La maschera di path94 (/viewuser.php?uid=4873)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 10: *** 10 ***
Capitolo 11: *** 11 ***
Capitolo 12: *** 12 ***
Capitolo 13: *** 13 ***
Capitolo 14: *** 14 ***
Capitolo 15: *** 15 ***
Capitolo 16: *** 16 ***
Capitolo 17: *** 17 ***
Capitolo 18: *** 18 ***
Capitolo 1 *** Capitolo 1 ***
Piccola nota
introduttiva.
Ci sono delle idee che nascono
nel momento più impensabile, più inusitato,
più assurdo, più inopportuno.
Questa mi è balzata
in mente durante lo studio per la preparazione di un esame di
Letteratura Italiana (fortunatamente superato).
E la scrittura risente
ampiamente della "full immersion" subita in Dante, Machiavelli e Verga.
Senza nessun ardire di
notorietà, solo per passione per questa storia eterna, ho
provato a vagheggiare anche io.
Spero che per voi valga la pena
leggerla, quanto per me vale lo scriverla.
Questo capitolo, vale un po' da
introduzione. Il resto verrà.
CAPITOLO
1
Si
svegliò nel cuore della notte, madida di sudore, il cuore
rombante nel petto
come dopo una lunga corsa, i polmoni in fiamme ad anelare l'ossigeno,
la mente
piena del sogno appena interrotto, che iniziava già a
vagheggiare nella veglia
improvvisa, ma che le era sembrato terribilmente reale negli istanti di
sonno
ormai perduti.
Si
alzò tremante, quasi infreddolita nonostante la finestra
aperta lasciasse
entrare l'aria tiepida della notte estiva, ed a piedi nudi si diresse
ancora
scossa verso la stanza da bagno.
L'acqua
nella brocca era ormai quasi tiepida, visto la calura di quei giorni,
ma tanto
le bastò per tergere e depurare il suo volto dalle gelide
stille di terribile
sudore.
Quasi
inebetita, ipnotizzata, riprese a vagare per la stanza appena
illuminata dai
primi raggi del mattutino sole, ripetendo con voce quasi
inintelligibile:
"Non voglio perderlo".
Il
sole sembrava stentare nella sua cavalcata verso il cielo, quel giorno,
che già
un bianco cavallo galoppava fiero ove lo conduceva il suo fiero
cavaliere.
La
criniera dell'uno e la chioma dell'altro ballavano con il vento, ad
imprigionare l'oro dei raggi solari, a sferzare guance e spalle.
Parigi
era oramai in vista.
Rosalie
riassestò una piccola ciocca ribelle dietro l'orecchio,
canticchiando a bocca
chiusa un motivetto un po' bambinesco, ma assai allegro, mentre
tranquilla
sfornava una piccola ciabatta di pane dal piccolo forno.
Il
rumore degli zoccoli del cavallo la distolse rapido dal suo lavoro, non
era
cosa usuale quel suono in quella zona, dove ben pochi potevano
permettersi
l'acquisto ed il mantenimento anche solo di una gallina, figuriamoci di
un
asino o ancor più un cavallo.
Fu
perciò con un misto di stupore, curiosità, e
forse con un lieve presentimento,
che si affacciò alla piccola finestra fiorita della cucina,
a scrutare
l'identità del nuovo venuto.
Il
bagliore dei capelli le tolse ogni dubbio, e con un largo sorriso
aperto sul
viso si precipitò a spalancare l'uscio ancor prima che il
visitatore potesse
riuscire a bussare.
"Rosalie,
ho bisogno del tuo aiuto".
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Capitolo 2 *** Capitolo 2 ***
Ci
sono occasioni, in cui le dighe di montagna, senza alcun preavviso,
cedono ed inondano la valle sottostante.
Ci sono momenti, in cui
anche colui che sembra più forte e resistente alle
avversità della vita, cede improvvisamente.
Si può
riprendere, è vero, può tentare di arginare i
danni, ma non ritornerà mai come prima della rottura, e,
forse, si renderà conto che le cose importanti sono altre,
piuttosto che quelle sulle quali duramente ha basato l'intera sua
esistenza.
E, sebbene riparata, la
diga continuerà sempre a perdere qualche goccia.
Grazie a coloro che
hanno letto e recensito. Quando si inizia a scrivere qualcosa con il
cuore, non si sa mai se altri avranno il cuore di leggerlo,
né se il cuore scrivano sarà in grado di farsi
capire. Grazie.
P.S. I capitoli sono
volutamente corti, perchè non penso ci sia gusto, a svelare
tutto subito...
CAPITOLO 2
"Grazie,
Rosalie, sapevo di aver fatto la scelta giusta, rivolgendomi a
te… In
definitiva io vorrei… mi piacerebbe… avrei
pensato… è tutta colpa di un
sogno…" e così dicendo, nemmeno si rese conto di
stare arrossendo come una
giovinetta alla prima infatuazione, né di abbassare gli
occhi vergognosi.
"Oh,
insomma, Madamigella, fuori il rospo ! Vi sentirete meglio, dopo, ve lo
assicuro !".
Oscar
prese un profondo respiro, quasi a doversi immergere in acque profonde
e nere,
e, tenendo gli occhi sempre bassi puntati sulle mani ora abbandonate in
grembo,
sbottò: "Voglio partecipare ad un ballo come una vera dama,
e ballare con
André..."
Finita
la frase, lasciò uscire il poco fiato rimastole con un
sonoro sbuffo, abbandonò
le spalle come vinte, e si arrischiò a sollevare gli occhi
timorosi verso
Rosalie, quasi nemmeno fosse lei, Oscar, l'invincibile guerriero, ma un
docile
cane bisognoso di una mano gentile che lo accarezzi.
Rosalie,
che tutto sembrava fuorché stupita da cotale rivelazione, si
aprì in un sorriso
se possibile ancora più luminoso del precedente, ristette
per un attimo, e poi
lasciò libera uscita al fiume di parole che le si
ammonticchiavano sulla
lingua.
"Finalmente
! Questa sì che è una bella pensata, Madamigella,
e scusate se ve lo dico ma mi
par incredibile che sia venuta da voi… Dunque, ci
vorrà un vestito, potremmo
andare da Madame Vouloir, sicuramente avrà anche le scarpe,
poi potrei
acconciarvi io, con quei bei capelli biondi staranno sicuramente bene
dei fiori
azzurri, e poi dovrete farvi prestare da vostra Madre dei gioielli,
magari
anche una tiara, ed il ventaglio, e…."
"…
e André non dovrà riconoscermi, Rosalie".
"Cosa?
Cosa intendete significare? Come potrebbe André non
riconoscere proprio
VOI?".
Oscar
chinò il capo sempre più vinto, chiuse gli occhi
per non veder l'espressione di
Rosalie alle sue prossime parole, e si confessò:
"Rosalie,
ho sognato di perdere André, di vederlo innamorarsi di
un'altra donna più… più
donna di me - disse alzando ferma una mano a bloccare sul nascere ogni
rimostranza della giovane - e vorrei vedere con i miei occhi, rendermi
conto se
davvero questo potrebbe accadere. So che fra non molti giorni si svolge
a
Parigi l'annuale Ballo in Maschera, ed avrei pensato di far recapitare
ad André
un invito per quel ballo, e recarmici io stessa in maschera..."
"Magamigella,
perdonate la mia schiettezza, ma non sarebbe più semplice se
voi finalmente vi
dichiaraste a quel povero ragazzo, che sono anni che vi adora e vi ama
in
religioso silenzio? ".
"E
se invece, con tutto quel che gli ho fatto, non mi amasse
più ?" sbottò
Oscar saltando in piedi, battendo una mano sul tavolo e scaraventando
la sedia
lontano, che cadde con un leggero lamento quasi indignata da tale
veemenza.
"Non
lo reggerei, Rosalie, se dicesse che non mi ama più, io,
Capitano dei Soldati
dell'Esercito di Parigi, non sarei in grado di sopravvivere se
André mi dicesse
di non volermi più… Rosalie, non ce la farei, non
potrei farcela…".
Gli
occhi della giovane si inumidirono di fronte a tanta
fragilità nascosta dietro
la facciata di fiera belva, e non seppe resistere all'impulso di
abbracciare la
"sua" Madamigella, che le si accoccolò, finalmente, forse
per la
prima volta in vita sua, conscia di non essere sola a portare la
pesante
condanna delle scelte di suo padre.
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Capitolo 3 *** Capitolo 3 ***
Crudele
forse, sadica mai...
La
verità è che, più che per soddisfare
le giuste richieste dei lettori, pubblico per soddisfare la mia
necessità di farlo.
Il
problema, è che scrivere è diventata una droga,
per me...
Grazie
a chi ha la pazienza di leggere i miei vaneggiamenti.
CAPITOLO
3
André
si
lasciò pesantemente cadere dal dorso del cavallo, le spalle
curve di sonno e la
divisa sfatta di fatica, e guidò lentamente il destriero
alla stalla, dove
sarebbe stato accudito amorevolmente.
Si
trascinò stanco verso l'entrata, e la cucina, dove
trovò, come d'uso, la sua
dolce nonnina perennemente indaffarata nella preparazione di questa o
quella
leccornia, e sentì il familiare profumo di pane che per lui
aveva sempre
significato "casa". Ma ora non più, non completamente,
almeno.
Oscar
era
diventata ormai, per lui, un mistero insondabile, un labirinto
così complicato
che il rischio era di smarrirvisi a vita, e lui cominciava ad essere
stanco di
tutta quella situazione.
Un
giorno
era radiosa come il sole, e contagiava e coinvolgeva anche il suo
vecchio
compagno di giochi e duelli, il giorno dopo era puntuta come un istrice
arrabbiata, e lo lasciava a distanza quasi fosse appestato; il giorno
dopo
ancora era misteriosa, evanescente, e la scopriva spesso a rivolgergli
occhiate
furtive e colpevoli, senza che fosse possibile cavarle una parola di
spiegazione.
E
in più,
c'erano quei turni, quei maledetti turni doppi che Oscar dava loro, che
era
obbligata a dar loro dalla necessità impellente di mantenere
sotto controllo
l'ordine pubblico, sempre più attanagliato da un fermento
che animava le fila
dei cittadini scontenti e scoraggiati.
Il
caldo
delle roventi giornate li inondava di sudore, il subdolo fresco della
notte li
raggelava, la fatica li fiaccava e toglieva loro ogni forza, ed ogni
volontà.
Quella
volta, gli era finalmente toccata una notte di licenza, e si era
affrettato a
tornare a casa da sua nonna, sperando di trovarvi anche una Oscar un
po'
malleabile, o per lo meno cordiale, con la quale passare, finalmente,
qualche
tranquillo momento davanti al camino, sebbene spento, a conversare di
libri e
futili amenità.
Mentre
lento saliva le scale che lo avrebbero portato alla sua stanza,
udì la sottile
voce della nonna che lo chiamava:
"André,
hanno recapitato una missiva per te, stamattina. L'ho messa sul tuo
letto.".
La
curiosità un po' stupita di quella novità
riuscì a fargli accellerare il passo,
fino a spalancare con poca grazia l'uscio della sua stanza, e
percorrere a
lunghe falde il breve tragitto fino al letto.
Lì,
come
preannunciato, giaceva una busta bianca, che anche da lontano emanava
un
fragrante profumo di magnolia. André la prese,
scrutò pensoso il suo nome
scritto come indirizzario, cercando di individuare il latore di quella
missiva.
Sconfitto dai pochi indizi, si sedette sul letto e si decise ad
aprirla, d'un
colpo solo, e ad estrarre il semplice cartoncino profumato che la busta
conteneva.
La
Signoria Vostra
è gentilmente invitata a prendere parte al prossimo Ballo in
Maschere presso il
Salone delle Feste di Palazzo Gautier, che avrà luogo il
prossimo 24 giugno.
Si
raccomanda
l'utilizzo della maschera onde evitare il riconoscimento di Vossignoria
da
parte di alcuno, nella piena attuazione dello spirito goliardico di
cotale
avvenimento.
Sotto
all'invito,
scritto in caratteri ricercati dalla mano di un probabile esperto
scrivano,
restavano, piccole ma non timide, alcune righe scritte da una mano ben
più
gentile e femminea:
Mio
Cavaliere,
avrei l'ardore di volerVi vedere presente
a codesto accadimento,
per poterVi offrire la mia tremante mano all'onore
di un ballo,
e realizzare
l'innocente desiderio di una Dama che anela al Vostro tocco ed al
Vostro
sorriso.
André
restò perplesso da tale missiva: chi mai avrebbe potuto
mandargli un simile messaggio,
a lui, anticamente frequentatore per dovere della Corte di Francia e
dei suoi
mondani eventi, ma ormai da un pezzo umile soldato dell'esercito?
E poi, con
quale tono allusivamente nascosto, si provava quella dama a chiedere un
ballo
con lui?
La sua
dignità di uomo, così spesso calpestata
dall'amore incondizionato che l'aveva
reso schiavo, si rinvigorì improvvisamente, riuscendo a
mettere a tacere le
innamorate voci che gli rammentavano del suo Bene più
prezioso, dell'Amore
della sua vita, di Colei… che mai si sarebbe rivolta a lui
con cotali parole.
A questo
rendersi conto, prese una turpe ed insensata decisione: sì,
per una volta nella
vita, avrebbe vissuto anche lui, sarebbe andato a quel ballo, con il
volto
coperto da una nera maschera, ed avrebbe scrutato fra le dame per
trovare colei
che così ardente invito gli aveva recapitato. E avrebbe
rimpinzato un po' il
suo orgoglio maschile, avrebbe ballato con lei, le avrebbe strappato
dolci
ridolini e tenui pudori ai suoi complimenti, l'avrebbe stretta fra le
braccia
volteggiando con lei o mostrandole i disegni delle stelle del cielo, e
poi…
E poi
sarebbe tornato alla sua esistenza di cane al guinzaglio, ove il cane
mai si
vorrebbe staccare dal suo guinzaglio, nella speranza si una carezza
della sua
padrona.
Né Oscar
avrebbe mai dovuto sapere di quella pazzia.
Alain
non riusciva proprio a capire il suo compagno di camerata. Da quando
era
tornato dalla licenza appariva distante, svanito, pensieroso, a volte
estatico,
e subito dopo precipitato nell’abisso di più
profonda sofferenza e melanconia.
Né erano valsi a qualsiasi cosa gli innumerevoli, a volte
subdoli, a volte
apertamente sfacciati, tentativi di cavargli qualche informazione dalla
bocca,
le sue labbra sembravano cucite a doppio filo.
Nei
momenti di estasi, lo vedeva perdere lo sguardo dell’unico
occhio buono verso
le infinità del cielo, e le labbra piegarsi, forse
involontariamente, in un
sorrisetto sardonico, che mai gli aveva veduto prima in volto.
Ma,
cosa ancor più bizzarra, André aveva, negli
ultimi giorni, diradato
radicalmente le sue visite, accidentali o procurate,
all’Ufficio del Capitano,
di quella fiera Amazzone bionda che, Alain lo sapeva ormai bene, da
anni gli
rubava il sonno e la vita. E questo era strano, decisamente strano, e
preoccupante.
