The last sacrifice

di Laura Taibi
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 11 ***
Capitolo 12: *** Capitolo 12 ***
Capitolo 13: *** Capitolo 13 ***
Capitolo 14: *** Capitolo 14 ***
Capitolo 15: *** Capitolo 15 ***
Capitolo 16: *** Capitolo 16 ***
Capitolo 17: *** Capitolo 17 ***
Capitolo 18: *** Capitolo 18 ***
Capitolo 19: *** Capitolo 19 ***
Capitolo 20: *** Capitolo 20 ***
Capitolo 21: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


Questa è una storia che parla di coraggio, d’amore e di sacrificio. Una storia che nessuno ha mai raccontato.
La storia di come Parigi fu salvata e, con essa, il mondo intero.
La storia di come un gatto uccise una coccinella.
 
Capitolo 1
Le luci della sera illuminavano Parigi a giorno, facendola risplendere di un affascinante bagliore argenteo.
Su uno dei tetti di Parigi, lontana da occhi indiscreti, Ladybug provò per l’ennesima volta a fare una chiamata al suo compagno d’avventure, senza però avere successo.
Era passato già quasi un mese. Un mese intero senza che di Chat Noir vi fosse alcuna traccia.
All’inizio si era detta che era stato un caso, che probabilmente al ragazzo che si nascondeva dietro la maschera era venuto un brutto raffreddore, ma adesso cominciava a temere davvero il peggio.
La sirena di un’ambulanza non molto distante la riscosse dai suoi pensieri. Non poteva permettersi nessuna distrazione, la città era in preda al caos più totale e la gente aveva bisogno di lei.
In contemporanea alla scomparsa di Chat Noir anche i disordini a Parigi erano aumentati, quasi come se Papillon sapesse esattamente quello che stava accadendo.
Ladybug lanciò lo yo-yo e, volteggiando da un tetto all’altro, cercò di fare ordine e ripercorrere ciò che era accaduto il giorno della scomparsa del suo partner.
 
 
Quella mattina Marinette si svegliò tardi.
«Andiamo, è ora di alzarsi, la sveglia è già suonata!» le disse Tikki all’orecchio.
Lei l’allontanò, girandosi dall’altro lato. La sera prima lei e Chat avevano combattuto l’ennesima akuma di Papillon e non aveva dormito che poche ore.
«Non ce la faccio oggi» iniziò a lamentarsi, «credo… credo che resterò a casa.»
Tikki mise le manine ai fianchi, spazientita, poi le venne un’idea: «se non vai a scuola,» disse, «non potrai vedere Adrien.»
Marinette si voltò verso il kwami e la guardò da sotto le coperte. «E se lui non venisse?»
Tikki sorrise. «Non si assenta mai, lo sai benissimo.»
Marinette emise un lamento, scostò il piumone con un calcio e si mise in piedi, stropicciandosi gli occhi.
Le ci volle un miracolo per districare i capelli e raccoglierli nelle due solite codine e, quando scese al piano di sotto, si rese conto che non avrebbe fatto in tempo a fare colazione. Lamentandosi con se stessa per aver fatto tardi, afferrò un toast e se la fece di corsa fino a scuola.
I suoi compagni erano già in classe quando entrò. Anche Adrien.
Chloè la guardò con il suo solito disgusto mentre Alya le faceva cenno con la mano. Lei vi si sedette al fianco, poggiando la cartella e lasciandosi scivolare sul banco con aria assonnata.
«Che faccia distrutta» esclamò Alya, «prima o poi dovrai spiegarmi come fai a ridurti così!»
Marinette sorrise a disagio. «Avevo dimenticato di fare i compiti e li ho finiti a tarda notte» inventò sul momento.
«Sei sempre la solita!»
La professoressa entrò in classe ed iniziò la lezione ma Marinette faticò a concentrarsi, non solo per la lunga nottata in bianco, ma anche perché come al solito, i suoi pensieri erano rivolti al banco davanti, dove Adrien prendeva diligentemente appunti. Riusciva quasi a vederla, l’espressione concentrata e bellissima che in quel momento doveva avere e che lei aveva imparato a conoscere ed amare.
Si ritrovò a sognare ad occhi aperti, a vagare con la mente ai suoi bellissimi capelli biondi, al suo bellissimo sorriso, agli occhi verdi e profondi, verdi come quelli di Chat Noir… fu a quel punto che si ritrovò suo malgrado a ripensare alla sera prima, durante la battaglia: l’ennesimo poveretto akumizzato era stato appena salvato e tutto era tornato alla normalità ma lei, nella lotta, si era storta una caviglia. Nulla di grave ma si era ritrovata a zoppicare leggermente.
Chat Noir le era corso incontro, preoccupato. «Tutto bene? Sei ferita?» le aveva chiesto.
Lei aveva scosso la testa, tentando di sorridere. «Tutto ok, non è nulla di grave.»
«Riesci a camminare?»
Lei aveva annuito ma dopo pochi passi si era resa conto che non sarebbe stato così semplice.
Chat Noir le era corso incontro e, senza preavviso, le aveva avvolto un braccio in vita, passando l’altro intorno al suo collo.
«Chat ma che fai?»
«Ti aiuto mylady.»
«Ce la faccio, davvero, e poi stiamo quasi per ritrasformarci…» aveva iniziato a dire, tentando invano di sciogliersi dalla presa.
«Ti accompagno solo in un luogo tranquillo e poi vado via. Ti prometto che non rimarrò qui e il tuo segreto resterà al sicuro.»
Ladybug stava quasi per ribattere ma gli occhi di Chat, così grandi e sicuri e il suo viso, talmente vicino che poteva avvertire il respiro caldo sulla sua guancia, la fecero esitare.
Qualche minuto più tardi lei e Chat Noir si ritrovarono all’incrocio tra due strade più isolate a pochi passi dalla fermata della metropolitana e, benché Chat non lo sospettasse, anche a pochi passi da casa di Marinette.
«Grazie» disse lei, poggiandosi al muro.
Chat alzò le spalle con il suo solito modo di fare spavaldo. «Al tuo servizio, mylady.»
«Dovresti smetterla di chiamarmi così… lo sai, ne abbiamo già parlato…»
Chat Noir divvene istantaneamente più serio. «Ricordo quello che mi hai detto» disse, senza guardarla, «ma non cambierò il mio modo di fare nei tuoi confronti solo perché sei innamorata di un altro.» Fece qualche passo verso di lei e poggiò la mano sul muro alle sue spalle, ritrovando in un secondo il suo solito modo di fare. «Sai, il fatto che tu non voglia dire il suo nome potrebbe indurmi a credere che sia solo una scusa.»
Lei sorrise, incrociando le braccia. «Non ti mentirei mai, Chat. Noi siamo una squadra.»
L’anello di Chat prese a suonare.
«Ora dovresti andare» disse Ladybug.
Chat Noir le scoccò un’ultima occhiata, dopodiché voltò l’angolo. Proprio in quell’istante entrambi i ragazzi si ritrasformarono.
I passi di Chat iniziarono a rimbombare nella notte silenziosa. Lei rimase immobile a fissare a terra, pensando alle parole che il suo partner aveva appena detto. «Chat» chiamò lei.
I passi si fermarono.
«La… la prossima volta che ci vedremo prometto che ti dirò il suo nome, ok?» disse.
Oltre l’angolo sentì Chat ridere sommessamente. «Va bene. Ci conto.»
Marinette era rimasta a lungo poggiata quel muro, chiedendosi per quale assurdo motivo aveva fatto una promessa simile.
 
 
La campanella suonò, avvertendo gli alunni del cambio dell’ora e ridestandola dai suoi pensieri.
«Allora ragazze» esordì Nino, il migliore amico di Adrien, rivolto a lei ed Alya «che programmi avete per questo pomeriggio?»
«Perché, avete qualche proposta?» chiese Alya.
Marinette abbassò per un attimo lo sguardo e i suoi occhi incontrarono quelli di Adrien, che le sorrise. Lei si affrettò a spostare lo sguardo ma non prima che una vampata di calore l’avvertisse di aver assunto il colorito di un pomodoro maturo.
«Si da il caso che oggi pomeriggio ci sarà l’inaugurazione del nuovo centro commerciale al quale parteciperà Jagged Stone come ospite d’onore» disse Nino sorridendo, «e che il nostro caro Adrien abbia casualmente quattro pass per incontrarlo!»
«Stai scherzando?!» esclamarono contemporaneamente Alya e Marinette, scattando in piedi con gli occhi luccicanti.
«Beh, in realtà li hanno dati a mio padre» disse Adrien, grattandosi la nuca, a disagio «una delle boutique del centro commerciale fa parte della sua linea di abbigliamento, ma diciamo che lui non è il tipo da feste mondane.»
«L’appuntamento è alle cinque in punto. Allora, siete dei nostri?» chiese Nino.
Alya si voltò verso Marinette, guardandola con occhi luccicanti.
«Ehm, direi che…» inizio lei.
«Certo!» concluse Alya.
Ritornarono ai posti per seguire la lezione di matematica con madame Mendeleiev. Alya aspettò che la professoressa si voltasse verso la lavagna, dopodiché si avvicinò all’amica.
«Che fortuna inaspettata, vero?» disse sottovoce.
Marinette annuì sorridendo, mentre il cuore iniziava a batterle all’impazzata al solo pensiero.
«È la tua occasione per restare sola con Adrien» continuò l’altra.
Marinette si voltò di scatto verso di lei. «Soli?!» esclamò a voce un tantino troppo alta. La professoressa per un attimo si voltò a guardarle per un secondo, prima di concentrarsi nuovamente sulla lavagna.
«N-Non credo che avremo modo di stare soli» continuò Marinette, qualche attimo dopo. «E poi, non saprei come comportarmi. Lo sai che sono una frana!»
«Sta tranquilla» rispose l’amica, «a organizzare tutto ci penso io, tu cerca solo di essere te stessa.»
«No Alya, ascolta, io davvero non…»
«Miss Dupain-Cheng, miss Césaire, a meno che non abbiate intenzione di scrivere i vostri discorsi sul compito di matematica della prossima settimana vi consiglio di prestare attenzione alla lezione» disse la professoressa, con cipiglio severo.
«Scusi» dissero entrambe.

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


Capitolo 2

Non appena la campanella suonò, Adrien si alzò e raccolse la tracolla.
Alya salutò lui e Nino mentre Marinette non disse nulla, limitandosi ad un cenno con la mano prima di uscire dall'aula chiacchierando con l'amica.
Più di una volta aveva notato lo strano comportamento di Marinette e spesso si era chiesto se sotto sotto lei non ce l'avesse ancora con lui per la storia del primo giorno di scuola. Le poche volte che erano riusciti a parlare, comunque, le era sembrata una ragazza simpatica, dolce e molto premurosa, ma chissà perché il loro rapporto non riusciva ad essere altro che una serie indistinta di mezze frasi e sorrisi imbarazzati.
«Grazie per i biglietti, amico» esclamò ad un tratto Nino, passandogli un braccio intorno al collo. «Era da tantissimo tempo che volevo organizzare un'uscita del genere con Alya!»
Adrien sorrise. «Ne sono felice ma cercate di non sparire dalla circolazione troppo a lungo, ok?»
Nino lo guardò confuso.
«Beh sai» esordì Adrien «credo che Marinette non abbia molta voglia di stare sola con me...»
«Perché pensi una cosa del genere?»
«Ogni volta che le parlo sembra che voglia scappare, balbetta, inventa scuse assurde per andare via e non mi guarda mai negli occhi» disse Adrien, massaggiandosi il collo.
«Oddio, amico, sei davvero ingenuo!» disse Nino avviandosi verso il corridoio.
«Perché?» chiese Adrien confuso, seguendolo.
Nino alzò le mani, scuotendo la testa. «Eh no, caro mio, ho promesso ad Alya che non mi sarei immischiato e poi la tua purezza d'animo mi diverte moltissimo!»
Adrien seguì l'amico attraverso il portone d'uscita della scuola ed intravide, come al solito, la macchina che suo padre lo costringeva a prendere ogni giorno per andare e tornare da scuola.
«Che vuoi dire? Non ignorarmi» esclamò all'amico che si stava già allontanando.
«Se tutto va bene, questo pomeriggio lo capirai da solo!» rispose l'altro, senza voltarsi.
Adrien storse il labbro, chiedendosi se il suo migliore amico lo stesse soltanto prendendo in giro o se, invece, davvero gli fosse sfuggito qualcosa.
La casa era vuota e silenziosa, come al solito.
Nathalie gli aveva detto che suo padre avrebbe lavorato tutto il giorno – sai che novità! – e che non sarebbe riuscito a partecipare all'inaugurazione. Non che la cosa lo sconvolgesse più di tanto, da sempre Gabriel Agreste declinava gli inviti mondani e, anche in casa, preferiva passare il tempo per conto suo, rintanato nello studio.
Adrien si diresse nella sua stanza, gettò di lato la borsa e si lasciò cadere sul letto.
«Ahhh, finalmente a casa!» esclamò Plagg, il suo kwami, uscendo dal taschino interno della camicia del ragazzo. «Avrò bisogno di una doppia razione di camembert per riprendermi da queste noiosissime lezioni.»
Il ragazzo sospirò rassegnato, aprì il cassetto del comodino ed estrasse quel formaggio puzzolente che il suo kwami tanto amava.
Plagg si tuffò sul suo cibo preferito e lo divorò in tre morsi, il che era incredibile se si pensava che la sua bocca non era più grande di qualche centimetro... a dirla tutta era straordinario, a modo suo.
Adrien si voltò verso la grande parete a vetri, osservando il cielo azzurro.
«Plagg, secondo te sono una brutta persona?» chiese ad un tratto.
Il kwami, intento a rovistare in giro alla ricerca di altro formaggio, si voltò a guardarlo. «Se ti riferisci alla tua mania di nascondere il camembert, si, sei terribile!»
Adrien lo guardò di sbieco. «No, è che nel profondo del cuore spero ogni giorno che qualcuno venga akumatizzato solo per vederla.»
«Non capisco davvero il bisogno di innamorarvi di voi umani... sembra una cosa così faticosa!»
«Lo è» rispose il ragazzo, «e a volte fa male e ci fa perdere il sonno ma non possiamo farne a meno.»
Plagg sbucò trionfante da uno dei cassetti della scrivania, con in mano un pezzo di formaggio. «Allora diciamo che l'amore è come il camembert!» esclamò.
Adrien sorrise, mettendosi su un lato e chiudendo gli occhi. «Si Plagg, probabilmente lo è.»


Qualcuno bussò, facendolo sobbalzare.
«Adrien» lo chiamò Nathalie da dietro la porta, «sono quasi le cinque, non dovresti andare all'inaugurazione?»
Cavoli, si era addormentato.
Si alzò stropicciandosi gli occhi. Si guardò intorno alla ricerca del cellulare che, in modalità silenziosa – aveva dimenticato di toglierla dopo la scuola – indicava sul display ben sedici chiamate perse da parte di Nino.
«Accidenti!» esclamò Adrien e, dopo aver mandato un messaggio all'amico avvertendolo che avrebbe ritardato, afferrò la borsa e corse attraverso l'enorme casa fino alla porta.
L'aria all'esterno era frizzante ma piacevole e il sole iniziava già a colorare il cielo di mille sfumature arancioni. Nonostante il ritardo non riuscì a fare a meno di soffermarsi per ammirare il gioco di luci che infuocavano le poche nuvole e i tetti di Parigi, quei tetti in cui tante volte si era trovato in compagnia di Ladybug.
Ad un tratto qualcosa attirò la sua attenzione. Inizialmente pensò che si trattasse di un uccello, forse un corvo visto il suo colorito scuro, ma no, era più piccolo e si muoveva diversamente... era una farfalla completamente nera ed era appena sbucata fuori da casa sua.
Il cuore prese a battergli all'impazzata.
Da dove veniva quella akuma? Che cosa ci faceva dentro casa sua? Da dove era uscita? Avrebbe dovuto seguirla ma il suo istinto gli diceva che di non farlo e di scoprire invece da dove era uscita.
Il telefono squillò nuovamente. Era Nino.
Adrien fu tentato di rispondere ma alla fine la curiosità ebbe la meglio.
«No,» disse, «devo vederci chiaro! Scusate ragazzi...»
Qualche secondo dopo un furtivo gatto nero si apprestava a risalire i muri della sua stessa casa.

