Erased

di Nim_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologue ***
Capitolo 2: *** 1 ***
Capitolo 3: *** 2 ***



Capitolo 1
*** Prologue ***



Quell'inverno marcò i peggiori, i più angoscianti e torturanti mesi di tutta la mia vita.

Tre anni di isolamente e subito dopo lunghi mesi di sofferenza. Il freddo che tanto mi piaceva, questa volta, mi assaliva severamente. Mi imobilizzava come se mostrasse che ero debole e non potevo fare nulla per aiutare, non potevo fare assolutamente nulla.

A quella stanza d'ospedale grigia, monotona e stressante, avevo accesso due o tre volte alla settimana. 
Poterci essere per così poco tempo magari era la cosa giusta, magari aveva un senso, come una punizione. O forse, se io avessi potuto rimanerci di più, sarebbe diventata una punizione più grande. Peggio per me.

Non conoscevo quella donna e quell'uomo. Di tutto il tempo che li conoscevo, avevamo parlato davvero poche volte. Ma non avevo un'impressione cattiva su di loro. Pensavo che volevano solo aiutarmi, che erano brave persone, ma quel signore mi chiedeva di aver calma troppe volte, come se volesse fermarmi, come se potessi fare qualcosa di sbagliato. E questo mi infastidiva.

Quel posto, quella situazione, erano parte dei miei incubi peggiori. Ma io meritavo quella tortura, quella scena, quel viso giovane addormentato, la sua pelle pallida e quasi senza vita, estremamente fragile. Meritavo di sentire quell'enorme dolore al petto. La colpa. perché io meritavo di essere al suo posto, vorrei poter esserci, ma non lo ero. Non poter vedere i suoi occhi aprirsi e guardarmi con dolcezza, non sentire la sua bellissima voce. Anche se fosse per litigare, quella você soave mi piaceva tantissimo. Non sapevo cosa era peggio, essere li osservandolo debole e incoscente o essere fuori, pregando.

Ogni giorno la speranza sfumava. Ogni parola che quelli, vestiti di bianco con occhi penosi mi dicevano sembrava una condanna infelice. Una condanna che stavo pagando per non aver ascoltato ciò che il mio cuore chiedeva, implorava.

Ciò che le loro parole mi dicevano è che aumentava ogni giorno la probabilità di una possibilità terribile. La mia punizione. Potevo già sentirla arrivare per torturarmi, come meritavo. 

Ma anche se questa possibilità, di perdere ciò che avevo bisogno in quel momento, fosse così grande, io continuavo tutti i giorni sperando che la minoranza dei numeri vincesse. E che allora mi dicesse che ero perdonata per essere così stupida e che avevo una seconda chance.

Io lo aspettavo, ansiosa di vederlo alzarsi, venire a me e dire che mi odiava, almeno questo. Vedere quanto era cambiato mentre io ero lontana. Mi avrebbe dato un pugno nella spalla e direbbe calmamente che anche se era arrabbiato sentiva la mia mancanza. Mi avrebbe abbracciato. 

Ma tutto ciò accadde nella mia mente disperata, immaginando un incontro che mai sarebbe successo. 

