Riku, Kairi, Pippo e Paperino. Non sei mai stato solo –

- Lo so, ma nessuno, nemmeno io ero al livello di Sora. Da quando si era unito con Roxas, era diventato l’unico che poteva sconfiggere il male. Ora non so dove sia, ma mi pare chiaro che lo scopo di quel maledettissimo nobody era riprendersi Roxas, Sora non contava nulla e forse, una volta finito quello che deve fare, lo ucciderà –

- Nessuno può sapere con certezza quello che succederà, ma sicuramente se non dormi non potrai affrontare quello che il futuro ha in serbo per te – lo rimproverò Minnie – Quindi ora forza, dormi fino a quando non ti chiamerò per la cena –

Il re non ebbe la forza di reagire e solo allora si accorse di quanto fosse stanco. Da quando Sora era stato rapito, raramente aveva chiuso occhio, passando spesso le notti in bianco per studiare vecchi libri spesso inutili allo scopo.

Si addormentò subito, profondamente e quando Minnie venne a svegliarlo, lui dormiva ancora così la regina preferì non disturbarlo.

Topolino avrebbe dormito fino al mattino seguente.

 

Note dell’autore
Chiedo umilmente scusa tutti per avervi fatto aspettare tanto. Cercherò in questo periodo di andare un po’ avanti...
Grazie di cuore a tutti coloro che ancora seguono la mia Fanfic!

 

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Capitolo 29
*** Di nuovo insieme ***


Capitolo 29: Di nuovo insieme

 

Sora si svegliò di colpo. Era notte fonda e attorno a lui c’erano migliaia di luci. Era in una grande città, ma non aveva la più pallida idea di dove fosse. L’aria attorno a lui era gelida e si strinse nei suoi vestiti.

- Come ti senti? – chiese una voce familiare che, però, non riconobbe.

- Mele, ho un gran mal di testa – disse il ragazzo, che chissà come mai trovava conforto in quella voce.

- Sai chi sono? Come sei finito qui? –

- No – rispose Sora – Mi ricordo solo il combattimento, stavo vincendo, poi Kairi ha urlato... da lì nulla fino ad ora –

- Direi che devo spiegarti alcune cose –

Ora la voce era a fianco a lui, quindi Sora si girò e con sua sorpresa, vide il suo nobody!

- Ma tu dovresti... – non finì la frase, vedendo Roxas impaziente.

- Axel e quel nobody mi hanno fatto uscire di nuovo dal tuo corpo e mi hanno offerto di tornare a far parte dell’Organizzazione –

- Ma tu non hai accettato – concluse Sora.

- Si, ma nemmeno a me andava a genio l’idea – la voce di Axel risuonò alle spalle dei ragazzi

- Tu? Hai aiutato quel nobody a rapirmi! –

- Beh, si ma l’ho fatto solo perché volevo il ritorno di Roxas –

La voce era dispiaciuta ma, nel frattempo, si poteva sentire una nota soddisfatta.

- Quindi non ti interessa far di nuovo parte dei Tredici? – chiese Sora incredulo.

- No, non direi dopo che ho passato l’ultima volta a combatterla come un traditore. Ma sono contento di essere tornato e sappi che non ti aiuterò come l’ultima volta. Ci tengo alla mia nuova vita, se così la possiamo chiamare... –

Sora sorrise. Ancora non era riuscito a capire Axel, spietato contro i nemici, fedele agli amici, un personaggio davvero strano.

- Comunque – la voce di Roxas riportò Sora alla realtà – Ce ne siamo andati lasciandolo solo. Sappiamo dov’è la sua base, in un nascondiglio quasi invisibile qui a Crepuscopoli. Possiamo batterlo, se combattiamo uniti –

- Non penso. Io e Roxas insieme eravamo una forza ma ora non siamo ancora abbastanza numerosi. Io penso che dovremmo andare al castello Disney e chiedere aiuto –

- A chi? Al re? Riku? Kairi? – chiese Axel scettico.

- Esatto – replicò Sora.

- Va be – disse Roxas – Io dico che almeno il re e Riku possano esserci di aiuto – disse Roxas

- Si, ma la ragazza no – rispose Axel.

Sora rimase in silenzio. Aveva vinto, almeno in parte quella battaglia, non doveva chiedere troppo.

- Dovremo sbrigarci, però. Sicuramente quel nobody starà cercando di riportare in vita gli altri – disse Roxas.

- Sono d’accordo ma, piuttosto, qualcuno sa come si chiama? –

- Non guardate me, io lo chiamavo “Nobody di Riku” ! – disse Sora.

- Forse non ha mai pensato ad un nome... – disse Axel – Fissato com’è a riportare in vita quella stupida Organizzazione... –

- Sono d’accordo, ma ora sbrighiamoci – disse Sora.

- Beh, in effetti conosco un albergo, a Redient Garden che non è mica tanto male –

- Andiamo – disse Roxas – Ma tu come ti sposti? –

- Con varchi di luce – rispose Sora

- Apri, noi ti seguiamo –

Il ragazzo fece come gli veniva detto e tutti entrarono nel varco, prima che si richiudesse.

 

Riku si svegliò. Era a casa di Merlino, luogo piccolo ma accogliente. Un tavolino circolare al centro, un computer per Cid, qualche stanzetta attigua con i letti e un bagno. Contri la parete era stata posizionata, probabilmente con l’aiuto della magia,  una piccola libreria, insufficiente a contenere tutti i tomi del mago che continuava a promettere che ne avrebbe comprata una nuova ma  non lo faceva mai.
Su un piccolo tavolino, nascosto tra due pile di libri, c’era il Bosco dei Cento Acri, mondo di Winnie de Pooh e dei suoi amici.
- Che strano pensare un mondo contenuto in un libro – si diceva Riku.
Il sole era già sorto da qualche ora, ma Merlino non era ancora arrivato. Ne Cid ne Leon avevano visto il ragazzo, ma forse il mago ne sapeva qualche cosa.
Il ragazzo si mise a sedere sul suo letto. Non sapeva che ore fossero, ma non aveva più sonno.

Si alzò e iniziò a fare il letto ma, dopo aver preso toccato le lenzuola, queste iniziarono a muoversi da sole e il letto, in pochi secondi, era a posto.
- Incredibile! Voglio anche io questa magia! – pensò il ragazzo.

Aprì la porta e trovò tutti già svegli.

- Buon giorno! – le disse una sorridente Kairi.

- Ciao – disse Riku, sbadigliando.

- Che ora sono? –

- Tranquillo, sono solo le sette –

Riku tirò un sospiro di sollievo. Si aspettava decisamente di peggio.

- La colazione è là sul tavolo – disse Kairi

- Bene –

Riku non lo diede a vedere, ma aveva una fame da lupi e finì la sua razione in pochi secondi.

Qualcuno bussò alla porta.

- Avanti – disse Cid.

- Magari è Merlino – pensò Riku, che poi scartò l’idea. Se fosse stato il mago, sarebbe entrato nella casa con la magia, apparendo in una nube bianca.

La porta si aprì e, con sorpresa di Leon, rimasto al tavolo, entrò Cloud!

