Broken

di Ily Briarroot
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Primo capitolo ***
Capitolo 2: *** Secondo capitolo ***
Capitolo 3: *** Terzo capitolo ***
Capitolo 4: *** Quarto capitolo ***



Capitolo 1
*** Primo capitolo ***


 Broken 

Primo capitolo

 


Il freddo pungente del laboratorio era il clima ideale per la situazione, abbinato alla perfezione al camice bianco e alle pareti sterili che facevano da contorno a quel luogo quasi perso nel tempo e nello spazio.
 
Desolazione...
 
Tra provette e microscopi, la giovane scienziata si alzò dalla sedia girevole con l'intenzione di scaldarsi bevendo un sorso del caffé preparato da pochi minuti, quando il cigolio della porta la distrasse dai suoi pensieri.
Guardò gli occhi truci dell'uomo appena entrato nella stanza e sospirò. Verdi e glaciali, la scrutavano senza lasciar trapelare alcuna emozione.
"Buongiorno, Sherry."
Lei non rispose, mantenendo lo sguardo fermo su di lui. Dopodiché quest'ultimo le si avvicinò di qualche passo, lo scalpiccio delle scarpe lucide sul pavimento scivoloso, attento a lasciare tra loro qualche centimetro di spazio. Quando lo vide fermarsi, fu sorpresa di notare il suo sguardo perso rispetto a qualche attimo prima, la sua espressione vagamente inebriata da qualcosa.
E Sherry non si mosse, non pensò a nulla. Non aveva paura di lui, lo sentiva. Lo percepiva lì, davanti a se'. Il suo non aver intenzione di spostarsi, il suo respiro. Non era tesa, ma attenta, in attesa di qualcosa che neanche lei riusciva a spiegarsi.
Si riscosse soltanto quando lui le appoggiò una mano sul braccio, in silenzio.
La ragazza sollevò lo sguardo, reggendo quello dell'uomo che aveva davanti.
 
Contatto...
 
E, di colpo, non sentì più il freddo o la voglia di caffé. Non sentì l'implacabile scorrere del tempo che non le avrebbe permesso di terminare e trascrivere i risultati della ricerca, no. Vedeva lui e sentiva tutto il mondo in quel breve contatto. Calore, solo quello. Il calore di quasi vent'anni di affetti non avuti, di sicurezza mai ricevuta. Un calore diverso, quasi possessivo. Solo contatto, solo pelle. Il resto non importava.

 
"... non mi toccare!".
Ai Haibara si svegliò di colpo, senza essersi accorta di aver alzato la voce. Solo un sogno. Un altro, stupido sogno che avrebbe voluto cancellare definitivamente dalla memoria. Sorrise appena quando si rese conto di essersi addormentata, per l'ennesima volta, con le cuffie sulle orecchie. Se le tolse, realizzando in quel momento di aver dormito per almeno un'ora. Si alzò in piedi ancora frastornata e si avviò alla ricerca del dottor Agasa, tentando di pensare ad altro. A qualunque altra cosa che potesse aiutarla a riprendersi da ciò che aveva rivisto per l'ennesima volta.
"Tutto bene, Ai?".
La bambina sentì la voce dell'anziano da dietro la porta del corridoio e decise di raggiungerlo, spalancandola.
"Sì, tutto bene. Devo essermi addormentata e... Shinichi? Cosa ci fai qui?" chiese poi lei, notando il bambino con gli occhiali alle spalle del professore. L'espressione della castana si trasformò quando capì che lui non le avrebbe detto la verità. Come sempre, d'altronde.
Lo intuì dalla solita risatina che faceva quando lo coglieva sul fatto e ne ebbe la prova quando lo vide cercare con lo sguardo l'appoggio del dottor Agasa.
"Ehm... ecco, mi ha chiamato il professore per farmi vedere una cosa. Non c'è niente di cui preoccuparsi" disse Shinichi, poggiando una mano sulla nuca. Inizialmente lei non gli rispose. Sapeva che stava mentendo, ne aveva la certezza. Ma, in quel momento, non riusciva a farne una priorità.
"D'accordo, io vado a farmi una doccia" rispose solo Ai, voltandosi.
"Aspetta!".
Il detective la afferrò per il braccio e la bambina rimase impietrita, di marmo. Senza capire. Quel tocco, allo stesso modo. Subito dopo il sogno, quel sogno.
Lui si stupì della sua reazione e la lasciò andare con calma. Forse aveva agito con troppa foga.
"Cosa c'è di urgente?!" gli chiese, nel vano tentativo di mantenere l'impassibilità nello sguardo.
"No, ecco... " cominciò Shinichi, scrutandola "volevo solo chiederti perché hai urlato in quel modo. Hai sognato... qualcosa di brutto?".
Nonostante le provocazioni e frecciatine che si scambiavano, lui si fidava ormai totalmente delle percezioni che aveva quando qualcuno di loro si trovava nei dintorni e anche del panico spontaneo che l'assaliva quando la sensazione era talmente forte da bloccarla. E, anche adesso, quella frase che poteva benissimo dipendere da un sogno - o forse no - lo stava facendo pensare.
Ai scosse la testa, sospirando.
"Sto lavorando troppo. Solo questo".
Tirò appena un sorriso e si avviò verso il bagno, lasciando il detective lì, fermo, tentando di capire. La seguì con lo sguardo, finché non gli venne in mente una frase. La stessa frase, detta in un'altra circostanza, molto tempo prima.
 
Non mi toccare, ti prego!
 
Ayumi aveva scostato di colpo la mano dal braccio della castana, stupefatta, quando le aveva quasi urlato contro. Ai non stava guardando la bambina dai grandi occhi azzurri in quel momento, non stava guardando nulla. Erano in classe, la stessa classe che condividevano con altri bambini di sette anni, ma lei era lì solo fisicamente. Era la prima volta che la vedeva così sconvolta e solo in seguito ne apprese il motivo.
 
Ho sognato Gin
 
E l'avevano incontrato, all'improvviso, all'uscita da scuola. Shinichi era riuscito a salvarla per poco, per molto poco, quella volta. E lei era spaventata, spaventata da altri contatti, spaventata da altre voci. Immobilizzata tra le voci delle persone, lei in quel momento ne sentiva una soltanto. E sul tetto, quando era corso a salvarla, la giovane donna che era tornata a essere in quel momento non guardava con la stessa paura di sempre gli occhi del suo aguzzino. Aveva uno sguardo carico di rassegnazione e, a tratti, di sfida. Ma aveva retto bene quello di ghiaccio, persino mentre aveva creduto di stare per morire.
Il detective decise di non fidarsi delle sue parole, mentre ripercorreva con la mente quella giornata d'inferno.
 
Ai, sotto la doccia, chiuse gli occhi a quel ricordo, mentre l’acqua calda le scivolava lungo il corpo.
 
Non mi toccare
Non mi toccare più


Rivedeva la piccola Ayumi spaventarsi, gli altri guardarla stupefatti. Poco prima aveva pensato a lui, ai suoi capelli biondi, al suo sguardo di assassino. E subito dopo, il contatto della bambina le aveva dato fastidio. Ripensava a tutto ciò mentre lasciava che la schiuma lavasse via tutto, lavasse via l’incubo, l’adolescenza, la sua vita da Shiho Miyano. Una vita piena di oscurità e dolore, una vita vuota e priva di affetto, priva di amore se non per quello verso una persona che non c’era più. Le lacrime si mescolavano al getto d’acqua bollente, in balia di quel qualcosa che non la faceva respirare.

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Capitolo 2
*** Secondo capitolo ***


Broken 

Secondo capitolo

 


Mani fredde a contatto con la sua pelle, decise e motivate. Il calore di qualcosa che non c'era, al quale era fondamentale dare un senso. Un qualcosa di vuoto, totalmente privo di sentimenti, per poter avere anche solo una parvenza di sicurezza. Per poter in qualche modo compensare l'isolamento di una vita fatta di nulla. L'incapacità di amare era il dubbio che la attanagliava mentre si lasciava andare, nel buio di una stanza trasportata improvvisamente fuori dal mondo. 
Questa era solo una delle tante paure che le riempivano la testa e che riusciva a mascherare così bene, che non c'entrava nulla con il suo destino all'interno di quella vita criminale. Il suo timore più grande non era l'essere uccisa, non lo era mai stato, quanto il non essere sicura di riuscire ad amare, di non potere essere considerata diversa da loro. 
Aveva Akemi, certo, e ogni giorno ringraziava il cielo per averle regalato quell'unica certezza nella sua esistenza. L'unico affetto, il più vero. Era l'unico pensiero che la faceva andare avanti, aiutandola in qualche modo a superare quella mancanza d'affetto che la avvolgeva e la schiacciava totalmente. 
I dubbi si insinuavano ancora una volta in lei quando si ritrovava a incrociare gli occhi di ghiaccio dell'uomo che la toccava, attraverso carezze che non pesavano, baci che non sapevano di nulla e dita che le attraversavano i capelli, sempre, costantemente. 
In quei momenti, Sherry sapeva di poter osare. La tensione della giornata, dell'aver a che fare con lui, spariva durante quelle ore. Si sentiva bene perché poteva abbassare la guardia, poteva sentirsi una ragazza normale concedendosi al piacere che prendeva il sopravvento su di se'. Ma, soprattutto, voleva quel contatto. Ne aveva bisogno, giorno dopo giorno, più che mai. E lo capiva specchiandosi in quegli occhi, gli stessi che riuscivano a ipnotizzarla e a rapirla. Alla fine, si accorgeva di non aver nulla. Non si era mai illusa di niente, ma la sua vita aveva cominciato ad avere un ritmo, scandito solo dall'orologio e dall'uomo biondo che la invitava senza quasi parlare. Lo aveva guardato dormire al suo fianco, quella volta, quando il rumore delle lancette l'aveva svegliata. 
Si era seduta sul materasso, con l'intento di alzarsi in piedi, mentre realizzava ancora il tocco di quelle mani su di se'. Lo sentiva ancora, come un segno permanente sulla pelle e nel cuore. Un attimo dopo, quasi sussultò al contatto della mano di Gin stretta attorno al polso. 
"Dove credi di andare, Sherry?".
Non era una minaccia, non aveva paura di lui. Gli lanciò un'occhiata veloce, sospirando. 
"Lasciami".
Lui l'ascoltò e allentò la presa della mano, appoggiandola sul materasso. Dopodiché si sistemò meglio sul letto, il busto contro il cuscino alle sue spalle. 
La ragazza si alzò in piedi e lo guardò ancora, brevemente, nascondendosi sotto la frangia ramata. La vide ancora, quell'espressione carica di brama e desiderio. Notò il suo bisogno di lei, nell'averla ancora lì, a sua disposizione. Gin non aveva ancora finito, non gli era bastato, stavolta. Ma lei non ne aveva, non ancora. Lo avrebbe fatto aspettare, perché l'avrebbe aspettata, come ogni volta. 
"Allora? Non credo sia il caso di farti pregare" rispose poi lui, sogghignando. Rimase a osservare interessato la sua schiena nuda, godendosi appieno la scena. 
"Ho molto lavoro da fare e oggi ho perso anche fin troppo tempo". 
Con ferma decisione, la scienziata afferrò il lenzuolo rimasto sul materasso e se lo avvolse attorno al corpo. Tornò ad abbassare lo sguardo e si allontanò velocemente senza voltarsi indietro. 



