A secret flower

di ddeathlips
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Just breath ***
Capitolo 2: *** 2 ***



Capitolo 1
*** Just breath ***


Manda la macchina a prendermi. MH

Si, Sir. A


 

Mycroft era una persona stanca.


 

Ma con il peso del governo inglese sulle spalle chi non sarebbe stanco?


 

E di certo suo fratello non l'aiutava a rilassarsi.


 

Era stata una giornata pesante di una settimana ancora più pesante, alla fine di un mese in cui sembrava che qualsiasi criminale volesse minare all'integrità della corona inglese.


 

Uscito dal Diogenes Club, si accorse che il sole batteva in modo stranamente forte per un fine pomeriggio di marzo.


 

La sua attenzione fu attirata da una macchina scura, che svoltando l'angolo si accostò al marciapiede.


 

Con un sospiro stanco, l'uomo entrò nella macchina dai finestrini oscurati.


 

Di solito accolto dalla visione ormai familiare della sua assistente, si ritrovò solo nell'abitacolo dell'auto.


 

Un nodo artiglió lo stomaco del polito.


 

Anthea non era mai in ritardo.


 

Considerava la sua assistente quasi perfetta in qualsiasi situazione, pericolosa e non.


 

Non era statisticamente possibile che Anthea avesse avuto un imprevisto in ufficio e che non fosse salita in auto.


 

Velocemente prese il telefono dalla tasca interna della giacca firmata.


 

Nessun segnale.


 

Non era possibile, il suo telefono non poteva non funzionare.


 

Improvvisamente la bocca gli si fece asciutta, come se la saliva si fosse improvvisamente trasformata in sabbia.


 

La fronte si imperlò di un sottile strato di sudore.


 

Battito accelerato.


 

La mente naturalmente analita dell'uomo riconobbe subito i sintomi del panico.


 

Fece un respiro profondo dal naso cercando di infondere a se stesso quel coraggio che sembrava contraddistinguere il suo sconsiderato fratellino.


 

Ma lui non era un uomo d'azione, era troppo abituato a stare dietro ad una scrivania, in giacca e cravatta, lasciando ai suoi uomini il compito di sporcarsi le mani.


 

Con uno scatto, mosse la mano in direzione della portiera e appena prima che riuscisse a raggiungerla le sue orecchie furono raggiunte dal rumore della serratura che chiudeva le portiere


 

Era nei guai.


 

Si appoggiò al sedile, il viso si illuminò di un sorriso stanco, quasi rassegnato.


 

Con il suo lavoro era già un miracolo che avesse raggiunto i 46 anni senza nessun incidente.


 

La macchina improvvisamente partì, con calma, ovviamente non volendo dare nell'occhio.


 

Allungo una mano verso il suo ombrello, pronto a sfoderare le armi al suo interno.


 

Ma quello non era il suo ombrello, una replica quasi perfetta per peso e dimensioni.


 

Una replica talmente perfetta da ingannare anche lui.


 

Quando fu pronto ad abbassare la visiera che separava i sedili posteriori da quelli anteriori, il divisore si abbassò da solo.


 

" Buonasera Signor Holmes, sono veramente dispiaciuto nel dirle che purtroppo oggi non raggiungerà la sua dolce metà, ma anzi la nostra meta è molto più lontana" anche se Mycroft non poteva vedere il viso di chi aveva parlato, il ghigno che adornava la bocca del suo rapitore si poteva sentire nel modo di parlare sprezzante dell'uomo.


 

"Vorrei almeno sapere chi si è premurato di rapirmi, se è possibile chiedere" la voce di Mycroft si pregnò di sarcasmo, calmo e fermo nel proferire quella semplice frase.


 

Ma nella sua mente era tutta un'altra situazione.


 

Se prima pensava di aver provato panico nella cosapevolezza di essere stato rapito era perché ancora non aveva neanche lontanamente pensato che chiunque fosse stato potesse sapere quello che considerava il suo più grande segreto da 4 anni a quella parte.


 

Era come se un coltello rovente si fosse infilato tra le pieghe del suo stomaco e lentamente stesse risalendo verso il suo cuore.


 

Le emozioni erano uno sbaglio.


 

Indeboliscono.


 

Mettono in pericolo.


 

Quante volte aveva ripetuato al suo stesso fratello che affezionarsi era un errore innammissibile?


 

Eppure anche lui ci era caduto.