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


«Che succede? Che fine ha fatto Adrien?» chiese Alya.
Erano all’interno del centro commerciale, dove un marasma di gente si era affollata per l’inaugurazione e per vedere Jagged Stone.
Nino guardò lo schermo del suo cellulare, sospirando. «Non risponde» disse infine, mesto.
«Prova di nuovo!» lo esortò Alya.
«Ho già provato mille volte!»
La ragazza sbuffò, dopodiché di voltò verso l’amica, poggiandole una mano sulla spalla. «Sono certa che starà arrivando.»
Marinette fece spallucce, guardando a terra con aria triste.  Era sempre così: ogni volta che ci provava le cose andavano male. Forse era una maledizione, forse era destinata a non stare con lui.
Un uomo corpulento le passò accanto con il cellulare attaccato all’orecchio e spintonandola per passare, senza neanche chiederle scusa.
«Ehi!» urlò Alya, sorreggendo l’amica.
«Senti un po’ Stone, noi abbiamo un contratto!» stava dicendo quello al cellulare.
Marinette si voltò, arrabbiata e fece per lamentarsi ma subito si accorse che quello era Bob Roth, il proprietario della casa discografica di Jagged Stone.
«Non m’interessa un fico secco dei tuoi problemi, io qui ci ho messo la faccia!» continuò ad urlare quello al cellulare, allontanandosi tra la folla.
«Ma che gli ha preso a quel tipo?» chiese Nino, avvicinandosi alle ragazze.
«È proprio un maleducato!» esclamò Alya. Si voltò verso l’amica con un sorriso. «Che ne dici di prenderci qualcosa al bar, nell’attesa del concerto?»
Nino annuì, sorridendo anche lui, ma Marinette era arrivata al limite.
«Scusate, torno subito!» disse e scappò in mezzo alla folla ala ricerca di un angolino tranquillo. Era triste, sentiva gli occhi pizzicare e sentiva il bisogno di stare da sola.
Vide i bagni del centro commerciale. Vi si infilò senza esitazioni, chiudendosi in uno dei cubicoli, lasciandosi scivolare sulle piastrelle candide e nascondendo il volto rigato di lacrime tra le mani.
Si sentiva una stupida per quella reazione esagerata, ma non riusciva a farne a meno. Continuava a pensare a tutte le volte che le cose erano andate storte, alla sua incapacità di riuscire a parlare con Adrien e al fato che continuava a giocarle brutti scherzi. E poi quell’uomo, che l’aveva spintonata e non le aveva neppure chiesto scusa… sapeva che era una stupidaggine, ma era stata la goccia che aveva fatto traboccare il vaso. Era solo una ragazzina invisibile e di cui nessuno si curava.
«Oh Marinette, non fare così dai» disse Tikki che, intanto, era sgusciata fuori dal suo nascondiglio all’interno della borsetta. «Sono certa che ci dev’essere un buon motivo per cui Adrien non sia venuto.»
«Mi sento una stupida» disse Marinette, singhiozzando «per quanto ci provi va sempre tutto storto… dovrei rinunciare e basta!»
Il kwami le accarezzò la guancia. «Non devi dire così. Tu e lui siete destinati a stare insieme, credimi!»
«Come fai a dirlo?»
Tikki esitò. Era stata incerta sul da farsi dopo il combattimento contro Gufo nero, quando aveva scoperto che sotto la maschera di Chat Noir si nascondeva Adrien. Una parte di lei avrebbe voluto rivelare a Marinette come stavano le cose ma aveva paura che Ladybug non sarebbe più riuscita a portare avanti il suo compito se avesse saputo, e la loro missione veniva prima di tutto.
Stava quasi per risponderle, quando delle grida attirarono la loro attenzione.
Marinette si asciugò gli occhi e con cautela uscì dai bagni per capire cosa stava accadendo. Quello che vide le fece strabuzzare gli occhi: sul palco allestito per il concerto vi era un uomo vestito in modo decisamente orrendo – aveva un completo viola e rosa e un paio di baffoni fuori moda – e utilizzava il cellulare che aveva in mano come una bacchetta, trasformando le persone in cantanti e musicisti dal dubbio talento.
«Venite tutti da Producteur e diventate le nuove stelle della musica!» stava urlando quell’invasato.
«È il signor Roth, è stato akumatizzato!» esclamò Marinette, «Tikki, trasformami!»
Il kwami non perse tempo, si fuse con gli orecchini di Marinette e in un attimo la trasformò in Ladybug.
«Ehi tu,» esclamò la ragazza, lanciandosi sul palco e frapponendosi tra Producteur e le persone, «non credi che scritturare gente a caso potrebbe danneggiare il tuo business?»
Quello si voltò verso la ragazza. «Scommetto che vuoi diventare una stella della musica anche tu!» sbraitò e tentò di colpirla con un raggio molto simile ad un fulmine che sbucò dalla punta del cellulare. Ladybug lo evitò con un salto e tentò di afferrare il braccio dell’uomo con la corda dello yo-yo. Le riuscì ma quello aveva una forza che non si era aspettata. Prese il filo con l’altra mano e iniziò a tirarla a se.
«Prenderò il tuo miraculous e poi andrò a cercare quello del tuo amichetto.»
Ladybug usò il corpo del suo yo-yo per colpire Producteur e libero il filo, dopodiché con un saltò gli andò alle spalle e corse nel dietro le quinte.
“Meglio allontanarlo dalla gente” si disse, poi pensò che effettivamente una mano non le avrebbe fatto male e provò a contattare Chat Noir.
«Ladybug? Stavo per chiamarti!» fece quello attraverso il trasmettitore. Stranamente stava bisbigliando.
«Chat, devi venire al centro commerciale, un uomo è stato akumatizzato!»
«No ascolta, devo dirti una…»
La chiamata s’interruppe.
Ladybug tentò invano di chiamarlo di nuovo, ma Chat Noir non rispose.
«Dannazione!» urlò la ragazza. “E va bene… vuol dire che farò tutto da sola, ma dopo mi sentirà quel gatto maledetto!”
Non poteva immaginare che da lì a poco il suo partner sarebbe scomparso misteriosamente.

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


Chat Noir si arrampicò sui muri dell’abitazione furtivo come… beh, come un gatto, ovviamente.
La casa era composta da piano terra, primo piano, secondo piano e mansarda. Sulla sua sommità vi era una cupola decorativa. Non aveva mai capito il motivo per cui suo padre l’aveva fatta costruire ma, grazie a quella, la villa dominava quella parte di Parigi, a pochi passi dalla torre Eiffel.
Chat Noir arrivò sul tetto, chiedendosi da dove fosse uscita l’akuma quando, proprio sulla cima della cupola, vide una cosa che non aveva mai notato prima: una strana finestra circolare, praticamente impossibile da vedere dal basso, il cui decoro ricordava tantissimo una farfalla.
Si arrampicò sempre più in alto, facendo attenzione a non fare il minimo rumore. Non poteva rischiare di farsi vedere così non si arrischiò a guardare all’interno, ma riuscì a sentire una voce che gli fece gelare il sangue.
«Producteur, sono Papillon…»
Il cuore di Chat Noir prese a battere a più non posso. Ad un tratto l’aria fresca del pomeriggio si fece gelida e lui avvertì un brivido corrergli lungo tutta la schiena.
Perché Papillon si trovava a casa sua? Era davvero quello il suo covo? Per tutto il tempo si era nascosto lì e lui non lo aveva minimamente sospettato. Ma allora…
I pezzi del puzzle iniziarono a ricomporsi nella sua testa ma nonostante tutto non voleva crederci. Doveva andare in fondo e mettere fine una volta per tutte a quella storia.
Si spostò verso la base della cupola, alla ricerca di un’entrata più discreta.
Arrivato sul fondo notò uno strano pilastro, di circa un metro di diametro, che all’interno sembrava cavo. Notò una botola giusto a pochi metri, che probabilmente lo avrebbe condotto all’interno. Rompere il lucchetto che la teneva chiusa fu un gioco da ragazzi grazie al cataclisma ma, proprio mentre stava per entrare, il suo bastone, che fungeva anche da cerca persone, prese a suonare.
«Ladybug, stavo per chiamarti!» fece lui, parlando a bassa voce mentre si arrampicava attraverso l’apertura.
«Chat, devi venire al centro commerciale, un uomo è stato akumatizzato!»
«No ascolta, devo dirti una…»
Non appena ebbe messo la testa all’interno della cupola il segnale s’interruppe.
“Fantastico, la recezione è pessima qui!” pensò. Avrebbe dovuto avvertire Ladybug prima – o uscire all’esterno e farlo in quel momento – ma non voleva rischiare di perdere l’occasione di un faccia a faccia con Papillon e poi, se fosse stato davvero chi credeva che fosse, preferiva parlargli da solo.
La cupola all’interno era immersa nella penombra. L’unica fonte di luce proveniva dall’enorme finestra che creava un sinistro gioco di luci e ombre. Tutt’intorno a loro svolazzavano decine e decine di farfalle candide, quasi brillanti quando i raggi del sole colpivano le loro ali.
In altre circostanze quello spettacolo avrebbe lasciato Chat Noir senza fiato, ma in quel momento l’unica cosa che attirava il suo sguardo era l’uomo che gli dava le spalle: Papillon era lì, davanti a lui, con un completo viola scuro, una maschera che gli copriva completamente il capo, e il viso illuminato da una sinistra luce violacea.
Allungò il bastone e si avvicinò il più silenziosamente possibile ma, non appena il suo piede fu entrato nel cerchio di luce, le farfalle intorno a Papillon presero ad agitarsi.
E tanti saluti all’effetto sorpresa.
“Poco male” pensò Chat Noir mentre Papillon si voltava. Si gettò con il bastone alzato sull’uomo con l’intento di colpirlo.
Per un istante fu sicuro di avercela fatta. Vide il volto stupito dell’avversario e si disse che non avrebbe potuto fare nulla ma Papillon si riprese immediatamente e alzò il suo bastone da passeggio, bloccando il colpo dell’altro.
«È finita Papillon, arrenditi!» urlò Chat Noir facendo forza nel tentativo di spezzare la guardia dell’avversario.
L’altro, con un movimento del braccio, respinse l’attacco, rimandandolo indietro. Di certo aveva una forza che non si era aspettato.
«Come hai fatto a trovare il mio covo?» domandò Papillon, gli occhi stretti e le mascelle serrate.
«Beh, sai, mi è bastato seguire le farfalle… non se ne vedono molte in questo periodo. Le compri all’ingrosso o ti arrivano per posta?» chiese Chat Noir, indicando gli insetti intorno.
Papillon riacquistò la sua postura rilassata, poggiando entrambe le mani sul bastone da passeggio e stampandosi in faccia un sorriso che irritò l’altro. «Sei stato bravo, gattino, ma hai lasciato indietro Ladybug a quanto pare. Pensi di farcela a sconfiggermi da solo?»
«Lei arriverà presto» mentì Chat Noir.
L’altro rise. «Non prendermi in giro. In questo momento la tua amica coccinella è impegnata con una delle mie akuma.»
Il ragazzo si mise in posizione di attacco. «Non mi serve il suo aiuto, per te basto io!»
Si lanciò nuovamente su Papillon, tentando di colpirlo, ma quello riusciva sempre a parare i suoi colpi.
Come se non bastasse sembrava che le farfalle tentassero di aiutare il loro padrone. Svolazzavano intorno a Chat Noir, confondendolo e coprendogli la vista. Fu per questo che non notò il colpo che gli arrivò all’addome, facendolo piegare in due dal dolore.
«Sei stato uno sciocco. Sei venuto con l’intento di battermi ma non hai fatto altro che portarmi spontaneamente il tuo miraculous!»
Papillon alzò il bastone, pronto al colpo finale, ma Chat fu più veloce, allungò la sua arma. L’altro schivò il colpo appena in tempo ma non riuscì ad evitare che la spilla che portava al collo venisse colpita, staccandosi dal bavero e finendo a terra, a svariati metri di distanza.
«No!» fu tutto quello che riuscì ad urlare Papillon un attimo prima di ritrasformarsi e concretizzare le paure di Chat Noir.
Gabriel Agreste guardò il suo miraculous, poi il suo avversario e cadde in ginocchio, poggiandosi le mani sulla faccia. «Non guardarmi, maledetto. Ti ucciderò per questo!» urlò.
Chat Noir cercò di rimettersi in piedi ma le gambe non volevano saperne di sorreggerlo. Aveva le mani tremanti e un rivolo di sudore gli colò lungo il collo.
«Papà… sei tu…»
Gabriel alzò occhi proprio mentre Chat Noir si toglieva l’anello e per un lungo minuto, nessuno dei due seppe cosa dire.

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***


Sconfiggere Producteur senza Chat Noir si rivelò più arduo del previsto.
Ladybug non si era mai davvero resa conto di quanto fondamentale fosse il supporto che il suo partner le dava nelle battaglie. Aveva sempre dato per scontata la sua presenza ma in quel momento, dopo ore di combattimenti e fughe, mentre con la fronte madida di sudore e il fiato corto liberava la akuma, capì per la prima volta che non avrebbe resistito a lungo senza di lui.
Ritrasformatasi, trovò Alya e Nino nascosti all’interno di un chiosco.
«Marinette, per fortuna stai bene!» urlò Alya saltandole al collo «Ero così preoccupata!»
«Ho aspettato nascosta nei bagni che Ladybug risolvesse la situazione» disse lei, tentando di sorridere.
«Beh, ho la sensazione che il concerto sia saltato» affermò Nino guardandosi intorno «che ne dite se vi riaccompagno a casa?»
Marinette guardò il sorriso della sua amica allargarsi mentre annuiva e pensò che, almeno loro, avrebbero ancora potuto rendere la loro giornata speciale. «Riaccompagna Alya» disse, «io credo che mi farò una passeggiata… e poi, casa mia non è distante.»
«Sei sicura?» chiese l’amica.
Marinette annuì, esibendo il suo miglior sorriso, dopodiché si allontanò prima che potessero dirle altro.
Il sole ormai era quasi tramontato e le strade iniziavano a svuotarsi mentre la gente rientrava a casa, dopo una lunga giornata di lavoro.
«Mi chiedo che fine abbia fatto Chat» disse, rivolta a Tikki che se ne stava ben nascosta all’interno della borsetta, gustandosi un macaron alla fragola.
Il kwami scosse la testa.
«È davvero strano, non mi aveva mai lasciata sola fin’ora! E poi, le cose che mi ha detto… chissà cosa c’era di così importante.»
Arrivò a casa e si gettò sul letto. Intorno a lei il viso di Adrien le ammiccava da ogni direzione, ricordandole che anche lui, quel giorno, le aveva dato buca.
«Devo avere una sorta di maledizione» esclamò, poggiandosi il cuscino sul viso.
«Non dire così» la consolò Tikki, «sono certa che domani Adrien ti darà una spiegazione riguardo a oggi.»
Marinette annuì. «E Chat?» chiese poi.
Tikki si morse il labbro. «Riguardo a questo…» iniziò.
«Marinette, è pronta la cena!» la chiamò sua madre dal piano di sotto.
La ragazza si alzò. «Ora devo andare. Ne parliamo dopo.»
Tikki sospirò.


Il giorno dopo Adrien non si presentò in classe.
Era una cosa davvero strana che lasciò tutti basiti. Fino a quel momento Adrien non era mai mancato alle lezioni, neanche una volta. Nino riferì a lei e ad Alya di avergli mandato dei messaggi la sera prima ma di non aver ricevuto risposta.
«Sicuramente suo padre ha ricominciato con la storia dello studio a casa. Forse ha saputo dell’incidente di ieri.» suppose Nino, durante il cambio dell’ora.
«Dovremmo andare a casa sua e vedere come sta» disse Marinette, che iniziava ad essere davvero preoccupata.
«Si, ma suo padre mi mette sempre a disagio» fece Nino, mesto «e poi ci servirebbe una scusa migliore del “Crediamo che lei lo stia tenendo in ostaggio”, non credete?»
Alya batté la mano sul banco, con aria trionfante. «Marinette, tu sei la nostra rappresentante di classe!»
«Si, e quindi?»
Alya si portò una mano sul viso, scuotendo la testa, come se fosse ovvio quello che intendeva. «E allora è compito tuo far avere i compiti per casa a chi non si presenta, giusto?»
«Alya ha ragione!» esclamò Nino «Potresti andare a casa sua in quanto rappresentante di classe e né Nathalie né suo padre potrebbero dirti nulla!»
Marinette spostò lo sguardo da Nino ad Alya e viceversa. «A me questa sembra solo una scusa per incastrarmi.»
Alya le passò un braccio intorno al collo. «Dai Marinette, sono certa che te la caverai!»
Sospirò. Anche a lei il signor Agreste incuteva sempre un certo timore ma, in fin dei conti, era davvero preoccupata. Alla fine si arrese. «E va bene» disse.

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Capitolo 6
*** Capitolo 6 ***