Dopo la sfuriata che aveva appena fatto con Shinichi e Agasa, la concentrazione necessaria per poter lavorare si era dileguata nel nulla, lasciandole addosso soltanto una sensazione di nervosismo e malinconia. 
Aveva imparato da tempo a non fidarsi di nessuno. Mai, per alcun motivo. Aveva fatto non poca fatica ad aprirsi - piano, molto piano - con le persone che l'avevano accolta e protetta, da quando aveva cambiato vita, da quando aveva deciso di accantonare Shiho Miyano da qualche parte, almeno per un po', senza troppe pretese. Era riuscita a far nascere qualcosa, un sentimento d'affetto verso altre persone che non fossero Akemi e, per farlo, si era messa in gioco. Nel suo angolino, lentamente, ma lo aveva fatto ed era una cosa che non pensava potesse succederle nella vita, dopo tutto il dolore era ancora nascosto da qualche parte, dentro di se'. 
In quel momento, invece, si sentiva ribollire il sangue nelle vene dalla rabbia, come se tutto ciò che avesse creato continuasse a essere calpestato, in balia di eventi che non poteva controllare e non perché non volesse farlo, quanto perché qualcuno glielo impediva. Agasa era diventato un padre; quel vecchietto trafelato e a tratti goffo era diventata una delle persone alle quali teneva di più al mondo e questo lo sapeva. Così come Shinichi Kudo, che era diventato ormai parte integrante del suo stesso destino. Con lui non c'era bisogno di parlare, un silenzio valeva mille parole. Uno sguardo, un'espressione. 

Una simbiosi

Ed era colui che, più di tutti, la conosceva. Aveva deciso di fidarsi della sua promessa di aiutarla, aveva rischiato la vita per lei più volte e, questo - solo questo - le permetteva pian piano di aprirsi, di rivelare la sua parte migliore, quella che anche lei conosceva appena. C'era lui a proteggerla, contava questo.

Andava tutto bene

E poi, puntualmente, c'era sempre qualcosa. Qualcosa che le nascondeva, da solo o in accordo con il dottor Agasa. Ogni volta era una lama nel petto, perché lo vedeva quando lo faceva, quando non le diceva la verità. Quando gli occhi verdi di Ai incrociavano quelli del bambino e allora quest'ultimo voltava lo sguardo per nascondere o per ammorbidire un peso enorme. Inizialmente lo capiva quando l'ansia le attanagliava la gola da non permetterle di respirare e Shinichi aveva imparato a fidarsi di quella sensazione, puntualmente. Erano arrivati a un punto nel quale lei rischiava la vita, era lei che quei criminali cercavano ma che, al tempo stesso, non poteva sapere nulla, accontentata solo da frasi di circostanza o risatine. 
Ai si era stancata di trovare il giovane detective e Agasa che mormoravano a bassa voce per non farsi sentire, costretta quindi a stare dietro una porta per ascoltare tutto ciò che poteva riguardarle in prima persona. 

Eppure si tratta di me, no? 

Ma stavolta non glielo avrebbe concesso. Si era spaventata come mai prima d'allora, aveva creduto di morire, di non riuscire a scendere con le proprie gambe dal treno sul quale stavano viaggiando. 
Aveva pensato ai bambini e solo a loro, quando aveva scelto di assumere l'antidoto temporaneo per non morire sotto le spoglie di Ai Haibara. Soltanto in seguito le avevano svelato il piano

C'era un piano?

che aveva in mente Shinichi, calcolato su probabilità, statistiche e la mente geniale del detective. Non importa, avrebbe voluto saperlo. Avrebbe voluto essere pronta. E ogni volta, quando lui le raccontava il modo in cui si sarebbero svolti i fatti, nella sua testa le frasi erano sempre le stesse.

E se qualcosa fosse andato storto?
Perché io non sapevo niente? 


Era da quella mattina che si era chiusa nella sua stanza, dopo aver quasi urlato contro a entrambi. Le mani tremavano ancora e il Dottore non si era affacciato sulla soglia chiedendole come stesse. Era già sera quando sentì dei colpi timidi sulla porta di legno e sollevò lo sguardo dal monitor, accigliata. 
"Cosa c'è?" chiese annoiata, trattenendo uno sbadiglio. Immaginava che sarebbe stata solo questione di tempo prima che Agasa entrasse a parlarle. 
"Sono io. Posso entrare?".
La voce di Shinichi la fece deconcentrare da ogni cosa. Improvvisa, fu come una doccia fredda.
"Non penso di poterti tenere fuori, non credi?".
Ai si alzò dalla sedia e raggiunse la porta, mentre l'amico faceva capolino sulla soglia. Quest'ultimo non parlò subito. Attese qualche istante, forse dando per scontato che avrebbe iniziato lei la conversazione. Dovette ricredersi quando la vide incrociare le braccia. 
"Sei ancora arrabbiata per ieri? Guarda che devi stare tranquilla, quegli uomini ti lasceranno stare almeno per un po' di tempo". 
Ai sospirò, cercando di mantenere la calma. Di solito riusciva abbastanza bene nell'intento, ma questa volta la frustrazione era troppo forte da tenere dentro se'.
"Non capisci proprio, Shinichi? Io credo di avere il totale diritto di sapere la verità e finché tu continuerai a comportarti da grande detective che deve fare tutto da solo, io-"
"-non era questa la mia intenzione, lo sai bene" la interruppe lui, guardandola con finto sguardo di disapprovazione "insomma, tutto si è risolto per il meglio. Dovresti pensare a questo e smetterla di rimuginare su ciò che è successo".
La bambina iniziò a tremare, percependo la rabbia che trapelava dall'interno, e la delusione impressa sul volto. Abbassò lo sguardo, nascondendo gli occhi nel vano tentativo di calmarsi. 
"Questa è una faccenda che riguarda me, Kudo. Non ti permetterò più di fare una cosa del genere senza consultarmi".
Shinichi si accorse della sua reazione e la scrutò stupito, senza riuscire a comprendere sul serio il motivo di quella reazione inaspettata. 
"Ascoltami, Ai. Non pensarci più. Che importa se ci fossero loro o meno? Abbiamo vinto noi"
"No! TU devi ascoltarmi!" gli si avvicinò pericolosamente, indicandolo e facendolo indietreggiare "mi importa! Perché se ci fosse stato Gin, non capisci che io-".
La piccola scienziata si bloccò all'improvviso, rendendosi conto delle parole appena uscite fuori dalla sua bocca solo in quel momento. Il tremore del suo corpo ora era ben visibile, mentre le lacrime presero a rigarle le guance. 
"... Ai?" mormorò appena Shinichi, sgranando ancora di più gli occhi. Rimase rigido, teso, senza sapere cosa dire. 
"Perché non capisci che l'ultima persona tra loro che vorrei ritrovarmi davanti è proprio Gin? Perché non mi ascolti?" disse lei, abbassando la voce in modo da non allarmare Agasa. Si allontanò dal moro di qualche passo, quasi come se le avesse fatto del male. 
"Dopotutto non ti è mai importato di farlo. Vero, detective?" aggiunse poi con un filo di voce. 
Shinichi non si mosse dalla sua posizione. La osservava, riflettendo sul motivo che la stesse portando a reagire così.
"Gin... ? Perché Gin?" chiese quasi a se stesso, scuotendo la testa. La sua concentrazione si era focalizzata su Vermouth e Bourbon, tralasciando i vecchi nemici di sempre, quasi senza volerlo. In particolare, era stata la bionda americana a minacciare Ai, a mandarle quella email, quindi sentire il nome in codice del criminale lo fece letteralmente cadere dalle nuvole. C'era quel qualcosa che gli mancava, quel tassello che non rimaneva fermo nello stesso punto della sua razionalità, quando gli capitava di riflettere sul passato della sua amica. E quando credeva di esserci riuscito, quel qualcosa gli sfuggiva e non cercava di rincorrerlo, per evitare di pensare cosa potesse significare quella parte mancante, forse. Ma adesso che sentiva quelle parole e vedeva quella reazione, il pezzo del puzzle tornava in superficie e stava tentando di decifrarlo di nuovo. 
Non fece in tempo a chiederselo però, perché Ai scattò via e lui fece appena in tempo ad afferrarla per il braccio. Di nuovo, nel giro di così poco tempo. Lei rimase ferma, immobile, senza reggere il suo sguardo. La sentiva tremare e allentò lievemente la presa.
"Perché hai paura di Gin? Cosa c'entra lui in tutta questa storia?" le chiese, il tono fermo e rigido. Non seppe perché, ma un brivido gli attraversò la schiena. 

Non dirmelo.
Non dirmi quello che penso. 


Di colpo, Shinichi comprese alla velocità di un fulmine a ciel sereno. Non la lasciò andare e non aveva intenzione di farlo, per il momento. Pensò agli incubi, sia quello che gli aveva raccontato - ho sognato Gin che ti sparava - sia quello recente, che lei gli aveva tenuto nascosto. E chissà quante volte ancora. Si ricordò della reazione al tocco di Ayumi quella volta in aula, 

Non mi toccare, ti prego.

alla sua ansia ogni volta che capitava di vedere una Porsche nera nei dintorni. Le frasi del criminale quando aveva avuto modo di vederla, all'Haido City Hotel, e che gli aveva riferito il dottor Agasa dopo aver udito la conversazione tramite la ricetrasmittente installata negli occhiali. L'averla aspettata fuori dalla canna fumaria solo per ucciderla guardandola negli occhi, l'aver scoperto che lei fosse nascosta lì dentro a causa del suo profumo. L'essere riuscito a risalire a lei dal colore del capello, il riuscire a prevedere le mosse della ragazza, una ad una. Il non averla uccisa con un colpo secco, pregustando con sadicità il suo dolore, dopo averle inferto altri colpi. No, non poteva essere.
"Ai, cosa mi nascondi?".

