Fiducia: maneggiare con cautela

di Mari Lace
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Kaito ***
Capitolo 2: *** Aoko ***
Capitolo 3: *** Insieme ? ***



Capitolo 1
*** Kaito ***


Ci vogliono anni per costruire la fiducia, secondi per romperla ed un’eternità per ripararla.

 

Lui e Aoko erano stati inseparabili sin dal loro primo incontro. Migliori amici per anni, anche quando lui avrebbe voluto diventare qualcosa di più.

Ma quando aveva scoperto il segreto di suo padre e aveva scelto di assumersene il peso indossando il mantello di Kid, non ne aveva fatto parola con lei.

Era diventato un ladro, un ladro che lei odiava.

Aveva mille ragioni per non dirglielo, ma nessuna di queste teneva conto dei suoi sentimenti.

Durante l’ultimo anno del liceo Aoko l’aveva scoperto.

Kaito, il suo migliore amico, la persona di cui più si fidasse al mondo… le aveva mentito continuamente per due anni. Aveva preso in giro lei e suo padre.

Ma soprattutto, ed era questo a ferirla di più, non si era fidato di lei.

Lei, dal canto suo, si era fidata anche troppo.

Il loro rapporto andò in pezzi, Aoko non riusciva neanche più a guardarlo. Tuttavia, e questo stupì molto Kaito, lei non lo denunciò.

Mantenne il segreto che lui non aveva voluto confidarle, anche se non era tenuta a farlo.

Lo fece perché nonostante lui l’avesse tradita, nonostante nessuno l’avesse mai fatta soffrire in quel modo prima, Aoko non poteva impedirsi di amare Kaito. Era un amore fraterno, o forse qualcosa di anche più forte; fatto sta che l’idea di averlo in prigione, di avercelo a causa sua, la faceva star male quasi quanto il suo essere Kaito Kid.

 

«Oi, Kuroba. Ci sei stasera?»

Kaito alzò, infastidito, lo sguardo dallo schermo del suo pc.

Aveva lasciato i panni di Kid da ormai sette anni. L’aveva fatto per Aoko. Aveva sperato di riconquistare la sua fiducia in quel modo.

Non era stato facile, ma dopo un po’ di tempo lei aveva ricominciato a parlargli. Gli aveva dato una possibilità.

Voleva redimerlo, Kaito questo l’aveva capito. Ma aveva capito anche che le cose non sarebbero mai tornate come prima; lo sguardo della ragazza era diverso ora, più disilluso, e pensare che la colpa era unicamente sua lo faceva impazzire.

Si adattò a quella situazione, però. Sapeva che non avrebbe mai amato qualcuno come aveva amato Aoko, come anche allora l’amava.

Per il suo perdono, però, la ragazza aveva posto una condizione.

Kaito doveva entrare nella polizia: quella sarebbe stata la sua redenzione.

Lui non aveva osato opporsi, dopo la laurea aveva dato gli esami necessari ed era entrato nelle forze dell’ordine.

Non era stato l’unico, sfortunatamente. Si era ritrovato Saguru Hakuba come collega; nonostante quest’ultimo non gli desse più la caccia da anni, la sua voce restava nell’elenco di cose che più l’infastidiva.

Quindi ora anche quella semplice domanda, “ci sei stasera?”, pronunciata da lui lo mise di cattivo umore.

«Ci sono dove?» chiese, non realmente interessato. Non aveva certo intenzione di andare in un posto dove sapeva con certezza di trovare Hakuba.

«Al raduno con la classe del liceo» spiegò Saguru pazientemente. «Non ti è arrivata la mail? L’appuntamento è stasera alle 21, dopo cena. Beviamo qualcosa e ci raccontiamo le novità degli ultimi anni».

La mail forse gli era anche arrivata, ma o non l’aveva letta o l’aveva presto dimenticata. Non rispose al collega, ma lui insisté.

«Ti farebbe bene», disse; suonava sinceramente preoccupato. «Sei sempre giù, Kuroba. Sembra che tu ti spenga ogni giorno di più. È così da quando…» lì Hakuba si interruppe. Forse aveva notato qualcosa nell’espressione di Kaito – il ragazzo non si preoccupava nemmeno più di mantenere la sua proverbiale poker face. Non voleva parlare dei suoi problemi, sicuramente non con il detective di Londra.

«Insomma, pensaci» concluse Saguru, prima di uscire e lasciarlo finalmente solo.

L’ex ladro del chiaro di luna tornò a lavorare sul pc. Da quando Hakuba si preoccupava dei suoi affari?

Da sempre, a ripensarci, ma sui suoi affari di cuore non aveva mai osato metter bocca. Mai prima d’allora, almeno.

Aveva ragione, comunque.

Sapeva benissimo cos’avrebbe voluto dire il detective. “Da quando hai smesso di essere Kid”, o “da quando sei entrato a lavorare qui”.

