Let it hurt

di TheSlavicShadow
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Sonno ***
Capitolo 2: *** Dipendenza ***
Capitolo 3: *** Vagabondaggio ***
Capitolo 4: *** Prigionia ***
Capitolo 5: *** Acqua ***



Capitolo 1
*** Sonno ***


Prompt: Sonno
Pairing: James Buchanan Barnes/Natasha Romanoff
Warning: //




 

Lo aveva osservato dormire. Ancora una volta le era stato portato via. E ancora una volta non aveva potuto fare nulla per impedirlo. Stavolta era stato James stesso a decidere quel sonno prolungato. E lei aveva solo dovuto accettarlo.

Lo aveva osservato dormire per un tempo che le era sembrato infinito.

Era arrivata troppo in ritardo anche questa volta. Non aveva potuto dirgli nemmeno una parola prima dell’inevitabile gesto. E si era sentita nuovamente come la giovane recluta della Stanza Rossa che non aveva potuto fare nulla per salvare l’uomo che amava. Anche allora era stato costretto in un lungo sonno e lei non aveva potuto fare assolutamente nulla.

Come ora.

Era arrivata in Wakanda quando James si era già fatto mettere nella capsula criogenica. Steve l’aveva informata che erano molto alte le possibilità di cancellare l’HYDRA dalla sua testa. E lei sperava che il Capitano avesse ragione. Sperava che avrebbe potuto rivederlo presto. Che l’uomo che questa volta l’avrebbe guardata sarebbe stato lo stesso James che l’aveva allenata quando era una ragazzina. Che fosse lo stesso James di cui si era innamorata. Lo stesso uomo che aveva visto solo per un attimo dopo tutti gli anni passati lontani.

Voleva credere a Steve.

Quando lo avrebbero risvegliato non si sarebbe stata nessuna ombra del Winter Soldier. Sarebbe stato il suo James quello che l’avrebbe guarda.

 

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Capitolo 2
*** Dipendenza ***


2. L'incapacità di fare a meno di una persona ( d. psicologica ) oppure il bisogno incoercibile di un farmaco o di una sostanza: d. farmacologica; part., la condizione del tossicomane.

Prompt: Dipendenza
Pairing: Steve Rogers/Tony Stark
Warning: spoiler Infinity War



 

Non sapeva cosa fosse la parte peggiore di quella apocalisse che si era appena abbattuta su tutta la galassia. Non era sicuro neppure cosa fosse davvero appena successo. Davanti ai suoi occhi le persone erano diventate cenere.

Peter Parker era diventato cenere tra le sue braccia. Il ragazzo che aveva giurato a sé stesso di voler proteggere. Il ragazzo che considerava al pari di un figlio. Quel ragazzo che gli stava appiccicato in continuazione e che in modo snervante continuava a chiamarlo signor Stark anche se gli aveva detto che il signor Stark era Howard. Lui era Tony. Doveva chiamarlo Tony. E Peter gli sorrideva. Faceva un sorriso enorme e gli diceva semplicemente “va bene, signor Stark, no, cioè, Tony”.

Peter Parker era morto tra le sue braccia e non aveva potuto fare nulla per salvarlo. Avevano perso. Thanos aveva vinto. E lui aveva un’altra morte sulla coscienza.

Solo che pesava. Questa pesava in modo particolare. Perché era Peter. Era il suo ragazzo. A modo tutto suo era così orgoglioso di quel ragazzo.

E non lo aveva protetto a sufficienza.

Ed era terrorizzato da quello che lo avrebbe aspettato sulla Terra. Perché sarebbe tornato. Avrebbe costretto la ragazza blu a riportarlo a casa perché doveva sapere. Per quanto straziante fosse doveva sapere chi fosse sopravvissuto.

Doveva controllare Pepper. Doveva sapere se stesse bene. Erano fidanzati adesso. Doveva pensare a lei. Doveva pensare solo a lei. Poi avrebbe pensato a tutti gli altri, ma lei doveva essere la prima persona che sarebbe andato a cercare. Poi avrebbe cercato Rhodey. E dopo Rhodey sarebbe toccato a May Parker. Avrebbe telefonato a Happy, perché Happy doveva stare bene, e si sarebbe fatto accompagnare nel Queens.

