The Princess and the Mayor di Elegy_Chan (/viewuser.php?uid=910785)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Opulento meriggio ***
Capitolo 2: *** Vento rovente ***
Capitolo 3: *** Cielo di glicine ***
Capitolo 1 *** Opulento meriggio ***
Tiara, Peach e Pauline
La gonna di raso rosa frusciava come
una vela accarezzata
dal vento e il grande cappello bianco faticava ad avvolgere ancora la
testa
bionda, ed era in procinto di planare tra i grattacieli della grande
metropoli.
“Peach, Peach!” trillò una voce
squillante vicino alla giovane principessa, intenta
a gustarsi una ciambella e affacciata a una delle tante ringhiere che
merlavano
le cime degli alti edifici del suggestivo luogo dove erano da poco
approdate.
La ragazza si voltò verso un piccolo fantasmino di una
coroncina fluttuante,
dagli enormi occhi rosa e il cui velo pareva voler seguire il cappello
dell’amica. “Lo sai che il festival di New Donk
City sembra abbia avuto un gran
successo?“ chiese volteggiando in una piccola piroetta su se
stessa.
“Lo so, Tiara, quanto mi sarebbe piaciuto assistervi, se non
fossi stata ancora
tra le grinfie di quel mostro…” Un attimo di
silenzio inframmezzato dagli
sfocati echi di clacson attraversò entrambe; il solito,
quando si trattava di
lui.
“Mi piacerebbe incontrare la sindaca di questa
città” sviò la principessa dopo
aver ingoiato l’ultimo boccone del suo dolcetto
“Mario me ne ha sempre parlato
spesso benissimo, sai?”
Tiara fece un piccolo mugolio e scosse il corpicino come per annuire. A
seguire
un altro inusuale silenzio staccò questa breve conversazione
dalle separate
riflessioni delle due.
Peach innalzò i suoi grandi occhi verso il vasto, infinito
cielo sovrastante,
ornato da alcune zefire, innocue nuvolette azzurre e promettente di un
altro
pomeriggio splendente rinfrescato dal vento. Se Cappy e soprattutto
Mario
avessero saputo per tempo della loro partenza, magari sarebbe riuscita
a parlargli
bene e a spiegargli con calma il motivo della sua drastica scelta...
era
conscia di aver spezzato il cuore all’uomo che più
di tutti l’aveva amata, e
non riusciva a darsene pace, lasciandola in un eterno limbo
d’incomunicabilità
reciproca.
Fu proprio la sua nuova amica Tiara a proporle quel viaggio attraverso
quegli
onirici panorami che insieme avevano solamente intravisto da un
oblò di
un’aeronave, per farla distrarre per qualche settimana da
quella sensazione
angosciosa che serbava nel cuore, ma servì a poco: nel corso
della sua vacanza
scambiò alcune parole insieme al suo adorato (quali
coincidenze!), ma
l’idraulico, nonostante non pareva serbarle rancore, non si
tratteneva
abbastanza a lungo per permetterle di esprimergli il suo più
completo
rammarico, e si sentisse conseguentemente peggio.
Sospirò. La principessa si sistemò il colletto
della camicetta bianca, e riuscì
a fermare per tempo il suo grande cappello prima che esso fosse caduto
definitivamente nella voragine del traffico. Ripresasi completamente si
rivolse
nuovamente all’amica:
“Allora Tiara, che ne dici, ti va di vedere altre
attrazioni?”
“Sì!” trillò la coroncina
entusiasta volteggiando intorno alla sua amica.
Insieme scesero rapidamente lungo il labirinto verticale di vetro e di
cemento,
caute a non incontrare i solitari e scontrosi goomba nei paraggi, e
riuscirono
ad arrivare nel mondo reale, per terra. Tutto ciò che
lassù era vagamente attutito
dall’altezza, adesso era amplificato dai fragori di urla e di
clacson, dove per
avanzare bisognava eludere agilmente sciami di persone assorte nei
propri
pensieri e alcuni cantieri di una città in eterna
costruzione.
“In quanto a rumore, era decisamente meglio l’Isola
Perduta” sbottò tra sé
Tiara seguendo goffamente Peach, che scoppiò in una lieve
risata.
La tazzina di caffè fredda
s’increspava formando piccole
onde marroni e il cornetto lasciato a metà gli faceva
compagnia sul piccolo e
tondo tavolino in cima al solingo grattacielo, uno dei più
alti della città.
Sedutasi davanti, incurante della colazione incompleta,
un’affascinante signora
i cui capelli color mogano e il libro che stava leggendo coprivano
quasi
completamente la visuale del viso. Si riusciva a malapena a percepire
il
mugolare di qualche nota delineata senza troppa attenzione; il centro
delle sue
attenzioni era proprio il volumetto che stava sfogliando, recante una
copertina
quasi interamente bianca, la cui unica scritta nera risaltava recando
il titolo
del romanzo: il giovane Toaden, un classico che ancora non era riuscita
a
metter mano per via degli impegni, ambientato proprio in quella
metropoli nella
quale viveva. Ne finì un paio di capitoli e lo ripose sul
tavolo, provò a
mangiare il resto del cornetto, divenuto oramai indigesto e si
fermò ad
osservare la città, la sua Dedalo di grattacieli, immobile e
compiaciuta di
essere stata una degli artefici principali del proprio benessere.
Era oramai da mesi che la città non riusciva ad ottenere un
periodo di serenità
simile, dopo tutti quei tragici trascorsi che aveva subito,
dall’improvvisa
invasione di Bowser e dei suoi tirapiedi alla conseguente mancanza di
energia
elettrica: era sorpresa di quanto i propri cittadini, tuttavia, fossero
stati
tanto tenaci da essersi rimboccati le maniche pur di ripristinare la
piena
funzionalità della città; ma era Mario, il vero
eroe della città, colui che
andava eternamente ringraziato per i suoi prestigi.
Un intero festival e la recente costruzione di un nuovo parco
commemorativo
dedicatigli era troppo poco, per lei, ma cosa poteva fare se
l’idraulico, dopo
aver raccolto tutte le lune della città, era tornato alla
sua madrepatria, nel
Regno dei Funghi? La donna dalla fluente chioma scura trepidava
assolutamente
di rivederlo e di omaggiarlo con un altro concerto, tanto da aver avuto
il
coraggio di scrivergli una lettera il giorno prima, e averla spedita in
mattinata.
A distrarla dal proprio flusso di pensieri fu il suono
dell’orologio del
municipio: Accidenti, erano già le tre; e il consiglio
comunale doveva partire
proprio allora! Prese con sé il libro, lasciando sul tavolo
la tazzina
semivuota di caffè, e corse, rallentata dai suoi tacchi,
verso il luogo
dell’incontro.
Una folla si sparpagliava come una
marea dall’uscita del
cinema, famoso per la sua interattività con alcuni degli
spettatori, verso il
resto della strada: alcuni attraversavano la strada facendo frenare
bruscamente
le automobili che rischiavano d’investirli; altri,
più tranquilli preferivano
dipanarsi tra le altre persone con cui avevano avuto la fortuita
coincidenza di
aver condiviso la sala per vedere la medesima proiezione. Tra questo
groviglio
umano si riconoscevano anche le fattezze di Peach e Tiara, che
discutevano
soddisfatte delle loro impressioni a riguardo alla proiezione; non
avevano
troppa fretta di allontanarsi, quindi aspettarono pazientemente che
l’ondeggiante folla si diradasse sempre più, fino
a ridursi ad alcuni esuli.
Uscirono finalmente dall’edifico, e una fresca brezza
accarezzò loro
delicatamente le gote; il cielo che si scorgeva tra un edificio a un
altro da
turchese stava assumendo tonalità rosate e arancioni, e le
piccole nuvolette si
erano inspessite di un poco.
“Peach, per favore, ci torniamo domani? Ti prego, ti prego,
ti prego” implorò
capricciosamente la piccola fantasmina alla propria amica, tenendo le
manine unite
e dimenando la sua codina, scatenando così
l’ilarità della principessa.
“Certo che ci torniamo” rispose accondiscendente
Peach accarezzandole
leggermente la testa, in modo quasi materno “E
farò di tutto affinché la
prossima volta possa essere tu la fortunata ad entrare nel
tubo!”
“Yuppie! Che bello, che bello! Torniamo al cinema!”
cinguettò la coroncina
abbracciando la ragazza come segno immediato della propria gratitudine.
“Allora, Tiara, si sta imbrunendo qui. Hai voglia di mangiare
fuori o di
tornare all’albergo?” chiese Peach guardando di
sbieco il cielo e lievemente
preoccupata per il freddo che si stava già percependo sulle
braccia nude.
“Assolutamente fuori!” replicò decisa la
coroncina “Il cibo dell’hotel era
terribile, puah, mai più!” continuò
veemente.
“Va bene, e che ristorante sia! Non vedo l’ora di
assaggiare le pietanze
tipiche di questo posto!” concluse entusiasta la principessa
già con
l’acquolina in bocca per le caloriche, ma buonissime
leccornie che già si stava
idealizzando nel tragitto.
Tuttavia, mentre camminava per le strade osservando insieme
all’amica la mappa,
lo stato di profondo disagio che le aveva intercorso durante tutto il
viaggio
della principessa tornò prepotentemente a dimostrarsi: quel
film che insieme
avevano visto altro non era che la riproduzione fedele del primissimo
tratto di
strada che Mario, il suo adoratissimo eroe, aveva percorso nella sua
epopea per
salvarla.
