Cronache dell'Era del Drago

di Aryan Devatara
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Un bastardo reale I ***
Capitolo 2: *** Un bastardo reale II ***
Capitolo 3: *** Un bastardo reale III ***
Capitolo 4: *** Un bastardo reale IV ***
Capitolo 5: *** Un bastardo reale V ***



Capitolo 1
*** Un bastardo reale I ***


Duncan guardò le massicce mura di Val Royeaux, la Splendida, che la circondavano completamente in un cerchio perfetto, racchiudendone lo specchio d’acqua; da esse, si ergevano le 8 statue dedicate ad Andraste: la guerriera con la spada che guardava il lato Sud, la portatrice del braciere a Ovest, la supplicatrice al Creatore posta a Nord, sulle porte della città, la sposa del Creatore che a Est, guardava il Porto. Si stagliavano nella notte, sotto la pioggia battente, illuminate a tratti dai fulmini della tempesta che faceva piovere incessantemente da dopo il crepuscolo. Mentre si avvicinava, scendendo l’altura, Duncan cominciò a vedere le luci della città che dormiva sonni profondi, protetta dalla ronda dei Templari; la parte più illuminata, era la vasta zona in cui sorgeva la Grande Cattedrale del Culto di Andraste che, da sola, occupava un Rione. L’entrata a Val Royeaux, chiamata anche Porta del Sole, era situata strategicamente verso il fianco di un’imponente montagna a forma di artiglio: essendo l’unico accesso via terra alla città, era impossibile non poter vedere anticipatamente chi avrebbe osato attaccarla; vi era un secondo accesso, un canale, che collegava lo specchio d’acqua attorno la città al fiume, ma era sorvegliato da una torre di guardia che sorgeva in mezzo all’acqua ed era raggiungibile solo da imbarcazioni. Gli orlesiani non lasciavano nulla al caso: i massicci Cancelli che davano il benvenuto in Val Royeaux, erano forgiati in forma ogivale, le sbarre ricordavano piccole colonne ed erano decorate con foglie d’oro massiccio. Dietro, si spiegava il lungo Viale dei Ricordi, in marmo bianco e blu, dove si potevano ammirare le statue di Maferath, l’umano traditore che era stato sposo di Andraste, prima che lei ascendesse al Creatore, come sua sposa.
Val Royeaux, la sua casa, la sua vera casa; la conosceva fin troppo bene: poteva dire di esserci cresciuto. Tutto era cominciato qui, tutto ciò che lui era oggi, tutto ciò che era diventato, aveva qui la sua origine, da un fatale incidente, molti anni fa. Da quanto mancava? La sua non era mai stata una vita facile e non lo era certamente ora, ma poteva dire essere piena di soddisfazioni, soprattutto arricchita da un ideale profondo e unico nel suo genere, da una grande responsabilità. Responsabilità. Quando era diventato responsabile? Da ragazzo, era un abile ladro che lavorava persino su commissione, veloce, agile e inafferrabile, finché non derubò nella casa dell’uomo sbagliato e ne causò accidentalmente la morte. Dovette compiere una scelta, fu chiamato a un grande sacrificio, di cui solo da adulto, ne divenne orgoglioso. La sua vita cambiò radicalmente, dovette imparare a divenire un guerriero ma trovò una seconda famiglia nei suoi compagni d’armi. “ Nella guerra e nella vittoria. Nella pace e nella vigilanza. Nella morte e nel sacrificio. “ Ora, sperava di poter dare un inizio, uno scopo, una seconda famiglia anche a qualcun altro che, in questo momento, era profondamente infelice e furente; lo sperava vivamente, malgrado fosse alto il prezzo da pagare. Forse era troppo tardi, forse la Veglia per lui c’era già stata, ma doveva fare un tentativo.
Sapeva che al crepuscolo, la Capitale chiudeva ogni accesso e vi era bisogno di farsi identificare da un Templare se si voleva circolare per la città, di notte; si avvicinò ai Cancelli della Porta del Sole, fradicio, con le gocce di pioggia che gli scendevano dalla barba e dai baffi, gli stivali infangati sino alle caviglie.
-Altolà Monsieur! Il vostro nome e il vostro scopo qui, o non sarete fatto entrare.- in un rozzo ma spiccato accento orlesiano, uno dei Templari davanti ai Cancelli lo fermò. Dietro al cancello chiuso, altri due Templari posero le loro mani sull’elsa della spada che portavano al fianco.
-Sono Duncan, Generale dei Custodi Grigi. Devo recarmi alla Chiesa di Andraste.- rispose stanco.
I Templari si guardarono l’un l’altro con un certo allarme: il Generale dei Custodi Grigi, a Val Royeaux? Possibile? Allora, le cose erano più gravi del previsto!
-Mosieur, perdonatemi. Potete fornirci un riconoscimento?- aggiunse smarrito, il Templare.
Duncan sospirò visibilmente: poteva comprenderli, ma chi sarebbe stato così avventato da presentarsi come Generale dei Custodi Grigi e non esserlo? Duncan aprì il suo mantello completamente bagnato: le sue vesti, altrettanto zuppe, portavano il simbolo dei grifoni rampanti, operosamente ricamati sulla giubba di pelle. Infine, estrasse dal collo un medaglione in silverite che riportava lo stesso identico simbolo. Il Templare deglutì.
-Monsieur Général, le chiedo perdono. Benvenuto a Val Royeaux.-
Il Templare si fece dare la chiave dal suo collega posto all’interno del Cancello; rinnovando il saluto al Generale, Duncan fu fatto entrare nella silente Capitale. Con molta cortesia e deferenza, uno dei Templari indicò a Duncan la migliore taverna a cui alloggiare di tutta Val Royeaux. Duncan ringraziò ma disse che doveva immediatamente recarsi alla Chiesa di Andraste. Il Templare, si sentì in dovere di scortare Duncan fino alla Grande Cattedrale. Duncan si incamminò dietro al Templare lungo il viale deserto: l’acqua mossa dal vento, cantava la sua risacca battendo sulle pietre bianche e blu del viale. Poco più avanti, un secondo Cancello fu aperto; il viale continuava, sempre circondato dall’acqua. Quando arrivarono al terzo Cancello che introduceva direttamente a Val Royeaux, Duncan incontrò una seconda ronda di Templari, che lo salutarono con rispetto, appena ne riconobbero l’identità. Passarono per il Viale dei Ricordi e quando Duncan si trovò al Bazaar Estivo, si fermò a rimirare la piazza, sede di commerci, di ogni importante avvenimento della Capitale, di incontri discreti e indiscreti del Gioco; guardò con nostalgia il palco centrale, suddiviso in quattro dai leoni dorati, dove chiunque pagasse, poteva organizzare un comizio o uno spettacolo: quanti ignari spettatori, aveva derubato! Guardò il cielo e sentì la fredda pioggia sulla pelle: gli otto stendardi color arancio erano ancora lì, tra il palco centrale, le bianche torri e i ricchi palazzi della città alta. Tutto era ancora al suo posto, dalle porte blu, alle enormi vetrate ogivali, fino ai tetti in ardesia verde vetrificata. Duncan sorrise, distrattamente.
Il Templare lo aveva cortesemente atteso e con lui, riprese infine il suo cammino, che terminò nella città alta, dominata dalla Grande Cattedrale, sede della Chiesa di Andraste. L’enorme e lunga scalinata che conduceva al complesso, era guardata da un doppio ordine di Templari, per un totale di 12 soldati. Nessuno di loro lo fermò mentre saliva i gradini, nemmeno fu guardato se non il tempo necessario per identificarlo. La scalinata finiva in un ampio porticato con 8 accessi ad arco ogivale, che introducevano all’enorme piazza antistante la Grande Cattedrale. Il porticato si allargava, seguendo lo sviluppo della piazza fino alla sua parte centrale, per poi interrompersi; in questo modo, si poteva essere protetti dalla pioggia o dal Sole battente per un ampio tratto. Sufficientemente spazioso per ospitare centinaia di fedeli, il porticato in travertino, era abbellito da un ordine di sottili colonne, rigorosamente ricoperte d’oro, che reggevano una volta preziosamente decorata con diverse rappresentazioni di Andraste in mosaico.
Il Templare proseguì verso la Grande Cattedrale superando la Torre della Divina, sede del Consiglio della Chiesa di Andraste; si diresse al nuovo porticato che si apriva proprio all’altezza della Torre e proseguiva con i suoi ordini di colonne, fino all’entrata della Grande Cattedrale. Lì sotto, all’estrema destra, vi era una porta in legno massiccio corazzata con bugnature in ferro e sopportata da cardini dello stesso metallo: la sede delle Sorelle della Chiesa presso il Convento. I Templari, risiedevano nel palazzo esattamente opposto della piazza. Con un cenno del capo, il Templare che lo aveva scortato salutò Duncan, facendo ritorno ai suoi doveri. Duncan batté il pesante anello di ferro: poco dopo, una finestrella posta in alto nella porta si aprì e apparve il volto pallido di una giovane Sorella della Chiesa.
-Che il Creatore e la Divina Andraste veglino su di voi.- disse la giovane a bassa voce-Come posso aiutarvi in questa notte fredda e umida, Monsieur?-
-Sono Duncan, Generale dei Custodi Grigi. Devo parlare con la Veneranda Madre.-
La giovane, evidentemente stupita, rimase per un attimo in silenzio e lo scrutò, come se cercasse un segno di verità nelle sue parole. Duncan aprì il mantello, esattamente come aveva fatto per le guardie.
