Yo soy Andres

di queenjane
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Andres ***
Capitolo 2: *** Irony ***
Capitolo 3: *** Isabel The Dream ***
Capitolo 4: *** The Tragedy I am a survivor ***
Capitolo 5: *** Exile El Picador ***
Capitolo 6: *** Calle Mayor ERSZi ***
Capitolo 7: *** Erszi 1911. With Me ***
Capitolo 8: *** Sofia Fuentes ***
Capitolo 9: *** The Lost Prince ***
Capitolo 10: *** ANDRES & Felipe Los Senores de las montanas.. ***
Capitolo 11: *** I am back For You ***
Capitolo 12: *** Erszi, Catherine, Andres ***
Capitolo 13: *** Felipe's born ***
Capitolo 14: *** FELIPE ***
Capitolo 15: *** Goodbye ***
Capitolo 16: *** My beloved -Yo soy Xavier ***



Capitolo 1
*** Andres ***


Era  nato sui Pirenei spagnoli, alla rocca di Ahumada, ultimo figlio di un principe e di una dama russa, il 28 gennaio 1883.Aveva molti talenti, tra cui l’attitudine per le lingue e a vagabondare nelle terre di suo padre, con il fratello che lo precedeva, un altro cadetto come lui, Jaime, mentre l’erede trovava conforto nei riti e nella storia dei loro grandi antenati, come la loro sorella più grande, ironica, scanzonata e ribelle.Sapeva fare trappole per i conigli con  i fili, scavare buche per catturare un ipotetico lupo, seguire le tracce di un daino come cercare di capire le parole straniere, si portava un libro di grammatica, fosse russo, come inglese o francese o tedesco nelle sessioni di pesca.
Crebbe solitario, come un titano, come un eroe, amava la solitudine e non aveva nessun timore apparente.
I suoi occhi erano verdi, come gli smeraldi che sua madre amava indossare, con il principe suo padre si erano conosciuti e innamorati e sposati nel giro di poco, lui la chiamava la sua piccola perla.
Verdi come le iridi di LEI, era il figlio minore, forse  il suo prediletto. Tranne che la donna era rimasta sempre una straniera, nostalgica della Russia e delle sue luci e dei lunghi inverni, pur amando Xavier dei Fuentes senza misura e parimenti ricambiata.
Le piaceva che Andres fosse senza timori, che amasse la caccia, trattenendosi spesso nel capanno a ciò adibito, anche lui era una fiera selvatica, che rifuggiva le sue tenerezze.
Era un Fuentes, discendente da una stirpe di leggenda, lunga un millennio.
Gli occhi verdi di mia madre, aperti, quando le ho detto addio, un ragazzino di 13 anni che prendeva a pugni i tronchi degli alberi, il dolore alle nocche per non pensare al dolore dentro, lei era morta da poco e non sarebbe più tornata. Un sorriso nelle foto, ricordi, e poco altro.
MAMMA.. dove sei..E so che non pronuncerò più questa parola, intima e segreta, da ora in poi Sofia Funtes sarà “madre”, “Mia madre..” Immutabile come i Pirenei, le punte acute e nevose, contro lo sfondo di cieli di zaffiro e ametista. 
La prima e tenace perdita, senza ritorno, le sue spoglie mortali avrebbero riposato nella cappella dei Fuentes, accogliendo pochi anni dopo quelle di mia moglie e mio figlio, in attesa della resurrezione della carne.
Se esisteva un paradiso, vi erano di sicuro, per loro e non per me.
Ero un mortale, anche se mio padre era il principe Fuentes, non certo Achille od Ulisse, avevo bisogno di amare, non ero perfetto, non ero un santo, od un asceta.
Ero solamente io.

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Capitolo 2
*** Irony ***


“Ahumada, in punto di cronaca, come già detto in altre occasioni,è un castello sui Pirenei, sul versante spagnolo, circondato da boschi e foreste, la casa dei miei avi, che siamo stati marchesi, poi diventati principi, i Fuentes dai mille talenti. Nel fitto del bosco, si dava per certo che vi fossero dei lupi. Avevo tredici anni e stavo fuori con ogni tempo, alla peggio dormivo in un capanno di caccia e scavavo buche,mi davo da fare una trappola che poi ricoprivo d’erba e terra, e facevo passeggiate e giri di ricognizione, con il mio fratello più grande Jaime. Ci divertivamo anche a pescare ad un torrente, facevamo trappole per conigli .. I due vagabondi, ci appellavano al castello, mio padre da un lato ne rideva, dall’altro non sapeva che farsene di due teste matte come noi due. Comunque, doveva venire un ospite e io e Jaime eravamo latitanti nel bosco..” raccontava Andres, era il 1915, tornava alla sua rutilante adolescenza, nel 1896 aveva 13 anni. L’ospite era Aleksander Rostov-Raulov, un discendente dei Fuentes, un illegittimo che si era reinventato una vita e una carriera alla corte della zarina Caterina II di Russia (1), le parentele contavano e tornavano, negli anni e nei secoli.
 “Racconta Andres” la voce sottile di lei.
“Rostov Raulov era venuto in Spagna per un libro di memorie, sul vostro capostipite., Felipe, mio padre Xavier dei Fuentes lo accolse e lo invitò a fare un giro. Il principe cadde nel fosso.. Passeggiava e finì come un allocco nella mia trappola. Poi gli sono rimasto simpatico..Lasciamo perdere”
Quella tra Sofia R. e Xavier Fuentes era stata una infinita passione, lei viveva a Piter, il grazioso nomignolo con cui i suoi abitanti chiamavano la capitale russa, San Pietroburgo, altrimenti detta la “Venezia del Nord”, per le sue luci e i suoi canali.
Un gioco di sguardi, nel 1878 lui era in viaggio di istruzione, il cosiddetto “Grand Tour” in Russia, nello specifico, si era trovato appunto a San Pietroburgo e la aveva trovata.
18 anni entrambi, un breve fidanzamento, quindi il matrimonio.
Enrique era nato nel 1879, Jaime l’anno dopo, Marianna nel 1881, Andres nel 1883.
I primi quattro figli erano sopravvissuti tranne che negli anni successivi Sofia aveva abortito almeno tre volte, a stare stretti, la passione tra lei e Xavier non conosceva di uguale.
Te quiero.
Mi amor.
L’uno per l’altro e lei poi era morta, lasciandolo solo, la prima di innumerevoli perdite per Andres.
Quando conobbe Rostov-Raulov, R-R per gli amici era stato in Africa.
Comunque quando R-R, dopo l’episodio della buca,  pescò Andres che aveva finito di cucinare porc en croùte da cui colava burro alla mostarda, accompagnato da fagioli e patate, oltre che una tarte au citron, allibì letteralmente
“Sai cucinare?” gli fosse spuntata una altra testa sarebbe rimasta meno allibito.
La sua risata faceva vibrare le pareti “Ebbene sì” affermò Andres. “Colpa della Leonessa di Ahumada”

“La leonessa di Ahumada?? Chi è”
“Mora, occhi verdi..”
“Tua sorella? Marianna”  con stupore “Racconta” quei fatti Andres li avrebbe narrati molte volte, tranne che la faccia allibita di R-R era un puro spettacolo.
“Racconta. Immediatamente”
“Allora.. nel 1896, in questo corrente anno,  mio padre portò me e i miei fratelli in Africa, a caccia. “ masticava il sigaro spento, per la foga di ascoltare ”. .Chiaramente la ragazza sapeva sparare.. Gazzelle, impala, e così via, ma la preda più ambita era il leone, ovvero il re della foresta. Con Jaime e Enrique stabilimmo che il primo che avesse abbattuto un leone, avrebbe imposto una penitenza agli altri.. eravamo dopo cena, bevendoci una birra, lei leggeva qualcosa poco distante, e tanto ascoltava, fidati, due orecchie tese come castelli per sentire quello che inventavamo. Intervenne, piccata, giustamente, che non era stata presa in considerazione e per evitare spargimenti di sangue, che lei ci avrebbe trucidati ben prima ..stabilimmo che avrebbe partecipato, anche se ritenevamo che fosse una cosa da maschi. Che non ci avevano capito nulla, infatti fu la ragazza a acchiappare il solo leone della spedizione e ci servì una lezione memorabile” si asciugò le  mani in un canovaccio “Cioè.. ??Vi fece prendere lezioni di cucina?E vostro padre non osservò nulla??”
“ Disse che avevamo dato la parola e quindi dovevamo imparare, che Marianna ci aveva ben gabbati. Che imparassimo una cosa da donna, ecco l’ironia della leonessa”
“Andres, tu farai miracoli”
Era un ragazzo coraggioso, egoista, impetuoso, sarebbe stato un uomo meraviglioso, un ingombrante armadio, come lo definiva poi la sua seconda moglie, Catherine Raulov, nipote di R-R.
E lo avrebbe amato per tutta la vita. 
  1. Rinvio a “Felipe”.

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Capitolo 3
*** Isabel The Dream ***


Rose inglesi, dalla corolla pesante, come quella di una peonia, il profumo che stordiva come fumo, Isabel le recava in mano.
La guardavo, era bellissima, elegante, minuta e sottile, era del 1881, come mia sorella Marianna, parlottavano, i cappelli a grandi tese piegati l’uno verso l’altro.
Arguta e con un grande senso dell’ironia, erano grandi amiche.
Isabel aveva i capelli dorati, come le distese di grano in estate, in Castiglia. Splendenti come la chioma di Berenice nel cielo estivo.
Basta poco o nulla, sguardi, una mano che cerca la tua, stretta dietro una porta, il cuore in capriole, mi bastava vederla per essere felice.
Ero giovane, lei aveva due anni più di me, appunto, nulla contava, la guardavo e mi guardava e tutto si fermava.
La morte di mia madre era stata un trauma, a 13 anni ero cresciuto e maturato, giovane di anni e non per esperienza.
Vicino alla rocca di Ahumada vi era una radura di melograni, che crescevano, sghembi nonostante il clima dei Pirenei, fiori e rossi frutti, simbolo di fertilità e buona fortuna. Su un tronco incisi le nostre iniziali, I e A, isabel e Andres, un cuore le racchiudeva. Lei rise, imbarazzata,  mi inginocchiai davanti a lei.
“Isabel, io..”
“Dimmi”
“Io ti amo, Isabel. Mi vuoi sposare?”
Andavo per i 16 anni, una dama e un cavaliere, come le antiche leggende.
Uniti come le nostre iniziali, eravamo giovani, belli e perfetti, immortali.
Isabel mi abbracciò, dopo avere detto sì, altre parole erano inutili.
Il bacio che ci scambiammo.
Fuoco su fuoco, metallo su metallo, mai avevo amato così.
ISABEL.
E il vento leggero soffia di nuovo, il rombo di un tuono lontano, sono di nuovo e innocente, la vita doveva ancora piegarmi. Emozioni, impaccio, quella notte, la nostra prima notte eravamo vergini, goffi, tesi per cercare di essere all'altezza delle aspettative reciproche, il desiderio e il timore di fare una figura pessima. ..... Invece...
Catherine Raulov, nipote di Aleksander Rostov-Raulov, era nata a San Pietroburgo il 27 gennaio 1895, suo padrino di battesimo fu lo zar Nicola II, la prima delle granduchesse, figlie dello zar e della sua sposa tedesca, nacque nel novembre dello stesso anno. Olga, questo, il suo nome e Catherine, crebbero insieme, inseparabili, come lo zar e  Rostov-Raulov e Raulov,  rispettivamente fratello e marito di Ella, madre di Cat. Una suntuosa apparenza che nascondeva indicibili verità.
Catherine era bellissima, occhi scuri, delle sfumature di onice e topazio, i capelli castani dai riflessi di rame e melagrana, la pelle olivastra, snella e snodata, ricordava Felipe de Moguer, un lontano antenato spagnolo.
In verità il suo nome era Ekaterina Petrovna Raulova, ma Olga Nicolaevna, la appellava Cat, imparando a parlare, quel nome era troppo lungo per quella solenne e bionda bambina, dopo la chiamò sempre Catherine alla francese, di preferenza usavamo quel linguaggio. Catherine. Come la zarina Catherine II, la grande imperatrice del 1700, che Voltaire aveva appellato “Stella del Nord”, che adorava il francese, scanzonata e ribelle.
 Dalle cronache del matrimonio di Catherine e Andres, celebrato il 9 settembre 1916. (I)
Quando aveva sposato Isabel era vergine, tranne che qualche bacio rubato. E pensava che fosse come quando si accoppiano due animali, invece.. I suggerimenti che li avevano dato i suoi fratelli lo avevano riempito di stupore e imbarazzo. Il principe suo padre si era sposato giovane a sua volta, 18 primavere, ma non aveva osato chiedere nulla, Xavier gli aveva raccomandato solo di non avere troppa fretta, lasciando alla sua immaginazione il resto. Amore, tenerezza, passione. I bordelli e le avventure erano venuti dopo. Era giovane, in salute, ardente, senza obblighi,  di tutte per non essere di nessuna, solo una volta si era innamorato, prima di me, senza riflettere che lei era irraggiungibile, in un dato senso, come se vivesse sulla luna. E fosse stata libera, lo avrebbe ricambiato con pari impeto.
Dalle cronache del matrimonio di Catherine e Andres, celebrato il 9 settembre 1916. (II)
“Non sarà come Luigi XV”
“Jaime, queste battute sono da Enrique, che si astiene, per favore”
“ Non volevano paragoni e ci sono riusciti”
“E tanto ci hai pensato uguale.”
“Sì, era la mia migliore amica e ..”Un gesto della mano, bevve un sorso di champagne ghiacciato.  I tre fratelli Fuentes parlavano tra loro vicino a finestra, una pausa, mentre gli sposi avevano iniziato le danze, la prima parte del banchetto era giunta a compimento.
“Ah, Marianna, poi devi essere fiera di tuo marito”Cicalò Enrique. Se fosse stato meno ubriaco si sarebbe astenuto, reggeva bene e tanto aveva iniziato a straparlare,  che Marianna poteva risultare letale e non gliela avrebbe lasciata passare. Cresciuta con tre maschi, era assai diretta e senza fronzoli, inutile, era sempre stata Marianna la ribelle, l’indomabile.
“Cioè?” Lo trapassò con gli occhi
“Ieri sera siamo stati alla più rinomata casa di piacere di Piter”Abbassò il tono,  mentre Jaime rideva “Io, Andres, Raul, nostro padre e R-R. Sai come è .. l’addio  al celibato, Jaime è celibe a vita.” Lui rideva, che sipario, che situazione.
“Lo so, mica sono nata ieri. Che ha fatto mio marito? Poi Jaime si è ben divertito prima di prendere i voti” dato fattuale, i tre fratelli Fuentes erano sempre andati d’accordo su quel fronte, giovani uomini, avidi di vita e di piacere.
“Nulla. Come Andres. E li assediavano, fidati, è il loro lavoro e credo che alcune sarebbero andate gratis”Marianna annuì, le veniva da ridere. “Peraltro come undici anni fa.”
“ Che vai cianciando, Enrique?” strinse le palpebre, minacciosa.
“Che anche alla vigilia del vostro matrimonio lui si è astenuto, il suo addio al celibato è stato bere, come ieri sera, come ha fatto Andres. Ha osservato che non ne aveva bisogno, di donne, quando aveva TE. Che bastavi per 10. Osservazione intesa come complimento, lui è sempre stato cotto di te”
“Enrique, ti adoro.. Vuoi un caffè? Prendi un poca d’aria e ..”
“”Mi sono sacrificato io.”
“Già Enrique, immaginavo .. A proposito Luigi XV onorò sua moglie la prima notte cinque volte, su Andres evitiamo paragoni, che all’epoca aveva 16 anni, ora 33, vedremo”(. EHM..Mi compativano?)
Questi i discorsi tra fratelli, non certo da educande, Andres conosceva i suoi polli, mi indicò il trio che un poco rideva, un poco parlava, erano letali, poi scorsi Raul de Cepeuda, che si avvicinava deciso, forse sperando di evitare battute a proprio danno.
“Scusate, tra poco iniziamo con i balli e..Marianna, tutto a posto?”
“Raul de Cepeuda, mi estrella”
“Eccoci, tu zitto mai, Enrique..” Raul sbuffò, tese il braccio e  si inchinò a Marianna, le baciò la mano, erano davvero molto belli e innamorati, quando ero una ragazzina li avevo ben visti e quel sentimento si era mantenuto, senza logorarsi. Mi augurai che tra me e Andres durasse.
“ Vedrai che accoglienza trionfale avrà stasera.. lei vuole un altro figlio “
“Enrique, vai a prendere un po’ d’aria, è meglio”
“ Vero, evitiamo le scene, solo Jaime .. tu testimone, pronostico che l’anno prossimo avremo due nuovi nipoti, uno da Marianna e l’altro..”
“Così sia”
“Così sarà. Tanto devo mettere la testa a posto io pure”
Quando gli asini voleranno, pensò Jaime e lo dirottò verso la terrazza. Comunque, tutto sommato, aveva cambiato rotta ed era già qualcosa.


ISABEL.
The DREAM.

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Capitolo 4
*** The Tragedy I am a survivor ***


1916, War Zone. Catherine and Andres, in and out love. 
 “Se esistesse una pozione per l’oblio, il suo inventore farebbe soldi a palate” Andres scolò il bicchiere di vino, l’ennesimo, annotai, senza correggerlo,  e lo posò sul tavolo, sporco e lurido, altri cerchi e segni di bicchieri, di allegrie e trascuratezze. Eravamo a P., in una misera taverna, liberi che avevamo finito a quel giro.
“Confermo, hai le tue ragioni”
“ E tu le tue” Volevo chiedergli cosa avesse, tuttavia ero diventata abbastanza saggia da attendere. Mi sfiorai l’avambraccio destro, poi sorrise, le iridi appuntate poi in un punto lontano, indefinito, sfiorando un medaglione che portava al collo, sempre.
“Ti spiace se vado a fare una passeggiata?”dove sarebbe arrivato con tutto l’alcool ingurgitato era un mistero. Ed era per dimenticare, la rabbia, le assenze, la gioia di essere sempre vivi.
“Vai, tranquillo” Mi versai un bicchiere di vino, che aveva?  Presto o tardi me lo avrebbe detto, previdi, e di sicuro non mi sarebbe piaciuto.
“Scusami, è che .. Oggi è il 26 marzo, per me è un anniversario difficile”
“Non devi dirmi nulla, se non vuoi. Non vi è nessun obbligo, non abbiamo alcun obbligo”
“Tu non mi obblighi a nulla.. Vedi, Cat, sono stato solo così a lungo che .. Mi pare un dono essere tornato a amare, o una cosa che  non merito” e mi chiamava Cat, il privato, amato nomignolo con cui mi appellava Olga e  poi i suoi, Cat, una sillaba, per Catherine, ma voleva anche dire “gatto”in inglese, Olga poi amava i gatti, mai saputo sul serio se era per tenerezza o ironia. E baro, sapendo di barare, Olga diceva Cat quando iniziava  a parlare, il nome alla russa era troppo lungo per una minuscola e solenne bambina, di preferenza mi chiamavano Catherine alla francese, daccapo era sempre molto lungo. Ma i gatti le piacevano, quindi? Per Alessio, lo zarevic, sarei stata sempre Cat, lo rievocai per un momento, il mio monello, poi tornai a noi. Alla prima volta che avevo visto Andres, avevo 8 anni, correva l’anno 1903, schizzavo dietro al mio gattino, chiamato molto fantasiosamente Cat, nella foga travolsi un segretario di mio zio.
Catherine, … Ti ho conosciuto quando eri una bambina di otto anni, dietro a un gatto, che fece cadere una risma di fogli e rise del mio radunarli, invece di scusarsi del pestone. Giusto perché eri la nipote di Rostov-Raulov mi astenni dal riprenderti, sorridevi sghemba con quel felino, finalmente preso, ballando ora su un piede ora sull’altro, poi sparisti, di gran carriera.
Il mitico Sasha R-R, diminutivo di Alexander Rostov-Raulov, conosciuto nel 1896, quando venne in Spagna a cercare notizie per scrivere un libro sul primo principe Rostov-Raulov, al castello di Ahumada, mia casa di nascita, oltre che di Felipe. Personaggio carismatico e complesso, guai a chi osava toccargli la sorella o la nipote, che al tempo eri ancora figlia unica. Cocciuta, viziata e esasperante. E non era timidezza, come appresi poi.

“Racconta” Eravamo in due a spartire quelle sensazioni, Luois era morto da appena 18 mesi e lo amavo, Dio se lo amavo, a dispetto di tutti, me compresa, Andres l’insopportabile. E mi baciò, le sue labbra sapevano di vino e fumo, poco prima aveva preso una sigaretta, io stessa avevo tirato due boccate.
Mi porse il medaglione, in silenzio, sganciai il pendaglio. Conteneva una ciocca di capelli neri, che cadde morbida sul palmo, poi una foto. Riconobbi un Andres di non più di 18 anni, con la barba, come spesso portano i giovani per parere più maturi, come accade in quell’età, accanto al lui una ragazza splendida, armoniosa, dai chiari capelli, che si appoggiava al suo braccio. Erano giovani, radiosi, innamorati.
“Chi è?”indiscreta o forse no, se me lo mostrava potevo chiedere.
“Mia moglie. Isabel”
Fu come se mi avesse tirato un pugno allo stomaco, mi ricordai che mio zio aveva accennato che Andres aveva vissuto una tragedia privata, non lo aveva esplicitato e mai io avevo chiesto.
“Sembrate molto innamorati”
“Già. “Un altro metaforico pugno,stavolta  al plesso solare, ma sapevo che mi amava, o quantomeno che era attratto da me e viceversa, una potente alchimia, nessuna parola, parlavano i corpi.
E non era lussuria, il cieco cozzare di due bacini che si saldavano, unita a lui mi sentivo invincibile, a casa,estasi e tormento. Eppure mi aveva detto che non aveva moglie o figli,  lui aveva tanti difetti, ma amava i bambini, lo avevo visto interagire con Alessio, che avrebbe fatto ammattire un santo, senza sbuffare, gli piaceva, aveva sempre un sorriso od una caramella se capitava di incontrare qualche fanciullo.. E non avrebbe mai lasciato la sua donna, lui era fedele, se dava la sua parola, il suo amore non si tirava indietro. Una moglie.
 E lei era bionda, dalla foto indovinavo i suoi riccioli dorati come un campo di grano della Castiglia in estate, e la ciocca nel medaglione era scura, come la chioma di Andres, che avevo accarezzato tante volte.
Poteva mentire su mille cose e non su quello.
Dopo Luois e prima di lui, avevo avuto  brevi  avventure, strette per sentirsi meno soli, il calore di un corpo, giusto uno sfogo, sapevo declinare le differenze, per quanto giovane, tra mera attrazione e un quid in più. Forse. E non mi raccontavo storie per farmi contenta. E, in fondo, gli oblii che stordivano, il passare da una stretta all’altra, le ubriacature, colmavano il vuoto? Mi sentivo sola comunque, e tanto..  A mio dispetto, ero sempre viva. E amata, anche quando ero orribile, superba come Lucifero, sapevo che mia madre, mio fratello e Olga mi amavano.. E Alessio, come Tata, Marie o Anastasia.. Mi volevano bene. Respinsi il ricordo dello zarevic, ancora,  anche se non avessi avuto figli, lui sarebbe rimasto sempre il mio bambino.
“Dimmi, Andres, io ti ascolto. Fuentes, ahora y por siempre” da un pezzo ero io la tua unica, cercavi me e una sigaretta e i nostri momenti  nelle albe sospese.
“Il  26 marzo 1899 mi sono sposato, io e Isabel ci conoscevamo fin dall’infanzia, una amica di mia sorella Marianna, aveva due anni più di me” la mia gola era murata a secco. “Bionda, bellissima, delicata, il mio primo amore”Un sorriso distante, remoto, obliquo. E mentre la rievocava, mi sentivo gelosa, misera, intuivo quindi che fosse morta, lui non si sarebbe mai accompagnato a prostitute o concubine o intrattenuto relazioni,più o meno appaganti,  da ultimo con me, come aveva fatto in quelle stagioni, se avesse avuto una moglie ad attenderlo in Spagna o dove diavolo fosse.
No, aveva tante magagne, era un furfante, un rompiscatole, e non avrebbe mai abbandonato Isabel, o chi per lei. Lui era fedele, la sua parola d’onore era sempre una, non mutava, se la dava.
Era andato via dalla Spagna nel 1901, tornato solo due volte, un motivo vi era e si apprestava a narrarlo, il suo dono, mi amava e condivideva tutto, fino alla ultima goccia di cenere e assenzio
E io lo amavo, a mia volta, avrei ascoltato i suoi sussurri
Era partito che era un ragazzo, poco più grande di Alessio, il mio zarevic, il principe ereditario, malato di emofilia, un urto poteva farlo morire, era viziato, ansioso, una meraviglia. ED Andres ora descriveva un ragazzo innamorato, LUI, che non osava chiedere altro alla vita, se non di stare con sua moglie, come me quando avevo sposato Luois, alla fine.
Isabel, piena di misericordia e grazia, amazzone eccelsa e provetta, amata.  Amatissima.
“Enrique, il primogenito di mio padre, il mio cosiddetto fratello maggiore, è sempre stato uno scavezzacollo. La sua sola morale il piacere, il suo volere un dogma, andava a puttane e voleva l’amore, che ne so. Lui, il primo, l’erede di nostro padre, che erediterà tutto, e poi .. invidiava me.” E ancora lo amava, era suo fratello, e certo doveva averlo odiato. E avrei saputo, volente o nolente.
“Alcune persone nascono così, Andres, votate alla infelicità propria ed altrui. “ Omisi di toccarlo, pensai a Olga, che mi aveva amato e perdonato, nonostante tutto.
“Molestava le figlie dei contadini, dava il meglio di sé alle feste del paese. Al diavolo fossero o meno consenzienti, si ubriacava e attaccava scaramucce, millantava che un Fuentes doveva fare quello, giocava d’azzardo e perdeva, faceva finta di fare il servizio nell’esercito a Madrid e invece ..Era entrato in brutti giri”
NO.
I Fuentes proteggono la loro gente, sono come i Pirenei, accoglienti, indelebili.
“Era il mese di aprile 1901 quando Enrique giunse a casa, raccontò di avere contratto debiti di gioco che non poteva ripagare, che quella gente era pericolosa. Nostro padre non volle sentire ragioni, suo il debito, suo il disonore, lo aveva avvisato, e lui aveva continuato, certo che lo avrebbe protetto. Aveva ragione a avere timore, quei soggetti vennero a riscuotere il loro e passarono alle vie di fatto, appurato che nulla avrebbero avuto, venne incendiata una parte del castello.A scopo dimostrativo.  Il tempo era caldo e secco, le fiamme si propagarono e io accorsi. Te la dico come una cronaca, una notizia su un giornale, ma vi è da credere che non è così, fidati.  Misi in salvo non so quanti, domammo le fiamme. E così  Isabel, fece la spola per salvare le persone, inalò non so quanto fumo, nelle sue condizioni un  dramma, che era incinta di più di sei mesi, ma lei era così. Buona, generosa. Mio padre era ed è il principe Fuentes Cat, quella era la mia gente, cercai di non farli ardere vivi e..HO PENSATO A TUTTI TRANNE CHE A MIA MOGLIE... INCINTA” Una lacrima danzò nei suoi occhi, la scostò con fastidio”Un parto in anticipo, ma a rischio, scelse di dare una possibilità al bambino. Era un maschio. Vi fu un inchiesta, un esame autoptico, il medico aveva avuto ragione, se salvava Isabel, il bambino era andato, viceversa  era morta lei, che era già messa male. E mia moglie scelse nostro figlio. XAVIER. XAVIER FUENTES. Nato e morto nel giro di una settimana, mio figlio.”Strinse le mani, poi le allungò verso la ciocca, compresi che era del suo perduto bambino.
Aveva messo tutti al sicuro, non aveva salvato sua moglie e suo figlio, rabbia e senso di colpa lo avrebbero tormentato per sempre, fino alla fine dei suoi giorni.
“Era minuscolo e perfetto, Catherine, il mio piccolino. XAVIER FUENTES; come mio Padre, che ora riposa accanto a Isabel e mia madre, da allora fino alla fine del mondo. Fosse nato anche solo di due settimane in più, avrebbe avuto la possibilità di salvarsi, lottò per una settimana, ma era troppo presto, era un Fuentes, un principe combattente che voleva vivere.  Ed Enrique era sopravissuto, millantava che  era solo una tragedia. E l’ho odiato per non odiare me stesso, quando venni via gli avevo rotto un braccio e fatto saltare i denti, chiedeva il mio perdono.  Come no, io, cadetto, avevo protetto la mia gente, non protessi l’erede dalla mia furia, tacendo che avevo perduto mia moglie e mio figlio per .. Me ne sono andato per il mondo per non uccidere, Enrique e me stesso, quei due li trovai poi. E la Spagna è  di sicuro un posto migliore senza di loro.  “


Poi “Avrò sempre nostalgia di Isabel e mi mancherà, come il ragazzo che sono stato,  mi chiederò sempre che padre sarei stato con Xavier. Che vita avremmo avuto. E il tempo è passato, e torno ad amare, completamente ...Solo una volta ci sono andato vicino, lei .. fosse stata libera, saremmo stati insieme e tanto.. lasciamo stare. AMO TE. E non solo ora, ma per sempre. Unica e rara, non la sostituirai.. Scusa la confusione.. E so solo che ti amo, con tutto  me stesso. Io ti amo e ti amerò per sempre Catherine”
“E così io. Per sempre, io ti amerò per sempre,  Andres, sposami”

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Capitolo 5
*** Exile El Picador ***


I cieli della mia Spagna, andando a Santiago, con Marianna, mia sorella, io e lei, da soli, a piedi, pellegrini tra  i pellegrini, parlando ben poco. Lei era la sua migliore amica, si sentiva in colpa, doveva guardarci no.. Come no. La sentivo piangere, notte dopo notte, alla fine ero ben ubriaco quando le ho ingiunto di piantarla. Se ce l’hai con Enrique, io non sono da meno, che .. E mi aveva tirato addosso una brocca d’acqua, guardati, Andres, fai schifo, Isabel non avrebbe mai voluto vederti così… Io sono vivo e lei è morta, fine, come mio figlio .. Poi ci siamo messi a ridere, che scena ridicola, lei in versione leonessa con quella brocca in mano, scalza, io bagnato come un pulcino.. Se serve a farti sentire meglio, rompimi le ossa e i denti.. E che sei impazzita, Marianna, come quella volta che sei sgusciata a cercare un gruppetto che si era perso nei valichi, manca poco ti assideri.. Basta, Andres, per entrambi. Non fa il nostro bene.. Aveva ritrovato da poco Raul, suo futuro marito, marchese di Cepeuda, lo aveva conosciuto quando era solo un ragazzetto di dieci anni e .. In sintesi, era innamorata, ricambiata, e si sentiva in colpa, che le pareva un affronto.. Come no, come se lei non dovesse più provare nulla, essere una fredda pietra, era sempre viva e doveva iniziare a stare bene di nuovo.. E TU NO, Andres..? Io.. Io pensavo di avere finito, il mio dolore troppo grande e la mia casa troppo piccola.
Ero finito in Russia, senso di colpa, voglia di avventure e oblio mi avevano recato un esilio semi volontario, amaro, a leghe, migliaia di leghe di distanza, per mia volontà.
Diventai un eroe, un titano, sempre infiammato dalla corrosiva sensazione di essere vivo e respirare. La Russia il mio altrove.
Nel 1905, Olga Nicolevna, la prima figlia dello zar Nicola II e di sua moglie Alix, voleva che tutti i giapponesi, le facce gialle morissero, ma quando realizzò che il suo desiderio avrebbe lasciato orfani i bambini e vedove le donne cambiò idea e non ne disse più nulla.
Taceva, non confidando a nessuno i suoi pensieri, mentre i suoi genitori, oltre che per la guerra si angustiavano per la salute del tanto desiderato figlio e erede, Alessio.
La sua situazione  non poteva essere evitata o lasciata fuori dai cancelli della reggia, aveva appena sei settimane quando aveva avuto una emorragia all’ombelico, il sangue non si fermava ed era un chiaro segno che qualcosa non andava. Era nato nel mese di agosto 1904, bellissimo, struggente, un raggio di sole che rischiarava la guerra tra Russia e Giappone, scoppiata nel 1904, andava di male in peggio.
Alessandra lo aveva aspettato per 10 anni, era il compimento di tutte le sue speranze e dei suoi sogni, era disperata che quei segnali fossero riconducili all’emofilia, morbo che si trasmette di madre in figlio.
E le crisi insorgevano, repentine, in particolare le tumefazioni su gomiti o ginocchia indicavano una emorragia interna, gli arti si gonfiavano e il bimbo piangeva per ore, in preda ai dolori, fino a gemere, prostrato, incapace di mangiare o dormire.
Catherine era assente dal febbraio 1905, dopo l’attentato dell’Epifania del gennaio 1905, i suoi genitori, i principi Raulov avevano avuto la brillante idea di compiere un viaggio in Europa, rimandato da anni e .. nulla. Lei dietro, tranne che era amica sua, di Olga, la sua migliore amica, una sorella, le mancava, fin da quando erano piccole erano abituate a stare assieme. E Cat adorava Alessio, sanciva che era la sua bambola, si estasiava dei suoi sorrisi, passato il primo timore di tenerlo in braccio, che non aveva sorelle o fratelli, non faceva pari a tenerlo con sé. E Aleksey la riconosceva, le sorrideva, anche se era piccolissimo. Tranne che era andata via.

Olga scriveva a Catherine che studiava inglese e francese con Tatiana, andava a cavallo, talvolta accompagnava il padre a fare lunghe passeggiate, insieme alle sorelle. Che nelle belle giornate lo zarevic era condotto a spasso nei giardini, in una cesta sul dorso di un asino. Dei picnic, la tavola apparecchiata sotto gli alberi, ulteriori passeggiate nei prati, la stagione era quieta, bellissima, con tanti fiori da raccogliere. E  della crociera autunnale sul golfo di Finlandia a bordo dello yacht imperiale, dei bagni a riva, osservando le conchiglie, le alghe e nuotando, e tante altre minuzie, glissando l’aspetto di  maggior rilievo, ovvero quando sarebbe tornata. A volte si chiedeva se sarebbe tornata.


Catherine descriveva Londra, Parigi, le città del Nord, Roma, la Spagna e quanto altro, senza accennare date precise di ritorno, i suoi genitori non avevano idea e quindi nemmeno lei. E le pareva di essere con lei, aveva dieci anni la furbastra e sapeva descrivere bene, appunto, in Spagna come a Roma e via così. Mescolava i dettagli e la faceva ridere, almeno un poco.

Dai un bacio a tutti, in particolare allo Zarevic, fai conto che sia io..” 
“Vorrei che lo dessi tu, questo bacio, segno che saresti qui, gli parlo di te, anche se credo capisca il giusto, che hai tanta fantasia, che quando ti ha sorriso le prime volte eri in estasi, rapita e contenta....E tanto è un moccioso .. che vuoi che si ricordi ..” E quelle frasi non le scriveva mai.
Ripescava le lettere, quelle del soggiorno in Spagna erano bellissime.

”.. Mio zio R-R ai tempi remoti, tipo 1896 e giù di lì voleva scrivere un libro di memorie sul nostro antenato Felipe ed è andato a cercare le origini, in Spagna, ove ha fatto amicizia con il principe Xavier Fuentes, i Fuentes erano la famiglia di origine di Felipe. Abitano in un castello favoloso, si chiama Ahumada ed è sui Pirenei, da dove ti scrivo adesso (descrizione in fondo, curiosona, che ti devo raccontare un sacco di cose) Allora, il principe Fuentes ha quattro figli, tre maschi e una ragazza, che si sposa domani. Si chiama Marianna, è bella e gentile, non si scoccia di rispondere alle mie domande, sul come e i perché, ha gli occhi verdi e i capelli scuri, è alta come la tua mamma (..) La cappella era piena di zagare, sai qui sono fissati, e le donne portano la mantilla, con un pettine, che è una specie di velo, il mio è di seta. La cosa buffa è che le donne sposate lo portano nero, le nubili bianco o avorio, come fosse uno dei nostri veli da sposa. Comunque Marianna si è sposata con il vestito tradizionale, nero, con ricami favolosi, in testa una mantilla scura, le zagare portate dappertutto, sul corsetto, il bouquet, nei capelli insieme ai gioielli. Lo sposo le ha offerto 13 monete d’oro, lei altrettanto, questo scambio indica la condivisione delle finanze e LUI che offre una dote a LEI. Poi hanno passato una corda sui polsi degli sposi, stringendola leggermente, per indicare che non si separeranno mai più Chiaramente la cerimonia era in latino e non ci ho capito nulla, in meno di una ora ce la siamo cavata, quando sono usciti scoppiavano petardi e mortaretti, fuori gettavano il riso e gli sposi sono passati attraverso una galleria di spade sguainate, degli amici e dei fratelli di Marianna (Enrique, Jaime e Andres, spero di avere traslitterato bene) e hanno scandito il motto dei Fuentes e dei Cepeuda..”Fuentes, ahora y por siempre” (Fuentes, ora e per sempre) “Estrella por Espana” (Una stella per la Spagna??) la festa è durata fino a tardi, sono corsa da una parte all’altra con un gruppo di ragazzine, la mantilla data a mia mamma, per non perderla  (..)Ho ballato con i grandi..Comunque anche guardare era uno spettacolo, i tre fratelli Fuentes sono alti, come  il cugino dello Zar, il granduca  Nicola e i suoi Zii.. Hanno tutti gli occhi scuri come il loro padre, Xavier, mentre Andres li ha verdi come Marianna, li hanno presi dalla madre, che era nata in Russia, pensa un poco.. Il principe Xavier era venuto a San Pietroburgo in Grand Tour nel 1878, contava 18 anni e lì ha trovato Sofia R. della stessa età e si sono sposati nella chiesa cattolica di Santa Caterina della capitale.. Comunque, Andres Fuentes, anche se è bello, ha sempre un fondo di tristezza, come se avesse il muso. Ballando, gli ho tirato un pestone (due, rettifico) e mi veniva da ridere, tutti erano stati contenti e lui .. Boh pareva fosse una penitenza. ..Chica pestifera ha esclamato e altro .. Ragazzina pestifera, ma dai ..Nota: descrizione di Ahumada. ..” E descriveva le mura solide, ornate dall’edera, il giardino interno, che era un posto splendido che offriva pace e sicurezza, mille e rotti anni di storia, una fortezza imprendibile, sulla torre principale potevi prendere le stelle, tanto ti parevano vicine, il profumo di resina e le risate, i picchi acuti delle montagne, le meraviglie di alba e tramonto.”…. PPS Marianna Fuentes ha 24 anni, non è certo una ragazzina, ma si è sposata per amore, vedessi come è contenta.. PPPS a mia madre il vestito da sposa spagnola è piaciuto così tanto che se ne è fatta fare uno su misura con annessa mantilla.”
“.. abbiamo visitato Granada, devi vedere come è bello il palazzo dell’Alhambra di rossa pietra, i giardini con le fontane belli come quelli dei palazzi dello ZAR Tuo Padre (..) E abbiamo visto una corrida (…) che qualcosa è andato storto, il toro era davvero infuriato e ha preso un braccio del matador con le corna.. Una brutta ferita e la bestia era davvero infuriata, uno dei picador è sceso da cavallo e ha agitato il drappo rosso (muleta) davanti al toro e lo ha finito .. Ero zitta per l’orrore, che rischiava di .. Insomma, ha ucciso il toro e salvato il matador.. Quando si è tolto il cappello, lo ho riconosciuto ..Era Andres, il più giovane dei Fuentes. Ora che il figlio di un principe faccia queste cose è ben strano, almeno per noi, ma qui in Spagna ragionano a modo loro e addirittura un grande re del loro passato, Ferdinando, era solito toreare e combattere nell’arena. Abitudine che rientra tra quelle di re Alfonso, il loro attuale sovrano quindi ci siamo. Comunque, è stato molto coraggioso. Senza paura. Lo hanno acclamato e i fiori cadevano sulla sabbia”
 
Da una lettera di Andres a Catherine, del 1917 “Nel 1905, eccoci al matrimonio di mia sorella, ad Ahumada rientravo che era quasi sorto il sole dopo la notte di addio al celibato e mi venne l’idea di fare due parole con Marianna, che conoscendola era in piedi, serena e senza fallo prima del trambusto della giornata. Bussando, trovai Lei e Te che contemplavate l’alba nella sua stanza. “Chi è?” “Fuentes” “Entra, fratellino..” in senso ironico, che la supero abbondantemente di peso e statura “Catherine ..nipote di Rostov-Raulov” Un bagliore indefinito, le iridi color onice che mi soppesavano. “Lo so, chi è” “ E voi siete Andres Fuentes” Mi inchinai, ironico, “Per servirvi, chiedete e obbedirò”mentre il cielo a oriente diventava zaffiro e cobalto, previdi che sarebbe stata una lunga giornata.
Avevi dieci anni, tra le ragazzine più graziose che assistettero al matrimonio, ne convengo, tranne che non eri affatto convenzionale, come appresi a mie spese grazie a un calcio e due  pestoni, al momento dei balli, ti appellai chica pestifera, ragazzina malefica,dicesti, è una occasione allegra e voi avete il muso.. Ti avrei torto il collo, fidati.  
Marianna rise di entrambi, falla crescere Andres, e la troverai di tuo gradimento..
Comunque, osservasti che, muso o  meno, le cose le sapevo raccontare, su Felipe de Moguer, diventato principe Rostov-Raulov grazie alle sue epiche imprese alla corte di Russia. Già, la mattina successiva alle nozze, mentre tutti dormivano, chi mi ritrovo ?Erano le sette e mezzo, in punto di cronaca, la servitù avrebbe preso servizio dopo un’oretta, che i festeggiamenti erano terminati verso le cinque.Domanda retorica, chi mi ritrovai, definirti curiosa e sfibrante un eufemismo. Ti piacquero i ritratti dei tre fratelli, Felipe, XavierNicolas e Francisco, vicini nella galleria, lui era tornato ad Ahumada verso i 40 anni, sopravissuto alle battaglie e agli ingaggi, onorato e riverito, con la seconda moglie e i figli avuti da lei. “Avevate detto che alle mie richieste avreste obbedito, Fuentes”al mio tentativo di sparire, un sorriso sghembo, avevi grinta, complimenti a te, e lo dicesti in spagnolo, in poco tempo avevi imparato a sufficienza. 
Quando rovesciai il cappello, nell’arena di Granada, cadevano fiori e applausi, tu avevi le braccia lungo i fianchi, alzai la mano e ricambiasti il saluto. 
Nel 1911, ti intravidi da lontano, a Livadia, un profilo squisito e le spalle ben dritte, nonostante il dolore.. Già… E quando ho visto le cicatrici delle staffilate mi sono rammaricato di non avergliene suonate di più…”
Intanto, il Giappone aveva annientato a Tsushima, un’isola nello stretto della Corea la flotta russa, come era accaduto per terra a Mukden, battaglia in  cui erano periti 100.000 russi.
La guerra era perduta, senza fallo e lo zar acconsentì che il presidente americano, Roosevelt, presiedesse i negoziati di pace che presero avvio nell’estate del 1905, Alexander Rostov-Raulov fu tra i suoi delegati.
In autunno vi furono appunto, scioperi e rivolte, tanto che nel mese di ottobre lo zar firmò un proclama che istituiva una assemblea eletta dal popolo, la Duma, si riconoscevano al popolo diritti fondamentali come l’inviolabilità della persona, la libertà di coscienza, parola, riunione e quanto altro.
Era il primo passo verso le riforme, l’autocrazia non esisteva più.
La zarina pianse per ore e giorni, oppressa, ma Nicola aveva firmato, non farlo significava la guerra civile.