Cosa mi nascondi da anni?
Cosa non mi hai mai detto?


Lei scosse la testa, guardandolo negli occhi per un attimo - uno solo. 
"Non sei l'unico a sentirsi in dovere di non dire la verità, Shinichi". 
Dopodiché lei si liberò e lui la lasciò andare senza trattenerla. La vide scappare via lungo il corridoio e non osò seguirla. 

Forse non ne aveva davvero il diritto.




**************************************

Note dell'autrice: ciao a tutti! Eccomi con il secondo capitolo di questa fanfic che non sarà tanto lunga, non preoccupatevi xD mancano davvero pochi capitoli alla fine. Mi è sempre piaciuto e incuriosito il passato di Gin e Sherry all'interno dell'Organizzazione, infatti dagli indizi che abbiamo avuto (in sostanza quelli che ho elencato nella fic) non sappiamo se sia effettivamente successo qualcosa tra di loro oppure no (io sospetto di sì). Tuttavia in se' la cosa mi piace e spero che possa piacere anche a voi :D ringrazio tutti coloro che hanno recensito o che abbiano voglia di farlo ancora ma anche soltanto a chi si sofferma a leggere. Grazie mille a tutti, un bacio e al prossimo capitolo!

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Capitolo 3
*** Terzo capitolo ***


Broken 

Terzo capitolo


L'uomo dai lunghi capelli biondi le si avvicinò piano, scrutandola con maniacale attenzione. Perlustrò con gli occhi ogni centimetro della sua pelle bianca, il vestito corto che si intravedeva al di sotto del camice aperto, i capelli di quel castano così sfumato, così particolare.
Tuttavia, Sherry non gli restituì lo sguardo. Si sforzava di rivolgere l'attenzione verso gli strumenti di ricerca, muovendosi da una parte all'altra del laboratorio nel tentativo di restare concentrata e di mantenere il contegno che aveva deciso di assumere nei luoghi di lavoro. Lui ghignò, affascinato da quell'aria autorevole, impeturbabile. Dalla serietà della sua espressione, a dimostrazione che non si sarebbe arresa facilmente. 
"Buongiorno, Sherry. Stamattina sei scappata". 
Le si avvicinò da dietro, facendo aderire perfettamente il corpo contro quello della ragazza. Le sfiorò il collo con le labbra mentre parlava, godendosi l'attimo attraverso il profumo di quel contatto. 
La scienziata sussultò appena, senza scomporsi. Si voltò lievemente, sollevando una volta per tutte gli occhi chiari su di lui. 
"Non ora, lo sai. Devo lavorare e usare la testa in ciò che faccio".
Gin la vide scostarsi appena e sorrise deciso, il sorriso di chi sa bene ciò che vuole. Lasciò che si allontanasse da lui senza toccarla, mantenendo la costante aderenza visiva su di lei. Era bella, quel profumo gli dava alla testa. La raggiungeva quando ne aveva voglia, quando smetteva di sentire il calore del suo corpo su di sé. 
Sherry lo sapeva, lo percepiva. Quegli occhi di ghiaccio la stavano perlustrando da cima a fondo, cercando un qualunque momento di debolezza. Ma aveva fatto male i conti stavolta. 
Il suo lavoro era importante, era tutto ciò che la teneva in vita, che le dava delle soddisfazioni piene. Era seria in ciò che faceva, seguiva ogni momento della giornata in quei laboratori in maniera rigida. Non accettava errori, non esisteva nient'altro per il momento, nonostante il ricordo delle mani forti dell'uomo che aveva accanto e della voglia di lui che sarebbe tornata poco dopo. Ne aveva bisogno. Aveva bisogno di lui e del suo contatto. Cercò di non farlo trapelare, ma Gin aveva già compreso. 
Tornò serio, assecondandola. 
"Devo andare, non ho tutto il giorno". 
La giovane donna lo guardò appena, composta. 
"Un altro affare da sistemare, suppongo. Un altro nome da aggiungere alla lista”.
Dopo quella frase, Gin mostrò un sorriso più malizioso e caparbio. L’aveva scelta anche per questo, d’altronde. Era l’unica donna al mondo capace di tenergli testa, di avere l’ultima parola. L’unica donna degna per uno come lui, un dominante che non lasciava nulla al caso. In un’altra situazione, dopo un affronto simile, avrebbe volentieri premuto il grilletto per far tacere la persona che aveva avuto la sfacciataggine di sfidarlo a parole. Ma non con lei. 
Percepiva la voglia di infliggerle la sua punizione, nonostante tutto. La necessità di prendere in mano la pistola e puntargliela contro. Di vedere il sangue della ragazza scivolarle lungo le spalle pallide, macchiando il pavimento lucido della stanza sterile. Il contrasto bianco e rosso che rendeva particolare tutta la scena che si svolgeva nella sua testa. Il suo corpo sofferente a causa sua, a terra davanti a lui. L’averla in pugno, con ogni mezzo. Questi pensieri lo stavano facendo deconcentrare dalla realtà, se ne rese conto. Non rispose alla sua provocazione, inebriandosi di quelle parole. Non appena la scienziata gli fu di spalle per tornare al lavoro, Gin le si avvicinò nuovamente bloccandole il braccio destro dietro la schiena e afferrandole il volto con quello scoperto. Sherry non parlò, presa alla sprovvista, ma non riuscì ad averne timore. 
“Sarò di ritorno entro stasera. Mi sono svegliato male e oggi sono abbastanza nervoso, quindi, Sherry… “ cominciò l’uomo, con un tono che non ammetteva repliche. Ritirò la stessa mano che le accarezzava il viso e afferrò la pistola dalla custodia. La ragazza rimase tesa, in ascolto, senza sapere cosa avesse in mente e ne fu consapevole solo quando avvertì la canna della pistola contro il camice, all'altezza della scapola sinistra. 
“… non peggiorare la situazione. Ti voglio trovare al solito posto”. 
“Mettila via, Gin. Sarò lì ad aspettarti dopo che avrai adempiuto al tuo dovere quotidiano, come sempre”. 
Sherry sorrise decisa e lui fece lo stesso, nonostante entrambi non potessero saperlo. Il tono del criminale non ammetteva repliche, ma non era duro. Sapeva che non occorreva esserlo, lo avrebbe ascoltato perché lo voleva allo stesso suo modo, nonostante il disprezzo velato dalle frasi sarcastiche che gli lanciava spesso. Gli piaceva, gli piaceva eccome.
Ripose l'arma con un gesto secco e rimase qualche istante nella medesima posizione, sopraffatto da quel profumo. 
"Molto bene" le mormorò alle spalle con voce stranamente morbida. La scienziata si scostò appena, in modo sufficiente da poterlo guardare negli occhi, stavolta, quasi in segno di sfida.
"Stamattina hai fatto male ad andartene, mia cara. Vorrà dire che ci rifaremo". 
Si allontanò da lei e un brivido le percorse la schiena. Quel suo modo di parlarle, quella possessione che traspariva dalle sue parole e dal suo tocco, ogni volta. Gin non dettava le regole del gioco ed era tutto ciò che lo faceva irritare. Credeva di avere il controllo su ogni cosa, all'interno del giro. Era convinto di poterla ottenere quando e come voleva ma, probabilmente, ciò che lo faceva innervosire era proprio l'essere consapevole di non poter avere questo potere e di non averlo mai avuto.
Anzi, notare questa sua dipendenza da lei la faceva sentire bene. Lei, l'intera esistenza fantasma all'interno di un'Organizzazione che non le lasciava via di scampo. Lei, della quale nessuno si preoccupava, in quella vita che l'aveva allontanata dal mondo. Lei, che si sentiva grata di poter avere l'attenzione maniacale di un criminale che la usava soltanto perché aveva deciso di farsi usare. Il riuscire a tenergli testa, l'essere sullo stesso suo livello, le infondeva una spinta particolare, una soddisfazione piena che respirava a pieni polmoni. Gin aveva scelto lei. Uno degli uomini di spicco lì dentro, intelligente e arguto, voleva lei. 
Le sue erano le uniche braccia nelle quali immergersi, e che, stringendola, la facevano sentire bella, amata di un amore che in realtà non esisteva. Era il contatto di un uomo spietato, di un assassino, ne era consapevole. Nulla di diverso, quindi. Erano uguali, andava bene. 

Andava tutto bene. 

Non si sporcava di nulla, quando erano insieme. Tutte le raccomandazioni di Akemi, che, preoccupata, le intimava di frequentare altre persone, allontanandosi da quel mondo almeno per qualche ora, rendendola consapevole di avere una scelta, seppur minima. Avrebbe potuto decidere di svagarsi in altri modi, uscendo di più o stringendo amicizie oltre la barriera della criminalità nella quale era rinchiusa. Tuttavia la sorella maggiore non aveva compreso una cosa importante; loro due erano diverse e così anche le loro vite. Per quanto quest'ultima cercasse di spronarla, Sherry era convinta dell'unica scelta che aveva e che non le lasciava via di scampo: era come loro e lo sarebbe sempre stata. Non era reale l'alternativa della quale parlava sempre Akemi, non avrebbe mai potuto avere un'altra vita e non lo perché non lo volesse, ma perché era una criminale.
Era una criminale proprio come quella gente. L'unico che poteva avvicinarsi e toccarla, che aveva libertà totale sul suo corpo era proprio Gin. In quei momenti, con lui si sentiva sulla stessa linea d'onda, non vi era niente di sbagliato in ciò che faceva. La gratificava, la faceva sentire Sherry. E Sherry stessa non poteva scegliere. Per avere un minimo di vicinanza, di approccio, quell'uomo era l'ideale. E la scienziata voleva quel contatto, ne aveva davvero bisogno. 
I minuti peggiori erano quelli del dopo, quando il biondo si addormentava o si accendeva una sigaretta rimanendo nel silenzio più totale, lo sguardo di ghiaccio impenetrabile. 
La ragazza si voltava, reggendo il suo gioco. Non diceva nulla proprio perché non c'era nulla da dire. Il pensiero di condividere così tanto con quell'uomo, dopo l'incontro, la devastava. Era sempre la stessa storia che si ripeteva, una reazione a catena infinita. Cercava di non chiedersi più dove fosse stato durante la giornata o chi avesse ucciso, né alle sue mani impregnate di quel sangue invisibile che non si lavava via. All'inizio dei loro rapporti segreti, il pensiero le suscitava un senso di nausea difficile da frenare. Quindi chiudeva solo gli occhi, semplicemente lasciandosi andare. Spariva tutto in poco tempo e riappariva allo stesso modo subito dopo, nascondendo le tracce umide che le scivolavano dagli occhi. 
Condivideva il letto con un'assassino, ma lo era anche lei, in fin dei conti. Una criminale che probabilmente non avrebbe potuto chiedere nient'altro dalla vita, se non le attenzioni di un omicida che le aveva posato lo sguardo addosso e che la faceva sentire bene, nonostante il disprezzo e i sensi di colpa verso se stessa che l'attanagliavano ogni volta dopo l'ennesimo rapporto. 