Com’era terribile quando persino una proiezione poteva
ricordarle di essere una
cattiva amica e di un’amante ancor peggiore!
“Mario, se solo tu non fossi ancora in giro per il mondo e
oltre, quanto vorrei
parlarti, almeno chiederti scusa per il mio comportamento
ignobile…” pensò
senza neanche riuscire a finire la frase, dato dal senso di vergogna
che le
schiacciava le viscere. “Come fanno ancora Daisy, Rosalinda,
Toad, Luigi… e
anche tu Mario a voler ancora bene a un’ingrata traditrice
come me? Come riesci
tu, piccola Tiara, a sopportare ancora la mia presenza?” e si
sforzò di non
piangere.
Provvidenzialmente a sopprimere questo flusso atemporalmente
autodistruttivo ci
pensò la stessa Tiara; che insistentemente indicò
a Peach, tirandola per i
lembi della gonna, un suggestivo locale all’aperto,
arricchito da una cornice
musicale travolgente e sincopata, su cui spiccava una voce agile e
squillante
che aggiungeva una sfumatura ancor più sofisticata alla
musica.
Incantata dalla raffinatezza che quel cabaret infondeva, la principessa
cercò
di nascondere quel principio di lacrime che le aveva reso gli occhi
splendenti
quanto la cima delle lampade presenti tra un tavolino e un altro del
locale,
che però rimanevano sorprendentemente vuoti per trovare una
calca impalpabile invece
nei pressi del palco. Sedutesi attorno a uno di questi, Peach e Tiara
non
riuscirono a ravvisare alcuna fattezza di quegli ottimi musicisti, ma
non
importava loro: erano contente di aver trovato un gradevole posticino
dove
potersi riposare insieme e godere al contempo della pura atmosfera
metropolitana della città.
“Grazie, grazie mille a tutti” urlò la
donna dai capelli castani innanzi al
lungo applauso finale della folla trepidante facendo un lieve
salamelecco e indicando
con le braccia il resto del complesso come per indirizzare gli elogi
del
pubblico anche a loro. Alcune voci in lontananza reclamavano con quanto
fiato
in gola l’ennesimo bis, che sarebbe stato il terzo della
serata, ma l’acclamata
cantante, pur nascondendo la fiacchezza che stava trattenendo decise di
terminare il concerto così, sgattaiolando quattamente nel
camerino appena notò
che la maggioranza delle persone era in procinto di tornare nelle
proprie
abitazioni, canticchiando alcuni motivetti sentiti in precedenza.
Era solita esibirsi una volta alla settimana in quel locale, il
più rinomato
della città, da quando era riuscita a fare breccia nel cuore
del pubblico: il
suo particolare timbro squillante e suadente era talmente richiesto che
gli
stessi abitanti spedirono alla stessa sindaca richieste di esibirsi
più spesso,
che la giovane donna clementemente accolse instituendo così
quelle serate così
gremite di persone.
Finalmente, nell’insicura stabilità del suo
camerino improvvisato appena
distante dal palco sostituì l’attillatissimo,
sfavillante abito rosso al più
agevole tailleur del medesimo colore. La sindaca, uscendo dalla sua
stanzetta, si
complimentò ancora con i suoi colleghi per la meravigliosa
serata che avevano
appena trascorso e
si congedò, esortando
loro di vedersi la volta dopo e di dare ancora il meglio di se stessi.
Appesantita dalla borsa strabordante di oggetti, si sentì
improvvisamente anche
la gola secca, come se fosse stata prosciugata dagli sforzi della sua
stessa
musica; prima di allontanarsi definitivamente dal posto decise di farsi
servire
un cocktail al bancone dell’ancora luminoso ed opulento
locale.
“Un 1-up girl, per favore” ordinò
lasciando cadere la borsa sotto i piedi e
appoggiando i gomiti sul piano ove erano presenti altri calici sporchi in attesa di essere presi
dagli
indaffaratissimi camerieri e di tornare nuovamente lucenti. Il suo
aperitivo
arrivò quasi immediatamente, seguito dal complimento del
giovane commesso, che
la donna sentì appena, essendo tutt’assorta nella
contemplazione del bicchiere,
come se un novello Graal le fosse appena passato davanti.
“Un’altra magnifica esecuzione, sindaca Pauline,
complimenti!”
“Grazie mille…” bofonchiò
confusa la cantante dai capelli di mogano dopo aver
finalmente trangugiato il liquido verdastro come se fosse acqua,
sentendosi
leggermente meglio dopo quella miracolosa bevuta.
Trasalì improvvisamente.
“Non può essere, cosa ci fanno loro due
lì?” pensò stropicciandosi gli occhi
pesantemente truccati, lasciando due righe violacee sui palmi delle
mani. Guardò
meglio quelle due figurine che aveva scorto per sbaglio nella
lontananza del
grande cabaret. Non poteva che essere uno scherzo della mente, ne era
sicura.
Fece un respiro profondo, due e tre, richiuse nuovamente gli occhi,
eppure ancora
le vedeva come se niente fosse: la Principessa Peach, dai suoi lunghi
capelli
paglierini e Tiara.
Non aveva mai interagito direttamente con loro, eppure Cappy e Mario
durante la
loro permanenza a New Donk City ne parlavano sovente, delineandole come
due
ragazze dal carattere dolce e amichevole, ma non era sicura sulla
veridicità di
queste affermazioni: conoscendo Mario, era conscia che quando
l’idraulico
s’invaghiva per qualcuna, era solito idealizzare fino
all’inverosimile le
proprie amate, esattamente come aveva fatto con lei, quei freschi e
giovani
giorni in cui lei aveva appena intrapreso i primi passi nella sua
carriera e
lui girovagava per il mondo in cerca di fortune, nonostante si dovesse
accontentare di qualche lavoretto occasionale. Si ricordava ancora di
quando
eroicamente si prodigò per salvarla dall’immatura
furia di Donkey Kong e di
quei teneri momenti che passarono insieme come giovani amanti.
Sfortunatamente si lasciarono piuttosto presto dopo una breve
relazione; niente
di traumatico,
entrambi avevano capito
di non essere abbastanza coinvolti per poter essere in una relazione
matura ma
abbastanza in sintonia per rimanere buoni amici.
Qual malinconia, però, quando il suo adoratissimo Mario
emigrò verso i luoghi
dove passò la propria infanzia, nel Regno dei Funghi; e che
sembrava aver
legato anche con la sua principessa, scrivendo a lei sempre meno.
Era riuscita, però, a scorgere quell’incantevole
fanciulla: da quella volta in
cui era in cima a quell’aeronave a implorare aiuto, a
quell’altra in cui era addirittura
costretta a presenziare alla cerimonia di quello sposalizio risoltosi
infine in
altro che un satellite semidistrutto e in nulla.
Trasalì nuovamente: le due, evidentemente accortesi del
lungo sguardo incredulo
che ella stessa aveva lanciato loro poco prima, provarono ad
avvicinarsi sempre
più, sicure nella loro lentezza. Non sembravano
ne’ infastidite, ne’ offese da
essa bensì amichevoli e sorridenti, come se entrambe
avessero percepito la sua
inquietudine e volessero già calmarla con
un’espressione.
Appena arrivata di fronte, prima di rivolgere la parola alla sindaca,
la
principessa fece una lieve, ossequiosa riverenza a Pauline
“Lieta di conoscervi, signorina Pauline, egregia sindaca di
New Donk City.
Chiedo venia se possiamo risultare scortesi, turbandola in questo
momento che
avrebbe preferito mantenere privato, ma sia la mia amica che io eravamo
trepidanti d’incontrarla durante il nostro viaggio nella
Grande Banana. Sicuramente
ne’ il mio viso ne’ quello della mia compagna di
viaggio le saranno nuovi, ma
ci permetta di dire che la vostra città è un
autentico gioiellino moderno”
E lo sguardo della principessa, da goffamente cerimonioso,
s’illuminò in una
più sincera espressione, come a delineare il complimento che
aveva appena
posto.
--- Note
d’Autrice---
Ciao a
tutti, e vi
ringrazio calorosamente anche solo della lettura di questa prima parte
di
questa breve fiction, mi auguro prima tra tante!
Premetto che questa è la prima storia seria che scrivo da
tanto tempo: la mia
autostima non è mai stata eccessiva, per quanto riguarda la
mia produzione “letteraria”
e spesso e volentieri tendo a non pubblicare i miei lavori in quanto
qualitativamente inferiori a ciò che sono solita leggere,
sia come libri che
come, appunto, fanfiction.
Sono stata fin da piccola un’ammiratrice delle surreali e
oniriche avventure
dell’idraulico baffuto e dei suoi amici, passione che si
è protratta fino ad
adesso, come vedete dalla mia comparsa in questa sezione.
Nell’immaginario comune tendiamo a immaginarci Peach e
Pauline come fossero due
nemiche mortali che anelano sanguinosamente al cuore di Mario, ma nel
mio
headcanon ce le vedo addirittura come amiche, nonostante tutto; per
questo
motivo sono rimasta delusa dalle interazioni minime che la principessa
e la
sindaca hanno avuto nel corso di Super Mario Odyssey, ed ecco quindi la
genesi
di questo mio lavoretto, in cui ho voluto approfondire non solo il
rapporto che
intercorre dalle due ragazze (e dalla tenerissima Tiara), ma anche
delle loro
angosce interiori, infrangibile (?) muro verso una più
matura comprensione
reciproca. Inoltre, come ben avrete potuto intuire, questa non
è una fanfiction
nella quale una sovrasta l’altra: di guerre simili ne
è già pieno questo fandom
in ogni suo angolo, e ho voluto rappresentare le due giovani donne sia
con i
propri pregi che coi relativi difetti.