Il problema non era il lavoro in sé. Non capiva nemmeno lui quale fosse esattamente il problema, sapeva solo come si sentiva. Oppresso.

Aveva intrapreso una carriera che da solo non avrebbe scelto, e l’aveva fatto per Aoko.

Loro due vivevano insieme da tre anni.

L’amava e sapeva di esserne ricambiato.

Allora perché..?

Perché si sentiva così dannatamente oppresso?

Perché anche dopo tutti quegli anni loro due non riuscivano ad essere sereni insieme, non completamente?

Non stavano male; i momenti migliori della sua vita Kaito li aveva passati tutti con Aoko.

Tutti, tranne quelli da Kaito Kid…

Sì, bravo, rimpiangi l’errore che ti ha rovinato la vita, pensò amaramente.

La verità era che nessuno dei due era riuscito a seppellire il passato.

Non lui, che a volte ancora si tormentava per aver semplicemente lasciato perdere. L’aveva fatto per un buon motivo, o così si diceva, ma questo non cambiava che si fosse arreso. Non aveva più saputo nulla degli assassini di suo padre, aveva rinunciato per stare vicino ad Aoko, per cercare di vivere il presente. Ma era rimasto inesorabilmente incatenato al suo passato.

Né l’aveva dimenticato lei. Si sforzava di non farglielo pesare troppo, voleva davvero credere al suo cambiamento, ma la delusione era stata troppo forte per poterla ignorare. Non riusciva a fidarsi completamente di Kaito, tendeva a controllarlo, anche senza rendersene conto. Se lui diceva d’essere stato, ad esempio, ad indagare da qualche parte con Hakuba, vedendo quest’ultimo le veniva istintivo chiedergliene conferma.

Non era tanto questo comportamento a ferire Kaito, comunque. Era il suo sguardo.

Nel suo sguardo leggeva sempre – a volte più chiaramente di altre, ma in profondità era sempre lì – un tacito rimprovero. Come se Aoko volesse dirgli che era solo colpa sua se aveva sofferto, se era cambiata in quel modo. Se aveva dovuto mentire a suo padre per coprirlo.

Anche quando l’aveva appena scoperto, Aoko quell’accusa non gliel’aveva mai mossa – non esplicitamente.

Ma lui sapeva di averla fatta soffrire, e i suoi occhi glielo ricordavano ogni volta.

Non era in grado di guardare la donna che amava negli occhi senza sentirsi tremendamente in colpa.

Di affrontare l’argomento apertamente, del resto, non se ne parlava nemmeno.

Era diventato una specie di tabù per loro; che c’era da dire, d’altra parte? Andava bene così.

 

Tornato a casa dopo il lavoro, Kaito non trovò Aoko ad attenderlo.

Un bigliettino attaccato al frigo con un magnete l’informò che era andata a trovare suo padre.

Ricordò che l’ispettore stava male, si era preso un’influenza o qualcosa del genere. Probabilmente la figlia era andata a preparargli la cena.

Era da solo, quindi.

Guardò i fornelli svogliato. Già normalmente non sprizzava gioia, quel giorno poi la mezza predica di Hakuba gli aveva completamente affossato l’umore.

Infilò nuovamente la giacca, e – dopo nemmeno dieci minuti che era rientrato – uscì.

Voleva fare due passi, distrarsi; tutto, pur di non restare a casa solo con i suoi pensieri.

Girò per un paio d’ore. Se gli avessero chiesto dov’era stato non avrebbe saputo rispondere.

Tornando a casa vide un ragazzo e una ragazza dall’altra parte della strada, a pochi metri da lui. Scherzavano e ridevano, sembravano ignari di tutto ciò che succedeva intorno a loro. Sembravano felici.

Gli ricordarono lui e Aoko com’erano una volta, prima che…

Scosse violentemente la testa e girò su una stradina poco frequentata. Avrebbe fatto un altro giro, già che c’era.

Non si accorse di aver raggiunto Il gatto blu, il pub dove la sua classe teneva i raduni da anni, finché non vi si trovò davanti. E allora era già troppo tardi.

«Guarda chi c’è! Kuroba!» sentì esclamare alle sue spalle. Oh no.

Essere circondato fu questione di secondi.

«Non ti vedevo da una vita!»

«Non vieni mai! Sei così impegnato?»

«Che combini ultimamente, Kuroba? E Nakamori come sta?»

Tutte quelle domande gli fecero girare la testa. Riuscì a sfoggiare un sorriso abbastanza realistico e rispose a qualcuno, desiderando solo d’essere lasciato in pace.

Non vedeva alcuni di loro da anni… ma non poteva dire che gli importasse.

Un po’ in disparte dal gruppetto che gli si era formato intorno distinse Hakuba. Quando quest’ultimo lo vide, sorrise. Un sorriso vero, diverso dal suo, che a quella vista s’incrinò.

Voltò le spalle a Saguru e disse che andava a prendersi qualcosa da bere. Entrò nel pub.

