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“Non è stato facile uscire da un passato che mi ha lavato l’anima, fino
quasi a renderla un po’ sdrucita. “
Quella notte sembrava che tutte le memorie che aveva nel cuore
avessero deciso di riemergere e di togliergli il sonno. Setsuna
incrociò le braccia dietro la schiena, si alzò a sedere, si rimise sdraiato. A
fianco a lui, Sara dormiva tranquilla. Beata lei. E a giudicare dal russare che
veniva dall’altra stanza, anche Kira stava dormendo
alla grossa. Ma forse per capire meglio, occorre tornare indietro di qualche
tempo e lasciare che Setsuna si abbandoni ai ricordi.
Quando lui e Sara erano tornati sulla Terra, avevano deciso di
continuare la loro fuga per portare avanti il loro amore proibito, ma presto i
soldi erano finiti. L’amore non dà da mangiare. Per due settimane erano
riusciti a cavarsela, dormendo in squallidi motel e mangiando quello che
permettevano i soldi contati. Alla fine, però, se ne erano andati anche quei
pochi spiccioli e loro si erano ritrovati in strada, costretti a elemosinare un
tozzo di pane e a dormire in vicoli sporchi e buoi, insieme a vagabondi e
tossici. Setsuna avrebbe sopportato questo e altro,
ma non poteva sopportare che la sua sorellina soffrisse.
“Torniamo a Tokyo.”Le aveva
detto una notte, tenendola stretta perché non sentisse freddo. Nonostante fosse
una sera di luglio, infatti, la ragazza stava tremando. Lei lo aveva guardato
stupida con i suoi occhi castani cerchiati da profonde occhiaie.
“Perché? Ci separeranno ancora.” Aveva
sussurrato, scuotendo i capelli sporchi e scarmigliati.
“Tu meriti di meglio di questo. E stai
tranquilla, “Finché avremo vita, potremo rivederci.”. ti ricordi mi dissi così
una volta. Io ci credo.” Setsuna
l’aveva baciata.“E un giorno tornerò a prenderti.” Le aveva sussurrato, mentre si addormentava.
Così, un po’ viaggiando senza biglietto sul treno, un po’ a piedi, erano
tornati a Tokyo. Setsuna aveva portato Sara a casa.
“Non vuoi venire?” Gli aveva chiesto, vedendolo andarsene. Setsuna si era
girato, aveva fatto un mezzo sorriso e aveva detto: “A fare cosa? Torna da nostra madre, vai pure in Inghilterra, ma ricordati che
appena potrò, appena potrò renderti veramente felice, tornerò a prenderti.”.
Setsuna aveva seguito Sara con lo sguardo
finché non era scomparsa dietro la porta. Non l’avrebbe più rivista per ben
sette anni. Durante quegli anni cercò di comportarsi come un normale
adolescente, ma dopo quello che aveva visto, era
davvero difficile. Aveva perso la sua ragazza, aveva visto morire il suo
migliore amico, portava sulle spalle decine di vite innocenti. Non avrebbe mai
più potuto essere un ragazzo normale. Pertanto si era isolato di suoi coetanei,
a scuola non parlava con nessuno e appena poteva correva a casa, chiudendosi
nel suo piccolo mondo. Si era guadagnato così l’appellativo di “asociale” ed
era diventato uno degli argomenti preferiti delle chiacchiere scolastiche. Ma i
pettegolezzi erano troppo futili perché potessero turbarlo e alla fine erano
cessati. Certe volte, Setsuna avrebbe volentieri
confessato tutto il suo doloroso passato a qualcuno, anche ad uno sconosciuto
incontrato per strada; poi, però, capiva che nessuno gli avrebbe creduto. Era
da solo. Esistono circoli per gli alcolisti, per i drogati, per le vittime di
violenza, per le vittime di guerra. Ma la sua situazione era troppa strana.
Chissà, forse avrebbe potuto fondarne uno lui, perché no?
“Strani demoni vi perseguitano? Gli angeli
vogliono uccidervi? Siete convinti che Dio vi odi? Avete fatto un viaggetto
nell’altro mondo? Allora, contattateci a: www. God-hates-me-but-I-
don’t-know-why.net.“
Be’, non suonava più strano di tante
stupidate che giravano su internet.
In fondo la sua vita si stava trascinando malamente e, se non avesse
avuto una promessa da mantenere, vi avrebbe messo fine già da tempo. Solo il
pensiero che c’era una persona dall’altra parte del mondo che aspettava il suo
ritorno e che, come lui, contava i giorni, gli dava la forza di andare avanti e
di continuare a lottare per costruirsi una nuova vita.
Tuttavia, se qualche volta si era illuso di poter vivere un giorno
come un ragazzo normale, aveva visto ben presto lasua speranza infantile distrutta.
Un giorno, infatti, Setsuna si era svegliato
con quella strana e non ben definita sensazione che si ha quando sai di aver
dimenticato qualcosa, ma non ricordi cosa. E tanto più la cosa dimenticata è
importante tanto più questa è sfuggente e spesso si mescola e si confonde
insieme a ciò che resta dei sogni della notte. Setsuna,
comunque, non ci aveva pensato troppo, era scivolato giù dal letto, aveva
acceso lo stereo, alzando il volume al massimo, per scacciare la solitudine
opprimente, ed era andato a fare colazione, il tutto con molta calma, perché
era sabato. Quando, però, aveva aperto la porta della cucina, il suo sguardo si
era soffermato un attimo sul calendario.
Era il 10 luglio 2000 .
Gli era sembrato che la data, dalla quale i suoi occhi erano stati
attirati come con una calamita, volesse uscire dal foglio.
Il 10 luglio 2000.
Era passato un anno.
Il 10 luglio 1999 Sara era morta e lui, seguendo un’antica profezia e
compiendo il suo destino, aveva quasi distrutto il mondo.
Il 10 luglio 1999 era partito per un lungo viaggio, che gli avrebbe
procurato dolore e sofferenza, per riportare in vita la ragazza che amava. Perché
“tutto è possibile finché si ha determinazione.”
Per quando il suo viaggio fosse durato giorni, sempre il 10 luglio,
complice la magia del tempo, era tornato a Tokyo, con Sara di nuovo al suo
fianco, accompagnato da una pioggia di piume bianche, che avevano dato
l’illusione di una nevicata estiva.
Quando era partito Sara era morta e Kira, il
migliore amico di Setsuna, era ancora vivo.
Quando era tornato Sara era viva e Kira era
morto.
Non era giusto!
Eppure c’era una strana logica in tutto quello.
Non si può riportare in vita una ragazza morta.
Se quella volta la
Morte aveva acconsentito a piegarsi ai voleri di un
sedicenne, si era presa qualcosa in cambio.
Setsuna si era illuso di poter ingannare
quella vecchia nera e cupa, ma in realtà era stato lui ad essere ingannato.
Una vita per un’altra vita.
Il migliore amico in cambio della ragazza che ami.
Si tratta solo di rispondere a una semplice domanda: “A chi tieni di
più?”.
Sì, c’era una logica, per quanto strana, in tutto ciò.
Setsuna era scoppiato a piangere, versando
tante lacrime represse, e si era lasciato scivolare sul pavimento. Le persone
che aveva incontrato e che avevano creduto in lui, affidando la loro vita nelle
sue mani. Le persone che aveva ferito nella sua stupidità. Quelle alle quali aveva
toccato il cuore e quelle che non era riuscito a salvare. La speranza, l’amore,
l’odio, la delusione e tutti gli altri sentimenti che aveva conosciuto nel suo
cammino, lo avevano travolto e avevano colmato il suo cuore di tristezza. Era
rimasto sdraiato sul pavimento a fissare il soffitto in uno stato quasi
catatonico; immobile, prosciugato da ogni energia, ad affogare nel dolore. Solo
verso sera era riuscito a rialzarsi. Si era già sentito così male; era successo
quando, per colpa sua, buona parte dei ribelli dell’Anima Mundi,
l’organizzazione clandestina fondata dall’angelo Zafkiel,
era stata uccisa. Setsuna si era sentito soffocare
dai sensi di colpa, tanto che si era chiuso in camera, rifiutando di uscire. Ma
allora c’erano ancora i suoi amici, c’era ancora Kira,
pronto a consolarlo e, all’occorrenza, a buttarlo in
una fontana per farlo reagire.