«Tu… t-tu non puoi… » balbettò Gabriel. C’era stato un tempo in cui aveva sospettato di suo figlio, ma si era detto che non fosse possibile, che si stava per forza sbagliando, e invece eccola lì, la prova che i suoi più grandi timori erano fondati.
Adrien sembrò ridestarsi, si mise in piedi e scosse la testa, guardando suo padre come se lo vedesse per la prima volta.
«Come hai potuto?» urlò il ragazzo, «Hai messo a ferro e fuoco tutta Parigi, non hai pensato alle persone che avresti potuto ferire, o peggio, uccidere?!»
Gabriel abbassò lo sguardo.
«Perché lo hai fatto?» continuò Adrien, mentre la rabbia iniziava a farsi strada dentro di lui sempre più forte «Sei solo un pazzo con manie di potere? Vuoi conquistare il mondo?»
Silenzio.
«Rispondi!»
«Devo riportarla indietro!» urlò Gabriel, battendo un pugno per terra. Aveva gli occhi lucidi e un’espressione talmente disperata che Adrien ne rimase spiazzato.
«Che vuoi dire? Chi?»
Gabriel si alzò proprio mentre una farfalla bianca entrava dalla finestra, svolazzando intorno all’uomo.
«Ladybug, c’è l’hai fatta di nuovo…» sussurrò tra sé e sé.
Adrien lo guardò confuso.
«E va bene» esclamò Gabriel, ritrovando in un attimo la sua compostezza «ricordi il viaggio in Tibet?» chiese.
«Quello in cui la mamma morì?» chiese il ragazzo.
Gabriel annuì. «Ero così entusiasta di partire. Tua madre, lei non voleva lasciarti a casa ma io la convinsi che un viaggio soli, io e lei, ci avrebbe fatto bene.» L’uomo si voltò verso la grande finestra.
«Arrivammo a Lhasa, la capitale, e da lì ci spostammo verso ovest, raggiungendo villaggi sempre più piccoli e sperduti. Cercavo l’ispirazione ed ero desideroso di avventure… che stupido.»
Adrien era sempre più confuso. Suo padre non gli aveva mai voluto rivelare i dettagli di quel viaggio, né come sua madre fosse morta. Ogni volta che aveva chiesto aveva ricevuto risposte evasive e imprecise. Perché glielo stava raccontando proprio adesso? A che scopo?
«Alla fine sentii di alcune rovine, in un luogo quasi inaccessibile sulle montagne. Non so dirti perché ma decisi che volevo vederle, ad ogni costo. La gente del luogo diceva che il tempio era maledetto e non trovammo nessuna guida disposta ad accompagnarci così prendemmo una mappa e ci avventurammo da soli.»
«Ma… perché?» chiese il ragazzo.
Gabriel sospirò. «Non lo so. Ci sentivamo vivi e credevamo che quella sarebbe stata un’avventura. Che fosse stato il fato a condurci lì. A ripensarci ora, siamo stati solo imprudenti.» Fece una pausa.
«Ad ogni modo, partimmo con le prime luci dell’alba e raggiungemmo le rovine nel pomeriggio. Nonostante fossero state quasi del tutto distrutte da un incendio, erano davvero magnifiche: il tempo e la devastazione non avevano intaccato la magia che si respirava in quel luogo. I pochi fregi e le pitture sopravvissute erano uniche e i colori vibravano come se fossero stati vivi.
Stavamo quasi per tornare quando un luccichio tra la neve attirò il mio sguardo. Mi avvicinai, spostai una trave con l’aiuto di tua madre e trovammo qualcosa che avrebbe cambiato la nostra vita per sempre…»
«Il libro» concluse Adrien, «quello che conservi nella cassaforte.»
Gabriel annuì. «Esatto, era lì, incredibilmente intatto, e lì, accanto ad esso, vi erano due oggetti ancora più spettacolari: le spille di una farfalla e di un pavone.» Gabriel si avvicinò al suo miraculous che giaceva a terra e fece per prenderlo.
«Fermo!» urlò Adrien, «Non toccarlo.»
Gabriel rimase fermo con la mano a pochi centimetri dalla sua spilla. «Pensi davvero che ti farei mai del male?» chiese, «Sei tutto ciò che mi è rimasto, Adrien.» disse, raccogliendo il suo miraculous. Il ragazzo rimase spiazzato dalle parole del padre e dal suo tono, quasi amorevole, tanto che non lo fermò.
«Rimanemmo svariati minuti a contemplare il tesoro che avevamo scoperto, indecisi se prenderlo o no. Io raccolsi il libro e iniziai a sfogliarlo, rapito da quelle immagini e quei colori e fu allora che qualcosa andò storto.» Strinse la spilla della farfalla nella mano. «Tua madre aveva appena sfiorato la spilla con il pavone che qualcosa, un essere mostruoso, nero come la notte e con gli occhi iniettati di sangue, uscì da quell’oggetto. Emise un suono spaventoso, che fece tremare la montagna intorno a noi e iniziò a lanciare fiamme che incendiarono i resti già semi distrutti del tempio. Volevo correre da lei, ma Emilie mi urlò di stare lontano, di scappare ed io, come uno stupido, esitai.
Ebbi appena il tempo di guardare tua madre negli occhi, di vedere la sua espressione. Mi disse di prendermi cura di te dopodiché svanì, risucchiata dalla spilla insieme al mostro.»
Adrien non riusciva a credere alle sue orecchie. Non riusciva a dire nulla, sconvolto da quelle rivelazioni.
Gabriel si voltò verso suo figlio. Sembrava più vecchio che mai. «Quando mi resi conto di quello che era successo era troppo tardi. Emilie non c’era più, le uniche cose rimaste erano le due spille e il libro.
Afferrai la spilla del pavone ma non reagì in alcun modo, poi afferrai quello della farfalla e, con mio enorme sgomento, apparve Nooroo.»
Dal miraculous che Gabriel aveva in mano fece capolino un kwami tutto viola, con delle ali di farfalla sulla schiena e una spirale sul capo. Svolazzò intorno a Gabriel per poi posizionarsi sulla sua spalla.
«Lui mi spiegò tutto sui miraculous, sul maleficio che gravava su quello del pavone e sui segreti che si celano dietro questi incredibili oggetti.Tornato a casa, senza Emilie e disperato, iniziai a studiare il libro e scoprii che ve ne erano altri e che chiunque avesse posseduto quello del gatto e della coccinella avrebbe potuto esprimere un desiderio… qualsiasi desiderio.»
Adrien osservò suo padre mentre si avvicinava e gli poggiava una mano sulla spalla.
«Adrien, capisci quello che intendo? Con il tuo miraculous e quello di Ladybug potremo far tornare indietro tua madre. Saremo di nuovo una famiglia.»
Adrien ci mise qualche secondo a metabolizzare quelle parole. «Ladybug non ti darà mai il suo miraculous spontaneamente» disse alla fine.
Gabriel sorrise.
«Con il tuo aiuto potrei farcela. Lei si fida di Chat Noir…»
Adrien allontanò la mano di suo padre con una manata, incredulo. «Mi stai chiedendo di tradirla?»
«Ti sto chiedendo di aiutarmi a salvare Emilie, tua madre! Non vuoi che torni da noi?!»
Adrien strinse i pugni. «Si, ma non a questo prezzo! Non puoi chiedermi una cosa del genere.»
«Perché t’importa tanto? Chi c’è dietro la maschera?» chiese Gabriel.
«Io…non lo so. Non abbiamo mai condiviso le nostre identità» disse Adrien, sulla difensiva.
Gabriel sbuffò, spazientito. «Quindi vorresti dirmi che questa ragazza di cui ignori qualsiasi cosa conta più della vita di tua madre?»
Adrien girò la testa di lato, tentando di mantenere la calma, anche se avvertiva il sangue pulsargli nelle tempie. «Non posso tradire la sua fiducia.»
Gabriel sospirò. Alzò la mano destra all’altezza della spalla, con il palmo rivolto verso l’alto e una farfalla vi si poggiò.
«Speravo che avresti capito» disse lui «che mi avresti aiutato.» Allungò il braccio e la farfalla prese il volo, avvicinandosi ad Adrien.
Il ragazzo la guardò volteggiare, mentre si accostava al suo viso.
Fu un attimo.
La farfalla di poggiò alla sua spalla e contemporaneamente Adrien avvertì un pizzico doloroso. Si portò la mano sul collo, scacciando la farfalla, ma ormai era tardi. Il corpo iniziò a intorpidirsi e, in men che non si dica, si ritrovò in ginocchio, a lottare per mantenersi cosciente.
Gabriel si avvicinò a lui. «Tranquillo, il veleno della mia farfalla ti farà dormire solo per qualche ora.»
Adrien guardò suo padre con odio, chiedendosi come aveva potuto, anche solo per un secondo, fidarsi di lui. Probabilmente, pensò, anche la storia che gli aveva raccontato era falsa.
«Non riuscirai a sconfiggere Ladybug» disse, mentre mille puntini gli offuscavano la vista. Gabriel afferrò la sua mano e gli sfilò l’anello, senza che lui potesse fare nulla per impedirlo.
«Vedremo come se la caverà senza il suo gattino» disse Gabriel proprio un attimo prima che Adrien perdesse i sensi.

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Capitolo 7
*** Capitolo 7 ***


  Villa Agreste metteva sempre in Marinette una certa soggezione: era davvero imponente, sopratutto se si pensava che a viverci erano solo indue. Doveva avere almeno una decina di camere tra stanze da letto, studi e salottini, e un ingresso che avrebbe potuto contenere comodamente la sua intera casa, pasticceria inclusa.

Ad aprirle la porta fu Nathalie, la segretaria del signor Agreste, che la squadrò da capo a piedi. «Serve qualcosa?» chiese la donna.
«S-sono una compagna di scuola di Adrien...» balbettò Marinette.
La segretaria la interruppe. «Al momento non può ricevere visite» disse.

Per un secondo Marinette fu tentata di desistere e andarsene, ma voleva davvero accertarsi che fosse tutto a posto. «Volevo soltanto lasciargli i compiti.»

«Non credo che sia il caso» concluse Nathalie, facendo il gesto dichiudere la porta.

Marinette, in uno scatto di coraggio che impressionò anche lei, bloccò la porta con un piede, impedendone la chiusura. «La prego...»

Forse fu l'espressione che aveva assunto, o forse il tono ma la segretaria sospirò e la fece entrare.

«Aspetta qui. Vedrò cosa posso fare» le disse, lasciandola da sola in mezzo alla sala d'ingresso.

Marinette attese per un tempo che le parve infinito. Reggeva il quaderno con i compiti stretto al petto quasi fosse un tesoro, chiedendosi perché ci mettessero tanto e se, a conti fatti, quella di presentarsi lì fosse stata una buona idea. Era appena giunta alla conclusione che no, non lo era stata, e che avrebbe fatto meglio a sgusciare fuori e sparire quando, dalla cima delle scale, apparve Adrien, seguito a ruota dal signor Agreste e Nathalie.

Il cuore di Marinette prese a battere. Non lo vedeva da meno di quarantotto ore ma le era mancato da morire e, in quel momento, sembrava più bello che mai, nonostante la sua espressione leggermente tirata.

Adrien scese le scale e si avvicinò a lei, che avvertì il solito nodo alla gola. «T-ti ho p-portato i compiti» balbettò, allungando il quaderno verso il ragazzo.

Adrien abbassò lo sguardo e Marinette si rese conto che qualcosa non andava. In quel preciso istante dimenticò tutto il suo imbarazzo. «È tutto ok?» chiese.

«Non penso ne avrò più bisogno» affermò il ragazzo, sospirando. Si voltò verso suo padre, dopodiché si rivolse nuovamente a lei «sono sopraggiunti degli impegni che mi terranno lontano da scuola per i prossimi tempi... ricomincerò a studiare a casa.»

«Oh» esclamò Marinette, con il cuore pesante come un macigno. Stava per abbassare il quaderno quando, con una mossa inaspettata, Adrien lo prese, sfiorandole le mani e facendola trasalire.

«In ogni caso, grazie davvero per essere passata» disse il ragazzo.

Marinette si affrettò ad allontanare le mani, imbarazzata. «Figurati» disse.

Adrien le sorrise, anche se i suoi occhi esprimevano una malinconia che Marinette non riuscì a non notare. «Per favore, salutami tutti escusati da parte mia se non potrò farmi sentire... sopratutto con Nino.»

Marinette annuì. Quelle parole resero tutto reale: Adrien non sarebbe tornato a scuola e probabilmente non si sarebbero più rivisti. Sentiva il cuore esploderle nel petto e aveva paura che, da un momento all'altro, sarebbe scoppiata a piangere. Si voltò e fece per andarsene, ma quando si trovò con la mano sulla maniglia si voltò. «Adrien» iniziò.

Il ragazzo alzò gli occhi e i loro sguardi s'incontrarono.

«Sono felice che tu stia bene, eravamo davvero preoccupati» disse lei con un sorriso triste, dopodiché uscì, richiudendosi la porta alle spalle.

Adrien sospirò, stringendo il quaderno con rabbia.

Gabriel scese le scale e si avvicinò a lui, poggiandogli una mano sulla spalla. «Hai fatto bene a seguire il mio consiglio» disse.

Adrien si spostò di scatto, allontanando la mano di suo padre da lui. «Minacciare di akumatizzare i miei amici non mi sembra un consiglio.»

Gabriel sospirò. «So che non è facile ma, credimi Adrien, lo sto facendo per noi. I miraculous hanno distrutto la nostra famiglia e i miraculous la salveranno, non importa quali saranno i sacrifici, riporterò indietro tua madre.»

Adrien si ritirò in camera sua. Si sentiva in trappola.

Suo padre gli aveva tolto l'anello e lo teneva chiuso in casa, con l'avvertimento che, se avesse tentato di scappare, i suoi amici ne avrebbero pagato le conseguenze.

Aprì il cassetto e vide un pezzo di camembert sopravvissuto alle grinfie avide di Plagg e, per la prima volta, si rese conto di quanto quel piccolo kwami pestifero gli mancasse. Era petulante, sarcastico ed estremamente irritante a volte, ma in casa era l'unico con cui potesse essere se stesso.

Sullo schermo del suo computer il volto di sua madre gli sorrideva.

E se tutto quello che aveva detto suo padre fosse stata la pura verità? Se esisteva un modo per riportarla indietro, anche a costo di fare cose terribili, lui l'avrebbe fatto?

La sua mancanza alcuni giorni era insopportabile, ma lo aveva sempre considerato un dolore inevitabile. Ora che sapeva di poter fare qualcosa per riabbracciarla il seme del dubbio si era insinuato dentro di lui.

Affondò la faccia tra le mani, poggiando i gomiti sulla scrivania e sfiorando il quaderno che Marinette gli aveva portato. Era davvero fantastica, pensò. Riusciva sempre a pensare agli altri ed era davvero gentile e premurosa.

Si alzò e si diresse al pianoforte che aveva in camera. Aveva passato tutta la vita a studiarlo e suonare lo rilassava e lo aiutava a pensare. Iniziò a sfiorare i tasti lasciandosi guidare dall'istinto e immergendosi nei suoni che produceva.

La finestra della sua camera era socchiusa e una leggera brezza entrava nella stanza.

Nella strada adiacente Marinette si chiese da dove provenisse quella musica così bella e malinconica al tempo stesso. 

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Capitolo 8
*** Capitolo 8 ***


Ventisei giorni. Li contava ancora.

Nonostante si fosse ripromesso di smetterla, il suo primo pensiero era quello.

Non aveva più sentito Marinette e con Nino aveva giusto scambiato qualche messaggio, per dissuaderlo dal venirlo a trovare.

Ogni giorno per Adrien era un supplizio, sopratutto perché Papillon, suo padre, aveva deciso di sfruttare la mancanza di Chat Noir a suo vantaggio e di akumatizzare più gente possibile, nel tentativo di recuperare il miraculous della coccinella.

Il telegiornale trasmetteva spesso le immagini di Ladybug e vederla lì, senza di lui, a combattere giorno dopo giorno, gli spezzava il cuore. Avrebbe dato qualsiasi cosa per aiutarla ma non poteva muoversi, ne andava della vita dei suoi amici.

Certi giorni Adrien non si alzava neppure dal letto ma non mancava mai di accendere la TV, perché per quanto potesse far male, sentiva di meritarselo...

Già, perché una piccola parte di lui, quella più infantile e pericolosa, voleva che Papillon ce la facesse. Voleva che riportasse indietro sua madre, a qualunque costo.

"Anche a costo di perdere Ladybug?" chiedeva a se stesso.

"Perché dovremmo rinunciare ad una o all'altra?" ribatteva.

"Perché Ladybug non si arrenderà mai e Papillon vuole il suo miraculous ad ogni costo."

Questi scambi di battute con se stesso potevano andare avanti per ore. Probabilmente stava impazzendo, si diceva.

Quel giorno il cielo era grigio e carico di pioggia. Adrien si alzò, si trascinò sotto la doccia e lasciò che l'acqua gli scorresse addosso. Aveva avuto l'ennesimo incubo, come se anche la sua testa non volesse dargli pace.

Dopo essersi rivestito si lasciò cadere sul divano e accese la TV sul canale delle news. L'orologio sullo schermo segnava quasi le due del pomeriggio e, sotto la conduttrice, una striscia di parole in rosso acceso scorreva senza sosta: Parigi di nuovo sotto attacco. Ladybug chiamata ancora una volta a farsi avanti.

Le immagini, riprese dal cameraman sul posto gli fecero balzare il cuore in gola: stavolta l'akumatizzata era una donna che sembrava lanciare addosso a Ladybug delle specie di enormi coltelli da macellaio. Un'inquadratura più stretta sul suo viso e Adrien si rese conto che si trattava della signora Césarie, la madre di Alya, che lavorava come cuoca nell'hotel Le Grand Paris.

Ladybug non se la passava granché bene. Si vedeva che era allo stremo e i suoi movimenti non erano fluidi e scattanti come al solito. Un coltello se passò pericolosamente vicino al viso e lei dovette ripiegare, allontanandosi dal cameraman e inseguita a ruota dalla akuma.

Adrien si alzò di scatto e uscì dalla camera. Attraversò i corridoi silenziosi a passo svelto e deciso e, senza neanche bussare, entrò nello studio del padre.

Nathalie si voltò a guardarlo. «Ciao Adrien, serve qualcosa?»

«Dov'è?» chiese lui, brusco.

«Tuo padre è impegnato» rispose lei, sistemandosi gli occhiali con un gesto elegante.

«Devo parlargli subito.»

«Ti ripeto che al momento lui non...»

«Digli che accetto. Convincerò Ladybug» la interruppe.

Nathalie rimase con la bocca socchiusa e un'espressione stupita, poi annuì.

Adrien attese nella sua stanza. Passarono solo pochi minuti prima che Gabriel bussasse alla sua porta, entrando subito dopo. «Nathalie mi ha detto che hai cambiato idea» iniziò.

Adrien annuì.

«E perché lo avresti fatto così, di punto in bianco?»

«Perché comunque vada alla fine sarai tu a vincere» ammise Adrien, «ma se posso evitare altre guerre inutili e riportare indietro la mamma, allora lo farò. Sempre meglio che stare qui ad aspettare.»

Gabriel annuì. «Ok, va da lei e portami il suo miraculous.»

«Non posso farlo nelle vesti di Adrien...» disse il ragazzo.

«Non crederai davvero che ti darò il miraculous.»

«Non c'è altro modo» affermò Adrien, guardando suo padre negli occhi, «io non rappresento nulla per Ladybug, ma lei si fida di Chat Noir.»

Gabriel lo guardò incerto se fidarsi o meno.

«Non capisci che sto tentando di fare la cosa giusta?!» sbottò. «Voglio solo evitare che qualcun altro si faccia male e aiutarti!»

Si scambiarono uno sguardo carico di significato, poi Gabriel, sospirando, mise una mano in tasca e tirò fuori l'anello.

"Plagg" pensò subito Adrien. Allungò la mano per prenderlo ma suo padre ritirò leggermente il braccio.

«Voglio fidarmi di te» lo ammonì, poi consegnò l'anello al figlio.

Adrien lo indossò, sentendosi di nuovo completo. Fece per superare suo padre, diretto alla finestra, pronto a trasformarsi.

«Adrien, un'ultima cosa» fece suo padre, «se lei non volesse consegnarti il miraculous, che farai?»

Adrien sospirò. «Le prenderò gli orecchini, in un modo o nell'altro, e farò tornare indietro la mamma.»

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Capitolo 9
*** Capitolo 9 ***


Le cose non si stavano mettendo affatto bene.

Madame Coteau, la madre di Alya akumatizzata, era veloce e i suoi coltelli erano davvero affilati. Era già da un po' che gli akuma di papillon si erano fatti più pericolosi e agguerriti e quella volta Ladybug sentiva che forse non ce l'avrebbe fatta... non da sola.

