Orange is the new... Candy

di Gatto1967
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** CHE COSA HA FATTO! ***
Capitolo 2: *** Sei tu che devi scattare ai nostri ordini ***
Capitolo 3: *** Il gatto ti ha mangiato la lingua? ***
Capitolo 4: *** Spero solo che non sia troppo tardi ***
Capitolo 5: *** Non siamo degne neanche di allacciargli le scarpe ***
Capitolo 6: *** Un altro ragazzo come lui ***
Capitolo 7: *** Non è iniziata nel migliore dei modi ***
Capitolo 8: *** è proprio necessario signor Jackson? ***
Capitolo 9: *** Bisogna essere tagliati per certe cose ***
Capitolo 10: *** Qualcuno li stava spiando ***
Capitolo 11: *** La vita umana non vale meno di un'uniforme ***
Capitolo 12: *** Ne so qualcosa di sbornie ***
Capitolo 13: *** Siamo uniti da un sentimento comune ***
Capitolo 14: *** è un piano molto rischioso ***
Capitolo 15: *** Gridò il nome del suo amore con tutto il fiato che aveva in corpo ***
Capitolo 16: *** Non posso dirlo ***
Capitolo 17: *** il sole era quasi a mezzogiorno ***
Capitolo 18: *** Fra di noi ci chiamiamo fratelli e sorelle ***
Capitolo 19: *** incontrata tanti anni fa sulla collina di Pony ***
Capitolo 20: *** impossibile da dimostrare ***
Capitolo 21: *** punto fermo indispensabile nella sua vita ***



Capitolo 1
*** CHE COSA HA FATTO! ***


 
Disclaimer: questa storia è una fan fiction che riprende l'opera originale di Kyoko Mizuki, i cui diritti d'autore sono detenuti da autrice e casa editrice. Non ho diritti sui personaggi ne tanto meno sulla storia originale che vado a modificare. Non c'è scopo di lucro in questa mia storia, per tanto non lede ai diritti d'autore.
 
Per chi non lo sapesse “Orange is the new black” è una serie tv americana in onda sui canali internet, che racconta le vicende di una giovane donna condannata a quindici mesi di reclusione per un reato commesso dieci anni prima.
La serie racconta quindi le vicissitudini di questa donna (guarda caso una bionda come Candy) alle prese con la più variegata umanità in un carcere femminile americano.
Voi mi chiederete: “Ma come cavolo ti è venuto in mente di mandare Candy in prigione?”
Beh, a pensarci bene anche nel corso dell’anime, la nostra eroina ha rischiato più volte di finire in prigione, e un paio di volte c’è finita davvero! (Alla Royal Saint Paul School)
Già da bambina quando stava presso i Legan e venne ingiustamente accusata di furto, la zia Elroy suggerì di mandarla in prigione “quella piccola ladra”.
Quando poi copre Charlie che si spaccia per Terence all’ospedale Santa Johanna, commette un vero e proprio reato, e anche quando a Greytown aiuta la dottoressa Kelly insieme al suo fratello ricercato, rischia l’incriminazione.
E poi si sa, Candy ha un temperamento ribelle, insofferente alle regole e alle costrizioni, spesso è anche impulsiva e agisce senza pensare alle conseguenze delle sue azioni.
Partendo quindi da un episodio dell’anime questa storia si immagina le vicende di Candy in un carcere femminile americano a inizio ‘900.
Riuscirà la nostra eroina a sopportare l’esperienza?
Cosa faranno per lei i suoi amici?

Riuscirà infine a riguadagnare la libertà?

La ragazza bionda in divisa da carcerato entrò nella cella e l’inferriata si richiuse alle sue spalle.
Rimase per un tempo che a lei sembrò infinito, immobile, in piedi a fissare la finestrella da cui filtrava la luce del giorno, come incapace di realizzare a pieno la situazione in cui si trovava.
Dai suoi occhi sgorgarono calde lacrime, dapprima silenziose, e poi accompagnate da singhiozzi sempre più convulsi e spasmodici.
Si buttò sulla branda e sfogò tutto il suo dolore mentre con la mente riviveva le assurde vicende che l’avevano portata lì.
 
Un mese prima
Candy aveva appena finito il suo turno di lavoro dal dottor Martin, e salutati i suoi piccoli pazienti che l’aspettavano fuori, prese la direzione di casa sua. Non fece in tempo a fare pochi passi che qualcuno la chiamò. Si girò e vide un distinto signore di mezza età, vestito impeccabilmente.
-è lei la signorina Candice  White Andrew?-
-Sì signore, con chi ho il piacere…-
-Vengo da parte di un gentiluomo che vorrebbe incontrarla privatamente. Il suo nome è Terence.-
A quelle parole il volto e il cuore di Candy si illuminarono: Terence era a Chicago e voleva incontrarla!
-Prego signorina da questa parte, ho il compito di condurla da lui.-
Senza farsi pregare Candy salì nella lussuosa macchina che l’uomo le indicava, e questi dopo un breve percorso la condusse a una villa poco fuori città che dava direttamente sul lago.
Di corsa Candy entrò nella villa solitaria mentre il distinto signore rimaneva fuori come ad aspettare qualcuno.
 
-Terence!- chiamò Candy più volte addentrandosi in quella casa buia. –Terence!-
Poi una sagoma davanti a lei, una sagoma che emergeva dal buio, parzialmente illuminata dalla luce lunare che filtrava dalle finestre.
Il cuore della ragazza ebbe un sussulto: Terence era lì davanti a lei… oppure no?
Come la luce illuminò il volto dell’uomo, il sorriso di Candy sfumò e lei si maledisse per la sua ingenuità: davanti a lei non c’era Terence, ma Neal! Quello stesso Neal Legan che tanti problemi le aveva sempre provocato fin da quando era bambina, quello stesso Neal Legan che da qualche tempo aveva preso a importunarla, e adesso l’aveva anche attirata in quella villa isolata.
Che diavolo voleva da lei quell’essere spregevole che da sempre sembrava non avere altro scopo nella vita che quello di rovinarla a lei?
Le parole che gli sentì pronunciare la lasciarono di stucco: -Io ti amo.- aveva avuto il coraggio di dirgli, come se tutto quello che lui le aveva combinato fin dal primo giorno che si erano incontrati non contasse nulla.
Ma com’è possibile? Si chiese la bionda infermiera.
-Io non ti amo affatto!- gridò Candy -Anzi ti odio con tutta me stessa! Come puoi pensare che ti ami?-
Già, come poteva pensare il giovane Legan, che la persona oggetto delle azioni più cattive da lui commesse, potesse innamorarsi di lui? Tuttavia insisteva in quella follia.
-Forse tu non lo sai, ma molte signorine distinte vorrebbero mettersi con me, ma io le ho rifiutate, perché amo te! E sono sicuro che anche tu mi vuoi bene!-
-No Neal! Io ti odio!-
A quell’ennesima dichiarazione il giovane Legan afferrò la ragazza per il braccio.
-Chi ti credi di essere orfanella? Sappi che tu stanotte sarai mia! Che lo voglia o no!- Candy lo spinse via con una manata in fronte.
Neal barcollò all’indietro, perse l’equilibrio e cadde a terra battendo la testa!
Una violenta sensazione di deja-vu strinse Candy che sovrappose l’immagine di Anthony a quella di Neal. Due persone che per lei avevano rappresentato sentimenti diversi e contrastanti, due persone che in quel momento vedeva sovrapposte nello stesso destino.
-NEAL!!!!!- gridò Candy con quanto fiato aveva in gola cadendo in ginocchio accanto al corpo esanime del giovane Legan.
-NEAL!!!!!- gridò di nuovo mentre la porta della solitaria villa a strapiombo sul lago si apriva all’improvviso.
L’uomo che aveva accompagnato Candy fin lì, probabilmente un dipendente dei Legan, entrò di corsa e si chinò sul corpo di Neal.
-Signor Neal! Signor Neal!- ma il giovane non rispondeva.
-CHE COSA HA FATTO!!!- gridò l’uomo rivolgendosi ad una sconvolta Candy.
Lei non riusciva a proferire parola, il suo volto e il suo essere erano dilaniati dall’orrore, ma poi riuscì a trovare la freddezza di prendere il polso di Neal.
Il polso non batteva! Neal era morto!

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Capitolo 2
*** Sei tu che devi scattare ai nostri ordini ***


-Andrew!-
La voce del secondino risuonò come surreale nella mente di Candy.
-Andrew! Vuoi svegliarti?! Non siamo mica ai tuoi comodi, bamboccia!-
Candy aprì gli occhi e alzò la testa mentre la porta della cella si apriva.
-Muoviti Andrew! È l’ora della cena!-
Candy riuscì ad alzarsi dalla branda e a lenti passi si avviò verso l’uomo. Questi la strattonò per un braccio e la sbatté fuori dalla cella.
-Ehi!- protestò lei –Un po’ di maniere!-
Il secondino, un uomo sui quarant’anni, alto, ben piazzato e con il volto attraversato da un paio di folti baffoni, fece un sorriso truce e la colpì con un potente manrovescio sulla guancia facendola cadere a terra.
-Ora ti spiego come stanno le cose, ereditiera dei miei stivali… Qui non sei nel tuo palazzo incantato, dove servitori eleganti scattano ad ogni tua parola… qui tu non sei NIENTE! Sei solo una prigioniera come tutte le altre, e noi secondini siamo i tuoi superiori.
Sei tu che devi scattare ai nostri ordini! CHIARO?!!!!!
E adesso in piedi detenuta!!!!-
Candy credeva di aver pianto tutte le sue lacrime, ma i suoi occhi riuscirono a produrne altre.
Con la guancia dolorante e l’orgoglio sotto le scarpe Candy riuscì ad alzarsi tenendo la testa bassa. Nella sua vita le era già capitato di subire umiliazioni e angherie, ma quella la sentì come la peggiore di tutte.
Con voce più accomodante, il secondino le parlò di nuovo:
-Bene Andrew! Tanto perché tu lo sappia, io sono il capo dei secondini, il signor Jackson, ed è così che dovrai rivolgerti a me d’ora in poi, chiaro?-
-Si… signor Jackson…-
-Bene, impari in fretta. Adesso cammina con le altre!-
Candy si incamminò con la morte nel cuore. Sarebbe stata quella la sua vita d’ora in poi?
-Non prendertela biondina!- le disse una detenuta dietro di lei –“Grande Baffo” Jackson è un bastardo, ma se ti comporti bene, non ti darà problemi.-
 
Due settimane prima
-Chiamo a deporre il signor Alfred Drumond!-
La voce del pubblico ministero che chiamava a deporre il dipendente dei Legan suonò a Candy quasi come una condanna a morte. Sensazione che si acuì quando l’uomo, seduto al banco dei testimoni cominciò a rispondere alle domande del magistrato.
-Prelevai la signorina Andrew dalla clinica presso la quale lavorava, su richiesta precisa del signor Neal Legan.-
-Lei cosa disse alla signorina Andrew?-
-Che il mio padrone, il signor Legan, desiderava vederla.-
Candy scattò in piedi
-NON E’ VERO! QUELL’UOMO MENTE!-
-L’imputata faccia silenzio!- Ordinò perentorio il giudice, e anche l’avvocato Clinton, messo a disposizione dal signor William Andrew cercò di calmare la ragazza.
-Calma Candy! Per l’amor di Dio! Avremo modo di ribattere alle menzogne di quell’uomo, ma adesso calma!-
In lacrime Candy si sedette al suo posto. Era stata condotta in aula ammanettata, come la peggiore delle criminali, e nonostante le proteste del suo avvocato, le manette non le erano state levate.
-Signor Drumond, quindi si può dire che la signorina Andrew venne di sua spontanea volontà all’appuntamento con il signor Legan.-
-Sì, è così.-
Candy mordeva il freno. Sarebbe volentieri saltata addosso a quel bugiardo, ma doveva controllarsi.
-E la signorina Andrew entrò spontaneamente nel villino del signor Legan?-
-Certo, e la sentii chiamare il signor Legan per nome, più e più volte. Sembrava ansiosa di vederlo!-
Candy non riusciva a trattenere le lacrime.
-E poi cosa accadde?-
L’uomo sembrò avere un impercettibile attimo di esitazione.
-Sentii il mio padrone gridare, diceva “Ferma Candy che fai?!” e corsi alla porta. Aprii ed entrai nel villino. Vidi il signor Legan steso a terra morto, e la signorina Andrew in piedi, immobile e risoluta, con uno sguardo che esprimeva odio.-
-NON E’ VERO!!!!- urlò una sempre più disperata Candy, con la folla che le gridava contro –Assassina!-
-Qualcosa le diede motivo di credere che la signorina Andrew fosse trattenuta nel villino contro la sua volontà?-
Altro attimo di esitazione
-No. Anzi il signor Legan aveva disposto che in qualsiasi momento lei lo volesse, io avrei dovuto riportarla a casa.-
Candy strinse le mani ammanettate fino a farsele dolere, come se il dolore potesse cancellare le menzogne di quell’uomo.
 
Il giorno successivo
L’avvocato Clinton interrogava Candy sempre ammanettata nonostante le sue ripetute proteste.
-Signorina Andrew. Cosa le disse il signor Drumond quando la prelevò dalla clinica dove lavora?-
-Mi disse che un mio vecchio amico si trovava a Chicago e voleva incontrarmi.-
-Quindi lei non sapeva che all’appuntamento avrebbe incontrato il signor Legan?-
-No avvocato, non lo sapevo.-
-E come ha reagito vedendoselo davanti?-
-Mi sono arrabbiata: lui mi aveva ingannato.-
-è vero che il signor Legan la importunava da diversi giorni?-
-è vero, si faceva trovare all’uscita dell’Ospedale dove lavoravo, davanti casa, ovunque andassi.-
-Cosa le disse il signor Legan nel villino dell’appuntamento?-
-Disse… che mi amava, ma io non ricambiavo i suoi sentimenti e glielo dissi chiaramente.-
-Lui come reagì?-
-Mi afferrò per un braccio e mi disse che in un modo o nell’altro sarei stata sua quella notte.-
-E lei che fece?-
-Lo spinsi via da me, lui cadde e batté la testa.-
-Quindi lei agì in stato di legittima difesa e la morte del signor Legan fu solo un incidente.-
-Sì avvocato, è così.-
-Cosa fece quando vide che il signor Legan era caduto a terra e non si muoveva?-
-Mi chinai su di lui, nel frattempo entrò anche il signor Drumond, e io sentii il polso di Neal… del signor Legan. Non batteva più.-
 
Poco dopo il pubblico ministero controinterrogò Candy.
 
-Signorina Andrew lei è figlia legittima della famiglia Andrew?- Candy fremeva, che cavolo c’entrava quella domanda? Tuttavia si impose di rispondere.
-Sono stata adottata dalla famiglia Andrew.-
-E i suoi veri genitori dove sono?-
-Obiezione Vostro Onore! La domanda non è pertinente!-
-Accolta!-
-Ritiro la domanda. Lei da bambina venne adottata dalla famiglia Legan, giusto?-
-Sì signore. Mi stabilii presso i Legan dall’orfanotrofio dove vivevo, però per loro non ero una figlia, ma una serva.-
Il pubblico rumoreggiava, senza volerlo Candy aveva fornito un ulteriore movente.
-E in seguito venne adottata dagli Andrew.-
-è così.-
-Signorina Andrew: stando alla sua versione dei fatti, il signor Drumond è un bugiardo.-
-Si signore, il signor Drumond ha mentito.-
-E perché la giuria dovrebbe credere a lei anziché al signor Drumond? A una squallida orfana che fin da piccola si è praticamente venduta al miglior offerente, invece che ad un rispettabile e onesto lavoratore come il signor Drumond?!!!!-
-OBIEZIONE VOSTRO ONORE! MA CHE RAZZA DI LINGUAGGIO E’ QUESTO?!! E POI DA QUANDO IN QUA ESSERE ORFANI E’ UNA COLPA!!!-
-Accolta! Il Pubblico Ministero è invitato a tenere un linguaggio più rispettoso nei confronti dell’imputata!-
-Non ho altre domande Vostro Onore.-
Il giudice aveva accolto l’obiezione, ma i giurati, tutti borghesi della Chicago “bene”, avevano comunque memorizzato la domanda.
Candy perse copiose lacrime mentre veniva accompagnata al suo posto.