Ma Kira non era più con lui.
Da allora il 10 luglio era diventata la data
personale di Setsuna che segnava lo scorrere degli
anni, una sorta di doloroso capodanno. Non era un’occasione per festeggiare, ma
per ricordarsi degli errori del passato e delle promesse non ancora
mantenute.
Nel 2004 un evento inaspettato aveva movimentato la sua monotona vita.
Il padre era morto in un incidente stradale insieme all’amante. L’accaduto non
aveva quasi toccato Setsuna perché l’uomo lo aveva
abbandonato tanto tempo prima e lui se ne ricordava a malapena. Era come se
fosse già morto. L’unico cambiamento che ciò aveva provocato nella vita del
giovane era stata l’eredità di una grossa somma di denaro che gli avrebbe
permesso di realizzare i suoi sogni. Il primo era l’acquisto di un bungalow in
Australia che Setsuna aveva visto su un catalogo e
del quale si era subito innamorato. Era piccolo, giusto per tre persone, su una
spiaggia a pochi chilometri da Sidney; un luogo non troppo lontano dal Giappone
il cui caldo sole forse avrebbe sciolto il ghiaccio che Setsuna
aveva nel cuore. In realtà la voce del buonsenso gli diceva che era inutile
comprare una casa per tre persone, quando vi avrebbero abitato solo lui e Sara,
ma un’altra voce, quella dell’istinto, gli suggeriva di seguire il suo cuore. Setsuna, infatti, nutriva ancora la speranza che Kira potesse tornare, come se non fosse morto, ma solo
partito per un lungo viaggio.
Setsuna aveva fatto così un paio di
telefonate, qualche viaggio per controllare la casa di persona e l’aveva
comprata. Ormai aveva vent’anni, era un uomo. Aveva finito il liceo, piuttosto
malamente a dire il vero, e, di certo, non sarebbe andato all’università. Non
ne aveva il tempo. Presto Sara si sarebbe sposata e lui non poteva permettersi
di indugiare. Aveva una promessa da mantenere.
Certo, di promesse in sospeso ne aveva tante, troppe. Una, in
particolare, lo assillava di continuo: “Tutti saranno felici.” Ci credeva
ancora. Credeva ancora di poter realizzare, almeno in parte, quell’utopia.
E così i giorni passavano.
Se a Tokyo Setsuna lottava, anche Sara,
dall’altra parte del mondo, tirava avanti e cercava di dare il suo contributo.
Con ancora vivo il ricordo della morte e del male che
aveva causato agli altri, a Cry, a Raphael, a Lily, allo stesso Setsuna,
sapeva di dover fare qualcosa per rimediare.
Il viaggio per Londra era stato una lenta agonia; ogni minuto di volo,
ogni metro che l’aereo metteva tra loro e Tokyo provocava a Sara una fitta al
cuore. Aveva tentato di mascherare il proprio dolore mordendosi le labbra fino
a farle sanguinare e guardando ostinata fuori dal finestrino. Era così vicina
al cielo e nello stesso tempo dentro l’inferno.
“Lo faccio per il tuo bene.”
La frase di circostanza detta con voce triste, l’aveva fatta stare
ancora più male. Aveva annuito, sebbene il suo cuore urlasse che quello non era
il suo bene. Per niente.
A Londra, tutti erano stati gentili, avevano cercato di farla sentire
a suo agio e tessuto le lodi del suo promesso sposo, l’uomo che sua madre aveva
scelto per lei e che Sara non avrebbe mai amato. Alla fine lo aveva incontrato,
durante una cena organizzata apposta, e ne era stata subito disgustata. Era un
sedicenne snob, con i capelli impomatati e l’alito cattivo. Ma era ricco e di
buona famiglia. Il pensiero le aveva fatto rivoltare lo stomaco. Il nuovo
arrivato non l’aveva degnata di uno sguardo, andando dritto da sua madre.
“Lei deve essere la signora Mudo. Sono Carl Bailey.” Le aveva stretto velocemente la mano,
ritirandola subito, quasi temesse di essere contagiato da qualche strano germe,
il germe del peccato. Probabilmente aveva pensato che tutti i parenti di Sara
fossero dei tipi strani. “E’ una bella ragazza e mi sembra a modo, ma anche
ragazze così a volte si fanno deviare.”
Dunque sapeva. Sara si era chiesta con orrore quanto. Aveva aperto la
bocca per ribattere, ma un’occhiata della madre l’aveva zittita. Sara aveva
risposto con un’altra occhiata, altrettanto arrabbiata.
“Gli hai raccontato tutto!”
Nel frattempo, Carl era andato avanti a blaterare con la sua vocetta stridula. “ Ma non si preoccupi, la sposerò, a me
va bene anche così.”
Esistono due tipi di “mi vai bene anche così”. Il primo è il più bel
complimento che un uomo possa fare alla donna amata
perché le dice che la accetta e la vuole con tutti i suoi difetti. Non le
importa del suo passato, se hai difetti nel corpo o nella mente, la ama lo
stesso.
Il secondo tipo è l’esatto opposto. Viene pronunciato con disprezzo e
condiscendenza, significa: “ti scelgo perché non ho
trovato niente di meglio e ci guadagnerò qualcosa.”
La frase pronunciata dal promesso di Sara era chiaramente del secondo
tipo.
Dal loro primo, disastroso incontro, Carl si era presentato a casa
loro sempre più spesso, portando regali costosi, nel tentativo di conquistarla.
Ma più i tentativi si facevano insistenti, più Sara chiudeva il suo cuore. Le
faceva domande sulla sua vita a Tokyo, sui suoi amici, su Setsuna.
“Insomma, che cosa devo fare per smuoverti?” era esploso dopo averla
vista totalmente indifferente davanti ad un anello con brillanti.
“E’ un bell’anello, quanto lo hai pagato?”
Carl non aveva risposto a parole, ma dalla sua espressione orgogliosa
Sara aveva capito che doveva aver speso molte sterline. Almeno un migliaio.
“Ci sarà pur un gioiello che ti piaccia!”aveva insistito Carl.
“Sì, c’è. Un anello da bambini con un vetro rosso, che mi fu regalato
quando ero piccola”
“Posso vederlo?”
“Si è rotto un po’ di tempo fa”. Sara aveva cercato di tagliare così
la conversazione perché non voleva aprire il suo cuore davanti ad un estraneo, ma Carl, non soddisfatto, aveva continuato.
“Chi te lo regalò?”
“Quando avevo sei anni, andai a una fiera vicino Tokyo con mio fratello
Setsuna. Inciampai, caddi e mi misi a piangere. Avevo
paura che mamma mi sgridasse perché avevo sporcato il kimono nuovo. Setsuna mi regalò quell’anello per consolarmi, spendendo
tutti i suoi risparmi e rinunciando alla pesca dei pesci, che amava tanto. Era
un anello giocattolo, ma per me fu come possedere un gioiello preziosissimo.”
Sara si era morsa la lingua, ma era troppo tardi.
Aveva appena confessato a Carl tutto il suo amore per Setsuna.