-Monsieur Général! Non sono stata avvisata del vostro arrivo…-
-Non ero atteso infatti, ma devo parlare con la Madre del Convento, urgentemente.-
-La Veneranda Madre sta riposando, Monsieur Général. È molto tardi.-
-Ne sono consapevole, ma io non ho molto tempo, purtroppo. Datemi cortesemente ospitalità, Sorella.- le chiese Duncan, con una vena di stanchezza nella voce.
La giovane Sorella era evidentemente combattuta. Guardò nuovamente l’uomo, bagnato fradicio dalla pioggia, gli stivali ricolmi di fango, il volto tirato. Ne ebbe compassione: chiuse la finestrella e aprì la porta.
-Monsieur Général. Posso darvi ospitalità per questa notte, ma non posso disturbare la Madre a quest’ora, se non per gravi eventi.- le disse la giovane.
Duncan tentennò.
-So che fra due giorni si terrà un Torneo, qui a Val Royeaux. I Cadetti Templari sono invitati a partecipare, prima che affrontino la Veglia. Ditemi, fra loro vi risulta vi sia un certo Alistair?- le chiese Duncan con voce apprensiva.
-Alistair? Il figlio…il protetto di Arle Eamon? Vi parteciperà in quanto prossimo ai Voti, Monsieur Général.-
Duncan sembrò respirare con un certo sollievo, come se avesse avuto un peso sul cuore sino a quel momento. Sorrise alla giovane Sorella.
-Vi sentite bene, Monsieur Général?-
-Sono solo molto stanco e molto, molto bagnato. Vi sto riempiendo di fango l’atrio, Sorella.-
La giovane guardò la piccola pozza d’acqua sporca che effettivamente si era formata sotto i piedi di Duncan.
-Venite Général. Vi farò portare acqua calda, abiti caldi e asciutti, così domattina potrete incontrare la Veneranda Madre.-
Duncan chinò il capo in segno di ringraziamento; seguì la giovane attraverso il lungo corridoio fino a un cortile interno, dove lo condusse attraverso una porta ad arco ogivale, alle scale per il piano superiore. Un lungo corridoio con grandi finestre, si apriva davanti a loro; a destra, vi era una fila di porte. La giovane Sorella della Chiesa, si fermò davanti la terza porta. La aprì e vi entrò, accendendo personalmente il fuoco nel camino.
-Ecco Monsieur Général. Vi farò portare immediatamente anche del cibo.-
Duncan ringraziò molto la giovane Sorella e la lasciò tornare alla sua veglia notturna di preghiera nel Canto della Luce. La stanza era piccola ma aveva tutto ciò di cui aveva bisogno: un letto, una grande cassapanca, un tavolo con una sedia, una piccola libreria, un rozzo armadio, un manichino dove appoggiare l’armatura. Dato che la stanza doveva ospitare un allievo Templare, in una parete difronte al letto, proprio accanto al camino, vi era una nicchia che ospitava una statuetta di Andraste che reggeva il braciere ardente, su cui era appoggiato un breviario. Aveva ancora tempo. Per quella notte, avrebbe dovuto solo pensare a rifocillarsi e a riposare dal lungo viaggio, poi avrebbe pensato a come convincere la Veneranda Madre e l’Alto Comandante dei Templari a cedergli Alistair per i Custodi Grigi. Cominciò a togliersi il mantello, poggiandolo sul manichino che fu spostato più vicino al fuoco; si tolse poi gli stivali e la giubba. Poco dopo, un inserviente portò della zuppa di cereali bollente, una fetta di pane e una brocca d’acqua, con qualche pezzo di legna per il fuoco e abiti asciutti e puliti. Chiese cortesemente che venissero consegnati gli abiti fradici, poiché si sarebbe personalmente preoccupato di farli asciugare davanti al grande fuoco delle cucine. Duncan accettò l’enorme cortesia e rimase nudo a scaldarsi davanti al fuoco che cresceva: lo fissava con la mente lontana, pensando a quanti fuochi da accampamento aveva visto negli ultimi mesi; si parlava di un’imminente battaglia impossibile da evitare, imponente come quelle delle leggende, importante perché l’invasione della Prole Oscura non si trasformasse in un vero Flagello. Eppure Duncan nei suoi incubi, che si facevano sempre più ricorrenti, aveva intravisto un Arcidemone: Urthemiel, era il suo nome.

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Capitolo 2
*** Un bastardo reale II ***


Duncan dormì pesantemente ben oltre il sorgere del Sole. Nessuno osò disturbarlo, non per rispetto verso la sua posizione o per la sua stanchezza, ma per mera comodità: la Veneranda Madre Florénce era stata informata del suo arrivo al primo risveglio e aveva terribilmente bisogno di procrastinare il più possibile questo incontro con Monsieur Générale; era possibile e quasi certo, che il Generale fosse venuto senza preavviso per chiederle qualche risorsa tra i Cadetti del Tempio e aveva bisogno di tempo per ponderare la decisione e se accolta, chi inviare. Non era una decisione da prendersi alla leggera, così come non era semplice scegliere i nomi di coloro che sarebbero entrati nei Custodi Grigi: in genere, il fior fiore della nobiltà orlesiana e non solo, inviava i propri figli, soprattutto i primogeniti, tra i Templari; con che cuore avrebbe dovuto dire ai nobili genitori, che il figlio era stato dato ai Custodi Grigi? Quale disdegno e disprezzo avrebbe dovuto affrontare da parte della famiglia? Poteva rompersi una preziosa alleanza, costruita con sacrificio, in un attimo! La Veneranda Madre storse il naso: l’operato dei Custodi Grigi era stato nei secoli ineccepibile; la Chiesa stessa ammetteva che senza la comparsa dei Custodi Grigi durante il Primo Flagello comandato dall’Arcidemone Dumat, non vi sarebbe stata la sopravvivenza del genere umano. I Custodi Grigi non ambivano al potere, non si immischiavano nel Gioco, facevano semplicemente il loro dovere, combattendo e morendo durante un Flagello e vegliando le Vie Profonde o attendere nelle loro Fortezze, fino a un nuovo pericolo. Tuttavia, la loro influenza era enorme, soprattutto dal Terzo Flagello, quando aiutarono inconsapevolmente Lord Drakon a diffondere in tutto il Thedas, il Canto della Luce e il Culto di Andraste. Infine, in caso di Flagello riconosciuto, potevano arruolare qualunque risorsa umana disponibile e davanti a un rifiuto, invocare il Diritto di Coscrizione. Questo significava che doveva essere così abile da non indispettire Monsieur Générale e fornire dei nomi per lui soddisfacenti, affinché non ricorresse al Diritto di Coscrizione: dopo che si è divenuti Custodi Grigi, non esiste più una famiglia a cui fare ritorno. La Veneranda Madre si premunì di essere assolutamente impegnata fino a dopo pranzo.
Quando Duncan si svegliò, trovò i suoi abiti asciutti, i suoi stivali spazzolati e della frutta per colazione, con una nuova brocca d’acqua per lavarsi e una per bere. S’innervosì per la sua eccessiva stanchezza: aveva fretta di conferire con la Veneranda Madre. Mangiò una mela e un grosso grappolo d’uva bianca dolce, mentre si vestiva e si rendeva presentabile. Quando uscì dalla stanza, trovò una giovane Sorella della Chiesa che lo attendeva: era di chiara origine nevarriana, grazie alla sua pelle scura. Lo trattò con molto rispetto, inchinandosi profondamente.
-Che la Divina Andraste vi protegga Monsieur Générale. Io sono Sorella Ifigenia, novizia del Culto di Andraste. Porto un messaggio dalla Veneranda Madre: vi accoglie con un caloroso benvenuto, rattristata di non potervi meglio accogliere, data l’assenza di preavviso. È costernata di non potervi ricevere prima di metà pomeriggio, ma precedenti impegni già accordati, la occupano. Ogni vostra necessità sarà da me accolta, fino al momento in cui dovrò accompagnarvi dalla Veneranda Madre. Se lo desiderate, vi condurrò a pregare alla Grande Cattedrale, poi potrei mostrarvi la nostra biblioteca o la biblioteca del Convento dei Templari. Oggi è una bella giornata, potrei anche mostrarvi i nostri Giardini di Contemplazione.-
Duncan fece buon viso a cattivo gioco; non era uno sciocco: certamente la Veneranda Madre era stata immediatamente informata del suo arrivo e forse, questo, le aveva donato dei sonni agitati. Come Generale dei Custodi Grigi, era inusuale che lui facesse anticamera, ma dato che non era ancora stata dichiarata l’invasione di un Flagello, questo lo poteva porre in una posizione secondaria, anche se il rispetto e la cortesia, avrebbero dovuto comunque dargli una certa priorità. Cosa aveva portato la Veneranda Madre ad optare per questa soluzione? Una urgente riunione del Consiglio? La paura? Era facile intuire che lui fosse lì per richiedere aiuto e la Veneranda Madre si trovava nell’imbarazzo di non essere stata avvisata e quindi di non sapere chi consegnare ai Custodi Grigi. Dubitava fortemente che lei immaginasse, che lui era lì per un solo nome specifico. Aveva tutti i vantaggi: la sorpresa, il rischio di incorrere in un incidente diplomatico con pesanti conseguenze, il Diritto di Coscrizione. Non voleva arrivare a tanto e contava sull’intelligenza e sulla lungimiranza della Veneranda Madre.
Duncan sorrise a Sorella Ifigenia.