-Ehi, amico! – disse subito l’uomo – Da quanto tempo! Che mi racconti? –

- Nulla di bello – disse il ragazzo – Sephiroth è tornato. Luce e ombra non sono fatti per rimanere assieme molto a lungo, così, durante una lotta per ottenere il controllo, ci siamo separati di nuovo. Penso che accadrà tutte le volte che proverò a tenerlo dentro di me –

- Capisco, quindi quel mostro è di nuovo qui –

- Non ne sono sicuro. Può usare i varchi oscuri, quindi potrebbe essere ovunque –

- Questa proprio non ci voleva, ma guardiamo il lato positivo della cosa: sei ancora qui con noi! –

Leon riuscì a strappare un sorriso dalle labbra del ragazzo.

- Com’è andata poi? –

- Sono accadute tane cose dalla tua partenza: la sconfitta dell’organizzazione, Sora ha battuto definitivamente Malefica, o almeno così speriamo... –

- Vedo che mi sono perso un mucchio di avventure! Comunque, dov’è il ragazzo? –

Le espressioni di tutti si fecero cupe.

- Ok, meglio evitare l’argomento – disse, serio.

- No – disse Riku.

Solo in quel momento Cloud si accorse della presenza dei due ragazzi.

Dopo le presentazioni, Riku narrò la storia della ricerca al suo nobody fino al rapimento di Sora. Tralasciando la disperazione di Kairi, concluse che erano venuti al Redient Garden per cercare l’amico.

- Una bella storia, devo ammetterlo, ma non penso che lo troverete qui. Ho setacciato la città i alla ricerca di Sephiroth e non l’ho trovato –

- Dannazione! – disse Riku a bassa voce.

 

Era mattino inoltrato quando Axel si svegliò. Dovette pensare un attimo a quello che era successo il giorno prima per capire dov’era.

La stanza era buia. Nessuno dei tre si era ancora alzato ma lui avrebbe presto svegliato tutti. Avevano dormito anche troppo anche se, in effetti, era da anni che non dormiva così bene... al castello i letti erano così scomodi!

Alzò le tapparelle della finestra che si affacciava alla piazza del secondo distretto.

- Sveglia! – gridò ai compagni.

Per tutta risposta, Sora emise un lungo sbadiglio mentre Roxas si girò dall’altra parte, affondando la testa nel cuscino.

- Questo è davvero troppo! – disse Axel.

Alzò la mano e una decina di simili si materializzarono e attaccarono i ragazzi.

Le Keyblade apparvero all’istante e i due distrussero senza la minima fatica gli avversari, nonostante si fossero appena svegliati.

- Ma ce bisogno c’era di mandarci addosso i tuoi Nobody?  - chiese arrabbiato Roxas.

- Ora va molto meglio – disse per tutta risposta Axel.

- Andiamo a fare colazione – propose Sora.

- A quest’ora? Ma non vedi che il sole è già alto nel cielo? –

- Si ma... –

- Niente ma. Si va a cercare i tuoi amici –

- Un attimo. Forse Leon potrebbe aiutarci –

- Chi? – chiese Axel.

- L’unico guerriero decente che vive ancora qui – disse Roxas – Certo, se ci fosse anche Cloud –

- Ma tu come le sai queste cose? –

- Ti devo ricordare che ero con Sora fino a poco tempo fa? Quello che so io lo sa lui e viceversa! Got it memorized? –

- Ehi, quella è la mia battuta! –

- Già, l’ho solo presa in prestito. Anche se avresti dovuto usarla più spesso con Demyx, lui e i suoi bigliettini... –

- Si, non me lo ricordare! –

- Andiamo! - Disse Sora a cui non interessava per nulla ascoltare vecchie storie, che per altro conosceva, sull’Organizzazione –

I tre si incamminarono verso la casa di Merlino.

 Quando arrivarono, era quasi mezzogiorno.

- State indietro – disse Sora mentre si avvicinava – Ci parlo prima io. È meglio che non vi facciate ancora vedere –

Bussò.

- Ma chi cavolo può essere a quest’ora? –

Sora sentì la voce di Riku. – Non può essere! – pensò.

Leon aprì la porta.

- Ehi ragazzi, questa sì che è una sorpresa. Abbiamo qui il nostro Sora! –

Tutti corsero alla porta, ma Kairi fu la più veloce e arrivò per prima, gettandosi fra le braccia del ragazzo.

- Ma cosa è successo? –

- È una lunga storia. In ogni caso ho portato con me degli amici, coloro che mi hanno salvato, se così si può dire –

- Falli entrare! – disse Riku.

- Ok... ragazzi! Venite! –

Da un angolo in ombra si avvicinarono Axel e Roxas.

- Loro? La Keyblade di Riku era già comparsa nelle mani del ragazzo –

- Si. Loro mi hanno salvato. E abbiamo bisogno del tuo aiuto, ti spiegheranno tutto loro. Ma ora abbassa quell’arma o ce ne andiamo –

Kairi, ce nel frattempo aveva lasciato Sora, mise una mano sull’arma di Riku, abbassandola.

- Se l’hanno salvato, non possono avere cattive intenzioni –

- Tu non li conosci! –

- Ma conosco Sora. Non posso credere che porterebbe qui gente di cui non si fida –

La Keyblade sparì.

- Ok, entrate – disse Riku.

- Cloud? – la voce di Sora era sbalordita – Ma che ci fai qui? –

Il ragazzo, rimasto seduto sul divano per tutto il tempo, raccontò di nuovo la sua storia.

- Questa non ci voleva – disse Sora.

- Non sarà una minaccia per noi – disse Axel.

Tutti lo guardarono, aspettando una spiegazione. Axel si scrollò le spalle.

- Si era unito al nostro amico... qualcuno di voi ne sa il nome? Comunque, quando il tuo Nobody – disse guardando Riku – Lo ha voluto controllare troppo, allora lui se ne è andato. Non ci ostacolerà –

Cloud annuì.

- Normale. È uno spirito libero e non accetterebbe mai di essere considerato inferiore a qualcuno –

- Che facciamo ora? – chiese Riku.

- Innanzitutto - disse Sora – Penso che dovremmo chiedere aiuto al re –

- Per poi sconfiggere il tuo nobody. Che ne dite se lo chiamiamo Dark? – disse Axel

- Per me è uguale – rispose Riku asciutto.

- Bene – disse Sora. Ora andiamo –

Aprì un varco oscuro e tutti i presenti vi entrarono.

 

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Capitolo 30
*** Vecchi Nemici ***


Capitolo 30: Vecchi nemici

 

Nel suo laboratorio, Dark stava ancora cercando di accettare il fatto che due membri dell’Organizzazione fossero andati via.

- Non importa – si disse – Io posso rievocare gli altri. Sora li ha battuti da soli, ma tutti insieme saranno inarrestabili –

Il piano era già nella sua mente.

Prese il suo macchinario e si concentrò sul primo elemento che voleva in squadra. Non tutti gli interessavano molto, ma alla fine l’Organizzazione sarebbe stata completa, di nuovo. Axel e Roxas sarebbero anche potuti passare dalla parte del nemico, ma lui era un custode, degno sostituto del Nobody di Sora, mentre per quello che riguardava Axel, se ne sarebbe potuto trovare un altro.

Lexaeus era il primo della lista. Con il suo potere, poteva diventare fortissimo. Solo Riku era riuscito a batterlo, ma era acqua passata.

Evocò il potere dell’oscurità sulla forma del numero V.

Come era accaduto per Axel, la prima cosa a materializzarsi fu la casacca.

Dark si concentrò, cercando di imprimere nel corpo di Lexaeus tutti i suoi comportamenti, abitudini, il suo carattere.