 

Quattro anni prima l'aveva conosciuta e nonostante i suoi sforzi, nonostante avesse messo tutto se stesso nello sforzo di non cedere alla sua parte più umana, lei con un solo bacio sulla sua guancia aveva abbattutto barriere e muri costruite in più di 40 anni.


 

"Oh non posso di certo negare che che sarei curioso di dirti chi mi manda,ma questo rovinerebbe l'effetto sorpresa,ora se non le dispiace, non è sicuro che io parli mentre guido in una strada così trafficata" ridacchiando schiacció il pulsante della visiera, alzandola e lasciando Mycroft Holmes da solo con i propri pensieri.

 


 


 


 


 

Anthea aprì gli occhi lentamente, lasciando che si aggiustassero alla poca luce che filtrava dalla finestra dell'ufficio del suo capo.


 

Si alzò di scatto, lottando con i propri sensi addormentati dalla droga per correre verso il telefono e fare una telefonata.


 

"Pronto? Si, c'è stata un irruzione, voglio tutti gli agenti a casa del Signor Holmes, non mi interessa se l'ufficio rimane scoperto, andate subito lì."


 

Chiudendo la telefonata, corse sui tacchi verso il proprio cappotto aprendo la porta, uscendo dall'ufficio e buttandosi dentro la sua macchina.


 

La direzione era ovviamente una sola, il 221B di Baker Street.


 

Sherlock Holmes era abituato a vedere tutto e a capire tutto, ma proprio non riusciva a comprendere perché Anthea, l'assistente del suo irritante fratello stesse parcheggiando in malo modo un anonima berlina blu. La vide uscire traballando sui tacchi, capelli spettinati e occhi lucidi.


 

Drogata


 

John e Mary erano seduti sul divano, distrutti dalla notte passata con la piccola Rosie, che in quel momento era al piano sottostante con la Signora Hudson


 

"Ragazzi, sembra che stia per arrivare un caso particolarmente interessante"


 

Mary alzò lo sguardo dal proprio libro, osservando il moro che si sedeva sulla poltrona con le mani giunte davanti al viso.


 

La voce nervosa di Anthea raschiò le orecchie dei presenti nel soggiorno, accompagnato dal ticchettio delle scarpe della donna che saliva precipitosamente le scale.


 

Sherlock corrugò la fronte a quello che era uno spettacolo più unico che raro.


 

Anthea era ansimante, la camicia spiegazzata e i capelli ridotti a un nido di uccelli.


 

"Anche il dottor Watson potrebbe dedurre che è successo qualcosa di grave, non è vero?"


 

Anthea si portò un dito sulle labbra, intimando il silenzio al consulente.


 

I coniugi Watson rimasero in silenzio, osservando lo spettacolo dal divano.


 

Amthea prese dal camino il coltello che Sherlock usava solitamente come ferma carte e si avvicinò alla poltrona con un cipiglio determinato.


 

Con uno scatto del braccio, Anthea squarciò la poltrona che una volta apparteneva al Dottore.


 

Ne estrasse un piccolo oggetto metallico, lo poggiò per terra e lo distrusse con la suola della scarpa firmata.


 

Sherlock subitò imitò la donna, distruggendo quello che si trovata sotto di lui.


 

"Ho disattivato le altre tempo fa, di certo non mi aspettavo che mio fratello ne avesse messo altre" disse con nonchalance il detective riaccomodandosi un'altra volta nella poltrona.


 

"È sicuro che nessuno ci senta, Signor Holmes?" bisbigliò di risposta l'assistente.


 

"Sicurissimo, Andrea" .


 

La donna fece un sospiro e ricacciò indietro le lacrime, sedendosi nella sedia riservata ai clienti.


 

"Tuo fratello è sparito" dichiarò con voce tremula.


 

"Cosa? Da quando?" si intromise John.


 

"Da più o meno due ore"


 

"Potrebbe semplicemente essersi isolato, magari è andato a fare due passi"rispose scettico.


 

"Non essere ridicolo John, mio fratello non è mai completamente solo, è continuamente monitorato, ma il problema é all'interno, altrimenti Anthea non avrebbe distrutto le cimici" dichiarò Sherlock.


 

"Chi potrebbe essere stato? Mycroft non è l'uono più potente della Gran Bretagna?" Mary era scettica.


 

"Sapevano che non era in ufficio, hanno ucciso le guardie nel mio ufficcio e chiunque sia stato ha rubato un particolare fascicolo dall'ufficio di Mike" appena realizzato il proprio errore si morse la lingua fino a sentire il sapore metallico del sangue in bocca.