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Capitolo 3
*** Il gatto ti ha mangiato la lingua? ***


Arrivate nel locale della mensa le detenute si sedettero ai tavoli, mentre alcune di loro servivano la cena.
Candy capì che nella prigione erano le stesse detenute a svolgere certi lavori.
Si sedette dove capitava, al primo posto libero, e due ragazze dietro di lei nella fila le si sedettero vicino.
Al tavolo c’erano già sedute tre detenute.
Candy teneva lo sguardo basso, senza guardare in volto le sue compagne e senza rispondere ai loro saluti. Non si era mai comportata così, ma certamente non si era mai trovata in una simile situazione.
-Ehi biondina! Il gatto ti ha mangiato la lingua?-
A quella frase Candy alzò lo sguardo e incrociò per la prima volta quello delle altre detenute.
-Scusatemi.- disse abbozzando una specie di sorriso –Avete ragione, io mi chiamo Candy.-
-Ciao Candy. Io sono Red. Sei arrivata oggi?-
A parlare era sempre la stessa detenuta, una donna sulla cinquantina con folti capelli rossi.
-Sì.- rispose Candy.
-è la tua prima volta in galera?-
-Sì. Sono stata condannata oggi.-
-Mi dispiace, è dura, lo sappiamo tutte qui dentro. E tutte abbiamo provato quello che stai provando tu. Adesso però mangia.-
Un’altra detenuta aveva appena portato le scodelle con la cena.
-Questa roba fa schifo!- disse Candy dopo aver assaggiato il contenuto della scodella. Al che fu come se un’ondata di gelo le piovesse addosso dal suo tavolo e dai tavoli vicini.
La donna dai capelli rossi si alzò.
-Ascoltami bene biondina: capisco che sei una novellina, e che non puoi sapere tutto su come funzionano le cose qui. Ti fa schifo il cibo che prepariamo? Non mangiare! Puoi anche morire di fame se vuoi!-
Senza altre parole “Red” si allontanò.
-Ma che ho detto di male?-
Le altre detenute ridevano sotto i baffi, e una di loro, una ragazza un po’ più grande di Candy le spiegò come stavano le cose.
-Vedi Candy, Red è la responsabile della cucina. La “roba” che tu hai rifiutato l’ha fatta lei.-
Candy si rese conto di non aver fatto una bella figura, ma non disse niente.
-Non fare quella faccia Candy!- le disse con tono amichevole un’altra ragazza seduta di fianco a lei. –Mica ci devi passare la vita qui!-
A quelle parole il volto di Candy si trasformò. In preda ad un’incontenibile quanto inspiegabile rabbia la bionda ex infermiera cacciò un urlo spaventoso e saltò addosso alla malcapitata ragazza riempiendola di schiaffi.
Subito accorsero i secondini che afferrarono Candy di peso e la portarono via mentre ancora urlava e piangeva.
-Portiamola in isolamento!- urlò “Grande Baffo” Jackson –Qualche giorno in cella da sola le farà bene!-
-Ma che cavolo ho detto?- esclamò la detenuta aggredita da Candy
-Ho sentito quello che gli dicevi.- disse uno dei secondini. –Sappi che quella “biondina” è stata condannata all’ergastolo!-
Le detenute rimasero di stucco!
 
Portata via dalla sala mensa, Candy si calmò e provò a borbottare qualche parola di scusa. Era veramente mortificata per quello che aveva fatto.
-Avrai tempo per fare le tue scuse bambola!- disse Jackson sarcasticamente.
-Adesso ti farai qualche giorno in cella d’isolamento così ti darai una bella calmata!-
 
Chiusa nel buio della cella d’isolamento Candy si lasciò andare a un pianto disperato mentre riviveva quello che era successo solo poche ore addietro in un’aula di tribunale.
 
Qualche ora prima
Il giudice Bean entrò in aula e si sedette al suo scranno.
-La giuria ha raggiunto un verdetto?-
-Sì Vostro Onore.-
-E qual è il vostro verdetto?-
-Riteniamo l’imputata colpevole dei capi d’imputazione a lei ascritti.-
Quelle parole gettarono Candy e i suoi amici presenti in aula nella disperazione più nera.
-Con l’autorità conferitami da questo Stato, condanno la signorina Candice White Andrew alla pena dell’Ergastolo!-
Candy non ebbe nemmeno la forza di gridare, di disperarsi. Si lasciò portare via senza fiatare, con gli occhi persi nel nulla, mentre la folla inveiva contro di lei.
Incrociò gli occhi in lacrime di un disperato Albert.
-Candy! Resisti Candy! Non ti lascerò sola! Riuscirò a scagionarti Candy, te lo giuro!-
Fra la folla, una disperata Suor Maria, giunta apposta da Laporte per essere vicina alla sua Candy, riuscì solo a gridarne il nome al suo passaggio.

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Capitolo 4
*** Spero solo che non sia troppo tardi ***


Susanna Marlowe sedeva sulla sua sedia a rotelle nel salone di casa sua a New York.
Teneva fra le mani un giornale vecchio di qualche giorno. Non poteva più tacere, doveva dire tutto a Terence, anche se questo avesse significato perderlo per sempre! Lui era da poco rientrato a New York dopo qualche tempo in cui era misteriosamente scomparso.
Non aveva dato spiegazioni, ma semplicemente aveva preso l’impegno di far funzionare le cose da quel momento in poi, e nella luce dei suoi occhi Susanna aveva visto una nuova determinazione.
Finalmente Terence rientrò a casa.
-Ciao Terence.-
-Ciao Susanna.-
I rapporti fra i due ragazzi erano sempre cortesi ma freddi. Non c’era amore in quel loro assurdo vivere insieme, solo fredda cortesia e freddo interagire quotidiano. Era un rapporto sbagliato, nato male e che inevitabilmente sarebbe finito peggio.
-Ti devo parlare Terence!-
-Scusami Susanna, ma sono molto stanco.-
-Si tratta di Candy.-
L’espressione di Terence mutò. Erano mesi che Susanna non pronunciava quel nome.
Senza altre parole Susanna porse a Terence il giornale che teneva in grembo.
-A pagina 5. C’è una notizia che riguarda Candy e la sua famiglia. Credimi Terence, mi dispiace così tanto…-
Terence aprì la pagina indicata da Susanna e solo il titolo di spalla che riportava il nome di Candy lo fece impallidire mortalmente!
-Il giornale è di tre giorni fa. Sono stata combattuta se dirtelo o no, ma ti prego di credermi che non era per me, ma per te.
Questa notizia ti distrugge lo so, per questo ti dico: Va da lei Terence! Lei ha bisogno di te, adesso!-
Un Terence in lacrime non riusciva quasi a parlare.
-Susanna… io…-
-è assurdo pensare che Candy possa essere un’assassina. Aiutala a uscire da questa situazione. E dopo… resta con lei.-
Terence rimase imbambolato per un tempo che a lui sembrò infinito.
-Susanna… grazie… per amarmi così tanto…-
-Non devi ringraziarmi. Io sono la causa di tutti i mali tuoi e di Candy. Spero solo che non sia troppo tardi…-
-Lo spero anch’io… e spero anche che tu… possa essere felice come meriti…-
Senza altre parole Terence andò a preparare le sue cose. Lo attendeva un lungo viaggio, un viaggio senza possibilità di ritorno.
 
Quando infine fu pronto, rivolse a una Susanna in lacrime un solo semplicissimo saluto:
-Addio Susanna.-

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Capitolo 5
*** Non siamo degne neanche di allacciargli le scarpe ***


Annie e Archie camminavano per le strade di Chicago lungo il tragitto che univa la residenza dei Brighton a quella degli Andrew. Di certo le loro facce non esprimevano serenità, Candy, la loro cara Candy, stava vivendo sulla sua pelle l’orrore più grande: condannata a trascorrere la sua vita in prigione con un’accusa terribile sulla testa.
Candy c’era sempre stata per i suoi amici e loro che stavano facendo? Niente, assolutamente niente! Stear era dall’altra parte dell’Oceano impegnato in una guerra assurda che non lo riguardava, Albert era scomparso nel nulla e loro si sentivano mortalmente soli.
 
Da un negozio davanti a loro videro uscire Iriza seguita dal suo autista carico di pacchi e pacchetti di varie dimensioni.
-Eccoli. Gli amici dell’assassina!-
-Bada a come parli Iriza!- tuonò Archie –Candy non è un’assassina!-
Iriza guardò il cugino e la sua fidanzata. Il suo sguardo non era quello perfido e crudelmente sarcastico della solita Iriza, esprimeva qualcos’altro, esprimeva un vero odio.
Si avvicinò rapidamente ad Annie mettendole la faccia quasi sopra alla sua.
-Voi della casa di Pony siete tutti criminali! Maledetto il giorno che quell’orfana è entrata in casa mia!-
Imprevedibilmente Annie resse lo sguardo della perfida Legan e la sospinse via con una violenta manata in faccia.
Iriza cadde sul marciapiede davanti agli sguardi allibiti dei passanti, del suo autista e dello stesso Archie che non esitò a riprendere Annie.
-Annie che fai? Sei impazzita?-
-Bastarda di un’orfana… Io ti denuncio!-
La reazione di Annie lasciò di stucco tutti.
-Questo è quello che è successo fra Candy e quell’idiota di tuo fratello, Iriza! Lui la voleva, la considerava sua! Le stringeva il braccio e teneva la faccia sulla sua!
Lei l’ha solo spinto via e quell’IMBECILLE non ha saputo nemmeno cadere per terra! Ha battuto la testa ed è morto!-
Tutto intorno a loro il silenzio più cupo.
-Vuoi denunciarmi? Fai pure! Mi sentirei onorata di condividere lo stesso destino di Candy, ma io e te non siamo degne neanche di allacciargli le scarpe! Io e te non siamo NIENTE davanti a lei!-
Il suo volto era bagnato di lacrime.
-Lo vedremo…- sibilò velenosamente Iriza. -…lo vedremo chi è degna di allacciare le scarpe-
L’autista l’aiutò a rialzarsi e lei senza nemmeno degnarlo d’uno sguardo o di un ringraziamento, salì in macchina sbattendo violentemente la portiera.
 
-Annie…- disse Archie guardando la sua fidanzata come non l’aveva mai guardata prima.
Annie scoppiò a piangere fra le sue braccia.
 
Dopo una mezz’ora circa arrivarono alla residenza degli Andrew. Appena entrati furono intercettati dal maggiordomo.
-Signor Cornwell, signorina Brighton. La signora Elroy vi attende nel suo studio.-
-Ci mancava solo questa.- sospirò Archie –Sicuramente quella vipera di Iriza ha già spiattellato tutto.-
-Non so a cosa si riferisce signor Cornwell, ma la signorina Iriza non si è vista qui oggi. Ci sono altri ospiti nello studio della signora.-
-Va bene.- sospirò Archie porgendo il suo soprabito e quello di Annie allo zelante maggiordomo. –Adesso andiamo dalla zia. Grazie James.-
-Dovere signore.-
 
Archie bussò alla porta e all’avanti della zia Elroy lui e Annie entrarono nello studio della matriarca degli Andrew.
Dentro c’erano altre persone, così come aveva detto il maggiordomo, ma mai Annie e Archie si sarebbero aspettati di vedere “quelle” persone lì dentro.
Passasse pure per Patty, che era la fidanzata di Stear e persona di un certo “rango” sociale, ma che ci facevano lì quei due uomini?
-Terence!-
-Si Archie, sono io, e se le circostanze fossero diverse non mancherei di farti una battuta sferzante.-
E poi… l’altro uomo…
-Albert! Cosa ci fai qui?- esclamò Annie.
-In altre circostanze ti farei un sorriso e poi ti spiegherei tutto Annie, ma adesso non è tempo di sorridere, non con Candy in quelle condizioni…-
La zia Elroy si alzò e prese la parola.
-Anzitutto devo spiegarvi una cosa, una cosa che né voi né Candy potevate sapere. Quest’uomo che voi conoscete semplicemente come Albert, in realtà è il signor William Albert Andrew, figlio di mio fratello William, morto da molti anni insieme a sua moglie. Lui è il misterioso “zio William”-
Quella rivelazione lasciò tutti di stucco.
-Albert… è… lo zio William?- Archie balbettava, non riusciva a credere all’enormità di quella rivelazione.
-Sì Archie.- confermò l’uomo che loro avevano sempre chiamato Albert.
-La mia è una lunga storia e poi ve la racconterò. Adesso vi basti sapere che la zia Elroy si è convinta ad aiutare Candy dopo aver saputo quello che lei ha fatto per me.-
-è così Archie! Pur essendo prevenuta contro Candy dubitavo della sua colpevolezza, ma non intendevo certo espormi per lei. Anche volendo che cosa avrei potuto fare? Anche adesso non mi sento certo scoppiare d’amore per lei, ma la nostra famiglia ha un debito con quella ragazza e intendo saldarlo.-
Forse la zia Elroy non era del tutto sincera, forse c’era dell’altro oltre al senso d’onore a muoverla, ma ad Archie non importava, non in quel momento almeno, adesso quello che contava era aiutare Candy.
Elroy prese di nuovo la parola.
-Candy è stata condannata sulla base della testimonianza di quella specie di maggiordomo personale di Neal. Ed è quella che bisogna smontare.
Tutti noi supponiamo che Candy dica la verità e che quell’uomo menta, probabilmente per evitare rappresaglie da parte dei Legan.
Quindi se vogliamo scagionare Candy dovremo smontare la testimonianza di quell’uomo!-
-A dirla così sembra facile!- protestò tristemente Archie –Ma in assenza di elementi nuovi nessun giudice accetterà mai di riaprire il processo. Per di più quell’uomo è scomparso! Ha dato le dimissioni e se ne è andato da Chicago!-
-Lo stiamo cercando Archie!- dichiarò Albert –Noi tutti vogliamo che Candy possa vivere la sua vita da donna libera, qui, nel suo paese, vicino ai suoi amici, ma se questo non sarà possibile, abbiamo già pronto un piano di riserva. Siamo pronti a farla evadere!-
-Ne abbiamo già parlato William! Quella sarà l’ultima delle opzioni!- intervenne la zia Elroy.
-Santo cielo! Farla evadere?!- gridò Annie incurante del “bon ton” –Ma poi come vivrà Candy? Da ricercata?-
-In quel caso io la porterò via con me in Europa. Avrà una falsa identità e potrà vivere tranquilla lontana da questo paese. Sono già in contatto con un mio amico che potrà eventualmente procurare a Candy dei documenti falsi.- dichiarò Terence –Ma come dice la signora Andrew questa è l’ultima opzione che prenderemo in considerazione. Candy dovrà vivere da donna libera nel suo paese: questo è quello che vogliamo per lei!-
L’intervento di Terence fece cadere la stanza nel silenzio più irreale. Trasformare Candy in una ricercata? Costringerla a nascondere la sua vera identità per il resto della sua vita? Non era certo quello che i suoi amici auspicavano.
-Quanto vorrei che Stear fosse qui…- disse Archie. -…Un cervello come il suo ci farebbe proprio comodo…-
-Lo penso anch’io, e per questo gli ho scritto chiedendogli di tornare subito.- intervenne Patty lasciando di stucco i presenti.
-Ma cosa dici Patty?- disse Archie –Stear è un soldato sia pure volontario, non può dire “Scusate me ne torno a casa” come se niente fosse!-
-Hai appena detto che tuo fratello ha un bel cervello, ed è vero, ma posso assicurarti che io non sono da meno. Forse fra pochi giorni sarà già in viaggio per tornare qui.-
Ma che diavolo ha in mente questa ragazza? Sembravano chiedersi i presenti.

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Capitolo 6
*** Un altro ragazzo come lui ***


Stear accartocciò la lettera che aveva appena finito di leggere. Era seduto in disparte, lontano dai suoi compagni. Si era isolato per leggere la lettera di Patty.
Mai avrebbe immaginato quello che aveva appena letto.
Si alzò in piedi e guardò il cielo, come a cercarvi l’immagine della sua amica di sempre.
Ricordò il loro primo incontro quel giorno a Lakewood, quando Neal e Iriza l’avevano piantata in asso costringendola a tornare a casa a piedi.  Tutti i momenti belli e meno belli passati insieme a lei. Il suo cuore era per Patty ma doveva troppo a Candy.
Doveva tornare in America, Patty aveva ragione. E il modo che lei gli suggeriva era l’unico.
Si sentì chiamare: erano i suoi compagni. La sua squadriglia doveva subito alzarsi in volo.
Stear imprecò dentro di sé, ma non poteva certo tirarsi indietro, in più quella era l’occasione per attuare il piano di Patty.
Stracciò la lettera in mille pezzi e li disperse al vento: non doveva rimanere traccia dell’idea che gli suggeriva Patty. Poi raggiunse i suoi compagni e mise in moto il suo aereo facendo girare l’elica.
Nei suoi occhi brillava una nuova, ferrea determinazione che andava al di là di quella stupida guerra. Che cavolo ci era venuto a fare in Europa a combattere per i lerci interessi di qualche politico o industriale? Il suo posto era lì, in America, accanto alle persone che amava, accanto a Patty.
Accanto a Candy che doveva a tutti i costi salvare.
Per questo sarebbe decollato e tornato a terra sano e salvo.
Per questo avrebbe messo in atto il piano di Patty.
Doveva farlo.
 
