The Princess and the Mayor

di Elegy_Chan
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Opulento meriggio ***
Capitolo 2: *** Vento rovente ***
Capitolo 3: *** Cielo di glicine ***



Capitolo 1
*** Opulento meriggio ***


Tiara, Peach e Pauline

La gonna di raso rosa frusciava come una vela accarezzata dal vento e il grande cappello bianco faticava ad avvolgere ancora la testa bionda, ed era in procinto di planare tra i grattacieli della grande metropoli.
“Peach, Peach!” trillò una voce squillante vicino alla giovane principessa, intenta a gustarsi una ciambella e affacciata a una delle tante ringhiere che merlavano le cime degli alti edifici del suggestivo luogo dove erano da poco approdate. La ragazza si voltò verso un piccolo fantasmino di una coroncina fluttuante, dagli enormi occhi rosa e il cui velo pareva voler seguire il cappello dell’amica. “Lo sai che il festival di New Donk City sembra abbia avuto un gran successo?“ chiese volteggiando in una piccola piroetta su se stessa.
“Lo so, Tiara, quanto mi sarebbe piaciuto assistervi, se non fossi stata ancora tra le grinfie di quel mostro…” Un attimo di silenzio inframmezzato dagli sfocati echi di clacson attraversò entrambe; il solito, quando si trattava di lui.
“Mi piacerebbe incontrare la sindaca di questa città” sviò la principessa dopo aver ingoiato l’ultimo boccone del suo dolcetto “Mario me ne ha sempre parlato spesso benissimo, sai?”
Tiara fece un piccolo mugolio e scosse il corpicino come per annuire. A seguire un altro inusuale silenzio staccò questa breve conversazione dalle separate riflessioni delle due.
Peach innalzò i suoi grandi occhi verso il vasto, infinito cielo sovrastante, ornato da alcune zefire, innocue nuvolette azzurre e promettente di un altro pomeriggio splendente rinfrescato dal vento. Se Cappy e soprattutto Mario avessero saputo per tempo della loro partenza, magari sarebbe riuscita a parlargli bene e a spiegargli con calma il motivo della sua drastica scelta... era conscia di aver spezzato il cuore all’uomo che più di tutti l’aveva amata, e non riusciva a darsene pace, lasciandola in un eterno limbo d’incomunicabilità reciproca.
Fu proprio la sua nuova amica Tiara a proporle quel viaggio attraverso quegli onirici panorami che insieme avevano solamente intravisto da un oblò di un’aeronave, per farla distrarre per qualche settimana da quella sensazione angosciosa che serbava nel cuore, ma servì a poco: nel corso della sua vacanza scambiò alcune parole insieme al suo adorato (quali coincidenze!), ma l’idraulico, nonostante non pareva serbarle rancore, non si tratteneva abbastanza a lungo per permetterle di esprimergli il suo più completo rammarico, e si sentisse conseguentemente peggio.
Sospirò. La principessa si sistemò il colletto della camicetta bianca, e riuscì a fermare per tempo il suo grande cappello prima che esso fosse caduto definitivamente nella voragine del traffico. Ripresasi completamente si rivolse nuovamente all’amica:
“Allora Tiara, che ne dici, ti va di vedere altre attrazioni?”
“Sì!” trillò la coroncina entusiasta volteggiando intorno alla sua amica.
Insieme scesero rapidamente lungo il labirinto verticale di vetro e di cemento, caute a non incontrare i solitari e scontrosi goomba nei paraggi, e riuscirono ad arrivare nel mondo reale, per terra. Tutto ciò che lassù era vagamente attutito dall’altezza, adesso era amplificato dai fragori di urla e di clacson, dove per avanzare bisognava eludere agilmente sciami di persone assorte nei propri pensieri e alcuni cantieri di una città in eterna costruzione.
“In quanto a rumore, era decisamente meglio l’Isola Perduta” sbottò tra sé Tiara seguendo goffamente Peach, che scoppiò in una lieve risata.

La tazzina di caffè fredda s’increspava formando piccole onde marroni e il cornetto lasciato a metà gli faceva compagnia sul piccolo e tondo tavolino in cima al solingo grattacielo, uno dei più alti della città. Sedutasi davanti, incurante della colazione incompleta, un’affascinante signora i cui capelli color mogano e il libro che stava leggendo coprivano quasi completamente la visuale del viso. Si riusciva a malapena a percepire il mugolare di qualche nota delineata senza troppa attenzione; il centro delle sue attenzioni era proprio il volumetto che stava sfogliando, recante una copertina quasi interamente bianca, la cui unica scritta nera risaltava recando il titolo del romanzo: il giovane Toaden, un classico che ancora non era riuscita a metter mano per via degli impegni, ambientato proprio in quella metropoli nella quale viveva. Ne finì un paio di capitoli e lo ripose sul tavolo, provò a mangiare il resto del cornetto, divenuto oramai indigesto e si fermò ad osservare la città, la sua Dedalo di grattacieli, immobile e compiaciuta di essere stata una degli artefici principali del proprio benessere.
Era oramai da mesi che la città non riusciva ad ottenere un periodo di serenità simile, dopo tutti quei tragici trascorsi che aveva subito, dall’improvvisa invasione di Bowser e dei suoi tirapiedi alla conseguente mancanza di energia elettrica: era sorpresa di quanto i propri cittadini, tuttavia, fossero stati tanto tenaci da essersi rimboccati le maniche pur di ripristinare la piena funzionalità della città; ma era Mario, il vero eroe della città, colui che andava eternamente ringraziato per i suoi prestigi.
Un intero festival e la recente costruzione di un nuovo parco commemorativo dedicatigli era troppo poco, per lei, ma cosa poteva fare se l’idraulico, dopo aver raccolto tutte le lune della città, era tornato alla sua madrepatria, nel Regno dei Funghi? La donna dalla fluente chioma scura trepidava assolutamente di rivederlo e di omaggiarlo con un altro concerto, tanto da aver avuto il coraggio di scrivergli una lettera il giorno prima, e averla spedita in mattinata.
A distrarla dal proprio flusso di pensieri fu il suono dell’orologio del municipio: Accidenti, erano già le tre; e il consiglio comunale doveva partire proprio allora! Prese con sé il libro, lasciando sul tavolo la tazzina semivuota di caffè, e corse, rallentata dai suoi tacchi, verso il luogo dell’incontro.

Una folla si sparpagliava come una marea dall’uscita del cinema, famoso per la sua interattività con alcuni degli spettatori, verso il resto della strada: alcuni attraversavano la strada facendo frenare bruscamente le automobili che rischiavano d’investirli; altri, più tranquilli preferivano dipanarsi tra le altre persone con cui avevano avuto la fortuita coincidenza di aver condiviso la sala per vedere la medesima proiezione. Tra questo groviglio umano si riconoscevano anche le fattezze di Peach e Tiara, che discutevano soddisfatte delle loro impressioni a riguardo alla proiezione; non avevano troppa fretta di allontanarsi, quindi aspettarono pazientemente che l’ondeggiante folla si diradasse sempre più, fino a ridursi ad alcuni esuli.
Uscirono finalmente dall’edifico, e una fresca brezza accarezzò loro delicatamente le gote; il cielo che si scorgeva tra un edificio a un altro da turchese stava assumendo tonalità rosate e arancioni, e le piccole nuvolette si erano inspessite di un poco.
“Peach, per favore, ci torniamo domani? Ti prego, ti prego, ti prego” implorò capricciosamente la piccola fantasmina alla propria amica, tenendo le manine unite e dimenando la sua codina, scatenando così l’ilarità della principessa.
“Certo che ci torniamo” rispose accondiscendente Peach accarezzandole leggermente la testa, in modo quasi materno “E farò di tutto affinché la prossima volta possa essere tu la fortunata ad entrare nel tubo!”
“Yuppie! Che bello, che bello! Torniamo al cinema!” cinguettò la coroncina abbracciando la ragazza come segno immediato della propria gratitudine.
“Allora, Tiara, si sta imbrunendo qui. Hai voglia di mangiare fuori o di tornare all’albergo?” chiese Peach guardando di sbieco il cielo e lievemente preoccupata per il freddo che si stava già percependo sulle braccia nude.
“Assolutamente fuori!” replicò decisa la coroncina “Il cibo dell’hotel era terribile, puah, mai più!” continuò veemente.
“Va bene, e che ristorante sia! Non vedo l’ora di assaggiare le pietanze tipiche di questo posto!” concluse entusiasta la principessa già con l’acquolina in bocca per le caloriche, ma buonissime leccornie che già si stava idealizzando nel tragitto.
Tuttavia, mentre camminava per le strade osservando insieme all’amica la mappa, lo stato di profondo disagio che le aveva intercorso durante tutto il viaggio della principessa tornò prepotentemente a dimostrarsi: quel film che insieme avevano visto altro non era che la riproduzione fedele del primissimo tratto di strada che Mario, il suo adoratissimo eroe, aveva percorso nella sua epopea per salvarla.
Com’era terribile quando persino una proiezione poteva ricordarle di essere una cattiva amica e di un’amante ancor peggiore!
“Mario, se solo tu non fossi ancora in giro per il mondo e oltre, quanto vorrei parlarti, almeno chiederti scusa per il mio comportamento ignobile…” pensò senza neanche riuscire a finire la frase, dato dal senso di vergogna che le schiacciava le viscere. “Come fanno ancora Daisy, Rosalinda, Toad, Luigi… e anche tu Mario a voler ancora bene a un’ingrata traditrice come me? Come riesci tu, piccola Tiara, a sopportare ancora la mia presenza?” e si sforzò di non piangere.
Provvidenzialmente a sopprimere questo flusso atemporalmente autodistruttivo ci pensò la stessa Tiara; che insistentemente indicò a Peach, tirandola per i lembi della gonna, un suggestivo locale all’aperto, arricchito da una cornice musicale travolgente e sincopata, su cui spiccava una voce agile e squillante che aggiungeva una sfumatura ancor più sofisticata alla musica.
Incantata dalla raffinatezza che quel cabaret infondeva, la principessa cercò di nascondere quel principio di lacrime che le aveva reso gli occhi splendenti quanto la cima delle lampade presenti tra un tavolino e un altro del locale, che però rimanevano sorprendentemente vuoti per trovare una calca impalpabile invece nei pressi del palco. Sedutesi attorno a uno di questi, Peach e Tiara non riuscirono a ravvisare alcuna fattezza di quegli ottimi musicisti, ma non importava loro: erano contente di aver trovato un gradevole posticino dove potersi riposare insieme e godere al contempo della pura atmosfera metropolitana della città.