La bambina spense il computer con un gesto secco, consapevole del fatto che non sarebbe riuscita a continuare a lavorare ancora per molto a causa degli stessi ricordi che la torturavano da giorni e che avrebbe voluto soltanto dimenticare. 
L'immagine dei quell'uomo dai capelli lunghi continuava ad apparirle davanti agli occhi senza che lei ne capisse il motivo. Non lo vedeva da due anni e, durante tutto quel tempo, non si era mai lasciata trascinare dalla moltitudine di sentimenti che ancora le suscitava. Ovviamente, non c'era più il desiderio di attenzioni da parte sua. Il rancore aveva fatto breccia nel suo stato d'animo assieme al disprezzo che già da tempo esisteva. 
Gin avrebbe dovuto rifletterci, prima di assassinare la persona più importante della sua vita. Le aveva strappato Akemi con una brutalità folle e con lei, le aveva portato via ogni cosa. Lui, che l'aveva spogliata della sua adolescenza e dei suoi sogni più nostalgici e profondi. Che l'aveva spogliata dei vestiti e non solo, che l'aveva toccata e usata. Il senso di colpa tornò più forte quando pensò alle sue mani; quelle mani che avevano stretto forte la pistola puntata sulla sorella, in passato l'avevano accarezzata e inebriata di piacere. 
L'aveva tradita. Non era mai stata innamorata di lui e non aveva mai avuto un ruolo centrale nella sua vita, né avrebbe mai voluto averlo. La fiducia non esisteva, non ne aveva mai avuta per altri. Ma la consapevolezza di essersi dedicata a lui, di sentire ancora il suo corpo su di sé, e poi di essere stata pugnalata con una semplicità atroce l'aveva uccisa nel profondo. 
Sentì d'un tratto le voci di Agasa e Shinichi provenire dal salone, dopo tre ore nelle quali aveva deciso di chiudersi nello scantinato nel tentativo di evitare il detective, dopo aver discusso anche con lui. 

Già, lui... 

Durante quel periodo in cui il compagno di sventure era riuscito a insegnarle la fiducia, quella vera, si era aperta un po' di più con il mondo. Aveva scoperto l'affetto e l'amore, stupendosi a tratti per ciò che sentiva dentro di sé, per i sentimenti puri che era in grado di provare. Trovandosi per la prima volta faccia a faccia con il lato umano che non aveva mai creduto di possedere. 
Shinichi stava di colpo distruggendo tutto, così, come se niente fosse. Il non rivelarle la verità, il celarle tante cose che la riguardavano e che invece avrebbe potuto affrontare insieme a lui, la stava uccidendo ancora. 
Per l'ennesima volta, il senso di smarrimento, il sentirsi isolata dal resto del mondo, nascosta all'interno di una gabbia invisibile senza mai uscire, erano sensazioni che sperava di non rivivere, una volta cambiata identità. 
E invece, il detective la stava ributtando senza volerlo in quel vortice che la strappava da tutto e da tutti. Solo in quel momento capì il motivo per il quale le stava tornando tutto alla mente nel giro di poco.

Mi ha tradita

Non poteva permettere che accadesse, non di nuovo. Non con la persona che la stava mantenendo in vita, concedendole la seconda possibilità che probabilmente non meritava. E più lui mentiva, più lei faceva altrettanto. Si stava allontanando dall'amico, la complicità che avevano vissuto insieme si stava disgregando tra le sue dita senza quasi rendersene conto. Soltanto in quegli istanti decise di rivelargli qualcosa che probabilmente Shinichi aveva compreso qualche ora prima, quando gli aveva praticamente urlato contro. 
Ai si alzò dalla sedia e raggiunse i due nel salone, in silenzio. La sua presenza improvvisa li lasciò stupiti qualche attimo, ma non importava in quel momento. 
Il bambino sollevò lo sguardo verso di lei, scrutandola incuriosito. Non osò proferire parola, ripassando con la mente gli ultimi attimi nei quali l'aveva vista scappare via dalla sua presa, quando aveva compreso qualcosa a cui, forse, sarebbe stato meglio evitare di pensare. 
"Hai ragione, Shinichi. È andata così". 
Mantenne lo sguardo nel suo, la stessa espressione composta e impenetrabile, cercando di non lasciare trasparire nulla. Lui le restituì un'espressione seria, irrigidendosi, mentre il dottor Agasa guardava prima l'uno e poi l'altra, senza capire. 
Qualche istante dopo, il bambino le afferrò il braccio e la costrinse a seguirlo nella stanza adiacente ignorando la voce dello scienziato che, preoccupato, continuava a chiedere cosa stesse succedendo. Shinichi gli diede una risposta sbrigativa, chiudendosi la porta alle spalle. 
"Perché reagisci in questo modo? Io non ho problemi a raccontarvi la verità, dottor Agasa incluso. A differenza di qualcun altro... ". 
La castana mantenne gli occhi su di lui, seria. Respirò a fondo cercando di mascherare l'insicurezza nelle sue parole, ma non era affatto facile. 
L'amico sembrò non averla sentita, concentrato com'era su quel dubbio atroce che lei gli aveva involontariamente concesso poche ore prima. 
"Cosa intendevi dire?". 
Ai abbassò gli occhi, stavolta, concentrandosi. Confessare tutto a lui, che distingueva nettamente il bianco dal nero senza preoccuparsi dell'esistenza di colori differenti quali il grigio, la mandava in panico. Il timore di non essere più accettata nella sua vita non le permetteva di respirare, in quel momento. 
"So a cosa pensavi prima e ho deciso di essere sincera con te" riprese lei, mantenendo la calma. "Avevi ragione su tutto. Su Gin... su di noi". 
Shinichi sgranò gli occhi, fissandola come se la vedesse ora per la prima volta. Lo stesso sguardo di quando lo aveva conosciuto, la stessa espressione piena di orrore che aveva assunto quando gli aveva fatto credere di aver fatto fuori Agasa. 
Lo scrutò con la coda dell'occhio, aspettando quasi una sentenza. Gli spilli che le perforavano il petto ne erano la piena conferma. 
Lo vide rigido, la stretta sul suo polso allentata di colpo. Non si sarebbe fatta accusare, non stavolta. Era pronta a rivelargli la verità, una parte almeno, facendogli capire di essere disposta a farlo, a condividere il peso di quel qualcosa di orribile che aveva sempre nascosto. Ormai si fidava lui, abbastanza da potergli confidare una cosa del genere senza correre il rischio di essere giudicata, ma non ne era convinta. 
Quando Shinichi si riscosse, la bocca dischiusa, attese ancora qualche istante. Lo vedeva quasi fremere, attraverso il tremolio appena percettibile del suo corpo. 
"C-Cosa?" le chiese appena, cercando a tutti i costi di fare mente locale. Il tipico sguardo di quando gli scivolava qualcosa sotto il naso di cui non poteva avere il controllo. Ai sollevò finalmente il viso, fissandolo.
"Ti sto dando la conferma che volevi, detective" rispose lei, impassibile. "Sono stanca delle solite bugie". 

Così sei contento

Parlò con molta - forse troppa - disinvoltura, il che lasciò il bambino ancora più perplesso. Non capiva del tutto o, probabilmente, si rifiutava di farlo. 
"Mi stai dicendo che... tu e Gin eravate... " cominciò lui, guardandola come se di colpo avesse scoperto che l'amica provenisse da un altro pianeta. 
Quest'ultima scosse brusca la testa, in modo da non farlo giungere a conclusioni affrettate. 
"Non eravamo proprio niente. Lui... " sollevò la testa verso il soffitto quando notò la propria voce tremare appena. Quando fu nuovamente certa del controllo della situazione, guardò di nuovo Shinichi. "Lui mi usava e a me andava bene così". 
Le dita del ragazzo si strinsero istintivamente, le minuscole gocce di sudore sulla fronte. Durante tutto quel tempo non aveva mai chiesto ad Ai nulla di personale riguardo la sua vita all'interno dell'Organizzazione. Non aveva mai avuto il coraggio di farlo, forse per evitare di vederla in ansia, di riportarle alla mente ricordi troppo dolorosi. O magari perché era lui quello a non voler sapere, dopo essersi affezionato, dopo aver capito di volerle bene. 
Non indagava mai su ciò che non fosse inerente ai membri della banda, non superava mai il confine che divideva ciò che avrebbe potuto essergli utile per far arrestare quei criminali una volta per tutte e la vita di Ai con loro prima di conoscerla. Era una specie di tabù che, inconsciamente, si era imposto di mantenere per il suo bene. Di solito, infatti, era lei ad aprirsi mediante qualche ricordo di Akemi conservato gelosamente o i suoi studi solitari in America. Lui, semplicemente, rimaneva ad ascoltarla, cogliendo ogni sfumatura del suo stato d'animo evitando di fargliene parola. 

"Non è così forte come vuole farci credere".