Dopo vari minuti, il Nobody era sudato e tremante dalla fatica ma ciò non contava nulla.

- Il primo è qui – pensò soddisfatto, prima di cadere in un sonno profondo.

Lexaeus era confuso. Dopo la consapevolezza di essere morto per mano di Riku, non avrebbe mai detto che sarebbe potuto tornare e riavere una rivincita.

L’Eroe del Silenzio era tornato, più forte e più determinato a sconfiggere il ragazzo che, tempo fa, lo aveva battuto.

Rimase a pensare a tutto quello che era successo. Sul tavolino c’erano dei documenti. Si sedette su una sedia, molto scomoda oltretutto, e iniziò a sfogliarli. Su di essi c’era tutta la storia avvenuta dopo il castello dell’oblio.

Venne a conoscenza del fatto che tutti erano morti e temette di essere solo. Poi, però, capì che il vero scopo del Nobody che lo aveva riportato in vita era prendere il posto di Xemnas a capo dell’Organizzazione. Non che la cosa gli importasse molto.

Lui era lì solo perché aveva da sempre voluto essere completo e solo Kingdom Hearts aveva il potere di dargli quello che più di tutto desiderava: un cuore. Non potere o forza, ma sentimenti veri, magari da poter condividere con qualcuno.

Quando finì di leggere vide quello strano ragazzo che armeggiava con un oggetto.

Stava per andare a parlargli, ma una nube oscura lo fece scomparire.

- È giunta l’ora che un altro amico torni a vivere – pensò prima di concentrarsi su Zexion.

Come al solito, il processo lo lasciò privo di forze, ma il Burattinaio Mascherato era di nuovo tra i vivi. Il potere del n° VI era smisurato, tanto che Dark svenne addosso al nuovo arrivato.

Zexion vide appena in tempo il ragazzo che gli veniva pericolosamente addosso e lo afferrò al volo. Non aveva mai sentito un tale potere neppure in Xemnas il superiore, ma non era certo il momento di preoccuparsi. Quel ragazzo lo aveva riportato alla vita, e questo bastava per avere la riconoscenza del Burattinaio Mascherato.

Lexaeus era rimasto stupito. Il potere di quel ragazzo era incredibile, ora il n° VI era di nuovo in vita!

Gli fece un cenno e il compagno, dopo aver appoggiato delicatamente sul letto il ragazzo, andò da lui.

Il numero V, silenzioso come al solito, gli indicò i fogli sul tavolo e Zexion li lesse con interesse.

- Wow – disse alla fine – Davvero incredibile! Non avrei mai pensato che qualcuno potesse davvero battere Xemnas! È davvero formidabile, ma se continueremo così allora saremo abbastanza da tenere testa a quei mocciosi. Per batterli ci mancherebbe solo Marluxia, con la sua magia di cura e la falce, poi saremmo a cavallo... certo che anche le lance di Xaldin non sarebbero male! –

Zexion era un chiacchierone, ma Lexaeus non gli diede corda. Annuì lievemente, poi lo sguardo si perse nel vuoto.

Il Burattinaio era leggermente contrariato. Di solito almeno gli rispondevano!

Si toccò i capelli, confortato dal trovare il suo ciuffo che gli copriva l’occhio destro al solito posto.

Di fisionomia snella, il numero VI era sempre della stessa idea. Non era necessario usare la violenza contro i nemici, ma bastava mettere davanti ai loro occhi le visioni giuste e quelli avrebbero fatto un passo falso come gettarsi da un burrone o colpirsi da soli. Nulla era più semplice.

Zexion, però, non disdegnava il combattimento corpo a corpo e, quando voleva, il suo libro poteva prendere la forma dell’arma del suo avversario. Il ragazzo di prima, intanto, si era rialzato.

- Dovresti rimanere a letto – lo ammonì Zexion

- No, devo chiamare un altro. È per questo che sono qui. Chi mi consigli? –

- Non lo so. Ci farebbero comodo sia Marluxia con la sua magia che Xaldin con le sue lance –

- Tra i due? –

- Xaldin – disse sorprendentemente Lexaeus – Ma sta attento. Ci vuole un grande potere per creare le sue armi –

- Sono d’accordo –

- Basterà che utilizzi più oscurità del solito – disse sicuro il ragazzo che si allontanò.

Pochi minuti dopo anche il Feroce Lanciere era di nuovo nel mondo dei vivi, ma il povero ragazzo, come pensò Zexion, era stato troppo affrettato nel richiamarlo, quindi avrebbe dormito fino al giorno seguente.

Anche Xaldin fu messo al corrente degli eventi ma, a differenza di Lexaeus, lui si mise a parlare molto volentieri con Zexion, il quale era contentissimo di aver trovato qualcuno più espansivo.

Note dell'autore
Un ringraziamento a tutti coloro che mi seguono, in particolare a franky94 per l'ultima recensione. So che questo capitolo non è il massimo, ma prometto che i prossimi saranno migliori. Questo mi serve per andare avanti nella storia!

 

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Capitolo 31
*** L'Isola che non c'è ***


Capitolo 31: L’Isola che non c’è

 

Paperino e Pippo arrivarono all’isola. Ormai avevano perlustrato molti mondi, ma c’era ancora molto da fare.

Erano sulla riva, da cui si poteva vedere la nave di capitan Uncino, temuto padrone dei mari, che da sempre cercava di acciuffare Peter Pan, senza molto successo. Da quando Sora aveva aiutato il giovane a sconfiggere il pirata, però, tutto era cambiato. Peter se n’era andato con Wendy e nessuno sapeva più che fine aveva fatto.

Sull’isola, c’era un nuovo capo, Leo, che comandava i bambini solo perché era un gran bullo, capace solamente a malmenare quei pochi che, ogni tanto, cercavano di ribellarsi ai suoi comandi assurdi e del tutto senza senso. Il ragazzo aveva circa dodici anni, capelli dritti verso l’alto e teneva in mano una spadina di legno che, tutto sommato, non sapeva nemmeno usare molto bene.

Quando vide Pippo e Paperino, subito li chiamò.

- Ehi, voi due, venite un po’ qua! –

- Ma che vorrà quello là? – chiese Pippo a bassa voce.

- Non ne ho idea, ma forse è meglio che lo accontentiamo! –

I due si incamminarono, tranquilli.

- Di corsa, azza di pelandroni! –

Il ragazzo aveva esagerato.

- Ehi, brutto mocciosetto che non sei altro, a chi avresti dato del pelandrone? Io ti spezzo le ossa! –

La voce di Paperino era così minacciosa che il ragazzino tremò per un istante poi, con voce spavalda, replicò.

- E come? –

- No, Paperino, no! –

Le speranze di Pippo erano vane, in quanto Paperino aveva già preso il suo scettro e scagliato un Tundaga a due centimetri dalla testa del bambino, che era impallidito improvvisamente.

- Non provare ai più a giocare con me, o il fulmine ti cadrà in testa! –

La voce di Paperino non ammetteva repliche.

- Che cosa volete? – chiese il ragazzo con aria forzatamente umile.

- Innanzitutto, vorremmo vedere Peter –

- Peter chi? – chiese il ragazzo, visibilmente confuso.

- Peter Pan, e chi se no? –

Il ragazzo scoppiò a ridere.

- Ma da che mondo venite? Non lo sapete che Peter se ne è andato da parecchio tempo? –

Le facce dei due divennero stupite, poi incredule.