“Grazie, grazie mille a tutti” urlò la donna dai capelli castani innanzi al lungo applauso finale della folla trepidante facendo un lieve salamelecco e indicando con le braccia il resto del complesso come per indirizzare gli elogi del pubblico anche a loro. Alcune voci in lontananza reclamavano con quanto fiato in gola l’ennesimo bis, che sarebbe stato il terzo della serata, ma l’acclamata cantante, pur nascondendo la fiacchezza che stava trattenendo decise di terminare il concerto così, sgattaiolando quattamente nel camerino appena notò che la maggioranza delle persone era in procinto di tornare nelle proprie abitazioni, canticchiando alcuni motivetti sentiti in precedenza.
Era solita esibirsi una volta alla settimana in quel locale, il più rinomato della città, da quando era riuscita a fare breccia nel cuore del pubblico: il suo particolare timbro squillante e suadente era talmente richiesto che gli stessi abitanti spedirono alla stessa sindaca richieste di esibirsi più spesso, che la giovane donna clementemente accolse instituendo così quelle serate così gremite di persone.
Finalmente, nell’insicura stabilità del suo camerino improvvisato appena distante dal palco sostituì l’attillatissimo, sfavillante abito rosso al più agevole tailleur del medesimo colore. La sindaca, uscendo dalla sua stanzetta, si complimentò ancora con i suoi colleghi per la meravigliosa serata che avevano appena  trascorso e si congedò, esortando loro di vedersi la volta dopo e di dare ancora il meglio di se stessi.
Appesantita dalla borsa strabordante di oggetti, si sentì improvvisamente anche la gola secca, come se fosse stata prosciugata dagli sforzi della sua stessa musica; prima di allontanarsi definitivamente dal posto decise di farsi servire un cocktail al bancone dell’ancora luminoso ed opulento locale.
“Un 1-up girl, per favore” ordinò lasciando cadere la borsa sotto i piedi e appoggiando i gomiti sul piano ove erano presenti altri calici sporchi  in attesa di essere presi dagli indaffaratissimi camerieri e di tornare nuovamente lucenti. Il suo aperitivo arrivò quasi immediatamente, seguito dal complimento del giovane commesso, che la donna sentì appena, essendo tutt’assorta nella contemplazione del bicchiere, come se un novello Graal le fosse appena passato davanti.
“Un’altra magnifica esecuzione, sindaca Pauline, complimenti!”
“Grazie mille…” bofonchiò confusa la cantante dai capelli di mogano dopo aver finalmente trangugiato il liquido verdastro come se fosse acqua, sentendosi leggermente meglio dopo quella miracolosa bevuta.
Trasalì improvvisamente.
“Non può essere, cosa ci fanno loro due lì?” pensò stropicciandosi gli occhi pesantemente truccati, lasciando due righe violacee sui palmi delle mani. Guardò meglio quelle due figurine che aveva scorto per sbaglio nella lontananza del grande cabaret. Non poteva che essere uno scherzo della mente, ne era sicura. Fece un respiro profondo, due e tre, richiuse nuovamente gli occhi, eppure ancora le vedeva come se niente fosse: la Principessa Peach, dai suoi lunghi capelli paglierini e Tiara.
Non aveva mai interagito direttamente con loro, eppure Cappy e Mario durante la loro permanenza a New Donk City ne parlavano sovente, delineandole come due ragazze dal carattere dolce e amichevole, ma non era sicura sulla veridicità di queste affermazioni: conoscendo Mario, era conscia che quando l’idraulico s’invaghiva per qualcuna, era solito idealizzare fino all’inverosimile le proprie amate, esattamente come aveva fatto con lei, quei freschi e giovani giorni in cui lei aveva appena intrapreso i primi passi nella sua carriera e lui girovagava per il mondo in cerca di fortune, nonostante si dovesse accontentare di qualche lavoretto occasionale. Si ricordava ancora di quando eroicamente si prodigò per salvarla dall’immatura furia di Donkey Kong e di quei teneri momenti che passarono insieme come giovani amanti.
Sfortunatamente si lasciarono piuttosto presto dopo una breve relazione; niente di  traumatico, entrambi avevano capito di non essere abbastanza coinvolti per poter essere in una relazione matura ma abbastanza in sintonia per rimanere buoni amici.
Qual malinconia, però, quando il suo adoratissimo Mario emigrò verso i luoghi dove passò la propria infanzia, nel Regno dei Funghi; e che sembrava aver legato anche con la sua principessa, scrivendo a lei sempre meno.
Era riuscita, però, a scorgere quell’incantevole fanciulla: da quella volta in cui era in cima a quell’aeronave a implorare aiuto, a quell’altra in cui era addirittura costretta a presenziare alla cerimonia di quello sposalizio risoltosi infine in altro che un satellite semidistrutto e in nulla.
Trasalì nuovamente: le due, evidentemente accortesi del lungo sguardo incredulo che ella stessa aveva lanciato loro poco prima, provarono ad avvicinarsi sempre più, sicure nella loro lentezza. Non sembravano ne’ infastidite, ne’ offese da essa bensì amichevoli e sorridenti, come se entrambe avessero percepito la sua inquietudine e volessero già calmarla con un’espressione.
Appena arrivata di fronte, prima di rivolgere la parola alla sindaca, la principessa fece una lieve, ossequiosa riverenza a Pauline
“Lieta di conoscervi, signorina Pauline, egregia sindaca di New Donk City. Chiedo venia se possiamo risultare scortesi, turbandola in questo momento che avrebbe preferito mantenere privato, ma sia la mia amica che io eravamo trepidanti d’incontrarla durante il nostro viaggio nella Grande Banana. Sicuramente ne’ il mio viso ne’ quello della mia compagna di viaggio le saranno nuovi, ma ci permetta di dire che la vostra città è un autentico gioiellino moderno”
E lo sguardo della principessa, da goffamente cerimonioso, s’illuminò in una più sincera espressione, come a delineare il complimento che aveva appena posto.

 

--- Note d’Autrice---

Ciao a tutti, e vi ringrazio calorosamente anche solo della lettura di questa prima parte di questa breve fiction, mi auguro prima tra tante!
Premetto che questa è la prima storia seria che scrivo da tanto tempo: la mia autostima non è mai stata eccessiva, per quanto riguarda la mia produzione “letteraria” e spesso e volentieri tendo a non pubblicare i miei lavori in quanto qualitativamente inferiori a ciò che sono solita leggere, sia come libri che come, appunto, fanfiction.
Sono stata fin da piccola un’ammiratrice delle surreali e oniriche avventure dell’idraulico baffuto e dei suoi amici, passione che si è protratta fino ad adesso, come vedete dalla mia comparsa in questa sezione.
Nell’immaginario comune tendiamo a immaginarci Peach e Pauline come fossero due nemiche mortali che anelano sanguinosamente al cuore di Mario, ma nel mio headcanon ce le vedo addirittura come amiche, nonostante tutto; per questo motivo sono rimasta delusa dalle interazioni minime che la principessa e la sindaca hanno avuto nel corso di Super Mario Odyssey, ed ecco quindi la genesi di questo mio lavoretto, in cui ho voluto approfondire non solo il rapporto che intercorre dalle due ragazze (e dalla tenerissima Tiara), ma anche delle loro angosce interiori, infrangibile (?) muro verso una più matura comprensione reciproca. Inoltre, come ben avrete potuto intuire, questa non è una fanfiction nella quale una sovrasta l’altra: di guerre simili ne è già pieno questo fandom in ogni suo angolo, e ho voluto rappresentare le due giovani donne sia con i propri pregi che coi relativi difetti.