Critiche e suggerimenti sono sempre i benvenuti: sono consapevole di
avere
molto da migliorare, ed è anche per questo che ho voluto
pubblicare questa
storia qui; quindi per ogni screzio che avete letto, siate liberi di
segnalarmi
gli eventuali errori e li correggerò volentieri!
Un saluto!
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Capitolo 2 *** Vento rovente ***
Peach, Tiara e Pauline 2
Nel moderno attico illuminato solamente dagli abbaglianti
riflessi delle luci esterne Pauline si muoveva nevroticamente per le stanze,
come se cercasse qualcosa insistentemente ma senza tuttavia grande impegno. In
parte mascherato dalla grande penombra che permeava la casa, il suo colorito si
era fatto più pallido, e un principio di un’ombra violacea le si stava
disegnando sotto gli occhi.
Nonostante l’orario, non si era ancora spogliata del fulvo tailleur madido di
sudore; si ravvisava solamente l’assenza
dei tacchi neri, buttati disordinatamente lungo l’ingresso principale, e
sostituiti solo dai suoi piedi nudi e infreddoliti dal clima notturno.
Era esausta dalla giornata trascorsa, ma faticava a chiudere occhio: quella
ragazza dai capelli biondi e dai grandi occhi pareva rubarle il sonno, come se
dietro al suo aspetto dolce innocente si scorgesse una megera.
Le iridi improvvisamente si rarefecero, e la giovane donna sprofondò
sull’enorme letto che aveva tenuto in ordine fino poco prima: lo stomaco si contrasse
e la gola si strinse fino a farle emettere un muto grido. Ecco, aveva capito
qual era stato il suo errore più grande: non quello di lasciar interrompere la
relazione con Mario, ma quello di non aver potuto far nulla per trattenerlo in
città! Se fosse rimasto, chissà quale personaggio sarebbe potuto diventare; un grande
imprenditore, sicuro! Se solo avesse voluto, avrebbe potuto conquistare New
Donk City, esserne il protagonista; invece ha voluto seguire quel roseo e
maligno miraggio, ed eternamente cercava di perseguirlo, cercandolo in tutti
quei luoghi pericolosi.
Fece un sospiro profondo e analizzò la conversazione che ebbe la sera stessa
con la Principessa Peach: meritava veramente i suoi biasimi? In fondo, in sua
presenza si era presentata come una fanciulla molto gentile e trepidante di
conoscerla, ma se fosse stata una maschera? Aveva rigettato Mario con così
tanta nonchalance che non pareva per
niente grata a lui per tutte le intese che le dedicò.
Sì, non poteva che essere un’ipocrita, una di quelle che Toalden cercava di
evitare in quel capolavoro che stava particolarmente apprezzando: una
manipolatrice che ben sapeva come bilanciare le proprie mosse. Perché Mario si
era innamorato così pazzamente di lei? Come poteva venir raggirato così facilmente
da una simile egocentrica viziata?
Dopo essersi ripresa, si rialzò sistemando le morbide e profumate coperte
grigie e si affacciò sul bordo del balcone; sotto ai suoi piedi la vita
sfavillava ancora, con automobili che rombavano e sfrecciavano per la via e dai
risolini di gente mondana che tornava a casa. Il freddo le pizzicava le guance
e i piedi, ma la giovane sindaca rimaneva ancora immobile, ora mirando il cielo
violaceo opacizzato dalle luci vicine e dai grandi lampioni sottostanti.
Come si sarebbe potuta comportare con la sovrana del Regno dei Funghi, ospite
tanto importante quanto ineludibile della sua città? Nonostante la sua
immediata antipatia per lei, pensava di essere stata abbastanza garbata prima,
così da permetterle di continuare i rapporti, che sperava rimanessero solamente
diplomatici: per questa ragione ebbe l’arditezza di convocarla al municipio il
dì seguente, per discutere dei rapporti futuri tra il regno della City e quello
dei Funghi; ma a qual ripugnante fio!
Il lucidalabbra dai toni chiari e rosei era stato accuratamente
sistemato lungo le piccole labbra rotonde, i capelli puliti e profumati le
formavano delle grandi onde bionde che si susseguivano morbide fino al
fondoschiena e la camicetta bianca era unita a quella gonna leggera da una
sottile cintura impreziosita da un quarzo rosa. Poteva essere abbastanza
presentabile per parlare ufficialmente col sindaco di una città così moderna e
importante da essere tra i più potenti colossi economici al mondo?
Sfortunatamente, credendo d’intraprendere un semplice viaggio di diporto, non
aveva curato a mettere nel suo bagaglio degli abiti troppo formali, e quel
completo che aveva appena ideato poteva faticosamente essere accettato in un
ambiente simile.
Nonostante sole fosse già alto in cielo era ancora presto per quel fatidico
incontro; Tiara era ancora cullata tra le braccia di Morfeo ma la principessa
si era destata molto prima, da quando il cielo presentava ancora sfumature gialle,
indaco e lavanda, di cui solo il vago brusio delle prime vetture riecheggiava
fuori dall’ambiente in cui aveva passato la notte. Non sembrava essersi
riposata a lungo, ma un chiarore nel suo volto sprizzava ugualmente una
radiosità e la lieta impazienza di parlare nuovamente con Pauline; era piena di
gaudio per il fatto che la sindaca abbia voluto vederla nuovamente, malgrado quella
fulminea conversazione con cui aveva intrattenuto la sera prima. Frapposta a
quella dolce eccitazione vi si celava un soffocato sentimento di costernazione,
di vedere la sindaca così distaccata, come se fosse turbata solamente dalla sua
presenza. Era così diversa dalla donna
energica e appassionata descritta con un pizzico di malinconia da Mario: subito
dopo aver detto delle sciape frasi di convenienza e averle dato l’appuntamento,
l’aveva subito abbandonata, mormorando alcuni espedienti per giustificare la
sua partenza così repentina; la lunga notte primaverile non era ancora riuscita
a fare capolino dalle sue ore diurne ed ecco che la sindaca che aveva incontrato
involontariamente dopo a un suo concerto era svanita come l’ultimo suono di una
melodia.
“Forse è una questione d’insicurezza”, cogitò la principessa dopo un
primordiale sconcerto la stessa serata, divenendo via via più convinta della
propria idea “Essendo la responsabile di una così grande città le potrei aver
creato dei disagi, presentandomi così bruscamente al suo cospetto, non può
essere che così! Magari da domani, confrontandomi con lei, potrà essere
preparata a un incontro con me! Anche se avrei preferito vederci
informalmente…” Socchiuse gli occhi e si discostò dai suoi pensieri.
I teli turgidi posti davanti alle finestre si ravvivarono in un acceso color
avorio, e la sua giovane amica era ancora assopita, immersa fra le sue oniriche
fantasie.
“Tiara, svegliati che è ora” sussurrò maternamente la principessa sfiorando delicatamente la
coroncina; la quale cominciò a mugugnare una nenia incomprensibile.
“Un altro po’, ti prego” si lamentò con voce abbassata scandendo le prime
parole di quella giornata, ritirandosi rapidamente tra le rigide coperte
dell’albergo, ma subito dopo un fascio di luce sfavillante le colpì direttamente
gli occhi, infastidendola: la Principessa aveva appena aperto le tende e le
aveva fatto giungere tutta quella fulgida cascata addosso!
“Svegliati, pelandrona!” ripeté più forte, mal trattenendo una risata
divertita, mentre finalmente Tiara decise di uscire svogliatamente dal suo
piccolo forte di stoffa, sbuffando come uno dei tanti caminetti delle aeronavi
che affollavano la sua terra natia.
Rassegnatasi al crudele destino che la privava di ulteriori ore di sonno, la spiritella
si sistemò rapidamente il velo che le si era aggrinzito durante la dormita e
tornò la piccola fantasmina tenera e piena di energia che Peach aveva imparato
ad apprezzare durante il loro rapimento.
Finalmente preparate, poterono finalmente uscire da quel grigio e tristissimo
albergo, l’unico disponibile tra tanti pieni a New Donk City nonché quello più
adatto per mantenere la principessa e la sua amica in una pace relativa, senza
venire disturbate da eventuali ammiratori molesti o da critici di scelte di
vita che sicuramente loro avrebbero potuto scegliere meglio, e si amalgamarono
entusiastiche al vibrante viavai che già dalle ore antimeridiane si prospettava
impalpabile.
E tra un: “Scusi, ci può cortesemente mostrare la via del municipio?” spiegando
la mappa già mezza rovinata dalle ditate insistenti delle due amiche e dei
conseguenti ringraziamenti, giunsero finalmente nella piazza principale.