Olga finì la lettera con un sospiro, sua madre aveva l’emicrania, dopo avere vegliato Aleksej per due giorni e due notti, nemmeno gli attesi regali di Natale da aprire e l’albero scintillante le davano gioia.
Non tornerà più, è andata via per sempre, non è morta come lo zio Sergio, ma è tanto che non scrive e .. Ha trovato un’altra amica, migliore di me, senza gelosie o maleducazione e malumorePrima scriveva che le mancavo, ora ha smesso.. Manco del moccioso scrive più. 
 
Era una sorpresa, forse una delle più riuscite, quando bussai non giunse nessuna risposta, un perfetto congegno. Entrai e la vidi di spalle, il ritratto della malinconia pensosa, si girò di scatto e la protesta le morì sul colpo.
"Salve, Altezza Imperiale, scusate il disturbo.
TU.. Sei tu.” Il viso illuminato di gioia, come quando apri le tende in una stanza chiusa ed entra il sole.
Si era alzata in piedi, in quei mesi era cresciuta di statura, dimagrita, uno sguardo velato, un poco più malinconico che scomparve non appena mi toccò, non ero una morgana, un miraggio
La benda che avevo sul cuore si sciolse.
Alzai la testa  e le spalle, i miei capelli ricaddero in ciocche sulle spalle, con riflessi di mogano, scintille di rosso scuro, come quelli dello zar..
Je suis ici..Sono tornata a casa. Volevi qualche altra? “ Mi abbracciò, di schianto, così forte da farmi dolere le costole.
“ Volevo te..”
“Sicura, se vuoi vado via”
“Scema”
E l’intesa ritornava, una magia che non sarebbe venuta meno, di capirci con una sola occhiata, stare bene in silenzio. Pattinare sul ghiaccio, giocare a scacchi o dama, cavalcare nelle pigre mattina di primavera, passeggiare vicino al mare quando eravamo a Livadia o a Peterhof, leggere e fantasticare.. Tutto questo e più ancora.
Potevo ingannare il passato, dicendo di non ricordare, ma non me stessa, le volevo bene, mi rendeva migliore, anche senza nessuna azione, giusto perché era lei.
Io mi sono finta forte per tutta la vita, sia prima che dopo, ma in realtà era lei a non spezzarsi né spiegarsi. Anche da sola, rievocavo la sua risata, i suoi passi, il profumo, l’ho amata e ferita a morte, persa nel mio egoismo, riscattandomi per brevi momenti, l’ho portata dentro di me, come un tatuaggio, uno specchio, ho vissuto molte vita in una e lei con me.
Al pari di Andres mi inventavo in mille guise.

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Capitolo 6
*** Calle Mayor ERSZi ***


Non ho ceduto.
Come non cedevo da bambino lo stendardo su cui era dipinto il leone rampante, uno dei simboli dei Fuentes, lo facevo danzare, immaginando le battaglie, ignorando quelle che la sorte mi avrebbe appioppato e quelle che avrei cercato.
Un simbolo, il leone danzante che tiene una rosa, che mi sarei fatto tatuare nel 1903, assieme ad altri simboli araldici nel 1903, mentre ero in Manciuria, verificando le condizioni dei luoghi, annotando che le vie di comunicazione erano pessime, fosse scoppiata una guerra, come poi in effetti scoppiò con il Giappone, sarebbe stato un disastro. Comunque, sul braccio portavo anche inciso “Xavier 1901”, in caratteri nitidi e delicati.
Mio figlio, in suo onore, non dimenticavo, non ho voluto dimenticare.
Ho ancora l’uniforme dei dragoni a cavallo spagnoli, il mio reggimento, od almeno lo era, vi avevo militato, per poche stagioni, nell’adolescenza, fino ai 18 anni, io e Isabel avevamo vissuto tra Ahumada e Madrid, mi ero distinto durante una rivolta degli anarchici e molto altro, acquisendo poi l’ultima mostrina per un caso inopinato.
La principessa Vittoria Eugenia aveva contratto matrimonio con il re di Spagna a Madrid nell’ ultimo e glorioso giorno di maggio 1906, partecipavano sua madre e i fratelli e i principi del Galles.
Dopo la cerimonia nuziale, la processione reale tornava al Palazzo Reale quando un attentato venne compiuto in danno dei sovrani
L’anarchico Morral lanciò una bomba sulla carrozza reale.
La regina aveva voltato la testa per osservare la Chiesa di Santa Maria, che le mostrava il re Alfonso, la sua gonna bianca si macchiò del sangue della guardia che cavalcava accanto alla carrozza.
I cavalli erano partiti al galoppo, Andres li aveva fermati, era vicino, un gioco, un caso, lui salvava tutti tranne che sua moglie e suo figlio, era ardito, malinconico e sobrio, l’anarchico Matteo Morral Roca aveva ucciso 20 persone e ferito altre 100 nel tentativo di assassinare il re di Spagna.. lanciando una bomba travestita da bouquet nuziale nella Calle Mayor
Era un Fuentes, un eroe.
Dopo l’attentato, Morral aveva cercato di allontanarsi nella folla, ma lo avevano riconosciuto, tra gli altri Enrique e Jaime Fuentes, lanciati al suo inseguimento.  Una lotta e un segreto, Morral non era passato attraverso la giustizia del re, ma Andres e i suoi fratelli erano stati osservati, amati e scrutati.
Per quanto mi fossi congedato da anni, in modo formale ed illimitato, il re di Spagna, per gli eventi di cui sopra mi aveva concesso il titolo di generale di brigata.
Un picador.
Un eroe per gioco e caso, la Calle Mayor uno scherzo del destino,  ero stato un viandante per espiare la colpa di essere sempre vivo.
Il gladiatore che aveva lottato per altri e non per i suoi, la moglie  morta, un figlio ucciso dalla sorte.
Xavier ..il mio perduto bambino, morto perché troppo prematuro, ero rimasto solo, un peso smisurato e senza ritorno e la rabbia..
La mia casa troppo piccola, il mio dolore immenso, lo avevo urlato sotto i cieli primaverili di Ahumada, i maestosi Pirenei sullo sfondo, bevendo fino a non reggermi in piedi, atterrato sulle ginocchia, i pantaloni lacerati per  l’impatto e i palmi sbucciati, nella radura dei melagrani. In un tronco erano scolpite le iniziali, una A e una I, Andres ed Isabel, uniti in un tronco e non nella morte.
E altre donne, altri sorrisi e assenze.
Elisabetta di Asburgo, la mia Erzsi, conosciuta per caso e diventata indicibile,  amata.., maritata Windisch-Gratz.. era l’unica e ultima figlia del principe ereditario Rodolfo, morto suicida con la sua amante, e di Stefania del Belgio.
Un nuovo amore, il mio, dopo anni e vado a incrociare una splendida e complicata persona. Erszi..

La mia Erszi.

Sua nonna Elisabetta in Baviera era stata forse la donna più bella della sua epoca, e soffriva di nervi e depressione, il padre Rodolfo era morto suicida, dopo avere sparato alla sua amante, Stefania del Belgio si era sposata in seconde nozze contro il volere di tutti con un conte ungherese.. Insomma, per quanto bella e viziata, la prediletta del Kaiser, non era considerata un buon affare. Nelle more si era incapricciata del principe Windisch-Gratz, maggiore di lei di un decennio, e già fidanzato. Particolare su cui lei aveva allegramente sorvolato, se ne era innamorata e lo aveva sposato nel 1902, rinunciando ai diritti dinastici per non compromettere la futura successione, mantenendo peraltro il suo titolo di arciduchessa e connesse rendite. Il matrimonio si era presto sfasciato, per ripicche e gelosie, nonostante i figli, tanto che sia Erszi che Otto erano aperti nell’avere relazioni extraconiugali.
Nulla di nuovo, l’imprevisto era stato il reciproco sentimento.
 
ERSZI.

Nel 1909 ero tornato a Vienna per tre mesi abbondanti,m dopo il soggiorno di un anno prima, durato poche settimane, percorrendo le vie e le piazze, nuove costruzioni e vecchie storie, la saturazione .. che andavo  cercando? Guardavo avanti con quella viziata, ostinata mia coetanea, che amava le rose di ottobre, fragili e piene di colore, che sfioriscono dopo una notte più rigida e ti restano sempre nel cuore.
Ed Erszi non era una superficiale, si fingeva oca solo in apparenza, in privato era coltissima, parlava bene il francese e l’inglese, oltre al nativo tedesco, aveva letto un poco di tutto e si occupava di comitati caritativi. Come suo padre Rodolfo, era una appassionata cacciatrice e si interessava di ornitologia e botanica.
I particolari, un braccio nudo, come il ventre che baciavo, la vita meno sottile, quattro figli le  avevano segnato la figura, ingrossato i fianchi, era sempre stupenda.. E tanto..altri strappi, altri addii, i legami ufficiosi erano tollerati, provocare uno scandalo per rimanere insieme no.
Erszi..
La mia Erszi.
Erzsi, quando tuo padre Rodolfo era morto, suicida dopo il folle patto con la sua ultima amante, la corte dei Romanov aveva rispettato l’uso di vestire il lutto per la morte di un membro a suo modo, una specie di presa di giro.  Anni prima, gli Asburgo, che era morto un principe della dinastia Romanov, non avevano rispettato quell’abitudine,  non rinunciando a una  festa in programma. Marie Feodorovna, moglie di Alessandro III, decretò che la festa da ballo avrebbe avuto luogo, ma gli invitati dovevano vestirsi di nero, ecco il famoso “Bal Noir”, allora avevo sei anni, ricordo il commento scandalizzato di mia madre, di origine russa, che si teneva in contatto con i suoi parenti.. “Povera bambina, dicono del dolore dell’imperatore e sua moglie, della gramaglie della principessa ereditaria e nulla di lei.. che ne soffrirà per tutta la vita” e anche da ragazzina non avevi paura di nulla,  ti arrampicavi sugli alberi, cavalcavi come un demonio, eri un portento ed una grazia. E di tuo padre .. Non ne parlavi, appena ti ricordavi di lui, o almeno così dicevi,  eri bellissima, camminavi con la serena grazia di una danzatrice, di una regina nei suoi giardini invernali..
Una naiade, una divina.
Gli occhi innocenti, una guerriera.
Una PASSIONE fisica a cui non resistevamo.

 
 
Ah.. se non avessi mai amato, mai avrei sofferto.

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Capitolo 7
*** Erszi 1911. With Me ***


Nota: nella prima parte, la voce narrante è quella di Catherine, la seconda parte riguarda Andres.
 
Nel 1911, avevamo ormai raggiunto l’adolescenza, io e Olga, eravamo snelle e sorridenti, una castana, l’altra bionda, due amiche, legate a doppio e triplo filo, eravamo oggetto di progetti e pronostici, il futuro per quanto ignoto appariva felice. Mi suggerì l’estate, per organizzare il matrimonio, il mio, lei e le sue sorelle che mi avrebbero fatto da damigelle, anche se io ritenevo che non mi sarei mai maritata. Meglio quello che riflettere sul bizzarro comportamento di Alessandra, la zarina sua madre, oggetto di eterni pettegolezzi, la passività apparente dell’imperatore, il disorientamento dei ministri e del parlamento, la Duma, dopo l’assassinio di Stolypin, primo ministro nel settembre 1911 a Kiev.
Era scoppiata una bomba, dinanzi al palco dello zar, che assisteva all’opera, con lui le granduchesse più grandi.
Uno stillicidio, Olga era rimasta ferma, composta, mentre i grandi occhi a mandorla di Tata si riempivano di lacrime, in seguito aveva avuto incubi, per un lungo periodo.
Il tutto aveva acuito i sospetti su Rasputin, tristemente famoso per le sue orge ed i suoi eccessi, poco prima che entrasse in teatro il siberiano  aveva detto al povero S. che la morte gli camminava vicino e poi vi era stato l’attentato, sapeva qualcosa od era un mero caso?
La  polizia lo teneva sotto controllo, annotando le sue malefatte e, insieme, lo proteggeva dai propri e altrui alterchi.
Si vociferava di alterchi, volgari litigi, visite alle prostitute e ai bagni turchi, notori luoghi malfamati, di ubriacature costanti. E si parlava di nuovo delle (presunte) lettere che la zarina Alessandra gli aveva scritto e che giravano in copie, si vociferava che il siberiano e l’imperatrice fossero amanti.
Rasputin, come un sultano orientale, aveva molte donne, mai conobbe carnalmente la zarina, tuttavia frasi come “.. Dove sei, mio adorato Maestro? Quando sei con me sono sollevata da ogni pena, vorrei dormire tra le tue braccia, per sempre..”destavano molti dubbi.
La Tedesca, tanto  controllata e fredda nella sua austera apparenza, nascondeva allora ogni turpitudine, era ricettacolo e sentina di ogni vizio, come mai l’imperatore non controllava quella sciagurata di sua moglie.
Forse era un burattino nelle grinfie della Nemka, che ancora non spiccicava quattro frasi insieme di russo decente, lei che era moglie dello zar.
Le caricature che seguirono la pubblicazione di tali missive (le riforme del 1905 avevano abolito la censura e garantito la libertà di stampa) raffiguravano Alix tra le braccia del soggetto innominato e innominabile, circondate dalle donne della casa imperiale nude e lascive.
In un’altra, Rasputin, tratteggiato come un gigante, teneva tra le mani due burattini, gli zar, con l’imperatore nudo tranne che per gli stivali e un cappello in testa, intorno a loro principi e granduchi.
Nicola II lo aveva rimandato  in Siberia.
Quel giro di danza nei confronti della morte me lo ero risparmiato, annottavo tra me che Olga era coraggiosa e ferma, Tata troppo sensibile, a prescindere dalle sue severità apparenti.
Era una principessa cigno, delle fiabe, troppo perfetta per quel mondo, io e Olga no
Quello che allora era un segreto per pochi intimi era che Alexei, lo zarevic, fosse emofiliaco e che le preghiere di Rasputin parevano dare un sollievo, sua madre, la zarina, lo riteneva un uomo di Dio. Un miscuglio, una disperazione. Un membro monarchico della Duma, Sulgin, scrivendo sul “diavolo”, anni dopo, lo paragonò ad un Giano bifronte. Alla famiglia imperiale si era mostrato come un modesto, umile  starec, un uomo di fede, mentre la Russia intera aveva scorto il suo lato debosciato, scurrile e lascivo, di ubriacone, imbroglione e donnaiolo. Pareva incredibile che un essere di tale risma fosse ricevuto dai sovrani, che a loro volta non comprendevano quella avversione, specie l’imperatrice, quell’uomo pregava per suo figlio, un ragazzino il cui minimo movimento imprudente poteva recare la morte. Nessuna delle due parti comprendeva l’altra, la fine era vicina.  

Meglio tornare al ballo di Olga, ai maestosi inviti inviati su pesanti biglietti color  crema in solenne e nero inchiostro, a novembre compiva 16 anni, appunto bisognava celebrare l’evento: “Their Imperial Majesties invite[You] to dinner and a dancing party to be held on Thursday November 15th, at 6:45 in the evening, at the Livadia Palace.” Il dress code per quell’occasione era strettamente regolato, i militari dovevano mettere l’alta uniforme, ai civili era prescritto il vestito da sera con la cravatta bianca.
La cena venne servita su piccoli e rotondi tavoli con candidi tovaglioli e posate d’argento, lo champagne scorreva come la musica e i prelibati vini di Crimea.
I fiori, rose e gigli primeggiavano, le candele luccicanti che tremolavano per la brezza .. e Olga che portava i capelli raccolti, ufficiale, per la prima volta, in uno chignon.. e tutti le baciavano la mano e volevano ballare con lei, era la gioia di vivere quella sera, sottile e perfetta.  
.. ci ritirammo alle 23, credo, rievocai una sera di molti mesi prima, come se non bastasse quello che avevo addosso.
Li avevo sentiti discutere, era molto tardi, i miei genitori, lui aveva perso non so quale cifra al tavolo verde e chiedeva a mia madre di intercedere con R-R, il mio caro zione, che si era stufato di pagare a nastro.
Aveva un frustino e..Le assestò una scudisciata in viso” una rosa di sangue fiorì sulle sue guance delicate.
Era  mia madre e veniva frustata.
Ero schizzata a difenderla, la rabbia e la frustrazione di anni esplose in un solo ruggito, ero una fiera leonessa, una combattente, gli avevo strappato di mano quell’arnese di tortura ed era andato fuori controllo, mi aveva colpito sulla schiena, in rapida successione, poi aveva smesso, che mia madre gli aveva tirato in testa una caraffa di brandy vuoto, ecco la leonessa che difendeva i suoi cuccioli, lui era stramazzato per terra.
Con lui avevamo finito entrambe, che si arrangiasse. Poteva sopportare per sé, Ella, non che toccasse i suoi figli.
Tra le scapole avevo un geroglifico di cicatrici grazie alle staffilate, lasciamo stare gli altri segni sulla spina dorsale, squarci che  avevano messo una lunga eternità a saldarsi, io a non impazzire per il dolore. Quando  mio zio le aveva viste, fresche,  aveva perso la calma, come Ella lanciando la caraffa, non lo aveva inibito mentre mi assisteva, disse solo che lei era lei, adulta, io solo una ragazzina che le aveva prese per averla difesa e  non era giusto, che quei segni me li sarei portati per sempre addosso. E mi cambiavo e vestivo da sola, ero indipendente fino alla nausea.
La bambina che ero stata, arrabbiata, sempre sulla difensiva.. che temeva gli sguardi del principe padre, i movimenti sofferti di sua madre, fino a esplodere, furia cieca, una ribelle ora e per sempre.
Da allora facevo conto di essere orfana, la figlia di Ella e basta, lui era solo una figura di rappresentanza,  se succedeva qualcosa mio zio o  chi per lui lo ammazzavano, Raulov, dopo averlo pestato a sangue.
 
Dai quaderni di Olga alla principessa Catherine “ ..l’anima nuda su un quaderno, come la schiena, ho deglutito per l’orrore, e sì che le avevo già viste, una sola volta, eri di spalle e oltre ai geroglifici tra le scapole altre cicatrici correvano traversali fino alla vita, incise sulla pelle come monito di un incubo. Linee contorte e trasversali, ormai rimarginate, bianche, ogni tanto un reticolo  od un nodo in un punto, provocato da un colpo che aveva lasciato una ferita troppo larga e i lembi non erano rimarginati bene Squarci su squarci, dolore su dolore.E ti eri girata, solo pochi attimi, non volevi mostrare quelle sulle braccia, rivestendoti come un fulmine, Tata si premette le dita sugli occhi, per non mettersi a piangere”
Dai quaderni di Catherine“.. sono contenta che voler fare da sola, senza cameriere, passasse per l’ennesima delle mie stramberie, a dire la verità questo arsenale che ho sulla schiena mi ha sempre fatto vergognare. Per settimane ho dovuto dormire sul fianco, sorvoliamo che quando mia madre mi medicava le ferite mi cacciavo un lenzuolo in bocca per non urlare.. E mettere il busto, con le fasciature, era una tortura, ho sempre evitato, il più possibile.. E da allora ho chiuso con il principe Raulov, come mia madre..Diciamo che gli tirò in testa una caraffa di brandy vuoto per farlo smettere dal suo zelante e nuovo passatempo.. Mio zio andò fuori controllo, credo che tra lui e Andres gliele abbiano ben suonate, ormai è andata.. “
Andres dei Fuentes, pupillo di mio zio e mio futuro marito, amore di una vita.
Che nello stesso anno era occupato dalla sua Elisabetta di Asburgo, la mia Erszi, come la chiamava lui.


Era appunto il  1911, una  specie di test, non ci eravamo scritti o sentiti nemmeno per sbaglio, non avvisai o che.. Un mero gioco di circostanze, figuriamoci, non ritenevo l’amore cosa per me, da anni lo rifuggivo, concedendomi avventure, sfoghi della carne, lussuria, che non ero certo un monaco od eunuco, anzi.  Da marzo ad aprile  pochi incontri fortuiti, qualche sera a teatro, a Corte, senza rimanere mai da soli o scambiare una parola, tranne qualche sguardo. Mica mi era passata, qualsiasi cosa fosse .. Una sorta di intuizione, senza riscontri, mi confermava nell’opinione che eravamo io e lei, in quella specie di “indefinito”, mi ripetevo che era meglio non amare, per non soffrire, fin da giovane ne avevo avuto ampie prove, un lungo e duro apprendistato. Ed ero ironico, egocentrico, uno sbruffone, avevo molti pregi e molti difetti, in numero principesco, appunto, la voglia di ridere su me stesso, l’ironia tagliente mi salvavano spesso dalla tragedia e dalla noia.
I suntuosi saloni della Hobfurg, una superba teoria di parquet, intarsi e cineserie, illuminati dalle candele e dalla luce elettrica, i fiori, il sussurro dei violini e dei pettegolezzi.. Erszi era vestita di azzurro, come un iris o un giacinto, tra i capelli castani una serie delle celeberrime stelle di diamanti di sua nonna,  che le aveva donato e con cui Sissi era stata ritratta, per sempre giovane  e bella, sorrideva e dava il braccio a suo nonno, smuovendo ogni tanto l’aria con un ventaglio di piume di struzzo incrostate di diamanti. Snella e suntuosa, era magnifica, stupenda.
“Pare una santa.. Invece..”  “Gran cavallerizza.. sapete cavalca come ..” “ E’ una matta, come sua nonna, come sua madre.. O suo padre..” “Suo marito la tradisce regolarmente con.. “  “Chi sa chi monta LEI.” E nomi e altro, la caccia era uno sport diffuso, sia alle bestie che verso gli uomini,  avevo percepito i commenti e la rabbia saliva e montava, quella stessa rabbia che era il mio  demone e tormento.

Uno scherno, una irrisione, come i Romanov che non avevano rispettato l’usanza di vestire a lutto quando tuo padre era morto, volendosi vendicare che, anni prima, gli Asburgo non avevano rispettato per primi quel costume, non rinunciando a una festa programmata. Doveva tenersi un ballo e Marie Feodorovna, moglie di Alessandro III, decretò che la festa da ballo avrebbe avuto luogo, ma gli invitati dovevano vestirsi di nero, ecco il famoso “Bal Noir”,
Lo stesso si ripeteva a quel convegno danzante, la medesima mancanza di rispetto, non lo meritavi.
Nessuno lo meritava.
Ti amo, ti amo, per sempre.
Una sfida ed un duello, non ci eravamo manco parlati manco per sbaglio, sfidavo le regole e ..Tipico mio, a cacciarmi nei guai ho  sempre avuto un talento.
 “Siete stupido..solo uno stupido”che esordio, dopo tanto, un insulto
“Altezza imperiale, non è decoroso, andate via..” Fuori pioveva, lei era piombata come un tuono, un lampo, sempre scriteriata e senza un saluto nel mio alloggio, mi ero ritirato dopo il rituale scambio di padrini e indicazioni. “Andres..”il mio nome, un sussurro, si era calmata, almeno un poco, il preludio della calma prima che giunga una tempesta “Altezza, non conviene..Non è conveniente..Vi prego..”posando il bicchiere di sherry che sorbivo, avevo voglia di baciarla e perdermi dentro di lei fino alla fine del mondo, cercavo di essere distaccato per il suo e mio bene, il suo profumo mi mandava in tilt. “Solo mio nonno e voi avete sfidato il mondo per il mio onore..” “IO non posso parlare per altri.. tranne che meritate ogni  rispetto” “Ed è vero, sai quanti amanti ho avuto..” “ Anche fosse.. non lo meritate.. “ “Andres .. basta!!!” si era slacciata il mantello gonfio di gocce di pioggia, i suoi capelli profumavano di miele e ambra, il vestito color crema sottolineava la sua carnagione, era armoniosa, perfetta “Altezza.. tra poco giungerà una gentildonna .. Questa potrebbe essere la mia ultima notte sulla terra e vorrei svagarmi, perdonate il linguaggio..”per la confidenza di tanti anni prima mi concedevo quelle parole e .. la desideravo, sentivo una crescente erezione, mia premura  sedermi, una gamba accavallata per nascondere quanto sopra“Andres.. mio padre passò la sua ultima notte con una prostituta, Mitzi Casper, e poi si suicidò con la Vetsera a Mayerling..E’ andata così, e sono cresciuta .. come sono, tranne che tu ..meriti di meglio” deglutì “.. la signora è stata congedata. O stai con me ..” “EH..” “L’ho pagata, Fuentes.. Preferisci transitare da qualche altra o..” “Mi confesserò..”
“Ti faccio schifo..E sei un bugiardo, mi desideri” “Io.. ti desidero fino a stare male ..Erzsi, fine, e se ora ..” “Rimani con me” “ Se ora ti tocco, non riuscirò a mandarti via..Non riuscirò più a fermarmi, lo sai, quando stavamo insieme era un continuo” “E .. io pure ..” un bacio, ci eravamo buttati l’uno addosso all’altra, e pioveva, scrosci come rulli di tamburo, un cannone, un presagio di morte o di vittoria.

ERSZI. 

Ero andato via prestissimo. L’alba era sorta, fredda e lucida, il sole si affacciava timido contro il cielo, turchese e rosa, non era un brutto giorno per morire. Avevo contato i passi rituali con la massima cura e freddezza, se morivo andavo forse da Isabel e Xavier, non era un brutto pensiero.  
Fuentes, ahora y por siempre, il motto nei secoli dei Fuentes, caricando il grilletto e  scaricando l’arma, ero rimasto illeso, la pallottola del mio avversario non mi aveva toccato.
E avevo scorto il viso di Isabel, mio figlio Xavier, Erzsi in riposo dopo quella notte, sul bagliore dei ricordi, ecco di nuovo la rocca di Ahumada, i cieli d’Africa, le steppe russe e il viso di una ragazzina, Catherine Raulov, che mi tirava un pestone. Tutto e nulla, ma lei aveva dei begli occhi, onice e topazio, una calda sfumatura, oscurata dal dolore.. adesso, l’avevo incrociata a Livadia, da lontano, squisito il suo profilo, mentre parlava con la sua prediletta amica, la granduchessa Olga Romanov, nessuno poteva indovinare il dolore per le lesioni subite.. difendeva sua madre ed era stata frustata a sangue.. No. Non era giusto. Con suo zio, mio mentore, R-r, le avevo suonate al principe Raulov.. per farlo desistere da ulteriori violenze, un violento comprende solo la violenza, purtroppo “Ella e Catherine hanno finito con te, io ho finito .. fai loro qualcosa e ti ammazzo, ricordalo Pietr” una pausa “ O ti ammazza Fuentes.. se succede qualcosa sei morto e alla tua lurida vita ci tieni..” anche io, allora come oggi. Era cresciuta, un fremito nelle parti basse avvisava che mi piaceva, non era più la viziata ragazzina di otto anni che correva dietro a un gatto, la fanciulla con cui avevo ballato al matrimonio di Marianna, o che mi aveva salutato dopo la corrida.. E non l’avrei sfiorata con la punta di un dito, figuriamoci, già avevo abbastanza casini, e lei era da sposare, non poteva essere una mera avventura, una scopata e via. Come Erszi, lei non era semplice sesso, accidenti a me e lei, sempre. Catherine…
Catherine.
 “Lo hai preso alla spalla.. Poteva essere morto e non lo è”  “E io potevo finire agli arresti, fuori dai confini.. e via così..O morto, tanto per dire. Ipotesi che non volevo contemplare troppo da vicino, ipocrita sì ma non fino in fondo.” “Sei un eroe, secondo tuo solito, mio prode Fuentes, passerà tutto insabbiato..” “Hai parlato con tuo nonno..” lei sorrise “Che ti vuole ricevere.. Andres.. basta così, nessuna guerra” “Ora credi nell’amore, mia cinica?” “Io credo in te e ..” “Erszi..” “Andres..” mi aveva fatto distendere vicino a lei, l’accoppiamento era amore, non mero sesso. “Andres Fuentes, eroe della Calle Mayor, mio tesoro” “In spagnolo, il tuo nome è Isabel” “Ah..” “SE avrò una figlia od una nipote, il suo appellativo sarà Elisabetta”  “E tanto mi ricorderai a prescindere” “Sempre, Elisabetta “ tralasciando il seguito, ribadii che non ero un santo, un eroe, quanto un comune mortale, con i suoi difetti ed allegrie. Come no, ribattè lei, non ci pensare, mentre un’ombra le scuriva gli occhi. “A chi pensi?” “A mio padre, anche lui diceva così” Strano, lei sosteneva di non ricordarlo, non aveva nemmeno sei anni quando era morto, invece .. Era rotolata sulla schiena, le braccia incrociate dietro la nuca, una caviglia, la coscia che sfioravano le mie “Qualcosa mi ricordo, invece, sai”
“Parlamene”
Sorrideva quando aveva scorso un suo biglietto per il suo compleanno, scritto in bella calligrafia, nel 1888, Rodolfo era nato il 21 agosto 1858, Erszi il 2 settembre 1883. “Auguri, al mio caro Papa “, in tedesco, francese, ungherese, una piccola poliglotta. “Grazie, Erszi” lei gli aveva accarezzato la barba castana. Era tenero, solenne, le aveva detto che era una brava amazzone, la aveva fatto montare su un suo cavallo e ..
Nel suo diario, Maria Valeria, sua zia, figlia di Franz Joseph e Elisabetta, aveva citato un episodio particolare. Nel giugno 1889, l’imperatore aveva annunciato che le aveva trovato un nuovo insegnate, Sissi, il nomignolo di sua nonna, le aveva chiesto se si ricordava del Natale trascorso con suo padre, se pensava ancora a lui. L’aveva fissata, con spavento, dicendo di sì, salvo mettersi a parlare di altro.
Venti e rotti anni dopo, parlava di lui. Era con me.
Erszi, eri con me.
 

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Capitolo 8
*** Sofia Fuentes ***


Molti anni dopo,  nel 1917, quando Andres e io ci eravamo sposati da pochi mesi, io incinta del nostro primo bambino, lui ricevette una lettera che gli fece sorgere istinti omicidi,  di voler strozzare la sua antica amante.
 “A Sua Eccellenza, il Principe Andres Felipe Leon Fuentes, conte de la Cueva” rilessi,  i caratteri erano chiaramente femminili, rotondi e curati, che roba era giunta da Copenaghen, la Danimarca era rimasta neutrale e da là transitavano raccolte di medicinali, volontari per il fronte e missive. E pettegolezzi.
Guardai chi scriveva .. il mittente vi era, una tale Elisabetta de Castro, nome e cognome nulla mi suggerivano. Soprattutto cosa voleva da mio marito?era un pacchettino, che doveva contenere una lettera e poco altro, era giunto dalle terre danesi all’ambasciata spagnola, rimbalzando poi a Carskoe Selo. La posai sul tavolo della colazione, massaggiandomi il ventre,  avere scorso una volta corrispondenza che non mi era indirizzata aveva causato un disastro senza appello. Avevo imparato, forse, tralasciando che guardare il mittente non era un reato.

“Erzsi..”  il suo volto divenne cinereo, un tornado che stava per scoppiare. “Elisabetta de Castro è Erszi?” era uno pseudonimo, era ammattito?cosa stava blaterando? “Andres, la lettera è tua, leggila senza me tra i piedi, non ti chiederò nulla”E mi costava dirlo. “Non ho idea di cosa voglia, rimani..” mi sedetti, guardandolo mentre apriva, vi erano vari fogli e delle foto, annotai mentre Andres si copriva la bocca con la mano, pensai che stesse svenendo, le sue reazioni erano sempre improntate alla calma, di rado era impulsivo. E il suo pugno si abbattè sulla parete, spaventandomi a morte, non scattai in piedi per lo spavento, ero paralizzata. “Maledetta Erszi..” accartocciò il primo foglio, il resto cadde per terra.
“Andres..” trassi fiato, ero ancora lì, eravamo sempre noi, ognuno sospeso sul proprio inferno, raccolsi quanto era caduto e smisi di respirare a mia volta.

..come iniziare? Ho principiato a scrivere venti volte e venti volte ho scancellato, è dura da annotare, per me, figuriamoci per voi da leggere. Come chiamarvi.. Mio caro Andres, o caro Fuentes.. oppure un cauto esordio..sapere della vostra salute, congratularmi per le vostre recenti nozze..Tutto e nulla, una volta ero il vostro amore. Dritta al punto, direste, noi un tempo ci davamo del tu e abbiamo spartito molto. Perdo le parole, non so cosa dire di preciso, impulsiva come solito.. viziata ed egoista, vi turberò, e tanto.. O dal principio.. Avete una figlia, Andres, si chiama Sophie, anzi Sofia, il vostro ultimo dono per me, nata il 20 aprile 1912” 

Sophie, la principessa delle assenze
Occhi Fuentes, dalle distanze, in un viso infantile, rimbalzavano su noi. L’attaccatura del naso di Andres, la sua ampia fronte, scuri i capelli, gli occhi … le immagini erano in bianco  e nero, e tanto avrei scommesso che erano verdi. Di fumo, dalle molteplici espressioni, una meraviglia, remoti e assorti come quelli di Andres. E vedevo una donna bellissima che stringeva una neonata tra le braccia, dai capelli scuri. Una bimba che cresceva, splendida, esile, alta per la sua età..annotai, con un duro, severo cipiglio che si scioglieva tra le braccia di sua madre.. “Erzsi e TUA figlia..” “Catherine, sul mio onore io non sapevo di avere ..questa bambina” vero, era impossibile che raccontasse balle su quello.

“Sophie, come tua madre”
 Come uno stallone lascia il segno nei suoi puledri, così Andres avrebbe messo il suo marchio  su ogni suo discendente. Da Xavier e Sophie, passando per altri figli, a partire da Felipe, il primo che abbiamo concepito insieme. Mi presi il viso tra le mani, mi imposi di essere calma, io che ero notoriamente l’agitazione personificata. “Prendi un sorso di brandy, respira e riprendi.. Io non continuerò, se non vuoi, uscirò dalla stanza e ..Non per paura o che, solo che sono cose tue, su cui io non ho diritto.. E non ti chiederò nulla” discorso sconnesso, quello che intendevo si riferiva alla libertà che lui mi aveva dato, di chiudere con il passato, quando avevano catturato il vigliacco che aveva ucciso Luois, il mio primo, amato marito, avevo assistito alla sua esecuzione e .. Mi aveva lasciato libera, di chiudere almeno un poco con quel dolore e senso di colpa.
Non volevo, dovevo  essere avventata, impulsiva, il terremoto rappresentato da fogli filigranati annotati in inglese, foto e via così poteva minare in maniera irreversibile il nostro matrimonio. E se una donna dice a un uomo che ha un figlio è quasi sempre la verità. Ed era stato prima del matrimonio, prima ancora che ci ritrovassimo. Che dovevo rinfacciargli, a lui.. Oddio. Perchè?
“NO..Ora no”gli carezzai i capelli “ora .. ti vorrei dire dall’inizio, e sarà dura..”e cercava il mio tocco, non mi respingeva.
“Dimmi la verità Andres..non farò scenate o che”il giovane zarevic Nicola Romanov aveva intrattenuto una relazione prima del matrimonio con Alix con mia madre Ella, il cui risultato era stato me. L’uomo che per il mondo era il mio padre, il principe Raulov, era stato un tormento, picchiava me e mia madre, uno stillicidio, un inferno. Per non soccombere, che quando chi dovrebbe amarti, sostieni che sei una nullità, ero diventata una egocentrica di primo rango, l’amore che mi aveva dato Olga, come Tanik, Marie e Anastasia,  per non tacere dello zarevic e di mio fratello Sasha, passando per mia madre mi avevano salvato dall’impazzire, e io li avevo fatti impazzire, ero stata dura, arrogante, superba, che mi curavo solo di me stessa, spesso se non sempre. E lo sapevo, lo avevo saputo per caso, con effetti irreversibili, mi ero sposata di gran carriera nel 1913, rimanendo vedova l’anno successivo, inventandomi una nuova vita e ritrovando poi Andres, che a sua volta ne aveva passate, di tragedie e casini, forse migliorando, che quello che avevamo ora era fragile e bellissimo.. Un tesoro, un miracolo come quando abbracciavo lo zarevic, non andava buttato alle ortiche. Quando avevo cercato di essere meno egoista, cinica e amara, la mia vita era diventata migliore, lo ero diventata per difesa, prima, attaccavo per proteggermi, e soffrivo io per prima. Ero fredda in apparenza, passionale in privato, cercavo di mantenere sempre la mia parola..

