L'Amour Qui Brise Les Os.

di _Noodle
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1. Warm Up. ***
Capitolo 2: *** Bar(re) Excercises. ***
Capitolo 3: *** Variations. ***
Capitolo 4: *** Grand Allegro. ***



Capitolo 1
*** 1. Warm Up. ***


Warm Up.
 
 
 
 
 
 
Era stata alienante l’immobilità.
Mezzaluna calante sulla testa di un mal capitato.
Era stato avvilente non potersi alzare dal letto per passeggiare sotto il sole. Era stato corrosivo piangere amare lacrime su ricordi più che vividi. Pelle che si trasformava in ruggine. Sogni infranti. 
Sismi violenti propagavano le proprie onde invisibili attraversando la schiena, le gambe, i piedi. Facevano male le unghie, i capelli e le palpebre, gonfie e arrossate.
Brividi di solitudine, spasmi incontrollabili e imprevedibili. Silenzi ricchi di sconforto. Restare solo non gli aveva mai creato alcun problema di sorta: era nato solo e sarebbe morto solo; ma come avrebbe affrontato il nulla? La vacuità? Era come se fosse stato svuotato di ogni convinzione, di ogni benessere certo o apparente. Si era rotto in mille pezzi, senza sapere se qualcuno sarebbe stato in grado di ricomporlo.
 
Era stata subdola l’immobilità.
Quando aveva provato ad alzarsi dal letto, quando aveva tentato di recuperare il controllo sulla propria colonna vertebrale, ecco che quel macigno d’insostenibile pesantezza chiamato malattia, al suono di un rantolo soffocato, aveva scaraventato il suo mondo colorato nella paura, nel terrore, nell’incubo della staticità.
Era stato facile, per gli altri, parlare. Era stato semplice commentare la sua frequente stanchezza con parole affrettate e velenose, inconsistenti. Era stato facile per i medici dirgli di aspettare, di non muoversi, di portare pazienza.
Puntare il dito solo per smorzare, per rallentare, per lacerare e smembrare le ali di un Icaro troppo avventato.
Aveva resistito, aveva ballato senza ritegno e senza rimpianto, ma si era ritrovato con le spalle al muro, una sciatalgia insopprimibile e un’infiammazione al pavimento pelvico che non lasciava in pace. Le vertebre compresse, i sentimenti feriti. Le viscere schiacciate dal peso delle responsabilità, le ginocchia storte, il diaframma contratto, la mente offuscata dall’incredulità.
Aveva provato, ma era stato abbattuto. Aveva lottato con ogni forza, sputato dolore e sudato passione, pianto come non aveva mai fatto nemmeno quando era un bambino maldestro, passato ore a riprovare sempre lo stesso passo, sempre la stessa variazione, sempre la stessa espressione da sfoderare in una precisa ottava.
Tutto questo non era servito a nulla, se non ad essere annientato. Non era servito ad entrare nella prestigiosa compagnia dell’Opéra National de Paris, poiché prima di solcare l’entrata del Palais Garnier aveva ormai perduto la sensibilità della parte sinistra del proprio corpo.


Forza.
Resistenza.
Costanza.
 
Testa, mento, collo, spalle, scapole, braccia, busto, stomaco, addominali, natiche, adduttori, ginocchia, caviglie, piedi, alluci, dedizione, impegno, tenacia, sforzo, controllo, velocità, lentezza, spinta, atterraggio, rabbia, disfatta, fatica, stanchezza, sonno, rassegnazione.
 
Si era dimenticato che cosa si celasse dietro tutto quello, oltre quell’invalicabile barricata che separava lui stesso dal suo futuro.
Era diventato scettico, esponenzialmente scettico. Non aveva più voglia di lottare per un futuro. Il bambino creativo e geniale si era trasformato in un ateo predicatore d’incertezze. Non credeva più a niente, né alle parole, né alle persone. Perché se era stata la felicità la sua condanna, se lo era stata la passione, allora non ne valeva più la pena. Non valeva più la pena spendere tempo e denaro, fingere di essere contento di fare quel che faceva, credere in qualunque cosa che potesse trasformarsi in un’illusione. La danza l’avrebbe portato alla tristezza, l’avrebbe portato alla disfatta. Aveva incominciato a bere. Una, due, tre, dieci birre. Una bottiglia di vino rosso. Due bottiglie. Assenzio nero. E Icaro si era trasformato in Dioniso.
Tutto aveva perso forma. Il suo corpo logorato dalla fatica, in origine perfetto e levigato, ora appariva deformato dalle sue stesse frustrazioni. Forse sarebbe stato più comodo continuare a studiare all’Accademia delle Belle Arti e buttare nella spazzatura tutte le mezze punte e tutti costumi di scena.
Sarebbe rimasto della stessa opinione in eterno, se non fosse stato per quel devastante bisogno di libertà che solo la danza riusciva a trasmettergli; ma, allo stesso tempo, sapeva che non sarebbe mai stato libero, non credeva che un valore così astratto e così agognato come la libertà potesse ancora far pulsare un cuore stropicciato come il suo.
 
Si sbagliava.
 
Passato l’inverno, il dolore era scemato e lentamente era strisciato fuori dal suo corpo: poteva scorgere un nuovo spiraglio di luce tra quell’ammasso di ossa e di muscoli accartocciati. Aveva paura, aveva tremendamente paura, ma forse quegli aghi appuntiti che gli avevano fatto pisciare sangue erano serviti a qualcosa. E forse, la forza dell’intesa, dell’amicizia, dell’affetto, della complicità, dei sorrisi, degli sbagli, delle risate, delle malefatte e dei successi l’avrebbe riportato in vita per qualche istante, necessario per respirare l’odore tipico della vita: era l’odore della lacca, della biancheria pulita e della biancheria sudata, della pece e del linoleum grigio.
Si era infilato le mezze punte e lentamente, senza pretendere troppo, aveva appoggiato la mano sinistra ad un cavalletto, fingendo che fosse una sbarra.
Era stata la forza di poche parole ad avergli fatto tornare la voglia di salire sul palco. Era stata la forza di chi le aveva pronunciate a trascinarlo verso il suo vecchio ed eterno sogno dopo due anni in cui si era smarrito, in cui l’ago della bussola aveva puntato sempre verso ovest, dove il sole tramonta.
 
Sono guarito”, gli aveva scritto.
E in quell’istante era guarito anche lui.
 
Grantaire era tornato a passo incerto. Aveva varcato la soglia del Palais Garnier con lo sguardo basso e la barba incolta. Era il 6 luglio 2015.
Accanto a lui l’amico di una vita, alle sue spalle un ricordo che ancora doveva sgretolarsi. Davanti ai suoi occhi l’esperienza che gli avrebbe cambiato la vita. O almeno così era stato portato a sperare.
 
Quinta posizione. Testa girata di un quarto, mento sostenuto, braccia in bras bas.
E grazie maestro.
 
 
 
 
 
 
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Ebbene sì, dopo anni di assenza, eccomi di nuovo a pubblicare in questo fandom, quello dell’opera a cui sono di certo più affezionata in assoluto. Spero che questo mio ritorno sia ben accetto, perché Noodle è tornata carica come una molla! <3
Ebbene sì, una Ballet!AU. Questa storia è in cantiere da svariati anni, ma per un motivo o per un altro non ho mai avuto il coraggio di scriverla. Significa molto per me e racchiude tantissimi riferimenti personali (cosa che solitamente odio fare quando scrivo fan fiction, ma in questo caso è stato inevitabile, in quanto la danza è il mio lavoro e la mia più grande passione).
Che dire di questo primo capitolo? Corto e introduttivo, ma vi assicuro che andando avanti ne vedrete delle belle! (:
Tanti i riferimenti musicali, tanti i riferimenti al Brick, e spero di aver reso come al solito giustizia a questi meravigliosi personaggi, che meritano tutta la gloria di questo mondo <3
Per gli amanti di Grantaire: siate pronti a sentire parlare molto spesso di lui!
Detto ciò, ho intenzione di pubblicare una volta alla settimana, quindi apparirò la prossima domenica con il secondo capitolo!
Fatemi sapere che cosa ne pensate, sarei felice di sentire la vostra opinione, dal momento che è un po’ che non scrivo!
E grazie alle mie due socie, che come al solito mi danno la forza e l'ispirazione per portare avanti le mie folli idee <3
Vi abbraccio fortissimo! P.S. Il titolo della storia è ispirato alla canzone di Ermal Meta "Quello che ci resta".
_Noodle

 

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Capitolo 2
*** Bar(re) Excercises. ***


Bar(re) Exercises.

 

 

 

 

 

 

Courfeyrac, come ogni giorno, si era ripromesso di non cedere all’intramontabile fascino dell’alba. Si era ripromesso di abbassare la saracinesca del Café Chaché non appena la clientela si fosse esaurita e di ritornare a casa ad un orario rispettabile, vale a dire intorno alle due o alle tre del mattino. Come ogni giorno si era ripromesso di dormire almeno quattro ore, in modo da essere attivo (o quasi) alle sette in punto e di cominciare il servizio al Martini bar del Palais Garnier  in perfetto orario. Sarebbe stato fresco come una rosa, se avesse rispettato nel dettaglio i suoi piani.

Come ogni giorno se l’era ripromesso e come ogni giorno aveva fallito miseramente. Qualche serata interessante, qualche avventura di una notte, qualche partita alla playstation di troppo. La solita sveglia che rimane inascoltata, il suo coinquilino placidamente addormentato, le corse tra le vie della città e la metropolitana che non si decide a passare. La routine di Courfeyrac, barista affaccendato e giovane di larghe vedute, non si sarebbe di certo potuta definire abitudinaria. 

Courf, in ogni momento della sua vita, riusciva ad essere sempre e perennemente non in orario. Il fascino del suo ritardo, tuttavia, non era dettato da un eccesso di pigrizia, quanto da un eccesso di attività. Non stava mai fermo e non conosceva stasi, anche se, quando gli capitava di avere la mattinata libera, poteva definirsi uno spasmodico e viscerale amante del sonno. Ciò che riusciva a non fargli perdere il posto di lavoro erano la sua sagacia, il suo savoire faire e il suo instancabile affaccendarsi. Una volta pronto, svolgeva tutte le mansioni in modo impeccabile. Se non fosse stato così diligente, sarebbe stato licenziato già da chissà quanto tempo! 