Ed ecco rientrare in gioco il motivo per il quale avrebbe voluto tenere Shinichi all'oscuro di ogni cosa. Detestava mostrarsi debole, con gli altri e con se stessa. Per questo non voleva rivelare più di quanto già non sapesse, lo stretto indispensabile per poterlo aiutare a riprendersi in mano la sua vita di liceale.
"Perché non me lo hai mai detto?" chiese poi il detective, riportandola alla realtà con il peso di un macigno. 
Lei sorrise. Uno di quei sorrisi deboli, malinconici. 
"Perché non c'è nulla da dire. Non è un argomento utile ai fini delle tue indagini, Kudo. Anzi... " abbassò lo sguardo, sentendo il magone forte in gola per le lacrime che non si era resa conto di trattenere. "Vorrei solo dimenticare certi momenti". 
Shinichi scosse la testa, studiandola. Non aveva mai pensato sul serio a una possibilità del genere. Si sentì in colpa per averglielo chiesto così istintivamente, per avere fatto in modo di portare tutto alla luce solo per il suo sentirsi in dovere di sapere. Adesso vedeva chiaramente qualcosa di diverso sul suo volto, un'ombra colpevole che lei cercava di nascondere. 
Non riuscì a risponderle, preso alla sprovvista. Leggeva la sofferenza del primo giorno nei suoi occhi e si sentì nuovamente miserabile di fronte a lei. 
"È per questo che ti preoccupi così tanto della presenza di Gin?". 
Con quella domanda riuscì a farla titubare qualche attimo, prima di vederla ritrovare la solita compostezza. 
"Lui... sta sicuramente bramando il giorno in cui mi troverà, andandomene da loro è come se lo avessi tradito. È diventata una faccenda personale" rispose appena a voce bassa, mentre l'immagine dell'uomo le appariva in testa per l'ennesima volta. Si voltò verso Shinichi per avere una conferma di ciò che aveva appena detto che non arrivò. 
Rigido, la stava studiando quasi come avesse paura di poterla ridurre in frantumi con una parola di troppo. Ma ormai erano in barca, tanto valeva continuare a remare. 
"Ti minacciava?". 
Strinse le palpebre, poiché non era sicuro di voler ascoltare la risposta. La castana lo guardò un istante stupita, dopodiché gli mostrò il sorriso deciso ma dall'aria malinconica di poco prima. 
"No. Io ero consenziente".
Gli rispose con una tale naturalezza da fargli gelare il sangue nelle vene. Fu ciò che gli disse poi a fargli aprire gli occhi, desiderando di avere tra le mani quel criminale per potergli infliggere la pena che meritava una volta per tutte.
"Quando la tua esistenza è dominata dal nulla e sei circondato da gente a cui non importa se sei vivo o morto, basta che porti avanti il tuo lavoro... hai bisogno di un contatto, Shinichi. Un qualunque tipo di conforto, di sentirti appagato e apprezzato. Io ho trovato tutto questo in lui" dichiarò poi la scienziata, voltandosi lievemente. Mentre parlava, il peso che aveva nel petto diminuiva poco a poco. 
"E tu hai scelto Gin?". 
Il timbro infantile del detective, per quanto tentasse di celarlo, rivelò una vena accusatoria che non avrebbe dovuto esserci. Il suo tono era in relazione a una risposta che non riusciva proprio a comprendere. 
"Non ho scelto Gin" rispose Ai brusca, intimandosi di parlare con calma. "Ha iniziato ad avvicinarsi a me poco a poco, il suo contatto mi faceva sentire bene. E' stato l'unico, in diciotto anni, a darmi importanza. Anche se mi usava".
"Se sapevi che ti stava usando... perché hai lasciato che facesse quello che voleva? Lui è un assassino!". 
Shinichi si stava scaldando, lo vedeva. Ora era davanti a lui e i loro occhi si incrociarono nuovamente. Percepiva la sua rabbia, il non concepire una cosa simile neanche lontanamente. Ai sospirò, prima di continuare.
"Credi che non lo sappia? Credi che non mi sentissi in colpa ogni volta o che non mi chiedessi quanta gente avrebbe potuto uccidere prima di stare con me? È ora che apri gli occhi una volta per tutte, Shinichi". 
"Che vuoi dire?". 
Non l'aveva minacciata, né costretta. Era sempre stata una sua libera scelta, quella di avere quel tipo di relazione con uno degli uomini di spicco dell'Organizzazione, uno spietato assassino senza alcuna traccia di pietà o di rimorso. 
L'amico si sforzava, ma proprio non riusciva a capacitarsene. A vederli insieme, nella sua testa. 
"Tu hai la tua Ran, la tua vita meravigliosa da detective liceale in un mondo a colori. Non ci arrivi? Io non ho mai avuto scelta. Io non sono Ran, non sono l'angelo puro e fragile che pensi che io sia. Shinichi, io facevo parte di un'Organizzazione criminale!" esclamò poi, mentre le lacrime cominciavano a formarsi nei suoi occhi verdi, prima di scivolarle sul viso. "Gin era il mio unico sfogo lì dentro. L'ho sempre disprezzato, non ho mai provato per lui ciò che tu provi per lei! Ma era al mio stesso livello, capisci? Era tutto ciò a cui potevo aspirare, ero come lui!". 
Shinichi percepì il cuore perdere un battito mentre la vedeva ancora una volta in quello stato. Si diede mentalmente dello stupido, abbassando lo sguardo. Non aveva mai avuto intenzione di accusarla o giudicarla, ma capì di non essere riuscito a far valere il suo proposito fino in fondo. 
"Mi dispiace" mormorò, senza sapere bene cosa dire "Non lo sapevo. Non mi sono mai reso veramente conto di tutto questo". 
Lei lo guardò con la voglia di andarsene da lì. Si sentiva spogliata di una buona parte dei suoi segreti e dalla persona che aveva il potere di farle male più a fondo di quanto non gliene avesse fatto Gin. 
"Non avresti potuto farlo. Era questo che volevi sapere, no? In modo da sentirti ancora in diritto di giudicarmi".
Non avrebbe voluto dirlo, ma era l'unico modo che aveva di difendersi da tutto ciò che potesse ferirla. E il detective costituiva in sé un'arma molto affilata. Non voleva più sentire certe parole da lui,

Sei un mostro

né vedere gli sguardi pieni di odio che le rivolgeva quando si erano incontrati. Tuttavia non avvenne nulla del genere. 
Il bambino le si avvicinò all'improvviso e la strinse, annullando la distanza tra loro. Ai si asciugò velocemente le lacrime con la mano, sorpresa. 
"Non ti voglio giudicare. Grazie per essere stata sincera con me". 
Lei tirò un sorriso, sospirando.
"Già". 
Calò un silenzio assordante per entrambi, in quel momento, colmo di parole non dette ma palpabili e presenti nella mente di ognuno.
"Ai?"
"Mh?". 
Lui la teneva ancora stretta e lei approfittava di quell'attesa per ritrovare la fermezza che aveva perso in quegli ultimi minuti. 
"Mi dici perché me lo hai raccontato proprio ora?". 
La castana si allontanò dal detective, risistemandosi. 
"Perché voglio farti capire che la cosa più intelligente che possiamo fare trovandoci nella stessa situazione è quella di dirci la verità. Anche se sembra che a te non importi" gli rispose, avviandosi verso la porta della stanza e spalancandola. "Non sono più disposta a essere tenuta all'oscuro di tutto, Kudo". 
Respirò piano, calmandosi, e si allontanò attraversando il corridoio. Il detective la guardò sparire in silenzio con un macigno che gli schiacciava il petto e che aveva ormai cambiato le carte in tavola. Sorrise, ripensando a quell'ultima frase. Ai aveva ragione, ma non era sicuro di poter rispettare la sua scelta, sia per se stesso che per lei. Non era sicuro di volerla rivedere in lacrime per quel qualcosa dal quale lui non poteva proteggerla. 

Il passato.



*********************
 
Note dell'autrice
Ed eccoci qui! Scusate il ritardo, è un periodo abbastanza incasinato e sto trovando purtroppo poco tempo per scrivere. L'ispirazione non manca, anzi! Come qualcuno avrà già notato, da quando ho ripreso a seguire Conan ho voglia di scrivere, scrivere e scrivere sulla mia coppia preferita (CoAi ovviamente xD), in più mi sto intrippando con gli episodi spoiler quindi è un dramma. Devo dire che di questa fanfic avevo in mente la linea della trama, ma i capitoli in dettaglio stanno praticamente decidendo da soli come venire fuori e non scherzo. Questa è la mia visione del rapporto SherryGin :D tra tutte le interpretazioni, questa è secondo me quella più plausibile... anche perché scrivere questo capitolo è stato molto istintivo, naturale, ogni cosa ne concatenava un'altra. Senza dilungarmi molto devo dire che mi piace questo loro possibile passato! No, non uccidetemi xD il prossimo sarà l'ultimo capitolo e... che dire? Spero di non avervi deluso e vi ringrazio ancora tantissimo per le vostre recensioni :D un bacio!
Ile





 

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Capitolo 4
*** Quarto capitolo ***


Broken
Quarto capitolo



Sherry diede un'occhiata alle lancette dell'orologio appeso sulla parete del laboratorio, sbuffando. Il tempo era volato via da quando aveva iniziato a trascrivere tutte le osservazioni della ricerca. Senza neanche accorgersene, il pomeriggio era trascorso di nuovo tra quelle mura bianche e un altro pezzo di vita se n'era andato velocemente. Si era dimenticata persino della pausa pranzo, troppo concentrata sul lavoro, in ogni sua minima sfaccettatura. Qualche ora prima aveva mandato via l'équipe di scienziati che coordinava, pensando di riuscire a fare  meglio tutto da sola, piuttosto che controllare ogni procedimento passo dopo passo che altri avrebbero potuto sbagliare. Non voleva ricominciare dall'inizio per un errore, non quando era finalmente arrivata a buon punto. 
Il telefono fisso del laboratorio iniziò a squillare nel silenzio totale che avvolgeva ogni cosa.
La ragazza si voltò appena, poggiando la provetta colma a metà sul ripiano del mobile. 

"Shiho, ma dove sei finita? Sto cercando di chiamarti da stamattina e non hai mai risposto. Sorellina, non farmi preoccupare... richiamami! Ciao".