L’aereo nemico era proprio lì, al centro del mirino, e anche se per un istante infinitesimale gli sembrò di vedere il suo amico Donney, morto pochi giorni addietro, Stear non ebbe esitazioni e premette quel grilletto.
Il giovane tedesco alla guida dell’aereo gridò dal dolore e schizzò sangue in tutte le direzioni.
Stear ebbe un fremito e perse una lacrima dagli occhi: questa era la guerra!
Quel tedesco non era un mostro, era un ragazzo come lui che magari a casa aveva lasciato la sua Patty ad aspettarlo. E ora quella ragazza non lo avrebbe rivisto più.
Poi un’immagine si visualizzò nella mente di Stear: Candy! La sua amica Candy che aveva sempre aiutato tutti! Che era sempre stata una luce nel buio per tutti coloro che avevano avuto la fortuna di conoscerla!
Candy aveva bisogno anche di lui e lui doveva tornare a casa!
La battaglia infuriava e Stear riuscì con due abili manovre a schivare i colpi degli aerei tedeschi. Con un’altra manovra da manuale si portò alle spalle di un aereo nemico e con una micidiale scarica di mitragliatore uccise il suo pilota, un altro ragazzo come lui.
 
La squadriglia rientrò alla base senza aver riportato nemmeno una perdita: avevano vinto!
Stear aveva la morte nel cuore.
Ora capiva la vera essenza della guerra: uccidere o essere uccisi! Ma non aveva tempo per le lacrime e i rimorsi. Doveva mettere in atto il piano di Patty.
Prima di decollare aveva raccolto un sasso per terra, lo prese e si colpì volontariamente alla tempia, più e più volte, incurante del dolore. Poi si mise il sasso in tasca con l’intento di sbarazzarsene appena possibile.
Vedendo che Stear non usciva dal suo velivolo, i suoi compagni andarono a congratularsi con lui.
-Stear, sei stato un grande! Hai abbattuto due maledetti crucchi da solo!-
Stear si sentiva morire!
-Stear, stai bene?-
Si accorsero che era ferito, il suo sguardo sembrava perso nel vuoto.
-Dove… sono? Non… non ricordo… niente… Chi sono io?-

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Capitolo 7
*** Non è iniziata nel migliore dei modi ***


La porta della cella di isolamento si aprì e Candy fu investita da una luce che le fece dolere gli occhi. Per quanto tempo era stata al buio?
-Andrew alzati! Il tuo periodo di isolamento è finito!-
La voce era quella di “Grande Baffo” Jackson. La ragazza si alzò con fatica dalla branda e uscì dalla cella.
-Signor Jackson… quanto tempo… sono rimasta lì dentro?-
L’uomo sogghignò crudelmente, forte della sua posizione di potere.
-Ma guardati! Fai impressione… comunque sei rimasta in isolamento per dieci giorni.-
Dieci giorni! Pensò una sconvolta Candy. Dieci giorni della sua vita trascorsi inutilmente al buio. Avrebbe voluto gettarsi a terra, piangere e urlare, ma decise di non farlo. Probabilmente l’avrebbero di nuovo richiusa in quell’orribile cella buia, e qualunque cosa era meglio di quella.
-Muoviti Andrew! Vatti a fare una doccia, cambia uniforme e poi a colloquio con il direttore!-
 
Il direttore del carcere era il signor Baker, un uomo di circa sessant’anni, alto e robusto.
-Prego Andrew, si accomodi!-
Erano le prime parole formali che si sentiva dire da quando stava lì dentro. Si sedette davanti al direttore senza una parola e mantenendo un’aria imperturbabile.
-Dunque Andrew, la tua permanenza in questo carcere non è iniziata nel migliore dei modi.-
-No signore. Non è iniziata nel migliore dei modi.-
-Come ti andranno le cose in futuro dipende solo da te ragazza!-
Candy decise di non trattenersi, si sentiva a un passo dall’esplodere.
-Dipende da me dice? In questo posto dovrò passare tutta la mia vita per un crimine che non ho commesso! Cosa può dipendere da me qui dentro?!!!-
Le mani serrate a pugno, le lacrime che sgorgavano prepotenti dai suoi occhi.
-Non cominciare con la tiritera dell’innocentina Andrew! Che tu sia colpevole o innocente non devo stabilirlo io! Altri lo hanno già fatto, io devo solo eseguire la sentenza che un giudice ha legittimamente emesso!
Secondo quella sentenza tu, Candice White Andrew, sei un’assassina e dovrai trascorrere qui il resto della tua vita!-
Candy si impose il controllo di sé, modulando il respiro riuscì a calmarsi.
-Appena arrivata hai aggredito e malmenato una tua compagna di prigionia che non ti aveva fatto niente!-
-Questo mi dispiace, e mi scuserò subito con quella ragazza.-
-Bene Andrew, mi dispiace che ti sia fatta dieci giorni di isolamento, ma spero che l’esperienza ti sia servita per capire che c’è sempre qualcosa di peggio! Per quanto mi riguarda, se succederà di nuovo una cosa del genere, potrai anche passare il resto della tua vita in quella cella! Sono stato chiaro Andrew?!!!!-
-Si signore, è stato chiarissimo.- rispose lei tenendo la testa bassa.
-Molto bene. Impari in fretta e hai buon senso. Inizierai subito a lavorare nella lavanderia. Laviamo le lenzuola e la biancheria degli ospedali di Chicago, oltre che quella del carcere ovviamente.-
Candy ebbe un fremito, anche la biancheria del Santa Johanna passava di lì?
-Hai qualche domanda?-
-No signore.-
-Bene Andrew. Prima che tu vada voglio dirti un’ultima cosa: so che Jackson a volte è un po’ duro con voi detenute, ma se righi dritto non ti darà problemi, né lui, né gli altri secondini, dipende solo da te!-
 
Entrata nel locale della lavanderia Candy incrociò la detenuta che aveva aggredito il primo giorno. Anche lei la riconobbe e Candy abbassò lo sguardo imbarazzata.
-Senti, io… volevo chiederti scusa. Non so cosa mi sia preso quel giorno.-
La ragazza le sorrise provando una sincera compassione per lei.
-Tranquilla biondina! È tutto a posto. Io comunque sono Abbey.-
Candy strinse la mano alla ragazza
-Piacere di conoscerti Abbey, io sono Candy.-
-Andrew! Washington! Al lavoro! Questo non è un salotto!-
-Subito signore!- rispose la ragazza davanti a Candy. –Vieni con me, ti farò vedere in cosa consiste il lavoro.-

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Capitolo 8
*** è proprio necessario signor Jackson? ***


Passarono un’altra ventina di giorni, e Candy stava prendendo l’abitudine ai ritmi del carcere. Il lavoro era duro certo, ma sopportabile, ed era sempre meglio dell’orrore di quella cella buia, dove l’avevano rinchiusa per dieci lunghissimi giorni.
Con le altre detenute Candy cominciò pian piano a socializzare, e parlando con loro apprese le loro storie: storie di povertà, di emarginazione, di disperazione. Storie anche di violenza, quelle donne non erano certo delle sante, erano donne che avevano sbagliato, ma che in molti casi stavano pagando un prezzo fin troppo alto.
Si scusò con Red, la cuoca dai capelli rossi che aveva involontariamente offeso il primo giorno, e quest’ultima prese a benvolerla.
I secondini poi non la trattavano male se lei rigava dritto.
Certo, per un’anima libera come lei, insofferente alle regole e alle costrizioni, la prospettiva di vivere tutta la sua vita, privata della libertà era insopportabile, e spesso la sera, rinchiusa nella sua cella, scoppiava in crisi di pianto.
Un giorno mentre lavorava in lavanderia “Grande Baffo” venne a prelevarla.
-Andrew! Hai una visita!-
-Vai pure- le disse Abbey –Qui continuo io.-
Con Abbey era nata un’amicizia, la ragazza veniva da Harlem, il famoso quartiere nero di New York, ed era stata condannata a un paio d’anni di carcere per furto.
Candy smise il lavoro e prima di condurla via “Grande Baffo” le ordinò di porgere i polsi e l’ammanettò.
-è proprio necessario signor Jackson?- protestò lei
-Non intendo correre rischi Andrew! Tu hai già aggredito una persona qui dentro!-
-Ma è stato un caso!- intervenne Abbey –Candy non è pericolosa!-
Temendo che l’amica potesse essere punita Candy intervenne.
-Lascia stare Abbey, non ha importanza. Andiamo pure signor Jackson.-
 
Arrivarono nel locale riservato alle visite e quando Candy vide chi era la persona che era venuta a trovarla, poco mancò che le saltasse il cuore in gola.
-Suor Maria!-
-Candy!- la buona suora esclamò più volte il nome della sua bambina di un tempo mentre la abbracciava e Candy si sciolse in lacrime per l’umiliazione di non poter ricambiare l’abbraccio.
-Potrebbe levarle le manette per favore?-
-Non so sorella, è una detenuta pericolosa.-
A quelle parole Candy sbottò, pur sapendo quello che rischiava.
-Andiamo signor Jackson! Non potrei mai fare del male a Suor Maria! Questa donna è come una madre per me. La supplico: mi permetta di abbracciarla!-
Dopo qualche attimo di esitazione “Grande Baffo” Jackson sciolse i polsi di Candy che lo ringraziò. Poi abbracciò Suor Maria più forte che poteva.
-“Detenuta pericolosa”? In nome di Dio, cos’hai combinato benedetta ragazza!-
Candy riuscì quasi a sorridere.
-Si ricorda di quando da piccola schiaffeggiavo Tom perché dava fastidio ad Annie? Beh, qualcosa di simile.-
-Sei incorreggibile Candy!-
-Come stanno miss Pony e i bambini? Mi dica la prego!-
-Stanno bene. Miss Pony non può venire fino a qui, lei è anziana e non sopporterebbe la fatica del viaggio, ma tutti noi ti pensiamo Candy, e preghiamo per te. Anche i tuoi amici ti pensano sempre e presto verranno a trovarti.-
Suor Maria le prese le mani e Candy si accorse che qualcosa era scivolato nella manica della sua uniforme.
Ebbe un sussulto: Suor Maria stava rischiando grosso.
-Tu non sei sola Candy! E sono sicura che la tua innocenza verrà dimostrata.-
A quelle parole la ragazza abbassò gli occhi.
-Coraggio Candy! Questa è la prova più dura che tu abbia mai affrontato in tutta la tua vita, ma sono sicura che ce la farai!-
Candy non riuscì a impedire alle lacrime di scorrerle sul viso.
 
Dopo qualche minuto il tempo concesso a Suor Maria per la visita a Candy era scaduto, e la buona suora lasciò la sua bambina con la promessa che sarebbe venuta a trovarla almeno una volta ogni due mesi. Di più non le era proprio possibile fare.
Candy porse spontaneamente i polsi a “Grande Baffo”, lui la ammanettò e la ricondusse al locale della lavanderia.
-Grazie di avermi levato le manette davanti a Suor Maria, signor Jackson.-
-Non ringraziarmi bamboccia, non l’ho fatto certo per te!- Già, pensò tristemente Candy, non poteva certo permettere che una suora andasse a raccontare che non mi è stato concesso neanche di abbracciarla.
Rientrando nel locale della lavanderia Jackson levò le manette a Candy.
-Ritorna subito al lavoro Andrew! O neanche la tua suora potrà evitarti un mese di isolamento!-
Senza rispondere Candy tornò subito al lavaggio delle lenzuola. In fondo sono le lenzuola degli ospedali di Chicago, pensò, è quasi come se facessi ancora l’infermiera. Quel pensiero le fece scendere altre lacrime lungo le guance, lacrime che lei cercò invano di fermare.
 
Quella sera nella sua cella, Candy recuperò quel qualcosa che Suor Maria aveva lasciato cadere nella sua manica: era un foglio di carta piegato. Lo aprì, e approfittando della luce della luna piena, che filtrava dalla finestra della cella, lo lesse.
 
“Carissima C.
Ti scriviamo questa lettera per farti sapere che non passa giorno senza che  pensiamo a te.
Non riusciamo ancora a capacitarci che questo incubo sia potuto capitare proprio a te, la persona più buona e più dolce che abbia mai attraversato le nostre vite.
Nei prossimi giorni una persona ti contatterà e ti darà altre nostre comunicazioni. In questa lettera non possiamo scrivere molto, un po’ per il timore che venga intercettata, e un po’ perché il foglio di carta è troppo piccolo.
Ti vogliamo bene
I tuoi amici.
p.s. se non siamo ancora venuti a trovarti è solo perché non vogliamo dare nell’occhio. Nessuno deve pensare che siamo determinati a liberarti.”
 
Candy distrusse subito la lettera e ne nascose i frammenti dentro la biancheria che indossava. Il giorno dopo avrebbe fatto una doccia e se ne sarebbe facilmente disfatta.
Sola nella sua cella si rimise a piangere, ma alla disperazione adesso si affiancava la speranza.
Non c’era bisogno di firme su un foglio per sapere chi fossero i suoi amici.
Archie, Albert, Annie, Patty, Suor Maria. Ma in che modo avrebbero mai potuto liberarla? Dimostrare la sua innocenza?
Non voleva che i suoi amici si mettessero nei guai per lei, non voleva…

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Capitolo 9
*** Bisogna essere tagliati per certe cose ***


Terence entrò nel vicolo buio e stretto che incrociava la strada principale. Era il tipo di vicolo da cui normalmente ci si teneva alla larga per la paura di fare brutti incontri, ma era lì che lui doveva incontrare quella persona.
-Terence.-
-Charlie.-
-è tutto a posto Terence, ho il contatto che ci serve. Posso far avere di contrabbando a Candy, qualsiasi cosa tu voglia.-
-Per ora è sufficiente fargli avere qualche nostra lettera ogni tanto. Candy deve sapere che non è sola.-
-Ascoltami bene Terence. Io sono con te se si tratta di aiutare Candy, ma voglio che tu ti renda conto che se viene scoperta mentre riceve cose di contrabbando, finirà in guai ancora più grossi di quelli in cui già si trova.-
-Non vogliamo farle correre rischi inutili, ma siamo determinati a tirarla fuori di lì.-
-E come pensate di fare? Conosco Candy e bisogna essere idioti per credere che lei abbia potuto uccidere quel damerino che la importunava, ma la testimonianza di quell’uomo l’ha inchiodata!-
-Lo stiamo cercando quel bugiardo! E quando lo troveremo…-
-Già, cosa farete? Gli chiederete se “per favore” può ritrattare la sua testimonianza? Magari andando lui in galera al posto di Candy? Oppure lo picchierete finché non dirà la verità?-
Terence tacque. Charlie aveva ragione.
-Terence, bisogna essere tagliati per certe cose e tu non lo sei! E meno che mai possono esserlo quei damerini dei tuoi amici, lo capisci?-
-Sì capisco molto bene i rischi a cui andiamo incontro, ma cosa dovremmo fare? Lasciare Candy a marcire in quella lurida prigione per tutta la vita?
Se le cose con quel maggiordomo dovessero andare male, allora io farò evadere Candy e la porterò con me in Inghilterra!-
-Spero che non arriviate mai a questo punto. Non hai idea di quello che è un carcere americano! La realtà non è un romanzo d’avventure. Evadere da un carcere è… impossibile, almeno per una ragazza come Candy!-
-Spero anch’io di non dover mai far correre un simile rischio a Candy…-
 
Le detenute avevano diritto a un’ora d’aria nel cortile della prigione e Candy ne usufruiva sempre con vero piacere. Le sembrava di assaporare una sensazione che non voleva dimenticare: la libertà.
Già, la libertà. Avrebbe mai potuto riassaporare la meravigliosa sensazione che provava correndo a piedi nudi sui prati intorno alla casa di Pony? Si sarebbe mai più arrampicata su un albero? Si sarebbe ancora sentita felice del suo lavoro come quando faceva l’infermiera? Avrebbe mai più potuto abbracciare i suoi amici senza essere guardata a vista da uomini armati?
Per distrarsi dalla tristezza che iniziava a stringerle il cuore guardò il muro davanti a lei. Dava sulla strada, una strada secondaria dalla quale si poteva anche sparire con relativa facilità, e il muro non era poi così alto, appena 5 o 6 metri, ed era tutt’altro che liscio.
La Candy di un tempo avrebbe anche potuto scalarlo con relativa facilità e… già, e poi? Si sarebbe messa a vivere come una latitante? Si sarebbe nascosta a vita dentro la casa di Pony? Non era neanche da pensarci.
La voce di “Grande Baffo” la distolse dalle sue fantasticherie.
-Andrew! In parlatorio! Hai una visita!-
-Eccomi signor Jackson!-
-Le mani Andrew!-
- La prego signor Jackson… Sa che non è necessario…-
“Grande Baffo” sembrò pensarci per un momento.
-D’accordo, niente manette, ma se mi dai problemi giuro che ti sbatto in isolamento e ti ci tengo fino a Natale!-
Sarebbe stato capacissimo di farlo, pensò Candy.
-Grazie signor Jackson, non le darò nessun problema.-
 