Non doveva pensare a Steve Rogers. Non doveva permettere al suo cervello di spingersi nuovamente in quei pensieri. Non doveva importargli. Non doveva pensare a Steve. Steve aveva fatto una scelta e lui era andato avanti.

Non doveva essere Steve il suo primo pensiero.

Ma lo era stato.

Quando Peter era svanito davanti ai suoi occhi, il suo primo pensiero era stato Steve Rogers. Stava bene? Dove si trovava? Gli altri erano ancora con lui? Barnes era ancora con lui? E gli altri? Era riuscito a proteggere la sua squadra? Bruce era riuscito a trovarlo? Bruce stava bene?

Voleva tornare sulla Terra e cercarlo subito. Era stato facile negli ultimi due anni. Non lo aveva mai contattato. Non l’avrebbe mai fatto. Ma sapeva sempre in che parte del mondo si trovasse.

Era dipendente da Steve. Lo era stato per diverso tempo, e non sarebbe stato capace di non esserlo. Era stato dipendente da molte cose. Droghe e alcool avevano fatto parte della sua vita per molto tempo. E poi era arrivato Steve.

Aveva creduto che fosse Pepper la persona per lui. Avevano avuto una relazione che era un continuo tira e molla per anni, e aveva creduto di essere dipendente da Pepper. Per questo finiva per tornare con lei ogni volta. Cristo, le aveva chiesto di sposarlo alla fine. E l’ultima cosa che avevano fatto era stata litigare. Anche a non voleva neppure sapere quanti anni luce dalla Terra, Pepper era riuscita a urlargli contro prima che le comunicazioni si interrompessero.

Steve non avrebbe urlato. Steve gli avrebbe detto che era un viaggio di sola andata, gli avrebbe chiesto se fosse davvero sicuro della sua scelta. E riusciva a sentire la sua voce nelle orecchie, come se Steve fosse accanto a lui in quel momento. Non si era neppure reso conto di quanto dipendesse da quell’uomo fino a quando non lo aveva perso.

Steve c’era. Steve era stato accanto a lui anche quando Pepper se n’era andata per la prima volta. Era allora che qualcosa era cambiato. New York aveva gettato le basi per quello che sarebbe successo in futuro.

Non avevano mai dato un nome a quello che era successo tra di loro, ma era bastato per tenerlo intrappolato. Era bastato per fargli avere sempre Steve sotto la pelle, come se ogni cellula del suo sangue avesse bisogno di quell’uomo per poter continuare a scorrere nelle sue vene. Quello che Steve gli aveva dato non era paragonabile con niente e nessuno.

Steve stava bene. Doveva stare bene. Doveva essere da qualche parte sulla Terra con quello che rimaneva della loro squadra. E insieme. Insieme, come gli suonava strana ora la parola, insieme avrebbero trovato una soluzione a quello che era successo. Dovevano trovarla.

 

☆★☆

 

Nebula lo aveva riportato a casa. La ragazza aliena lo aveva seguito sulla Terra, forse con la speranza di poter rivedere quello che restava dei Guardiani della Galassia. O forse perché era illusa come lui che potessero trovare un modo per riportare tutto a com’era. Forse voleva solo avere una piccola speranza di poter rivedere la sorella.

Suo fratello stava bene. Rhodes aveva risposto quando aveva cercato di contattare l’Avengers Facility non appena erano abbastanza vicini alla Terra. E quando aveva sentito la voce dell’uomo che conosceva da quando erano ragazzi, aveva fatto davvero fatica a trattenere le lacrime. Rhodes stava bene. Rhodes era vivo. Era tornato a casa, alla casa che lui aveva fatto costruire perché potessero vivere tutti insieme come una famiglia.

Pepper odiava quel posto. Ogni volta che aveva dovuto passarci la notte, non faceva altro che protestare e lamentarsi del suo essere ancora un Avenger.

Steve aveva amato quel posto. Steve lo aveva definito casa e quando Tony lo aveva sentito pronunciare quella parola non aveva esitato ad invadere il suo spazio personale e baciarlo. Anche se non stavano insieme. Non erano mai stati insieme. Avevano condiviso momenti. Avevano rubato attimi. Nessuno dei due aveva mai avuto il coraggio di fare il passo decisivo verso l’altro.

Ma non serviva.

Tony non faceva altro che pensare al Capitano. E forse Steve pensava a lui. Forse anche Steve voleva tornare a casa e poter di nuovo averlo vicino.