- Eh già. Se ne scappato con la sua Wendy e nessuno lo ha più rivisto –

- Ok, qui va tutto bene? –

- Si, a parte il fatto che da un po’ i pirati hanno un nuovo capitano. Spugna, il vecchio nostromo, che è più che deciso a vendicarsi della morte di Uncino –

- Possiamo darvi una mano? –

- Dubito. Da qualche tempo sono apparse qui sull’isola strane creature che non possiamo colpire e che portano via i nostri compagni. Da un centinaio che eravamo, ora siamo solo in venti –

- Ci possiamo pensare noi a loro –

- E come? –

- Le nostre armi sono efficaci contro i vostri heartless –

- Quindi è così che si chiamano? Hear.... che? –

- Heartless! Ma sei sordo? –

- No, no ho capito! –

Nello sguardo del ragazzo si poteva leggere la paura che un fulmine gli cadesse in testa.

- Fate pure! Vi saremmo molto grati! –

- Tranquillo – disse Pippo – Paperino non ti farebbe mai del male –

Rivolse un’occhiataccia al compagno.

- Vero? –

- Beh ecco... no, non ti farei troppo male –

Una luce maligna si accese nei suoi occhi giusto per il tempo che il ragazzo la notasse.

- Ora andiamo – disse Pippo sconsolato.

 

Sulla nave dei corsari, intanto, Spugna guardava verso la riva con il suo cannocchiale. Aveva visto sulla spiaggia i due compagni del ragazzo che aveva ucciso Uncino.

- Non so se i miei heartless li batteranno–

Da molto tempo ormai non si definiva più un heartless. Lui era qualche cosa di più di un semplice shadow o un soldato aereo.

Sapeva che per controllare gli heartless serviva l’oscurità, così aveva ceduto tutto il suo cuore ad essa, pur di ottenere il potere assoluto.

Almeno, ora, i suoi compagni non lo prendevano più in giro, soprattutto dopo che aveva lanciato un coltello alla gola di quello stupido che aveva avuto il coraggio di schernirlo davanti a tutti.

- Uomini! – chiamò.

Dopo pochi istanti, tutti i pirati erano davanti alla cabina del capitano, timorosi di quello che sarebbe potuto accadere loro.

- Ho visto gli amici del ragazzo che ha ucciso il nostro amato uncino sull’isola! –

- Andiamo a prenderli! – gridò qualcuno nella folla.

- Chi ha parlato? – chiese Spugna, il tono gelido.

Dopo qualche attimo di esitazione, un uomo si fece avanti, la testa china e lo sguardo piantato sul pavimento.

- Sono stato io, signore –

Il sorriso di Spugna dimostrava che il capitano era soddisfatto.

- Molto bene. Hai detto bene, andremo a prenderli, subito. Per la tua prontezza, ti nomino vice-capitano! –

Lo sguardo di tutti si fece stupito. Nessuno era entrato nelle grazie del nuovo capitano.

- Qualcuno ha delle obbiezioni? –

Nessuno rispose. Il neopromosso vice-capitano sapeva benissimo che al primo sbaglio avrebbe pagato un conto salatissimo.

- E allora che ci fate ancora lì, branco di zoticoni buoni a nulla che non siete altro! Calate le scialuppe, prendete le armi e aspettatemi. Ovviamente io viaggerò con due rematori volontari –

Nessuno avrebbe mai voluto adempire a quel compito, quindi, alla fine, vennero scelte due persone a caso. Come al solito, i due più giovani vennero obbligati con la forza. Essi non dissero nulla ma, quando il capitano li vide,  gridò.

- Perché sempre i soliti? Qualcun altro. –

Due uomini vennero spinti avanti. Spugna non ricordava di averli mai visti per più di un paio di volte, quindi non disse nulla.

- Ora andiamo! –

Le scialuppe vennero calate e tutti i pirati si diressero all’isola.

 

Paperino e Pippo erano da ore alla ricerca di heartless. Ne avevano distrutti moltissimi, ed ora volevano riposarsi. Tornarono al rifugio dei pochi bambini sopravvissuti e presero una delle brandine ancora libere.

Si addormentarono subito.

I bambini, intanto, erano tutti intenti a giocare. Non avevano altro da fare per divertirsi, quindi impersonavano i personaggi delle loro storie. Come era prevedibile, Leo impersonava Peter Pan e un piccolino era Uncino.

Il capo dei bambini sperduti era il più forte ma, soprattutto dopo l’incontro con Paperino, temeva che una saetta gli arrivasse in testa, quindi era molto più gentile con gli altri membri della banda. Avevano appena finito l’ennesima scena, quando i pirati irruppero nella tenda.

Un grido si levò e i due si svegliarono.

- Ma che cosa... –

- Sorpresa! –

I pirati attaccarono subito.

Paperino venne scaraventato contro la parete, mentre Pippo riuscì a parare i colpi, rischiando però di essere sopraffatto da un momento all’altro.

Pippo usò la magia, respingendo molti avversari, ma le sue forze si esaurivano velocemente. Era disperato, non sapeva più che cosa fare.

- Che cosa posso fare? –

I bambini iniziarono ad attaccare i pirati, colpendoli duramente e facendoli retrocedere. Uno schiaffeggiò Paperino fino a farlo rinvenire.

- Ma che cosa succede? – chiese il mago di corte.

- Ci attaccano! Ci servono i tuoi fulmini! –

- Ok – disse Paperino frettolosamente – Thundara! –

Una scarica di fulmini si abbatté sui pirati, facendone cadere svenuti alcuni.

I pochi rimasti se la diedero a gambe più in fretta che poterono, senza nemmeno più pensare alla tremenda punizione che avrebbero ricevuto una volta tornati alla nave.

 

Spugna vide la disfatta dei suoi uomini e l’ira ribollì dentro di lui.

- Come avete osato! – disse il capitano.

Attaccò i due come una furia, ma Pippo parò facilmente i suoi colpi.

- Si vede che non sei molto allenato –

Il volto di Spugna divenne una maschera di rabbia

- Non provarci nemmeno! Ora te la faccio vedere io! –

I colpi divennero sempre più veloci e precisi, dopo poco erano tanto potenti che lo scudo poteva solo deviarli.

Ad ogni colpo mancato, Spugna cambiava.

Il suo aspetto diventava sempre più contorto e affusolato, il capitano si stava trasformando nella creatura che Pippo non avrebbe mai voluto vedere.

Quando la sua trasformazione si fu completata, Spugna non aveva più bisogno della spada che impugnava.

Le mani erano affilate come coltelli e le braccia così lunghe che parevano arrivare ovunque.

- Non possiamo batterlo! – pensarono i due, intimoriti.

I bambini si lanciarono all’attacco, senza farsi spaventare d al fatto che i loro colpi non aveva nessun effetto.

- Se voi non volete combattere, noi lo faremo fino alla fine! – disse Leo, stranamente coraggioso

Pippo si riscosse e lanciò il suo scudo contro il nemico, che fece qualche passo all’indietro.

- Blizaga! – gridò Paperino scagliando un’enorme sfera di ghiaccio sul terreno sotto ai piedi del mostro, che cadde rovinosamente.
- Non mi avrete con così poco!- gridò rabbioso Spugna, rialzandosi nonostante il ghiaccio.
La voce del Capitano si era fatta roca e disumana, quasi venisse dall’inferno.
- Forza Pippo! – gridò paperino mentre l’amico gli saltava sulle spalle.
Pippo lanciò il suo scudo contro la testa di Spugna, che per un attimo vide le stelle, ma la sua risposta non tardò ad arrivare. I possenti artigli si mossero veloci contro gli avversari, che per un miracolo si scansarono in tempo. Il cappello di Paperino venne staccato dalla sua testa.