Nessuno lo seguì dentro; probabilmente pensavano che, una volta ordinato, li avrebbe raggiunti ai tavolini fuori. Lui, invece, si sedette al bancone.

Quella giornata continuava a peggiorare, aveva dell’incredibile.

Mandò giù la birra in un unico sorso, cercando conforto nell’alcool.

Posò il bicchiere e sorrise amareggiato. Si era fatto tardi, Aoko con tutta probabilità era rientrata. Chissà cos’avrebbe pensato non vedendolo; lui non le aveva lasciato alcun biglietto.

Sospirò, immaginandosela chiamare Keiko per confermare la sua versione, quando le avesse detto dov’era stato. Ordinò un’altra birra e tirò fuori il cellulare. Sarebbe stato meglio avvisarla.

Il barista gli passò la birra, lui stava per passargli i soldi ma qualcuno lo anticipò. «Offro io», annunciò una voce.

Non la sentiva da tempo, ma capì subito a chi apparteneva.

Può andare peggio di così?

«Non saluti, Kuroba Kaito?» mormorò la ragazza seduta accanto a lui. Anche senza vederla, Kaito seppe che stava sorridendo. Non si voltò.

«Potrei anche offendermi», continuò lei. Con la coda dell’occhio la vide sorseggiare un drink dall’inquietante colore rosso. Lo fece pensare al sangue… ma forse era solo suggestione.

Non aveva ricordi proprio piacevoli legati ad Akako Koizumi, l’unica persona dotata di vera magia che conoscesse.

Nonché una psicopatica che aveva tentato per anni di conquistarlo – o meglio, asservirlo.

«Che vuoi, Akako?» le chiese, girandosi finalmente verso di lei.

Era diventata veramente bella, in quegli ultimi anni. Lo era sempre stata, ma adesso aveva un’aria più matura e sensuale. Non c’era da meravigliarsi che cadessero tutti ai suoi piedi.

Il suo sorriso divenne più sottile. «Voglio scambiare due chiacchiere con un vecchio compagno», disse. «C’è qualcosa di sbagliato?»

«Non ho né il tempo né la voglia di stare ai tuoi giochetti» chiarì lui seccato. Vuotò in pochi secondi anche il nuovo bicchiere.

«Non so di che giochetti parli», ribatté lei tranquilla. Finì il suo drink e l’osservò come se volesse mangiarselo. «Perché sei qui? Ti si legge in faccia che preferiresti essere da tutt’altra parte».

«Questi non sono affari che ti riguardino».

Akako rise, una risata inquietante ma allo stesso tempo… attraente?

Rendendosi conto dell’assurdità di quel pensiero, Kaito considerò che forse prendere due birre a stomaco vuoto non era stata un’idea proprio brillante.

«Hai litigato con Nakamori?»

Kaito s’irrigidì. «No. Stanne fuori» le ordinò. L’ultima cosa che voleva era che la strega si immischiasse nella vita di Aoko. Avevano già abbastanza problemi senza il suo contributo.

Akako avvicinò il suo volto a quello del ragazzo. «Ma guarda, sembra ci abbia preso…»

Vedendo il cipiglio minaccioso di Kaito si allontanò e rise ancora.

«Puoi stare tranquillo, non la toccherò» disse, ma per qualche motivo il ragazzo non si sentì affatto rassicurato.

Si alzò. «Mi gira la testa», mormorò, senza sapere bene perché. Non le doveva una spiegazione.

«Non sapevo non reggessi l’alcool. Ti aiuto», disse Akako, alzandosi a sua volta. Lo prese per un braccio e lo aiutò ad uscire dal locale senza che lui potesse opporsi. Non che ci fosse niente di male.

Una volta fuori quasi tutti i loro ex compagni si voltarono a guardarli.

Iniziarono a bisbigliare, ma Kaito non poteva sentire cosa dicevano.

«Kuroba? Che hai, stai male?»

Kaito prima avvertì il fastidio, poi identificò chi aveva parlato con Hakuba.

«Non sono affari tuoi» rispose brusco. Perché si sentivano tutti in dovere d’intromettersi nella sua vita?

«Voglio solo aiutarti».

«Be’, non farlo» ribatté. «Sul serio, l’ultima cosa che voglio è il tuo aiuto» affermò. Non avrebbe saputo dire che ruolo giocasse l’alcool in quell’affermazione, ma dopo averlo detto si sentì soddisfatto.

Saguru stava forse per aggiungere qualcosa, ma Akako lo anticipò.

«Hai sentito, no? Kaito non vuole il tuo aiuto» rimarcò. «Vieni Kuroba, ti porto via da qui» disse, trascinandolo via per un braccio.

Lui la lasciò fare, forse perché voleva allontanarsi dal detective, forse per l’alcool. Forse per un altro motivo ancora. Non lo sapeva, e non lo seppe neanche dopo. Era successo e basta.

Akako lo portò a casa sua e lui semplicemente la seguì.