“Accetta i miei regali finché te li farò. A
me tu non piaci, ma sei di una famiglia ricca e ti sposerò. Faresti
meglio ad accettarlo perché tuo fratello non verrà a salvarti.” l’aveva
minacciata Carl, per nulla toccato dal racconto di Sara, avvicinandosi tanto
che la ragazza aveva sentito il suo alito che sapeva di whisky. Se a
diciassette anni era così, chissà cosa sarebbe diventato!
“Setsuna verrà, l’ha promesso.” aveva
sussurrato Sara, più a se stessa che all’odioso fidanzato.
D’altra parte, Sara aveva altro a cui pensare oltre al suo promesso.
Innanzitutto cosa dare a Setsuna per farsi perdonare
e ringraziarlo di tutti i suoi sforzi. Qualcosa che lo facesse tornare a
sorridere. La risposta, in realtà, Sara l’aveva avuta fin da subito, ma
inizialmente l’aveva scacciata, presa da un’infantile
gelosia. Così la soluzione al problema era stata poi dimenticata. Eppure era
lì, bastava pensare che in ogni ricordo che Sara aveva di Setsuna,
c’era sempre una terza persona.
Comunque la soluzione era rimasta sepolta in un angolo della sua mente
per anni finchè Sara, un sabato mattina, non aveva
trovato Carl nella sua stanza, intento a frugare nei cassetti. Ma come si
permetteva?
“Non sai che è maleducazione curiosare tra le cose di una ragazza?”
l’aveva rimproverato, le braccia incrociate sul petto.
Carl, impegnato a sfogliare un album di fotografie, non le aveva
badato.
“Chi è lei?” aveva chiesto invece, indicando una fotografia. Ritraeva
una ragazza di circa quindici anni, con i capelli neri a caschetto e gli
occhiali, che cercava di nascondersi all’obiettivo. Sara si era sentita
stringere lo stomaco. Ruri!
“Era la mia migliore amica a Tokyo, Ruri.”
aveva sussurrato.
“Era?”
“E’ morta in un incidente.”
Ancora una volta, Carl non le aveva badato minimamente, continuando a
guardare le foto con noncuranza. Di solito, quando qualcuno viene a sapere che
hai perso una persona importante, ti chiede come, quando, perché? O, come
minimo, si mostra almeno un po’ dispiaciuto. Invece niente. Poco dopo il
ragazzo aveva soffermato la sua attenzione su un’altra foto.
“Questa a sinistra sei tu, questo al centro dovrebbe essere tuo
fratello, ti somiglia, ma chi è lui?”. Carl aveva indicato il terzo ragazzo
sulla destra, un diciottenne dai capelli neri, che faceva l’occhiolino e
mostrava il medio alzato.
Sara aveva fissato la foto; era stata scattata durante una gita, tanti
anni prima. Un’altra vita. E la soluzione era ricomparsa, lì, davanti ai suoi
occhi.
“Era il miglior amico di Setsuna, il senpaiKira.”
“Fammi indovinare, morto anche lui?”
Sara stava per rispondere sì, ma… “No, si è solo
trasferito in un altro stato. Non so dove.”
Carl aveva annuito piano e, per la prima volta, si era dimostrato un
po’ interessato.
“Potrei fare qualche ricerca” aveva proposto, con il tono di voce più
gentile che era riuscito a tirar fuori.
Sara aveva rifiutato gentilmente l’offerta. Ci voleva altro, ma ora
che aveva capito cosa fare, non aveva intenzione di arrendersi.
Aveva trovato il modo per rendere Setsuna
felice.
“Come sarebbe che non vuoi che venga a prenderti?” aveva esclamato
stupito Setsuna, quando era venuto a sapere che Sara
non voleva che lui andasse a Londra. Era rimasto a bocca aperta, la cornetta
attaccata a un orecchio. Dopo sette anni di silenzio, sentiva di nuovo la voce
di Sara, grazie a un numero di telefono che la ragazza gli aveva fatto avere
con vie traverse.
“ Senti, se vieni qua devi fare come minimo tre voli.
E’ più comodo che io prenda un diretto per l’Australia, dammi solo l’indirizzo
della nuova casa. “ aveva aggiunto Sara, guardando una foto,
ottenuta anch’essa per mille giri e scambi.
“Comunque ti piace? La casa, voglio dire.”
“E’ bellissima. Ho anch’io
una sorpresa per te.”. Sara aveva sorriso, pensando alla faccia che avrebbe
fatto Setsuna.
“Che cos’è?”. Tipico, non era mai stato capace di trattenere la
curiosità.
“E’ una sorpresa. Pensi di
resistere ancora tre giorni?”
Setsuna era sobbalzato. Solo tre giorni e
avrebbe potuto riabbracciare Sara. La ragazza avrebbe finto di accompagnare
un’amica all’aeroporto di Heatrow e lì si sarebbe
imbarcata su un diretto per Sidney.
“Allora ci vediamo tra tre giorni.”
“Aspetta, non riattaccare” l’aveva pregata Setsuna.
“Mi dispiace, ma c’è la mamma nella stanza accanto.
Potrebbe sentirmi.” si era scusata, chiudendo la telefonata.
Setsuna era rimasto qualche secondo
imbambolato con la cornetta in mano, prima di decidersi a metterla giù.
“Dunque partiamo fra tre giorni. Spero che tu ti sia ricordata di
comprare il biglietto aereo anche per me.”
Un venticinquenne dai capelli neri si era materializzato dal nulla e
ora stava seduto sul davanzale della finestra con una sigaretta fumata a metà
tenuta negligentemente tra l’indice e il medio.
“Non mi dirai che uno come te è vincolato a
cose così umane, Kira?” l’aveva punzecchiato Sara,
aprendo una valigia.
“ Mi piacciono le cose umane. “ aveva ribadito quello, prima di saltare agilmente giù dal
davanzale.
“Ok, Setsuna, datti una calmata.” aveva
continuato a ripetersi il ragazzo durante quei tre giorni che erano stati i più
lunghi della sua vita. Ma ciò non gli aveva impedito di continuare a camminare
avanti e indietro, mentre, agitatissimo, aspettava l’arrivo di Sara. E non gli
aveva impedito di saltarle addosso appena era comparsa, non lasciandole nemmeno
il tempo di poggiare la valigia. Si erano gettati sulla sabbia, avvinghiati in
un abbraccio indissolubile, le labbra che si cercavano con foga. Dio, non si
vedevano da sette anni!
Il tempo non aveva attenuato la chiara somiglianza che c’era tra i due
fratelli. Sara si era tagliata i capelli, per praticità, aveva detto. In realtà
quello era un modo per ricordarsi di Lily, del suo peccato. Setsuna,
invece, se li era fatto crescere, così ora arrivavano
a sfiorargli il collo. Esattamente come li portava Kira
a diciotto anni.
“Aspetta, non vuoi vedere il mio regalo” aveva chiesto Sara rialzandosi,
appena era era riuscita a
liberarsi dalla stretta di Setsuna.
“ Sei tu il mio regalo.”aveva
ribadito il giovane, prima che un paio di mani si posasse sui suoi occhi.
“Ed io mi sarei sorbito un giorno di volo per niente?”.
Setsuna avrebbe riconosciuto quella voce tra
mille. Si era convinto che non l’avrebbe più sentita. Ad udire di nuovo quel
timbro, quei suoni, qualcosa gli si era sciolto dentro, mentre si abbandonava
all’indietro.
“Senpai, sei proprio tu?” aveva chiesto
incredulo, voltandosi. Temeva che quella fosse un’allucinazione.