-Sareste davvero gentile, se mi accompagnaste alla Grande Cattedrale: non ho ancora officiato le preghiere del mattino, nel timore di far attendere invano la Veneranda Madre. Dopo, gradirei molto vedere la biblioteca al Convento Templare.-
Soddisfatta, la giovane Sorella obbedì. Scesero le scale e percorsero un lungo corridoio che finiva in una porta chiusa: da lì, si accedeva direttamente alla Grande Cattedrale. Era gremita come ogni ora del giorno: vi erano Sorelle e Madri della Chiesa che pregavano in ginocchio davanti alla colossale statua di Andraste, avvolta dalle fiamme, un Cantore della Luce ripeteva incessantemente il Canto agli invalidi che affollavano una cappella laterale dell’immensa Cattedrale, i fedeli nobili, con le loro maschere dorate, occupavano quasi tutte le panche della navata centrale; la navata laterale sinistra era occupata dai Templari in preghiera e il Creatore volle che fra di loro, ci fosse proprio la persona che interessava a lui. Era alto, biondo, massiccio, decisamente un uomo dall’ultima volta che lo aveva visto: poteva avere 26 o 28 anni, aveva perso il conto. Estremamente in ritardo rispetto agli altri Templari, per compiere La Veglia! Certamente a lui faceva comodo, ma Duncan non poteva fare a meno di chiedersi perché aveva aspettato così tanto. Era per via delle sue origini? La Veneranda Madre sperava di ottenere qualcosa dalla Casa Reale del Ferelden? Voleva conservarsi questa carta il più possibile? Lui non era abile nel Gioco, sicuramente non quanto lei: lo batteva in esperienza e pazienza, ma Duncan non poteva avere pazienza, non aveva più tempo, il Thedas non aveva tempo.
Duncan si inginocchiò sul pavimento nel mezzo della navata centrale, proprio davanti alla statua di Andraste: era impossibile non notarlo, non solo perché era l’unico che non usava l’inginocchiatoio delle panche, ma perché alla luce delle innumerevoli candele votive, il ricamo in filo argenteo dei grifoni rampanti, riluceva. Sorella Ifigenia non fu molto contenta dall’atteggiamento del Generale, ma non osò contraddirlo. Duncan attese. Cominciarono ad esserci, attorno a lui, mormorii diffusi dovuti alla sua presenza: dalla cadenza spiccatamente accentuata, sentì i nobili stupirsi e preoccuparsi e cominciare a dibattere se la sua presenza alla Grande Cattedrale fosse o meno di cattivo auspicio; si aggiunsero altri bisbiglii, qualcuno che lo aveva riconosciuto come il Monsieur Générale, voci femminili che confermavano che attendeva di essere ricevuto dalla Veneranda Madre. Infine, udì il commento sprezzante di qualche Templare, contrapposto a qualcun altro che volentieri, avrebbe fatto parte dei Custodi Grigi. Aveva ottenuto una piccola vittoria: ora, si sarebbe parlato della sua presenza, bene o male non importava; l’importante era che Alistair sapesse che lui era lì. Duncan lasciò passare ancora diversi minuti, poi si alzò, volgendo lo sguardo al volto di Andraste. Sorella Ifigenia, gli si avvicinò.
-Vi ringrazio per la pazienza.- le disse semplicemente Duncan -Vogliamo proseguire?-
Senza attendere la giovane Sorella, Duncan si diresse direttamente dove i Templari erano in preghiera: Alistair non era più fra loro. Sorella Ifigenia lo raggiunse e lo fermò e a gesti, gli indicò una porta laterale posta nella navata: accedeva a un disimpegno su cui si apriva una seconda porta.
-Da questo momento vi chiedo di fare silenzio, Monsieur Générale. Stiamo per entrare nel chiostro di Contemplazione dei Templari, dove vi è l’obbligo del silenzio. Seguitemi doverosamente: non dobbiamo disturbarli.-
Duncan annuì, sorridendole. Quando Sorella Ifigenia aprì la porta, socchiuse gli occhi: il buio solenne della Grande Cattedrale, appena rischiarato dalle candele votive, fu tagliato dalla luce del chiostro penetrata dalla porta; il verde brillante del giardino, si sposava magnificamente con il turchese del cielo e il bianco lucente del marmo, diveniva una splendida cornice di quel luogo sacro. Per un attimo Duncan pensò che, dopotutto, doveva esserci un Dio da qualche parte. Vi erano circa 20 Templari che in quel momento, seduti sulle panchine tra il verde o camminanti sotto il porticato, pregavano con un breviario in mano. Vi era un silenzio quasi sovrannaturale: si poteva udire il flebile vento tra le tenere foglie, il sommesso rumore delle pagine che venivano voltate. Duncan notò che i Templari erano privi di calzature. Una rapida occhiata, assicurò l’assenza di Alistair. Sorella Ifigenia assunse un passo lento e cadenzato, simile all’andatura dei Templari che pregavano camminando; Duncan si chiese cosa potesse significare quell’intrusione: era impossibile che un complesso così ampio non avesse un accesso interno alla Biblioteca. Cosa aveva in mente la Veneranda Madre?
L’accesso alla Biblioteca era esattamente dalla parte opposta alla Grande Cattedrale: li separava l’ampio chiostro con i giardini, che poteva ospitare fino a 100 persone contemporaneamente, senza che si disturbassero a vicenda; a Duncan, sembrò che il tempo stesso potesse rallentare in quel luogo, così distante, così ignaro di ciò che stava accadendo al mondo esterno. Quando raggiunsero la porta che collegava il chiostro alla Biblioteca, Alistair e altri due Templari vi uscirono. I loro sguardi si incrociarono, o meglio, Alistair fu calamitato dalla presenza del Generale dei Custodi Grigi: con un rispettoso inchino, invitò la Sorella e il suo ospite a entrare; Sorella Ifigenia quasi lo ignorò, mentre Duncan lo ringraziò con un sorriso e un cenno del capo. Furono ingoiati dalle tenebre del disimpegno, da cui si dipanava un lungo corridoio e, a sinistra, una buia scalinata, rischiarata da una singola torcia. Persino la giovane Sorella dovette attendere qualche istante per abituare gli occhi all’assenza di luce.
-Il Creatore, con le sue opere, sa essere meravigliosamente accecante. – commentò Duncan, un poco divertito.
La giovane Sorella sorrise imbarazzata, imboccando tentennante, la scalinata fiocamente illuminata.
-In questa biblioteca vi sono molti libri antichi che riguardano la nascita del Culto di Andraste. Vengono conservati testi appartenenti alla sua epoca, i primi Canti da lei scritti al Creatore. Ma vi è naturalmente, tutta una sezione dedicata alla Storia del Thedas, alle sue battaglie, le sue fortezze…armi, strategie…-
-La Veneranda Madre ha colto in pieno il suo ruolo. Il suo lavoro è mirabile.-
La giovane Sorella, compiaciuta del complimento, sorrise.
-Oh, non è certo merito solo della Veneranda Madre Florénce. Ognuna ha lasciato la propria impronta…-
-Ma sono certo che la Veneranda Madre ne lascerà una più importante di altre.- rispose Duncan, molto diplomatico.
Entrarono finalmente nella biblioteca del Tempio: la sala era davvero enorme, alta e ampia. Era suddivisa dagli scaffali, alti probabilmente più di tre metri, che sporgevano verso il centro, creando un corridoio su cui si aprivano diverse teche, che ospitavano testi antichi non consultabili, frammenti o pagine di libri ormai perduti ma dal valore inestimabile, copie uniche di originali introvabili. Intercalavano gli scaffali, strette e alte vetrate dalle lunette colorate, che si aprivano su entrambi i lati della sala, riuscendo a illuminare l’intero spazio. Quattro scale a chiocciola poste all’inizio e alla fine della sala, conducevano a un secondo piano, altrettanto ricco di volumi. Ogni sezione era sapientemente segnalate da placche di bronzo scritte, poste sulle specifiche librerie. Duncan, sinceramente impressionato dal luogo, si attardò ad osservarlo, camminando con calma lungo il corridoio centrale, ammirando le teche che mostravano le loro intoccabili perle. Sorella Ifigenia lo seguiva docilmente, senza interromperlo o disturbarlo. Quando riuscì a catturare la sua attenzione, gli indicò il piano superiore. Si appropinquarono alla scala a chiocciola. Qui vi erano molti più Templari rispetto al piano inferiore e Duncan capì che doveva essere la sezione dedicata alla Storia e alla strategia. Dato che doveva perdere tempo senza darlo a vedere, cominciò a perdere tempo in modo costruttivo: Duncan cominciò a leggere uno ad uno, i diversi titoli dei volumi, contando che Sorella Ifigenia lo avrebbe lasciato solo. Così infatti fu: la vide scendere al piano inferiore. Duncan si avvicinò immediatamente a una delle finestre che davano sul chiostro che avevano appena lasciato: la visione del giardino era perfetta ma incompleta quella sul portico. Cercò tra i volti dei presenti quello di Alistair: lo aveva appena visto entrare nel chiostro, era quindi fattibile che fosse lì, ma non riuscì a trovarlo. Dallo scorcio che aveva del portico, poteva vedere passare chi in qual momento camminava pregando, ma malgrado attendesse, non lo vide. Sentì un rumore alle sue spalle.
-Posso esservi d’aiuto, Generale?-
Alistair stava davanti a lui. Non aveva ben chiaro come fosse riuscito ad arrivare lì, senza che loro lo notassero, o meglio, senza che Sorella Ifigenia notasse che li stava seguendo, tuttavia in qualche modo, aveva raggiunto lo scopo.