Con lei era facile; l’aveva respinta talmente tante volte che aveva perso il conto, eppure non si stancava mai di cercarlo. In più di un’occasione l’aveva anche aiutato – non le aveva chiesto di farlo, ma in fondo le era grato. L’infastidiva molto meno di Hakuba, nonostante tutti i problemi che gli aveva dato con i suoi strampalati piani per sedurlo.

Negli ultimi sei anni non ci aveva mai provato, comunque.

Perché con Aoko non era così facile?

In fondo, aveva commesso un solo errore nei suoi confronti…

«Sembri stanco, Kuroba. Andiamo a letto?» propose Akako, un sorriso malizioso sulle labbra.

Quella proposta non lo stupì particolarmente.

Ciò che lo stupì, invece, fu scoprirsi a rispondere di sì. Lo voleva, si rese conto.

Voleva stare con Akako, passare una notte senza problemi e sensi di colpa

Era stanco, troppo per pensare. Si sentiva la testa pesante.

Si diresse verso il letto e quel che accadde dopo, semplicemente, successe.

 

Kaito si svegliò in un letto che non era il suo, ma non se ne accorse immediatamente.

Aveva un’emicrania lancinante. Si tirò su, sedendo con la schiena appoggiata al cuscino.

Quando realizzò dove si trovava sbiancò. Che diamine ho fatto…

I ricordi della sera prima erano piuttosto fumosi, ma un’immagine piuttosto ricorrente c’era, e non lo rassicurava per nulla.

Il volto sorridente e vittorioso di Akako.

Trovarsi in un letto che non conosceva con indosso solo un paio di boxer non lo rassicurò affatto.

Uscì dal letto in preda al panico e per poco non svenne, colto da un giramento di testa. Si era alzato troppo bruscamente. Si riappoggiò al letto. Non appena ebbe recuperato un po’ di lucidità, vide i suoi vestiti ammucchiati sul pavimento e si affrettò a recuperarli.

«Ben svegliato» in cucina lo accolse Akako. La sua espressione soddisfatta era fin troppo chiara; Kaito non chiese nulla.

«Dovresti mangiare, se non vuoi svenire in mezzo ad una strada. Ieri non hai cenato».

«Devo tornare da Aoko» disse, allacciandosi la giacca. Riusciva ad immaginare fin troppo bene l’espressione con cui lei l’avrebbe accolto a casa. Ammesso che lo facesse entrare.

«Per farti rimettere il collare?» il bel volto dell’ex compagna fu deformato da una smorfia.

Lui non rispose, ma quella domanda lo ferì. Suonava spaventosamente corretta. Aprì la porta.

«Ti preferivo quand’eri Kid», scandì la strega. «Anche se allora non ti saresti mai concesso a me».

Anch’io, gli suggerì il cervello a tradimento. Strinse le labbra. «Addio, Akako».

Lei non lo fermò; Kaito aspettò di essere in strada per sospirare di sollievo. Non sapeva se avrebbe potuto resistere ad un approccio più insistente.

I ricordi della sera prima, sebbene un po’ confusi, iniziavano a tornargli. Sentì vivida l’eccitazione che aveva provato, ricordò come si era sentito nel dominare la ragazza.

Si era sentito libero e potente come non gli capitava ormai da molto. Da troppo, probabilmente.

Come dubitava di potersi sentire con Aoko. Provò ribrezzo per sé stesso.

Era giusto così, era la sua punizione. Doveva, voleva scontarla.

Allora perché si era lasciato sedurre da Akako..? Dare la colpa all’alcool era ridicolo, aveva bevuto solo due birre. Sicuramente i suoi freni inibitori avevano allentato la presa, ma Kaito si rese conto che il rapporto con la strega lui l’aveva realmente voluto. L’aveva fatto sentire bene.

Si sarebbe preso a schiaffi, ma nulla poteva cambiare quel fatto.

Ho tradito Aoko… e l’ho fatto consciamente.
















NdA

Ciao a tutti!
Questa storia, scritta per un contest, sul mio pc è già completa. Sono 3 capitoli in tutto, il terzo è una sorta di epilogo più che un capitolo vero e proprio.
Penso di postare il secondo venerdì.
Che dite..? Come reagirà Aoko?
Tra parentesi, io amo questi due. Mi dispiace averli messi in questa situazione, ma... di necessità virtù (?). E vabbè.
Se mi lasciate un parere vi sarò davvero grata <3

Mari

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Capitolo 2
*** Aoko ***


Se qualcuno ti tradisce una volta è un suo errore, se qualcuno ti tradisce due volte è un tuo errore.

Aoko si alzò con uno sbadiglio. Si sentiva stranamente rilassata.

Appena ebbe riacquistato un po’ di lucidità riconobbe la camera in cui si trovava e ricordò il perché.

Suo padre stava male; la sera prima era andata da lui per preparargli la cena ma poi, vedendo che non c’era verso di fargli abbassare la temperatura, si era risolta a dormire lì in caso avesse avuto bisogno d’aiuto nel cuore della notte. Si stiracchiò ed andò in cucina a preparargli la colazione.