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Capitolo 2
*** 1 ***


Marzo 2011 – Seoul – South Korea

La sedia del giardino dell’ospedale era sempre meno comodo. Le mie mani tremavano cercando di tenere il quinto bicchiere di caffè di quel pomeriggio. Chanyeol mi dicev qualcosa, ma io non ero capace di ascoltare.
Lui era l’unica persona che io avevo, lui che mi stava appoggiando ogni volta che cadevo un po’ più giù e perdevo le speranze che mi restavano. Ma io non potevo sentirlo in quel momento, sentivo solo i miei alti battiti cardiaci che facevano eco nei miei timpani. E tutto perché sapevo che ad ogni momento poteva uscire da quella porta di vetro bianca,  la persona che stavo aspettando per tanto tempo. Non riuscivo a concentrarmi in assolutamente nulla.
Quella mattina inizò agitata da quando mi svegliai con quella chiamata da persone non molto importanti, ma che mi dicevano cose serie, forse gravi.
Dicevano che quello era il giorno decisivo. Si, il giorno della sentenza. E io ero perdonata o condannata.
Era in quel modo che vedevo la situzione. O le cose sarebbero andare nel verso giusto, e sarei stata libera dal dolore e lui sarebbe tornato, o non avrei avuto più il diritto di vederlo mai più. Non c’era un mezzo termine. Se provassi a forzare una situazione, le cose si sarebbero complicate ancora di più. E io non volevo causare più danni. Non a lui.
Era sveglio da poco più di una settimana, magari due, e quindi non mi era permesso di fargli visita. Non ero riuscita a parlargli tanto. Ma grazie alla fisioterapia che andava bene, sarebbe potuto uscire in quel giorno. Però nulla era garantito, avrebbe continuato con l’accompagnamento medico a casa. DoMi non avrebbe badato a spese.
Io… Chanyeol ed io. Dovevamo stare lontani e non influenzare, forzare o indurre nulla. Solo dovevamo esserci per qualsiasi cosa sarebbe successo.
Io sapevo che la cosa più probabile era che tutto andasse storto, la vita non è un film dove ci sono gli happy ending e dove esiste la seconda chance. O un videogioco che dopo il gameover c’è la possibilità di riniziare. Ma io non potevo non confidare nella piccola possibilità di avere un buon finale, quello in cui lo avrei abbracciato, e che lui mi avrebbe perdonata. Dipendevo dalla poca speranza, dipendevo dal filo ogni secondo più fine che mi univa a lui, al passato. Al nostro passato. I nostri ricordi.
Era tardi, e cominciai a sentirmi nervosa. Volevo prestare attenzione a ciò che il moro diceva, ma non riuscivo. Nel momento in cui la porta si aprii, fui affetta da una dispnea da quanto aspettavo quel momento. Qualche viso conosciuto e poi quella figura più che familiare. Sentii come se non ci fosse aria, come se non ci fosse atmosfera.
Era visibilmente stanco, ma si mostrava sveglio e con vita, con più vita, diverso da come io lo vedevo da settimane. Mi sentii confortata.
Potevo svenire per mancanza d’aria, ma volevo vedere quella scena. Calmamente, inspirò l’aria ai polmoni come se ne sentisse la mancanza – non più che me in quel momento -. Lo imitai, i miei occhi erano fissi su di lui.
Senza accorgermene ero già in piedi, gli occhi pieni di lacrime. Sentivo in bisogno di fare qualcosa, di muovermi. Diedi un passo, ma la mano di Chanyeol afferrò il mio braccio. Sapevo perché lo stava facendo, e lo ringraziai mentalmente anche se contrariata.
Senza prestare attenzione al ragazzo accanto a me tornai ad osservare ciò che mi interessava più di tutto in quel momento, quell’altro ragazzo che era libero da quell’ospedale malinconico.
Il suo delicato viso e leggermente cambiato grazie al tempo aprii un sorriso senza umore rispondendo alla donna accanto a lui, e in seguito i suoi occhi persorsero tutto il locale finché non si posarono su di me. Sentii il mio petto essere dominato da un’onda perplessa di speranza, ma in una volta solta, come uno shock. Involontariamente le mie labbra si aprirono volendo solo gridare il suo nome, ma non avevo la forza necessaria. Non sapevo ancora esattamente cosa stesse succedendo e qualsiasi mia azione dipendeva da quella decisione presa, destino o qualunque cosa fosse.
E allora, quale sarebbe stata la mia sentenza?
Seppi la risposta quando i suoi occhi freddi si distaccarono da me, senza una reazione o dimostrazione che io significavo qualcosa. Continuò semplicemente il suo cammino. Fu sufficiente per farmi capire ciò che era deciso, facendomi male.
Sapevo che sarebbe successo, ma testardamente continuavo a sperare che io ancora significavo qualcosa per lui, che ancora esistevo. Ma questo era il mio castigo. Ora ero nessuno, solo un altro viso, un viso sconosciuto, qualcuno senza importanza.
Quando tornai in me, ero inginocchiata per terra, il caffè bollente scorreva vicino alla mia mano appoggiata al cemento freddo, le mie lacrime scorrevano sul mio viso. Singhiozzavo. Chanyeol era accanto a me, e io potevo finalmente sentirlo.
– Lia….Sono qui, non ti lascerò sola. – Mi abbracciò – Sarò sempre con te.