La
parte goliardica di Alain andava ripetendogli che, forse, finalmente il
suo
compagno d’arme si era deciso ad aprire occhi e cuore, ed a
svincolarsi di
quella catena che non lo avrebbe portato a null’altro se non
sofferenza eterna.
La
parte razionale di Alain, così spesso messa in disparte
perché, sebbene
ragionevole, risultava discretamente noiosa allo stesso suo padrone,
ora
risvegliatasi urlava a gran voce che c’era davvero qualcosa
che non andava, e
di stare all’erta perché quel caro
“imbecille” innamorato avrebbe potuto
combinare disastri.
Ma,
in definitiva, con i turni massacranti di quel periodo, di tempo per
pensare, o
anche per agire, ne restava davvero poco…
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Capitolo 4 *** Capitolo 4 ***
Innanzitutto una
precisazione: non mi offendo assolutamente per le critiche, anzi,
ringrazio tutte coloro che con i loro commenti ed i loro pareri e
consigli mi stanno aiutando a migliorare nella scrittura di questo ed
altri lavori. Siete per me una fonte di ricchezza, non certo di offesa.
La trama comincia a dipanarsi, poco per volta. Anche se mi sto rendendo
conto di non essere io l'inventrice di tutto questo, perchè
sono i "miei" personaggi che costruiscono e narrano ognuno la propria
storia. A me non resta, povera pittrice di favole, che cercare
indegnamente di dipingere quel che vedo.
Grazie a tutte, e buon fine settimana.
CAPITOLO 4
Oscar non era
più tornata a casa, dopo la cavalcata fino
alla casa di Rosalie, anzi, Rosalie stessa aveva fatto il diavolo a
quattro
perché la “sua” Madamigella rimanesse a
condividere con lei e Bernard
l’abitazione, con la scusa di averla a
“disposizione” per tutto quel che
riguardava la preparazione della sua “apparizione”
al ballo in maschera. Aveva
tentato invano di convincere la cara ragazza ad accettare almeno
qualche soldo
per contribuire alle ovvie spese che il mantenimento di una persona in
più
comporta, ma si era scontrata con un muro inamovibile.
Oscar aveva dovuto
capitolare, a tanta insistenza e
resistenza di Rosalie, ed ultimamente le sembrava di arrendersi troppo
spesso,
rammollendosi forse. Ma, stranamente, tale cedevolezza non le dava il
tormento
dell’anima che si sarebbe aspettata di provare.
Il giorno, attendeva ai
suoi doveri massacranti di Capitano
impartendo duri ordini, soffrendo nel farlo rendendosi, forse per le
prime
volte, conto della fatica immane e scarsamente retribuita che chiedeva
ai
“suoi” uomini.
La sera, si trasformava in
plastilina nelle mani di Rosalie,
che, facendola camuffare sotto un anonimo mantello sì che
nessuno potesse
riconoscerla, sia per pace che per oltraggio, la trascinava implacabile
verso
questo o quel
negozio, spesso passando
dal retro, dove Oscar era costretta, o, meglio, SI era costretta a
provare
innumerevoli abiti di gala, uno più bello e più
rigidamente scomodo dell’altro,
uno che più dell’altro ricordava alla sua figura
riflessa la prepotente verità
dell’esser donna.
La terza sera di questo
impossibile castigo, mentre Rosalie
discuteva animatamente con la titolare dell’atelier che
insisteva assolutamente
nel voler far provare ad Oscar un vestito di quel famoso color
“pulce” di cui
tanto si era parlato a corte, alla vista del quale Oscar proprio non
riusciva a
smettere di arricciare il naso dal disgusto, girando lo sguardo sulle
vetrine
pur di non vedere ancora la pulce, Oscar fu come catturata, attirata
inspiegabilmente verso un manichino discosto, quasi nascosto, messo in
disparte.
Non era da lei, certo,
essere attirata da un abito, ma c’era
qualche cosa in quello che l’ipnotizzò e le
riportò alla mente un avvenimento
ben preciso, forse volontariamente dimenticato eppure mai completamente
rimosso
dalla sua mente.
Il vestito, dalle linee
semplici e morbide, era di un
irreale colore blu, di quel blu che solo alcune notti serene del cielo
d’estate
permettono di catturare, trapuntato di minuscoli cristalli di quarzo
bianco,
cristallo di rocca riconobbe subito Oscar, che iridescenti richiamavano
alla
mente l’immenso numero di stelle del cielo.
Oscar non si rese nemmeno
conto di essersi alzata di scatto
e mossa verso l’abito, né di averlo accarezzato
fino a che non sentì la
morbidezza del tessuto sotto le dita.
“Questo, non
altri”.
Invano la civettuola
Madame Girand tentò di farle cambiare
idea, proponendole una miriade di altri colorati pomposi infiocchettati
ridicoli abiti, Oscar tagliò corto con un semplice gesto
della mano, e guardò
Rosalie negli occhi, che le sorrise annuendo compiaciuta.
Quella sera, stesa ancora
vestita e con gli stivali nel
semplice lettuccio che amorevolmente Rosalie le aveva preparato, le
braccia
allungate con le mani dietro la nuca, Oscar guardava il soffitto senza
vederlo,
mentre le immagini prepotenti di quel ricordo prendevano vita.
Era stato un
giorno strano, quello.
Era
il giorno di Natale. Oscar compiva 10 anni, e quello
stesso giorno sua sorella, a soli 14 anni, si era sposata. In
virtù di quella
occasione, in compleanno di Oscar, seppur mai largamente celebrato, era
passato
completamente inosservato a tutti, sua madre compresa, troppo
indaffarata a
preparare e piangere per la sua figliola sposa.
L’unico
che l’aveva sorpresa, come sempre, era stato
André,
presentandosi appena
sorta l’alba, con
un regalo alquanto insolito: una intera nidiata di pulcini, nati quella
notte.
Era corso in camera di Oscar, spalancando la porta con un calcio, le
braccia
piene di pigolanti fuggitivi, urlando “Oscar, Oscar, buon
compleanno, guarda !
“ e le aveva scaricato i pulcini, dieci appunto, sul letto.
Oscar,
svegliata di soprassalto, aveva guardato prima i
pulcini che le rotolavano maldestramente sulle coperte, poi il viso
accaldato
ed in attesa di André, e si era lanciata in un abbraccio
stritolatore, così
poco consono ai rigidi insegnamenti di suo padre, e così
sincero e liberatorio,
che André non aveva potuto non ricambiare con i gesti un
po’ impacciati da
undicenne arrossito.
Terminata
la festa per il matrimonio della sorella, André
aveva trascinato Oscar, tutta impettita nella sua divisa della scuola
militare
e terribilmente irritata dal suo “mancato”
compleanno e dal non capire come una
quattordicenne potesse sposare un “vecchio” di
trent’anni, verso le scuderie.
Come
un mago che estrae il coniglio dal cappello, André
aveva fatto uscire dalle scuderie i loro cavalli preferiti,
perfettamente
sellati e pronti, l’aveva convinta a lasciare la divisa nella
stalla ed ad
indossare un caldo mantello, per poi partire al galoppo verso una
radura poco
distante.
Lasciati
i cavalli a pascolare la poca erba scampata al
rigore dell’inverno, sul ciglio del fiume, aveva steso una
coperta sul suolo, e
vi si era seduto, invitando Oscar a fare lo stesso. Quando si fu seduta, Oscar non
riuscì a trattenere
quella domanda che sin dall’inizio le bruciava sulla lingua:
“André, perché mi
hai portata qui?”
“E’
per darti il tuo regalo di compleanno, Oscar. Chiudi gli
occhi, e stenditi. Poi quando te lo dirò, aprili.”.
Stranamente
docile, forse anche per colpa di quel vino
rubato al ricevimento, Oscar obbedì al suo giovane amico.
“Apri
gli occhi, Oscar, quello che vedrai è il mio regalo
per te. Buon compleanno.”
Oscar
aprì le palpebre, e si sentì mancare il fiato.
Dinanzi
a lei, chiaro come mai lo aveva visto prima, stava
l’immensità del velluto blu
del cielo, trapuntato da milioni di diamanti scintillanti nella fredda
aria di
dicembre. La Via Lattea scorreva placida nel cielo come un nastro
incantato,
mentre André disegnava per Oscar nel cielo le figure
mitologiche che avevano
conosciuto noiosamente sui libri, Orione, Taurus, i Gemelli, le
Pleiadi, e le raccontava
le storie di quegli eroi con ardore amorevole.
Oscar
rapita non disse una parola, dimenticandosi fin di
respirare, mentre orgogliosamente tentava di cacciare indietro le
lacrime che
le pungevano gli occhi.
Si
mise seduta, con gli occhi ancora pieni di stelle, ed
interruppe il suo dolce favoliere che stava narrando la storia di
Cassiopea,
con una domanda: “André, tu pensi che io potrei
essere donna abbastanza, per
essere amata da un uomo?”.
André,
con il dito ancora puntato in aria, puntellato su un
gomito, la guardò negli occhi sofferenti con
un’espressione stupita. Come
poteva anche solo pensare di non essere abbastanza femmina da diventare
donna e
far innamorare qualcuno? Lui, nonostante la divisa della scuola
militare, le
spade e tutto il resto, non riusciva nemmeno a pensare a lei come
qualcosa di
diverso da una donna che stava sbocciando.
“Perché
me lo chiedi, Oscar? Come puoi avere un dubbio
simile?”
Oscar
lo guardò con il cuore dolorante. Da poco aveva dovuto
scontrarsi con l’ineluttabilità
dell’essere femmina deciso dalla natura, contro
la quale nemmeno la ferrea disciplina di suo padre poteva nulla, ed
aveva
assistito quel giorno allo spettacolo degli occhi scintillanti di gioia
e di
desiderio represso di sua sorella che guardava quel vegliardo di suo
marito,
ben sapendo cosa avrebbero poi fatto quella sera stessa, la guardava
mentre
felice si faceva baciare, e baciava…
“André,
mi daresti un bacio? Uno di quelli veri, da grande,
intendo.”
Si
era aspettata un orripilato rifiuto da parte dell’amico,
e si trovò invece accarezzata dolcemente dalla mano un
po’ tremante di
inesperienza ed emozione di André. Chiuse gli occhi, ed
attese qualcosa. Le
rispose una dolce tremula pressione, alquanto piacevole in
verità, sulle
labbra, durata qualche istante solo eppure così lungamente
sentita. Quando lui
le lasciò impacciato le labbra, avvertì come una
sensazione di solitudine e di
freddo.
“Com’è
stato?” le chiese imbarazzato André.
“Umido…”
rispose Oscar, che altro non avrebbe saputo
esprimere del tumulto interiore che le faceva battere forte il cuore,
quel
cuore che avrebbe presto imparato a far tacere.
Si
guardarono un istante negli occhi. Poi scoppiarono a
ridere, senza più riuscire a fermarsi.
|
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Capitolo 5 *** Capitolo 5 ***
Chiedo
venia del ritardo, l'ispirazione è a volte una bestia
volubile, che ti assale e non ti lascia tregua a volte, ed a volte si
rintana in un cantuccio della grotta più buia a sonnecchiare.
Ringrazio
chi ha avuto la bontà di commentare, e rendo una piccola
risposta ad una questione che mi è stata posta. Oscar non si
"crede" donna a 10 anni, si prefigura solamente come tale. E' pur vero,
comunque, che in quell'epoca era d'uso far sposare le ragazze molto
giovani, anche a 13/14 anni, e perciò suppongo che la
definizione allora data di "donna" potesse essere, a 10 anni, la stessa
che noi oggi applichiamo ai 16/17 anni.
Con
la frase "Da poco aveva dovuto scontrarsi con
l'ineluttabilità dell'essere femmina deciso dalla natura",
intendevo poi significare che Oscar era "diventata signorina" (come si
diceva ai miei tempi :) ) da poco, e che quell'evento, naturale e
perciò, appunto, inevitabile, nonostante l'educazione
maschile ricevuta, le aveva creato non pochi dubbi e domande,
abbastanza ovvie anche a quell'età, e, forse, soprattutto,
nella sua condizione.
Una volta di più, vi
ringrazio per l'attenzione e le edificanti critiche che mi ponete, vi
ringrazio perchè mi state davvero aiutando a crescere
(sebbene io non sia più, ormai - sigh - una giovincella...).
.
.
Il conte Hans Axel von Fersen uscì a passi
pesanti dalla
porta della servitù della reggia di Versailles.
Il suo cuore sembrava
fattosi di piombo, tanto era diventato
pesante. Vedere la regina, il suo Amore unico, e non poterla nemmeno
sfiorare
con gli occhi, dover misurare attentamente parole, gesti e sguardi per
non
allarmare alcuno dei troppo numerosi cicisbei che arrogantemente
attorniavano
la famiglia reale, e per non incorrere in parvenze di pettegolezzo che
sicuramente si sarebbero ingranditi sulle bocche sboccate di quelle
bisbetiche
che di blu avevano solo il vestito, e non certo il sangue nobile.
Lentamente, col capo chino
di chi ha troppi pensieri in
testa, si diresse verso la sua carrozza, resa anonima
dall’eliminazione di
sfarzi e stemmi, sia per non essere riconosciuto, sia
perché, di quei tempi,
era buona cosa evitare di farsi notare, attraversando Parigi, da
qualche
facinoroso contadino armato di forcone o, peggio, di moschetto.
Una voce trillante
attirò momentaneamente la sua attenzione,
facendogli volgere il capo verso la fonte di tanta allegrezza, e
concentrandosi
sulle parole che la dama, a cui apparteneva la voce, stava pronunciando.
“Oh,
sì, quest’anno ho proprio deciso di partecipare!
Sapete, mio marito è via per lavoro, e non
tornerà prima di un mese… di certo
non potrà venire a sapere nulla, di quel ballo, e
sicuramente nessuno potrà
riconoscermi, per via della maschera… Ho già
pronto un vestito che ho
conservato appositamente per l’occasione, non l’ho
mai messo qui a corte, così
che se dovessi trovarvi qualche gentiluomo che frequenta il nostro
entourage,
potrei civettare senza che egli mi riconoscesse…
Sarà divertente, anche se non
è stato affatto facile procurarsi gli
inviti…”
“Quando hai
detto che avrà luogo?” ribatté
l’altra dama, che
stava letteralmente pendendo dalle labbra dell’amica,
sbavando figuratamente
per il desiderio di poter essere al suo posto.
“La sera di San
Giovanni, il 24. Oh, cara, non hai idea di
come sia in fibrillazione… non sia mai detto che, fra tutti
i baldi giovani che
mi hanno detto prendono solitamente parte al ballo, non ve ne sia
qualcuno con
il quale approfondire la conoscenza, se capisci ciò che
intendo…”
E così facendo,
riprese a ridere, peraltro alquanto
sguaiatamente, mentre Fersen, nauseato da tanta sfacciata lussuria ed
infedeltà, scuotendo la testa salì sulla carrozza.