“In carne e ossa” aveva risposto Kira, prima
che Setsuna gli si gettasse contro, avvinghiandosi a
lui e inzuppandogli la camicia di calde lacrime. Kira
lo aveva abbracciato, sussurrandogli parole calme e cullandolo dolcemente. E
quando Setsuna, calmatosi, si era sciolto
dall’abbraccio, Sara aveva visto riaccendersi nei suoi occhi quella luce che
aveva perso sette anni prima.
“Anche gli angeli capita, a volte, sai si sporcano”.
Setsuna si ridestò da quello stato di torpore in cui era piombato
mentre si abbandonava al passato. Kira…. All’inizio non ci aveva creduto,
pensando che si trattasse solo di un sogno, un bel sogno, dal quale, purtroppo,
avrebbe dovuto svegliarsi. Ma col passare dei giorni, aveva capito che quella
era la realtà perché, a volte, i miracoli succedono. Il giovane si alzò a
sedere e, quasi sonnambulo, si alzò e si diresse verso la camera di Kira,
spinto da un qualche istinto. Era convinto che l’amico potesse tranquillizzare
il suo animo così da poter finalmente scivolare tra le braccia di Morfeo. Così
attraverso il corridoio e si fermò sulla soglia della camera dell’amico,
appoggiandosi allo stipite della porta e sventolandosi con una mano per l’afa.
O forse c’era anche qualcos’altro? Ultimamente il giovane si era accorto che
sentiva sempre molto caldo quando stava con Kira e che il cuore iniziava a
battere come dopo una lunga corsa. Il letto di Kira era sotto la finestra, così
la luce lunare che filtrava attraverso le tapparelle, disegnava la silhouette
dell’uomo. Sakuya era girato su un fianco, con il viso rivolto dalla parte di
Setsuna, un braccio attorno al cuscino, l’altro abbandonato su un fianco. Le coperte,
o meglio il lenzuolo, visto che faceva davvero un caldo infernale, erano state
gettate a furia di calci in fondo al letto, così che lo coprivano solo dalle
ginocchia in giù. Indossava un paio di pantaloncini ed era a torso nudo, la
pelle abbronzata grazie alle ore passate in spiaggia, sotto il caldo sole
australiano. Aveva trovato un lavoro come bagnino. Le ragazze impazzivano per
lui, rendendo Setsuna un po’ geloso. Il giovane si ritrovò a pensare che il suo
senpai era davvero un bell’uomo e arrossì nel buio; senza sapere bene perché,
cominciò a sudare e, quasi contro la sua volontà, accese la luce. Kira si
scosse, si stropicciò gli occhi, schermandoli con una mano, e si sollevò
leggermente sui gomiti. Setsuna lo vide fare un rapido giro della stanza a
occhi socchiusi, per poi posarsi su di lui.
“Secchan, che hai? Sono le…” guardò l’orologio “le tre del mattino!”
bofonchiò, la voce impastata, per il sonno e la sbronza della sera prima. C’era
stata una festa al molo e avevano fatto baldoria, con grande disappunto di
Sara. Setsuna non rispose, limitandosi a fissarlo e a restare sulla porta.
“Non riesci a dormire, vero?” chiese con una voce dolce, calda e
leggermente preoccupata. Setsuna annuì piano, lasciandosi scivolare sul
pavimento e abbracciandosi le ginocchia.
Non riesci a dormire?
Quella semplice domanda riportò alla sua memoria antichi e confusi
ricordi. Kira gli aveva già fatto quella richiesta, in un passato lontano e
ancora piuttosto felice, se mai c’era stato un solo momento felice in tutta la
sua vita.Setsuna aveva dieci anni. Era
stato un giorno di dicembre, circa cinque mesi dopo il loro primo incontro. Da
allora non si erano visti spesso, e le poche volte Setsuna era stato sempre
trascinato, suo malgrado, in imprese non proprio legali. Eppure si era
divertito, com’è giusto che faccia un bambino di dieci anni. Quella sera,
comunque, doveva aver fatto qualcosa di grosso, non ricordava più cosa, ma di
sicuro doveva essere stato qualcosa di grosso. Forse aveva alzato le mani
contro qualcuno o, peggio, aveva mostrato un atteggiamento troppo affettuoso
nei confronti di Sara per la quale provava già un sentimento molto simile
all’amore. Qualsiasi cosa avesse combinato, sua madre ci era andata giù pesante
con gli schiaffi e gli insulti. “Non dovevi nascere”. Una frase che nessuno,
tanto meno un bambino vorrebbe mai sentirsi dire. E poi, che cosa aveva di così
sbagliato da essere odiato da sua madre, da aver spinto suo padre a scappare
con un’altra donna e a lasciarlo sempre più spesso solo in casa? Il ragazzino,
preso dalla rabbia, era uscito, sbattendosi la porta dietro e, prima che
potesse rendersene conto, si era ritrovato in strada. Una volta recuperata la
lucidità, aveva cominciato a tremare di freddo e a piangere di rabbia e di
paura. Non sapeva dove andare, non aveva nessun posto in cui si sentisse
veramente a casa. Aveva pensato che sarebbe stato bello camminare fino a
crollare sul selciato, lasciandosi coprire dalla neve che aveva cominciato a
cadere sottile. Sparire dal mondo, togliere un peso morto, tanto a nessuno
sarebbe importato della sua scomparsa. Setsuna non ricordava quanto avesse
camminato, solo che a un certo punto si era accorto di essere arrivato nel
quartiere dove abitava Kira, precisamente sotto casa sua. Un segno del destino?
Anche Kira aveva problemi familiari, sua madre era morta in un incidente d’auto
e non andava molto d’accordo con suo padre. Quando stava con Kira, Setsuna si
sentiva protetto e accettato, si divertiva. Kira per lui era insieme un padre,
un fratello maggiore e un amico.Col
tempo, inoltre, era diventata una presenza sempre più insostituibile. Tremando
per il freddo, il ragazzo si era alzato sulle punte e aveva premuto il
campanello. Dalla casa era provenuto un gran trambusto.
“sì, sì, vecchio, vado io… che palle!”. Kira si era affacciato alla
finestra e aveva guardato giù. “Chi è a quest’ora? O Setsuna, che vuoi? Aspetta
che scendo…. Caspita, come sei conciato. Vieni dentro, che ti prendi un
raffreddore.” aveva esclamato, vedendolo tutto scarmigliato e aprendo la porta.
Lo aveva poi guidato in un piccolo salotto, un po’ tirandolo e un po’
spingendolo, dandogli delle pacche sulla schiena per evitare che dormisse in
piedi.
“Allora, che cosa è successo?” gli aveva chiesto, porgendogli una
tazza di latte caldo. Setsuna aveva bofonchiato qualcosa, per crollare
addormentato subito dopo, rovesciando il latte sul pavimento.
“Caspita, sei un disastro ambulante! Guarda che hai combinato.” si era
lamentato Kira, raddolcendosi alla vista del ragazzino addormentato, la fronte
leggermente corrugata. Lo aveva preso in braccio e depositato delicatamente su
un futon.
“Ehi, che ci fai ancora qui.” aveva bofonchiato circa un’ora dopo,
vedendoselo comparire in camera. Setsuna non aveva risposto, era troppo stanco,
ma si era limitato a restare sulla soglia, il futon in una mano.
“Non riesci a dormire? Certo che sei proprio un bambino. Dai, vieni
qua.” Lo aveva aiutato a sistemare il futon vicino al suo e Setsuna si era
rannicchiato contro il corpo caldo del suo senpai. Da allora era andato a
dormire da lui tante altre volte.
Nonostante fossero passati più di dieci anni, nonostante fosse ormai
un adulto, la scena era la stessa. Setsuna si sentiva ancora un bambino triste
e solo. Così, prima che Kira potesse protestare, andò dritto verso il letto e
s’infilò sotto le coperte.