Steve stava bene, gli aveva detto Rhodes con finta noncuranza. Aveva solo detto “Steve e gli altri”, non specificando chi fossero gli altri. Non sapeva neppure se ce ne fosse il bisogno. Aveva la sensazione di sapere chi fosse rimasto.

Aveva mosso dei passi incerti all’interno della Facility. Il fatto che si sentisse il rumore di una tv accesa lo aveva calmato. Voleva dire che nonostante sulla Terra fossero rimaste solo 3 miliardi 810 mila, numero più numero meno, di persone, la vita era andata avanti. Si erano fatti forza e avevano cercato di andare avanti.

La sua squadra era tornata a casa. La sua famiglia era di nuovo sotto lo stesso tetto.

“Tony.” Natasha Romanoff era tra le sue braccia in un attimo. La donna lo aveva stretto con forza a sé e doveva ammettere a sé stesso che gli era mancata. La sua piccola spia russa che nonostante tutto era stata dalla sua parte anche quando aveva aiutato Steve a fuggire. Perché Natasha era fedele ad entrambi e voleva proteggerli. “Per fortuna stai bene. Non riusciamo a trovare Peter. Sua zia sta bene, ma Peter non si trova da nessuna parte. Bruce ha detto che l’ultima volta era con te.”

Natasha si era bloccata. Lo aveva guardato e si era bloccata. Aveva capito tutto senza che lui dovesse dire neppure una parola. Era spezzata anche lei. Qualcuno della squadra non ce l’aveva fatta.

Visione, si era detto. Visione doveva essere per forza morto anche se voleva ignorare quella vocina nella sua testa che aveva continuato a riperterglielo da quando Thanos era andato sulla Terra. Era fin troppo ovvio che lo avesse ucciso per togliergli la gemma della mente.

Non avrebbe più potuto sentire la voce di Jarvis.

“Mi dispiace, Tony.” Gli aveva accarezzato una guancia e aveva solo potuto distogliere lo sguardo. Sarebbe scoppiato a piangere di nuovo. Non voleva pensare a Peter. Non voleva pensare a Visione. Non voleva pensare alle perdite che avevano avuto tra le loro fila.

“Chi è rimasto?” Aveva parlato la sua voce gli sembrava così distante.

“Steve, Rhodey, Thor, Bruce. Clint sta arrivando e Scott è ancora in città.”

“Barnes?” Non doveva chiederlo. Avrebbe dovuto chiedere di Wanda. Avrebbe dovuto chiedere di lei, ma non serviva. Non era nella misera lista di Natasha.

Natasha aveva solo scosso la testa senza dire più nulla. E lui avrebbe dovuto pensare a Pepper. Avrebbe dovuto chiedere di lei. Correre in città e cercarla ovunque. Non avrebbe dovuto pensare a Steve e all’uomo per cui Steve lo aveva abbandonato. Non doveva pensare a Steve. Ma era come un prurito sotto pelle che non riusciva a togliersi. Come quello di un drogato che aspetta di farsi un’altra dose e non sa quando potrà farlo. Era astinenza pura e semplice. E non riusciva a togliersi Steve dalla testa in alcun modo.

Sapeva dove trovarlo. Steve era abitudinario. Dopo una missione andata male si chiudeva in camera sua. O in camera loro. Dipendeva dalla situazione.

“Ho sempre pensato che un giorno saresti tornato qui.”

Steve si era voltato lentamente verso di lui. Lo aveva trovato nella sua stanza, quella dove ogni tanto si nascondeva anche lui, e dove aveva riposto lo scudo di Capitan America. Aveva ancora addosso la sua vecchia uniforme, più logora che mai. Era passato troppo poco tempo dalla battaglia contro Thanos. Nessuno aveva ancora metabolizzato quanto successo.

“Noto che ti sei fatto crescere la barba. Eri nascosto in un villaggio Hamish?”

Ma Steve non aveva parlato. Lo aveva guardato per un istante che gli era sembrato infinito. E nei suoi occhi poteva rivedere sé stesso. Avevano perso troppo entrambi e per la prima volta non erano stati presenti uno per l’altro. Perché Steve era presente anche in Siberia. Steve aveva cercato di calmarlo. Steve gli aveva poi mandato addirittura quello stupido e inutile cellulare.

C’erano sempre uno per l’altro in una muta dipendenza da cui non sapevano come sottrarsi.