Mezz’ora dopo andò a svegliare suo padre. Notò con sollievo che stava già meglio, il riposo gli aveva fatto bene. Lo accompagnò a tavola e gli raccomandò di non sforzarsi troppo, poi uscì.

Era sabato, quindi niente lavoro per lei (Kaito non era così fortunato); aveva però appuntamento con un’amica per visitare insieme una mostra d’arte contemporanea.

Non aveva visto neanche metà delle sale che le arrivò una chiamata. Riconobbe il numero e si preoccupò. Non riceveva chiamate da Saguru Hakuba molto spesso.

«Pronto?»

«Aoko? Sei a casa?»

Il tono preoccupato del detective la spaventò. «No, io… Perché? È successo qualcosa?»

«Speravo me lo dicessi tu. Kuroba mi ha scritto che oggi non verrà a lavoro, ho pensato stesse male, ma non risponde al telefono».

Aoko trattenne il fiato. Come sospettava, c’entrava Kaito; ma se in un primo momento aveva temuto che avesse commesso qualche sciocchezza, ora si preoccupò per la sua salute. Non aveva sue notizie dalla mattina precedente, in effetti.

«Torno subito a casa e controllo. Grazie per avermi avvisata», disse.

Chiuse la chiamata poco dopo e si girò verso l’amica con un sorriso malinconico.

«Perdonami Kikyo, non posso restare».

 

Trovò Kaito sdraiato scompostamente sul divano. Dormiva e, notò allarmata, tremava.

Recuperò una coperta e gliela poggiò sopra; a volte sembrava più un bambino che un adulto, pensò con un sorriso. Le si spense subito, però. I bambini sono innocenti, Kaito non lo è più da anni, si trovò a pensare con amarezza.

Sospirò. Non riusciva proprio a superare la delusione che le aveva inflitto. Sapeva che lui se ne accorgeva, sapeva che ne soffriva moltissimo. Si odiava per questo. Ma non poteva farci nulla: l’ombra del passato era sempre in agguato, sempre pronta a ricordarle che Kaito, il suo Kaito, le aveva mentito una volta e poteva farlo nuovamente. Sempre a sussurrarle di stare in guardia.

Era un peso opprimente con cui vivere.

Lo sguardo le si riempì di tristezza mentre fissava il petto del ragazzo alzarsi ed abbassarsi regolarmente. Non avremo sbagliato tutto? Non possiamo continuare così…

Cacciò in fretta quel pensiero. Era l’ultima cosa che le servisse. Non poteva lasciare Kaito, l’aveva promesso a lui e a sé stessa.

Anche se al momento stavano male, l’idea di abbandonarlo le pareva insopportabile.

Lui doveva avere pensieri simili, perché nonostante tutti i problemi tiravano avanti.

A un tratto il dormiente emise dei suoni inarticolati; poco più di un bisbiglio, ma sufficiente a riscuotere la Nakamori.

Kaito le sembrò sofferente; decise di preparargli da mangiare. Forse aveva anche lui l’influenza.

 

Il ragazzo si risvegliò solo qualche ora dopo, verso le tre del pomeriggio.

Aoko aveva passato il tempo leggendo, ma appena si accorse del movimento sul divano chiuse il romanzo che le aveva tenuto compagnia e sorrise all’indisposto.

«Come ti senti?» domandò.

Kaito la guardò ad occhi spalancati. «Aoko…» mormorò. Aveva uno strano tono.

«Ti ho preparato un brodo, vuoi che te lo scaldi?» propose lei alzandosi.

«Mi dispiace…»

La voce rotta di Kaito la bloccò. Sembrava sul punto di piangere.

Gli si sedette accanto, preoccupata. «Che ti succede? Hai la febbre?» chiese, avvicinando le labbra alla fronte del ragazzo per sentirgli la temperatura.

Lui si ritrasse di scatto. Aoko si accorse che stava tremando.

«Non capisco cos’hai, ma mangiare ti farà bene, vedrai» mormorò, confusa. Kaito non la stava neanche guardando, teneva lo sguardo ostinatamente basso.

Sembrava un’altra persona.

Negli ultimi anni i loro rapporti erano cambiati, certo, e a volte erano più tesi di altre.

Ma sebbene si fosse incupito, non si era mai comportato in questo modo. Non riusciva a capire cosa avesse.

Forse sono stata troppo dura con lui..?

«Kaito, se mi aiuti a capire cos’hai io…»

Si fermò; lui aveva alzato una mano. Continuava ad evitare il suo sguardo.

«Ti devo dire una cosa», sussurrò. Le ci volle un grande sforzo per dare un senso ai suoni sconnessi che aveva emesso. Era sempre più preoccupata.

Non aveva mai, mai visto Kaito così serio.

Che voglia… lasciarmi?, ipotizzò. Non sapeva come sentirsi a quell’idea.