 

"Mike? Ho sempre sospettato che tra te e mio fratello ci fosse qualcosa, ma questo è più che una conferma, solamente mia madre lo chiama in quel modo sai? Oh, non vedo l'ora di dirlglielo! il mio algido fratellino va a letto con la propria assistente, è così divertente".


 

Sembrava un bambino alla quale si regala un cucciolo, il più grande consulente investigativo.


 

"Smettila, sei completamente fuori strada e questa è una situazione veramente preoccupante, non è il momento di fare il bambino."


 

Anthea sentiva la rabbia montare dentro, come non poteva essere minimamente preoccupato?


 

Ormai era a conoscenza della rivalità dei fratelli Holmes, ma non si immaginava che Sherlock Holmes si sarebbe comportato da tale immaturo in una situazione di tale pericolo.


 

"L'uomo più potente della Gran Bretagna è stato rapito e tu non capisci la gravità della situazione" ringhiò la donna.


 

Si alzò dalla sedia e iniziò a camminare nervosamente per la stanza.


 

"Oh andiamo lo troverò, lasciami divertire un pò, perché mai dovresti lasciare il tuo ufficio pieno di cadaveri di guardie per correre dall'unica persona che potrebbe salvarlo se tu non fossi in una relazione super segreta con mio fratello?" sogghignò il moro.


 

Anthea si buttò sgraziatamente sul divano, mettendosi una mano sugli occhi in un moto di esasperazione.


 

Mary si avvicinò alla donna sul divano.


 

"Anthea adesso rilassati, prendi una tazza di the e inizia a raccontare con calma" propose Mary.


 

L'altra donna fece un sospiro.


 

"Non ho notato nulla di strano, Mycroft ai è recato subito dopo il pranzo al Diogenes, voleva pensare ad un modo per non far saltare un'accordo tra Cina e Corea del Sud, mi sono accorta che qualcosa non andava quando ho provato a chiamarlo ma il suo telefono non era raggiungibile, cosa praticamente impossibile, non ho fatto in tempo a girarmi che ho sentito un piccolo fastidio sul collo, sicuramente mi hanno sparato un narcotico, non mi sono neanche accorta di star svenendo.


 

Mi sono risvegliata ore dopo, l'ufficio di Mycroft era un disastro, hanno rivoltato tutto, hanno aperto la cassaforte per prendere l'unico fascicolo che teniamo nel nostro ufficio, un fascicolo molto importante per me e il mio capo."


 

"Immagino sia stato l'autista a prelevare Mycroft dal suo stupido rifugio." mugugnò il detective.


 

"Ho bisogno di vedere cosa contiene quel fascicolo"dichiarò subito dopo.


 

"Assolutamente no."rispose instantaneamente la mora.


 

"Andiamo, se sono i codici missilistici inglesi sappi che li ho già decifrati, cosa potrà mai esserci di così segreto?"


 

"Tu sia i codici missilistici?" chiese stupito John.


 

"Non posso parlarne, l'ho giurato" avvertì la donna quasi intimorita a dover rivelare il più profondo segreto dell'uomo per cui lavorava da quasi 10 anni.


 

"Dove hai mandato le guardie di Mycroft che non sono morte?" chiese Mary.


 

"Ovviamente le ha mandate a casa di mio fratello, dove non c'è traccia di cose che potrebbe mettere Mycroft ulteriormente nei guai".


 

Saccente come al solito, pensò Anthea.


 

"Esatto" sospirò in risposta.


 

Ormai volente o nolente doveva rivelare il contenuto di quel fascicolo se voleva che Mycroft ne uscisse vivo.


 


 


 


 


 


 


 


 


 

Ellie uscì dall'edificio fumante di rabbia.


 

Due ore di ritardo.


 

Maledizione a lui e ai suoi impegni pensò la donna.


 

Con un gesto stizzito tirò fuori le chiavi della propria auto.


 

"Neanche uno stupido messaggio per avvisarmi" mormorò salendo nella macchina.


 

Accidenti allo stupido governo inglese pensò nervosa.


 

Non le era mai piaciuto guidare, ora inveve era addirittura scomodo in quella macchina che il suo fidanzato aveva definito la "macchina più sicura sul mercato".


 

Stava per partire verso casa quando lo squillare di un telefono la bloccò.


 

Ma non era il suo telefono.


 

Almeno non quello che usava ogni giorno.


 

Si inchinò al di sotto del volante, guidata dal rumore fastidioso del telefonino.


 

Allungò una mano e toccò qualcosa di freddo e piatto.