Si ritrovò a scappare attraverso i tetti, nascondendosi dietro i comignoli per non farsi vedere e avere un attimo di respiro. I muscoli le dolevano per lo sforzo e non riusciva a pensare lucidamente mentre la paura s'insinuava sempre di più dentro di lei.

Si arrampicò sull'ennesimo tetto.

«Dove sei coccinella? Hai esaurito la tua fortuna?» sentì dire a Madame Coteau, in lontananza.

La torre Eiffel si stagliava contro il cielo grigio proprio davanti a lei, oltre la Senna. Se fosse arrivata lì, pensò Ladybug, avrebbe avuto la possibilità di vedere l'arrivo della akuma dall'alto e, magari, sferrarle un attacco a sorpresa. Lanciò lo yo-yo e si librò in aria, proprio sopra il fiume.

«Pensavi di sfuggirmi?» sentì urlare alle sue spalle. Madame Coteau le lanciò tre coltelli correndo per raggiungerla.

Ladybug riuscì a schivare i primi due ma il terzo la colpì di striscio sul braccio destro, facendole perdere la presa e cadere sul ponte sotto di lei.

«Finalmente ti ho tarpato le ali... consegnami i tuoi orecchini adesso.»

«Mai!» urlò Ladybug poggiandosi alla balaustra.

«Perfetto,» ghignò l'altra, «vorrà dire che li prenderò al tuo cadavere!» Da sotto la giacca da cuoco tirò fuori un intero set di coltelli luccicanti, dall'aria letale.

Ladybug si guardò intorno. Si trovava nel bel mezzo del ponte, ferita e senza ripari. Il taglio sul braccio sanguinava copiosamente, nonostante la sua mano sinistra stretta sopra.

Sapeva che era un rischio, ma capì che la sua unica possibilità era di saltare. Con un movimento fulmineo si issò sopra la balaustra e si gettò di sotto, nella Senna.

L'acqua era gelida e scura e la corrente era molto più forte di quanto avesse immaginato, ma quest'ultima cosa giocò a suo vantaggio, trascinandola lontano in pochi secondi. Lei rimase sott'acqua più che poté, cercando di non pensare a tutte le malattie che poteva prendersi se solo avesse assaggiato un sorso di quell'acqua torbida. Quando non né poté più riaffiorò a galla ma il braccio iniziò a bruciarle.

Aveva perso troppo sangue, la vista si stava offuscando e l'acqua gelata le intorpidiva il corpo, impedendole di nuotare. Sentì che stava lentamente affondando ma il corpo non le rispondeva più.

Quindi era così che doveva finire? Sconfitta da un fiume e da un paio di coltelli? Forse la gente avrebbe pianto la sua assenza, o forse Chat Noir sarebbe riapparso, dal nulla, e avrebbe terminato il compito che lei non aveva saputo portare a termine... forse avrebbe difeso Parigi da solo...

Qualcosa la afferrò per la vita. Nella semi coscienza avvertì degli strattoni, poi una luce che si avvicinava e, finalmente, aria. Se ne riempì i polmoni mentre veniva adagiata sulla pietra fredda.

«Ladybug, rispondimi!»

Avrebbe voluto, ma non ci riusciva.

«Ti prego, svegliati!»

Pian piano sentì il corpo riprendere coscienza di sé, socchiuse gli occhi e vide il volto familiare di Chat Noir a pochi centimetri dal suo.

«Chat... sei tu?» chiese lei, in un sussurro.

Lui si allontanò di scatto, rosso in viso e completamente fradicio. «Non è come credi, pensavo che... t-tu non riuscissi... si insomma...»

Ladybug sentì qualcosa rompersi all'interno del suo petto. Come se tutta la frustrazione e la paura che avesse cercato di tenere a bada avessero rotto gli argini, crollandole addosso. Avvertì un nodo alla gola e le lacrime che le salivano agli occhi.

Si mise a sedere e gettò le braccia al collo di Chat Noir, affondando il viso sulla sua spalla e singhiozzando senza più freno.

«D-dove sei stato?!» balbettò. «Avevo p-paura che ti fosse accaduto qualcosa!»

Chat, dopo un attimo di stupore, le passo le braccia intorno alla vita, stingendola. «Scusa, Non volevo farti preoccupare.»

Lei si sciolse dall'abbraccio, asciugandosi gli occhi con il dorso della mano, poi gli sorrise. «Sono felice che tu sia qui» disse.

«Anche io» rispose lui. In quel momento si accorse del braccio della ragazza.

«È un brutto taglio, dobbiamo fare qualcosa» disse, guardandosi intorno.

Si trovavano in una banchina in cui erano attraccati i traghetti che portavano lungo il fiume i turisti. In giro non vi era nessuno in quel momento – probabilmente perché, dopo i disordini di quegli ultimi giorni, la polizia teneva la gente alla larga – e lungo il molo vi erano attraccate un paio di barche con le loro bandiere francesi svolazzanti.

Chat fece un salto e ne afferrò una, che utilizzò per fasciare con cura il braccio di Ladybug.

«Dove sei stato?» gli chiese lei.

L'altro ci mise qualche minuto a rispondere, fingendo di concentrarsi su un nodo. «Sono stato... trattenuto» disse infine.

«Da chi?» insistette lei.

«Problemi di famiglia.»

Era la prima volta che parlavano di cose tanto vicine alla loro sfera personale.

«Mi dispiace. Qualunque cosa sia successa spero che tu l'abbia risolta.»

Chat sospirò. Aveva finito di fasciarle il braccio e Ladybug ammirò il lavoro del suo partner. «Wow, ci sai fare con...»

Non terminò la frase. Quando alzò lo sguardo Chat Noir aveva un'espressione dura e seria che non gli si addiceva per nulla.

«Tutto ok?» chiese lei.

«Ladybug, devo chiederti un favore» iniziò, alzando le braccia e avvicinando le mani al suo viso.

Era magnifica, come sempre. I suoi occhi, ancora rossi dopo il pianto, erano luccicanti come gli orecchini che indossava. Gli stessi orecchini che avrebbero riportato indietro sua madre, il pezzo mancante...

Lei gli sorrise. Si fidava ciecamente di lui, tanto da non sospettare nulla.

Chat Noir sospirò, dopodiché le mise le mani sulle spalle.

«Devi scappare.»

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Capitolo 10
*** Capitolo 10 ***


«È proprio quello che ho fatto poco fa» disse Ladybug.

«No, non dalla akuma. Devi andartene da Parigi!»

Ladybug sorrise incerta, chiedendosi se si trattasse di uno scherzo, ma l'espressione dell'altro non dava adito a dubbi.

«Non puoi dire sul serio» sbottò Ladybug alzandosi, «la città ha bisogno di me.»

Chat si alzò a sua volta. «Papillon ti sta cercando... non si arrenderà finché non ti avrà stanata.»

«È un rischio che abbiamo sempre accettato, lo sai anche tu.»

«Adesso è diverso» esclamò il ragazzo, disperato «è disposto a tutto pur di avere il tuo miraculous. Devi pensare a te stessa e andare via.»

«Non abbandonerò Parigi!» disse Ladybug alzando la voce.

«Non potrai salvare la città se morirai!»

«Perché ti preoccupi così tanto?»

«Perché non voglio perdere anche te!» urlò Chat in preda alla frustrazione.

I due ragazzi si guardarono negli occhi. Chat Noir aveva il volto corrucciato e respirava affannosamente. «Ho già perso qualcuno, non potrei sopportare che accadesse di nuovo.»

«Chat...»

«Ti prego,» la interruppe lui, «per una volta ascolta il mio consiglio.»

Ladybug si voltò, osservando i tetti di Parigi intorno a lei. Una leggera pioggerellina aveva iniziato a picchettare sulla città, conferendole un aspetto malinconico ma pur sempre bellissimo. «Va bene» disse infine, voltandosi verso il ragazzo, «farò come dici tu, ma prima dobbiamo passare in un posto.»

«Ovvero?»

«Beh, si tratta di...»

Un suono fece drizzare le orecchie al felino che, in un lampo, si gettò sulla ragazza, allontanandola dal punto in cui si trovava giusto un secondo prima che una miriade di coltelli si piantasse a terra.

«Pensavi di sfuggirmi così facilmente?» esclamò Madame Coteau, avvicinandosi.

Chat Noir si frappose tra i due, estraendo il bastone.

«Che stai facendo?» esclamò la donna confusa, «Papillon aveva detto che tu...»

«Papillon si sbagliava» la interruppe il ragazzo, «non ti permetterò di farle del male!»

Madame Coteau lo guardò spaesata e lui ne approfittò per colpirla. La donna non reagì ma rimase in piedi con lo sguardo nel vuoto, come se fosse in trance. La sua immagine iniziò a tremolare e scomporsi, come se la akuma non riuscisse più a tenere sotto controllo l'akumatizzata. Madame Coteau cadde in ginocchio proprio mentre la farfalla nera abbandonava il coltello della signora Césaire, liberandola.

Ladybug stava quasi per utilizzare lo yo-yo e liberarla ma la farfalla cadde a terra e si sgretolò.

«Ma che diavolo...?» esclamò la ragazza, confusa.

Chat Noir, altrettanto sconvolto, prese la mano dell'amica. «Sarà meglio andare, Papillon non ci metterà molto a trovarci.»

Ladybug annuì. «Seguimi» disse, e un attimo dopo entrambi volteggiavano tra i tetti bagnati della città.


 

«No!» urlò Papillon, inginocchiato a terra, mentre picchiava con il pugno sul pavimento del suo covo. Adrien lo aveva tradito, si era preso gioco di lui e la rabbia gli aveva fatto perdere il controllo sull'akuma.

La frustrazione per quel tradimento gli bruciava in corpo, quasi fosse un dolore fisico e, per quanto ci provasse, non riusciva ad accettare che suo figlio si fosse schierato contro di lui, anche a costo di perdere sua madre per sempre.

«Emilie...» sibilò l'uomo tra i denti. Un suono alle sue spalle lo avvertì che qualcuno era entrato nel suo covo. Si voltò pronto a combattere ma si rese conto che si trattava di Nathalie.

Papillon si alzò e tentò di ritrovare la sua compostezza. «Sai benissimo che non ti è permesso entrare qui.»

Nathalie abbassò lo sguardo e annuì.

«Quindi spero che stavolta sia davvero importante!»

«Signore ho sentito le sue urla» esordì la donna, avvicinandosi di qualche passo, «Chat Noir, Adrien... lui ha...?»

«Quel ragazzo manderà tutto a monte» ammise lui, stringendo i pugni.

Nathalie si avvicinò ancora, guardando il suo capo con occhi tristi. «La prego, mi dia la possibilità di aiutarla!» esclamò. «So di potercela fare... non la deluderò!»

Papillon la guardò indeciso. «Tu non sai quello che chiedi...»

«Si invece!» obbiettò lei «Mi lasci tentare, sarò all'altezza, glielo giuro!»

Vista la reticenza dell'uomo, Nathalie gli poggiò una mano sul braccio. «Ti prego Gabriel, voglio solo riportare a casa Emilie...»

Erano anni che Nathalie non gli parlava così. Quelle parole lo riportarono indietro, quando erano ancora solo dei ragazzi e frequentavano l'università.

Nathalie e Emilie erano davvero legate e, anche quando lui e Emilie si fidanzarono, la loro amicizia non fu intaccata. Tutti e tre diventarono inseparabili, tanto che era stata proprio Nathalie a occuparsi di Adrien durante quell'ultimo viaggio.

Al suo ritorno avrebbe voluto tenere tutto per se, non disse nulla neppure a suo figlio, ma a Nathalie non seppe mentire.

«Ti aiuterò» aveva detto quella senza esitazioni, asciugandosi le lacrime.

Gabriel aveva scosso la testa. «È pericoloso e poi, se la stampa e la polizia ti vedesse così vicina a me, passeremmo tutti e due dei guai. Si potrebbe pensare che avevamo organizzato tutto sin dall'inizio!»

«No, non succederà» aveva esclamato Nathalie, «Io sarò la tua... no anzi, sarò la vostra segretaria, Signor Agreste. Manterremo un atteggiamento professionale e distaccato e intanto l'aiuterò a riportare Emilie a casa.»

Così era iniziato tutto.

Papillon sospirò. Alzò la mano destra e una farfalla candida vi si posò, diventando nera.

«E va bene, piccola akuma, è giunto il tuo momento...»

La farfalla volò fino al petto di Nathalie, oscurandole letteralmente il cuore.

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Capitolo 11
*** Capitolo 11 ***


«Dove stiamo andando?» chiese Chat Noir, mentre Ladybug saltava con fare sicuro da un tetto all'altro.

Lei non rispose, intenta ad individuare la finestra giusta. alla fine vide il piccolo balconcino con i gerani rossi e fece segno all'altro di seguirla. Dovette bussare un paio di volte, tanto che per un attimo si chiese se ci fosse qualcuno in casa, poi il vecchio aprì le imposte.

«Ladybug, che ci fai qui?» chiese mentre i due si accomodavano. «E perché c'è anche Chat Noir?»

«Lei mi conosce?» chiese il ragazzo.

Il vecchio dai tratti orientali si limitò a sorridergli, dopodiché si sedette sulle stole vicino al lettino in cui solitamente eseguiva i massaggi e invitò gli altri due a fare lo stesso.

«Lui è il maestro Fu,» iniziò a spiegare Ladybug «guardiano dei miraculous e, credo, l'unico a conoscere entrambe le nostre identità segrete.»

Chat Noir spostò lo sguardo da Ladybug al vecchio e viceversa. Fu come un fulmine, non appena ricordò di quel primo giorno di scuola. «Lei... lei era...!»

Maestro Fu lo interruppe. «Non serve aggiungere altro, Chat Noir» disse. «Tutto quello che ha detto Ladybug è vero. Quello che non capisco è che cosa ci fate qui.»

«Abbiamo bisogno di aiuto» esordì Ladybug. «Chat mi ha detto di fuggire ma non posso lasciare la città sapendo che lui dovrà combattere da solo... ho bisogno di richiamare Rena Rouge, Queen Bee e Carapace!»

Ladybug sapeva che era un rischio. Li aveva chiamati solo individualmente e aveva esitato fino a quel momento perché sapeva chi si nascondeva dietro le loro maschere e non voleva metterli in pericolo, ma non c'era altro da fare ed era certa che quei tre, guidati da Chat Noir, avrebbero tenuto a bada ogni akuma, nonostante...

«Se te ne andrai chi libererà le akuma? Sai che sei l'unica con il potere di farlo» l'anticipò maestro Fu, come se le avesse letto nel pensiero.

«Non importa» s'intromise Chat Noir «ce la caveremo, quello che conta è che lei fugga prima che... che...»

Ladybug si voltò a guardarlo. «Che cosa?» chiese. «Cosa accadrà se resto qui?»

Chat Noir strinse i pugni. come poteva dire quello che sapeva?

«Ho trovato il covo di Papillon, sono stato catturato e lui mi ha rivelato i suoi piani» disse infine, sospirando. «Vuole i nostri miraculous perché, a quanto pare, chi li possiede potrà esprimere un desiderio.»

Ladybug lo guardò con occhi spalancati. «Papillon ti ha catturato?!» chiese, sconvolta. «Mi avevi detto che avevi avuto dei problemi familiari!»

Chat abbassò lo sguardo, torcendosi le dita.

«Come sei riuscito a sfuggirgli?» lo incalzò lei.

«L'ho ingannato... gli ho fatto credere che avrei collaborato per prendere i tuoi orecchini.»

«E lui ci ha creduto?» s'intromise maestro Fu, guardandolo dritto in faccia.

Chat annuì , mantenendo lo sguardo basso.

«Mmm» mugugnò Ladybug, sfiorandosi il mento «questa storia non mi convince, ma comunque, che razza di desiderio potrebbe mai esprimere un tipo come Papillon?» Si voltò verso il ragazzo.

«Vuole far tornare indietro qualcuno» si limitò a rispondere lui.

Maestro Fu si alzò, avvicinandosi al grammofono posto alla parete in fondo alla stanza, su un mobile in stile orientale. «Se le cose stanno così non posso far altro che aiutarvi» disse.

Dopo aver pigiato alcuni tasti sul grammofono, quello si aprì, rivelando una scatola ottagonale in mogano, intarsiata con motivi orientali. Maestro Fu la portò dai ragazzi e l'aprì, mostrando loro i miraculous contenuti all'interno.

Chat Noir notò che oltre agli scomparti per la coccinella, il gatto e la farfalla, vi era anche quello dove, un tempo, doveva essere stato custodito quello del pavone. «Come ha fatto Papillon ad entrare in possesso del miraculous della farfalla?» chiese «E che fine ha fatto quello del pavone?»

«Come ho già detto a Ladybug, ho perso entrambi i miraculous tanti anni fa» disse quello.

«Si, ma come? Che cosa è successo?»

Maestro Fu piegò la testa di lato, osservando la scatola, malinconico. «E una storia lunga e triste.»

«La prego» insisté il ragazzo «potrebbe essere importante.»

«Beh, sapevo che prima o poi sarebbe arrivato questo giorno» sospirò il vecchio. Si alzò e si diresse alla finestra, portando le mani dietro la schiena e perdendosi nei ricordi.

«È una storia che risale a tanti, tantissimi anni fa, quando ero ancora soltanto un ragazzino. Vivevo in un paese lontano da qui e, come molti altri bambini, ero solo un orfano che tirava avanti come poteva. fu all'età di appena sei anni che un gruppo di monaci mi prese con sé, portandomi nel loro tempio tra le vette innevate poco distanti dal monte Everest, in Tibet, e fecero di me un iniziato.»

Al sentire nominare il Tibet, il cuore di Chat Noir prese a battere più velocemente.

«Quei monaci, come mi spiegarono in seguito, facevano parte dell'antichissimo ordine dei guardiani, un gruppo di maestri incaricati di proteggere i miraculous, gli antichissimi manufatti creati da un potente mago.

Studiai e mi allenai per anni, imparando a governare i poteri dei miraculous e a rispettare la magia che essi racchiudevano. A diciotto anni, come i miei fratelli, feci il rito di passaggio e diventai un maestro. Avrei dovuto vegliare con saggezza sui manufatti dei miei antenati, ma ero giovane, dotato, e il solo pensiero di finire i miei giorni come uno dei tanti membri anonimi dell'ordine mi inorridiva.