E come un drogato della peggior specie, aveva tirato un sospiro di sollievo solo quando le braccia di Steve si erano strette attorno a lui e lui aveva potuto sentire il profumo dell’uomo che mancava da troppo tempo al suo fianco.

 

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Capitolo 3
*** Vagabondaggio ***


1) Il frequente spostarsi da un luogo a un altro senza itinerari o programmi prestabiliti: nei suoi v. all'estero ha incontrato una infinità di persone; fig., irrequietezza intellettuale o evasione fantastica.

Prompt: Vagabondaggio
Ship: James Buchanan Barnes/Natasha Romanoff
Warning: ptsd...?




C’erano momenti in cui non riusciva a respirare, in cui ogni luogo gli sembrava insopportabile. C’erano volte in cui fuggiva da un nascondiglio sicuro - sapeva che era sicuro - perché non riusciva a stare chiuso tra quattro mura. C’erano volte in cui poi voleva fuggire dalla propria mente.

Aveva perso il conto di quanto tempo stesse ormai fuggendo, scappando da qualcosa che lo aveva ridotto in quello stato. Non poteva, non riusciva a stare in uno stesso luogo per più di qualche giorno. Al massimo un paio di settimane. Doveva muoversi. Doveva sempre far perdere le proprie tracce. Non poteva in alcun modo restare in un solo luogo.

Il Soldato d’Inverno faceva sempre così. Anche quando l’Hydra esercitava tutto il proprio potere sulla sua mente, lui sapeva che doveva sempre muoversi. A volte anche senza una meta precisa. Tutto perché non lui non esisteva. Doveva solo essere alla stregua di un mostro spaventa bambini.

Era un fantasma; era solita ripetergli quelle rare volte in cui li avevano lasciati da soli. Ricordava i suoi capelli rossi e le sue mani che gli sfioravano il viso. Siamo entrambi fantasmi; aggiungeva e sorrideva prima di baciarlo.

Questo era l’unico ricordo che gli rimaneva di lei mentre fuggiva senza meta, pensando solo a salvare la pelle e mantenere un profilo basso. Non c’era più l’Hydra. Non c’era più il KGB. Ma lui continuava ad essere il Soldato d’Inverno. Questa era una cosa che non sarebbe mai cambiata, temeva. Poteva anche non uccidere più. Poteva anche far finta di essere un’altra persona, ma certe cose non cambiavano.

Non poteva fermarsi. Non poteva permettere a nessuno di trovarlo. Sapeva che erano sulle sue tracce. Lei lo aveva cercato per anni. Da Odessa. Da quando le aveva sparato perché la missione veniva prima di tutto. Anche prima di lei. E questo non poteva sopportarlo. Non poteva sopportare che lo avessero condizionato a tal punto da mettere Natalia in secondo piano.

Lo avevano costretto a combattere contro Steve e Natalia. Lo avevano costretto ad uccidere Howard. Lo avevano costretto a compiere ogni sorta di atrocità. E questo non sarebbe mai cambiato.

Sarebbe sempre stato il mostro assetato di sangue che l’Hydra aveva creato. Non poteva fermarsi da nessuna parte. Non doveva fermarsi. Doveva solo continuare a spostarsi. Cambiare identità e nascondersi. Non lasciare mai abbastanza tracce. Il Soldato doveva sparire dalla circolazione. I suoi omicidi dovevano restare solo delle favole macabre con cui spaventare le persone. Nulla di più.

“Respira.”

Una voce che conosceva bene lo aveva raggiunto. Una voce che aveva desiderato sentire per molti anni.

“Ascolta la mia voce e respira. Va tutto bene ora. Sei al sicuro.”

Qualcuno lo aveva toccato e per una volta aveva represso l’istinto di attaccare chiunque lo avesse sfiorato.

“Siamo a New York. Siamo a Brooklyn. Sono le 3 e 25 del mattino, ed è mercoledì. Siamo a casa, James.”

Aveva aperto gli occhi e Natalia era di fronte a lui. Poteva sentire il calore del suo corpo e il profumo della sua pelle. Natalia era di nuovo il suo porto sicuro. Quello che lo avrebbe sempre accolto e tenuto protetto.

Natalia era casa, e ora non doveva più fuggire.