“Me ne sono andato  nel settembre  1911, dopo il suo compleanno, lei è nata il 2 settembre” calcolai i tempi, ci potevamo stare.
“.. fa male rievocare la felicità che abbiamo spartito, ridere di tutto e nulla.. Ah.. non voglio essere impudica, tranne che se fossi rimasto sarebbe successo uno scandalo, i cui precedenti sarebbero risaliti a mio padre.. sono scivolata al Tu, Andres, mio caro. Eri riuscito a convincere mio nonno a lasciare passare le offese, come acqua su un sasso, lui aveva visto Solferino, il mondo merita pace, no? Sbaglio, forse, tranne che ho spartito con te più che con ogni persona, anche da assente(..) Ti eri svegliato, ti avevo scosso e avevi raccontato, di un incendio, tragiche circostanze, se Isabel non fosse morta non ti avrei mai incontrato.. A volte le cose accadono, e non è colpa di nessuno, tranne che ora comprendevo la tua ostinazione  a usare precauzioni, per evitare concepimenti. Come se avere un figlio da te fosse un’onta.. Una maledizione. Invece era amore… Non un capriccio, che sarebbe sfumato in poche settimane.. dico amore, che a modo mio ti ho amato .. Un modo egoista e contorto. E meritavi di meglio che passare la vita ad essere un mio giocattolo, un cagnolino attaccato alle mie gonne, che più rimanevi e più non avrei voluto mandarti via.. Andres, avevi vissuto per anni in solitudine, braccato dal senso di colpa, evitando di amare..dovevi guarire, in parte lo eri già, che ti eri innamorato di me..E per te non era sufficiente, meritavi una famiglia. E desideravo che mi rimanesse qualcosa di te.. Hai passato anni in solitudine, braccato dal senso di colpa, ma stavi guarendo, esserti innamorato di me era un primo passo… E non potevamo stare insieme, avere una vita insieme, alla luce del sole..ti ho amato, ti amo Andres, egoista, cocciuto e testardo, sei passato nella mia vita come una cometa, un lungo addio, so che tua nipote si chiama Elisabetta, il corrispettivo spagnolo di Isabel, tua prima e amata moglie, nata nel 1912, quindi l’equazione per me è risolta ben presto 
“..l’ho capito subito, in fondo i sintomi mi erano ben noti. “Deve andarsene ..Erszi, un annullamento non è possibile e sarebbe uno scandalo senza ritorno” “E se aspettassi un bambino?”sfidando l’autorità “Sarà figlio di tuo marito, no? E non sarai né la prima o l’ultima..Promettimi di tacere..” Lui era l’impero, l’impero era lui, ha lottato fino alla morte per mantenere l’unità.. E aveva ragione, non sarei stata la prima o l’ultima, ti amavo Andres e temevo il futuro
Senza andare troppo a ritroso, si era sussurrato per anni che Maria Valeria, l’ultima figlia di Sissi e Francesco Giuseppe, avesse avuto come padre naturale Andrassy, un politico ungherese, la sorella di Sissi, Maria Sofia di Napoli, aveva avuto una figlia illegittima dal suo amante belga, ai tempi dell’esilio di Roma, Maria Larish, cugina di Rodolfo, aveva appioppato al marito due illegittimi.
Io potevo solo tacere, ero la bastarda dello zar.
“..  e te ne sei andato, il 20 aprile 1912 è arrivata lei.. Sophie Marianna, come tua madre e tua sorella. Con W.-G. (iniziali di suo marito) siamo separati nei fatti, io ho vissuto per lo più in Boemia con Sophie e Stefania, la mia quartogenita, i tre maschietti nel collegio militare.. Poi è scoppiata la guerra e sono diventata patronessa di vari comitati caritativi e via così..Andres, la tua assenza è una eterna amputazione.. E ora vuoi conoscere tua figlia, almeno a parole, i suoi gusti e preferenze, la testardaggini, davvero, è tua.. (tralasciando che ho avuto rapporti solo con te, precisazione non necessaria ma doverosa).. Andres, è come te, spaccata.. ”
Le piacevano i cavalli. Amava i cibi salati, era arguta e divertente, un terremoto di vivacità.. aveva imparato a camminare a 11 mesi, passando direttamente dal gattonare alla locomozione.. Andres ingrassava di metaforico orgoglio a ogni parola, guardava le foto, stupito, commosso e rapito, digerendo quella paternità inopinata, che gli era caduta tra capo e collo.  E arrabbiato, con Erszi, che non glielo aveva detto, che lui le sue responsabilità se le prendeva eccome.
“.. dopo che è morto mio nonno, la situazione è peggiorata.. Irene, mi chiamavano con caustica ironia, che in greco vuole dire pace..”Tradotto, l’avevano messa all’angolo, che lei era una pacifista, venti a uno che le mezze, segrete proposte di pace del precedente autunno, partite dall’Austria, quando suo nonno l’imperatore era moribondo, se non morto, erano dovute a un suo impulso e il successore Carlo vi avrebbe ben dato seguito, tranne che comandavano i militari e non lui.. Era più a suo agio con le preghiere che con  le faccende militari..Un debole leader, che non si sapeva imporre, avesse regnato Rodolfo, il padre di Erszi, sarebbe stato diverso. Lui era un anti militarista, un anti clericale, amico del popolo, la sua morte era stata una apocalisse.. E tanto era sepolto da quasi 30 anni nella cripta dei Capuccini, Erszi aveva perso il suo protettore, il suo baluardo e .. “Con le due bambine sono giunta a Copenaghen..” E non era rimasta a terra, che aveva dirottato buona parte del suo strepitoso patrimonio privato in Svizzera, era arguta e previdente.. In un dato senso, fossero state diverse le circostanze, mi sarebbe risultata simpatica. Era una stronza, in un dato senso, una guerriera e una lottatrice, una che non mollava mai.  Accidenti a lei ed Andres. “.. ho sbagliato, forse, a non dirtelo allora  e a dirtelo adesso, hai perso anni, una possibilità, ho deciso io per te e mi pesa.. Il solito fatto compiuto, e ora hai una moglie.. che di certo ami, ricambiato, se ti sei sposato è per amore, in questo senso non sei mai cambiato, leale, la tua parola è solo una sia nel bene che nel male, Catherine Raulov, la ragazza dalle iridi di onice.. Che di certo vorrà dei bambini da te, e ti devi togliere l’idea che avere un tuo figlio sia una maledizione. Non ti chiedo di perdonarmi, non sono così folle..”
“Sofia è un bel nome” osservai, in tono pacato. E lo pensavo realmente.
“Sì..”era già entrato in possessiva modalità di orgoglio paterno. “E’ splendida..”
Per quanto sul momento avessi pensieri poco amabili su Erszi,  aveva sollevato Andres dalla sua ossessiva idea (che in fondo lo pensava, ancora) che avere un figlio da lui fosse una maledizione, era contento della mia gravidanza e insieme aveva paura che mi venisse un accidente irreversibile, pensiero poco confortante e tuttavia plausibile, visti i precedenti che si attribuiva.
Pensiero mai espresso con me e tanto lo decodificavo, quando volevo ero empatica. E non ero una aspirante martire, una pura e ascetica santa,a ogni donna sarebbe scocciato apprendere quelle notizie sul marito.. tranne che una scenata non avrebbe dato alcun riscontro positivo.
Dai quaderni di Olga Romanov alla principessa Catherine” Ad Alessio dispiacque che non fossi venuta, avevamo visitato la fabbrica di armamenti P. e quale fu la sua sorpresa quando vide il prototipo di un nuovo modello d’aereo, su cui salì.. Era raggiante di gioia, affermò che l’idea era stata tua, anche se l’aveva propugnata Tatiana.. Rivedo la sua gioia, intatta, perfetta, si sentiva un re e poi libero, che ce lo portammo, dopo, a Carskoe Selo a girare, visitando l’orfanotrofio, al vostro villino per un tè, era raggiante..E non avresti mancato, se non fosse successa qualcosa.. Che non chiesi, eri stranita, come Andres, pure gentili e sorridenti come sempre. Inutile forzarti, non era aria, tralasciando che me lo avresti detto prima o dopo, forse. E poi arrivarono i vostri compleanni, tu il 27 gennaio, lui il 28..Alessio fece la sua passeggiata con te nella capitale, in incognito, e di diede il suo regalo, diciamo personale, un quadernetto dalla copertina azzurra, alla cui prima pagina aveva annotato  dei versi dell’Odissea e un suo augurio. Rimanesti allibita, a dire poco, tanto che sul momento pensò che non ti piacesse, invece era il contrario. Amavi Omero e aveva cercato i versi con cura, annotandoli sul quaderno, con il suo personale commento ed augurio, disegnando una gattina (Kitty  Cat) e il tuo fiore preferito 

 “Alexei, zarevic, vi è piaciuto ieri..?”
“E’ stato stupendo, perché non c’eri?”
“Io che c’incastravo.. “Mi imposi di sorridere, un meccanico movimento dei muscoli facciali
“ Un nuovo modello di aereo..per la primavera.. “mi raccontava, e lo ascoltavo a rate E se ero turbata, non me la potevo prendere con lui. E si era sorbito anche troppe scenate “Cat.. che hai?”una piccola ombra sul viso, mi scusai con un piccolo cenno della testa
“Pensieri, scusami Alexei, riprendi, hai tutta la mia attenzione da ora” E la ebbe, mi distrasse da Andres e le novità del giorno avanti, gli sfiorai un braccio che avevo paura di fargli male.
“Guarda che carino”indicandomi uno dei cervi addomesticati del parco imperiale, sbucava sullo sfondo, camminava lento sulla neve e lo presi per mano lieve come brina, ero meno rigida ..Alessio, bambino mio, riflettei con tenerezza
“Fermati e chiudi gli occhi”ordinò e soffiò sulle mie palpebre chiuse “Via i cattivi pensieri”
“Va bene, continuiamo a camminare ..”
“Fammi un sorriso, dai, vero“
“Grazie, tesoro, oggi sei davvero un angelo”rise e  mi prese il braccio, saldo e deciso. “Dopo veniamo a casa tua per il tè.. e ..”
“Ti aspetto, con piacere.. vi aspetto con piacere.”che vi era un certo incombente prima da sbrigare. Ti adoro, zarevic, pensai, scusami se sono andata fuori di testa-..ed ero distratta, tesa, assente, almeno non ti ho fatto una scenata “Alexei..” “Cat, tranquilla.. aspetti un bambino, i pensieri sono normali” “Vero.. sai che ora lo sento muovere? È buffo, è strano.. sto bene” prevenni la sua domanda ansiosa”Quando tua mamma ti aspettava ..”rivissi il momento, avevo messo i palmi sulla sua pancia dilatata, enorme ai miei occhi di bambina “..era contenta, davvero, zarevic, si metteva le mani sul ventre, così, e ..” le posai sulla mia pancia “ Parevi rispondere.. un calcio era un sì, due no”
“Davvero?posso..”dalle profondità del mio corpo partì qualcosa “Ciao” sussurrò lo zarevic serrandosi addosso. Mi chinai, sussurrando “Bambino mio” e non mi rivolgevo al mio, ma a lui. E la confidenza reciproca, molto dopo quando ho letto le memorie delle Vyribova, rilevo solo che non compaio da nessuna parte, lei è una santa, una martire, tutta una agiografia. Come no. “Un bambino fortunato..” “Certo” una pausa brevissima. E era il mio bambino, lui, sia nel breve che lungo termine...


Erzsi aveva lasciato il suo indirizzo, un numero di telefono, indicando gli orari in cui era a casa, che lo conosceva bene, Andres, che le sue reazioni erano sempre rapide, dirette,  errate o meno che fossero. Giusto la distanza gli aveva impedito di partire di gran carriera e aveva aspettato qualche ora per calmarsi. Quella sera avevamo parlato e stilato un programma di massima, se non mi ero  sentita male sul momento non sarebbe accaduto più. E i bambini non hanno colpe, come dicevo allo zarevic, non decidono da chi nascere o dove.. Una ridda di sensazioni, confuse, astruse. E Andres non aveva nulla da nascondermi,era leale, un rompiscatole, e mi amava.. Ci siamo amati per tutta la vita. 
“Buongiorno, potrei parlare con Elisabetta de Castro. Credo che aspetti ...”
“.. questa chiamata. Sono io, Andres.. il numero è diretto“
“Ho letto e .. sono rimasto .. sconvolto. Potevi dirmelo, Erzsi” si toccò la fede. E aveva usato il suo nomignolo.
“Situazione assai surreale.. “
“Come te.. allora, come stai?”
“…Andres, solo tu puoi uscire con queste domande..Me la cavo..” la sentì ridere.
“.. teniamoci in contatto, non dirò nulla.. quando sarà finita la guerra, mi farebbe piacere vederla.. almeno una volta.. Erzsi..” dove si era cacciata quella folle? Che voleva da lui.. il suo primogenito era morto troppo presto, per anni si era vietato di desiderare un altro figlio, un futuro, e ora apprendeva quanto la sorte fosse cinica.. O ironica. Che Erzsi aveva mantenuto la parola data al Kaiser, di non creare scandali, ma lui era morto e.. La verità può sconvolgere ed essere una liberazione. Manco sapeva cosa provava.. Una figlia e un altro in arrivo, Catherine era stata eccezionale, moglie migliore non la poteva avere.. O scegliere. 
“Ci sono.. ti farebbe piacere sentirla?Giusto un ciao al volo.. è qui con me, in fondo alla stanza e mi sta guardando allibita, che ho riso..aspetta..” avevano parlato in inglese, lui deglutì a secco.
“Salve, piacere di sentirvi.. ora torno a giocare” buffa, tenera
“Il piacere è mio, principessa Sophie. Ho conosciuto vostra madre, tanto tempo fa..” Sophie. Come sua madre.
“Ciao.. certo siete simpatico, lei non ride mai..”
“SOPHIE!! Questa peste.. Allora, ti scriverò ancora.. e va bene così, grazie Andres, dopo tanti anni ..”
“Grazie a te, Erszi..”
Posò la cornetta, svuotato, il viso tra le mani, si rialzò in piedi e venne da me. “Grazie, Catherine” io avevo sentito, appellandomi al coraggio, alla pazienza. Via i cattivi pensieri.
Quel pomeriggio, prima che venissero per il tè, feci le mie famose patatine fritte, spadellando come una invasata, una torta di mele, che incontrò la soddisfatta approvazione dello zarevic, che si premurò di non lasciare una briciola.

E per me era dura.

Comunque, Alessio aveva fatto la sua passeggiata con me a Pietroburgo, una dolce e fredda mattina di fine inverno, i primi di febbraio.
La sua mano sul braccio, parevamo, come in effetti eravamo, un fratello e una sorella che facevano una passeggiata, lui con un cappotto da ufficiale, ben bardato contro il freddo, io in pelliccia, con un piccolo e sobrio cappello, sorrideva mentre mi indicava un punto o faceva un’osservazione. Giusto un’ora, lo portai in un negozio di giocattoli, scelse un piccolo e vivace aeroplano per la sua collezione, poi filammo a prendere un caffè e una fetta di torta.
“Per te, buon compleanno, anche se è già passato”porgendomi un pacchettino rettangolare.
“Ma..”
“Questo è mio personale, apri, è un pensierino..”Modesto, sorridendo come un rubacuori, un folletto, gli occhi azzurri pieni di aspettativa, ridenti come un cielo estivo. “Ho risparmiato sulla mia mancia mensile e ci tenevo, dai”
Un quadernetto dalla copertina azzurro polvere, semplice e raffinato, alla cui prima pagina aveva annotato  dei versi dell’Odissea e un suo augurio.
“Chè spesso si consola col racconto
Dei suoi dolori l’uom che molto errato 
Abbia e molto patito..” Un intervallo “Omero, libro XV dell’Odissea..” Alzai gli occhi, lo guardai, osservava i ghirigori del piattino, quindi me, le tazze e la tovaglia.
“Cat..” incerto
Ho controllato, spero sia esatta, la citazione, io faccio una parafrasi, ovvero che tu racconti e viva tante cose belle. So che ti piace Omero.. Buon compleanno, Catherine, un bacione il tuo piccolo principe ” E aveva disegnato una gattina con un fiocco rosso e una rosa bianca.  
Una gattina, Kitty Cat, la rosa bianca il mio fiore preferito.
 “Grazie, è bellissimo” le vene del collo erano tese e pulsavano, sussurrai, ero rimasta basita per un lungo momento, una così lunga pausa che pensava non avessi gradito “Scelto con amore..l’azzurro, il mio colore preferito, il mio poeta preferito..Un augurio e il mio nomignolo, un fiore che adoravo.. E adoro. E’ splendido tesoro”
“Sicura che non lo dici per farmi contento?”
“No”una pausa “Solo che siamo in pubblico, ti salterei in braccio, non credo sarebbe decoroso”mi saltò lui addosso nel primo momento utile. Già. Ossa di fumo, capelli di seta, era argento e cristallo, delicato e prezioso, gli baciai la fronte, mi faceva il solletico, mi abbracciava a tutto spiano “Aleksey” “Yeskela” mi confutò “ Sai con  il figlio del Dr Deverenko siamo amici e ci scriviamo i nostri nomi al contrario”Sorrisi
“Kolya.. Aylok.. anzi” ridacchiò “E tu sei Tac ..” “SSt “ ridendo “Tac – tac..” me lo serrai addosso, delicata “E’ un continuo, una volta mi hai fatto pervenire un mazzo di rose bianche dalla Crimea”
“Quando mi riprendevo dalla crisi di Spala” rabbrividì, un fugace momento di quello sofferenze, in cui aveva invocato la morte come una liberazione, io che lo facevo mangiare,ricordando che amava  i mirtilli, una fetta di pane e marmellata blu lo aveva ristorato.. Un pensiero, come ora, rabbrividii a mia volta “Tesoro, mi spiace..” che idiota, ero una povera idiota“Tranquilla” “Alessio, non era una gaffe.. volontaria anche se..sei stato meraviglioso” “LO SO” scrutandomi con quei grandi occhi azzurri “Che non ti posso regalare una rosa, almeno di carta, senza rievocare ..ricordi che pensi cattivi” un momento “Invece eri sempre lì, mi facevi ridere, mi distraevi..” “E ti sentivi al sicuro”lo circondai con le braccia con delicatezza “Una tua fissa.. sei te che ci tieni al sicuro”
“Che scemenze dici..Io devo stare attento a  tutto, la prima parola che mi hanno insegnato è.. attento.. Non correre, non saltare troppo, attento a quando giochi”
“Tu non molli mai, un soldato, un guerriero..”
“Come la bambina che conoscevi, quella che cercava di stare sempre bene, che non mollava mai” Anche se non era quasi mai simpatica o gentile.. la bambina che era stata, erede di botte e violenza, amata da Olga, ricambiata in misero modo, che amava Alessio, che aveva cercato di non soccombere al buio.
Quella bambina di un tempo remoto, io.
 
Intanto, vennero dati ricevimenti e feste, gli zar cercavano di dare l’impressione che tutto andasse bene. Ed era una mascherata, un naufragio.
Vi furono concerti nei salotti, commedie per i ragazzi.
Ad un banchetto di Stato in onore dell’alta commissione britannica, Alix comparve in un abito color crema con ricami azzurri e argentati, la sua squisita bellezza che ritornava, ma il suo sorriso si era spento. Eravamo presenti pure io ed Andres, io in rosa cipria, lui con la sua uniforme da generale dei dragoni spagnoli, aveva iniziato a rivestirla da un giorno all’altro, dopo la notizia di Sophie. In fondo, per quanto membro della Ocharana, rimaneva un militare di alto livello, veniva a patti con il passato, alla fine, per vivere meglio il presente. Mangiammo crema d’orzo, torta in aspic, pollo con insalata di cetrioli e gelato al mandarino, il cibo era squisito, l’ambiente elegante e tanto mancavano allegria e divertimento.
“Che hai inventato sulle braccia?”rilevai, quando ci ritirammo, annottando le fasciature per passare ad un argomento più allegro.
“E dove lo hai scovato un tatuatore? Erano anni che avevo voglia di farmene di nuovi”scrollai le spalle “Per te questo ed altro..fammi vedere. Sono curiosa. ..” togliendo le bende
Una rosa bianca, di squisita perfezione, sull’avambraccio destro, ove lessi “Catherine”, che la sua rosa invernale ero io.
E sotto il fiore tenuto dal leone rampante, l’elenco era stato aggiornato, vi era Xavier 1901, poi Sophie 1912 e Felipe 1917.  I suoi figli, che avrebbe sempre portato con sé. E andava bene in quel modo.
“Grazie Catherine”
“Sono un fiore eh.. molto suggestivo.. E potrei avere una bambina, in ogni caso..” e mi amava e celebrava, secondo suo modo, eravamo sempre noi, ammaccati e sempre vivi, i principi dell’inverno.  Lo baciai sulle labbra, tesa verso di lui.
“Andiamo a letto” dolce, maliziosa, che lo desideravo fino allo stordimento e ci incastravamo alla perfezione, gravidanza o meno.
Ed  i disordini continuavano  e mi pareva di essere di nuovo nel 1905, quando vi era stata la domenica di sangue ed una mezza guerra civile. E si parlava di cospirazioni per far abdicare lo zar in favore di Alessio, la situazione stava degenerando.  Alix era odiata da tutti, era considerata la paladina della Germania e ne parlava finanche la gente comune. 
Avevo letto il segreto rapporto redatto dalla Ocharana intorno alla metà di gennaio, sulla situazione del governo “..Nei vari ambienti della società circolano le voci più allarmanti, da un lato sull’intenzione del governo di prendere misure reazionarie e dall’altro, su presunti piani di elementi e gruppi ostili che starebbero organizzando disordini e moti rivoluzionari” 

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Capitolo 9
*** The Lost Prince ***


Tatiana scrisse a suo padre, lo zar, nei primi giorni di marzo, marzo 1917 “..ora siamo veramente tristi, abbiamo pianto quando sei andato  via. Stiamo molto tempo di sopra, Olga è a letto, come Alessio, facciamo i turni per visitarli.. Alessio sta  spesso con Catherine, lo fa ridere e lo tiene tranquillo, gli racconta di un magico cavallino, di paesi lontani, della Spagna, di una radura di melagrani su i cui tronchi ha inciso le varie nostre iniziali, quando era in là.. So che quando la guerra finirà andrà a vivere per sempre in Spagna, e mi spiace, anche se il suo posto è là, è la principessa Fuentes  

Dalle annotazioni di Alexander Rostov Raulov in Crimea”.. a marzo sono cominciati i disordini, la gente aveva fame, i prezzi delle cibarie dall’inizio del conflitto erano aumentati del 400 per cento..l’8 marzo, donne affamate si sono unite a gruppi di scioperanti e socialisti, gridavano “Abbasso l’autocrazia” e cantavano la Marsigliese. Le violenze sono cominciate il 9 marzo, hanno saccheggiato i negozi per prendere il poco cibo rimasto..(..) Tafferugli, pattuglie male in arnese ..(..) scoppiò l’anarchia, il governo era paralizzato, sparatorie.. i soldati che sparavano gli uni contro gli altri e si unirono ai rivoltosi.. Effetto domino.(.) il governo si dimise e ne venne formato uno provvisorio, il cui leader era Kerenskij..Lo zar era alla Stavka (.) Saccheggi e vandalismi, sui palazzi sventolavano le bandiere rosse..La guardia imperiale disertò (…) L’abdicazione di Nicola II, per sé e suo figlio, a favore di suo fratello Michele, che rinunciò a sua volta al trono, fecero terminare 304 anni di storia..” 

Da una nota di Andres Fuentes “.. ero con lo zar, via via che giungevano le informazioni, tutti lo scongiuravano di abdicare in favore di Aleksej, sotto la reggenza del granduca Michele,  per evitare un bagno di sangue, che era scoppiata una rivoluzione, che l’odio per l’imperatrice aveva toccato il parossismo estremo.  Quasi tutti i suoi generali gli chiedevano di abdicare, perfino suo cugino Nicola Nicolevic aveva pregato in ginocchio per quello. Rostov-Raulov fu il solo a dichiararsi contrario, come me. “Non fatelo, per favore” sottovoce, mi scrutò a lungo, il viso non tradiva alcuna emozione “Pensateci ancora”  passando a guardare il paesaggio innevato fuori dai finestrini, per un pezzo “Lascerò il trono a mio figlio” si fece il segno della croce, imitato da tutti e appose la firma  sull’atto predisposto, vergando 15 marzo 1917, ore 15.00.  Fumò continuando a scrutare fuori, in silenzio, poi chiese di parlare con il dottor Federov.”Ditemelo in tutta franchezza, la malattia di mio figlio è incurabile?”  “La scienza ci insegna, sire, che non vi sono cure e tuttavia alcuni malati, qualche volta, giungono ad un’età avanzata. Tuttavia, Aleksey Nicolevic è alla mercé di qualsiasi accidente..” Difficilmente avrebbe cavalcato, sempre doveva fare attenzione a non stancarsi troppo, a non compiere movimenti azzardati.. E sicuramente, il governo provvisorio, già ostile agli imperatori, ben difficilmente gli avrebbe concesso di tenere con sé il ragazzo, in caso di esilio li avrebbero separati.  Lo zar scosse la testa, mormorò tristemente che lo sapeva, che Aleksey non avrebbe potuto servire la Russia come voleva per lui, aveva quindi il diritto di tenerlo con sé e i suoi. E tanto non era giusto, Catherine. Verso le nove giunsero due inviati della Duma e del Governo provvisorio, iniziarono con i loro sproloqui e vennero interrotti da un cortese cenno della mano “Il discorso non serve, ho deciso di rinunciare al trono, fino alle tre di oggi pensavo a favore di mio figlio, ora ho mutato opinione in favore di mio fratello, confido che comprenderete i sentimenti di un padre. Firmò un nuovo atto di abdicazione, secondo i propri desideri, mantenendo invariata la data e l’ora. Come noto, Michele non accettò e finì così” 

“Alessandro e Bucefalo, aveva il mantello scuro e una piccola macchia candida sulla fronte e accompagnò il suo reale padrone nelle battaglie, alla conquista del mondo. Riportate ferite mortali, nella battaglia di Idaspe, non permise al suo padrone di montare un altro cavallo e, facendo appello alle ultime sue forze, lo portò alla vittoria. E in tramonto di ruggine e sangue, o almeno così immagino, sul far della  sera, coperto di sudore e di sangue, Bucefalo si stese al suolo e morì per le lesioni ricevute, all’età di vent’anni…” cercavo di non pensare al caos che regnava nella capitale, ad Andres che era a Mogilev con lo zar, raccontavo, il suono della mia voce un quieto mormorio. Presi una mano di Alessio, l’accostai al viso, dormiva per la maggior parte del tempo, aveva il morbillo, come Olga e Tata, a febbraio dei cadetti avevano giocato con lui e Olga nella neve e avevano poi riferito che uno aveva il morbillo, quindi ecco il contagio.  Un sonno irrequieto, che non lo ristorava, aveva 40 di febbre.
“Morbillo in forma grave.. con la temperatura molto alta..” nel 1907 me lo ero buscato, pure io, stando così male che mi avevano somministrato l’estrema unzione, un miracolo che fossi scampata,l’anno avanti avevo fatto una portentosa caduta da cavallo, battendo una testata e per poco non ero finita all’altro mondo “Principessa, dovreste riposarvi”
“Non ti preoccupare per me, Alessio, l’ho già avuto.. “ a rate, riemergeva dal torpore, era fradicio di sudore “Sì, ma sei incinta.. se succede qualcosa al bambino”
“Non gli succederà nulla.. Io l’ho avuto, qui dentro non gli succede nulla“gli tamponai il viso, prese un poca d’acqua, che situazione, che disastro “Qual è l’animale più testardo, lo sai?” mi chiese.
“Il mulo, credo, quelli iberici sono i più testoni” fece un sorrisetto “Vatti a riposare, fallo per me”
“Va bene..tra un poco” lo accontentai dopo mezz’ora, rimasi con lui, che spesso chiamava Cat, Catherine, stordito e se mi percepiva vicino si calmava, gli raccontavo mille scemenze per distrazione e preferivo essere là con lui, che sola a rimuginare, più per me che per lui, che aveva la febbre. Balle, mi voleva bene e io volevo bene a lui, eravamo legati a doppio e triplo filo, fragili da soli, invincibili insieme.
Anche la Vyribova si era ammalata di morbillo, l’imperatrice faceva la spola tra lei e i ragazzi, io giravo al largo, che malata o meno, aveva sempre il potere di darmi sui nervi, sacrosanto. Planai nella stanza dove avevo dormito tante volte da bambina, da ragazza quando mi recavo al Palazzo di Alessandro, atterrando sul divano. Ero stanca, ingrossata, di malumore, altro che la sua rosa invernale, come mi appellava Andres, soprattutto preoccupata per i disordini, avrei pagato per avere mio zio e la sua ironica saggezza.. Ed era in Crimea, con mamma e Sasha, finalmente si sentiva meglio. La capitale era in pieno fermento per i disordini, tuttavia avessero assaltato palazzo Raulov avrebbero ricavato ben poco, i quadri erano riproduzioni, i mobili imitazioni,  l’argenteria era scarna, i gioielli erano con lei a Livadia, vi era poco da prendere, la stessa cantina era sfornita, il principe Raulov aveva una sua curiosa e contorta ironia .. Casa mia a Carskoe Selo era ancora più sobria, quindi avrebbero rastrellato molto poco.. Assente Andres, con i ragazzi malati, preferivo stare al Palazzo di Alessandro..
I miei prediletti, che le sorelle di misericordia Romanov non compivano solo I loro doveri di infermiere, ma erano anche una buona compagnia per I soldati feriti, leggevano loro, gli aiutavano a scrivere lettere a casa, giocavano a carte con loro, li portavano fuori per un poca di aria, o, in semplicità, si sedevano vicino a loro e parlavano. Anche io mi sedevo, raccontavo a caso o leggevo..
Un periodo surreale e devastante.

Il suono inconfondibile degli spari  ruppe il silenzio della sera

“Maestà che succede?” Alessandra si fece il segno della croce, portava la divisa da infermiera sopra il vestito nero, il velo sui capelli raccolti, era tragica e fiera, una martire in fieri “ Dicono che una folla di 300.00O stia marciando sul palazzo.. Non abbiamo paura, non dobbiamo avere paura, è tutto nelle mani di Dio. Domani arriverà l’imperatore, andrà tutto bene..”
“Il conte B. comunque ha fatto bene a richiamare dei reggimenti..” lo aveva fatto il giorno avanti, saggia misura precauzionale, vari battaglioni per 1.500 uomini, che si erano appostati nel cortile  tra il corpo principale del palazzo  ed il colonnato corinzio, altri  dinanzi all’ingresso principale e poco lontano, accendendo fuochi per scaldarsi e sistemando un enorme cannone.
“Papà sarà sbalordito”
“Giusto Anastasia, giusto..”
Scopo dei soldati ammutinati era portare la zarina e Alessio alla fortezza dei santi Pietro e Paolo, ma, giunti al villaggio  di Carskoe Selo fecero irruzione in un negozio dove si approviggionarono di vino e vodka, a quel punto si ubriacarono a puntino.
Venne uccisa una sentinella a meno di 500 metri dal palazzo, dalle nove di sera in avanti risuonarono colpi di fucili.
“Sono manovre speciali” spiegò ai ragazzi, Alessandra, per tranquillizzarli, io mi mordevo la lingua, cercando di stare calma, mi era stato detto di tacere, per non agitare, finché fosse stato possibile
Rimanemmo nel salotto verde, io e  Anastasia, vai a sapere chi reggeva chi, i colpi risuonavano nel freddo, lei mi serrava per la vita, io le cingevo le spalle “Ho paura”un piccolo sussurro.
“Andrà bene.. guarda tua mamma, sta parlando con i soldati” Un nero mantello di pelliccia gettato sopra la divisa da infermiera, la accompagnavano Marie e la contessa B. 
Era buio, le truppe erano in allineate in ordine di combattimento, la prima fila in ginocchio nella neve, gli altri in piedi dietro di loro, i fucili pronti, Alix passava di soldato in soldato, sussurrando che avevano tutta la sua fiducia, che la vita dello zarevic era nelle loro mani, quelli erano amici, loro devoti.
“Paura la ho anch’io, comunque” ci sedemmo, cercando la calma, mi imposi di respirare piano, rievocare momenti migliori, la mente tornò alla rocca di Ahumada, le pietre color miele in un tramonto, baluardo mai preso, che aveva resistito ai secoli e agli assedi, la casa dei Fuentes. Casa mia.
“Quanta?” lei che era vivace e mercuriale come una lepre marzolina, era quieta, tesa. “Parecchia” era inutile che facessi l’eroina, non dovevo dimostrare nulla a nessuno “Cerca di pensare a qualcosa di bello, per rilassarti”  mi venne in mente Andres, nuova, vero, l’ultima volta che avevamo fatto l’amore, l’8 marzo mattina, il gusto di sale della sua pelle, appena più forte di quello di una mandorla, un tenero saluto, avevo dormito stretta a lui, come sempre, in quell’alba che doveva partire per Mogilev con lo zar era stato lento, dolce, sospirai involontariamente “A cosa stai pensando..?”
“A un posto in Spagna, una radura sulle montagne, ci crescono i melograni, buffo che reggano in quel clima, vicino ad Ahumada, sai .. sui Pirenei, il castello dove è nato Andres, casa nostra” spalancò gli occhi “Ci sono stata .. anni fa ed è bello, Anastasia..  “
“Descrivimelo” chiuse gli occhi, cercò di rilassarsi, eravamo sui Pirenei, le mani allacciate. Rividi me stessa che osservavo delle iniziali, una A, una I, Andres ed Isabel, una M e una R, Marianna e Raul, scavate, io che a mia volta incidevo i tronchi, leggera, tracciando una C, per me, Catherine, e OTMAA, per Olga, Tatiana, Marie, Anastasia e Alessio, assenti erano sempre con me, pure in Spagna.  Una lettera per ogni tronco. Lo splendore estivo che rivestiva di una dorata patina il mondo, avevo 14 anni, una stagione di scoperte e curiosità, di vedermi finalmente bella, una ragazza scura di occhi e capelli, perle ai lobi, che fissandosi in uno specchio si era vista finalmente in quel modo “Dico casa.. che era bello, essere lì. Le persone sono di poche parole, ma ti offrono un bicchiere di vino, del prosciutto.. Ballando magari su una festa improvvisata, e..”
“Casa è con chi stai bene..”
Passammo la nottata sul divano, senza svestirci, Alix si stese, gli spari durarono fino alle cinque, poi gli ammutinati tolsero il disturbo.
Li aspettavamo per  le sei di mattina, lo zar con Andres e compagnia, non venne nessuno.
“Sarà stato trattenuto per la neve, il treno” cercando di offrire una scusa logica.
“Il treno non è mai in ritardo.. mai”disse Anastasia, uno sbadiglio le frantumò il viso, lo ricacciò contro il mio gomito, le presi una mano, mio figlio era sempre pimpante, a tutte le ore, o pareva, con le sue mossette ed  i calci.. Quindi accostai il suo palmo al ventre, lei ci appiccicò la guancia, le sue braccia sui miei fianchi, sussurrando qualcosa che non sentimmo “Cat, io ho sonno, ti stendi da me? Per me e Marie è una gioia sentirlo, non devi stare sempre con Olga, Tata e Alessio” bofonchiai un sussurro, cerca di dormire, naufragando nel senso di colpa. “Fai i turni”
Alessandra iniziò a mandare telegrammi, quella mattina e nei giorni successivi, tentando di contattare il marito, ritornarono tutti indietro con la scritta  in alto, in matita blu”Indirizzo della persona indicata sconosciuto” 
Trascorsero i giorni, giunse il 21 marzo.  
Giorni di stallo, di miseria, di amore, mi alternavo al capezzale dei malati, leggevo, giocavo con i soldatini con Alessio, a carte con Olga e Tata, raccontavo scemenze ad Anastasia e.. mi preoccupavo, mon Dieu. E giravo al largo, nei limiti del possibile, dalla zarina.. Marie un punto di contatto, fingeva di ritenere i miei silenzi, a prescindere dalla forma e dagli inchini, con sua madre una magagna della mia gravidanza.. In generale, che nello specifico avevamo già discusso, quando mi convocò avevo le meni gelate, pena e terrore, per entrambe.

Alle dieci di mattina raggiunsi Alix nel suo salotto malva. “Siediti per favore e ascolta.. Lo Zar tornerà domani”
Andai su una poltroncina rosa chiaro, scrutando il suo viso pallido e tirato” Il Governo Provvisorio ha mandato il Generale Kornilov per informarci, quale onore, che sia io che lo Zar siamo sotto arresto e tutte le persone che .. non vogliono rimanere devono lasciare il palazzo di Alessandro entro le quattro, per non essere confinate” Mi poggiò una mano sulla spalla, con affetto, la strinsi per un momento
  “ Tra poco Gilliard dirà ad Alexei ..tutto.. Io alle ragazze. Tu..” Marie sapeva, dalla prima all’ultima notizia “Io resto con voi”
“Domani torna tuo marito e decide lui..”Mi rimbeccò, con tenerezza, esasperata e divertita. “Sei testarda come ..”Non trovava definizioni, sorrise per un breve momento“La gravidanza ti ha reso ancora più ostinata” Fissammo entrambe il mio ventre sporgente, mentre mio figlio si muoveva dentro di me. Non portavo il busto, quando mi spostavo da una stanza all’altra usavo una scialle, la sorella di Alix, Irene di Prussia, aveva aperto la strada “Posso ritirarmi..?Mi vorrei stendere un paio d’ore”ero stanca, mi doleva ogni  osso e muscolo “Cat, ho avuto cinque figli, lo so come ti senti..anche tre o quattro, senza offesa, nessuno ti disturberà. Sei stanca e affaticata, lo so, vieni verso le due, anzi  le tre”Forse, e tanto dovevo fare un’azione preventiva.  Speriamo. Al dolore delle granduchesse e di Alessio per l’abdicazione avrei pensato dopo, erano malati e la notizia li avrebbe fatti sentire peggio. “Ve lo prometto” 
Gilliard, il precettore di francese dei ragazzi, disse ad Alessio che lo zar sarebbe ritornato il giorno successivo dal Quartiere Generale e non vi avrebbe più fatto ritorno.
“Perché?” Teso, allibito.
“Vostro padre non è il Comandante  in Capo.” Il fiume, la casa del governatore, scherzi e risate, una sera di pioggia, le truppe e il sorriso di Cat.. Castore e sparare. Perché? Che era successo?Perché Papa non è più il comandante ..Ancora, ti voglio bene Alessio, ricordatelo anche quando sarai arrabbiato con me, che riesco anche a farti divertire.. Sei come a casa, Alessio, stiamo insieme, ci divertiamo. Studi ma ti diverti..  Erano stati in giro, per la capitale e le campagne, i boschi e avevano spartito cene e chiacchiere e risate, non ti lascerò mai volontariamente senza un saluto od un bacio, lo sai.. No. NO. Mi ha lasciato.. NO.
Dopo un momento o due il precettore aggiunse” Sapete, vostro padre non vuole essere più zar, Aleksey Nicolaievich.” Lo scrutò spiazzato, cercando di decodificare gli eventi. “COSA! Perché?” che succede?
“E’  molto stanco e ultimamente ha avuto tanti problemi”
“Sì, Mamma mi ha detto che hanno fermato il suo treno mentre voleva tornare qui. Ma non potrebbe tornare a essere Zar?” fissando l’uomo, poi le icone che tappezzavano la sua parete, illuminate da tante candele, gli spiegava che suo padre aveva abdicato a favore del granduca Michele, che  a sua volta aveva rinunciato al trono. “E chi sarà Zar, allora?” Gilliard disse che non lo sapeva, sul momento nessuno, Alessio non compì alcuna allusione ai suoi diritti di erede, era diventato rosso e si stava agitando, dopo un breve silenzio chiese, mancando l’imperatore, chi avrebbe governato la Russia.
“Hanno formato un governo provvisorio, che governerà il Paese ..ci sarà una Assemblea Costituente e forse vostro zio Michele riprenderà il trono..” Aleksej fece un piccolo cenno con la testa, poi domandò se poteva chiamare sua madre, per favore, o la principessa Fuentes.
“Mama, non andrò più al Quartiere con Papa?”chiese il ragazzino
“No, mio caro, mai più”la replica, abbracciandolo.
“Potrò vedere i miei reggimenti o i miei soldati?”Ansioso, Alix scosse la testa, mentre gli occhi, azzurri, immensi,  gli si riempivano di lacrime “Oddio.. e lo yacht, e tutti i miei amici, non salperemo mai più?”Continuava a indagare, mentre a sua madre si spezzava il cuore, rispose di no, che lo “Standard” non era più loro.
“Mamma.. cosa è tutto questo rumore?”Porte sbattute, passi concitati
“ Tutte le persone che .. non vogliono rimanere devono lasciare il palazzo di Alessandro entro le quattro, per non essere confinate, fanno i  bagagli e ..” gli mise le mani sulle orecchie, premendolo contro il petto “Non ci badare, Aleksej..” “Voglio Catherine” come fossi stata una zattera in quel naufragio“Dopo, alle tre, si sta riposando.. davvero, Alessio, rischia di sentirsi male “  “La voglio” “Dopo, alle tre” “Ti prego, Mamma, per favore, lei dice sempre che devo chiedere con educazione..Scusami se lo dico ora” Alessandra si trattenne a stento dal piangere, adorava suo figlio, in fondo amava pure me, la bastarda di suo marito, concepita per caso e prosperata per un accidente. “Non mi lasciato, vero?” “NO, Alessio..figuriamoci” una pausa, benedisse di non avermi fatto sgombrare Lei prima “Ma devi avere pazienza..” “Per il bambino” “Sì..” e tanto dopo meno di dieci minuti richiedeva di me, e poi a intervalli, il nostro affetto reciproco superava ogni peso, misura e riguardo.
………….
Alle undici meridiane del 22 marzo, lo zar arrivò, accompagnato dal principe Dolgorouky, maresciallo di Corte, gli toccò farsi identificare, poi salì direttamente nelle stanze dei figli, dove Alix lo aspettava.  
Gli corse incontro leggera, come una ragazzina al suo primo amore, la tensione si sciolse nel loro abbraccio. “E’ per il bene della Russia, ne verremo fuori ..” “Sia fatta la volontà di Dio..” “Perdonami Alix..” “ Hai fatto quello che ritenevi giusto..” E tanto realizzò dopo, in toto, sul momento era troppo stordita per il sollievo di ritrovarsi. Per la guerra, i suoi titoli tedeschi non avevano più alcun valore, ora, avendo lo zar abdicato, lei non era nulla, e aveva sempre tratto giovamento e forza dal sapere chi era. Da una parte, che i ragazzi fossero ammalati, la salvava da ossessive riflessioni, dall’altra, appunto perché erano in precarie condizioni di salute, non li aveva voluti spostare. I suoi detrattori risolsero la questione appellandola direttamente, Alessandra Feodorovna, oppure Nemka bliad, la puttana tedesca, con puntuale mancanza di originalità,  lo zar era il “Signor Colonnello

“Principessa Fuentes” Dolgorouky mi scrutava addolorato, indugiando sul mio viso, avevo gli orecchini di onice e topazio, passando poi alla fede e all’anello di fidanzamento, avevo incrociato le mani, il diamante catturava la luce di quel tardo mattino.
“Principe” Eravamo nella classe della granduchesse, aroma di legno e cera per mobili, polvere di gesso. “Starò calma, senza fallo.. Preferisco non disturbare, le loro maestà devono conferire in pace con i figli,”Annuì “Ma mio marito non c’è..”Mi raddrizzai in tutta la mia statura, dovevo essere calma e composta, ero una Fuentes, una combattente, ora ed allora
 “Lo hanno preso appena scesi dal treno.. E si immaginava un affare del genere, mi ha detto di consegnarvi questo..per non opprimere ancora di più..” lo zar e evitare l’onta di una perquisizione, D. gli avrebbe fatto il piacere e non lo avrebbe mai messo a rischio” ..tanto, mi ha riferito che il medaglione contiene due foto e dei capelli, la cartella dei disegni dello zarevic e una lettera d’amore per voi, che non avrei passato un guaio..” declinò le generalità di chi l’aveva preso, mentre io mi lanciavo in tutto una serie di improperi mentali, insulti sanguinosi e senza rispetto. Una signora non impreca a voce alta e di parolacce ne avevo imparate fin troppo.
“Capi di imputazione? Dove lo hanno portato?”
“ Attività di spionaggio. Non meglio definiti.  Al momento è a Carskoe Selo, nella prigione locale, hanno minacciato che la prossima destinazione sarà la fortezza dei Santi Pietro e Paolo. Hanno atteso che lo zar passasse oltre e ..  Non ha opposto resistenza, anche se ci speravano, si è messo a ridere ed è andato”Tipico suo. “Questo governo provvisorio è una grande accozzaglia e.. Per quello che vale, un principe come lui, con i suoi titoli, non è una spia. Principessa, mi ha dato anche la sua vera nuziale” Me la infilai al pollice della destra..In automatico e tanto mi andava larga.  Se mi avessero sferrato un pugno sarei stata meno male. 
“Lo so. Grazie, davvero, siete stato un amico.” 
“Per voi questo e altro, principessa”Mi baciò la mano, un frammento del vecchio mondo che restava. Mi agganciai il medaglione al collo. 

