La maschera

di path94
(/viewuser.php?uid=4873)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 10: *** 10 ***
Capitolo 11: *** 11 ***
Capitolo 12: *** 12 ***
Capitolo 13: *** 13 ***
Capitolo 14: *** 14 ***
Capitolo 15: *** 15 ***
Capitolo 16: *** 16 ***
Capitolo 17: *** 17 ***
Capitolo 18: *** 18 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


Piccola nota introduttiva. 

Ci sono delle idee che nascono nel momento più impensabile, più inusitato, più assurdo, più inopportuno.

Questa mi è balzata in mente durante lo studio  per la preparazione di un esame di Letteratura Italiana (fortunatamente superato).

E la scrittura risente ampiamente della "full immersion" subita in Dante, Machiavelli e Verga.

Senza nessun ardire di notorietà, solo per passione per questa storia eterna, ho provato a vagheggiare anche io.

Spero che per voi valga la pena leggerla, quanto per me vale lo scriverla.

Questo capitolo, vale un po' da introduzione. Il resto verrà.

CAPITOLO 1

Si svegliò nel cuore della notte, madida di sudore, il cuore rombante nel petto come dopo una lunga corsa, i polmoni in fiamme ad anelare l'ossigeno, la mente piena del sogno appena interrotto, che iniziava già a vagheggiare nella veglia improvvisa, ma che le era sembrato terribilmente reale negli istanti di sonno ormai perduti.

 

Si alzò tremante, quasi infreddolita nonostante la finestra aperta lasciasse entrare l'aria tiepida della notte estiva, ed a piedi nudi si diresse ancora scossa verso la stanza da bagno.

L'acqua nella brocca era ormai quasi tiepida, visto la calura di quei giorni, ma tanto le bastò per tergere e depurare il suo volto dalle gelide stille di terribile sudore.

 

Quasi inebetita, ipnotizzata, riprese a vagare per la stanza appena illuminata dai primi raggi del mattutino sole, ripetendo con voce quasi inintelligibile: "Non voglio perderlo".

 

 

Il sole sembrava stentare nella sua cavalcata verso il cielo, quel giorno, che già un bianco cavallo galoppava fiero ove lo conduceva il suo fiero cavaliere.

La criniera dell'uno e la chioma dell'altro ballavano con il vento, ad imprigionare l'oro dei raggi solari, a sferzare guance e spalle.

Parigi era oramai in vista.

 

Rosalie riassestò una piccola ciocca ribelle dietro l'orecchio, canticchiando a bocca chiusa un motivetto un po' bambinesco, ma assai allegro, mentre tranquilla sfornava una piccola ciabatta di pane dal piccolo forno.

Il rumore degli zoccoli del cavallo la distolse rapido dal suo lavoro, non era cosa usuale quel suono in quella zona, dove ben pochi potevano permettersi l'acquisto ed il mantenimento anche solo di una gallina, figuriamoci di un asino o ancor più un cavallo.

Fu perciò con un misto di stupore, curiosità, e forse con un lieve presentimento, che si affacciò alla piccola finestra fiorita della cucina, a scrutare l'identità del nuovo venuto.

Il bagliore dei capelli le tolse ogni dubbio, e con un largo sorriso aperto sul viso si precipitò a spalancare l'uscio ancor prima che il visitatore potesse riuscire a bussare.

"Rosalie, ho bisogno del tuo aiuto".

 

 


Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


Ci sono occasioni, in cui le dighe di montagna, senza alcun preavviso, cedono ed inondano la valle sottostante.
Ci sono momenti, in cui anche colui che sembra più forte e resistente alle avversità della vita, cede improvvisamente.
Si può riprendere, è vero, può tentare di arginare i danni, ma non ritornerà mai come prima della rottura, e, forse, si renderà conto che le cose importanti sono altre, piuttosto che quelle sulle quali duramente ha basato l'intera sua esistenza.
E, sebbene riparata, la diga continuerà sempre a perdere qualche goccia.

Grazie a coloro che hanno letto e recensito. Quando si inizia a scrivere qualcosa con il cuore, non si sa mai se altri avranno il cuore di leggerlo, né se il cuore scrivano sarà in grado di farsi capire. Grazie.

P.S. I capitoli sono volutamente corti, perchè non penso ci sia gusto, a svelare tutto subito...  



CAPITOLO 2



"Grazie, Rosalie, sapevo di aver fatto la scelta giusta, rivolgendomi a te… In definitiva io vorrei… mi piacerebbe… avrei pensato… è tutta colpa di un sogno…" e così dicendo, nemmeno si rese conto di stare arrossendo come una giovinetta alla prima infatuazione, né di abbassare gli occhi vergognosi.

"Oh, insomma, Madamigella, fuori il rospo ! Vi sentirete meglio, dopo, ve lo assicuro !".

Oscar prese un profondo respiro, quasi a doversi immergere in acque profonde e nere, e, tenendo gli occhi sempre bassi puntati sulle mani ora abbandonate in grembo, sbottò: "Voglio partecipare ad un ballo come una vera dama, e ballare con André..."

Finita la frase, lasciò uscire il poco fiato rimastole con un sonoro sbuffo, abbandonò le spalle come vinte, e si arrischiò a sollevare gli occhi timorosi verso Rosalie, quasi nemmeno fosse lei, Oscar, l'invincibile guerriero, ma un docile cane bisognoso di una mano gentile che lo accarezzi.

Rosalie, che tutto sembrava fuorché stupita da cotale rivelazione, si aprì in un sorriso se possibile ancora più luminoso del precedente, ristette per un attimo, e poi lasciò libera uscita al fiume di parole che le si ammonticchiavano sulla lingua.

"Finalmente ! Questa sì che è una bella pensata, Madamigella, e scusate se ve lo dico ma mi par incredibile che sia venuta da voi… Dunque, ci vorrà un vestito, potremmo andare da Madame Vouloir, sicuramente avrà anche le scarpe, poi potrei acconciarvi io, con quei bei capelli biondi staranno sicuramente bene dei fiori azzurri, e poi dovrete farvi prestare da vostra Madre dei gioielli, magari anche una tiara, ed il ventaglio, e…."

"… e André non dovrà riconoscermi, Rosalie".

"Cosa? Cosa intendete significare? Come potrebbe André non riconoscere proprio VOI?".

 

Oscar chinò il capo sempre più vinto, chiuse gli occhi per non veder l'espressione di Rosalie alle sue prossime parole, e si confessò:

"Rosalie, ho sognato di perdere André, di vederlo innamorarsi di un'altra donna più… più donna di me - disse alzando ferma una mano a bloccare sul nascere ogni rimostranza della giovane - e vorrei vedere con i miei occhi, rendermi conto se davvero questo potrebbe accadere. So che fra non molti giorni si svolge a Parigi l'annuale Ballo in Maschera, ed avrei pensato di far recapitare ad André un invito per quel ballo, e recarmici io stessa in maschera..."

"Magamigella, perdonate la mia schiettezza, ma non sarebbe più semplice se voi finalmente vi dichiaraste a quel povero ragazzo, che sono anni che vi adora e vi ama in religioso silenzio? ".

"E se invece, con tutto quel che gli ho fatto, non mi amasse più ?" sbottò Oscar saltando in piedi, battendo una mano sul tavolo e scaraventando la sedia lontano, che cadde con un leggero lamento quasi indignata da tale veemenza.

"Non lo reggerei, Rosalie, se dicesse che non mi ama più, io, Capitano dei Soldati dell'Esercito di Parigi, non sarei in grado di sopravvivere se André mi dicesse di non volermi più… Rosalie, non ce la farei, non potrei farcela…".

Gli occhi della giovane si inumidirono di fronte a tanta fragilità nascosta dietro la facciata di fiera belva, e non seppe resistere all'impulso di abbracciare la "sua" Madamigella, che le si accoccolò, finalmente, forse per la prima volta in vita sua, conscia di non essere sola a portare la pesante condanna delle scelte di suo padre.

 


Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


Crudele forse, sadica mai... 

La verità è che, più che per soddisfare le giuste richieste dei lettori, pubblico per soddisfare la mia necessità di farlo.

Il problema, è che scrivere è diventata una droga, per me... 

Grazie a chi ha la pazienza di leggere i miei vaneggiamenti.

CAPITOLO 3

André si lasciò pesantemente cadere dal dorso del cavallo, le spalle curve di sonno e la divisa sfatta di fatica, e guidò lentamente il destriero alla stalla, dove sarebbe stato accudito amorevolmente.

Si trascinò stanco verso l'entrata, e la cucina, dove trovò, come d'uso, la sua dolce nonnina perennemente indaffarata nella preparazione di questa o quella leccornia, e sentì il familiare profumo di pane che per lui aveva sempre significato "casa". Ma ora non più, non completamente, almeno.

Oscar era diventata ormai, per lui, un mistero insondabile, un labirinto così complicato che il rischio era di smarrirvisi a vita, e lui cominciava ad essere stanco di tutta quella situazione.

Un giorno era radiosa come il sole, e contagiava e coinvolgeva anche il suo vecchio compagno di giochi e duelli, il giorno dopo era puntuta come un istrice arrabbiata, e lo lasciava a distanza quasi fosse appestato; il giorno dopo ancora era misteriosa, evanescente, e la scopriva spesso a rivolgergli occhiate furtive e colpevoli, senza che fosse possibile cavarle una parola di spiegazione.

E in più, c'erano quei turni, quei maledetti turni doppi che Oscar dava loro, che era obbligata a dar loro dalla necessità impellente di mantenere sotto controllo l'ordine pubblico, sempre più attanagliato da un fermento che animava le fila dei cittadini scontenti e scoraggiati.

Il caldo delle roventi giornate li inondava di sudore, il subdolo fresco della notte li raggelava, la fatica li fiaccava e toglieva loro ogni forza, ed ogni volontà.

Quella volta, gli era finalmente toccata una notte di licenza, e si era affrettato a tornare a casa da sua nonna, sperando di trovarvi anche una Oscar un po' malleabile, o per lo meno cordiale, con la quale passare, finalmente, qualche tranquillo momento davanti al camino, sebbene spento, a conversare di libri e futili amenità.

 

Mentre lento saliva le scale che lo avrebbero portato alla sua stanza, udì la sottile voce della nonna che lo chiamava:

"André, hanno recapitato una missiva per te, stamattina. L'ho messa sul tuo letto.".

La curiosità un po' stupita di quella novità riuscì a fargli accellerare il passo, fino a spalancare con poca grazia l'uscio della sua stanza, e percorrere a lunghe falde il breve tragitto fino al letto.

Lì, come preannunciato, giaceva una busta bianca, che anche da lontano emanava un fragrante profumo di magnolia. André la prese, scrutò pensoso il suo nome scritto come indirizzario, cercando di individuare il latore di quella missiva. Sconfitto dai pochi indizi, si sedette sul letto e si decise ad aprirla, d'un colpo solo, e ad estrarre il semplice cartoncino profumato che la busta conteneva.

 

La Signoria Vostra è gentilmente invitata a prendere parte al prossimo Ballo in Maschere presso il Salone delle Feste di Palazzo Gautier, che avrà luogo il prossimo 24 giugno.

Si raccomanda l'utilizzo della maschera onde evitare il riconoscimento di Vossignoria da parte di alcuno, nella piena attuazione dello spirito goliardico di cotale avvenimento.

 

Sotto all'invito, scritto in caratteri ricercati dalla mano di un probabile esperto scrivano, restavano, piccole ma non timide, alcune righe scritte da una mano ben più gentile e femminea:

 

Mio Cavaliere, avrei l'ardore di volerVi vedere presente  a codesto accadimento, per poterVi offrire la mia tremante mano all'onore di un ballo, e realizzare l'innocente desiderio di una Dama che anela al Vostro tocco ed al Vostro sorriso.

 

André restò perplesso da tale missiva: chi mai avrebbe potuto mandargli un simile messaggio, a lui, anticamente frequentatore per dovere della Corte di Francia e dei suoi mondani eventi, ma ormai da un pezzo umile soldato dell'esercito?

E poi, con quale tono allusivamente nascosto, si provava quella dama a chiedere un ballo con lui?

La sua dignità di uomo, così spesso calpestata dall'amore incondizionato che l'aveva reso schiavo, si rinvigorì improvvisamente, riuscendo a mettere a tacere le innamorate voci che gli rammentavano del suo Bene più prezioso, dell'Amore della sua vita, di Colei… che mai si sarebbe rivolta a lui con cotali parole.

A questo rendersi conto, prese una turpe ed insensata decisione: sì, per una volta nella vita, avrebbe vissuto anche lui, sarebbe andato a quel ballo, con il volto coperto da una nera maschera, ed avrebbe scrutato fra le dame per trovare colei che così ardente invito gli aveva recapitato. E avrebbe rimpinzato un po' il suo orgoglio maschile, avrebbe ballato con lei, le avrebbe strappato dolci ridolini e tenui pudori ai suoi complimenti, l'avrebbe stretta fra le braccia volteggiando con lei o mostrandole i disegni delle stelle del cielo, e poi…

E poi sarebbe tornato alla sua esistenza di cane al guinzaglio, ove il cane mai si vorrebbe staccare dal suo guinzaglio, nella speranza si una carezza della sua padrona.

Né Oscar avrebbe mai dovuto sapere di quella pazzia.

 
 

Alain non riusciva proprio a capire il suo compagno di camerata. Da quando era tornato dalla licenza appariva distante, svanito, pensieroso, a volte estatico, e subito dopo precipitato nell’abisso di più profonda sofferenza e melanconia. Né erano valsi a qualsiasi cosa gli innumerevoli, a volte subdoli, a volte apertamente sfacciati, tentativi di cavargli qualche informazione dalla bocca, le sue labbra sembravano cucite a doppio filo.

Nei momenti di estasi, lo vedeva perdere lo sguardo dell’unico occhio buono verso le infinità del cielo, e le labbra piegarsi, forse involontariamente, in un sorrisetto sardonico, che mai gli aveva veduto prima in volto.

Ma, cosa ancor più bizzarra, André aveva, negli ultimi giorni, diradato radicalmente le sue visite, accidentali o procurate, all’Ufficio del Capitano, di quella fiera Amazzone bionda che, Alain lo sapeva ormai bene, da anni gli rubava il sonno e la vita. E questo era strano, decisamente strano, e preoccupante.

La parte goliardica di Alain andava ripetendogli che, forse, finalmente il suo compagno d’arme si era deciso ad aprire occhi e cuore, ed a svincolarsi di quella catena che non lo avrebbe portato a null’altro se non sofferenza eterna.