 

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Capitolo 4
*** Prigionia ***


2. La condizione di chi si sente dominato da qualcuno o da qualche cosa a cui non riesce a sottrarsi.


Prompt: Prigionia
Pairing: Steve Rogers/Tony Stark
Warning: daddy issues

 

 

C’erano momenti in cui la casa cadeva nel silenzio più profondo. Capitava di rado, visti i suoi coinquilini e le loro abitudini. Quella casa non dormiva mai. C’era sempre qualcuno che si allenava, cucinava, lavorava, anche alle 3 del mattino. Anche dopo una missione difficile, quando sarebbe stato normale andare a riposare. O durante una giornata particolarmente fredda quando la cosa più logica sarebbe stata mettersi davanti al camino con della cioccolata calda in mano.

La Stark Mansion non dormiva mai. C’era sempre qualcuno che andava o veniva. C’era sempre qualcuno che cercava qualcun altro chiamandosi a voce alta per i corridoi. Assomigliava più al dormitorio del MIT che alla prigione dorata in cui era cresciuto.

Aveva odiato quella casa da ragazzo. Odiava tutto quello che rappresentava. Odiava come lo faceva sentire. Era sempre in gabbia e il suo aguzzino non gli dava tregua. Neppure quando lo ignorava o non era a casa. Anche allora Howard Stark lo opprimeva e dominava.

E non era cambiato nulla. Anche ora, anche dopo vent’anni dalla sua morte, Howard continuava a perseguitarlo. Soprattutto quando sedeva, come in quel momento, nello studio che era stato di suo padre. Gli sembrava di sentirlo ancora. Di sentirlo parlare. Camminare. Poteva sentire anche l’odore dei sigari che fumava.

Ed era assurdo che il pensiero di suo padre lo perseguitasse più di quello della reale prigionia che aveva vissuto. L’Afghanistan era stato debilitante fisicamente e psicologicamente. Ma quello che Howard aveva lasciato non era da meno.

“Tony, sono le 2 e mezza.”

Aveva guardato verso la porta e Steve se ne stava sull’uscio con le braccia incrociate al petto.

“Mh, avrei dovuto immaginarlo visto tutto questo silenzio.” Era una bugia. Non dormiva mai quella casa. Non c’era mai silenzio. Clint guardava la televisione fino all’alba. Bruce lavorava in laboratorio. Natasha era silenziosa, ma la sua presenza la poteva percepire sempre. Thor. Thor non era mai silenzioso. Qualsiasi cosa facesse.

“Vieni a letto?” Steve gli si era avvicinato lentamente, come se lui fosse un animale messo alle strette che doveva essere spaventato. Forse lo era. Forse era questo quello che provava.

“Devo finire dei progetti e poi ti raggiungo.”

“Non stavi lavorando a nulla ora. Il computer è spento e non hai fogli di carta davanti a te. Solo un bicchiere di whisky in mano.”

“Stavo pensando di iniziare proprio ora.” Lo aveva guardato quando Steve si era fermato di fronte a lui. E lo odiava perché Steve sapeva. Steve era venuto a cercarlo perché sapeva che qualcosa era successo.

Gli avevano chiesto di suo padre. Doveva essere una conferenza stampa su un nuovo prodotto delle Stark Industries. E invece gli avevano chiesto di suo padre. Più volte. E lui odiava parlare di Howard. Soprattutto in pubblico. L’aveva fatto solo una volta, in un momento molto delicato, e poi mai più.

“Tony, tu non sei tuo padre. Non sei una sua appendice. Non siete neppure paragonabili.” Steve glielo diceva sempre. Quella non era la prima volta che il suo compagno doveva ricordarglielo. E temeva che non sarebbe stata neppure l’ultima. “So quanto è difficile per te essere sempre paragonato a lui, ma tu sei migliore di tuo padre. Tu sei Tony Stark. Sei un genio, miliardario, playboy, filantropo. Ricordi?”

Tony aveva sorriso a quelle parole. Gliele ripeteva sempre. Ogni volta in cui Tony si rinchiudeva da solo in quella prigione mentale che era il suo passato.

“Ora vieni a letto o devo portartici io?”

“Potrebbe essere interessante farmi portare da te.” Si era alzato dalla poltrona che era appartenuta a suo padre dopo aver svuotato il bicchiere di whisky. “Ma poi rischierei di venire accusato di maltrattamenti sugli anziani. E questo vorrei evitarlo, almeno ancora per un po’.”