Avevo studiato gli antichi testi per anni, aiutato da una persona a me molto cara. Gli stessi testi che quel mago aveva utilizzato per creare i miraculous, e sentivo che avrei potuto superarlo. Volevo creare il miraculous più potente che fosse mai esistito.»

I due ragazzi si scambiarono uno sguardo carico di significato. Stavano davvero ascoltando la storia dei loro miraculous ed era affascinante e spaventosa al tempo stesso.

«Una notte, infine, andai di nascosto nella stanza dei riti e iniziai ad evocare il kwami che mi avrebbe condotto alla grandezza. Come uno sciocco volli cimentarmi in un'impresa che andava ben oltre la portata di chiunque e, come risultato, evocai l'essere più terrificante che avessi mai visto: uno yaogui.»

«Che cosa è?» chiese Ladybug.

«Un demone» rispose il maestro Fu, voltandosi. «Un essere malevolo il cui solo scopo è quello di raggiungere l'immortalità, cibandosi degli esseri viventi.»

La ragazza si pentì di averlo chiesto. Era spaventoso.

«Cosa successe dopo?» domandò a quel punto Chat Noir.

«Spaventato, tentai di racchiuderlo nell'oggetto che avevo destinato al miraculous, ma quello si ruppe. Non mi ero preoccupato più di tanto di trovare un involucro adatto. Pensavo che sarebbe andata bene qualsiasi cosa. Avevo preso sottogamba l'importanza del monile e, in quel momento, mi resi conto che l'unico modo per intrappolarlo era...»

«Utilizzare un oggetto creato dal mago» concluse Chat Noir.

Maestro Fu annuì, stupito dall'acume del ragazzo. «Corsi fino alla sala dei tesori, mentre lo yaogui iniziava a dare fuoco al tempio, cambiando forma in esseri sempre più grandi e raccapriccianti, man mano che si cibava dei miei fratelli.

Quando finalmente arrivai nella sala, aprii la scatola e scelsi il miraculous del pavone, perché è il simbolo della vita e della positività, e di certo era il più adatto di tutti.

Grazie al libro riuscii a formulare il rito per esprimere il desiderio. Servendomi del miraculous del gatto e della coccinella intrappolai quella bestia immonda insieme al kwami del pavone. Non appena lo feci l'onda d'urto mi scagliò lontano, facendomi perdere i sensi... al mio risveglio la scatola giaceva accanto a me aperta, ma il miraculous della farfalla e quello del pavone erano finiti chissà dove, insieme al libro, e dei miei fratelli non era rimasto più nient'altro che il ricordo... non mi soffermai a indagare oltre. Presi il libro e la scatola e, spaventato, fuggii.»

Chat noir si alzò in piedi. Tremava dalla rabbia.

Maestro Fu ebbe appena il tempo di alzare lo sguardo che il ragazzo gli si scagliò addosso, piantandogli gli artigli sulle spalle e inchiodandolo al muro.

«Chat ma che ti prende?!» urlò Ladybug scattando in piedi, spaventata.

«Sei stato tu!» urlò lui «Tutto questo è successo solo a causa tua!»

Aveva voglia di colpire quel vecchio, di sfogare la rabbia che provava e che lo stava logorando dall'interno. Quel miraculous era stato maledetto, sua madre ne aveva pagato le conseguenze e adesso aveva davanti la persona che aveva causato tutto quel dolore.

Ladybug si avvicinò a lui, mettendogli una mano sulla spalla ma Chat Noir, cieco di rabbia, l'allontanò con una manata, facendola cadere.

«Per colpa tua... è stato solo per causa tua... lei...» Chat non riusciva quasi a parlare. Sentiva che fra qualche attimo sarebbe esploso.

«Mi dispiace, so di aver sbagliato» disse maestro Fu. Il suo volto era più vecchio e rugoso che mai, e i suoi occhi lucidi esprimevano un profondo dolore. «Li ho visti morire tutti. Non mi è rimasto più nessuno e, come se non bastasse, ho condannato me stesso.»

«Che vuoi dire?» chiese il ragazzo, senza allentare la presa.

«Il potere dei vostri due miraculous può essere attivato una sola volta per ogni persona e, ogni desidero, ha un costo. La bilancia deve restare in equilibrio così, quando desiderai che quel demone, portatore di morte, rimanesse intrappolato nel miraculous, intrappolai la mia anima a questo corpo.»

Ladybug si rimise in piedi, guardando maestro Fu con occhi del tutto nuovi. «Vuol dire che...?»

«Non mi è concesso morire... sono quasi duecento anni che vago in questo mondo per espiare le mie colpe.»

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Capitolo 12
*** Capitolo 12 ***


«Vuol dire che lei è immortale?» chiese Ladybug.

«Posso essere ucciso, ovviamente, ma non posso morire di cause naturali e non posso uccidermi volontariamente.»

Chat Noir lasciò andare maestro Fu, scivolando in ginocchio. Si sentiva svuotato da tutta la rabbia e adesso provava solo un profondo senso di vuoto. Quel vecchio aveva già pagato abbastanza per i suoi errori e, oltretutto, stava tentando di porvi rimedio.

Ladybug si avvicinò al ragazzo, posando una mano sulla spalla. «Chat… tutto bene?»

Lui poggiò la mano su quella di lei, senza voltarsi. Si sentiva in colpa per come si era comportato e per aver riversato la collera su di lei.

Per un attimo rimasero fermi in quella posizione, poi, con un gesto inaspettato, Ladybug lo avvolse in un abbraccio.

Chat Noir rimase senza fiato e il suo cuore saltò più un battito.

«Non so cosa sia successo» iniziò lei, stringendolo a se «ma sappi che io sono qui… insieme supereremo tutto.»

Chat deglutì annuendo, incapace di proferire parola. Avvertiva il respiro di lei sul collo e il suo buon profumo lo inebriava a tal punto che, ne era certo, sarebbe potuto rimanere tra quelle braccia confortanti per sempre.

Maestro Fu tossicchiò e Ladybug, resasi conto della situazione, si allontanò di scatto dall’amico.

Mentre lei e il vecchio si avvicinavano alla scatola contenente i miraculous, Chat Noir si mise in piedi, ancora frastornato da quello che era appena successo. Aveva il corpo intorpidito e sentiva un leggero fruscio fastidioso e sempre più persistente. Si toccò le orecchie, nel tentativo di scacciarlo, ma si rese conto che quel suono proveniva effettivamente da qualche parte. Si voltò verso il balcone.

Con uno scatto felino si lanciò su Ladybug e sul maestro, gettandoli a terra proprio un attimo prima che la porta a vetri venisse sfondata con un rombo assordante, mentre vetri e schegge di legno si riversavano nella stanza.

«Ma che diavolo…?» iniziò Ladybug ma un secondo dopo rimase paralizzata dall’aspetto dell’essere che aveva appena fatto il suo ingresso: era una figura sinuosa, dalle forme femminili. Aveva gli arti decisamente troppo lunghi rispetto al corpo, con un abito le cui maniche e coda ricordavano inequivocabilmente una farfalla viola e nera, identiche alle ali – vere e proprie – che aveva sulla schiena e che si muovevano in modo quasi ipnotico. Dalle spalle partivano due lunghe antenne, ma la cosa più inquietante era il viso, nascosto completamente da una maschera che sembrava fatta di gesso, bianca e liscia, con due sottili fessure per gli occhi come unico segno distintivo. All’altezza della vita vi era una farfalla identica a quelle di Papillon.

«Una akuma?!» esclamò Ladybug, impallidendo.

«Sì, ma è diversa dalle altre!»  affermò Chat Noir, scrollandosi di dosso diverse schegge di vetro.

In effetti quell’essere era diverso da quelli che erano soliti combattere: era silenzioso, non parlava – e, in effetti, come avrebbe potuto, essendo privo di bocca? – ma, sopratutto, non sembrava avere alcun oggetto che potesse essere stato akumatizzato.

«Quel pazzo, l’ha fatto davvero» esclamò inorridito maestro Fu, tra i denti.

I due ragazzi si voltarono a guardarlo, confusi.

«Il miraculous della farfalla solitamente deposita il suo potere in degli oggetti» spiegò il vecchio «in modo che questi diano il loro potere al portatore. Tuttavia è possibile anche andare oltre, akumatizzando il cuore. È una cosa che dona al portatore un potere incredibile ma…»

Non servì che terminasse la frase, il concetto era chiarissimo.

L’akuma alzò il braccio destro e creò un’onda d’urto che distrusse metà del mobilio della casa e mandò i tre a sbattere contro la parete opposta.

«Come possiamo sconfiggerla? Dovremmo spezzarle il cuore?» chiese Ladybug, rimettendosi in piedi.

«Magari potrei dirle che la nostra relazione non può funzionare… ha l’aria di essere una mia fan» scherzò Chat Noir.

Ladybug scosse la testa. Come poteva fare delle battute in un momento simile?!

I due ragazzi tentarono di avvicinarsi all’akuma ma quella, oltre che volare, aveva una forza incredibile, tanto che le bastarono due manate ben assestate per gettarli al tappeto.

Maestro Fu intanto si era rimesso in piedi. Teneva stretta tra le braccia la scatola con i miraculous. La porse a Ladybug che, confusa, la prese, rialzandosi.

«Dovete andare» disse il vecchio, deciso.

«Cosa? No!» esclamò la ragazza «È troppo pericoloso!»

«Ladybug ha ragione» le diede manforte Chat Noir «non la lasceremo qui.»

«Invece si» obbiettò maestro Fu, «Il vostro complito è proteggere i miraculous. Non lasciate che cadano in mani sbagliate.»

«Ma… lei morirà!»

Quello sorrise. «Non preoccuparti, ho qualche asso nella manica e comunque vada ho già vissuto abbastanza.»

Ladybug stava per obbiettare nuovamente mentre l’akuma stava già tornando all’attacco.

Chat Noir sospirò. Il maestro Fu aveva ragione, dovevano difendere i miraculous. Afferrò il braccio libero di Ladybug e la trascinò verso la porta, ignorando le sue proteste.

L’akuma tentò di seguirli ma il vecchio vi si parò davanti. «Sono io il tuo avversario» disse, sapendo che molto probabilmente non sarebbe sopravvissuto.

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Capitolo 13
*** Capitolo 13 ***


Corsero giù per le scale e poi in strada.

Chat Noir continuava a trascinare Ladybug senza osare fermarsi, mentre lei arrancava alle sue spalle, stringendo la scatola con un braccio solo.

Superarono tre isolati e svoltarono in molti incroci prima che Chat Noir, con il fiatone, decretasse che quel posto – una stradina senza via d'uscita, nascosta tra due enormi palazzi – fosse un luogo abbastanza riparato da permettere una sosta.

Non appena si fermarono Ladybug si liberò dalla presa. «Perché l'hai fatto?» urlò amareggiata. Aveva gli occhi lucidi e il volto arrossato dalla corsa.

«Non c'era altro modo. Non potevamo sconfiggerla.»

«Neanche lui potrà. Finirà con il farsi ammazzare!» esclamò lei, sempre più agitata. «Dobbiamo tornare indietro.» Fece per andare ma Chat Noir le afferrò il polso.

Ladybug si voltò, pronta a reagire ma si rese conto che l'altro stava letteralmente tremando di rabbia.

«So come ti senti» disse il ragazzo, «ma non possiamo fare nulla. Se torniamo indietro finiremo solo per mettere in pericolo noi stessi e tutta Parigi... i miraculous devono restare al sicuro.»

Ladybug sembrò sul punto di dire qualcosa, ma alla fine scivolò in ginocchio e tutta la frustrazione e l'impotenza che provava le crollarono addosso. «Non è giusto» disse piangendo, senza riuscire a trattenersi «se non possiamo combattere a che servono i nostri poteri? Che razza di supereroi siamo?!»

«Non dire così» replicò Chat Noir, «tu sei fantastica, non dovresti lasciarti abbattere.»

Ladybug sbuffò.

«Dico sul serio! Non importa quanto le cose si mettano male, sei sempre pronta a lottare e a difendere tutti, sei altruista e riesci sempre a trovare il modo di tirarci fuori dai guai!» Senza essersene reso conto Chat Noir aveva alzato la voce. Non appena realizzò di aver davvero detto quelle parole a voce alta sentì l'agitazione farsi strada dentro di lui. «Insomma» disse alla fine, grattandosi la testa, evitando di guardarla «quello che volevo dirti è che sei incredibile... chiunque sia il ragazzo a cui tieni, è davvero fortunato.»

Ladybug si asciugò gli occhi e, guardando l'amico, sorrise debolmente. «Grazie» disse. Si mise in piedi, reggendo la scatola tra le dita.

Chat Noir le andò vicina, poggiandole le mani sulle spalle. «Hai detto tu che qualsiasi cosa la supereremo insieme no?»

Ladybug annuì.

«Bene!» esclamò a quel punto il ragazzo, strofinandosi le mani e guardandosi intorno. «Non ci resta che trovare un posto tranquillo dove organizzare una contromossa e...»

«Chat...»

Lui si voltò.

«L'ultima volta che ci siamo visti ti avevo promesso che ti avrei detto il nome di quel ragazzo. So che è stupido ma vorrei dirtelo comunque.»

Chat Noir rimase in silenzio. Quello era il momento che aveva temuto e aspettato. Non appena lei avesse detto quel nome tutto sarebbe diventato reale. Non avrebbe più potuto fingere che quel ragazzo – quell'idiota – non esistesse... il suo rivale avrebbe avuto un nome e un volto e a lui sarebbe toccato farsi da parte.

Ladybug strinse i pugni e prese fiato. Avrebbe detto tutto una volta per tutte.

«Il suo nome è A...»

Non riuscì a continuare. Si disse che era una stupida a fermarsi in quel modo, almeno finché non si rese conto che non era la paura a bloccarla ma qualcos'altro e che, quel qualcos'altro, aveva bloccato anche Chat Noir.

Dall'alto calò silenziosa l'akuma, con le sue ali cangianti che lanciavano spore sottoforma di una lieve polverina nell'aria.

Erano stati paralizzati.

L'akuma reggeva in uno dei suoi artigli il maestro Fu, privo di sensi, o almeno, così sperò la ragazza.

La donna-farfalla poggiò i piedi a terra, lasciò cadere il vecchio e si avvicinò a Ladybug. Lei vide Chat Noir tentare di muoversi ma la cosa gli risultò impossibile.

La donna allungò la mano verso gli orecchini quando una voce la bloccò.

"Ferma" disse Papillon, "Portali qui. Stavolta me ne occuperò personalmente."

Quella annuì. Afferrò tutte tre le sue prede senza nessuno sforzo apparente e, con uno scatto delle ali, spiccò il volo.

La città dall'alto sembrava deserta. Nonostante la pioggia avesse smesso di battere da un po' il cielo era ancora grigio e i tetti e le strade rilucevano a causa dell'acqua, donando a Parigi un'aria quasi eterea.

Ladybug, che suo malgrado reggeva ancora la scatola in mogano, si chiese dove si stessero dirigendo. Superarono la torre Eiffel, dove tante volte lei e Chat Noir avevano combattuto e si avvicinarono a quella che, riconobbe al volo, era casa di Adrien.

Come poteva essere quello il covo di Papillon? Significava forse che... no, Ladybug scacciò quel pensiero. Adrien non poteva avere nulla a che fare con quella storia, doveva esserci per forza un'altra spiegazione!

La finestra circolare si aprì davanti a loro e l'akuma li condusse all'interno, poggiandoli a terra con poca delicatezza.

Ladybug sentì il panico attraversarle il corpo quando vide Papillon in carne ed ossa, davanti a lei e a Chat Noir.

«Bravissima Lady Butterfly, hai trionfato dove tutti gli altri hanno fallito» si complimentò Papillon, con un mezzo sorriso. «E non solo» continuò, «mi hai anche portato un guardiano e i suoi tesori.» Si avvicinò a Ladybug e le sfilò di mano la scatola, senza che lei potesse fare nulla per opporsi.

«Magnifici» osservò l'uomo, aprendo il portagioie e ammirando il suo contenuto. «Sapevo che ne esistevano tanti ma vederli fa tutto un'altro effetto.»

Ladybug tentò di dire qualcosa, di muoversi, ma, a parte gli occhi, era completamente bloccata.

Papillon sorrise. «Che succede coccinella? Sei caduta in trappola?» Lasciò cadere la scatola a terra, concentrando tutta la sua attenzione sulla ragazza. Avvicinò le mani alle sue orecchie e Chat Noir emise un suono strozzato.

«Tranquillo» disse l'uomo, voltandosi verso di lui «verrà anche il tuo turno... ma adesso è giunto il momento di scoprire chi si cela sotto la sua maschera.»

Non attese oltre. Afferrò gli orecchini e li tolse.

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Capitolo 14
*** Capitolo 14 ***


Non voleva che Chat Noir la vedesse. Non voleva che nessuno la vedesse. Mentre la magia svaniva e i suoi abiti da Ladybug venivano sostituiti, si rese conto che la sua paura più grande non era che qualcuno scoprisse la sua identità, ma che si rendessero conto che sotto quella maschera non c'era altri che Marinette, una ragazzina qualunque senza nessuna qualità.

 

Papillon strinse gli orecchini nella mano, sorridendo a metà tra lo stupito e il soddisfatto. «Ma... sei tu! Che ironia!» esclamò.

 

Marinette spostò lo sguardo su Chat Noir, che intanto aveva smesso di tentare di liberarsi e la fissava.

 

"Non guardarmi" pensava lei, chiedendosi cosa stesse pensando. Era deluso? Arrabbiato?

 

«Incredibili le coincidenze della vita, non trovi?» disse Papillon, avvicinandosi a Chat Noir. Sfiorò l'anello avidamente.

 

Un bagliore verde illuminò il covo.

 

Papillon si voltò giusto in tempo per schivare uno strano oggetto che schizzava a folle velocità verso di lui.