Ma, durante il tragitto,
le parole della dama gli
martellavano incessantemente la testa, e non riusciva a venirne a capo,
né a
dimenticarle. Il Ballo in maschera, lo stesso al quale aveva incontrato
per la
prima volta la “sua” Regina, la sera in cui se ne
era innamorato perdutamente.
Chissà come sarebbe stato, prendere di nuovo parte a quella
serata… gli avrebbe
sollevato lo spirito, o lo avrebbe affossato completamente?
§
§
§
Alain osservava perplesso
il suo amico, suo fratello ormai,
André, che, in completa uniforme, percorreva a lunghi passi
la camerata, le
mani dietro la schiena, le spalle inclinate in avanti, lo sguardo fisso
a
terra, la bocca serrata in una piega indecisa.
Decise di lasciar perdere,
tentare di capire André equivaleva
a farsi venire un gran bel mal di testa, e di certo in quel momento non
ne
aveva alcuna voglia.
Si lasciò
nuovamente andare con la testa sul cuscino del suo
giaciglio, con ancora gli stivali ai piedi, il colletto
dell’uniforme scompostamente
slacciato, gli
occhi chiusi e l’ennesima
sigaretta, ancora spenta, fra le labbra increspata di un sorrisetto
sardonico.
Avrebbe atteso che “sua Maestà”
André si decidesse di metterlo a conoscenza dei
suoi pensieri. Sempre che ne avesse avuto voglia. Ma non era importante.
André
continuò a lungo il suo pellegrinaggio andata/ritorno
per le fredde pietre del pavimento consunto, fino a che si
fermò di colpo,
volse appena il capo verso Alain, per un laconico messaggio:
“Ho da fare, ci
vediamo dopo”.
E uscì come una
furia, mentre le labbra di Alain, gli occhi
sempre chiusi, si curvavano in un divertito sorriso.
|
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Capitolo 6 *** Capitolo 6 ***
Eccomi
di nuovo... o troppo o niente, lo so, ma non so se la prossima
settimana riuscirò ad aggiornare, quindi lo faccio ora.
Spero di non deludere nessun
lettore. Da questo momento in poi i "miei" personaggi
dimostreranno forse un po' troppo di quel che hanno dentro, ma
tant'è, io mi limito a descrivere ciò che loro mi
dimostrano... Buona lettura.
.
.
.
Oscar era tesa, troppo
tesa.
Era il pomeriggio del 24
giugno, ed ancora André non s’era
visto.
Non sapeva se rallegrarsi
o meno della mancata richiesta di
licenza da parte del suo attendente, che sarebbe stato di ronda quella
sera, ma
ancora di più si sentiva derubata di qualcosa, data la
freddezza di André degli
ultimi giorni, ed il diradarsi delle sue visite, lui, che fino a
qualche tempo
prima trovava ogni scusa, plausibile o non, per recarsi a rapporto dal
suo
Capitano.
Immersa in questi
pensieri, la mano stretta intorno ad una
penna che non avrebbe mai finito di compilare quel noioso rapporto,
trasalì
fortemente quando udì bussare alla porta.
Con il cuore che
minacciava di fuoriuscire dal petto, prese
un profondo respiro a tentare di dare, almeno alla voce, una parvenza
di
normalità, e, da perfetto Capitano, rispose con un secco e
potente “Avanti!”.
La porta si
aprì piano, troppo piano, ma Oscar si rese a
malapena conto di aver cominciato a versare stille di sudore freddo
mentre
fissava, troppo fissamente, la porta.
Il povero cuore impazzito
del bel Capitano ebbe un piccolo
collasso di delusione, quando vide poi spuntare la sagoma baffuta del
Generale
Bouillet, ma tant’era, ed Oscar si rassegnò
all’ennesima finzione di calma di
quei giorni.
§
André procedeva
a passo incerto, titubante, per il lungo
corridoio rabbuiato che portava all’ufficio del Comandante.
Giunse infine davanti alla
pesante porta di legno dai
possenti cardini di ferro, inalò e rilasciò
quanta più aria gli fosse
possibile, ed alzò la mano chiusa a pugno per bussare alla
porta ed
annunciarsi.
Un istante prima di
colpire il duro legno, avvertì le
concitate voci della sua amata e di un timbro maschile che riconobbe
come
quello del Generale Bouillet, e si fermò, immobile come una
statua di sale,
mentre i mille pensieri che fino ad un attimo prima era riuscito a
tenere a
bada si riversarono iracondi nella sua testa, aggredendo anche il cuore.
Si appoggiò
sfiancato al muro opposto, incapace di fermare
il turbinio dei pensieri, tentando almeno di mettervi un po’
di ordine, di
tentare di capire se stesso.
Stava per andare a
chiedere ad Oscar, la SUA Oscar, una
licenza per quella sera, per partecipare al Ballo in Maschera.
Stava per andare a
chiedere ad Oscar un permesso per
“tradirla”, per incontrare altre donne, come
sicuramente sarebbe accaduto, e
forse qualcuna si sarebbe anche fatta avanti con delle avances.
Oscar era tutto il suo
mondo, la sua luce abbagliante, le
sue tenebre avvolgenti e sicure, il suo caldo rifugio nel freddo
inverno.
Oscar era tutto quel che
avrebbe voluto avere, ma non gli
dava nulla, solo freddo pungente e pungenti risposte.
Viveva per Oscar, non
sapeva fare a meno di lei.
Oscar, sembrava, sapeva
fare maledettamente bene senza di
lui.
Avrebbe voluto stringere
Oscar fra le braccia, scaldarla con
il calore del suo corpo, carezzare ogni centimetro di pelle, assaporare
quelle
sue labbra che sapevano di fragola e ciliegia, marcare con la sua
presenza ogni
sua intima fibra. Ma a lei, tutto questo probabilmente non interessava.
Avrebbe potuto danzare,
quella sera, stringendo a se
femminei e seducenti corpi di celati visi e sconosciute donne, che si
sarebbero
beate del tocco forte e gentile della sua grande mano, e del calore
cocente del
suo corpo danzante. A loro, tutto questo sarebbe probabilmente
interessato, e
molto, e fino in fondo.
Cuore e cervello
duellavano in una lotta pari, in cui
sembrava che alcuno avesse la meglio sull’altro.
§
André
balzò dritto in piedi, rigido e con il braccio alla
tempia, immobilizzato nel formale saluto che si deve ad un superiore,
quando il
Generale Bouillet, decisamente rabbuiato e con un diavolo per capello e
per
baffo, uscì furiosamente dall’Ufficio del
Capitano, lasciando la porta appena
accostata.
Oscar, che non aveva
alzato minimamente gli occhi all’uscita
vigorosa del suo superiore, levò le orbite invece come
invogliata da una
soprannaturale forza, appena in tempo per intravvedere una sagoma dai
capelli
corvini che salutava militarmente il Generale, prima che la pesante
porta si
socchiudesse del tutto.
Il cuore di lei, che si
era di malavoglia calmato nonostante
il battibecco con il Generale, riprese a galoppare come un cavallo al
quale sia
stata negata troppe volte la libertà, e che quando la
riconquista, vola sulle
ali del vento ad aspirare forte l’odore di indipendenza.
Oscar si alzò
lentamente, attendendo il momento in cui André
avrebbe bussato per entrare, si avvicinò alla porta
perché fosse più vicino una
volta entrato, ed attese, gli attimi divenuti secoli.
§
André, la mano
ancora fissa nel saluto, volse l’iride color
smeraldo al pertugio lasciato dalla porta, intravvedendo
l’oggetto di ogni sua
più grande passione e di ogni sua più cocente
rabbia.
I biondi capelli della sua
amazzone cadevano dal capo fin
sulla scrivania, mentr’ella era intenta a scrivere, la mano
avvolta
elegantemente attorno alla fortunata penna, al posto della quale
avrebbe voluto
egoisticamente essere.
Rilasciò i
muscoli contratti, e si avvicinò nuovamente alla
porta, mentre il duello interno riprendeva, più focoso
ancora che prima, e lo
costrinse ad appoggiarsi, schiena al duro legno, al battente chiuso, la
testa
riversa in alto in angosciata indecisione.
§
Oscar fremette, confusa.
Perché non bussava? Perché non
entrava? Cosa stava facendo, André, lì fuori?
Raggiunse il battente
chiuso ed appoggiò la fronte sconfitta
al freddo legname, gli occhi chiusi ed il respiro un poco affannato.
Trattenne il respiro e
spalancò gli occhi, quando udì che,
dall’altra parte del battente, un respiro altrettanto
frammentato ed affannato
sembrava fare eco al suo.
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Capitolo 7 *** Capitolo 7 ***
Ordunque...
potrei cominciare ringraziando le affezionate lettrici e commentatrici
che mi indicano costantemente la via come un faro fa da guida nella
buia notte. Apprezzo molto i vostri commenti che mi aiutano a dare il
massimo e mantenere un livello perlomeno costante.
Poi...
ci sono dei momenti in cui proprio non c'è la voglia di
mettere mano ai tasti, ed altri in cui la voglia di scrivere e
comunicare non lascia spazio ad altri pensieri, ad altre
attività, siano esse durante il giorno... o nel cuore della
notte.
Infine, ci sono situazioni che
si costruiscono, che si dipingono da sole, e a me, povera scrivana, non
resta mettere mano a pennello e tavolozza. Buona lettura.
.
.
.
Alain si alzò
di scatto dalla branda, sorprendendo i suoi
commilitoni intenti a giocare a carte, tanto che uno di essi
ruzzolò dalla
sedia fino a toccare il pavimento, guardandosi però bene dal
pronunciare un
qualsivoglia insulto contro il suo “capo”.
La sigaretta ancora spenta
in bocca, si diresse deciso verso
l’ufficio del Comandante. Se André era
così conciato, di sicuro non avrebbe
ancora trovato il coraggio di fare nulla, qualunque fosse la cosa da
fare.
E difatti lo
trovò lì, con la schiena appoggiata alla porta
ed il respiro ansante come di uno che aneli all’ossigeno dopo
esser quasi
affogato. Per la prima volta, ebbe compassione del suo amico innamorato.
Gli si parò
davanti, e, con il piglio di chi non ammette
obiezioni, lo prese per un braccio con una morsa implacabile, e
bussò
pesantemente alla porta.
*
*
*
Oscar
trasalì
all’improvviso rumore, si riscosse da quell’apatia
che l’aveva colta, e rapida
riprese il cipiglio che il suo grado le imponeva.
“Avanti”,
disse, forte, chiaro, duro, senza alcun tremore,
per fortuna, nella voce.
“Salve
Capitano” disse Alain entrando baldanzoso
nell’ufficio, trascinando con sé un riluttante
André.
Oscar, le mani dietro la
schiena, le spalle dritte, soffocò
quel piccolo moto di sorpresa e rispose al suo soldato.
“Buongiorno,
Alain, André. Cosa succede?”
“Beh, no, niente
di particolare, Capitano… Volevamo solo
chiederle se poteva concederci una licenza, per questa sera. Vede, la
situazione sembra tranquilla, e la ronda sarebbe comunque
coperta”.
Lo sguardo perplesso di
Oscar saettò dal volto sardonico di
Alain a quello di André, che sfuggiva il confronto e
sembrava non avere il
coraggio di guardarla negli occhi.
“Sei sicuro,
Alain? Chi altro c’è di ronda, stasera? Avete
intenzione di farvi il giro delle bettole della zona, vero?”
“Sa, Capitano,
gli uomini a volte hanno dei bisogni
impellenti da soddisfare, non so se mi spiego… Comunque
stasera ci sono Lasalle
ed altri tre, se la caveranno tranquillamente”
Oscar strinse serratamente
le labbra, la mente in rapido
lavoro. Bisogni impellenti? Se si spiega? Non so con chi crede di avere
a che
fare, ma, accidenti a me, so ben io quali impellenti bisogni hanno gli
uomini
come Alain. Ma André? Anche lui, il mio André, ha
intenzione di vagare per le
bettole in cerca di un corpo caldo ed accondiscendente? Ma se non gli
concedo
la licenza, qualunque minima speranza di attuare il mio infantile, lo
so, gioco
di questa sera va a sfumare. E se fosse tutta una scena per non dirmi
di
stasera?
“Va bene, Alain,
avete avuto un periodo pesante, credo di
potervi concedere una serata di svago. Ma che non succeda
più che veniate a
chiederla con un tale breve preavviso, e, soprattutto, vedi di
allacciare
quell’uniforme !”.
Oscar firmò
rapidamente due fogli di congedo e li porse ad
Alain, visto che André sembrava non avere altra aspirazione
che tramutarsi in
un pezzo di tappezzeria per muro.
Alain alzò la
mano in uno sghembo saluto militare, scoccando
nel contempo un occhiolino alla stupita Oscar, e se ne uscì.
André
alzò per un istante gli occhi ad incontrare quelli di
Oscar, leggendovi… Cosa? Delusione? Ansia? Paura?
Aspettativa? Stupore?
Perplessità? Gli sembravano così lontani, i
giorni in cui riusciva a leggere
nell’animo di Oscar come in un libro aperto. Sostenne per un
attimo ancora il
suo sguardo, accennò un breve sorriso ed uscì,
lasciando Oscar ai suoi confusi
pensieri.
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Capitolo 8 *** Capitolo 8 ***
Devo
ammetterlo, il dubbio si sta insinuando in me... Quale dubbio? Quello
di essere sulla buona strada per diventare un po' crudele...
La verità
è che adoro centellinare i capitoli, perchè ho la
presunzione di credere che così si gustino un po' meglio, e
che quella pausa fra una pubblicazione e l'altra stimoli terribilmente
la fantasia di un lettore, a tentare di indovinare cosa
avverrà nel capitolo successivo.
E, poi, Lady Oscar
docet, no? Sia nell'anime che nel manga (che per inciso mi sono riletta
completamente prima di imbarcarmi in questa avventura) si finiva sempre
sul più bello. E chi sono io per fare diversamente? Buona
lettura.
*
*
*
Rosalie sembrava
elettrizzata, indiavolata, arrabbiata, ed
emozionata allo stesso tempo, mentre Oscar si chiedeva come potessero
coesistere così tante emozioni in una stessa persona ed in
uno stesso istante,
e contemporaneamente si rendeva conto di essere lei stessa vittima di
un
turbine inestricabile di intense e contrastanti emozioni.
“Madamigella,
ora basta, avete preso un impegno ed ora lo
dovete portare a termine. Me lo avete insegnato voi, dopotutto, gli
impegni
vanno rispettati, siano essi un duello… o un ballo
!”.
Oscar gemette
silenziosamente quando Rosalie le strinse i
lacci del corsetto intorno al busto. Per la seconda volta nella sua
vita, si
stava volontariamente sottoponendo a quella immane tortura per colpa, o
merito,
di un uomo, ma non dello stesso.
Improvvisamente, un dubbio
le balzò alla mente.
“Rosalie”
- disse, quasi urlando, con il poco fiato che il
corsetto le permetteva – “come faccio, a non farmi
riconoscere? Con questi
capelli sarò fin troppo riconoscibile da André,
seppur vestendo una maschera!”.