Qual meraviglia poter constatare che dal vivo esprimeva maggiormente la sua
grandiosità ancor più che dalle foto e dalle cartoline! Pareva proprio essere
un posto creato per poter essere il punto di fuga del mondo, là dove tutte le
strade di tutto il mondo vertevano, come una Roma avanguardistica. Gli
imperiosi grattacieli creavano la cornice perfetta a un grande spiazzo verde,
gremito di piccoli negozietti di souvenir dietro ai quali si prostrava una fila
interminabile di turisti più interessati ad ottenere la propria copia in
miniatura del modello del municipio che di averlo direttamente dietro di loro,
e di tanti piccoli locali all’aperto popolati da altrettanti visitatori più
saggi e lieti di poter rifocillarsi in un luogo esprimente un’imponente
grandiosità che difficilmente si sarebbe piegata al corso del tempo e della
natura.
Peach fece una lenta piroetta su se stessa, proprio sopra a quel globo
stilizzato disegnato davanti all’ingresso del municipio; gli occhi lucidi e sgranati
cercavano di mirare, invano, le invisibili cime di quei babelici giganti di
cemento, lasciandosi sfuggire un ammirato gemito e una lacrima di commozione
per essere parte integrante di quel quadro munificente che si stava
prospettando.
Da un ritmo lento e regolare, il battito cardiaco della principessa accelerò
talmente da non riuscire più a percepire i singoli palpiti: l’ora dell’incontro
era sempre più incombente, e nonostante le gambe puntassero virtualmente già
alla porta del municipio, e a salire conseguentemente per i piani infiniti,
dovette trattenerle strenuamente lasciando che solamente qualche movimento
continuo del piede potesse lasciar trapelare la sua impazienza. Nell’attesa
aveva concesso a Tiara di prendersi uno sfizio nelle dirette vicinanze, e
nonostante ella stessa non avesse fame, la coroncina aveva raccontato alla sua
amica della bontà sovrumana del waffle che aveva giusto divorato nel cammino
per tornare da lei, che la principessa promise di assaporare in un’altra
occasione.
“Dai, andiamo” suggerì la principessa alzandosi e sistemandosi la gonna,
prendendo per mano l’esangue mano di Tiara e dirigendosi ad ampie e tremanti
falcate verso il portone dorato del municipio.
L’ormai infinito viaggio dell’ascensore oramai sfrecciante
si concluse con l’apertura finale della porta cremisi e con una voce
fastidiosamente metallica che ne annunciava il numero del piano.
Dal suo silenzioso ufficio bianco e dorato, Pauline riuscì a udire quel rumore e
deglutì amaramente: cominciò a pentirsi di aver posto quella richiesta a una
persona che non le trasmetteva nulla se non astio; ma era conscia che poteva
comunque essere potenzialmente un’ottima occasione per trattare la sua grande
potenza con un’altra dal passato glorioso e dalla reputazione buona e
notoriamente pacifica.
“Ricordati, Pauline, che non siamo noi singole che influiamo nei rapporti
internazionali, ma gli interessi comuni a ogni popolazione. Tratta la
Principessa in quanto tale e non sfociare nel personale” Continuava a ripetersi
ossessivamente nella testa come fosse un mantra, che però cominciò a perdere
via via ogni significato ogni volta che lo pensava.
“Distacca i tuoi pensieri personali per la Principessa e fai il tuo dovere; sii
lucida e brillante come al solito, e non farti abbindolare dalla sua presenza”
Bussarono alla porta, era il momento.
L’apparente anonimo segretario della sindaca era giunto con
quell’annuncio; era troppo tardi per tirarsi indietro e la donna dai capelli
mori e ondulati fece così entrare la bionda rivale in compagnia della
coroncina.
Già quando si sedettero dall’altra parte dell’enorme e antica scrivania, uno
dei pochi pezzi d’antiquariato che si potessero notare dentro al palazzo, si
ravvisava in quell’incontro una piega negativa: gli occhi eccessivamente
truccati (per coprire i segni del sonno perduto) della sindaca si socchiusero e
guardarono di sbieco la presenza di Tiara, la piccola intrusa tubalese, e sollecitò
in modo quanto più garbato a Peach e alla sua compagna: “Mi rincresce poter
apparire eccessivamente severa, ma questa sarà una conversazione ufficiale tra
due rappresentanti di Stato, quindi quella fantasmina potrebbe aspettare che
finissimo di parlare prima di tornare in questa stanza?”
Mentre la sovrana del Regno dei Funghi non apparve immediatamente costernata, comprensiva
delle intenzioni di Pauline, ma al contempo lievemente amareggiata al pensiero
di lasciare la sua amica da sola per così tanto tempo, i grandi occhi della
fantasmina divennero già lucidi e densi di lacrime solamente trattenute.
“Non si preoccupi, Principessa, chiamerò qualcuno affinché la sua amica non si
annoi e possa fare una visita guidata gratuita al museo qui vicino” tentò di
placare Pauline digitando qualcosa sul suo smartphone, abbozzando una frase perplessa
di cui Peach stava solamente abbozzando l’inizio tra le sue labbra.
La giovane regnante lasciò uno sguardo ancor più rincuorante, al contempo
comprensivo della decisione della collega nei confronti della sua amica, che
abbandonò lo studio quasi in lacrime.
“Quindi, il Regno della City s’impegnerà a esportare nel Regno dei Funghi una
maggiore quantità di componenti edili mentre il suo Paese ricambierà con il
numero sufficiente per soddisfare il rapporto di domanda e offerta di funghi
1-up” contrattò finalmente il sindaco a metà riunione, digitando freneticamente
sul computer vicino e facendo fuoriuscire dalla stampante i fogli oramai pregni
di quanto scritto precedenza; affinché entrambe potessero firmare i nuovi
accordi.
Malgrado il crescente inviso che la Principessa continuava ancora a scaturirle
da quelle parole così accuratamente scelte
apposta per non sfigurare (doveva anche adesso recitare la parte dell’angelo
caduto dal cielo?), doveva ammettere che era una buona politica: poche come lei
riuscivano così abilmente a comprendere sia i bisogni del suo Stato che quelli
del Regno, così da proporre un contratto vantaggioso per entrambe. Era
soddisfatta, inoltre, anche dall’autocontrollo che ella stessa stava
dimostrando con Peach durante quella situazione così delicatamente precaria,
senza che il suo abbagliante pregiudizio sovrastasse almeno i rapporti
lavorativi.
Dal punto di vista della Principessa, dopo l’iniziale sconforto per aver cacciato
bruscamente la sua adoratissima Tiara, augurandosi che nel frattempo si stesse
divertendo, si abituò ai modi cordialmente distaccati della sindaca e cominciò
a convincersi che la donna si rapportasse con lei in quanto autorità e non come
persona; e a malincuore vi si abituò. Ciononostante, fu ugualmente paga di aver avuto la preziosa opportunità di
parlarci e di poter migliorare le economie dei rispettivi Paesi con la loro
riunione.
“Se lei è d’accordo, naturalmente, vorrei suggerire di porre a conoscenza i
media della nostra nuova alleanza immediatamente dopo la fine del mio viaggio:
ho riferito al mio consigliere della mia partenza poco prima di lasciare il
castello, ma pare che il messaggio non sia stato riferito” accennò
aggraziatamente l’ottima politicante; che con espressione lievemente costernata
e rivolta verso i suoi sudditi preoccupati, tamburellò le sue esili dita curate sul piano
ancora libero dalle mille scartoffie poste disordinatamente sul tavolo;
riscaldate dal battente sole di un mezzogiorno tardo primaverile, già tendente
all’estivo e lievemente spostate dal caldo venticello. Pauline, pur ascoltando
attentamente la Principessa, decise di chiudere la finestra, fino ad allora
dischiusa per il caldo, per evitare ulteriore disordine; annuendo e mugugnando
per farle capire che per lei non era un cruccio così importante questo rimando.
Ma proprio in quella fuggevole parentesi, la concentrazione della fanciulla di rosa
vestita, fino ad allora deditamente assorta nel suo impiego diplomatico, cadde
su un piccolo oggetto appartenente alla Sindaca: sotto alla scrivania si poteva
intravedere una borsetta fucsia dai bordi argentei e dal lucente medaglione del
medesimo colore, fu proprio quello che attirò il suo occhio. Nonostante l’azzardata
combinazione cromatica, fu proprio quella che rendeva il piccolo oggetto così
caratteristico; non era un oggetto molto grande, né provvisto di un design
particolarmente complesso, ma rimaneva ugualmente un bell’accessorio, che Peach
fu in grado di apprezzare genuinamente.
“Chiedo venia se interrompo così bruscamente il discorso per passare
direttamente a una frivolezza simile, ma volevo dirle che quella borsetta che
tiene sotto alla scrivania è deliziosa! Forse non si abbina molto al suo
vestito, ma rimane ugualmente adorabile. Dove l’ha presa?”
Che non avesse mai detto quella frase!
La sindaca, sedendosi violentemente guardò la povera Principessa in cagnesco:
era troppo. Ecco che le sue acerbe paranoie si erano palesate: la principessa
si era mostrata per quello che era, ovvero una donna ipocrita e superficiale.
Era palese che la Principessa volesse raggirarla con tutte quelle belle
promesse, come aveva fatto astutamente con Mario, ma no; lei non ci sarebbe
cascata, al contrario dell’adoratissimo amico.
Mentre l’espressione della sovrana del Regno dei funghi cangiava in una smorfia
impaurita accompagnata da una serie tramortita di scuse, la donna dai capelli
mori mise a tacere immediatamente la bionda sibilando glacialmente:
“Lo sapevo non fossi una buona presenza per la nostra città, e ne ho appena
avuto la testimonianza”
“M-ma non credo di aver detto niente di male…” tentò di difendersi invano la
Principessa, i cui grandi occhi azzurri scaturì una prima serie interminabile
di lacrime, che lentamente le rigavano le guance rosse per la vergogna.