Critiche e suggerimenti sono sempre i benvenuti: sono consapevole di avere molto da migliorare, ed è anche per questo che ho voluto pubblicare questa storia qui; quindi per ogni screzio che avete letto, siate liberi di segnalarmi gli eventuali errori e li correggerò volentieri!

Un saluto!

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Capitolo 2
*** Vento rovente ***


Peach, Tiara e Pauline 2  

Nel moderno attico illuminato solamente dagli abbaglianti riflessi delle luci esterne Pauline si muoveva nevroticamente per le stanze, come se cercasse qualcosa insistentemente ma senza tuttavia grande impegno. In parte mascherato dalla grande penombra che permeava la casa, il suo colorito si era fatto più pallido, e un principio di un’ombra violacea le si stava disegnando sotto gli occhi.
Nonostante l’orario, non si era ancora spogliata del fulvo tailleur madido di sudore;  si ravvisava solamente l’assenza dei tacchi neri, buttati disordinatamente lungo l’ingresso principale, e sostituiti solo dai suoi piedi nudi e infreddoliti dal clima notturno.
Era esausta dalla giornata trascorsa, ma faticava a chiudere occhio: quella ragazza dai capelli biondi e dai grandi occhi pareva rubarle il sonno, come se dietro al suo aspetto dolce innocente si scorgesse una megera.
Le iridi improvvisamente si rarefecero, e la giovane donna sprofondò sull’enorme letto che aveva tenuto in ordine fino poco prima: lo stomaco si contrasse e la gola si strinse fino a farle emettere un muto grido. Ecco, aveva capito qual era stato il suo errore più grande: non quello di lasciar interrompere la relazione con Mario, ma quello di non aver potuto far nulla per trattenerlo in città! Se fosse rimasto, chissà quale personaggio sarebbe potuto diventare; un grande imprenditore, sicuro! Se solo avesse voluto, avrebbe potuto conquistare New Donk City, esserne il protagonista; invece ha voluto seguire quel roseo e maligno miraggio, ed eternamente cercava di perseguirlo, cercandolo in tutti quei luoghi pericolosi.
Fece un sospiro profondo e analizzò la conversazione che ebbe la sera stessa con la Principessa Peach: meritava veramente i suoi biasimi? In fondo, in sua presenza si era presentata come una fanciulla molto gentile e trepidante di conoscerla, ma se fosse stata una maschera? Aveva rigettato Mario con così tanta nonchalance che non pareva per niente grata a lui per tutte le intese che le dedicò.
Sì, non poteva che essere un’ipocrita, una di quelle che Toalden cercava di evitare in quel capolavoro che stava particolarmente apprezzando: una manipolatrice che ben sapeva come bilanciare le proprie mosse. Perché Mario si era innamorato così pazzamente di lei? Come poteva venir raggirato così facilmente da una simile egocentrica viziata?
Dopo essersi ripresa, si rialzò sistemando le morbide e profumate coperte grigie e si affacciò sul bordo del balcone; sotto ai suoi piedi la vita sfavillava ancora, con automobili che rombavano e sfrecciavano per la via e dai risolini di gente mondana che tornava a casa. Il freddo le pizzicava le guance e i piedi, ma la giovane sindaca rimaneva ancora immobile, ora mirando il cielo violaceo opacizzato dalle luci vicine e dai grandi lampioni sottostanti.
Come si sarebbe potuta comportare con la sovrana del Regno dei Funghi, ospite tanto importante quanto ineludibile della sua città? Nonostante la sua immediata antipatia per lei, pensava di essere stata abbastanza garbata prima, così da permetterle di continuare i rapporti, che sperava rimanessero solamente diplomatici: per questa ragione ebbe l’arditezza di convocarla al municipio il dì seguente, per discutere dei rapporti futuri tra il regno della City e quello dei Funghi; ma a qual ripugnante fio!

Il lucidalabbra dai toni chiari e rosei era stato accuratamente sistemato lungo le piccole labbra rotonde, i capelli puliti e profumati le formavano delle grandi onde bionde che si susseguivano morbide fino al fondoschiena e la camicetta bianca era unita a quella gonna leggera da una sottile cintura impreziosita da un quarzo rosa. Poteva essere abbastanza presentabile per parlare ufficialmente col sindaco di una città così moderna e importante da essere tra i più potenti colossi economici al mondo? Sfortunatamente, credendo d’intraprendere un semplice viaggio di diporto, non aveva curato a mettere nel suo bagaglio degli abiti troppo formali, e quel completo che aveva appena ideato poteva faticosamente essere accettato in un ambiente simile.
Nonostante sole fosse già alto in cielo era ancora presto per quel fatidico incontro; Tiara era ancora cullata tra le braccia di Morfeo ma la principessa si era destata molto prima, da quando il cielo presentava ancora sfumature gialle, indaco e lavanda, di cui solo il vago brusio delle prime vetture riecheggiava fuori dall’ambiente in cui aveva passato la notte. Non sembrava essersi riposata a lungo, ma un chiarore nel suo volto sprizzava ugualmente una radiosità e la lieta impazienza di parlare nuovamente con Pauline; era piena di gaudio per il fatto che la sindaca abbia voluto vederla nuovamente, malgrado quella fulminea conversazione con cui aveva intrattenuto la sera prima. Frapposta a quella dolce eccitazione vi si celava un soffocato sentimento di costernazione, di vedere la sindaca così distaccata, come se fosse turbata solamente dalla sua presenza.  Era così diversa dalla donna energica e appassionata descritta con un pizzico di malinconia da Mario: subito dopo aver detto delle sciape frasi di convenienza e averle dato l’appuntamento, l’aveva subito abbandonata, mormorando alcuni espedienti per giustificare la sua partenza così repentina; la lunga notte primaverile non era ancora riuscita a fare capolino dalle sue ore diurne ed ecco che la sindaca che aveva incontrato involontariamente dopo a un suo concerto era svanita come l’ultimo suono di una melodia.
“Forse è una questione d’insicurezza”, cogitò la principessa dopo un primordiale sconcerto la stessa serata, divenendo via via più convinta della propria idea “Essendo la responsabile di una così grande città le potrei aver creato dei disagi, presentandomi così bruscamente al suo cospetto, non può essere che così! Magari da domani, confrontandomi con lei, potrà essere preparata a un incontro con me! Anche se avrei preferito vederci informalmente…” Socchiuse gli occhi e si discostò dai suoi pensieri.
I teli turgidi posti davanti alle finestre si ravvivarono in un acceso color avorio, e la sua giovane amica era ancora assopita, immersa fra le sue oniriche fantasie.
“Tiara, svegliati che è ora” sussurrò maternamente  la principessa sfiorando delicatamente la coroncina; la quale cominciò a mugugnare una nenia incomprensibile.
“Un altro po’, ti prego” si lamentò con voce abbassata scandendo le prime parole di quella giornata, ritirandosi rapidamente tra le rigide coperte dell’albergo, ma subito dopo un fascio di luce sfavillante le colpì direttamente gli occhi, infastidendola: la Principessa aveva appena aperto le tende e le aveva fatto giungere tutta quella fulgida cascata addosso!
“Svegliati, pelandrona!” ripeté più forte, mal trattenendo una risata divertita, mentre finalmente Tiara decise di uscire svogliatamente dal suo piccolo forte di stoffa, sbuffando come uno dei tanti caminetti delle aeronavi che affollavano la sua terra natia.
Rassegnatasi al crudele destino che la privava di ulteriori ore di sonno, la spiritella si sistemò rapidamente il velo che le si era aggrinzito durante la dormita e tornò la piccola fantasmina tenera e piena di energia che Peach aveva imparato ad apprezzare durante il loro rapimento.
Finalmente preparate, poterono finalmente uscire da quel grigio e tristissimo albergo, l’unico disponibile tra tanti pieni a New Donk City nonché quello più adatto per mantenere la principessa e la sua amica in una pace relativa, senza venire disturbate da eventuali ammiratori molesti o da critici di scelte di vita che sicuramente loro avrebbero potuto scegliere meglio, e si amalgamarono entusiastiche al vibrante viavai che già dalle ore antimeridiane si prospettava impalpabile.
E tra un: “Scusi, ci può cortesemente mostrare la via del municipio?” spiegando la mappa già mezza rovinata dalle ditate insistenti delle due amiche e dei conseguenti ringraziamenti, giunsero finalmente nella piazza principale.
Qual meraviglia poter constatare che dal vivo esprimeva maggiormente la sua grandiosità ancor più che dalle foto e dalle cartoline! Pareva proprio essere un posto creato per poter essere il punto di fuga del mondo, là dove tutte le strade di tutto il mondo vertevano, come una Roma avanguardistica. Gli imperiosi grattacieli creavano la cornice perfetta a un grande spiazzo verde, gremito di piccoli negozietti di souvenir dietro ai quali si prostrava una fila interminabile di turisti più interessati ad ottenere la propria copia in miniatura del modello del municipio che di averlo direttamente dietro di loro, e di tanti piccoli locali all’aperto popolati da altrettanti visitatori più saggi e lieti di poter rifocillarsi in un luogo esprimente un’imponente grandiosità che difficilmente si sarebbe piegata al corso del tempo e della natura.
Peach fece una lenta piroetta su se stessa, proprio sopra a quel globo stilizzato disegnato davanti all’ingresso del municipio; gli occhi lucidi e sgranati cercavano di mirare, invano, le invisibili cime di quei babelici giganti di cemento, lasciandosi sfuggire un ammirato gemito e una lacrima di commozione per essere parte integrante di quel quadro munificente che si stava prospettando.
Da un ritmo lento e regolare, il battito cardiaco della principessa accelerò talmente da non riuscire più a percepire i singoli palpiti: l’ora dell’incontro era sempre più incombente, e nonostante le gambe puntassero virtualmente già alla porta del municipio, e a salire conseguentemente per i piani infiniti, dovette trattenerle strenuamente lasciando che solamente qualche movimento continuo del piede potesse lasciar trapelare la sua impazienza. Nell’attesa aveva concesso a Tiara di prendersi uno sfizio nelle dirette vicinanze, e nonostante ella stessa non avesse fame, la coroncina aveva raccontato alla sua amica della bontà sovrumana del waffle che aveva giusto divorato nel cammino per tornare da lei, che la principessa promise di assaporare in un’altra occasione.
“Dai, andiamo” suggerì la principessa alzandosi e sistemandosi la gonna, prendendo per mano l’esangue mano di Tiara e dirigendosi ad ampie e tremanti falcate verso il portone dorato del municipio.