La mattina del 20 agosto 2015, inizio del nuovo anno accademico e della nuova stagione di prove della compagnia dell’Opéra, Courfeyrac si era catapultato dietro il bancone del bar soltanto con dieci minuti di ritardo. Aveva incominciato a lavorare lì già da qualche settimana, riparandosi dal caldo soffocante in stanze arieggiate da efficienti condizionatori. Quella mattina, di considerevole importanza dato l’afflusso di gente, si era premurato di inventare la scusa più degna di nota mai esistita e l’aveva fatta franca per l’ennesima volta sotto il naso del suo capo, un uomo di circa cinquant’anni preciso e stacanovista, ma facilmente raggirabile. 

Dopo essersi scusato per il ritardo, aveva incominciato a servire i clienti con il solito affascinante sorriso e ad offrire stuzzicanti delizie alle giovani stagiste della compagnia, secondo i suoi canoni di benessere troppo magre per poter sopportare tutte quelle ore di lezione. 

 

Le classi sarebbero iniziate da lì ad una ventina di minuti (erano ormai le 9:40) e l’afflusso di ballerini stava decisamente diminuendo. Erano tutti impegnati in vigorosi  e necessari riscaldamenti fisici: farsi male il giorno della distribuzione delle parti per il balletto che sarebbe andato in scena da novembre a dicembre non era affatto indicato. Courfeyrac si premurò di dare un’ultima pulita al bancone per togliere gli aloni lasciati dai bicchieri e dalle tazze e, una volta libero dai clienti, riesumò il cellulare dalla tasca posteriore dei pantaloni. Iniziò a curiosare su Facebook e su Instagram, finendo per postare una Instagram story con una sua foto in divisa da lavoro. Dopo alcuni minuti di intensa attività sui social, alzò la testa e il suo sguardo attento cadde su uno strano individuo seduto al limitare del bancone. 

Non l’aveva mai visto prima. Poteva essere uno stagista, un nuovo ballerino della compagnia, un giovane coreografo, o più semplicemente un ragazzo mattiniero amante delle caffetterie prestigiose. Aveva i capelli di un rosso-arancione scintillante e la pelle sottile e trasparente, diafana. Un orecchino di cocco appeso al lobo sinistro e un tatuaggio dietro lo stesso orecchio lo rendevano stravagante per quel tipo di luogo, frequentato da ragazze e ragazzi tutti acqua e sapone, felpe di pile e scaldacuori. Gli occhi erano lunari, pieni di polvere e di crateri, grigi quanto la nebbia, intensi quanto il suo diradarsi.  La bocca era candida e pulita, innocente, macchiata da piccole efelidi. Al collo portava una collana con uno strano totem, che forse serviva a proteggerlo da qualche cosa. La sua maglia verde, strappata qua e là in più punti, presentava una stampa composta da un ammasso di cerchi, linee e curve. Quel ragazzo pareva un Kandinsky intrappolato in un Seurat. Un devastante profumo di miele proveniva dai suoi indumenti, e una piccola gardenia faceva capolino dal quaderno che aveva appoggiato sul bancone. Courfeyrac rimase affascinato da quella presenza poco invadente, giunta nel suo regno di rumori e di parole con passo silenzioso. 

<< Buongiorno! Che cosa posso portarti? >> gli chiese avvicinandosi, abbassandosi leggermente per intercettare il suo sguardo. Alla domanda di Courfeyrac il ragazzo dagli abiti insoliti alzò la testa e sobbalzò, avvampando violentemente, quasi non si aspettasse che il barista potesse domandargli qualcosa. 

<< Un ginseng in tazza grande, per favore >> rispose infine, chiudendo il quaderno arancione. 

<< Arriva subito >> esclamò Courf sorridendo incuriosito, lasciando che le sopracciglia si aggrottassero leggermente e che l’angolo sinistro della bocca si sollevasse lentamente. Trafficò con la macchinetta senza staccare lo sguardo da quel nuovo curioso personaggio, in grado di interessarlo come mai nessun estraneo era stato in grado di fare. 

<< Ecco a te >> disse, porgendogli la tazza. 

<< Grazie mille. >>

Il ragazzo cominciò a bere lentamente. Prima di una lezione era quello che gli ci voleva. Courfeyrac, che continuava a fissarlo in modo indiscreto, appoggiò i gomiti sul bancone e incominciò a discorrere con la sua solita loquace parlantina. 

<< Allora, fai parte della compagnia? >> domandò sorridendo, osservando le sottili dita dell’altro tamburellare sulla tazza. 

<< Sì, sono nuovo. Sono riuscito a superare le audizioni di luglio, fortunatamente. >>

Il ballerino assunse un’espressione stranita, quasi dubitasse della sua presenza lì. Il suo eccentrico modo di presentarsi urtava incredibilmente con la sua timidezza. 

<< Bhe, complimenti! Mi sembri stupito >> azzardò Courfeyrac scuotendo la testa. 

<< Sono reduce da un periodo di pausa piuttosto lungo, non pensavo di averne ancora le capacità >> ridacchiò, tenendo gli occhi bassi. Scostò la tazza da davanti a sé e cominciò a frugare nel borsone nero alla ricerca di spiccioli. 

<< E che cosa leggi, ballerino? >> incalzò nuovamente Courfeyrac, non preoccupandosi minimamente di risultare invadente o di distrarlo da ciò che stava facendo. Non si poneva mai di questi problemi, quando si trattava di conoscere qualcuno di interessante.

<< Oh, non leggo, scrivo. >>

Il ragazzo dai capelli rossi svelò un sorriso smagliante, alzando per la prima volta gli occhi. Courfeyrac ebbe la tentazione di afferrare il quaderno e di leggere ogni singola parola impressa lì sopra, ma decise che era arrivato il momento di darsi un contegno. Se quel quaderno era interessante quanto il proprietario, allora avrebbe dovuto prima fare amicizia con quest’ultimo. Si stupì di quanto quel ballerino fosse così intrigante e allo stesso tempo così diverso dalle persone che era abituato a frequentare. Più che di lui, si stupì di se stesso. 

<< Scrivi? E che cosa scrivi? >>

<< Pensieri, poesie, pagine di diario. Quello che la giornata mi porta a comporre. >> 

Courfeyrac era lucente e luminoso, come il sole a mezzogiorno. Eppure quella luna crescente l’aveva alterato, l’aveva oscurato come nelle migliori eclissi. 

Il ballerino riuscì finalmente a recuperare due euro e li appoggiò sul bancone. Alzandosi, salutò Courfeyrac.

<< Grazie del ginseng, ora scappo, la lezione attende… >>

Ma Courfeyrac non lo salutò, troppo concentrato ad ascoltare la sua voce che si appoggiava a dolci intonazioni. 

<< Senti scusa… >> esordì infine, rincorrendo il suo nuovo amico, già lontano. Quest’ultimo si voltò di scatto.

<< Io sono Courfeyrac. Non mi sono nemmeno presentato >> disse allungando la mano destra. 

<< Io mi chiamo Jehan, Jehan Prouvaire. >>

Dopo aver risposto alla stretta di mano, Jehan scivolò via di corsa, impaziente (o forse preoccupato) di iniziare la lezione, e Courfeyrac rimase lì, immobile, appiccicando il suo sguardo frizzante sul bizzarro tatuaggio di Prouvaire. 

Da quel giorno, promise a se stesso di impegnarsi di più per arrivare in orario sul posto di lavoro. 

 

Grantaire si sentiva estremamente e maldestramente fuori luogo. Essersi presentato a lezione dopo due anni di pausa non era stata per nulla una buona idea. Avrebbe dovuto rifiutare l’opportunità e restarsene a casa tra le sue belle tempere colorate, ne era certo. Come aveva fatto a credere che sarebbe stata una buona opportunità? Si sentiva incredibilmente a disagio. Seduto a terra, la testa appoggiata sulle ginocchia nel tentativo di allungare i bicipiti femorali, si chiedeva come avrebbe fatto a sopravvivere in quella compagnia per più di una settimana. Tutti i danzatori accanto a lui erano belli, profumati, motivati e accesi da uno strano e demoniaco furore. Avevano corpi dalla pelle liscia e perlacea, fisici smaglianti, bei vestiti e bei capelli. Lui, invece, indossava una semplice calzamaglia verde e una maglietta nera. I capelli castani costituivano una zazzera impossibile da acconciare e da districare e le mezze punte, usate anni prima, recavano ancora qualche ferita di guerra. Osservava i suoi colleghi con aria diffidente, anche se in un certo qual modo era incuriosito da tutti quegli spiriti assennati e determinati, strabordanti di passione e di ideali. 

La prima persona che notò, a causa del suo frenetico affaccendarsi, fu una biondina alta poco più di un metro e sessanta. I suoi lineamenti erano eterei, belli di una bellezza inquietante: pareva la ballerina di un carillon. Indossava un body color carta da zucchero e un gonnellino bianco. Pizzicato allo chinon portava un fermaglio luccicante. Sebbene si stesse soltanto riscaldando, si muoveva con una fluidità e con una precisione divine, invidiabili al primo sguardo. Grantaire, guardandola, ipotizzò che potesse essere la prima ballerina dell’Opéra, e che quindi il ruolo da protagonista sarebbe stato inevitabilmente suo.  Torceva la schiena come se fosse stata di creta, allungava la gambe con leggerezza e le sollevava con altrettanta eleganza. Di tanto in tanto sorrideva tra sé e sé, incurante degli sguardi che spesso le venivano rivolti. 

Qualche sbarra dopo la sua, una ragazza dai capelli corvini e dalla vita incredibilmente sottile saltellava da una parte all’altra dell’aula, gli occhi castani che saettavano a destra e a sinistra quasi a voler catturare ogni singolo dettaglio del mondo che la circondava. Le suscitò simpatia, e decise che si sarebbe spostato verso di lei, una volta cominciata la lezione. Ad un tratto, senza che se lo aspettasse, si sentì toccare la spalla destra, e in quel momento si ricordò il motivo per il quale aveva deciso di intraprendere quell’avventura: Jehan Prouvaire. Pensava che non si sarebbe mai più fatto vivo e che avesse rinunciato a fargli compagnia per quel suicidio di massa. 

<< Eccoti qui! >> Grantaire balzò in piedi e lo abbracciò, con tanto vigore ed entusiasmo che quasi temette di avergli incrinato un paio di costole. Jehan, cosparso di lentiggini e di imperfezioni, era ciò che più gli assomigliava all’interno di quel covo di marmorei adoni. 

<< Scusa per il ritardo >> disse Jehan con voce soffocata << mi dispiace di non essere riuscito ad avvisarti, ma ho dimenticato il cellulare a casa >> commentò Prouvaire, grattandosi la testa. 