 

«Non ho ancora smesso di lottare» esclamò maestro Fu, o almeno colui che senza ombra di dubbio vi era sotto la maschera di Carapace. Il guscio-scudo che aveva lanciato ritornò tra le sue mani, come un boomerang.

 

«Maledetto, credevo fossi fuori gioco!» sibilò Papillon tra i denti.

 

«Ci vuole ben altro per mettermi al tappeto» rispose l'altro, anche se aveva già il fiatone per gli sforzi compiuti. Lanciò nuovamente il guscio, stavolta verso i due ragazzi, dandogli una forza incredibile. Lo scudo volteggiò intorno a loro, dissolvendo la polvere dell'akuma e liberando i due dalla paralisi.

 

Chat Noir corse da Marinette. La guardava come se la vedesse per la prima volta.

 

«Stai... bene?» chiese incerto.

 

La ragazza non rispose. Teneva lo sguardo basso e sentiva gli occhi pizzicarle.

 

«No, non vi lascerò rovinare tutto proprio adesso!» sbraitò Papillon.

 

Chat Noir sfoderò il bastone. «Resta dietro di me milady. Non permetterò che qualcuno ti faccia del male.»

 

«Chat, io...»

 

«Sono contento che sia tu» disse lui senza voltarsi, dopodiché si lanciò all'attacco, puntando dritto a Papillon. «Smettila, è una follia. Tu non sai quello che stai facendo!» urlò.

 

Papillon spazzò un fendente di Chat Noir con aria sprezzante. «Sei tu che non sai ciò che fai! Ti stai schierando dalla parte sbagliata... io voglio solo riportare indietro Emilie!»

 

«Non così. Non ti lascerò distruggere la città!»

 

«Cosa vorresti fare? Sfidarmi?» chiese l'uomo, parando i colpi dell'altro, bastone contro bastone.

 

«Siamo in maggioranza, non vincerai.»

 

«Credi?» chiese Papillon con un mezzo sorriso.

 

Chat si guardò intorno giusto in tempo per vedere maestro Fu volare attraverso la stanza mentre i suoi poteri svanivano. "Marinette!" pensò immediatamente. Si voltò e la vide tra le braccia di Lady Butterfly, con gli artigli di quest'ultima puntati alla gola. L'akuma volò al fianco di Papillon, noncurante del continuo dimenarsi di Marinette nel vano tentativo di liberarsi.

 

«Lasciala andare» disse il ragazzo.

 

Papillon aprì la mano sinistra, mostrando gli orecchini della coccinella. «Sai quello che voglio.»

 

«Non darglielo Chat! Distruggerà la città!» urlò Marinette con voce strozzata.

 

Lady Butterfly serrò la presa.

 

«Non costringermi» lo esortò Papillon. «Sai che potrei farlo.»

 

Chat Noir spostò lo sguardo dall'anello, a Marinette e infine a suo padre. Ricacciò indietro la rabbia e afferrò il suo miraculous.

 

«Non farlo! Non...» iniziò la ragazza ma, non appena Chat Noir sfilò l'anello le parole le morirono in gola.

 

«Adrien...»

 

Il ragazzo consegnò l'anello al padre, guardandolo con assoluto disprezzo. «Adesso lasciala andare.»

 

L'uomo fece segno all'akuma e quella spinse via Marinette.

 

Adrien l'afferrò per le spalle, impedendole di cadere. «Sei ferita?» chiese.

 

Lei tentò di parlare ma non riusciva ad emettere alcun suono. Ad un tratto tutto divenne un quadro perfetto: gli equivoci, i silenzi, i misteri, quelle cose che non era mai riuscita a spiegarsi ad un tratto acquisivano un senso. Alzò gli occhi e, per la prima volta, i loro sguardi s'incrociarono senza timori o imbarazzo. «Sei sempre stato tu, tutto questo tempo» disse lei, mentre mille emozioni le vorticavano nel petto.

 

Adrien le sorrise.

 

«Finalmente sono miei» disse Papillon.

 

I due ragazzi si voltarono.

 

Papillon si era avvicinato alla finestra, tirando fuori dalla giacca il miraculous del pavone, reggendolo con la mano destra mentre, nella sinistra, stringeva quelli del gatto e della coccinella. «Finalmente ti riporterò a casa!»

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Capitolo 15
*** Capitolo 15 ***


Adrien e Marinette si ritrovarono seduti a terra, al limitare del covo di Papillon. Aveva ordinato a Lady Butterfly di occuparsi del vecchio, nel caso quei due avessero fatto qualche mossa azzardata, mentre lui studiava con cura il libro, cercando di capire come funzionassero i due miraculous.

 

Adrien non riusciva a smettere di fissare Marinette, che invece teneva insistentemente il capo chinato, persa in chissà quali pensieri.

 

Era lei. Non poteva crederci. Ogni cosa stava acquistando un senso e, man mano che i minuti si accumulavano, cresceva anche il suo bisogno di parlarle, nonostante avvertisse come un macigno nello stomaco.

 

«Marinette, io...»

 

«Mi dispiace» lo interruppe lei.

 

Adrien rimase frastornato da quella strana reazione. «Cosa?» chiese, confuso.

 

Marinette deglutì, senza osare guardarlo. Aveva paura che se lo avesse fatto i suoi nervi non avrebbero retto. «Non immaginavo che Chat Noir fossi tu. Se lo avessi saputo non ti avrei mai mentito!»

 

«Che vuoi dire? Non capisco» chiese il ragazzo, scuotendo la testa.

 

«Ti ho fatto credere di essere qualcosa che non sono» disse lei, tentando di trattenere le lacrime. «Avrai immaginato che dietro la maschera di Ladybug ci fosse una ragazza forte, coraggiosa, sicura di sé e invece... sono solo io.»

 

«Stai scherzando?!» sbottò Adrien, allargando le braccia. «Con o senza la maschera sei sempre tu!» disse, convinto.

 

Marinette alzò le spalle, sbuffando.

 

«Non posso credere di non averlo capito prima» continuò il ragazzo, «per tutto questo tempo sei stata così vicina e io... cavoli, sono stato un vero idiota!» Si voltò verso di lei, guardandola come se la vedesse per la prima volta. «Tu sei fantastica, così come sei, e anche se mi odi io penso...»

 

«Odiarti?!» Lo interruppe lei, voltandosi e guardandolo negli occhi, «Cosa ti fa pensare che io ti odi?»

 

«Beh, ogni volta che ho tentato di parlarti sei sempre scappata via, come se mi evitassi. Credo che sia abbastanza palese ciò che pensi.»

 

Marinette scosse la testa. «Non potrei mai odiarti! Tu sei fantastico, sei... sei dolce, simpatico, bellissimo, tu sei...» Si rese conto di quello che aveva appena detto. La gola le si seccò di colpo e, rossa di vergogna, tornò a fissare il pavimento.

 

Adrien sorrise, visibilmente imbarazzato anche lui.

 

La ragazza alzò gli occhi verso Papillon, ancora intento a cercare le risposte nel libro. «Che cosa è successo veramente?» chiese.

 

Adrien si fece serio. Le raccontò brevemente tutta la storia.

 

Marinette rimase scossa quando lui le disse che sotto la maschera vi era suo padre, e lo fu ancora di più quando scoprì il resto.

 

«Ma è terribile» esclamò, stringendosi le braccia al petto «tutta questa storia di tuo padre e... quello che è successo a tua madre!»

 

Adrien non rispose, fissando il vuoto davanti a lui.

 

Marinette ripercorse gli ultimi eventi e un pensiero la colpì come un pugno nello stomaco. «E nonostante tutto questo, hai tentato comunque di farmi fuggire» disse, frastornata, portandosi le mani in grembo. «Avresti rinunciato a tua madre pur di proteggere Ladybug...»

 

Adrien si voltò verso di lei e le afferrò le mani. «Marinette, io avrei rinunciato a tutto, pur di proteggere te

 

Le mani di lui erano calde e forti. Adrien le scostò una ciocca di capelli dal viso, sorridendo leggermente mentre la fissava dritta negli occhi.

 

Marinette ricambiò lo sguardo, senza sottrarsi, e lui pensò che fosse davvero bellissima. Le sfiorò la guancia avvicinandosi esitante ma lei non cercò di allontanarsi. Non provava più imbarazzo perché in fondo era sempre lui, Chat Noir, il suo partner, colui su cui aveva sempre potuto contare.

 

Socchiusero gli occhi mentre i loro visi si avvicinavano sempre di più...

 

«Finalmente!» esclamò Papillon trionfante.

 

La magia si spezzò e i due ragazzi si allontanarono di scatto, voltandosi verso l'uomo.

 

Mise il libro da parte e, dalla tasca, tirò fuori il miraculous del pavone, guardandolo con un misto di rabbia e tristezza. Lo poggiò a terra, al centro della stanza, e si allontanò di un paio di metri, allungando poi il braccio in cui stringeva i miraculous dei ragazzi, dritto davanti a se.

 

«Non farlo!» urlò maestro Fu, cercando inutilmente di sottrarsi alla presa di Lady Butterfly, «Non sai quello che fai, scatenerai la distruzione sul mondo intero!»

 

«Taci!» urlò l'altro. Chiuse gli occhi, concentrandosi e iniziando a recitare una formula:

 

«Fortuna e sfortuna riunitevi insieme,

 

donatemi adesso il vostro potere...»

 

Dai miraculous si sprigionò un raggio di luce e Tikki e Plagg vennero sbalzati fuori.

 

Marinette e Adrien si alzarono contemporaneamente, guardando i loro compagni d'avventura mentre, contro la loro volontà, venivano sfruttati per i loro poteri. Una forza invisibile li fece avvicinare l'uno all'altra sempre di più, nonostante loro si dibattessero nel tentativo di volare via.

 

Papillon continuò a parlare:

 

«Che nulla adesso lo possa impedire,

 

diventi realtà ciò che voglio esaudire...»

 

Non appena i due kwami si sfiorarono, un lampo accecante illuminò la stanza e, intorno al miraculous del pavone, iniziò a formarsi un mulinello d'aria sempre più grande e impetuoso, carico di elettricità.

 

«Concedo alla sorte ciò che reclama,

 

che renda reale ciò che il mio cuore brama.»

 

Il vento divenne sempre più intenso, creando una vera e propria tempesta.

 

Marinette afferrò la mano di Adrien e lui gliela strinse, mentre entrambi guardavano con paura e sgomento quello che stava accadendo.

 

Un lampo abbagliante costrinse tutti a chiudere gli occhi. Il vento cessò e tutto divenne calmo in modo quasi inquietante mentre una donna dai capelli biondi giaceva accanto al miraculous del pavone.

 

 

 

 

———————————————————

Sorpresa!

Eh si, so che non siamo ancora a martedì ma, visti i miei impegni di domani, ho deciso di pubblicare stasera!

A tal proposito... AAAAAAHHHHHHHH C'ERAVAMO QUASI! Mancavano pochi centimetri al bacio e invece no, maledetto Papillon, le vuoi proprio prendere, eh?!

Emilie è tornata. E adesso? Cosa accadrà? Fu sembra abbastanza sicuro che sarà una catastrofe e le premesse ci sono tutte...

Solo cinque capitoli ragazzi.

Aiuto.

 

Fatemi sapere cosa ne pensate del capitolo!

Alla prossima, baciiiii!

 

P.s.

Non dimenticate la premessa del primo capitolo...

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Capitolo 16
*** Capitolo 16 ***


La donna si puntellò con le braccia, mettendosi a sedere e guardandosi intorno confusa. Ciocche di capelli biondi le ricadevano sul viso.

Quando il suo sguardo incrociò quello del ragazzo spalancò gli occhi, quasi come se avesse visto un fantasma. «Adrien?» disse.

Gabriel, che nel frattempo si era ritrasformato, gettò di lato i miraculous che aveva in mano, corse da sua moglie e le si inginocchiò accanto, avvolgendola tra le braccia.

«Gabriel» esclamò lei, ancora confusa, «dove mi trovo? Cosa è successo?»

«Sei a casa» affermò lui con gli occhi lucidi. Le prese il viso tra le mani e la guardò come se non avesse aspettato altro per tutta la vita. Le diede un bacio a cui lei si abbandonò. «Sono riuscito a riportarti indietro» disse poi.

«Cosa?» fece lei, con un'espressione quasi spaventata, che Gabriel non riuscì ad interpretare.

Emilie si guardò intorno con urgenza e, non appena i suoi occhi si poggiarono sul fermaglio del pavone, il terrore la travolse. «No, non può essere!» esclamò, agitandosi.

«Non preoccuparti, quel miraculous non potrà intrappolarti di nuovo» fece Gabriel tentando di calmarla, poggiandole le mani sulle spalle.

Lei lo allontanò. «Tu non capisci! Perché lo hai fatto?! Così lui potrà...»

Un secondo lampo di luce esplose nella stanza, seguito da un suono simile ad un tuono. Dal fermaglio fuoriuscì una sostanza simile al fumo, denso e nero come la pece, che iniziò a plasmarsi e a solidificarsi, quasi si trattasse di qualcosa di vivo.

In pochi secondi la stanza fu invasa da una specie di mostro, con due braccia enormi una testa munita di gigantesche corna e due occhi rossi e fiammeggianti. Era difficile dire a cosa somigliasse perché il suo corpo mutava di continuo: un attimo prima aveva il corpo di un leone con due grandi corna d'ariete, quello dopo le braccia si allungavano come quelle di uno scimpanzé e le fauci assumevano la forma di una tigre dai denti a sciabola, per poi mutare ancora e ancora. Si voltò verso Emilie e gli occhi fiammeggiarono, mentre il viso – o quello che poteva essere definito tale – si allargava in un ghigno.

Gabriel si alzò e si parò davanti alla moglie, come a volerla proteggere, ma il mostro lo colpì con una manata talmente forte che lo scaraventò in fondo alla stanza, facendolo sbattere contro la parete. L'uomo si afflosciò a terra e non si mosse più.

Lady Butterfly, dimenticandosi completamente di maestro Fu, volò verso Gabriel e gli si inginocchiò di fianco, tentando invano di farlo riprendere.

Emilie si alzò in piedi, guardando il mostro dritto negli occhi. «Maledetto, se pensi di aver vinto ti sbagli!» urlò. Raccolse il fermaglio da terra e lo appuntò sui suoi capelli. In quell'istante un kwami azzurro, con una bella codina da pavone blu e rosa, apparve a fianco di Emilie, che lo guardò con una sorta di affetto.

«Sei pronto?» chiese la donna.

Il kwami annuì, sorridendo.

«Bene. Duusu, trasformami!»

Il kwami venne assorbito dal fermaglio e, in men che non si dica, Emilie si trasformò: i suoi vestiti furono sostituiti da una abito blu notte, con uno spacco sul davanti e uno strascico che ricordava la coda di un pavone. I capelli biondi diventarono blu e la sua pelle assunse una sfumatura violacea. In mano reggeva un ventaglio a forma, anch'esso, di coda di pavone.

«Ti ho tenuto a bada per anni, non lascerò che i miei sforzi vadano in fumo proprio ora!» esclamò la donna. Dal ventaglio tirò via un paio di piume che avevano la base appuntita, come se fossero frecce, e le lanciò verso il mostro con una rapidità impressionante.

Quello sembrò infastidito e, allungando la zampa munita di artigli affilati, cercò di ghermire la donna ma lei lo evitò con destrezza, continuando a lanciare piume.

La battaglia per la salvezza del mondo era iniziata.

 

 

Adrien era rimasto immobile per tutto il tempo, come in trance. Era successo così velocemente che non aveva avuto il tempo di elaborare quello che stava accadendo.

Marinette era corsa da maestro Fu che, dopo l'ultima trasformazione, a malapena si reggeva in piedi. Dopo essersi accertata che stesse bene si precipitò dal ragazzo, scuotendolo per un braccio. «Dobbiamo fare qualcosa!» esclamò con urgenza.

Il ragazzo sembrò ridestarsi. La guardò come se si fosse reso conto solo in quel momento della sua presenza.

«Adrien, tua madre ha bisogno di noi!»

Lui voltò lo sguardo verso la donna-pavone che stava combattendo a pochi metri da loro: era forte ed agile, ma quel mostro non sembrava risentire più di tanto dei suoi colpi, anzi, ogni minuto che passava sembrava prevedere con più precisione le mosse dell'avversaria.

Annuì.

Marinette lo prese per mano e lo trascinò attraverso la stanza, verso i loro miraculous che giacevano a terra, abbandonati. Non appena li presero in mano Tikki e Plagg apparvero, stiracchiandosi.

Il kwami della coccinella volò tra le braccia di Marinette, abbracciandola. Adrien si voltò verso Plagg, guardandolo con aria interrogativa.

«Che c'è?» fece il kwami del gatto, con aria confusa «non hai mica del camembert in mano!»

Adrien scosse la testa, poi guardò Marinette e i due fecero un cenno di assenso.

«Tikki...» esclamò lei.

«Plagg...» le fece eco lui.

«Trasformami!» fecero in coro.

 

 

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Ciao gente, vi sono mancata??? Beh, forse non ero proprio io a mancarvi, ma il nuovo capitolo xD! Ero troppo in ansia per aspettare domani, quindi ho deciso di pubblicarlo oggi, e chi se ne frega! (che poi, se pubblico in anticipo pure meglio, no?!).

Beh, la battaglia è iniziata, tutti si preparano a dare il massimo e Adrien e Marinette sono fianco a fianco, pronti a lottare fino alla fine... si, ma quale fine?

Vi ho detto, nel capitolo scorso, di non dimenticare quello che ho detto all'inizio del primo capitolo e adesso che mancano davvero pochissimi capitoli la tensione si fa sempre più alta!

In ogni caso, se volete smorzare i toni e ingannare l'attesa fino al prossimo aggiornamento, sappiate che ho pubblicato una nuova one shot, intitolata "non lasciarmi" (viva l'allegria, sempre). Mi piacerebbe sapere che ne pensate <3

 

Come al solito, fatemi sapere che ne pensate di questo nuovo capitolo e noi ci rileggiamo al prossimo!

Baciiii!!!

 

Laura

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Capitolo 17
*** Capitolo 17 ***


La situazione sembrava peggiorare di minuto in minuto.