L’ormai infinito viaggio dell’ascensore oramai sfrecciante si concluse con l’apertura finale della porta cremisi e con una voce fastidiosamente metallica che ne annunciava il numero del piano.
Dal suo silenzioso ufficio bianco e dorato, Pauline riuscì a udire quel rumore e deglutì amaramente: cominciò a pentirsi di aver posto quella richiesta a una persona che non le trasmetteva nulla se non astio; ma era conscia che poteva comunque essere potenzialmente un’ottima occasione per trattare la sua grande potenza con un’altra dal passato glorioso e dalla reputazione buona e notoriamente pacifica.
“Ricordati, Pauline, che non siamo noi singole che influiamo nei rapporti internazionali, ma gli interessi comuni a ogni popolazione. Tratta la Principessa in quanto tale e non sfociare nel personale” Continuava a ripetersi ossessivamente nella testa come fosse un mantra, che però cominciò a perdere via via ogni significato ogni volta che lo pensava.
“Distacca i tuoi pensieri personali per la Principessa e fai il tuo dovere; sii lucida e brillante come al solito, e non farti abbindolare dalla sua presenza”
Bussarono alla porta, era il momento.  L’apparente anonimo segretario della sindaca era giunto con quell’annuncio; era troppo tardi per tirarsi indietro e la donna dai capelli mori e ondulati fece così entrare la bionda rivale in compagnia della coroncina.
Già quando si sedettero dall’altra parte dell’enorme e antica scrivania, uno dei pochi pezzi d’antiquariato che si potessero notare dentro al palazzo, si ravvisava in quell’incontro una piega negativa: gli occhi eccessivamente truccati (per coprire i segni del sonno perduto) della sindaca si socchiusero e guardarono di sbieco la presenza di Tiara, la piccola intrusa tubalese, e sollecitò in modo quanto più garbato a Peach e alla sua compagna: “Mi rincresce poter apparire eccessivamente severa, ma questa sarà una conversazione ufficiale tra due rappresentanti di Stato, quindi quella fantasmina potrebbe aspettare che finissimo di parlare prima di tornare in questa stanza?”
Mentre la sovrana del Regno dei Funghi non apparve immediatamente costernata, comprensiva delle intenzioni di Pauline, ma al contempo lievemente amareggiata al pensiero di lasciare la sua amica da sola per così tanto tempo, i grandi occhi della fantasmina divennero già lucidi e densi di lacrime solamente trattenute.
“Non si preoccupi, Principessa, chiamerò qualcuno affinché la sua amica non si annoi e possa fare una visita guidata gratuita al museo qui vicino” tentò di placare Pauline digitando qualcosa sul suo smartphone, abbozzando una frase perplessa di cui Peach stava solamente abbozzando l’inizio tra le sue labbra.
La giovane regnante lasciò uno sguardo ancor più rincuorante, al contempo comprensivo della decisione della collega nei confronti della sua amica, che abbandonò lo studio quasi in lacrime.

“Quindi, il Regno della City s’impegnerà a esportare nel Regno dei Funghi una maggiore quantità di componenti edili mentre il suo Paese ricambierà con il numero sufficiente per soddisfare il rapporto di domanda e offerta di funghi 1-up” contrattò finalmente il sindaco a metà riunione, digitando freneticamente sul computer vicino e facendo fuoriuscire dalla stampante i fogli oramai pregni di quanto scritto precedenza; affinché entrambe potessero firmare i nuovi accordi.
Malgrado il crescente inviso che la Principessa continuava ancora a scaturirle da quelle  parole così accuratamente scelte apposta per non sfigurare (doveva anche adesso recitare la parte dell’angelo caduto dal cielo?), doveva ammettere che era una buona politica: poche come lei riuscivano così abilmente a comprendere sia i bisogni del suo Stato che quelli del Regno, così da proporre un contratto vantaggioso per entrambe. Era soddisfatta, inoltre, anche dall’autocontrollo che ella stessa stava dimostrando con Peach durante quella situazione così delicatamente precaria, senza che il suo abbagliante pregiudizio sovrastasse almeno i rapporti lavorativi.
Dal punto di vista della Principessa, dopo l’iniziale sconforto per aver cacciato bruscamente la sua adoratissima Tiara, augurandosi che nel frattempo si stesse divertendo, si abituò ai modi cordialmente distaccati della sindaca e cominciò a convincersi che la donna si rapportasse con lei in quanto autorità e non come persona; e a malincuore vi si abituò. Ciononostante, fu ugualmente paga  di aver avuto la preziosa opportunità di parlarci e di poter migliorare le economie dei rispettivi Paesi con la loro riunione.
“Se lei è d’accordo, naturalmente, vorrei suggerire di porre a conoscenza i media della nostra nuova alleanza immediatamente dopo la fine del mio viaggio: ho riferito al mio consigliere della mia partenza poco prima di lasciare il castello, ma pare che il messaggio non sia stato riferito” accennò aggraziatamente l’ottima politicante; che con espressione lievemente costernata e rivolta verso i suoi sudditi preoccupati,  tamburellò le sue esili dita curate sul piano ancora libero dalle mille scartoffie poste disordinatamente sul tavolo; riscaldate dal battente sole di un mezzogiorno tardo primaverile, già tendente all’estivo e lievemente spostate dal caldo venticello. Pauline, pur ascoltando attentamente la Principessa, decise di chiudere la finestra, fino ad allora dischiusa per il caldo, per evitare ulteriore disordine; annuendo e mugugnando per farle capire che per lei non era un cruccio così importante questo rimando.
Ma proprio in quella fuggevole parentesi, la concentrazione della fanciulla di rosa vestita, fino ad allora deditamente assorta nel suo impiego diplomatico, cadde su un piccolo oggetto appartenente alla Sindaca: sotto alla scrivania si poteva intravedere una borsetta fucsia dai bordi argentei e dal lucente medaglione del medesimo colore, fu proprio quello che attirò il suo occhio. Nonostante l’azzardata combinazione cromatica, fu proprio quella che rendeva il piccolo oggetto così caratteristico; non era un oggetto molto grande, né provvisto di un design particolarmente complesso, ma rimaneva ugualmente un bell’accessorio, che Peach fu in grado di apprezzare genuinamente.
“Chiedo venia se interrompo così bruscamente il discorso per passare direttamente a una frivolezza simile, ma volevo dirle che quella borsetta che tiene sotto alla scrivania è deliziosa! Forse non si abbina molto al suo vestito, ma rimane ugualmente adorabile. Dove l’ha presa?”
Che non avesse mai detto quella frase!
La sindaca, sedendosi violentemente guardò la povera Principessa in cagnesco: era troppo. Ecco che le sue acerbe paranoie si erano palesate: la principessa si era mostrata per quello che era, ovvero una donna ipocrita e superficiale. Era palese che la Principessa volesse raggirarla con tutte quelle belle promesse, come aveva fatto astutamente con Mario, ma no; lei non ci sarebbe cascata, al contrario dell’adoratissimo amico.
Mentre l’espressione della sovrana del Regno dei funghi cangiava in una smorfia impaurita accompagnata da una serie tramortita di scuse, la donna dai capelli mori mise a tacere immediatamente la bionda sibilando glacialmente:
“Lo sapevo non fossi una buona presenza per la nostra città, e ne ho appena avuto la testimonianza”
“M-ma non credo di aver detto niente di male…” tentò di difendersi invano la Principessa, i cui grandi occhi azzurri scaturì una prima serie interminabile di lacrime, che lentamente le rigavano le guance rosse per la vergogna.
“Ah, no! Tu sei la dolce principessina a cui tutto è dovuto! Piangi affinché ti salvino da un mostro brutto e cattivo e oh guarda, hai un intero corpo di eroi che farebbe salti mortali per te!” urlò con vena sprezzante la donna, il cui paonazzo viso divenne del medesimo  colore del tailleur; che si stesse sfogando fin troppo con la sovrana con cui prima aveva stipulato degli accordi così tanto vantaggiosi? No, era ciò che la malcapitata meritava, secondo la cocente convinzione di quell’istante. Se Mario era troppo buono da impartirle una punizione adeguata, ci avrebbe pensato direttamente lei.
“Ma che c’entr-”
“Ah vero! Tu sei la schiavista dallo sguardo angelico, colei che ha rifiutato quella povera anima santa di Mario, che si è impegnato così tanto per farti felice, e tu che fai? La schizzinosa viziata che vuole il principe azzurro e che schifa in così malo modo un povero idraulico!”
Le sue orecchie la stavano ingannando, era così? Stavano veramente sgranando quelle parole o era uno scherzo di pessimo gusto da parte della sua psiche? I suoi arti, durante quell’impulsivo snocciolamento di quelle infondate accuse,  si erano tramutati in pietra, così come il respiro, ora impercettibile. La Principessa, tramortita dal dolore non pareva più umana, ma pareva una statua di carne rigida dai cui soli occhi sgorgavano lacrime, copiose.
Non fu più in grado di pronunziare parola, né di reagire per un periodo così breve eppure talmente infinito da parere quasi immerso in un’atemporalità.
Quando riuscì a schiodarsi dal suo torpore e stanca di quest’improvvisa e ingiustificata umiliazione morale, fuggì via, abbandonando immediatamente la sindaca alla sua ira; percorse a piedi le lunghe, infinite scale dell’enorme grattacielo, e incurante della bellissima giornata che si stava svolgendo esternamente si rifugiò nell’anonima stanzetta d’albergo dalla quale era uscita così tanto fiduciosa.