<< Meno male che sei arrivato, qui sono tutti così incredibilmente silenziosi e… e… >> continuò Grantaire sottovoce, roteando gli occhi da una parte e dall’altra. Jehan era convinto che quella mattina fosse andato giù di Jack Daniels. 

<< Stai tranquillo Taire, una volta che diventeremo tutti amici non saremo più così tanto silenziosi! >> ridacchiò il poeta, guardandosi attorno e notando che tutti, chi più e chi meno, erano già sudati a causa del riscaldamento alla sbarra. 

<< Dobbiamo darci una mossa, amico, o finiranno per darci la parte della pianta o del sasso. >> 

Jehan si avvicinò ad una sbarra sulla destra, e si accaparrò un posto vicino alla biondina tutto pepe e zucchero filato. Grantaire lo seguì , lievemente più sollevato, sperando che decidesse di spostarsi da un’altra parte. 

<< Oh, ti ho portato una fascia per raccogliere i capelli >> esclamò ad un tratto il poeta, dopo aver frugato nella borsa ed aver estratto il suo bottino. Grantaire ridacchiò, poi afferrò la fascia e la indossò, cercando di dare un contegno ai suoi capelli indomabili. 

L’incredibile ottimismo di Prouvaire riusciva a lasciarlo sempre interdetto, ma come al solito, finiva per fidarsi di lui. Per certi aspetti le loro personalità erano in totale disaccordo: uno tentava di nascondersi dietro pesanti sciarpe di lana e cappelli dalla visiera abbassata, l’altro tendeva a vestirsi in modo istrionico e facilmente visibile; uno camminava con le spalle ricurve verso il basso e gli occhi rivolti verso il cielo, l’altro con le scapole distese e aperte e le iridi conficcate nel pavimento; uno era esponenzialmente scettico, l’altro un inguaribile sognatore pronto a tutto per realizzare ciò che aveva in mente. Tuttavia, avevano anche molto in comune. Grantaire e Jehan erano entrambi il contrario di loro stessi: tanto timido era Jehan, quanto senza freni era Grantaire, e il loro modo di apparire, tradiva completamente questi due aspetti. Pensavano molto, spesso passavano le serate ad affogare le proprie perplessità in qualcosa che potesse dar loro conforto, viaggiavano con la mente più di quanto potessero fare con un’auto nuova di zecca e si mordevano le unghie in preda ad ansia o a felicità estrema. Erano artisti e gli artisti, per quanto diversi, finivano per restare inevitabilmente vicini. Avevano condiviso il dolore e, nelle bottiglie di uno e nelle poesie dell’altro, emergeva il fatto che entrambi avessero lottato per restare in quel mondo che tutti definivano come meraviglioso. Jehan era diventato un paladino dell’ottimismo e Grantaire un animo cinico e diffidente. Erano grati l’uno all’altro per la loro amicizia e avrebbero fatto di tutto per conservarla in eterno. 

Mentre Grantaire aveva iniziato a praticare qualche equilibrio in arabesque, un ultimo ballerino entrò nella stanza, coperto da pesanti strati di vestiti nonostante il caldo torrido di agosto. Era biondo, glaciale, dolorosamente bello. Non salutò nessuno, non si avvicinò ad anima viva, posò la borsa in un angolo vicino alle belle finestre decorate e poi si posizionò nella sbarra della ragazza dai capelli corvini che Grantaire aveva notato qualche minuto prima. Se Taire era stato convinto fino a quel momento che tutti quei ballerini avessero potuto celare un demone dentro di loro e trasformarsi in esso da un momento all’altro, quel danzatore dai capelli dorati non avrebbe potuto essere nient’altro che un angelo. Lo fissò, perdendo l’equilibrio nella maniera più elementare che potesse esistere.

<< Ma non ha caldo? >> bisbigliò Jehan alle sue spalle. 

<< Non credo… ha il gelo negli occhi >> commentò Grantaire, suscitando l’ilarità dell’amico.

<< Sarà… >> concluse il poeta, ritornando ad eseguire qualche battement tendu. 

 

L’orologio scoccò le ore 10:00. Con estrema precisione, quasi avesse aspettato dietro la porta per entrare al secondo spaccato, Madame Fantine, Maitre de Ballet dell’Opéra de Paris, entrò nell’aula con un ticchettio di scarpette leggero, seguita da due assistenti e dal pianista. Aveva il volto minuto e delicato, i capelli cortissimi e due occhi grandi come due astri. Camminava in maniera vivace e dinamica, sorrideva teneramente, e dalla sua espressione risoluta traspariva un carisma proprio di chi nella propria vita ha dovuto affrontare le più disparate vicende e ne è uscito vincitore. Dopo aver fatto un rapido appello, permettendo così a Grantaire e a Jehan di scoprire i nomi dei loro compagni di corso, Madame Fantine si diresse verso il centro della sala, facendo cenno agli assistenti di accomodarsi sulle seggiole adiacenti al pianoforte. 

<< Buongiorno a tutti. Ben trovati per la prima lezione dell’anno accademico. Per i nuovi arrivati, io sono Madame Fantine, il vostro Maitre de Ballet, ma penso che questo lo sapeste già. Prima di incominciare con la lezione, volevo ricordarvi che oggi pomeriggio, alle ore 15:00, si terranno le audizioni per il balletto che andrà in scena dal 17 novembre al 31 dicembre 2015: “La Bayadère”. Presentatevi con la vostra variazione di repertorio e provvederemo a comunicare le parti tra domani e dopodomani, lasciando un foglio attaccato alla bacheca appena fuori dall’aula. Tutto chiaro? >> 

I ragazzi annuirono, emozionati e determinati ad affrontare la lunga ed impegnativa giornata di lavoro. Taire e Jehan si scambiarono un rapido sguardo, evidente segno di sostegno reciproco. 

<< Allora possiamo incominciare! >> esclamò Madame Fantine, avvicinandosi alla sbarra centrale per marcare il primo esercizio. Le sequenze proposte erano piuttosto complesse, ma i ragazzi erano sicuri che ci avrebbero fatto l’abitudine una volta acquisito il ritmo delle lezioni. Per essere un buon ballerino si doveva, ahime, essere anche un ottimo atleta, oltre che un artista, e le classi della Fantine, non risparmiavano nessuno. 

<< Molto bene, Cosette, cerca di rendere più fluido il passaggio dal plié, prima di fare il fouetté >> disse la maestra alla ragazza dai capelli biondi, indicando le sue gambe con un rapido gesto della mano. Si spostava, aiutata dai suoi assistenti, in giro per l’aula per correggere e dispensare consigli, suscitando non poca agitazione nei nuovi arrivati. 

<< Tallone sinistro verso l’interno, una prima posizione così aperta non ti assicura troppa stabilità >> disse a Grantaire, mentre il ragazzo stava effettuando un port de bras alla seconda verso l’esterno della sbarra. Provvide subito a correggersi senza alterare la propria espressione, che varcava il limite tra il concentrato e il confuso. 

<< Usa l’adduttore per sollevare questa gamba, Enjolras, non puoi permetterti altre contratture come quelle dell’anno scorso. Joly che cosa ti ha detto? >> Madame Fantine, aveva raggiunto il ragazzo dai capelli dorati. Si chiamava Enjolras e, a quanto pare, era reduce da qualche faticosa seduta di fisioterapia (Joly, infatti, era uno dei fisioterapisti dell’Opéra). 

<< Mi ha detto di andarci piano. Mi ha anche applicato alcuni Tape per rilassare le zone contratte >> rispose, mentre continuava ad eseguire l’esercizio nella maniera più naturale possibile. A quanto pareva, lui e Madame Fantine si conoscevano già, probabilmente perché Enjolras aveva già fatto parte della compagnia l’anno precedente. Se la maestra non avesse fatto notare alla classe questo problema, nessun ballerino si sarebbe accorto che Enjolras avesse dovuto combattere contro delle contratture. La sua espressione era così fiera e determinata, che nessuno avrebbe potuto sospettare che nascondesse qualche debolezza. Pareva una statua scolpita nel marmo e sebbene i molteplici strati di vestiti non rivelassero le perfette forme del suo corpo, era facilmente immaginabile che fosse un fascio di muscoli dalla testa ai piedi. Madame Fantine, si spostò poco più indietro. 

<< Molto bene Eponine, ma evita di contrarre le scapole in questo modo. Allontanale invece di avvicinarle >> consigliò la donna alla ragazza dai capelli corvini. Lei le rispose con un sorriso accondiscendente e con un leggero movimento della testa, probabilmente perché era consapevole del fatto che quello fosse il suo punto debole. 

<< Sostieni le braccia Prouvaire >> esclamò nei confronti di Jehan, che avvampò violentemente una volta appreso quell’errore così elementare. 

La lezione continuò con ritmo costante, pochi furono gli attimi di pausa. Finita la sbarra, si procedette con il centro e le ragazze che ancora non avevano indossato le punte si adoperarono ad infilarle. Giri, adagi, piccoli salti e grandi salti; diagonali complessissime e sequenze di movimenti che si alternavano tra la rapidità e il lento, lentissimo controllo. 

A mezzogiorno, quando la prima lezione dell’anno terminò, Grantaire e Jehan dovettero dissimulare un imminente mancamento e, per non lasciare che quella sensazione di spossatezza fisica affaticasse anche la loro mente, decisero di andare a pranzare al Martini Bar dell’Opéra. 

<< Che variazione hai preparato? >> chiese Jehan a Grantaire, mentre scendevano le scale. 

<< Quella dell’Idolo d’oro, l’avevo studiata parecchi anni fa >> biascicò, convinto in cuor suo che non avrebbe mai ottenuto quella parte. << E tu? >> continuò, rivolgendosi all’amico.

<< Io ho preparato la variazione di Solor del terzo atto, anche se so già chi otterrà la parte. Da quel poco che ho visto oggi a lezione, Enjolras è perfetto per quel ruolo >> disse Jehan sgranando gli occhi per il ricordo del ballerino con i capelli biondi. Era chiaro che per abilità, potenza e costituzione fisica la parte sarebbe stata sua. 

Giunsero al bar, ancora praticamente deserto. Era normale che i ballerini non accusassero i morsi della fame dopo aver sprecato tutte quelle energie?

<< Vieni, sediamoci qui. Che cosa vuoi mangiare? >> 

Grantaire scosse la testa, indeciso sul da farsi. 

<< Qualcosa che non costi un occhio della testa e che contenga una buona porzione di carne >> rispose alla fine, appoggiando le gambe sulla sedia di fronte a lui. 

<< Va bene, vado subito ad ordinare. Chiedo a Courfeyrac di realizzare un piatto apposta per te >> ridacchiò facendogli l’occhiolino e trotterellando verso il bancone. 