-Siete molto gentile, ma ciò che cerco non credo possiate aiutarmi ad ottenerlo: credo serva solo un po’ di pazienza. Ma posso azzardarmi e chiedervi se voi, invece, non stavate cercando me.-
Alistair si trovò preso in contropiede: non si aspettava un colloquio del genere.
-Quindi siete davvero voi. Siete il generale dei Custodi Grigi!-
-Non credevo aveste dei dubbi…-
-Siete qui per cercare delle reclute?-
-Una domanda molto diretta, recluta.-
Alistair abbassò lo sguardo imbarazzato. Sembrò sul punto di aggiungere altro, ma non trovò il coraggio. Duncan gli venne incontro.
-Se così fosse, questo è il vostro modo per candidarvi?-
Alistair cincischiò con le parole, nel tentativo di fornire una risposta.
-Ecco…io…temo di sì.-
Duncan annuì.
-Spero sappiate ciò che state chiedendo, recluta. Per quanto i Custodi Grigi accolgano chiunque voglia loro essere d’aiuto, non scelgono i loro guerrieri con leggerezza. Ho bisogno di valutarvi.-
-Vi risparmio la perdita di tempo: so esserci guerrieri migliori di me che certamente, sceglierete. Tuttavia, sarà molto difficile che certi lascino l’Ordine per divenire Custodi Grigi. E’ un fatto di prestigio, essere un Templare.-
-Voi non desiderate affrontare la Veglia e divenire un Templare?- chiese Duncan, sapendo già la risposta.
-Non ho mai desiderato essere in seno alla Chiesa, tantomeno essere un Templare. Non è stata mia, la scelta, ma di coloro che mi hanno allevato. Vedete…io…-
-So chi siete, Alistair Therin. E so anche che vostra madre era…-
-Un’umile serva alla reggia di Re Maric, lo so!- lo interruppe Alistair, alzando leggermente il tono della voce.
Duncan lo guardò pensieroso: ne scrutò lo sguardo sofferente e rabbioso, ne lesse la solitudine e l’incomprensione, vi trovò un’enorme forza di volontà e un cuore puro. Alistair era un giovane evitato da tutti perché era un bastardo di Re Maric e adulato da tutti perché era un bastardo di Re Maric; probabilmente non aveva conosciuto una sincera amicizia nei suoi camerati e ancora meno, un’ amore disinteressato nelle donne. Ciò che aveva creato più sofferenza in Duncan, era che Alistair non sapeva la verità su sua madre. Non era certamente questo, il momento più adatto per certe rivelazioni, ma lui avrebbe dovuto sapere, un giorno. Alistair, doveva sapere.
-Ai Custodi Grigi non interessano le vostro origini. Interessa ciò che sapete dare alla causa. Parteciperete al Torneo che si terrà domani?-
Alistair annuì.
-Ci vedremo lì, allora. Sarò fra il pubblico.-
Duncan non aggiunse altro: passò oltre la spalla di Alistair e si diresse alla sezione delle Fortezze del Thedas. Sopraggiunse Sorella Ifigenia, insospettita dal chiacchiericcio: trovò Alistair in procinto di scendere dalla scala a chiocciola che, galantemente, le cedeva il passo. Fatti pochi passi, trovò Duncan accanto a una finestra con un libro in mano, intento a leggere. Non sembrò nemmeno accorgersi della sua presenza, tanto sembrava assorto dalla lettura. Vi erano diversi Templari lungo il piano, che non fecero minimamente caso alla sua presenza. Qualcosa non quadrava, ne era certa, se lo sentiva: le era sfuggito un particolare. Ripromettendosi di essere più accorta, Sorella Ifigenia si sedette poco lontano dalla scala a chiocciola, continuando a leggere il suo breviario.

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Capitolo 3
*** Un bastardo reale III ***


La Veneranda Madre era stata di parola: Duncan fu ricevuto nel suo studio, poco prima del tramonto. Si dimostrò un perfetto anfitrione, aprendo l’incontro con molteplici scuse per la sua incapacità di accoglierlo a dovere, passando poi a offerte di prelibatezze dolci o salate tipicamente orlesiane, accompagnate ovviamente da raffinate tisane dai commerci di Antiva o prezioso vino di Rialto. Duncan, da Giocatore acerbo ma non avventato, ne sciocco, accettò l’offerta più costosa, il vino di Rialto, complimentandosi per l’ottimo gusto della Veneranda Madre ed esternando la sua gratitudine per un’accoglienza così onorevole, malgrado l’assenza di preavviso. L’attesa dell’arrivo del vino, fu condita da cortesi convenevoli sullo stato di salute, lo stato degli eventi, voci di corridoio azzardate ma contenute, domande rituali e necessarie al Gioco, affinché uno dei due contendenti scoprisse, inavvertitamente, le proprie carte. Duncan si rese conto che, al momento, stava reggendo bene lo status del Gioco dell’esperta Veneranda Madre, ma sapeva anche che questa era solo la fase “dell’affilamento dei coltelli”: quando i calici di vino sarebbero giunti e la Veneranda Madre avrebbe chiesto di “ essere lasciata indisturbata “ a conferire con il suo illustre ospite, lì sarebbe cominciato l’assalto.
Duncan ricordò un suo camerata che era stato un bardo orlesiano, prima di divenire un Custode Grigio; “Bardo Orlesiano” è un termine forbito per indicare una persona priva di scrupoli e in possesso di molteplici capacità, per carpire, ricevere, creare e rivendere informazioni, con l’aggiunta di una bella voce, dono della poetica e, perché no, una buona conoscenza dei veleni o dell’uso di un’arma bianca. Si ricordò improvvisamente di lui poiché, una volta, gli descrisse un consesso tra quattro nobili orlesiani, di pari grado per possedimenti e matrimoni, che volevano in realtà prevaricarsi a vicenda per ottenere un buco di miniera. Il Bardo gli descrisse proprio l’arrivo dei calici di vino, offerto da uno dei quattro nobili: i 4 calici rimasero nel vassoio per quasi 40 minuti, prima che uno dei quattro si decidesse a servirsi. E non fu lui ad accreditarsi la miniera. “È come una partita a scacchi: iniziano i bianchi, il primo pedone può muovere due caselle ma può crearsi l’incastro con la contromossa dei neri. Possono muoversi Alfiere e Regina e in un attimo, sei nella trappola del Barbiere. Prendere un calice da un vassoio, è come una partita a scacchi: se scegli il calice sbagliato e lo prendi nel modo sbagliato e nel momento sbagliato, hai chiuso la partita. Sei in scacco matto ancora prima di iniziare a pianificare una strategia.” Duncan sapeva di non poter reggere il confronto con la Veneranda Madre, ma sperava di non dover arrivare ai ferri corti.
Il vino fu portato e la fatidica frase sancita: Duncan attese che la Veneranda Madre scegliesse il bicchiere, anche se la donna gli offrì il vantaggio di scegliere, ma lui insistette; la Veneranda Madre prese il calice più vicino a Duncan e attese che il suo ospite si fosse servito e avesse assaggiato. Il vino di Rialto: leggero, fruttato, rosso rubino, leggermente aspro, ovviamente da convivio o da pasto frugale. Duncan era abituato a vini molto più corposi o intrugli infiammabili, ma si complimentò per la scelta; questo, aprì una lunga parentesi su come la Veneranda Madre era venuta a conoscenza dell’esistenza del vino di Rialto: il Barone Taldeitali, parente del Barone Tizio, sposato con la Baronessa Tizia, che era una grande amica della Marchesa Blabla, era divenuto estremamente devoto ad Andraste, sentendo un sermone della Veneranda Madre. Per riconoscenza, volle inviare un dono e la Marchesa Blabla, gli consigliò il Rosso di Rialto; da quel momento, nei suoi convivi, la Veneranda Madre aveva offerto solo quel vino. Duncan cominciò a capire il piano della Veneranda Madre: intendeva perdere tempo ma non ne capiva il reale fine, facendolo cedere ed entrare in argomento per primo. Prese il toro per le corna: dopo aver sottolineato nuovamente il buongusto della Veneranda Madre, scelse di intervenire direttamente.
-Veneranda Madre, non voglio rubarvi altro tempo prezioso con la mia invadente presenza: sono qui, per richiedere il vostro aiuto. Sono sempre più numerosi gli avvistamenti di Prole Oscura e contano sempre più individui. Le Selve Korkari, pare siano ormai completamente invase e da Orzammar giungono ogni giorno, segnalazioni di nuove incursioni verso la superficie. Come sapete, i Custodi Grigi sono in numero esiguo. Se dovesse verificarsi un nuovo Flagello…-
-È questo che temete, Monsieur Générale? Che si verifichi un nuovo Flagello?- chiese la Veneranda Madre, con tono glaciale, evidentemente disturbata dalle maniere rozze del Generale.
-Ovviamente, Veneranda Madre. Non possiamo permettere che la Prole Oscura compia una strage nel Ferelden, per poi espandersi. Non credo vogliate un genocidio.-
La Veneranda Madre tacque; sorseggiò con aria compiaciuta il suo Rosso di Rialto, ammirandone il colore, le ombreggiature amaranto, come se non stesse ascoltando con precisione il suo ospite. Improvvisamente sembrò ridestarsi, tornando a guardare il Generale.