“Ehi, che fai? Dai, non sei più un bambino! Scendi, non ci stiamo.”
protestò Kira. cercando di buttarlo sul pavimento. Setsuna in tutta risposta si
rannicchiò ancora di più contro il petto dell’amico, esattamente come aveva
fatto quella notte.
“Fai un po’ come ti pare, non lamentarti se poi cadi dal letto. “
sospirò rassegnato l’altro, si tirò l’amico vicino, poggiandogli la testa sul
cuore, che batteva forte, e, prima di addormentarsi, lo circonò con le braccia.
Il mattino dopo Kira si risvegliò senza il familiare corpo di Setsuna
accanto, perché l’amico era tornato a dormire nel letto matrimoniale con Sara.
“Sei tornato da lei in modo che non si svegliasse da sola? Come ti
dissi una volta, una donna amata da te sarà felice.” gli sussurrò in un
orecchio. Setsuna si agitò nel sonno e si girò dall’altra parte. “Comunque,
credo proprio che Sara abbia già capito tutto.” Formulato l’ultimo pensiero, la
mente di Kira tornò a quel giorno di circa un anno prima, quando Raphael lo
aveva consegnato, di nuovo vivo e vegeto, nelle mani di Sara.
Sei invecchiato.” aveva commentato la ragazza, aprendo la porta della
sua casa londinese.
“Raphy-kun ha trovato un modo, altrimenti sarebbe stato un po’ strano
vedere due, aspetta, quanti anni hai ora?”
“Ventidue.”
“Ecco due giovani di ventidue anni che chiamano senpai un
diciottenne.”. Ed erano scoppiati a ridere, o meglio, Sara aveva appena
sorriso, giusto per cortesia. Dopo lo aveva fatto accomodare in cucina, ma era
stato Kira a rompere il ghiaccio.
“Hai paura di perderlo, vero?” aveva chiesto, poggiando il mento sulle
palme aperte e sporgendosi in avanti. Sara aveva annuito piano ed aveva emesso
un lungo sospiro.Ed era partito lo
sfogo.
“ Quello che voglio è che il mio onicha sia felice, ma capisco che non
posso renderlo tale, non da sola. Gli ho causato troppi problemi; non so che
cosa abbia passato mentre mi cercava, lui non ne vuole parlare, ma deve essere
stato qualcosa di terribile. Mi sento così in colpa. Quando siamo tornati a
Tokyo dall’Atziluth ho temuto di perderlo; i suoi occhi non mi guardavano mai e
le poche volte che si posavano su di me rimanevano freddi e vuoti. I suoi occhi
sono caldi, grandi, da eterno bambino. Da angelo. Quello sguardo da automa
faceva paura! Una volta, poi, sarebbe stato totalmente preso da me, scusa se mi
vanto, invece allora, o avresti dovuto vederlo! Continuava a guardarsi intorno
febbrilmente come un bambino spaventato! Ti cercava!”
Sara aveva fatto una pausa e si era asciugata le lacrime che avevano
cominciato a scendere. Kira era piuttosto imbarazzato, perché di solito era
Setsuna che correva da lui a confessargli tutte le sue paure, non la sorella.
Anzi, Sara non si era mai aperta così in sua presenza. E Kira, si sentiva
meschino ad ammetterlo, ne avrebbe fatto volentieri a meno, preferendo mille
volte che davanti a lui ci fosse Setsuna. Nel frattempo Sara, recuperato un
pizzico di controllo, aveva ripreso: “La notte era addirittura peggiore.
Anch’io per molto tempo ho avuto gli incubi, ma lui, lui… Una sera ero uscita a
prendere un caffè in un bar vicino l’hotel; quando sono tornata l’ho trovato
che dormiva, ma “dormire” è una parola grossa. Si agitava nel sonno e urlava.
Urlava frasi sconnesse, ma sono riuscita a decifrare una parola, “senpai”. Ti
chiamava, Kira. Sono corsa via in strada, lontano da quelle urla di dolore che
non potevo placare. Mi sono sentita così inutile e impotente e ho pensato che,
se ci fossi stato tu con lui, saresti stato in grado di calmarlo. Ha bisogno di
te per ricominciare a sorridere.”.
L’ultima frase era stata
spezzata dai singhiozzi; Kira era arrossito, non tanto per ciò che aveva appena
sentito, quanto perché Sara somigliava dannatamente a Setsuna, una specie di
versione al femminile. E la cosa gli provocava non poco turbamento.
“Se ami qualcuno, lascialo volare via.” Aveva recitato Kira, con la
sua straordinaria capacità di inquadrare il succo di ogni situazione in poche
parole e di centrare il problema.Sara
aveva fatto una smorfia; sembrava una bambina che, dopo aver deciso di regalare
il suo giocattolo preferito in un impeto di generosità, ora si pente e spera
che la sua offerta venga rifiutata.
“Già, ma fa tanto male.”
Per molte notti Setsuna continuò ad oscillare tra le due camere. Si
alzava alle due di notte e andava da Kira e restava lì fino alle cinque del
mattino. Ormai era diventata una routine. Kira si lamentava sempre un po’,
dicendo che il letto era troppo piccolo per due persone, ma, alla fine, si
tirava indietro verso il muro e faceva posto a Setsuna. Se lo teneva stretto
sia per averlo vicino sia per evitare che cadesse. Quando, certe notti, Setsuna
cominciava a parlare nel sonno, preso dagli incubi, Kira gli mormorava
all’orecchio finché l’amico non si calmava. D’altra parte anche l’anima di Kira
sembrava trarre benficio dalla sola presenza di quel ragazzo così innocente. La
loro, per ora, era una relazione notturna, della quale non traspariva niente di
giorno, quando Setsuna tornava a dedicarsi a Sara. A colazione, tuttavia,Kira lanciava delle occhiate a Setsuna, una
sorta di linguaggio segreto, che servivano a ricordare il loro tacito accordo.
Tutto ciò continuò finché Setsuna, preso da certi scrupoli di
coscienza, non decise di rivelarlo a Sara e per farlo decise di addolcirla un
po’. Come quando ci si mostra premurosi nei confronti di una persona alla quale
pensiamo di chiedere in seguito un favore importante.
“Hai preparato la colazione!” esclamò la ragazza, trovando già tutto
pronto, un’afosa mattina d’agosto. “Non nasconderai qualcosa?” gli chiese,
dubbiosa, versandosi i cereali. Setsuna per poco non si strozzò con i biscotti
che gli andarono di traverso.
“No, no!” si affrettò a negare, appena ebbe recuperato l’uso della
voce. “Succo?”
La sorella accettò e soffiò nel bicchiere per nascondere il riso.
Setsuna non era proprio capace di mentire! Ma sarebbe stato scortese farglielo
notare.
Intanto Setsuna si scervellava su cosa dire e come e quando! Lì, al
momento? O nel pomeriggio? O fuori? Magari avrebbe potuto portare Sara a fare
un giro a Sidney. Le sue riflessioni furono interrotte da Kira che, come suo
solito, si materializzò in cucina e gli tolse con disinvoltura il pacchetto di
biscotti dalle mani.
“Ehi, li stavo mangiando” protestò Setsuna, ma troppo tardi.
“Io vado in spiaggia!” gli disse Sara, schioccandogli un bacio veloce
su una guancia.
“Stasera ti devo parlare.” .
Sara annuì e scomparve.
Per tutto il giorno Setsuna continuò a rimproverare se stesso. Avrebbe
fatto meglio a dirle tutto a colazione! Invece ora non solo doveva aspettare,
ma c’era anche il rischio che Sara tornasse dalla spiaggia di cattivo umore.
Così quando la sentì rientrare, alle sei di sera, scattò in piedi come una
molla.