Entrando nel locale delle visite Candy credette di svenire dalla felicità: davanti a lei c’erano Annie e Patty.
Piangendo di gioia e di dolore insieme, le tre amiche si unirono in un abbraccio che durò qualche minuto. Poi dovettero sciogliersi, non avevano molto tempo a disposizione.
-Sai che Stear è tornato dall’Europa?- La informò Patty
-Cosa? Ma è meraviglioso! Questo vuol dire che la guerra è finita?-
-Non proprio Candy, ma lui è stato ferito in combattimento… e ha avuto… un’amnesia.- le disse l’amica strizzando l’occhio.
Candy rimase perplessa. Stear aveva perso la memoria e Patty lo diceva con tanta serenità? Ma capì anche che non era un argomento che poteva approfondire alla presenza di “Grande Baffo”.
Scaduto il tempo della visita Annie e Patty dovevano andarsene, ma prima Annie disse una cosa a Candy che la lasciò interdetta.
-Sei proprio una pazza, sai? Te lo leggo negli occhi!-
 
Il giorno dopo durante l’ora d’aria, Candy fu avvicinata da una detenuta. La conosceva di vista, era Susan Warren soprannominata in un modo particolare a causa dei suoi occhi strabici…
Candy fu folgorata: solo adesso capiva le parole che le aveva detto Annie. Susan era soprannominata “Occhi pazzi”!
-Ho una lettera per te da parte di Annie.
Non dire niente biondina! Fai finta che stiamo facendo amicizia, chiaro?-
Candy annuì
-La lettera non ce l’ho con me, sarebbe troppo ovvio dartela qui in cortile e quasi sicuramente i secondini ci beccherebbero subito. La troverai nella tua cella sotto il cuscino. Leggila stanotte alla luce della luna, o se preferisci all’alba quando tutti dormono. Troverai anche una matita e un foglio di carta bianca se vorrai farmi avere una tua risposta. Naturalmente la risposta non la porterai qui in cortile. Ci metteremo d’accordo. È tutto chiaro?-
Un’esterrefatta Candy annuì.
-Tu conosci Annie?- disse poi sottovoce
-Non ho la più pallida idea di chi sia, e tu farai bene a non dirmelo. A quanto pare avrai tempo per capire come funzionano le cose in galera! Per ora ti basti sapere che qualcuno da fuori mi fa avere le lettere di Annie per te.-
-Grazie.-
-Non ringraziarmi, non lo faccio mica per il tuo bel faccino lentigginoso, ma solo perché mi pagano. Ah, naturalmente se ti dovessi far beccare non sognarti di fare il mio nome ragazza! Non te la farei passare liscia!-

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Capitolo 10
*** Qualcuno li stava spiando ***


Il sole appena sorto entrava dalla finestra e Candy ne approfittò per leggere la lettera di Annie, che poi era una lettera da parte di tutti i suoi amici.
Venne così a sapere quello che loro stavano cercando di fare per lei, che erano disposti a tutto pur di aiutarla.
Venne a sapere che Stear, dietro suggerimento di Patty, si era ferito da solo e aveva simulato un’amnesia.
Nel timore che la lettera venisse intercettata, i suoi amici non scrivevano nomi, ma solo le loro iniziali. Così Albert, Annie ed Archie diventano tutti una A, Patty e Stear rispettivamente una P e una S, e poi c’era una T.
Quando lesse la frase “T ha lasciato S a New York e vuole stare sempre con te” Candy ne fu insieme felice e disperata. Terence! Terence era a Chicago! Ma forse era troppo tardi per loro.
Naturalmente la lettera non faceva riferimento a un eventuale piano di evasione, ma quando Candy lesse che i suoi amici stavano tentando di farla uscire, nella sua mente si scatenarono i più fervidi voli di fantasia e si ritrovò a pensare di nuovo a quel muro…
 
Diversi giorni dopo a casa Brighton, Annie fu chiamata da una cameriera.
-è arrivata questa lettera per lei signorina Annie. L’ha portata un ragazzo poco fa.-
-Grazie miss Chapman.-
Annie prese la busta, non aveva affrancatura e recava semplicemente la scritta “Per la signorina Annie Brighton”.
Ruppe la busta e aprì la lettera riportando un tuffo al cuore: era la risposta di Candy che, così come avevano fatto loro, si firmava semplicemente con C.
 
Poco dopo Annie raggiungeva la camera che Terence aveva preso in affitto a Chicago, e vi trovò anche Archie, Patty e uno Stear ancora con la testa fasciata per le ferite che si era autoinflitto in Francia.
Albert non c’era.
-Ho la risposta di Candy!- la sua voce tremava per l’emozione.
Annie lesse la lettera ai suoi amici.
“Carissimi amici.
Anch’io vi penso sempre e vi voglio bene. La vita in carcere non è una passeggiata, ma posso assicurarvi che mi trattano bene.
Non voglio che corriate rischi inutili per me, è sufficiente che mi facciate avere vostre notizie ogni tanto, ma non provate a introdurre merce di contrabbando, le conseguenze potrebbero essere molto serie sia per me che per voi.
La prigione è un posto molto meno chiuso di quello che sembra, ogni giorno godo di un’ora d’aria, e a volte sogno di volare via libera.
Dite a T che lo amo con tutta me stessa.
La sempre vostra C.”
Quelle poche parole fecero piangere i ragazzi.
-Cosa vuol dire “la prigione è un posto molto meno chiuso di quello che sembra”? e “sogno di volare via libera”?- si chiese Archie.
-Vuol dire che la mia signorina Tarzan ha trovato un modo di evadere, almeno secondo la sua bella e impulsiva testolina.-
-Mio Dio, ma è una follia!- esclamò Annie.
-Dobbiamo farle sapere che stiamo cercando quell’uomo!- disse Archie
-Già. E dobbiamo farlo il prima possibile, prima che Candy possa mettersi in guai ancora peggiori.-
-Hai ragione Terence.- intervenne Stear –Ma al tempo stesso dobbiamo farci dire come eventualmente pensa di poter fuggire di lì.-
-Conoscendo Tarzan tuttalentiggini, non mi meraviglierei che volesse salire su un albero e buttarsi in mezzo alla strada!-
Pur usando il divertente soprannome da lui stesso affibbiato alla sua amata, non c’era divertimento nella sua voce, ma solo cupa preoccupazione.
-Maledizione!- imprecò Annie suscitando sorpresa e sgomento nei suoi amici
–Dobbiamo parlare chiaramente con Candy! Non con mezze frasi e allusioni sibilline!-
-Dimentichi che quando viene in parlatorio non è mai sola, e passargli dei messaggi è sempre un rischio.- rispose Patty.
-Posso fargli parlare dal contatto che ha Charlie nel carcere.- suggerì Terence.
-E puoi fidarti completamente di quel genere di persona?- contestò Archie.
Lui e Terence non si beccavano più come ai tempi della Saint Paul School, e Terence tacitamente riconobbe che il suo ex-rivale aveva ragione.
-Dobbiamo riuscire a sapere dov’è la cella di Candy!- affermò Stear.
In quel mentre entrò Albert con un’aria più che eccitata.
-Ragazzi l’abbiamo trovato!-
-Abbiamo trovato chi?- chiese Archie.
-Alfred Drumond, l’ex maggiordomo personale di Neal. Gli investigatori privati assoldati dalla zia Elroy l’hanno trovato! Vive in un paesino vicino a Milwaukee!-
Quella notizia accese in tutti la speranza che Candy potesse presto riacquistare la libertà!
 
Più tardi mentre i ragazzi lasciavano l’appartamento di Terence, non si accorsero che dalle scale, appena un piano sopra di loro, qualcuno li stava spiando.
Mentre li vedeva uscire dall’edificio, gli occhi di Iriza Legan sembravano brillare d’odio.

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Capitolo 11
*** La vita umana non vale meno di un'uniforme ***


Candy e Abbey stavano lavorando fianco a fianco quando all’improvviso sentirono un grido di donna provenire dalla loro destra. Candy si girò e vide una detenuta che si teneva il braccio sanguinante.
-Tiffany! Mio Dio che hai fatto?- esclamò accorrendo vicino alla compagna di prigionia.
-Niente Candy, mi sono tagliata ma non è niente.-
-Fammi vedere, io sono un’infermiera.-
-Candy attenta, ci sono le guardie!-
-Che si fottano!- il linguaggio di Candy era peggiorato dall’inizio della sua prigionia.
-Il taglio è profondo. La ferita deve essere disinfettata. C’è un’infermeria in questo posto?-
-Andrew, Dogget! Tornate subito al lavoro!- La voce di “Grande Baffo” non impressionò Candy che si girò verso di lui.
-Signor Jackson, la detenuta Dogget si è ferita, deve essere immediatamente portata in infermeria, se non all’ospedale!-
Jackson ebbe il suo solito sorriso crudele.
-Guarda, guarda… abbiamo qui una dottoressa…-
-No non sono un medico, ma un’infermiera. Lavoravo all’ospedale Santa Johanna prima di… finire qui. Mi intendo di ferite abbastanza per capire che questa donna deve essere subito medicata. Per favore la faccia portare in infermeria.-
-Tu non sei niente Andrew! Tu e la tua compagna non valete nemmeno le divise che indossate! Tornate subito al lavoro!-
Questo era troppo! Candy rifilò un sonoro schiaffone all’uomo davanti a lei, sotto lo sguardo allibito delle sue compagne e dei secondini.
-Coraggio, mi picchi pure, uomo prode e coraggioso!-
-Candy! Sei impazzita? Chiedi subito scusa al signor Jackson!- le disse Abbey terrorizzata dal gesto dell’amica.
-La vita umana non vale meno di un’uniforme signor Jackson! Io ho lavorato come infermiera e non mi sono mai chiesta niente sulle persone che assistevo! Avrei assistito persino un mostro come lei “Grande Baffo”!-
Chiuse gli occhi preparandosi al peggio.
-La scongiuro…- bisbigliò -…mi punisca, faccia quello che vuole, ma porti questa donna in infermeria prima che la ferita si infetti.-
Un silenzio di tomba regnava nel locale della lavanderia. Un silenzio che fu rotto dopo pochi istanti che sembrarono un’eternità, dalla voce di “Grande Baffo” Jackson.
-Portate Dogget in infermeria. Voi tornate subito al lavoro, e tu Andrew in isolamento!-
-Ma non è giusto!-
-Fai silenzio Washington! E torna al lavoro!-
-Tornate al lavoro ragazze…- disse Candy in lacrime… -me la caverò.- e si lasciò condurre via senza un fiato.
Dopo che Candy ebbe lasciato il locale Abbey sbottò di nuovo.
-Questo è uno schifo! Candy ha soltanto soccorso una sua compagna! Perché punirla!!!-
Le altre detenute rimasero in silenzio a guardare Jackson e gli altri secondini. Poi una di loro posò per terra il contenitore pieno di panni che portava in braccio e incrociò le braccia come a rifiutarsi di lavorare oltre.
Abbey seguì il suo esempio e così, una alla volta, fecero tutte le altre detenute.
Jackson capì di aver commesso un errore, ma non intendeva darla vinta a quelle donne.
-Vai a chiamare il direttore.- disse rivolto a un suo collega.
 
La mattina successiva la porta della cella di isolamento si aprì, e Candy che cercava di prendere sonno per non pensare a niente, preda com’era dell’avvilimento, fu investita dalla luce.
-Coraggio Andrew! Esci fuori, sei attesa dal direttore. O per caso preferisci restare lì?-
Senza rispondere Candy uscì dalla cella e seguì le guardie nell’ufficio del direttore. Non pensava che le sue ragioni potessero essere ascoltate, ma ci avrebbe almeno provato a esporle. Non poteva rassegnarsi all’idea di “valere meno dell’uniforme che indossava”.
 
-Siediti Andrew!- le disse rudemente il direttore e Candy si preparò mentalmente al peggio.
-Ho saputo che eri un’infermiera prima di finire qui.-
-Si signore. Ho lavorato all’ospedale Santa Johanna, dove mi sono anche diplomata.-
-Ti piacerebbe tornare a fare il tuo lavoro? La nuova infermiera che abbiamo appena assunto ha chiesto un aiuto, e tu capiti proprio a fagiolo ragazza.-
Candy non credeva alle sue orecchie: sarebbe tornata a fare l’infermiera! Se un po’ di felicità poteva trovare in quell’incubo che forse avrebbe vissuto per tutta la sua vita, stava proprio in quell’offerta.
-Si signore. Vorrei sopra ogni altra cosa fare nuovamente il mio lavoro.-
-Bene, è deciso. Ti farò portare immediatamente in infermeria dove conoscerai la nostra dottoressa e la sua infermiera.-
-Signore io… la ringrazio infinitamente…-
-Un’altra cosa Andrew!-
-Mi dica.-
-Se proverai un’altra volta, una sola, ad alzare le mani contro un secondino o una detenuta finirai in isolamento per due mesi e dopo non ti farò più uscire dalla tua cella se non ammanettata mani e piedi. Sono stato chiaro?-
Candy abbassò la testa come a capire l’enormità del suo gesto del giorno prima.
-Si signore. Non succederà più signore. Farò le mie scuse al signor Jackson appena mi sarà possibile.-
-Molto bene Andrew, vai pure. Il signor Smith ti accompagnerà in infermeria.-
Il signor Smith era un giovane secondino in quel momento presente nello studio del direttore.
-Prego signorina- le disse sorridendo -Io sono Robert Smith, mi segua.-
Candy seguì la giovane guardia quasi incredula della gentilezza che questi dimostrava nei suoi confronti.
-Ecco signorina. Questa è l’infermeria.-
-Signor Smith, io…- Candy si mise a piangere -…vorrei ringraziarla della sua gentilezza, da quando sono qui nessuno di voi mi ha mai…-
Smith era interdetto: e quella era una pericolosa assassina?
-Coraggio signorina, va tutto bene.-
Poi, mentre Candy si asciugava le lacrime, Smith bussò alla porta, e una voce che alla ragazza sembrò familiare, pronunciò il canonico “avanti”.
-Buongiorno signorina Hamilton. Vi ho portato la detenuta di cui vi ha parlato il direttore. Prego signorina entri.-
Già al nome Hamilton, Candy aveva avuto un sussulto, ma quando si vide davanti Flanny, la sua vecchia compagna di studi, ebbe un tuffo al cuore.
Prima che potesse manifestare qualsiasi reazione Flanny la gelò.
-Prego detenuta, lì c’è l’uniforme da infermiera che dovrà indossare. Può usare lo spogliatoio.-
Candy rimase gelata, possibile che Flanny non la riconoscesse?
-è sorda detenuta? Vada a cambiarsi, svelta!-
No, Flanny non poteva trattarla così, ma Candy non era nelle condizioni di reagire. Così prese l’uniforme ed entrò nello spogliatoio bruciando per la rabbia.
-Bene signor Smith, può andare. La detenuta è in buone mani.-
Smith ne dubitava.
-Ne sono certo signorina Hamilton, ma non è necessario trattare quella ragazza con tanta freddezza.-
-Non si preoccupi signor Smith, fra non molto arriverà la dottoressa e… oh eccola! Buongiorno dottoressa Kelly!-
-Buongiorno Flanny. È arrivata la nuova infermiera?-
-Si dottoressa. È arrivata e si sta cambiando.-
-Dottoressa, signorina Hamilton…-
Smith tornò al suo lavoro e le due donne si diedero uno sguardo d’intesa. Appena chiusero la porta dell’infermeria si aprì quella dello spogliatoio e ne uscì una Candy corrucciata e determinata a cantarne quattro a Flanny.
-Ascoltami bene Flanny... dottoressa Kelly? Ma che ci fa lei qui?-
-Ci lavoro Candy. Sono la dottoressa del carcere.-
-Ascoltami Candy.- disse Flanny prendendole le spalle –Mi è dispiaciuto tantissimo trattarti in quel modo, ma era necessario. Nessuno deve sapere che ci conosciamo.-
-Perché?-
-Sono stati i tuoi amici a farmi assumere qui Candy. Sono tornata dall’Europa perché sono stata ferita a una gamba e adesso zoppico. I tuoi amici Stear e Archie mi hanno incontrata casualmente e mi hanno proposto di farmi assumere qui all’infermeria del carcere, per comunicare con te.-
-Cosa? E il tuo lavoro all’ospedale?-
-Nessun ospedale mi fa più lavorare, la mia infermità è permanente.-
-è terribile…- disse Candy piangendo
-Beh, non fa piacere neanche a me, ma non metterti a piangere adesso!-
Candy si asciugò le lacrime.
-Dottoressa Kelly, ma lei lavora qui?-
-Ci lavoro tre giorni alla settimana, mi divido fra questo posto e il mio studio privato a Chicago, e quando ho sentito che eri detenuta in questo carcere mi è preso un accidente Candy! Ma che cosa hai combinato benedetta ragazza?-
Candy non riuscì a impedirsi di piangere nuovamente.
-Ho dato una spinta a un PORCO che si era innamorato di me e voleva violentarmi. Solo che quel PORCO ha battuto la testa ed è morto! Così mi hanno accusata di omicidio e condannata all’Ergastolo!-
La dottoressa Kelly e Flanny non ressero il colpo e anche loro persero lacrime dagli occhi.
-Coraggio!- disse Candy asciugandosi gli occhi –Non volevo rattristarvi con la mia storia, ma adesso non pensiamoci più. Abbiamo del lavoro da fare.-
 