Solo essere incinta mi indusse a mangiare un boccone, non osai né aprire le valve né leggere la lettera, scorsi i disegni di Alessio, indugiando ogni tanto sulla busta sigillata.
Mi mancava il coraggio. Maldito Fuentes, se mi fai lo scherzo di morire ti ammazzo io. Non mi lasciare sola Andres.. Se tu sei una spia tedesca, perché non arrestano la Vyribova? O me? E ti sei spogliato di tutto, in senso metaforico,   per non offrire appigli a chi ti interroga, sapere che qualcuno ti aspetta è un modo per torturare. E torturano me, che non so se ti rivedrò.. E’ peggio di quando è morto Luois, la sua fine è stata un dramma, in qualche modo sono andata avanti e.. Verrei a piedi da te e.. Speriamo che la mia trovata di ieri serva a qualcosa. Ti amo, Andres, non mi lasciare, voglio passare la mia vita con te, non puoi morire come un imbecille per cose che non hai mai fatto. Maledetto Fuentes 


Ed in ogni caso sei spagnolo, la Spagna è neutrale, i Fuentes una famiglia dai molti appoggi, con denaro e prestigio, questo maledetto governo provvisorio non vorrà rischiare un incidente diplomatico.. Vogliono informazioni, per fabbricare la corda con cui impiccare lo zar.. E in prigione può accadere di tutto. Ero incinta, non rincitrullita.  Magari lo fossi stata..
Aprii la sua lettera.
Andres…

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Capitolo 10
*** ANDRES & Felipe Los Senores de las montanas.. ***


“A Catherine, al mio amore, che sa benissimo che non sono un poeta od un cieco, le parole giuste  non mi appartengono, sono solo un uomo che ti ama. Ti scrivo, per raccapezzarmi e mettere in ordine le idee e le sensazioni. Abbiamo litigato come non mai, facendo poi pace, pure non riesco a dormire e per non disturbarvi, sono venuto a meditare in un’altra stanza. Me lo hai detto per il mio onomastico, che avremmo avuto un figlio, mettendo dentro il portasigarette due scarpine da neonato, o aspiranti tali, che, senza offesa, maglia e ricamo non rientrano tra i tuoi talenti. Ed apprezzo il pensiero, anche se lo avevo già indovinato, in parte ( le  nausee, gli attacchi di sonno e fame, il mettere il palmo sul ventre come se ascoltassi un silenzio o una musica nota solo a te, etc etc..) Per presa di giro, ribatto che saranno due gemelli, la replica è di volta in volta il silenzio o una risata o una battuta. 
Ti ho conosciuto quando eri una bambina di otto anni, dietro a un gatto, che fece cadere una risma di fogli e rise del mio radunarli, invece di scusarsi del pestone. Giusto perché eri la nipote di Rostov-Raulov mi astenni dal riprenderti, sorridevi sghemba con quel felino, finalmente preso, ballando ora su un piede ora sull’altro, poi sparisti, di gran carriera.
Il mitico Sasha R-R, diminutivo di Alexander Rostov-Raulov, conosciuto nel 1896, quando venne in Spagna a cercare notizie per scrivere un libro sul primo principe Rostov-Raulov, al castello di Ahumada, mia casa di nascita, oltre che di Felipe. Personaggio carismatico e complesso, guai a chi osava toccargli la sorella o la nipote, che al tempo eri ancora figlia unica. Cocciuta, viziata e esasperante. E non era timidezza, come appresi poi. 
Nel 1905, eccoci al matrimonio di mia sorella, ad Ahumada rientravo che era quasi l’alba dopo la notte di addio al celibato e mi venne l’idea di fare due parole con Marianna, che conoscendola era in piedi, serena e senza fallo prima del trambusto della giornata. Bussando, trovai Lei e Te che contemplavate l’alba nella sua stanza. “Chi è?” “Fuentes” “Entra, fratellino..” in senso ironico, che la supero abbondantemente di peso e statura “Catherine ..nipote di Rostov-Raulov” Un bagliore indefinito, le iridi color onice che mi soppesavano. “Lo so, chi è” “ E voi siete Andres Fuentes” Mi inchinai, ironico, “Per servirvi, chiedete e obbedirò”mentre il cielo a oriente diventava zaffiro e cobalto, previdi che sarebbe stata una lunga giornata.
Avevi dieci anni, tra le ragazzine più graziose (..e va bene, eri la più bella, contenta, peste?!) che assistettero al matrimonio, ne convengo, tranne che non eri affatto convenzionale, come appresi a mie spese grazie a un calcio e due  pestoni, al momento dei balli, ti appellai chica pestifera, ragazzina malefica,dicesti, è una occasione allegra e voi avete il muso.. Ti avrei torto il collo, fidati.  
Marianna rise di entrambi,falla crescere Andres, e la troverai di tuo gradimento.. 
Comunque, osservasti che, muso o  meno, le cose le sapevo raccontare, su Felipe de Moguer, diventato principe Rostov-Raulov grazie alle sue epiche imprese alla corte di Russia. Già, la mattina successiva alle nozze, mentre tutti dormivano, chi mi ritrovo ?Erano le sette e mezzo, in punto di cronaca, la servitù avrebbe preso servizio dopo un’oretta, che i festeggiamenti erano terminati verso le cinque. Domanda retorica, chi mi ritrovai, definirti curiosa e sfibrante un eufemismo. Ti piacquero i ritratti dei tre fratelli, Felipe, XavierNicolas e Francisco, vicini nella galleria, lui era tornato ad Ahumada verso i 40 anni, sopravissuto alle battaglie e agli ingaggi, onorato e riverito, con la seconda moglie e i figli avuti da lei. “Avevate detto che alle mie richieste avreste obbedito, Fuentes”al mio tentativo di sparire, un sorriso sghembo, avevi grinta, complimenti a te, e lo dicesti in spagnolo, in poco tempo avevi imparato a sufficienza. 
Quando rovesciai il cappello, nell’arena di Granada, cadevano fiori e applausi, tu avevi le braccia lungo i fianchi, alzai la mano e ricambiasti il saluto. 
Nel 1911, ti intravidi da lontano, a Livadia, un profilo squisito e le spalle ben dritte, nonostante il dolore.. Già… E quando ho visto le cicatrici delle staffilate mi sono rammaricato di non avergliene suonate di più.
Quando ci siamo rivisti, nel bene che nel male eravamo cambiati, e tanto il vizio di tirare calci e pestoni ti era ben rimasto, come appurai a mie spese, al solito. Rubando la definizione a tuo zio, mi avevi ai tuoi piedi in senso letterale e non metaforico, quando per me era il contrario. Sei stata l’unica, la sola. 
Inutile nascondersi dietro a un falso moralismo, negli anni che sono passati tra la morte di Isabel  e il ritrovarti, ho avuto molte storie, avventure più o meno lunghe, legami effimeri e brevi sfogli, mia unica attenuante non avere una moglie. E non citare “..in Spagna ne ho già mille e cento tre..”, che non sono un sultano in un harem e men che meno un Don Giovanni. 
Mi sei piaciuta, eri ironica e spumeggiante, una maschera di allegria per nascondere le preoccupazioni, e tanto mi davi sui nervi. 
Sparsi frammenti e pensieri, my immortal, my beloved, osservata mentre prendevi un caffè, delicati i movimenti delle mani e scalzi i piedi. Scalfitture, ematomi e cicatrici, il mare, ti ho paragonata a una dea, una ninfa irriverente, diversa da tutti, la mia privata meraviglia, costante. Amazzone infallibile, ti ho visto cavalcare il vento e saltare verso l’orizzonte, un gioco, una favola, solo limite l’immaginazione.
Prima di te, il nulla, il vuoto ed il rimorso, uno specchio vuoto, insieme a te sono tornato a essere vivo, infinita passione. E quando ti ho rivelato i miei segreti, non sei né inorridita né scappata.. nati in paesi diversi, separati dalla lingua e dalla religione, ci siamo trovati a leghe di distanza.
Destino? Vocazione? Forse sì, forse no.. ti avrei cercato lo stesso in questa vita e in altre cento e mille..
Incomparabile, composta di ferro e pietra, ti ricordi il Sonetto di Shakespeare, il XVIII?.. regale, anche nei difetti, testarda e irruente, impulsiva, parlavi troppo o troppo poco, se hai qualcosa ridi per non piangere e diventi quasi muta, mai nessuno deve scorgere le tue ferite o le debolezze..
Tristezza rassegnazione, questo no, tu sei allegria, risate e irritazione, mia splendida cinica, pazzesca la tua ironia, davvero sei un continente, sempre nuovo da scoprire, generosa e non importa che tu sostenga che sia uno scarico di coscienza per stare meno tempo in purgatorio.
A Lifelong Passion, le parole graffiano la carta e sono solo un misero eco di quello che provo.  Un libro, il caffè che prendi sempre amaro, la voce di seta e miele e fumo, i capelli corti. Lady Morgan, narrando la storia degli antichi, convinti che l’anima risieda nel plesso solare e che, due amanti, toccandosi lì con le nocche, nelle vie del sonno, ritrovino lì quella dell’altro uno.Amatissima, presente anche nelle assenze. Ti ho ritrovato nelle gocce di pioggia, nella rugiada che fa omaggio alla primavera, al largo del mare più profondo in estate, zaffiro e indaco E nelle foglie cadute in autunno nei prati, nel silenzio della neve che cade in inverno.
Principio di tutto e parte del tutto.
Un  litigio feroce, in fondo avevi ragione, se i gesti sono quelli di Raulov, i pregiudizi sono ben meritati. Ed è venuto fuori solo nel 1911, in tutta la sua violenza. In tutto il tempo che ho conosciuto R-R, è stata la sola occasione in cui è andato fuori controllo. Insulti smoderati, inimmaginabili, aveva osato frustare una ragazza di 16 anni che gli aveva strappato lo scudiscio dalle mani, che sua madre non doveva pagare per il rifiuto  di ripianare le perdite al tavolo verde.. Già. E quando ho visto le cicatrici delle staffilate mi sono rammaricato di non avergliene suonate di più, te ne sei sempre vergognata, senza ragione.. TU.. e io non sono lui..
L’intensità di quello che siamo, che sei..Nessun paragone, o ci provo, ho perso Isabel e mio figlio che ero appena un ragazzo, ho impiegato anni a ritrovare un minimo di pace, di equilibrio, poi sei arrivata tu, a ricomporre i pezzi..e sempre avrò nostalgia di loro, quello che poteva essere e non è stato, querida,  da sempre vestita di mille maschere per celare antiche paure e nuovi ardimenti, my love, my only love ..
Goodbye, my love,I’ll love you forever, until my death and more, I will  always love you.
Tatiana mi fissò con gli occhi sgranati, faceva il paio con Olga, da brava egoista le avevo sconvolte, ero sempre calma e posata, almeno nel mio ultimo periodo. “Mi spiace di essermi messa a piangere ma ..Lui è mio marito, lo amo e ..” Continuai a scrivere, era giusto in quel modo, non la dovevo escludere, mai più. Mi ero messa a singhiozzare senza controllo, i fogli sparsi per terra, me le ero ritrovate vicino senza accorgermene,a prezzo di una loro immane fatica, che tra malattia e abdicazione erano ancora debolissime, Marie e Anastasia peggio, una con la polmonite doppia e l’altra con la pericardite. Già che era la giornata delle rivelazioni, potevo aprire la lettera e le emozioni mi avevano travolto e assalito, proprio una sciocca, vero, portai un palmo al viso per celare le lacrime sorgive.. il lupo che piangeva..la lettera di Andres mi aveva ridotto a pezzi, il mio millantato e leggendario auto controllo era solo una barzelletta“.. non può finire così. Per quanto riguarda le cicatrici, ne parlerò solo questa volta e poi  mai più. Pardon, scriverò, che ancora non ci senti, Tanik, e non è colpa tua. Detta in sintesi, il matrimonio dei principi Raulov è stato un privato inferno, lui amava l’alcool e ha perso non so quanto al tavolo verde, era buona cura girargli al largo, che sobrio od ubriaco aveva buona costanza nel dirmi che ero inutile, una perdita di tempo. Quando chi devi amarti sostiene che sei una nullità, o soccombi o ti armi di arroganza, io ho avuto buona cura nel diventare arrogante ed egocentrica fino alla maleducazione. A credere solo in me stessa, che quando ero una bambina pregavo Dio che quel tormento finisse, smettesse di picchiare mia madre, o me, non so quante volte mi ha buttato contro un angolo per una spinta o girato il viso per uno schiaffo. O bacchettato sui palmi, che so scrivere con tutte e due le mani.. Insomma, non mi piaceva quella storia e ne inventavo di mie, che quell’incubo avesse termine, i libri un utile baluardo come la fantasia.. Periodo più, periodo meno, non era sempre un inferno, vi erano delle tregue, e tanto vi sono stata sempre tra i piedi per periodi più o meno lunghi..Senza dire nulla, che era un segreto ben duro. Testa alta e sorridi, non badando ai lividi sul corpo ..”

Dai quaderni di Olga alla principessa Catherine “ ..l’anima nuda su un quaderno, come la schiena, ho deglutito per l’orrore, e sì che le avevo già viste, una sola volta, eri di spalle e oltre ai geroglifici tra le scapole altre cicatrici correvano traversali fino alla vita, incise sulla pelle come monito di un incubo. Linee contorte e trasversali, ormai rimarginate, bianche, ogni tanto un reticolo  od un nodo in un punto, provocato da un colpo che aveva lasciato una ferita troppo larga e i lembi non erano rimarginati bene Squarci su squarci, dolore su dolore.E ti eri girata, solo pochi attimi, non volevi mostrare quelle sulle braccia, rivestendoti come un fulmine, Tata si premette le dita sugli occhi, per non mettersi a piangere”

“.. sono contenta che voler fare da sola, senza cameriere, passasse per l’ennesima delle mie stramberie, a dire la verità questo arsenale che ho sulla schiena mi ha sempre fatto vergognare. Per settimane ho dovuto dormire sul fianco, sorvoliamo che quando mia madre mi medicava le ferite mi cacciavo un lenzuolo in bocca per non urlare.. E mettere il busto, con le fasciature, era una tortura, ho sempre evitato, il più possibile.. E da allora ho chiuso con il principe Raulov, come mia madre..Diciamo che gli tirò in testa una caraffa di brandy vuoto per farlo smettere dal suo zelante e nuovo passatempo.. Mio zio andò fuori controllo, credo che tra lui e Andres gliele abbiano ben suonate, ormai è andata.. “

Ormai che vi ero, aprii il medaglione, se avevo recuperato quel coraggio potevo anche guardare il giovane innamorato che aveva sposato Isabel. E il principe D. aveva parlato di DUE foto e capelli? No forse avevo capito male.. Come no, ero giovane e sana, con buone orecchie.

 Allibii. La foto dei principi Fuentes che celebravano le loro nozze, il mio sorriso di settembre, su un lato, dall’altro Sophie di quattro anni, con i solenni occhi chiari. Una ciocca scura, l’altra avvolta in un nastro celeste. Oddio..  una di Xavier, il piccolino del 1901, l’altra di Sophie, Erzsi l’aveva inviata, lo conosceva bene, il nostro uomo, in un dato senso. E  le lacrime iniziarono a scorrermi sulle guance, richiusi le valve. Le ginocchia piegate. “Catherine, che hai visto?” Olga, allarmata “La foto del nostro matrimonio, in genere vi ha sempre tenuto una in cui era con Isabel..” aveva scelto il futuro, una possibilità, andare avanti, aveva me e ..la bambina, senza obliare il suo primogenito. ANDRES .. Senor de las montanas.. Principe Fuentes, ora ed allora.

 “..Non so quanto possa fare bene al bambino, però piangi, per una buona volta, sfogati” scrisse Tanik “Che se ti ammali, non possiamo ancora curarti”Olga, ironica “Sfogati per una buona volta..” le affondai il viso in grembo e piansi come non mai, per me, per loro, per mio marito, i vivi ed i morti, mi ancorai ai polsi di Tatiana come ad un’ancora, percepii le sue braccia, il suo sussurro quieto.

Il dolore si sciolse, liquido, rividi  Luois e la sua grazia,ripercorsi il dolore per i miei bambini morti nel grembo, le persone che avevo incontrato, con cui avevo parlato, chi mi aveva segnato fiato e anima, chi avevo respinto e chi avevo sdegnato, troppe vite e nessuna vita, sorrisi e perdite, fino a tornare al figlio che aspettavo, a Sophie.. . Je suis Catherine, now and forever, ahora y por siempre.

“Mi sento meglio, più leggera”osservai un’oretta dopo, mentre mi risciacquavo il viso e pettinavo “Non sei sola.. E tanto, lo riavrai.” Strinsi le spalle, amara. Una bella fortuna sposarmi, un marito morto, l’altro in galera, già. 

“E vi ho caricato di un altro peso, come se non aveste abbastanza”
“E tu sei rimasta e ci hai curato, sorridi sempre, non puoi essere sempre la più forte, la guerriera senza cedimenti” ebbi buona cura di starmene muta, almeno a quel giro. Mi sdraiai sul divano e chiusi gli occhi per evitare rimproveri o ulteriori conforti. Andres .. devi tornare.

Tanto per dare la misura di come sarebbe stato il clima, di umiliazione e scherno, si iniziò dal giorno successivo al rientro dello zar a Carskoe Selo. Era uscito per passeggiare in giardino e le guardie gli sbarrarono il passo, si girò e una guardia gli mise davanti, fino a quando non lo circondarono in sei, che con armi o pugni lo mandavano da una parte all’altra. “Di qua no, Gospodin Polkovnik!” (signor Colonnello) “Non posso permetter che tu vada in quella direziona, Gospodin Polkovnik!” “Gospodin Polkovnik!” Alla fine rientrò, la sua dignità intatta.
Altre volte, quando andava in bicicletta, si divertivano a ficcare le baionette nei raggi delle ruote per farlo cadere, gli rifiutavano il saluto, salvo portargli via il piatto, al momento dei pasti, sostenendo che aveva mangiato a sufficienza, sorvolando che piluccavano direttamente dei bocconi dal piatto delle ragazze per un assaggio. E questo non era che un assaggio rispetto agli apici che vennero poi raggiunti.
   
“Principessa..” sospirai, mi ricomposi davanti al valletto che aveva bussato, quieto “Lo zarevic vi vuole”
“Arrivo”
“Alessio, amore, che fai?” Era seduto, il busto che toccava dei cuscini per mantenere la posizione eretta e mi sorrise, mi tuffai nel suo abbraccio, la luce del mezzo pomeriggio lo faceva apparire meno pallido ed emaciato rispetto al solito. Magro era magro, tuttavia cercava di farsi e farci forza
“Cat, sei preoccupata, lo so”ma aveva un barometro o che nel percepire il mio umore? O viceversa “Per tutto e di tutto” serrai le labbra, aveva indovinato “Scrivi, dai, sul quaderno che ti ho regalato, quello che ti pare, almeno ti sfoghi” sorrise “ E te che fai?”tenera “ Mi riposo, dormo, gioco con i soldatini” stirò le braccia “Gioco con te a dama o altro..” una pausa “Cat.. Andres arriva, è un lottatore, non mollare, scrivi dopo, ti devi sfogare” prese un soldatino che vestiva l’uniforme dei dragoni spagnoli a  cavallo, io uno dell’esercito russo, giocammo alla guerra, per un poco,  gli lessi qualcosa da un libro, alla fine si assopì. Ecco,  mi misi poi io a scrivere, rapida, sorvolando che mi interrompevo ogni poco, per scostargli una ciocca di capelli sudata dalla fronte, dargli un bacio, metterlo comodo.  Invece di trarre esempio dai grandi, ce lo dava lui. E sorse una storia, quella di Emma Fuentes.

Ahumada, 1910. Mi viene in mente questo soggiorno, ecco  per la terza volta la Spagna, il luogo dei miei avi ricco di storia, ne apprendo una fantastica, che a quel punto parlavo abbastanza bene la lingua da capire che una torre della rocca si chiamava “torre della principessa” od “Emma” per motivi particolari (..) Uno dei più grandi re spagnoli, Ferdinando di Aragona della casata dei Trastàmara aveva una legittima moglie, ovvero la regina Isabella, che combatteva a cavallo, vestendo l’armatura, pur se donna amava leggere ed imparare, figurarsi che imparò il latino nell’età adulta, per i tempi una grande impresa. Erano i Reys catolicos, che avevano unificato la Spagna sotto il loro dominio, dopo anni di guerre e crociate contro gli arabi. La conquista di Granada nel 1492 fu il fiore all’occhiello del loro regno, come mantenere il potere. La regina Isabella era una donna estremamente saggia, fece crescere insieme ai suoi figli legittimi alcuni illegittimi del marito. In base a quello che sono riuscita a capire traducendo (Marianna, mia cognata, rideva a tutto spiano mentre io annaspavo tra latino e spagnolo antico, starnutendo mentre toccavo le delicate e polverose pergamene, soccorrendomi quando non capivo bene il senso).. se una giovane fanciulla si voleva sposare con la benedizione della regina, bastava che, giunta a corte, attirasse il regale sguardo di Ferdinando  per ritrovarsi assegnata una cospicua dote e un marito ad Hoc, che la portava in qualche remota provincia. Una figlia di Ferdinando, educata alle arti muliebri e guerriere, si chiamava Emma nome ripreso dalla madre della ragazza che aveva origini inglesi o sassoni (come erano arrivati in Spagna? Pare che il nonno di Emma fosse un medico, uno studioso, che avesse preferito la penisola iberica e la sua cultura rispetto alle terre del nord). Emma senior partorì Emma d’Aragona nel 1473, salvo refusi a 16 anni. D’Aragona indicava le ascendenze paterne, “Pulcra” ovvero bella la definivano le cronache, tanto che fu una pedina da giocare, che in genere gli illegittimi, sia maschi che femmine, erano avviati alla vita ecclesiastica, a prescindere dalla vocazione (…)Ed Emma sposò un Fuentes che era al seguito dei reali, durante le infinite lotte della reconquista. Prima di Granada, la ragazza vestì l’armatura e raccolse vicino a sé dei soldati, per sorvegliare la ricostruzione di una parte dell’accampamento di pietre che era ricostruito per ordine di Isabella, dopo che i proiettili incendiari dei mori avevano distrutto le tende.   (…) Aveva 15 primavere quando sposò Fuentes, 19 quando entrarono insieme a Granada..  (..) Ferdinando d’Aragona era lodato da Machiavelli per la sua sagacia politica, era (pare) uno dei modelli del suo Principe, il governante ideale..(..) Emma portò una buona dote, sangue reale, ancorché illegittimo ai Fuentes, un legame con il trono che si rinsaldò negli anni. Nel 1502,  Giovanna di Castiglia, sorellastra di Emma nonché erede al trono di Isabella, con il regale consorte Felipe d’Asburgo varcò i picchi per andare a presentarsi alle Cortes per reclamare la sua eredità. Era inverno, era freddo, si trattennero ad Ahumada, la rocca dei Fuentes, per venti giorni, tenendo a battesimo l’ultimo figlio di Emma, che venne appellato Felipe (..).Pulcra ovvero bella era definita Emma, le cronache la narrano con i capelli castani, alta sopra la media, occhi scuri come onice. E questa non è una galanteria di mio marito, le carte sono quelle ed era già impresa notevole per una donna essere oggetto di scritti che non fossero detrazioni o esagerati panegirici.  Già, io sono alta sopra la media, con capelli e occhi scuri.. Tornando ai Fuentes, nel 1500 se ne andarono ben a zonzo per il mondo conosciuto e conoscibile. Il figlio di Emma, Felipe Fuentes, andò con Pizarro alla conquista del regno inca, anni dopo un suo figlio divenne vicerè del Perù, un altro governatore della ricca provincia di Milano et alia (..) I leggendari condottieri, apprendo un passo alla volta, di nuovo e da capo.. (..)Ho studiato i libri di assedio di Vauban, il grande esperto di assedi  e difese di Luigi XIV, che ha scritto innumerevoli libri che ho studiato. Partiva dal modello di terreno e dalle linee di ostacoli naturali, come i fiumi e adattava al luogo ogni costruzione. E mi viene in mente  una sua famosa frase, ovvero che «l'arte di fortificare non consiste nelle regole e nei sistemi, ma solamente nel buon senso e nell'esperienza».
Addittura, Fontenelle ha scritto che “Ville assiégée par Vauban, ville prise; ville defendu par Vauban, ville imprenable “… (..)Io ero una enciclopedia ambulante, ma Andres Fuentes, tuo padre, era un pozzo di scienza, sa raccontare come un bardo, mettendo insieme il passato con le  leggende di Camelot e dei pirati, le rotte per non perderci vicino al castello..Storia e geografia con lui diventano magiche. Sono diventate magiche, lo rievoco, ora, cercando di ignorare che un giorno sarei stata la sua passione, il suo amore, mi concedo di ricordarlo, ai miei occhi di bambina, nel primo soggiorno in Spagna apparve come un eroe, una leggenda..Era il 1905 Torno a una corrida. Il complesso rituale.
Il corteo che sfilava, nella luce calda e accecante di fine pomeriggio nell’arena. (…) Un picador faceva rampare il cavallo, cercando di distrarre il toro  con la sua lunga asta.
Ed era sceso, urlando,  che gli buttassero la muleta, il drappo color rosso intenso, per distrarre il toro, che entrassero i banderillos, portassero via l’infortunato, e intanto provocava la bestia con i movimenti del suo corpo, scartando a destra e sinistra..
Era agile, fluido, potente, un guerriero delle antiche leggende. 
Un gladiatore.
E il picador  aveva ucciso la bestia. 
La folla era impazzita, piovevano fiori ed applausi sulla sabbia.
Era alto, con le spalle larghe e lunghe gambe, con un pigro movimento si era tolto il cappello, e si era inchinato.
Aveva gli occhi verdi.
Aveva 22 anni.
Era Andres, Andres Felipe Leon dei Fuentes, nel 1905, alla corrida di Granada.Tuo padre ” e il suo sorriso mandava in estasi ogni donna,  fanciulla e ragazza del circondario, secondo solito.
 
Per evitare discorsi compromettenti o gaffes, nessuno sapeva cosa dire agli ex sovrani di Russia in quelle prime sere che eravamo tutti scampati al naufragio, espressione ben azzeccata, l’aiutante di campo, lo squisito principe D., ebbe l’idea di una proiezione cinematografica. I ragazzi erano sempre a letto, la Vyribova idem.
“Questa è particolare, una corrida spagnola”avvisai rievocando le annotazioni, le immagini scorrevano man  mano“Abbastanza cruenta”
“Sono curiosa”disse Alix
“Avviso compare, mio marito” Nessuna obiezione, volevo evitare che fosse vista come una sfida, od un imbarazzo. E a me avrebbe rincuorato vedere quelle immagini, ricordando come riusciva ad essere Andres. Non solo nella memoria, negli scritti .. quanto nel suntuoso e potente eco di un frammento passato che avevamo condiviso. Il mio attuale marito, mi corressi dentro di me, sono già stata sposata, Luois è morto.. E non ce ne sarà un terzo, riflettei, morbosa, Fuentes sarà l’ultimo, anche se non tornerà.  Ho già dato a sufficienza.
 
Time to see you again ..
Il complesso rituale
Il corteo che sfilava, nella luce calda e accecante di fine pomeriggio nell’arena.
Gli araldi a cavallo, i toreri seguiti dalle loro cuadrillas, composte da due picadores a cavallo, di tre banderilleros e dagli incaricati di ritirare il corpo dell’animale morto.
Il caldo, ricordai che avevo un vestito color crema e una mantilla color avorio sopra gli scuri capelli, mi tamponavo il viso con un fazzoletto bianco, come altri spettatori, che, in caso di voler concedere la grazia della vita al toro, avrei dovuto agitare in alto come tutti.
Era la prima parte, il tercio de varas, il toro era uscito nell’arena di sabbia, il sangue rosso che cadeva e zampillava, mentre compiva un giro intero a sinistra, invece che a destra come in genere avveniva. Era massiccio, ingombrante, pericoloso, mentre il matador ne provocava le cariche con il capote, un grande drappo di rigida tela, rosa acceso da una parte e giallo dall’altra.
Ed erano entrati i picadores,con le loro picche, lunghe lance con una punta in acciaio, i cavalli bardati con speciali protezioni su ventre e arti.
I picadores, i banderillos, poi sarebbe rientrato il matador con la muleta per l’assalto finale, tranne che non era andato secondo la tradizione.
Come allora, riportai le mani  davanti alla bocca.
L’animale si era rigirato e  aveva tirato una cornata al torero, sul braccio, mentre la folla rimaneva in silenzio, con orrore,  e un picador faceva rampare il cavallo, cercando di distrarre il toro  con la sua lunga asta.
Ed era sceso, urlando, spiegai, che gli buttassero la muleta, il drappo color rosso intenso, per distrarre il toro, che entrassero i banderillos, portassero via l’infortunato, e intanto provocava la bestia con i movimenti del suo corpo, scartando a destra e sinistra..
Era agile, fluido, potente, un guerriero delle antiche leggende.
Un gladiatore.
Le immagini scorrevano, precise, in bianco e nero, sul candido drappo che serviva da schermo, chi effettuava le riprese aveva proseguito nel suo lavoro.
E il picador  aveva ucciso la bestia.
La folla era impazzita, piovevano fiori ed applausi sulla sabbia.
Era alto, con le spalle larghe e lunghe gambe, con un pigro movimento si era tolto il cappello, e si era inchinato.
Era Andres, nel 1905, alla corrida di Granada.
Mia cognata aveva inviato svariati filmati e ora che lui era prigioniero, in arresto per attività di spionaggio non meglio specificato, tornavo indietro, se aveva superato quella situazione poteva venire a capo di quella.
Il suo sorriso.
Sorrisi a mia volta, tuo padre Felipe è l’uomo più coraggioso che conosca nel mondo, me lo ripetei da capo.
“Peccato che finisca qui, dopo seguì una bella festa, partecipai anche io con i principi Raulov, Maestà Imperiali” girai la testa sulla spalla, il pubblico taceva.
“Era un ragazzo coraggioso”
“Sempre” glissai sul seguito che mi aveva raccontato, il bandito, che una dama lo aveva ossequiato con le sue attenzioni.
 
 
Il primo aprile Alessio si sentiva molto meglio, tanto che si azzardò ad uscire dalla sua camera e andare a messa, nella suntuosa cappella privata. Vi erano Nicola II, Alix, Tanik e Olga, più altri membri della corte che condividevano il piacevole soggiorno. Erano lontani come una galassia i momenti in cui Olga e Tata apparivano alla cattedrale di Kazan, l’interesse che mostravano per i loro vicini. Olga studiava i vestiti e i cappelli delle donne, attenta, divertita, mentre Tata abbassava gli occhi se si sentiva osservata. Sottili ed eleganti, con chiari abiti e larghi cappelli, erano splendide, come oggi, anche se i loro pensieri erano concentrati sul futuro.
Quando il sacerdote pregò per il successo delle armate russe e alleate, gli zar caddero in ginocchio, imitati da tutti.
Io intanto ero a colloquio con Jaime e Enrique, uno straordinario privilegio, per evitare attriti, appena lo aveva saputo mio zio si era messo subito in moto.  Consegnando tutta la roba giunta da Copenaghen, rimasero basiti “Meglio che stia all’ambasciata spagnola che qui “Ci dovresti stare tu all’ambasciata..”un prezioso pacco, la moglie di Andres, una amata e rompiscatole cognata, come amavano Marianna, la loro sorella, pregi e difetti a prescindere “Manco per sogno..” “Capito Andres..” Enrique era spiazzato, per sua conoscenza non aveva generato figli e Andres … Era sempre lui, per un breve momento, a prescindere dagli anni e dai colori somigliò ad Andres come una remota immagine, mi si strinse il cuore “Se succede qualcosa, a lui o me, ci pensate voi?” “Pensare ci pensiamo, Catherine, tranne che non succederà nulla a nessuno..” “E si vede che è figlia sua, accidenti..” “Occhi verdi, capelli scuri, la sua piccola principessa, no” la chiamavano piccola principessa come Andres al telefono, serrai i pugni, come Alessio quando era arrabbiato “ Il 20 aprile potete mandare una bambola a Copenaghen ..è il suo compleanno, gliela ha promessa e ..” “Sarà fatto..”  il nome ed i soldi dei Fuentes davano molti privilegi.  E io ero trottata nel reparto ospedaliero, riservato ai cattolici, il pomeriggio prima della  Grande Ritirata, degli arresti effettivi, pregando di trovare Jaime, che recava i suoi servizi spirituali, oltre .. E gli avevo dato i miei gioielli, tranne quelli cui ero più affezionata o i più amati, e contanti, affinché avesse liquidità per corrompere chi di competenza, quelle abitudini non morivano mai. Alla fine mi rimanevano gli orecchini del mio onomastico, oro bianco con topazi e onice, la collanina con la perla, le fedi nuziali e l’anello di fidanzamento con il diamante. Fine.
Ed in ogni caso mio marito era  spagnolo, la Spagna neutrale, i Fuentes una famiglia dai molti appoggi, con denaro e prestigio, questo maledetto governo provvisorio non vorrà rischiare un incidente diplomatico.. Vogliono informazioni, per fabbricare la corda con cui impiccare lo zar.. E in prigione può accadere di tutto. Ero incinta, non rincitrullita, ripeto. La pena di morte era stata abolita, mi ricordai, uno dei primi graziosi provvedimenti del nuovo governo. E tanto gli incidenti succedevano, malesseri improvvisi..
Ricordai che il primo aprile 1917, domenica, cadeva la domenica delle Palme, la pasqua cattolica dopo una settimana, Jaime mi impartì una frettolosa benedizione, lui, un sacerdote, e in quel caso metteva al suo posto la famiglia, sempre, era il fratello di Andres Fuentes, il signore delle montagne, Andres il cadetto che si era inventato una storia e un destino dalle tragedie, discendenti di una storia millenaria. E il figlio di Andres scalciava nel mio grembo. Felipe Fuentes, il mio piccolo principe delle attese.
In Inghilterra, la Casa dei Comuni aveva celebrato la caduta del tiranno, a Parigi il ministro Thomas aveva telegrafato a  Kerensky le sue congratulazioni e fraterni saluti, gli Stati Uniti d’America, alla vigilia della loro entrata in guerra, riconobbero prontamente il nuovo regime
 

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Capitolo 11
*** I am back For You ***


Venerdì santo, 13 aprile 1917, secondo il calendario ortodosso la Pasqua sarebbe caduta due giorni più tardi. Alla fine, era venuto un lavoro passabile, aveva rilevato Aleksey, ripassando ogni santo guscio delle uova colorate, le labbra strette per la concentrazione, l’usuale ciuffo che spuntava perenne, osservando, irriverente che era un bene che fosse intervenuto lui.  Feci una smorfia, alla fine i biglietti di auguri erano carini, la mia  calligrafia era bella, come impatto visivo. “E dai, Cat, ti prendo in giro” I biglietti, le uova, i kuliches e i paskas (rispettivamente pane e dolci pasquali), le candele e  la messa, le campane che avrebbero squillato tutto il giorno. “Sei stata carina” “Gentile, anzi.. Ho una cosa per te, Aleksey” una tavoletta di cioccolata intera, non frantumata, Mamma mi aveva fatto inviare un cesto di provviste dalla Crimea, cioccolata, appunto, e caffè, con un bigliettino “Buona Pasqua, Mamma e Sasha” senza altro aggiungere, che doveva dire. Ti penso, ti voglio bene, sei una testarda era sottointeso.. “Sfuggita all’ispezione.. bello, lo divido con Anastasia. Tu ne vuoi?” scrollai la testa. “ E Marie. Anche se Tata e Olenka ne volessero, farebbero a meno, le mamme fanno così” “ E piantala di dire, che io e Tata e Olga siamo le tue mamme onorarie” “Ma è vero..” “Definirti cocciuto è un eufemismo, sai” mollai la discussione che stava per sorgere “E da una parte hai ragione, con te mi sono addestrata, da sempre” “Sarai una brava mamma, fidati, lo so” tesi le sopracciglia, un  cenno di assenso, mi prendeva per sfinimento “E già lo sei, brava” proprio, da uno a dieci, zarevic mio eri testardo cento..  E sapevo che lo pensavi a tua volta, mi scrutavi, affettuoso e sereno, ti baciai sulla fronte, rompendo la consegna di non assillarti con i gesti di affetto, facesti una smorfia dopo un minuto di troppo, ti aveva fatto piacere e tanto non mi avresti dato la soddisfazione, la intuivo dai gesti, non dalle parole, tralasciando che io ero peggio di te, a 13, 14 anni.
 