La parte razionale di Alain, così spesso messa in disparte perché, sebbene ragionevole, risultava discretamente noiosa allo stesso suo padrone, ora risvegliatasi urlava a gran voce che c’era davvero qualcosa che non andava, e di stare all’erta perché quel caro “imbecille” innamorato avrebbe potuto combinare disastri.

Ma, in definitiva, con i turni massacranti di quel periodo, di tempo per pensare, o anche per agire, ne restava davvero poco…

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


Innanzitutto una precisazione: non mi offendo assolutamente per le critiche, anzi, ringrazio tutte coloro che con i loro commenti ed i loro pareri e consigli mi stanno aiutando a migliorare nella scrittura di questo ed altri lavori. Siete per me una fonte di ricchezza, non certo di offesa.

La trama comincia a dipanarsi, poco per volta. Anche se mi sto rendendo conto di non essere io l'inventrice di tutto questo, perchè sono i "miei" personaggi che costruiscono e narrano ognuno la propria storia. A me non resta, povera pittrice di favole, che cercare indegnamente di dipingere quel che vedo.

Grazie a tutte, e buon fine settimana
.


CAPITOLO 4



Oscar non era più tornata a casa, dopo la cavalcata fino alla casa di Rosalie, anzi, Rosalie stessa aveva fatto il diavolo a quattro perché la “sua” Madamigella rimanesse a condividere con lei e Bernard l’abitazione, con la scusa di averla a “disposizione” per tutto quel che riguardava la preparazione della sua “apparizione” al ballo in maschera. Aveva tentato invano di convincere la cara ragazza ad accettare almeno qualche soldo per contribuire alle ovvie spese che il mantenimento di una persona in più comporta, ma si era scontrata con un muro inamovibile.

Oscar aveva dovuto capitolare, a tanta insistenza e resistenza di Rosalie, ed ultimamente le sembrava di arrendersi troppo spesso, rammollendosi forse. Ma, stranamente, tale cedevolezza non le dava il tormento dell’anima che si sarebbe aspettata di provare.

Il giorno, attendeva ai suoi doveri massacranti di Capitano impartendo duri ordini, soffrendo nel farlo rendendosi, forse per le prime volte, conto della fatica immane e scarsamente retribuita che chiedeva ai “suoi” uomini.

La sera, si trasformava in plastilina nelle mani di Rosalie, che, facendola camuffare sotto un anonimo mantello sì che nessuno potesse riconoscerla, sia per pace che per oltraggio, la trascinava implacabile verso questo o  quel negozio, spesso passando dal retro, dove Oscar era costretta, o, meglio, SI era costretta a provare innumerevoli abiti di gala, uno più bello e più rigidamente scomodo dell’altro, uno che più dell’altro ricordava alla sua figura riflessa la prepotente verità dell’esser donna.

La terza sera di questo impossibile castigo, mentre Rosalie discuteva animatamente con la titolare dell’atelier che insisteva assolutamente nel voler far provare ad Oscar un vestito di quel famoso color “pulce” di cui tanto si era parlato a corte, alla vista del quale Oscar proprio non riusciva a smettere di arricciare il naso dal disgusto, girando lo sguardo sulle vetrine pur di non vedere ancora la pulce, Oscar fu come catturata, attirata inspiegabilmente verso un manichino discosto, quasi nascosto, messo in disparte.

Non era da lei, certo, essere attirata da un abito, ma c’era qualche cosa in quello che l’ipnotizzò e le riportò alla mente un avvenimento ben preciso, forse volontariamente dimenticato eppure mai completamente rimosso dalla sua mente.

Il vestito, dalle linee semplici e morbide, era di un irreale colore blu, di quel blu che solo alcune notti serene del cielo d’estate permettono di catturare, trapuntato di minuscoli cristalli di quarzo bianco, cristallo di rocca riconobbe subito Oscar, che iridescenti richiamavano alla mente l’immenso numero di stelle del cielo.

Oscar non si rese nemmeno conto di essersi alzata di scatto e mossa verso l’abito, né di averlo accarezzato fino a che non sentì la morbidezza del tessuto sotto le dita.

“Questo, non altri”.

Invano la civettuola Madame Girand tentò di farle cambiare idea, proponendole una miriade di altri colorati pomposi infiocchettati ridicoli abiti, Oscar tagliò corto con un semplice gesto della mano, e guardò Rosalie negli occhi, che le sorrise annuendo compiaciuta.

Quella sera, stesa ancora vestita e con gli stivali nel semplice lettuccio che amorevolmente Rosalie le aveva preparato, le braccia allungate con le mani dietro la nuca, Oscar guardava il soffitto senza vederlo, mentre le immagini prepotenti di quel ricordo prendevano vita.

 
 
 Era stato un giorno strano, quello.

Era il giorno di Natale. Oscar compiva 10 anni, e quello stesso giorno sua sorella, a soli 14 anni, si era sposata. In virtù di quella occasione, in compleanno di Oscar, seppur mai largamente celebrato, era passato completamente inosservato a tutti, sua madre compresa, troppo indaffarata a preparare e piangere per la sua figliola sposa.

L’unico che l’aveva sorpresa, come sempre, era stato André, presentandosi  appena sorta l’alba, con un regalo alquanto insolito: una intera nidiata di pulcini, nati quella notte. Era corso in camera di Oscar, spalancando la porta con un calcio, le braccia piene di pigolanti fuggitivi, urlando “Oscar, Oscar, buon compleanno, guarda ! “ e le aveva scaricato i pulcini, dieci appunto, sul letto.

Oscar, svegliata di soprassalto, aveva guardato prima i pulcini che le rotolavano maldestramente sulle coperte, poi il viso accaldato ed in attesa di André, e si era lanciata in un abbraccio stritolatore, così poco consono ai rigidi insegnamenti di suo padre, e così sincero e liberatorio, che André non aveva potuto non ricambiare con i gesti un po’ impacciati da undicenne arrossito.

Terminata la festa per il matrimonio della sorella, André aveva trascinato Oscar, tutta impettita nella sua divisa della scuola militare e terribilmente irritata dal suo “mancato” compleanno e dal non capire come una quattordicenne potesse sposare un “vecchio” di trent’anni, verso le scuderie.

Come un mago che estrae il coniglio dal cappello, André aveva fatto uscire dalle scuderie i loro cavalli preferiti, perfettamente sellati e pronti, l’aveva convinta a lasciare la divisa nella stalla ed ad indossare un caldo mantello, per poi partire al galoppo verso una radura poco distante.

Lasciati i cavalli a pascolare la poca erba scampata al rigore dell’inverno, sul ciglio del fiume, aveva steso una coperta sul suolo, e vi si era seduto, invitando Oscar a fare lo stesso. Quando  si fu seduta, Oscar non riuscì a trattenere quella domanda che sin dall’inizio le bruciava sulla lingua: “André, perché mi hai portata qui?”

“E’ per darti il tuo regalo di compleanno, Oscar. Chiudi gli occhi, e stenditi. Poi quando te lo dirò, aprili.”.

Stranamente docile, forse anche per colpa di quel vino rubato al ricevimento, Oscar obbedì al suo giovane amico.

“Apri gli occhi, Oscar, quello che vedrai è il mio regalo per te. Buon compleanno.”

Oscar aprì le palpebre, e si sentì mancare il fiato. Dinanzi a lei, chiaro come mai lo aveva visto prima, stava l’immensità del velluto blu del cielo, trapuntato da milioni di diamanti scintillanti nella fredda aria di dicembre. La Via Lattea scorreva placida nel cielo come un nastro incantato, mentre André disegnava per Oscar nel cielo le figure mitologiche che avevano conosciuto noiosamente sui libri, Orione, Taurus, i Gemelli, le Pleiadi, e le raccontava le storie di quegli eroi con ardore amorevole.

Oscar rapita non disse una parola, dimenticandosi fin di respirare, mentre orgogliosamente tentava di cacciare indietro le lacrime che le pungevano gli occhi.

Si mise seduta, con gli occhi ancora pieni di stelle, ed interruppe il suo dolce favoliere che stava narrando la storia di Cassiopea, con una domanda: “André, tu pensi che io potrei essere donna abbastanza, per essere amata da un uomo?”.

André, con il dito ancora puntato in aria, puntellato su un gomito, la guardò negli occhi sofferenti con un’espressione stupita. Come poteva anche solo pensare di non essere abbastanza femmina da diventare donna e far innamorare qualcuno? Lui, nonostante la divisa della scuola militare, le spade e tutto il resto, non riusciva nemmeno a pensare a lei come qualcosa di diverso da una donna che stava sbocciando.

“Perché me lo chiedi, Oscar? Come puoi avere un dubbio simile?”

Oscar lo guardò con il cuore dolorante. Da poco aveva dovuto scontrarsi con l’ineluttabilità dell’essere femmina deciso dalla natura, contro la quale nemmeno la ferrea disciplina di suo padre poteva nulla, ed aveva assistito quel giorno allo spettacolo degli occhi scintillanti di gioia e di desiderio represso di sua sorella che guardava quel vegliardo di suo marito, ben sapendo cosa avrebbero poi fatto quella sera stessa, la guardava mentre felice si faceva baciare, e baciava…

“André, mi daresti un bacio? Uno di quelli veri, da grande, intendo.”

Si era aspettata un orripilato rifiuto da parte dell’amico, e si trovò invece accarezzata dolcemente dalla mano un po’ tremante di inesperienza ed emozione di André. Chiuse gli occhi, ed attese qualcosa. Le rispose una dolce tremula pressione, alquanto piacevole in verità, sulle labbra, durata qualche istante solo eppure così lungamente sentita. Quando lui le lasciò impacciato le labbra, avvertì come una sensazione di solitudine e di freddo.

“Com’è stato?” le chiese imbarazzato André.

“Umido…” rispose Oscar, che altro non avrebbe saputo esprimere del tumulto interiore che le faceva battere forte il cuore, quel cuore che avrebbe presto imparato a far tacere.

Si guardarono un istante negli occhi. Poi scoppiarono a ridere, senza più riuscire a fermarsi.


Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***


Chiedo venia del ritardo, l'ispirazione è a volte una bestia volubile, che ti assale e non ti lascia tregua a volte, ed a volte si rintana in un cantuccio della grotta più buia a sonnecchiare.

Ringrazio chi ha avuto la bontà di commentare, e rendo una piccola risposta ad una questione che mi è stata posta. Oscar non si "crede" donna a 10 anni, si prefigura solamente come tale. E' pur vero, comunque, che in quell'epoca era d'uso far sposare le ragazze molto giovani, anche a 13/14 anni, e perciò suppongo che la definizione allora data di "donna" potesse essere, a 10 anni, la stessa che noi oggi applichiamo ai 16/17 anni.

Con la frase "Da poco aveva dovuto scontrarsi con l'ineluttabilità dell'essere femmina deciso dalla natura", intendevo poi significare che Oscar era "diventata signorina" (come si diceva ai miei tempi :) ) da poco, e che quell'evento, naturale e perciò, appunto, inevitabile, nonostante l'educazione maschile ricevuta, le aveva creato non pochi dubbi e domande, abbastanza ovvie anche a quell'età, e, forse, soprattutto, nella sua condizione.

Una volta di più, vi ringrazio per l'attenzione e le edificanti critiche che mi ponete, vi ringrazio perchè mi state davvero aiutando a crescere (sebbene io non sia più, ormai - sigh - una giovincella...).

.

.

Il conte Hans Axel von Fersen uscì a passi pesanti dalla porta della servitù della reggia di Versailles.

Il suo cuore sembrava fattosi di piombo, tanto era diventato pesante. Vedere la regina, il suo Amore unico, e non poterla nemmeno sfiorare con gli occhi, dover misurare attentamente parole, gesti e sguardi per non allarmare alcuno dei troppo numerosi cicisbei che arrogantemente attorniavano la famiglia reale, e per non incorrere in parvenze di pettegolezzo che sicuramente si sarebbero ingranditi sulle bocche sboccate di quelle bisbetiche che di blu avevano solo il vestito, e non certo il sangue nobile.

Lentamente, col capo chino di chi ha troppi pensieri in testa, si diresse verso la sua carrozza, resa anonima dall’eliminazione di sfarzi e stemmi, sia per non essere riconosciuto, sia perché, di quei tempi, era buona cosa evitare di farsi notare, attraversando Parigi, da qualche facinoroso contadino armato di forcone o, peggio, di moschetto.

Una voce trillante attirò momentaneamente la sua attenzione, facendogli volgere il capo verso la fonte di tanta allegrezza, e concentrandosi sulle parole che la dama, a cui apparteneva la voce, stava pronunciando.

“Oh, sì, quest’anno ho proprio deciso di partecipare! Sapete, mio marito è via per lavoro, e non tornerà prima di un mese… di certo non potrà venire a sapere nulla, di quel ballo, e sicuramente nessuno potrà riconoscermi, per via della maschera… Ho già pronto un vestito che ho conservato appositamente per l’occasione, non l’ho mai messo qui a corte, così che se dovessi trovarvi qualche gentiluomo che frequenta il nostro entourage, potrei civettare senza che egli mi riconoscesse… Sarà divertente, anche se non è stato affatto facile procurarsi gli inviti…”

“Quando hai detto che avrà luogo?” ribatté l’altra dama, che stava letteralmente pendendo dalle labbra dell’amica, sbavando figuratamente per il desiderio di poter essere al suo posto.

“La sera di San Giovanni, il 24. Oh, cara, non hai idea di come sia in fibrillazione… non sia mai detto che, fra tutti i baldi giovani che mi hanno detto prendono solitamente parte al ballo, non ve ne sia qualcuno con il quale approfondire la conoscenza, se capisci ciò che intendo…”

E così facendo, riprese a ridere, peraltro alquanto sguaiatamente, mentre Fersen, nauseato da tanta sfacciata lussuria ed infedeltà, scuotendo la testa salì sulla carrozza.

Ma, durante il tragitto, le parole della dama gli martellavano incessantemente la testa, e non riusciva a venirne a capo, né a dimenticarle. Il Ballo in maschera, lo stesso al quale aveva incontrato per la prima volta la “sua” Regina, la sera in cui se ne era innamorato perdutamente. Chissà come sarebbe stato, prendere di nuovo parte a quella serata… gli avrebbe sollevato lo spirito, o lo avrebbe affossato completamente?

§

§

§

Alain osservava perplesso il suo amico, suo fratello ormai, André, che, in completa uniforme, percorreva a lunghi passi la camerata, le mani dietro la schiena, le spalle inclinate in avanti, lo sguardo fisso a terra, la bocca serrata in una piega indecisa.