-Ascolta Candy.- disse Flanny dopo aver condotto Candy nello spogliatoio.
-Davanti a tutti, tranne che alla dottoressa Kelly, io continuerò la commedia dell’infermiera acida che ti maltratta. Non prendertela a male, ok?-
-Come potrei prendermela a male? Sei sempre stata più gelida di un iceberg!-
-Molto gentile anche tu, grazie! Ascoltami, i tuoi amici vogliono sapere in che cella stai.-
-Che cosa vogliono fare?-
-Niente sta tranquilla, dimmi solo dove si trova la tua cella.-
-è la cella n. 18, sta al primo piano. Dà su una strada secondaria sull’altro lato dell’edificio. La sua finestra dovrebbe essere la seconda a partire da sinistra.-
-Molto bene. Riferirò. Un’altra cosa Candy: dalla tua lettera i tuoi amici pensano che tu abbia trovato un modo per… evadere…-
-è solo una fantasticheria. Nel cortile dove facciamo l’ora d’aria c’è un muro che volendo potrei facilmente scavalcare…-
-Già, da una matta come te c’è da aspettarsi anche questo, ma non fare niente mi raccomando. Stanno cercando il testimone del tuo processo e vogliono convincerlo a dire la verità. Adesso torniamo di là e mi raccomando, recita sempre la parte della detenuta in soggezione.-
-Scommetto che ti diverte un mondo questa commedia!-
-Non posso negarlo Candy.- confermò Flanny sorridendo –Dai, non prendertela e andiamo di là.-
 
Dopo mesi di grigiore e di infelicità Candy si sentì di nuovo felice: aveva il suo lavoro, il suo amato lavoro. Quella giornata fu tutto sommato tranquilla. Vennero  tre detenute. Red, la cuoca, che lavorando alle cucine si era ustionata, Susan “Occhi Pazzi” Warren che era caduta e si era slogata una caviglia, e Tiffany che doveva rinnovare la medicazione.
Le tre donne furono felici di vedere Candy fuori dall’isolamento e in uniforme da infermiera.
Candy fu triste quando, finito il suo turno di lavoro, dovette rimettersi l’uniforme da detenuta e dismettere quella da infermiera. La dottoressa Kelly lo capì e le appoggiò una mano sulla spalla come a trasmetterle solidarietà.
-Grazie del suo aiuto detenuta.-
-Dovere dottoressa. Signorina Hamilton ci vediamo domani.-
-A domani detenuta!-

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Capitolo 12
*** Ne so qualcosa di sbornie ***


Alfred Drumond era ubriaco fradicio e barcollava vistosamente sulla strada che lo conduceva alla sua casa affacciata sul lago Michigan a non molta distanza da Milwaukee.
La barba incolta, gli abiti logori e sporchi, l’odore sgradevole che emanava al suo passaggio erano i suoi tratti distintivi nel paesino dove abitava.
A poche decine di metri qualcuno lo stava osservando, tre giovani uomini dietro un albero lo stavano spiando.
-Sarebbe quello il nostro uomo?- chiese uno scettico Terence.
-Si è lui.- confermò Archie –lo riconosco nonostante sia l’ombra dell’uomo che abbiamo visto in tribunale.-
-Considerando quello che ha fatto a Candy, non mi fa nessuna compassione quello schifoso!- esclamò Terence esternando i suoi sentimenti non proprio benevoli nei confronti dell’ex maggiordomo personale di Neal Legan.
-La penso come te Terence.- affermò Albert –Ma ricordiamoci che quell’uomo ci serve intero.-
-Me lo ricorderò anche se mi verrebbe di ammazzarlo con le mie mani.-
-Aspetteremo la notte prima di entrare in casa.- disse Archie
-E come proponi di entrarci in quella casa?- gli chiese Terence
-Con questo!- rispose lui tirando fuori dalla tasca della giacca uno strano oggetto. –L’ennesima geniale invenzione di mio fratello, un vero e proprio “grimaldello universale”, in grado di aprire qualsiasi serratura in pochissimi minuti.-
-Con tutto il rispetto Archie, ma c’è da fidarsi delle invenzioni di tuo fratello?-
-A dire il vero… no! Ma questo aggeggio l’ho provato su tutte le serrature di casa nostra e funziona benissimo!-
-Santo cielo!- esclamò Albert –Ma Stear lo sa che un aggeggio simile è illegale?-
-Non stiamo a sottilizzare zione! Per la salvezza di Candy accetterei di scardinare le porte anche con la dinamite se servisse!-
 
Attesero la notte per agire. Stear li aspettava poco fuori dal paese con la macchina, non volevano farsi notare, e un’automobile era un oggetto che si sarebbe notato in un paese come quello.
I tre si avvicinarono al piccolo villino sul lago e arrivati alla porta d’ingresso Archie, coperto dai suoi compagni, cominciò ad armeggiare sulla serratura con il grimaldello di Stear.
La porta si aprì in brevissimo tempo e i tre uomini entrarono rapidamente in casa.
Localizzarono presto la stanza da letto dell’uomo aiutati dal rumoroso russare di quest’ultimo. Entrarono nella stanza e accesero la luce.
L’uomo si era buttato sul letto senza neanche spogliarsi.
-E adesso che facciamo? Aspettiamo che gli passi la sbornia?- osservò sconsolato Archie.
-No, ci penso io.- disse Terence afferrando l’ubriaco di peso e caricandoselo in spalla. –Credetemi, ne so qualcosa di sbornie e l’unico rimedio per farle passare subito è un bel bagno freddo!-
Aprì la porta di casa e coperto dal buio della notte si diresse a rapidi passi verso il lago. Entrò in acqua e sotto lo sguardo allibito di Archie e Albert tuffò il testimone chiave del processo contro Candy, nelle fredde acque del lago.-
Svegliato di soprassalto l’uomo si agitò vistosamente e Terence dopo qualche secondo lo tirò fuori dall’acqua: non voleva certo annegarlo!
 
Poco dopo Alfred Drumond sedeva sul divano di casa sua sorseggiando un caffè bollente, dopo aver indossato una calda vestaglia in luogo dei suoi vestiti bagnati.
-Chi siete? Perché vi siete introdotti in casa mia?-
-Le domande le facciamo noi!- rispose un tutt’altro che accomodante Terence.
-Tu eri il maggiordomo personale di Neal Legan?-
L’uomo ritenne opportuno rispondere.
-Sì, ero il suo segretario e factotum. Gli tenevo l’agenda degli appuntamenti, lo accompagnavo dovunque volesse, cose così. Ma voi…-
-Ho detto che le domande le facciamo noi!-
Albert prese la parola
-Va bene facciamo le presentazioni Alfred Drumond. Il gentiluomo che ti ha quasi affogato nel lago è il fidanzato di Candice White Andrew, questo ragazzo è suo cugino e io… beh io sono un suo carissimo amico.-
Alfred Drumond capì tutto.
-Tu sai chi è Candice White Andrew, vero Drumond?- Lo incalzò Terence.
-è la ragazza che tu hai mandato all’ergastolo con le tue menzogne LURIDO BASTARDO!!!- Terence aveva alzato il pugno e Archie lo fermò.
-Fermo Terence! Quest’uomo ci serve intero!-
-Non provare nemmeno a raccontare che hai detto la verità al processo, Drumond!- disse Albert con voce insolitamente dura –Conosciamo quella ragazza da una vita e sappiamo che non è un’assassina! Non avrebbe mai ucciso volontariamente Neal! Perché hai mentito? Ti hanno pagato i Legan?-
Anche Albert perse la calma e afferrò l’uomo per la vestaglia.
-Lasciatemi, lasciatemi!-
Albert lo incalzò
-Ci siamo informati, questo villino lo hai comprato da poco pagandolo in contanti. Come diavolo ha fatto un ex-maggiordomo a disporre della cifra necessaria? Chi te li ha dati quei soldi?-
-Basta, basta! Vi dirò tutto, ma lasciatemi vi prego!-
 
-Il signor Legan mi aveva incaricato di prelevare quella ragazza e di portarla al villino sul lago. Poi dovevo attendere che avesse fatto i suoi comodi per riportarlo a casa. “E la ragazza?” gli chiesi io “Dipende da lei” in poche parole mi diede a intendere che se la ragazza fosse stata “carina” con lui sarebbero tornati a casa insieme altrimenti poteva anche andarsene al diavolo.
Si lasciò uscir detto anche che in un modo o nell’altro l’avrebbe avuta.-
I tre ragazzi sbarrarono gli occhi: in quel racconto c’era la salvezza di Candy!
-Quindi al processo hai mentito!!! Perché lo hai fatto!!!- la voce di Archie era aspra e dura.
-La signorina Legan mi ha pagato per farlo. A lei raccontai la verità e lei non voleva che quella ragazza la passasse liscia.-
-Maledetta Iriza!- sibilò Terence provando un autentico odio per quella ragazza che rimpianse di non aver lasciato annegare quel giorno in Scozia.
-Così ti ha comprato questo villino in cambio della tua falsa testimonianza!.- Per quanto si sforzasse Albert non riusciva proprio a reprimere la rabbia.
-Sì, ma non solo: continua a farmi avere lo stipendio che prendevo prima in cambio del mio silenzio.-
Ognuno dei tre ragazzi avrebbe voluto ammazzare con le sue mani quel miserabile che aveva condannato Candy a una vita d’inferno, ma questo non le avrebbe giovato in alcun modo.
-Il fatto che una ragazza innocente stia all’ergastolo non ti interessa minimamente!- Urlò Albert in faccia all’uomo
-Non posso farci niente! Se anche dicessi la verità sarei io ad andare in galera, e non ne ho nessuna intenzione! Ci sono stato in galera da ragazzo, e non voglio tornarci!-
Terence non riuscì più a trattenersi e sferrò un pugno in pieno volto all’uomo facendolo cadere sul pavimento.
-SPORCO BASTARDO! TI AMMAZZO!-
Archie lo trattenne a stento
-Non serve a niente Terence! Se lo ammazzi Candy è perduta!-
-Lo è comunque Cornwell!- urlò Terence in lacrime prima di uscire dal villino
Anche Archie e Albert si misero a piangere: Candy era davvero perduta!
-Io non credo che la sorte di quella ragazza ti sia indifferente Drumond!- disse Albert calmandosi a stento –Altrimenti non ti ubriacheresti così come fai.- si fermò un istante come a raccogliere il coraggio di fare un passo importante
–Voglio dirti che sono anch’io un Andrew e che in caso tu decidessi di farti avanti posso fornirti la migliore assistenza legale possibile, e una volta che sarai uscito di galera ti garantisco fin d’ora le stesse condizioni economiche che ti vengono da Iriza Legan.
Sai, c’è qualcosa nell’animo umano che dovrebbe farti correre subito dal giudice a dire la verità, quel qualcosa si chiama Dignità.-
Poi si girò verso Archie e gli mise una mano sulla spalla.
-Qui non abbiamo altro da fare. Recuperiamo Terence, torniamo da Stear e andiamocene.-
Con il cuore pesante e i visi rossi di pianto, i due ragazzi uscirono dal villino.

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Capitolo 13
*** Siamo uniti da un sentimento comune ***


“Grande Baffo” Jackson entrò nell’infermeria.
-Buongiorno dottoressa, Signorina Hamilton.- come al solito non degnò d’uno sguardo Candy che stava riordinando l’armadietto dell’infermeria.
-Buongiorno signor Jackson, cosa possiamo fare per lei?- chiese con formale educazione la dottoressa Kelly che non poteva soffrire quell’uomo.
-Poco fa mi sono tagliato, vede qui sul braccio.-
-Vedo… è un taglio superficiale ma è esteso e potrebbe infettarsi, ha fatto bene a venire. Andrew, mi faccia il favore, medichi questa ferita.-
-Ehi un momento! Io non mi faccio medicare da una detenuta!-
Fu come se nella stanza fosse piombato il gelo artico. Dopo un lunghissimo istante, la dottoressa Kelly rispose con voce tagliente come la lama di un coltello.
-Signor Jackson, la detenuta Andrew è una brava infermiera ed è più che in grado di medicarla. Quelli che sono i rapporti di forza fra lei e le detenute di questo carcere non mi interessano, in questa infermeria lei porterà rispetto alla detenuta Andrew oppure il direttore avrà da me notizie tutt’altro che lusinghiere sulla sua condotta nei nostri confronti. Sono stata chiara?-
“Grande Baffo” sembrava mandar giù un rospo gigante, ma non era in condizioni di replicare.
-Faccia come le ho detto detenuta!- disse poi la dottoressa rivolta a Candy con tono autoritario, come a ribadire la commedia che recitavano quotidianamente.
-Prego signor Jackson, da questa parte.- disse Candy con un tono formale e tutt’altro che sottomesso.
Dopo un attimo di esitazione Jackson si decise a ingoiare definitivamente il rospo ripromettendosi di fargliela pagare prima o poi a quell’arrogante biondina piena di lentiggini e di boria.
Candy pulì e medicò efficacemente la ferita in pochi minuti e vi applicò una fasciatura.
-Torni domani signor Jackson e cambieremo la fasc…-
Jackson uscì dall’infermeria senza neanche ringraziare o salutare le tre donne.
-La ringrazio dottoressa, ma non doveva esporsi così per me.-
-Quando è troppo è troppo. Stiamo recitando una commedia d’accordo, ma non potevo permettere a quel verme di trattarti così!-
Da dietro la porta Jackson stava origliando e aveva sentito tutto. Commedia, quale commedia?
-Non preoccupatevi per me, ho la pelle dura io, e la vostra amicizia mi aiuta tantissimo.-
Amicizia? Quelle donne erano amiche? Decise che doveva indagare.
 
Più tardi Jackson finì il suo turno di lavoro, e indossati abiti borghesi uscì dal carcere per recarsi a casa.
-Il signor Jackson?- a chiamarlo era stata una giovane donna vestita in modo molto elegante.
-Si sono io, e lei chi è?-
-Permetta che mi presenti. Il mio nome è Iriza Legan.-
 
Iriza fece salire l’uomo sulla sua automobile personale e si mise lei stessa alla guida.
-Lei sa guidare signorina?-
-Certamente. Guido meglio del mio povero fratello, non che ci voglia molto a dire il vero.-
In pochi minuti arrivarono al villino sul lago, lo stesso dove era morto Neal.
Entrarono e Iriza fece accomodare l’uomo su un divano, sedendosi lei su una poltrona davanti a lui.
-Signor Jackson, mi permetta di venire subito al punto. Mi serve un contatto affidabile nel carcere dove lei lavora, per servizi di vario tipo che sicuramente lei già conosce.-
-Di cosa sta parlando signorina Legan?-
-Oh andiamo, so benissimo che in ogni carcere entra ed esce merce di contrabbando, so benissimo quante porte apre il denaro.-
-Non la capisco, lei appartiene a una delle famiglie più ricche di Chicago e vuole far entrare merce di contrabbando in un carcere?-
-La ricchezza della mia famiglia è destinata a dissolversi nel nulla signor Jackson. Da quando è morto quell’idiota di mio fratello, proprio in questa casa, mio padre e mia madre sono caduti in una profonda depressione, e gli affari di famiglia stanno andando a rotoli.
Presto mio padre potrebbe andare in bancarotta e io mi sto assicurando altre fonti di introito entrando in affari con… alcune persone.
Non penserà mica che una donna come me possa mettersi a lavorare.-
Jackson era quasi affascinato da quella giovane donna, ma non capiva perché si fosse rivolta a lui.
-So cosa sta pensando signor Jackson: cosa vuole questa da me?-
-Lo ammetto signorina.-
-Beh, quelli che sono i miei affari personali nel carcere dove lei lavora non la riguardano, non oltre la misura in cui sarà necessario, ma mi sono rivolta a lei perché ho preso informazioni, e so che io e lei siamo uniti da un sentimento comune.-
Jackson guardò la giovane Legan come se fosse una matta.
-Un… sentimento? Quale sentimento?-
-L’odio per Candice White Andrew!-
E quell’odio sembrava trasudare da ogni poro della perfida Iriza.
Jackson fece un sorriso truce, l’argomento lo solleticava, eccome se lo solleticava.-

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Capitolo 14
*** è un piano molto rischioso ***