- Questa me la paghi! –

Il mago non era riuscito a finire la frase che già l’Heartless si era affrettato ad attaccare di nuovo con i suoi artigli.
Stavolta, però, Paperino era pronto.
- Reflexga! –

Gli artigli si scontrarono contro la barriera e vennero respinti, seppure questa venne distrutta dalla violenza del colpo.

Pippo non perse l’occasione e colpì l’avversario alle gambe, facendolo cadere di schiena.

- Adesso Paperino! –

- Certo! –  Il mago scagliò un fulmine che, cadendo dal cielo, andò a colpire l’Heartless proprio sullo stemma del Cuore che li accomuna.

Il mostro, lentamente, si dissolse in una nube di fumo nero.

Tutti i bambini fecero festa.

- Qui non vogliamo più Pirati! – disse Leo.

Un coro di esclamazioni si levò dagli altri bambini

- Noi siamo finalmente liberi! E, per evitare che in futuro i pirati ci diano di nuovo fastidio, bruceremo la loro nave! –

I bambini, prima titubanti, gioirono.

- Paperino? – chiese Leo.

- Si? –

- Puoi mandare un fulmine sula loro nave? –

- Certo, ma cosa ne farete dei pirati rimasti? –

- Saranno liberi di rimanere con noi –

- Molto bene. Tundaga! –

Un fulmine colpì la nave che iniziò a bruciare per poi calare a picco.

 -Sentite ragazzi, non è che per caso avete visto un giovane... –

Paperino descrisse il ragazzo, ma i bambini non avevano mai visto nessuno che corrispondesse alla descrizione.

- Non importa, quello che conta è il fatto che ci siamo rivisti –

All’improvviso, tutti udirono un suono decisamente familiare.

- Trilli! – gridarono i bambini.

- Ciao ragazzi, vedo che avete già stretto amicizia con Pippo e Paperino! –

- Già, ma per caso hai trovato Peter? –

Lo sguardo della fatina si fece  triste.

- Purtroppo si. È un uomo ormai, un adulto. Non può più tornare qui, ma devo dire che mi è sembrato felice, con Wendy –

- Allora va bene così. L’importante è essere felici, giusto? – disse Leo con un sorriso.

- Si – dissero tutti.

- Ci spiace, ma orsa noi dobbiamo andare – disse Paperino.

- Ci mancherete! –dissero i bambini in coro.

- Ma lo sapete che noi siamo adulti? – chiese Pippo.

- Ma non è possibile! Sembrate come noi da come vi comportate! Se rimarrete qui starete benissimo! –

- Non ne dubitiamo, ma abbiamo una missione da compiere e non possiamo fermarci un secondo di più –

Aprirono un varco e, dopo aver salutato tutti, se ne andarono.

La prossima destinazione era il castello Disney. Era ora che dicessero a qualcuno che avevano scoperto.

 

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Capitolo 32
*** Tempo di Combattere ***


Capitolo 32: Tempo di combattere

 

Al casello Disney nessuno era tranquillo. Il re era sempre nelle sue stanze a studiare, mentre gli altri facevano qualunque cosa pur di non pensare a quello che sarebbe potuto succedere ai ragazzi.

Quel Nobody era decisamente pericoloso, e nessuno si sentiva tranquillo.
Un varco di luce si aprì in mezzo al giardino.
Tutti corsero a vedere e ci fu un grido di gioia nel veder uscire Pippo e Paperino.
- Sete tornati! Come è andata? –
- Non male... – disse Pippo, schivo. Avrebbe voluto parlare delle sue avventure con il re, prima di tutto.

- Noi dovremmo vedere il re... – disse, quasi si stesse scusando.

- È nelle sue stanze – disse Minnie, con voce dispiaciuta – Non esce da vari giorni e non sappiamo proprio cosa fare! –

I volti dei due si fecero preoccupati.

- Cosa è successo? –

- Il Nobody è stato qui – disse Minnie – E ha ucciso Ansem per poi rapire Sora. Riku e Kairi sono andati a cercarlo, ma non abbiamo più notizie di loro da un paio di giorni –

- No! Questa proprio non ci voleva! – disse Pippo – Il Nobody non è in nessuno dei mondi che abbiamo visitato, quindi... –

- Quindi potrebbe già aver sconfitto di nuovo Sora, non sai che potenza quel... quel... mostro! –

- Hai ragione, non lo sappiamo, quindi andremo subito a cercarlo – disse Pippo – Ma prima andremo a parlare con il re! –

I due si recarono nelle stanze reali, con passi lunghi e nel più rigoroso silenzio.

- Possiamo entrare? – chiesero i due, dopo aver bussato alla porta del re, che si spalancò quasi subito.
- Pippo, Paperino, che sorpresa rivedervi! – disse lui con la sua voce acuta, felice.

- Siamo tornati per dire che l’unico mondo che non abbiamo controllato è la giungla profonda –

 - Bene, pensavo che foste molto più indietro! – disse Topolino, all’apparenza soddisfatto. In realtà, quando li aveva visti sperava che lo avessero trovato.

Un varco di luce si aprì improvvisamente in mezzo alla stanza.

- Ma? – chiese il re, colto di sorpresa.

Dal varco uscirono Sora, Riku, Kairi, Leon, Cloud, Axel e un ragazzetto che Topolino non aveva mai visto.

- Fermi, loro sono amici! – disse Sora vedendo il re evocare la sua Keyblade.

- Mi hanno aiutato a fuggire, anzi... – disse arrossendo – mi hanno caricato in spalla e mi hanno portato via quindi... –

- Ci possiamo fidare – concluse Topolino, che non sapeva che cosa pensare.

- Sapete dov’è il suo covo? – chiese Pippo.

- Si, si trova nel sottosuolo di Crepuscopoli, molto vicino alla stazione –  disse Axel, con tono sicuro.

- Come mai lo hai tradito? – chiese Topolino.

- A me bastava Roxas – disse indicando il ragazzo – Non conquistare l’Organizzazione. Lui mi fa sentire come se avessi davvero un Cuore e tanto mi basta. Con Sora avevo una sensazione molto simile, ma non era la stessa –

- Capisco – disse Topolino, che ancora non si fidava per nulla. Nonostante questo, il tono era gentile.

- È tempo che combattiamo – disse sicuro Riku – Se vogliamo andare –

- No – disse Roxas, che non aveva ancora aperto bocca da quando era arrivato – Lui, come dovreste sapere, trae il suo potere dall’Oscurità. Non possiamo combatterlo ora, che la notte si avvicina, dovremo andare domani –

- E rischiare di dover combattere altri tuoi colleghi? –

- Si – disse Axel – Rox ha ragione, non possiamo batterlo senza il favore della luce –

- Capisco – disse Topolino – Aspetteremo. Ora, andiamo a tavola, dovrebbe esserci spazio per tutti.

 

Era ormai sera quando, a scapito di tutte le previsioni, Dark si svegliò.

- Devo agire ora, che il mio potere è maggiore, se voglio avere più alleati – pesava.

Evocò il suo potere e lo sentì rispondere più voglioso del solito.