Decise di lasciar perdere, tentare di capire André equivaleva a farsi venire un gran bel mal di testa, e di certo in quel momento non ne aveva alcuna voglia.

Si lasciò nuovamente andare con la testa sul cuscino del suo giaciglio, con ancora gli stivali ai piedi, il colletto dell’uniforme scompostamente slacciato,  gli occhi chiusi e l’ennesima sigaretta, ancora spenta, fra le labbra increspata di un sorrisetto sardonico. Avrebbe atteso che “sua Maestà” André si decidesse di metterlo a conoscenza dei suoi pensieri. Sempre che ne avesse avuto voglia. Ma non era importante.

André continuò a lungo il suo pellegrinaggio andata/ritorno per le fredde pietre del pavimento consunto, fino a che si fermò di colpo, volse appena il capo verso Alain, per un laconico messaggio:

“Ho da fare, ci vediamo dopo”.

E uscì come una furia, mentre le labbra di Alain, gli occhi sempre chiusi, si curvavano in un divertito sorriso.

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Capitolo 6 ***


Eccomi di nuovo... o troppo o niente, lo so, ma non so se la prossima settimana riuscirò ad aggiornare, quindi lo faccio ora.

Spero di non deludere nessun lettore. Da questo momento in poi i "miei" personaggi dimostreranno forse un po' troppo di quel che hanno dentro, ma tant'è, io mi limito a descrivere ciò che loro mi dimostrano... Buona lettura.

.

.

.

Oscar era tesa, troppo tesa.

Era il pomeriggio del 24 giugno, ed ancora André non s’era visto.

Non sapeva se rallegrarsi o meno della mancata richiesta di licenza da parte del suo attendente, che sarebbe stato di ronda quella sera, ma ancora di più si sentiva derubata di qualcosa, data la freddezza di André degli ultimi giorni, ed il diradarsi delle sue visite, lui, che fino a qualche tempo prima trovava ogni scusa, plausibile o non, per recarsi a rapporto dal suo Capitano.

Immersa in questi pensieri, la mano stretta intorno ad una penna che non avrebbe mai finito di compilare quel noioso rapporto, trasalì fortemente quando udì bussare alla porta.

Con il cuore che minacciava di fuoriuscire dal petto, prese un profondo respiro a tentare di dare, almeno alla voce, una parvenza di normalità, e, da perfetto Capitano, rispose con un secco e potente “Avanti!”.

La porta si aprì piano, troppo piano, ma Oscar si rese a malapena conto di aver cominciato a versare stille di sudore freddo mentre fissava, troppo fissamente, la porta.

Il povero cuore impazzito del bel Capitano ebbe un piccolo collasso di delusione, quando vide poi spuntare la sagoma baffuta del Generale Bouillet, ma tant’era, ed Oscar si rassegnò all’ennesima finzione di calma di quei giorni.

 §

André procedeva a passo incerto, titubante, per il lungo corridoio rabbuiato che portava all’ufficio del Comandante.

Giunse infine davanti alla pesante porta di legno dai possenti cardini di ferro, inalò e rilasciò quanta più aria gli fosse possibile, ed alzò la mano chiusa a pugno per bussare alla porta ed annunciarsi.

Un istante prima di colpire il duro legno, avvertì le concitate voci della sua amata e di un timbro maschile che riconobbe come quello del Generale Bouillet, e si fermò, immobile come una statua di sale, mentre i mille pensieri che fino ad un attimo prima era riuscito a tenere a bada si riversarono iracondi nella sua testa, aggredendo anche il cuore.

Si appoggiò sfiancato al muro opposto, incapace di fermare il turbinio dei pensieri, tentando almeno di mettervi un po’ di ordine, di tentare di capire se stesso.

Stava per andare a chiedere ad Oscar, la SUA Oscar, una licenza per quella sera, per partecipare al Ballo in Maschera.

Stava per andare a chiedere ad Oscar un permesso per “tradirla”, per incontrare altre donne, come sicuramente sarebbe accaduto, e forse qualcuna si sarebbe anche fatta avanti con delle avances.

Oscar era tutto il suo mondo, la sua luce abbagliante, le sue tenebre avvolgenti e sicure, il suo caldo rifugio nel freddo inverno.

Oscar era tutto quel che avrebbe voluto avere, ma non gli dava nulla, solo freddo pungente e pungenti risposte.

Viveva per Oscar, non sapeva fare a meno di lei.

Oscar, sembrava, sapeva fare maledettamente bene senza di lui.

Avrebbe voluto stringere Oscar fra le braccia, scaldarla con il calore del suo corpo, carezzare ogni centimetro di pelle, assaporare quelle sue labbra che sapevano di fragola e ciliegia, marcare con la sua presenza ogni sua intima fibra. Ma a lei, tutto questo probabilmente non interessava.

Avrebbe potuto danzare, quella sera, stringendo a se femminei e seducenti corpi di celati visi e sconosciute donne, che si sarebbero beate del tocco forte e gentile della sua grande mano, e del calore cocente del suo corpo danzante. A loro, tutto questo sarebbe probabilmente interessato, e molto, e fino in fondo.

Cuore e cervello duellavano in una lotta pari, in cui sembrava che alcuno avesse la meglio sull’altro.

 §

André balzò dritto in piedi, rigido e con il braccio alla tempia, immobilizzato nel formale saluto che si deve ad un superiore, quando il Generale Bouillet, decisamente rabbuiato e con un diavolo per capello e per baffo, uscì furiosamente dall’Ufficio del Capitano, lasciando la porta appena accostata.

Oscar, che non aveva alzato minimamente gli occhi all’uscita vigorosa del suo superiore, levò le orbite invece come invogliata da una soprannaturale forza, appena in tempo per intravvedere una sagoma dai capelli corvini che salutava militarmente il Generale, prima che la pesante porta si socchiudesse del tutto.

Il cuore di lei, che si era di malavoglia calmato nonostante il battibecco con il Generale, riprese a galoppare come un cavallo al quale sia stata negata troppe volte la libertà, e che quando la riconquista, vola sulle ali del vento ad aspirare forte l’odore di indipendenza.

Oscar si alzò lentamente, attendendo il momento in cui André avrebbe bussato per entrare, si avvicinò alla porta perché fosse più vicino una volta entrato, ed attese, gli attimi divenuti secoli.

 §

André, la mano ancora fissa nel saluto, volse l’iride color smeraldo al pertugio lasciato dalla porta, intravvedendo l’oggetto di ogni sua più grande passione e di ogni sua più cocente rabbia.

I biondi capelli della sua amazzone cadevano dal capo fin sulla scrivania, mentr’ella era intenta a scrivere, la mano avvolta elegantemente attorno alla fortunata penna, al posto della quale avrebbe voluto egoisticamente essere.

Rilasciò i muscoli contratti, e si avvicinò nuovamente alla porta, mentre il duello interno riprendeva, più focoso ancora che prima, e lo costrinse ad appoggiarsi, schiena al duro legno, al battente chiuso, la testa riversa in alto in angosciata indecisione.

 § 

Oscar fremette, confusa. Perché non bussava? Perché non entrava? Cosa stava facendo, André, lì fuori?

Raggiunse il battente chiuso ed appoggiò la fronte sconfitta al freddo legname, gli occhi chiusi ed il respiro un poco affannato.

Trattenne il respiro e spalancò gli occhi, quando udì che, dall’altra parte del battente, un respiro altrettanto frammentato ed affannato sembrava fare eco al suo.

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** Capitolo 7 ***


Ordunque... potrei cominciare ringraziando le affezionate lettrici e commentatrici che mi indicano costantemente la via come un faro fa da guida nella buia notte. Apprezzo molto i vostri commenti che mi aiutano a dare il massimo e mantenere un livello perlomeno costante.

Poi... ci sono dei momenti in cui proprio non c'è la voglia di mettere mano ai tasti, ed altri in cui la voglia di scrivere e comunicare non lascia spazio ad altri pensieri, ad altre attività, siano esse durante il giorno... o nel cuore della notte.

Infine, ci sono situazioni che si costruiscono, che si dipingono da sole, e a me, povera scrivana, non resta mettere mano a pennello e tavolozza. Buona lettura.

.

.

.

Alain si alzò di scatto dalla branda, sorprendendo i suoi commilitoni intenti a giocare a carte, tanto che uno di essi ruzzolò dalla sedia fino a toccare il pavimento, guardandosi però bene dal pronunciare un qualsivoglia insulto contro il suo “capo”.

La sigaretta ancora spenta in bocca, si diresse deciso verso l’ufficio del Comandante. Se André era così conciato, di sicuro non avrebbe ancora trovato il coraggio di fare nulla, qualunque fosse la cosa da fare.

E difatti lo trovò lì, con la schiena appoggiata alla porta ed il respiro ansante come di uno che aneli all’ossigeno dopo esser quasi affogato. Per la prima volta, ebbe compassione del suo amico innamorato.

Gli si parò davanti, e, con il piglio di chi non ammette obiezioni, lo prese per un braccio con una morsa implacabile, e bussò pesantemente alla porta.

*

*

*

Oscar trasalì all’improvviso rumore, si riscosse da quell’apatia che l’aveva colta, e rapida riprese il cipiglio che il suo grado le imponeva.

“Avanti”, disse, forte, chiaro, duro, senza alcun tremore, per fortuna, nella voce.

“Salve Capitano” disse Alain entrando baldanzoso nell’ufficio, trascinando con sé un riluttante André.

Oscar, le mani dietro la schiena, le spalle dritte, soffocò quel piccolo moto di sorpresa e rispose al suo soldato.

“Buongiorno, Alain, André. Cosa succede?”

“Beh, no, niente di particolare, Capitano… Volevamo solo chiederle se poteva concederci una licenza, per questa sera. Vede, la situazione sembra tranquilla, e la ronda sarebbe comunque coperta”.

Lo sguardo perplesso di Oscar saettò dal volto sardonico di Alain a quello di André, che sfuggiva il confronto e sembrava non avere il coraggio di guardarla negli occhi.

“Sei sicuro, Alain? Chi altro c’è di ronda, stasera? Avete intenzione di farvi il giro delle bettole della zona, vero?”

“Sa, Capitano, gli uomini a volte hanno dei bisogni impellenti da soddisfare, non so se mi spiego… Comunque stasera ci sono Lasalle ed altri tre, se la caveranno tranquillamente”

Oscar strinse serratamente le labbra, la mente in rapido lavoro. Bisogni impellenti? Se si spiega? Non so con chi crede di avere a che fare, ma, accidenti a me, so ben io quali impellenti bisogni hanno gli uomini come Alain. Ma André? Anche lui, il mio André, ha intenzione di vagare per le bettole in cerca di un corpo caldo ed accondiscendente? Ma se non gli concedo la licenza, qualunque minima speranza di attuare il mio infantile, lo so, gioco di questa sera va a sfumare. E se fosse tutta una scena per non dirmi di stasera?

“Va bene, Alain, avete avuto un periodo pesante, credo di potervi concedere una serata di svago. Ma che non succeda più che veniate a chiederla con un tale breve preavviso, e, soprattutto, vedi di allacciare quell’uniforme !”.

Oscar firmò rapidamente due fogli di congedo e li porse ad Alain, visto che André sembrava non avere altra aspirazione che tramutarsi in un pezzo di tappezzeria per muro.

Alain alzò la mano in uno sghembo saluto militare, scoccando nel contempo un occhiolino alla stupita Oscar, e se ne uscì.

André alzò per un istante gli occhi ad incontrare quelli di Oscar, leggendovi… Cosa? Delusione? Ansia? Paura? Aspettativa? Stupore? Perplessità? Gli sembravano così lontani, i giorni in cui riusciva a leggere nell’animo di Oscar come in un libro aperto. Sostenne per un attimo ancora il suo sguardo, accennò un breve sorriso ed uscì, lasciando Oscar ai suoi confusi pensieri.

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** Capitolo 8 ***


Devo ammetterlo, il dubbio si sta insinuando in me... Quale dubbio? Quello di essere sulla buona strada per diventare un po' crudele...
La verità è che adoro centellinare i capitoli, perchè ho la presunzione di credere che così si gustino un po' meglio, e che quella pausa fra una pubblicazione e l'altra stimoli terribilmente la fantasia di un lettore, a tentare di indovinare cosa avverrà nel capitolo successivo.
E, poi, Lady Oscar docet, no? Sia nell'anime che nel manga (che per inciso mi sono riletta completamente prima di imbarcarmi in questa avventura) si finiva sempre sul più bello. E chi sono io per fare diversamente? Buona lettura.
*
*
*

Rosalie sembrava elettrizzata, indiavolata, arrabbiata, ed emozionata allo stesso tempo, mentre Oscar si chiedeva come potessero coesistere così tante emozioni in una stessa persona ed in uno stesso istante, e contemporaneamente si rendeva conto di essere lei stessa vittima di un turbine inestricabile di intense e contrastanti emozioni.

“Madamigella, ora basta, avete preso un impegno ed ora lo dovete portare a termine. Me lo avete insegnato voi, dopotutto, gli impegni vanno rispettati, siano essi un duello… o un ballo !”.

Oscar gemette silenziosamente quando Rosalie le strinse i lacci del corsetto intorno al busto. Per la seconda volta nella sua vita, si stava volontariamente sottoponendo a quella immane tortura per colpa, o merito, di un uomo, ma non dello stesso.

Improvvisamente, un dubbio le balzò alla mente.

“Rosalie” - disse, quasi urlando, con il poco fiato che il corsetto le permetteva – “come faccio, a non farmi riconoscere? Con questi capelli sarò fin troppo riconoscibile da André, seppur vestendo una maschera!”.

Rosalie lasciò momentaneamente la tortura intrapresa, guardò Madamigella Oscar con occhi brillanti e furbi, e si avvicinò furtiva ad una scatola tonda di cui Oscar non aveva notato l’esistenza, la aprì, vi infilò le mani e delicatamente sollevò una massa nera e morbida, che Oscar d’impulso e con ribrezzo classificò come la pelliccia di un gatto, ma che si rivelò essere una splendida parrucca.

“Madamigella, con questa sul capo sfiderei anche vostra madre a riconoscervi!” esclamò raggiante.

Oscar,dopo un attimo di immobilità, scoppiò a ridere, quella ragazza ne sapeva veramente una più del diavolo, ma la sua risata fu interrotta a metà dalla sadica Rosalie che le strinse ulteriormente il corpetto.