«Mi stai facendo preoccupare», disse. «Se vuoi dirmi qualcosa, fallo e basta, ti prego».

Non sapeva come sentirsi, ma avvertiva come un nodo allo stomaco.

Qualsiasi cosa stesse per succedere, sperò finisse in fretta. Non poteva affrontare ciò che non conosceva.

Vedendo che lui non si decideva a parlare, l’anticipò. «È perché ieri non ti ho avvisato che avrei dormito da mio padre? Mi dispiace, è sembrato così spontaneo, mi è passato di mente».

Lo vide sgranare gli occhi - sempre rivolti al pavimento -. Quella notizia lo… stupiva?

Si sforzò di sorridere. «Dove pensavi che avessi passato la notte?» chiese, cercando di sdrammatizzare.

L’espressione di Kaito divenne ancora più cupa. Prese a tremare ancora di più.

Il suo sorriso sparì. «Sul serio, Kaito, stai male. Qualsiasi cosa sia, potremo parlarne dopo, quando ti sarai ripreso» insisté. Recuperò la coperta, che era caduta quando lui si era tirato su, e gliela poggiò sulle spalle. «Resta qui», gli ordinò. Poi si alzò e andò decisa in cucina.

Lui non disse niente per fermarla, ma ad Aoko sembrò che lui la fissasse per tutto il breve tragitto.

Ignorò la sensazione di disagio che l’aveva invasa e scaldò rapidamente il brodo di pollo preparato in precedenza.

Quando tornò in salotto, Kaito si era avvolto nella coperta ed era intento a fissare il muro con sguardo vuoto. Gli si avvicinò porgendogli una ciotola piena di brodo caldo.

«Prendila, ti farà bene».

Kaito non si mosse. «Non la merito», mormorò.

Aoko sospirò. Non l’aveva davvero mai visto così. Forse la loro situazione l’aveva stressato più di quel che pensava.

Posò il brodo sul tavolino in mezzo alla stanza e spostò una sedia per metterglisi davanti.

«Senti. A proposito di noi due…»

Non poteva continuare a vederlo così.

Finalmente, Kaito si voltò verso di lei. La guardò. Aoko dovette trattenere un’esclamazione di sgomento.

Non aveva mai visto uno sguardo così vuoto. Negli occhi di Kaito non c’era niente.

Le tornò alla mente un ricordo di molti anni prima. Erano ancora alle medie, lui le aveva fatto uno dei suoi soliti scherzi e lei lo stava rincorrendo dappertutto per punirlo. Dopo quindici minuti di estenuante inseguimento era riuscita a metterlo all’angolo, minacciandolo con il bastone di una scopa. Non aveva mai osservato la sua faccia così da vicino prima di allora; anche in quella situazione, Kaito scherzò: «Se volevi baciarmi bastava dirlo, Aoko!». Lei era arrossita, chiamandolo “BaKaito”, ma non si era allontanata. Era rimasta ad osservare i suoi occhi, incantata. Erano bellissimi, così pieni di vita. Era stato allora, perdendosi in quegli occhi, che aveva capito di essersi presa una cotta per il suo amico di sempre. Una cotta che non le sarebbe mai davvero passata.

Sentì gli occhi pizzicarle. Come avevano fatto a ridursi così?

«Sono stato con Akako».

Cosa?

«Stanotte».

Kaito non distolse lo sguardo, continuava a guardarla senza farlo davvero. Sembrava catatonico.

Aoko non capiva. «Che significa?»

Kaito rise, una risata stanca. Nervosa.

«Facevi bene a non fidarti di me, Aoko. Hai sempre fatto bene».

Dopodiché le raccontò tutto.

Lei restò immobile per tutta la durata del racconto.

Quando questo finì, lei si alzò ed uscì di casa. Senza prendere la borsa o la giacca, senza sapere dove andare, semplicemente uscì.

Non si fermò finché non arrivò alla piazza davanti alla stazione.

Di fronte a lei svettava imponente la torre dell’orologio; aveva dei bellissimi ricordi legati a quel luogo. Era lì, ad esempio, che aveva incontrato Kaito per la prima volta.

Solo allora lasciò le lacrime libere di scorrere.

Stava piangendo di nuovo, stava piangendo per colpa di Kaito. L’aveva ferita ancora.

Non era arrabbiata, solo triste.

Se era successo era colpa di entrambi, lo sapeva bene. Forse più sua.

Kaito non si era comportato bene con lei, ma lei non era stata da meno… per tutti quegli anni gli aveva fatto pesare il suo errore, aveva cercato di rimediarvi in ogni modo.

L’aveva incatenato al suo passato, a quel singolo evento.

Si sfogò così, piangendo in silenzio di fronte alla torre.

Alla sua ombra si sentiva sempre protetta. Non avrebbe saputo spiegare perché.

Rimase lì per qualche ora. Passato il primo momento di disperazione le si schiarirono le idee.

Il problema, si rese conto, non era tanto - né solo - il tradimento.