Rosalie lasciò
momentaneamente la tortura intrapresa, guardò
Madamigella Oscar con occhi brillanti e furbi, e si avvicinò
furtiva ad una
scatola tonda di cui Oscar non aveva notato l’esistenza, la
aprì, vi infilò le
mani e delicatamente sollevò una massa nera e morbida, che
Oscar d’impulso e
con ribrezzo classificò come la pelliccia di un gatto, ma
che si rivelò essere
una splendida parrucca.
“Madamigella,
con questa sul capo sfiderei anche vostra
madre a riconoscervi!” esclamò raggiante.
Oscar,dopo un attimo di
immobilità, scoppiò a ridere, quella
ragazza ne sapeva veramente una più del diavolo, ma la sua
risata fu interrotta
a metà dalla sadica Rosalie che le strinse ulteriormente il
corpetto.
Ci volle ancora
un’ora buona prima che Oscar potesse
dichiararsi pronta. Dopo il corsetto,era stata la volta della
sottoveste, e
delle calze, dell’abito, che scivolò sulla pelle
di Oscar procurandole un
piacevole quanto inaspettato brivido, delle scarpe dai tacchi sempre
troppo
alti, del trucco, pensato da Rosalie in modo da illuminare i suoi
già luminosi
occhi, ma dando loro un’aura di mistero, della parrucca, che
imprigionò i
biondi boccoli in una ferrea stretta, dei gioielli, ed infine della
maschera,
dello stesso notturno colore dell’abito.
Rosalie si
allontanò da Oscar per rimirare il suo
capolavoro. Oscar, dal canto suo, con tutto il suo coraggio dimostrato
in
battaglia non riusciva ora a trovarne per girarsi verso
l’implacabile specchio.
“Su,
Madamigella, voltatevi, siete un’apparizione.”.
Oscar si voltò
lentamente, per scoprire che l’immagine che
lo specchio le rimandava sembrava invero appartenere ad una splendida
dama dai
capelli corvini, gli occhi da gatta, e le labbra colore delle ciliegie
mature.
Ancor più della
prima volta, si chiese chi fosse colei che
vedeva nello specchio, ritenendo impossibile che il suo corpo le
permettesse di
risultare, almeno alla vista, così femminile.
“L’ultimo
tocco, Madamigella, e sarà pronta. La carrozza è
già qui fuori che la aspetta. E, mi raccomando, se non vuole
essere scoperta
non parli con André, la riconoscerebbe immediatamente dalla
voce.”
E così dicendo
le spruzzò addosso una nuvola di profumo.
Magnolia.
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Capitolo 9 *** Capitolo 9 ***
Rieccomi...
promesso, cercherò di allungare i capitoli, ma non assicuro
nulla...
Grazie a tutte per i preziosi
consigli...
*
*
*
André
titubò un momento davanti all’entrata del Palazzo
ove
si sarebbe tenuto il Ballo, attinse con forza all’aria per
riempire i polmoni,
sperando di guadagnarne anche in coraggio e risolutezza,
controllò per
l’ennesima volta che la maschera gli celasse i lineamenti, e
si decise a
varcare la lussuosa soglia, invito alla mano.
Lo accolse un
lacchè stanco che gli rivolse un sorriso di
riverenza, controllò velocemente l’invito e gli
chiese di lasciare il mantello
prima di inoltrarsi nel salone da ballo.
André si
sentiva strano, come se non fosse lui quello che
stava per partecipare a quell’avvenimento. Dopotutto, aveva
sempre preso parte
a balli e ritrovi a Versailles, è vero, ma come semplice
attendente, mai
celebrato né riverito come era appena accaduto.
Fantasticò un istante su come
sarebbe stata la sua vita se avesse avuto uno straccio di titolo
nobiliare,
anche solo il più umile, a come avrebbe potuto trattare ed
essere trattato da
Oscar come suo pari… ma in verità questo
già accadeva… a come avrebbe potuto
esporsi alla luce del sole con il suo amore per quella donna, e magari
essere
accettato da suo padre, e da lei, come legittimo sposo…
Magari, in quel
momento, avrebbero potuto essere ad Arras, a vivere tranquilli in una
piccola
residenza, magari con qualche piccola copia sua o di Oscar a giocare
per il
giardino, magari…
Si riscosse
improvvisamente all’udire la risatina, peraltro
abbastanza irritante, notò, di una ragazzetta atteggiata a
gran dama che con il
ventaglio davanti al volto faceva finta di celare il proprio interesse
per lui.
Si guardò
intorno, come risvegliatosi da un sogno,e si rese
conto con un certo sgomento di essere divenuto centro di attenzione e
di raccolta
di una piccola miriade di personaggi femminili, alcuni chiaramente
giovanissimi, altri spudoratamente in là con gli anni, che
si pavoneggiavano
come… oche – altrimenti non avrebbe davvero potuto
definirle – per attirare la
sua attenzione ed accaparrarsi, chi sa mai, un ballo, o qualcosa di
più.
André
scoppiò a ridere della situazione decisamente comica,
almeno dal suo punto di vista. Era venuto, certo eppure incerto,
voglioso
eppure di controvoglia, per scoprire chi fosse la misteriosa mittente
del profumato
invito, e si ritrovava attorniato da una schiera di gatte in calore che
non
facevano certo mistero nel proporre le proprie grazie, quando invece
della
misteriosa non v’era ombra, o almeno così
sembrava. André era infatti sicuro,
per una sorta di sesto senso tutto maschile, che ella non si sarebbe
mai
mischiata con tale spudorata bolgia.
Improvvisamente,
però, si rese anche conto che non aveva la
benché minima idea di come avrebbe fatto a riconoscerla.
Dopotutto, essa non
aveva scritto nulla a riguardo nel suo accorato appello
sull’invito, ma si rese
certo che, al fine, la cacciatrice sarebbe stata perfettamente in grado
di
cacciare la sua preda; a lui restava soltanto il compito di attendere e
di non
farsi dilaniare troppo presto da altre predatrici che non fossero la
“sua”.
“Oscar…”
Una figura bionda, alta e slanciata attirò la sua
attenzione, riempiendogli di speranza il cuore, per poi spaccarglielo a
piccoli
pezzi quando la figura si fu voltata a rivelare solo una fugace
somiglianza con
la sua amata.
“Certo che ne
vengono in mente davvero di belle… Sono un
povero illuso, a sperare che Oscar possa essere la dama che mi ha
invitato al
ballo, eppure mi sono crogiolato per giorni nella speranza…
Ora basta,
dopotutto non sto facendo nulla di male, se non tentare di vivere
anch’io
almeno per una sera. Devo smetterla con questi sensi di colpa,
devo… devo
andarmene di qui, non ce la faccio…”.
*
*
*
Il Conte Hans Axel von
Fersen si aggirava, mani dietro alla
schiena, per il grande salone in cui l’orchestra aveva
già cominciato a
suonare, e molte coppie già si avvicendavano in un, noioso,
minuetto.
Per evitare problemi e
contestazioni, aveva deciso anch’egli
di indossare una maschera che lo rendesse maggiormente irriconoscibile,
e
girovagava svogliato, con la vaga curiosità di tentare di
riconoscere la
sguaiata dama udita a Versailles, per vedere come veramente si sarebbe
comportata.
Avvertiva come lontane le
voci sussurrate e le risatine di
apprezzamento che alcune mascherine gli rivolgevano, ma non se ne
curava, troppo
abituato a udire tutto e non sentire niente.
Vide, sullo sfondo, vicino
alla porta di ingresso al salone,
un giovane alto dagli indomabili capelli scuri attorniato da un folto
gruppo di
dame vogliose, e si ritrovò suo malgrado a sorridere del
povero malcapitato,
assediato tanto da non riuscire quasi a muovere un passo. Per un
momento gli
ricordò l’attendente del suo amico Oscar, ma si
ritrovò a pensare che André mai
avrebbe preso parte ad un simile ballo, e sicuramente mai senza Oscar.
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Capitolo 10 *** 10 ***
Dopo due anni di silenzio, torno
a pubblicare questo esperimento. Un "blocco dello scrittore"
lunghissimo, costellato di accadimenti e problemi. Ora, forse,
c'è un po' di luce. Grazie a chi vorrà ritentare
l'avventura di leggere quanto una povera scrivana inventa.
La
piccola folla di uomini e donne
intente a parlottare più o meno animatamente, a lanciarsi
velati o
molto poco velati segnali equivoci, si zittì
d’improvviso e si
fendette come suddivisa da una lama di coltello, a lasciar passare
una figura alta, elegante, dalle movenze feline ed austere, fasciata
in un abito color della notte, notte che le risplendeva anche fra i
corvini capelli intarsiati di piccoli diamanti.
La
donna, reprimendo un piccolo brivido
di ansietà, procedette apparentemente calma e pacata fra le
ali di
curiosi, verso il centro del salone, volgendo qua e là gli
occhi da
gatta a misurare spazio e persone presenti alla festa. Più
di una
volta un ardito cavaliere le si parò davanti a chiedere la
possibilità e l’onore di un ballo, più
di una volta la dama lo
congedò senza necessità di parole, ma con un
solo, elegante,
imperioso eppur delicato gesto, continuando ad incedere.
Fersen,
dalla sua discreta posizione a
fianco di una colonna, volse lo sguardo all’agitazione che si
stava
venendo a creare nella sala, temendo moti di insurrezione , per
trovarsi incatenato con lo sguardo alla dama più bella che
egli
avesse mai visto, pari forse solo alla sua Regina, ma con una
risolutezza ed una compostezza diversa, più armonicamente
rigida e
sicura.
Non
si accorse nemmeno che i suoi piedi
ed il suo corpo si erano mossi, staccandosi dalla colonna, per
dirigersi verso colei che gli aveva catturato i sensi.
Oscar
si costrinse a continuare ad
avanzare, lentamente eppure risolutamente, attenta a non inciampare
nell’abito oppure a cadere dai tacchi, maledicendosi
continuamente
per il proprio sventato narcisismo, eppur beandosi, seppure mai
l’avrebbe ammesso, per lo stupore, l’ammirazione e,
anche, la
lussuria che leggeva negli sguardi degli uomini presenti, e la
malcelata velenosa invidia delle dame.
Vide
una figura staccarsi subìta da
una colonna dalla quale l’aveva osservata, per poi dirigersi
verso
di lei. Con sgomento si rese conto che l’uomo che la stava
inesorabilmente raggiungendo altri non era che colui che
l’aveva
motivata, la prima volta, a vestirsi da donna, colui che le aveva
ignaro strappato e lacerato il cuore anni prima, colui che avrebbe
dovuto essere l’ultima persona presente a quel ballo.
Ancora
più sgomenta si rese conto che
non avrebbe potuto né evitarlo, né tantomeno
congedarlo con un
gesto come il cicisbeo di poco prima, e si rassegnò a
mantenere la
parte, almeno per quanto possibile, pregandolo di “reggerle
il
gioco” nel caso l’avesse scoperta.
La
dama si fermò quasi al centro del
salone in cui l’orchestra aveva interrotto di suonare,
abbagliata
anch’essa dall’eterea apparizione. Fersen, senza
fretta ma senza
indugio, raggiunse la strabiliante figura, le fece un profondo
inchino, le tese galante la mano e, ad un cenno di assenso di lei, le
prese le dolci dita e fece un cenno ai musici perché
ricominciassero
la loro opera, fra la generale invidia dei presenti.
Oscar,
leggermente tremante, si lasciò
prendere la mano, e condurre da Fersen in un primo ballo, un minuetto
ancora. Il cuore le batteva forte nel petto ma, si rese conto
stupita, non per l’emozione di essere nuovamente fra le
braccia del
suo primo amore mai corrisposto, ma per il terrore di essere da lui
riconosciuta e smascherata.
Fersen
scrutò con attenzione la dama
che gli aveva concesso l’onore del ballo. Era splendida,
aggraziata, eppure forte, dai profondi occhi azzurri e dalle labbra
piene e rosse. Si chiede come sarebbe stato assaggiare quelle labbra,
che minacciavano meraviglie. C’era in lei qualche cosa di
misterioso, eppur di noto, di conosciuto, di familiare, ma non
riusciva a capire che cosa. Continuò a guardarla fissa negli
occhi,
senza dire una parola nel timore di farla scappare, e si sorprese del
fatto che, a differenza di qualsiasi altra donna mai incontrata
prima, ella sosteneva il suo sguardo, fiera, sicura, come se non
avesse mai fatto altro in tutta la sua vita, come…
Oscar…
Si
bloccò un attimo, fermandosi nel
compimento del ballo, la mano della dama ancora fra le sue, per
guardarla fissamente, in profondità. Avvertì un
fremito nella mano
di lei, che lo fissava a sua volta quasi a volergli trasmettere un
muto messaggio. Ed egli capì.
Oscar
continuò a darsi mentalmente
della stupida. La sua ferrea educazione le imponeva di non abbassare
mai lo sguardo per prima, ma si rendeva anche conto del rischio che
tale atteggiamento le sarebbe valso, se Fersen l’avesse
riconosciuta.
Poi,
lui si bloccò, come divenuto una
statua di sale in mezzo al salone, le strinse maggiormente la mano
fra le sue, la scrutò fino in fondo all’anima, e
fece quel che lei
mai si sarebbe sognata. Le sorrise.
“E’
per André, vero, madamigella?
È anche lui qui, l’ho notato prima attorniato da
donne, ma mi ero
convinto che non potesse essere lui, soprattutto perché era
senza di
voi.”
Oscar
abbassò il capo in un muto
assenso, lasciando che fosse Fersen a disegnare il quadro completo
che ella aveva per così tanto tempo negato a se stessa.
“Devo
ammettere che la parrucca mi ha
tratto in inganno, dapprima, ma purtroppo per voi quegli occhi che vi
ritrovate sono peggio di un faro nella notte, per chi vi conosce bene
come me… e come André. Non temete, questa volta
non rovinerò il
tutto, anzi, se me lo concedete vorrei reggervi il gioco, e se
possibile aiutarvi. Di sicuro dovete essere molto decisa, o molto
disperata, per prendere una decisione come questa, anche se
personalmente propendo per il “decisa””.
Oscar
sorrise a labbra tirate,
leggermente più tranquilla, e trasognata di aver trovato in
LUI un
insperato complice.
“Ora
vi lascerò andare da lui, ma,
se me lo permetterete, potrò poi intervenire a far
ingelosire un
poco il vostro André, che ne dite?”
Oscar
sorrise, questa volta
apertamente, e lasciò che il Conte interpretasse il suo
sorriso come
un consenso.
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Capitolo 11 *** 11 ***
Ringrazio
tutti coloro che hanno
voluto lasciarmi un messaggio, e ringrazio ancor più per
l'incoraggiamento! Non pensavo che la storia fosse stata notata,
all'inizio della pubblicazione, né che potesse
“mancare” a
qualcuno... Grazie, davvero. Spero di non deludervi.
Capitolo
corto... un po' di
suspense...