Dai quaderni di Olga Romanov alla principessa Catherine “ La neve si scioglieva, spuntavano i primi fiori, i suoni delle campane, come in tutte le luminose primavere della nostra infanzia, per Pasqua, la speranza sorgeva, ostinata come i primi boccioli delle rose. Il venerdì santo andammo tutti alla Confessione,  il Sabato, alle nove e trenta vi fu la messa e la comunione, la sera verso le 11.30 il servizio di mezzanotte. La suntuosa cappella,  i turiboli da cui si dipartiva l’incenso, il salmodiare del coro, il profumo delle candele votive.. Tutto come sempre, e anche no. Il colonnello Korovitchenko, comandante del Palazzo di Alessandro e amico di Kerensky, oltre altri tre ufficiali di guardia erano presenti. Il servizio terminò alle due di notte, quindi lo scambio dei doni. Io andai a letto, senza partecipare alla cena di Pasqua, come Marie ed Aleksey, eravamo troppo stanchi, dopo lo scambio dei doni in biblioteca, appunto. Rischiavo di addormentarmi sul tavolo, dicesti poi, eri esausta e stare in piedi per troppo tempo ti faceva gonfiare le caviglie, farti ammettere una debolezza era un unicum. Ed  in caso contrario, saresti passata da bugiarda, bastava uno sguardo per annotare come la stanchezza fisica  ti avesse prosciugato di ogni energia, avevi le occhiaie sul viso. E tanto la conversazione languì presto, subentrò il silenzio in tutti, specie da parte di Papa”
 
Come era doveroso, da bambina, assistevo alle lunghe liturgie obbligatorie, mi confessavo  e prendevo la comunione, ed era solo apparenza. Dio poteva essere sorridente, lontano e remoto nelle icone, mai si era palesato nelle lunghe notti in cui pregavo che facesse terminare il tormento, il dolore,  i movimenti sofferti di mia madre Ella, che fosse l’ultima volta che prendevo uno schiaffo o una spinta o che mi trattasse male. Sobrio od ubriaco, il principe Raulov, alla fine ero diventata una iattura con piena convinzione e coscienza. Se chi deve amarti sostiene che sei una nullità o ti armi di arroganza o soccombi, io ero diventata  egocentrica come pochi, decisa a sfuggire alla mia capricciosa infelicità. Comunque, presi parte ai riti di quella Pasqua, partecipando alle cerimonie, appunto, tranne che non mi confessai o presi la comunione, per forma ero cattolica. Mi ritrovai a riflettere e pregare, per i Romanov e Andres e Sophie.. la piccolina, a un tratto la sentivo simile a me. L’uomo che le aveva dato la vita, Andres, era in prigione, come l’ex zar, ero la sua bastarda, la bastarda dello zar. I fratelli.. Io ero con i miei, Erzsi aveva generato altri quattro figli prima di Sophie,  fratellastri, a rigor del vero, io ne aspettavo un altro. Sophie.. Andres ci aveva parlato al telefono, una volta a settimana, da fine gennaio, brevi cronache infantili, ridendo quando le aveva promesso una bambola per il compleanno, rectius glieli aveva strappato “.. certo, piccola principessa. Anche a me piace la neve, ti arriva.. sicuro, certo..” il sole mi batteva contro le palpebre chiuse, ero nella terrazzo che circondava il palazzo di Alessandro. “Sophie.. il tuo è un bel nome, mi piace.. Anche mia madre, sai, si chiamava Sophie.. Sofia” Andres era una voce sull’etere, non la aveva mai vista di persona e la amava. Pregai che il regalo arrivasse, sarebbe stato spergiuro per forza maggiore “In greco significa sapienza.. eh, che dici, piccola principessa, hai ragione, anche la tua bisnonna si chiamava Sofia..” rievocare quei dialoghi era ridurre il cuore a brandelli, gli occhi a una saracinesca chiusa. Andres si infilava nei passi, nei pensieri, era impossibile che non sopravvivesse. “Piccola principessa, io la settimana prossima starò fuori per un pezzo. E non ti preoccupare, lo so che sei nata ad aprile.. Vediamo.” Erszi aveva protestato per quella faccia tosta, piccola principessa un accidente.. Voleva un regalo e lo avrebbe avuto, Andres le avrebbe regalato la luna, i suoi figli lo rigiravano come molle cera. Intanto, Alexei, il mio piccolo principe, si godeva l’aria aperta, il superbo sole primaverile sulla terrazza che circondava il palazzo di Alessandro, i capelli scuri venati da sfumature color rame.
Dai quaderni di Olga Romanov alla principessa Catherine” Pasqua era appunto il 15 aprile, la sera alle sette vi fu l’ennesima funzione religiosa negli appartamenti dei Bambini. Quando il sacerdote pregò per il Governo Provvisorio, Papa si fece il segno della croce, difficile rilevare se fosse ironico  o meno. Il giorno dopo, finalmente un’uscita nel parco, il tempo superbo, un poca d’aria con solo la scorta che fingevamo di non vedere. Rompemmo il ghiaccio,  sia per divertimento che per fare un poco di movimento, poi scorsi che sopra  i muri che circondavano il parco un movimento di persone, che gesticolavano e ci osservavano, con grandi e spumeggianti fischi,un nuovo spettacolo. Mi imposi di fingere che nulla fosse, come sempre, solo la mascella rigida testimoniava la mia collera, che le parole si sentivano molto bene, meretrice la più gentile. Il pomeriggio successivo, tornando indietro dalla passeggiata, una guardia fermò Papa  sul sentiero “Non potete passare, Signore”Alessio arrossì, scorsi l’ondata che gli imporporò il viso e le orecchie, i pugni stretti contro i fianchi, quelle sere Mamma sbraitava che non era possibile, Papa una vittima e si torceva le mani. Ma a stare con Alessio, Marie o  Anastasia mica ci pensava, come da tradizione eravamo io, Tata e Te. Io e Tatiana, sfiancate dal recente morbillo, te con quella pancia che non finiva più per la gravidanza, pancia per dire, il ventre ti esplose solo nell’ultimo mese, che, scherzando, pareva davvero una coppia di gemelli, per come eri magra e poi lievitata era uno spasso prenderti in giro. E quando andammo in Siberia ti ho spezzato il cuore, scusa il melenso linguaggio, tranne che avevi fatto tanto, non volevo e potevo essere egoista, e nemmeno Alessio, nessuno di noi.. E saresti venuta, lo so, eri come la rocca di Ahumada, immutabile e potente, tutti proteggevi, chi proteggeva te era un mistero..Forse tuo marito, vi proteggete a vicenda... ti voglio bene, Cat, qualsiasi cosa succeda nessuno ce lo porterà via. E vi era chi aveva più bisogno di te”
 
Tra le varie carte che ogni tanto giungevano, ecco che un giornale della capitale pubblicò “Una lettera aperta ad Alessandra Feodorovna”, la zarina che, ex o meno, era esecrata a prescindere. “ Tutto si è compiuto, la Russia è finalmente libera dal giogo.. “ La tirannia aveva avuto termine, che Alix per oltre un ventennio aveva tradito e venduto la Russia, nazione che l’aveva accolta a braccia aperte.  Diceva di essere stata tedesca come la grande Caterina, tranne che avevano in comune solo il luogo di nascita, la sua era una ridicola presunzione. Aveva confidato solo in Rasputin, mentore, consigliere e certo altro ancora. Solo orizzonte di Alix la sua cucina, mai era stata una vera imperatrice, aveva tradito tutti, non aveva fatto nulla, ringraziasse che non fosse stata messa al rogo o a morte in altro modo. 
Le chiacchiere, sempre, era vero che Alix, giovane imperatrice, metteva bocca sulle spese di gestione e come lamentavano gli economi non conosceva i prezzi correnti delle patate, ma non giustificava quell’attacco, il feroce odio di cui era vittima. 
“IO SONO UN CAPRO ESPIATORIO” 
Olga la strappò dalle mani di sua madre, le labbra strette. “Sono solo bugie” le tremavano le labbra “Feccia”  Alix fece un piccolo cenno con la testa, passava le giornate sul divano,  si imbottiva di Veronal, un medicinale a base di arsenico, che usava per dormire e calmarsi, perennemente sedata per non impazzire. Ne era satura, rilevava poi, ma si teneva stordita per non esplodere in continuazione. 

L’odio e il disprezzo erano al parossismo, i Romanov, Rasputin e compagnia erano odiati, sui giornali vi erano vignette su vignette, sconce e  caricaturali della tedesca e del suo siberiano, in una lei si faceva il bagno  in una tinozza piena di sangue e diceva “Se Nicky uccidesse più rivoluzionari farei il bagno così più spesso” 
Una abitudine che si consolidò, le uscite giornaliere nel parco, come la folla sugli spalti che fischiava e rumoreggiava “Il Tiranno!” “La puttana tedesca che andava con il diavolo” “Le puttanelle che facevano le orge con i soldati.. e mandavano i dolci avvelenati ai bambini!” “Quello con la malattia inglese” “Tiranno” “Traditore” “Moccioso” il vento recava quei motteggi, il teatrino dell’insulto la nuova moda. Dicevamo, le uscite giornaliere, poi il permesso di poter coltivare un orto, per tenersi occupati. E i problemi giungevano anche qui, il portone del palazzo di Alessandro, quello principale, era sempre aperto con sommo ritardo. Alessandra usava la carrozzina, i suoi problemi di sciatica e cuore le impedivano di passeggiare con marito e figli, e le guardie brontolavano, lo ritenevano una perdita di tempo. 

La curiosità verso Alessandra toccava apici da capogiro, i soldati formavano un corteo per il giardino, “Nemka”, tedesca, puttana e traditrice le parole più gettonate, sussurrate in modo che sentisse, omaggi alla carrozzina che passava, lei ingollava, serafica solo in apparenza. Aveva preso l’abitudine di sedersi su una coperta sotto un albero, ricamando, cercando di arginare i curiosi appollaiati sui muri.  Quella volta, la sua dama di compagnia, baronessa B. si era allontanata per non so quale consegna, una delle guardie atterrò gentilmente e senza preavviso sulla sua coperta. “Ora facciamo a turno” Alessandra non protestò, per evitare che tutta la famiglia fosse fatta  rientrare, tacque e ascoltò un concione, della serie “Disprezzate il popolo, non vi piace incontrare la gente e odiate la Russia”
“Vi devo confutare” con gentilezza, ma ferma “Nei primi 10 anni di matrimonio ho avuto cinque figli, che ho seguito personalmente, in seguito la cattiva salute mi ha impedito di viaggiare” Convincente, che era verità, come la sua successiva risposta sdegnata, quando il gentile soldato (sono sarcastica) insinuò che, essendo tedesca di origine, aveva certo simpatie verso gli eserciti del Kaiser “Ero tedesca in gioventù, ma ho sposato un russo, i miei figli sono russi, mi sento russa” intanto la baronessa B. aveva chiamato un ufficiale, la guardia si alzò, fece un piccolo cenno del capo e le strinse la mano, “Sapete, avevo una diversa idea di voi, mi sono sbagliato” e si comportò da allora in avanti in maniera cortese, una goccia, occasionale, come le lettere di conforto, la maggior parte erano un peana di odio e vituperio. 

 Il 20 aprile 1917, il quinto compleanno di Sophie, parlai al telefono con Jaime, all’apparecchio situato presso il corpo centrale di guardia “ Come state? “ “Bene” tutto in russo “Voi, Jaime?” “Abbiamo provveduto a inviare ..cibo e legna, ai tuoi orfanotrofi, e qualche giocattolo” capii, il regalo era arrivato.  Bene. Auguri, Sophie, piccola principessa. Tuo padre quando promette mantiene sempre. 

E il 25 aprile 1917 portò una ingombrante e splendida sorpresa. Ero andata in biblioteca, con la scusa di vedere un certo libro, in verità volevo stare dieci minuti da sola, mi era venuto in mente di insegnare qualcosa di latino ad Alessio e alle due più piccole, che a breve avrebbero ripreso le lezioni, guariti, passare le ore dentro il palazzo senza alcun programma era un tedio.  Il tempo all’aperto era sempre troppo breve e la folla che rumoreggiava insulti fuori dai mura di cinta mi indisponeva, avessi avuto un fucile avrei sparato qualche colpo in aria per disperderli. Come allo zoo e le bestie erano umani, ovvero la famiglia del colonnello Romanov e il loro entourage. Tiranno lui, sgualdrina lei, le granduchesse delle lussuriose, Alessio un “moccioso” Per inciso, era tornato di nuovo Kerenskij, il Dr Botkin avrebbe chiesto, stante le condizioni di salute dei ragazzi, il permesso di andare a Livadia, magari, sarebbe stato bello e tanto non sarebbe andato a buon fine, non era possibile al momento. Inoltre, non vi era ancora alcuna notizia sulla partenza per l’Inghilterra, il che denotava che avesse scarso ascendente, Kerenskij ed il malefico governo provvisorio. Per la cinquantesima volta nella giornata pensai ad Andres.
Una piccola fitta alla schiena mi ammonì a non sforzarmi mentre mi tiravo sulla punta dei piedi per prendere il volume, sentii la porta aprirsi e non mi girai, certo era una delle guardie. 
Silenzio e un sospiro, quindi sentii che la persona si avvicinava. 
Una allucinazione dei sensi, udito e olfatto, quel modo di muoversi, quel profumo, a furia di desiderarlo ero ammattita. 
“CATHERINE..”
“ANDRES “
E il tempo si fermò.
Ci guardammo. 
E il tempo si fermò.
Gli sfiorai il viso con la mano “Andres, AMORE..” 

Il risveglio da un incubo diurno, respirare dopo essere stata un mese e rotti in apnea, ci saltammo addosso senza contare fino a due, incastrandoci a meraviglia nonostante il pancione. Baci rapidi e fitti, bramose le labbra e attorcigliate le lingue, mi girai contro il suo petto, ritrovando uno dei posti che prediligevo al mondo, il mio personale baluardo,  il gusto della sua barba sul collo, della sua stretta, ero al sicuro. 
Annotai che era dimagrito, agile, scattante, a stento ci trattenemmo dal fare l’amore in biblioteca. 
Ansimavo, mentre ci tenevamo per mano, i palmi congiunti, polso su polso e cuore su cuore, si inginocchiò davanti a me e posò la guancia contro la curva del mio ventre. “Amore mio. Amori miei”
“Andres..”Nostro figlio scalciava con entusiasmo, il mio principe mi scrutava come se fossi l’ottava meraviglia del mondo. Io potevo vedermi imbruttita e ingombrante, tranne che avevo avuto ragione a predire che lui mi avrebbe visto bellissima a prescindere, che aspettavo il nostro bambino e non gli sarebbe importato se fossi diventata un tacchino farcito o una mongolfiera, sempre se fosse tornato ed era ben tornato. Anzi, era orgoglioso, fecondo, un leone che vedeva la sua discendenza che prendeva forma. 
Solo una cosa dovevo farla subito. Ripescai la sua vera nuziale, che brillò tra le mie nocche e la rimisi al suo posto, l’anulare della sua destra. “Ti amerò da ora alla fine del mondo. Fuentes, ahora y por siempre”
“Te quiero, princesa.. E non la toglierò fino all’ultimo respiro, perdonami Cat se la ho tolta.. era per difesa” feci un segno di assenso “Ma è il mio patto con te, davanti a Dio e agli uomini, io ti ho sposato, sei il mio amore.. Ti ho anche scritto..”  
“E la tua lettera era splendida. Sei un poeta..” sorvolando su  quelle  parole, la vera nuziale era un simbolo del nostro giuramento, del nostro amore.. Dio, che linguaggio da romanzo rosa usavo e tanto.. 
“Solo un uomo innamorato e ricambiato”
Avremmo parlato dopo, questo era.
A quel giro ammetto che le guardie ebbero il buon gusto di non farsi vedere, che Andres non avrebbe tollerato come me.
Lui riempiva tutta una stanza, alto, possente e muscoloso, ed era scavato, il viso pallido, e tanto le sue iridi d’erba erano sempre quelle, capaci di ridurmi le ginocchia in gelatina, i polsi molli, ferro e calamita, un reciproco destino.  
Come il suo tocco e viceversa. “Non vedo l’ora di ritrovarmi in una confacente stanza, tu e io e..” “Sul pavimento, che..”Rise di gusto. “Non voglio sfondare un letto per la foga, come già accaduto”
Portava l’uniforme dei dragoni spagnoli a cavallo. Con il grado di generale, guadagnato dopo la calle Mayor. “E questa? Pare di bucato” “Un pensiero di Enrique e Jaime. Diciamo che hai combinato un bel casino, Cat..” “IO?”Tesi le sopracciglia, con aria innocente, dentro me sghignazzavo per il sollievo. “Ne parliamo dopo..”
“Tirati su.. Amore mio..”
“Mi riceveranno per il tè delle 5?”
“Direi di sì.. “poi tornai seria” Andres, cosa vuoi fare, rimaniamo o andiamo ..” era mio marito, le cose le decidevamo insieme, non potevo obbligarlo a rimanere al palazzo di Alessandro, sapendo quello che aveva rischiato, avevamo rischiato. Ed era meglio stabilirlo sul momento, senza incrociare nessuno. Se avesse deciso di andare a Pietroburgo o  dove avesse voluto, glielo dovevo e mi sarei ritrovata con il cuore spezzato, che in quelle settimane, cattività o meno, eravamo una famiglia.
 “In Spagna.” 
“Va bene, almeno salutiamo..”ma non voleva passare da Copenaghen o dove diavolo fosse per vedere Sophie? Non ci capivo nulla, giuro. O non volevo comprendere fino in fondo. Il cuore mi batteva dentro le orecchie, un accelerato battito. 
“Catherine, in Spagna ci andiamo alla fine della guerra, mica ora, prima ..voglio vederla, almeno una volta..senza dire nulla o turbarla, visto che Erszi si è presa il disturbo di dirmelo sapeva che come minimo avrei voluto conoscerla ..E avere notizie” il suo alito sulla guancia “Rimaniamo qui, noi Fuentes siamo teste dure.. e leali”gli presi  le mani “Durante il mio ameno soggiorno nelle locali prigioni, ho ben sentito del nuovo passatempo, ovvero la folla che insulta dai muri, la famiglia del tiranno, le vanterie di umiliare chi è sotto arresto.. E via così”vibrava di rabbia repressa, la mascella rigida “Non è giusto, fine, ne discutiamo meglio stasera, di quante ne abbiamo passate e ne passeranno, che la vedo dura. E non ho la vocazione al martirio, Catherine, ho te e nostro figlio, alla prima avvisaglia di pericolo ce ne andiamo, ora no. E tanto Enrique e Jaime diranno che sono pazzo”
“Pazzo di me” 
“Continua e facciamo l’amore qui..seduta stante” un sussurro intimo e segreto. “Ehm.. mi sa che qualcuno ti sta cercando..”ci ricomponemmo, affondai la lingua tra i denti. 
 “Catherine..” un tono incerto, una sfumatura di allarme, poi lo riconobbero. 
“Altezze imperiali, buongiorno” svelto come un prestigiatore, Andres si inchinò a Marie e Anastasia, che erano venute a cercarmi, accompagnate dalla lettrice S. “Buongiorno, signorina” un triplo baciamano.  E parlò in russo, secondo le consegne, che le guardie non immaginassero chissà quale complotto. Lui, come me, era un coacervo, una contraddizione in termini, ironico e irriverente, si vestiva di maschere, poteva risultare ed era spesso insopportabile, arrogante,  superbo e egocentrico, sfrenato e carnale, come la sottoscritta. Ma quando amava, era sul serio, per sempre.

..quando sono entrato nella stanza di Mamma, ho notato che sorrideva, la prima volta in quel lungo mese, come le mie sorelle. “Abbiamo una sorpresa.. Alexei. Una cosa bella. “ ”Sarebbe..” Non una nuova umiliazione? Una nuova maniera di comportarci? Un regalo che le guardie non abbiano rovistato con le sudice mani, aprono i vasetti di yogurt, riducono in scaglie la cioccolata e.. Nessuna lettera, i giornali raccontano che mia madre è una sgualdrina, mio padre un tiranno, alcune guardie sostengono che le mie sorelle sono delle meretrici e il mio marinaio Nagorny a stento mi trattiene, la rabbia come un demone..“Un armadio vivente dotato  di strepitoso appetito .. Ti  suona famigliare? “la voce di Catherine, divertita. Anche lei, era un soldato, una guerriera, la mia mamma elettiva che mi dice, è per te, non rispondere alle provocazioni dei pezzenti, Alessio, ho fiducia in te, sei e rimani un principe. E mi ha fatto cavalcare e sparare, prima, un duro scambio, io ero felice, lei in pensiero, che la mia malattia è imprevedibile, basta una piccola abrasione e rischio di morire per una emorragia, e tanto non mi faceva sempre stare a letto, fosse successo qualcosa ne valeva la pena, per una volta facevo come tutti, come un ragazzo normale “ANDRES..!!”  “Salve, Alexei Nicolaevich.. “
.. gli ho dato la mano, ricordandomi che ero grande “Che ne dite.. c’è posto per un’altra persona..?” Poi ho capito e mi sono tolto un peso “Rimanete..?” “Sì..” e mi sono buttato addosso ad Andres, al diavolo ogni compostezza “Sei dimagrito..”mi aveva stretto per un momento, sorridendo “E Catherine ingrassata, quindi compensiamo”,”Aleksey Nicolaevich”e ridemmo della mia uscita.
“Bravissimi” Marie ballò due passi di danza con Andres, resistendo stoico ai pestoni, una bella coppia, osservò Cat. Che fremeva per restare sola con suo marito e tanto rimasero a cena, quel giorno Kerensky aveva stabilito che le indagini erano finite, mia madre non era una spia tedesca che aveva tradito la Russia, brindammo, anche io, un goccetto di vino. Papa lesse qualcosa, a voce alta, alle nove andai a  letto “Notte, Cat”contro la sua spalla rivestita di seta “Visto..” “Sì..ti posso dare un bacio” “E mi racconti del cavaliere..” Quella sera ho sognato di essere a cavallo e galoppare tra le montagne, ero ancora lo zarevic e tutti mi obbedivano. Ed ero scattante, elastico, sano, in una parola, come tutti, il mio corpo non era stato scalfito e segnato dalla malattia, MAI. E la mattina ero da solo, fuori le guardie che brontolavano, era iniziato il nuovo giorno di prigionia. Ho abdicato per te e me per non farti riscontare i miei errori, ha detto Papa, io ho replicato che li stavamo scontando tutti ora, me compreso. Il ministro della giustizia, kerensky, mica ha risposto alla mia domanda se era legale che avesse abdicato pure per me. Perché non è legale, come non è legale che Andres abbia passato un mese in galera, lui una spia? Figuriamoci. Come dire che Cat non mi vuole bene, mi adora, a prescindere.. E non mi tratta da malato o bimbo piccolo, quello che ho sempre voluto.

“Quando sei venuta al Palazzo di Alessandro, eri TU troppo magra…”dicembre 1915, annotai, ero 45 chili, troppi pochi per il mio metro e 72, ed ero ingrassata, mi era tornato il ciclo, lasciamo perdere, ora ero gaudiosamente incinta “Siamo in sincronia, Olenka”, ora lei era troppo magra, mi strinse le spalle “Ce la caveremo”
“E il divano sarà libero..”una punta di rammarico “Mi ero abituata ad averti con noi, a notti alterne, va bene così “ “ Divano per dire.. “ nel mezzo della notte univamo i letti e mi stendevo con loro, il bambino, appena mi sdraiavo, si metteva a muoversi e dormivo ben poco. Avevamo rilevato che quel sistema lo tranquillizzava o forse mi tranquillizzavo io, se mi svegliavo il calore delle mie sorelle mi confortava. A volte, Olga mi prendeva per mano, altre Tata posava il palmo sul ventre, la mia gravidanza era una fonte di sollievo e distrazione, era impazzita per mio figlio prima ancora che venisse al mondo. 
Anche no.
Era una speranza, una gioia ed una distrazione, una fonte di orgoglio. 

Quella sera feci l’amore con Andres, lo desideravo dalla punta delle dita fino ai capelli, lo spogliai adagio, schioccando inorridita la lingua quando vidi l’impronta dei lividi, le scalfitture della pelle.. “Che ti hanno fatto?” “Ti racconterò.. è stata lunghissima Catherine, non finiva più..E non ho mantenuto la promessa fatta a Sophie..” se non era capace di mantenere una piccola cosa, come un regalo, come fare per il resto, anche se non poteva causa forza maggiore.. “Hai mantenuto, invece, ci hanno pensato i tuoi fratelli” 
“Gli hai detto di Sophie?” un rilievo affermativo della testa, un sorriso.
“Bene, raccontami”
Glielo raccontai. 
Mi raccontò. 
Gli raccontai.
L’abdicazione, il treno, la ritirata dei generali, il senso di amarezza.
La situazione al palazzo di Alessandro, il morbillo, la disperazione, la speranza.
“Non ti lascerò più, finché avrò un soffio di fiato” 
“Lo so. Ti amo Andres” 
“Ti amo, Catherine”  una pausa “Fino alla fine del mondo..”il suo sesso risorse, glorioso, la voglia ci consumava e riuscivamo a trovare la posizione, salii sopra di lui, le sue mani sui fianchi che mi aiutavano e sostenevano“Non farà male al bambino..” “No..”risi, mi sentii fiera, invincibile, nonostante il gonfiore, una ninfa pagana.. Eravamo di ritorno dai rispettivi inferni e preoccupazioni, ammaccati e lucidi, fino alla fine del mondo, appunto. E la testa di Andres tra le mie gambe era il paradiso, come essergli montata sopra, una celebrazione, una vittoria.
 

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Capitolo 12
*** Erszi, Catherine, Andres ***


“ E tu cosa mi insegni?” Aleksey strinse il gomito di Andres, un attimo veloce, il principe Fuentes restò basito e commosso, lo zarevic cercava la sua COMPAGNIA, al solito e nonostante tutto “Geografia, europea, se volete” “Sei ferrato, no, magari sai il nome di quasi ogni torrente, dai Pirenei alle Alpi e via così” “Certo “ senza falsa modestia, o almeno non troppa “Mi mancano i tutori..Papa e mia madre” Andres annotò che secondo uso, se non era presente,  chiamava Alessandra Feodorvona madre, Mamma era epiteto che riservava solo a Catherine, Olga e Tata, le sue vere mamme, che lo curavano e giocavano tutto il tempo con lui, mentre Alessandra, appunto, già zarina di tutte le Russie pregava e piangeva, e via così, perdendo ben poco tempo nelle attività pratiche e giornaliere di suo figlio, urlando che tutto doveva essere come au fait. Un affetto senza misura, che gelava suo figlio, che a sua volta l’amava e teneva la distanza  Alessio si sentiva più a suo agio con Catherine, Olga o Tata,appunto,  adorava suo padre.. Con Alix era sempre cauto, circospetto, sapeva che era la sua ragione di vita. E non si abbandonava a quel suo affetto goloso e ingordo. Una madre come una guida ed un faro, peccato che lui volesse, come tutti i bambini una MAMMA che giocava con lui, gli raccontava le cose e.. non stesse tutto il tempo con un santone e una devota amica. Tranne che quando aveva sentito gli insulti era andato fuori controllo. L'affetto esclusivo di Alix, oltre a scatenare la gelosia delle sue sorelle, le dicerie e via così,  aveva avuto l'effetto di allontanare Alessio, in una data misura, senza rimedio.
“Sì, che hanno detto? La nuova moda sarà per caso trovare insegnanti in chi non lo fa di professione” affondò la zappa nel terreno, un netto e fluido movimento, ora potevano  coltivare un angolo del grande parco di Alessandro come un orto, o far crescere le rose “Con Gilliard .. sai ci insegna il francese, lui che è svizzero, va bene,  comunque hanno fatto il punto della situazione, mio padre mi insegnerà storia e geografia, mia madre religione, la Buxhoeveden inglese, aritmetica la Schneider e Russo il Dr Botkin, Gibbes l’inglese” saltellava sulle gambe, si fermò un momento “  Catalina Fuentes espagnol y latin” Aleksey cacciò una smorfia, quindi sorrise, la consegna era parlare in russo e Andres la evadeva con nonchalance  “Traducete, intanto” “Catherine Fuentes spagnolo e latino e .. varie altre,”una piccola chiosa “A voi e alle vostre sorelle più piccole”  “I miti, Iliade, Odissea ed Eneide, non mi annoio, sai” “Buon per noi e in caso lo direste senza indugio“ “Perché mi dai del Voi, comunque” “Per rispetto, no?”  “E io ti do del tu..” “Come credete più opportuno” E si inchinava, un cenno leggero della testa, una deferenza e un rispetto che non erano mai venuti meno, oltre che forma era sostanza. “Comunque Andres non vi è nulla di male a imparare, anche da chi non fa l’insegnante per professione” lo rintuzzò. “Eccomi..EccoVi”

Ti voglio bene Alessio, anche quando scocci a giornate e ore intere, peggio di tua sorella.. e tanto da qualcuno hai preso.

..dall’Inghilterra, dopo l’iniziale offerta di ospitalità, non era pervenuto più nulla, tutto pareva fermo e sospeso, mentre quel mese di maggio declinava. Le lezioni, l’orto, le passeggiate, le letture la sera ad alta voce, cercando di ignorare angherie e umiliazioni, le rare messe.

“Maestà, per voi” chinai la testa e le porsi un ramo di lillà dalle bianche sfumature, con delle piccole rose raccolte a caso “Catherine” una pausa “Principessa Fuentes, grazie” mi  sfiorò il polso, le lacrime le scorrevano sul viso, era il Veronal, pensai, a base di arsenico, che la rendeva così emotiva, erano passati troppi affanni e secoli da quando mi voleva bene, una semplice bambina che cresceva e la adorava

"Tu?" una sola sillaba di disprezzo. La  zarina mi scrutava più inquisitoria del solito,appurando che ero cresciuta e la somiglianza con mia madre, a quando era una ragazza come me.
Le evidenze sempre più suntuose e marcate, i capelli castani che nel sole vibravano di ramati riflessi, ero  alta e snella, senza goffaggini apparenti.
La copia della giovane principessa Ella, che, in segreto, aveva conquistato principi e granduchi, che l’allora zarevic Nicola l’avrebbe voluta sposare, essendosene innamorato, tranne che non era possibile,che le regole dinastiche erano precise.. Uno zar, un erede al trono dovevano sposare una straniera, per evitare conflitti e diatribe nel Paese.. E mia madre Ella, secondo i pettegoli, lo aveva ricambiato, tranne che si era sposata presto e male, nel 1890 con Pietr Raulov. Tranne che Nicola II aveva voluto che io e le sue figlie fossimo amiche, festeggiando la gioiosa congiuntura che io e Olga eravamo nate nello stesso anno. Lui stesso, come mio zio Sasha e Pietr Raulov, erano cresciuti insieme, amici, compagni d’armi e avventure. E mia madre Ella era tra le dame preferite dell’arcinemica di Alix, ovvero la zarina vedova. Non poteva farla riscontare ad Ella, aguzzò le armi contro di me, inventando un plausibile pretesto.
Si convinse, infatti, che fossi io a istigare Olga ed essere intrigante e malevola, a discutere di Rasputin, nessuno doveva creare attriti o ingerenze tra lei e il sant’uomo giunto dalla Siberia, nemmeno l’amica di sua figlia.
Fu un esilio, una dura stagione, la nostalgia così forte da chiudermi la bocca dello stomaco.  Poi passata ed era stato uno stillicidio, il primo atto, ora..
“Scusatemi, so che amate i fiori e..” nessuno glieli portava più, mi ero premurata in buona fede, credo, una sfida alle meschinerie del governo provvisorio, su “inutili lussi” Mi sorrise, appoggiai la fronte sulle sue ginocchia, mi sfiorò i capelli “Grazie per tutto”, un lieve sussurro. “Mi spiace, ho sbagliato..” nessun rilievo, forse pensava alla lunga guerra che la aveva opposta a mia madre Ella, a sua suocera, al mondo intero, alla ragazzina rompiscatole che ero stata, sempre nel mezzo, prediletta da suo figlio e Olga, portata in palmo di mano dalle altre granduchesse, vituperata dalla Vyribova .. Non lo sapevo,  era una tregua reciproca.. I bambini non hanno colpa Alessio, non scelgono di nascere da una nubile o una sposata, tranne che io ero la bastarda dello zar, che amava i suoi fratelli fino allo sfinimento, eravamo insieme, mi imponevo di non contare solo su quello

Le serrai una mano, forse ero meno cattiva di quanto pensassi, chissà che avrei combinato io a parti invertite, a gestire una situazione difficile, sul filo del rasoio, con il senno del dopo siamo tutti bravi “ Scusatemi..” “Catherine, sei sempre nel mezzo da quando sei piccola.” Zittì la mia replica, le dita sulle mie labbra “Dammi del tu, “ un momento di silenzio “ E bada ad Alessio, lui ti vuole bene sul serio” uno strazio reciproco “Lui è il tuo bambino” insomma, me lo volevano appioppare tutti.LO SAPEVO CHE ERA IL MIO BAMBINO.“E..” “Lasciami sola, grazie..” Mi inchinai e lasciai la stanza, la sua mauve room, il suo rifugio contro il mondo, mondo che aveva abbattuto ogni barriera.  Era invecchiata, giorno per giorno, una icona della tragedia, le ciocche sempre più grigie, magra e le rughe marcate, pareva più vecchia dello zar, anche se aveva quattro anni meno di lui..
 
“Come è stato?” Aleksey  gli servì la  domanda mentre controllava un esercizio di inglese, nessuno li sentiva  “Lunga, lunghissima  ..”rispose Andres cauto, gli occhi verdi socchiusi “Che ti hanno fatto?” riferendosi al mese di soggiorno in galera, mio marito valutò l’opzione più congrua, nessuna bugia e nemmeno voleva agitarlo “.. principalmente mi provocavano” lo avevano definito un traditore, un figlio di puttana e un cornuto, sputato nei piatti dove mangiava e tanto .. Non aveva reagito. “Confessa e te la cavi” “Non ho nulla da confessare..” la replica. Minacce e blandizie, si era finto idiota .. “Le spie sono punite con la morte” “Ma non hanno abolito la pena capitale..di recente, che ho perso” “Potresti testimoniare che lo zar è un traditore..” 
Tornò ad Alessio “Non rispondevo, cercavo di passarci sopra”
“Ah.. “
“Pensavo a qualcosa di divertente. A una calamità naturale”
“Bella definizione per Catherine”  (ALESSIOO!!)
“E chi dice che era lei..?” sardonico.
“Andres, chi era?” un sorriso “Io no davvero..” una pausa “Giusto?”
“Negli anni recenti sono stato a pesca, con quella persona..”
Si riferiva a lui, decodificò lo zarevic, ridacchiando, in effetti si erano divertiti e lo aveva fatto diventare verde, tra domande e chiacchiere, cacciandolo in imbarazzo, impresa epica che era riuscita a ben pochi “Che comunque sa sempre il fatto suo, intelligente, spiritoso, con una parlantina infinita” Alessio arrossì “E tornando al discorso di prima, se rispondevo alle provocazioni avrei fatto il loro gioco e non mi conveniva. Non che fosse facile, bada, cercavo di estraniarmi, tra virgolette, alla fine l’ho spuntata.. Non solo per merito mio”
“Ci hanno messo le zampe i tuoi fratelli e Cat”un cenno di assenso. Alessio non lo fregavi, poteva fingersi ingenuo e non lo era.  
“E anche tu, sapevo che era in buone mani, mia moglie, che avevi cura di lei”
“Si e no, alcune volte l’ho trattata male” chinò la testa, mortificato, Andres bandì l’etichetta e lo toccò, sulla spalla “Era in ottime mani, sempre, grazie”
“Prego, tornando al compito, vi sono errori?”
“No, bravo Aleksej”
Erano nella stanza degli studi di Alessio, la sua classe, sulla poltrona d’angolo la zarina sferruzzava, ascoltava lì le sue lezioni come lo zar. Osservando lo spagnolo e suo figlio alle scrivanie, sopra di loro mappe geografiche, sulla Russia e l’Europa continentale. Per non tacere delle teche che contenevano le collezioni di insetti, farfalle e uccellini, per le lezioni di scienze, tutte curiosità per mantenere viva l’attenzione di Alksey, che si annoiava spesso e facilmente, un poco come Catherine, prima che sua madre sostituisse il tradizionale percorso di studi (ricamo, economia domestica e via così) con sessioni impegnative di lingue, letteratura e storia dell’arte straniere.. E storia.. Come con Alessio, se lo interessavi si divertiva e ti faceva divertire a tua volta nello spiegare e imparare.
“Nessun errore, sicuro”
“Sicuro”e non discutevano della lezione, quanto della sostanza.
“E se uno sbaglia?”
“Si corregge”
“Tu hai mai sbagliato?”
“Spesso .. e ho cercato di imparare”
“Sarai un bravo PAPA’, fidati”
Aleksey voleva bene ad Andres, in un dato senso era il suo eroe, un campione da cui trarre esempio, parlavano ben poco di sentimenti, ma si apprezzavano, il cameratismo maschile, credo.
Preferiva l’eroe irruento, il picador alla serena abnegazione dello zar, era meno umiliante, per lui.  E Andres non era pirite, il luccicante ed apparente oro degli stolti, era forma E sostanza.

I partiti estremisti domandavano intanto che Francia e Inghilterra dovevano proseguire da soli la guerra, che la Russia di doveva ritirare, per lo zar uno strazio, il governo provvisorio avrebbe resistito?
Allora i bolscevichi erano ben pochi, una sparuta legione che proclamava “Pane, terra e libertà”, con agguerriti agenti.. sarebbero saliti al governo, un “rimpasto” e non si sarebbero fermati nella loro scalata al potere.

E il 15 maggio 1917 arrivò un plico per “Sua Eccellenza, il Principe Andres Fuentes “ da Elisabetta de Castro, da Copenaghen, una lettera di banali saluti e una foto, riprodotta in tre esemplari, di una bambina dagli scuri capelli che stringeva una bambola, sul retro “20 aprile 1917, grazie Andres, Sophie” caratteri grandi e infantili, Sophie scriveva a suo padre, il cuore gli si frantumò come una macina. Elisabetta de Castro, lo pseudonimo di Erszi reggeva, era così vaga da passare la censura “…una foto di mia figlia, Sophie, con la bambola giunta per il suo compleanno. I nostri ringraziamenti,  caro parente

“Marmellata di mirtilli, cioccolato, patatine fritte e torta di mele, e una insalata, pane fresco”
Enunciò Alessio, a casaccio, la mano sul mio gomito, facendo strada a me e al mio pancione, dietro Olga, Tata, Marie e Anastasia, cenavamo tra noi, nella stanza da pranzo delle ragazze, con il tavolo rotondo, le sedie di betulla, il cordino per chiamare i domestici era in disuso, come il bianco piano verticale non era stato più toccato. Mangiammo in fretta, al diavolo le guardie e le preoccupazioni, una serata dolce e amara, come quando ero una bambina, scrutando le nuvole e aspettavo un principe.
Uno mi atterrò sulle ginocchia  e sussultai, sospesa dalle mie fantasticherie “ Che c’è. Aleksey? “ “Nulla, stai bene?” “Certo, ce la caviamo” lo raccolsi per un momento, un bacio a caso.
Dai quaderni di Olga alla principessa Catherine “ ..Alessio ti si era attaccato a dismisura, in quelle infinite settimane, e viceversa. E da prima, alla Stavka, stare con te era probabilmente i tre quarti della gioia e del divertimento. Un nuovo esperimento, ti era stato affezionatissimo fin da piccolo, poi ti eri sposata ed eri andata via, da giugno 1913 ricomparisti qualche giorno in agosto, rientrando l’anno dopo per un paio di mesi. Sentì la tua mancanza, più cresceva e più ti si affezionava, sapessi quante volte si è svegliato, chiedendo di te, rimanendo deluso, perché non c’eri, ti inventavi una nuova vita a Parigi, giusto, ma gli mancavi e mi mancavi..Scoppiò la guerra, rimanesti vedova e sparisti di nuovo, ti ha rivisto a rate e il 1916 al Quartiere Generale, con te, con Andres, è stato tra i periodi più belli. Adesso, in quella lunga primavera del 1917 ti rispondeva spesso male, un poco come eravamo noi alla sua età, era l’adolescenza, non la malattia, ti provocava e sfidava, cocciuto e sfibrante. E avevi la sua fiducia, ti diceva se gli faceva male il braccio o la testa, lo confortavi, poche e secche battute, lo spronavi a reagire.. Senza compatirlo o trattarlo da malato, hai sempre cercato di farlo, sorvoliamo che lo hai viziato in maniera esponenziale. Logico che ti “preferisse”, e tu gli eri attaccatissima a tua volta, guai a chi te lo toccava. E ora.. Cat, da quanto è magro pare fatto di seta e cera, così pallido da essere trasparente, l’unica cosa di vivo sono gli occhi, brillanti e curiosi, a ogni rumore si tende, spera di vederti, anche se la ragione dice che non ci vedremo mai più, lo abbraccio, reagisco per me e noi, l’ultimo attacco di emofilia lo ha quasi ammazzato, ha delirato per ore e ti voleva “Arriva, Aleksey.. quando potrà..” “Bugiarda, io non la vedrò mai più e nemmeno te” “ E che ne sai”.. baciando i suoi pugni chiusi, era la rabbia, la frustrazione, io come lui” e arrivai alla casa a destinazione speciale, un diavolo disperato. Non certo l’ultima volta che lo stupivo, e non era per lui, quanto per me. Tra me e Andres eravamo due matti allo sbaraglio, e Olga ha saputo, anche quando è morta, che l’ho amata fino all’ultimo, fosse servito avrei barattato la mia vita per la sua. “Stupida coraggiosa” l’amabile esordio, stringendomi così forte che mi era mancata l’aria “Come al solito, a proposito, ti voglio bene..” “Perché..” “Perché sì..” e non vi era nulla da aggiungere, su quello.
 