Di problemi ne avevano tanti, l’aveva sempre saputo, ma ignorarli era stato così semplice. Così comodo.

Ripensandoci ora, a mente snebbiata, era stata così stupida.

Le veniva da ridere al pensiero che, dopo anni passati a sospettare di ogni sua azione, Kaito l’avesse effettivamente tradita proprio l’unica volta che il dubbio non l’aveva nemmeno sfiorata. Ironico.

Si bloccò improvvisamente.

Era vero, il pensiero che Kaito potesse aver passato quella notte da un’altra parte non le si era presentato.

Forse perché l’unica verità che non aveva mai messo in discussione era che Kaito l’amava.

In fin dei conti, si tradisce solo ciò che si ama. Ma non era quello il punto: come faceva prima di scoprire il suo segreto, Aoko si era fidata.

Kaito avrebbe potuto benissimo mentirle, anzi, non dirle niente: lei non avrebbe mai scoperto il suo segreto, con tutta probabilità. Ripensando a quel pomeriggio, gliel’aveva anche detto: “Stanotte ho dormito da mio padre, scusa se non ti ho avvisato”.

Kaito sapeva che non poteva scoprirlo.

Allora perché le aveva raccontato tutto?

Aveva confessato di sua spontanea volontà, senza pressioni. Aveva rifiutato il cibo dicendo di “non meritarlo”.

Un’altra lacrima, solitaria stavolta, le solcò la guancia.

Kaito era stato sincero con lei, ma avrebbe potuto non esserlo.

Si accorse di provare un altro sentimento, qualcosa di diverso dalla tristezza. Non era delusione.

Era… senso di colpa.

Si sentì terribilmente in colpa per come l’aveva trattato tutti quegli anni. Per non essere stata in grado di amarlo come meritava, per averlo tenuto costantemente sotto controllo.

Kaito aveva sbagliato e doveva espiare, d’accordo… ma era davvero quello il modo giusto di farlo? L’impressione di aver sbagliato tutto l’assalì, di nuovo.

La provava decisamente troppo spesso.

Si asciugò le lacrime e si alzò, decisa a tornare a casa.

Decisa a risolvere… se fosse stato possibile. Se l’avesse voluto anche lui.

Le veniva quasi da ridere. Lui l’aveva tradita, ma a sentirsi in colpa era lei… non qualcosa che succedesse tutti i giorni.

Si era ormai fatto buio. L’orologio l’avvisò che erano le undici di sera.

Affrettò il passo, sperando che in tutto quel tempo Kaito non avesse fatto niente di cui dovessero pentirsi entrambi.











NdA
Ciao! Grazie per aver letto :)
Il prossimo capitolo sarà anche l'ultimo.
Cosa pensate che succederà?
Come vi è sembrata la reazione di Aoko? Spero di averla resa bene...
Be', vi saluto.
Alla prossima!

Mari

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Capitolo 3
*** Insieme ? ***


Arrivata davanti alla porta di casa, Aoko esitò. Non aveva le chiavi, le aveva lasciate nella borsa, quindi doveva bussare. Sperando che Kaito non fosse uscito.

Non che le fosse sembrato nelle condizioni di andare da qualsiasi parte…

Ingoiò un po’ di saliva, si fece coraggio e suonò il campanello.

 

Aoko se n’era andata.

Così, semplicemente. Avrebbe dovuto aspettarselo.

Cosa sperava, in fondo? Un po’ di comprensione?

Non era stato neanche in grado di guardarla in faccia, di reggere la delusione che sicuramente era apparsa nei suoi occhi man mano che lui parlava.

L’aveva fissata senza vederla realmente, concentrato solo sul suono della sua stessa voce.

Le aveva detto tutto, senza omettere alcun particolare.

Sapeva che l’avrebbe lasciato, ma non poteva impedirselo.

Mentirle sarebbe stato peggio.

L’aveva persa di nuovo, stavolta - ne era certo - per sempre.

Si alzò a fatica dal divano e raggiunse il tavolo.

Voleva mangiare il brodo di Aoko.

Voleva rimettersi in forze per potersene andare, per non dover essere lì quando lei fosse tornata.

Per non procurarle altro dolore.

Non era l’unico motivo; quel brodo era l’ultimo segno d’amore che avrebbe mai ricevuto da lei.

Non lo meritava, ma non poteva semplicemente ignorarlo.

Si portò la ciotola alla bocca.

 

Rimase lì ferma per una buona mezz’ora, in attesa di una risposta che non arrivava.

Si avvicinò alla finestra; dentro non sembrava esserci nessuno.

Kaito se n’era andato.

Le si annebbiò la vista. Le ci era voluto così tanto per fare ordine tra i suoi sentimenti, ed ora…

Ora era troppo tardi.

Non sapeva se sarebbe riuscita a rivedere Kaito dopo quella notte, a parlargli.