Ci volle ancora un’ora buona prima che Oscar potesse dichiararsi pronta. Dopo il corsetto,era stata la volta della sottoveste, e delle calze, dell’abito, che scivolò sulla pelle di Oscar procurandole un piacevole quanto inaspettato brivido, delle scarpe dai tacchi sempre troppo alti, del trucco, pensato da Rosalie in modo da illuminare i suoi già luminosi occhi, ma dando loro un’aura di mistero, della parrucca, che imprigionò i biondi boccoli in una ferrea stretta, dei gioielli, ed infine della maschera, dello stesso notturno colore dell’abito.

Rosalie si allontanò da Oscar per rimirare il suo capolavoro. Oscar, dal canto suo, con tutto il suo coraggio dimostrato in battaglia non riusciva ora a trovarne per girarsi verso l’implacabile specchio.

“Su, Madamigella, voltatevi, siete un’apparizione.”.

Oscar si voltò lentamente, per scoprire che l’immagine che lo specchio le rimandava sembrava invero appartenere ad una splendida dama dai capelli corvini, gli occhi da gatta, e le labbra colore delle ciliegie mature.

Ancor più della prima volta, si chiese chi fosse colei che vedeva nello specchio, ritenendo impossibile che il suo corpo le permettesse di risultare, almeno alla vista, così femminile.

“L’ultimo tocco, Madamigella, e sarà pronta. La carrozza è già qui fuori che la aspetta. E, mi raccomando, se non vuole essere scoperta non parli con André, la riconoscerebbe immediatamente dalla voce.”

E così dicendo le spruzzò addosso una nuvola di profumo. Magnolia.


Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** Capitolo 9 ***


Rieccomi... promesso, cercherò di allungare i capitoli, ma non assicuro nulla...

Grazie a tutte per i preziosi consigli...

*

*

*

André titubò un momento davanti all’entrata del Palazzo ove si sarebbe tenuto il Ballo, attinse con forza all’aria per riempire i polmoni, sperando di guadagnarne anche in coraggio e risolutezza, controllò per l’ennesima volta che la maschera gli celasse i lineamenti, e si decise a varcare la lussuosa soglia, invito alla mano.

Lo accolse un lacchè stanco che gli rivolse un sorriso di riverenza, controllò velocemente l’invito e gli chiese di lasciare il mantello prima di inoltrarsi nel salone da ballo.

André si sentiva strano, come se non fosse lui quello che stava per partecipare a quell’avvenimento. Dopotutto, aveva sempre preso parte a balli e ritrovi a Versailles, è vero, ma come semplice attendente, mai celebrato né riverito come era appena accaduto. Fantasticò un istante su come sarebbe stata la sua vita se avesse avuto uno straccio di titolo nobiliare, anche solo il più umile, a come avrebbe potuto trattare ed essere trattato da Oscar come suo pari… ma in verità questo già accadeva… a come avrebbe potuto esporsi alla luce del sole con il suo amore per quella donna, e magari essere accettato da suo padre, e da lei, come legittimo sposo… Magari, in quel momento, avrebbero potuto essere ad Arras, a vivere tranquilli in una piccola residenza, magari con qualche piccola copia sua o di Oscar a giocare per il giardino, magari…

Si riscosse improvvisamente all’udire la risatina, peraltro abbastanza irritante, notò, di una ragazzetta atteggiata a gran dama che con il ventaglio davanti al volto faceva finta di celare il proprio interesse per lui.

Si guardò intorno, come risvegliatosi da un sogno,e si rese conto con un certo sgomento di essere divenuto centro di attenzione e di raccolta di una piccola miriade di personaggi femminili, alcuni chiaramente giovanissimi, altri spudoratamente in là con gli anni, che si pavoneggiavano come… oche – altrimenti non avrebbe davvero potuto definirle – per attirare la sua attenzione ed accaparrarsi, chi sa mai, un ballo, o qualcosa di più.

André scoppiò a ridere della situazione decisamente comica, almeno dal suo punto di vista. Era venuto, certo eppure incerto, voglioso eppure di controvoglia, per scoprire chi fosse la misteriosa mittente del profumato invito, e si ritrovava attorniato da una schiera di gatte in calore che non facevano certo mistero nel proporre le proprie grazie, quando invece della misteriosa non v’era ombra, o almeno così sembrava. André era infatti sicuro, per una sorta di sesto senso tutto maschile, che ella non si sarebbe mai mischiata con tale spudorata bolgia.

Improvvisamente, però, si rese anche conto che non aveva la benché minima idea di come avrebbe fatto a riconoscerla. Dopotutto, essa non aveva scritto nulla a riguardo nel suo accorato appello sull’invito, ma si rese certo che, al fine, la cacciatrice sarebbe stata perfettamente in grado di cacciare la sua preda; a lui restava soltanto il compito di attendere e di non farsi dilaniare troppo presto da altre predatrici che non fossero la “sua”.

“Oscar…” Una figura bionda, alta e slanciata attirò la sua attenzione, riempiendogli di speranza il cuore, per poi spaccarglielo a piccoli pezzi quando la figura si fu voltata a rivelare solo una fugace somiglianza con la sua amata.

“Certo che ne vengono in mente davvero di belle… Sono un povero illuso, a sperare che Oscar possa essere la dama che mi ha invitato al ballo, eppure mi sono crogiolato per giorni nella speranza… Ora basta, dopotutto non sto facendo nulla di male, se non tentare di vivere anch’io almeno per una sera. Devo smetterla con questi sensi di colpa, devo… devo andarmene di qui, non ce la faccio…”.

 *

*

* 

Il Conte Hans Axel von Fersen si aggirava, mani dietro alla schiena, per il grande salone in cui l’orchestra aveva già cominciato a suonare, e molte coppie già si avvicendavano in un, noioso, minuetto.

Per evitare problemi e contestazioni, aveva deciso anch’egli di indossare una maschera che lo rendesse maggiormente irriconoscibile, e girovagava svogliato, con la vaga curiosità di tentare di riconoscere la sguaiata dama udita a Versailles, per vedere come veramente si sarebbe comportata.

Avvertiva come lontane le voci sussurrate e le risatine di apprezzamento che alcune mascherine gli rivolgevano, ma non se ne curava, troppo abituato a udire tutto e non sentire niente.

Vide, sullo sfondo, vicino alla porta di ingresso al salone, un giovane alto dagli indomabili capelli scuri attorniato da un folto gruppo di dame vogliose, e si ritrovò suo malgrado a sorridere del povero malcapitato, assediato tanto da non riuscire quasi a muovere un passo. Per un momento gli ricordò l’attendente del suo amico Oscar, ma si ritrovò a pensare che André mai avrebbe preso parte ad un simile ballo, e sicuramente mai senza Oscar.

Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** 10 ***


Dopo due anni di silenzio, torno a pubblicare questo esperimento. Un "blocco dello scrittore" lunghissimo, costellato di accadimenti e problemi. Ora, forse, c'è un po' di luce. Grazie a chi vorrà ritentare l'avventura di leggere quanto una povera scrivana inventa.

La piccola folla di uomini e donne intente a parlottare più o meno animatamente, a lanciarsi velati o molto poco velati segnali equivoci, si zittì d’improvviso e si fendette come suddivisa da una lama di coltello, a lasciar passare una figura alta, elegante, dalle movenze feline ed austere, fasciata in un abito color della notte, notte che le risplendeva anche fra i corvini capelli intarsiati di piccoli diamanti.

La donna, reprimendo un piccolo brivido di ansietà, procedette apparentemente calma e pacata fra le ali di curiosi, verso il centro del salone, volgendo qua e là gli occhi da gatta a misurare spazio e persone presenti alla festa. Più di una volta un ardito cavaliere le si parò davanti a chiedere la possibilità e l’onore di un ballo, più di una volta la dama lo congedò senza necessità di parole, ma con un solo, elegante, imperioso eppur delicato gesto, continuando ad incedere.


Fersen, dalla sua discreta posizione a fianco di una colonna, volse lo sguardo all’agitazione che si stava venendo a creare nella sala, temendo moti di insurrezione , per trovarsi incatenato con lo sguardo alla dama più bella che egli avesse mai visto, pari forse solo alla sua Regina, ma con una risolutezza ed una compostezza diversa, più armonicamente rigida e sicura.

Non si accorse nemmeno che i suoi piedi ed il suo corpo si erano mossi, staccandosi dalla colonna, per dirigersi verso colei che gli aveva catturato i sensi.



Oscar si costrinse a continuare ad avanzare, lentamente eppure risolutamente, attenta a non inciampare nell’abito oppure a cadere dai tacchi, maledicendosi continuamente per il proprio sventato narcisismo, eppur beandosi, seppure mai l’avrebbe ammesso, per lo stupore, l’ammirazione e, anche, la lussuria che leggeva negli sguardi degli uomini presenti, e la malcelata velenosa invidia delle dame.

Vide una figura staccarsi subìta da una colonna dalla quale l’aveva osservata, per poi dirigersi verso di lei. Con sgomento si rese conto che l’uomo che la stava inesorabilmente raggiungendo altri non era che colui che l’aveva motivata, la prima volta, a vestirsi da donna, colui che le aveva ignaro strappato e lacerato il cuore anni prima, colui che avrebbe dovuto essere l’ultima persona presente a quel ballo.

Ancora più sgomenta si rese conto che non avrebbe potuto né evitarlo, né tantomeno congedarlo con un gesto come il cicisbeo di poco prima, e si rassegnò a mantenere la parte, almeno per quanto possibile, pregandolo di “reggerle il gioco” nel caso l’avesse scoperta.


La dama si fermò quasi al centro del salone in cui l’orchestra aveva interrotto di suonare, abbagliata anch’essa dall’eterea apparizione. Fersen, senza fretta ma senza indugio, raggiunse la strabiliante figura, le fece un profondo inchino, le tese galante la mano e, ad un cenno di assenso di lei, le prese le dolci dita e fece un cenno ai musici perché ricominciassero la loro opera, fra la generale invidia dei presenti.

Oscar, leggermente tremante, si lasciò prendere la mano, e condurre da Fersen in un primo ballo, un minuetto ancora. Il cuore le batteva forte nel petto ma, si rese conto stupita, non per l’emozione di essere nuovamente fra le braccia del suo primo amore mai corrisposto, ma per il terrore di essere da lui riconosciuta e smascherata.

Fersen scrutò con attenzione la dama che gli aveva concesso l’onore del ballo. Era splendida, aggraziata, eppure forte, dai profondi occhi azzurri e dalle labbra piene e rosse. Si chiede come sarebbe stato assaggiare quelle labbra, che minacciavano meraviglie. C’era in lei qualche cosa di misterioso, eppur di noto, di conosciuto, di familiare, ma non riusciva a capire che cosa. Continuò a guardarla fissa negli occhi, senza dire una parola nel timore di farla scappare, e si sorprese del fatto che, a differenza di qualsiasi altra donna mai incontrata prima, ella sosteneva il suo sguardo, fiera, sicura, come se non avesse mai fatto altro in tutta la sua vita, come… Oscar…

Si bloccò un attimo, fermandosi nel compimento del ballo, la mano della dama ancora fra le sue, per guardarla fissamente, in profondità. Avvertì un fremito nella mano di lei, che lo fissava a sua volta quasi a volergli trasmettere un muto messaggio. Ed egli capì.


Oscar continuò a darsi mentalmente della stupida. La sua ferrea educazione le imponeva di non abbassare mai lo sguardo per prima, ma si rendeva anche conto del rischio che tale atteggiamento le sarebbe valso, se Fersen l’avesse riconosciuta.

Poi, lui si bloccò, come divenuto una statua di sale in mezzo al salone, le strinse maggiormente la mano fra le sue, la scrutò fino in fondo all’anima, e fece quel che lei mai si sarebbe sognata. Le sorrise.


“E’ per André, vero, madamigella? È anche lui qui, l’ho notato prima attorniato da donne, ma mi ero convinto che non potesse essere lui, soprattutto perché era senza di voi.”

Oscar abbassò il capo in un muto assenso, lasciando che fosse Fersen a disegnare il quadro completo che ella aveva per così tanto tempo negato a se stessa.

“Devo ammettere che la parrucca mi ha tratto in inganno, dapprima, ma purtroppo per voi quegli occhi che vi ritrovate sono peggio di un faro nella notte, per chi vi conosce bene come me… e come André. Non temete, questa volta non rovinerò il tutto, anzi, se me lo concedete vorrei reggervi il gioco, e se possibile aiutarvi. Di sicuro dovete essere molto decisa, o molto disperata, per prendere una decisione come questa, anche se personalmente propendo per il “decisa””.

Oscar sorrise a labbra tirate, leggermente più tranquilla, e trasognata di aver trovato in LUI un insperato complice.

“Ora vi lascerò andare da lui, ma, se me lo permetterete, potrò poi intervenire a far ingelosire un poco il vostro André, che ne dite?”

Oscar sorrise, questa volta apertamente, e lasciò che il Conte interpretasse il suo sorriso come un consenso.

Ritorna all'indice


Capitolo 11
*** 11 ***


Ringrazio tutti coloro che hanno voluto lasciarmi un messaggio, e ringrazio ancor più per l'incoraggiamento! Non pensavo che la storia fosse stata notata, all'inizio della pubblicazione, né che potesse “mancare” a qualcuno... Grazie, davvero. Spero di non deludervi.

Capitolo corto... un po' di suspense...



André, che da ormai parecchi minuti stava affannosamente tentando di sfuggire al branco di dame in preda ai bollenti spiriti, approfittò felinamente di un varco tra le figure che lo attorniavano, mormorò qualche rapida parola di scusa e di commiato, e si allontanò a larghe falde dirigendosi verso la finestra aperta verso il balcone, anelando a quell’aria che in quegli ultimi minuti sembrava essergli mancata.

Sfiorò appena alcune coppie di ballerini impegnati sulle note dell’ennesimo minuetto – “Ma sanno suonare solo quello?” si chiese – e girò le spalle alla folla, allungando la mano per aprire la vetrata.

Un refolo d’aria gli scompigliò appena i capelli, e gli portò un profumo ameno che lo immobilizzò, la mano ancora appoggiata allo stipite: magnolia.

Si volse lentamente, col cuore che cominciava, suo malgrado, a galoppare, mentre un nodo alla gola gli impediva anche solo di deglutire.

“Ma che succede? Sembro un ragazzino al suo primo appuntamento…”

Seguì con gli occhi la scia di profumo che le sue nari avvertivano, e la vide.