 

Era attaccato con del nastro adesivo isolante in un piccolo scompartimento nascosto.


 

Evidentemente un telefono prepagato pensò la donna.


 

Spostando i capelli scuri dagli occhi, accese lo schermo del telefono argentato.


 

Sos. Baker Street. -A


 

Con il cuore in mano, buttò il telefono nel sedile a fianco a lei e mise in mano, maledicendo la macchina poco potente che il suo fidanzato le aveva rifilato nel tentativo di tenerla al sicuro.


 


 


 


 


 

Anthea era in silenzio e osservava il suo fedele Blackberry.


 

Arrivo. -E


 

Sorseggiava con calma il the, rimuginando su ogni possibile scenario che si delineava dentro la sua mente.


 

Di solito sempre calma e ponderata Andrea era in preda ad un ansia smisurata.


 

All'ansia che quello che considerava il suo unico amico potesse morire.


 

Sherlock e i due coniugi la fissavano senza proferire parola, non abituati a vederla in quello stato pietoso.


 

Si sentiva fuori posto in quell'ambiente così poco familiare rispetto al suo algido ufficio.


 

Sperava che Ellie arrivasse in fretta.


 

"Si può sapere chi stiamo aspettando?"domandò impaziente il medico.


 

"Ovviamente stiamo aspettando l'oggetto di interesse di questo maledettissimo fascicolo che ha messo in pericolo mio fratello."  la voce baritonale dell'uomo arrivò ottavata alle orecchie della donna.

Non sta mai zitto pensò stizzita.

Un forte bussare scosse il portone del piano infermiore.


 

Anthea si irrigidì.


 

Mycroft mi ucciderà. O peggio. Mi licenzierà.


 

"Mrs. Hudson, vada alla porta" urlò con tono baritonale alla padrona di casa.


 

Si udirono vari borbottii poco gentili e la porta che si apriva.


 

Si potevano distinguere due voci femminili.


 

Una sorpresa e una agitata.


 

Subito dopo una serie di passi leggeri ma affrettati venne udita dai presenti.


 

Sherlock Holmes si considerava un uomo impossibile da soprendere, ma di certo nulla l'aveva preparato a quello che si aveva di fronte agli occhi.


 

Una semplice donna.


 

Piuttosto bassa, occhi e capelli scuri, appena uscita dalla palestra dato l'abbigliamento sportivo, nessun segno di particolare talento o capacità nascosta.


 

Solamente un enorme pancia.


 

Incinta.


 

"Dove diavolo è Mycroft?" domandò sconvolta la donna.


 

La domanda ovviamente rivolta alla donna seduta sul divano, che scattò in piedi in direzione della prima.


 

"Siediti per favore" la pregò


 

"Non ci penso neanche, rispondi subito Anthea." ordinò.


 

" Lo hanno preso, prelevato dal Diogenese Club" rispose composta l'assistente.


 

Johm e Mary osservavano la nuova ospite con estrema curiosità, puntando lo sguardo verso la donna incinta che si aveva tutta l'aria di essere immersa fino al collo in questa storia.


 

"Le emozioni sono per gli sciocchi, fratellino" borbottò Sherlock Holmes, alzandosi in tutta la sua statura e dirigendosi ad ampie falcate verso la donna ancora ferma all'ingresso.


 

"Ovviamente credo che dicesse sul serio, mio fratello sa bene che le emozioni sono per i deboli, eppure non si è premurato di dirmi che sta per diventare padre o che addirittira ha dato a te l'anello di fidanzamento di nostra madre" gelido come il ghiacchio Sherlock indicò con un dito la mano sinistra della donna.

"Beh, pensi di intimidirmi con i tuoi giochetti? Di certo non sei il primo Holmes con cui ho a che fare, ora se non ti dispiace devo ritrovare il padre di mia figlia."


 

Senza neache guardarlo in faccia si avvicinò ad Anthea che disse:


 

"Stavano cercando il tuo fascicolo, hanno distrutto tutto pur di trovarlo."


 

Il respiro le si strozzò in gola e senza pensarci posò una mano sul suo ventre rotondo.


 

"Cosa facciamo?"sussurò a quella che ormai considerava una carissima amica.


 

Anthea si alzò, dirigendosi verso Sherlock Holmes, che fissava Ellie come se fosse un alieno a tre teste.


 

"Tu devi trovare Mycroft, va nel suo ufficio a cercare prove, fai quello che devi fare, ma trovalo."


 

Fu interrotta da John Watson.