La ramata si voltò appena verso la cornetta, finché la luce della segreteria non si spense. Sospirò, sfilandosi i guanti. Non aveva voglia di sentire per l'ennesima volta Akemi rimproverarla per il troppo tempo chiusa in laboratorio o per il fatto che non avesse una vita all'infuori di esso. La conosceva bene e risponderle equivaleva a farle capire che lei era l'unica ancora a lavorare, alle otto e mezza di sera. 
Sua sorella aveva ragione a dirglielo, lo sapeva. Glielo ripeteva di continuo, non si stancava mai di farlo, anche quando era consapevole del fatto che non avrebbe sortito alcun effetto su di lei. Le avrebbe telefonato più tardi, una volta finita la trascrizione e appeso il camice. Prima di allora, Akemi avrebbe dovuto aspettare. 
Quando uscì dalla porta del laboratorio e si voltò dopo averla chiusa a chiave, la figura che le apparve davanti quasi la fece sussultare. Imperterrita, si fermò, scrutando attraverso il buio della stanza la sagoma dell'uomo biondo che si era trovata davanti. 
"Stai lavorando molto. Devo dedurre che le ricerche stiano andando bene". 
Sherry sollevò appena lo sguardo, sopraffatta dall'odore del fumo di sigaretta che le era familiare. Non tossì, intravedendo appena il ghiaccio di quegli occhi su di sé. 
"Non sono affari tuoi, Gin" rispose monotona, sistemando la chiave nella tasca della borsa a tracolla. 
"Sono affari della nostra Organizzazione, quindi... sono affari miei. Questa ricerca è un po' come te, mia cara". 
Gin rise, la voce profonda si espanse in quello spazio angusto. La ragazza sorrise appena, mantenendo il tono rigido. Evitò di pensare al piccolo brivido che le percorse la schiena. 
"E da quando io sarei diventata un tuo affare? Non erano questi i piani".
L'uomo le si avvicinò, spostando la sigaretta dalla bocca alle dita. Ora poteva percepire l'odore acre dell'Organizzazione riempirle i polmoni, attraverso quei vestiti. 
"Tu sei sempre stata un mio affare, che tu lo voglia o no. Ogni cosa di te mi riguarda, Sherry" concluse con il tipico tono possessivo che l'annientava come la prima volta. La scienziata lo studiò, muovendo appena un passo verso la direzione opposta a quello di lui. 
"Fai attenzione, Gin" iniziò, fermandosi spalla contro spalla. Guardò stavolta il corridoio lugubre che l'avrebbe condotta all'uscita, senza esitazioni. "La rosa rossa è un fiore meraviglioso. Elegante e bella da ammirare, il colore deciso di chi sa cosa vuole... ".
Sherry non lo sentì fiatare. Percepiva il contatto del suo corpo, il suo volto seguirla nel buio. Attese, la sigaretta di nuovo tra le labbra. 
"... tuttavia i suoi petali delicati nascondono spine pericolose. Non credi anche tu?". 
Lo superò definitivamente di un paio di passi, in attesa di una risposta che non arrivò subito. Gin buttò la sigaretta consumata a terra, pestandola deciso con il piede destro. 
"Stupidaggini". Le afferrò il braccio quasi bruscamente, annullando la distanza tra loro e avvicinando il viso al suo collo. "Hai ragione, Sherry. E' proprio un bel fiore. Basta saperlo cogliere". 
Le baciò lentamente il collo, assaporando il profumo dei capelli castani. Lei si scostò, senza riuscire ad allontanarsi ulteriormente. 
"Non ora, Gin". 
Il suo tono fermo ottenne l'effetto desiderato. Il biondo la lasciò andare senza però spostarsi. 
"A più tardi". 

Le settimane trascorrevano, monotone e ripetitive. Giorno dopo giorno, in qualunque laboratorio si trovasse, con i soliti colleghi che speravano di trovare una qualche soluzione corretta alle mille analisi svolte, in un ambiente fatto di silenzio e desolazione. Le uniche voci udibili, ogni tanto, erano quelle degli scienziati che si scambiavano informazioni o quella imperativa della ragazza dai tratti stranieri che, nonostante l'età, si diceva fosse molto preparata e intelligente. 
Decisamente troppo giovane per essere così in spicco in quella gerarchia tanto bramata da molti quanto temuta. Ma, soprattutto, riservata a pochi. 
Quel giorno la porta automatica si spalancò all'improvviso e ne apparve Gin, l'espressione dura. Si avvicinò a passo deciso verso la ragazza e la afferrò per un braccio, trascinandola verso un angolo oltre il bancone e attirando l'attenzione di tutta l'équipe scientifica. 
"Continuate a lavorare" dichiarò con tono fermo lei, adocchiando gli sguardi puntati addosso a loro. Dopodiché si voltò verso il criminale, restituendogli lo sguardo truce, in attesa che le dicesse cosa gli passasse per la testa. Rimase immobile nella sua stretta, mentre a lui sembrava evidentemente non importare delle altre persone lì dentro. 
"Voglio sapere una cosa da te, Sherry. Perché Rye si trovava qui?". 
I suoi occhi erano ridotti a fessure, adesso. La scienziata lo fissò appena, quasi senza respirare. 
"Nulla che ti possa riguardare. E' passato per parlare con me, sai che tipo di rapporto ci lega". 
Lui la lasciò andare lentamente, lo sguardo di ghiaccio. 
"Non osare sfidarmi. Questa storia del tuo amichetto che entra in laboratorio come vuole mi è poco chiara. Ti tengo d'occhio". 
Lei rimase impassibile, mentre un sorriso malizioso le si dipingeva sul volto. 
"Questo dovrebbe crearti problemi, Gin?". 
"Quel tizio finirà male, prima o poi. Deve stare alla larga da qui. Spero di essere stato chiaro". 
Lei non rispose, mantenendo l'espressione seria. Non la distolse neanche per un attimo, finché non vide il terribile ghigno sul suo volto. 
Il biondo si allontanò impassibile e la castana rimase in piedi, poggiata contro il muro, mentre la vista si frammentava in tanti piccoli pezzi male incastonati tra loro. Fu uno degli uomini con il camice bianco ad avvicinarsi a lei, allungando le braccia. 
"Dottoressa Miyano, si sente bene?". 
Sherry annuì brusca, ricomponendosi e tendendo una mano nella sua direzione nel tentativo di non farlo avvicinare. Si riscosse e riprese a camminare, indifferente. 
"Non è niente. A che punto siamo con la seconda fase? Dobbiamo completarla entro stasera, forza". 
Per tutto il resto del tempo cercò di evitare di pensare al senso di nausea che aveva da un po' e che l'aveva accompagnata durante l'intera mattinata. 

"Mi sei mancata, Sherry". 
Quel timbro di voce, che l'avvolgeva in modo profondo e inquietante. Risentirlo dopo due settimane faceva un effetto su di sé che non credeva possibile. 
Si voltò per guardarlo in viso, solo un attimo. Dopodiché respirò a fondo senza dargli modo di farglielo capire. 
Le bastarono quei pochi istanti, per cogliere ogni sua sfumatura.
"Sono stata via poco tempo, in fondo". 
La ragazza continuava a lavorare, osservando con scrupolo, attraverso il microscopio del laboratorio, le cellule impresse su un vetrino che vi aveva appena inserito. 
"No, mia cara. Mi manchi da molto di più". 
La voce di Gin si faceva più vicina, più minacciosa. Lei continuò a lavorare senza prestargli particolare considerazione.
"A cosa devo tutta questa attenzione? Dopotutto, ora sono qui". 
Bastò quella risposta per farlo scattare. Per un attimo si pentì di averlo fatto, quando le prese il braccio con slancio obbligandola ad alzarsi in piedi. Gin le fece sbattere la schiena contro il banco, mentre rompeva con una mano la decina di provette sistemate in fila una dietro l'altra, spingendole a terra. 
"Non prendermi in giro" sibilò poi accanto al suo orecchio "Hai capito perfettamente cosa intendo". 
Ma certo, avrebbe dovuto sospettarlo da tempo. Era più di un mese che lo rifiutava, che non lo guardava neanche in volto. Non aveva pensato a scuse o giustificazioni, non si era sforzata di farlo. Di colpo, quelle mani fredde le davano fastidio. Il solo contatto la nauseava, il ricordo di lui sulla sua pelle le faceva ribrezzo. Dopo tanto tempo nel quale aveva desiderato soltanto Gin, adesso le si contorceva lo stomaco al solo pensiero. 
Sapeva che, prima o poi, il suo nervosismo lo avrebbe portato a quella situazione. Era la prima volta in cui, guardarlo dritto negli occhi, le provocava uno strano timore. 
Abbassò lievemente la testa senza volerlo, senza nemmeno parlare. Iniziò a tremare sotto la sua presa e si odiò quando se ne accorse. 
"Stasera voglio vederti". 
"No". 
Riuscì comunque a rispondergli, con l'ansia che le attanagliava la gola. Non voleva più saperne, non voleva più incrociare quello sguardo. Lo spinse via e tentò il tutto per tutto. Era certa che non le avrebbe mai sparato, perché non era una faccenda che dipendeva da lui. Lo vide avvicinarsi nuovamente e cercò di ignorarlo, una qualunque via di fuga. Ma era impossibile trovarne una, in quel momento. Lo stomaco tornò a farle male, con una potenza tale da farla quasi piegare in due. 
"Sherry, mi sembra di essere stato categorico. Ti è sempre piaciuto, quindi piantala di fare la preziosa. Voglio essere ascoltato quando parlo". 
"Va' al diavolo, Gin". 
Strinse le palpebre, in attesa di una sua possibile reazione violenta. Era pronta a tutto, se l'era cercata in fin dei conti. Tuttavia non trovò il coraggio di scappare. 
Quello di lui era uno sguardo vendicativo, gli occhi glaciali che la scrutavano come avrebbero scrutato la vittima prima di finire distesa davanti al suo aguzzino. La studiava con rabbia, quasi come avesse voluto torturarla con lo sguardo. 
"Non finisce qui". 
La ragazza si stupì quando le voltò le spalle e girò i tacchi, scomparendo dalla stanza e lasciandola sola nella desolazione totale di quei giorni.

Nel periodo seguente, continuava a percepirlo su di sé. Percepiva il suo studiarla, la sua espressione piena di brama, di desiderio. 
Sistemò gli ultimi strumenti del laboratorio e spense il computer, prima di posare anche il camice. Lui non si allontanò neanche per un attimo. 
"Devo sistemare delle cose in America" disse lei, vaga. "Non tornerò prima di qualche settimana". 
Gin portò l'ennesima sigaretta della giornata tra le labbra, accendendola subito dopo. 
"Non hai più nulla da fare lì" rispose poi, inspirando il fumo. "Credi forse di scappare? Sai che sarebbe impossibile. Mi dispiacerebbe doverti infliggere la punizione che spetta ai traditori". 
Sherry si bloccò, immobile. Dopodiché sorrise. Un sorriso amaro, nostalgico. Combattè contro le lacrime che premevano per scivolarle sulle guance.
"Niente affatto. Tornerò presto". 
"Non vedo l'ora". 
Una frase detta con malizia pura, per farle capire che in qualunque posto sarebbe andata, lui l'avrebbe trovata. Sempre. 
La nausea tornò di colpo più forte mentre si lasciava alle spalle l'uomo che era allo stesso tempo sia la sua salvezza che la sua condanna e che l'avrebbe tenuta sotto stretto controllo.