Intanto, i bolscevichi prendevano piede, in maggio il governo provvisorio venne “rimpastato” con l’aggiunta di alcuni membri che rappresentavano i lavoratori ed i soldati. “Pane, terra, libertà” questo lo slogan, che trovò svariati proseliti. Il capo, Lenin, era giunto in aprile su un treno tedesco e si era acquartierato nella dimora di Matilda K., un tempo suntuosa abitazione, adesso devastata dai saccheggi, Matilde K., un tempo amante dello zar e prima etoile del balletto imperiale. 
 “Qui era il 1896, “ mi raccontò Olga “Quando Mamma e Papa visitavano Balmoral e la bisnonna Vittoria” Scrutai le foto in bianco e nero “C’eri anche tu, noto, rotonda e sorridente, in braccio alla regina inglese nonché imperatrice delle Indie”  Deliziosa, con i capelli chiari, le guance paffute e un sorriso splendido, che incantava.
Dato che avevamo un mucchio di tempo da occupare, ci eravamo messe a riordinare le foto, stavo creando un mio album con i loro doppioni e, in verità, chiacchieravamo per ore, anzi era Olga a parlare, e non la solita logorroica, ovvero io. Altro che segreti di Stato od orge, era un tipico chiacchiericcio femminile che non andava disturbato, e mille parole non dette passavano nell’aria, le guardie si annoiavano sentendo parlare di vestiti e cronache di cibi, per quello eravamo accorte. Il suo era un sereno mormorio, era tutta presa a narrare, io a chiedere, la mia Olenka. 
“Il loro primo viaggio ufficiale all’estero”
Nel mese di maggio 1896 si era svolta la solenne incoronazione a Mosca, la cerimonia dentro il Cremlino era di superba bellezza e lusso. Io non c’ero, tranne che mia madre e mio zio me ne avevano ben raccontato, sia le parti liete che quelle tristi. Glissai il pensiero di mia madre Ella e di suo fratello,per non rattristarmi. 
Era la completa assunzione al trono, l’investitura di forma, dopo quella di sostanza al momento della morte di Alessandro III.
La cattedrale dell’Assunzione rutilava di ori e icone, di una folla abbigliata in modo splendido, che resistette circa cinque ore, il tempo dell’elaborata celebrazione, tra salmi e prediche, le fiammelle delle candele vorticavano sospinte dai palpiti d’aria come l’incenso che saliva dai turiboli, gli zar erano commossi mentre venivano cinti della sacra corona.
Erano  i signori della Russia, incoronati, gli unti del Signore, solo Dio e gli angeli erano loro superiori, avvolti da porpora e ermellino parevano divinità, ieratiche e perfetti nei volti e le espressioni. Tale sensazione si era avuta la sera prima, quando Alix, affacciatisi al balcone per salutare la folla, ricevette un mazzo di fiori dai notabili. Quando lo aveva preso in mano, un congegno nascosto aveva inviato un messaggio alla centrale elettrica di Mosca, che rispose inviando la corrente a tutte le lampadine, rosse, verdi, viola e blu, poste su ogni albero, cupola e cornicione, così che tutte le luci si accesero, stelle palpitanti, la città a festa illuminata solo per LEI, Alessandra.
Venne tenuto un imponente banchetto per i nobili e i dignitari, mentre quello per il popolo era stato organizzato nei pressi della spianata di Chodynka, usata come luogo di esercitazioni militari, quindi ricco di buche e fossati.
Erano stati allestiti teatri, grandi buffet per recare i cibi e i doni dell’incoronazione, 20 spacci pubblici per le bevande, insomma una grande fiera,  ma la sera che precedeva il banchetto per il pubblico era circolata nel popolo la voce che i doni commemorativi non sarebbero bastati per tutti, quindi la folla cominciò a radunarsi per essere in prima fila fin dai primi bagliori dell’alba.
Da una cronaca di quei giorni "Una forza di polizia composta da circa 1800 persone non riuscì a mantenere l'ordine pubblico e sfollare quanti si erano radunati. L'ondata di panico che si verificò non durò più di quindici minuti nei quali 1 389 persone furono calpestate a morte e all'incirca 1 300 furono ferite.”
Lo  zar dichiarò che non si sarebbe presentato al ballo organizzato per quella sera presso l’ambasciata francese, ma gli zii paterni, lo convinsero a parteciparvi ugualmente per non offendere il diplomatico di Parigi. Alla fine,Nicola II si arrese.
Il commento di Witte, ministro di lungo corso: «Noi ci aspettavamo che la festa venisse annullata. Invece essa ebbe luogo come se nulla fosse accaduto e le danze vennero aperte dalle Loro Maestà ballando una quadriglia. Fu una serata infausta: l'imperatrice appariva sofferente e l'ambasciatore britannico ne informò la regina Vittoria.”
Molti russi ritennero che il disastro del campo di Chodynka fosse un presagio del fatto che il regno sarebbe stato infelice; altri, usarono la tragedia per rimarcare la spietatezza dell'autocrazia e  la superficialità del giovane zar e della sua "consorte tedesca", la Nemka giunta dietro alla bara del suocero.
Principiarono a chiamare l’imperatore "Nicholas the Bloody", ovvero Nicola il Sanguinario.
Un regno cominciato nel sangue si sarebbe concluso nel martirio e nella tragedia, riecheggiando un luogo comune, ed in effetti vi era poco da essere allegri, dato che aveva abdicato ed eravamo prigionieri.
“Papa era sequestrato da Bertie, l’erede di Vittoria, che lo portava sempre a caccia, il tempo era orribile, non presero nulla, invece Mamma stava al caldo..” una pausa “Si sono fatti anche riprendere da una telecamera, passeggiando avanti e indietro nel terrazzo, con la Regina, che era seguita dal suo maggiordomo indiano e camminava molto poco”
“Una matrona” a 77 anni, nel 1896, era ben pingue, mi consolai per me, prima di ingrassare a quel modo ne avevo di strada, strinsi il mio pancione, una carezza al mio bambino “ E si tenne il Ballo dei Ghillies, per il personale e i dipendenti di Balmoral, e vi partecipò tutta la famiglia reale, mio padre racconta ancora che lo imbarazzò ballare con le mogli dei guardiacaccia e indossare il kilt..” 
“Immagino, deve essere stato buffo, poi siete a stati a Parigi, la folla gridava evviva anche per te, avvano messo finti fiori di ippocastano negli alberi per creare la primavera, anche se era autunno” 
“Forse andremo là, quando ci daranno il permesso.. In Inghilterra, dico, oppure in Norvegia o Danimarca” la zarina vedova madre, Marie, era di origini danesi, quindi .. il paese poteva concedere accoglienza per i legami famigliari, quando Albione non li dava in base alle alleanze politiche“Tuo padre vorrebbe mettere su una fattoria..Ma il granduca Paolo ha una casa nella Francia del Sud, di appoggi ve ne sono”
“Un tipico gentiluomo inglese, il suo sogno” la voce di Olga era neutra, evitai di inerpicarmi sulla loro partenza, le settimane passavano, appunto,  e non arrivava alcuna notizia.“Ma la prima parte del viaggio era a Vienna, giusto?” cambiai volutamente argomento e apparve .. “Elisabetta d’Asburgo, alias Erszi, che mi tiene in braccio” 
“Molto graziosa” ammisi, scrutando una ragazzina di 13 anni, i capelli che piovevano sulle spalle, l’espressione netta e decisa, altera come una regina invernale che cammina nei suoi giardini, una bellezza in fieri. Forse non bella nel senso convenzionale e classico del termine, almeno allora, tranne che era serena, determinata, una combattente. Anche Andres nel 1896 aveva 13 anni, si sarebbero incontrati un abbondante decennio dopo facendo scintille e faville“Carismatica, credo” non andava compatita o commiserata, si era ripresa in qualche modo dai colpi che le aveva appioppato la vita, il padre morto, la madre assente, era suntuosa, superba. Ripeto, non avesse spartito un legame importante con mio marito, mi sarebbe rimasta molto più simpatica, Dio che pensieri annodati. 
“Penso di sì, che poi l’abbiamo trovata anni dopo.. la conosci, Cat..?  il nomignolo me lo raccontò lei in occasione di..” La conosce mio marito, talmente bene che ci ha fatto una figlia, volevo dire, ma tacqui, rilevando che mi guardava da sotto in su, dovevo sembrarle una bella allocca da quanto ero attonita “Comunque, a Vienna fecero cena alle 5 di pomeriggio” sottointeso, per le peculiari abitudini dell’imperatore Francesco Giuseppe, che si alzava alle quattro di mattina e non aveva derogato i suoi orari.
“Che occasione?” appoggiai il mento alla mano, io avevo fantasia per le storie, Olga era una squisita poetessa, una narratrice, le sue composizioni erano sempre una meraviglia.
“Settembre 1903, a Darmstadt” la località tedesca capitale dell’Assia e del Reno, dove era nata Alix “Per le nozze di Alice di Battemberg con Andrea di Grecia,  lei era la prima nipote di Mamma” nel 1903 era noto che fosse fallito  il matrimonio tra Ernie, suo zio, con Ducky, avevano divorziato nel 1901 ed era presente anche la sua cugina preferita, Elisabetta d’Assia, nata nel 1895 come noi. Ernesto von Hesse era alla lunga un omosessuale, i suoi gusti particolari erano venuti fuori nei pettegolezzi, sua moglie annotava che nessun garzone di stalla era al riparo dai suoi tentativi “Era la riunione delle Elisabette, vi era pure LEI, disse di chiamarla Erszi per differenziare da Elisabetta, mia cugina,  che chiamavamo Ella, come mia zia.. Suo marito e lei venivano in rappresentanza del vecchio..”imperatore Francesco Giuseppe, decodificai, ignorando se erano imparentati in qualche modo o era un dovere di società nobiliare..
“Alice è sorda, da quando era piccola, per le celebrazioni vi furono delle comiche..”Ridacchiò “ Lui seguiva il credo  greco ortodosso, lei quello protestante. Quindi, vi furono due cerimonie religiose e una civile, lei seguiva appunto i movimenti delle labbra, per comprendere i discorsi,  e per la lingua greca non era facile. Quando il sacerdote chiese se sposava Andrea per sua libera scelta, rispose di no, il prelato, fingendo che nulla fosse, domandò se si era promessa a qualche altro, e lei rispose di sì..Ridemmo fino alle lacrime” lo stress delle triple celebrazioni, quando avevo sposato Luois le nozze erano state celebrate con rito cattolico, ortodosso, oltre che in modo civile, con Andres mi ero convertita al cattolicesimo e vi era stato un solo matrimonio “Guarda che non è una frecciata nei tuoi confronti”
“Figuriamoci,  non sono permalosa a questi livelli, ANCORA...non ti fidare degli umori di una donna in gravidanza, peraltro, e passando oltre mi scrivesti che il ricevimento fu uno spasso, Vera di Wuttemberg si era fissata la tiara di brillanti in testa con l’elastico, giusto, ma non gli occhiali, che le caddero, risi fino allo sfinimento leggendo le tue parole “
“Era vecchia, non ci vedeva più, non sai quanti prese a borsettate, paventando scherzi e contumelie” E vennero lanciate pantofole di raso, riso e petali di rose, lo zar e altri, dopo i saluti agli sposi che percorrevano il centro cittadino in auto scoperta e salutavano la folla, spiccarono la corsa e li raggiunsero. Alice si prese in faccia un intero pacco di riso e una pantofola, a opera dello zar, che in cambio venne raggiunto dalla detta pantofola, lanciata da Alice, che si sporgeva dal sedile posteriore dell’auto gridando”Sei un vecchio stupido” quando Olga aveva raggiunto suo padre lo aveva trovato piegato in due dalle risate, seguito da un epico squadrone di poliziotti, che temevano un attentato, insomma ..
“Il profumo di rose stordiva e c’era una piccola graziosa fontana.. Erszi si divertiva a contare, era grande, vent’anni, sposata e pareva lei stessa una bambina, mia cugina Ella la trovava divertentissima, come noi, si nascondeva, diceva che giocare può essere un lavoro serio, Erszi, dico”
“Penso di sì” Erszi era simpatica a tutti, me compresa, in linea generale, nello specifico speravo che non si verificasse un ritorno di fiamma con Andres. E sbagliavo, sapendo di sbagliare, Andres mi amava, avevo la sua parola, davanti a Dio e al mondo, e lui aveva la mia, che ci sarebbe stato lui solo, e viceversa. E di sicuro andava meglio a me che a Elisabetta von Hesse, la cugina di Olga, nata nel 1895 come me e lei. Io avevo una vita, nel bene e nel male, lei ..

Povera Ella, era tanto che non pensavo a lei. Era dolce, un raggio di sole divertente e birichino, che a  quattro anni aveva implorato gli zar di far adottare ai suoi genitori Tatiana o Marie, che voleva una sorellina, Olga era d’accordo nel fornirle quella gioia, inutile osservare che non erano state prese in considerazione. La regina Vittoria la chiamava “my precious”, quando compì 80 anni nel 1899 Ella fu la prima che volle ricevere per avere le congratulazioni e gli auguri, l’appellava “Granny Gan”… Dopo le nozze greche, Ella aveva raggiunto le sue imperiali cuginette in Polonia, spartivano passeggiate e pic-nic, e tanto divertimento.  Olga diceva che trasformava ogni cosa in una festa, fosse anche prendere il tè il pomeriggio. 
 “ E ci raccontava che aveva detto a suo padre, mio zio Ernie, che aveva sognato su un piccolo cottage, dove tutto era della sua misura. Sai che le fece, mentre era assente? Lo disegnò e lo fece costruire da alcuni  architetti di cui era amico, patrocinava quelle cose. Quando ritornò, glielo fece vedere con la scusa di portarla a fare una passeggiata nei boschi. E tanto a Wolfsfgarden ci avevamo giocato, era tutto a nostra misura, cioè alla nostra misura di bambine” 
“Che dolce, lo farebbe pure Andres.. credo. Con le donne ci sa fare, con una figlia ..non farebbe pari a viziarla, la sua piccola principessa” come chiamava Sophie, peraltro, solo una voce per telefono, un regalo, due occhi di fumo, in attesa, che non erano stati delusi. Invece, Ella, in quel della Polonia si era ammalata da un giorno all’altro, una violenta febbre tifoide se la era portata via, nel novembre 1903. Un funerale in bianco, bianco invece del nero, candidi gli ornamenti funebri, i fiori, i cavalli che recavano la piccola bara d’argento alla sua ultima dimora, sulla tomba venne poi messo un angelo di marmo che la vegliava. 
DUE PRINCIPESSE DELLE ASSENZE.

“Eri gelosa, eh, Cat?”meno male che dribblava sulla cugina e non su Erszi, avevo voglia di sfogarmi e la avrei caricata di un altro peso.
“Un poco, parecchio, rettifico.. lei era buona, un vero angelo, io una peste ambulante” era la verità, combinavo un guaio dietro un altro, ero una ribelle, una gramigna e le buone qualità sorpassavano i miei difetti, anche se era dura, con il senno attuale era in quel modo.
“E io ero gelosa di te, quindi siamo pari, Ella diceva che eravamo due sceme, che ci volevamo bene,  parevamo io e te due vere sorelle, altro che io e Tata, due impiastri impertinenti. Anzi eravamo due sorelle.. E che avevi una grande fantasia, giusto te sostenevi che i bricchi della panna, la zuccheriera  e un piattino con le fette di limone non erano semplici oggetti per il tè quanto variazioni su tema dello “Schiaccianoci”, potevamo farli danzare sul tavolino ..”  
“Ci aveva indovinato”senza specificare su cosa, come carattere forse mi intendevo più con Anastasia, tranne che con Olga il legame era stato profondo, poliedrico, da sempre. Una intesa  ben rara, che aveva resistito, inossidabile, alla fine, se non avevo passato una infanzia da incubo, sotto il segno delle violenze era un suo merito.  Sapere che mi voleva bene era un lenitivo, un talismano contro il buio, la notte che avevo abitato così a lungo. La mia sorellina. 
“Di Erszi me lo riferirai quando avrai voglia” 
“Olga, sei irritante, indovini sempre quello che penso” mi massaggiò le mani gonfie, ero stanca a livello fisico, non ne potevo più e ancora era poco rispetto alle ultime settimane che mi attendevano.
“Abbastanza, sorellina” E quelle parole erano una musica, sorrisi senza altro aggiungere su quello.
“Olga, avete parenti e case a iosa, ma se capitasse.. Ultima ipotesi, io ho un castello, Ahumada , in Spagna, una rocca millenaria, sarete sempre i benvenuti, sempre, ci devo tornare ma..”
“Ci sei già stata, e io sempre con te, che vi era una radura con  i melograni, raro per il clima e hai inciso le iniziali, le nostre” vero “Catherine, noi siamo sempre assieme” 
“Sempre” ripeté, un lenitivo contro il buio.
Ahora y por siempre” il mio motto, preceduto da Fuentes, eco di millenarie battaglie, dentro e fuori di noi.  Felipe il magico bastardo, il pirata, il discendente di un re,  tornava dopo secoli.   E io con lui e Olga, sempre. 
Ripescai i ricordi, della Spagna. E prima ancora, altre foto, pose informali con Aleksey, non aveva nemmeno 18 mesi e ci eravamo eletti a reciproco, vivo e personale giocattolo. “Che buffi, lui principiava a camminare, te eri una specie di camminatoio, la tua schiena come un appoggio, pulivi i pavimenti con mani e ginocchia e appena faceva “Ahi” o che lo prendevi in braccio e sancivi che era solo tuo, una bambola, guarda come siete teneri” “Eh mica scherzavo, lui è mio” In un certo senso e per sempre. “ E viceversa, ti ha sempre amato” “Io lo ho adorato, sempre, quando diceva “Cat” scattavo subito, il mio birichino, il mio ometto, il mio piccolo principe” “E ora no?” indulgente “Anche ora… ma è cresciuto, non farei il suo bene a coccolarlo tutto il tempo” “Tralasciando che lui adora le tue coccole, anche se si finge ritroso” 

E il 18 maggio 1917 le ci-devant zar compì 49 anni, vi fu una messa e solenni auguri, letture a voce alta e uno scambio di doni “Auguri” Andres recò un set di pipe e pregiato vino spagnolo, stappò,  brindando alla nostra. Nel mio grembo Felipe (ormai il pronostico era per un maschio) si agitò a tutto spiano, in senso traslato era presente pure lui alla festa. Tata disse solo che non vedeva l’ora di farne conoscenza “E dai, dopo il tuo compleanno, in giugno, anche lui non vede l’ora di conoscerti” ironica, ridente “Io .. che bellezza”  le sfiorai il gomito, se tutto fosse stato come doveva essere lei e Olga avrebbero avuto un figlio a testa, almeno, da un pezzo, invece attendevano a gloria, in un dato senso, il mio. 

La solita, trionfante egocentrica.
E mancava poco, la mia gravidanza era agli sgoccioli.

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Capitolo 13
*** Felipe's born ***


Ai primi di giugno 1917, mia moglie  esibiva un trionfante pancione, un profilato usbergo. E  da una settimana all’altra aveva la sensazione di lievitare, forse erano due gemelli, per quanto fosse  esile,  magra di struttura di base,  in quell’ultimo mese il ventre era esploso, un budino ben cotto, una pagnotta che era lievitata ai massimi  gradi, diceva. Per le dita gonfie come un salsicciotto le avevo tolto la fede, gonfie come le caviglie ed i piedi, alla fine si metteva i miei stivali, tanto per dire la misura, per stare comoda. Io, Andres, portavo un suntuoso 47, lei un 40, in tempi normali, un leggiadro piedino da Cenerentola che era lietamente aumentato. E manco se li vedeva i piedi, per la pancia,tra  il caldo e la gravidanza, una (in)felice combinazione, lei  si sentiva una zampogna, appunto, con l’abbiocco perenne, avrebbe dormito 15 ore al giorno.
“Non sarà ancora per molto”
“Vedremo..se penso che in inverno, pattinando sul ghiaccio, riuscivo ad andare all’indietro e a saltare mi pare passato un secolo, avevo 16 anni, troppo alta, troppo magra, ero una libellula” ora ondeggiava come una papera al vento passando da una stanza all’altra, si appoggiava ai mobili, alle pareti, il fiato corto,  ora aveva 22 anni,  la gravidanza quasi al termine causava quell’effetto, un costante affanno. Conseguenza del pancione e del peso ora raggiunto, tranne che era  bellissima, paffuta e ridente. Ispirava tenerezza, come i bambini, the Children, lo zar usava annotare così dei suoi figli, tralasciando che Olga andava per i 22, Alessio per i 13.
“E ..” sapevo a cosa stava pensando.
“Presumo che ne vorrai un altro, a stretto giro”
“Perché no” gli occhi luminosi, una verde scintilla divertita, non raccolsi la sua canzonatura, ti amavo anche per la tua ironia, Cat.
“Basta che ..tu sia gentile, non faccia troppe critiche”
“Cosa..?Ma che ti inventi,” allibito
“La zarina madre, Marie Feodorovna, ha sempre criticato la nursery imperiale, affermando che ..”
“Olga.. “la ragazza, chiamata in causa, alzò il viso dal libro, eravamo nella balconata che correva intorno al palazzo di Alessandro per prendere un poca d’aria “..Fosse brutta, con la fronte troppo grossa, Tata noiosa, Marie un piagnisteo ambulante e Anastasia l’ennesima inutile femmina che non poteva ereditare il trono.. .” con esatta precisione, si declinava in terza persona per prendere la distanza.
“Che persona svanita, per non dire altro, il 1895 è stato l’anno di nascita delle più belle principesse di sempre” Olga sorrise a quella esternazione, mia moglie si accodò “Senza offesa per le altre principesse, mia pattinatrice, mia ballerina”
“Ma non è possibile, glielo hai già raccontato..”
“Cosa, Olenka?” le mani sul pancione, il bambino era in perenne movimenta.
“Di quando avevamo sette  anni e ..mi misuravo la fronte, davanti a uno specchio”
“Ah..E io affermai che ne diceva tante, ma non ti conosceva sul serio”
“Una vera irriverente..già”
 
 
 
“Non sapeva nulla della tua intelligenza portentosa, del talento al pianoforte, e via così, constatazioni e non certo lodi di maniera, eh” e vedevo una ragazzina non sempre gentile od empatica, con splendidi capelli biondi, occhi chiari, gentile quando e se voleva, la ragazzina che era ora accanto a me, una giovane donna, una principessa militante e misericordiosa, Andres scosse il capo, le riteneva cose da donna, da capo, era sconvolgente quanto fossimo in sintonia, Olga mi sfiorò il ginocchio.
“Catherine,  di difetti ne ho a iosa, e mai ho criticato gratuitamente un bambino o sono stato poco gentile, in linea generale, in modo volontario, figurati con i miei figli” serio, tossicchiò, commosso, poi sancì che aveva voglia di fumare e ci lasciò alle nostre chiacchiere, appoggiandosi alla balconata di ferro, aggiungendo, come era vero, che non glielo avevo rappresentato.
“Cat, marito migliore non lo potevi trovare”
“Credo” Scrutai il meraviglioso fondoschiena di Andres, era appoggiato, pigro, al ferro della ringhiera,  il desiderio che sorgeva, bastardo .. facevamo l’amore anche se ero al termine della gravidanza, lo preferivo con me, piuttosto che fuori dal mio letto, anche se mi sentivo gonfia come una vescica, lo spogliai mentalmente dai vestiti, rividi i suoi tatuaggi, i nei sparsi, le cicatrici e i rilievi. 1895, l’anno delle più belle principesse di sempre, galante con me e Olga, as usual, compito e affabile.. E gli avrei torto il collo, era solo mio. E io solo sua, il senso di possesso e l’amore, quale era l’esatto confine, boh.  Gli scatti famelici e appassionati erano passati in seconda  linea, ora era lento e dolce. E fissava come un allocco, senza parole, la mia pancia, era felice, come me, nonostante tutto, la sua guancia ispida di barba si posava sul mio ventre sporgente, un tenero buongiorno. E io stringevo le sue chiappe, toniche e vigorose tra le mani, una pura  meraviglia. E si spostava verso il mio sesso, palpitante.
“Figli..?”
“Gemelli..” mi toccai il ventre, rispose un piede, una manina, boh, ormai mi sentivo un dirigibile, così grossa che forse erano davvero due bambini, in un colpo, Andres seminava e io raccoglievo.
“Macchè, ne fabbricherete uno alla volta..” un momento sospeso “Figli vostri e adottivi, la tua vocazione è la maternità, ironia, tu non volevi sentire parlare di matrimonio o figli quando eravamo bimbe”
Feci una battuta a caso.. Maternità.. Mi stava  pensiero il primo parto, figuriamoci il resto, ormai prendevo un giorno alla volta. E Sophie? Che pensavo, una madre la aveva, Erszi, io ero solo la moglie di suo padre, sarei stata una sua amica, volendo, non altro. Ed ero la mamma in senso traslato dello zarevic, di Aleksey, anzi era lui che mi aveva eletto tale per sfinimento “Forse.. “
“Grazie, Catherine”
“E  basta, sono io che ringrazio te” una pausa “Sperando di non rimanerci secca”
“Fammi questo scherzo e ti ammazzo io” senza altro dire, avevo paura “Alessio non te lo perdonerebbe, se ci resti, di parto”
“Non comanda lui, in questo”
“SST” mi abbracciò “Andrà tutto bene, Cat, la paura è normale, ma siamo insieme, ti aiuterò se posso” registrai il suo privato sussurro, mi fidavo di lei, più che di ogni persona al mondo o quasi.
Dai quaderni di Olga Romanov per la principessa Catherine “.. a volte, riflettendo su quel lontano episodio infantile, pensavo che lo dicessi per misericordia,che ero bella,  tu eri uno splendore fin da bambina, osservavano che avevi colori stupendi, suntuosi, come una piccola ninfa … invece ne eri convinta e avrei fatto meglio a darti retta.. Avevi ragione, come spesso accadeva. Poi quando avevi diciassette, diciotto anni ti lamentavi di essere troppo alta e troppo magra, quasi una beffa, per mia sorella Anastasia, che si riteneva bassina e grassottella .. Parevi una principessa orientale, come Sherazade, e mia nonna predisse che avresti fatto girare testa e polsi a molti uomini, aggiungendo che sarebbe stato lo stesso per me e Tatiana .. Per lo sbigottimento, per poco non caddi dalla sedia..  Tu eri bella, come Tata, io .. lasciamo stare. Non mi piacevo, Cat, fine della storia nonostante mi rassicurassi sul contrario, che difetti a parte, sarei piaciuta. E poi mi sono innamorata e, guardandomi nei suoi occhi, mi sono vista bella, sul serio ..Michael, a love, a sin, a secret.. quella sera ho fatto la doccia e ho pianto. Comunque, tornando a noi, apprezzavo tuo marito, era dolce e arguto.. La mia è invidia, Catherine, io me lo sarei preso e di corsa. Non come S., un flirt e poi si era eclissato, per me era amore, tranne che aveva obbedito a mia madre, fidanzandosi con Olga, Olga K., io ero la figlia dello zar e lui nessuno. In termini dinastici e di rango. E  le foto sullo Standard di quel periodo tradiscono la mia ripulsa,  braccia conserte, un serio cipiglio, mi aveva tradito, per dire, solo qualche bacio  e rari abbracci, cerco di mettere ogni tipo di distanza, in primis fisica. Tu Andres te lo eri scelto e di corsa, ottima opzione, scusa il crudo linguaggio, Cat, ma lui era la tua passione e viceversa,io Michael lo avevo voluto, il mio principe soldato, e non lo ho sposato,  ho preso quello che potevo prendere, sventata, e non me ne sono pentita, e dopo siamo diventati amici, solo il buonsenso e la fedeltà, mia e sua, nei confronti dell’impero, dello zar, mi ha impedito di perderci la testa del tutto.. Ed ero già una ribelle, una gramigna rispetto agli austeri dogmi di mia MADRE, già, tutta forma, lei, mai sostanza.. che non aveva torto, erravano gli altri, LEI giammai. E ammettevi di avere paura, che fatto sensazionale, per confortarti la baronessa B. e altre raccontavano cronache apocalittiche di parti che duravano ore, che vi erano complicazioni.. Logico che non volessi sentire. Ed eri giovane, tua madre, tua nonna non avevano avuto complicazioni, la tua stessa cognata, Marianna era sopravissuta a cinque parti e ora aspettava il sesto bimbo,  aveva 36 anni, su Cat, coraggio, se mi facevi lo scherzo di morire ti avrei ammazzato io ”
 
Da una lettera di Olga Romanov dalla prigionia di Carskoe Selo a una amica, dopo le formule di saluto“.. ogni pomeriggio, dalle due alle cinque usciamo, facendo qualcosa in giardino .. Se non è troppo lontano, Mamma viene fuori con noi e si mette sotto una coperta, vicino agli alberi e l’acqua, Papa ( con altri) fa passeggiate e sega gli alberi morti, Alessio gioca nell’Isola dei bambini, corre,   a volte nuota (..)Diamo l’acqua alle piante, oltre all’orto, coltiviamo il giardino, le rose (..) Abbiamo organizzato un piano di studi e lezioni, studio inglese con Marie.. Storia russa ed europea, nel cosiddetto tempo libero preparo il corredo, come le mie sorelle, per il bimbo della principessa Fuentes, alias Catherine, e leggo la storia europea, e romanzi..” 
 
“Andres” pronunciò il suo nome esatto, in spagnolo, Fuentes annoverò la sua stretta, chiedeva protezione, lo serrò con il braccio contro il suo addome, stese l’altro contro l’aria, per un momento, quindi lo posò contro di lui “Cosa è successo, dimmi Alejo” un soffio, il suo nome in spagnolo
Giocavo con il mio fucile giocattolo, me lo hanno tolto, dicevano che avevo armi, armi vere”  
“Chi?” gli passò le mani sulla schiena, una volta il principe Xavier suo padre aveva fatto lo stesso, quando combatteva conto l’oscurità e la disperazione, la fronte posata contro la lapide che custodiva i resti mortali del suo primo figlio, desiderava morire, lui che aveva sempre amato la vita, sempre. Variava l’evento, pensò Andres, e sarebbe bastato tanto poco per scatenarlo. Suo padre pensò Andres era un grande di Spagna, una figura inferiore al principe ereditario, forse il titolo più grande del regno iberico,  dopo quello di principe ereditario, appunto,   e nulla avrebbe consolato Alessio, che giustamente nulla ne sapeva “Dimmi, sfogati se vuoi”
“I soldati..”
Andres imprecò nella sua lingua, dedusse il ragazzino, dal tono parevano parolacce e belle pesanti “Spiegami meglio, non ti brontolo o che, solo fammi capire” E magari si calma, è agitatissimo, il mio sistema per arginarlo, spiegami.  Come faceva Catherine, tranne che ora l’onore di gestirlo era di sua spettanza.
“Ero all’isola dei Bambini e mi esercitavo con il fucile appunto, un ufficiale è andato da Monsieur Gilliard dicendo che doveva prendermi appunto l’artiglieria, che le guardie avevano deciso così, e dovevo consegnare. L’ho posato e sono andato vicino a mia madre, che era seduta sull’erba a pochi passi da noi. Un momento dopo ecco l’ufficiale e due soldati, Gilliard  ha cercato di spiegare e mia madre gli ha chiesto di ritentare, ma non c’è stato modo, se ne sono andati via con il trofeo, una grande, bellica conquista”
“Proprio, ironizzi  in modo sarcastico ed esatto come mia moglie” 
“Da qualcuno ho imparato, fidati”
Vi era del vero. Ad agosto avrebbe compiuto 13 anni, era alto, una struttura sottile ed elegante, e gli occhi non erano quelli di un ragazzino della sua età, diffidenti e cauti, di chi ha troppo visto “E Gilliard mi ha riferito che l’ufficiale lo ha preso da parte, rilevando che la faccenda lo ha stressato, atteso quanto aveva da fare”
“Sono ridicoli loro, mica tu”
“Guarda che del fucile non mi importa.. “Insomma, rilevò Andres, vediamo di organizzare qualcosa “Arco e frecce, giocattolo, ne hai mai avuti?”
“No.. “
“Te ne facessi uno ? Semplice, eh, magari con qualche freccia e ti costruisco un bersaglio”
“Grazie, Andres” e intanto lo zarevic si era costruito un suo metaforico riparo, alla fine dei giochi lo proteggevano i Fuentes, Catherine e Andres, Olga e Tata e le sue sorelle, Gilliard il precettore e il marinaio Nagorny. Infatti, sua madre, la zarina, suo padre, lo zar, pregavano e torcevano le mani, senza trarre alcun fiato per difenderlo o distrarlo in modo evidente, diretto.
Il Colonello Kobylinsky, nuovo comandante del palazzo di Alessandro, riconsegnò il fucile della Discordia ad Aleksey, smontato, pezzo per pezzo. Da allora in poi, ci giocò solo nella sua stanza.  Andres gli fece un arco giocattolo, corredato da frecce. E li rivedo buttati a giocare con  i trenini elettrici, a ridere a tutto spiano per minimi eventi, battute note solo a loro, per terra, Andres che gli insegna a usare quel benedetto arco e a tirare di boxe, dettagli ancora più specifici, Alessio che sfida il mondo, si sente invincibile.  Al sicuro e protetto.
 
 
Olga e Tata vicino a un cespuglio di rose in piena fioritura, la vita sottile enfatizzata da una fascia chiara, con un immenso capello.
Aleksey seduto su un pontile di legno, vicino a lui il precettore Gilliard.
Anastasia che contempla perplessa una farfalla.
Marie appoggiata sul pontile, di profilo, assorta e remota.
Alessandra seduta vicino allo zar, un parasole in mano, che sorride.
All’apparenza parevano le solite foto, fatte anno per anno, durante l’estate, in vacanza,tranne che non era così.
Adesso una delle principali occupazioni era coltivare l’orto, passando anche tre ore filate a estirpare cespugli e togliere pietre, creando solchi dritti e profondi. Le giornate si erano allungate, le piantine presero vita, fagioli, rape, lattuga, verza (500 esemplari) che si allungavano sotto il sole, annaffiate da piogge occasionali, la folla continuava a insultare dai muri di cinta, ora era un poco meno.
Venne creato un altro orto, per la servitù, lo zar si mise ad abbattere i vecchi alberi, ormai secchi, del parco, tagliando poi i rami, per farne legna da ardere.
Provviste e legname, casomai fossimo rimasti lì ..
“Mi avete schizzato”
“Giusto un poco, tuffatevi, tutti e tre, te e i gemelli” Aleksey si divertiva a nuotare nel laghetto intorno all’isola dei Bambini, dove giocava spesso, schizzando, appunto, chi gli capitava a tiro, senza distinzioni.
“Dalla testa ai piedi” Erano i primi di giugno, mi era riuscito a dormire un poco di più rispetto al solito e avevo le caviglie leggermente meno gonfie, tanto che ero riuscita a passeggiare senza ritrovarmi con il fiato mozzo e le costole doloranti, per i movimenti del bambino. Ignorai le guardie, rovesciai il viso verso il sole, diciamo che erano parte dell’arredo, mi sedetti sul pontile, sperando che poi non servisse un argano a rimettermi su.
“Cat, tuffati”
“No, Aleksey, e mollami la caviglia” sottovoce “Non ti azzardare  a fare cose strane, che questa  è la volta buona che non ti parlo per una settimana”
“Non fai più nulla, sei sempre stanca” petulante, eh, ero solo incinta di nove mesi, non avevo voglia di spiegarglielo per l’ennesima volta, dopo avere rifiutato marce forzate (passeggiate) nel giardino, allora avevo appena il fiato di dargli il bacio della buonanotte, se era di umore.
“Non ho il fiato”appunto.
“Già, quando arriva?” gli strinsi il polso, leggera, un tacito ammonimento, per evitare che gli venisse lo sghiribizzo di buttarmi in acqua sul serio.
“Presto, spero, e farò una nuotata, promesso, dopo”
“Sì, come no” mi fece il solletico sul malleolo.
“Cioè? “
“Fossi lui o lei, o loro, non avrei tutta questa fretta di nascere” si appoggiò contro di me, lo circondai con il braccio
“Io non vedo l’ora, invece” in parte per conoscerlo, in parte perché mi sentivo un galeone pronto al naufragio, per esperienza personale e successiva, appurata allora per altre confidenze, arrivi a un certo punto e vuoi partorire e basta, non ne puoi letteralmente più. Non dormi, non digerisci, andare in bagno è un incubo … non stai bene in nessuna posizione.
“Le mie sorelle ti hanno fatto un arsenale di vestitini, fasce, che basterebbe per cinque bambini..”
“Li userò per i prossimi” se sopravivo al parto, questa è la prima gravidanza che porto a termine, la terza, dopo gli aborti, mio figlio ha la precedenza, tranne che Andres lo avrebbe odiato se mi avesse ammazzato, lo avrebbe amato nella forma e mai nella sostanza. E Alessio non se ne sarebbe fatto una ragione, alla fine, oltre alla prigionia non avrebbe tollerato una mia dipartita.
“Per il primo o prima, avete già deciso, se fossero due, invece? “perché ci eravamo fissati con i gemelli, perché, perchèè.. Mi misi a ridere, i pensieri morbosi erano un filo da non srotolare.
“Alejo” secca, in spagnolo.
“E che ho detto scusa che mi brontoli?”
“Si chiamerà Alejo, in spagnolo, Alessio come te”
“No, Cat, non voglio che usi il mio nome”
Il motivo me lo spiegò poi, sul momento lo interpretai come una bizzarria, un   capriccio estemporaneo dei suoi.
“Lo sceglierai tu, va bene, per un secondo  maschio, pensaci”allargai le braccia, mi tirò in piedi in qualche modo,  gli accarezzai i capelli, annotai il suo braccio sulla schiena, mi raddrizzai, era LUI un portento.
...fossi il figlio di Cat, starei per un pezzo nella sua pancia,sarei al sicuro, saldo, nessuno mi farebbe male, anche se lei è esausta, con le occhiaie, e mi ascolta, mi fa ridere nonostante le mie monellerie.. ed i capricci. E tanto mia madre sta sul divano, piange e si dispera. Alessandra Feodorovna è mia madre, Cat, Olga e Tata le mie mamme. Madre e mamma, due parole, un mondo diverso. Se sei intelligente, resta dentro, Felipe. Ti conviene. Sarai un maschietto, lo so. E tanto, intelligente o meno, non vedi l’ora di uscire..sei curioso, come sono curioso io,  di vederti, tua madre non vede l'ora. 
12 giugno 1917, una pietra miliare la definì Olga, ridendo, in seguito. Una tragicomica, rilevavo, io, che sul momento mi divertivo molto poco. Una tradizione, che le cose le combinate sempre insieme, la sentenza di Tanik, una barzelletta, la pronuncia di Andres, che avrebbe voluto strozzarmi  quando si trovò nel parapiglia, prevedendo che suo figlio sarebbe stato un campione a fare tutto a modo suo. Come la madre, ovvero io ..
“Olga, rimettiti.. quando partorisco, mi devi aiutare” “Come no” “Scommettiamo un abbraccio che avrò bisogno di te” pensavo a quei frammenti di dialogo, di alcuni mesi prima, quindi risi, una breve pausa, che mi sarei messa a prendere il muro a testate. Ero isterica, dosperata, partorivo..
“Non mi lasciare” ansimai “Deciditi, o sto con te o chiamo i dottori e il diretto responsabile delle tue attuali condizioni”  mi asciugò il sudore dal viso con la manica, ridacchiai per quella definizione di Andres, il mio Fuentes dallo splendido fondoschiena“Fossi in te non mi fiderei, a contare solo su di me, di parti ne ho visto solo uno” “E come è finita?” risi, isterica, di nuovo, una pausa dai dolori, annotai il suo viso madido, rovesciando la testa, serrandola per la vita “Che ne so, è il tuo, la teoria mi serve a poco, anche se ho passato il corso speciale per infermiera ostetrica con ottimi voti, la migliore del corso” sarebbe stato strano che qualcuno la superasse, riflettei e vi era poco da fare, eravamo in .. ballo, almeno io non potevo scappare, io che ero una maestra nelle fughe e negli abbandoni“Olga.. anche io di parti ne ho sperimentato solo uno, il mio” respirai, non ne potevo più “Se dovesse succedere qualcosa mio figlio ha la precedenza, lo sai” “NO. Catherine, No” “Invece sì, ahora..” smozzicai la prima parola del motto dei Fuentes tranne che il dolore ai reni mi percosse di nuovo, cacciai il fazzoletto tra i denti per non urlare a squarciagola, avevo perso il tempo, quanto passava tra uno spasimo e l’altro? Il ventre duro come un sasso, le gonne impregnate di sangue e liquido amniotico, il mio corpo che lavorava per conto suo, a prescindere dalla mia volontà “ Y por siempre, Catherine, io per te, te per me” Olga scostò il busto, leggera dal mio, mi accarezzò la nuca “Non devi avere paura” “ Ho paura, ” una pausa “Non ho mai partorito, sai, questo è il primo tentativo “ironizzavo come difesa estrema “Stupida.. Mi molli o no?”ridacchiò “NO. “ altra pausa “ Le guardie sono sparite..?” “Zitta.. “ si terse il sudore dalla fronte, i capelli chiari appiccicati per il caldo e la tensione “Tu i dolori li avevi da un pezzo” “Dal compleanno di Tata, qual cosina alla schiena, a intervalli” serrò le labbra, cercò l’orologio “Sono passati quattro minuti”  “Ma proprio oggi non dovevi uscire nel parco? “ “E tu proprio oggi hai deciso di non uscire, e riportarmi il libro” una vampata di rabbia “Sono una mongolfiera, faccio tre passi e ho il fiatone, dove vuoi che vada..” Feci un segno disperato con le mani, il dolore ai reni e la vista che si appannava mi avevano spinto all’angolo, nella mia  spensierata inesperienza ritenevo che non fosse ancora il caso di avvisare. Il Dr Botkin mi aveva avvertito che qualche fitta e dolore alla schiena è di prassi nelle ultime settimane, mi aveva visitato e, in linea di massima, avrei dovuto partorire dopo la metà di giugno, abbondante, tipo dopo il 20 del mese. Peccato che il bambino fosse di diverso avviso. Già. Me ne ero accorta “Ma il travaglio per un primo figlio non dovrebbe durare tante ore?” “OLGA!!” “Mia madre mi ha partorito dopo circa venti ore ..e hanno usato il forcipe” “Idem la mia.. tante ore, il forcipe no..” Pensai a mia madre Ella e mi venne da piangere. “Che in teoria..” mi ricacciai il fazzoletto in bocca, spingi e respira, respira e spingi, era l’istinto, forse, che ne so, in quella situazione non avevo alcun controllo diretto “In teoria che..?” ansimai, sudata e logora come un fazzoletto troppo stropicciato“Sono le dodici, tra circa un’ora vi è il rientro e.. “ “ …”  “Maledetta cretina che sei, sempre a modo tuo.. sempre” esasperata e non si mise a piangere che ero vicina al tracollo e una rapida occhiata sotto le mie gonne la ridusse al silenzio “Che c’è?” una pausa “Olga..” di nuovo “OLGA” alzando il tono, e mica rispose, si alzò in piedi, che le era venuto in mente?. Fece un minuscolo cerchio con le mani, poi le aprì fino a formare la grandezza di una ipotetica, piccola anguria, la vidi deglutire “Olga..” una litania. E capii.
 