“Ah, no! Tu sei la dolce principessina a cui tutto è dovuto! Piangi affinché ti
salvino da un mostro brutto e cattivo e oh guarda, hai un intero corpo di eroi
che farebbe salti mortali per te!” urlò con vena sprezzante la donna, il cui
paonazzo viso divenne del medesimo colore
del tailleur; che si stesse sfogando fin troppo con la sovrana con cui prima
aveva stipulato degli accordi così tanto vantaggiosi? No, era ciò che la
malcapitata meritava, secondo la cocente convinzione di quell’istante. Se Mario
era troppo buono da impartirle una punizione adeguata, ci avrebbe pensato
direttamente lei.
“Ma che c’entr-”
“Ah vero! Tu sei la schiavista dallo sguardo angelico, colei che ha rifiutato
quella povera anima santa di Mario, che si è impegnato così tanto per farti
felice, e tu che fai? La schizzinosa viziata che vuole il principe azzurro e
che schifa in così malo modo un povero idraulico!”
Le sue orecchie la stavano ingannando, era così? Stavano veramente sgranando
quelle parole o era uno scherzo di pessimo gusto da parte della sua psiche? I
suoi arti, durante quell’impulsivo snocciolamento di quelle infondate accuse, si erano tramutati in pietra, così come il
respiro, ora impercettibile. La Principessa, tramortita dal dolore non pareva
più umana, ma pareva una statua di carne rigida dai cui soli occhi sgorgavano
lacrime, copiose.
Non fu più in grado di pronunziare parola, né di reagire per un periodo così
breve eppure talmente infinito da parere quasi immerso in un’atemporalità.
Quando riuscì a schiodarsi dal suo torpore e stanca di quest’improvvisa e
ingiustificata umiliazione morale, fuggì via, abbandonando immediatamente la
sindaca alla sua ira; percorse a piedi le lunghe, infinite scale dell’enorme
grattacielo, e incurante della bellissima giornata che si stava svolgendo
esternamente si rifugiò nell’anonima stanzetta d’albergo dalla quale era uscita
così tanto fiduciosa.
Contratti e documenti si sparpagliavano indistintamente tra
il piano della scrivania e quello del parquet grigiastro su cui posava in piedi
la ora costernata sindaca, che li stava lentamente raccogliendo e riordinando.
La donna dai folti crini scuri ravvisò uno di quei fogli freschi di stampa,
pieno di lettere ma privo di una delle due firme, la sua, quello che doveva
essere il simbolo di un’alleanza che ella stessa aveva interrotto proprio nel
momento più cruciale; e per quale causa? Di quella borsetta buttata sul
pavimento e parzialmente nascosta dal fogliame odorante d’ufficio.
Deglutì amaramente, e tremò, conscia di aver commesso uno sbaglio
imperdonabile: aver ascoltato il suo insediante pregiudizio, e di aver sfogato
le sue ansie, le sue frustrazioni e le
sue paranoie su una povera persona innocente; malgrado avesse compiuto un atto a suo avviso
deprecabile, si era dimostrata una giovane ragazza di buon cuore e di elevata
sensibilità, desiderosa parlare con lei e conoscere la sindaca di una città
così prosperosa nonché una delle più care amiche dell’idraulico baffuto.
Capì di averla gravemente vilipesa subito dopo che la fanciulla scappò attonita
in quel labirinto di stanze e scalinate; quando ancora il suo viso era rosso
d’ira ora esangue dalla tristezza e dal rimorso di un atto così immaturo. E una
come lei, così impulsiva e immatura per delle simili sciocchezze meritava
veramente il suo posto da sindaco? No, non lo meritava per niente; poteva anche
impegnarsi attivamente per il benessere della città, ma rimaneva una persona iraconda
e inadatta, esatto, per niente professionale per quel ruolo.
“Povera Principessa” ripeteva continuamente muovendo appena le labbra mentre
raccolse le ultime carte, buttate con foga mentre stava sfogando il suo
malessere contro la giovane sovrana “Non oso neanche immaginare come starà in
questo momento. Dovrò chiederle delle scuse, ma serviranno veramente a
qualcosa? Oramai non mi sopporterà più…”
L’orologio segnava le due nel computer ancora acceso e rimasto alla schermata
del documento incompleto, ma la sindaca decise di uscire prima dal lavoro: al
suo dubbioso segretario riferì che non si sentiva bene, ed era vero; una forte emicrania,
accentuata dall’acerbo tedio di aver maltrattato la Principessa. Uscì
sbrigativamente dal municipio, sorpassando l’ancora lunga fila di turisti, ma
non si diresse a casa; rimase lì, inerme davanti al semaforo, sorpassata e
guardata di sbieco dagli altri cittadini, mentre il flusso continuo della città
non si fermava neanche per guardare il malessere del proprio capo.
---Note d’Autrice---
E
finalmente sono riuscita, dopo mille difficoltà dettate maggiormente dalla
scuola, a finire questo capitolo! Debbo ammettere che mi è parso molto
difficile farlo, più che altro per una questione sia stilistica che logica dei
fatti qui narrati. Come fanfiction sta diventando ben più corposa del previsto
(tranquilli, non saranno più di quattro capitoli), e debbo dire che non mi
dispiace come sta venendo (sperando siate d’accordo). Per questo vorrei
ringraziare le mie due beta-reader, che stanno avendo la pazienza di correggere un “mattone” simile.
Ovviamente se c’è qualcosa che non vi convince, ditemelo! Nonostante il primo
capitolo sia passato in sordina, non significa che disprezzi le recensioni! C;
Poi, come vorrei sempre ribadire, nonostante i palesi screzi presentati del
capitolo, non odio né Peach né Pauline, anzi, le adoro entrambe!
E chiedo scusa se il prossimo capitolo potrebbe tardare a venire, ma avrò un
periodo molto intenso nelle prossime settimane…
In ogni caso, mi auguro che anche questo capitolo vi sia gradito, e ci vediamo
nel prossimo!
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Capitolo 3 *** Cielo di glicine ***
Peach, Tiara e Pauline terzo capitolo
L’immensa libreria si snodava come un immenso labirinto
costruito in uno stile volutamente antico su più piani, ciascuno di esso pregno
di tomi e volumetti che chiedevano disperatamente di essere comprati e letti da
un avido lettore; incamminarvisi era come entrare in un poetico, pacifico mondo
parallelo ove ogni paura veniva attutita da pagine profumate e storie
malinconiche.
Tra le rade e minute figurine che si riuscivano a scorgere in mezzo a tal
paradiso cartaceo vi erano anche quelle di Peach e di Tiara, ma un’aura
impalpabile, immaginaria pareva far risplendere ulteriormente le fisionomie di
entrambe: la Principessa mirava, seppur distrattamente, alcune costine,
sfiorandole appena col dito e la sua amica non poteva far altro che osservarla piacevolmente
stranita mentre spiegava alcuni libri per bambini dalle magnifiche
illustrazioni, come se la giovane donna fosse così radicalmente cambiata in
così poco tempo.
L’incontro di alcuni giorni addietro fu, sorprendentemente, un catalizzatore,
che nonostante fosse iniziato da un supino torpore annegato da lacrime di
dolore si trasformò come il preludio per un’intensa pausa di riflessione:
risentiva ancora gli effetti di ciò che la sindaca di New Donk City aveva
espresso nella sua sfuriata, come fosse un aspro rimbombo di campane, e ancora
si sentiva vilipesa dai toni sgarbati che ella aveva usato; ma al contempo
ravvisò in mezzo alle righe delle sue veementi parole un invito a risvegliarsi
dalla sua scarsa reattività ch’ella aveva avuto nella sua esistenza, specie con
Mario. Quando avrebbe potuto rivedere l’adoratissimo idraulico, gli avrebbe
chiesto definitivamente scusa per il suo errore forse imperdonabile, anche a
scapito di bloccarlo durante le sue incessanti e sfrenate avventure nel corso
del globo, e di dichiarargli, una volta per tutte il suo amore per lui, in caso
l’avesse perdonata. Il tempo nel quale gli appena accennati bacini sul naso e
le deliziose torte erano gli unici palesamenti di un sentimento così tanto
profondo poteva definirsi concluso; si era resa conto che il suo amato
necessitava di una condotta lievemente meno allusiva, seppur rimanendo dolce, e
di più sincerità affinché il loro rapporto potesse fiorire come la sovrana
pensava meritasse. Quel tentativo di
matrimonio fallito così miseramente poteva rimanere solamente una pagina oscura
tra le tante così iridescenti che il futuro poteva offrirle, e ne volle
definitivamente scrivere le dolci parole.
Pauline era nel torto dandole dell’ingrata con cotanta leggerezza, ma
ripercorrendo i trascorsi con l’eroe dai
grandi mustacchi durante quei lunghi anni in cui l’ha salvata, effettivamente
ravvisò un’eccessiva superficialità e un’inutile allusività nei suoi confronti,
ed era ora di superarla definitivamente. E doveva ringraziare proprio lei,
quella donna così appassionata, quella vecchia fiamma rossa di Mario, per
averle scaturito accidentalmente quella matura meditazione.