Stear lavorava febbrilmente al suo ennesimo marchingegno, assistito da Patty. La ragazza era ancora incredula che il suo Stear fosse tornato sano e salvo dalla guerra in Europa, e un po’ si vergognava perché sentiva che era merito dell’orribile incubo che stava vivendo Candy.
-Stear, non riesco ancora a capire che razza di marchingegno stai costruendo.-
-Questo è un elicottero, una piccola macchina in grado di sollevarsi da terra in verticale per almeno 20 metri. Ci servirà per far arrivare a Candy il mio grimaldello in modo sicuro.-
-Ma… siamo sicuri che funzionerà? Le tue “macchine volanti” non hanno mai fatto una bella fine.-
-Andiamo Patty! Un po’ di fiducia nel tuo geniale fidanzato! Questo telecomando mi permetterà di guidare l’elicottero fin dentro la cella di Candy, di farvi cadere il mio grimaldello che avrò messo in questo cestello, e poi di farlo uscire senza lasciare traccia.-
-Ammesso che questo aggeggio funzioni e che riusciamo a far avere il tuo grimaldello a Candy, chi le spiegherà come si usa?-
-Lo farà Flanny.-
-La sua amica infermiera?-
-Proprio lei. Fra non molto ci raggiungerà e le mostrerò come si usa il grimaldello, poi lei lo mostrerà a Candy quando saranno sole in infermeria.-
-Santo cielo Stear! Io tremo di paura. Se Candy dovesse essere scoperta per lei sarebbe la fine!-
-Lo so, ma non abbiamo alternative! È un mese che stiamo studiando questo piano, da quando il tentativo con quel miserabile ex-maggiordomo è andato male.-
-è un piano molto rischioso.-
-è vero, ma se c’è una persona in grado di portarlo a buon fine è proprio Candy!-
-Senza contare che il peggio non sarà affatto passato.-
-Il nostro piano è basato su una stretta coincidenza di tempi e circostanze. Subito dopo la fuga, Candy e Terence dovranno prendere il treno per New York dove arriveranno solo il giorno dopo, e poi dovranno imbarcarsi per l’Inghilterra. Agiremo solo quando si verificheranno certe condizioni di orari, capisci? Le coincidenze di orario non dovranno essere troppo strette per dare il tempo di gestire eventuali ritardi del treno, e non dovranno essere neanche troppo larghe per ridurre al minimo il rischio che vengano scoperti. Candy sarà al sicuro solo quando sarà in territorio inglese. Sarà anche necessario che lei si tagli i capelli e se li tinga di nero.-
-Oh mio Dio! Povera Candy!-
In quel mentre entrarono Albert e Archie.
-Ciao ragazzi! Come vanno le cose?-
-La mia macchina volante è quasi pronta. E voi?-
-Crediamo di aver individuato quando agire, e purtroppo la data è abbastanza lontana. Fra due mesi!- disse Archie
-Cosa? Così tardi?-
-Certo fra due mesi. Tecnicamente sarebbe possibile agire anche prima, ma servono i documenti falsi per Candy. E quelli saranno pronti solo fra 6-7 settimane.-
-Maledizione!- imprecò Stear. –Ancora due mesi d’inferno per Candy! Sempre col rischio che la cambino di cella, e in quel caso il nostro piano andrebbe a farsi benedire!-
-Dobbiamo fargli avere subito il grimaldello!- propose Archie.
-E poi Candy dovrà nasconderlo per due mesi?- ribatté Albert
-è un rischio zione.- rispose Stear –Ma Candy è abile e può farcela. D’altronde non abbiamo scelta.-
 
Il giorno dopo Smith arrivò alla solita ora a prelevare Candy per portarla in infermeria e strada facendo le parlò.
-Ho sentito che sei un’orfana Candy.- ormai i due ragazzi erano in confidenza.
-Sì signor Smith, non ho mai conosciuto i miei genitori e sono cresciuta in un orfanotrofio nell’Indiana.-
-è una cosa che abbiamo in comune io e te sai? Sono anch’io un orfano. Mia madre morì che ero molto piccolo, e mio padre non l’ho mai conosciuto. Così venni mandato in un orfanotrofio nel nord dell’Illinois. I gestori erano brave persone ma avevano idee un po’ troppo rigide, e quando ebbi l’età me ne andai.-
-Io torno… tornavo spesso alla casa di Pony, l’orfanotrofio dove sono cresciuta. La suora che viene a trovarmi è una delle due donne che lo gestisce. Una persona meravigliosa che per me è stata come una madre.-
 
Arrivata in infermeria Candy dovette subito medicare alcune detenute che si erano fatte male in lavanderia, e per tutta la mattinata dovette recitare la solita commedia della detenuta in soggezione.
Solo quando le tre donne rimasero sole per la pausa pranzo Flanny parlò a Candy il più possibile sottovoce.
-Ascolta Candy. Stanotte Stear ti farà avere qualcosa nella tua cella.-
-E come diavolo farà?-
-Non sono sicura di averlo capito bene, mi ha parlato di una “macchina volante” e di un “telecomando”-
Candy rise sotto i baffi
-Tu non conosci Stear, è un vero genio!-
-Con tutto il rispetto Candy, a me sembra mezzo matto. Comunque mi ha detto che ti farà avere questo oggetto che dovrai sempre tenere nascosto per due mesi fino al giorno che ti faremo sapere, d’accordo? Domani lo porterai qui in infermeria e noi lo nasconderemo per te, ok?-
-Non sarà rischioso per voi?-
-Molto meno che per te. Le celle spesso vengono perquisite, tu fai la doccia molto spesso e sei costretta a spogliarti in pubblico, quindi per te sarebbe molto più difficile. Noi lo nasconderemo qui in qualche scatola di medicinali o di siringhe. Vedrai che andrà tutto bene.
Piuttosto vorrei chiederti: sei sicura di volerlo fare? Sei sicura di voler correre un simile rischio?-
-Che alternative ho Flanny? Passare la mia vita in questo inferno?-
Flanny avrebbe voluto farle presente il rischio che correvano i suoi amici ma tacque. Anche lei voleva che Candy fosse libera e felice.
 
Quella notte Candy rimase sveglia seduta sulla sua branda, in attesa della “cosa” che doveva mandargli Stear, sdraiandosi solo quando sentiva il guardiano di turno fare la solita ronda all’incirca ogni ora.
Più volte fu sul punto di addormentarsi ma la concentrazione e la determinazione ebbero sempre la meglio sul sonno.
Non avrebbe mai saputo dire a che ora fosse, ma sentì un rumore, come di qualcosa che girava a grande velocità. Il rumore proveniva da fuori, e poi vide qualcosa che entrava dalla finestra e ne ebbe paura: cosa diavolo si era inventato Stear quella volta? Al buio vedeva solo una specie di fungo volante che stazionava a mezz’aria. Poi sentì qualcosa che cadeva per terra e vide lo strano oggetto che si dirigeva di nuovo verso la finestra.
Come sempre succedeva alle macchine volanti di Stear, anche questa fece una brutta fine e si sfracellò contro il muro.
Il forte rumore fece svegliare le detenute delle celle vicine a quella di Candy che cominciarono a chiedersi a gran voce cosa stesse succedendo.
Candy aveva pochissimo tempo a disposizione: raccolse l’oggetto che la strana macchina aveva deposto a terra e se lo nascose addosso nella biancheria intima. Poi, mentre sentiva i passi dei guardiani che accorrevano raccolse i frammenti della macchina distrutta di Stear e li gettò fuori dal finestrino.
Dopodiché fece appena in tempo a infilarsi dentro la branda, giusto un secondo prima che la porta della sua cella si aprisse.
In strada Stear e Archie raccolsero il rottame “dell’elicottero” di Stear e fuggirono via a gambe levate.
-Andrew!- La voce era quella di Smith.
-Signor… Smith… che succede?- ostentò uno sbadiglio e un’aria assonnata.
-Cos’era quel rumore?-
-Quale rumore? Stavo… dormendo…-
La cella venne perquisita da cima a fondo, ma non fu trovato niente, e nessuno pensò a perquisire lei. Candy l’aveva scampata per un soffio.
 
-Dico, ma non poteva darlo a te quel coso? Ho rischiato grosso stanotte!-
Non era la prima volta che Candy rischiava grosso per le invenzioni di Stear. Ben si ricordava l’automobile finita nel lago di tanti anni addietro e l’aeroplano esploso in volo.
-Troppo rischioso.- disse Flanny. –Sia io che la dottoressa Kelly potremmo essere perquisite sia all’ingresso che all’uscita. Comunque l’importante è che sia andato tutto bene. Piuttosto tu sei sicura di aver capito come funziona quell’aggeggio?-
-Penso proprio di sì. Comunque ho ancora due mesi per potermi esercitare e, lavoro permettendo, lo farò.-
-Ti auguro tutta la fortuna del mondo Candy, ti auguro di essere felice come me…-
Candy rimase stupefatta a queste parole e Flanny diventò rossa come un peperone.
-Cos’è questa storia?-
Dopo aver inutilmente cincischiato Flanny si confidò con l’amica.
-Sai, in Europa ho conosciuto un giovane medico americano… e insomma…-
-Oh mio Dio! Qualcuno ha sciolto l’iceberg!-
-Candy sei impossibile!-
Candy rise di cuore, come ormai non faceva da troppo tempo. Era la prima volta che qualcuno la sentiva ridere così in quel carcere. E anche Flanny felice di sentire la Candy che aveva sempre conosciuto, si mise a ridere.
Il rumore di qualcuno che bussava alla porta le fece trasalire entrambe e Flanny rispose.
Entrò “Grande Baffo” Jackson.
-Detenuta! È ora di tornare in cella! Perché non è ancora pronta?-
-Ha ragione signor Jackson. Mi scusi. Vado subito a cambiarmi.-
Flanny sudava freddo: avevano rischiato grosso.

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Capitolo 15
*** Gridò il nome del suo amore con tutto il fiato che aveva in corpo ***


I due mesi successivi passarono lentissimi per Candy e i suoi amici. Annie, Patty e Suor Maria andarono a trovarla e non corsero rischi inutili per passargli messaggi, non ce n’era bisogno.
Poi, un giorno Flanny le diede il messaggio che tanto attendeva.
-è stanotte.-
Candy fremeva.
-Come farò a sapere in che momento dovrò muovermi? Non ho orologi con me.-
-Terence si metterà sotto la tua cella intorno a mezzanotte e suonerà l’armonica. Poi dovrà nascondersi. In quel momento dovrai cominciare a scassinare la porta della tua cella col grimaldello. Dovrai fare in fretta, pensi di farcela?-
-Questo piano è un grosso azzardo, ma non ho scelta, capisci? Se mi scoprono perderò il lavoro in infermeria e probabilmente mi metteranno in isolamento, ma se perdo quest’unica speranza potranno anche ammazzarmi!-
Due grossi lacrimoni le bagnarono il volto.
-Coraggio Candy! È un piano talmente strampalato che potrebbe anche funzionare!-
-Grazie per l’incoraggiamento!- disse Candy con fare un po’ ironico e Flanny le sorrise prima di abbracciarla.
-Da stanotte sarai una donna libera. Noi non ci rivedremo più, ma quando penserò a te, penserò a una donna libera e felice con il suo amore.-
 -E quando io penserò a te, penserò a una carissima amica che mi ha aiutato a non impazzire in questo posto da incubo. Ti voglio bene Flanny…-
-Candy…-
 
Quella notte Candy non avrebbe potuto dormire neanche se l’avessero presa a martellate in testa, tanta era l’eccitazione e la paura per quello che stava tentando. Se il piano avesse avuto successo lei sarebbe stata una donna libera e felice, pur senza poter mai più rivedere molte delle persone a lei care. Se il piano fosse fallito avrebbe preferito morire piuttosto che vivere quello che l’attendeva.
La tensione andava tramutandosi in angoscia, man mano che le ore passavano, e finalmente Candy sentì il suono tanto atteso: l’armonica di Terence, quell’armonica che lei stessa aveva regalato a Terence sulla seconda collina di Pony. Sarebbe rimasta ore ad ascoltare le note di “Annie Laurie”, ma non aveva tempo.
Il suo corpo fremette. Coraggio Candy, si disse, prendi il mano il tuo destino quale che esso sia.
La ronda era appena passata, e Candy si inginocchiò sulla serratura dell’inferriata che chiudeva la sua cella. Cominciò ad armeggiare con il grimaldello, e dopo alcuni lunghissimi minuti la serratura scattò. Il dado era tratto: indietro non si tornava.
La branda era già sistemata con i cuscini sotto le coperte e Candy uscì dalla cella.
Si diresse lungo il corridoio alla sua sinistra, poi girò a destra e arrivata a metà percorso scese una rampa di scale alla sua sinistra. Dopo quelle scale alcuni corridoi conducevano al locale della tintoria, alla mensa e soprattutto al cortile. Arrivò davanti alla porta che immetteva nel cortile e, come aveva già fatto con l’inferriata della sua cella, si inginocchiò e cominciò a lavorare la serratura con il grimaldello di Stear.
Dopo qualche minuto la porta che immetteva nel cortile si aprì e Candy raggiante, sentiva già il profumo della libertà. Assorta com’era nel mettere in atto il suo piano di fuga, non si era accorta che qualcuno la stava seguendo fin da quando era uscita dalla sua cella.
 
Uscì nel cortile, e nonostante fosse notte inoltrata, la debole falce di luna che brillava nel cielo le rischiarò il cammino quanto bastava. Raggiunse il muro in fondo al cortile, si levò le scarpe per fare maggior presa con i piedi nudi, e con fare sicuro cominciò ad arrampicarsi. Nei giorni precedenti aveva mandato a memoria tutte le sporgenze e le asperità di quel muro, e in quel momento andava a colpo sicuro.
In pochi minuti arrivò in cima al muro e guardò oltre, c’era qualcuno lì sotto.
-Candy!- si sentì chiamare.
-Terence.- rispose lei con la voce che le tremava.
-ANDREW!!! SCENDI DA QUEL MURO O SPARO!!!-
La voce era quella di “Grande Baffo” e fu come se a Candy fosse arrivata una coltellata nella schiena. Era perduta! Definitivamente, irrimediabilmente perduta!
-CANDY!!!- gridò da sotto un disperato Terence.
-SCAPPA TERENCE! SCAPPA!-
Terence avrebbe mille volte preferito condividere la sorte della sua Candy piuttosto che abbandonarla, ma istantaneamente realizzò che se si fosse fatto arrestare non sarebbe stato di nessuna utilità alla sua Tarzan… si girò alla sua sinistra e cominciò a correre, ma proprio in quel momento vide delle persone davanti a lui: erano poliziotti.
Scattò verso una strada laterale alla sua sinistra e i poliziotti gli spararono addosso.
A vedere a scena dall’alto, Candy non resse e gridò il nome del suo amore con tutto il fiato che aveva in corpo.        
 
Smith e un suo collega fecero entrare una Candy annientata nella cella di isolamento e Smith fece per levarle le manette, ma Jackson lo fermò.
-Lasciagli le manette Smith!-
-Ma è ridicolo! Che male può fare questa ragazza adesso?-
Jackson aveva deliberatamente coinvolto Smith in quell’operazione, perché sapeva che lui e Candy erano diventati praticamente amici e voleva umiliarla oltre ogni misura.
-Non discutere i miei ordini Smith! Questa ragazza resterà in manette!-
-Non discutere Smith.- disse Candy con un filo di voce –Per me non cambia niente ormai…-
A malincuore Smith uscì dalla cella e Candy lo guardò come a cercare il conforto di un volto amico mentre il portone della cella di isolamento si chiudeva su di lei lasciandola al buio.