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Capitolo 3
*** 2 ***


Era da un bel pezzo che Chanyeol cercava di tranquilizzarmi, mi aveva aiutata a sedermi e mi abbracciava con cautela. Piansi tutte le mie più amare lacrime nel suo petto. 
Ciò che riuscii a intravedere dall'intervallo del mio viso sulla camicia di Chanyeol, fu la donna raggiungerci a grandi passi. Potevo essere maleducata, rude o qualsiasi altra cosa, ma non volevo togliere il mio viso da dove era, e non lo feci. Un po' peggio, mi coprii le orecchie con le mani per non ascoltare ciò che doveva dirci, ma non fu sufficiente. Morsi con forza il labbro inferiore quando non fui capace di non ascoltare le sue parole. 
Sapevo che non era cattiva. Lei era molto gentile. Domi era una donna molto buona per ciò che stava facendo, ma io la odiavo in quel momento. La odiavo tanto. Avevamo fatto piani nel caso le cose non fossero andate bene, come era il caso, e avevamo deciso tutto, ma adesso non lo volevo più. Ora che tutto era andato male. 
Domi parlava con Chanyeol capendo che io non volevo o potevo dire nulla, non volevo nemmeno pensarci, anche se non c'era verso. Quando ebbe finito, disse solamente addio, anche se non le risposi, ma sbuffai tra le lacrime. Chiese scusa. Odiai Domi ancora di più, senza motivo. Si voltò e tornò all'auto bianca, che partì, abbandonando il parcheggio.
Volevo correre dietro a quell'auto, anche a costo di sembrare una pazza.
Il mio cuore cercava di uccidermi, castigandomi per non averlo ascoltato. ''È stato un errore. È stato un errore. Un maledetto errore, lasciami rimediare!'' gridavo senza suono, senza l'uso del mio corpo o della mia voce, solo con la mia mente e il mio pianto, al caso, al destino o qualunque cosa fosse. Al mio cuore. Per Luhan, Domi e la sua auto bianca. Agli alberi che ci circondavano, alla neve sciolta, il caffè versato, alle persone in bianco, alle pareti grigie. A tutto. Volevo solo urlare, urlare senza smettere, il più possibile. 
Volevo urlare che non avevo colpa, volevo urlare che non avevo altra scelta, che non volevo essermene andata, che volevo restare. Volevo urlarlo a lui, Luhan, perchè mi perdonasse, perchè tornasse da me.
Volevo che uscisse dall'auto e dicesse che quello era uno scherzo per farmi pentire. Che diciamo, stava funzionando. Uno stupido scherzo, solo uno scherzo. Che sarebbe rimasto, che tutto sarebbe andato bene, che tutto era come prima, che era tutto intero. 
Ma il mondo era contro di me, lasciandomi tutto il peso. Il peso della colpa.
Il dolore era la punizione.
Stavo guardando Luhan andarsene, lsciandomi così come fui capace di lasciarlo. Ma, diversamente da me, lui non stava andando via con colpe o pentimenti, lui era libero. 
Quelle memorie e la perdita non l'avrebbero ucciso, come a me.