O, meglio, vide una miriade di dame impegnate nei passi del ballo, ma seppe immediatamente, istintivamente, chi fosse colei che gli aveva accelerato il battito con la sua sola fragranza.

La dama dai capelli corvini si librava leggera fra le braccia di un cavaliere dai capelli scuri, danzando senza quasi sfiorare il pavimento, con le movenze fluide di una pantera e la leggiadria di una ninfa.

L’abito blu sembrava trapuntato di stelle, richiamando nella mente e nel cuore di André echi di lontane memorie, di teneri momenti che sembravano dimenticati.

Il volto cesellato era parzialmente celato da una maschera in tinta con l’abito, i serici capelli raccolti morbidamente sul capo invitavano al tocco.

Un’orda di famelici avventori si spostava comicamente quasi inseguendo la coppia, nella speranza di potersi accaparrare l’onore di un ballo con quella divinità scesa in terra.

André si mosse, senza che la sua mente potesse formulare un qualsiasi coerente pensiero, e si diresse a passi decisi verso il cavaliere, incurante degli sguardi di fuoco degli uomini in attesa, e degli sguardi infuocati delle dame ammaliate, toccò leggermente la spalla del cavaliere danzante, e gli si inchinò brevemente innanzi a chiedere il permesso. Il cavaliere lo squadrò, guardò la sua dama a cercare un cenno d’assenso, e cedette la mano della donna ad André, mentre la sala intera sembrava essersi fermata con il fiato sospeso a rimirare la scena, in cui tre divinità sembravano scese fra i semplici mortali.

André accolse la piccola bianca mano fra le sue, ammirandone le fattezze delicate, proseguì con lo sguardo sulle nude braccia affusolate, fino a giungere al viso di lei, cercandone gli occhi, solo per scoprire che la dama, forse per troppo pudore, li teneva insistentemente abbassati.

Sorrise fra sé e sé, mentre leggero avvolgeva la vita di lei con l’altro braccio, lasciandosi avvolgere dal profumo delle magnolie in fiore che emanava dalla pelle della dama, e cominciò a muoversi sulle note di - finalmente qualcosa di diverso – un valzer.

Ritorna all'indice


Capitolo 12
*** 12 ***


Oscar non riusciva più a ragionare. Il cuore stava per uscirle direttamente dalla gola, le membra tremavano come in preda a spasmi, l’ossigeno che le arrivava ai polmoni sembrava sempre troppo poco, ed un incredibile quanto nuovo rossore le saliva prepotentemente alle guance, imporporandole.

André continuava a fissarla, a studiarla, non lasciandole la possibilità di alzare lo sguardo ad ammirarlo, timorosa di farsi riconoscere.

  • Ho molto apprezzato il suo invito, madamigella, sebbene mi sia giunto un po’ inconsueto… posso avere l’ardire di conoscere il vostro nome, e di sapere come mai abbiate invitato proprio me?

Oscar non riuscì a reprimere un sorriso, continuando tuttavia a non alzare gli occhi, lasciando André nella curiosità.

Non ottenendo risposta, se non un fugace sorriso, André cominciò ad intendere la trama di un sottile gioco di seduzione attuato dalla dama, e decise di giocare a sua volta. Per quanto lusingato, non avrebbe lasciato che fosse una donna a condurre le schermaglie di corteggiamento…

  • Sapete? Sono lusingato del vostro invito, madamigella, e sto tentando di indovinare se vi ho già visto da qualche parte… forse a Corte, ma sicuramente mi ricorderei di voi… oppure ai concerti organizzati da sua Maestà la Regina… mi sembrate una persona che apprezza l’arte e la musica…

La dama non cedeva, anche se il sorriso sulle sue labbra sembrava allargarsi ad ogni momento, quasi che la soddisfazione di riuscire a celare la propria identità stesse prendendo il sopravvento sul pudore.

André era divertito dalla situazione, ma anche confuso. Stava apertamente flirtando con una perfetta sconosciuta, che tale voleva rimanere, eppure sentiva quella dama incredibilmente vicina, familiare. Danzava con lei con una sintonia istintiva che sembrava frutto di anni di conoscenza reciproca ed allenamento, quasi che non avesse fatto altro nella vita che danzare con lei…

Danzare?

Un ricordo improvviso gli si presentò prepotentemente alla memoria.


Era piena estate, il sole implacabile aveva già raggiunto l’apice della sua corsa giornaliera, dispensando amorevolmente luce e calore, anche troppo in verità, mentre André ed Oscar ansimavano sudati, uno di fronte all’altra, le spade sguainate nell’ennesimo allenamento, in cui nessuno dei due sembrava voler soccombere all’altro, neppure per gioco.

Oscar scattò fulminea verso il compagno d’arme, che la scansò elegantemente sfiorandola appena, e passò al contrattacco, muovendosi felinamente intorno a lei, che prese a sua volta a girargli intorno.

Si guardavano negli occhi, girando in tondo con passi lenti e misurati, pronti l’uno e l’altra a cogliere un guizzo di disattenzione che permettesse di passare all’attacco.

D’improvviso, André scoppiò a ridere, abbassando spada e difesa.

Spietata e decisa, Oscar gli si avventò contro, salvo poi venire lestamente parata e disarmata, mentre un subdolo sgambetto del compagno la mandava gambe all’aria, in maniera decisamente poco nobile.

Oscar si rialzò sui gomiti, per trovarsi André di fronte, in piedi, che le puntò la spada alla gola, la graffiò appena e le annunciò “Touché. Battuta.”.

Schiumante di rabbia, asciugandosi il rivoletto di sangue che aveva preso a sgorgare dal taglio, Oscar guardò André gettare la spada e stendersi di fianco a lei, rilassando i muscoli e sciogliendo la tensione della lotta.

Vedendolo così, vulnerabile, Oscar fu assalita da stati d’animo contrastanti: aggredirlo e prendersi la rivincita, o godere con lui di quei rari momenti di pace e serenità, in una vita di tensioni?

Decise per la seconda ipotesi, e si lasciò a sua volta cadere sull’erba soffice accanto ad André.

  • Hai barato.

  • Non è vero, e lo sai benissimo. È solo che ti brucia che questa volta sia stato io a vincere. E poi, in guerra ed in amore tutto è permesso, no?

  • Si va bene, come dici tu… Ma si può sapere almeno perché stavi ridendo?

  • Beh, ad un certo punto, con tutto quel girarci intorno, mi è sembrato quasi che io e te stessimo ballando insieme… ti mancava giusto un bel vestitino, ed eravamo a posto!

  • COSA ?????? IO UN VESTITO???? Adesso me la paghi, baro che non sei altro !

Così dicendo André si ritrovò assalito da una furia dai capelli biondi che prese a torturarlo di solletico, ben consapevole di togliergli ogni possibilità di difesa.

  • Mi… mi arrendo, hai vinto, basta ti prego, basta !

Trionfante, Oscar, si stese di nuovo sull’erba, gli occhi socchiusi a rimirare l’azzurro del cielo solcato da rapidi voli di rondini.

  • Avevi ragione, André, in guerra tutto è permesso…

André si bloccò appena, quel tanto che bastava a riordinare le idee, mentre la dama stupita alzava gli occhi, quasi spaventata, ed incontrava i suoi.

Un istante, bastò un istante perché il superstite occhio verde dell’uno annegassero negli occhi azzurri dell’altra.

Oscar distolse rapida lo sguardo, terrorizzata all’idea che André potesse aver scoperto tutto, e d’un tratto la sua trovata le parve tremendamente stupida ed imbarazzante. Forse, stava rischiando di rovinare tutto…


Ritorna all'indice


Capitolo 13
*** 13 ***


Eccomi di nuovo in pista. Fersen torna a fare la sua apparizione, ma sembra davvero che stavolta stia usando un po' di cervello...

Grazie per i commenti, apprezzatissimi. Spero di non risultare troppo OOC, come qualcuno giustamente mi faceva notare. Nella mia mente contorta, il comportamento di Oscar è decisamente plausibile: l'amore fa fare cose inimmaginabili, e fa assumere comportamenti prima inimmaginabili, poi semplicemente naturali, forse perchè nascosti. O, almeno, a me è successo così... Buona lettura e grazie. Spero di non deludervi.









Fersen, appoggiato ad una colonna discosta, osservava divertito la scena nel suo insieme. Due folti gruppetti di uomini da una parte e donne dall’altra gravitavano intorno a due magiche figure che volteggiavano eteree sulla pista, incuranti del mondo intorno a loro.

D’un tratto, vide André fermarsi di scatto e guardare Oscar negli occhi. Senza pensare, si diresse a passi rapidi verso i due, congelati in un istante eterno, e rese la pariglia ad André bussandogli su una spalla:

  • Chiedo venia, mio buon cavaliere, ma gradirei ora terminare il ballo che la gentil dama mi aveva prima concesso.

André si scosse come da un lungo sonno, e sotto gli occhi famelici di mezza sala altro non poté fare che cedere la mano della ragazza.

Fersen si affrettò a ricominciare a volteggiare con Oscar, portandola lontano da André, per permetterle di respirare nuovamente.

André si mosse trasognato, in un turbine di emozioni che non riusciva a districare.

Era Oscar? Era dunque lei? Di nuovo, in abiti femminili, di nuovo per lui, per Fersen? La poteva vedere mentre volteggiava per la sala fra le sue braccia, ma qualche particolare stonava e sembrava raccontare un’altra verità.

Perché quella parrucca? Evidentemente non voleva farsi riconoscere. Ma da chi? Da Fersen? Dubitava che lui potesse non riconoscerla… gli doleva ammetterlo, ma Fersen la conosceva abbastanza bene da non rischiare di confonderla con nessun’altra, in qualsivoglia occasione.

E poi c’era la questione del biglietto… perché mandarglielo, se poi voleva vedere Fersen? Poteva forse essere lei così crudele da infliggergli un tale dolore? No, Oscar sapeva essere spietata, a volte anche senza volerlo, ma non avrebbe mai potuto essere così… così cattiva da volersi vendicare in quella maniera, davanti a tutti… o almeno così sperava.

Vendicare, poi, ma per che motivo? Forse ancora per l’episodio della camicia, che ancora gli bruciava come fuoco nelle vene per la vergogna ed il rimorso? Ma in quel caso, che senso avrebbe avuto il sottoporsi, di nuovo, ad una trasformazione così, se voleva negare al mondo e a se stessa quel che lui l’aveva costretta a ricordare, il suo essere donna sempre e comunque?

Non capiva, non riusciva a capire…

La vocetta stridula di una dama lo riscosse dal baratro dei suoi pensieri.

  • Ma non si accontenta, quella lì? È lì che danza con uno dei cavalieri più belli dell’intera festa, e non ha occhi che per l’altro bellissimo… cos’è, li vuole tutti e due per sé? Che poi… fosse bella, lei… è troppo magra, troppo alta… troppo…

  • Ma a chi vuoi darla a bere? Tanto lo sappiamo tutti che sei solo invidiosa… la verità e che quella donna è la più bella che io abbia mai visto, e darei metà del mio patrimonio per essere come lei, e l’altra metà per ballare anch’io con uno di questi due adoni… e magari non solo ballare…

Un’occhiata torva di André costrinse le due galline a squittire spaventate e a dileguarsi dalla sua vista.

Oscar non aveva occhi che per lui? Stava fra le braccia di Fersen, perché ormai era sicuro fosse lui, e non aveva occhi che per lui? Il mondo stava decisamente girando al contrario.

Un pensiero subdolo si andò formulando caparbio nella sua mente. Se il mondo andava al contrario, perché non girare al contrario con esso? Se Oscar voleva giocare, lui avrebbe giocato. Sarebbe stato al gioco. Qualunque cosa ne fosse venuta fuori, non poteva certo essere peggio di come andava prima, a conti fatti.

Rasserenato e divertito dalla sua stessa decisione, si appoggiò sornione ad una colonna, le braccia conserte ed un sorrisetto sardonico sulle labbra, scrutando la coppia di ballerini senza abbassare mai lo sguardo. Più volte Oscar alzò gli occhi a cercare André, per poi riabbassarli velocemente quando incontrava il suo sguardo indagatore.

Il valzer finì, e le coppie si sciolsero. Fersen accompagnò Oscar a prendere una boccata d’aria, al limitare dei giardini. Oscar si appoggiò, sfinita, ad una delle balaustre, le spalle stanche, il respiro affrettato come dopo una lunga corsa.

  • Non ce la faccio, Fersen, stavolta mi sono spinta troppo oltre, non ce la posso fare…

  • Il più grande soldato di tutta la Francia che si lascia sconfiggere da un ballo in maschera? Non siete in voi, madamigella, questa sera, lasciatevelo dire.

  • Certo che non sono in me, Fersen ! In tutto questo – e indicò se stessa – vi sembra forse che ci possa essere qualcosa definibile come “normale” ?

  • Beh, madamigella, scusate se ve lo dico, ma questa vostra anormalità è decisamente piacevole a vedersi…

  • FERSEN !

Fersen non riuscì a non ridacchiare, ma, se non altro, lo strampalato discorso ebbe il beneficio di sciogliere la tensione di Oscar, che non trattenne un sorriso.

  • Ecco, questa è la miglior arma, ancora meglio della spada, madamigella. Andate, e colpite dritto al cuore!

  • Oh, Fersen, mi farete diventare pazza, voi… Che dite? Ho il forte timore che André abbia mangiato la foglia…

  • Forse sì, l’ho visto cambiare espressione poco fa… ma, fossi in voi, non gli darei comunque la soddisfazione di cedere per prima, se capisce cosa intendo.

  • Volete forse dire che dovrei continuare con la mia… finzione, finché non leva lui per primo la maschera?

  • Esattamente… solo così potrà vedere fino a che punto è disposto a spingersi.

  • Spero solo non si risolva tutto in un disastro… Fersen, voglio essere sincera con voi, perché immagino possiate capirmi.

Fersen annuì, compito.

  • Sono stata stupida, testarda, cieca, a non rendermi conto che la persona per me più importante era quella che era sempre stata al mio fianco, ed ora che lo so, ho la tremenda paura che possa andarsene…

  • Eppure, nonostante questa paura, non riuscite a dichiararvi, è così?

  • Sì… mi hanno insegnato come essere un uomo, ma si sono dimenticati di insegnarmi come fa un uomo a dichiararsi…

  • E voi fatelo da donna, quale siete. Per una volta, lasciate parlare il vostro cuore, e mettete a tacere la vostra lama.

  • Fosse facile…

  • Ma a voi piacciono le sfide, vero?