“Courfeyrac? E chi è Courfeyrac? Non è possibile che Jehan abbia già fatto amicizia il primo giorno di lavoro, non è da lui. Se così fosse, avrebbe dovuto presentarsi a lezione con un’ustione di terzo grado per l’imbarazzo!” pensò Grantaire mentre osservava il poeta rivolgere un cordiale saluto al barista. 

Nel frattempo giunsero al bar anche Cosette e Eponine e, dietro di loro, il tanto acclamato Enjolras. Grantaire non fece in tempo a togliere i piedi dalla sedia, che le due ragazze si accomodarono di fianco a lui. 

Sarebbe stato un pranzo molto lungo e complicato. 

 

 

 

 

 

 

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Ciao a tutti amici, lettori! <3 

Come promesso, ecco il secondo capitolo della storia. Che dire? Abbiamo scoperto l’arco temporale in cui è ambientata e anche che ruolo hanno gli altri personaggi all’interno della vicenda (o quasi, manca ancora qualcuno). È per caso trapelato quanto io tenga a Jehan e il fatto che sia il mio personaggio preferito? E quanto io lo ami con Courf? E quanto adori la sua amicizia con Grantaire? Spero di sì, perché ho cercato di sviluppare al meglio questi rapporti, anche soltanto se si tratta di primo incontro. Tra l’altro, per quanto riguarda l’amicizia tra Grantaire e Jehan, mi sono ispirata molto ad alcune canzoni di Caparezza, ad una in particolare, ma approfondiremo questa cosa più avanti, come del resto succederà con tutti i personaggi! (: 

Che capiterà dopo questo pranzo probabilmente indesiderato? Domenica prossima sarò pronta a dirvelo! 

Come al solito, se volete lasciare un commento è molto ben accetto, sono sempre curiosa di sapere che cosa i lettori pensano delle mie storie! Do un bacino danzante a tutti! <3

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Capitolo 3
*** Variations. ***


Variations.
 
 
 
 
 
 
<< Possiamo sederci qui? >>
La voce squillante e limpida di Cosette giunse alle orecchie di Grantaire apparentemente con alcuni secondi di ritardo. La ragazza e la sua amica, infatti, avevano prima preso posto al tavolo e solo in seguito la bionda si era premurata di chiedere se a lui facesse piacere la loro compagnia. Eponine si sedette di fronte a Cosette, salutando il ballerino con un sorriso radioso.
<< Sì certo >> rispose Taire, accennando con la mano sinistra alle sedie ormai occupate. Il loro sconvolgente brio e i loro sorrisi distesi rievocarono in Grantaire l’antico ricordo di un tempo in cui non temeva di affrontare nessuno, in cui la sua personalità priva di pregiudizi e di censure lo aveva portato a conoscere una miriade di persone e a stringere amicizie sincere e durature. Ricordava di essersi sentito bene nelle occasioni in cui aveva interagito con altri, ma la solitudine che aveva caratterizzato l’ultima parte della sua vita aveva permesso che questa abitudine alla socialità si raggrinzisse, trasformandolo in un ragazzo burbero e diffidente. Si disse che, se voleva sopravvivere, se davvero voleva credere fino in fondo a quello che diceva Jehan sulle loro possibilità di stare lì dentro, allora doveva far emergere un po’ di quel vecchio ed istrionico Grantaire, che amava discorrere e vomitare fiumi di parole sulla gente dispensando consigli e fendendo l’atmosfera con sagace ironia. Anche se lui non poteva vederlo, lanciò uno sguardo eloquente a Prouvaire, che nel frattempo stava indottrinando Courfeyrac su tutte le sue abitudini alimentari da vegetariano convinto.
<< Io sono Eponine, piacere >> si presentò la ragazza mora, tendendo una mano a Grantaire.
<< E io Cosette >> fece eco l’altra.
Nel frattempo, tutti i ragazzi seduti al tavolo del piccolo dehor non poterono fare a meno di notare che Enjolras, sempre coperto dalla testa ai piedi, come se avesse dovuto affrontare le intemperie siberiane, si era seduto in solitario al tavolo accanto al loro.
<< Enj! Perché non ti siedi con noi? >> esclamò Cosette, irritando evidentemente Enjolras. Questo si voltò, stringendosi nelle spalle e perlustrando il bar con lo sguardo.
<< Sto aspettando una persona >> balbettò, cercando di sorriderle. In realtà, la verità su Enjolras e Cosette era che, sebbene lui la ammirasse come ballerina più di chiunque altra all’interno della compagnia, il ragazzo ne era profondamente e visibilmente terrorizzato. Era spaventato dalla sua precisione, dalla sua bravura e dal suo talento. Se qualcuno gli avesse fatto notare che entrambi condividevano queste qualità, probabilmente avrebbe negato fino alla morte, rinnegando le sue stesse capacità. Cosette era un vulcano di parole, sapeva tutto di tutti e si rivolgeva alle altre persone con una tale gentilezza da risultare stucchevole alle orecchie degli animi più invidiosi. Era scaltra, intuitiva, tremendamente emotiva e profondamente attaccata a suo padre e ai suoi amici. Forse era per questo che Enjolras manteneva le distanze da lei, perché non era mai stato in grado di provare affetto per qualcuno in un modo così viscerale. Lui voleva bene ai suoi amici, rispettava chiunque condividesse i suoi pensieri e i suoi ideali, ma non era mai stato in grado di esternare i propri sentimenti in modo appropriato. L’unica passione che dichiarava senza alcun tipo di imbarazzo o titubanza era quella per la danza, per la quale lottava ogni giorno quasi fosse stato un paladino dell’arte.
<< Non ti crede nessuno, Enjolras. Dovresti essere un po’ più amichevole il primo giorno di lezione. >>
Il biondo alzò lo sguardo, precedentemente disperso nel vuoto, intercettando quello di Courfeyrac. Quell’occhiata fugace bastò per far rizzare il ballerino in piedi, la bocca leggermente socchiusa e le sopracciglia alzate ad incorniciare due occhi azzurri decisamente stupiti.
<< C-Courf? Che ci fai qui? Voglio dire, non sapevo che avessi iniziato a lavorare in questo posto! Perché non me l’hai detto? >> Enjolras, si avvicinò all’amico, salutandolo calorosamente. Era la prima volta che i nuovi arrivati lo vedevano sorridere con così tanta spontaneità.
<< Volevo farti una sorpresa! >> ridacchiò Courfeyrac, facendo una smorfia soddisfatta.
<< Voi due vi conoscete? >> incalzò Cosette, curiosa come suo solito.
<< Io e Enj siamo amici d’infanzia! Abbiamo condiviso la culla e i pannolini! >>
Enjolras avvampò bruscamente roteando gli occhi, lasciandosi scappare un sospiro di disappunto; non sapeva più se essere felice o meno della presenza dell’amico sul suo posto di lavoro. L’affermazione di Courfeyrac, infatti, aveva suscitato l’ilarità dei presenti al tavolo, in particolare quella di Eponine.
<< E comunque, visto che non vi conosco ancora, io sono Courfeyrac! >> Tutti lo salutarono in coro.
<< Che cosa posso portarvi da mangiare? >> continuò, estraendo un taccuino dalla tasca dei pantaloni.
Cosette era felicissima che un ragazzo spiritoso e brillante come lui avesse sostituito i soliti camerieri ingessati e iper cortesi. Non le sembrava vero di aver conosciuto così tante persone cordiali e interessanti in così poco tempo.
<< Dai, ora siediti con loro, Enj, smettila di fare l’asociale >> continuò Courfeyrac. Il ballerino si arrese e prese posto di fianco a Eponine. Ripensandoci bene, la presenza di Courfeyrac all’Opéra avrebbe allietato decisamente le sue giornate, o se non altro, Enjolras era certo di poter contare su di lui e su uno dei suoi strepitosi caffé nel momento del bisogno. Non appena fosse rientrato a casa, avrebbe dovuto chiedere immediatamente a Combeferre, ultimo componente del terzetto, giornalista amico di entrambi, se fosse a conoscenza del nuovo lavoro di Courfeyrac. Loro tre erano inseparabili, parti di uno stesso cerchio di cui Enjolras era la circonferenza, Combeferre il raggio e Courfeyrac il centro.
Assorto dai suoi pensieri, la mano candida a tormentare una ciocca di capelli, non si era accorto che il ragazzo accanto a lui gli aveva rivolto la parola.
<< Io sono Grantaire. >>
L’artista aveva teso la mano verso Enjolras, allargando un sorriso che pareva un ombrello rotto. Era forse imbarazzo quello che gli stava piovendo addosso?
<< Lo so >> rispose fermamente il biondo, guardandolo negli occhi dopo essersi ripreso dall’intorpidimento iniziale. Il fatto che Enjolras si ricordasse di lui era perché si era concentrato sull’appello fatto da Madame Fantine e anche perché aveva un particolare talento nel ricordare i nomi.
<< Ciao a tutti! >>
Jehan era tornato al tavolo. Aveva salutato gli altri colleghi con timida cordialità e aveva preso posto a capotavola.
<< Allora, voi due siete in compagnia da…? >> chiese Grantaire a Cosette, accennando anche ad Enjolras. Nel frattempo, Courf aveva portato al tavolo un cestino con del pane caldo.
<< Io da due anni, lui invece è in compagnia dall’anno scorso. Vedrete che vi troverete molto bene qui. E poi la Fantine è fantastica, nutro un profondo rispetto per lei >> rispose la ragazza con gentilezza, addentando un pezzo di pane con ingordigia. Grantaire assunse un’espressione che suggeriva l’esclamazione “piccola, ma vorace!”
<< Sì, è davvero un’ottima insegnante >> aggiunse Enjolras, dando corda a Cosette, senza guardarla negli occhi.
<< Come stanno i tuoi quadricipiti, Enj? >> continuò lei, preoccupata.
<< Non ne voglio parlare >> bisbigliò il ragazzo, abbassando drasticamente il tono di voce.
<< Mi piace molto la tua maglia! Che cosa facevate voi due prima di essere ammessi? >>
Eponine si era rivolta a Jehan e a Grantaire interrompendo bruscamente la conversazione precedente.
<< Io ho studiato all’Ecole Supérieure de Danse di Cannes, e prima di tentare l’audizione qui, ho studiato all’Università di Lettere per un anno, più per passione che per altro >> rivelò Jehan, gesticolando come un forsennato. Faceva così, quando era in imbarazzo. Stava iniziando a sviscerare la sua passione irrefrenabile per Dante Alighieri, quando Grantaire lo interruppe, appoggiandogli scherzosamente una mano in faccia.
<< Hai risvegliato un mostro, Eponine. Io frequentavo l’Accademia delle Belle Arti >> confidò Grantaire.
<< Ma dai, sei un pittore? >> esclamò lei stupita, sorridendo emozionata.
<< Ci si prova. Amo particolarmente l’arte rinascimentale, il mio artista preferito è Michelangelo. Ma non disdegno nessun tipo di arte, sia chiaro. Tranne quella dell’alto medioevo, proprio non la sopporto >> aggiunse l’artista masticando un pezzo di pane. Jehan gli lanciò un’occhiata indispettita: avrebbe voluto anche lui rivelare i suoi gusti in materia, invece di essere interrotto!
<< E tu? Che facevi? >>
Eponine alzò le spalle.
<< Ho sempre studiato danza con molto impegno, ma non ho mai lavorato con altre compagnie prima d’ora. Ho avuto una fortuna sfacciata con l’Opéra. Oltre a questo aiutavo i miei genitori nel loro ristorante e studiavo da fonico. Spero di riuscire ancora a prendere qualche lezione, mentre lavoro con voi. >>
Cosette, a quell’informazione, s’illuminò. Gli altri la guardarono stupita.
<< Hai studiato da fonico? Sai per caso anche aiutare come macchinista teatrale? Sai, il nostro non è quel che si suol dire… un luminare del suo mestiere! Poverino, ne ha sempre una >> disse la bionda, ricordando le disavventure degli anni precedenti.
Bossuet, così si chiamava uno dei macchinisti dell’Opéra, l’anno prima era riuscito a dare fuoco al sipario con un riflettore e a ferire una ballerina trasportando una scenografia. Cosette lo trovava estremamente simpatico, ma non credeva che fosse in grado di competere con tutti gli altri professionisti che circolavano attorno a lui.
<< Ecco qui il pranzo, signorine! >> Courfeyrac era arrivato con le pietanze, ammiccando ad Enjolras pronunciando la parola “signorine”.
<< Oh, Enj! >> continuò << Quando faccio chiusura dovrebbe passare Marius. Se hai tempo di aspettarmi, dovrebbe riportarmi le chiavi della tua macchina! >>
Enjolras alzò le braccia al cielo.
<< Grazie a Dio se n’è ricordato! >>
<< L’altra sera è fuggito via dal Cafè dove lavoro di sera con le chiavi della macchina di Enjolras nella tracolla. Enj è dovuto tornare a casa a piedi >> aggiunse bonariamente Courfeyrac, servendo a Cosette e a Jehan un’omelette e delle verdure, e a Grantaire, Enjolras e Eponine un piatto di carne con patate al forno.
<< Bhe, poco male >> commentò Grantaire, divorato dalla fame.
<< Ci ho impiegato un’ora e mezza! Abito dalla parte opposta al locale dove lavora Courf e non avevo monete per comprare un biglietto della metro >> sbraitò il biondo, togliendosi la felpa di pile rossa. << E a proposito, ti conviene tornare al bancone se non vuoi che quelle due muoiano di fame >>  disse Enjolras a Courfeyrac, indicando due clienti. Il barista fuggì schivando le sedie e i tavoli.
<< Pronti per le audizioni? >> domandò Eponine, la gamba destra che rimbalzava freneticamente. I ragazzi non sarebbero stati in grado di dire se fosse più preoccupata o impaziente. Forse era entrambe le cose.
<< Assolutamente sì! >> trillò Cosette, incapace di rimanere calma.
<< Cosette, tu riceverai sicuramente il ruolo della protagonista, è scritto nelle stelle >> profetizzò il poeta, sorridendole dolcemente.
<< Che dolce che sei, Jehan! >> squittì lei sospirando, appoggiando le mani candide al petto << Lo spero tanto, anche se, sinceramente, se qualcun’altra prendesse il mio posto non me ne rammaricherei. Il livello è davvero altissimo quest’anno >> rivelò, mettendo una mano sulla spalla di Eponine. Cosette era rimasta davvero colpita da lei, durante la lezione aveva dimostrato di avere un enorme talento.
<< Io sarò felice di fare qualsiasi parte, m’importa poco quale ruolo mi verrà assegnato. Va bene anche far parte del controscena >> biascicò Grantaire, ancora una volta vittima della sua poca fiducia in se stesso e nel mondo. Trangugiò un’abbondante sorsata di birra. 
<< Allora perché sei qui? Hai qualche vaga ambizione? >> Enjolras aveva scalfito l’aria di tenera cordialità con poche parole dure e taglienti. Gli occhi azzurri dell’uno, freddi e severi, avevano incontrato quelli blu cobalto dell’altro, profondi e mutevoli.
<< Dico solo che, essendo arrivato adesso, non penso di meritarmi chissà quale ruolo. Ma volendo, so che impegnandomi potrei anche ottenere una parte più importante >> ribatté Grantaire, accogliendo la sfida lanciatagli da Enjolras. Jehan assisteva compiaciuto alla scena: era felice che qualcuno stesse facendo ragionare Grantaire.
<< Se le tua massima aspirazione è ricevere la parte del cartonato, non credo che tu abbia le capacità per ricoprire un ruolo principale >> sibilò Enjolras, irritato dal suo pressappochismo.
<< Io invece so di poterci riuscire, se solo volessi. >>
<< Ho i miei dubbi. >>
<< Vedrai. >>
Cosette si stava chiedendo perché mai Enjolras dovesse prendersela ogni volta con chi dimostrava di non avere tanto carisma quanto ne aveva lui. Chi non credeva in sé stesso o chi non credeva di poter realizzare qualcosa irritava a tal punto Enjolras da renderlo una fredda statua di marmo, animata da un fuoco d’indescrivibile vigore. Era una reazione che non era in grado di contenere, lasciava fluire lo sdegno e la rabbia da tutti i pori diventando estremamente severo, quasi non riuscisse a concepire che nel mondo non tutti potevano ritenersi fortunati, capaci o sensazionali.
<< Io invece >> continuò Grantaire dopo aver finito il suo piatto di arrosto << credo che tu otterrai il ruolo di Solor. Credo che tu sia un ballerino strepitoso. >> Lo pensava davvero.
Enjolras rimase in silenzio. Si scoprì turbato da quell’improvvisa reazione, inconcepibile per lui, dal momento che non si era risparmiato nel commentare le mancate aspirazioni di Grantaire. Perché non aveva continuato ad affrontarlo? Perché non aveva tentato di difendersi? La sincerità apparente e disarmante di Grantaire l’aveva fatto piombare in un fastidioso stato di confusione.
Concluse di mangiare senza più aprire bocca, lasciando che gli altri parlassero al posto suo e che quella frase continuasse a ronzargli in testa per tutto il pomeriggio.
 