-Un Flagello, tuttavia, vi è solo quando compare un Arcidemone che comanda l’armata, è corretto?-
-Sì, Veneranda Madre ma, per il numero esiguo che contiamo in questo momento, se attendessimo il palesarsi di un Arcidemone per organizzarci, sarà ben troppo tardi. Ho bisogno del vostro aiuto, ora.-
La Veneranda Madre sembrò per un attimo perdersi nuovamente nei suoi pensieri, attraversando con lo sguardo il vino rimasto nel suo calice, che agitava ritmicamente con la mano. Poi si ridestò, appoggiando nuovamente il calice sul vassoio d’argento. Duncan ebbe l’impressione di osservare un felino che gioca con la sua preda, prima di divorarla.
-E chi intendereste chiedere? Auspico vi rendiate conto, che il vostro arrivo è alquanto intempestivo. Domani si terrà il Grande Torneo, tutte le famiglie delle reclute Templari saranno presenti, e non solo. In questo Torneo, verrà deciso chi compirà la Veglia ed entrerà effettivamente nell’Ordine e dove prenderà servizio. Come potrò spiegare ai parenti presenti, che il loro figlio o figlia, in molti casi unico genito, è stato dato ai Custodi Grigi perché vi sono gruppi numerosi di Prole Oscura nelle Selve Korkari? Come potrò spiegare loro che non diventeranno Templari al servizio della Chiesa di Andraste, quando mi sono stati affidati perché camminassero nella Luce del Creatore?-
-Immagino solo, quale offesa rechereste loro…- sbottò Duncan, in tono risentito.
-La vostra polemica è fuori luogo, Monsieur Générale, poiché ciò nondimeno, è così. Per queste famiglie, sarebbe un’offesa. E una disperazione, non poter più vedere il proprio figlio, per saperlo disperso chissà dove a combattere mucchi di mostri selvaggi.-
-Mi state dicendo, che non mi darete alcun aiuto?-
La Veneranda Madre aprì la bocca per aggiungere qualcosa, ma si fermò; scrutò nuovamente il suo calice sul vassoio, lo prese, e ricominciò ritmicamente a rotearne il liquido al suo interno. Duncan cercò di non perdere la calma: la perdita di tempo, lo stagnarsi della situazione, faceva parte del suo Gioco e non doveva lasciarla vincere; aveva lo scacco matto nella manica, non doveva cedere alla sua inerzia.
-Non mi tirerei mai indietro, davanti a un’emergenza simile! Come vi è potuto venire in mente, Monsieur Générale? Come avete potuto travisare tanto, la mia preoccupazione?-
Duncan sospirò e si inumidì le labbra.
-Perdonatemi, Veneranda Madre. Ho lasciato che la mia preoccupazione, prevaricasse la vostra. Sono rasserenato nel comprendere che accetterete la mia richiesta di aiuto e, attenderò la fine del Torneo, per sapere i nomi di coloro che potranno divenire Custodi Grigi. Vi ringrazio sentitamente per avermi invitato: non si vede tutti i giorni un Torneo di questo calibro.-
La Veneranda Madre svuotò il calice: aveva avuto ciò che voleva ma non stava brindando a una vittoria, bensì a un pareggio, e doveva ingoiare un boccone amaro; aveva ottenuto l’attesa, ma sapeva di non poter negare completamente il suo appoggio ai Custodi Grigi, nemmeno se si fosse trattata di una semplice orda, figuriamoci poi, se si fosse manifestato un vero Flagello! Aveva un po’ di tempo per ponderare nomi di nemici, nobili poco influenti o che avevano manifestato poca simpatia per lei, magari qualche orfano che era in seno alla Chiesa…le balenò improvvisamente il nome di Alistair Theirin. La Veneranda Madre appoggiò il calice sul vassoio di metallo con impeto.
-Voi siete qui per Alistair!- scattò.
-Siete incredibilmente brava. E sapete anche perché?-
-Perché è figlio di Re Maric! In linea di successione al trono è secondo dopo Cailan, essendone il fratellastro!-
-No, non è quello il motivo. Questo, è il motivo per cui voi lo tenete ben stretto, in seno alla Chiesa…-
-Infatti, non lo avrete! Non solo perché è poco brillante nelle armi, quindi non è un buon candidato per voi Custodi, ma poiché ci è stato affidato da Arle Eamon Guerrin affinché lui diventi un Templare! –
-Immagino! Un Templare, rinuncia a tutto: cariche nobiliari e politiche, ricchezze, potere, per porsi a servizio. In questo modo, potate un ramo imbarazzante dell’albero dei Theirin, senza sporcarvi le mani e la coscienza!-
La Veneranda Madre socchiuse i suoi occhi verdi da felino: aveva parlato troppo e troppo apertamente, ma Duncan non mollò la presa.
-Non ditemi che nella vostra immensa conoscenza del Gioco, non avete mai pensato a questo aspetto…-
-Ma come osate? Io mi occupo unicamente della volontà dei familiari che mi affidano i loro protetti e delle anime dei protetti stessi! L’Arlessa Isolde Guerrin era assai preoccupata per il giovane: solo, senza un tutore, in pasto a una corte…-
-Che lo additava come bastardo dell’Arle stesso. Un pericolo, per il suo nascituro! Suvvia, Veneranda Madre, non sminuite la vostra esperienza nel Gioco: avete fatto un grosso favore alla Casa Reale del Ferelden, un favore che sono certo, riscuoterete. Io non vi ho nascosto il mio interesse per Alistair. Siate altrettanto onesta.-
La Veneranda Madre sorrise: era un sorriso dolce, inquietante nel contesto. Scosse il capo.
-Per ciò che avete detto e molte altre ragioni, Alistair Theirin non posso cedervelo.-
Duncan sospirò. Prese il suo calice di vino, lo svuotò volgarmente in un sorso e lo appoggiò, vuoto, accanto a quello della Veneranda Madre. Fece un inchino con il capo.
-Non mi lasciate molta scelta. Non vi importuno oltre, Veneranda Madre. Sarò accanto a voi al Torneo. Che Andraste vi preservi. Posso chiedere licenza di andare?-
La Veneranda Madre non rispose: aveva nuovamente un boccone amaro in bocca e aveva finito il suo prezioso vino. Perché mai si era arreso così facilmente il Generale? Aveva in mente qualcosa? Stava semplicemente temporeggiando? Aveva un secondo nome in mente a cui, lei, non aveva pensato? Con un cenno del capo e della mano, accomiatò l’uomo. Rimasta sola, cominciò a riflettere, non solo a cosa le era sfuggito, ma anche a qualche nome da fornire al Monsieur Générale. Tuttavia, doveva togliersi dalla bocca il retrogusto allappato che la schermaglia, le aveva lasciato. Chiamò altro vino, in modo che le sue riflessioni fossero ben accompagnate.
Duncan, tornando al suo alloggio accompagnato da Sorella Ifigenia, rifletteva su due punti: Veneranda Madre Florénce non sapeva nemmeno lei chi fosse la vera madre di Alistair o preferiva non ricordarlo? Non voleva cederlo perché sapeva la madre di Alistair essere una maga? Isolde temeva che Alistair potesse sviluppare la magia? O forse, lo temeva l’Arle stesso? Inoltre, era stato detto che Alistair, con le armi, non era molto brillante…se non fosse stato sufficientemente competente, per entrare nei Custodi Grigi? Dubitava che nell’addestramento dei Templari vi fossero lacune in merito: i Templari erano i guerrieri migliori del Thedas, anche quando non erano particolarmente portati per le armi. La loro preparazione era ineccepibile. Tuttavia, anche questo poteva essere un trucco della Veneranda Madre per scoraggiarlo.
Mentre camminava per il lungo corridoio coperto di vetrate, si fermò a guardare il cielo: la prima stella della sera, era comparsa nel cielo indaco striato da nubi violacee. Duncan rimase ad osservarla, vedendola divenire sempre più fulgida, più il cielo si inscuriva, anche se comparivano altre stelle. Il suo cuore sorrise: i Custodi Grigi erano come quella stella; vegliavano silenti nella luce della pace, ma la loro luce appariva appena l’oscurità si addensava e più le tenebre si infittivano, più la loro luce si faceva raggiante. Congedò la giovane Sorella, volendo scrollarsi di dosso la presenza della Veneranda Madre per restare solo con i suoi pensieri. La giovane Sorella lo lasciò con un inchino, ricordandogli di farla chiamare per ogni necessità. Duncan tornò a guardare la stella, nel cielo che si faceva scuro. Non restò solo molto a lungo: sentì dei passi avvicinarsi ed erano troppo rumorosi e pesanti per appartenere a Sorella Ifigenia.
-Generale, ci raggiungete all’ultimo pasto?- chiese Alistair a bassa voce.
-Siete molto gentile, ma la Veneranda Madre non credo approverebbe.-
-Non dovete preoccuparvi: ci penserà l’Alto Comandante. L’invito è da parte sua, ma ci tenevo a portarvelo di persona. Credo di dovervi delle scuse.-
-Accetto con onore l’invito, ma non comprendo quali scuse mi dobbiate, Alistair.-
Duncan fece cenno al giovane di guidarlo.
-Sono stato sfrontato e stupido nel propormi a voi: so bene che vi sono guerrieri molto più capaci e altolocati di me. I Custodi Grigi hanno bisogno di talenti con una preparazione e una predisposizione migliore della mia. Quindi, vi chiedo perdono.-
Duncan rimase in silenzio per qualche momento: anche Alistair si rendeva conto di non possedere grandi doti combattive e a questo punto, era sempre più curioso di vederlo alla prova.
-Parteciperete domani?-
-Sì, naturalmente. Sono tra i probabili candidati alla Veglia.- rispose Alistair, con un tono rassegnato e greve, che a Duncan non sfuggì.
-Lasciate giudicare a me, allora.-
Alistair non proferì altro, ma aveva il volto evidentemente pensieroso e turbato.