Questa ragione, un miglioramento di se stessa, la trascinò ulteriormente
nell’erudita corrente della letteratura e della saggistica: quando non era
occupata dalla folta lista dei suoi oneri reali o non era per l’ennesima volta
la malcapitata ospite di Bowser, soleva dilettarsi con una lettura di un buon
volumetto; non era una persona molto esigente, apprezzava qualsiasi genere,
nonostante avesse una predilezione per i classici e per le storie d’amore,
purché fosse scritto bene e l’avrebbe fatta emozionare o riflettere in qualche
maniera.
La giovane donna ravvisò, confuso tra gli altri corsi bianchi e inumati, un
volumetto sottile con un titolo che però le era noto: il giovane Toalden, la storia
dell’annichilito peregrinare di un giovane Toad in mezzo alle strade che ella
stessa stava percorrendo in quei momenti, uno dei romanzi più adatti da leggere
in quei giorni in cui era ospite nella medesima città.
Una voce brillantemente carica, stranamente familiare ruppe il religioso
silenzio, facendo sobbalzare improvvisamente la ragazza dal crine paglierino
dapprima intenta ad assaporare quel sincero incipit di un libro così tanto famoso
e amato:
“Ottima scelta, Principessa!”
Qual fortuita visione, immersa in quell’onirico acquario di
libri!
Un’aleatoria sorpresa così vaga, impossibile da descrivere con dei termini
precisi, siccome oscillava vorticosamente tra l’ingenuo gaudio di un nuovo
civile inizio e la consapevole angoscia di aver commesso un peccato tanto grave
da meritare il biasimo che meritava da parte di quella innocente Principessa e
quello dei suoi adoratissimi concittadini per aver a capo colei che è una
persona incapace di controllare i propri
impulsi, e inetta a pensare ad altri se non a se stessa.
Era già entrata nel negozio, quando Peach e Tiara vi arrivarono, ma
inizialmente si nascose dietro a quel dedalo di scaffali, accontentandosi di
seguirle tacitamente, in punta di piedi. Teneva stretta tra le solide pugna la
sua bella borsetta, madre degli affanni e delle paranoie di una manciata
indefinita di giorni; cercava di annegarli in uno di quei pochi modi che la
Sindaca riteneva onorevoli: annegare in un lavoro stacanovistico quando il sole
illuminava ancora la città e da lunghe peregrinazioni quando esso svolgeva il
suo compito eterno dall’altra parte del mondo e la luna lo rimpiazzava
pallidamente; se l’era imposto come una laica penitenza, che proprio quel tardo
diurno aveva già infranto. Ah, se non era neanche buona di darsi una degna
punizione, come poteva essere colei responsabile del benessere quotidiano di
migliaia di persone?
Si morse un labbro macchiando di rosso uno dei bianchi incisivi, e sgattaiolò
guardinga dietro a un’altra sezione di quel grandioso negozio, prese il primo
libro che vide e fece finta di leggerne l’incipit; Peach e Tiara si stavano
avvicinando, pur inconsapevoli della propria presenza, a lei! No, non voleva
ancora mostrarsi, il suo battito cardiaco si fece via via più palpabile; ma
scappare era seriamente la soluzione? No che non lo era, ma al contempo aveva
lei, Pauline l’iraconda codarda, il coraggio adatto per poter parlare
nuovamente con colei che aveva irrimediabilmente offeso?
Internamente agitata come uno dei cocktail che soleva sorseggiare dopo i suoi
concerti, era bloccata in quel limbo paradossale, ma qualcosa riuscì a
sbloccarla, un vivo lampo sussurrato fulmineamente dal suo subconscio: non
stava, forse disertando il suo dovere per lasciarsi trascinare dal flusso delle
sue suggestioni? A pochi metri di distanza non aveva, per caso davanti quella
Principessa sulla quale doveva espiare il proprio peccato?
Un’epifania minore fu in grado di smuoverla dalla sua immobile pusillanimità, di
sistemare quel volumetto che aveva ancora in mano nel posto in cui l’aveva
trovato.
S’avvicinò senza troppa fretta alla Principessa, ora lasciata in disparte dalla
sua piccola amica dal velo fluttuante; era intenta nel saggiare placidamente un libro, che
inizialmente stentò a individuare, ma che seppe riconoscere subito appena
lettone l’incipit: era proprio il giovane Toalden, un romanzo così affascinante, che tuttavia
stava trascurando proprio in quei giorni di artificiosi propositi e lancinanti
dolori!
“Ha degli ottimi gusti, la Principessa” cogitò osservando quel dolce e pacifico
quadro, poco prima di iniziare a smuovere quello scenario idilliaco e porle i
propri complimenti fuori luogo per le sue scelte. Prima di muovere la scelta
fatale, la sindaca si compiacque di aver trovato un buon espediente col quale
avviare pacificamente la conversazione, che sarebbe poi confluita nelle sue
scuse più sincere; e nonostante un’ultima ponderazione e trovò il coraggio di
esalare quelle gentili inconsuete parole.
La Principessa si voltò e riconobbe immediatamente la
fisionomia alta e formosa della sindaca Pauline, che la osservava con uno
sguardo diverso dal solito, più… genuino?
Peach strizzò gli occhi scettica, come se davanti a sé ravvisasse solamente una
vaga allucinazione dettata dalla suggestione dettatale dall’ambiente onirico in
cui si trovava.
“S… Sindaca?” fu quello che riuscì a scandire bene dalle sue piccole e rosee
labbra la cui forma a cuoricino si schiuse in un’espressione di una ambigua
sorpresa; pareva essere immediatamente tornata all’ibernazione fisica e mentale
che conseguì la litigata dei giorni addietro: non riusciva nemmeno a
comprendere come poter continuare la conversazione con la sua collega, la cui
sola vista le generava sentimenti così violentemente contrastati ma al contempo
così uniti da paralizzarla, impeti di ammirazione, rabbia, rammarico e
gratitudine si mischiavano nei suoi confronti.
Tiara, che fino ad allora era rimasta incredulamente ad osservare la situazione
così paradossale dal suo infantile cantuccio, si diresse verso la sua protetta
Principessa nascondendosi dietro alla sua sottana, come una bambina impaurita
dal mondo; e dal suo nuovo rifugio di stoffa, fissò di sdegno l’interlocutrice
della sua protetta, come a rimproverarla di essere stata la responsabile di
quel periodo di sofferenza dell’amica.
Pauline, iniziatrice di tale scena madre nonché consapevole di essere stata la
portatrice di un’ineluttabile malinconia nello stato d’animo della principessa,
decise di provare per lo meno a sciogliere la tensione che ella stessa aveva
creato, e lo fece nel modo ch’ella stessa riteneva il migliore per l’occasione:
“So che si troverà spaesata nel trovarmi improvvisamente in un luogo dove non
si sarebbe mai aspettata…” iniziò deglutendo amaramente le sue parole, come
fossero pillole amare per curare una malattia rappresentata da un’azione
sbagliata.
“non importa né il luogo in cui ci troviamo, né il momento, ma mi permetta delle
scuse, qui, in questo luogo pubblico; affinché anche i miei cittadini
comprenderanno che anche io, la loro amata sindaca, ho dei difetti non
indifferenti…”
Il suo sguardo si chinò, come una tardiva reverenza innanzi all’oramai
angelicata figura della Principessa, e una lacrima nera e fuggitiva macchiò
l’attillato pantalone rosso; il tempo decise nuovamente di rallentare il suo
ineluttabile incedere per concedere alle due ex rivali di chiarirsi con calma.
Il viso di Peach inizialmente indefinito si mutò in un’espressione ancor più
vaga, in cui gli occhi grandi tornarono nuovamente lucidi e le labbra tremarono
frementi; mentre Tiara sbucata dal regio nascondiglio la osservò ancora
scettica, ma ugualmente confusa.
“Chiedo ancora scusa per la mia impulsività, ho lasciato che il mio pregiudizio
verso lei, Principessa, accecasse la mia obiettività…” sospirò ancor più
spezzatamente la donna dai capelli mori, il cui pianto oramai esploso finì per
inzupparle le guance rigate di nero.
Una piccola mano diafana le carezzò delicatamente la schiena, per consolarla.
La sovrana del Regno dei Funghi, definitivamente riscaldata dalle sue sincere
parole si mosse a consolarla, e prima di avviarsi verso la donna strinse la
mano a Tiara, come per rassicurare pure l’esterrefatta fantasmina.
“Sindaca Pauline… n-non dica cose del genere… ammetto di esserci rimasta male
l’altro giorno, ma sappia che il nostro rapporto non si ridurrà solamente a
questo spiacevole evento: se vuole, possiamo metterci una pietra sopra e
tornare a parlare come se nulla fosse successo”
le mormorò nell’orecchio con voce vellutatamente flautata mentre con le sue
membra avvolse il corpo debolmente rammaricato della prima cittadina, che al
contempo pianse ancor più copiosamente lasciando che quello sfogo raggiungesse
il culmine in mezzo alle braccia di quella sconosciuta Principessa che a lungo
tempo aveva disprezzato.
“M-ma è sicura di voler perdonarmi così subito senza udire una buona scusa?”
balbettò la donna di vermiglio abbigliata, adagiando delicatamente il capo sul
petto della così pietosa Principessa.
“Sicura, in cuor mio sono sempre stata convinta della del suo cuore” insistette
l’angelica creatura, sussurrando quella gentile sentenza quasi fosse una dolce
ninnananna priva di melodia accarezzando la schiena della sindaca. Tiara,
ancora spettatrice assorta della scena, finalmente colpita dalla sincerità di quella
situazione, e decise di unirsi a Peach in quel tenero amplesso; sul quale
l’attenzione generale delle occasionali comparse si spostò, gemendo dalla
tenerezza, come se fosse partecipe a un appassionante capitolo di un libro
pregno di emozioni.