 

"Come puoi pensare che questa cosa non ci lasci senza domande? Mycroft ha una fidanzata segreta incinta e noi dobbiamo solo trovarlo? Senza sapere perché l'hanno preso?".


 

Il dottore sembrava contrariato.


 

Anthea aprì bocca per contestare le parole ma fu interrotta da Ellie.


 

"Ha ragione, dà pure il mio fascicolo al Signor Holmes." mormorò la donna.


 

Con calma si avvicinò al divano, sedendosi con attenzione.


 

"Voglio sentirlo da te" proferí Sherlock Holmes puntandole gli occhi in faccia.


 

Ellie annuì lentamente, spostando lo sguardo nervosamente da un viso all'altro.


 

Troppe persone.


 

"Tutti fuori" decretò il moro.


 

Fu tanto perentorio da non lasciare scelta a nessuno dei presenti, che scesero al piano sottostante dalla padrona di casa.


 

"Allora? Da cosa vuoi iniziare?" chiese nervosamente Ellie.


 

"Da te" rispose.


 

"Il mio nome è Ellie Montres, sono figlia di una donna inglese e di un uomo francese, che di professione faceva il mafioso.


 

Mycroft sapeva che mio padre stava per importare armi in Inghilterra, di conseguenza teneva sotto osservazione sia me che mia madre, fin quando mio padre pestò i piedi a chi stava sopra di lui.


 

Si accorse però che quell'uomo aveva un debole per me.


 

Allora decise di vendermi per avere salva la vita."


 

Con un respiro tremolante la donna proseguì.


 

"Avevo 28 anni, avevo un lavoro ed ero lontana da casa.


 

Ma mi presero lo stesso.


 

Rimasi prigioniera per sei mesi a fare da schiava ad un boss della mafia francese, finché gli uomini di Mycroft mi trovarono e mi liberarono. Essendo per metà inglese fui portata subito in Inghilterra, dove mi interrogarono. Ovviamente risposi a tutto quello che mi chiedevano. Di certo non avevo voglia di tornare in Francia dopo tutto quello che avevo vissuto.


 

Ed è lì che ho conosciuto tuo fratello.


 

Mycroft mi interrogò per 12 ore di fila senza sosta, in cui avrei voluto dargli un bel ceffone in faccia per come si stava comportando pur di farmi parlare, ma alla fine decise di lasciarmi andare.


 

Non era sicuro che io non sapessi niente sulla rete di criminali che gestiva il mio aguzzino.


 

Sapendo che io non avevo posto dove andare mi portò con lui in una casa sicura, mi diede un nuovo cognome, un nuovo lavoro, una nuova casa.


 

Ma di certo i sospetti non lo avevano abbandonato.


 

Io lo trovavo piuttosto divertente, vederlo così frustrato nel cercare di carpire informazioni organizzando cene e pranzi per cercare di estorcermi informazioni."


 

Sorrise beffarda al ricordo.


 

"E poi?" incalzò il detective.


 

"E poi è successo che mi sono innamorata.


 

Mi ha protetta, mi ha giurato fedeltà come compagno, ma finché non avrà smontato l'organizzazione criminale di cui facevano parte mio padre e  chi mi aveva con sé io non potró mai stare alla luce del sole con tuo fratello" concluse con calma, assaprando le parole che le uscivano lentamente dalle labbra e osservando attentamente quello che a tutti gli effetti era quasi suo cognato.


 

Immobile come una statua di cera.


 

"Non hai nulla da aggiungere?" chiese infine il detective.


 

Rimase di sasso a quella domanda.


 

Venduta dal padre come un pezzo di carne per non farsi ammazzare.


 

Prigioniera per sei mesi di un pazzo sadico.


 

Fidanzata del fratello.


 

Incinta di sua nipote.


 

Non era forse abbastanza?


 

"No? Bene."


 

Con uno scatto Sherlock Holmes scattò verso l'attaccapanni inforcando il suo cappotto.


 

"Ovviamente non tornerai a casa tua, non è più sicura, starai qui nella vecchia camera di John finché non troverò mio fratello" con risolutezza aprì la porta e ci si buttò fuori urlando il nome del fidato amico.


 

Mary salì le scale in compagnia di Anthea, che ora sembrava molto più tranquilla.


 

"Bene cara, starai con noi per un pò a quanto pare" disse allegra Mary.


 

Ellie si sentiva morire.


 

La gola secca.


 

Un nodo allo stomaco.


 

Le mani sudate.


 

Panico.