"Tua sorella è morta". 
Una semplice frase, pronunciata da una voce troppo impassibile e fredda. Gli occhi sgranati, il respiro mozzato nei polmoni. Faceva male, faceva dannatamente male. 
Da sola, aveva pianto tutto ciò che poteva, rintanata nell'angolo del laboratorio. Le ginocchia strette al petto, le mani tra i capelli. Tornare alla realtà sarebbe stato complicato ora che la sua unica famiglia non c'era più. Ora che anche l'ultimo granello di luce nella sua vita era volato via.
Adesso le voleva, quelle telefonate. Voleva più che mai quei rimproveri, risentire la sua voce. 
Ma era tutto troppo tardi. 
Per il resto del tempo si era ricomposta, davanti agli altri. Non poteva sciogliersi in lacrime con loro intorno, non avrebbe dato a Gin anche questa soddisfazione. L'uomo al quale aveva dedicato tutta se stessa e dal quale aveva ingenuamente creduto di essere protetta, si era rivelato il suo stesso aguzzino. La sola idea del fatto che potesse ancora toccarla, adesso non poteva tollerarlo. Avrebbe voluto ricevere la notizia una volta andata via da loro, in America, in modo da stargli lontano, da prendersi il tempo per ragionare su tante cose e, soprattutto, da non farsi vedere distrutta da lui. Ma era rimasta lì, ferma, schiacciata da qualcosa che non poteva controllare. 
Avrebbe soltanto voluto cancellare ogni traccia di quell'assassino dalla pelle. 
Era sola quando, in preda al tremolio del suo corpo, il dolore forte all'addome la costrinse a sedersi sul pavimento freddo senza potersi muovere di un millimetro. Chiuse gli occhi soltanto quando vide un'altra donna dell'équipe avvicinarsi a lei allarmata, sollevata dal fatto che non fosse Gin. 



Da quando Ai si era aperta con lui non avevano più parlato come facevano sempre.
Nessuno dei due era più tornato sull'argomento. Lei perché era fatta così; gliel'aveva confessato soltanto per fargli capire di non avere segreti, non con le persone che l'avevano aiutata e protetta. Nonostante in quegli anni avesse temuto che la verità venisse a galla tramite qualche parola di troppo attraverso una microspia piazzata nell'auto del criminale o tramite l'intervento di Jodie, con la quale il detective collaborava sempre più frequentemente, adesso si sentiva più libera.
Libera, ma spogliata di tutto ciò che potesse proteggerla dai suoi segreti. 
Libera, ma con un peso ancora più forte che era rimasto unicamente suo. 

Durante quelle settimane nelle quali quasi non si erano parlati, Shinichi faticava a rivolgerle un solo sguardo. La scrutava velocemente, lanciandole breve occhiate, nella speranza che lei iniziasse un discorso serio di qualche tipo. Lui aveva provato a cambiare argomento, a parlare di altro. Ma stavolta sapeva che sarebbe stato meglio evitare a causa della gravità di ciò che gli aveva confessato. 
Si era arrabbiato, credeva fosse scontato. Se in passato il desiderio di prendere e vedere dietro alle sbarre quella gente fosse un qualcosa di forte e l'odio verso quell'Organizzazione fondato, adesso c'era altro dietro. Era nato qualcos'altro in lui, qualcosa che aveva a che fare specificatamente con Gin. 
Si era ripromesso di proteggere Ai, perché lei non era così forte come mostrava di essere. Teneva ogni sentimento per sé, nella sua corazza, e non vi era modo di scalfirla se non quando era lei a decidere. E, adesso che lo aveva fatto, si era sentito ridicolo. Quasi indegno, in confronto a ciò che aveva vissuto l'amica. D'altro canto, si sentiva in colpa per essersela presa con la bambina, al momento della confessione. 
Avevano condiviso insieme un pezzo della sua vita difficile. Dopo anni, l'aveva vista prendere coraggio e dirglielo, con tutto il dolore possibile nei suoi occhi. 
Tuttavia, in quegli attimi era stato solo capace di chiederle il motivo, non capendo. L'aveva quasi accusata senza neanche accorgersene. 

E tu hai scelto Gin?
Perché proprio lui?


Forse era proprio quello il motivo per il quale Ai non gli diceva più nulla. 
Ci aveva pensato e molto. Faticava ancora un po' a comprendere la situazione, a chiedersi per quale motivo fosse successo tutto ciò. Nella sua testa, la colpa era di Gin. Solo e unicamente di Gin. 
Immaginava lui che la minacciava, che la costringeva. Poi le parole dell'amica gli tornavano in mente e lui si sforzava di vederla, isolata tra quelle mura. Costretta a vivere in una gabbia, in mezzo a criminali ai quali non importava nulla della vita altrui. Disprezzava Gin più di tutti. Lui, quel delinquente che aveva approfittato della debolezza di lei e che, probabilmente, ne era ancora attratto. Lui, che l'aveva usata come voleva. Chiuse gli occhi a quei pensieri, mentre li vedeva insieme. Un assassino, un viscido. 
E, mentre gli diceva tutto questo, Shinichi era stato capace di puntarle di nuovo il dito contro, sentendosi in parte tradito. 
Un unico pensiero aveva in mente in quell'attimo,

Sei come lui
Sei un'assassina


del quale si pentì immediatamente. Erano tante le cose che non conosceva, di quella vita da Shiho Miyano. Anzi, da Sherry. Avrebbe dovuto mettere da parte già da tempo i suoi giudizi e il suo timore di vederla far parte di loro.

Lei, la sua amica Ai. 


Si era ritrovato a pensarci di nuovo quel giorno, mentre tornavano da scuola. Sollevò lo sguardo soltanto quando i Detective Boys attirarono la sua attenzione, indicando un uomo che avevano già conosciuto qualche mese prima. 
"Guardate! Quello non è il signor Konno? " chiese Ayumi, mentre si bloccava sul marciapiede con gli altri. Conan e Ai si fermarono di conseguenza, seguendo incuriositi l'indicazione della piccola. 
"E' vero! E' proprio lui" esclamò Mitsuhiko, spalancando gli occhi. "Chissà come sta sua moglie, ve la ricordate?".
"Ah sì! È quel signore che ci aveva invitati a pranzo e che aveva accoltellato la moglie che stava cercando di fargli passare il singhiozzo! Per fortuna si è ripresa e hanno fatto la pace" aggiunse Genta, poggiando un dito sotto al mento per riflettere.
Conan fece un passo in avanti attento, le mani nelle tasche dei pantaloncini. 
"Già... ormai dovrebbe mancare poco alla nascita del bambino" concluse poi lui, senza perdersi il minimo dettaglio nel comportamento del signore.
"Scusate, io scappo a casa" disse soltanto Ai, quasi come se l'amico non avesse parlato. Diede un'occhiata veloce all'oggetto della loro conversazione e corse via sotto lo sguardo sbigottito dei suoi amici. 

Era salita sul tetto dell'abitazione di Agasa, convinta che il professore sapesse che, quando lo faceva, era per stare da sola a pensare. Non era un segreto per lui, era una specie di tacito consenso. Il dottore era così gentile e paterno da non chiederle nulla. 
Quando sentì dei passi dietro di sé era sicura fosse lui. 
Tuttavia, quando si voltò per constatarlo sgranò gli occhi, sorpresa dalla esile figura che invece la stava raggiungendo. 
Shinichi si fermò senza parlare. Dopodiché si sedette accanto a lei, lo sguardo rivolto verso il panorama che si estendeva davanti a loro. 
Il silenzio che ne seguì fu teso e, in un certo senso, eloquente. C'era qualcosa di sbagliato, qualcosa che nessuno dei due aveva il coraggio di rimettere in gioco. 
La bambina pensò che quella era l'ennesima prova del loro allontanamento. Non si parlavano più e non riusciva neanche a sostenere l'espressione di lui, quando lo sorprendeva a sbirciare nella sua direzione con chissà quale pensiero in mente. 
Non aveva bisogno di sentirselo dire, dopotutto. Il terrore che aveva avuto una volta raccontata la verità si era in parte concretizzato. Shinichi non l'aveva capita, di nuovo. Si era forzato di farlo, forse, ma per lui era un ostacolo che andava oltre le sue capacità. Era qualcosa che sconfinava parecchio dal suo senso di giustizia e dalla sua vita. Si stava tenendo aggrappata a quel poco dell'amico che le era concesso avere, prima che si stancasse del tutto di averla intorno per la criminale che era. Il petto faceva male, era un dolore dell'anima che cercava a tutti i costi di soffocare. 
"Perché prima sei scappata? Qualcosa non va?". 
La sua voce sottile la riscosse. Lo guardò un secondo, pensando a una risposta convincente. A giudicare dal chiasso che arrivava dal piano inferiore, i bambini lo avevano seguito. Sorrise a quel pensiero. 
"No, niente di che. Solo che non mi piace quel tipo, lo sai". 
Shinichi sorrise sarcasticamente, osservando dall'alto le automobili che sfrecciavano sulla strada parallela. 
"Già, mi ricordo. Ma mi sembra di averti detto che non credo al fatto che tu non riesca a perdonarlo". 
Ai si irrigidì, osservando i lineamenti rilassati del suo volto. A volte era lei a non capirlo.
"Ero seria, invece. Come fai a dare un'altra possibilità a un uomo che ha già tentato di uccidere sua moglie? Incinta del loro bambino, tra l'altro. Perché ti ostini a vedere il bene dove non esiste e il male in chi vorrebbe non averlo mai conosciuto?". 

Perché a un estraneo sì e a me no?