Non aveva idea di dove fosse andato - un pensiero maligno le suggerì che poteva essere fra le braccia di Akako, in quel momento, ma lo soppresse -, ma se se n’era andato era perché non voleva più vederla.

Probabilmente.

In tutto ciò, non poteva neanche rientrare in casa.

Che poteva fare? Di andare da suo padre non se ne parlava, avrebbe dovuto raccontargli troppe cose e non ne aveva intenzione.

Forse poteva andare da Keiko. Lei l’avrebbe sicuramente ospitata per quella notte.

Tornò sulla strada… e si ritrovò davanti una figura che conosceva bene.

Saguru Hakuba.

 

Sdraiato su un letto non suo, tese un braccio verso la lampada e si osservò la mano in controluce. Per quella sera aveva trovato un riparo, ma poi?

Che riparo, tra l’altro.

Non sapeva perché avesse scelto proprio Hakuba.

Forse perché non aveva nessun altro a cui chiedere.

Negli ultimi anni aveva tagliato i ponti un po’ con tutti.

Persino il vecchio Jii si era trasferito in campagna qualche anno prima, augurandogli tanta felicità.

Kaito aveva dovuto sforzarsi per restare impassibile, allora. Al tempo aveva già rimosso “felicità” dal suo dizionario.

La reazione del detective l’aveva sorpreso. Non gli aveva fatto domande, si era spostato per farlo entrare ed era finita lì. La governante poi gli aveva mostrato la camera in cui si trovava anche ora, dicendogli che poteva dormirci.

Non sapeva perché Hakuba non gli avesse ancora voltato le spalle.

Avrebbe dovuto essergli grato, forse, ma non lo era.

Non era niente.

Aveva passato gli ultimi anni ad arrampicarsi sugli specchi.

Non aveva realmente vissuto, ma aveva sempre avuto Aoko. Gli era rimasta solo lei, dopo aver abbandonato i panni di Kid.

Ora l’aveva persa.

Il mondo che si era costruito con tanta fatica era andato in frantumi.

Cosa avrebbe dovuto fare?

Qualsiasi cosa fosse, non ne aveva voglia.

Ora come mai prima, Kaito avrebbe soltanto voluto arrendersi.

 

Sentì bussare alla porta della sua camera.

Hakuba non le aveva detto molto;

solo, “Ti porto da Kaito”.

Le era bastato per seguirlo fino a casa sua.

Una volta lì, la guidò al primo piano. Si fermò davanti ad un’elegante porta rossa. Bussò.

Dall’interno della stanza si sentì un rumore, come lo scricchiolio di un letto.

Saguru si allontanò, lasciandola sola. Il cuore le batteva a mille.

La porta si aprì.

Kaito non riusciva a crederci.

«A.. oko?» mormorò con voce roca.

Aveva pensato a cosa dire per tutto il tragitto.

C’erano talmente tante cose che non sapeva da dove cominciare.

Quando se lo vide di fronte, semplicemente fece un passo in avanti.

Lo abbracciò.

Nonostante la sorpresa, ricambiò l’abbraccio con forza.

Si strinsero talmente forte che sembrava uno dei due dovesse sparire da un momento all’altro.

Non accadde.

«Abbiamo sbagliato tutto. È colpa mia».

Kaito le accarezzò i capelli, incapace di parlare.

«Mi dispiace, Kaito. Io…»

Si accorse che Aoko stava piangendo quando una lacrima gli raggiunse una guancia.

Ruppe l’abbraccio e la guardò negli occhi.

«Non è colpa tua…»

Si asciugò gli occhi con una manica.

«Non lasciarmi».

Kaito non poteva crederci; l’aveva tradita, perché era lì?

Perché gli stava dicendo quelle cose?

Non vedeva Aoko così da… non avrebbe saputo dirlo.

«Non succederà mai, sciocca».

Non capiva perché stesse succedendo. Sembrava un sogno.

Ma se era reale, se davvero Aoko non l’odiava nonostante tutto…

Allora potevano ricominciare.

Quella notte la passarono in quella stanza, abbracciati sul letto.

Entrambi con il cuore a pezzi eppure sereni come avevano dimenticato di poter essere.

Pronti a far tesoro dei loro errori per ripartire da zero.

Un tradimento uccide soltanto gli amori già morti. Quelli che non uccide a volte diventano immortali.

Rinato dalle ceneri a dispetto di tutto, il loro amore era sopravvissuto.

Ci sarebbe voluto del tempo, lo sapevano.

Lo volevano.

Perché quello era il loro tempo.











NdA

Io spero davvero che l'impaginazione non vi abbia scombussolati troppo. Mi piaceva troppo l'idea di rappresentare, anche graficamente, Aoko e Kaito in parallelo.

Spero che il finale non vi abbia delusi... Sono un'inguaribile amante del lieto fine; non sono a favore del tradimento, ovviamente, ma in questo caso l'ho visto come il fondo da toccare per potersi rialzare.

Grazie mille a chi ha recensito i capitoli precedenti.

Mari <3

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