“Ehi, Secchan, hai un riccio sulla sedia?” lo punzecchiò Kira. Setsuna
non ci badò e, in preda all’agitazione, andò dritto in cucina.
“Hai preparato anche la cena! Tu nascondi qualcosa”. Sara lo guardò,
divertita e seria allo stesso tempo.
“Sì, hai ragione.”confessò Sestuna, prendendo una sedia.
“Non dovevi dirmi qualcosa?” domandò Sara, sedendosi a sua volta.
Setsuna fece un gran respiro: “Qualche volta, vado a dormire con
Kira.”
“Io lo sapevo da un po’ ” gli rivelò Sara e rise.
“Come? Tu? “ balbettò Setsuna, cadendo quasi dalla sedia. Sara gli
allungò un braccio e lo tirò su.
“Intuito femminile….”
“Solo?” Setsuna aveva sempre pensato che le donne, specialmente quelle
che conosceva, possedessero come un sesto senso, ma quella volta gli sembrava
che mancasse qualcosa.
“In verità, no. L’intuito c’entra poco, sei solo molto rumoroso. Fai
cigolare il letto e ce ne vuole, dato che è nuovo! E quando cammini… insomma,
mi hai svegliata e sono andata a vedere.” continuò Sara. Setsuna le prese le
mani.
“Scusa, scusa”
“Non c’è problema, davvero. Io lo sapevo già. Da quando ho deciso di
riportarti Kira” aggiunse, ma l’ultima parte la tenne per sé e la disse a voce
così bassa che il fratello non la sentì. Ci fu silenzio per qualche minuto
prima che il ragazzo riprendesse a parlare, sempre più impacciato.
“Ti amo ancora, però…” Setsuna si dondolò, a disagio. Perché era così
difficile? Perché non poteva tradurre a parole un sentimento così semplice?
Noi siamo innamorati, è una cosa semplice, eppure non riusciamo a
dirla.”
“Sei innamorato di lui?” domandò Sara. Cercava di apparire tranquilla,
ma aveva gli occhi lucidi. Se li asciugò furtivamente, come ormai si era
abituata a fare.
Setsuna ci pensò su un attimo, quindi: “No, non solo.”
“Che cosa è lui per te, quindi?” gli chiese la ragazza.
C’erano dei gesti e delle parole che risvegliavano in Setsuna brutti
ricordi. Sara non lo sapeva, Setsuna non gliel’aveva mai detto, ma la domanda
che gli aveva appena posto rientrava in quella categoria. Il giovane si rivide
ferito e chiuso in una gabbia, mentre un angelo dai capelli rossi gli urla
contro: “rispondimi!” All’epoca era stato troppo sconvolto per pensare alla
domanda, ma ora la risposta gli si presentò prima in mente poi sulla lingua,
chiara, limpida, precisa.
“E’ la mia vita.” rispose.
Non sapeva in che altro modo definire quello che provava; era un sentimento,
anzi un legame, più forte dell’amicizia e, forse, anche dell’amore.
“E così sarei la tua vita. Di tutte le dichiarazioni che ho sentito, e
sono state tante, questa è la più strana.” disse Kira entrando e buttandosi su
una sedia. Gli occhi di Setsuna si focalizzarono subito su di lui, mentre il
giovane tentava di tradurre a parole ciò che provava.
“Una volta, senpai, mi regalasti una pietra rossa, dicendo che era un
portafortuna. In realtà conteneva la tua anima: era la tua vita. Affidasti a
me, uno così imbranato, la tua vita! Forse, però, fui io ad affidarti la mia
vita.” spiegò, gli occhi bassi.
“Ti avevo pregato di dimenticarmi e di continuare a vivere, ma forse
deve essere stata una richiesta troppo ardua da realizzare, Secchan. Eppure,
sono di nuovo qua, a restituirti la tua vita che, come dici, portai con me
nella morte.”
Entrambi tacquero e ripensarono, ciascuno a modo suo, a quel giorno.
Setsuna rivide l’amico in ginocchio, con una spada nel petto, che,
calmo come sempre, gli intima di continuare a vivere.
Kira ricordò gli occhi spalancati e pieni di dolore di Setsuna, mentre
urla che non sarà più felice senza il suo senpai, che non esiste nulla come
“tutto bene.”
“Vennero da me i tuoi amici, tuo padre, a chiedere dove fossi finito e
io non sapevo cosa rispondere. Continuavo a vedere il tuo fantasma!“ singhiozzò
Setsuna, sfiorandosi l’orecchio destro. Le dita incontrarono due cicatrici che
si era procurato strappandosi gli orecchini, regalo diKira, in un impeto di dolore e rabbia.Kira lo abbracciò, mormorando parole di
scusa.
“Sono stato uno sciocco, non avrei dovuto fare quello che ho fatto. Ma
ora sono qui e non vado da nessuna parte. Ma se mai dovesse succedermi
qualcosa, promettimi che non farai pazzie. Eh, diglielo anche tu, Sara” continuò,
girandosi, ma la ragazza se ne era già andata. Setsuna la ringraziò in
silenzio. Kira sorrise.
“Siamo angeli, urgenti di un amore che raggiunge chi lo vuole
respirare.”
“ Allora…” balbettò Setsuna
strusciando i piedi, imbarazzato.
“Allora non pensi che sia giunto il momento di mettere fine ai tuoi
dubbi?” sbuffò, metà divertito e metà scocciato, Kira e lo trasse a sé. Setsuna
sentì l’odore dell’amico, un misto di fumo, pelle e sale. Il cuore, impazzito,
cominciò a pulsargli nelle tempie, mentre a quel battito se ne sommava un
altro, altrettanto irregolare. Setsuna, mentre il suo cuore si gonfiava fino a
scoppiare, capì di essere arrivato a un punto di non ritorno, come un uomo che
si prepara a saltare nel vuoto, dopo avere affidato la sua vita a una misera
corda. Kira gli cinse la schiena con un braccio, mentre le dita dell’altra mano
s’intrecciavano tra i suoi capelli castani. Il suo viso si faceva sempre più
vicino.
“Perdonami, Sara.” Fu l’ultimo pensiero di Setsuna prima che l’amico
poggiasse quelle labbra tanto agognate sulle sue, mozzandogli il respiro. Prima
che il mondo andasse in pezzi. Setsuna s’irrigidì, sbarrò gli occhi, quindi
abbandonò le braccia lungo i fianchi e si lasciò scivolare nel buio. Sarebbe
anche potuto morire così. E il mondo sarebbe potuto esplodere senza che i due
se ne accorgessero, persi com’erano nella loro bolla. Alla fine, tuttavia, il
guscio si ruppe, le loro labbra si staccarono, a Setsuna parve che gli venisse
tolta l’aria, e Kira lo allontanò dolcemente. Setsuna lo guardò ferito. Non
voleva staccarsi da lui!
“Questo è solo un assaggio.” lo tranquillizzò Kira e rise.
La notte, come al solito, Setsuna si alzò, ma quella volta sarebbe
stato diverso. Era felice e agitato. Trovò Kira svegliò, seduto a gambe
incrociate sul letto, la testa buttata all’indietro e appoggiata al muro. Fuori
la luna brillava.
“Non penserai di dormire” gli disse, appena lo vide comparire sulla
soglia.
Setsuna scosse la testa e, prima che potesse rendersene contò, si
ritrovò tra le braccia di Kira. Lo abbracciò, lo strinse, come se da ciò
dipendesse la sua salvezza. Kira lo lasciò fare, baciandogli il collo, le
orecchie, fino ad arrivare alle labbra. Ogni bacio per Setsuna era un soffio di
vita. Rispose anche lui ai baci e allacciò le braccia dietro il collo
dell’amico, ma Kira si divincolò con un agile movimento. Si sollevò sulle
braccia, il corpo teso, le mani vicine alle orecchie di Setsuna, impedendogli
ogni movimento.