E senza attendere risposta, la lasciò a rimuginare sulle sue intenzioni.


Ritorna all'indice


Capitolo 14
*** 14 ***


Capitolo corto... tanto per tenere alta la tensione.

Ripensando ai commenti (graditissimi) che mi facevano notare che Oscar può risultare un po' OOC, la mia mente pazza è intervenuta a ricordarmi che, forse, anche Oscar avrebbe dovuto prendersi, ogni tanto, una pausa... da se stessa. Forse ora l'ha fatto. Almeno nella mia mente.

La storia è tutta scritta, cercherò quindi di postare rapidamente. Grazie...




André si aggirava per la sala, incurante del nutrito codazzo di ammiratrici che cercavano invano di carpire la sua attenzione.

Oscar sembrava svanita nel nulla, e con lei Fersen. Qualcosa si agitò nel suo stomaco, uno spasmo di nervosismo che non riuscì a frenare. A che gioco stava giocando?

D’improvviso, Fersen riapparve alla vista, solo, e, particolare non da poco, perfettamente in ordine, non scarmigliato né altro. I casi erano due: o aveva un perfetto controllo di se stesso in qualsivoglia occasione, oppure non c’era stata alcuna occasione. Pregò per la seconda delle ipotesi.

Si girò rapido verso le pretendenti, ed abbassandosi in un inchino si congedò:

  • Vogliate scusarmi, gentili dame, se prendo commiato dalla vostra deliziosa compagnia…

Un coro di gridolini eccitati si levò dal gruppetto.

  • ma ho già scelto la mia dama per questa sera, e spero per molte altre sere… e notti.

Sguardi inorriditi e svenimenti seguirono alle sue parole, mentre André, incurante di tutto e tutti, si dirigeva verso la direzione da cui aveva visto rientrare Fersen.


I giardini di Palazzo Gautier erano splendidi, sebbene non potessero certo competere con quelli della Reggia di Versailles.

Alte siepi regolate da operose mani componevano geometrici passaggi, guidando come un labirinto i viandanti verso il cuore del disegno.

I raggi della luna sembravano illuminare la via, dipingendo d’argento i ciottoli dei viali.

André seguì inebriato l’aroma di magnolia che la dama aveva, forse inconsapevolmente, lasciato dietro di sé. Chissà perché aveva scelto proprio quel profumo… chissà se sapeva, che lui adorava quell’odore, che lo riportava alla sua infanzia, alle rive del fiume, all’albero di magnolia sotto il quale amava stendersi a riflettere sulla sua vita, e sull’amore della sua vita?

L’eco dei rumori della festa si affievolì fino a sparire, lasciandolo solo con il rumore dei ciottoli spostati dai passi lenti. Assaporava ogni passo, come una dolce tortura, eppure temeva ogni passo, ignorando quale sarebbe stata l’accoglienza che lei gli avrebbe riservato.


Oscar si sedette sul bordo della fontana che adornava il centro del giardino. Lo sciabordio dell’acqua fresca ed i capricciosi spruzzi le davano sollievo dalla calura esterna e dal fuoco dentro il suo animo.

Il cuore non accennava a smettere di battere violentemente, quasi volesse farsi strada nel suo petto per uscire allo scoperto.

Si allungò appena a sfiorare l’acqua con le dita, e una ninfea, lì vicina. Era morbida, setosa, perfetta. Aveva sempre adorato quei magici fiori che abitavano nell’acqua, ma non l’aveva mai detto a nessuno; se suo padre fosse venuto a saperlo le avrebbe scuoiato la pelle a cinghiate. Non era da uomo.

Non avvertì il frusciare dei ciottoli spostati dal passo di André, sovrastato dallo scrosciare dell’acqua.


André si fermò, come ipnotizzato, a godersi l’immagine. La dama, Oscar, perché ormai era convinto che fosse lei, era languidamente seduta sul bordo della vasca, carezzando delicatamente i petali di un fiore.

La luna illuminava i cristalli del suo abito, rivestendo la ragazza di una luce eterea ed irreale di creatura da favola.

Chissà se lo sapeva, di essere così incredibilmente femminile, e di riuscire a suscitare, con la sua sola presenza, impudici pensieri in ogni uomo, e in lui in particolare.

Avvertiva il desiderio impellente di affondare le mani e il viso nei suoi capelli, quelli veri, di assaporare le sue labbra, di accarezzare la seta della sua pelle…

Fremente di attesa, tensione e paura mosse un passo, ed un altro ancora, verso la donna.


Ritorna all'indice


Capitolo 15
*** 15 ***


Siccome sono “brava” e “magnanima” (bugia bugia – in realtà sono solo estremamente curiosa di vedere come reagite a questo capitolo) ho deciso di postare IL capitolo. Finalmente, direte voi. A ragione. Finalmente Cip e Ciop si decidono a combinare qualcosa... Io, l'ho immaginato così. Grazie a chi legge, a chi commenta, a chi mi fa crescere.





Un lieve rumore di sassi calpestati la riscosse dai suoi pensieri. Si volse lesta verso l’origine del rumore, e vide arrivare a passi lenti una figura maschile, che senza dubbio alcuno riconobbe come quella di André.

E’ venuto, dunque… è venuto per me…”

André si avvicinò ad Oscar, le tributò un inchino degno di una Regina, e stese la mano in una muta richiesta.

Oscar si rese conto con sorpresa che il tumulto nel suo cuore si era calmato, la mente era lucida e sapeva esattamente cosa fare. Si alzò lentamente, guardò il ragazzo nell’unico occhio sano, concedendosi il lusso di annegare per qualche istante in quel pozzo di smeraldo, e stese a sua volta la mano a congiungerla con la sua.

Senza una parola, André cinse la vita di Oscar in un abbraccio danzante, diverso però da quello della sala da ballo, più intimo e possessivo senza tuttavia essere oppressivo e vincolante, e la diresse ad iniziare un ballo silenzioso, animato dalla muta musica dei loro animi che vibravano delle stesse note.

La distanza fra i loro corpi si assottigliò lentamente, inesorabilmente, finché si trovarono a contatto, occhi negli occhi.

Il silenzio continuava a regnare fra loro, rotto solo dal canto di solitarie cicale e dallo sciabordio dell’acqua, mentre piccole lucciole vagavano per il giardino come stelle staccatesi dalla volta celeste.

André sorrise, ebbro di felicità per quei piccoli istanti, guardò il cielo negli occhi di Oscar cercando di scrutarne i pensieri più reconditi, o scovare cenni di paura, rabbia o scherno.

Quel che vide, lo lasciò senza parole, sebbene ancora non ne avesse pronunciate. Le pupille dilatate per il buio, e forse non solo per quello, rendevano gli occhi di Oscar simili a quelli di un gatto, buchi neri dai quali farsi inghiottire per l’eternità. Le labbra piene, rosse di ciliegia, luccicavano alla luce della luna, leggermente dischiuse in attesa, chissà, forse, di un bacio che le cogliesse.

I lineamenti, e tutto il suo essere, erano rilassati, sereni, come se quell’istante fosse stato lungamente atteso.

André alzò leggermente il viso ad Oscar con un leggero tocco sul mento su cui indugiò, le tolse piano la maschera che le celava il volto (la sua l’aveva gettata chissà dove, non gli importava) e cominciò a baciarle piano, delicatamente, la fronte, gli occhi, gli zigomi, il naso, scendendo piano verso la sua bocca, ma lasciandole la possibilità di scappare, se avesse voluto.

Ma Oscar non scappò, beandosi di quel dolce delicato contatto. Chiuse gli occhi e si lasciò attendere.

André interruppe la sua dolce tortura, fissando Oscar che aveva spalancato gli occhi, quasi irritata per l’interruzione.

Il ragazzo sorrise, divertito per la muta sfrontatezza della dama, e si avvicinò lentamente a cogliere il succoso frutto delle labbra di Oscar, prima delicatamente, poi facendo maggior pressione, mentre avvertiva la ragazza sciogliersi e rispondere al suo bacio.

Al colmo della felicità il suo cuore mancò ben più di un colpo, mentre il bacio si protraeva, diventando sempre più profondo ed appassionato. Chiese accesso alla sua bocca, e lei si dischiuse come un fiore al mattino.

La stretta attorno alla vita si fece più possessiva, mentre Oscar gli circondava il collo con le braccia.

Durò minuti, oppure ore, chi può dirlo, finché la mancanza di fiato ed il cuore che minacciava di scoppiare non li obbligarono a staccarsi.

Il respiro affrettato, le gote rosse di eccitazione, le labbra ancor più rosse e gonfie di baci, Oscar era bellissima agli occhi innamorati di un André che ancora non credeva di veder realizzato il suo eterno sogno.

Oscar, intontita d’amore, scrutò il suo amato, preda di un lacerante dubbio: l’aveva baciata perché l’aveva riconosciuta, o perché era semplicemente attratto dalla sconosciuta vestita di cielo?

Lui dovette avvertire l’esitazione, perché si aprì in un largo sorriso, mentre con un dito birichino faceva fuggire una piccola ciocca di capelli biondi dalla nera parrucca. Se avesse potuto, le avrebbe fatto l’occhiolino.

Oscar abbassò lo sguardo, piena di vergogna perché il suo infantile gioco era stato platealmente svelato, e cercò di staccarsi, di malavoglia, dalle bollenti braccia di André, quasi a volersi schernire, e giustificare, per aver messo in piedi tutta quella messinscena.

André non le permise di allontanarsi, nemmeno di un millimetro, non ora che finalmente sembrava esserle arrivato così vicino.

Le carezzò il viso, inebriato dalla purezza della sua pelle, e la guardò chiedendole un muto assenso prima di liberare i suoi capelli dalla costrizione della parrucca.

Oscar si sentì improvvisamente nuda, ed incredibilmente vulnerabile, mentre André, usando solo una mano, senza lasciare dunque la presa sulla sua vita quasi temendo la sua fuga, si divertiva beatamente a liberare, forcina dopo forcina, i ciuffi d’oro dei suoi capelli, gustandone e saggiandone la morbidezza ad ogni gesto.

Senza poi fare troppa violenza a se stessa, Oscar si arrese. Si appoggiò sfinita e fiduciosa al petto di André, abbracciandolo a sua volta, e si concentrò sull’insperato benessere che il tocco di André sui suoi capelli le dava. Sembrava di essere carezzata da una farfalla.

Senza interrompere il suo certosino e piacevole lavoro, André prese ad ondeggiare leggermente, trasportando con sé Oscar in una delicata danza fatta di gentilezza, amore, serenità. Oscar cominciò a capire quali fossero le porte del paradiso che fino ad allora aveva così caparbiamente evitato.

André finì la sua opera, per poi rituffare le mani nei capelli di Oscar, attirandola a se per odorarne il fragrante profumo, immergendovisi con tutto il volto, e pregando di poter stare così all’infinito.

Si riebbe, e scivolò, pelle contro pelle, fino a carezzare, col suo volto, il viso di Oscar, che aveva di nuovo chiuso gli occhi beandosi del contatto che fino ad allora non sapeva di anelare.

In un impeto di coraggio, così diverso dal coraggio necessario in battaglia, eppur così difficile da trovare in una tale situazione, Oscar prese a sua volta il volto di André fra le mani, si alzò in punta di piedi e posò veemente le labbra sulle sue.

André rimase appena stupito dall’intraprendenza della ragazza, fino a che il leone che ruggiva nel suo petto si fece largo e proruppe in un accesso di passione incontrollabile, che lo lanciò famelico in un bacio profondo come il mare, carico di tutto l’amore nascosto e la passione repressa che l’avevano torturato per così tanti anni.

Si staccarono ansanti, sconvolti dall’intensità di quello che le loro bocche si stavano silenziosamente raccontando. André ebbe paura di aver spaventato Oscar, ma quel che lesse nei suoi occhi, brama, desiderio, passione, gli fugò ogni dubbio, ed accese maggiormente in lui quella voglia di fondersi in lei come tante volte aveva fatto in sogno.

Non vi era stata alcuna parola, in tutto quel tempo, né sarebbe stata necessaria, perché gli occhi ed i gesti avevano parlato di più, e meglio, di quanto delle vuote parole avrebbero potuto fare.

I respiri ansanti si mischiavano al frinire dei grilli ed allo stormire degli alberi mossi dalla brezza, le stelle continuavano impassibili a brillare nel firmamento notturno.

Oscar ruppe per prima il silenzio, dando voce ad un desiderio che era proprio di entrambi.

  • Andiamo a casa, André.


Ritorna all'indice


Capitolo 16
*** 16 ***


Che dire? Sono commossa, commossa per le belle parole che mi avete rivolto nei vostri commenti. Fa davvero piacere, realizzare che le parole pedestramente scritte sono comunque riuscite a suscitare in voi le stesse sensazioni che le hanno animate.

Ma ora, dopo il silenzio, parole, un fiume di spiegazioni per due anime che, per amarsi degnamente, hanno bisogno di sgombrare il campo da qualsiasi impurità che possa sporcare il candore immacolato del loro sentimento.

Buona lettura. E grazie. Di nuovo.




Il tragitto in carrozza fu strano, elettrizzante.

Oscar ed André si sedettero uno di fronte all’altra, Oscar guardando fissa fuori dal finestrino, André fissando Oscar temendo un cenno di pentimento da parte di lei.

Nessuno aveva il coraggio di rompere il silenzio che di nuovo era caduto fra loro, temendo di spezzare l’incantesimo. Ogni tanto Oscar volgeva lo sguardo verso un ansioso André, e gli sorrideva.

Varcarono il cancello posteriore di Palazzo de Jarjeais, di modo che nessuno potesse vederli. Da perfetto cavaliere, André scese per primo a porgere la mano ad Oscar per scendere, pur aspettandosi un rifiuto. Fu invece con piacevole sorpresa che Oscar poggiò la mano ad approfittare dell’offerta, forse anche per via delle scarpe dai tacchi alti. Ma qualcosa, entrambi lo sentivano, stava cambiando.

Ancor più sorpreso fu André quando, una volta scesa, Oscar non gli lasciò la mano, tenendola stretta nella sua, quasi a farsi dare dal ragazzo la forza di superare questa sua improvvisa rinascita di donna.

Camminarono piano, fianco a fianco, senza tema di essere scoperti, perché il vialetto passava fra i giardini, e non risultava visibile da alcuna delle finestre del Palazzo. Se anche il Generale avesse sofferto di insonnia, non avrebbe avuto nulla da vedere.