Contratti e documenti si sparpagliavano indistintamente tra il piano della scrivania e quello del parquet grigiastro su cui posava in piedi la ora costernata sindaca, che li stava lentamente raccogliendo e riordinando.
La donna dai folti crini scuri ravvisò uno di quei fogli freschi di stampa, pieno di lettere ma privo di una delle due firme, la sua, quello che doveva essere il simbolo di un’alleanza che ella stessa aveva interrotto proprio nel momento più cruciale; e per quale causa? Di quella borsetta buttata sul pavimento e parzialmente nascosta dal fogliame odorante d’ufficio.
Deglutì amaramente, e tremò, conscia di aver commesso uno sbaglio imperdonabile: aver ascoltato il suo insediante pregiudizio, e di aver sfogato le sue ansie, le sue frustrazioni e  le sue paranoie su una povera persona innocente;  malgrado avesse compiuto un atto a suo avviso deprecabile, si era dimostrata una giovane ragazza di buon cuore e di elevata sensibilità, desiderosa parlare con lei e conoscere la sindaca di una città così prosperosa nonché una delle più care amiche dell’idraulico baffuto.
Capì di averla gravemente vilipesa subito dopo che la fanciulla scappò attonita in quel labirinto di stanze e scalinate; quando ancora il suo viso era rosso d’ira ora esangue dalla tristezza e dal rimorso di un atto così immaturo. E una come lei, così impulsiva e immatura per delle simili sciocchezze meritava veramente il suo posto da sindaco? No, non lo meritava per niente; poteva anche impegnarsi attivamente per il benessere della città, ma rimaneva una persona iraconda e inadatta, esatto, per niente professionale per quel ruolo.
“Povera Principessa” ripeteva continuamente muovendo appena le labbra mentre raccolse le ultime carte, buttate con foga mentre stava sfogando il suo malessere contro la giovane sovrana “Non oso neanche immaginare come starà in questo momento. Dovrò chiederle delle scuse, ma serviranno veramente a qualcosa? Oramai non mi sopporterà più…”
L’orologio segnava le due nel computer ancora acceso e rimasto alla schermata del documento incompleto, ma la sindaca decise di uscire prima dal lavoro: al suo dubbioso segretario riferì che non si sentiva bene, ed era vero; una forte emicrania, accentuata dall’acerbo tedio di aver maltrattato la Principessa. Uscì sbrigativamente dal municipio, sorpassando l’ancora lunga fila di turisti, ma non si diresse a casa; rimase lì, inerme davanti al semaforo, sorpassata e guardata di sbieco dagli altri cittadini, mentre il flusso continuo della città non si fermava neanche per guardare il malessere del proprio capo.



---Note d’Autrice---

E finalmente sono riuscita, dopo mille difficoltà dettate maggiormente dalla scuola, a finire questo capitolo! Debbo ammettere che mi è parso molto difficile farlo, più che altro per una questione sia stilistica che logica dei fatti qui narrati. Come fanfiction sta diventando ben più corposa del previsto (tranquilli, non saranno più di quattro capitoli), e debbo dire che non mi dispiace come sta venendo (sperando siate d’accordo). Per questo vorrei ringraziare le mie due beta-reader, che stanno avendo la pazienza di  correggere un “mattone” simile.
Ovviamente se c’è qualcosa che non vi convince, ditemelo! Nonostante il primo capitolo sia passato in sordina, non significa che disprezzi le recensioni! C;
Poi, come vorrei sempre ribadire, nonostante i palesi screzi presentati del capitolo, non odio né Peach né Pauline, anzi, le adoro entrambe!
E chiedo scusa se il prossimo capitolo potrebbe tardare a venire, ma avrò un periodo molto intenso nelle prossime settimane…
In ogni caso, mi auguro che anche questo capitolo vi sia gradito, e ci vediamo nel prossimo!

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Capitolo 3
*** Cielo di glicine ***


Peach, Tiara e Pauline terzo capitolo

L’immensa libreria si snodava come un immenso labirinto costruito in uno stile volutamente antico su più piani, ciascuno di esso pregno di tomi e volumetti che chiedevano disperatamente di essere comprati e letti da un avido lettore; incamminarvisi era come entrare in un poetico, pacifico mondo parallelo ove ogni paura veniva attutita da pagine profumate e storie malinconiche.
Tra le rade e minute figurine che si riuscivano a scorgere in mezzo a tal paradiso cartaceo vi erano anche quelle di Peach e di Tiara, ma un’aura impalpabile, immaginaria pareva far risplendere ulteriormente le fisionomie di entrambe: la Principessa mirava, seppur distrattamente, alcune costine, sfiorandole appena col dito e la sua amica non poteva far altro che osservarla piacevolmente stranita mentre spiegava alcuni libri per bambini dalle magnifiche illustrazioni, come se la giovane donna fosse così radicalmente cambiata in così poco tempo.
L’incontro di alcuni giorni addietro fu, sorprendentemente, un catalizzatore, che nonostante fosse iniziato da un supino torpore annegato da lacrime di dolore si trasformò come il preludio per un’intensa pausa di riflessione: risentiva ancora gli effetti di ciò che la sindaca di New Donk City aveva espresso nella sua sfuriata, come fosse un aspro rimbombo di campane, e ancora si sentiva vilipesa dai toni sgarbati che ella aveva usato; ma al contempo ravvisò in mezzo alle righe delle sue veementi parole un invito a risvegliarsi dalla sua scarsa reattività ch’ella aveva avuto nella sua esistenza, specie con Mario. Quando avrebbe potuto rivedere l’adoratissimo idraulico, gli avrebbe chiesto definitivamente scusa per il suo errore forse imperdonabile, anche a scapito di bloccarlo durante le sue incessanti e sfrenate avventure nel corso del globo, e di dichiarargli, una volta per tutte il suo amore per lui, in caso l’avesse perdonata. Il tempo nel quale gli appena accennati bacini sul naso e le deliziose torte erano gli unici palesamenti di un sentimento così tanto profondo poteva definirsi concluso; si era resa conto che il suo amato necessitava di una condotta lievemente meno allusiva, seppur rimanendo dolce, e di più sincerità affinché il loro rapporto potesse fiorire come la sovrana pensava meritasse.  Quel tentativo di matrimonio fallito così miseramente poteva rimanere solamente una pagina oscura tra le tante così iridescenti che il futuro poteva offrirle, e ne volle definitivamente scrivere le dolci parole.
Pauline era nel torto dandole dell’ingrata con cotanta leggerezza, ma ripercorrendo i trascorsi con  l’eroe dai grandi mustacchi durante quei lunghi anni in cui l’ha salvata, effettivamente ravvisò un’eccessiva superficialità e un’inutile allusività nei suoi confronti, ed era ora di superarla definitivamente. E doveva ringraziare proprio lei, quella donna così appassionata, quella vecchia fiamma rossa di Mario, per averle scaturito accidentalmente quella matura meditazione.
Questa ragione, un miglioramento di se stessa, la trascinò ulteriormente nell’erudita corrente della letteratura e della saggistica: quando non era occupata dalla folta lista dei suoi oneri reali o non era per l’ennesima volta la malcapitata ospite di Bowser, soleva dilettarsi con una lettura di un buon volumetto; non era una persona molto esigente, apprezzava qualsiasi genere, nonostante avesse una predilezione per i classici e per le storie d’amore, purché fosse scritto bene e l’avrebbe fatta emozionare o riflettere in qualche maniera.
La giovane donna ravvisò, confuso tra gli altri corsi bianchi e inumati, un volumetto sottile con un titolo che però le era noto: il giovane Toalden, la storia dell’annichilito peregrinare di un giovane Toad in mezzo alle strade che ella stessa stava percorrendo in quei momenti, uno dei romanzi più adatti da leggere in quei giorni in cui era ospite nella medesima città.
Una voce brillantemente carica, stranamente familiare ruppe il religioso silenzio, facendo sobbalzare improvvisamente la ragazza dal crine paglierino dapprima intenta ad assaporare quel sincero incipit di un libro così tanto famoso e amato:
“Ottima scelta, Principessa!”