-Non sembrate così entusiasta, della vostra prossima prova. La Veglia, è come il Tormento per un mago: è ciò per cui avete studiato tanto in questi anni, è ciò che vi consacrerà Templare, è al tempo stesso una meta e una nuova origine. Vi turba, forse, questa prospettiva?-
-Generale, sapete chi sono ma evidentemente, non la mia storia. Poco importa: io fui mandato qui forzatamente, perché non gradito all’Arlessa, moglie devota di Arle Eamon Guerrin. Io non ho mai voluto stare qui, ne ho voglia ora di completare questo cammino con la Veglia. L’unica cosa che ho trovato interessante in questa vita, è stato l’addestramento, la disciplina. Tutto il resto…-
Erano arrivati alla mensa dove i Templari presenti nel Palazzo, si radunavano a desinare: un’enorme stanza dove lunghi tavoli semplici in legno, accompagnati da altrettanto semplici panche, formavano l’arredamento; un ampio camino, acceso e ben attizzato, era in fondo alla stanza e la illuminava assieme a una fila semplice di torce. Vi erano quattro alte finestre, strette, che tradivano l’arrivo della sera. Essendo in libertà da ogni convenevole, i Templari presenti si lasciavano andare a chiacchiere, sonore risate, scherzi e battute; era effettivamente una grande famiglia, non dissimile da come i Custodi si consideravano. Il chiasso non diminuì quando lui entrò seguendo Alistair, ma si fermò totalmente quando il Comandante venne loro incontro.
-Sono lieto abbiate accettato il mio invito, Generale. E’ per me, per tutti noi, un grande onore. Immaginiamo cosa significhi la vostra venuta qui, ma vorremmo per una sera, farvi dimenticare i vostri pensieri e accogliervi. Avrete un posto alla tavola dei graduati. Venite.-
Il Comandante congedò Alistair con un sorriso e accompagnò personalmente Duncan alla tavola alta: vi erano 8 posti perfettamente disposti, più due che occupavano entrambi i capotavola. Duncan venne fatto accomodare proprio accanto al Comandante.
-Il vostro invito giunge inaspettato: io non avevo dato alcun preavviso del mio arrivo.- disse Duncan, inchinandosi all’ospitalità del Comandante Templare.
-Abbiamo tutti occhi per vedere e orecchie per ascoltare: sapevamo che voi eravate arrivato qui, prima che veniste alla Grande Cattedrale. Siete la novità del giorno, una novità non trascurabile.-
-Non so se la Veneranda Madre approverà…-
-Non ho ricevuto alcun divieto nei vostri confronti. E domani, questa serata sarà già passata.- concluse con calma il Comandante.
L’Alto Comandante Etienne de Caumont era un colosso alto e massiccio con una zazzera brizzolata che faceva capolino dalla tempia destra, imbiancando i suoi capelli biondi. Aveva una curatissima barba con pizzetto, da cui spuntava una vistosa cicatrice sul mento. Aveva zigomi alti, il volto lungo e magro, pallido, con profondi occhi castani. Aveva il rispetto e il timore dei suoi uomini, non solo per il suo grado e la sua posizione, ma soprattutto per le sue capacità, umane e belliche; Duncan capì immediatamente che l’Alto Comandante, aveva un animo comprensivo e perspicace, in grado di guardare e vedere, ascoltare e sentire. Lui, gli sarebbe stato di grande aiuto.
L’Alto Comandante si alzò in piedi e, a quel segnale, tutti i presenti che ancora non avevano occupato un posto, si avvicinarono alle tavolate, riempiendo le panche in un brusio che divenne silenzio. Iniziò così la preghiera del desinare, a cui Duncan si unì volentieri. Finita la preghiera, il silenzio venne rotto nuovamente da un allegro chiacchierio conviviale, con qualche nota troppo alta che il Comandante sottolineava con una occhiata tagliente, ricevendo delle pronte scuse. Fu servito l’ultimo pasto della giornata, composto da pesce alle erbe e patate, accompagnato da una brocca di vino. Il Comandante fu di parola: non chiese a Duncan indiscrezioni sul motivo per cui era lì, ne se aveva già conferito con la Veneranda Madre in merito. Si limitò a presentare i commensali con cui divideva la tavola alta, soprattutto l’illustre ospite che sedeva al lato sinistro dell’Alto Comandante Caumont: l’Alto Comandante dei Templari di Kirkwall, Meredith Stannard. Meredith era una donna dalla carnagione pallida, lo sguardo altero e glaciale, peggiorato da due occhi azzurro ghiaccio che sembravano sempre accusatori. Era una donna estremamente affascinante, alta, longilinea, dal generoso seno che non diveniva anonimo sotto la divisa templare, con lunghi capelli biondi, ondulati, lasciati al momento liberi. Duncan la guardò di sfuggita: non era di molte parole ne di molto appetito, tuttavia si dimostrò cortese, malgrado il tono secco e profondo della sua voce. Tutti le parlavano con estremo rispetto e Duncan era sicuro che non fosse solo per il suo grado; tuttavia, c’era qualcosa in lei che lo metteva a disagio: il modo in cui Meredith guardava le persone, sembrava uno scrutare profondo, come se fosse all’assidua ricerca di qualcosa che, era sicura, avrebbe certamente trovato. Duncan la percepiva come una donna tormentata da una sorta di ossessione, come se fosse inseguita da un Demone, o forse, fosse lei ad inseguirlo. Comunque, non godeva della pace nel cuore che pervadeva l’animo dell’Alto Comandante Caumont. Notò che molte reclute le gettavano occhiate furtive e commentavano a bassa voce; era possibile che Meredith, come lui, fosse lì per trovare nuove leve.
Duncan finì il vino che gli era stato versato, ovviamente, completamente diverso dal Rosso di Rialto che la Veneranda Madre aveva offerto qualche ora prima. Diverse reclute avevano lasciato presto le loro tavole, passando a salutare prima di congedarsi, probabilmente chiamati a ben altri doveri; ad un certo momento, giunse anche Alistair: quando si chinò a salutare l’Alto Comandante Caumont e per ordine di grado, l’Alto Comandante Stannard; guardò in modo significativo Duncan prima di andarsene. Quello sguardo, non sfuggì all’Alto Comandante Caumont.
-Credo potremo procedere con le preghiere di congedo per la notte. Volete seguirci, Generale?-
Con un cordiale cenno del capo, Duncen annuì.
Coloro che avevano lasciato la mensa comune prima degli altri, erano tutti nella Grande Cattedrale in preghiera, compreso Alistair. Ormai mancava solo la notte al fatidico giorno del Torneo e chi vi avrebbe partecipato, doveva riposare e concentrarsi. Duncan, forse per la prima volta in vita sua, recitò quella che doveva essere vagamente una preghiera: sapeva di avere dalla sua parte il Diritto di Coscrizione, ma non voleva giungere a tanto, creando una frattura così profonda con l’Ordine dei Templari e con la Chiesa di Val Royeaux; chiese ad Andraste di illuminare i pensieri e gli intenti non solo della Veneranda Madre, ma anche i suoi e di portare a comprensione entrambi. Duncan non si riteneva ne perfetto ne infallibile, anche se veniva ritenuto un Generale eccezionale per la sua grande capacità di prendere decisioni rischiose e affrettate, sempre azzeccate; non doveva affatto essere proprio questo incontro, il suo primo fallimento.

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Capitolo 4
*** Un bastardo reale IV ***


Alistair si era affrettato a consumare il suo desinare, non perché fosse impellente la sua presenza in qualche turno, ma perché voleva raggiungere presto il suo alloggio: aveva in qualche modo fretta, fretta di restare solo, con sé stesso, con i suoi pensieri, con le sue domande, i suoi dubbi. Era stato assente e distratto con le reclute con cui divideva il tavolo e lui stesso, a tratti, era distratto dai suoi stessi pensieri dalla presenza di Duncan alla tavola alta, a cui gettava occhiate veloci e furtive, come se si volesse assicurare di non vederlo svanire all’improvviso o, forse, sperasse di essere da lui osservato.
L’arrivo di Monsieur Générale alla Grande Cattedrale proprio poco prima del Gran Torneo e in concomitanza con l’avvicinarsi della sua Veglia, non poteva non essere un segno; spesso, preso dallo sconforto, aveva pregato affinché qualcuno o qualcosa, qualsiasi cosa, lo facesse uscire da lì. Non odiava quella vita, almeno non più, da quando vi aveva trovato un’affinità, un piacere, ma non era una via che aveva scelto spontaneamente: lui non voleva divenire un Templare. Lui non era come Elazar, che era stata promessa all’Ordine dal padre, da cui aveva tratto esempio ed ispirazione, prendendo il fardello con onore, un onore da meritare ogni giorno, in ogni gesto; lui non era come Cullen che aveva sognato di diventare Templare dalla tenera età di 8 anni e, malgrado le poche possibilità poiché privo di titoli e di mezzi, era riuscito ad entrare nell’Ordine e a divenire un eccellente Templare, che ora serviva a Kinloch Hold, alla Torre del Circolo. Aveva provato un forte fascino nell’addestramento Templare, nella conoscenza delle diverse armi, nella lotta corpo a corpo, aveva trovato piacere nella disciplina, diletto nelle schermaglie con i suoi camerati e passione per lo studio della strategia, ma non aveva minimamente la fede necessaria. Credeva certamente nel Creatore e in Andraste, sua sposa, ma non possedeva ciò che si poteva chiamare fede; Cullen possedeva la fede, una fede pura e profonda, dettata direttamente dal cuore: il Creatore vegliava su di loro, su ognuno di loro in ogni istante, non vi era gesto che loro compissero che non fosse stato da lui ispirato o voluto, e per ogni gesto, loro venivano giudicati costantemente. La retta via era quella della legge del Creatore e del vivere nel suo volere, in ogni istante e, malgrado questo, il Creatore metteva i suoi fedeli perpetuamente alla prova. Eppure persino lui, nell’apprendere l’interminabile Canto della Trasfigurazione, si era lasciato andare al sonno durante le ore notturne, che sembravano divenire eterne.