 

Nonostante tutti gli sforzi di Emilie lo yaogui cresceva sempre di più e i colpi della donna non sembravano sortire alcun effetto.

 

I due ragazzi si affiancarono a lei per darle manforte e Chat Noir le scoccò un'occhiata furtiva. Non poteva credere che quella fosse sua madre e che stessero davvero per combattere fianco a fianco. Aveva desiderato così tanto che quel momento arrivasse e adesso non avevano neppure il tempo per un abbraccio.

 

«Adrien» iniziò sua madre, guardandolo. Sembrò sul punto di dire qualcosa, poi ci ripensò e si rivolse ad entrambi: «fate attenzione, è più potente di qualsiasi cosa abbiate mai affrontato.»

 

Lui e Ladybug annuirono, lanciandosi all'attacco.

 

Era difficile combattere contro quell'essere: non solo cambiava forma a seconda dell'attacco che riceveva, ma aveva anche la facoltà di modificare la consistenza del suo corpo. Più di una volta Ladybug cercò di bloccarlo con la corda del suo yo-yo, ma quello trasformava prontamente il suo corpo in fumo, mandando a vuoto l'attacco, per poi colpire con un pugno duro come l'acciaio.

 

Dal canto suo, Chat Noir saltava da un punto all'altro della stanza, cercando di colpirlo con il bastone, ma era come combattere l'acqua. A seguito di un attacco, lo yaogui solidificò il suo corpo bloccando il bastone del ragazzo e, con uno strattone, lo scaraventò dall'altra parte della stanza.

 

Ladybug riuscì a interrompere la sua caduta ed evitare che Chat Noir si facesse male seriamente. «Tutto ok?» chiese.

 

Lui annuì, affiancandola. «È un osso duro.»

 

«Già» convenne lei, «ci serve un piano!»

 

Chat Noir stava per rispondere ma il mostro, tornato alla carica, cercò di colpirli con una manata. Il ragazzo si lanciò su Ladybug e la spinse di lato, trascinandola a terra ed evitando il colpo per un soffio.

 

«Devi stare attenta, milady. Non vorrei che ti accadesse qualcosa» esclamò lui, aiutandola a rialzarsi. Erano entrambi messi male, con escoriazioni e lividi.

 

Emilie, intanto, aveva ripreso ad attaccare ma era chiaro che ormai le forze stavano abbandonando anche lei. L'ennesimo attacco la scaraventò a terra, mentre un altro si preparava a finirla. Chat Noir fece per correre da lei ma era troppo distante.

 

Per un attimo tutto sembrò perduto ma Lady Butterfly intercettò il colpo e si mise a combattere lo yaogui.

 

«Mamma, tutto bene?» chiese Chat Noir, raggiungendo Emilie insieme a Ladybug.

 

La donna annuì, reggendosi al figlio per rialzarsi.

 

Lady Butterfly volteggiava intorno al mostro, tentando di colpirlo, e per qualche minuto sembrò anche avere la meglio, almeno finché quello, infastidito da quella specie di moscerino, non riuscì ad afferrarla per le ali.

 

Nessuno ebbe il tempo di reagire. Lo yaogui spalancò le enormi fauci e inghiottì l'akuma. Immediatamente il suo corpo iniziò a crescere, rendendo i suoi occhi più fiammeggianti e le fattezze ancora più mostruose.

 

«No, così non va bene, sta acquistando potenza!» esclamò Emilie.

 

«Cosa possiamo fare?» chiese Ladybug.

 

Il mostro iniziò a premere contro la cupola, nel tentativo di romperla. Emilie scosse la testa. «Non dobbiamo permettere che esca... inizierà a cibarsi della gente e diventerà inarrestabile!» esclamò. Si avvicinò al mostro e richiamò il potere del suo miraculous, allungando le braccia dritte davanti a lei. Una strana bolla si formò tra le sue mani, ingrandendosi sempre di più fino a racchiudere l'intero mostro, che iniziò a dimenarsi nel tentativo di uscirne.

 

«Non posso trattenerlo a lungo!» disse Emilie.

 

«Dev'esserci un modo per sconfiggerlo» fece Chat Noir, frustrato.

 

La donna si guardò intorno. Posò gli occhi su Ladybug, poi su Gabriel che giaceva a terra ancora svenuto e infine sul figlio. Sentiva il cuore gonfio di angoscia, ma sapeva esattamente cosa fare. «Dovete imprigionarlo nuovamente nel miraculous» concluse.

 

«Credi che sia possibile?» chiese Chat Noir.

 

La donna annuì. «Dovete utilizzare i vostri miraculous ed esprimere il desiderio... funzionerà!»

 

«Sei sicura della tua scelta?» domandò maestro Fu, arrancando verso di loro. Ladybug gli corse incontro per sorreggerlo.

 

Lo sguardo di Emilie s'indurì.

 

«Che vuol dire?» chiese il ragazzo, spostando lo sguardo dal maestro a sua madre.

 

«Se richiamerete lo yaogui nel miraculous, anche lei verrà risucchiata» concluse maestro Fu.

 

«Cosa? Perché?» sbottò Ladybug.

 

Emilie sospirò. «Nell'instante in cui sono stata trascinata all'interno del fermaglio, la prima volta, le nostre essenze si sono mischiate» disse, «ma questo non è importante adesso.»

 

«Si che lo è!» urlò Chat Noir. Aveva un'espressione sconvolta. «Ti ho già persa una volta, non lascerò che accada ancora!»

 

Emilie si voltò verso il figlio, guardandolo con un misto di tristezza e dolore. «Adrien, mi dispiace. So che ti sto chiedendo molto, ma se non lo fai Parigi e il mondo intero saranno spacciati!» Si voltò verso il mostro che tentava ancora di liberarsi. «Questo essere non si fermerà finché non avrà divorato chiunque gli capiti a tiro, diventando sempre più forte. Se non lo fermiamo ora non avremo altre possibilità.»

 

Chat Noir strinse i pugni. Era un incubo. Non voleva dire addio a sua madre di nuovo ma se non lo avesse fatto l'intero pianeta ne avrebbe pagato le conseguenze.

 

Il fermaglio di Emilie suonò, avvertendo che il tempo stava inesorabilmente scadendo.

 

«Adrien, ti prego...»

 

Chat Noir ricacciò indietro le lacrime e inghiottì la rabbia. Afferrò l'anello e lo sfilò.

 

 

 

 

 

————————————————————

Ops. Questo si che è un bel problema...

la nostra Emilie è proprio una donna coraggiosa ma adesso Adrien si trova in una situazione che definire scomoda sarebbe un eufemismo.

 

Lo yaogui si è appena fatto una cena a base di akuma farfalloso e ha dimostrato quanto potente e devastante può essere... se riuscirà ad uscire sarà la fine per tutti ed emilie, che ha già avuto a che fare con lui all'interno del miraculous, lo sa benissimo e sa che, l'unico modo per sconfiggerlo, è intrappolarlo di nuovo.

 

CHE CASINO!

 

Beh, spero che il capitolo vi sia piaciuto (si si, i finali in sospeso, mi ucciderete, forconi, torce infuocate e frecce affilate... so che aspettate solo che finisca di pubblicarla per farmela pagare xD) e spero che sopravviverete fino al prossimo capitolo, perché sappiate che i capitoli 18,19,20 e l'epilogo vi devasteranno l'anima... se siete deboli di cuore fatevi un favore e smettete di leggere adesso.

IO VI HO AVVERTITI!

 

Altra piccola info, l'ultimo capitolo e l'epilogo li pubblicherò entrambi lo stesso giorno, quindi a conti fatti mancano due settimane xD!

 

beh, alla prossima... baci!!!

 

Laura

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Capitolo 18
*** Capitolo 18 ***


Ladybug spostò lo sguardo da Emilie ad Adrien. «Non vorrai farlo sul serio! Dev'esserci un'altra soluzione!» esclamò, incredula.

Emilie cadde in ginocchio, mentre il mostro iniziava ad incrinare il campo di forza. «Non resta più molto tempo!» disse.

Adrien allungò la mano verso Ladybug. «Per favore, ho bisogno dei tuoi orecchini.»

Lei esitò. Doveva esserci un altro modo, una soluzione che non prevedesse di sacrificare qualcuno... era sempre riuscita a salvare tutti ma proprio in quel momento, alla resa dei conti, doveva accettare che Adrien – il suo Adrien – prendesse una decisione tanto terribile.

«Marinette» la chiamò lui, ridestandola dai suoi pensieri. I loro sguardi s'incontrarono e lei capì che, per quanto fosse difficile, non era una decisione che spettava a lei.

Si tolse gli orecchini e li consegnò nelle mani del ragazzo.

«Cosa devo fare?» chiese lui al vecchio.

«Sei sicuro di ciò che stai per fare?» chiese maestro Fu, con sguardo grave.

Adrien spostò lo sguardo su sua madre, che gli sorrise, e annuì.

Maestro Fu gli disse la formula – la stessa che poco prima aveva utilizzato suo padre – e lo avvertì che, una volta iniziato, avrebbe dovuto portarlo a termine.

Adrien sentiva come un senso di nausea al pensiero di ciò che stava per fare. Si voltò nuovamente verso sua madre e fece per dirle qualcosa, ma lei lo precedette.

«Quando sarai pronto romperò il campo di forza e interromperò la trasformazione. Non possiamo imprigionarlo se il miraculous è in uso» disse lei.

Adrien fece un paio di respiri, portò la mano che reggeva i miraculous davanti a se e annuì. 
Emilie spezzò l'incantesimo, crollando a terra esausta, proprio nell'istante in cui Adrien iniziò a recitare la formula.

«Fortuna e sfortuna riunitevi insieme, 
donatemi adesso il vostro potere...»

Un'aria di tempesta avvolse lo yaogui, mentre scariche elettriche colpivano le pareti e il pavimento. La donna gettò il fermaglio a terra, proprio davanti a loro mentre i due kwami si avvicinavano, unendo i loro poteri.

«Che nulla adesso lo possa impedire, 
diventi realtà ciò che voglio esaudire...»

Il mostro prese a ringhiare, dimenandosi e tentando di sottrarsi al vento impetuoso che lo avvolgeva. Adrien avvertì i miraculous bruciare nella sua mano e dovette afferrare il suo stesso braccio per non perdere la posizione. Era più faticoso di quanto avesse mai potuto immaginare.

Il braccio prese a tremargli in modo incontrollabile.

«Non... non ce la faccio...» iniziò a dire.

Marinette corse al suo fianco, sfidando il vento e i fulmini. Non poteva impedire che Emilie venisse trascinata via, né poteva cancellare il dolore di quella scelta, ma non avrebbe lasciato Adrien da solo... avevano cominciato quell'avventura insieme e insieme sarebbero arrivati alla fine.

Posò la mano su quella di lui che si voltò a guardarla. In quel caos non ci fu bisogno di spiegazioni, tra loro non servivano parole.

«Concedo alla sorte ciò che reclama,» recitarono insieme, mano nella mano, «che renda reale ciò che il mio cuore brama

Lo yaogui, con un verso gutturale e incredibilmente forte, tanto da far tremare ogni cosa, venne risucchiato dal fermaglio.

La tempesta, che fino a poco prima imperversava intorno a loro, si acquietò, lasciando una calma quasi irreale.

Adrien e Marinette si guardarono intorno. Il mostro non c'era più.

«Adrien...»

Il ragazzo si voltò seguendo il suono di quella flebile voce e corse da sua madre, che giaceva distesa a terra, mentre il suo corpo si faceva man mano sempre più inconsistente.

«Mamma!» disse lui, chinandosi e prendendola tra le sue braccia. Marinette gli si inginocchiò di fianco, seguita da Tikki e Plagg.

«N-non mi presta molto tempo... fra poco svanirò anch'io» disse Emilie con voce flebile. «Non avercela con tuo padre, sei tutto ciò che gli è rimasto e so che ti vuole bene, anche se non sa dimostrarlo.»

Adrien annuì, senza preoccuparsi di nascondere le lacrime.

«Sei s-stato la gioia più g-grande della mia vita, e sono fiera di quello che sei diventato... ti voglio bene Adrien, più di quanto tu possa immaginare.»

Il corpo di Emilie ormai era poco più che un miraggio e Adrien avvertiva già il peso della madre sparire dalle sue braccia.

«Ho solo un ultimo favore da chiederti...»

«Qualsiasi cosa» esclamò Adrien, con un groppo in gola.

Emilie afferrò la mano del figlio, guardandolo dritto negli occhi. «Ti prego, distruggi il miraculous. In questo modo lo yaogui svanirà e io sarò libera.»

«Ma... cosi tu non...?»

Emile annuì, sorridendo mentre il suo corpo svaniva del tutto. «Va bene così, tesoro mio. Averti rivisto, sapere ciò che sei diventato è più di quanto sperassi.»

«Mamma ti prego, non andare...»

«Sarò per sempre al tuo fianco. Ti voglio bene.»

Queste furono le ultime parole di Emilie, prima di dissolversi nel nulla.

 

——————————————
Credetemi se vi dico che ho pianto scrivendo questo capitolo.

È davvero triste, lo so, ma io vi avevo avvertiti!

Non aggiungo nulla, lascio la parola a voi visto che ormai ci siamo quasi... a una settimana da oggi saprete come finirà.

Pronti? Io no...

Laura

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Capitolo 19
*** Capitolo 19 ***


Adrien rimase in ginocchio, fissando il vuoto. Non poteva credere di aver perso sua madre un'altra volta e la voragine che avvertiva nel petto minacciava di trascinarlo sempre più a fondo in quel mare di dolore che provava.

 

Dal lato della stanza Gabriel Agreste mugugnò parole sconnesse, come se stesse sognando e Adrien sperò che, almeno nel suo subconscio, le cose fossero andate meglio. Vide maestro Fu avvicinarsi a lui per assicurarsi che stesse bene, poi raccolse il miraculous della farfalla.

 

Marinette, in un gesto improvviso, avvolse Adrien in un abbraccio.

 

Fu quel calore inaspettato a riscuoterlo, a farlo tornare in sé. Il dolore e la rabbia che provava ruppero gli argini del suo cuore e lui li lasciò scorrere via, riversandoli fuori. Si aggrappò a Marinette, affondò il viso sulla sua spalla e, per la prima volta da tantissimo tempo, sentì che non era solo.

 

«Tua madre ci ha salvati tutti» disse la ragazza «devi essere fiero di lei.»

 

Adrien annuì. Controvoglia si sciolse dall'abbraccio ma continuò a stringere le mani di Marinette tra le sue. «Se non ci fossi stata tu al mio fianco non ce l'avrei fatta.»

 

«Non ti avrei mai lasciato solo. Noi siamo una squadra, ricordi?»

 

Si sorrisero.

 

Adrien aiutò Marinette ad alzarsi e il suo piede sfiorò il miraculous del pavone. Lo raccolse e se lo rigirò tra le dita, guardandolo con aria grave. «Devo distruggerlo» disse.

 

«Ah beh, buona fortuna» disse Plagg, uscendo dall'anello.

 

Adrien lo guardò con aria interrogativa.

 

«Distruggere i miraculous è praticamente impossibile!» rispose Tikki, spuntando dagli orecchini.

 

«Che vuoi dire? Come può essere?» chiese Adrien.

 

«I kwami all'interno rendono i miraculous super resistenti grazie alla loro magia» rispose maestro Fu, avvicinandosi. Aveva raccolto la scatola da terra e ora la teneva con cura tra le braccia. Il miraculous della farfalla era tornato al suo posto. «È per questo che, nonostante i secoli di utilizzo, non hanno il minimo graffio.»

 

In effetti, quando Adrien provò a spezzare il fermaglio, si rese conto che era duro come il diamante e, nonostante fosse sottilissimo, impossibile da spezzare. Imprecò. Non era in grado di esaudire neppure l'ultimo desiderio di sua madre.

 

Marinette incrociò le braccia, pensierosa. «E se si provasse a distruggere il miraculous utilizzandone un'altro?»

 

Adrien si voltò a guardarla, inizialmente confuso, poi capì. Si voltò verso Plagg. «Pensi di potercela fare?» chiese.

 

«Mah, chi lo sa, magari se avessi un po' di camembert...»

 

Il ragazzo sbuffò. Si frugò nelle tasche e, fortunatamente, trovò un ultimo, piccolo pezzetto di formaggio, avvolto con cura in diversi strati di carta per mascherarne l'odore.

 

Plagg lo afferrò e lo divorò in un secondo. «Si, credo che potrebbe funzionare» esclamò.

 

Adrien riconsegnò gli orecchini a Marinette, indossò l'anello e in un attimo si trasformò in Chat Noir. Guardò il fermaglio che reggeva tra le mani e si preparò a distruggerlo.

 

«Aspetta!» esclamò Marinette. Aveva un'espressione tirata e incerta e stringeva gli orecchini tra le mani.

 

Chat Noir, maestro Fu e Tikki si voltarono a guardarla.

 

«Che succede?» le chiese Chat Noir.

 

Lei non rispose. Si guardò intorno a disagio, come se fosse combattuta con se stessa per qualcosa. «Io... io...» balbettò. Si avvicinò a maestro Fu. «Devo chiederle una cosa di vitale importanza» iniziò. Continuava a rigirarsi gli orecchini tra le mani, nervosamente. «La vita dei kwami è legata a quella dei miraculous?»

 

Il vecchio scosse la testa. «I kwami esistono indipendentemente dagli oggetti a cui sono legati. I miraculous sono soltanto gli involucri a cui sono legati, finché essi esistono.»

 

Marinette annuì, si fece consegnare la scatola contenente i miraculous, adagiandoci dentro gli orecchini, poi si avvicinò al ragazzo. Sembrava sul punto di piangere.

 

«Devi distruggerli tutti» disse infine.

 

Chat la guardò confuso.

 

«Il mondo intero non sarà mai al sicuro finché ci saranno i miraculous. Qualcuno potrebbe usarli nuovamente per scopi malvagi... sono troppo potenti.»

 

Il ragazzo le sorrise. «Non preoccuparti, noi due proteggeremo tutti, come abbiamo sempre fatto. Siamo supereroi dopotutto, no?»