- Larxene – scelse. – Evocherò lei –

Iniziò a sfruttare il suo potere e, senza troppi sforzi, anche la Ninfa Selvaggia era di nuovo in vita.

- Ce la posso fare  si disse – Vexen –

Anche il Freddo Accademico tornò in vita, pregustando la sua vendetta contro Axel, che ai tempi aveva tradito tutti nel Castello dell’Oblio e lo aveva ucciso colpendolo alle spalle come solo un traditore come lui poteva fare.

Il giovane, però, era troppo debole per continuare, quindi condusse a fatica i nuovi arrivati verso gli altri, in modo che potessero essere aggiornati su quello che era successo dopo la loro morte.

Dark si sdraiò sul letto e si addormentò quasi subito, osservando il soffitto come se fosse la cosa più bella del mondo. In realtà, pensava a Kingdom Hearts, così lontano eppure unico scopo della sua esistenza, senza il quale non avrebbe motivo di vivere. Che cos’è una vita senza sentimenti? Si, si hanno delle sensazioni, ma non si può vivere solo di quello.

- Perché non possiamo gioire degli eventi felici o disperarci per la morte di un nostro amico? –
I due, nel frattempo, elessero gli appunti, poi il Freddo Accademico andò a dormire

- La scienza dice che se non si dorme abbastanza, non si può combattere al meglio! – disse a quelli che lo guardavano stupiti.

Larxene era più arzilla, ma anche molto arrabbiata. Non poteva credere che Axel fosse un doppiogiochista. L’avrebbe pagata cara.

- Che cosa facciamo? – chiese – Andiamo a cercarli? –

- No – disse Zexion – Lascia che siano loro a venire nel nostro territorio, avremo dei vantaggi non indifferenti –

- Ma per te che differenza fa? Tu crei le tue illusioni – disse Xaldin

- Si, ma dubito che voi possiate capire –

- Che cosa? –

- La dinamica del mio modo di combattere –

- Va beh, se lo dici tu –

 - Che ne dite se tornassimo al castello? – disse Larxene, come se avesse avuto l’idea più geniale del mondo.

- Devo ricordarti che loro ci sono già stati? – chiese Zexion, con tono neutro.

- Non in tutte le stanze –

- No, ma sanno orientarsi nel nostro castello. Qui sarà molto meglio –

- Ok, ok se lo dici anche tu, Xaldin –
La Ninfa Selvaggia si mise in una posizione più comoda e prese a leggere il romanza dal quale non si staccava mai, sin da quando era una Nobody.

- Piantala di fare l’asociale! – disse Xigbar, quasi a prenderla in giro. Un fulmine, preciso e micidiale, cadde sulla testa del cecchino, che rimase immobile, fumante, per qualche tempo.

- Ma era proprio necessario? – Chiese Zexion, che si tenne qualche passo lontano, giusto per sicurezza.

- Si – disse Larxene, gelida quasi quanto Vexen.

 

Era ormai mattina al castello Disney e tutti erano pronti a partire.

- Andiamo? Chiese Topolino –

Tutti risposero con un cenno della testa. Axel aprì un passaggio verso Crepuscopoli e tutti vi entrarono.

Anche nella città era ancora mattino.

Si avviarono verso la stazione, poi svoltarono in un stradina laterale.

La città era immensa, anche se la maggior parte delle strade era nascosta o poco visibile.

Axel e Roxas guidavano la fila, seguiti dagli altri.

Arrivarono alle gallerie e vi entrarono senza alcuna esitazione. Roxas bussò contro una parete che sembrava normalissima e un passaggio si rivelò ai loro occhi. Peccato che c’era un muro alla fine del passaggio!

- E ora? - chiese Sora

- Continuiamo, amico mio – disse Axel che andò a sbattere contro la parete, attraversandola.

- È solo un’illusione! Non c’è pericolo! –

Tutti la attraversarono  e, dopo pochi minuti, vennero attaccati dai Nobody. Ce n’erano di tutti i tipi, ma in particolare Simili, che si muovevano in quel modo strano, quasi liquido, che faceva girare la testa.

Iniziarono a combattere ma, dopo i primi colpi, il gruppo venne diviso e una parete di energia separò Roxas, Sora, Axel, Riku e Topolino dagli altri.

- Andate avanti! Gridò Leon. Qui ci pensiamo noi! –

I cinque rimasti si avviarono. Era arrivata l’ora di combattere.

 

 Note dell'autore

Ringrazio tutti coloro che ancora leggono la mia storia. Chiedo scusa se ci ho messo tanto ad aggiornare, ma in questo periodo la scuola è opprimente!

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Capitolo 33
*** Un Gelido Inferno ***


Capitolo 33: Un gelido Inferno

 

I pochi rimasti continuarono a camminare, fino a che non trovarono cinque strade alternative.

- Dobbiamo dividerci – disse Roxas.

- L’idea non mi piace – replicò Sora, poco convinto.

-Ma non abbiamo altra scelta – concluse Topolino, con tono rassegnato.

Ognuno prese una strada diversa e, dopo che ebbero preso il sentiero, gli accessi ai corridoi crollarono, in modo che nessuno potesse tornare indietro.

- Certo che l’oscurità è molto utile se vuoi creare delle stanze in più – pensò Axel, che aveva quasi raggiunto la stanza, vedeva in fondo una luce.

Quando la vide, iniziò a ridere.

- Ciao, nonno Vexen – gridò a squarciagola – Come stai? L’ultima volta che ci siamo visti sei... Morto? –

- Il tuo umorismo è deprimente, Axel –

Un trono di ghiaccio si innalzò dal suolo e sopra di esso il Freddo Accademico, le braccia comodamente distese sui braccioli, le gambe che penzolavano a qualche metro d’altezza.

La stanza era abbastanza spoglia. Il pavimento era ricoperto di ghiaccio e sulle pareti crescevano piante che parevano congelate.

- L’ultima volta stavo facendo il mio esperimento con Sora, volevo vedere se le illusioni di Naminè erano più o meno reali... tu sarai in grado di battermi senza colpirmi alle spalle, come la scorsa volta, traditore che non sei altro? –

- Ora lo vedremo! – disse Axel, evocando i suoi Chakram e facendo sciogliere il ghiaccio attorno a lui con una vampata di fiamme di almeno mezzo metro.

- Notevole! – disse Vexen, che dopo pochi secondi aveva creato uno spuntone di ghiaccio e l’aveva lanciato contro l’avversario.

- Patetico – disse Axel con aria annoiata, lanciando una sfera di fuoco contro il Freddo Accademico che sciolse lo spuntone di ghiaccio, avvicinandosi pericolosamente all’avversario.

Vexen si riparò dietro allo scudo.

- Tutto qui? – Axel era eccitatissimo all’idea di combattere proprio contro quello scienziato che tempo fa aveva distrutto.
– Ora ti faccio vedere io! –

Dal suo corpo, si espanse una colonna di fuoco che si scagliò contro tutto quello che incontrava, facendolo bruciare. Il fuoco si fermò anche sul pavimento, continuando ad ardere.

Anche il trono di Vexen si sciolse, facendo cadere il Freddo Accademico che, rialzandosi, aveva il viso paonazzo di rabbia.

Iniziò ad utilizzare il suo scudo come una spada, ma era del tutto inutile, il suo avversario sembrava troppo veloce anche solo per entrare nella sua guardia e strappargli un graffietto.

- Come posso fare? –

Continuò a cercare gli affondi, ma senza alcun risultato che tenere impegnato l’avversario.