André,
che da ormai parecchi minuti
stava affannosamente tentando di sfuggire al branco di dame in preda
ai bollenti spiriti, approfittò felinamente di un varco tra
le
figure che lo attorniavano, mormorò qualche rapida parola di
scusa e
di commiato, e si allontanò a larghe falde dirigendosi verso
la
finestra aperta verso il balcone, anelando a quell’aria che
in
quegli ultimi minuti sembrava essergli mancata.
Sfiorò
appena alcune coppie di
ballerini impegnati sulle note dell’ennesimo minuetto
– “Ma
sanno suonare solo quello?” si chiese – e
girò le spalle alla
folla, allungando la mano per aprire la vetrata.
Un refolo
d’aria gli scompigliò
appena i capelli, e gli portò un profumo ameno che lo
immobilizzò,
la mano ancora appoggiata allo stipite: magnolia.
Si volse
lentamente, col cuore che
cominciava, suo malgrado, a galoppare, mentre un nodo alla gola gli
impediva anche solo di deglutire.
“Ma
che succede? Sembro un ragazzino
al suo primo appuntamento…”
Seguì
con gli occhi la scia di profumo
che le sue nari avvertivano, e la vide.
O, meglio, vide
una miriade di dame
impegnate nei passi del ballo, ma seppe immediatamente,
istintivamente, chi fosse colei che gli aveva accelerato il battito
con la sua sola fragranza.
La dama dai
capelli corvini si librava
leggera fra le braccia di un cavaliere dai capelli scuri, danzando
senza quasi sfiorare il pavimento, con le movenze fluide di una
pantera e la leggiadria di una ninfa.
L’abito
blu sembrava trapuntato di
stelle, richiamando nella mente e nel cuore di André echi di
lontane
memorie, di teneri momenti che sembravano dimenticati.
Il volto
cesellato era parzialmente
celato da una maschera in tinta con l’abito, i serici capelli
raccolti morbidamente sul capo invitavano al tocco.
Un’orda
di famelici avventori si
spostava comicamente quasi inseguendo la coppia, nella speranza di
potersi accaparrare l’onore di un ballo con quella
divinità scesa
in terra.
André
si mosse, senza che la sua mente
potesse formulare un qualsiasi coerente pensiero, e si diresse a
passi decisi verso il cavaliere, incurante degli sguardi di fuoco
degli uomini in attesa, e degli sguardi infuocati delle dame
ammaliate, toccò leggermente la spalla del cavaliere
danzante, e gli
si inchinò brevemente innanzi a chiedere il permesso. Il
cavaliere
lo squadrò, guardò la sua dama a cercare un cenno
d’assenso, e
cedette la mano della donna ad André, mentre la sala intera
sembrava
essersi fermata con il fiato sospeso a rimirare la scena, in cui tre
divinità sembravano scese fra i semplici mortali.
André
accolse la piccola bianca mano
fra le sue, ammirandone le fattezze delicate, proseguì con
lo
sguardo sulle nude braccia affusolate, fino a giungere al viso di
lei, cercandone gli occhi, solo per scoprire che la dama, forse per
troppo pudore, li teneva insistentemente abbassati.
Sorrise fra
sé e sé, mentre leggero
avvolgeva la vita di lei con l’altro braccio, lasciandosi
avvolgere
dal profumo delle magnolie in fiore che emanava dalla pelle della
dama, e cominciò a muoversi sulle note di - finalmente
qualcosa di
diverso – un valzer.
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Capitolo 12 *** 12 ***
Oscar non
riusciva più a ragionare. Il
cuore stava per uscirle direttamente dalla gola, le membra tremavano
come in preda a spasmi, l’ossigeno che le arrivava ai polmoni
sembrava sempre troppo poco, ed un incredibile quanto nuovo rossore
le saliva prepotentemente alle guance, imporporandole.
André
continuava a fissarla, a
studiarla, non lasciandole la possibilità di alzare lo
sguardo ad
ammirarlo, timorosa di farsi riconoscere.
-
Ho molto
apprezzato il suo invito, madamigella, sebbene mi sia giunto un
po’ inconsueto… posso avere l’ardire di
conoscere il vostro nome, e di sapere come mai abbiate invitato proprio
me?
Oscar non
riuscì a reprimere un
sorriso, continuando tuttavia a non alzare gli occhi, lasciando
André
nella curiosità.
Non ottenendo
risposta, se non un
fugace sorriso, André cominciò ad intendere la
trama di un sottile
gioco di seduzione attuato dalla dama, e decise di giocare a sua
volta. Per quanto lusingato, non avrebbe lasciato che fosse una donna
a condurre le schermaglie di corteggiamento…
-
Sapete? Sono
lusingato del vostro invito, madamigella, e sto tentando di indovinare
se vi ho già visto da qualche parte… forse a
Corte, ma sicuramente mi ricorderei di voi… oppure ai
concerti organizzati da sua Maestà la Regina… mi
sembrate una persona che apprezza l’arte e la
musica…
La
dama non
cedeva, anche se il sorriso sulle sue labbra sembrava allargarsi ad
ogni momento, quasi che la soddisfazione di riuscire a celare la
propria identità stesse prendendo il sopravvento sul pudore.
André
era
divertito dalla situazione, ma anche confuso. Stava apertamente
flirtando con una perfetta sconosciuta, che tale voleva rimanere,
eppure sentiva quella dama incredibilmente vicina, familiare. Danzava
con lei con una sintonia istintiva che sembrava frutto di anni di
conoscenza reciproca ed allenamento, quasi che non avesse fatto altro
nella vita che danzare con lei…
Danzare?
Un
ricordo
improvviso gli si presentò prepotentemente alla memoria.
Era
piena
estate, il sole implacabile aveva già raggiunto
l’apice della sua
corsa giornaliera, dispensando amorevolmente luce e calore, anche
troppo in verità, mentre André ed Oscar
ansimavano sudati, uno di
fronte all’altra, le spade sguainate nell’ennesimo
allenamento,
in cui nessuno dei due sembrava voler soccombere all’altro,
neppure
per gioco.
Oscar
scattò
fulminea verso il compagno d’arme, che la scansò
elegantemente
sfiorandola appena, e passò al contrattacco, muovendosi
felinamente
intorno a lei, che prese a sua volta a girargli intorno.
Si
guardavano
negli occhi, girando in tondo con passi lenti e misurati, pronti
l’uno e l’altra a cogliere un guizzo di
disattenzione che
permettesse di passare all’attacco.
D’improvviso,
André scoppiò a ridere, abbassando spada e difesa.
Spietata
e
decisa, Oscar gli si avventò contro, salvo poi venire
lestamente
parata e disarmata, mentre un subdolo sgambetto del compagno la
mandava gambe all’aria, in maniera decisamente poco nobile.
Oscar
si rialzò
sui gomiti, per trovarsi André di fronte, in piedi, che le
puntò la
spada alla gola, la graffiò appena e le annunciò
“Touché.
Battuta.”.
Schiumante
di
rabbia, asciugandosi il rivoletto di sangue che aveva preso a
sgorgare dal taglio, Oscar guardò André gettare
la spada e
stendersi di fianco a lei, rilassando i muscoli e sciogliendo la
tensione della lotta.
Vedendolo
così,
vulnerabile, Oscar fu assalita da stati d’animo contrastanti:
aggredirlo e prendersi la rivincita, o godere con lui di quei rari
momenti di pace e serenità, in una vita di tensioni?
Decise
per la
seconda ipotesi, e si lasciò a sua volta cadere
sull’erba soffice
accanto ad André.
-
Hai
barato.
-
Non
è vero, e lo sai benissimo. È solo che ti brucia
che questa volta sia stato io a vincere. E poi, in guerra ed in amore
tutto è permesso, no?
-
Si
va bene, come dici tu… Ma si può sapere almeno
perché stavi ridendo?
-
Beh,
ad un certo punto, con tutto quel girarci intorno, mi è
sembrato quasi che io e te stessimo ballando insieme… ti
mancava giusto un bel vestitino, ed eravamo a posto!
-
COSA
?????? IO UN VESTITO???? Adesso me la paghi, baro che non sei altro !
Così
dicendo
André si ritrovò assalito da una furia dai
capelli biondi che prese
a torturarlo di solletico, ben consapevole di togliergli ogni
possibilità di difesa.
Trionfante,
Oscar, si stese di nuovo sull’erba, gli occhi socchiusi a
rimirare
l’azzurro del cielo solcato da rapidi voli di rondini.
André
si bloccò appena, quel tanto
che bastava a riordinare le idee, mentre la dama stupita alzava gli
occhi, quasi spaventata, ed incontrava i suoi.
Un istante,
bastò un istante perché
il superstite occhio verde dell’uno annegassero negli occhi
azzurri
dell’altra.
Oscar distolse
rapida lo sguardo,
terrorizzata all’idea che André potesse aver
scoperto tutto, e
d’un tratto la sua trovata le parve tremendamente stupida ed
imbarazzante. Forse, stava rischiando di rovinare tutto…
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Capitolo 13 *** 13 ***
Eccomi
di nuovo in
pista. Fersen torna a fare la sua apparizione, ma sembra davvero che
stavolta stia usando un po' di cervello...
Grazie
per i commenti,
apprezzatissimi. Spero di non risultare troppo OOC, come qualcuno
giustamente mi faceva notare. Nella mia mente contorta, il
comportamento di Oscar è decisamente plausibile: l'amore fa
fare
cose inimmaginabili, e fa assumere comportamenti prima
inimmaginabili, poi semplicemente naturali, forse perchè
nascosti.
O, almeno, a me è successo così... Buona lettura
e grazie. Spero di
non deludervi.
Fersen,
appoggiato ad una
colonna discosta, osservava divertito la scena nel suo insieme. Due
folti gruppetti di uomini da una parte e donne dall’altra
gravitavano intorno a due magiche figure che volteggiavano eteree
sulla pista, incuranti del mondo intorno a loro.
D’un
tratto, vide André
fermarsi di scatto e guardare Oscar negli occhi. Senza pensare, si
diresse a passi rapidi verso i due, congelati in un istante eterno, e
rese la pariglia ad André bussandogli su una spalla:
André
si scosse come da
un lungo sonno, e sotto gli occhi famelici di mezza sala altro non
poté fare che cedere la mano della ragazza.
Fersen
si affrettò a
ricominciare a volteggiare con Oscar, portandola lontano da
André,
per permetterle di respirare nuovamente.
André
si mosse
trasognato, in un turbine di emozioni che non riusciva a districare.
Era
Oscar? Era dunque lei?
Di nuovo, in abiti femminili, di nuovo per lui, per Fersen? La poteva
vedere mentre volteggiava per la sala fra le sue braccia, ma qualche
particolare stonava e sembrava raccontare un’altra
verità.
Perché
quella parrucca?
Evidentemente non voleva farsi riconoscere. Ma da chi? Da Fersen?
Dubitava che lui potesse non riconoscerla… gli doleva
ammetterlo,
ma Fersen la conosceva abbastanza bene da non rischiare di
confonderla con nessun’altra, in qualsivoglia occasione.
E
poi c’era la questione
del biglietto… perché mandarglielo, se poi voleva
vedere Fersen?
Poteva forse essere lei così crudele da infliggergli un tale
dolore?
No, Oscar sapeva essere spietata, a volte anche senza volerlo, ma non
avrebbe mai potuto essere così… così
cattiva da volersi vendicare
in quella maniera, davanti a tutti… o almeno così
sperava.
Vendicare,
poi, ma per che
motivo? Forse ancora per l’episodio della camicia, che ancora
gli
bruciava come fuoco nelle vene per la vergogna ed il rimorso? Ma in
quel caso, che senso avrebbe avuto il sottoporsi, di nuovo, ad una
trasformazione così, se voleva negare al mondo e a se stessa
quel
che lui l’aveva costretta a ricordare, il suo essere donna
sempre e
comunque?
Non
capiva, non riusciva a
capire…
La
vocetta stridula di una
dama lo riscosse dal baratro dei suoi pensieri.
-
Ma
non si accontenta, quella lì? È lì che
danza con uno dei cavalieri più belli dell’intera
festa, e non ha occhi che per l’altro bellissimo…
cos’è, li vuole tutti e due per sé? Che
poi… fosse bella, lei… è troppo magra,
troppo alta… troppo…
-
Ma
a chi vuoi darla a bere? Tanto lo sappiamo tutti che sei solo
invidiosa… la verità e che quella donna
è la più bella che io abbia mai visto, e darei
metà del mio patrimonio per essere come lei, e
l’altra metà per ballare anch’io con uno
di questi due adoni… e magari non solo ballare…
Un’occhiata
torva di
André costrinse le due galline a squittire spaventate e a
dileguarsi
dalla sua vista.
Oscar
non aveva occhi che
per lui? Stava fra le braccia di Fersen, perché ormai era
sicuro
fosse lui, e non aveva occhi che per lui? Il mondo stava decisamente
girando al contrario.
Un
pensiero subdolo si
andò formulando caparbio nella sua mente. Se il mondo andava
al
contrario, perché non girare al contrario con esso? Se Oscar
voleva
giocare, lui avrebbe giocato. Sarebbe stato al gioco. Qualunque cosa
ne fosse venuta fuori, non poteva certo essere peggio di come andava
prima, a conti fatti.
Rasserenato
e divertito
dalla sua stessa decisione, si appoggiò sornione ad una
colonna, le
braccia conserte ed un sorrisetto sardonico sulle labbra, scrutando
la coppia di ballerini senza abbassare mai lo sguardo. Più
volte
Oscar alzò gli occhi a cercare André, per poi
riabbassarli
velocemente quando incontrava il suo sguardo indagatore.
Il
valzer finì, e le
coppie si sciolsero. Fersen accompagnò Oscar a prendere una
boccata
d’aria, al limitare dei giardini. Oscar si
appoggiò, sfinita, ad
una delle balaustre, le spalle stanche, il respiro affrettato come
dopo una lunga corsa.
-
Non
ce la faccio, Fersen, stavolta mi sono spinta troppo oltre, non ce la
posso fare…
-
Il
più grande soldato di tutta la Francia che si lascia
sconfiggere da un ballo in maschera? Non siete in voi, madamigella,
questa sera, lasciatevelo dire.
-
Certo
che non sono in me, Fersen ! In tutto questo – e
indicò se stessa – vi sembra forse che ci possa
essere qualcosa definibile come “normale” ?
-
Beh,
madamigella, scusate se ve lo dico, ma questa vostra
anormalità è decisamente piacevole a
vedersi…
-
FERSEN
!
Fersen
non riuscì a non
ridacchiare, ma, se non altro, lo strampalato discorso ebbe il
beneficio di sciogliere la tensione di Oscar, che non trattenne un
sorriso.
-
Ecco,
questa è la miglior arma, ancora meglio della spada,
madamigella. Andate, e colpite dritto al cuore!
-
Oh,
Fersen, mi farete diventare pazza, voi… Che dite? Ho il
forte timore che André abbia mangiato la foglia…
-
Forse
sì, l’ho visto cambiare espressione poco
fa… ma, fossi in voi, non gli darei comunque la
soddisfazione di cedere per prima, se capisce cosa intendo.