“OLGAAA”

Tutte quelle malefiche spinte servivano a preparare la strada per la testa del neonato, che aveva la grandezza di una piccola anguria, in genere, che doveva uscire.. Sarebbe poi seguito il suo corpicino,  l’approccio era arduo. Oddio, volevo l’etere, il cloroformio, volevo fare un parto cesareo, avevo ancora più paura.  Conoscevo la teoria, eh, tranne che la pratica applicata non era stato oggetto di approfondite verifiche e riflessioni da parte mia. Mi sarei messa a prendere il muro a testate, opzione che magari considerò pure lei, fosse stata utile. 
“Tre minuti, non ti muovere, è un ordine, spingi eh, se arriva qualcosa” Imperiale e definitivo, percepii che sbraitava qualcosa in corridoio, acchiappando una guardia, per una volta erano utili. 
“Cat” sussurrò, mi accasciai contro la sua spalla “Siamo due cretine.. “ mi raccontò “Una sorta di prescienza, mi pareva che avessi bisogno di me” la fissai, con lo sguardo sbarrato, non era folle come riteneva  “Quando sono iniziati i dolori veri … ho pensato due nomi, il tuo e quello di Andres” “Ora viene, Andres. Penso “ “Figuriamoci se vuole perdersi lo spettacolo, che nemesi..” Straparlavo, ormai ero uscita dalla tangente, solo le doglie mi inducevano al silenzio “Cioè?” glielo raccontai, in breve sintesi, del nostro primo e romantico rendezvous nel settembre 1915, un calcio ai genitali da parte mia, che avevamo fatto a botte, tentava di dissuadermi dal continuare come agente segreto, con la violenza “Molto efficace.. chi disprezza poi compra, sai” aveva le lacrime da quanto rideva “Cat, cosa posso fare per te? “ “Voglio l’etere, voglio la morfina.. sono stanca, non resisto più..” “No”deglutì “Te li darei, tranne sei troppo avanti, non ti servirebbero” “Fortuna spagnola, eh.. anche se ..” una nuova spinta mi ridusse in silenzio.
.. in teoria un primo parto dura svariate ore, nel mio caso, il travaglio era (pareva)  breve, dalle dieci e tre quarti, intorno a mezzogiorno e dieci eravamo in piena fase ..di travaglio, appunto. Oddio.. ANDRES, Fuentes malefico, me la avresti pagata. 
“Si vede la testa, bravo Andres, se è in queste condizioni è colpa tua” mio marito ebbe la gentile ed esasperata accoglienza di cui sopra,  non mi ero certa messa incinta da sola. Comprese all’impronta, lo percepii vicino a me. 
“Spingi” 
“Non ci riesco..” sussurrai. “Sono esausta” 
“Hai le sigarette, Andres?”
“Fumi?” 
“Volete fumare adesso, Altezza?” 
“Ma siete rimbecilliti, tra tutti e due? Farà come le spezie, ti farà stranutire .. E spingere” mi toccò la pancia, tesa e dura come un sasso, una carezza di conforto. 
L’idea era ottima. 
Andres si tolse la giacca, rimase in maniche di camicia, che si arrotolò, senza badare ad altro che a me.
Olga vide i tatuaggi, gli occhi le si spalancarono in tripla misura, evento quasi impossibile. 
Mi buttarono il tabacco addosso, starnutii e rispettai la previsione di cui sopra.
Non riuscivo a trattenermi più.
Urlai. 
Una volta. Due, tre..
 
I vetri vibrarono, ma quanto fiato avevi ancora in gola, moglie? Le tue urla erano l’eco di una disperazione antica, a cui si aggiunse un pianto acuto e infantile, di chi si disperava per un esilio da un posto caldo e protetto. E i polmoni erano buoni, mi feci il segno della croce. Finalmente, Dio ti ringrazio, un figlio sano che vivrà, sarà il principe dell’estate, il tuo bambino. 
FELIPE..
 
FELIPE.
 
Il suo nome, un ruggito.
 
 
Dai quaderni di Olga Romanov alla principessa Catherine “ Mi spaccasti i timpani, accidenti a te, quindi tutto si svolse in modo veloce, senza ulteriori dilazioni. Ricorderò sempre come Andres pareva un gufo, attonito, felice e entusiasta, rideva e piangeva, la sua camicia era stata riutilizzata e convertita come coperta, in quel bailamme chi si ricordava del corredo che avevamo preparato. Tralasciando che è una tradizione russa avvolgere un bimbo appena nato nella camicia del padre e..che giornata, me la ricorderò di sicuro” 
 
“Cosa è?” tirai su il collo, i tendini in rilievo, come un cordoncino, meravigliata di riuscire a sussurrare qualcosa dopo le grida  di poco prima. E urlava a pieni polmoni, una testolina scura tra le braccia di Andres, movimenti frenetici delle minuscole mani. 
“FELIPE…chi vuoi che sia’” Olga, sorridendo, le braccia intorno alle mie spalle, mi abbracciava, mi riempiva il viso di baci “Sono fiera di te, è perfetto..”
“Lo abbiamo fatto insieme Olga”
“Sì e no, ragazze, anche io ho dato il mio contributo” rise Andres, un buffo inchino, prese Olga per mano, improvvisarono una piroetta, un ballo di gioia.
“Dieci dita alle mani e ai piedi, uno splendido maschietto…”mi tesi, annotando che era un esemplare maschile, appunto, con tutti gli attributi, contai per mia sicurezza e .. “Dammelo”era stato nove mesi dentro di me, era uscito da pochi minuti  e già mi mancava “E’ MIO” 
“Prova ad accostarlo al seno”Andres, splendeva di entusiasmo, già, l’onere per nove mesi era stato il mio, lui a mettermi incinta si era “divertito”.. Insomma, ero stordita, dolorante e.. curiosa.
 
“Che strilli, ciao amore..” sussurrai una barcata di scemenze e tenerezze in spagnolo e russo e francese, allibita che fosse tutto ..intero.  Così sano.  Era buffo, grinzoso, la cosa più squisita che avessi mai visto. Il mio capolavoro, il mio ometto, il mio principino.  E lo avevo fatto io..
 
Istinto, rilevo dalla distanza, me lo accostai al petto e slacciai la camicetta, inclinando il gomito, i vagiti si placarono e iniziò a succhiare, il capezzolo stretto tra le gengive sdentate, o ricordavo mia madre quando allattava Sasha. Avvertii dei crampi all’utero e ancora altro “Ottimo, per far uscire la placenta, prima lo attacchi meglio è”e non mollava il capezzolo, a pochi minuti di vita aveva già capito che il nutrimento dipendeva da lì e non si staccava. “E credo che si rassicuri, alcuni bambini poco dopo dormono, altri si attaccano, altri ancora spaccano i timpani”  e nostro figlio era già furbo da subito, mangiava eh, Fuentes, oppure riconosceva il mio odore, ME, me lo ero portato dentro per nove suntuosi mesi, logico che fossimo abituati, lui a me, io a lui. Che ne so. Fu un momento magico, una pietra miliare. 
“Ora ti sei laureato in ostetricia e ginecologia, Andres?” Olga, pungente, segno che si stava riprendendo dagli ultimi avvenimenti. Ed era curioso che un uomo conoscesse quei misteri femminili, se non era un medico o che.
“No.. tranne che cinque anni fa mia sorella Marianna partorì in anticipo di un mese, unico aiuto si fa per dire io, quindi una certa cultura me la sono fatta, pur non volendo” arrossì come un ragazzino “Ce la saremmo risparmiata entrambi e non potevo mollarla lì, era al quinto parto” 
Olga si mise a ridere, era un pezzo che non era così allegra.  “Te la senti di metterti in piedi, Catherine? Per lavarvi.. “
Annuii, stordita.
Nel giro di una mattina ero diventata MAMMA. 
Diciamo che la mia vita era cambiata, senza revisione, ora c’era una persona che dipendeva in tutto e per tutto da me. Sarei stata in grado di non combinare troppi guai, di non deluderlo? 
 
La fronte alta, i capelli folti e scuri, i lineamenti fini, le palpebre minuscole sopra due iridi chiare, color ardesia, era squisito. Tre chili e ottocento grammi, polmoni perfettamente sani, dalla prima visita medica pareva tutto a posto, era nato a termine. Il breve parto non lo aveva fatto gonfiare, era sgusciato svelto come “un topolino”.. Insomma. Ero giovane, scattante e tonica, le lunghe cavalcate e camminate mi avevano lasciato in ottima forma, e tanto era stato .. intenso.  Travagliante, appunto.

 
 “Posso, possiamo?” Spuntarono quattro teste, bionde e castane, Tata, che guidava la delegazione,  lo raccolse con gentilezza, timida “Visto, arrivato più o meno per il tuo compleanno..” Le iridi grigie scintillarono di pura gioia, una seta cangiante e preziosa, quindi lo prese Marie e poi Anastasia. “Il mio regalo TATA” Lo scalpiccio dei passi, risatine gioiose, la camera ora aveva una piccola culla di vimini, semplice, con delle lenzuola di lino. Ero stata tassativa, avrebbe dormito con me, ci avrei pensato io, niente nurse o che.. Gli ameni soldati, constatando quella spartana frugalità, nulla eccepirono, anzi quel pomeriggio finsero di non vedere tutto il corteo che vi era. Andres era a brindare, credo, e tanto di bambini piccoli ne sapeva più di me, manovrava suo figlio con una sicurezza portentosa, senza ansie apparenti, la sua testa scura compariva a rate dalla porta, gemella di quella più piccola oggetto di adorazione. 
 “Vieni, Alessio, lo vuoi vedere” 
“E’ carino” imbarazzato, non sapeva che dire “Ma è tanto piccolo” gli strinse un piedino, rispetto a lui era davvero un piccolino, sorvoliamo che erano i miei piccolini.
“E’ bellissimo, cosa dici.. Perfetto” intervenne Tata, già, le avevo pronosticato che sarebbe giunto poco dopo il suo compleanno, era nata il 10 giugno, lui il 12, magari non vedevano l’ora di fare la reciproca conoscenza, era il più bel regalo che mai avesse ricevuto, almeno da parte mia. 
“Fidati, più grosso era anche peggio” mi ero lavata, data una spazzolata ai capelli, rispetto ad un’ora prima che grondavo per gli starnuti e il dolore, madida di sangue, i vestiti intrisi di umori, io isterica e Olga disperata, ero presentabile, quasi, credo. Mi adagiai sui cuscini, con un sospiro di sollievo, la fresca morbidezza del lino era un conforto. Le sue sorelle erano prese da mio figlio,  lo zarevic rimase sui margini, non gli tornava, enunciò solo “Cat, bravissima” 
“Dammi un bacio, Aleksey” mi sfiorò la guancia “E’ tutto a posto, sto bene, tranquillo” lo strinsi contro il busto, un movimento leggero e breve, lui appoggiò la fronte contro la mia”Abbiamo sentito le urla in giardino, mi sono spaventato, come tutti, quanto gridavi” e mi ero trattenuta, poverini tutti se sentivamo tutto il festival. 
“Ora è tutto a posto”  un momento “Sto bene, fidati, mi spiace averti spaventato, sono sicura sicura “ sorrise “Non mi prendere in giro, non mi rifare il verso, di quando ho l’ansia” mi carezzò una guancia “Sono grande, che credi” 
“Lo so, tesoro” 
“Ho brindato anche io, un poco di champagne”  ora lo reggeva, anni prima, aventi a Spala, ne aveva sgraffignato una coppa e aveva tenuto concione per tutto il pomeriggio, incantando le dame presenti, lamentando comunque che lo stomaco brontolava. E ancora, una volta, ad Yalta, mentre cercava i regali più graditi per i grandi ad un bazar di beneficenza aveva enunciato che lo champagne era una prelibatezza, che le bottiglie erano sì pesanti, prima che venissero bevute, avevo riso fino alle lacrime “Anche tre goccetti, eh, Aleksey” 
“Veramente erano due coppe” puntualizzò.
“Alessio” divertita, scandalizzata. 
Ero così  eccitata che non sentivo stanchezza o dolore, solo una gioia immensa, guardai di nuovo Andres, lui mi fece un piccolo cenno, ricambiai “Ve la sentite di tenerlo dieci minuti, vorrei dare un presente a mia moglie, grazie Tatiana Nicolaeva” Si innamorata di Felipe nel giro di poco, vederla così sorridente era portentoso ..Tenera, senza la perenne ruga di concentrazione che le attraversava la fronte. Lei ha desiderato un figlio più di te, Andres e Felipe ti sono capitati tra le braccia solo per un gioco della sorte, Catalina Fuentes, cerca di non essere troppo egoista. E mi declinai alla spagnola, la Spagna era la mia nuova casa, il mio posto magico, un riparo. 
“Per te…”mi sfiorò le labbra con un bacio, percepii le bollicine di champagne, il suo respiro tra i capelli, chiusi gli occhi, ecco una scatola tra le mani “Apri, da parte mia e di Felipe”un bracciale d’oro bianco, con topazi e onici, il fermaglio era una “F” con diamanti “Questo è da parte mia, invece”  Una collana, con topazi e onici, ecco la parure. “Ti amo”   “Da sempre e per sempre, Catherine, mi amor, mi querida” 
Dai quaderni di Olga Romanov alla principessa Catherine “ Mamma annotò che era un bambino splendido e non fece un fiato di quello che avevo “combinato”, come se averti aiutato fosse una cosa indecorosa, vide il duro cipiglio nel  mio sguardo, aveva già aperto bocca per sparare uno dei suoi santi assiomi, lei in teoria era sempre perfetta, in pratica..Lasciamo perdere, comprese che era una battaglia persa, una guerra che non avrebbe vinto. Rilevò, invece,  che era il ritratto di tuo marito, che era comune che i neonati avessero gli occhi color ardesia, ma era indefinita. Osservava Papa, definirlo commosso e orgoglioso era una perifrasi, che le tue sporadiche urla finali si erano sentite fino alla parte di giardino dove lavoravano, raggelando i presenti. Avevi urlato a squarciagola, solo nel finale non ti eri trattenuta, parevi una vittima sacrificale, da scannare. E tuo marito aveva mollato la vanga senza spiegazioni, correndo come una scheggia.  Tata era entrata in modalità adorante di tuo figlio meno di tre minuti dopo averlo visto, in concorrenza con Marie,  chi avrebbe indovinato che la mia seconda, riservata sorella,  chiamata la “Governante” fosse così.. dolce. Quello era un tipico tratto di Marie, lei sognava la maternità e tanti figli, Tata era a tenuta stagna, ben raro che esternasse qualcosa .. Io, dopo quel bailamme, ero lieta che fosse andato tutto a posto, Anastasia rilevò che ne sarebbe passato di tempo prima che fosse in grado di correre. E saltare. Alessio si limitò a un sorriso timido, forse andava realizzando allora  che era un bambino vero, in carne e ossa, non il misterioso “bignè” che avevi ospitato nel ventre per nove lunghi mesi, che avrebbe occupato tutto il tuo tempo e le tue attenzioni. Non che fosse ingenuo o altro, per alcune cose era anche troppo sveglio ( ma come lo sopportavi quando era petulante ?) solo che non ci aveva mai pensato, non gli era mai capitato. E alle nove di sera eri già collassata a dormire, Felipe a poca distanza. E tuo marito non brontolava, anzi, per alcune cose era davvero moderno, dicevi che Alessio era sempre stato viziatissimo, tu iniziavi da subito,a viziare tuo figlio,  in barba a ogni tradizione o norma educativa.  Nelle famiglie altolocate non usava affatto, in genere, che una madre allattasse di persona, non era comme au fait, mia madre, per averlo fatto, aveva ricevuto critiche su critiche, e nemmeno a lei era passata per la mente quella totale dedizione, tate e nurses primeggiavano. Uso spagnolo, diceva Andres, e tanto ho il (fondato) sospetto che era la scusa che tirava fuori dal cilindro ogni qual volta ne inventavate una, per non passare da originali. Quien sabe e chi lo sa. E tanto era figlio vostro, mica di altri, decidevate voi due” 
Felipe Fuentes, principe, figlio di un eroe e di una leggenda, Andres e Catherine. 

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Capitolo 14
*** FELIPE ***


“Sono ansioso, è diverso”  raccontò invece Andres ad Olga, la confidenza che si era creata dopo il mio parto era quella tra due amici, ogni traccia di imbarazzo e timidezza era caduta,  due camerati, due compagni di sventura.
“Penso di sapere, forse, il motivo, mi spiace”si fissò le  nocche, un poco imbarazzata.
“Già,” si riferiva ad Isabel e Xavier, le sue perdite irreparabili, un senso di colpa che lo aveva quasi ammazzato, si era imposto un esilio semi volontario dalla Spagna, finendo in Russia da mio zio R-R, era diventato un eroe, un picador, di tante per non essere di nessuna, guarendo dopo anni, o quasi, dal quel tormento, che sarebbe rimasto sottopelle, occultato almeno un poco.
“Mi spiace, Andres, per quello che hai passato” dandogli del tu, glielo avevo raccontato io a rate, era presente quando sua madre aveva appurato che un’ala del novello ospedale fondato ad Ahumada, Empratriz Alejandra, in onora di Alix, era stata intitolata a Xavier Fuentes “.non per intenti celebrativi del nostro nome, quanto in onore e ricordo di un bambino che è stato e non è più..” (quando Andres lo aveva saputo avevamo avuto  un litigio tremendo, ci eravamo straziati a vicenda, da quanto litigavate i muri tremavano, mi aveva rccontato Alessio, che si era ritrovato non volente nel parapiglia)
“L’avevo chiamato Xavier come mio padre, Xavier dei Fuentes, era il 1901, se fosse nato nei tempi giusti avrebbe compiuto sedici anni prima dell’estate. Mia moglie Isabel aveva scelto lui” si passò una mano sulle tempie “E anche Catherine, se si metteva male, avrebbe scelto il bambino..” Lei annuì con la testa “Dopo che successe, Altezza Imperiale, me ne sono andato che quel dolore era troppo grande e la mia casa troppo piccola, volevo morire e non mi è riuscito”
“Come lei” ovvero me, quando avevo perso Luois e il mondo mi era crollato addosso, me la ero svignata in grande stile. Andres abbozzò un sorriso, tornò al discorso di prima “Stanotte mi sono svegliato almeno sei volte, per essere sicuro, in sincronia con mia moglie.. “
“E lei ai tempi non voleva un marito, una famiglia, invece.. “ avevo paura, Andres, di essere inadeguata, non volevo soffrire.. E tu, prima di rimetterti in gioco, quanto avevi aspettato..  Quindici anni, la contabilità, o quasi, di una vita intera..
Never say never. Thank you again, Cat’s worried about her scars, you know, on her back and on her arms, you’ve preserved my wife from a great stress” Giusto, Olga sapeva dell’armamentario che mi portavo dietro sulla schiena e le braccia, mi aveva evitato una ulteriore agitazione, la sua replica fu tagliente“Ho visto i tatuaggi, comunque, sono belli, vi sono anche dei nomi... preciso che io sono la prima ad avere chiamato Cat tua moglie “
“Non vi sfugge nulla, eh..E per lei, questo e altro, per Catherine andreste dritta in un pozzo, al diavolo se non vi fossero uscite e viceversa, già Catherine, alla francese, per economia, nome e patronimico troppo lunghi. O perché VI PIACEVANO I GATTI” Un cenno di assenso divertito.
“Non occorre una grande intelligenza, mio fratello una volta mi ha raccontato di un cavaliere con le braccia tatuate. Era la primavera scorsa e mi narrava di un leone rampante tiene tra le zampe una rosa, è il blasone di un giovane ragazzo che ha un coraggio immenso e combatte tante battaglie. Il coraggio di un leone, sa essere misericordioso, amare il mondo e le sue bellezze.. la rosa ricorda quello”Pausa “ E se lo è tatuato su un braccio per ricordarsene..Vi è molto affezionato “ Andres annuì, gli voleva molto bene anche lui. Glissarono che Olga, per me, sarebbe andata all’inferno, e viceversa, lamentando che non era tanto caldo.
“Già, e una torre una conchiglia, simboli araldici della mia casata, un omaggio .. e vari aggiornamenti”  Ovvero, una rosa bianca, di squisita perfezione, sull’avambraccio destro, ove era scritto  “Catherine”, che la sua rosa invernale ero io. E sotto il fiore tenuto dal leone rampante, l’elenco era stato aggiornato, vi era Xavier 1901, poi Sophie 1912 e Felipe 1917, i nomi che lei aveva osservato.  I suoi figli, che avrebbe sempre portato con sé. E andava bene in quel modo, lo capì anche Olga, chinò la testa e sorrise, Andres le baciò la mano e scemarono nel silenzio.
Il bailamme del mio parto, la discrezione, permettevano quegli intermezzi, Felipe aveva catalizzato tutta l’attenzione, in positivo. La maternità mi assorbì e prosciugò quasi ogni attenzione che non fosse per Felipe, appunto,  ero totalmente concentrata su lui e Andres, in linea generale, felice come una Pasqua, mi pareva un miracolo giornaliero.
“Felipe e … vorrei aggiungere Alexander, come tuo zio e tuo fratello, mm, che ne dici?” passai il bambino all’altro seno, feci cenno in modo vago. R-R ne sarebbe stato lieto, come Sasha..annotai tra me, respirando il profumo di glicine e caprifoglio che entrava dalla finestra aperta, il sole entrava danzando, era una superba giornata estiva. Olga e compagnia erano a lavorare nell’orto “Catherine?”
“Io stavo pensando al battesimo”
“Giusto”Aveva tre giorni, in genere il rito era somministrato per la fede ortodossa qualche settimana dopo la nascita, salvo contingenti situazioni. Ma i Fuentes erano una stirpe di principi cattolici, da dieci secoli e rotti, mi ero convertita.. Fossimo stati ad Ahumada,  in Spagna, si sarebbe tenuta una suntuosa cerimonia, tranne che eravamo a Carskoe Selo, in Russia, e a breve giro dubitavo di incrociare qualche sacerdote cattolico. “In situazioni particolari, un laico può battezzare un neonato, e .. è importante, Andres”  per  lui, io e la religione … una questione su cui non mi pronunciavo. Ipocrita spesso, e non su quello, glissavo per pudore e comodo e tanto Andres, in fondo al cuore, credeva che ci fosse qualcosa o qualcuno“Potresti farlo tu, ed essere anche il padrino”  leggermente fuori dai canoni di Santa Romana Chiesa, fino a lì ci arrivavo e DOVEVA essere battezzato.
“Va bene, ci stavo pensando io pure”
“Felipe Alexander Fuentes, mi suona bene.. “
“Acqua,  un crocifisso.. “Andres iniziò ad elencare ad alta voce, io lo posai nella culla, decisi che mi sarei messa il vestito color crema, di organza, con gli inserti di pizzo su collo e maniche, gli orecchini e il bracciale e la collana di topazi e onici, sperando di non dover lavare tutto di gran carriera, per un rigurgito vagabondo. “…il  crocifisso cattolico, in ogni caso, un cero …”
“Catherine, hai studiato la liturgia!!” rise, un poco in imbarazzo. Sì, mi ero documentata, mi pareva d’uopo.
“ E vorrei mettere anche Alejo, Aleksey in spagnolo,  lui non vuole che usi il suo nome ma.. sarebbe un segno, un ricordo”ripensai alla sua bizza ( o io la consideravo tale) del laghetto, decisi di non tenerne conto “Un onore  che lo zarevic non vuole..”
“Un omaggio ai tuoi fratelli..! già… quindi Felipe Alejo Alexander, in ordine alfabetico, per economia Felipe Fuentes”

“Ego te baptízo in nómine Patris, et Fílii, et Spíritus Sancti.”  Nessuno deve mutare queste parole, da pronunciare insieme al nome.
Il battesimo fu semplice e contingente.
 
“Mi Hijo, Felipe” 
Mio figlio, Felipe. 
“ Ti propongo un breve precetto: ama, e fa ciò che vuoi. 
Se tu taci, taci per amore: se tu parli, parla per amore; 
se tu correggi, correggi per amore; se tu perdoni, perdona per amore. Sia in te la radice dell'amore; e da questa radice non può derivare se non il bene.
 Sant'Agostino”  Olga segnò quella citazione nel quaderno azzurro, quello che mi aveva regalato Alessio per i miei 22 anni, cercai di farne tesoro.  

Le sue letture erano lucide, poliedriche, di rara potenza, sempre mi spiazzava. Il coraggio dei vecchi tempi dorati, ricordo che un pomeriggio ci facemmo fuori un vassoio di pasticcini, come ai trascorsi e gloriosi bei tempi “ A te fa bene, che allatti, io ti faccio compagnia, non sia mai che ti mangi tutto da sola “ Tea time e risate, sempre noi eravamo, lisce come raso, una vena pulsante di allegria e naufragio.



“Fai una foto, Catherine” obbedii, cercando di rimanere impassibile. Tutte e quattro le granduchesse perdevano capelli a ciocche intere dopo la malattia e avevano deciso di rasarsi la testa. Andando fuori, vestivano sciarpe e cappelli, tranne che, a un cenno di Olga, rimossero il tutto, le teste calve sotto il sole, una dettagliata, esaustiva malinconia. Una sfida e un sorriso contro lo stupore di Gilliard e la sorpresa indignata dei loro genitori “E’ un cattivo segno, di malaugurio”Alessandra.
“E’ una cosa spiritosa” intervenne Olga, scrollando la testa, i piccoli orecchini con le perle che parevano annuire con lei.
“A me parete un coro di cantori, o un gruppo di tartari, entrambi usano rasarsi” glissai io, evitando di osservare che anche per i carcerati vigeva quell’uso.
“O di reclute, anche loro si rasano a zero” annotò Aleksey. Io mi ero ritrovata direttamente con i capelli rapati quando avevo il morbillo, tagliandoli poi quando ero diventata un soldato ed una spia, adesso si erano allungati e le ciocche vibravano sotto il sole, riflessi di mogano e rame. E  riuscivo a comporre uno chignon che, alla prima occasione Aleksey smontava, una abitudine di quando era piccolo, che riappariva a rate, ormai ne ridevo, i problemi non erano quelli.  Sempre meglio di quando pretendeva di fare il barbiere, ci erano voluti gli argani dal dissuaderlo da quella sortita, che tagliava dappertutto e male, i suoi marinai-tate avevano avuto il piacere, come il precettore di inglese, Gibbes.
“E ora una noi”Tata si rimise il cappello, strinse Felipe tra le braccia, venne salutata con uno sbadiglio, scattai, rimanendo basita di come lui fosse tranquillo con lei, tranquillo lo era in generale, e pareva adorare Tanik, peraltro ricambiato con zelo e trasporto. “ Lo vizi, Tata, appena caccia uno strillo lo sollevi, sempre che le tue sorelle non le intercettino, fate i turni ..” io ero giusto la fonte di nutrimento e tacqui, sarebbe stato da egoista possessiva, e cercavo di non esserlo, me lo ero tenuto in grembo solo nove mesi, lottando con mal di schiena, insonnia, gonfiore e starnuti. E mi davano una pausa, in mani migliori non lo potevo lasciare. “E’ delizioso, davvero, sarà un conquistatore.. “ lei l’aveva accalappiata subito. “E’ tranquillo”
“E’ servito e riverito, mangia ogni tre ore, appena caccia uno strilletto viene preso in braccio..dicevo di Alessio, che era viziato, avrei fatto male a tacere”
“E’ bellissimo” le strinse un dito con le manine, una reciproca conquista.
“Ti ricordi a marzo, aprile quando dormivamo tutti e quattro insieme” lui nel pancione, io in mezzo ad Olga e Tata, prima che rientrasse Andres, un conforto, una vicinanza
“Sarebbe bello tenerlo… ma come si fa? “ Tata lo sollevò tra le braccia, le gambette oscillavano, se lo raccolse addosso, erano belli e fragili, una miniatura orientale.
“Dici con te e Olga? “ Si tenevano occupati con le lezioni, la cura dell’orto, e tanto..il tempo non passava. Avevano lavorato come infermiere, erano state  patronesse di molti comitati, attualmente erano solo le ex granduchesse, figlie di una tiranno e di una meretrice, che cercavano di occupare il tempo nell’attesa  dell’esilio, di rincominciare“Di notte?”
“Ma deve mangiare, lo allatti tu” e mio figlio sbadigliava e gorgogliava “Ne ho per tre” posai il palmo contro il seno dolorante, mi toglievo il latte e lo mettevo in un biberon, se all’una e alle quattro di notte,  giravo la testa sul cuscino e non mi alzavo, provvedeva Andres, che dire, l’eroe della calle Mayor, il picador era una costante sorpresa..
Maneggio le armi, ne ho fatte tante e non so gestire mio figlio, via su, Catherine, dormi. Se gli combino qualcosa so che mi torci il collo e io sono un padre diciamo moderno. E tanto dormi con un occhio solo, come i gatti, su .. Gli dava il biberon, lo teneva sulla spalla per il ruttino, sapeva fargli il bagnetto, cambiarlo,  che volevo? Avesse potuto lo avrebbe allattato lui, talmente era preso, era delicato, preciso, meglio di una tata.  E io ronfavo, anche se con un occhio solo, scattavo appena sentivo uno strilletto anche se, in apparenza, ero nel sonno più profondo, senza stelle o sogni.  Riflessi da mamma, altro che storie. Andres era un out sider, quando voleva, dei presunti usi e costumi in quell’ambito se ne fregava bellamente, come su altri fronti. Seguiva  le sue regole personali, aveva aspettato una vita intera prima di avere un altro  figlio, ora se lo voleva godere, ed era un uomo, un vero uomo.  In molti campi aveva le sue idee, quello era quanto, sbattendosene bellamente delle cosiddette convenzioni del mondo.
“Dopo le dieci, salvo variazioni, mangia all’una e alle quattro.. Lo vorresti tenere con te e Olga ? avete più pazienza di me”
“…pensi che saremo in grado? Ti fidi?” stupita, come se fosse un regalo che non ritentava di meritare, e dai.
“Il latte me lo tiro a prescindere”ero una latteria ambulante, appunto, tra le perdite alle tette e nelle parti intime, alle volte, mi sentivo una mucca. È normale, diceva l’ostetrico, in genere sono sei settimane, di perdite, passate potete riprendere i rapporti (non vedevamo l’ora). “Se non mi fidassi, non lo toccheresti nemmeno con un dito, senza offesa”
“Benissimo, e ci concedi questo permesso lo vorranno tenere anche Marie e Anastasia”
“Ora non ci sbilanciamo troppo, vedremo, prima vediamo con voi due” E glielo concessi, dopo la metà di luglio, chiariamo.


“Una specie di gioco” anche Alessio si era voluto tagliare i capelli, per solidarietà con le sue sorelle, spuntavano cinque teste rasate da sopra il divano della playroom. Macabro, parevano cinque grandi bambole. E sorrisi, cercando di non coltivare il malaugurio e i cattivi presagi.  Quel giorno aveva avuto la soddisfazione di buttarmi vestita dentro il laghetto, lo avevo acchiappato al volo, quindi mi ero stesa sul dorso, galleggiando, una minima nuotata “Brava, hai mantenuto”
“Se posso, sempre”
“Mi manca il mare, di quando eravamo in Crimea” tra le mani avevo una foto di noi sulla spiaggia, l’estate del 1912, prima di Spala “O le crociere sui fiordi in Finlandia, passeggiate, i picnic..”
“Nuotare.. Anche se ti svaghi nel laghetto ”Aleksey rotolò sulla schiena, sottile e fiero come un giovane salice, era un afoso pomeriggio di fine giugno, a occhio mi pareva cresciuto ancora di statura, le orecchie rimanevano buffe e tenere, nel viso abbronzato i suoi occhi parevano ancora più grandi ed azzurri “Sono stanco, credo che farò un pisolino ..”battendo un colpetto sul divano, un invito a fargli compagnia.
“Beh..chiudi gli occhi” la fronte era fresca, non aveva febbre o dolori, almeno non me lo aveva detto,  mi stesi vicino a lui, la sua testa si incastrò contro la mia spalla, pace se era caldo, lo cinsi tra le braccia, mi tirò un calcio affettuoso sui polpacci, come ai bei tempi “..che ne dici se mandiamo il nostro amico cavaliere a cavalcare sulla spiaggia..prendendo spunto da quello che mi hai detto” un mormorio di assenso “…il mare pare tutto uno con il cielo, azzurro e grigio, l’orizzonte quasi non si vede e il ragazzo cavalca con il baio sulla risacca, saltando tra i marosi che muoiono  a riva, il viso si impiastra di sale.. Fa una gara con i gabbiani, che volano sopra di lui, si specchia  nelle pozze d’acqua, ride e si diverte.. Come mi divertivo io a farlo” lo cinsi con delicatezza “E’ bello passeggiare a filo d’acqua” riaprì gli occhi “A volte correvo filato da te, e mi prendevi in braccio” “ E sorridevi” magari aveva voglia di fare due parole, altro che sonno, era una scusa “ Già” si irrigidì cosa partoriva la sua mente irrequieta e saltellante“Che succede? Aleksey, che hai”gli sfiorai le tempie, contenta che fosse in modalità affettuosa, per una volta.
“Perché hai usato il mio nome..non volevo, anche se è il secondo appellativo”
“Perché mi piaceva, Felipe, amante dei cavalli,  il tuo nome .. colui che protegge, Alexander, il figlio del sogno è una bella carrellata. Chi te lo ha detto?” mica rispose “Perché non volevi, Alessio, seriamente? Non voglio farti arrabbiare, spiegami”
“Perché lui non deve essere come me, in nessun modo”
“EH?” una sola sillaba interrogativa, la mia “Visto che sei così intelligente, arrivaci, avanti” non sospirai per la frustrazione, che pensava? Era geloso, un capriccio, una pensata estemporanea.  O no?  Una sfida e.. “Che vuoi dire, lui è un neonato di manco un mese, tu un ragazzo grande ”
“Come ero da piccolo?” ora iniziavamo con i nostri dialoghi a morsi, spizzichi e bocconi, che potevano durare a ore intere. E non era per irritarmi, magnanimo, mi concedeva un indizio.
“Bellissimo, paffuto e sorridente…” sul filo dei ricordi.  “Sembravi una bambola, e davi soddisfazione, cioè se ti mollavo ti mettevi a piangere, sorridevi e gorgogliavi, un vero rubacuori, se non ricomparivo la bizza era assicurata “gli baciai il polso, ridacchiò, il birbante “ Ed eri talmente bello e..” Oddio.
A sei settimane,  aveva cominciato a sanguinargli l’ombelico, il flusso era durato  per ore e il sangue non coagulava.
Era la sua prima emorragia.
Era emofiliaco.
Il giorno avanti mi aveva sorriso per la prima volta.

La consapevolezza mi investì, una dolorosa staffilata. Se avevo capito.

“Tesoro, Felipe non è come te,  per quello” le prime parole, quando ripresi fiato, riferendomi all’emofilia, capire finalmente il motivo era come ricevere un pugno nello stomaco. Almeno nella mia famiglia non vi erano precedenti  “E chi lo dice?” una nuova sfida, mia e sua, trattenni il fiato, mi imposi di evitare vuote formule rassicuranti. 
“Io e .. non è una balla per rassicurarti, lo so. Per  sbaglio tre giorni fa gli ho appuntato la manina con l’orologio, mentre lo cambiavo ed è uscito del sangue, un taglietto. Ha pianto, perché mi sono spaventata e.. ha coagulato subito,  Aleksey, era una piccola abrasione” lo dicevo per me e per lui, era stato un dramma, ero sua madre e lo facevo piangere. Inutile che Andres mi avesse rassicurato, poteva succedere, era uno sbaglio, avevo pianto come una fontana o forse era lo stress di quegli ultimi mesi, a volte mi chiedevo dove attingere la forza di non essere isterica. Retoriche domande, ammetto ora, mi bastava un momento come quello per ricordarmi di non cedere.  Una crudele e malinconica assenza, che tornava a rate
“Voglio vederlo, dopo, te lo dico io se non coagula o meno, sono esperto” una pausa straziante, sentii il sottile rilievo della sua stretta “Aleksey.. io ..” averlo potuto tenere al sicuro, sempre, lui che si illudeva che io lo tenessi al riparo, lo proteggessi “Mica è colpa tua se sono così, quindi non dirlo, mi spiace” le dita sulle labbra “Non lo auguro a nessuno, di rischiare la morte per un urto di troppo”ripresi le parole di una sera lontana, di novembre, di  quando era venuto nel mio alloggio, dopo un infelice soggiorno dalla zarina madre, che lo aveva definito un impiastro e una rovina, uno sfogo. 
“Sì ..ma ti ha reso sensibile, empatico verso chi soffre, quando sai che ci sono dei problemi agisci da subito per risolvere, no? Sarai saggio, accorto.. , lo sei già, rettifico. E hai imparato a stare attento, e fatto cose che non ritenevi possibili, no? Le armi e andare su Castore, che spettacolo” Un cavallo baio, superbo, di squisita bellezza, su cui avevo cavalcato il vento “E cerchi di stare bene, sempre, ami la vita, Aleksey, sei un esempio”mi diede un bacio all’angolo delle labbra, rapido, approfittando, che in genere non volevo, mai, da sempre, avevo ceduto solo da poco, in circostanze speciali. Sorrisi, posai la guancia  sulla sua. “Lo strappo, eh.. che la regola è quella, io non sono tua madre, questi gesti sono per lei, non per me” sorvolando sulle sorelle..
“ E sei un lottatore, non molli mai, come Achille” Seria. “Mi hai dato l’esempio, ripeto, di non arrendermi, il mio guerriero”
“Convinta te,  se mi riuscisse a crescere, avere dei figli, sarebbero come..”
“No, niente emofilia” pronunciai sottovoce la parola proibita, tacendo che il morbo passa di madre in figlia e che le nostre sorelle avrebbero potuto generare a dead walking child. A loved, frail baby boy. Il morbo mortale passa di madre in figlio, generi un maschio e gli dai la morte, se ha il morbo, alle volte era un miracolo che Alessio fosse arrivato al traguardo dei 13 anni, in genere gli emofiliaci morivano nella prima infanzia “ E non lo affermo per farti contento, Alessio, lo dice la scienza, non io.”
“Va bene” mi abbracciò ancora, aveva percepito il mio tono netto, deciso, senza repliche. “Rimaniamo un poco così” mi baciò sulla fronte, delicato “Grazie, Cat” scrollai le spalle, non ti inventare le cose, zarevic, che non ci siamo. Solitudine, candore, eravamo sempre noi. E Alessio percepì tutto l’amore che avevo, se ne rivestì come uno scudo, una protezione. “Forza.. appoggia la testa contro il mio gomito, stiamo insieme”
“Io e te, come prima” vide la mia replica sul punto di sgorgare “Lo so che non è come prima, hai un  figlio, e mi vuoi bene, però mi fa piacere, che tu stia con me, Cat, alcune cose restano sempre uguali, mi vuoi bene, me ne hai sempre voluto, come io a te”
Gli massaggiai le mani, palmo su palmo, tacendo per non rovinare tutto. Era bello, malinconico, come un giorno d’autunno.
Cat, portami via.. Tienimi stretto, per sempre, non mi lasciare. 