Qual fortuita visione, immersa in quell’onirico acquario di libri!
Un’aleatoria sorpresa così vaga, impossibile da descrivere con dei termini precisi, siccome oscillava vorticosamente tra l’ingenuo gaudio di un nuovo civile inizio e la consapevole angoscia di aver commesso un peccato tanto grave da meritare il biasimo che meritava da parte di quella innocente Principessa e quello dei suoi adoratissimi concittadini per aver a capo colei che è una persona  incapace di controllare i propri impulsi, e inetta a pensare ad altri se non a se stessa.
Era già entrata nel negozio, quando Peach e Tiara vi arrivarono, ma inizialmente si nascose dietro a quel dedalo di scaffali, accontentandosi di seguirle tacitamente, in punta di piedi. Teneva stretta tra le solide pugna la sua bella borsetta, madre degli affanni e delle paranoie di una manciata indefinita di giorni; cercava di annegarli in uno di quei pochi modi che la Sindaca riteneva onorevoli: annegare in un lavoro stacanovistico quando il sole illuminava ancora la città e da lunghe peregrinazioni quando esso svolgeva il suo compito eterno dall’altra parte del mondo e la luna lo rimpiazzava pallidamente; se l’era imposto come una laica penitenza, che proprio quel tardo diurno aveva già infranto. Ah, se non era neanche buona di darsi una degna punizione, come poteva essere colei responsabile del benessere quotidiano di migliaia di persone?
Si morse un labbro macchiando di rosso uno dei bianchi incisivi, e sgattaiolò guardinga dietro a un’altra sezione di quel grandioso negozio, prese il primo libro che vide e fece finta di leggerne l’incipit; Peach e Tiara si stavano avvicinando, pur inconsapevoli della propria presenza, a lei! No, non voleva ancora mostrarsi, il suo battito cardiaco si fece via via più palpabile; ma scappare era seriamente la soluzione? No che non lo era, ma al contempo aveva lei, Pauline l’iraconda codarda, il coraggio adatto per poter parlare nuovamente con colei che aveva irrimediabilmente offeso?
Internamente agitata come uno dei cocktail che soleva sorseggiare dopo i suoi concerti, era bloccata in quel limbo paradossale, ma qualcosa riuscì a sbloccarla, un vivo lampo sussurrato fulmineamente dal suo subconscio: non stava, forse disertando il suo dovere per lasciarsi trascinare dal flusso delle sue suggestioni? A pochi metri di distanza non aveva, per caso davanti quella Principessa sulla quale doveva espiare il proprio peccato?
Un’epifania minore fu in grado di smuoverla dalla sua immobile pusillanimità, di sistemare quel volumetto che aveva ancora in mano nel posto in cui l’aveva trovato.
S’avvicinò senza troppa fretta alla Principessa, ora lasciata in disparte dalla sua piccola amica dal velo fluttuante; era intenta nel  saggiare placidamente un libro, che inizialmente stentò a individuare, ma che seppe riconoscere subito appena lettone l’incipit: era proprio il giovane Toalden,  un romanzo così affascinante, che tuttavia stava trascurando proprio in quei giorni di artificiosi propositi e lancinanti dolori!
“Ha degli ottimi gusti, la Principessa” cogitò osservando quel dolce e pacifico quadro, poco prima di iniziare a smuovere quello scenario idilliaco e porle i propri complimenti fuori luogo per le sue scelte. Prima di muovere la scelta fatale, la sindaca si compiacque di aver trovato un buon espediente col quale avviare pacificamente la conversazione, che sarebbe poi confluita nelle sue scuse più sincere; e nonostante un’ultima ponderazione e trovò il coraggio di esalare quelle gentili inconsuete parole.

La Principessa si voltò e riconobbe immediatamente la fisionomia alta e formosa della sindaca Pauline, che la osservava con uno sguardo diverso dal solito, più… genuino?
Peach strizzò gli occhi scettica, come se davanti a sé ravvisasse solamente una vaga allucinazione dettata dalla suggestione dettatale dall’ambiente onirico in cui si trovava.
“S… Sindaca?” fu quello che riuscì a scandire bene dalle sue piccole e rosee labbra la cui forma a cuoricino si schiuse in un’espressione di una ambigua sorpresa; pareva essere immediatamente tornata all’ibernazione fisica e mentale che conseguì la litigata dei giorni addietro: non riusciva nemmeno a comprendere come poter continuare la conversazione con la sua collega, la cui sola vista le generava sentimenti così violentemente contrastati ma al contempo così uniti da paralizzarla, impeti di ammirazione, rabbia, rammarico e gratitudine si mischiavano nei suoi confronti.
Tiara, che fino ad allora era rimasta incredulamente ad osservare la situazione così paradossale dal suo infantile cantuccio, si diresse verso la sua protetta Principessa nascondendosi dietro alla sua sottana, come una bambina impaurita dal mondo; e dal suo nuovo rifugio di stoffa, fissò di sdegno l’interlocutrice della sua protetta, come a rimproverarla di essere stata la responsabile di quel periodo di sofferenza dell’amica.
Pauline, iniziatrice di tale scena madre nonché consapevole di essere stata la portatrice di un’ineluttabile malinconia nello stato d’animo della principessa, decise di provare per lo meno a sciogliere la tensione che ella stessa aveva creato, e lo fece nel modo ch’ella stessa riteneva il migliore per l’occasione:
“So che si troverà spaesata nel trovarmi improvvisamente in un luogo dove non si sarebbe mai aspettata…” iniziò deglutendo amaramente le sue parole, come fossero pillole amare per curare una malattia rappresentata da un’azione sbagliata.
“non importa né il luogo in cui ci troviamo, né il momento, ma mi permetta delle scuse, qui, in questo luogo pubblico; affinché anche i miei cittadini comprenderanno che anche io, la loro amata sindaca, ho dei difetti non indifferenti…”
Il suo sguardo si chinò, come una tardiva reverenza innanzi all’oramai angelicata figura della Principessa, e una lacrima nera e fuggitiva macchiò l’attillato pantalone rosso; il tempo decise nuovamente di rallentare il suo ineluttabile incedere per concedere alle due ex rivali di chiarirsi con calma.
Il viso di Peach inizialmente indefinito si mutò in un’espressione ancor più vaga, in cui gli occhi grandi tornarono nuovamente lucidi e le labbra tremarono frementi; mentre Tiara sbucata dal regio nascondiglio la osservò ancora scettica, ma ugualmente confusa.
“Chiedo ancora scusa per la mia impulsività, ho lasciato che il mio pregiudizio verso lei, Principessa, accecasse la mia obiettività…” sospirò ancor più spezzatamente la donna dai capelli mori, il cui pianto oramai esploso finì per inzupparle le guance rigate di nero.
Una piccola mano diafana le carezzò delicatamente la schiena, per consolarla. La sovrana del Regno dei Funghi, definitivamente riscaldata dalle sue sincere parole si mosse a consolarla, e prima di avviarsi verso la donna strinse la mano a Tiara, come per rassicurare pure l’esterrefatta fantasmina.
“Sindaca Pauline… n-non dica cose del genere… ammetto di esserci rimasta male l’altro giorno, ma sappia che il nostro rapporto non si ridurrà solamente a questo spiacevole evento: se vuole, possiamo metterci una pietra sopra e tornare a parlare come se nulla fosse successo”
le mormorò nell’orecchio con voce vellutatamente flautata mentre con le sue membra avvolse il corpo debolmente rammaricato della prima cittadina, che al contempo pianse ancor più copiosamente lasciando che quello sfogo raggiungesse il culmine in mezzo alle braccia di quella sconosciuta Principessa che a lungo tempo aveva disprezzato.
“M-ma è sicura di voler perdonarmi così subito senza udire una buona scusa?” balbettò la donna di vermiglio abbigliata, adagiando delicatamente il capo sul petto della così pietosa Principessa.
“Sicura, in cuor mio sono sempre stata convinta della del suo cuore” insistette l’angelica creatura, sussurrando quella gentile sentenza quasi fosse una dolce ninnananna priva di melodia accarezzando la schiena della sindaca. Tiara, ancora spettatrice assorta della scena, finalmente colpita dalla sincerità di quella situazione, e decise di unirsi a Peach in quel tenero amplesso; sul quale l’attenzione generale delle occasionali comparse si spostò, gemendo dalla tenerezza, come se fosse partecipe a un appassionante capitolo di un libro pregno di emozioni.