Con un veloce movimento della mano, creò una colona di ghiacciò che intrappolò Axel ma questa, dopo un paio di colpi, era già sciolta e tutto tornò come prima.

- Tutto qui? – lo derise Axel – Ora ti mostro io quello che vuol dire la parola attaccare –

Si lanciò nel fuoco che ormai aveva accerchiato i due, diventando invisibile.

Dopo pochi secondi, fu alle spalle dell’avversario, e lo colpì duramente, per poi tornare a nascondersi.

- Non sei altro che un codardo! – disse sperando di intaccare l’orgoglio dell’avversario.

- Davvero? – la voce arrivava da tutte le direzioni –  Io non direi. Sei tu quello che si nasconde dietro ad uno scudo! –

Di nuovo Axel lo colpì alla schiena. Il Chakram ferì Vexen, portandosi via un piccolo strato di pelle.

- Ma non ti vergogni di colpirmi in modo tanto disonorevole? –

- No! Sei tu quello che ha iniziato! Io ho solo reagito... –

Altro colpo alle spalle.

Vexen era sempre più debole. Chiuse gli occhi, iniziò a girare su se stesso, sempre più veloce.

Delle scaglie di ghiaccio freddissimo si creavano e venivano scagliate contro il fuoco, a casaccio, riuscendo quasi sempre a penetrarlo.

- Non mi colpirai mai! –

Axel attaccò ancora, ma questa volta il Freddo accademico era pronto. Stava ancora ruotando, quindi il suo scudo parò il colpo dell’avversario scagliando vie le due armi.

Rapidissimo, Vexen colpì Axel con il suo scudo, bloccandolo poi a mezz’aria.

Continuò a tempestarlo di colpi, fino a quando il fuoco attorno a loro si spense.

- Pensavi di aver già vinto? Ti sbagliavi, caro il mio Soffio di Fiamme Danzanti... un titolo più ridicolo proprio non potevi sceglierlo –

Axel venne avvolto da una calotta di ghiaccio che lo paralizzò all’istante.

Vexen usava il suo scudo per colpirlo con tutta la forza che aveva.

Dal corpo di Axel divampò un fuoco caldissimo, che sciolse il ghiaccio.

- Anche tu cantavi vittoria un po’ troppo in fretta! –

- Tu dici? –

Tre spuntoni di ghiaccio si conficcarono nella schiena di Axel, che gridò per il dolore.

- Ricorda, i traditori sono sempre i più deboli! –

- Davvero? –

Una colonna di fuoco si alzò sotto Vexen, facendolo volare via.

- Io non sono più traditore di te, che volevi rivelare la verità a Sora, non più di Marluxia, che voleva prendere il posto di Xemnas o di Larxene, che non desiderava altro che il potere! –

- Forse hai ragione, ma allora chi si salva nell’Organizzazione? –

- Nessuno – disse Axel prima di lanciare uno dei suoi Chakram contro l’avversario.

Vexen parò con lo scudo, che poi utilizzò per attaccare.

Il giovane era stanco, e schivare i colpi diventava ogni minuto più difficile.

- Già a pezzi? Non sei più quello di una volta! –

-Questo lo dici tu!- esclamò Axel, le armi gli comparvero in mano e si mise in posizione difensiva.
Entrambi i contendenti ansimavano, le ferite iniziavano a pesare su entrambi, ma nessuno dei due aveva intenzione di mollare. Non adesso.
Axel lanciò uno dei suoi Chakram contro Vexen, che si limitò a spostarsi un po’ a sinistra.
- Devi fare molto meglio che questo per battermi... pensavi davvero che tanto basti? -
Una luce vittoriosa passò negli occhi di Axel e il Freddo Accademico capì. Si voltò di scatto, parando all’ultimo secondo l’arma, che stava tornando indietro come un Boomerang.
Come Axel vide la rotazione dell’avversario, scagliò contro di lui la seconda arma.
Stavolta, il n° IV non poté fare nulla e il colpo arrivò, durissimo, contro la sua schiena già segnata.
- Questo è il colmo! – esclamò quello, colonne di ghiaccio attorno a lui.
- No, solo furbizia mia! – replicò Axel, che si mise in posizione, le braccia lungo il corpo e le armi, che erano tornate nelle sue mani.
Le colonne terminarono di crescere all’altezza di tre metri, con uno spuntone finale di almeno trenta centimetri. Una di esse, si sollevò dal terreno, e scattò in direzione di Axel, che vi saltò sopra. La colonna si schiantò contro il muro, rimanendovi incastrata con il Nobody sopra, in perfetto equilibrio, o quasi, infatti dato il tremendo scossone, dopo pochi istanti Axel dovette allargare le braccia per evitare di cadere rovinosamente. Quattro paletti di ghiaccio partirono contro di lui, ma vennero fermati da una sfera di fuoco lanciata appena il Nobody si accorse del pericolo.
- Adesso basta! – esclamo Vexen. Tutte le pareti si riempirono di ghiaccio e dal terreno iniziarono ad uscire degli spuntoni.
- Eh no! Anche io ho ancora abbastanza energie! – Tutto il ghiaccio di Vexen venne coperto di fiamme, che non riuscivano però a scioglierlo in quanto il Freddo Accademico continuava a dare nuove energie al suo ghiaccio.
Il clima della stanza, nonostante le fiamme, era freddissimo, e presto Axel ebbe i primi brividi di freddo.
- Adesso non fai più tanto lo sbruffone, vero? -
Axel non si mosse, concentrato. Le fiamme aumentarono di potenza, iniziando lentamente a sciogliere prima le colonne, poi i muri.
- Finito qui, Ghiacciolo? – chiese Axel, con tono derisorio.
- Dici? – chiese quasi lo volesse sfidare.
Delle colonne si alzarono dal terreno, sempre più alte.
- Nulla! – disse Axel – In confronto a queste! -
Dal terreno salirono le stesse colonne, solo che infuocate.
I due blocchi si scontrarono, andando ad annullarsi a vicenda. Vexen scattò verso l’avversario, lo scudo puntato contro di lui.
- Pessima mossa!  - Poco avanti allo scienziato si alzò una colonna di fuoco e questi vi arrivò esattamente sopra. Questa lo portò fino al soffitto, senza causargli danni in quanto, almeno, si stava proteggendo con lo  scudo. L’impatto con il soffitto fu doloroso e Vexen cadde, quasi non avesse conoscenza.
Axel non si lasciò scappare l’occasione e partì all’attacco, colpendolo finché non riusciva a difendersi.
- Bravo Axel... – disse Vexen dopo l’ennesimo colpo . Mi hai sconfitto e pretendi anche di attaccare un corpo che non è in grado di difendersi! Sei solo un codardo -
Axel divenne furioso.
- E tu un debole! -
Schiocco delle dita. Una immensa fiammata colpì Vexen da sotto, riducendolo in cenere.
- Dimmi quello che vuoi, ma io sono io ed è per questo che sono stato l’unico a non essere mai stato battuto da nessuno! -
Ansimante, Axel si diresse verso la porta che era magicamente comparsa al lato opposto della stanza.

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Capitolo 34
*** L'Eroe del Silenzio ***


Capitolo 34: L’Eroe del Silenzio

 

 Riku camminava nel silenzio più totale. Il corridoio era vuoto, ma poteva vedere l’uscita.

Arrivò in una stanza spoglia, non molto grande e poco accogliente.