“vuoi davvero andare fino in fondo?” gli chiese, chinandosi e
solleticandogli il petto con i capelli neri. Il corpo di Setsuna ebbe un
fremito. Si sentiva agitato come se fosse la sua prima volta.
È un po’ un rito sacro, terrificante e bellissimo al tempo stesso.
Setsuna, usando quel poco di cervello che non era ancora andato in
tilt, si chiese se quella fosse una domanda retorica e se Kira avesse voglia di
sprecare il fiato.
“Sì!” rispose, piegando la testa in avanti.
Circa due settimane dopo l’accaduto, mentre Setsuna era impegnato a
sparecchiare i tavoli dl ristorante, approfittando del momento di quiete prima
della cena, un suo collega, Philp, si avvicinò, gli diede una gomitata e chiese
con fare malizioso: “Allora come va?”. Setsuna rimase imbambolato con il
vassoio pieno di bicchieri usati pericolosamente inclinato perché la sua testa
era completamente altrove… il giorno prima aveva passato una nottata fantastica
con Kitra,.E due sere prima aveva
organizzato una romantica serata con Sara.
“Bene” balbettò. Bene non rappresentava nemmeno minimamente tutta la
sua felicità, la sensazione di calore e di leggerezza che sentiva nel cuore, da
quando aveva scoperto che aveva due persone che amava e che lo amavano. Philp
però non sembrò soddisfatto della risposta e cercò di indagare più a fondo: “E
con la tua fidanzata? Mai pensato al matrimonio?”
Setsuna s’imporporò tutto. “A meraviglia… Matrimonio? È troppo
presto.” In realtà, se avesse potuto, avrebbe portato Sara all’altare seduta
stante, ma c’erano alcune complicazioni. Prima di tutto sui documenti sarebbe
stato scritto nero su bianco che lui e Sara erano fratello e sorella e allora
addio pace e tranquillità. Benvenuti sguardi e commenti disgustati. Sarebbero
dovuti scappare di nuovo. E in fondo, avrebbe forse amato Sara di più se
l’avesse sposata?
“ E col tuo amico, aspetta come lo chiami?”. Le riflessioni
sentimentali di Setsuna furono interrotte da una nuova domanda. Philip era
davvero ficcanaso!
“Il senpai Kira! Oh, be’… fantastico. Sì è proprio fantastico. “.
Setsuna arrossì fin sopra la radice dei capelli ed assunse un’espressione
sognante. Ma l’interrogatorio non era finito.
“E con chi ti trovi meglio?”. Philip aveva toccato un tasto dolente,
pericolosamente in equilibrio. E Setsuna s’infervorò.
“Ma che razza di domanda è? Somiglia a “vuoi più bene alla mamma o al
papà? ” Non merita una risposta.” E se ne andò, lasciando il vassoio sul
tavolo.
A chi voleva più bene?A nessuno,
perché li amava entrambi con la stessa intensità. Quando si parla di sentimenti
non esiste nessuna divisione, semplicemente bisogna riversare tutto il proprio
cuore sulle persone amate, siano una, due, tre, un milione! All’inizio non
aveva creduto di potercela fare e di riuscire a tenere un equilibrio tra lui,
Sara e Kira. All’inizio, durante le prime notti passate con Kira, dopo la sua
dichiarazione, si era sentito terribilmente in colpa nei confronti di Sara. E
quando baciava e abbracciava Sara, si sentiva in colpa nei confronti di Kira.
Si era tormentato per tante notti perché alla fine avrebbe dovuto compiere una
scelta. Alla fine aveva capito: non doveva scegliere. Se non voleva impazzire,
non doveva scegliere. Poteva amarli entrambi, senza sentirsi in colpa. Era
stata Sara a spedirlo tra le braccia di Kira e l’amico avrebbe fatto di tutto
perché Setsuna e Sara fossero felici insieme. Così in quella casa si era creato
uno strano equilibrio, basato su amore, fiducia e generosità, quella generosità
che porta a rinunciare a parte della propria felicità per la persona amata.
Setsuna riceveva amore da entrambi e distribuiva dolce affetto, diffondendo per
la casa una calda luce.Sara era dolce,
gentile e generosa; da lei Setsuna riceveva teneri baci, carezze e protezione.
Kira, poi, era in grado di curare tutte le sue ferite, anche le più profonde e
dolorose.In fondo, come aveva detto una
volta, tanto tempo prima, Kira: “Anche se questo amore fosse un errore, non
cambia niente.” A quel tempo Setsuna non aveva capito completamente il senso di
quelle parole, solo ora ne coglieva appieno il significato. Qualunque cosa
dicano gli altri, se rendi felice colui che ami, allora non devi mai pentirti.
In fondo, che cosa significa amare, se non far di tutto, fino a dare la tua
vita per la persona che hai scelto? Amarla con tutto te stesso, con le parole,
col corpo e col cuore, anche quando il fuoco della passione si è spento; gioire
del solo vederla, fosse anche la milionesima volta.
“Non avrò paura se finirò all’inferno, basta che sarò con te.”
Qualche settimana più tardi, Setsuna ebbe un’ulteriore prova di quanto
fossero importanti per lui Kira e Sara. Quel pomeriggio, avendo la giornata
libera, si trovava solo in casa e si annoiava da morire. Dopo aver battuto per
ben cinque volte il proprio record su tutti i videogiochi disponibili, pochi,
visto il budget limitato. Dopo aver cercato di leggere l’ultimo regalo di Kira,
una rivisitazione dell’Inferno di Dante. Tradotto, il senpai ne aveva comprato
una versione economica e aveva aggiunto a penna centinaia di note sui bordi, il
che lo rendeva impossibile da leggere. Dopo essere andato e tornato dalla
spiaggia almeno quattro volte, Setsuna aveva esaurito le opzioni. Pertanto era
sdraiato sul nuovo letto a una piazza e mezza dell’ ‘Ikeache Kira aveva acquistato una settimana
prima. Setsuna lo aveva trovato impegnato a montarlo o meglio a litigare col
cacciavite.
“Senpai che cosa stai facendo? Serve una mano?”
“Sì, grazie. Maledetto cacciavite”
“Lascia, perché il nuovo letto?” aveva chiesto, mentre si metteva ad
avvitare bulloni e a sistemare le assi.
“Perché se tu continui a venire a disturbarmi di notte, il letto
vecchio era davvero troppo piccolo. Anche perché, dati gli ultimi sviluppi, non
credo che ti limiterai a venire a dormire.” aveva aggiunto, lanciandogli
un’occhiata maliziosa. Setsuna era diventato rosso pomodoro.
“Senpai, che cosa stai dicendo?!”
“Non fare il finto tonto, Secchan e passami quel bullone. E meno male
che le istruzioni dicono “facile da montare”!”
“Le istruzioni mentono sempre, comunque il letto di prima non era
piccolo. Non sono mai caduto.” aveva ribattuto Setsuna, lanciandogli una
manciata di bulloni.
“Questo perché c’ero io a tenerti stretto. Non che non mi sia
piaciuto, ma ho i crampi alle braccia.” E le aveva agitate con fare drammatico.
Setsuna era scoppiato a ridere, per tornare pensieroso subito dopo.
“Avremmo potuto chiedere a Sara di fare cambio di letto ed usare
l’altra camera” aveva proposto, mentre montava le doghe. Kira aveva storto la
faccia in una smorfia e aveva guardato Setsuna con fare eloquente.
“Senti, Secchan, Sara è già stata abbastanza generosa ed è riuscita a
sopportare anche fino a un punto in cui chiunque altro sarebbe impazzito, ma….”
e aveva fatto una pausa ad effetto, anche per sputare le viti dalla bocca “non
credi che esista un limite a tutto?”