Nel torbido e confuso brusio del locale dal quale ebbe
genesi quella agrodolce cordialità, un tavolino come tanti altri, popolato
temporaneamente da tre distinte figure femminili dalle sagome ben scindibili
pareva essere il centro degli sguardi di
coloro si trovavano loro limitrofi.
“Davvero quella borsetta è un regalo di Mario?!” cinguettò entusiasta la voce
di Peach mentre le sue lucenti iridi scrutavano euforicamente i dettagli di quel fine accessorio; che ora
poteva tastare con le sue stesse mani, potendone sentendone la consistenza
liscia e gradevole al tatto, mentre Tiara si limitava a sfogliare beata per
l’ennesima volta uno dei curati libri che la Principessa le aveva regalato il
giorno addietro, in segno di scusa per non esserle sempre stata vicina durante
l’intero corso del viaggio. Pauline, sedutasi di fronte alle due amiche annuiva
mentre terminava di sorseggiare il suo caffè sotto lo scorcio di un cielo
viola, glicine e arancione nel quale poche nuvole scure otturavano la comunione
completa tra le tinte acquerellate.
“Hehe, ha sempre dimostrato un buon gusto, quando si tratta di regali” constatò
la donna scostandosi leggermente la grande tesa del cappello viola, che le cominciava a calare innanzi agli occhi “Sa
che ha una storia dietro?” continuò certa che la Principessa avrebbe ascoltato
di buon grado la malinconica favola che l’oggetto celava.
“Dovete sapere che quando fui rapita da Donkey Kong, anni fa, ho perso questo
oggetto e non ne ho avuto traccia fino a quando Mario, tornato a farmi visita è
riuscito a trovarmela, proprio il giorno del mio compleanno! Com’è ironica la
vita, non trovate?” riassunse brevemente la Sindaca, rievocando quella
lietissima immagine raffigurante il suo idraulico preferito (ah, come le
mancava ancora la sua esuberante presenza all’interno della città!) con in mano
quella malinconica offerta, esibito come se fosse un trofeo che ora poteva
tornare tra le braccia della sua legittima proprietaria; un dono testimone di ricordi lieti e non, che sarebbe
rimasto per sempre insieme alla sua Pauline, nonché l’oggetto ch’ella
paranoicamente aveva frainteso come un capriccioso desiderio di Peach la
settimana innanzi, come se la sovrana volesse strapparle quel poco che le era
rimasto della relazione oramai diradata con Mario.
“Oh, che dolce!” mugolarono in coro intenerite la Principessa e Tiara, la cui
concentrazione passò dal libercolo ancora aperto innanzi allo struggente
racconto della sindaca, la quale emise un sospiro afflitto; l’ennesimo.
Costringendo l’aria dall’emozione fortissima che stava rievocando, mormorò con
un fil di voce, quasi fosse in lacrime:
“Avete capito, insomma, quanto questo mio possedimento sia a me più che caro… e
mi dispiace ancora aver generato inutili litigi a causa di ciò, e so benissimo
che anch’io sono stata estremamente superf…”
“Ti ho già perdonato tutto- la interruppe Peach rivolgendosi a Pauline con tono
più colloquiale restituendole quella reliquia con la delicatezza che meritava-
ti stai dimostrando come una persona passionale e sincera, e Tiara ed io siamo
così felici poter conversare con te in questo momento”
“Sì, sei simpaticissima, e adoro come canti!” le fece eco Tiara cinguettando e
tentando di imitare stonatamente quel motivetto che aveva udito in quella prima
serata e che ancora in quel momento ricordava con piacere; Peach e Pauline
irruppero in una piccola risata divertita, come se le adorabili movenze di
Tiara avessero posto definitivamente la parola fine a quei giorni di
riflessione, di angoscia e di maturazione per entrambe le ragazze.
Fu meravigliosamente incantevole il così veloce progresso, in così pochi
giorni, che spinse loro a scoprire una buona intesa, che da quell’incontro in
libreria si dipanò in una serie d’incontri a un ritmo serratissimo, quotidiano;
quanto era bello, per la Principessa, poter girovagare per la città con una
nuova leggerezza, fluttuando quasi come fosse la sua spiritica amica insieme a
una guida così preparata e al contempo sensibile alle grazie che la città
poteva offrire. La dolce sovrana, inoltre, cominciò a reputarsi finalmente appagata
di poter conoscere un tassello così fondamentale nella vita di Mario, colui che
in quei giorni riscoprì di amare ancor più profondamente e teneramente di quanto
avesse fatto fino ad allora, ma al contempo il suo senso di colpa nei confronti
dell’idraulico di rosso vestito diventò più intenso, rendendo impossibile alla
Principessa godere pienamente delle sue vacanze. Tuttavia, in fede di ciò che gli
insegnamenti che la sindaca le stava elargendo durante quei primi istanti di
un’amicizia com’ella si auspicava forte e duratura, tentò di rincantucciare quegli
amari pensieri e di godere appieno degli appaganti frutti che la Grande Banana
poteva offrire a una rampolla come lei e alla sua vivace compagna di viaggio.
Pauline, al contempo riuscì a tornare gradualmente in sé, la gioviale sindaca dalla
voce argentina che il mondo aveva imparato ad amare: liberatasi del tutto dagli
orpelli dettati da paranoie e vecchi fantasmi del passato, decise di rallentare
lievemente il ritmo del proprio lavoro, che dall’opinione cittadina aveva
risaputo svolgere più che egregiamente, contrariamente a ciò ch’ella pensava,
per dedicarsi maggiormente a se stessa, e alla propria felicità, nonostante
ravvisasse ancora un certo debito morale nei confronti di Peach. Ma come fu
contenta di tornar a una sensazione di leggera spensieratezza, durante le
proprie lunghe passeggiate nella splendente metropoli, di ricambiare con vivo
gaudio chiunque l’avesse ossequiata e di essere orgogliosa del proprio impegno
per la città.
“Peach, Sin… Pauline!” esclamò Tiara scostando i lembi delle morbide maniche
del leggero abitino in cotone della
Principessa chiacchierante con la Sindaca, ripetendo insistentemente i nomi
delle due amiche, come se cercasse insistentemente di distaccarle dal loro
discorso.
“Sono le sei… tra mezz’ora inizia il film! Dai, andiamo!” si lamentò attirando
la loro attenzione ticchettando con l’argentea paletta ovale del cucchiaio
contro il bicchiere sporco del frappè che aveva consumato poc’anzi. Gli sguardi
delle due fanciulle finalmente confluirono verso l’impaziente coroncina, la
quale ribadì la propria smania di tornare nuovamente al cinema a vedere il
medesimo lungometraggio interattivo di cui tanto voleva essere la fortunata
protagonista.
“Ah, è vero! Come passa in fretta il tempo!” mormorò Peach osservando velocemente
l’orario dal telefonino che recava, guardando poi dolcemente la coroncina
assentendo implicitamente alla sua proposta di avviarsi verso il cinematografo.
“Chiedo venia se possiamo essere sgarbate ad abbandonarti così tempestivamente,
ma Tiara ci tiene tanto, e ho rimandato fin troppo questo appuntamento”
continuò alzando le spalle la Principessa, la quale abbassando impacciata lo
sguardo temette di apparire rude proprio con una conoscenza che stava giusto imparando
ad apprezzare anche durante quell’incontro informale; ma la reazione di Pauline
fu teneramente comprensiva:
“Non preoccuparti, Peach, ci credo che una tubalese così curiosa come Tiara non
veda l’ora di provare un’esperienza simile! Ah, è da così tanto tempo che non
vado al cinema, se volete vengo a farvi compagnia!”
“Davvero?!” esclamarono insieme le due amiche, colte da un piacevole sussulto.
Che pensiero gentile da parte sua!
“Certamente, e in qualità di prima cittadina di New Donk City farò sì che il
desiderio di questa dolce fanciulla si avveri”
La piccola coroncina accorse precipitosamente dalla sindaca e la travolse
gettandole le sue piccole protuberanze addosso, esprimendole in modo quanto più
affettuoso possibile la propria riconoscenza per quella finezza, ripetendole
velocemente dolci lemmi ovattati dal corpo di Pauline, la quale dopo aver sfiorato con le
grandi mani curate il piccolo corpicino tondeggiante e aver atteso che la
fantasmina si scostasse da lei naturalmente si alzò dal suo posto e,
sistemandosi le grinze della sua vermiglia giacca, incoraggiò Peach e Tiara ad
accodarsi insieme a lei verso il trepidante luogo ove sarebbe iniziata la
proiezione immerse nel luccicante e ruggente vespro di New Donk City.
Il maniero maestoso si ergeva come un imperituro monumento tinto di bianco e di
rosso volto a celebrare una dinastia di magnanimi sovrani tra le bucoliche e rigogliose
vallate del fiabesco Regno dei Funghi; l’ombra smussata dall’ovattata luminosità
del cielo pitturato di glicine e di lavanda si posava delicatamente sui prati
fioriti di tarassachi, margherite e nontiscordardime, come se la natura fosse
clemente nell’elargire un dono segreto agli occhi degli sporadici visitatori
già svegli nell’ora dell’aurora.