 

«No, Adrien» disse lei scuotendo la testa «non possiamo rischiare. Tenerli servirebbe solo ad appagare il nostro egoismo. Siamo supereroi, lo hai detto tu, ed è per questo che dobbiamo distruggerli: perché un eroe fa sempre la scelta giusta, anche quando non è quella più semplice.»

 

Chat Noir guardò gli occhi lucidi di Marinette, allungò le mani e prese la scatola, ma maestro Fu si avvicinò a loro, zoppicando sulle gambe malferme. «Marinette, prima che tu decida, devi sapere una cosa» iniziò.

 

I ragazzi si voltarono a guardarlo.

 

«I ricordi di un portatore sono legati al miraculous» disse «se lascerai che questo venga distrutto dimenticherai tutto ciò che è legato ad esso.»

 

Marinette trattenne il respiro. «Vuol dire che non ricorderò più nulla? La mia famiglia, Adrien, i miei amici...»

 

Maestro Fu scosse la testa. «No, non perderai i tuoi ricordi in quanto Marinette, ma tutto ciò che hai fatto come Ladybug, le avventure... sarà come se non le avessi mai vissute.»

 

La ragazza si voltò verso Tikki, che la guardava con aria triste. «Dimenticherò anche te?» chiese, temendo la risposta.

 

Il piccolo kwami annuì.

 

«No Marinette!» s'intromise Chat Noir «Non puoi rinunciare a questo!»

 

Lei rimase in silenzio, con lo sguardo basso. Le pizzicavano gli occhi ma sembrava non avere più lacrime. Quel giorno aveva vissuto più emozioni che nel resto della sua vita e aveva visto tanti battersi per la salvezza del mondo, rinunciando addirittura alla vita. Come avrebbe potuto guardarsi allo specchio senza vergognarsi di se stessa se avesse ceduto al suo egoismo?

 

Si voltò verso Tikki. «Scusami amica mia, ma devo farlo. N-non posso tirarmi indietro proprio adesso.»

 

«Lo so Marinette» disse il kwami tentando di sorridere «ho sempre saputo che tra le Ladybug tu eri la più coraggiosa.»

 

La ragazza avvolse il kwami tra le mani e se la portò al viso, stringendola a sé. «Non importa ciò che accadrà... nel profondo del cuore non ti dimenticherò mai!»

 

Tikki le accarezzò la guancia. «E io resterò sempre con te, anche se tu non mi vedrai!»

 

Restarono in silenzio qualche minuto, poi Marinette si asciugò il viso dalle poche lacrime che le erano rimaste, si voltò verso Chat Noir e annuì.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Non mi odiate, non mi odiate, non mi odiate...

 

Si, lo so, mi odiate.

 

Dai, pochi giorni e avrete il finale. (Se mi gira forse ancora prima di quanto immaginate xD). Non dimenticate che il prossimo aggiornamento prevede due capitoli: il ventesimo e l'epilogo. Doppio aggiornamento per farmi perdonare di questo colpo al cuore... e poi non potrei lasciarvi senza l'epilogo per giorni, credetemi!

 

Beh, ragazzi, alla prossima! Vi voglio bene (anche se non sembra visto i pianti che vi faccio fare).

 

Baci!!!

 

Laura

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Capitolo 20
*** Capitolo 20 ***


Chat Noir guardò la scatola che aveva tra le mani. Gli orecchini della coccinella brillavano, quasi a voler attirare la sua attenzione.

 

Non poteva credere che, dopo quello che avevano passato, tutto sarebbe finito di lì a pochi minuti e che lui, proprio lui che aveva sempre guardato le spalle a Ladybug, adesso dovesse decretarne anche la fine.

 

Alzò lo sguardo su Marinette, che adesso lo guardava con un'espressione decisa.

 

Era bellissima.

 

Lo era sempre stata, certo, ma in quel momento, adesso che sapeva ciò che era e quello che stava facendo per il bene del mondo, la vide sotto una luce totalmente nuova e si rese conto che, qualsiasi cosa fosse successo, il suo posto era al suo fianco.

 

Poggiò una mano sulla scatola e prese fiato, ma Marinette si avvicinò a lui. «Adrien» disse, sfiorandogli il braccio e avvicinandosi a lui «Prima che tu lo faccia, devo dirti una cosa.»

 

Lui agganciò gli occhi azzurri di lei, senza dire nulla.

 

Marinette alzò lo sguardo, sorridendo debolmente. «Ti amo» sussurrò, a pochi centimetri dal suo viso. «Volevo dirtelo prima di tornare ad essere soltanto Marinette.»

 

Adrien passò la mano libera sul fianco di lei e l'attirò a se e le loro labbra s'incontrarono mentre i loro cuori battevano forte, all'unisono.

 

«Ti amo anch'io» disse lui, staccandosi controvoglia dalle labbra di lei «e ti amerò per sempre proprio perché sei Marinette.» Le sorrise dolcemente. «E sei la mia Ladybug, la mia milady e... sei tutto ciò di cui ho bisogno.»

 

Marinette ricambiò il sorriso, con quel nodo nel cuore che pian piano si scioglieva nel sentire quelle parole, che tanto a lungo aveva sognato di udire.

 

«Sei certa di questo... siamo ancora in tempo» disse lui, guardando la scatola.

 

Marinette gli prese dolcemente la mano e gliela poggiò sul portagioie, annuendo.

 

Chat Noir fece un respiro e, per l'ultima volta, disse «Cataclisma.»

 

La scatola si fece scura e iniziò a sgretolarsi e, con lei, tutti i miraculous al suo interno.

 

Una miriade di luci multicolore presero a vorticare nella stanza, quasi come se danzassero. I kwami erano stati liberati insieme a sua madre.

 

Tikki e Marinette si guardarono sorridendosi tristemente, poi il piccolo kwami seguì i suoi fratelli, trasformandosi in una luminosissima scia rossa, prima di sparire con gli altri.

 

La ragazza barcollò e Chat Noir la prese al volo, prima che finisse sul pavimento.

 

«Che le è successo?» chiese spaventato al maestro Fu.

 

«Si riprenderà, sta tranquillo» lo rassicurò quello.

 

Adagiò Marinette a terra, dopodiché ritornò ad essere Adrien. Si voltò ed osservò suo padre. Anche il miraculous della farfalla era andato distrutto.

 

«Non ricorderà nulla neanche lui, vero?» chiese il ragazzo.

 

Il maestro Fu scosse la testa. «Sei stato coraggioso oggi» disse. «Adesso sei l'ultimo portatore rimasto.»

 

Adrien osservò il suo anello. Restava solo un'ultima cosa da fare. «No» disse sfilandoselo, «non potrei continuare a essere Chat Noir... non

 

più.» Si voltò a guardare Marinette, con gli occhi chiusi e il volto sereno. «Ho una nuova missione adesso.»

 

Plagg, si avvicinò ad Adrien e lui si voltò a guardare il suo kwami. Lui, che fino a quel momento si era sempre dimostrato impassibile e insensibile, stava singhiozzando, mentre enormi lacrimoni gocciolavano attraverso il suo viso fino a schiantarsi a terra. Il ragazzo mise le mani a coppa e lo prese delicatamente. «Plagg, stai davvero piangendo per me?» disse, a metà tra il divertito e l'intenerito.

 

Il kwami tirò su col naso. «Ma n-non dire sciocchezze» singhiozzò «sto piangendo per il camembert!»

 

Adrien sorrise e lo avvicinò a se, senza che l'altro protestasse, Poi si tolse l'anello e lo consegnò a maestro Fu. «Lo tenga al sicuro, la prego.»

 

Maestro Fu annuì, prese il miraculous tra le mani e si avviò verso l'uscita del covo.

 

Il ragazzo si voltò, chiamandolo. «Cosa farà adesso?» chiese.

 

«Mio caro ragazzo» esclamò l'altro «un guardiano fa sempre ciò che deve fare per proteggere il mondo.»

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Marinette aprì gli occhi, guardandosi intorno. Non sapeva come avesse fatto ad arrivarci, ma si trovava in una stanza d'ospedale, bianca e asettica. Sul comodino un mazzo di fiori freschi era stato sistemato con cura dentro un vaso e una miriade di palloncini e biglietti ingombravano ogni centimetro disponibile.

 

Aveva le idee confuse. Un vago ricordo di un akuma, Chat Noir, Papillon... e Adrien.

 

Come se lo avesse invocato, proprio in quel momento il ragazzo fece il suo ingresso nella stanza. Aveva i vestiti stropicciati e le occhiaie di qualcuno che non dormiva decentemente da giorni.

 

Non appena il ragazzo la vide corse al suo letto, sorridendo. «Ti sei svegliata finalmente!» esclamò. Sembrava davvero sollevato.

 

«Io... si...» disse lei, confusa.

 

Adrien le prese le mani e le strinse nelle sue. «Ero così preoccupato! Sei rimasta incosciente parecchi giorni.»

 

Marinette scosse la testa, ancora confusa. «Non capisco, cosa è successo?»

 

L'altro tentennò. «Cosa ricordi?» chiese a sua volta.

 

«C'era un akuma» iniziò Marinette, sforzandosi nel tentativo di ricordare «e c'era un vecchio, Chat Noir e Ladybug...»

 

Adrien trattenne il respiro.

 

«Non so. Forse hanno combattuto e poi... poi...»

 

Il bacio.

 

Marinette sentì una vampata di calore sul viso. Era diventata rossa e aveva uno sguardo talmente buffo che Adrien non poté fare a meno di sorridere.

 

«N-noi due c-ci... cioè i-io e te... noi...?»

 

Il ragazzo si avvicinò a lei e, sfiorandole una guancia, la baciò. «Si, direi proprio di si.»

 

Passarono il pomeriggio a parlare. Adrien le disse di come un akuma fosse entrato in casa sua, seguito da Papillon in persona, e avesse tentato di fare del male a loro e a suo padre. Le disse di come Chat Noir e sopratutto Ladybug avessero salvato tutta Parigi, di come avevano sconfitto Papillon una volta per tutte prima di sparire nel nulla.

 

«Credi che li rivedremo mai?» chiese Marinette ad un tratto.

 

Adrien sospirò, guardandola negli occhi... i suoi splendidi occhi azzurri. «Chissà, forse un giorno.»

 

Dalla finestra entrò una fresca brezza che anticipava la primavera imminente e Adrien si voltò a guardare il cielo. Aveva dovuto rinunciare a sua madre, dicendole addio per sempre, e aveva decretato con le sue stesse mani la fine di Ladybug. Non l'avrebbe mai più vista, non avrebbero più volteggiato tra i tetti di Parigi e il suo yo-yo non avrebbe mai più purificato perfide akuma...

 

Marinette gli accarezzò una guancia, sorridendogli e Adrien ricambiò.

 

Parigi non avrebbe mai dimenticato la sua coccinella e lui non avrebbe mai dimenticato ciò che lei aveva fatto per il bene di tutti. Aveva sacrificato tutto e si era comportata da vera eroina.

 

Forse lei non avrebbe mai ricordato chi era stata o cosa aveva fatto, ma non importava. Adesso era il suo turno di proteggerla, di starle accanto e di amarla come aveva sempre fatto... in fondo, non era questo il compito di un eroe?

 

 

 

 

 

 

 

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Doppio aggiornamento.

 

Andate al prossimo capitolo per leggere il finale!

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Capitolo 21
*** Epilogo ***


«Andiamo Marinette, i tuoi ci staranno aspettando!» la chiamò Adrien, mettendosi la giacca.

 

«Solo un secondo» rispose lei dalla stanza di fianco «devo sistemare la borsa. Puoi preparare Emi, per favore?»

 

Lui scosse la testa, sorridendo. Era fin dai tempi della scuola che si preparava all'ultimo minuto, finendo sempre per fare tardi.

 

Aprì la porta della cameretta e trovò Emilie seduta a terra, circondata da una miriade di pupazzi che la mamma le aveva cucito.

 

«Che combini? Stai ancora giocando?»

 

«Papà!» esclamò la bimba voltandosi verso di lui con un enorme sorriso. Aveva i capelli biondi come i suoi ma gli occhi erano azzurri come quelli di Marinette.

 

Adrien prese la figlia in braccio. «Allora, ripassiamo: quanti anni fai oggi?»

 

La bambina alzò la mano e concentrandosi riuscì a tenere aperte solo le tre dita che le servivano. Suo padre le sorrise, dandole un bacio sulla fronte. «È ora di prepararsi, su.»

 

«Fatina!» si lamentò Emi, allungandosi verso uno dei pupazzetti che giacevano a terra.

 

Adrien si piegò per raccoglierlo e lo consegnò alla figlia. Era il suo peluche preferito: uno strano esserino rosso fragola con delle macchie nere e due enormi occhioni blu.

 

Il ragazzo sorrise, guardandolo. Marinette continuava a disegnare, cucire e ricamare immagini di Tikki ovunque, nonostante non ricordasse ancora nulla. Lei continuava a dire che era la sua fatina, che le appariva spesso in sogno e che sentiva un legame speciale con lei.

 

«Allora, siete pronti?» chiese Marinette, entrando in camera, baciando il marito. Misero il cappottino ad Emilie ed uscirono di casa, diretti dai nonni.

 

«Passiamo dal parco» propose Adrien, attraversando i cancelli che delimitavano la macchia verde in mezzo alla città.

 

Tutti e tre, mano nella mano, passeggiarono attraverso i vialetti parlando e ridendo finché davanti a loro non apparve una statua familiare.

 

«Ladybug e Chat Noir!» esclamò Emilie, correndo intorno alla scultura.

 

Quando arrivò sotto la statua, Marinette provò come al solito quella strana sensazione di nostalgia che non riusciva a spiegarsi. Guardare i volti dei due eroi della città, spariti nel nulla più di dieci anni prima, le faceva emergere sentimenti che spesso aveva tentato di spiegarsi, senza riuscirci.

 

«Marinette» la chiamò Adrien. Lei si voltò, ritornando in sé.

 

«È tutto ok?» chiese lui.

 

La ragazza annuì.

 

Adrien tirò fuori dalla tasca il cellulare e fermò un passante.

 

«Che stai facendo?» chiese Marinette.

 

«Voglio una foto con le donne più importanti della mia vita» esclamò lui, trascinando lei ed Emilie davanti la scultura.

 

Marinette si voltò verso la statua. «Ladybug compresa?»

 

Adrien le fece l'occhiolino. «Certamente, non sai che io ero il potente e affascinante Chat Noir?!»

 

Tutti e tre risero e quell'istante rimase immortalato per sempre, perfetto e immutabile. Il loro lieto fine.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Plagg era appollaiato sul davanzale di una finestra, sbocconcellando del formaggio mentre il maestro Fu, chino sulla scrivania, leggeva alcune carte piene di segni a lui incomprensibili.

 

Una lucina rossa, invisibile a chiunque altro, apparve accanto a lui e Tikki si sistemò al suo fianco.

 

«Sei tornata da lei?» chiese il kwami nero.

 

L'altra annuì.

 

«Dovresti smetterla di infestarle i sogni.»

 

«Sei solo geloso» ribatté Tikki, «perché tu non puoi andare a trovare Adrien.»

 

L'altro lanciò il formaggio. «Che schifo, mi manca il mio camembert» disse, di cattivo umore. «E lui, come sta?»

 

Tikki non aveva bisogno che specificasse di chi parlava. «Bene, sono felici ed Emilie ha appena compiuto tre anni.»

 

Rimasero in silenzio qualche secondo.

 

«Che sta facendo maestro Fu?» chiese infine il piccolo kwami rosso fragola.

 

Plagg alzò le spalle. «Vorrei tanto saperlo anch'io... dice di aver trovato qualcosa, ma riguardo cosa sia non ci è dato saperlo.»

 

Come se si fosse sentito chiamato in causa, proprio in quel momento maestro Fu chiuse il pesante tomo che aveva davanti, sospirando.

 

I due kwami si voltarono a guardarlo.

 

«Ma quello è il libro che aveva Gabriel Agreste» esclamò Tikki, che non poteva essere udita dall'uomo.

 

«Non può essere...» fece quello.

 

«Che succede, maestro?» chiese Plagg.

 

Il vecchio si passò una mano sul pizzetto, lisciandoselo con aria preoccupata. «Dobbiamo andare. C'è qualcosa che devo verificare.»

 

«Ma siamo appena arrivati!» si lamentò il kwami «In quale altro posto sperduto dovremo andare, stavolta?»

 

Il vecchio si voltò. «Si torna in Tibet» disse.

 

 

 

 

 

 

 

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Oddio, siamo davvero giunti alla fine? Mi viene da piangere, davvero!

 

Questo è davvero un momento strano, mi sento sia triste che felice. Non posso credere che questa fanfiction, la mia PRIMA fanfiction, sia piaciuta così tanto, che abbia unito tutti voi fantastici lettori... non potevo sperare in un'accoglienza migliore!

 

Beh, eccoci arrivati. In moltissimi mi avete chiesto per mesi se ci sarebbe stato il lietofine... non so se questo possa definirsi così, lo lascio scegliere a voi.

 

So già che mi mancheranno gli scleri con voi, che cercate di indovinare come continuerà o che mi inondate con le vostre lacrime i vostri (nostri) scleri su quei due prosciuttoni!

 

Non avrei potuto desiderare nulla di meglio per la mia storia, e spero che l'abbiate amata e che vi abbia fatto emozionare quanto mi hanno emozionato i vostri continui apprezzamenti.

 

Ovviamente un ringraziamento speciale va alle mie compagne ambrogio's angels, le prime a leggere questa fanfiction e a crederci. Se non fosse stato per loro, questa storia non sarebbe mai stata pubblicata!

 

Oddio piango!

 

Non posso lasciarvi del tutto... sappiate che questa storia non è del tutto finita... non mi sento ancora pronta a mettere un punto a questa saga. Datemi un po' per riprendermi e presto, molto presto, partiremo con un nuovo, fantastico, sequel, che spero vi appassionerà tanto quanto questo...

 

Vi voglio bene ragazzi e vi abbraccio tutti.

 

 

 

 

La vostra Star <3

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