Al posto del pavimento c’era un prato.

- Benvenuto, Riku –

- Contento di ritrovarti, Lexaeus. Ti senti meglio? –

- Si... ma fra poco tu non sarai altro che una polpetta. Preparati! –

Riku evocò la Keyblade.

- Molto bene... – disse Lexaeus con un sogghigno.

Il ragazzo sorrise.

L’Eroe del Silenzio si gettò all’attacco, portando un colpo perfetto contro la spalla destra del ragazzo.

Riku scansò il colpo a fatica e provò il contrattacco ma, come l’ultima volta, l’avversario era nettamente più forte di lui.

 - Se solo potessi ancora... – non volle finire quel pensiero.

Ansem era ormai passato e non avrebbe mai più dato alcun fastidio, anche se lo rendeva più potente.

Riku cercò di passare alle spalle del gigante, ma era difficile evitarlo.

Continuava a sferrare colpi, con potenza crescente e alla fine Riku non riuscì più a pararli.

Iniziò a schivare, ma molto spesso veniva colpito di striscio.

- Devo vincere, per Sora

Attaccò e andò a segno, colpendo l’avversario al braccio sinistro e aprendogli un piccolo squarcio.

- Questo non ti basterà per vincere! – disse con tono convinto Lexaeus.

Il ragazzo continuò ad attaccare, ma nessuno degli altri colpi andò a segno e presto il giovane rimase senza forze, con il fiatone.

- Stanco? L’ultima volta avevi l’aiuto dell’oscurità, ecco perché hai vinto. Ora non sei altro che un debole. Mi fai solo perdere tempo –

Veloce e mortale, il colpo partì ma Riku era pronto. Scansò di lato e, spiccato un salto, colpì l’avversario quando aveva ancora la guardia bassa.

Uno squarcio non molto profondo si aprì sul petto del nobody.

- Che cosa pensi di fare? – chiese Riku – Non mi hai ancora sconfitto –

Una colonna di terra si alzò sotto di Riku, facendolo volare contro la parete.

Riku si rialzò a fatica, facendo leva con le gambe contro il pavimento.

- Non sei ancora stanco? Non lo vedi che combattere è inutile? –

- No, io vedo solo il mio avversario! –

Riku lanciò la Keyblade che colpì l’avversario e lo fece indietreggiare di qualche passo, per poi tornare in mano al ragazzo.

- Mi dispiace, ma non puoi vincere! Io sono troppo più forte! –

Lexaeus si lanciò all’attacco, ma Riku cadde prima di venire colpito, quasi del tutto privo di forze.

La spada dell’Eroe del Silenzio si conficcò così a fondo nella roccia che ci sarebbe voluto troppo tempo per riprenderla.

Riku cercò di colpire l’avversario, ma quello si scansò all’ultimo, lasciando la sua arma.

- Bene, adesso almeno ho un piccolo vantaggio -
Pensò Riku, quasi sollevato. Non ebbe finito di pensarlo che un colpo alla schiena gli tolse il respiro.
- Non è possibile... – si disse il ragazzo, mentre cadeva a terra. L’arma venne come sputata al terreno e presa al volo dall’Eroe del Silenzio, che si mise in posizione di attacco.
- È finita – disse in un soffio, prima di partire. Riku era disteso a terra, senza forze. Vide a malapena il suo avversario, ma non poteva fare nulla per evitare il colpo.
- Riku!-
Era una voce nota, eppure il ragazzo non avrebbe saputo dire di chi era. Essa lo spronò ad alzare la sua lama, in modo da parare. Ed in effetti le lame si incrociarono, sprizzando scintille.
Riku si alzò in piedi, contrastando il peso dell’avversario.
 Lento ed inesorabile, un passo dopo l’altro, il ragazzo continuò ad avanzare, sentendo la sua Key stranamente leggera, ma senza guardare quasi avesse paura che, anche lanciando una sola occhiata, poetesse perdere quel poco di vantaggio che aveva.
L’uomo indietreggiò fino alla parete in fondo, che aveva l’aspetto di un enorme sperone roccioso.
- No! -
Gridò, per poi spingersi in avanti. Riku parve incerto un attimo, poi si lasciò andare, cadendo indietro con la schiena a terra e disimpegnando così la lama dell’avversario che tutto ad un tratto non ebbe più equilibrio.
Riku lasciò che quello passasse oltre, poi veloce lo colpì alla schiena, letale. La lama entrò in profondità, perforando la carne.
- Bravo... – disse Lexaeus – Ma non potrà mai bastare! -
La lama guizzò veloce contro il ragazzo, che ormai era allo stremo. Le forze erano quasi esaurite, ma sapeva che doveva vincere. Si abbassò evitando l’arma avversaria, poi si lanciò addosso all’avversario. La sua Keyblade, ora la vide, entrò nell’avversario, da cui uscì un bagliore seguito dall’Oscurità più nera...
La Via Per l’Alba era tornata.
- Mi hai battuto, di nuovo –

Il corpo del numero V iniziava ad essere lentamente consumato dall’Oscurità.

- Ma io non poso andarmene così. Prima devo dirti che sono soddisfatto. Ti sei dimostrato più forte di me e mi hai battuto. Questo –

Disse tirando fuori dalla tunica un piccolo oggetto avvolto nel mantello – È per te. Non ti dimenticare mai che hai sempre degli amici su cui contare –

L’Eroe del Silenzio scomparve definitivamente.

Riku era distrutto, troppo stanco per rialzarsi in piedi. Prese in mano l’involto che gli aveva dato Lexaeus e tolse il panno che lo nascondeva.

Dentro, c’era una lettera.

 

Caro Riku,

se ora stai leggendo questa lettera, vuol dire che mi hai battuto. Dubitando di avere il tempo di dirti tutto, ho deciso di scrivere queste poche righe in modo che tu capissi.

Il nobody che ci ha riportati in vita è un pazzo. Vuole a tutti i costi riportare in vita un’Organizzazione che già prima di essere sconfitta era in pezzi. Nessuno si fidava degli altri, molti erano considerati inferiori e alcuni, come Marluxia, volevano il potere per loro alle volte istigati da altri, ma non mi dilungherò sulle questioni riguardanti i XIII.

Sappi che io non voglio più essere testimone di stupide fantasie che esistono solo nella testa di quel Nobody, il tuo Nobody.

Sappi che, alla fine, avete collezionato abbastanza cuori, quindi Kingdom Hearts è finalmente completo. Non so se renderà di nuovo i cuori dei nobody rimasti, sinceramente non so nemmeno se ne voglio ancora uno.

Dopo tutti i crimini che ho commesso, penso che l’unico sentimento che potrei provare sarebbe sconforto e non potrei fare nulla.

Sappi che sono contento di morire per mano tua, almeno penso che così sia. È l’unica sensazione che posso provare...

Ricordati sempre che puoi contare sui tuoi amici. Loro potrebbero essere il tesoro più prezioso del mondo. Non allontanarli.

Con questo io ti saluto e spero che saprai, al momento giusto, quello che è più giusto fare.

 

Lexaeus, l’Eroe del Silenzio

 

Quando ebbe finito di leggere, richiuse il foglio e lo mise davanti al cuore, addormentandosi profondamente poco dopo.

 

Note dell’autore
Non lo so, ma questo capitolo non mi soddisfa appieno... spero che per voi lettori sia gradito...

Grazie a tutti coloro che continuano a leggere...

 

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