“Già, scusa”Ma Kira, troppo
impegnato ad avvitare la testata del letto, non lo aveva sentito.
“ Nei letti degli altri già caldi d’amore non ho provato dolore. No, Sara
non mi sembra proprio il tipo. E inoltre mi sono affezionato alla mia stanza
col letto sotto la finestra.”
Così, dopo due ore passate a litigare con le istruzioni, erano
riusciti a montare il letto nuovo che Kira aveva insisto a provare subito,
inseguendo Setsuna per tutta la casa, quando il ragazzo si era rifiutato.
“E siamo andati a sbattere contro Sara che stava trasportando una pila
di piatti. Non c’è bisogno di aggiungere altro.” pensò Setsuna divertito,
sedendosi sul letto.La parte sinistra,
quella di Kira, era più incavata, con le lenzuola tutte stropicciate. Quella di
Setsuna, invece, era più ordinata. Il giovane intrecciò le dita dietro la nuca
e si appisolò. Fu svegliato dal rombo familiare della moto di Kira e dal rumore
più discreto dello scooter di Sara. Erano tornati!Setsuna saltò su come una molla e corse in
corridoio, giusto in tempo per vedere la porta a aprirsi. Sara fu la prima ad
entrare.
“Ciao, ti andrebbe di uscire stasera?” le chiese Setsuna speranzoso.
Si aspettava un sì, dato che aveva già preparato l’abito elegante, ma rimase
deluso.
“Oggi, no, sono esausta.” rispose lei e si diresse verso la cucina.
“Sembra che ti abbia dato buca” commentò Kira, divertito.
“Ci vogliono tre gocce di limone, non quattro! Il ghiaccio è sciolto!
Ma io li strozzo!”. Si sentì dalla cucina. Un attimo dopo Sara riapparve con
una bottiglietta di succo ghiacciato.
“Problemi al lavoro” fece Setsuna dandole un bacio. La ragazza annuì.
“Vado a farmi una doccia?”. Ma mentre apriva la porta, una mano le afferrò una
spalla e la tirò indietro. “Eh, no. La doccia è mia.” disse Kira. “Sembra che
certe oche facciano apposta ad affogare. Ho sale dappertutto.” continuò,
togliendosi la maglietta sudata, che doveva essersi infilato senza neanche
asciugarsi “anche in posti che di solito non mostro in pubblico.” Setsuna
diventò rosso.
“Perché non usi le docce della spiaggia?” protestò Sara.
“Perché non mi piacciono.”E,
prima che lei potesse fare qualsiasi cosa, entrò in bagno e chiuse la porta.
Pochi secondi dopo si sentì lo scroscio dell’acqua.
“Non consumare tutta l’acqua” urlò la ragazza alla porta chiusa. In
tutta risposta lo scroscio si fece ancora più intenso.
“Uffa, io vado in camera” sbuffò e scomparve anche lei.
Setsuna rimase imbambolato in mezzo al corridoio, scosse la testa
ridendo e si passò una mano tra i capelli scompigliati. Quindi fece per
chiudere la porta che, nel frattempo, si era riaperta a causa del vento.
Avrebbe dovuto ripararla un giorno, magari quando avrebbe avuto più soldi.
Eppure non era solo un problema di soldi, forse il motivo per cui non si era
ancora deciso a riparare quella maledetta porta era un altro. Il fatto che
quella porta non si chiudeva bene significava che qualcuno la apriva. E se
qualcuno la apriva, voleva dire che qualcuno usciva ed entrava. E uscire ed
entrare è un buon segno, significa che si ha la forza di vivere. Chi non ha più
voglia di vivere, si chiude in casa, ad pregare che arrivi la morte. Le persone
lasciano sempre un segno del loro passaggio e tanti più segni lasciano, tanto
più la loro mancanza sarà viva e dolorosa. Setsuna pensò a tutto questo mentre
tirava la maniglia senza di sé e il pensiero della morte, rimasto sepolto per
tanto tempo in un angolo della sua mente, represso con ogni mezzo, tornò a farsi
sentire. Il ragazzo immaginò la sua casa vuota, senza più i lamenti di Sara, il
tubetto del dentifricio strizzato malamente nel centro, il profumo del caffè a
colazione. Vide nella sua mente scomparire i pacchetti di sigarette usati che
Kira seminava in giro; Niente più moto parcheggiata in garage o magliette
gettate sopra la lavatrice. S’immaginò queste e altre cose; Si immaginò di
dover sopravvivere alle persone che amava. Lo colse una nausea tremenda, si
sentì stringere lo stomaco. Un dolore cos’ forte da farlo cadere a terra.
“Ehi, Secchan, sai per quell’uscita al ristorante io sarei
disponibile.”. Kira fece capolino in accappatoio e vide Setsuna chino a terra,
piegato sulle ginocchia. In un attimo fu di fianco a lui.
“Setsuna, non stai bene?”
Il ragazzo scosse la testa. Era lì, vivo, di fianco a lui. Kira era
proprio di fianco a lui. E c’era anche Sara, che, richiamata dall’istinto, si
era accorta che qualcosa non andava. Erano vivi entrambi. Solo concentrandosi
su questa certezza, Setsuna riuscì a recuperare un pizzico di controllo,
abbastanza da riuscire a parlare.
Setsuna annuì e cercò di alzarsi, ma le gambe gli tremarono.
“Ehi, sei caldo. Sicuro di non avere la febbre?” disse Kira,
toccandogli la fronte.
“Sì, esco a prendere un po’ d’aria.”
Quando fu fuori, Setsuna si sedette sulla spiaggia e respirò l’aria
del mare.
“è una bella serata. Non vuoi dirmi cosa è successo?”. Kira si era
appena seduto di fianco a lui, un pacchetto di patatine in mano. “Ne vuoi
qualcuna?”.
Setsuna rifiutò. Che cosa era successo?
“Solo brutti ricordi.” spiegò.Kira annuì e pur avendo capito che l’amico gli stava nascondendo
qualcosa, non indagò oltre. Setsuna lo ringraziò in silenzio.
“Senti, senpai, stavo pensando... ”
“Sì?”
“Che noi, insomma… accidenti è difficile dirlo a parole.” sbuffò
Setsuna. Aveva voglia di iniziare una bella conversazione filosofica, ma non
sembrava essere partito nel modo giusto.
“Che cosa state combinando?”. Sara era apparsa alle loro spalle e
sgranocchiava biscotti al cioccolato. Guardò Setsuna e scosse la testa, facendo
schioccare la lingua. Quindi gli infilò un biscotto in bocca.
“Sei pallido. Allora che si dice?” chiese, dandogli un bacio.
“Sara, adesso è il mio turno.” protestò Kira e abbracciò stretto
Setsuna
“è il mio fidanzato!”
“Anche il mio!”
Setsuna rise e, per calmarli, diede un bacio ad entrambi.
“Niente, non era niente
d’importante.” Setsuna fece un gesto vago e andò verso il mare, fermandosi in
un punto della spiaggia dove le onde arrivavano a lambirgli le scarpe da
ginnastica, pur senza bagnarle. Il labile e mutevole confine tra la terra e il
mare, tra il buio e la luce. Tra la vita e la morte.
Si fermò lì e guardò la vita che si era costruito: una piccola casa e
due persone che amava con tutto il suo cuore. Si chiese quanto sarebbe durata.
Forse un giorno la gente avrebbe scoperto il loro segreto e la loro
eterna fuga sarebbe ricominciata.
Forse un giorno una simpatica demone dai lunghi capelli argentei
avrebbe di nuovo bussato alla sua porta…
Forse un giorno… Ma al momento non voleva pensarci.