<< Il prossimo! >>
Eponine trasse un profondo respiro, sperando che tutta la positività e l’energia che aveva accumulato in quei mesi di duro lavoro fluissero nel suo corpo come linfa vitale. Aveva fatto degli enormi passi avanti e, considerato il fatto che non aveva mai fatto parte di una compagnia di quel calibro prima d’ora, non riusciva nemmeno ad immaginarsi come sarebbe potuta andare. Sapeva solo che avrebbe dovuto esibirsi con tutta l’adrenalina che aveva in corpo e, forse, la parte di Nikiya sarebbe stata sua, a discapito di Cosette. Era subito entrata in confidenza con l’altra ragazza e aveva capito quanto il suo cuore potesse essere buono e leale. Era convinta che la parte sarebbe andata a Cosette, ma Eponine era una combattente e non smetteva mai di lottare per quello che amava. La variazione della morte di Nikiya del secondo atto della Bayadère era sempre stato il suo cavallo di battaglia, non avrebbe sbagliato. E se qualcosa fosse andato storto, avrebbe rimediato con la sua impeccabile interpretazione, degna di Sveltana Zakharova.
<< Eponine Thénardier, giusto? >> le chiese Madame Fantine per avere conferma del candidato.
<< Sì, Madame. >>
<< Bene, anche tu per il ruolo di Nikiya. Variazione del secondo atto, dico bene? >>
La ragazza annuì energicamente, posizionandosi nell’angolo in fondo a destra dell’aula. Il maestro incominciò a suonare ed Eponine iniziò la lunghissima variazione con qualche tentennamento, colta dall’emozione e dalla presa di coscienza che ciò che stava accadendo era reale. A mano a mano che danzava, però, acquisiva sempre maggiore sicurezza e i passi che certe volte le avevano causato dei problemi, sorprendentemente risultavano più facili da eseguire, perché erano quelli ai quali aveva dedicato maggiori attenzioni. Ancora qualche grand jeté e avrebbe finito. Tra le sequenze e le mille emozioni che quella straordinaria coreografia poteva comunicare, Eponine stava anche cercando di capire quale impressione potesse star facendo sul Maître de Ballet. Le sue sinapsi erano a mille.
Quando ebbe finito salutò cordialmente la Fantine con un impercettibile inchino e uno squillante “grazie”, immediatamente soffocato dal fiatone.
Eponine uscì dall’aula di corsa, lasciando spazio ai successivi candidati. Presa dall’euforia, dalla frenesia e dal panico che nulla fosse andato per il verso giusto, non riuscì a sentire Madame Fantine sussurrare poche e decisive parole.
<< Ho trovato Gamzatti >> aveva detto.
 