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Capitolo 16
*** Non posso dirlo ***


Iriza porse all’uomo seduto davanti a lei un calice contenente autentico e costosissimo Whiskey scozzese.
-S’impone un brindisi signor Jackson!-
-Posso chiederle una cosa signorina Legan?-
-Mi dica.-
-Perché odia tanto quella ragazza?-
-E lei perché la odia?-
Jackson sembrò esitare, ma solo un istante.
-Non sopporto quel suo faccino da santarellina! All’inizio sembrava così sottomessa, poi ha osato tenermi testa davanti a tutti e mi ha fatto fare la figura dell’idiota!-
-Ecco vede? Anche con me ha fatto così quella squallida orfanella! In più si è sempre messa in mezzo fra me e gli uomini che mi interessavano!
La verità signor Jackson, è che quella sgualdrina ha incrinato il nostro potere. Sia io che lei abbiamo pensato di avere un potere quasi illimitato, ognuno nel suo ambito s’intende, ma poi abbiamo scoperto che non era così, grazie a quella miserabile orfana…-
Il suo sguardo era infuocato e la mano stringeva il collo del calice fin quasi a incrinarlo. Sembrava quasi che non fosse ancora soddisfatta della sua crudele vendetta.
-Posso chiederle come ha fatto a scoprire il piano per far evadere quella ragazza?-
Iriza ebbe un sorriso di compiacimento
-Fin da piccola mi divertivo a spiare le persone e a seguirle di nascosto, e crescendo ho affinato questa mia abilità. Sono davvero brava a raccogliere informazioni, personalmente e tramite terzi. I dettagli non devono interessarle signor Jackson!-
Il suo tono era ultimativo, quasi a voler mettere l’uomo al posto suo.
-Piuttosto, ora dobbiamo parlare di affari. La vendetta l’abbiamo avuta.-
-Ho saputo che la sua famiglia sta veramente per andare in bancarotta. Suo padre è stato estromesso dal consiglio d’amministrazione della Banca di Chicago, e sembra che siano stati scoperti degli ammanchi nel patrimonio di famiglia. Come pensa di condurre i suoi “affari” signorina?-
-Quei soldi sono al sicuro: li ho rubati io, così come mi sono appropriata dei soldi di mio fratello dopo la sua morte facendo credere che lui li avesse dilapidati. Farò buon uso di quel denaro a cominciare da questi.- disse porgendo una consistente mazzetta di banconote all’uomo.
Mentre prendeva i soldi, Jackson sudava freddo: quella ragazza era di ghiaccio!
-Certo signor Jackson, non ho esitato a rubare ai miei genitori, ho mandato un’innocente all’ergastolo, rido della morte di quell’idiota di mio fratello, troverò il modo di appropriarmi del patrimonio degli Andrew prima o poi…
Provi a immaginarsi cosa potrei fare a lei se tradisse la mia fiducia.-
-Immagino benissimo signorina.-
 
-Signor direttore, io protesto per le condizioni degradanti a cui è sottoposta la detenuta Andrew!-
La voce del giovane secondino Smith era veemente, per nulla in soggezione davanti al direttore. Il ragazzo stava rischiando il licenziamento ma non poteva tacere.
-Signor Smith, la detenuta Andrew ha cercato di evadere, non penserà mica che le dia un premio?-
-No signor direttore, ma quella ragazza è in isolamento da tre settimane ormai, e non le sono mai state levate le manette. Non le è mai stato permesso di lavarsi e cambiarsi. Poco fa le ho portato da mangiare e l’ho trovata con i polsi scorticati e piena di lividi: qualcuno l’ha picchiata! Credo che abbia cominciato anche a rifiutare il cibo.-
-Non ero informato di questi particolari.-
-Nemmeno io signore. Jackson mi ha dato altri incarichi e oggi sono andato da lei per caso, per sostituire un collega.-
-D’accordo. La levi dall’isolamento, la faccia lavare e medicare e poi la porti qui da me. A Jackson penserò io più tardi.-
Smith tirò un sospiro di sollievo.
-Si signore.-
 
Candy venne levata dall’isolamento e affidata alle cure di Flanny e della dottoressa Kelly, che la lavarono da capo a piedi e le medicarono i polsi straziati dalle manette.
Le fecero indossare biancheria nuova e una divisa pulita e la rifocillarono con cibo caldo che Red aveva preparato appositamente per lei.
Nel pomeriggio fu portata dal direttore.
 
Il suo volto aveva ancora dei lividi, Candy era stata veramente picchiata.
-Mi creda Andrew, sono davvero spiacente di quello che le è successo.- le disse il direttore.
-Chi è stato a ridurla così?-
-Non posso dirlo…-
Candy mordeva il freno, Jackson l’aveva picchiata e minacciata di terribili rappresaglie se avesse fatto il suo nome, non rappresaglie contro di lei, ma contro quelle che lui chiamava “l’infermiera zoppa sua compagna di studi” e la “dottoressa di Greytown”. L’uomo aveva girato la questione a Iriza, e lei aveva scoperto il misterioso legame fra Candy e le sue compagne di lavoro.
-Signorina Andrew. Quando ha tentato di evadere lei aveva con sé questo grimaldello, fra l’altro non ne ho mai visto uno simile, secondo alcuni poliziotti a cui l’ho mostrato è… perfetto! In grado di aprire qualunque serratura. Dove lo ha preso?-
Candy taceva
-Chi l’aspettava fuori dal cortile?-
Quella domanda procurò un fremito a Candy. Se non lo sapevano voleva dire che…
-I poliziotti hanno parlato di un uomo alto e con i capelli lunghi. Non hanno potuto vederlo bene in faccia perché era buio e il tizio è stato abile a dileguarsi nei vicoli dietro al carcere.-
Ce l’ha fatta! Terence non è morto! Pensò lei perdendo una lacrima.
-Voglio i nomi di chi l’ha aiutata a organizzare questo tentativo di fuga!!!- il direttore aveva alzato la voce e battuto un pugno sul tavolo.
-Signor direttore. La mia vita è rovinata! La trascorrerò tutta intera in questo posto! E lei mi chiede di rovinare la vita ad altre persone?!!!!- anche lei aveva alzato la voce, piangeva e teneva i pugni serrati.
-Mi tenga pure in isolamento per il resto dei miei giorni! Non me ne importa più di questa vita!-
-Non puoi parlare così Candy!- la voce era quella di Smith. –Anche in questo posto puoi trovare una ragione di vita! Puoi rimanere te stessa!-
-Certo, posso rimanere me stessa, condannata a vita senza aver fatto niente!-
Piangeva a dirotto ormai –La prego direttore, mi rimandi in cella o in isolamento, come vuole lei… io non posso dire niente…-
L’uomo sospirò.
-La riporti nella sua cella Smith, resterà confinata per un mese, poi se lo vorrà, potrà riprendere il suo lavoro in infermeria.-
Smith tirò un sospiro di sollievo, ringraziando tacitamente con lo sguardo commosso e sollevato, il direttore Baker.
 
Poco dopo Candy rientrava in cella, d’ora in poi la sua cella sarebbe stata perquisita molto più spesso, e lei sarebbe stata controllata molto più strettamente. Per un mese non avrebbe avuto neanche l’ora d’aria.
Non ebbe il tempo di pensare a tutto questo, appena sdraiata sulla branda si addormentò profondamente.

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Capitolo 17
*** il sole era quasi a mezzogiorno ***


Alfred Drumond si guardò allo specchio: si faceva proprio schifo! Puzzava come una latrina, e soprattutto il suo amor proprio era sotto terra!
Una povera ragazza innocente marciva in prigione per colpa sua. Si era lasciato corrompere da persone che lo avevano sfruttato e vessato per anni. Il suo “padroncino” Neal Legan era una persona schifosa, un essere spregevole abituato a ottenere tutto ciò che voleva. Quella ragazza aveva osato tenergli testa con un orgoglio e una dignità che lui, Alfred Drumond, non aveva mai dimostrato in tutta la sua vita.
Quei ragazzi si erano esposti, avevano rischiato grosso introducendosi in casa sua, ma avevano corso quel rischio per la loro amica, per salvare quella povera innocente che lui aveva cinicamente condannato.
Fuori il sole era sorto da poco, e fu come se la sua luce che filtrava dalla finestra caricasse quell’uomo miserabile di una nuova determinazione.
Andò in bagno e si fece una doccia, come per spazzarsi via oltre alla sporcizia e all’odore nauseabondo, anche tutta la miseria della sua vita.
Si fece anche la barba e poi si vestì con i vestiti migliori che riuscì a trovare in casa e si mise allo scrittoio.
Quando ebbe finito, il sole era quasi a mezzogiorno e lui uscì di casa dopo essersi messo una busta nella tasca della giacca.
-Signorina Legan! Cosa fa lei qui?-
Davanti a lui c’era Iriza Legan.
Senza una parola la ragazza estrasse dalla borsetta che portava a tracolla una pistola, una piccola “Derringer” e prima che l’uomo potesse anche solo pensare ad una reazione, sparò.
L’ingresso del villino dava sulla spiaggia e in giro non c’era nessuno. Iriza si chinò sull’uomo e frugò nelle sue tasche. Trovò la busta e la aprì.
-Sono arrivata proprio in tempo.-
Poi, prima che arrivasse qualcuno si allontanò sparendo rapidamente dalla scena.
 
Quella che Drumond aveva scritto e firmato era una confessione completa che scagionava Candy dalle accuse a lei mosse. Iriza era stata ben informata: Drumond era sul punto di crollare e confessare tutto. Qualche sera addietro in un bar del suo paese si era lasciato andare e si era dato del ”bugiardo che manda le persone in galera”. Iriza aveva così deciso di risolvere personalmente la questione.
In fondo uccidere non era poi così difficile. 

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Capitolo 18
*** Fra di noi ci chiamiamo fratelli e sorelle ***


Candy si svegliò all’odore del cibo che qualcuno le aveva appena portato dentro a un vassoio.
-Dove sono?-
-Sei dentro al tuo castello incantato principessa!- la voce era quella di Abbey.
-Abbey, sei tu…-
La ragazza posò il vassoio per terra e corse ad abbracciare l’amica che nel frattempo si era seduta sulla branda.
-Sei una pazza! Ma cosa ti è venuto in mente?- disse Abbey piangendo.
-Ci ho provato, e ora per me è finita, non lascerò mai questo posto.-
-Lo so… è dura… e tu non meriti niente di tutto questo, tu non sei come noialtre… ma ti prego Candy: non arrenderti! Continua a lottare, per te stessa… e per gli altri…-
Candy non riuscì a sorridere, forse non ci sarebbe riuscita mai più a sorridere.
-Sai Candy, sono venuta a salutarti, domani io esco. Ho scontato la mia pena.- le disse Abbey con la testa bassa, quasi vergognandosi.
-è meraviglioso…-
La Candy di un tempo avrebbe fatto salti di gioia per l’amica, ma lei riuscì appena ad abbozzare un sorriso.-
-...e cosa farai?-
-Tornerò ad Harlem. In questo paese non c’è futuro per una nera pregiudicata. Lì almeno starò con la mia gente, con le mie sorelle e i miei fratelli. In qualche modo riuscirò a cavarmela.-
-Hai una famiglia numerosa?-
Abbey sorrise tristemente.
-No Candy, io sono orfana come te, ma ad Harlem fra di noi ci chiamiamo “fratelli” e “sorelle”. È un po’ come se avessi davvero una grande famiglia. Sai, io ho perso i genitori da piccola, ma c’è sempre stato qualcuno a prendersi cura di me. Poi quando sono cresciuta ho creduto di poter avere una vita diversa fuori da Harlem, e mi sono messa a cercare fortuna altrove, ma nessuno mi dava lavoro, e per sopravvivere mi sono messa a rubare, finché non mi hanno presa e sono finita qui.-
Candy guardò l’amica con tristezza e anche con invidia. Lei avrebbe dato oro per poter tornare alla casa di Pony e “cavarsela in qualche modo” insieme ai suoi “fratelli” e “sorelle”.
-Candy…- Abbey non riuscì a dire altro. Il pensiero che la sua amica non sarebbe mai uscita dal carcere le stringeva un nodo in gola. L’abbracciò e cominciò a piangere convulsamente.
-Ti voglio bene Abbey, ti voglio bene!- le disse Candy piangendo anche lei.
-Vieni Abbey, dobbiamo andare.-
La voce era quella di Smith. Aveva accompagnato Abbey e le aveva concesso di stare un po’ con Candy, ma in fondo lei era pur sempre in regime punitivo. Abbey uscì dalla cella con la morte nel cuore lasciando Candy nello stesso d’animo.
Erano entrambe ben consapevoli che non si sarebbero viste mai più.
 
Rimasta sola Candy consumò rapidamente il suo pasto consegnando poi il vassoio al primo agente di ronda, che a sua volta lo consegnò ad una detenuta perché lo riportasse in cucina.
Poi si sdraiò di nuovo sulla branda e chiuse gli occhi.
 
Anthony era lì, vicino a lei. Lei lo chiamò per nome ma lui sfumava fino a scomparire del tutto. Poi lo rivide, ma quello non era Anthony, quello era il principe della collina con il suo costume scozzese.
“Sei più carina quando ridi che quando piangi.”
Quelle parole le risuonarono nel cervello come pronunciate in coro da Anthony e dal principe.
“Tu dici che il tuo principe mi somigliava così tanto Candy?”
“Si Anthony.”
“Sai, quando ero piccolo c’era un altro bambino che stava sempre con mia madre”
“E chi era Anthony?”
“L’ho capito soltanto adesso”
Poi l’incidente, l’orribile incidente in cui Anthony aveva perso la vita.
All’immagine di Anthony si sovrappose quella di un uomo, con una folta barba che gli copriva il volto. E anche quell’uomo stava cadendo in seguito a un’esplosione.
Albert!
Quell’uomo era Albert!
Albert, Anthony, il principe.
Perché li vedeva insieme? Quale misterioso legame li univa?
Albert, quel ragazzo non molto più grande di lei e di Anthony. Quello strano misterioso ragazzo che ora aveva anche perso la memoria.
Chi era? Perché non faceva altro che apparire e scomparire, così, misteriosamente?
Quando il dottor Leonard le aveva chiesto “conosce la sua famiglia?” lei non aveva saputo rispondere…
Albert… Anthony… i loro volti sovrapposti sembravano confondersi… sembravano… lo stesso volto.
 
Candy si svegliò ansimante e madida di sudore.
Ora capiva tutto! E per quanto incredibile sembrasse, quello che aveva capito spiegava molti misteri del suo passato.

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Capitolo 19
*** incontrata tanti anni fa sulla collina di Pony ***


Erano passati due mesi dalla morte di Alfred Drumond e ovviamente la notizia aveva gettato nello sconforto più totale gli amici di Candy. Ogni speranza di scagionare Candy era svanita, ogni speranza di farla evadere anche.
Candy avrebbe dovuto vivere tutta la sua vita in prigione.
Albert si era deciso per la prima volta dal giorno maledetto che quel vigliacco di Neal l’aveva attirata in trappola, di andare a trovare Candy in prigione. Se non l’aveva mai fatto prima era perché non voleva che si pensasse ad un contatto fra loro due. Voleva essere libero di muoversi senza essere sorvegliato da qualcuno in quanto amico di Candy.
Ma ormai non c’era più niente da fare, e decise se non altro di portare un po’ di conforto a quella povera sfortunata bambina incontrata tanti anni fa sulla collina di Pony.
 
Candy entrò in parlatorio. Il direttore aveva disposto che non fosse ammanettata, e lei poté liberamente abbracciare Albert. Era in uniforme da infermiera, aveva infatti ripreso il suo lavoro nell’infermeria del carcere e Smith l’aveva portata al colloquio senza costringerla a cambiarsi.
 
-Mio Dio Albert… quanto tempo…-
-Perdonami se non sono venuto prima ma io…-
-Shhh… non c’è bisogno di dire niente… lo capisco benissimo… mio principe…-
E quel “mio principe” fu accompagnato da una strizzata d’occhio che Albert recepì stupefatto. Come aveva fatto Candy a capire?
-Candy volevo parlarti del tuo amico inglese.-
Candy ebbe un tuffo al cuore.
-Sta bene, anche se… è dovuto partire all’improvviso.-
Quella frase intristiva e rassicurava Candy allo stesso tempo. Terence era vivo, anche se… probabilmente lei non lo avrebbe visto mai più.
Albert sembrava imbarazzato.
-Albert, voi non avete colpa, ve lo assicuro.- disse lei prendendo la mano all’amico di sempre.
-Piuttosto vorrei ringraziarti per essermi stato sempre vicino… sai, Anthony lo aveva capito.-
-Capito cosa?- chiese Albert spalancando gli occhi. Candy stava cercando di dirgli qualcosa.
Candy non voleva dire chiaramente davanti a Smith quello che aveva capito sul suo amico. Certamente lui aveva le sue ragioni per tenere nascosta la sua identità.
-Detenuta. Io esco un momento dal parlatorio, rientrerò fra cinque minuti esatti. Voglio trovarla pronta per rientrare in infermeria.-
Smith uscì dalla stanza sotto lo sguardo incredulo di Albert.
-Smith è un caro ragazzo… zio William.-
-Candy… come… come hai…-
-In prigione si ha molto tempo per pensare Albert. Spero che un giorno io e te potremo parlare liberamente.-
-Candy ascolta! Sto cercando di farti uscire di qui!- disse lui sottovoce cercando di sfruttare il poco tempo che avevano.
-A costo di corrompere qualc…-
Candy non gli lasciò neanche finire la frase, e diede un sonoro schiaffone al suo amico.
-Non dirlo neanche per scherzo Albert!-
Albert rimase di stucco davanti alla reazione della ragazza.
-Promettimi… che non cercherai mai di corrompere qualcuno per farmi uscire di qui. Promettimelo Albert!-
Piangeva mentre diceva queste cose, e anche Albert perse lacrime dagli occhi.
-Candy io… non posso… rinunciare a tirarti fuori di qui…-
-Ma non in quel modo Albert!- disse lei prendendogli le mani.
-Non puoi venderti l’anima per me… non rinunciare mai a quello che sei… tu non sei come Iriza Legan! E non devi diventarlo…-
Albert guardò il volto di Candy. Gli occhi di entrambi erano velati di lacrime.
-Promettimelo Albert! Sarà sufficiente che veniate a trovarmi, che mi stiate vicini… non chiedo di più…-
Con la morte nel cuore Albert promise quello che gli chiedeva Candy.
 