 

Le lacrime iniziarono a scendere a fiotti sul suo viso, mentre pensava che no quello non era un incubo e che il suo amore era davvero in pericolo.


 

Ora stava a Sherlock Holmes impedire che suo fratello rimanesse nei guai.


 

Il gioco era iniziato.



 

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Capitolo 2
*** 2 ***


La casa era buia, solo la luce dei lampioni illuminava i pochi mobili che adornavano l'appartamento.
Ellie era sdraiata sul pavimento, ancora sconvolta da quello che era successo solo poche ore prima.
Mycroft aveva ucciso un uomo a sangue freddo.
Certo, stava per ucciderla, ma era comunque una vita spezzata.
Si ridestó dai suoi pensieri al suono della serratura che si apriva lentamente.
Il panico iniziò a prendere possesso della sua mente.
Con un nodo in gola afferrò la pistola che teneva nel cassetto del suo comodino e iniziò ad avanzare lentamente verso la porta d'ingresso.
Una figura alta e scura si stagliava dinanzi l'ingresso.
Con un urlo strozzato Ellie si avventò contro lo sconosciuto che prontamente le afferrò le mani e le tolse la pistola.
"Ellie, per quanto io approvi questo tuo coraggio devo dirti che la pistola che hai in mano è pressoché inutile se non togli prima la sicura".
Una voce sicura aveva parlato, la voce dell'uomo che l'aveva salvata più di un anno prima.
La luce fioca illuminava a malapena il profilo prominente dell'uomo, che quasi timidamente le avvolse le braccia attorno alla vita. Un contatto che prima si era sempre negato con lei.
"Niente e nessuno potrà farti del male mia cara."
Suonava quasi come una promessa.


La bambina.

Ellie.

Sherlock.

Svegliati.
Con un sussulto Mycroft aprì gli occhi, trovandoli pesanti e irritati dalla polvere.
Era disteso su un pavimento lurido, in una stanza illuminata solamente da una lampadina che pendeva dal soffitto.
Che cliché.
Con un colpo di tosse sollevò una manciata di polvere.
Si mise seduto, ancora intorpidito dal narcotico.
Si appoggiò al muro respirando profondamente.
Gli avevano tolto giacca, gilé e cravatta.
E la camicia era sbottonata.
Si osservò il petto, adornato da un ciuffo di peli rossicci.
La sua mente vagò a quali metodi di tortura potevano essere applicati al petto nudo di un prigioniero.
L'elettroshock.
Aghi.
Coltelli.
Nessuna sembrava appropriata al suo rapitore.
Anche se non si era fatto vivo, non bisognava essere un Holmes per capire che quel miserabile era riuscito a scappare dalla prigione.
Con un moto di stizzia si rese conto che forse avrebbe dovuto cedere, che un proiettile al centro della fronte era quello che davvero meritava.
Ma lei lo aveva pregato.
Non macchiarti di un simile fardello, tu sei migliore di lui aveva detto.
Ma ora più che mai si pentiva di averle dato retta e di aver risparmiato la vita di quel miserabile.
Dei passi provenivano da dietro la porta blindata e delle voci ovattate sembravano discutere animatamente di lui.
Un improvviso silenzio gli fece tendere le orecchie.
Con uno scatto la porta si aprì, rivelando chi si celava dietro l'identità del suo rapitore.
Un uomo di mezza età, non così tanto alto, tarchiato e con i capelli lunghi fece il suo ingresso nella stanzetta.
"Buongiorno, Signor Holmes, è un vero paicere rivederla, soprattutto ora che lei è al mio posto come ostaggio" un leggero accento francese e un cipiglio arrogante.
La bocca gli si riempì di bile alla vista di quel viscido verme.
"Non credo si possa parlare di ostaggio nel suo caso, dato che lei era stato legittimamente arrestato dagli agenti dell' MI6 per traffico di armi" rispose composto Mycroft.
L'altro rise sguaiato, quasi come se avesse capito una battutta che era sfuggita al maggiore degli Holmes.
"Sai, devo dire che non è stato facile prenderti, ho dovuto pagare davvero profumatamente i miei collaboratori per convincerli che valeva la pena punirti per avermi portato via il mio giocattolo" con voce strascicata l'individuo si piegò su Mycroft e gli assestò un pugno sullo zigomo, facendolo sbattere contro il pavimento.
"Sai, dovrei darti più di un pugno, infondo Ellie è speciale, non mi stupisce il fatto che alla fine sei finito anche tu tra le sue gambe" ghignò malevolo.
Che volgarità pensò il politico.
"Non mi dici nulla, caro Mike?" disse afferrandolo per i capelli.
Si limitò a rispondere con un alzata di sopracciglio.
"Bene, mi divertirò un sacco a cavarti le parole di bocca".
Fu l'ultima cosa che sentì prima che un colpo dato alla nuca lo fece svenire un'altra volta.