Il bambino la osservò, stupefatto dalla sua reazione e da un tono di voce che non sembrava il suo, di solito controllato e pacato. Quella domanda lo colpì così tanto che dovette riflettere qualche attimo prima di rispondere.
"Non è proprio così, dipende dalle situazioni. In questo caso me lo dice l'istinto" disse il detective, ridacchiando, e scatenando la rabbia che l'amica si sforzava di contenere da un po'. 
"E invece riguardo me cosa ti dice l'istinto?". 
Ai si ricompose, incrociando i suoi occhi blu. Lui fu costretto a fare lo stesso, attraverso il suo sguardo impenetrabile. 
Prese del tempo, riflettendo bene sulle parole da dire. Era difficile darle una risposta che non la facesse soffrire. 
"In te vedo tutto tranne che il male, se è questo che vuoi sentirti dire" le rispose poi tranquillamente. 
"Non voglio sentirmi dire qualcosa, voglio la verità. Proprio tu, che lotti sempre per farla venire fuori, non sai dirmi cosa pensi realmente?". 
"Penso che tu sia una brava persona che ha avuto la sfortuna di avere un passato difficile con quella gente" concluse lui, osservandola più sereno. "Non posso capire fino in fondo, ma so che non è stato facile. Non è colpa tua".
"Ah, no? E di chi sarebbe la colpa? Io ero come loro" ammise lei, con tutta la frustrazione del momento. Era arrivato il momento della verità, lui avrebbe dovuto dirle finalmente tutto ciò che pensava e che non le aveva mai davvero rivelato. 
Shinichi non rispose, ancora titubante, e lei ne approfittò per continuare.
"Io ero una criminale, esattamente come il signor Konno che ha rischiato di uccidere sua moglie e suo figlio. Perché sei tranquillo del fatto che non commetterà più nulla? Come hai fatto a perdonarlo? Io invece sono un mostro che ha creato un veleno e, in più,  non riesci a perdonarmi perché sono stata con Gin, vero?!". 
Cercò di trattenere per l'ennesima volta le lacrime, senza alzare il tono di voce. Non poteva farsi sentire da Agasa, né tantomeno dai bambini. Abbassò il viso mentre aspettava una risposta dal detective, che ora la scrutava serio, senza parlare.
"Non ho mai pensato nulla del genere. Vuoi la verità?" le chiese poi, incrociando le gambe. "La verità è che se penso a quello che ha fatto, mi prudono le mani dalla voglia di prenderlo e sbatterlo in carcere per il resto della sua vita. Lui sapeva quello che faceva" aggiunse poi in fretta, vedendola sul punto di interromperlo per ribattere. 
"Anche io lo sapevo. Avevo bisogno di lui".
"No. Non ne avevi bisogno, eri solo in trappola. Non capiterà più " le rispose lui brusco, in un'espressione che si trasformò in un sorriso sincero. Ai non potè fare a meno di sentirsi più rilassata, nonostante il peso di quel passato continuasse a tormentarla. 
"Adesso mi spieghi come tu abbia potuto farla passare liscia a quel tizio?".
Shinichi fece spallucce, sospirando. 
"Istinto da detective". 
La ramata sbuffò, inorridita dalle solite frasi di circostanza dell'amico quando non aveva altre possibili spiegazioni. 
"Sai che può sempre riprovarci, vero? Sei stato un incosciente".
"Uffa! Dai, non prenderla così seriamente". 
Lei lo guardò sbigottita attraverso le lenti enormi dei suoi occhiali. Era convinta la stesse prendendo in giro. 
"Comunque... dimmi una cosa, Ai". 
Mantenne lo sguardo fisso sull'amico, in attesa che proseguisse il discorso.
"Anche quella volta hai fatto un discorso simile. Mi dici come fai a essere sicura che Konno non possa essere cambiato? Mi sei sembrata molto presa da questo caso". 
Si ricordava ancora le dure parole che lei aveva rivolto all'uomo nonostante quest'ultimo fosse in lacrime, pentito per il gesto che aveva appena compiuto.

Sa, se fossi sua moglie, non le concederei nemmeno un briciolo del mio perdono. Non importa se si è pentito, io la penso così. Anche se si duole per il gesto compiuto, non vorrei mai che il bambino che porto in grembo fosse figlio di un uomo così intollerante, che ha cercato di liberarsi di me per un assurdo malinteso.

Ai sgranò gli occhi, mentre i ricordi di quella giornata tornavano vividi in lei. No, non lo aveva fatto. Non aveva perdonato quel marito violento, che non aveva esitato un secondo ad accoltellare la moglie. Sapeva bene cosa avrebbe fatto al posto della signora Sumika, semplicemente perché aveva già scelto. 
"Un uomo che non esita a fare una cosa del genere alla propria moglie, rischiando di far del male al figlio che aspetta, potrà sempre rifarlo in futuro. Io non riuscirei a vivere con una persona del genere".
Il suo tono era così basso da diventare un qualcosa di molto simile a un mormorio. Il peso che aveva in gola s'ingrandiva sempre di più, da quando lui l'aveva raggiunta. 
"Io invece credo che il marito si sia pentito, in fondo-"
"-No, Shinichi. Potrà benissimo farlo ancora. E metteranno in pericolo il loro bambino". 
La scienziata si alzò, poggiandosi contro la ringhiera davanti a sé. Quel discorso era così naturale per lei, come se si aspettasse in anticipo tutto ciò che sarebbe potuto accadere.
Il detective fece altrettanto, rimanendole di spalle. 
"Tutto bene?" le chiese appena, vedendola totalmente assorta. Quasi come fosse molto lontana da lì. "Come fai a esserne certa?". 
La fece riscuotere immediatamente con quella domanda, guardandola incerto. Si sentiva teso e non ne conosceva il motivo. 
"Perché mi è successa una situazione simile" gli rispose, lasciando che il vento fresco accarezzasse la pelle. L'amico non capì, scrutandola immobile.
"Cosa vuoi dire?".
Il cuore che batteva a mille, l'ennesima sentenza dolorosa. Stavolta verso se stessa. Solo e unicamente verso se stessa. Stava per liberarsi del macigno più pesante, l'unico che non avrebbe voluto condividere con nessuno e che nessuno conosceva. 
"Sono rimasta incinta" confessò quasi tutto d'un fiato, prima di riprendere a respirare normalmente e proseguire. "E' successo qualche mese prima della mia fuga. Non lo ha mai saputo nessuno, neanche Akemi". 
Si voltò verso di lui, trovandosi faccia a faccia con uno Shinichi totalmente spaesato. La guardava accigliato, cercando di riunire nella testa un solo pensiero sensato che potesse portarlo a una motivazione. 
"C-cosa? Ma... ". 
Lei sorrise amaramente, stavolta con un po' di coraggio in più. Parlarne l'aiutava. L'aiutava molto. Non se ne era mai resa conto, né ci aveva mai creduto davvero.
"Ho tenuto tutto questo per me. Non è stato facile. Come per questo caso, non volevo che il mio bambino potesse crescere in un mondo del genere, così come sono cresciuta io. Non volevo per lui un padre come-"
"-Gin" la interruppe appena il detective, fissandola con gli occhi sgranati. La scienziata annuì, sollevando appena la testa verso il cielo.
"Ma come hai fatto? Come hai fatto a nasconderlo all'Organizzazione?!" esclamò Shinichi, scuotendo la testa. Avanzò di un passo, esterrefatto. 
"Con la scusa di un lavoro, volevo andare in America e far perdere le mie tracce finché non avessi... " si interruppe, respirando a fondo. "Sistemato... le cose".
"E Gin? Te lo ha permesso?".
Ormai il tono di lui era un'incalzare continuo scandito dalla preoccupazione e dalla rabbia. 
"Gin non ha mai saputo nulla. Non avrei mai potuto far vivere a mio figlio una vita del genere con uno spietato criminale, ti pare? E se non lo avesse accettato chissà come avrebbe potuto reagire.".
Shinichi strinse i pugni, leggendo qualcosa di più della sofferenza nei suoi occhi. Vedeva il luccichio delle lacrime che si stava sforzando di trattenere a ogni costo. Adesso capiva ogni cosa, il motivo di tutto, della sua risposta così dura verso quel caso finito bene. 
"Dopo quella volta, mi dava fastidio. Non gli ho più permesso di toccarmi e di trattarmi come un qualsiasi oggetto a suo piacimento". 
Il piccolo detective abbassò lo sguardo, fissando il tetto lucido senza vederlo realmente. Quando lo sollevò, le dita strette a pugno facevano più male del previsto. 
"E poi... com'è finita con il bambino?".
Questa volta la giovane non riuscì a trattenere l'unica lacrima che le scivolò sulla pelle. L'asciugò in fretta, ma lui l'aveva già notata. 
"Non ho fatto in tempo a partire. L'ho perso spontaneamente subito dopo la morte di mia sorella" rispose appena, mentre qualcosa dentro sé si sgretolava. "Forse è stato... meglio così, non credi? Dopo due mesi me ne sono andata. Il resto lo sai". 
L'amico non disse niente per parecchi istanti o forse minuti. La lasciò sfogare, dandole il tempo per ricomporsi. Dopodiché agì istintivamente, senza pensarci e senza imbarazzo. 
Le si avvicinò piano e le posò una mano sulla testa, spingendola delicatamente nell'incavo della sua spalla. Bastava questo, tra di loro. Un gesto che esprimeva tante cose, anche senza parole.
"Vorrei solo... cancellare tutto. Non aver mai fatto ciò che ho fatto, farmaco compreso. Mi dispiace, Shinichi. Mi dispiace davvero".
Aveva dato sempre per scontato tutto, della vita di Ai, senza mai chiederle nulla di personale per non risultare invadente. Aveva aspettato e, probabilmente, aveva fatto bene. Era arrivata lei, senza pretese, senza aspettative. Con tutta la paura del mondo di perdere una delle poche persone che le erano rimaste nella vita. Si era fidata di lui e lo faceva ancora, nel tepore di quel corpo che le infondeva solo sicurezza. Quando aveva provato ad avvicinarsi a qualcuno, quel qualcuno l'aveva tradita e distrutta, usandola come meglio aveva creduto per tanto tempo, senza sentimenti, senza rispetto.
Il bambino continuò a stringerla, piano. Quasi come temesse di ferirla ancora. 
"Ricordati che non sei sola, non più, ci sono io. Ti posso assicurare che andrà tutto bene".
 Fu quello il momento in cui Shinichi prese una decisione. Non l'avrebbe più lasciata così tanto in disparte, solo il necessario per proteggerla. Voleva combattere insieme a lei, perché sarebbe stato giusto così. La sua rivincita su tutte le sofferenze, su quell'intera esistenza fatta di dolore. Ai era la vera protagonista di quella storia che non conosceva fino in fondo e l'avrebbe aiutata. Le sarebbe stato accanto sempre.




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Note dell'autrice
Ed eccoci alla fine! Abbassate quelle armi, please xD non so quanto avreste potuto aspettarvi il colpo di scena finale, però nella storia di Ai non trovo assolutamente che stoni. Ho preso ispirazione dall'episodio "Tra moglie e marito", nel quale lei dice esattamente la stessa frase dalla quale ho preso spunto. In quel momento parla molto come una persona che potrebbe aver vissuto la stessa cosa e lo sguardo di Conan me ne ha dato la conferma. Quindi, ecco qui il risultato! Da quella frase mi sono chiesta cosa avrebbe fatto lei se fosse nella situazione che ho affrontato in questo capitolo e non è stato difficile scrivere quella parte, perché dubito che avrebbe accettato di avere un figlio da Gin. Spero non me ne vogliate xD 
Questo era l'ultimo capitolo e, in attesa delle prossime fanfic, ci tenevo a ringraziarvi ancora una volta per tutte le bellissime recensioni che mi avete lasciato. Vi adoro. 
Alla prossima :D 
Ile

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