Nel torbido e confuso brusio del locale dal quale ebbe genesi quella agrodolce cordialità, un tavolino come tanti altri, popolato temporaneamente da tre distinte figure femminili dalle sagome ben scindibili pareva essere  il centro degli sguardi di coloro si trovavano loro limitrofi.
“Davvero quella borsetta è un regalo di Mario?!” cinguettò entusiasta la voce di Peach mentre le sue lucenti iridi scrutavano euforicamente i  dettagli di quel fine accessorio; che ora poteva tastare con le sue stesse mani, potendone sentendone la consistenza liscia e gradevole al tatto, mentre Tiara si limitava a sfogliare beata per l’ennesima volta uno dei curati libri che la Principessa le aveva regalato il giorno addietro, in segno di scusa per non esserle sempre stata vicina durante l’intero corso del viaggio. Pauline, sedutasi di fronte alle due amiche annuiva mentre terminava di sorseggiare il suo caffè sotto lo scorcio di un cielo viola, glicine e arancione nel quale poche nuvole scure otturavano la comunione completa tra le tinte acquerellate.
“Hehe, ha sempre dimostrato un buon gusto, quando si tratta di regali” constatò la donna scostandosi leggermente la grande tesa del cappello viola, che  le cominciava a calare innanzi agli occhi “Sa che ha una storia dietro?” continuò certa che la Principessa avrebbe ascoltato di buon grado la malinconica favola che l’oggetto celava.
“Dovete sapere che quando fui rapita da Donkey Kong, anni fa, ho perso questo oggetto e non ne ho avuto traccia fino a quando Mario, tornato a farmi visita è riuscito a trovarmela, proprio il giorno del mio compleanno! Com’è ironica la vita, non trovate?” riassunse brevemente la Sindaca, rievocando quella lietissima immagine raffigurante il suo idraulico preferito (ah, come le mancava ancora la sua esuberante presenza all’interno della città!) con in mano quella malinconica offerta, esibito come se fosse un trofeo che ora poteva tornare tra le braccia della sua legittima proprietaria; un dono  testimone di ricordi lieti e non, che sarebbe rimasto per sempre insieme alla sua Pauline, nonché l’oggetto ch’ella paranoicamente aveva frainteso come un capriccioso desiderio di Peach la settimana innanzi, come se la sovrana volesse strapparle quel poco che le era rimasto della relazione oramai diradata con Mario.
“Oh, che dolce!” mugolarono in coro intenerite la Principessa e Tiara, la cui concentrazione passò dal libercolo ancora aperto innanzi allo struggente racconto della sindaca, la quale emise un sospiro afflitto; l’ennesimo. Costringendo l’aria dall’emozione fortissima che stava rievocando, mormorò con un fil di voce, quasi fosse in lacrime:
“Avete capito, insomma, quanto questo mio possedimento sia a me più che caro… e mi dispiace ancora aver generato inutili litigi a causa di ciò, e so benissimo che anch’io sono stata estremamente superf…”
“Ti ho già perdonato tutto- la interruppe Peach rivolgendosi a Pauline con tono più colloquiale restituendole quella reliquia con la delicatezza che meritava- ti stai dimostrando come una persona passionale e sincera, e Tiara ed io siamo così felici poter conversare con te in questo momento”
“Sì, sei simpaticissima, e adoro come canti!” le fece eco Tiara cinguettando e tentando di imitare stonatamente quel motivetto che aveva udito in quella prima serata e che ancora in quel momento ricordava con piacere; Peach e Pauline irruppero in una piccola risata divertita, come se le adorabili movenze di Tiara avessero posto definitivamente la parola fine a quei giorni di riflessione, di angoscia e di maturazione per entrambe le ragazze.
Fu meravigliosamente incantevole il così veloce progresso, in così pochi giorni, che spinse loro a scoprire una buona intesa, che da quell’incontro in libreria si dipanò in una serie d’incontri a un ritmo serratissimo, quotidiano; quanto era bello, per la Principessa, poter girovagare per la città con una nuova leggerezza, fluttuando quasi come fosse la sua spiritica amica insieme a una guida così preparata e al contempo sensibile alle grazie che la città poteva offrire. La dolce sovrana, inoltre, cominciò a reputarsi finalmente appagata di poter conoscere un tassello così fondamentale nella vita di Mario, colui che in quei giorni riscoprì di amare ancor più profondamente e teneramente di quanto avesse fatto fino ad allora, ma al contempo il suo senso di colpa nei confronti dell’idraulico di rosso vestito diventò più intenso, rendendo impossibile alla Principessa godere pienamente delle sue vacanze. Tuttavia, in fede di ciò che gli insegnamenti che la sindaca le stava elargendo durante quei primi istanti di un’amicizia com’ella si auspicava forte e duratura, tentò di rincantucciare quegli amari pensieri e di godere appieno degli appaganti frutti che la Grande Banana poteva offrire a una rampolla come lei e alla sua vivace compagna di viaggio.
Pauline, al contempo riuscì a tornare gradualmente in sé, la gioviale sindaca dalla voce argentina che il mondo aveva imparato ad amare: liberatasi del tutto dagli orpelli dettati da paranoie e vecchi fantasmi del passato, decise di rallentare lievemente il ritmo del proprio lavoro, che dall’opinione cittadina aveva risaputo svolgere più che egregiamente, contrariamente a ciò ch’ella pensava, per dedicarsi maggiormente a se stessa, e alla propria felicità, nonostante ravvisasse ancora un certo debito morale nei confronti di Peach. Ma come fu contenta di tornar a una sensazione di leggera spensieratezza, durante le proprie lunghe passeggiate nella splendente metropoli, di ricambiare con vivo gaudio chiunque l’avesse ossequiata e di essere orgogliosa del proprio impegno per la città.
“Peach, Sin… Pauline!” esclamò Tiara scostando i lembi delle morbide maniche del leggero abitino in cotone  della Principessa chiacchierante con la Sindaca, ripetendo insistentemente i nomi delle due amiche, come se cercasse insistentemente di distaccarle dal loro discorso.
“Sono le sei… tra mezz’ora inizia il film! Dai, andiamo!” si lamentò attirando la loro attenzione ticchettando con l’argentea paletta ovale del cucchiaio contro il bicchiere sporco del frappè che aveva consumato poc’anzi. Gli sguardi delle due fanciulle finalmente confluirono verso l’impaziente coroncina, la quale ribadì la propria smania di tornare nuovamente al cinema a vedere il medesimo lungometraggio interattivo di cui tanto voleva essere la fortunata protagonista.
“Ah, è vero! Come passa in fretta il tempo!” mormorò Peach osservando velocemente l’orario dal telefonino che recava, guardando poi dolcemente la coroncina assentendo implicitamente alla sua proposta di avviarsi verso il cinematografo.
“Chiedo venia se possiamo essere sgarbate ad abbandonarti così tempestivamente, ma Tiara ci tiene tanto, e ho rimandato fin troppo questo appuntamento” continuò alzando le spalle la Principessa, la quale abbassando impacciata lo sguardo temette di apparire rude proprio con una conoscenza che stava giusto imparando ad apprezzare anche durante quell’incontro informale; ma la reazione di Pauline fu teneramente comprensiva:
“Non preoccuparti, Peach, ci credo che una tubalese così curiosa come Tiara non veda l’ora di provare un’esperienza simile! Ah, è da così tanto tempo che non vado al cinema, se volete vengo a farvi compagnia!”
“Davvero?!” esclamarono insieme le due amiche, colte da un piacevole sussulto. Che pensiero gentile da parte sua!
“Certamente, e in qualità di prima cittadina di New Donk City farò sì che il desiderio di questa dolce fanciulla si avveri”
La piccola coroncina accorse precipitosamente dalla sindaca e la travolse gettandole le sue piccole protuberanze addosso, esprimendole in modo quanto più affettuoso possibile la propria riconoscenza per quella finezza, ripetendole velocemente dolci lemmi ovattati dal corpo  di Pauline, la quale dopo aver sfiorato con le grandi mani curate il piccolo corpicino tondeggiante e aver atteso che la fantasmina si scostasse da lei naturalmente si alzò dal suo posto e, sistemandosi le grinze della sua vermiglia giacca, incoraggiò Peach e Tiara ad accodarsi insieme a lei verso il trepidante luogo ove sarebbe iniziata la proiezione immerse nel luccicante e ruggente vespro di New Donk City.