Ormai la tazza di the che aveva tra le mani si era freddata, Anthea al suo fianco era immobile, mentre Mary Watson la fissava dall'altra parte della stanza seduta sulla poltrona.
"Allora tu e Mycroft.." la donna lasciò la frase in sospeso, insicura su come continuare la frase.
Mary ricevette un'alzata di spalle da Anthea e un occhiata incerta da Ellie.
"Non posso parlarne" mormorò la donna.
L'angoscia l'attanagliava, la preoccupazione per la sorte del suo amato era troppo forte e lei era sempre stata troppo sensibile per reggere lo stress.
Le lacrime tornarono a pungerle gli occhi.
Con un sospiro tremolante si posò la mano sulla pancia, dove la sua bambina stava facendo le capriole.
Se pensava di essere innamorata di Mycroft, ancora non aveva provato l'amore che una madre poteva provare per il proprio bambino.
L'amarezza del momento la colpì in pieno, lasciandola senza fiato.
Le cose stavano andando troppo bene, era ovvio che qualcosa di brutto stava per succedere.
Le sfuggì un singhiozzo sommesso, e senza troppe cerimonie scoppiò a piangere sulla spalla di Anthea.
"È colpa mia, se non fosse stato per me lui sarebbe al sicuro" singhiozzò Ellie stringendo l'avanbraccio della donna con la mano sinistra.
Mary Watson si avvicinò piano e le sfilò la tazza di the ormai fredda dalle mani e facendosi uno spazietto sul bracciolo del divano, le circondò le spalle esili con un braccio.
"Tesoro, io non so cosa sia successo, ma sono sicura che Mycroft non pensa che sia colpa tua e anche io penso che tu non sei responsabile di niente in questa faccenda" sussurò dolcemente.
Con fare materno la cullò piano, tentando di infonderle quella fiducia che solo chi aveva visto Sherlock Holmes all'opera aveva.
"Sono sicura che lo ritroveranno, hanno combattuto e vinto contro Moriatry, chiunque sia dietro questo rapimento non avrà vita lunga, di questo puoi starne certo cara" la voce della Signora Hudson giunse come un balsamo sulle ferita della donna.
Tirò su con il naso come una bambina raddrizzando la schiena, pensando ad un modo per sviare il discorso dalle sue lacrime.
"Sherlock ha detto che starò qui finché non ritroveranno Mycroft, ma non ho nulla di mio qui" disse spostandosi leggermente da una parte all'altra.
"Non ho motivo di dubitare che la posizione del tuo appartamento sia stata manomessa, ma dobbiamo assolutamente fare in fretta se vogliamo andare a recuperare un pò della tua roba" rispose Anthea sbrigativa.
"Inoltre direi che avere un'ex assassina professionista con noi può solo gioviarci, non è vero Signora Watson?" aggiunge la donna.
Un lampo di comprensione illuminò gli occhi di Ellie, ricordandosi di come non poco tempo prima Mycroft le aveva parlato di A.G.R.A e di Magnussen.
"Beh allora direi che è ora di incamminarci, dimmi cara il tuo appartamento è molto lontano?" rispose gioviale Mary Watson.

Sherlock Holmes camminava velocemente verso l'ufficio del fratello, il bavero del cappotto tenuto stretto sulla gola.
John Watson camminava dietro di lui, faticando a tenere il passo svelto dell'amico.
"Sherlock maledizione vuoi fermarti un secondo?" urlò stizzito.
Il brino si fermo di scatto e altrettanto bruscamente si girò verso l'amico.
"Perché dovrei fermarmi?" disse gelido.
"Non ti interessa il fatto che tuo fratello ti abbia nascosto una cosa di tale importanza?" chiese senza fiato.
" Perché dovrebbe importarmi di cosa fa mio fratello nel tempo libero?" rispose impassibile.
"Sempri piuttosto arrabbiato in realtà" osservò il medico.
Il consulente assottiggliò gli occhi.
"Perché dovrei essere arrabbiato? Mi ha solo nascosto di aver trovato una persona importante e di star per diventare padre e ora mi trovo nella situazione di dover rimediare ai suoi pasticci".
Ag ogni parola la voce del moro diventava sempre più alta di un ottava fino a finire in urlo strozzato.
Senza attendere una risposta da parte del medico, il moro continuò la propria marcia verso l'ufficio del fratello.