-
Volete
forse dire che dovrei continuare con la mia… finzione,
finché non leva lui per primo la maschera?
-
Esattamente…
solo così potrà vedere fino a che punto
è disposto a spingersi.
-
Spero
solo non si risolva tutto in un disastro… Fersen, voglio
essere sincera con voi, perché immagino possiate capirmi.
Fersen
annuì, compito.
-
Sono
stata stupida, testarda, cieca, a non rendermi conto che la persona per
me più importante era quella che era sempre stata al mio
fianco, ed ora che lo so, ho la tremenda paura che possa
andarsene…
-
Eppure,
nonostante questa paura, non riuscite a dichiararvi, è
così?
-
Sì…
mi hanno insegnato come essere un uomo, ma si sono dimenticati di
insegnarmi come fa un uomo a dichiararsi…
-
E
voi fatelo da donna, quale siete. Per una volta, lasciate parlare il
vostro cuore, e mettete a tacere la vostra lama.
-
Fosse
facile…
-
Ma
a voi piacciono le sfide, vero?
E
senza attendere
risposta, la lasciò a rimuginare sulle sue intenzioni.
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Capitolo 14 *** 14 ***
Capitolo
corto... tanto
per tenere alta la tensione.
Ripensando
ai commenti
(graditissimi) che mi facevano notare che Oscar può
risultare un po'
OOC, la mia mente pazza è intervenuta a ricordarmi che,
forse, anche
Oscar avrebbe dovuto prendersi, ogni tanto, una pausa... da se
stessa. Forse ora l'ha fatto. Almeno nella mia mente.
La
storia è tutta
scritta, cercherò quindi di postare rapidamente. Grazie...
André
si aggirava per la
sala, incurante del nutrito codazzo di ammiratrici che cercavano
invano di carpire la sua attenzione.
Oscar
sembrava svanita nel
nulla, e con lei Fersen. Qualcosa si agitò nel suo stomaco,
uno
spasmo di nervosismo che non riuscì a frenare. A che gioco
stava
giocando?
D’improvviso,
Fersen
riapparve alla vista, solo, e, particolare non da poco, perfettamente
in ordine, non scarmigliato né altro. I casi erano due: o
aveva un
perfetto controllo di se stesso in qualsivoglia occasione, oppure non
c’era stata alcuna occasione. Pregò per la seconda
delle ipotesi.
Si
girò rapido verso le
pretendenti, ed abbassandosi in un inchino si congedò:
Un
coro di gridolini
eccitati si levò dal gruppetto.
Sguardi
inorriditi e
svenimenti seguirono alle sue parole, mentre André,
incurante di
tutto e tutti, si dirigeva verso la direzione da cui aveva visto
rientrare Fersen.
I
giardini di Palazzo
Gautier erano splendidi, sebbene non potessero certo competere con
quelli della Reggia di Versailles.
Alte
siepi regolate da
operose mani componevano geometrici passaggi, guidando come un
labirinto i viandanti verso il cuore del disegno.
I
raggi della luna
sembravano illuminare la via, dipingendo d’argento i ciottoli
dei
viali.
André
seguì inebriato
l’aroma di magnolia che la dama aveva, forse
inconsapevolmente,
lasciato dietro di sé. Chissà perché
aveva scelto proprio quel
profumo… chissà se sapeva, che lui adorava
quell’odore, che lo
riportava alla sua infanzia, alle rive del fiume, all’albero
di
magnolia sotto il quale amava stendersi a riflettere sulla sua vita,
e sull’amore della sua vita?
L’eco
dei rumori della
festa si affievolì fino a sparire, lasciandolo solo con il
rumore
dei ciottoli spostati dai passi lenti. Assaporava ogni passo, come
una dolce tortura, eppure temeva ogni passo, ignorando quale sarebbe
stata l’accoglienza che lei gli avrebbe riservato.
Oscar
si sedette sul bordo
della fontana che adornava il centro del giardino. Lo sciabordio
dell’acqua fresca ed i capricciosi spruzzi le davano sollievo
dalla
calura esterna e dal fuoco dentro il suo animo.
Il
cuore non accennava a
smettere di battere violentemente, quasi volesse farsi strada nel suo
petto per uscire allo scoperto.
Si
allungò appena a
sfiorare l’acqua con le dita, e una ninfea, lì
vicina. Era
morbida, setosa, perfetta. Aveva sempre adorato quei magici fiori che
abitavano nell’acqua, ma non l’aveva mai detto a
nessuno; se suo
padre fosse venuto a saperlo le avrebbe scuoiato la pelle a
cinghiate. Non era da uomo.
Non
avvertì il frusciare
dei ciottoli spostati dal passo di André, sovrastato dallo
scrosciare dell’acqua.
André
si fermò, come
ipnotizzato, a godersi l’immagine. La dama, Oscar,
perché ormai
era convinto che fosse lei, era languidamente seduta sul bordo della
vasca, carezzando delicatamente i petali di un fiore.
La
luna illuminava i
cristalli del suo abito, rivestendo la ragazza di una luce eterea ed
irreale di creatura da favola.
Chissà
se lo sapeva, di
essere così incredibilmente femminile, e di riuscire a
suscitare,
con la sua sola presenza, impudici pensieri in ogni uomo, e in lui in
particolare.
Avvertiva
il desiderio
impellente di affondare le mani e il viso nei suoi capelli, quelli
veri, di assaporare le sue labbra, di accarezzare la seta della sua
pelle…
Fremente
di attesa,
tensione e paura mosse un passo, ed un altro ancora, verso la donna.
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Capitolo 15 *** 15 ***
Siccome
sono “brava”
e “magnanima” (bugia bugia – in
realtà sono solo estremamente
curiosa di vedere come reagite a questo capitolo) ho deciso di
postare IL capitolo. Finalmente, direte voi. A ragione. Finalmente
Cip e Ciop si decidono a combinare qualcosa... Io, l'ho immaginato
così. Grazie a chi legge, a chi commenta, a chi mi fa
crescere.
Un
lieve rumore di sassi
calpestati la riscosse dai suoi pensieri. Si volse lesta verso
l’origine del rumore, e vide arrivare a passi lenti una
figura
maschile, che senza dubbio alcuno riconobbe come quella di
André.
“E’
venuto, dunque…
è venuto per me…”
André
si avvicinò ad
Oscar, le tributò un inchino degno di una Regina, e stese la
mano in
una muta richiesta.
Oscar
si rese conto con
sorpresa che il tumulto nel suo cuore si era calmato, la mente era
lucida e sapeva esattamente cosa fare. Si alzò lentamente,
guardò
il ragazzo nell’unico occhio sano, concedendosi il lusso di
annegare per qualche istante in quel pozzo di smeraldo, e stese a sua
volta la mano a congiungerla con la sua.
Senza
una parola, André
cinse la vita di Oscar in un abbraccio danzante, diverso
però da
quello della sala da ballo, più intimo e possessivo senza
tuttavia
essere oppressivo e vincolante, e la diresse ad iniziare un ballo
silenzioso, animato dalla muta musica dei loro animi che vibravano
delle stesse note.
La
distanza fra i loro
corpi si assottigliò lentamente, inesorabilmente,
finché si
trovarono a contatto, occhi negli occhi.
Il
silenzio continuava a
regnare fra loro, rotto solo dal canto di solitarie cicale e dallo
sciabordio dell’acqua, mentre piccole lucciole vagavano per
il
giardino come stelle staccatesi dalla volta celeste.
André
sorrise, ebbro di
felicità per quei piccoli istanti, guardò il
cielo negli occhi di
Oscar cercando di scrutarne i pensieri più reconditi, o
scovare
cenni di paura, rabbia o scherno.
Quel
che vide, lo lasciò
senza parole, sebbene ancora non ne avesse pronunciate. Le pupille
dilatate per il buio, e forse non solo per quello, rendevano gli
occhi di Oscar simili a quelli di un gatto, buchi neri dai quali
farsi inghiottire per l’eternità. Le labbra piene,
rosse di
ciliegia, luccicavano alla luce della luna, leggermente dischiuse in
attesa, chissà, forse, di un bacio che le cogliesse.
I
lineamenti, e tutto il
suo essere, erano rilassati, sereni, come se quell’istante
fosse
stato lungamente atteso.
André
alzò leggermente
il viso ad Oscar con un leggero tocco sul mento su cui
indugiò, le
tolse piano la maschera che le celava il volto (la sua
l’aveva
gettata chissà dove, non gli importava) e
cominciò a baciarle
piano, delicatamente, la fronte, gli occhi, gli zigomi, il naso,
scendendo piano verso la sua bocca, ma lasciandole la
possibilità di
scappare, se avesse voluto.
Ma
Oscar non scappò,
beandosi di quel dolce delicato contatto. Chiuse gli occhi e si
lasciò attendere.
André
interruppe la sua
dolce tortura, fissando Oscar che aveva spalancato gli occhi, quasi
irritata per l’interruzione.
Il
ragazzo sorrise,
divertito per la muta sfrontatezza della dama, e si avvicinò
lentamente a cogliere il succoso frutto delle labbra di Oscar, prima
delicatamente, poi facendo maggior pressione, mentre avvertiva la
ragazza sciogliersi e rispondere al suo bacio.
Al
colmo della felicità
il suo cuore mancò ben più di un colpo, mentre il
bacio si
protraeva, diventando sempre più profondo ed appassionato.
Chiese
accesso alla sua bocca, e lei si dischiuse come un fiore al mattino.
La
stretta attorno alla
vita si fece più possessiva, mentre Oscar gli circondava il
collo
con le braccia.
Durò
minuti, oppure ore,
chi può dirlo, finché la mancanza di fiato ed il
cuore che
minacciava di scoppiare non li obbligarono a staccarsi.
Il
respiro affrettato, le
gote rosse di eccitazione, le labbra ancor più rosse e
gonfie di
baci, Oscar era bellissima agli occhi innamorati di un André
che
ancora non credeva di veder realizzato il suo eterno sogno.
Oscar,
intontita d’amore,
scrutò il suo amato, preda di un lacerante dubbio:
l’aveva baciata
perché l’aveva riconosciuta, o perché
era semplicemente attratto
dalla sconosciuta vestita di cielo?
Lui
dovette avvertire
l’esitazione, perché si aprì in un
largo sorriso, mentre con un
dito birichino faceva fuggire una piccola ciocca di capelli biondi
dalla nera parrucca. Se avesse potuto, le avrebbe fatto
l’occhiolino.
Oscar
abbassò lo sguardo,
piena di vergogna perché il suo infantile gioco era stato
platealmente svelato, e cercò di staccarsi, di malavoglia,
dalle
bollenti braccia di André, quasi a volersi schernire, e
giustificare, per aver messo in piedi tutta quella messinscena.
André
non le permise di
allontanarsi, nemmeno di un millimetro, non ora che finalmente
sembrava esserle arrivato così vicino.
Le
carezzò il viso,
inebriato dalla purezza della sua pelle, e la guardò
chiedendole un
muto assenso prima di liberare i suoi capelli dalla costrizione della
parrucca.
Oscar
si sentì
improvvisamente nuda, ed incredibilmente vulnerabile, mentre
André,
usando solo una mano, senza lasciare dunque la presa sulla sua vita
quasi temendo la sua fuga, si divertiva beatamente a liberare,
forcina dopo forcina, i ciuffi d’oro dei suoi capelli,
gustandone e
saggiandone la morbidezza ad ogni gesto.
Senza
poi fare troppa
violenza a se stessa, Oscar si arrese. Si appoggiò sfinita e
fiduciosa al petto di André, abbracciandolo a sua volta, e
si
concentrò sull’insperato benessere che il tocco di
André sui suoi
capelli le dava. Sembrava di essere carezzata da una farfalla.
Senza
interrompere il suo
certosino e piacevole lavoro, André prese ad ondeggiare
leggermente,
trasportando con sé Oscar in una delicata danza fatta di
gentilezza,
amore, serenità. Oscar cominciò a capire quali
fossero le porte del
paradiso che fino ad allora aveva così caparbiamente evitato.
André
finì la sua opera,
per poi rituffare le mani nei capelli di Oscar, attirandola a se per
odorarne il fragrante profumo, immergendovisi con tutto il volto, e
pregando di poter stare così all’infinito.
Si
riebbe, e scivolò,
pelle contro pelle, fino a carezzare, col suo volto, il viso di
Oscar, che aveva di nuovo chiuso gli occhi beandosi del contatto che
fino ad allora non sapeva di anelare.
In
un impeto di coraggio,
così diverso dal coraggio necessario in battaglia, eppur
così
difficile da trovare in una tale situazione, Oscar prese a sua volta
il volto di André fra le mani, si alzò in punta
di piedi e posò
veemente le labbra sulle sue.
André
rimase appena
stupito dall’intraprendenza della ragazza, fino a che il
leone che
ruggiva nel suo petto si fece largo e proruppe in un accesso di
passione incontrollabile, che lo lanciò famelico in un bacio
profondo come il mare, carico di tutto l’amore nascosto e la
passione repressa che l’avevano torturato per così
tanti anni.
Si
staccarono ansanti,
sconvolti dall’intensità di quello che le loro
bocche si stavano
silenziosamente raccontando. André ebbe paura di aver
spaventato
Oscar, ma quel che lesse nei suoi occhi, brama, desiderio, passione,
gli fugò ogni dubbio, ed accese maggiormente in lui quella
voglia di
fondersi in lei come tante volte aveva fatto in sogno.
Non
vi era stata alcuna
parola, in tutto quel tempo, né sarebbe stata necessaria,
perché
gli occhi ed i gesti avevano parlato di più, e meglio, di
quanto
delle vuote parole avrebbero potuto fare.
I
respiri ansanti si
mischiavano al frinire dei grilli ed allo stormire degli alberi mossi
dalla brezza, le stelle continuavano impassibili a brillare nel
firmamento notturno.
Oscar
ruppe per prima il
silenzio, dando voce ad un desiderio che era proprio di entrambi.
|
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Capitolo 16 *** 16 ***
Che
dire? Sono commossa, commossa per le belle parole che mi avete
rivolto nei vostri commenti. Fa davvero piacere, realizzare che le
parole pedestramente scritte sono comunque riuscite a suscitare in
voi le stesse sensazioni che le hanno animate.
Ma
ora, dopo il silenzio, parole, un fiume di spiegazioni per due anime
che, per amarsi degnamente, hanno bisogno di sgombrare il campo da
qualsiasi impurità che possa sporcare il candore immacolato
del loro
sentimento.
Buona
lettura. E grazie. Di nuovo.
Il
tragitto in carrozza fu strano, elettrizzante.
Oscar
ed André si sedettero uno di fronte all’altra,
Oscar guardando
fissa fuori dal finestrino, André fissando Oscar temendo un
cenno di
pentimento da parte di lei.
Nessuno
aveva il coraggio di rompere il silenzio che di nuovo era caduto fra
loro, temendo di spezzare l’incantesimo. Ogni tanto Oscar
volgeva
lo sguardo verso un ansioso André, e gli sorrideva.