⋯❖⋯

Agosto 2015 – Seoul

Mentre i vagoni viaggiavano, mi concentravo sul suono che la velocità del treno causava. Dal lato esterno non si vedeva la parete del tunnel, solo una macchia nera e poco illuminata. Fissavo quelle macchie cercando di non pensare a nulla. Instintivamente afferrai il mio cellulare dalla tasca della giacca e guardai l'orario, notando ancora una volta quella data. 
16 agosto 2015.
Spensi lo schermo, con rabbia. Rimisi l'appareccio nella tasca e tornai a concentrarmi sulla macchia al lato esterno della finestra, che si illuminò completamente. Il treno arrivò alla stazione HaengDang.
La giornata iniziò calda, come ogni giorno qualsiasi d'estate. Per questo ringraziai di aver portato con me una giacca leggera, visto che iniziò una pioggia leggera, ed io non avevo con me l'ombrello. Affrettai il passo volendo trovare un posto al sicuro dalla pioggia, tremando di freddo. Mi fermai sulla parte coperta di un negozio, notando quanto ero fradicia.
Respirai fondo, cercando di ingoiare le disgrazie di quel giorno. Cercando di allontanare il mal di testa. Volevo tornare a casa, ero stanca. Stanca mentalmente e fisicamente. 
Mi guardai intorno, verso il cielo, e nonostante la grande quantità di acqua che cadeva, il tempo non era così chiuso, ma al fondo le nuvole scure che forse portavano con sè una tempesta mi affliggevano. Ma intanto niente fulmini e tuoni, solo tanta acqua.
Uscii di nuovo, cercando di camminare il più veloce possibile e dopo alcuni metri arrivai finalmente all'entrata dell'edificio. Entrai quasi volando, sentendo l'impatto della temperatura accogliente del posto. Pensavo solo ad asciugarmi, ad una buona tazza di tè e una coperta calda per cercare di salvare quella giornata. Le porte dell'ascensore si aprirono. 
Quando entrai nell'appartamento trovai Chanyeol sul divano, dormendo. Cercai per alcuni istanti di capire il motivo del quale il giovane si era addormentato sul mio divano e non sul divano dell'appartamento accanto, anche se quella era una scena comune quanto aprire gli occhi la mattina. Non mi dava fastidio, non lo sarebbe mai stato. E oltre ad essere abituale, era bello trovare Chanyeol che mi aspettava.
Quel ragazzo si prendeva cura di me da un po' di tempo, tutti i giorni. Ero dipendente da lui. Grazie a lui non mi sentivo più sola, ma ci sentivamo soli insieme.
Gli passai accanto cercando di non farmi sentire e camminai verso la fine del corridoio. Feci una doccia e misi dei vestiti caldi, era venuto freddo grazie alla pioggia.
Con l'asciugamano in testa, entrai in cucina, asciugandomi i capelli lunghi. Sembravano non volersi asciugare, così lasciai l'asciugamano sulle spalle e cominciai  preparare il tè. 
Come avevo pianificato, minuti dopo avevo la mia tazza di tè caldo, mentre mi dirigevo in salotto. Posai la tazza sul tavolo accanto al divano e mi sedetti, alzando e poi abbassando sulle mie gambe la testa del ragazzo, senza svegliarlo. Portai le mani ai suoi capelli neri e soffici, massaggiandoli mentre osservavo il suo visto addormentato. 
Mi persi per qualche minuti, navigando tra i miei pensieri, e senza volerlo cominciai a ricordare di un momento, anni fa, dove ci incontravamo nel pomeriggio. Tre adolescenti. Mangiando schifezze, giocando ai videogiochi.
Tante risate. Sorrisi. 
Avrei dato tutto per tornare a quei giorni. Il mio sorriso scomparve, eravamo solo noi. Noi due, Chanyeol ed io. Solo. Incompleti, spenti. 
''Persone che sono state cancellate rivivendo qualcosa che è stato cancellato...'' fu ciò che osai immaginare, senza speranze. Sembrava utopico.