In macchina regnava il silenzio, Anthea guidava la macchina concetrata, Ellie si fissava le mani appoggiate sulla pancia e Mary guardava assorta fuori dal finestrino. 
"Manca ancora molto?" chiese Mary.
"No, siamo praticamente arrivate" rispose Ellie.
La machina si fermò davanti ad un piccolo palazzo in stile liberty, da cui si vedevano solo le ampie vetrate che davano sui pianerottili.
"Il mio appartamento è all'ultimo piano, da qui non si vede come le altre case" aggiunge la donna.
Con un cenno del capo Anthea si fece avanti, entrando dal portone principale e infilandosi nell'ascensore.
Ad occhi estraneri potevano sembrare tre amiche intente ad andare a prendere un the, non di certo tre persone intente ad andare a prendere un borsone con effetti personali con l'intenzione di far nascondere un'altra persona.
Con un campanellio la porta dell'ascensore si aprì, rivelando l'unico pianerottolo che non aveva una vetrata.
Ellie si portò avanti al gruppo estraendo un mazzo di chiavi che le fu sfilato da Mary Watson.
La bionda estrasse una pistola dal giubotto e si avvicinò piano alla porta d'ingresso.
"Non si è mai troppo prudenti" disse la donna facendo l'occhiolino alle altre due.
Lentamente infilò la chiave nella toppa e facendo il minor rumore possibile fece scattare la serratura e spostò la porta in avanti.
Con passo agile entrò nel piccolo appartamento, mentre le altre due sostavano pazientemente nel pianerottolo.
Ellie stava incominciando a perdere la pazienza quando ne riemersse Mary che con cipiglio sicuro dichiarò il via libera.
Ellie ed Anthea si fecero strada nella casa della prima, ormai un familiare rifugio per entrambe.
"Faccio in fretta, voi in tanto mettetevi comode" borbottò indicando il divano e sparendo verso la camera da letto.
La casa era veramente molto piccola, dall'ingresso si poteva vedere uno squarcio della cucina dipinta a tinte tenui e una parte della camera da letto.
La casa era in leggero disordine, di quel disordine piacevole che faceva intendere che quella casa era una casa vissuta ogni giorno a pieno.
Mary si guardò intorno, cercando di cogliere dettagli della personalità di quella giovane donna.
Solo molti libri, per lo più classici, qualche scatola vuota di un takeway sul tavolino da caffè.
Si spostò nella cucina, ma anche li niente di troppo personale, solamente un calendario con i vari appuntamenti.
Corso preparto.
Ecografia.
Si rese conto all'improvviso che quello che lei giudicava scontato, come decidere il colore della cameretta insieme a John e progettare insieme il futuro della loro bambina per lei e Mycroft invece era una cosa pericolosa, che metteva a repentaglio la vita di quella neonata.
"Ehi ragazze" la voce di Ellie ridestó Mary dai suoi pensieri.
Anthea si avvicinò alla stanza da letto della donna, che era seduta sul bordo del letto con una tutina in mano.
"Secondo voi dovrei portarmi delle tutine per la bambina? Infondo non so quando potrò tornare qui o quanto Sherlock ci metterà a trovare Mycroft" si strinse nelle spalle.
Anthea sembrava senza parole, come poteva rispondere ad una domanda del genere?.
Mary Watson arrivò in suo soccorso.
"Tra quante settimane hai il temine?" domandò.
"Dieci" rispose la mora.
"Allora credo che magari una tutina in caso di emergenza sia il caso di portarla, in fondo non si sa mai cosa potrebbe succedere" disse Mary.
Con un cenno del capo Ellie infilò anche quella nella borsa, chiudendola e infilandosela in spalla.
"Bene, andiamo" proruppe Anthea.

Sherlock aveva analizzato qualsiasi piccola cosa presente nell'ufficio del fratello, ma non riusciva a trovare neanche uno straccio di indizio, le guardie uccise stavano ancora per terra come bambole di pezza.
"Qualcuno deve occuparsi dei cadaveri, non possiamo lasciare otto cadaveri in un ufficio gpvernativo"sibilò John.
"Credo di non aver bisogno di indagare oltre" proruppe il moro
John indirizzò uno sguardo interrogativo in direzione dell'amico.
Notò che nella mano guantata il detective stringeva un bigliettino da visita.
"A quanto pare vogliono farsi trovare".
 
 

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