Varcarono
il cancello posteriore di Palazzo de Jarjeais, di modo che nessuno
potesse vederli. Da perfetto cavaliere, André scese per
primo a
porgere la mano ad Oscar per scendere, pur aspettandosi un rifiuto.
Fu invece con piacevole sorpresa che Oscar poggiò la mano ad
approfittare dell’offerta, forse anche per via delle scarpe
dai
tacchi alti. Ma qualcosa, entrambi lo sentivano, stava cambiando.
Ancor
più sorpreso fu André quando, una volta scesa,
Oscar non gli lasciò
la mano, tenendola stretta nella sua, quasi a farsi dare dal ragazzo
la forza di superare questa sua improvvisa rinascita di donna.
Camminarono
piano, fianco a fianco, senza tema di essere scoperti,
perché il
vialetto passava fra i giardini, e non risultava visibile da alcuna
delle finestre del Palazzo. Se anche il Generale avesse sofferto di
insonnia, non avrebbe avuto nulla da vedere.
Si
inoltrarono nel giardino, un passo dopo l’altro, senza
fretta,
anzi, cercando di rimandare il più possibile il momento di
lasciarsi
– ma era davvero necessario farlo? – godendo della
reciproca
presenza, saggiando le altrui labbra di quando in quando, quasi a far
da promemoria.
A metà
circa del giardino scorsero il capanno degli attrezzi. Come ogni
altra cosa in quel giardino, anche esso era magistralmente mantenuto
in ottime condizioni. Oscar si fermò un attimo, la mano
ancora
stretta in quella di André. La brezza della notte soffiava
nei suoi
capelli, facendoli animare. Di nuovo André si
stupì di quanto
potesse essere bella, Oscar, ed ogni volta ancora di più.
Oscar
guardò André, con uno sguardo tra il provocatore
ed il birichino,
come di bimba che sa di stare per combinare una marachella.
Lo
trascinò fino all’entrata del capanno, che non era
chiusa a
chiave, come sempre.
Oscar
posò una mano sulla maniglia, poi tentennò,
girandosi verso André
con gli occhi spalancati, quasi spaventati. Si morse leggermente il
labbro, poi ruppe il silenzio
André
spalancò occhi e bocca, mentre un fievole ricordo affiorava
alla sua
mente.
Loro,
bambini, lui era arrivato da pochi giorni a Palazzo, e già
stravedeva per quella strana bambina che giocava, e picchiava, come
un maschio, quando un pomeriggio lei lo aveva trascinato,
stringendogli la mano e strattonandolo, fino al capanno degli
attrezzi.
André,
ancora un po’ intimorito dalla sua compagna maschiaccia,
aveva
ingoiato rumorosamente un po’ di saliva ed aveva accennato un
sì
con la testa.
Oscar
si era guardata in giro attentamente, a controllare che il
giardiniere non fosse nei paraggi, e poi era entrata rapida nel
cascinotto, trascinando il povero André.
Si
erano avvicinati ad una parete, ingombra di attrezzi per il giardino,
ed Oscar aveva cominciato a spostarne alcuni, piazzandoli fra le
braccia di uno spaventatissimo André che non sapeva cosa
farne,
salvo poi appoggiarli altrove al comando di lei. Le dita sottili di
Oscar avevano rivelato un foro nascosto e premuto il pulsante che vi
si trovava, e sotto gli occhi atterriti e stupefatti di
André la
parete aveva preso a ruotare su se stessa, rivelando uno stretto
passaggio.
Inoltratisi
nell’anfratto appena rischiarato da qualche fessura nel muro,
avevano poi sospinto la parete nella posizione usuale, e si erano
inerpicati lungo una ripida scala a pioli, che terminava contro una
botola.
Oscar
aveva aperto la botola, che era ricaduta all’inverso con un
tonfo
sordo, e si era issata su per il buco, sparendo alla vista di
André,
sempre più spaventato ma allo stesso tempo incuriosito.
Una
mano era apparsa dal foro, tesa verso André, quasi ad
aiutarlo, più
che altro a convincerlo, a varcare la soglia.
Quello
che aveva trovato di fronte a sé superava ogni
immaginazione. Sopra
il capanno c’era quella che poteva essere sia una soffitta,
che un
rifugio segreto, ed Oscar l’aveva arredato in una maniera
incredibile.
Morbidi
scampi di seta colorata adornavano il finestrino che si apriva sul
tetto, irradiando il rifugio di una soffusa luce multicolore. Ovunque
c’erano tappeti e stuoie e cuscini a riscaldare
l’ambiente e
permettere di stendersi comodamente. Piccoli scaffali, ai vari lati
della stanza, ospitavano libri, statuette, e cimeli da bambini,
mentre dal soffitto pendeva una specie di scultura fatta con vetri di
bottiglia colorati.
-
Questo è il mio rifugio, e da
oggi sei ufficialmente autorizzato a venirci. – aveva detto
Oscar con piglio serio, tronfia come un tacchino per
l’orgoglio di quel che era riuscita a fare
all’insaputa di tutti.
-
Davvero posso venirci quando voglio? Anche
se tu non ci sei?
-
Beh, sì, direi di
sì, purchè non ti fai scoprire e non mi rubi i
miei tesori… però portati qualche coperta, che
qui fa freddo d’inverno, visto che non
c’è il camino…
André aveva spalancato
occhi e bocca in un sorriso
estatico di gratitudine, ed aveva abbracciato forte Oscar
ringraziandola senza sosta.
-
Sì, ok, sono contento che ti
piaccia, ma mi vuoi lasciare adesso? Non è il caso che due
uomini si abbraccino…
-
Ma tu non sei un uomo !
-
Lo sarò quando
diventerò grande.
-
No, non puoi, sei una femmina…
al massimo diventerai una donna, ma solo se la smetti di fare il
maschiaccio !
Oscar si era avventata contro
André piazzandogli un
sonoro pugno in un occhio, prontamente restituito dal bambino nello
stomaco di Oscar, e così avevano continuato
finché entrambi,
dolenti e sfiniti, si erano accasciati sui tappeti, guardandosi e
scoppiando a ridere come pazzi, senza sapersi più fermare.
All’improvviso Oscar
aveva smesso di ridere, si era
messa seduta ed aveva teso una mano ad André.
-
Amici per la pelle?
-
Amici per la pelle!
Riavutosi
dal ricordo, André mise a sua volta una mano sulla maniglia,
sopra
la piccola mano di Oscar, la guardò intensamente, e premette
per
entrare.
All’interno
del capanno sembrava che il tempo non fosse mai passato. Gli attrezzi
erano sempre gli stessi, e sempre al solito posto, quasi che nessuno
fosse più venuto ad usarli.
André
prese Oscar per mano, la guidò fino alla parete mobile,
azionò il
congegno ed entrò, seguito da una Oscar leggermente
titubante.
Chissà perché, non le sembrava più una
così buona idea, quella di
tornare al rifugio.
André
precedette Oscar su per la scala, aiutandola nell’ultimo
tratto a
non inciampare sul vestito che Oscar aveva dovuto alzare per non
cadere.
Al
contrario del capanno, la soffitta era leggermente cambiata, dalla
prima volta che l’aveva vista.
Su una
parete era comparso un altro scaffale, pieno di libri e cimeli che
lui aveva portato. Alle pareti, erano stati appesi una miriade di
disegni, fatti da loro quando erano piccoli, e di fogli scritti con
calligrafie diverse, contenenti pensieri o messaggi o poesie che
animavano i loro cuori di adolescenti inquieti.
In un
angolo, giacevano appoggiate due spade, dal fodero consunto, che
erano state le loro inseparabili compagne di duello per tanti e tanti
anni.
Tenendo
Oscar per mano, André girò con gli occhi tutta la
stanza, rivivendo
piccoli momenti di gioia e di dolore che fra quelle mura si erano
consumati. Quante risate, e quante litigate avevano udito quelle
pareti…
-
Ci sei più venuta?
-
Ogni volta che avevo bisogno di ritrovare me
stessa. Ed ultimamente è successo molte, molte volte.
-
Ed ora? Ora sai chi sei, e chi vuoi essere?
-
Forse… ma credo di aver bisogno del tuo
aiuto per esserne sicura.
André
si sedette sul morbido tappeto un po’ consunto dal tempo, ed
attirò
a sé Oscar, facendola sedere sulle sue gambe. Oscar
arrossì ed
abbassò lo sguardo.
Oscar
lo guardò stupita.
-
Come lo sai?
-
Dopo tanti anni, posso ben dire di conoscerti,
Oscar… tu ti butti a capofitto in ogni impresa, spesso senza
ragionare, ma quando poi le cose non volgono come tu avevi programmato,
o prendono una piega più personale, ecco che ti ritiri come
un riccio…
-
Non darmi del riccio !
-
Ma lo sei… un bellissimo riccio
biondo… ma io conosco il trucco per far sciogliere il riccio
dalla sua palla….
-
Ti ripeto che non sono un riccio, per quanto mi
siano simpatici…
-
È vero, non sei un riccio, sei una
splendida donna, la donna che io amo più di me
stesso…
Imbarazzata
da tale rivelazione, di cui peraltro sentiva di essere pienamente a
conoscenza, Oscar abbassò di nuovo gli occhi, quasi a
sfuggire dal
penetrante sguardo di smeraldo di André.
Oscar
si alzò di scatto dalle ginocchia di André,
serrando i pugni e
guardandolo con occhi di fuoco.
-
Prendermi gioco di te? Davvero pensi questo di me?
Posso essere cattiva, è vero, rigida, frigida o tutte le
altre cose che dite di me in caserma, ma non potrei mai farti
così tanto male… - rilasciò mani e
spalle improvvisamente, e proseguì - … almeno
intenzionalmente.
-
E Fersen, allora? Cosa c’entra lui in
tutto questo? Eri d’accordo con lui?
Oscar
si lasciò cadere seduta sul tappeto, volgendo le spalle ad
André.
-
No, lui non ne sapeva nulla. È stata
tutta una mia malsana idea, e quando l’ho visto al
ricevimento e mi ha invitata a ballare non ho potuto rifiutare, ma
avevo paura che mi riconoscesse.
-
E lui ti ha riconosciuta.
Non era
una domanda, era un dato di fatto.
André
serrò le labbra. La sua pazienza stava per
finire. Voleva
delle risposte, e le voleva subito. Dopo quella sera, non avrebbe
più
potuto accettare mezze parole, o situazioni poco chiare. Doveva
definire la faccenda, a costo di perderla per sempre.
La voce
appena percettibile, chiese
Oscar
cadde sulle ginocchia e chiuse gli occhi, le mani appoggiate a terra,
la testa rilasciata, il volto celato dai capelli. Gli attimi
divennero minuti, mentre la domanda di André ancora
aleggiava
nell’aria.
L’argine
era rotto, calde lacrime presero a scorrere sul viso di Oscar, mentre
con un senso di liberazione dava voce a quel che il suo cuore aveva
per anni negato, o semplicemente nascosto.
-
…
perché non riesco
più a starti vicino senza provare il desiderio di toccarti,
di guardarti, di sentire la tua voce… perché non
riesco più a restare impassibile mentre ti do gli ordini e
vedo che schiatti di fatica durante le esercitazione e le ronde che IO
ti impongo… perché non ce la faccio
più, André, non ce la faccio più ad
andare avanti da sola…
Singhiozzi
disperati si unirono alle lacrime che Oscar non tentava nemmeno
più
di fermare, mentre André si alzò per poi
inginocchiarsi davanti ad
Oscar, ad avvolgerla in un caldo abbraccio.
-
Ssshhh… non sei sola, Oscar, non lo sei
mai stata, e non lo sarai mai… sono qui, lo sai, ci sono
solo per te, se mi vuoi… non mandarmi via, ed io
starò sempre con te…
I
singhiozzi di Oscar non accennavano a diminuire, mentre il suo cuore
si svuotata di anni di emozioni represse ed umiliazioni subite. Tolse
le mani dal viso, e lo affondò sul petto di
André, inzuppandogli il
vestito.
La
battuta ebbe l’esito sperato, perché i singhiozzi
si Oscar si
mischiarono a sprazzi di risata, mentre lei gli batteva un pugno sul
petto.
-
Stupido.
-
Lo so.
-
Sei uno stupido.
-
E tu sei bellissima.
-
Non è vero.
-
Se anche tu non lo credi, non vuol dire che non sia
vero. Dovevi vedere come morivano di invidia, le donne, al
ballo… e come gli uomini sbavavano mangiandoti con gli
occhi…
-
Io tutto quello che ho visto erano solo le galline
che ti svenivano accanto… magari ci hai anche fatto qualche
pensierino…
André
scoppiò a ridere, la situazione era davvero assurda: Oscar,
in abiti
femminili così poco usuali per lei, accoccolata fra le sue
braccia,
che gli faceva la scenata di gelosia… il mondo era davvero
andato a
gambe all’aria, ma a lui quel mondo piaceva.
Smise
di ridere, le alzò il volto rigato di lacrime e trucco
– non le
era mai sembrata più bella – e scese a baciarle le
labbra gonfie
di pianto.
-
Ti amo, Oscar, e non importa quanto tempo ancora
dovrò continuare a ripetertelo perché tu ci
creda, ma io ti amo, e questo è quanto.
Il
discorso rimase spezzettato fra la miriade di baci con cui
André
aveva ripreso a costellare le labbra di Oscar, che non riusciva quasi
a respirare di felicità.
André
interruppe improvvisamente la dolce tortura, guardò Oscar
fisso
negli occhi, e le chiese serio:
-
E tu, Oscar? Tu cosa provi per me? Ho bisogno di
sentirtelo dire, non posso più affidarmi a delle sensazioni
che non mi danno risposte sicure. Ti prego, dimmelo.
Oscar
lo guardò intensamente, mentre lui trepidante attendeva una
risposta
che avrebbe dato senso, o distrutto, la sua vita. Prese un respiro
fondo, come preparandosi a parlare, ma si alzò invece
prendendo la
mano di André nella sua, lo fece alzare a sua volta, e senza
smettere di fissarlo prese ad armeggiare con la sua giacca,
sfilandogliela, e con i laccetti della camicia bianca che
André
indossava.
Il
ragazzo trattenne il fiato inconsapevolmente al tocco leggero di
Oscar sulla sua pelle. Dove voleva arrivare?
I
laccetti richiesero ad Oscar un impegno maggiore del dovuto,
costringendola ad abbassare lo sguardo e liberando così
André da
quello che gli sembrava essere uno stato di ipnosi.
Le
bloccò i polsi, fermo ma senza farle male, costringendola a
rialzare
gli occhi verso di lui.
-
Sei sicura che sia quello che vuoi?
-
Sì…
-
Non so se sarò in grado di fermarmi, se
continui…
-
Non vorrò che tu ti fermi…
André, penso di non essere mai stata così sicura
di qualcosa nella mia vita come lo sono adesso…
-
Di cosa sei sicura, Oscar, di cosa…
-
Di voler fare l’amore con
l’uomo che amo.
|
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Capitolo 17 *** 17 ***
E,
finalmente, CI SIAMO !