Erano ormai le sei. Il pomeriggio di audizioni era stato interminabile. La luce di agosto bagnava le pareti dell’Opéra come se fosse stata ambra colante, e i ballerini, a mano a mano che concludevano le loro performance, aspettavano i propri amici e compagni nei rispettivi spogliatoi. Grantaire, che si era esibito intorno alle quattro e mezza, aveva aspettato Jehan per più di un’ora, ingannando il tempo scarabocchiando su un foglio di carta. Non sapeva come poter definire la sua performance; come al solito, non era in grado di esprimere un parere oggettivo su qualsiasi cosa lo riguardasse. Ciò che sperava, per lo meno, era che l’audizione di Prouvaire fosse andata bene, dal momento che lo vedeva molto più infervorato di lui nell’ottenere una parte.
Quando Jehan giunse in spogliatoio, la sua espressione tradì un sentimento che probabilmente non avrebbe voluto che trasparisse, soprattutto davanti a Grantaire.
<< Com’è andata? >>
Jehan arricciò il naso e alzò le spalle.
<< Diciamo che poteva andare meglio. Sicuramente non otterrò la parte di Solor, ma per come ho ballato, non otterrò nemmeno quella dell’amico del principe. Insomma, non so cosa ne sarà di me. >> Prouvaire si sedette sulla sedia di fianco a Grantaire, e cercò di lasciarsi andare ad un sorriso rilassato. Il risultato fu un’espressione che assomigliava ad un conato di vomito.
<< Abbi fiducia in te stesso, Jehan. Sarai andato benissimo. Poi Madame Fantine e gli assistenti lo sanno che la tensione gioca brutti scherzi in quei momenti. Non ci pensare! >>
Grantaire gli diede una leggera pacca sulla spalla e lasciò scivolare le  sue dita  ruvide sulla schiena morbida di Prouvaire.
<< Dimmi, piuttosto, come stai. In quel senso, ecco… >>
Jehan, sguardo basso e spalle contratte, a quella celata richiesta di Grantaire di parlare alzò lentamente gli occhi verso di lui, l’unico amico e confidente che avesse in quel momento.
<< Sto decisamente meglio. E’ un pensiero costante, ma si è trasformato. Ora è un’ossessione positiva >> sorrise Prouvaire, parlando a bassa voce per far sì che gli altri ballerini che si stavano cambiando accanto a loro potessero capire poco o niente.
<< Sono felice. Se ce l’hai fatta a superare quello schifo, riuscirai ad ottenere la parte, parola di R. >>
Jehan distese ancora di più il sorriso precedentemente accennato. Si sentiva arricchito e rinvigorito da una nuova e bruciante forza. Stare con Grantaire lo aiutava a sentirsi bene e ad amarsi.
<< Sei l’unica persona che conosco che è in grado di credere in molti e mai in se stesso >> commentò infine, alzandosi in piedi, riponendo i vestiti nel borsone, lentamente.
<< Oh, ma io non credo a niente e a nessuno, lo sai bene. Dico soltanto quello che penso. >>
<< Beh, mi è sembrato che oggi tu abbia detto esplicitamente di credere nel talento di Enj… >>
Nello stesso istante in cui Jehan aveva pronunciato quelle parole, Enjolras era entrato in spogliatoio. Possibile che fosse ancora lì? Aveva fatto l’audizione tra i primi, che si fosse rifugiato in qualche aula ad esercitarsi? Con passo sicuro e sguardo disteso, aveva raggiunto il suo armadietto e aveva salutato con cortesia gli altri ballerini. Qualcuno gli aveva chiesto come fosse andata l’audizione e lui, con fermezza e imparzialità, aveva cercato di commentare il meglio che potesse. Enjolras sorrideva, forse finalmente rasserenato dall’aver superato quella prima e decisiva fatica.
<< Sono contento che sia andata bene! >> aveva commentato Grantaire, infilandosi la t-shirt.
<< E a te? Com’è andata? >> Enjolras non aveva saputo come commentare quell’osservazione, la voce gli era uscita un po’ strozzata. Non voleva rapportarsi in modo nuovamente brusco con Grantaire, almeno non senza un motivo.
<< Non mi lamento. Diciamo che poteva andare peggio, ma poteva anche andare meglio >> rispose Taire, lanciando un’occhiata misteriosa al biondo, che nel frattempo si era spogliato velocemente della maglietta e altrettanto rapidamente si era diretto verso il bagno con un asciugamano sotto braccio. Grantaire non poté fare a meno di ammirare per la prima volta la sua schiena anatomicamente perfetta. Nessun nervo o muscolo fuori posto, nessuna mollezza: solo una spina dorsale a cui potersi aggrappare senza rischio di rottura. Lanciò un’occhiata a Jehan, il quale, troppo preoccupato a controllare di aver messo tutto nella sua borsa, non colse il desiderio di confronto di Grantaire.
<< Che risposte criptiche! >> rispose il biondo una volta tornato vicino al suo armadietto sottostante allo specchio, adiacente a quello di Taire. Frugò rapidamente nella borsa e si coprì alla velocità della luce. Grantaire non riusciva a capire se avesse questo complesso dei vestiti perché fosse freddoloso e soggetto a reumatismi, o perché fosse estremamente pudico.
<< Quando comunicheranno le parti, saprò quale destino mi attende >> concluse infine l’artista, infilandosi distrattamente le scarpe, le iridi azzurre che non smettevano di ricercare con spasmodico interesse quelle del biondo. Enjolras aveva uno strano effetto su di lui. Si conoscevano da meno di dodici ore, eppure quella sua grandiosa presenza era stata in grado di attirarlo come nessun altro aveva mai fatto prima d’ora. Forse perché non aveva mai conosciuto qualcuno di così diverso da lui, di così contrastante con il suo modo di essere. Era attratto dal suo opposto come era naturale che fosse.
<< Io sono pronto, Taire. Andiamo? >> Jehan, rivolgendosi all’amico, aveva sollevato il borsone dal ripiano sopra l’armadietto e si era passato una mano tra i capelli. L’altro l’aveva seguito a ruota, afferrando da terra il suo e salutando gli altri ballerini ancora intenti a riordinare i loro effetti personali. Enjolras li aveva salutati a bassa voce.
Percorrendo la strada di casa, verso Rue du Mont Cenis, Grantaire si era soffermato a pensare alla giornata appena trascorsa. Il primo giorno di lavoro era andato. Lui e Jehan ce l’avevano fatta, lui ce l’aveva fatta. Non sapeva che cosa sarebbe capitato da qui all’avvenire, ma in qualche modo si sentiva soddisfatto di aver parlato con persone della sua stessa età e che condividevano il suo stesso interesse, ed era anche stato contento di tentare l’audizione per il balletto che sarebbe diventato il suo unico e costante pensiero fino a dicembre. Non si sarebbe crogiolato in strane e meravigliose aspettative, ma avrebbe, per lo meno, respirato in modo meno affannoso recandosi all’Opéra Garnier.
Dopo aver riordinato un po’ i pensieri, frugò nella tasca laterale del borsone, in cerca delle chiavi di casa. Non trovandole, appoggiò la borsa per terra e aprì lo scomparto centrale, sperando di averle cacciate dentro senza averci fatto attenzione. “E se le avessi perse? E se me le avessero rubate?” pensò.
Nel momento in cui l’ultimo dente della cerniera venne aperto, una risata spontanea e trascinata sortì dalla bocca di Grantaire. Il borsone che si era portato a casa, non era il suo. A giudicare dal quantitativo di felpe e di altri indumenti, e a giudicare dagli scaldapiedi grigi, dalle chiavi di casa diverse dalle sue e dal portafoglio dai documenti sbagliati, quella doveva inequivocabilmente essere la borsa di Enjolras.
 
 
 
 
 
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Ciao a tutti, amici! <3 Spero stiate bene!
Scusate per il ritardo nella pubblicazione, ma questo weekend non sono stata nella mia città e non ho avuto modo di pubblicare il capitolo da altri computer, perdonatemi!
Spero che questo terzo capitolo vi sia piaciuto. Non è stato semplice da scrivere, soprattutto per quanto riguarda le prime interazioni tra Enj e Taire, perché ho voluto inserire espliciti riferimenti al libro. Spero di averli resi nel modo giusto! Abbiamo iniziato a conoscere meglio i nostri ballerini e se non vedete l’ora di scoprire quali parti avranno ottenuto, non vi resta che aspettare il capitolo che uscirà la prossima settimana! <3 Sono in super hype per questa cosa, perché da lì si delineeranno i tratti fondamentali di alcuni rapporti.
Detto ciò, spero che il capitolo vi sia piaciuto! Grazie a chiunque stia leggendo e commentando, fatemi sapere la vostra opinione, ci terrei tanto! (: Un abbraccio a tutti!
_Noodle 

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Capitolo 4
*** Grand Allegro. ***


Grand Allegro.
 
 
 
 
 
 
<< Come sarebbe a dire che vi siete scambiati le borse? >> aveva esordito Jehan, il cellulare tremante di messaggi accostato all’orecchio. Era arrivato a casa da qualche minuto e una telefonata inaspettata di Grantaire l’aveva colto di sorpresa. Dalla voce affannata e stridula, si sarebbe aspettato che l’amico stesse per comunicargli una notizia da far accapponare la pelle. Per fortuna, invece, non era accaduto niente di tragico o costellato di macabri dettagli.
<< Io e Enjolras ci stavamo cambiando vicini, probabilmente non ci ho fatto caso e ho preso la sua per sbaglio! Ho sempre odiato le borse tutte uguali, lo sai che non riesco a sopportare le divise! Non dovrebbero sorprendersi se poi succedono queste cose. Tu perché oggi non avevi quella ufficiale? >> sbraitò Grantaire, confuso, infastidito, ma anche piuttosto divertito dalla situazione al limite del surreale. Pensava che confondere la propria borsa con quella del ballerino che il primo giorno di lavoro gli aveva dato dello smidollato fosse alquanto grottesco.
<< Perché non è obbligatorio! Te la forniscono con l’ingresso in compagnia, ma puoi benissimo scegliere di non usarla! >> ridacchiò Jehan sdraiato sul divano, le gambe accavallate sul bracciolo. A quell’informazione seguì un silenzio ricolmo di imbarazzo.
<< Dirmelo prima!? >>
Entrambi scoppiarono a ridere, ancora più increduli di essersi ritrovati coinvolti in un tale equivoco.
<< Scusa, pensavo lo sapessi! E adesso, che stai facendo? >>
<< Sto andando a casa sua a portargliela! >>
Prouvaire sbarrò gli occhi, si mise a sedere e alzò un braccio tagliando l’aria. Anche se Grantaire non poté vederlo, immaginò che l’amico avesse reagito esattamente in quel modo.
<< Jehan, so che hai lanciato le braccia! >>
<< Hai frugato nei suoi documenti? >> lo interruppe immediatamente il poeta, facendosi per qualche secondo più serio.
<< Cosa avrei dovuto fare? Io non ho le mie chiavi di casa e lui non ha le sue >> concluse Grantaire, la voce metallica della metro che annunciava la fermata di Denfert-Rochereau.
<< Giusto! Beh, spero che tu riesca a trovarlo, non vorrei fosse andato da qualche parte che non sia casa sua! Magari ritorna stanotte! Magari ha deciso di partire per l’Alaska senza dirlo a nessuno, sai con tutti quei vestiti…>>
<< Signore Santo, Jehan, smettila di preoccuparti! >>
I due avevano ricominciato a ridere. Prouvaire aveva deciso di sdrammatizzare per evitare di preoccuparsi e Grantaire l’aveva seguito a ruota, sperando tuttavia di trovare Enjolras a casa sua. Avrebbe potuto dormire da Jehan nella peggiore delle ipotesi, ma in quel momento nessun letto pareva comodo quanto il suo e dopo quella giornata faticosa lo agognava più di qualsiasi altra cosa.
<< Va bene, mamma >> fece il verso Jehan, alzandosi dal divano in cerca di aria fresca, per quanto fosse possibile.
<< Ti aggiorno su come vanno le cose, ciao! >>
 