Alistair, quella sera, sentiva che stava officiando la Compieta con particolare fervore: non sapeva bene cosa pensare, cosa chiedere o aspettarsi, ma sapeva di volere un cambiamento. Se Duncan non lo avesse accettato tra i Custodi Grigi, avrebbe affrontato la Veglia con tutti i presupposti negativi che vi erano dentro di lui? Si sarebbe piegato a divenire dipendente dal lyrium per tutta la vita, affinché potesse usufruire delle capacità Templari di controllo sui Maghi e per possedere la dissoluzione contro i loro incantesimi? No, non poteva farlo, prima di tutto per rispetto verso se stesso. Avrebbe lasciato l’Ordine? Avrebbe chiesto alla Veneranda Madre di lasciarlo andare? Avrebbe mai potuto lasciare a piede libero, un bastardo di Re Maric? La sua testa era una tempesta di domande, di dubbi, di certezze ferme che non sapeva come avrebbe potuto esprimere: anche se sapeva di non essere all’altezza, poteva solo dare il meglio di sé domani, al Torneo, cercare di farsi notare. Altrimenti, avrebbe affrontato la Veneranda Madre.
La piccola stanza, minimamente ammobiliata, dove lui riposava presso il Convento, quella sera la sentiva estranea e ancora più stretta: fissava, seduto sulla sua branda, la piccola statua di Andraste situata nella nicchia, sotto il quale vi era l’inginocchiatoio in legno grezzo e la libreria, posta accanto, dove vi erano i suoi libri di preghiere, con un sentimento simile alla prima notte in cui vi aveva dormito; incomprensione, solitudine, vuoto, tre fedeli compagni che lo avevano seguito da quando era bambino, malgrado la presenza e l’affetto di Arle Guerrin. Riconosceva ora, da adulto, di quanto fosse stato ostinato e spesso intrattabile, nei confronti del nobile vecchio: dopotutto, lui non era affatto tenuto a prendersi cura di lui; Arle Eamon Guerrin, era il fratello della Regina Rowena, moglie di Re Maric, quindi non aveva alcuna parentela con lui, ma aveva un sincero affetto e un profondo rispetto per il suo Re, da prendersi cura del figlio naturale, nato da un clamoroso errore. Quando fosse uscito da lì, in un modo o nell’altro, gli avrebbe scritto e fatto visita. Almeno, per ringraziarlo.
Alistair si stese sulla sua branda, dal bitorzoluto e scrocchiante materasso di paglia, che spesso lo pungolava nel sonno: sapeva di dover cercare di riposare il corpo e soprattutto, la mente, ma non riusciva a lasciare andare nessuna delle parole che gli affollava la testa in quel momento; era come se cercasse di far scorrere il tempo più velocemente e lui, caparbio, continuasse imperterrito a scorrere lento, infischiandosene della sua incapacità di reggere la tensione dell’attesa, sospinto dalla smania di conoscere il suo destino.
-Disciplina.- disse all’oscurità della sua stanza, tagliata da una fessura nel legno dello scuro alla finestra, che lasciava entrare un raggio lunare. Era ciò che gli avrebbe detto Elazar: la sua capacità di mantenere il sangue freddo era proverbiale e più volte, lo aveva ripreso durante l’addestramento, quando si faceva sopraffare da Cullen in duello. Era troppo passionale, gli diceva, troppo incline a lasciare che i suoi sentimenti momentanei guidassero il braccio e quindi, la spada.
-Devi analizzare la battaglia, organizzare i tuoi movimenti e capire l’organizzazione dei movimenti del tuo avversario. In questo modo, riuscirai a prevederlo, a trovare il punto debole e contrattaccare.-
Quante volte glielo aveva detto Cullen? Alistair sorrise. La felicità di Cullen, il giorno in cui gli era stata comunicato che avrebbe affrontato la Veglia, era stata contagiosa: anche se sapeva che avrebbe presto perso colui che considerava un fratello, non poteva esimersi dal sentirsi orgoglioso e raggiante per il suo amico. Cullen aveva realizzato il suo sogno, un sogno che coltivava da quando era bambino: lui, non ricordava di avere mai avuto un sogno da coltivare, se non quello di avere una famiglia, una madre, un padre. Forse, poteva raggiungere Goldanna, la sorellastra che sapeva abitare a Denerim e…Ad Alistair non venne in mente null’altro: lui era a conoscenza di Goldanna e sapeva dove rintracciarla, ma non poteva asserire il contrario, poiché in tutta la sua vita, non aveva ricevuto alcuna lettera da lei. Sapeva di avere un fratello, da qualche parte, nel mondo? Sospirò: doveva davvero trovare un modo di acquietare mente e nervosismo, altrimenti sarebbe stato troppo stanco il giorno successivo e il suo corpo non avrebbe risposto alle necessità di sforzo negli scontri e non avrebbe trovato la concentrazione necessaria. Fissò per alcuni momenti, le fiamme danzanti sul grosso ciocco di legno appena aggiunto, che lentamente, lo consumavano: avrebbe dovuto tenergli compagnia fino al mattino successivo, quindi sarebbe stato il guardiano del suo sonno; il fuoco, con il suo scoppiettare, il suo flebile calore e il suo movimento fluente, riusciva di solito, a conciliargli il sonno. Ma non era così, quella notte: le alte fiamme, disturbate da una lieve umidità del legno, chiacchieravano e gli rammentavano la storia che Elazar raccontava in merito, ogni volta che era in turno di guardia notturna con lui; Elazar diceva che il fuoco, quando chiacchierava, doveva darti un messaggio importante di cui, solo lui, era responsabile e messaggero: essendo il fuoco un elemento primordiale, aveva conoscenze assai antiche, almeno quanto quelle del Creatore. Cullen, aggiungeva sempre un tocco personale al “messaggio” privato da parte del fuoco: che doveva ricordarsi di tenere più alto lo scudo o allenarsi di più con la spada bastarda. Alistair si girò supino sulla sua scomoda branda, fissando il soffitto da cui penzolava una piccola lanterna ad olio, rigorosamente spenta: un argenteo raggio di luna si depositò proprio sul suo viso, distraendolo completamente da ogni altro pensiero. Si alzò dalla sua branda e si avvicinò alla finestra: era un movimento che non aveva altro scopo se non quello di mescolare i suoi pensieri e chissà, forse, riuscire a chiuderli nel barattolo magico che aveva dentro la sua testa. Scrutò la luna attraverso la fessura, come se cercasse una risposta, un conforto che lo quietasse. La luna, quasi piena nella notte limpida, rischiarava completamente l’oscurità, portando una luce similmente diurna nella piazza; l’aria era così tersa che, attorno ad essa, vi era un’ alone argenteo che sembrava diluire persino il blu scuro del cielo. Alistair la guardò per diverso tempo, come se stesse contemplando un volto a lui familiare ma a cui non riusciva ad allacciare un nome. Avrebbe potuto guardare allo stesso modo, la donna che amava e che ancora non aveva trovato e nemmeno incontrato: una pelle in fine porcellana orlesiana bianca, occhi grandi e caldi, corpo morbido e affusolato, lunghi, lunghissimi capelli castani dai riflessi dorati. Sorrise nuovamente: questo pensiero dolce, in qualche modo, lo stava acquietando dai funesti presagi sul suo futuro. A differenza di altre reclute, che avevano usato il fascino della divisa per far colpo sul mondo femminile, o maschile a seconda dei gusti o del sesso di appartenenza, lui non si era mai dedicato con particolare interesse a questo genere di cose; avrebbe voluto avere, in certi casi, la sfrontatezza che Elazar usava nel rifiutare brutalmente ogni pretendente che, inevitabilmente, si creava nell’ambiente che lei frequentava. Elazar aveva in effetti un certo fascino, probabilmente dettato dalla sua altezza e dalle onde fulvo-dorate dei suoi capelli, oltre che dal nome della sua famiglia e dalla fama di suo padre; tuttavia, non si poteva negare che lei, avesse un certo ascendente sul mondo maschile, ascendente a cui lui e Cullen, erano evidentemente immuni: lui per imbranataggine, Cullen per disinteresse, essendo esclusivamente impegnato ad essere un Templare modello.
Alistair tornò alla sua branda con la mente ricolma dei ricordi costruiti assieme ai suoi amici fraterni, ormai lontani: la loro presenza, poi la loro vicinanza, aveva scaldato un luogo per lui freddo, ostile, indesiderato, aveva portato la luce in giorni bui e grigi, aveva fatto nascere il seme di ciò che significa avere una famiglia, il sapore di un supporto sicuro su cui contare. Chiuse gli occhi sulle vivide immagini degli scherzi e dei tiri mancini che avevano architettato ai danni delle reclute più anziane, nel momento in cui li avevano subiti e quelli invece, riservati alle reclute più giovani, in segno di benvenuto. Ripensò alle lettere di Elazar e Cullen, che ancora conservava tra le sue poche cose, a ciò che gli avevano raccontato sulla loro nuova vita; ora, era il suo tempo, il suo momento di scrivere loro cose nuove, fuori da queste mura, fuori da questa vita. Mentre si addormentava, Alistair divenne consapevole che, passato il giorno futuro, una volta concluso il Torneo, lui non sarebbe più stato quello di prima: sarebbe stato diverso e con lui, sarebbe stata diversa la sua vita.