Ed era solo questo. Utopico. 
Non c'erano più risate, non c'erano più battute, o il sapore del cioccolato fuso nelle nostre dita, lo stesso gusto che sporcava le nostre labbra. Non c'erano più le note di una dolce musica della chitarra di Chanyeol, nemmeno una buona discussione sul nuovo anime giapponese. 
Il ricordo della voce di Luhan mentre rideva, alle mie orecchie, lui era triste e felice allo stesso tempo, così come i ricordi. E quando chiudevo i miei occhi, non c'erano più i colori vivi dei nostri sentimenti mentre ridevamo insieme, come prima. Quando noi tre stavamo insieme tutto era colore. E io adoravo questo. 
Le cose erano grigie, così come i nostri sorrisi. E su di noi apparivano macchie che occupavano tutto lo spazio che dimostrava che in quello spazio un tempo fa c'erano colori, che erano in noi. Dentro di me, e dentro di loro. 
Ora era tutto bianco. Tutto è stato cancellato. Era il mio incubo. 
Aprii gli occhi rapidamente, avevo paura di finire in uno di quei sonni turbati. Era da un po' che non succedeva ed io ringraziavo il cielo, ma avevo comunque paura. Bevvi un sorso di tè. 
Controllava la mia mente, cercando di convincere che le cose erano assolutamente decise, e lo erano, ed erano immutabili. C'era un posto nel mondo che nonostante volessi farne parte, io non esistevo. Ed era questo che si trasformava in un buco nero che mi tormentava.
Dovevo dimenticare le risate, il vuoto, le macchie, i colori. Ma quel giorno non mi fu permesso. 
I momenti, le figure, le immagini pulsavano in me e poi mi deprimevano. Sorridevo e mi deprimevo. 
Ah, tutte queste parole sarebbero state scritte in uno dei miei quaderni. Lo avrei scritto, quando sarei stata da sola. Cercai di non dimenticarle, scrivere era ciò che mi faceva schiarire la mente. Mettere tutto su carta, togliere tutto da me. Se non le scrivevo, forse sarebbero venute a soffocarmi. 
Era il modo che avevo trovato per togliermi i pesi che mi affondavano. Il mio diario...o ciò che dovrebbe essere un diario, ma serviva solo quando mi sentivo come nelle giornate del sedici agosto. Avrei dovuto chiamarlo quaderno del sedici agosto.
Non sapevo se odiavo quel quaderno o se mi piaceva usarlo per sentirmi meglio. 
In ogni modo, sembrava funzionare. Oltre al fatto che non potevo rovinare il tentativo quotidiano di Chanyeol di andare avanti. Era impressionante come aveva l'abilità di causare l'illusione di che tutto andava bene. Illusione che avevamo dimenticato. E sarebbe stato troppo crudele frustrarlo condividendo la melanconia che a volte mi dominava insieme ai ricordi.
Si sforzava davvero perchè tutto andasse bene, con sorrisi al nostro tavolo, tutti i giorni da quando tornavo a casa dal lavoro, a quando lui usciva per andare al suo lavoro. E dovevo ammetterlo, quello era giusto al 99% dei nostri giorni, settimane e mesi. Ma come ho già detto, in giornate come quelle, era come se nemmeno noi avessimo il controllo.
Quella era...una data marcata. Inizialmente in modo giocoso, divertente e infantile, e alla fine in modo tragico. Triste. E io non volevo pensarci, non volevo pensare al sedici agosto, alla data che significava.
Chanyeol si mosse chiamando la mia attenzione, togliendomi dai miei pensieri. I suoi occhi si aprirono, sonnolenti, e mi fissarono per alcuni secondi, leggendo la mia espressione che forzava un sorriso falso nella tentativa di mostrare che tutto andava bene.