Tutt’un tratto i fini e giovani fili d’erba cominciarono a piegarsi sotto un’improvvisa raffica di vento
accompagnata da un rombo di eliche e d’ingranaggi decisamente frastornante da
udire di prima mattina, tanto d’aver fatto sussultare alcuni Toad ancora
immersi nel propri sogni; costoro si affacciarono, indisposti, dalle aperture delle
loro singolari casette a forma di micete, e rivelatasi la fonte di così tanto
fastidioso suono mutarono completamente il proprio umore: una strampalata
navicella dalla particolare forma a tuba trainata da un enorme palloncino i
quali riflessi dorati riflettevano la timida luce solare era appena atterrata
nella piazza principale; non c’era alcun dubbio, l’eroe era tornato a casa
dalla sua lunga odissea!
Contrariamente a quanto avvenuto a celebri eroi suoi colleghi, i funghetti
uscirono frettolosamente dalle loro casupole, abbigliati coi primi capi che
avevano trovato, per celebrare immediatamente lui, il grande Mario, il redentore
del regno nonché della loro adoratissima Principessa, e Cappy, il misterioso
cappello suo aiutante collaboratore alla pace; piccolo copricapo dai forti
principi e il cui coraggio sarebbe eternamente ripagato dalla stima degli
abitanti.
“Se solo la Principessa e Tiara fossero qui…” sospirò malinconica una Toadette non ancora
del tutto ridestata, lasciando solamente intravedere le scure ma lucenti iridi
dietro ai pesanti tendaggi delle finestre, accontentandosi solamente di
osservare l’idraulico dai grandi mustacchi e il cappello processare dietro
all’allegra fila di funghetti sotto le finestre di casa propria.
“Acciderbolina, che accoglienza in grande stile!” ridacchiò proprio il candido tubalese
dal ciuffetto con le punte turchesi spalleggiando il suo fido compagno di
avventure mentre erano in procinto
d’incamminarsi su per il sentiero che conduceva alla dimora dell’idraulico
baffuto, posta a esattamente metà distanza tra la piazzetta in cui erano
approdati e il castello di Peach; Mario, esausto del lungo pellegrinaggio che
aveva percorso fin dal satellite che aveva contribuito a distruggere
parzialmente alcuni mesi addietro, preferì non proseguire il dialogo e continuò
a marciare a passi tardi e lenti fino alla sua
lontana e tranquilla casupola.
Congedata la lunga processione dei suoi ammiratori, entrambi gli amici si
rintanarono tra le piccole ma
accoglienti mura di casa Mario e si buttarono a capofitto su un singolare divanetto
per metà rosso e metà che l’eroe del Regno dei Funghi soleva condividere col
fratello nei loro radi momenti di svago domestico.
Quant’era dolce rimettere piede nel proprio cantuccio dopo l’epica conclusione
una simile epopea! L’incantevole scia del pescato profumo degli esili
bastoncini si distribuiva sensualmente in ogni recesso domestico, rimembrando
all’idraulico dolci vagheggi sulla dolce Principessa con cui condivideva il
nome; ma al solo rimirare quella lucente chioma paglierina l’occhio dell’eroe
baffuto lentamente si socchiuse: chissà se la sua dolce protetta stesse
superando quel trauma… Tiara è stata così gentile a volerla distrarre dal giogo
dei suoi oneri facendole visitare i luoghi che lui stesso aveva accuratamente
esplorato col fido Cappy per poterla salvare. Ciò ch’egli fece sulla luna in
quel frenetico, indistinto giorno era alquanto infantile da parte sua, e
fortunatamente se ne ravvide presto: ritenne che la reazione di Peach fu più
che sensata e ne ammirò il suo autocontrollo in quella situazione traumatica,
non meritava alcun rancore; solo tempo per riassestarsi e, se avesse voluto, di
compiere una decisione ragionata.
Concorde con l’idea della coroncina, confidava di tornar a notare nella sua
adorata fanciulla un colore più rosato nelle sue gote sottili, e un nuovo dolce
crepitio nei suoi occhi non appena fosse tornata al trono del suo Regno, e che
potesse nuovamente essere la donna di cui lui si era innamorato sinceramente e
teneramente.
Come per cessare bruscamente l’onirica dormiveglia, Mario si sentì tirare gli
stopposi mustacchi da un tocco timido ma affettuoso, e come per incanto al
posto del viso di Peach l’idraulico, alzando stanco gli occhi verso l’alto, riconobbe istantaneamente l’impalpabile
fisionomia di Cappy: da quanto tempo si era alzato?
“Mario, ehi, Mario guarda cos’ho trovato!” tentò di sussurrare il tubalese facendosi a malapena udire già dalla
ravvicinata distanza da cui era posto l’idraulico; tratteneva stentatamente con
una delle sue piccole e diafane protuberanze una sottile ma grande busta di
carta avoriata dai bordi porpora la quale recava nel prezioso fronte il
peculiare logo a stelle e grattacieli della città di New Donk City; non appena
i suoi occhi riuscirono a discernerlo, lo sguardo del baffone trasalì in una
buffa espressione euforicamente contenta.
Era proprio una lettera da parte della sindaca Pauline, qual lieto
gaudio aver sotto agli occhi una missiva redatta proprio da lei! Malgrado il
loro interesse romantico fosse oramai scemato dopo tutto quel tempo, serbava
ancora tra i suoi ricordi l’immagine di una donna così passionale e sincera la
cui amicizia era un tenero tesoro da custodire. Quei fortuiti incontri a New
Donk City avvenutisi qualche mese
addietro avevano contribuito a rinsaldare ulteriormente quei già buoni seppur
radi legami che avevano mantenuto, e fu genuinamente orgoglioso di aver potuto
assistere, seppur di sbieco, alla brillante carriera che la ragazza dai capelli
di mogano aveva intrapreso. Serbava
ancora tra i recessi della sua mente la prima volta in cui l’aveva incontrata: lei
era ancora una semplice giornalista alla
ricerca di uno scoop tra gli snodati e bui vicoletti della città, quando improvvisamente
si ritrovò tra le indifese vittime di un ingenuo scimmione, una dama, la prima tra
le tante fanciulle che ormai aveva riscattato. Oramai si era trasformata in
quell’indipendente autorità quale aveva saputo dimostrarsi pur non perdendo la
sua dolcezza originaria, e perciò ne fu lieto; le era profondamente grato se
egli era diventato l’eroe del Regno dei Funghi declamato in tutto il mondo, e
non volle mai dimenticarsi del legame profondo che la legò a Pauline.
Dopo essersela fatta pazientemente consegnare da Cappy, oramai smanioso di
conoscerne il contenuto, Mario strappò velocemente la busta preziosa, malgrado
il più morigerato avvertimento dell’amico cappelluto, e la lesse voracemente,
scandendo attentamente nella sua mente ogni singolo grafema delle righe della sua
vecchia amica. Tutt’un tratto afferrò per la mano l’attonito Cappy, fino ad
allora nient’altro che un semplice osservatore di un’inspiegabile e improvvisa pantomima
del suo amico.
Fuori dalla casupola ove si erano ristorati i due eroi, campeggiava un cielo
schiarito da una bollente luce estiva, lievemente mitigata dalla soffice brezza
la quale sospingeva delicatamente gli ultimi leggeri batuffoli di polline, e
tra i vasti campi profumati si rincorrevano
serenamente alcuni piccoli Toad sorvegliati premurosamente dai parenti
affettuosi.
Tenendo ancora ben stretta la sua mano con quella di un Cappy ancora intento
nel suo tentativo di decifrare i suoi gesti, l’idraulico galoppò per tutto il
sentiero sul quale era passato tanto faticosamente poche ore prima, attirando
delle occhiate altrettanto curiose dai piccoli funghetti che fino a poco prima
giocavano spensieratamente, e si fermò alla Piazza Principale, davanti alla
navicella a forma di tuba adagiante davanti alla limpida e fresca fontanella in
attesa di una nuova avventura. Riverendo dapprima una tenera occhiata prima al
singolare veliero poi a quel leale fantasmino col quale condivideva la
fisionomia, Mario trillò giovialmente lasciando la potente presa a Cappy, il
quale cominciò finalmente a intuire ciò che stava passando nella mente
dell’amico: “È ora di tornare in azione, mio caro! La sindaca Pauline ci sta
aspettando”
E accese nuovamente i rombanti motori della loro navicella.
--Note
d’Autrice--
E finalmente il terzo capitolo ha potuto vedere la luce!
Scusatemi per il ritardo biblico col quale ho postato, ma in questi giorni la
scuola mi sta assorbendo più di quanto non abbia fatto finora; e immagino già
che per il mese prossimo sarà ancor peggio. Inoltre mi sto sentendo sempre più
insicura riguardo alla questione stilistica: temo che tra un capitolo e l’altro
non ci sia consistenza, o che spesso la prosa sfoci nel banale… come al solito,
se notate qualcosa che non torna, ditemelo, sono disposta ad ascoltare le
vostre critiche: so di non essere una professionista, ma è proprio per questo
che le accolgo più che volentieri!
In ogni caso ringrazio accoratamente quelle due anime sante che mi hanno
recensito quanto scritto negli scorsi due capitoli: le vostre parole mi hanno
sciolto il cuore, e spero di non deludervi con questo e il prossimo!
Un salutone, ci vediamo in quello che (credo) sarà l’ultimo capitolo!
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