Era
anche ora, dopotutto... Ma la mia mente malata non ha voluto che
questo fosse l'epilogo per un finale rose e fiori, ma solo l'incipit
per un'ulteriore evoluzione che porterà, ritengo, ad una
piccola
rivincita.
Spero
di non deludere nessuno, è la prima volta che scrivo una
scena
“erotica”... e, in verità,
più che l'atto in sé, mi piaceva
descrivere quel che i protagonisti provavano...
Come
sempre, grazie per gli incoraggiamenti: non sapete che bene che mi
fanno...
L’aria
era immota, quasi il tempo si fosse fermato e nulla potesse
continuare ad accadere.
Un
silenzio irreale era calato sul giardino, tanto che nemmeno i passeri
nottambuli in cerca di cibo sembravano volerlo rompere, mentre
zampettavano silenziosi sui ciottoli dei viali.
In una
soffitta celata agli sguardi, sotto una luce di luna azzurrata di
seta, due ragazzi si guardavano negli occhi, increduli, emozionati,
ed allo stesso tempo impazienti. Ognuno dei due sembrava aspettare
che l’altro facesse la prima mossa, ed ognuno dei due bramava
di
essere il primo a compierla. Ma non si muovevano.
Il
tempo sembrava aver perso di importanza, per loro, mentre
assaporavano quell’attimo di felicità eterna che
tanto è
difficile trovare nella vita. L’uno di fronte
all’altra, due
corpi che si bramavano, due cuori che battevano all’unisono,
due
anime già fuse, da sempre, in una sola.
Come
muovendosi in un sogno, André aprì la presa dai
polsi di Oscar,
senza lasciarle le braccia, facendo scorrere le mani lungo gli
avambracci, fino alle spalle nude, leggero come una carezza.
Oscar
appoggiò i palmi sul petto del suo uomo, sentendoli bruciare
al
contatto e sentendosi essa stessa bruciare.
Le mani
ardenti di André le carezzarono la schiena, mentre lei non
trovava
altra forza se non quella di perdersi nel suo unico occhio, e di
mantenere quel contatto, possibilmente in eterno.
André
prese a carezzare la schiena di Oscar, le braccia, i fianchi, come se
stesse tentando di imprimersi nella mente ognuno di quei particolari
che componevano la donna che tanto aveva bramato e che amava.
Oscar
si irrigidì leggermente, forse improvvisamente conscia delle
mani di
André su di lei, forse ansiosa o, perché no,
spaventata di quello
che si prospettava essere il proseguimento di quelle carezze. Si
diede della stupida ragazzina, ma forse una ragazzina sarebbe stata
più pronta di lei, in quel caso.
Chiuse
gli occhi, lasciando che le sensazioni date dal tocco del suo uomo le
parlassero, lasciandosi godere il calore delle mani di
André, ed i
brividi di fredda solitudine quando queste passavano ad infuocare un
altro pezzo di pelle.
Con il
cuore che batteva forte, prendendo un respiro fondo, André
prese ad
armeggiare con le spalline dell’abito, ed i lacci che
tenevano il
corsetto nero (non senza inghiottire più volte con le fauci
secche).
Con
lentezza quasi dolorosa per entrambi, sciolse la chiusura, beandosi
del sospiro pieno di Oscar che tornava, finalmente, a respirare dalla
mondana tortura, e subito sentiva il fiato mozzarsi in gola per
l’emozione di quel tocco sulla sua pelle.
Le
sembrava che le dita di André fossero fuoco puro, tanto era
il
calore intenso che le lasciavano ad ogni passaggio, ad ogni
sfioramento.
André
si costrinse a continuare, piano, delicatamente, la sua scoperta, per
non lasciar fuggire quell’istante eterno eternamente
agognato, e
nel contempo per non spaventare la meravigliosa creatura che da
sempre gli aveva rubato il cuore, da tanto glielo aveva spezzato, e
solo da poco glielo stava, finalmente, sanando d’amore.
Oscar
chiuse gli occhi di vergogna e di emozione buttando indietro il capo,
mentre André le sfilava piano l’abito, che cadde
come una macchia
di notte pura sul pavimento coperto dal tappeto, ed il corsetto,
rivelando così il candore immacolato della pelle di Oscar.
Con la
sola punta di un dito seguì i margini di una cicatrice,
sulla
spalla, per sanarla poi di piccoli baci, e di un’altra,
appena
sopra il seno, più piccola e quasi invisibile; poi
un’altra
ancora, appena più rosea e recente, ed un piccolo neo che
sfrontato
era sorto nell’incavo fra i seni. E di ogni segno egli sapeva
la
storia, ed ogni segno di dolo sul corpo della sua musa era una
stilettata al cuore di chi si rimproverava di non averglielo saputo
evitare.
Oscar
non riusciva a ragionare, troppo erano il piacere, la tensione, la
paura, l’amore, troppe le sensazioni sconosciute che si
trovava ad
affrontare, peraltro di sua sponte, e troppo nuova ed amena era la
situazione che stava vivendo. La parte logica del suo animo tentava
disperatamente di mettere un poco di ordine in quel subbuglio di
emozioni, fallendo miseramente, schiacciata e soverchiata da un cuore
balzante di gioia che riconosceva come familiare e dovuto il tocco
del giovane uomo. Gli unici pensieri coerenti spaziavano da un
“cosa
direbbe mio padre se mi vedesse ora” al “ora
comprendo gli
sguardi ebbri di passione delle mie sorelle”.
André,
dal canto suo, stentava a contenere la felicità che gli
sprizzava
dal cuore, inebriato dall’innocente sensualità
della donna che
amava, e quasi incredulo della realizzazione dei suoi sogni
più
reconditi. Stava veramente carezzando Oscar, la stava davvero
stringendo fra le sue braccia, condiscendente, stava veramente per
fondersi con colei che era la parte mancante della sua esistenza.
Abbandonando
l’avventura delle sue mani, lasciò che le labbra
imparassero a
conoscere, assaggiare e gustare la setosa pelle di Oscar, lasciandole
sul viso, sul viso e sul seno una scia di baci infuocati, indugiando
sulle dolci corolle dei piccoli seni sodi e sfrontati, strappando ad
una Oscar, che inutilmente cercava di trattenersi, languidi gemiti di
puro piacere.
Per un
istante l’orgoglio innato di Oscar tornò
prepotentemente alla
luce, facendole aprire gli occhi di scatto a fissare un
André
stupito, e forse timoroso che il paradiso in cui si trovava potesse
scomparire.
Ma
Oscar sembrava avere altri progetti che non tornare con i piedi per
terra. Con un ghigno che tutto era tranne che angelico,
scostò dai
piedi l’abito ormai inutile, per dedicarsi con foga alla
camicia di
André, slacciandola, quasi strappandola, per liberare poi le
possenti spalle ed il torace dell’uomo, e rimanendo un poco
stupefatta dalla perfezione del corpo di quello che, ormai, sapeva
essere il suo uomo.
Come
già André, prese a seguire dolcemente i segni
delle ferite subite
negli anni passati insieme ad affrontare uomini e dei, ed a tracciare
disegni sulle costellazioni dei suoi nei, con gli occhi pieni di
meraviglia, come di bambina che scopre un gioco nuovo.
André
non resisteva più, sentiva i pantaloni ormai troppo stretti,
mentre
l’istinto ruggiva per compiere la sua opera.
Sollevò
deciso il viso di Oscar, per scendere a divorarle le labbra,
famelico. Dopo un istante di sorpresa, Oscar si ritrovò a
rispondere
a quel frenetico bacio sentendosi ardere di un fuoco nuovo,
sconosciuto, di pura passione.
Senza
nemmeno rendersene conto si ritrovò stesa a terra sui
morbidi
cuscini, con il dolce peso di uno scatenato André che le
gravava sul
corpo, mentre le mani di entrambi vagavano vogliose sul corpo
dell’altro.
André
si interruppe improvvisamente, guardando fisso Oscar negli occhi,
chiedendole un muto consenso che la voce non avrebbe osato esprimere.
Oscar gli sorrise spaurita dicendo “Guida tu il
gioco”.
Un
sorriso dolce aprì il volto di André, mentre
sentiva che tutto la
spasmodica passione di poco prima lasciava il posto ad una lenta
ponderata profonda disarmante voglia di essere un tutt’uno
con la
sua Oscar.
La
privò gentilmente del poco che ancora la ricopriva e si
denudò a
sua volta, con movimenti dolorosamente lenti per non rischiare di
spaventarla – e sembrava una cosa così strana da
dire, pensando
all’indole dell’indomita Oscar – e per
permetterle di tirarsi
indietro se – ti prego, no – avesse capito di non
volere
continuare.
Oscar
tremava, forse dalla tensione, forse dal freddo, ma sembrava in quel
momento piuttosto stupefatta dalla visione che la sovrastava.
André
era… Oscar non avrebbe saputo definirlo… la luce
argentea che
filtrava dall’abbaino illuminava appena il corpo marmoreo del
ragazzo, lasciandone intravedere più che vedere realmente le
forme,
ma permettendo comunque ad Oscar di apprezzare appieno le spalle
possenti, i fianchi stretti, le gambe forti, e…
Oscar
si lasciò scappare un sospiro sorpreso… Santo
cielo, ma quant’era
GRANDE ! Nonostante il suo vivere, e tentare di apparire, da uomo,
non aveva mai avuto occasione di vedere un uomo nudo, tolta forse
quella volta in cui aveva visto André uscire come mamma
l’aveva
fatto dopo una nuotata nel fiume… ma a quel tempo aveva solo
9
anni.
Imbarazzata,
volse altrove lo sguardo, lasciando André ad incupirsi nel
pensiero
di aver osato davvero troppo.
Le si
accucciò accanto, carezzandole delicatamente la guancia e
sussurrandole dolcemente “Scusa, Oscar, non volevo
turbarti…”,
salvo poi sentirsi afferrare da due fresche mani e tirare
giù ad
assaporare le labbra della ragazza.
La
sorpresa ed il vago divertimento per la situazione abnorme lasciarono
subito il passo alla passione ormai incontenibile di André,
e di
Oscar.
La
soffitta si riempì di sospiri e gemiti, mentre le due anime
si
fondevano in una sola, ed i due corpi si riconoscevano come unica
entità da sempre predestinata a rincontrarsi e fondersi.
Scavalcata
la paura, Oscar sentiva, per la prima volta nella sua bizzarra vita,
di essere al posto giusto, di essere finalmente colei che voleva
essere, e non più quella che suo padre, o altri, volevano
che
diventasse.
Passato
l’attimo di intenso dolore dell’unione, si
sentì per la prima
volta completa, comprendendo solo in quell’istante cosa
volesse
dire essere in comunione completa con il proprio uomo.
Mentre
i loro corpi si muovevano selvaggi ed appassionati, lo sguardo di
André, immerso nella felicità più pura
e nell’amore più
sconfinato, non avevano lasciato per un attimo gli occhi di Oscar,
per coglierne e gustarne ogni sensazione, ogni pensiero, per
investigare ogni più piccolo indizio di disagio, se mai ve
ne
fossero stati.
Il
cuore del ragazzo batteva forte per l’emozione di quel
momento
atteso da sempre, ed ancor più per la consapevolezza che la
donna
per cui avrebbe dato volentieri la vita si stava donando a lui senza
remore, senza pudore, senza condizioni.
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Capitolo 18 *** 18 ***
Chiedo
scusa per il ritardo. Ho avuto un piccolo infortunio, nulla di grave,
ma non sono riuscita ad aggiornare.
La
storia continua. Spero piaccia a qualcuno. E grazie per i commenti.
Le prime timide
creature del giardino
uscirono dai loro rifugi a salutare il sole, i cui raggi filtravano
pacatamente dalle tende dell’abbaino, illuminando di una
soffusa e
calda luce i due amanti addormentati, l’una abbracciata
all’altro,
coperti da un caldo plaid.
I capelli biondi
della eterea creatura
erano sparsi disordinatamente su uno dei cuscini, e furono la prima
cosa che André vide aprendo gli occhi, credendo di essere in
paradiso. Si alzò lentamente su un gomito e rimase incantato
a
contemplare la realizzazione dei suoi sogni che dormiva accanto lui.
Lo sguardo di
André fu forse così
intenso che Oscar aprì gli occhi, incrociando lo sguardo
innamorato
– e forse un tantino ebete – dell’ex
amico. Gli sorrise
sorniona, stiracchiandosi come una gatta.
André
si accigliò un poco.
André,
rilassatosi, si lanciò alla
tortura di Oscar soffocandola di solletico, per poi finire a
soffocarla, corrisposto, di baci, e…
Era
già giorno da un pezzo, valutò
Oscar dalla posizione del sole, mentre si rivestiva con degli abiti a
lei più consoni, che lasciava sempre di scorta nella
soffitta per
ogni evenienza.
Non servivano
altre parole, fra loro,
Oscar aveva compreso benissimo a cosa André si stesse
riferendo.
Tutto sarebbe stato molto più complicato, da quel momento in
poi,
terribilmente complicato, ma l’unica cosa che Oscar aveva ben
chiara in mente era che per nulla al mondo avrebbe rinunciato ad
André, ed al loro amore.
-
Ti piace
ballare, André?
-
Si,
ma…
-
Allora si
balla !
-
Cosa intendi
dire?
Oscar si
voltò, terminando di
allacciare la cintura intorno alla vita sottile, guardò
André fisso
negli occhi, e rispose:
-
Intendo dire
che ora che ti ho trovato, ora che ho finalmente compreso per cosa
veramente valga la pena di combattere, non intendo farmela portare via
da chicchessia. Non hai un titolo nobiliare? E chi se ne frega ! Hai
molto più sangue nobile tu di quelli che si vantano di
averne da generazioni !
André,
il torso ancora nudo, si mosse
rapido a prendere Oscar fra le braccia, mentre lei, spogliata di ogni
corazza, si lasciava cullare dal ritmico battere del cuore del
ragazzo.
-
Non
sarà facile, lo sai… Potremmo tenere tutto
celato…
-
No,
André, non è giusto, e tu di certo non lo meriti.
-
Oscar, non
puoi rientrare in casa, presentarti a tuo padre e dirgli “Sai
papà, io ed André siamo amanti, e vogliamo stare
insieme alla luce del sole” e pretendere di rimanere
viva…
-
Ok, ma non
voglio nemmeno che ci riduciamo ad incontrarci come dei clandestini,
André.
-
Nemmeno io
lo voglio, Oscar, puoi immaginare che il mio più grande
desiderio sia di gridare al mondo intero quanto ti amo – ed
Oscar arrossì abbassando lo sguardo – ma dobbiamo
pur sempre garantircelo, un futuro…
-
Ma…
-
Dovremo
tenerlo nascosto, almeno per ora… dovrai trattarmi come al
solito, e continuare a darmi ordini, e punizioni, come hai sempre
fatto… al limite ci penso io a vendicarmi di
notte…
Oscar sorrise
nervosamente, piegandosi
all'ineluttabilità di come stavano le cose.
Sarebbe stato
tutto molto più
difficile, da quel momento in poi, ma non sarebbe stata sola ad
affrontarlo.
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