Si inoltrarono nel giardino, un passo dopo l’altro, senza fretta, anzi, cercando di rimandare il più possibile il momento di lasciarsi – ma era davvero necessario farlo? – godendo della reciproca presenza, saggiando le altrui labbra di quando in quando, quasi a far da promemoria.

A metà circa del giardino scorsero il capanno degli attrezzi. Come ogni altra cosa in quel giardino, anche esso era magistralmente mantenuto in ottime condizioni. Oscar si fermò un attimo, la mano ancora stretta in quella di André. La brezza della notte soffiava nei suoi capelli, facendoli animare. Di nuovo André si stupì di quanto potesse essere bella, Oscar, ed ogni volta ancora di più.

Oscar guardò André, con uno sguardo tra il provocatore ed il birichino, come di bimba che sa di stare per combinare una marachella.

Lo trascinò fino all’entrata del capanno, che non era chiusa a chiave, come sempre.

Oscar posò una mano sulla maniglia, poi tentennò, girandosi verso André con gli occhi spalancati, quasi spaventati. Si morse leggermente il labbro, poi ruppe il silenzio

  • Ti ricordi, André?

  • No, cosa? Cosa c’è in questo capanno?

  • No, non dentro… sopra…

André spalancò occhi e bocca, mentre un fievole ricordo affiorava alla sua mente.

Loro, bambini, lui era arrivato da pochi giorni a Palazzo, e già stravedeva per quella strana bambina che giocava, e picchiava, come un maschio, quando un pomeriggio lei lo aveva trascinato, stringendogli la mano e strattonandolo, fino al capanno degli attrezzi.

  • Sto per farti vedere un posto segreto – gli aveva detto lei con gli occhi seri – perciò mi aspetto che tu non ne faccia voce con nessuno, o sarò costretto a pestarti a sangue.

André, ancora un po’ intimorito dalla sua compagna maschiaccia, aveva ingoiato rumorosamente un po’ di saliva ed aveva accennato un sì con la testa.

Oscar si era guardata in giro attentamente, a controllare che il giardiniere non fosse nei paraggi, e poi era entrata rapida nel cascinotto, trascinando il povero André.

Si erano avvicinati ad una parete, ingombra di attrezzi per il giardino, ed Oscar aveva cominciato a spostarne alcuni, piazzandoli fra le braccia di uno spaventatissimo André che non sapeva cosa farne, salvo poi appoggiarli altrove al comando di lei. Le dita sottili di Oscar avevano rivelato un foro nascosto e premuto il pulsante che vi si trovava, e sotto gli occhi atterriti e stupefatti di André la parete aveva preso a ruotare su se stessa, rivelando uno stretto passaggio.

  • Sbrigati, prima che ci scoprano !

Inoltratisi nell’anfratto appena rischiarato da qualche fessura nel muro, avevano poi sospinto la parete nella posizione usuale, e si erano inerpicati lungo una ripida scala a pioli, che terminava contro una botola.

Oscar aveva aperto la botola, che era ricaduta all’inverso con un tonfo sordo, e si era issata su per il buco, sparendo alla vista di André, sempre più spaventato ma allo stesso tempo incuriosito.

Una mano era apparsa dal foro, tesa verso André, quasi ad aiutarlo, più che altro a convincerlo, a varcare la soglia.

Quello che aveva trovato di fronte a sé superava ogni immaginazione. Sopra il capanno c’era quella che poteva essere sia una soffitta, che un rifugio segreto, ed Oscar l’aveva arredato in una maniera incredibile.

Morbidi scampi di seta colorata adornavano il finestrino che si apriva sul tetto, irradiando il rifugio di una soffusa luce multicolore. Ovunque c’erano tappeti e stuoie e cuscini a riscaldare l’ambiente e permettere di stendersi comodamente. Piccoli scaffali, ai vari lati della stanza, ospitavano libri, statuette, e cimeli da bambini, mentre dal soffitto pendeva una specie di scultura fatta con vetri di bottiglia colorati.

  • Questo è il mio rifugio, e da oggi sei ufficialmente autorizzato a venirci. – aveva detto Oscar con piglio serio, tronfia come un tacchino per l’orgoglio di quel che era riuscita a fare all’insaputa di tutti.

  • Davvero posso venirci quando voglio? Anche se tu non ci sei?

  • Beh, sì, direi di sì, purchè non ti fai scoprire e non mi rubi i miei tesori… però portati qualche coperta, che qui fa freddo d’inverno, visto che non c’è il camino…

André aveva spalancato occhi e bocca in un sorriso estatico di gratitudine, ed aveva abbracciato forte Oscar ringraziandola senza sosta.

  • Sì, ok, sono contento che ti piaccia, ma mi vuoi lasciare adesso? Non è il caso che due uomini si abbraccino…

  • Ma tu non sei un uomo !

  • Lo sarò quando diventerò grande.

  • No, non puoi, sei una femmina… al massimo diventerai una donna, ma solo se la smetti di fare il maschiaccio !

Oscar si era avventata contro André piazzandogli un sonoro pugno in un occhio, prontamente restituito dal bambino nello stomaco di Oscar, e così avevano continuato finché entrambi, dolenti e sfiniti, si erano accasciati sui tappeti, guardandosi e scoppiando a ridere come pazzi, senza sapersi più fermare.

All’improvviso Oscar aveva smesso di ridere, si era messa seduta ed aveva teso una mano ad André.

  • Amici per la pelle?

  • Amici per la pelle!



Riavutosi dal ricordo, André mise a sua volta una mano sulla maniglia, sopra la piccola mano di Oscar, la guardò intensamente, e premette per entrare.

All’interno del capanno sembrava che il tempo non fosse mai passato. Gli attrezzi erano sempre gli stessi, e sempre al solito posto, quasi che nessuno fosse più venuto ad usarli.

André prese Oscar per mano, la guidò fino alla parete mobile, azionò il congegno ed entrò, seguito da una Oscar leggermente titubante. Chissà perché, non le sembrava più una così buona idea, quella di tornare al rifugio.

André precedette Oscar su per la scala, aiutandola nell’ultimo tratto a non inciampare sul vestito che Oscar aveva dovuto alzare per non cadere.

Al contrario del capanno, la soffitta era leggermente cambiata, dalla prima volta che l’aveva vista.

Su una parete era comparso un altro scaffale, pieno di libri e cimeli che lui aveva portato. Alle pareti, erano stati appesi una miriade di disegni, fatti da loro quando erano piccoli, e di fogli scritti con calligrafie diverse, contenenti pensieri o messaggi o poesie che animavano i loro cuori di adolescenti inquieti.

In un angolo, giacevano appoggiate due spade, dal fodero consunto, che erano state le loro inseparabili compagne di duello per tanti e tanti anni.

Tenendo Oscar per mano, André girò con gli occhi tutta la stanza, rivivendo piccoli momenti di gioia e di dolore che fra quelle mura si erano consumati. Quante risate, e quante litigate avevano udito quelle pareti…

  • Ci sei più venuta?

  • Ogni volta che avevo bisogno di ritrovare me stessa. Ed ultimamente è successo molte, molte volte.

  • Ed ora? Ora sai chi sei, e chi vuoi essere?

  • Forse… ma credo di aver bisogno del tuo aiuto per esserne sicura.

André si sedette sul morbido tappeto un po’ consunto dal tempo, ed attirò a sé Oscar, facendola sedere sulle sue gambe. Oscar arrossì ed abbassò lo sguardo.

  • Cosa c’è? Se non vuoi non hai che da dirlo.

  • No, è che… insomma… è difficile da spiegare… mi sento…

  • Combattuta.

Oscar lo guardò stupita.

  • Come lo sai?

  • Dopo tanti anni, posso ben dire di conoscerti, Oscar… tu ti butti a capofitto in ogni impresa, spesso senza ragionare, ma quando poi le cose non volgono come tu avevi programmato, o prendono una piega più personale, ecco che ti ritiri come un riccio…

  • Non darmi del riccio !

  • Ma lo sei… un bellissimo riccio biondo… ma io conosco il trucco per far sciogliere il riccio dalla sua palla….

  • Ti ripeto che non sono un riccio, per quanto mi siano simpatici…

  • È vero, non sei un riccio, sei una splendida donna, la donna che io amo più di me stesso…

Imbarazzata da tale rivelazione, di cui peraltro sentiva di essere pienamente a conoscenza, Oscar abbassò di nuovo gli occhi, quasi a sfuggire dal penetrante sguardo di smeraldo di André.

  • Oscar, perché l’hai fatto? Perché tutta questa messinscena? Ho bisogno di saperlo: l’hai fatto per Fersen, o ti volevi prendere gioco di me?

Oscar si alzò di scatto dalle ginocchia di André, serrando i pugni e guardandolo con occhi di fuoco.

  • Prendermi gioco di te? Davvero pensi questo di me? Posso essere cattiva, è vero, rigida, frigida o tutte le altre cose che dite di me in caserma, ma non potrei mai farti così tanto male… - rilasciò mani e spalle improvvisamente, e proseguì - … almeno intenzionalmente.

  • E Fersen, allora? Cosa c’entra lui in tutto questo? Eri d’accordo con lui?

Oscar si lasciò cadere seduta sul tappeto, volgendo le spalle ad André.

  • No, lui non ne sapeva nulla. È stata tutta una mia malsana idea, e quando l’ho visto al ricevimento e mi ha invitata a ballare non ho potuto rifiutare, ma avevo paura che mi riconoscesse.

  • E lui ti ha riconosciuta.

Non era una domanda, era un dato di fatto.

  • Sì, ma non so perché, è stato al gioco ed ha cercato di farti ingelosire.

André serrò le labbra. La sua pazienza stava per finire. Voleva delle risposte, e le voleva subito. Dopo quella sera, non avrebbe più potuto accettare mezze parole, o situazioni poco chiare. Doveva definire la faccenda, a costo di perderla per sempre.

La voce appena percettibile, chiese

  • Allora, perché?

Oscar cadde sulle ginocchia e chiuse gli occhi, le mani appoggiate a terra, la testa rilasciata, il volto celato dai capelli. Gli attimi divennero minuti, mentre la domanda di André ancora aleggiava nell’aria.

  • Perché ho paura di perderti, André, e volevo verificare se una qualsiasi donna avrebbe avuto il potere di portarti via da me….

L’argine era rotto, calde lacrime presero a scorrere sul viso di Oscar, mentre con un senso di liberazione dava voce a quel che il suo cuore aveva per anni negato, o semplicemente nascosto.

  • perché non riesco più a starti vicino senza provare il desiderio di toccarti, di guardarti, di sentire la tua voce… perché non riesco più a restare impassibile mentre ti do gli ordini e vedo che schiatti di fatica durante le esercitazione e le ronde che IO ti impongo… perché non ce la faccio più, André, non ce la faccio più ad andare avanti da sola…

Singhiozzi disperati si unirono alle lacrime che Oscar non tentava nemmeno più di fermare, mentre André si alzò per poi inginocchiarsi davanti ad Oscar, ad avvolgerla in un caldo abbraccio.

  • Ssshhh… non sei sola, Oscar, non lo sei mai stata, e non lo sarai mai… sono qui, lo sai, ci sono solo per te, se mi vuoi… non mandarmi via, ed io starò sempre con te…

I singhiozzi di Oscar non accennavano a diminuire, mentre il suo cuore si svuotata di anni di emozioni represse ed umiliazioni subite. Tolse le mani dal viso, e lo affondò sul petto di André, inzuppandogli il vestito.

  • Ehi, vacci piano, è il mio vestito buono, se continui me lo restringi…

La battuta ebbe l’esito sperato, perché i singhiozzi si Oscar si mischiarono a sprazzi di risata, mentre lei gli batteva un pugno sul petto.

  • Stupido.

  • Lo so.

  • Sei uno stupido.

  • E tu sei bellissima.

  • Non è vero.

  • Se anche tu non lo credi, non vuol dire che non sia vero. Dovevi vedere come morivano di invidia, le donne, al ballo… e come gli uomini sbavavano mangiandoti con gli occhi…

  • Io tutto quello che ho visto erano solo le galline che ti svenivano accanto… magari ci hai anche fatto qualche pensierino…

André scoppiò a ridere, la situazione era davvero assurda: Oscar, in abiti femminili così poco usuali per lei, accoccolata fra le sue braccia, che gli faceva la scenata di gelosia… il mondo era davvero andato a gambe all’aria, ma a lui quel mondo piaceva.

  • Vieni qui…

Smise di ridere, le alzò il volto rigato di lacrime e trucco – non le era mai sembrata più bella – e scese a baciarle le labbra gonfie di pianto.

  • Ti amo, Oscar, e non importa quanto tempo ancora dovrò continuare a ripetertelo perché tu ci creda, ma io ti amo, e questo è quanto.

Il discorso rimase spezzettato fra la miriade di baci con cui André aveva ripreso a costellare le labbra di Oscar, che non riusciva quasi a respirare di felicità.

André interruppe improvvisamente la dolce tortura, guardò Oscar fisso negli occhi, e le chiese serio:

  • E tu, Oscar? Tu cosa provi per me? Ho bisogno di sentirtelo dire, non posso più affidarmi a delle sensazioni che non mi danno risposte sicure. Ti prego, dimmelo.

Oscar lo guardò intensamente, mentre lui trepidante attendeva una risposta che avrebbe dato senso, o distrutto, la sua vita. Prese un respiro fondo, come preparandosi a parlare, ma si alzò invece prendendo la mano di André nella sua, lo fece alzare a sua volta, e senza smettere di fissarlo prese ad armeggiare con la sua giacca, sfilandogliela, e con i laccetti della camicia bianca che André indossava.

Il ragazzo trattenne il fiato inconsapevolmente al tocco leggero di Oscar sulla sua pelle. Dove voleva arrivare?

I laccetti richiesero ad Oscar un impegno maggiore del dovuto, costringendola ad abbassare lo sguardo e liberando così André da quello che gli sembrava essere uno stato di ipnosi.

Le bloccò i polsi, fermo ma senza farle male, costringendola a rialzare gli occhi verso di lui.

  • Sei sicura che sia quello che vuoi?

  • Sì…

  • Non so se sarò in grado di fermarmi, se continui…

  • Non vorrò che tu ti fermi… André, penso di non essere mai stata così sicura di qualcosa nella mia vita come lo sono adesso…

  • Di cosa sei sicura, Oscar, di cosa…

  • Di voler fare l’amore con l’uomo che amo.


Ritorna all'indice


Capitolo 17
*** 17 ***


E, finalmente, CI SIAMO !