Steve gli aveva sorriso e questo andava bene. Poteva essere un fallimento per suo padre, poteva avere il suo disprezzo, ma aveva Steve. E questo andava bene.

 

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Capitolo 5
*** Acqua ***


2. Purezza, trasparenza, limpidezza.

Prompt: Acqua
Pairing: Marco Bodt/Jean Kirschtein
Warning: hurt/con poco comfort perché SnK fa schifo, mourning…?



 

Aveva affondato le dita nella sabbia. Aveva lasciato che il tatto fosse l’unico senso all’opera in quel determinato momento.

Non voleva pensare. Non voleva sentire. Voleva solo capire cosa si provasse con quella sabbia a contatto con la pelle. Era così diversa dalla sabbia che aveva toccato per tutta la sua vita. La sabbia del fiume non era così. Non era mai così asciutta. E la sabbia per costruire era sempre grossa. Questa sabbia era proprio strana.

Aveva alzato lo sguardo verso i suoi compagni. Doveva esserci qualcosa di sbagliato nel modo in cui ridevano spensierati. Dovevano essere concentrati sulla missione. Dovevano pensare solo a quella. Non dovevano rincorrersi spensierati sulla spiaggia.

Non dopo tutte le perdite che avevano avuto per arrivare fin lì.

Eren e Connie si rincorrevano come due bambini che non avevano mai visto qualcosa di spiacevole nella loro vita. E un po’ li stava invidiando. Molto, in realtà. Riuscivano a gioire di quel traguardo e tutti erano partecipi di questo loro festeggiamento.

Avrebbe dovuto gioirne anche lui. Erano arrivati al mare. La distesa di acqua salata più grande di quando non avessero mai immaginato. Avrebbe dovuto rincorrere Eren e spingerlo in acqua. Lo aveva minacciato così tante volte di farlo. E Eren allora lo minacciava subito di picchiarlo. E gli animi finivano per scaldarsi.

E Marco li divideva. Con il suo sorriso. Con le sue parole sempre calme. E loro due, idioti che non erano altro, gli davano retta.

Sembrava essere passata una vita intera da quando erano solo delle reclute. La vita era davvero spensierata allora, se la comparava a quello che stavano vivendo in quel momento.

Si erano fatti una promessa. Di notte, mentre si intrufolavano uno nel letto dell’altro e parlavano a voce bassa fino ad addormentarsi, parlavano di quello che desideravano per il futuro. E per colpa di Armin desideravano poter vedere il mare almeno una volta. Il ragazzo gli aveva parlato così a lungo di quella distesa infinita di acqua, e loro desideravano vederla, toccarla, e anche assaggiarla. Avevano un sogno. Ne avevano diversi. Avevano progettato tutto un futuro insieme, perché erano sicuri che nulla li avrebbe mai separati.

Avrebbero visto il mare insieme. Questa era una promessa.

E ora era lì da solo.

Perché Marco non c’era più.

E Marco doveva vedere il mare. Marco doveva vedere tutta quell’acqua. Perché Marco era come l’acqua. Era puro, era limpido. Ed aveva la forza di trascinarti ovunque, a volte lentamente, altre con la forza di un fiume in piena. Marco doveva vedere il mare, perché gli sarebbe piaciuto, perché avrebbe potuto prenderlo in giro. Perché era il loro sogno.

“Jean, lui non vorrebbe vederti così.”

Aveva voltato solo un po’ la testa quando Armin aveva parlato accanto a lui. Non si era neppure accorto che gli si fosse avvicinato. Lo credeva ancora assieme ad Hanji a raccogliere reperti.

“Probabilmente mi starà guardando dandomi dello stupido. Lo so.”

Aveva guardato il mare e voleva piangere. Voleva piangere e urlare e chiamare il suo nome fino a quando non gli esplodevano i polmoni. Lo aveva fatto. C’erano notti in cui non riusciva a dormire e il ricordo di Marco lo perseguitava. Lo avrebbe fatto per sempre.

La sua purezza, la sua trasparenza. Il suo Marco che vedeva del buono in tutti quanti e che tutti loro avevano pianto.

“Spero che questo panorama gli piaccia quanto sta piacendo a me.”

Aveva fatto un debole sorriso, continuando a guardare l’acqua chiara e limpida che si estendeva davanti ai suoi occhi.

 

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