Il maniero maestoso si ergeva come un imperituro monumento tinto di bianco e di rosso volto a celebrare una dinastia di magnanimi sovrani tra le bucoliche e rigogliose vallate del fiabesco Regno dei Funghi; l’ombra smussata dall’ovattata luminosità del cielo pitturato di glicine e di lavanda si posava delicatamente sui prati fioriti di tarassachi, margherite e nontiscordardime, come se la natura fosse clemente nell’elargire un dono segreto agli occhi degli sporadici visitatori già svegli nell’ora dell’aurora.
Tutt’un tratto i fini e giovani fili d’erba cominciarono a  piegarsi sotto un’improvvisa raffica di vento accompagnata da un rombo di eliche e d’ingranaggi decisamente frastornante da udire di prima mattina, tanto d’aver fatto sussultare alcuni Toad ancora immersi nel propri sogni; costoro si affacciarono, indisposti, dalle aperture delle loro singolari casette a forma di micete, e rivelatasi la fonte di così tanto fastidioso suono mutarono completamente il proprio umore: una strampalata navicella dalla particolare forma a tuba trainata da un enorme palloncino i quali riflessi dorati riflettevano la timida luce solare era appena atterrata nella piazza principale; non c’era alcun dubbio, l’eroe era tornato a casa dalla sua lunga odissea!
Contrariamente a quanto avvenuto a celebri eroi suoi colleghi, i funghetti uscirono frettolosamente dalle loro casupole, abbigliati coi primi capi che avevano trovato, per celebrare immediatamente lui, il grande Mario, il redentore del regno nonché della loro adoratissima Principessa, e Cappy, il misterioso cappello suo aiutante collaboratore alla pace; piccolo copricapo dai forti principi e il cui coraggio sarebbe eternamente ripagato dalla stima degli abitanti.
“Se solo la Principessa e Tiara fossero qui…”  sospirò malinconica una Toadette non ancora del tutto ridestata, lasciando solamente intravedere le scure ma lucenti iridi dietro ai pesanti tendaggi delle finestre, accontentandosi solamente di osservare l’idraulico dai grandi mustacchi e il cappello processare dietro all’allegra fila di funghetti sotto le finestre di casa propria.
“Acciderbolina, che accoglienza in grande stile!” ridacchiò proprio il candido tubalese dal ciuffetto con le punte turchesi spalleggiando il suo fido compagno di avventure mentre  erano in procinto d’incamminarsi su per il sentiero che conduceva alla dimora dell’idraulico baffuto, posta a esattamente metà distanza tra la piazzetta in cui erano approdati e il castello di Peach; Mario, esausto del lungo pellegrinaggio che aveva percorso fin dal satellite che aveva contribuito a distruggere parzialmente alcuni mesi addietro, preferì non proseguire il dialogo e continuò a marciare a passi tardi e lenti fino alla sua  lontana e tranquilla casupola.
Congedata la lunga processione dei suoi ammiratori, entrambi gli amici si rintanarono tra  le piccole ma accoglienti mura di casa Mario e si buttarono a capofitto su un singolare divanetto per metà rosso e metà che l’eroe del Regno dei Funghi soleva condividere col fratello nei loro radi momenti di svago domestico.
Quant’era dolce rimettere piede nel proprio cantuccio dopo l’epica conclusione una simile epopea! L’incantevole scia del pescato profumo degli esili bastoncini si distribuiva sensualmente in ogni recesso domestico, rimembrando all’idraulico dolci vagheggi sulla dolce Principessa con cui condivideva il nome; ma al solo rimirare quella lucente chioma paglierina l’occhio dell’eroe baffuto lentamente si socchiuse: chissà se la sua dolce protetta stesse superando quel trauma… Tiara è stata così gentile a volerla distrarre dal giogo dei suoi oneri facendole visitare i luoghi che lui stesso aveva accuratamente esplorato col fido Cappy per poterla salvare. Ciò ch’egli fece sulla luna in quel frenetico, indistinto giorno era alquanto infantile da parte sua, e fortunatamente se ne ravvide presto: ritenne che la reazione di Peach fu più che sensata e ne ammirò il suo autocontrollo in quella situazione traumatica, non meritava alcun rancore; solo tempo per riassestarsi e, se avesse voluto, di compiere una decisione ragionata.
Concorde con l’idea della coroncina, confidava di tornar a notare nella sua adorata fanciulla un colore più rosato nelle sue gote sottili, e un nuovo dolce crepitio nei suoi occhi non appena fosse tornata al trono del suo Regno, e che potesse nuovamente essere la donna di cui lui si era innamorato sinceramente e teneramente.
Come per cessare bruscamente l’onirica dormiveglia, Mario si sentì tirare gli stopposi mustacchi da un tocco timido ma affettuoso, e come per incanto al posto del viso di Peach l’idraulico, alzando stanco gli occhi verso l’alto,  riconobbe istantaneamente l’impalpabile fisionomia di Cappy: da quanto tempo si era alzato?
“Mario, ehi, Mario guarda cos’ho trovato!” tentò di sussurrare il tubalese  facendosi a malapena udire già dalla ravvicinata distanza da cui era posto l’idraulico; tratteneva stentatamente con una delle sue piccole e diafane protuberanze una sottile ma grande busta di carta avoriata dai bordi porpora la quale recava nel prezioso fronte il peculiare logo a stelle e grattacieli della città di New Donk City; non appena i suoi occhi riuscirono a discernerlo, lo sguardo del baffone trasalì in una buffa espressione euforicamente contenta.  Era proprio una lettera da parte della sindaca Pauline, qual lieto gaudio aver sotto agli occhi una missiva redatta proprio da lei! Malgrado il loro interesse romantico fosse oramai scemato dopo tutto quel tempo, serbava ancora tra i suoi ricordi l’immagine di una donna così passionale e sincera la cui amicizia era un tenero tesoro da custodire. Quei fortuiti incontri a New Donk City  avvenutisi qualche mese addietro avevano contribuito a rinsaldare ulteriormente quei già buoni seppur radi legami che avevano mantenuto, e fu genuinamente orgoglioso di aver potuto assistere, seppur di sbieco, alla brillante carriera che la ragazza dai capelli di mogano  aveva intrapreso. Serbava ancora tra i recessi della sua mente la prima volta in cui l’aveva incontrata: lei era  ancora una semplice giornalista alla ricerca di uno scoop tra gli snodati e bui vicoletti della città, quando improvvisamente si ritrovò tra le indifese vittime di un ingenuo scimmione, una dama, la prima tra le tante fanciulle che ormai aveva riscattato. Oramai si era trasformata in quell’indipendente autorità quale aveva saputo dimostrarsi pur non perdendo la sua dolcezza originaria, e perciò ne fu lieto; le era profondamente grato se egli era diventato l’eroe del Regno dei Funghi declamato in tutto il mondo, e non volle mai dimenticarsi del legame profondo che la legò a Pauline.
Dopo essersela fatta pazientemente consegnare da Cappy, oramai smanioso di conoscerne il contenuto, Mario strappò velocemente la busta preziosa, malgrado il più morigerato avvertimento dell’amico cappelluto, e la lesse voracemente, scandendo attentamente nella sua mente ogni singolo grafema delle righe della sua vecchia amica. Tutt’un tratto afferrò per la mano l’attonito Cappy, fino ad allora nient’altro che un semplice osservatore di un’inspiegabile e improvvisa pantomima del suo amico.  
Fuori dalla casupola ove si erano ristorati i due eroi, campeggiava un cielo schiarito da una bollente luce estiva, lievemente mitigata dalla soffice brezza la quale sospingeva delicatamente gli ultimi leggeri batuffoli di polline, e tra i  vasti campi profumati si rincorrevano serenamente alcuni piccoli Toad sorvegliati premurosamente dai parenti affettuosi.
Tenendo ancora ben stretta la sua mano con quella di un Cappy ancora intento nel suo tentativo di decifrare i suoi gesti, l’idraulico galoppò per tutto il sentiero sul quale era passato tanto faticosamente poche ore prima, attirando delle occhiate altrettanto curiose dai piccoli funghetti che fino a poco prima giocavano spensieratamente, e si fermò alla Piazza Principale, davanti alla navicella a forma di tuba adagiante davanti alla limpida e fresca fontanella in attesa di una nuova avventura. Riverendo dapprima una tenera occhiata prima al singolare veliero poi a quel leale fantasmino col quale condivideva la fisionomia, Mario trillò giovialmente lasciando la potente presa a Cappy, il quale cominciò finalmente a intuire ciò che stava passando nella mente dell’amico: “È ora di tornare in azione, mio caro! La sindaca Pauline ci sta aspettando”
E accese nuovamente i rombanti motori della loro navicella.

 

--Note d’Autrice--

E finalmente il terzo capitolo ha potuto vedere la luce!
Scusatemi per il ritardo biblico col quale ho postato, ma in questi giorni la scuola mi sta assorbendo più di quanto non abbia fatto finora; e immagino già che per il mese prossimo sarà ancor peggio. Inoltre mi sto sentendo sempre più insicura riguardo alla questione stilistica: temo che tra un capitolo e l’altro non ci sia consistenza, o che spesso la prosa sfoci nel banale… come al solito, se notate qualcosa che non torna, ditemelo, sono disposta ad ascoltare le vostre critiche: so di non essere una professionista, ma è proprio per questo che le accolgo più che volentieri!
In ogni caso ringrazio accoratamente quelle due anime sante che mi hanno recensito quanto scritto negli scorsi due capitoli: le vostre parole mi hanno sciolto il cuore, e spero di non deludervi con questo e il prossimo!
Un salutone, ci vediamo in quello che (credo) sarà l’ultimo capitolo!

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