Era anche ora, dopotutto... Ma la mia mente malata non ha voluto che questo fosse l'epilogo per un finale rose e fiori, ma solo l'incipit per un'ulteriore evoluzione che porterà, ritengo, ad una piccola rivincita.

Spero di non deludere nessuno, è la prima volta che scrivo una scena “erotica”... e, in verità, più che l'atto in sé, mi piaceva descrivere quel che i protagonisti provavano...

Come sempre, grazie per gli incoraggiamenti: non sapete che bene che mi fanno...




L’aria era immota, quasi il tempo si fosse fermato e nulla potesse continuare ad accadere.

Un silenzio irreale era calato sul giardino, tanto che nemmeno i passeri nottambuli in cerca di cibo sembravano volerlo rompere, mentre zampettavano silenziosi sui ciottoli dei viali.

In una soffitta celata agli sguardi, sotto una luce di luna azzurrata di seta, due ragazzi si guardavano negli occhi, increduli, emozionati, ed allo stesso tempo impazienti. Ognuno dei due sembrava aspettare che l’altro facesse la prima mossa, ed ognuno dei due bramava di essere il primo a compierla. Ma non si muovevano.

Il tempo sembrava aver perso di importanza, per loro, mentre assaporavano quell’attimo di felicità eterna che tanto è difficile trovare nella vita. L’uno di fronte all’altra, due corpi che si bramavano, due cuori che battevano all’unisono, due anime già fuse, da sempre, in una sola.


Come muovendosi in un sogno, André aprì la presa dai polsi di Oscar, senza lasciarle le braccia, facendo scorrere le mani lungo gli avambracci, fino alle spalle nude, leggero come una carezza.

Oscar appoggiò i palmi sul petto del suo uomo, sentendoli bruciare al contatto e sentendosi essa stessa bruciare.

Le mani ardenti di André le carezzarono la schiena, mentre lei non trovava altra forza se non quella di perdersi nel suo unico occhio, e di mantenere quel contatto, possibilmente in eterno.


André prese a carezzare la schiena di Oscar, le braccia, i fianchi, come se stesse tentando di imprimersi nella mente ognuno di quei particolari che componevano la donna che tanto aveva bramato e che amava.


Oscar si irrigidì leggermente, forse improvvisamente conscia delle mani di André su di lei, forse ansiosa o, perché no, spaventata di quello che si prospettava essere il proseguimento di quelle carezze. Si diede della stupida ragazzina, ma forse una ragazzina sarebbe stata più pronta di lei, in quel caso.

Chiuse gli occhi, lasciando che le sensazioni date dal tocco del suo uomo le parlassero, lasciandosi godere il calore delle mani di André, ed i brividi di fredda solitudine quando queste passavano ad infuocare un altro pezzo di pelle.

Con il cuore che batteva forte, prendendo un respiro fondo, André prese ad armeggiare con le spalline dell’abito, ed i lacci che tenevano il corsetto nero (non senza inghiottire più volte con le fauci secche).

Con lentezza quasi dolorosa per entrambi, sciolse la chiusura, beandosi del sospiro pieno di Oscar che tornava, finalmente, a respirare dalla mondana tortura, e subito sentiva il fiato mozzarsi in gola per l’emozione di quel tocco sulla sua pelle.

Le sembrava che le dita di André fossero fuoco puro, tanto era il calore intenso che le lasciavano ad ogni passaggio, ad ogni sfioramento.

André si costrinse a continuare, piano, delicatamente, la sua scoperta, per non lasciar fuggire quell’istante eterno eternamente agognato, e nel contempo per non spaventare la meravigliosa creatura che da sempre gli aveva rubato il cuore, da tanto glielo aveva spezzato, e solo da poco glielo stava, finalmente, sanando d’amore.

Oscar chiuse gli occhi di vergogna e di emozione buttando indietro il capo, mentre André le sfilava piano l’abito, che cadde come una macchia di notte pura sul pavimento coperto dal tappeto, ed il corsetto, rivelando così il candore immacolato della pelle di Oscar.

Con la sola punta di un dito seguì i margini di una cicatrice, sulla spalla, per sanarla poi di piccoli baci, e di un’altra, appena sopra il seno, più piccola e quasi invisibile; poi un’altra ancora, appena più rosea e recente, ed un piccolo neo che sfrontato era sorto nell’incavo fra i seni. E di ogni segno egli sapeva la storia, ed ogni segno di dolo sul corpo della sua musa era una stilettata al cuore di chi si rimproverava di non averglielo saputo evitare.

Oscar non riusciva a ragionare, troppo erano il piacere, la tensione, la paura, l’amore, troppe le sensazioni sconosciute che si trovava ad affrontare, peraltro di sua sponte, e troppo nuova ed amena era la situazione che stava vivendo. La parte logica del suo animo tentava disperatamente di mettere un poco di ordine in quel subbuglio di emozioni, fallendo miseramente, schiacciata e soverchiata da un cuore balzante di gioia che riconosceva come familiare e dovuto il tocco del giovane uomo. Gli unici pensieri coerenti spaziavano da un “cosa direbbe mio padre se mi vedesse ora” al “ora comprendo gli sguardi ebbri di passione delle mie sorelle”.

André, dal canto suo, stentava a contenere la felicità che gli sprizzava dal cuore, inebriato dall’innocente sensualità della donna che amava, e quasi incredulo della realizzazione dei suoi sogni più reconditi. Stava veramente carezzando Oscar, la stava davvero stringendo fra le sue braccia, condiscendente, stava veramente per fondersi con colei che era la parte mancante della sua esistenza.

Abbandonando l’avventura delle sue mani, lasciò che le labbra imparassero a conoscere, assaggiare e gustare la setosa pelle di Oscar, lasciandole sul viso, sul viso e sul seno una scia di baci infuocati, indugiando sulle dolci corolle dei piccoli seni sodi e sfrontati, strappando ad una Oscar, che inutilmente cercava di trattenersi, languidi gemiti di puro piacere.

Per un istante l’orgoglio innato di Oscar tornò prepotentemente alla luce, facendole aprire gli occhi di scatto a fissare un André stupito, e forse timoroso che il paradiso in cui si trovava potesse scomparire.

Ma Oscar sembrava avere altri progetti che non tornare con i piedi per terra. Con un ghigno che tutto era tranne che angelico, scostò dai piedi l’abito ormai inutile, per dedicarsi con foga alla camicia di André, slacciandola, quasi strappandola, per liberare poi le possenti spalle ed il torace dell’uomo, e rimanendo un poco stupefatta dalla perfezione del corpo di quello che, ormai, sapeva essere il suo uomo.

Come già André, prese a seguire dolcemente i segni delle ferite subite negli anni passati insieme ad affrontare uomini e dei, ed a tracciare disegni sulle costellazioni dei suoi nei, con gli occhi pieni di meraviglia, come di bambina che scopre un gioco nuovo.

André non resisteva più, sentiva i pantaloni ormai troppo stretti, mentre l’istinto ruggiva per compiere la sua opera.

Sollevò deciso il viso di Oscar, per scendere a divorarle le labbra, famelico. Dopo un istante di sorpresa, Oscar si ritrovò a rispondere a quel frenetico bacio sentendosi ardere di un fuoco nuovo, sconosciuto, di pura passione.

Senza nemmeno rendersene conto si ritrovò stesa a terra sui morbidi cuscini, con il dolce peso di uno scatenato André che le gravava sul corpo, mentre le mani di entrambi vagavano vogliose sul corpo dell’altro.

André si interruppe improvvisamente, guardando fisso Oscar negli occhi, chiedendole un muto consenso che la voce non avrebbe osato esprimere. Oscar gli sorrise spaurita dicendo “Guida tu il gioco”.

Un sorriso dolce aprì il volto di André, mentre sentiva che tutto la spasmodica passione di poco prima lasciava il posto ad una lenta ponderata profonda disarmante voglia di essere un tutt’uno con la sua Oscar.

La privò gentilmente del poco che ancora la ricopriva e si denudò a sua volta, con movimenti dolorosamente lenti per non rischiare di spaventarla – e sembrava una cosa così strana da dire, pensando all’indole dell’indomita Oscar – e per permetterle di tirarsi indietro se – ti prego, no – avesse capito di non volere continuare.

Oscar tremava, forse dalla tensione, forse dal freddo, ma sembrava in quel momento piuttosto stupefatta dalla visione che la sovrastava. André era… Oscar non avrebbe saputo definirlo… la luce argentea che filtrava dall’abbaino illuminava appena il corpo marmoreo del ragazzo, lasciandone intravedere più che vedere realmente le forme, ma permettendo comunque ad Oscar di apprezzare appieno le spalle possenti, i fianchi stretti, le gambe forti, e…

Oscar si lasciò scappare un sospiro sorpreso… Santo cielo, ma quant’era GRANDE ! Nonostante il suo vivere, e tentare di apparire, da uomo, non aveva mai avuto occasione di vedere un uomo nudo, tolta forse quella volta in cui aveva visto André uscire come mamma l’aveva fatto dopo una nuotata nel fiume… ma a quel tempo aveva solo 9 anni.

Imbarazzata, volse altrove lo sguardo, lasciando André ad incupirsi nel pensiero di aver osato davvero troppo.

Le si accucciò accanto, carezzandole delicatamente la guancia e sussurrandole dolcemente “Scusa, Oscar, non volevo turbarti…”, salvo poi sentirsi afferrare da due fresche mani e tirare giù ad assaporare le labbra della ragazza.

La sorpresa ed il vago divertimento per la situazione abnorme lasciarono subito il passo alla passione ormai incontenibile di André, e di Oscar.

La soffitta si riempì di sospiri e gemiti, mentre le due anime si fondevano in una sola, ed i due corpi si riconoscevano come unica entità da sempre predestinata a rincontrarsi e fondersi.

Scavalcata la paura, Oscar sentiva, per la prima volta nella sua bizzarra vita, di essere al posto giusto, di essere finalmente colei che voleva essere, e non più quella che suo padre, o altri, volevano che diventasse.

Passato l’attimo di intenso dolore dell’unione, si sentì per la prima volta completa, comprendendo solo in quell’istante cosa volesse dire essere in comunione completa con il proprio uomo.

Mentre i loro corpi si muovevano selvaggi ed appassionati, lo sguardo di André, immerso nella felicità più pura e nell’amore più sconfinato, non avevano lasciato per un attimo gli occhi di Oscar, per coglierne e gustarne ogni sensazione, ogni pensiero, per investigare ogni più piccolo indizio di disagio, se mai ve ne fossero stati.

Il cuore del ragazzo batteva forte per l’emozione di quel momento atteso da sempre, ed ancor più per la consapevolezza che la donna per cui avrebbe dato volentieri la vita si stava donando a lui senza remore, senza pudore, senza condizioni.


Ritorna all'indice


Capitolo 18
*** 18 ***


Chiedo scusa per il ritardo. Ho avuto un piccolo infortunio, nulla di grave, ma non sono riuscita ad aggiornare.

La storia continua. Spero piaccia a qualcuno. E grazie per i commenti.

Le prime timide creature del giardino uscirono dai loro rifugi a salutare il sole, i cui raggi filtravano pacatamente dalle tende dell’abbaino, illuminando di una soffusa e calda luce i due amanti addormentati, l’una abbracciata all’altro, coperti da un caldo plaid.

I capelli biondi della eterea creatura erano sparsi disordinatamente su uno dei cuscini, e furono la prima cosa che André vide aprendo gli occhi, credendo di essere in paradiso. Si alzò lentamente su un gomito e rimase incantato a contemplare la realizzazione dei suoi sogni che dormiva accanto lui.

Lo sguardo di André fu forse così intenso che Oscar aprì gli occhi, incrociando lo sguardo innamorato – e forse un tantino ebete – dell’ex amico. Gli sorrise sorniona, stiracchiandosi come una gatta.

  • Dormito bene?

  • Mah, così così, il materasso non era dei migliori…

André si accigliò un poco.

  • … ma la compagnia era decisamente piacevole…

André, rilassatosi, si lanciò alla tortura di Oscar soffocandola di solletico, per poi finire a soffocarla, corrisposto, di baci, e…

Era già giorno da un pezzo, valutò Oscar dalla posizione del sole, mentre si rivestiva con degli abiti a lei più consoni, che lasciava sempre di scorta nella soffitta per ogni evenienza.

  • Oscar, e adesso?

Non servivano altre parole, fra loro, Oscar aveva compreso benissimo a cosa André si stesse riferendo. Tutto sarebbe stato molto più complicato, da quel momento in poi, terribilmente complicato, ma l’unica cosa che Oscar aveva ben chiara in mente era che per nulla al mondo avrebbe rinunciato ad André, ed al loro amore.

  • Ti piace ballare, André?

  • Si, ma…

  • Allora si balla !

  • Cosa intendi dire?

Oscar si voltò, terminando di allacciare la cintura intorno alla vita sottile, guardò André fisso negli occhi, e rispose:

  • Intendo dire che ora che ti ho trovato, ora che ho finalmente compreso per cosa veramente valga la pena di combattere, non intendo farmela portare via da chicchessia. Non hai un titolo nobiliare? E chi se ne frega ! Hai molto più sangue nobile tu di quelli che si vantano di averne da generazioni !

André, il torso ancora nudo, si mosse rapido a prendere Oscar fra le braccia, mentre lei, spogliata di ogni corazza, si lasciava cullare dal ritmico battere del cuore del ragazzo.

  • Non sarà facile, lo sai… Potremmo tenere tutto celato…

  • No, André, non è giusto, e tu di certo non lo meriti.

  • Oscar, non puoi rientrare in casa, presentarti a tuo padre e dirgli “Sai papà, io ed André siamo amanti, e vogliamo stare insieme alla luce del sole” e pretendere di rimanere viva…

  • Ok, ma non voglio nemmeno che ci riduciamo ad incontrarci come dei clandestini, André.

  • Nemmeno io lo voglio, Oscar, puoi immaginare che il mio più grande desiderio sia di gridare al mondo intero quanto ti amo – ed Oscar arrossì abbassando lo sguardo – ma dobbiamo pur sempre garantircelo, un futuro…

  • Ma…

  • Dovremo tenerlo nascosto, almeno per ora… dovrai trattarmi come al solito, e continuare a darmi ordini, e punizioni, come hai sempre fatto… al limite ci penso io a vendicarmi di notte…

Oscar sorrise nervosamente, piegandosi all'ineluttabilità di come stavano le cose.

Sarebbe stato tutto molto più difficile, da quel momento in poi, ma non sarebbe stata sola ad affrontarlo.

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=377577