Dopo un po’ Smith rientrò e Albert dovette lasciare il carcere.
-Candy, vorrei non doverlo fare… ma devo perquisirti.-
-Capisco Smith, fai pure.- disse lei mettendosi di spalle e allargando le braccia.
Smith fu terribilmente imbarazzato, ma eseguì la perquisizione su Candy in modo discreto e professionale.
Poco dopo Candy rientrava in infermeria.

 

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Capitolo 20
*** impossibile da dimostrare ***


Ormai Candy era in prigione da più di un anno, e per quanto Albert e gli altri suoi amici cercassero disperatamente nuove prove che la scagionassero, la rassegnazione cominciava a far capolino nelle loro vite.
La stessa Candy ormai si stava rassegnando a dover vivere tutta la sua vita in quel carcere.
Nuovi tentativi di evasione erano impensabili, Candy era super sorvegliata, anche se nel carcere godeva di grande stima per il suo lavoro di infermiera.
La ragazza cercava di mantenersi viva, ma la depressione si stava lentamente impadronendo di lei.
Tutti i suoi amici andavano a trovarla spesso e lei ne era felice. Facevano in modo di andare quando era in infermeria di modo che la portassero in parlatorio in divisa da infermiera. Volevano evitarle ulteriori umiliazioni.
Un giorno, insieme a Suor Maria arrivarono anche i suoi amici Tom e Jimmy. Ovviamente sia loro che Candy versarono fiumi di lacrime.
Il direttore Baker aveva disposto che Candy fosse lasciata sola con i suoi amici quando questi venivano a trovarla, a patto che lei si lasciasse perquisire dopo ogni visita, e delle perquisizioni furono incaricate impiegate che lavoravano all’amministrazione del carcere.
“Grande Baffo” Jackson era stato diffidato dall’infastidire Candy, e con lei interagiva soprattutto il suo amico Robert Smith.
Baker cercava di rendere la vita di quella ragazza, meno sgradevole possibile. Ormai anche lui si era convinto della sua innocenza, anche se tale innocenza era impossibile da dimostrare.
 
Kate Benson arrivò finalmente alla casa sul lago di suo zio Alfred. Almeno quel notaio che le aveva scritto da Milwaukee affermava così.
È vero, quel tipo aveva lo stesso cognome di sua madre, Drumond, e sua madre spesso le aveva parlato di un fratello che viveva a Chicago, ma lei non lo aveva mai conosciuto.
Sua madre era morta da pochi mesi lasciandola senza il becco d’un quattrino, suo padre si era dileguato quando lei era ancora piccola, e adesso la proprietà di quel villino sul lago pioveva come una manna dal cielo. Avrebbe potuto venderlo e ricavarci un bel gruzzoletto, oppure stabilirsi lì e lavorare come sguattera in qualche casa di ricconi, o magari avrebbe potuto trasformarlo in una piccola locanda.
Per prendere qualsiasi decisione era opportuno visionarlo, e il notaio le aveva consegnato le chiavi proprio per questo. Dopo sarebbe dovuta andare da lui per le relative pratiche.
Aprì la porta ed entrò. La prima impressione non fu certo favorevole: la casa emanava un terribile odore di chiuso e di muffa. Stando a quanto gli aveva detto il notaio, il suo presunto zio Alfred era diventato un alcolizzato cronico e di conseguenza trascurava tutta la sua vita. Quindi anche quella casa non era stata mantenuta al meglio.
Rimetterla in sesto sarebbe stato faticoso, ma era comunque indispensabile, quale che fosse stata la sua decisione.
Aprì tutte le finestre di quella casa e lasciò che l’aria vi circolasse liberamente.
Poi cominciò a pulire tutte le stanze, e infine si mise a lavorare al salone centrale, quello dove si entrava dalla porta d’ingresso.
Si avvicinò allo scrittoio e cominciò a spolverarlo. Aprì anche i cassetti e trovò più fogli di carta scritti. Erano pieni di cancellazioni e correzioni, come se fossero le brutte copie di un testo che lo scrivente avesse provato più volte prima della stesura definitiva.
L’ultimo foglio, o meglio il primo della pila, sembrava abbastanza leggibile, con poche correzioni e cancellazioni, come se fosse stata la prova definitiva prima della stesura in bella copia.
In fondo c’era anche la firma di Alfred Drumond.
Vinta dalla curiosità Kate lesse la lettera e man mano che avanzava nella lettura il suo volto impallidiva sempre più.
Alla fine si portò la mano alla bocca e sussurrò: -Oh mio Dio...-
 
Il maggiordomo di casa Andrew aprì la porta e davanti si trovò una ragazza di circa vent’anni, vestita semplicemente ma con dignità.
-Cosa desidera signorina?-
-Buongiorno. Il mio nome è Kate Benson e desidero parlare con qualcuno della famiglia Andrew.-
-A che proposito signorina Benson?-
-Ho la prova dell’innocenza della signorina Candice White Andrew.-
Il maggiordomo strabuzzò gli occhi.
-Si accomodi signorina. Vado subito a chiamare il signor William.-
William o Albert che dir si voglia, stava ancora dormendo. Alla fine Albert aveva deciso di prendere il posto di comando della famiglia Andrew. La sera precedente aveva dovuto sorbirsi un movimentato consiglio di amministrazione che si era protratto fino alle ore piccole.
 
Il maggiordomo non si fece scrupolo di svegliarlo.
-Che c’è James? Ti avevo detto che oggi volevo dormire…-
Quando James gli disse il motivo per cui lo aveva svegliato, Albert si alzò immediatamente dal letto e si vestì alla velocità della luce.
 
Pochi minuti dopo era davanti alla misteriosa Kate Benson.
-La signorina Benson? Io sono William Albert Andrew.-
-Molto lieta signor Andrew. Io sono la nipote di Alfred Drumond, l’ex factotum di Neal Legan, e ho ereditato il suo villino vicino Milwaukee. Riordinando la casa ho trovato questa lettera. Credo sia la brutta copia di una lettera che forse mio zio voleva spedire o consegnare il giorno che è stato ucciso. In questa lettera lui confessa di aver mentito nel processo a carico di Candice White Andrew.-
Uno sconvolto Albert prese la lettera dalle mani della ragazza e la lesse avidamente fino alla fine. Quella lettera era anche firmata e questo la rendeva un documento legalmente valido.
Probabilmente Drumond l’aveva firmata e riletta decidendo poi di operare alcune piccole correzioni.
-James- disse con la voce che tremava per l’emozione. –Fai subito preparare l’auto! Devo andare dall’avvocato Clinton! Signorina, è disposta a venire con me?-
Albert piangeva per l’emozione.
-Si signor Andrew. Se fosse necessario sarei anche disposta a testimoniare per quello che varrà.-
-Grazie signorina, grazie! Una ragazza innocente le deve la vita!-
 
Il giudice Bean, lo stesso che aveva condannato Candy, lesse attentamente e più volte quella lettera. Nella stanza regnava un silenzio irreale.
Albert, Kate Benson, l’avvocato Clinton, Archie e Stear, Annie e Patty, pendevano dalla bocca di quell’uomo, da quello che avrebbe presto pronunciato.
-La signorina Legan è già sotto inchiesta. I suoi movimenti bancari non sono chiari, e abbiamo il fondato sospetto che sia coinvolta in traffici poco puliti con soggetti legati alla malavita. Credo proprio che finirà in prigione quanto prima. Ma anche senza aspettare quel momento posso dirvi che risultano movimenti di denaro dal conto della signorina Legan risalenti a oltre un anno fa, per l’acquisto del villino ereditato dalla signorina Benson.
Inoltre di recente è stato arrestato il pubblico ministero del processo contro la signorina Andrew. Si è potuto dimostrare che prese illecitamente del denaro da personaggi equivoci, fra i quali pensiamo figuri anche la signorina Legan. Anche un paio di giurati di quel processo sono indagati per aver percepito somme di denaro mai dichiarate al fisco e di provenienza ignota. E anche qui abbiamo motivo di credere che quel denaro provenisse dalla signorina Legan.-
Tacque come a voler raccogliere i pensieri.
-Pertanto considerata questa confessione autografa scritta dal testimone chiave del procedimento contro Candice White Andrew, in cui lo scrivente ammette di aver dichiarato il falso e racconta di aver assistito dalla finestra al tentativo di violenza subito dalla signorina Andrew ad opera del signor Neal Legan, e di come la signorina Andrew si sia semplicemente difesa dalle inopportune “avances” del signor Legan… decreto il totale proscioglimento di Candice White Andrew dalle accuse a lei contestate e ne ordino l’immediata scarcerazione.-
A quelle parole la stanza fu un tripudio di pianti di gioia.
Candy era libera!
 
Candy dormiva tranquillamente nella sua cella dopo l’ennesima crisi di pianto, quando l’inferriata si aprì.
-Candy! Sveglia!- la voce era quella di Robert Smith.
-Che c’è Robert? Stavo dormendo!-
Robert si chinò sulla branda visibilmente commosso.
-Beh, allora preparati ad avere il più bel risveglio che tu potessi desiderare: SEI LIBERA CANDY!-
-In che senso libera?- disse lei sbadigliando e mettendosi a sedere sulla branda.
Smith perse due lacrime di gioia mentre le prendeva le mani.
-La tua innocenza è stata dimostrata, e il giudice ha ordinato che tu venga rimessa in libertà Candy!
Il signor Andrew ti sta aspettando nell’ufficio del direttore, ragazza!-
Candy rimase un lunghissimo istante senza riuscire neanche a respirare per l’emozione. Per un po’ temette di stare solo sognando.
Poi scoppiò in un pianto dirotto mentre abbracciava il suo amico Robert Smith.
 
Iriza vide dalla finestra i poliziotti che si approssimavano presso il portone della sua abitazione.
I suoi genitori erano morti da poche settimane, entrambi vittime dell’abbruttimento e dell’alcool e Iriza aveva ereditato la loro residenza a Chicago, ormai l’unica rimasta dopo che quella di Lakewood e il villino sul lago dove era morto Neal erano stati venduti per ripianare i debiti.
Iriza non si era rivelata l’abile criminale che credeva di essere. I suoi movimenti, i suoi contatti erano stati scoperti in breve tempo. Inoltre i suoi “soci” l’avevano derubata lasciandola senza il becco d’un quattrino.
Ruppe il calice pieno di whiskey che teneva in mano tirandolo contro il muro, e poi si avvicinò allo scrittoio. Da un cassetto tirò fuori la derringer.
La puntò alla tempia e come in un estremo gesto di odio e di sfida, prima di premere il grilletto, disse a voce alta: -Non seguirò la stessa sorte di quell’orfana!-

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Capitolo 21
*** punto fermo indispensabile nella sua vita ***


Tre mesi dopo…
 
Candy era stata liberata, il suo incubo era finito, ma già all’uscita dal carcere una terribile notizia l’aspettava: Terence, il suo Terence era morto.
La sera della tentata evasione, fallita probabilmente per una spiata di Iriza, Terence era sì riuscito a fuggire aiutato da Albert, Stear e Archie, ma era stato ferito in modo grave, e non ce l’aveva fatta.
Inizialmente Candy si era infuriata perché i suoi amici non gli avevano detto la verità, ma poi Annie gli aveva gridato in faccia:
-Rifletti Candy! Se ci fossi stata io al tuo posto, saresti venuta da me a dirmi che Archie era morto?- Annie aveva ragione, probabilmente anche lei avrebbe fatto lo stesso.
 
Salì con fatica il pendio della collina di Pony e poi si sedette lì, sotto il grande albero che i bambini della casa di Pony consideravano loro padre. Fu raggiunta da Klin e Mina, ma neanche loro riuscirono a sciogliere il dolore che stringeva il suo volto e il suo cuore in una morsa senza scampo.
Sotto di lei la casa di Pony era sempre lì, punto fermo indispensabile nella sua vita, un luogo che per lei significava casa, famiglia, amore. Ma neanche quel luogo poteva sciogliere il ghiaccio nel suo cuore.
Dietro di lei sentì un passo che le sembrò di riconoscere.
-Candy!-
Si girò e vide Flannie, la sua cara amica Flannie.
Si alzò ad abbracciarla.
-Sono felice di vederti Flannie.-
-Io invece sono triste. Dov’è la Candy che conoscevo? Quella che illuminava tutto e tutti con il suo sorriso?-
-Forse è ancora in prigione.- disse lei tristemente
-Beh, deve uscirne!- Flannie piangeva, l’iceberg si era sciolto definitivamente
-Mi manca quella Candy! Manca a tutti noi che ti vogliamo bene! Torna quella di un tempo!-
-Siete tutti molto cari… ma non vi conviene volermi bene… una volta Iriza mi disse che io porto sfortuna a quelli che mi vogliono bene, e forse non aveva torto.-
-Quella vipera aveva tutti i torti possibili e immaginabili! Sai che pensano che abbia ucciso lei quel Drumond?-
-Si, l’ho letto. La pistola con cui si è uccisa è dello stesso tipo con cui è stato ucciso Drumond.
Per di più era andata nel paese dove viveva Drumond con la sua automobile privata, parcheggiandola proprio in mezzo al paese e facendosi notare da non so quante persone. Povera Iriza: non valeva niente come criminale, ha lasciato tante di quelle tracce dietro di sé che un altro po’ la incriminavano anche per l’omicidio del principe ereditario d’Austria!-
-è una battuta questa? La vecchia Candy vuole riemergere?-
Candy rimase senza parlare, non ci riusciva proprio.
Flannie la abbracciò e lei pianse, pianse lacrime amare.
 
-Come sta Micheal?- chiese Candy mentre sedevano insieme sotto papà albero.
-Sta bene e ti saluta. Fra non molto rientrerà anche lui dalla guerra, la sua ferma sta per scadere.-
-Sai, sono rimasta stupefatta nello scoprire che il tuo fidanzato è lo stesso Micheal che conobbi tempo fa in casa degli Andrew.-
-Io stavo quasi per cavarti gli occhi quando ho scoperto che ci avevi ballato insieme!-
Candy ridacchiò.
-Lavori ancora alla prigione?-
-Sì, in fondo è un buon lavoro. Quelle donne hanno bisogno di me.
Sai che Jackson è stato arrestato? Hanno trovato prove delle sue attività illecite per conto di Iriza Legan.-
-Grande Baffo in galera? Questa sì che è una notizia! Meriterebbe proprio di passare lui quello che ha fatto passare a me e altre come me!-
-Al suo posto hanno messo il tuo amico Robert.-
-Ne sono felice, è un bravo ragazzo. Sono sicura che con lui le cose cambieranno in quella prigione.-
-E tu cosa farai Candy? Lo so che è scontato dirlo, ma devi reagire. Seppellirti qui non ti aiuterà lo sai.-
-Non so… potrei tornare a Chicago ma cosa farei lì? Non credo proprio che gli ospedali prenderebbero un’ex galeotta!-
-Una galeotta innocente e prosciolta da ogni accusa, non dimenticarlo…
Perché non torni in prigione?-
Candy guardò l’amica come avrebbe guardato un procione parlante con due teste e tre code.
-Sei impazzita per caso?-
Flanny si mise a ridere.
-Da donna libera intendo! Potresti lavorare all’infermeria con me e la dottoressa Kelly. Sai, il direttore Baker ha disposto che le detenute siano sottoposte a visite periodiche regolari, per verificarne la salute e stabilirne l’attitudine al lavoro. Un’infermiera del tuo calibro ci farebbe comodo. Ne sono convinti anche il direttore e la dottoressa Kelly.-
Candy rimase in silenzio per alcuni secondi.
-Adesso non so decidere niente Flanny, ma ti prometto che ci penserò.-
-Lo sai che si vocifera a Chicago? Che il tuo giovane zio stia per accasarsi.-
-Cosa? Albert sta per…-
-Sì, con quella Kate Benson, la nipote di Drumond.-
-è… meraviglioso! Devo tutto a quella ragazza! E Albert sta per… sposarla?-
-Oh, non c’è niente di ufficiale ancora, ma sembra che vengano visti insieme sempre più spesso…-
-Beh, spero proprio che il mio tutore legale si degni di informarmi se ciò accadrà!-
-Sono sicura che lo farà.-
Candy si alzò e porse la mano a Flanny.
-Vogliamo scendere? È quasi ora di pranzo.-
 
Mentre scendevano Candy fu folgorata da una decisione: sarebbe tornata a Chicago e si sarebbe messa a lavorare come infermiera alla prigione dove era stata detenuta. Sentiva che lì aveva tanto da fare, per se stessa e per le detenute.
Il mondo è un posto duro per tutti, ma per quelle donne, che pure non erano stinchi di santo, sicuramente lo era molto di più e Candy aiutandole sentiva di poter tornare quella di un tempo.
 
FINE.

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