Si limitò a non fare domande tipo ''come è andata la giornata?'' o ''Come è andata al lavoro?''. Sapeva che avrebbe peggiorato la situazione, che non aiutava. Chanyeol si lamentò dei miei capelli troppo bagnati e mi disse di asciugarli, ma continuai seduta bevendo il mio tè, in quello stesso umore che non sarebbe cambiato fino alla fine della giornata.
Mi lasciò sola per alcuni minuti, ma quando tornò portò con sè l'asciugacapelli, e senza farmi domande lo accese e cominciò ad asciugarmi i capelli gentilmente.
Quella era una delle cose che mi facevano piangere in quel giorno. Ma le intenzioni di Chanyeol erano le migliori e io cercavo di non fare vedere quanto ero sensibile, volevo che sentisse che le sue attenzioni mi facevano bene, che funzionavano, anche se nulla lì funzionava. 
Le sue mani scioglievano i nodi con gentilezza mentre il vento caldo asciugava i miei capelli. Quello mi calmava, lasciandomi sonnolente e rilassata. Quel gesto mi accoglieva. Chanyeol mi accoglieva. Alcuni minuti dopo i miei capelli erano asciutti. 
Alcune tazze di tè. Chanyeol ed io eravamo seduti sul divano, chiacchierando su qualsiasi cosa, qualsiasi cosa ci andasse, tranne ciò che più ci faceva male. Ovviamente io cercavo di distrarmi, e speravo che lui non l'avesse capito. Ma certamente lui capiva e non c'era nemmeno niente da capire, era un fatto ovvio, ma la migliore opzione era fingere di no. Fingere che io stavo bene, che lui stava bene. Fingere che non dovevamo vivere quel giorno per la quarta volta in quel modo, e solo aspettare la fine di quel giorno. 
Facemmo silenzio per alcuni secondi e ascoltammo il rumore della pioggia che continuava, e in quel momento aumentava. Apparse il primo fulmine molto rumoroso attraversando la mia mente in un colpo solo, causandomi brividi lungo la schiena, congelandomi. Fissai il vuoto, ma vidi che Chanyeol pressò le labbra. Era frustrato, e la colpa era mia. 
Abbassai lo sguardo, volevo piangere. Lui si avvicinò. 
- Dormi... devo andare. -
Annuì come se andasse bene, ma non era vero. Lui mise le cuffie alle mie orecchie e le connesse al mio cellulare che era nelle sue mani. Selezionò le musiche che sapeva mi avrebbero calmata e le lasciò li, prendendo cura di me. 
Chanyeol dovette andare al lavoro - era barman notturno in un pub al centro città - e mi trovai sola a casa, vagando con la mia mente in qualsiasi posto random, con le musiche che Chanyeol aveva scelto per me. Prima o poi, per tutto ciò che non volevo pensare. 
Almeno non riuscivo a sentire i fulmini, era qualcosa.
Mi chiedevo perchè in ogni minuto e mi ricordavo della stessa cosa, anche se sapevo la risposta. Perchè i verità, non era normale pensare quelle cose, era da un po' che le memorie non mi tormentavano. Potevo credere di non possederle più. Era così normale non pensarci più, essere fragile era uno schifo. Doveva essere un giorno come un altro, come se avessimo dimenticato tutte le cose brutte.
Risi senza umore realizzando che un giorno avrei dato tutto per scomparire, ironicamente l'avevo già fatto. 
Una lunga notte di sonno si portò via l'amarezza di quel lungo giorno. -
Desideravo omettere la parte in cui le lacrime mi affondarono in quel sonno. -
Svegliandomi, stavo molto meglio di quando mi addormentai. Er un nuovo giorno, e la tempesta era andata via. Come se nulla fosse successo, mi era permesso dimenticare di nuovo. Tornando alla routine di cui ero abituata, adattandomi rapidamente, strategicamente, come doveva essere.

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