La dolorosa pressione che il gomito del fisioterapista stava esercitando sui suoi muscoli lo stava mandando fuori di testa. Per quanto ancora sarebbe andata avanti così? Non era certo che tutte quelle sedute di fisioterapia stessero funzionando, dal momento che il dolore continuava a manifestarsi prima e dopo la lezione. C’era tuttavia da considerare che Enjolras, sebbene avesse parecchia resistenza fisica e fosse in grado di sopportare ore ed ore di lezioni, aveva una capacità piuttosto scarsa di sopportare quei trattamenti.
<< Mi dispiace di non essere riuscito a riceverti prima, ma purtroppo avevo altri appuntamenti! Hai fatto gli esercizi di stretching che ti ho consigliato stamattina? >>
Joly, questo era il nome di uno dei fisioterapisti dell’Opéra, stava massaggiando Enjolras in modo tale da facilitare la circolazione del sangue e da ridurre il dolore dovuto alla contrattura. Era un lavoro infame, faticosissimo e intuitivo quello del fisioterapista, ma Joly se n’era innamorato fin da quando era piccino, da quando si era rotto una caviglia e un abile dottore l’aveva aiutato a guarire in tempo record. Aveva deciso di fare di quella originaria passione per il corpo umano il suo lavoro. Joly era un tipo apparentemente gracile, dal naso a punta e dagli occhi vivaci. Aveva una voce leggera e soave, un volto dalle mutevoli espressioni comiche e  uno spiccato senso dell’umorismo. Tuttavia, questo lato affabile di Joly che trasmetteva tranquillità a tutti i suoi pazienti e amici, certe volte veniva sopraffatto da un lato più cupo e tormentato, da un mostro dal volto a lui assai ben noto: l’ipocondria. Ebbene sì, sebbene fosse un medico, era noto a tutti che Joly soffrisse di questo disagio, che a volte lo coglieva nei momenti più insospettabili. Questo suo costante e non troppo latente malessere, accostato al suo frequente buon umore, aveva fatto sì che il giovane fisioterapista avesse preso l’abitudine di girare con uno specchietto da trucco in tasca, necessario per osservare che la sua lingua fosse sempre in buone condizioni e che nessuna strana creatura cercasse di coglierlo alle spalle.
<< Gli esercizi? Ma certo! Finita l’audizione sono stato più di un ora a fare defaticamento. Quando ci impiegherà il dolore a cessare? >> domandò Enjolras stringendo e digrignando i denti.
<< Io non mi preoccuperei più di tanto, ancora qualche seduta e  tornerai come nuovo. Ti ho anche messo i Tape questa mattina, faranno il loro effetto. Non devi preoccuparti, le contratture sono normalissime per chi come voi stressa i muscoli in questo modo. Comunque, ho il sospetto che tu non sia rimasto fermo durante le vacanze >> cantilenò Joly, lanciando un’occhiataccia al ballerino sotto le sue grinfie. Viste le faticose performance dell’anno precedente, il fisioterapista si era raccomandato che Enjolras non praticasse esercizio almeno per qualche settimana, ma evidentemente non era stato così.
<< Se lo dici alla Fantine ti spezzo le gambe, Joly >> sibilò il biondo, lasciando che un urlò fuoriuscisse dalle sue labbra quando Joly toccò un punto particolarmente fastidioso.
<< Ehi! Va bene che ci conosciamo da un anno, ma non prenderti tutte queste confidenze, amico! Sai che del mio fisico e della mia salute non si deve parlare… >> ridacchiò amabilmente.
Tre colpi decisi e una richiesta di entrare. Qualcuno aveva bussato alla porta interrompendo la sua risata.
<< Chi è? >>
<< Ehm, sono Grantaire. Ho per sbaglio confuso la mia borsa con quella di Enjolras, sono venuto a riportargliela e a riprendere la mia. >>
Joly ed Enjolras si guardarono con preoccupazione. Un silenzio spettrale avvolgeva i loro corpi. Come poteva Grantaire sapere che Enjolras si trovasse lì? Chi gliel’aveva detto? E, cosa più importante, come aveva fatto a confondersi e a prendere la borsa sbagliata? Enjolras si rimproverò per non averci fatto caso, ma l’irritazione e il fastidio per il fatto che qualcuno avesse toccato qualcosa di suo, annebbiarono qualsiasi altro pensiero.
Il biondo aprì la porta con foga, dopo aver tentennato per qualche istante a scendere dal lettino. Joly rimase immobile a fissare la scena che si svolgeva davanti ai suoi occhi, sbigottito.
<< Che cosa? >> sibilò Enjolras con malcelata ira, aggrottando le sopracciglia a tal punto da farle incontrare.
<< Hai preso la mia borsa? >> continuò, occhi conficcati in quelli sbalorditi di Grantaire. Quest’ultimo di certo non si aspettava che Enjolras l’avrebbe abbracciato e si sarebbe inchinato a lui per quel nobile gesto, ma di certo non sospettava che potesse reagire con così tanta rabbia. Glielo si leggeva in faccia, traspariva dal calore della sua pelle: Enjolras era furioso.
<< E sono anche stato a casa tua, ma tu non c’eri >> rispose Grantaire, rincarando volutamente la dose per capire fino a che punto si sarebbe spinto.
<< Cosa!? >>
Joly si avvicinò lentamente ad Enjolras, percependo anche lui che la tensione di quel momento lo stava mettendo particolarmente in difficoltà.
<< Non sapevo come cercarti, poi non trovandoti a casa ho pensato di ritornare qui e per fortuna eccoti! >> spiegò Grantaire, sorridendo in modo spontaneo.
<< Chi ti ha detto che ero qui? >> Enjolras si accorse soltanto in quell’istante di star ancora indossando dei terrificanti pantaloncini inguinali di colore grigio e corse immediatamente a rivestirsi. Grantaire aveva già visto troppo di lui.
<< Me l’ha detto Courfeyrac. Tra l’altro, mi ha detto che Marius è già arrivato. Lo sai che sono già le sette e mezza? Non sei felice di aver ritrovato due paia di chiavi nello stesso giorno? >> l’artista aveva iniziato a ridacchiare, ancora incredulo per quelle reazioni, evidentemente dovute all’imbarazzo.
<< Ti prego ridammi le chiavi, prenditi la borsa e vattene. >>
<< Ti ho fatto una cortesia a venire qui, non trattarmi in questo modo! Tu non ti sei nemmeno accorto dello scambio >> si giustificò il moro, consapevole di avere fatto la cosa giusta.
<< Non me ne sono accorto perché stavo facendo altro! >> ribatté Enjolras, afferrando il manico della sua borsa. Grantaire non si decideva a mollare la presa, quasi il biondo la dovesse conquistare accettando il fatto che lui si era comportato nel modo migliore.
<< Come avrei dovuto comportarmi secondo te? >> domandò a quel punto, desideroso di spiegazioni. Lo sguardo di Joly rimbalzava da una parte all’altra come se stesse seguendo una partita di tennis.
<< Non lo so, magari avresti potuto essere più attento nel momento in cui te ne sei andato a casa? Tu di solito afferri quello che ti capita? Ti piace rubare le cose degli altri? >>
<< Rubare? Ma… >>
La porta alle spalle di Grantaire si spalancò nuovamente, urtandogli le spalle.
<< Ehm, è permesso? Joly, hai finito? >>
<< Se sei già entrato perché chiedi permesso? >> sbraitò Enjolras, indispettito da quell’intrusione indesiderata.
Il ragazzo che aveva fatto capolino nello studio fisioterapico di Joly era piuttosto alto, dal fisico asciutto e soprattutto completamente calvo. Indossava una maglia gialla con al centro la scritta “Mr. Brightside”, e dei jeans strappati sulle ginocchia, non tanto per moda quanto per logorio.
<< Oh, Bossuet! Sì, stavamo andando tutti a casa, non è vero ragazzi? >> s’intromise Joly, salutando il suo coinquilino, nonché migliore amico. Cercò di sistemare lo studio e di radunare in fretta le proprie cose per far sì che tutti si allontanassero, ma nessuno pareva ne avesse la minima intenzione.
<< Ah, tu sei Bossuet! Ho sentito parlare di te durante il pranzo! Io sono Grantaire. >>
<< Molto piacere! E chi ti ha parlato di me? >>
I due si strinsero la mano sotto gli occhi increduli di Enjolras, che li osservava come se fossero stati una rara specie di animali che familiarizzavano tra di loro.
<< Cazzo, ora basta, ridammi le chiavi! >> sbraitò con poco tatto, strattonando la borsa che teneva ancora in mano Grantaire.
<< Ho interrotto qualcosa? >> domandò il nuovo arrivato grattandosi la testa, sperando di comprendere qualcosa di più riguardo alla follia in atto.
<< Niente di importante, Enjolras è solo un po’ infastidito da un malinteso che si è creato per via… >>
<< Joly, non ti ci mettere anche tu. Non mi piace che si frughi nelle mie cose, non mi piace per niente. Avresti potuto evitare di rovistare tra i miei documenti e riportarmi la borsa domani. A casa ho altri vestiti, avrei potuto portare quelli, o forse tu non ti cambi mai? >>
Grantaire scoppiò in una fragorosa risata, urtando per sbaglio lo stomaco di Bossuet con un gomito. Il macchinista indietreggiò di scatto, sbattendo contro la porta.
La situazione stava decisamente precipitando.
<< Enjolras, dimentichi un particolare essenziale: NESSUNO DEI DUE AVREBBE POTUTO RIENTRARE IN CASA! >> esclamò Grantaire, fingendo di perdere le staffe, un ghigno beffardo che illuminava il suo volto divertito. Era bello avere ragione, soprattutto se quello ad avere torto era Enjolras. Il biondo, dopo quella definitiva sentenza, uscì dallo studio a passo svelto, il proprio borsone in spalla e i capelli ritti sulla testa.
<< Lasciami almeno il tuo numero di telefono, potrei avere bisogno di chiamarti nel caso succedesse ancora! >> gridò Grantaire, affacciandosi sul corridoio.
Joly e Bossuet lo guardarono allibiti. Era la prima volta che vedevano Enjolras così tanto adirato, soprattutto con un ragazzo che conosceva appena. Joly era sicuro che quell’atteggiamento indisponente fosse dovuto alla violazione della privacy: Enjolras odiava che gli altri venissero a conoscenza di ciò che riguardava la sua vita privata. Ciò che mostrava sotto i riflettori era ben altro da quello che realmente accadeva nella sua intimità e nella sua interiorità.
<< Vai al diavolo. Grantaire! >> vomitò, scendendo le scale dell’Opéra. Non appena arrivato al Martini Bar, avrebbe ridotto Courfeyrac in un mucchietto di ossa.
 