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Capitolo 5
*** Un bastardo reale V ***


Le ombre si allungavano nelle stanze private della Veneranda Madre, la luce naturale non entrava più dalle colorate finestre piombate. Era il momento di chiudere le pesanti tende di velluto crema, di ravvivare il fuoco e far portare altra legna per la notte: presto l’umidità avrebbe impregnato l’aria e il corpo fermo, avrebbe risentito del freddo nella stanza. Inoltre, ci si doveva preoccupare di chiedere il desinare per quella sera, prima che si facesse troppo tardi e il riposo ne risentisse.
La Veneranda Madre Florénce aveva passato le ore che la separavano dal desinare, con la mente divisa in due: una parte, cercava di concentrarsi per gli ultimi preparativi al Torneo, l’altra, aveva un tarlo che portava il nome di Duncan. Gli aveva messo alle costole una giovane Sorella della Chiesa, una novizia particolarmente sveglia che, doveva seguirlo e scortarlo in un ideale percorso scelto da lei e tenerla aggiornata sui movimenti sospetti del Generale dei Custodi Grigi. Ogni volta che ripensava alle pretese che il Generale aveva avanzato su Alistair, gli si dipingeva sul volto una smorfia di disappunto: come poteva anche solo lontanamente pensare, di poter reclutare per i Custodi Grigi, il bastardo di Re Maric? Con quale arroganza, pensava di strappare alla Via Templare, proprio il bastardo reale? La verità, era che i Custodi Grigi si sentivano al di sopra delle parti e in tale modo agivano: avevano diritto durante un Flagello di reclutare chiunque ritenessero necessario, ma non vigeva alcun obbligo di cedere ciò che veniva richiesto, a meno che non fosse invocato il Diritto di Coscrizione. Il Diritto di Coscrizione faceva parte dell’accordo stipulato con tutte le forze in campo e risaliva ai tempi del Primo Flagello: ne facevano parte i Maghi del Circolo, i Templari della Chiesa di Andraste, i Nani di Orzammar e gli Elfi Dalish, oltre ovviamente agli Arle dei territori che venivano colpiti; qualunque città o Arlea o accampamento fosse stato corrotto dal Flagello, era automaticamente coinvolto nella difesa contro esso e un Custode Grigio Veterano poteva richiedere aiuto alle altre parti dell’accordo.
Bastava dare dei nomi, molti nomi, a Monsieur Générale e avrebbe fatto il suo dovere. Da dove cominciare? Aveva già riflettuto in merito e aveva deciso di cominciare da coloro che erano per lei, scomodi, e dispensando favori ai nobili che la sostenevano; ricordava che, fra le reclute, vi era un rampollo di una famiglia che, scioccamente, si stava mettendo contro la vedova Mantillon: era un candidato perfetto per i Custodi Grigi. A seguire, poteva aggiungere entrambi i figli maggiori dei Du Paraquette, ormai in disgrazia. La Veneranda Madre estrasse dal suo secrétaire in caldo legno di rovere con inserti in oro, un foglio di pergamena filigranata, prese il pennino da scrittura semplice e intinse la punta d’oro nell’inchiostro, immergendosi nella nomenclatura che ne stava nascendo. Il fuoco nel camino stava languendo, ma la Veneranda Madre era troppo impegnata per dargli anche solo uno sguardo. Era riuscita a racimolare 10 nomi, più o meno pregiati e conosciuti, accanto cui seguiva una breve descrizione della famiglia d’origine e del candidato; era un documento decisamente esauriente e Monsieur Générale avrebbe potuto disporne come più gli era gradito. Questo, tuttavia, non toglieva affatto il pericolo che lui ricorresse al diritto di Coscrizione per Alistair, ma davvero il Generale era interessato a mal disporsi verso la Veneranda Madre della Grande Cattedrale di Val Royeaux, la persona più vicina alla Divina? No, forse era avventato e inesperto nel Gioco ma non era né sciocco né uno stupido. Si perse per alcuni attimi nel seguire le effimere ombre che, le fiamme del fuoco morente, proiettavano sulla parete al suo fianco: tutto era deformato, tremolante, debole, instabile; la fioca luce delle piccole lingue di fuoco, non permetteva alle ombre degli oggetti di essere nitide e scure, di replicare con fedeltà, gli oggetti che la circondavano. Un brivido le salì lungo la schiena, arrivando sino alla bocca dello stomaco, dove cominciò a provare un vago senso di nausea; le si gelò il corpo, come se la stanza fosse divenuta improvvisamente fredda e inospitale. La sensazione, a cui non sapeva dare un nome, le infondeva un profondo disagio, quasi un’angoscia nascente, come l’attesa di un evento di cui non si conosce l’esito, il principio, la fine. La fine: cosa sarebbe successo, alla fine? I Custodi Grigi sarebbero riusciti, anche questa volta, nel loro compito millenario? Anche senza un valido ed esauriente aiuto da parte sua?
La Veneranda Madre cercò di scrollarsi dalle spalle quell’ombra innaturale e malefica che la rabbuiava fino al cuore: guardò soddisfatta e compiaciuta la sua opera, la cosparse di impalpabile cenere affinché l’inchiostro potesse asciugarsi senza sbavature e piegò il foglio con cura in tre parti; prese da un cassetto, un cilindro di ceralacca parzialmente consumato, aprì uno degli sportellini della lanterna appoggiata alla sommità del secrétaire e ne sciolse la punta, appoggiando la cera morbida sul foglio ripiegato. Prima che la cera si solidificasse nuovamente, la Veneranda Madre vi appose il sigillo che portava al pollice sinistro. Ecco, il documento era pronto: doveva consegnarlo subito e dare a Duncan il vantaggio di sapere che fra quei nomi, non c’era il suo favorito, o aspettare il mattino, al Torneo, in modo che il Generale lo leggesse solo all’ultimo momento? Optò per la seconda soluzione, riponendo il documento in uno scomparto segreto del secrétaire.
Si sentiva di aver compiuto il suo dovere, ma non si sentiva né in pace né vincitrice: la faccenda del Diritto di Coscrizione, sapeva che non poteva darle una vittoria sicura e schiacciante, nemmeno se questo significava causare disdicevoli incidenti diplomatici con la Chiesa di Andraste. E c’erano delle ombre, molte ombre sul suo futuro, sul futuro di tutti i popoli, se la Prole Oscura fosse stata sufficientemente numerosa da invadere la superficie. Infastidita, sentendosi principalmente sciocca, chiamò la sua novizia perché le portasse un pasto leggero, con poca carne e poco pane e riattizzasse il fuoco, portando nuova legna. Quando la novizia tornò, sotto il peso del cesto per rifocillare il camino che le penzolava da un braccio, reggendo saldamente tra le mani il vassoio del desinare per la Veneranda Madre, coperto da un lindo telo di lino, fu informata che l’Alto Comandante de Caumont aveva ufficialmente invitato Monsieur Générale ad unirsi al loro desinare ed era ospite alla tavola alta; la novizia capì dall’incupirsi del volto della Veneranda Madre, che non era una notizia a lei gradita: risparmiò i particolari e i pettegolezzi che aveva udito dai servitori delle cucine, posando sul tavolo di rovere, abbellito da preziosi inserti, il vassoio per la Veneranda Madre e dedicandosi interamente al camino, in silenzio. Fu congedata poco dopo, con uno stizzoso cenno della mano e sempre in silenzio, si ritirò. La Veneranda Madre bevve avidamente metà del calice di vino che le era stato portato, fissando la ciotola di terracotta invetriata bianca che ospitava due grossi bocconi di carne al sugo di bacche e mezza pagnotta di pane ai cereali: l’Alto Comandante era stato un ospite perfetto ed onorevole; come poteva non condividere il suo cibo con il Generale dei Custodi Grigi? Non gli era stato dato alcun avvertimento, ne aveva proibito alcuna confidenza ed era giusto che non l’avesse fatto, tuttavia questo rappresentava un ulteriore vantaggio: Duncan aveva forse parlato con de Caumont di Alistair, o forse, del motivo per cui era lì? Anche se lo aveva fatto, l’Alto Comandante non aveva potere decisionale senza il suo veto, quindi non aveva, in realtà, nulla da temere: anche se de Caumont fosse stato d’accordo con Duncan nel cedere Alistair ai Custodi Grigi, era lei che doveva prendere la decisione e, de Caumont, sarebbe stato ridotto al silenzio. In qualche modo rincuorata, prese con calma le sue posate dai preziosi manici in corno e cominciò a consumare il suo ultimo pasto prima di coricarsi, in attesa del grande evento e di grandi cambiamenti. Le ombre, nella sua camera dalle pareti avorio, si erano fatte più scure, più nitide, più numerose: sembravano rincorrersi sul pavimento, sul soffitto, confondendosi, nascondendosi nelle ombre prive di luce della sua camera da letto. Madre Florénce, anche se scaldata e illuminata dal fuoco, prese la piccola lanterna posta sul secrétaire, posandola vicino al vassoio, fissandone spesso la luce quieta e luminosa, mentre consumava pigramente il pasto frugale della sera. Vi erano molte ombre in quella notte, ma lei era decisa a scacciarle tutte, avesse dovuto farlo una alla volta.

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