Bossuet e Joly erano saliti macchina, finestrini abbassati (in realtà quello dal lato del passeggero era rotto) e borse scaraventate sul sedile posteriore. Entrambi erano provati dalla lunga giornata di lavoro: Joly per i diversi trattamenti effettuati ai pazienti e Bossuet per il faticoso lavoro di progettazione della scenografia de “La Bayadère”.
<< Secondo te perché si comporta in quel modo? >> domandò Bossuet a Joly, una volta messa in moto l’auto. Abitavano a circa venti minuti dal Palais Garnier.
<< Non tutti sono un libro aperto come lo sei tu, Bossuet. Enjolras, rispetto ai ragazzi della nostra età, è decisamente più restio a parlare della sua vita privata >> gli confidò il fisioterapista, usando il carattere estroverso di Bossuet come metodo di paragone.
<< Capisco. Spero che Grantaire non se la sia presa. Essendo nuovo, non so che bella impressione possa avergli fatto >> commentò.
<< Da come ridacchiava, penso che si sia soltanto divertito. E poi la colpa è di quel Courfeyrac, il nuovo barista del Martini! È stato lui a dirgli dove poteva trovare Enjolras >> ironizzò Joly, ancora inebetito da quella surreale esperienza.
Bossuet accese la radio, afferrò un cd e mise in play la traccia numero quattro. Under Pressure nella versione dei Queen e di David Bowie fece tremare le casse della macchina, lasciando che qualche granello di polvere danzasse nell’aria. Joly starnutì. I due, non appena il giro di basso iniziale si concluse, iniziarono a cantare: Bossuet cercava di imitare la meravigliosa voce di Freddie Mercury con un’interpretazione da oscar, mentre Joly intonava le parti cantate da David Bowie. Muovevano la testa e le schiene a ritmo, lasciando che le loro voci fluissero per le strade di Parigi come un canto di rivolta. Inframmezzavano il testo con risate e riff di chitarra e ogni qualvolta Bossuet si sporgeva fuori dal finestrino per intonare i molteplici “Um bum ba de” Joly scoppiava in una fragorosa risata.
<< Can't we give ourselves one more chance? Why can't we give love that one more chance? >>
Cantare insieme dopo una lunga giornata in cui erano stati separati era la cosa che piaceva loro di più. Ritornavano immediatamente ragazzini, l’odore dell’adolescenza a colmare i loro cuori ormai troppo cresciuti. Stavano bene. Al tramonto, inscatolati nella macchina di Bossuet, con Joly al volante e le loro parole a far tremare l’atmosfera, loro stavano bene. Bossuet e Joly erano essenzialmente felici delle loro vite, del loro convivere ormai da tanto tempo, del loro condividere preoccupazioni e sventure, di essere una squadra composta soltanto da due elementi, forti come mille. La precisione di Joly compensava la maldestra attitudine di Bossuet, e quest’ultimo forniva all’altro tutta la spensieratezza di cui avesse bisogno. Sotto pressione o meno, affrontavano la vita a morsi e a gomitate, resistendo alla monotonia della città e dello scorrere delle ore.
<< Quali sono i programmi per stasera? >> Joly stava avvertendo un certo languore e sperava che Bossuet capisse a quali programmi si stava riferendo.
<< Ordiniamo giapponese? >>
<< Preferirei italiano! >> ammise il fisioterapista, sognando di addentare una succulenta pizza con le acciughe, un toccasana per la gola.
<< E italiano sia! >> decretò infine Bossuet, sbattendo la mano sul cruscotto, ancora infervorato dalla canzone che li stava accompagnando.
<< Ma i piatti sporchi li lavi tu, io non mi avvicino al lavandino con gli avanzi! >>
Risero nuovamente e la canzone, accompagnata da un ritmico schioccare di dita, svanì nel silenzio della sera.
 
Una folla di persone si era accalcata nel corridoio dell’ultimo piano del Palais Garnier. Un vociare soddisfatto sovrastava i passi di chi ancora si stava avvicinando alla piccola bacheca in legno, dove appesi vi erano due fogli stracolmi di nomi. Erano le assegnazioni delle parti.
Tutti i ballerini si sarebbero aspettati che sarebbero usciti almeno due giorni dopo rispetto alle audizioni; Madame Fantine, invece, sembrava aver avuto da subito le idee chiare e aveva pubblicato il foglio con le assegnazioni il giorno immediatamente seguente.
Grantaire e Jehan, che avevano salito le scale convinti che avrebbero trovato il corridoio vuoto, furono assaliti dalle grida di gioia di Cosette, che corse loro incontro.
<< Ho ottenuto la parte di Nikiya! Sarò Nikiya! Sono troppo felice, ragazzi! E complimenti anche a voi >> la ragazza si allontanò saltellando verso l’aula, più raggiante che mai. I due si fissarono per un eterno secondo e senza nemmeno un suggerimento corsero verso la bacheca.
<< Permesso >> bisbigliò Jehan, scostando da davanti a sé alcuni ballerini che, secondo la sua opinione, erano lì già da troppo tempo. In quelle occasioni, perdeva ogni timidezza.
Scorse con lo sguardo l’elenco e quando giunse ai ruoli principali i suoi occhi grigi si colmarono si stupore e di lacrime.
 
 
 
Ruoli per le repliche del 17 e 20 novembre 2015 e del 3, 7, 9, 14 e 19 dicembre 2015.
 
 
Nikiya: Mlle Fouchelevent
Solor: M. Enjolras                          
Gamzatti: Mlle Thenardiér                 
L’Idolo d’oro: M. Prouvaire           
Lo Schiavo: M. Grantaire
 
 
<< Non posso crederci… >> bisbigliarono Prouvaire e Grantaire all’unisono, ognuno con un’intenzione diversa. Dalle parole del primo trasparì una gioia incredula, scoppiettante ed eterea, da quelle del secondo un sincero sbigottimento. Come aveva potuto ottenere quella parte? Lui che pensava che non ne sarebbe nemmeno valsa la pena? Chissà per quale sentimento di rivalsa o di benessere, Grantaire sorrise. Aveva finalmente cestinato il suo dolore, probabilmente messo un punto alla sofferenza che l’aveva accompagnato fino a quel momento.
<< Sembra che tu abbia ottenuto la parte per cui io avevo fatto l’audizione! >>
Jehan gli gettò le braccia al collo, stringendolo in un abbraccio da mozzare il fiato.
<< Grantaire ce l’abbiamo fatta! Mi hanno scelto come Idolo d’oro! Mi hanno scelto come Idolo! >> strillò saltellando sul posto, ubriaco di soddisfazione. Non era riuscito a fermarlo, il suo dolore non era riuscito a trascinarlo nei bassifondi della sua anima. Lui e Grantaire era stati più forti di qualsiasi malattia.
Eponine, anche lei appena arrivata, si fece largo tra di loro, le lacrime a fior di iridi a manifestare preoccupazione e tante, troppe aspettative. Sapeva di desiderare il ruolo di Nikiya, e sperava con tutto il cuore di averlo ottenuto, ma se non fosse stato così, se l’avessero scelta per le fila del corpo di ballo, si era ripromessa di non abbattersi. Sarebbe stato difficile, ma ballare era più importante di qualunque ruolo. Alzò lo sguardo, dito appoggiato sul foglio per individuare la linea giusta da seguire. Dischiuse la bocca e una lacrima solcò la sua guancia sinistra.
<< Gamzatti? Io? Gamzatti? >> balbettò, sbattendo freneticamente gli occhi, gocce di meraviglia ad inzupparle il body color topazio.
Si voltò di scatto verso gli amici conosciuti il giorno prima e si congratulò con loro, abbracciandoli con affetto.
<< Ci divertiremo, ragazzi! >> fu la sua risposta a quel cumulo di emozioni e di inaspettate belle notizie.
<< Presto, entriamo in classe e sentiamo cosa ha da dirci la Fantine! >> suggerì una volta sciolto l’abbraccio. Jehan e Grantaire la seguirono, gambe tremanti e sorriso sconvolto stampato sul volto. Parevano tre folli di ritorno dal regno della pazzia.
Una volta entrati in aula, Enjolars, fronte imperlata da un sottile strato di sudore per via del riscaldamento mattutino, si avvicinò a Grantaire. Il suo sguardo era ben diverso da quello irato del giorno prima. Era in un qualche modo rilassato o forse più semplicemente rassegnato; Grantaire non riuscì a comprendere le sue emozioni, ma sentì che qualcosa in lui era mutato.
<< Ebbene, si dà il caso che in scena dovremo collaborare >> disse il biondo, le labbra ricurve verso l’alto. Stava forse cercando di sorridere? Stava forse cercando di riappacificarsi con Grantaire? Quella giornata stava portando l’artista a credere che fosse totalmente frutto della sua immaginazione.
<< Sembra proprio di sì. >>
Enjolras gli tese la mano destra.
<< Lo permetti? Tregua artistica? >>
<< Prometto che non toccherò mai più i tuoi effetti personali. >>
<< E io prometto di non arrabbiarmi più in quel modo, a meno che tu non mi fornisca un pretesto. >>
E le loro dita si sfiorarono per la prima volta.
 

 
 
 
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E voilà! Ecco a voi il quarto capitolo! <3
Mi sono divertita veramente tanto nello scriverlo, soprattutto per la prima parte di puro disagio (con Bossuet che prende botte da ogni parte e Enjolras in boxer davanti a Grantaire). Anche se devo ammettere che la mia parte preferita è quella in cui Joly e Bossuet cantano Under Pressure in macchina; la riproduzione casuale del computer fornisce sempre ottime ispirazioni! Da questo capitolo in poi la vicenda prende davvero piede: conosciamo i ruoli che i nostri ragazzi dovranno interpretare e sappiamo anche che, per forza di cose, due dei nostri Amis dovranno incominciare ad andare d’accordo. Si prevedono molte prove insieme!
Come al solito, spero che il capitolo vi sia piaciuto e mi piacerebbe sapere che cosa ne pensate <3 Un abbraccio danzante!
_Noodle

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