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Capitolo 15
*** Goodbye ***


Lo zar annotava nel suo diario che i giorni erano divisi tra lezioni e passeggiate, lui si dilettava a leggere ad alta voce, la sera, una serie monotona, senza evidenti rilievi, in attesa dell’esilio. Si sperava ancora e di nuovo per l’Inghilterra, mia moglie mi aveva riferito che aveva proposto la Spagna, il castello dei Fuentes. La rocca millenaria dalle mura di pietra, coperta di edera, scintillante miraggio nel tramonto, Mi casa.. in spagnolo, casa mia. Comunque, ogni tanto capitava qualcosa di inusitato, come che i “bambini” (Olga andava per i 22, Alessio per i 13, veramente dei piccoletti) si erano rasati o le fissazioni delle guardie.
“Ieri sera Papa ci stava leggendo quando alle undici di sera è entrato un cameriere, agitato oltre ogni dire, rappresentando che il Comandante di Palazzo voleva parlare subito con lo zar..”Olga accostò Felipe sulla spalla, di certo stava per uscire con un racconto sarcastico, Catherine si mise in ascolto, come me, curiosa, lei a quell’ora era a nanna da un pezzo “E che ha pensato? Magari che era successo qualcosa di grave nella capitale, che so una dimostrazione dei bolscevichi contro il governo provvisorio e che doveva essere mostrato..”
“Sì, Cat, quindi il Comandante è entrato di gran carriera, accompagnato da altri due ufficiali, spiegando che una guardia aveva avvistato dal parco segnali con le luci verdi e rosse dalla stanza dove eravamo. Solerte, ha avvisato chi di competenza, come con competenza frugano nello yogurt, sai tutti questi messaggi segreti. “
“Che segnali, scusa?”Immaginando la scena, il pronto ordine di chiudere le tende, anche se si soffocava per il caldo. 
“Uno del trio è rientrato e ha spiegato il mistero, Anastasia era seduta vicino alla finestra, facendo l’uncinetto, ogni volta che si alzava per prendere quello che le serviva al tavolo, copriva e scopriva con la testa, a turno, le due lampade con i paralumi verdi e rossi presso cui Papa stava leggendo..Immaginati la loro confusione, quando si sono ritirati”

Ridevamo per non piangerci. Intanto, in quel mese di giugno era stata venne lanciata una massiva offensiva contro l’Austria, avanzando a spron battuto in Galizia, gli austriaci si ritirarono con ingenti perdite.  La Germania li soccorse e il contrattacco tedesco causò una rovinosa ritirata. Nella capitale vi furono sommosse e manifestazioni, cortei che sventolavano le bandiere rosse (simbolo bolscevico), urlando contro la guerra e il governo provvisorio.. Il governo provvisorio mantenne il potere, per il momento,  tranne che le sommosse e le rivolte, sempre più ampie, accoppiate al collasso di industrie e esercito, l’inflazione galoppante, i movimenti indipendentisti in Finlandia, Polonia, Caucaso e Ucraina conducevano verso il collasso e la disgregazione. 
Kerensky non voleva essere il Marat della Rivoluzione russa, considerava l’ex famiglia imperiale e Nicola Romanov anziché nemici politici, “esseri umani”, sotto la sua protezione, ogni manifestazione di vendetta era “indegna delle Russia libera”. Belle parole, in teoria. In pratica “I bolscevichi mi stanno alle costole” disse Kerenskiy allo zar “ E poi toccherà a Voi”. Infatti, nel palazzo di Tauride, sede dei bolscevichi, appunto,  vi erano serrate discussioni circa l’dea di invader il Palazzo di Alessandro, giustiziare I Romanov, Kerensky li tamponava come poteva, cercando di impedire un processo pubblico ai danni dello zar e della zarina. L’Inghilterra aveva rifiutato, infine, asilo politico e ogni giorno la loro sicurezza era sempre più labile. Per sicurezza, vennero mandati in Siberia, in agosto.  Come un pacco postale.


Olga osservò la mia mancanza cronica di gioielli, annotando che indossavo la collana con la perla, loro regalo per il natale 1905, a cui avevo agganciato la vera di Luois e l’anello di fidanzamento di Andres, un suntuoso diamante. Oltre alla fede nuziale all’anulare della destra e gli orecchini con onice e topazio. Quei monili  si accompagnavano al bracciale e alla collana coordinata, che tenevo in una scatola e comparivano a rate “Varia, sembra che tu abbia solo questi”
“Non posso”
“Ne hai a iosa di gioielli  …una squisita collezione” quindi “Cat..dimmelo, avanti, che qualcosa è successo” ed ero arrossita e mi schermivo “… a marzo, quando dovevano essere decretati gli arresti ufficiali, ho preso i preziosi e alcuni liquidi, sono andata a piedi alla parte cattolica dell’ospedale, li ho dati a Jaime” “Ti dovevi riposare e ..sei uscita”avevo sfidato il ghiaccio, il freddo, con una pancia di oltre sei mesi, la preoccupazione che dominava il tutto, intuì che erano serviti a tamponare, corruzione e delirio, lo avevano arrestato, un mese infinito ed era andata di lusso che non lo avevano spedito alla fortezza dei Santi Pietro e Paolo “E lui, Andres, è il figlio di un Grande di Spagna, ha uno speciale passaporto che gli garantisce di non essere arrestato, a lui e sua moglie, una immunità speciale.. Un Grande di Spagna, un titolo appena inferiore a quello di principe ereditario, di Infante, principe delle Asturie” pronunciò i termini in spagnolo” E..e hanno fatto questo“era allibita, scandalizzata e arrabbiata, lasciamo stare quello che stavano combinando ai sovrani di Russia“Venuto fuori dopo, o lo hanno fatto venire fuori dopo, Olga, sia mai che il governo provvisorio e la loro congerie creino un incidente diplomatico, e lui è uno degli eroi di calle Mayor, un generale, per quanto in congedo..” mi ci arrabbiavo ancora, a ripensarci “L’ho fatto presente fino a sgolarmi, con chi di competenza e ..” “Jaime è un sacerdote, teoricamente è intoccabile..E non hai detto nulla, nemmeno  un fiato” “Eravate malati e turbati, per l’abdicazione, vi avrei agitato ancora di più..” un sospiro pesante come un macigno “Olga, scusami” “Tieni questi” “Olga, non posso davvero” “E’ un ordine” due piccole perle, che fiorivano su piccoli petali d’oro, di squisita bellezza e fragilità. “Hai fatto così tanto per me..” “Guarda che alla fine,  è un buon affare, per me  non ha prezzo, che ne faccio degli ori, se non ho lui” un momento di riflessione“ Già per te lui è incommensurabile, te la sei cavata a buon mercato, eh.. E si fa per dire, era una fortuna” i miei gioielli dispersi valevano solo 400.000 rubli, una cifra esorbitante, e avrei pagato il sestuplo, il decuplo, via così, Andres valeva tanto oro quanto pesava, alla lunga era un buon affare, per me, non avrei saputo quale cifra attribuirgli.  Appunto, come quegli orecchini, erano senza prezzo, che me ne facevo, di gioielli, lusso e pellicce, se non avevo lui? E viceversa...


Dai quaderni di Olga Romanov alla Principessa Catherine” Trascrivo il verso 362 del sesto libro dell'Eneide di Virgilio «Nunc me fluctus habet versantque in litore venti», ossia «Ora mi tiene l'onda e mi avvolgono i venti sulla spiaggia», con cui Palinuro, anima bloccata nel Purgatorio, descrive a Enea le condizioni dei suoi resti, io mi sento alla deriva Catherine,  e tuttavia.. Semper eadem, sempre la stessa, cito Cicerone, sempre uguale, spero di rimanere invariata nell’amore che ho per il mondo e le sue bellezze. Stanchezza e vigliaccheria, quella primavera a Carskoe Selo avevamo ancora come tetto sopra la testa la casa della mia infanzia, e tanto era prigionia, una danza tra le spine, ci trattavano come criminali solo perché eravamo i figli dell’ex zar e della tedesca“

“Ero tremendo” raccontò Alessio ad Andres, mentre scoccava una freccia, era coordinato, preciso come sempre “Quando Mr Gibbes (il precettore di inglese) mi vide la prima volta ero sui nove anni e lo misi in imbarazzo, lo fissavo per tutto il tempo, vestiti, modi di fare, e interrompevo spesso la lezione per chiedere di portarmi dei dolci, una volta facemmo dei cappelli di carta e io continuai fino allo sfinimento”
“Già e poi brontolavano che non avevi mai fame..De gustibus non est dispuntandum” Andres ghignò, servendogli la nozione di latino, l’aria estiva vibrava, dorata, era una stagione bellissima, mite ed opulenta “Sempre meglio di quando mi sono infilato sotto un tavolo e ho preso la scarpa di una damigella d’onore, portandola a mio padre, un trofeo che ho reso e, dopo, lei ha strillato”
“Che ci avevi messo, una fragola?” prevenne il suo stupore “Me lo ha raccontato Cat, credo che sia diventato un episodio leggendario” gli era stato vietato l’accesso al tavolo serale per settimane, era un genio nel combinare guai, pieno di gioia di vivere. Il degno complice di Anastasia, per gli scherzi e le buffonate. A circa otto anni, durante un party per bambini, era saltato da un tavolo all’altro, imitato dai suoi sodali. Quando Nagorny, il marinaio, avevano cercato di calmarlo aveva detto gaio “Tutti i grandi devono uscire” e cercava di mandarli via.
“Comunque il gusto per gli scherzi mica mi è passato..”
“Ah già” rise Andres, potevano parlarne, non era un argomento proibito, si ricordò, aveva quasi tredici anni e tutto il diritto di divertirsi. Era stato alla Stavka, nel mese di giugno 1916, circa, una cena per soli uomini, una festa o che, Andres non  lo ricordava, sedeva vicino al granduca Sergej Mikailovich, uno dei cugini dello zar, e a R-R, suo mentore e zio di Catherine, peraltro a zonzo per i suoi casi.  Alessio entrava nella stanza da pranzo e ne usciva, molte volte, snervante come sempre, quando era rientrato con le mani dietro la schiena Andres si era messo in allarme, che stava dietro la sedia di Sergej Mikailovich, che mangiava, peraltro. All'improvviso lo Tsesarevich aveva sollevato le mani, teneva mezzo melone nascosto dietro di sé, svuotato della polpa, rimaneva solo il succo, che era caduto sulla testa del Granduca. Il liquido era scorso sulla faccia e sul collo, così copioso che il poverino non sapeva come fare, un improvvisato e non gradito cappello. I presenti si erano a stento trattenuti dal ridere, Andres aveva nascosto il sorriso dietro il tovagliolo, mentre lo zar si conteneva appena e il colpevole aveva lasciato ridendo la stanza da pranzo
“Ora butti tutti dentro il laghetto, si salvi chi può.. E comunque, bravo davvero, io non ero così coordinato, o così fantasioso”gli sorrise, una piccola pacca sulla spalla.
“Ho fatto impazzire pure te..”
“Sì e no. Comunque mi fai divertire, era tanto che non insegnavo a qualcuno a tirare di boxe..ovvero la nobile arte del pugilato” e gli raccontò un buffo aneddoto al volo.  Se il pomeriggio faceva un poco più fresco, si metteva un giubbotto leggero, tranne che lo doveva infilare pure Andres, non fosse mai. Lo adorava, ricambiato con zelo, imitandolo in tutto. Il mio piccolo principe.

Ed era un ragazzino coraggioso, sempre. Che cercava di godersi la vita. Sempre al Quartiere generale ne aveva avuto un assaggio, Andres, che Aleksey era un vero campione. Tutti, tranne che i bimbi piccoli, gli anziani e i malati, erano tenuti a digiunare la sera avanti prima di prendere la comunione, per la chiesa ortodossa. Per lo zarevic una dispensa era scontata, era piccolo, nel giugno 1916 si stava riprendendo da un attacco che gli era preso nell’alloggio che divideva con lui e Cat (lei lo aveva vegliato per giornate e notti intere, inventando mille distrazioni e storie per dargli una pausa, Aleksey si agitava appena lei si allontanava un minuto) Era a letto, stava un poco meglio e tanto aveva dolore “Voglio solo un poca d’acqua Cat” “Non hai fame?” basita, che sentiva i brontolii del suo stomaco“sì..” un piccolo sussurro “Ma domani prendo la comunione” lei aveva taciuto, spiazzata, cercando di capire “Vai per i 12 anni, non sei più un piccoletto, vero” “Sì” Non trattatemi sempre da malato, o da bimbo piccolo, la sua inespressa preghiera, gli occhi azzurri e affilati sul visetto magro “Va bene” tralasciando che si era serrato tra le braccia di Catherine, o era lei, erano talmente in simbiosi da ignorarlo, la punta dei nasi, freddi, che si sfiorava. “Cerco di trattarti da grande, va bene” “Non sempre e non su tutto” “Ovvia Aleksey..” esasperata e divertita “Mio imperatore dei viziati, va bene, mica decidi sempre tu” “Sììì” “No..” scherzando, un filo teso, lo amava anche se era viziato, ansioso, petulante, pensava Alessio. “Ora riposati, campione, rimango fino a quando non ti addormenti”, e oltre, era rimasta fino alla mattina, lo aveva aiutato a lavarsi e vestirsi.

“Come eri da ragazzo, Andres?”
“Un solitario, Alessio, ed uno scocciatore” sua madre stava morendo, la prima irreparabile perdita.   E si era forgiato nella distanza e nell’attesa. Sue distrazioni lo studio e i vagabondaggi, andare a pesca, suo padre gli dedicava tempo, allora non comprendeva che, nonostante il suo strazio, cercava di non lasciarlo solo, a lui come i suoi fratelli. Occhi verdi, di fumo, ormai spenti, che  erano tornati in sua figlia Sophie, di cui aveva saputo da poco,  Erszi aveva taciuto per un pezzo. Erano stati amanti e innamorati per un breve periodo, l’avventura era concessa, altro no, se ne era andato lasciandola incinta, lei non gli aveva detto nulla, decidendo per tutti  e rivelandolo dopo. Sophie era nata nell’aprile del 1912, aveva perso tutto, dai passi ai pianti e ai sorrisi, la sua piccola principessa che ora aveva cinque anni. Sentita per telefono lo chiamava Andres e non padre, Papa, non lo poteva certo sapere, e sarebbe stato un suo diritto, che lo chiamasse Papa. “Lasciamo perdere, fai dei tiri liberi, che tra poco rientriamo”
“Ti stai arrabbiando”
“Non certo con te” si trattenne e riacquistò il controllo, cercando di esserne convinto per primo, inopinato gli passò un braccio sulle spalle, un raro gesto di affetto che Alessio raccolse con un sorriso. 
 
Dai quaderni di Olga alla principessa Catherine “ L’11 del 1917 agosto Papa disse che entro pochi giorni saremmo partiti, destinazione sconosciuta, noi donne dovevano preparare delle pellicce e portare abiti caldi, ergo non sarebbe stata la Crimea. Una delusione immensa, che occhiata scoccasti a tutti, delusa, impotente, gli occhi quasi neri, fondi e bui. E le conversazioni,  per fare cambiare idea. Senza esito “Olga, ti prego” “NO” “Veniamo con voi, ci possiamo permettere di pagare .. la trasferta e il soggiorno, dico, Olga. Non saremo a sbafo, ti prego” “No, Catherine, NO”  "Olga, veniamo ..." Dio, come eri cocciuta, non ti rassegnavi, e mi volevi bene, la scocciatura una tua forma di affetto, come il mio no. Ci avevano proposto di raggiungere mia nonna a Livadia, decidemmo di non andare, per non lasciare i miei genitori. MA tu a Livadia ci dovevi andare eccome, meritavi una pausa. No, Cat, io avevo bisogno di te, dopo tanti anni, stavamo insieme dalla mattina alla sera, un privilegio, nonostante tutto, ma avevi un figlio, le sue esigenze prevalevano su tutta la linea. Il mio principino, che serravo tra le braccia, placido, paffuto e sorridente, una gara tra me e le mie sorelle, a tenerlo in  grembo, strappargli un sorriso.. FELIPE, il principe dell’estate, Felipe Alejo Alexander…  lo disse Alessio, ormai era grande, saggio.. Per dire. E il 12 compiva 13 anni, passò la giornata a mettere le cose in valigia, cicalando senza posa, ti metteva una cosa tra le mani e la ripiegavi, ti saltellava intorno, in quelo era un bambino, ancora, ti assediava, sorridevi, una pazienza infinita, gli davi un bacio e lo sguardo era triste, non voleva che fossi triste, almeno quello potevi lasciarglielo decidere, di essere bravo. Alla richiesta di nostra madre, venne portata la santa e miracolosa icona della Vergine dalla chiesa di Znamenia.. Tobolsk, Siberia, l’ironia che appresi, ci mandavano in esilio là, come nella passata epoca...i criminali politici in Siberia. E cercammo di porre in essere un giorno come l’altro, le lezioni, l’orto, i giochi, Alessio ci buttò nel laghetto. Dire addio, Catherine, a tutto, a partire da te, alla mia casa.. ti ho spezzato il cuore, saresti venuta, lo so, sempre, e avevi un figlio, che aveva la precedenza su tutto. Felipe, il tuo lieto fine, conquistato a un prezzo immane. Le stanze vuote del Palazzo di Alessandro, le tende tirate per nascondere le finestre, teli sui mobili per preservarli dalla polvere, la Galleria dei ritratti colma di bauli-armadi riempiti di fotografie, quadri, tappeti e quanto altro per la nuova dimora. E i bagagli, facemmo due mucchi di vestiti, uno più piccolo da portare con noi, l’altro per i centri di assistenza per i profughi e le vittime di guerra. Noblesse oblige, fino in fondo..  il 13 agosto era l’ultimo giorno, dovevamo partire in tarda serata, da mezzanotte ci mettemmo nella hall semicircolare, i bagagli in ogni dove. La partenza doveva essere all’una di notte, le ore passavano e nulla..Aleksey alla fine ti si era messo seduto vicino, verde di stanchezza, dopo avere girellato, con Joy, il suo cagnolino,  tra le braccia,la spalla che toccava la tua. E mia madre secondo uso piangeva, tu sparisti un paio di volte per allattare, pochi minuti e già mi sentivo male all’idea che non ti avrei rivisto per un pezzo, una lunga durata, forse una vita intera e tralasciavo che ero una ingrata, era già tanto quello che avevo avuto, nessuno ti obbligava a rimanere, dopo marzo, invece ..Grazie, Cat, sempre. Alessio ti stava vicino, la testa sulla tua spalla, ti aveva posato un braccio sulla vita, stringeva te e Joy, il cagnolino, come a non volersi più staccare “Cat profuma di rosa, lavanda e arancia amara, sempre“ disse molto dopo, sul battello.. Ce la diciamo tutta? Sì, ho pianto, come lui, un cuscino buttato sul viso, che la figlia di un soldato, di un imperatore mai esterna le sue emozioni in pubblico. Dico questo che poi ricomparve con gli occhi lucidi, di chi ha pianto, lo sguardo pesto, come me e Tata, Anastasia fece una battuta, tanto per essere diversa, Marie tirava su con il naso. E trovai il tuo primo biglietto il secondo giorno, era breve, che se lo avessero intercettato solo diceva “Buongiorno, un bacio, Ekaterina” tutto in russo, casomai avessero sospettato congiure. Che strano effetto vedere il tuo nome alla russa, Cat, noi che ci eravamo parlate e scritte una vita in francese. Ekaterina .. io ti ho chiamato sempre Cat, quindi Catherine alla francese, tuo marito Andres Catalina, saltuariamente..” 
Un solo nome e sempre io ero.

Catherine, la principessa delle rose e delle assenze, la signora della solitudine. Erede della desolazione, che risorgeva a nuova gioia.

“Auguri Alessio, tesoro mio”cercavo di essere sorridente,  smagliante per non tracimare “Sei diventato davvero grande, sai, ti ho visto che eri appena nato, figurati che osavo appena toccarti una manina.. ora..”
“Mi prendi in braccio, di corsa, il regalo è questo” sornione, mi tuffò il viso contro la clavicola, uno sbadiglio “Aleksey, tesoro mio, “ e ridevo, era tanto buffo “Fammi la lista, dei miei compleanni” Mi sedetti, erano le sei di mattina del 12 agosto 1917, lo strinsi con amore, con affetto, dei rubli allungati alle guardie mi garantivano quel breve privilegio, auguri in privato, minuti rubati “.. 1905, ero all’estero, 1906.. boh, 1907, ti tenevo sempre stretto, Dio, quante bizze facevi per dormire il pomeriggio, era   una lagna continua, tacevi solo se stavi con me, sempre”lo abbracciai, avessi potuto avrei infilato la porta, sempre lui in braccio e lo avrei portato via, lontano,e  continuai l’elenco, alcuni se li ricordava anche lui, nel 1914 avevamo visto l’alba che sorgeva, lo avevo preso tra le braccia “Ora sono cresciuto davvero tanto, non mi sollevi più, peccato” “Guardiamo fuori, è una giornata bellissima, pesi Alessio, sei diventato un colosso, manco sulla schiena ti carico” mi passò un braccio sulla vita, uno sbadiglio assonnato “Cat” il sole sorgeva, asciugando la rugiada sui fiori e le foglie, il cielo virava nelle chiare sfumature del celeste e di un tenero giallo, gli baciai i capelli  “Davvero, come sei diventato grande, non ci credo”

“Sono un osso duro, sempre, lo dici, ci devi credere! “uno scherzo che nascondeva una profonda verità, mai mollare, mai arrenderci. Glielo avevo detto nel settembre 1915, quando mi aveva rivisto dopo un lungo anno, inopinato. E nel 1916, eravamo diventati inseparabili, avevamo litigato, ci eravamo divertiti, prendendo nuove misure, legatissimi Un nuovo sviluppo, amore e reciproco rispetto, ho amato Alessio fino alla vertigine, all’assenza“Certo, Aleksey” una pausa “ E ci tenevo a salutarti, in privato”
“CAT..”una pausa “Grazie, di tutto e per tutto”

La giornata trascorse tra le cure dell’orto, le lezioni, fare i bagagli, servizi religiosi, venne portata la santa e miracolosa icona della Vergine dalla chiesa di Znamenia..
Sceglieresti di amare un bambino sapendo che questo sentimento potrebbe spezzarti il cuore.. Sì, io sì, ed era egoismo, il mio, Aleksey, tesoro mio.

Dai quaderni di Olga Romanov alla principessa Catherine “.. alla fine andammo via dal Palazzo di Alessandro alle 5.30 di mattina, del 14 agosto 1917, scortati da un nugolo di soldati. Salimmo lentamente sulle automobili, dopo che i bagagli erano stati caricati. Prima i miei genitori, poi noi figli, il seguito dopo. Avevi i capelli raccolti in uno chignon vagabondo,  un vestito color giacinto, gli  orecchini con le piccole perle che ti avevo regalato in un impeto sentimentale. Ti avevo dato la mano fino a dove era possibile, per evitare di tracimare, stavo per cambiare idea, dirti, “Vieni, non mi lasciare”, le dita intrecciate, un legame che era rimasto, da quando eravamo bambine, da adolescenti e infine giovani donne. Cat, ti avrei voluto con me, dal passato rimanevi solo tu e pochi altri, e non potevo pretendere che venissi a quel giro, la prigionia si sarebbe inasprita, che ironia, mio padre, da zar, aveva mandato molti in Siberia e lo stesso toccava a lui e  noi, sua famiglia. Ti tenevo per mano, eri tu la mia famiglia, la mia sorellina, la mia eroina, una stupida combina guai .. E parte della famiglia era composta da tuo marito e tuo figlio, di due mesi, e.. NO, Catherine, saresti venuta, hai tentato di farmi cambiare idea fino all’ultimo, sfinente e cocciuta, mica mollavi. Avevo bisogno di te, o viceversa, tranne che tuo figlio ci batteva su tutta la linea, lui aveva bisogno di te, aveva osservato Alessio, più di noi. E lo aveva straziato, si comportava da adulto, da saggio, era maturo e tanto .. stavo per cambiare idea, dirti, “Vieni, non mi lasciare” Una stretta, come il presidio di guardia di una amicizia che durava da quando avevo memoria, sospirai per non andare in frantumi, l’auto controllo di una lunga educazione serviva, non volevo dare spettacolo o pena. Eri mia amica, mia sorella, la mia famiglia, le tue gioie e sconfitte le mie, da sempre, e viceversa “Adios, principesa Fuentes” “Adios, Vuestra Alteza Imperial” un inchino formale, gesto ripetuto per me, Tatiana, Maria, Anastasia e Aleksey, come quella frase, le guardie non fecero un fiato. Te e Andres, con Felipe, insieme alla baronessa Buxhoeveden e al precettore Gibbes che ci avrebbero raggiunti in seguito rimaneste fermi fino all’ultimo momento, sotto il colonnato,  quando le portiere vennero chiuse e partimmo. Andres ti trattenne per la vita, ricambiasti la stretta, magari per non correrci dietro. Il cielo vibrava nei toni del miele e dell’arancio rosato, i primi raggi di sole spuntavano dai pini, mi voltai, la testa appoggiata al finestrino, la carovana si muoveva lenta, chiusi gli occhi, straziata..Girando la testa, scorsi una figura alla finestra del secondo piano, il punto dove, dagli appartamenti dei bambini, potevi scorgere tutto il viale, dove pensavo di averti detto addio quasi tre anni prima. Alzai la mano, imitata dalle mie sorelle, l’ultimo saluto, la tua testa castana non si scostò di un millimetro”

Corsi, senza decoro, facendo gli scalini tre alla volta, fino al secondo piano, la gonna raccolta tra le mani, aprendo la finestra con l’impeto di un corsiero e mi sporsi fuori, sventolando il fazzoletto fino a quando l’ultima auto scomparve nella foschia madreperlacea del mattino.
Strizzando gli occhi, scorsi, mi illusi di  quello, una mano guantata, delle mani guantate che mi salutava dalla auto dove eri, dove eravate. Nel settembre del 1914, quando me ne ero andata, il gesto a parti rovesciate era stato simile, e non volevi vedermi mai più, avevi detto, per la rabbia e l’esasperazione.
Quando non vidi più nulla, scivolai per terra, la schiena alla parete e piansi, la testa tra le ginocchia. Mi mancavate già da meno di dieci minuti.

Quella sera, la zarina scrisse una cupa lettera alla baronessa B., che si era vista passare davanti tutta la vita al Palazzo di Alessandro, da giovane sposa fino ad allora,  e si chiedeva quale futuro avrebbero avuto i suoi “poveri figli”.
ADDIO, CATHERINE.

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Capitolo 16
*** My beloved -Yo soy Xavier ***


Se  il governo inglese non accoglieva la famiglia imperiale, era la fine.

Era Alessandra a essere odiata, non suo marito … ma la famiglia imperiale rimase unita nella vita da prigionieri come in passato, quanto regnava lo zar..
Li mandarono in Siberia nell’ agosto 1917, i bolscevichi gli stavano alle costole, aveva spiegato Kerensky allo zar e occorreva prendere misure energiche, evitando che i Romanov fossero sulla linea di tiro, vittime, merce di scambio, ostaggi.
Comunque fosse, il viaggio di trasferimento, in treno e in battello, si svolse senza incidenti di rilievo, tranne le cabine poco confortevoli del Rus, il battello, che Maria e Alessio presero il raffreddore.  Addirittura passarono via fiume dinanzi al villaggio natale di Rasputin, osservarono la sua casa a due piani che dominava le basse isbe, lo aveva predetto e si era avverato. Aleksey svegliò, la notte dopo, tutti con le sue urla di dolore,   gli era venuta una emorragia interna al braccio.
Cat.. Catherine, dove sei…
Alessio.. cosa fai?
 
Alessio trovò il biglietto spacchettando i suoi effetti personali, dentro la faretra che custodiva l’arco giocattolo e le frecce che gli aveva fatto Andres  “You’re not alone, You have your family and .. Together we spended great  times, I am always with You, near or far, I’ll be by your side. Sooner or later, we’ll meet again, my fighter prince. Don’t give up. Spain is waiting for You, like me. Yours loving Catherine

Da una lettera di Olga alla principessa Fuentes dei primi di settembre 1917“Abbiamo preso alloggio nella casa del governatore di Tolbosk, ridente e sperduta cittadina di 20.000 abitanti circa, occupando l’intero primo piano, il 26 agosto, dopo che la dimora è stata rimessa a posto. L’edificio si trova su via della Libertà,  ribattezzata in questo modo dopo i recenti eventi.  Una grande costruzione a due piani, con due terrazze, collocata dentro una vasta area recintata che comprende varie pertinenze, legnaia, serra, granaio, una rimessa per le carrozze. Abbiamo addirittura una teoria di piante grasse ed aspidistra, figurati, sono carine. Dormo in una stanza con tutte le ragazze, all’angolo, i miei genitori in un’altra, Alessio da solo, Nagorny occupa un’altra stanzetta. Per rendere più efficaci le misure, è stata costruita intorno alla casa un’alta recinzione di legno..Un poco come a Carskoe Selo, tuttavia manca lo spazio, siamo confinati in un piccolo orto e un altro piccolo spazio in cui vi sono le baracche dei soldati .. Sai che abbiamo addirittura un piccolo pollaio con galline che non si premurano affatto di fornire tante uova e alcuni tacchini(..) Aperto la scatola di profumi di Coty, arrivata  da Carskoe. Selo, grazie Cat, io ho usato subito l’essenza alla rosa, Anastasia la violetta. Tata e Marie ancora non hanno usato le rispettive essenze al gelsomino e al lillà (..) Pare una scemenza e invece non è, piccoli particolari che mi dimostrano che …”e quello era nulla, Olga, sorella mia. Eri annoiata e malinconica, senza rimedio.

Da una lettera di Catherine Fuentes alle granduchesse Romanov “.. non so se e con quale regolarità giungerà la corrispondenza, un saluto  da vostra Nonna, Marie Feodorovna (..) che alla fine siamo arrivati in Crimea, come si capisce dall’intestazione (..) Se mi ripeto, chiedo scusa, ragazze .. Mando foto di Felipe, che la prossima primavera avrà un fratello od una sorella, salvo imprevisti a fine aprile. Una barzelletta, tra  me e Olga passa meno di un anno, così sarà per i miei figli.  Andres saluta a sua volta,  alla fine Enrique è tornato in Spagna sul treno diplomatico, (…) ragazze, mi mancate..Di preciso, come state? Cosa inventate?mi mancano le serate nel salottino, chi leggeva, chi coccolava Felipe, lavorando l’ennesimo e squisito lavoro di maglia o ricamo, ne ho per sei bambini, altro che uno, tenui colori, giallo e verde, bianco, altri pezzi hanno ricamate le sue iniziali, FF, Felipe Fuentes, squisite come il suo piccolo pungo tra le mie mani, vedremo cosa porterà la primavera” Olga scommise da subito su un secondo  maschio. 
  Nel settembre 1917, due commissari, su lamentela dei locali bolscevichi, vennero inviati in Siberia, si sosteneva che i prigionieri erano trattati con troppa deferenza. 
Nulla di rilevante, quando la zarina sedeva vicino alla finestra o sul balcone gruppi di curiosi si avvicinavano e si segnavano, un pio omaggio. Le ragazze guardavano dalle finestre della loro stanza e salutavano la gente, finché  i prodi guardiani minacciarono di sparargli addosso se avessero “ancora osato” .
E  i cittadini locali avevano inviato un pianoforte e omaggi di cibo, le guardie divennero poi meno assillanti, facevano addirittura due chiacchiere con le ex granduchesse quando passeggiavano in giardino, il colonnello K., che comandava la guarnigione, non era un carceriere feroce e dogmatico, tranne che i puri rivoluzionari inorridivano.

Nicola II e i suoi predecessori avevano mandato al duro confino siberiano più di un oppositore, se non a morte,  non doveva avere nessun privilegio. Quindi ecco due commissari che dovevano riferire, Pankratov e Nikolskij, entrambi erano stati in carcere in quel della Siberia. Il primo non serbava rancore,  tanto che si recò a far visita a Nicola, per non infrangere le regole della buona educazione e chiese di essere annunciato dal valletto dello zar. La conversazione fu formale, educata e gentile. Nikolskij, al contrario, entrò senza bussare in tutte le stanze private e insistette che tutti i prigionieri fossero fotografati, a scopo identificativo, ora l’uso era quello.  Quando, su ordine di Kerenskiy, giunse dalle cantine di Carskoe Selo una cassa di vini pregiati per i Romanov, N. ne fece  buttare direttamente il contenuto nel fiume Tobol senza manco farla aprire. 

Da una lettera di Olga alla principessa Fuentes di metà ottobre  1917”…Sono stata felice di sapere del  regalo che ti arriverà in primavera. Magari un altro fiocco azzurro? Una sensazione, poi boh.. Noi ce la caviamo, stiamo bene. I miei fratelli hanno iniziato le lezioni. (..) Ti scrivo nel grande ingresso, noi stiamo prendendo il tè, Aleksey gioca con I suoi soldatini a un tavolo separato, stasera Papa leggerà qualcosa alta voce (…) Cambio di scrittura e di persona, Cat, sono Aleksey, un bacio al volo.. A me piace molto il nome Leon, Leon Fuentes suona molto bene, guai a te se lo chiami come me, per primo appellativo, io devo essere il solo che quando dici “Alessio”. E scherzo, chiamalo come vuoi, mi manchi tanto, Cat (..) riprendo senza scorrere quello che ha scritto mio fratello, rilevo solo che mi chiedi come stai e cosa combini, qui la gente è gentile, come le guardie.. Abbastanza. Ecco, la criticona che sono solleva ironie e obiezioni. Hanno inviato in dono un pianoforte e pregiata cacciagione, peccato che  le tubazioni idrauliche funzionino ben poco. Vi è una piccola teoria di piante grasse, che mi piace osservare, (..) Good-bye, Catherine, my dear, a kiss. All of us embrace You and remember You, all my love is for You” 

“ Si dice che noi abbiamo la febbre, mentre, in realtà, è la febbre che ha noi” da Lucio Anneo Seneca, Lettere a Lucilio, 62/65, annotò Olga Romanov, con la sua solita ironia, Cat le aveva mandato quell'omaggio, in lettura. 

Da una lettera di Catherine Fuentes a Tatiana Romanov “..a Livadia ho incrociato B. T., che hai assistito con Olga, si è ripreso perfettamente e manda i suoi saluti, ricorda con gratitudine la vostra abnegazione. E  mi ha fermato Vassilissa B., una ragazza che il Comitato per Rifugiati da Te presieduto aveva inviato qui in Crimea, per ragioni di salute. (..)  Scrivo in una pausa,  che l’inchiostro si è asciugato, infatti ecco la prima firma di Felipe, il suo pollice nell’inchiostro, consideralo un saluto per Te  .. Ti voglio bene, Tata” 

Da una lettera di Marie Feodorovna, zarina madre, al figlio Nicola del novembre 1917, uno stralcio su ..“… la principessa Fuentes è un moto perpetuo, visita gli orfanotrofi e sanatori, senza requie. E continua ad occuparsi personalmente di suo figlio, se lo tira sempre dietro,  tranne che quando va dai malati o a cavallo. E lo tiene sempre con sé, mai visto un affare del genere, è una madre totalmente dedita.. Niente nurse o tate, suo figlio è il primo pensiero dalla sera alla mattina.. ed il marito la lascia fare sempre a modo suo .. Sua madre Ella Raulov nulla osserva, è una mina vagante, non si riguarda, anche se ora è in delicate condizioni” un eufemismo per dire che ero incinta.
Mio marito non diceva nulla, come mia madre, mio fratello  Aleksander si limitava a sbuffare, come mio zio “.. tu fai anche per lo zarevic Aleksey” Aveva dieci anni ora, i suoi occhi castani erano calmi e imperscrutabili, uno smalto di onice e  miele sui suoi pensieri, tranne che, dopo tanto, eravamo di nuovo insieme, apprese poi, nei fatti, che a lui ci tenevo, eccome “Mi manca, Cat” “Chi?” “Lo zarevic, chi..” sbuffando per la mia ottusità. Era nato nel settembre 1907, ora era un decenne dinoccolato, magro e solenne “Mi vuoi bene, e tanto è lui il tuo prediletto” “Sasha..” IL SUO NOMIGNOLO. “Già, e chiudiamola qui, tanto prima o poi .. se non viene lui, te lo riprendi te, o viceversa, anche Aleksey Nikoelavic ti adora” 

Le cerimonie religiose erano tenute nel grande salone del primo piano. Il sacerdote della chiesa dell’Annunciazione, il suo diacono e quattro suore erano autorizzati ad attendere ai servizi, tuttavia non vi era un altare consacrato per la messa, una grande privazione per i Romanov.  Ogni sera recitavano le preghiere e tanto non bastava.  Alla fine, venne accordato il privilegio di potersi recare in chiesa, la costruzione era in fondo alla strada, una consolazione che ebbero ben di rado.  In quelle occasioni si alzavano presto,  passavano attraverso due linee di soldati, attendendo alla prima messa del mattino, sempre soli in chiesa,  il pubblico escluso, poche le candele. 

Dai quaderni di Olga Romanov alla principessa Catherine “.. Ho letto tanto, in questi lunghi di mesi, di tutto e di più, come Tanik. Per nostro piacere e distrazione personale, mentre Aleksey, Marie e Anastasia iniziavano le loro lezioni alle nove, con una pausa dalle undici a mezzogiorno per una passeggiata collettiva. Il pranzo verso l’una, spesso Aleksey mangiava con Mamma nelle stanze di lei, per farle compagnia,  non si sentiva spesso bene, lei. Verso le due, uscivamo di nuovo nel giardino, per giocare o una passeggiata, fino alle quattro. Sai che sono diventata bravissima a tagliare la legna, mi ha insegnato Papa, era un onore darci il cambio con i miei fratelli. Dopo il tè pomeridiano, le lezioni duravano fino alle sei, la cena era un’oretta dopo. Dopo cena, giocavamo a carte, lavoravamo a maglia, Papa ci leggeva a alta voce, altre volte recitavamo pezzi di brillanti commedie, in francese o inglese (..) Una delle maggiori privazioni era la mancanza quasi totale di notizie, lettere e giornali..se arrivava qualcosa era sempre distorto e vecchio di giorni. Alessio andava a dormire alle nove di sera, salvo nuove, dicevamo le preghiere insieme, sbattendo i denti per il freddo, alle volte mi stendevo vicino a lui per trasmettergli in poco di calore, a turno con le altre sorelle, lui faceva altrettanto con noi. Non ci siamo mai pentiti di essere rimasti insieme, questo no, eravamo una famiglia”
Dalle memorie mai pubblicate di Boris T., membro del corpo di guardia, già soldato dell’esercito imperiale, ora rivoluzionario “.. A Tolbosk, in Siberia, era freddo, una cosa indicibile, anche per noi soldati ..  Giorni immobili, portavo biglietti, razioni di cibo in più, cercavo di non essere troppo volgare e opprimente..
Non dovevo farmi scoprire, pena la morte e la tortura.. 
Nicola II era lo zar dei miei giorni di bambino, volevamo la libertà, ma lui era stato l’imperatore, con sua moglie aveva portato il paese allo sfacelo, ma i loro figli che colpe avevano?. 
La famiglia imperiale cercava di trarre conforto dallo stare insieme, uniti, la fede li sosteneva ma era dura, pareva (e in effetti era) che tutti li avessero abbandonati..
Non i principi Fuentes, Andres mi aveva salvato la pelle, anni addietro, la gratitudine rimaneva. Inviavano lettere ufficiali e ufficiose, soldi per il cibo, e giacche e guanti e sciarpe, per Natale, e libri, erano saldi ed immutabili. 
Il cibo era razionato, la noia imperversava, la sorveglianza era stretta, il freddo si tagliava con il coltello, meno 56 gradi sotto zero.. Ricordo le granduchesse che passeggiavano nel giardino recintato, gonne nere, mantelli grigi e berretti di angora azzurra, le loro lamentele per la noia, il tempo non passava mai. 
Era organizzata una ruotine, i pasti, le lezioni, il pomeriggio la passeggiata, segando i ciocchi di legna, la sera le commedie recitate dai ragazzi.. 
A Natale si scambiarono dei doni fatti a mano, quaderni rilegati, nastri e sciarpe, il tempo dell’opulenza finito, il primo e ultimo Natale trascorso in esilio .. 
Le cerimonie religiose erano ben poche, come le missive che giungevano, è ben vero che in prigione ogni evento che rompeva la monotonia era degno di rilievo. 
Le umiliazioni senza motivo, gratuite, come sbattere addosso alle pareti di una stanza un animale in trappola per il solo gusto della crudeltà

Il freddo, il gelo, la temperature giunse a 56 gradi sotto zero, la casa del Governatore era una perenne ghiacciaia. Brividi su brividi, il salotto, che era la stanza più calda della magione, superava di rado i sette gradi, le correnti penetravano dagli spifferi delle finestre. La zarina aveva le dita così rigide che appena riusciva a muoverle, le toccò togliersi gli anelli che ostacolavano la circolazione, compresa la fede e l’anello matrimoniale, con la perla rosa che portava da quasi un quarto di secolo. Cercava di lavorare a maglia, calze per la famiglia o di rammendare i vestiti, erano pieni di buchi.
Lo zar portava dei pantaloni rattoppati e le sorelle Romanov si arrangiavano con la loro biancheria logora.  Per Olga era una suprema ironia, un tempo sua madre, sua nonna, le sue zie e altre   donne “adulte”  della famiglia imperiale ordinavano i vestiti a Parigi, da Worth o Paquin, o da Madame Brissac a San Pietroburgo, pagando prezzi esorbitanti.  Rideva ancora tra di sé delle economie di sua madre, che, cresciuta in modo austero, non tollerava sprechi, le sue figlie si passavano i vestiti tra loro, lei, Alessandra, che, ai bei tempi, ordinava vestiti fino a 10.000 rubli in un mese e questionava con gli economi del palazzo di Alessandro sul prezzo delle patate senza avere idea del prezzo effettivo dei tuberi, mentre lei, Olga, verso il 1914 lo aveva imparato. Dettagli. Adesso si arrangiavano come sopra, Catherine aveva mandato una caterva di guanti, sciarpe, cappelli di lana, e soldi, aveva il sospetto che la ragazza inviasse, oltre alle lettere giunte, soldi e presenti a raffica. E tutto arrivava a rate, se passava i filtri della corruzione e della maldicenza. E non era un esercizio di superbia, quanto essere pratici, in quelle condizioni.. “Sono doni fatti con il cuore, oltre al cibo, il freddo in Siberia porta via, ti mangia pezzo su pezzo, invio a raffica, che chissà se e cosa giunge (..) E soldi (..) Ragazze, se fosse successo a me, avreste fatto uguale” da una lettera di Catherine alle sorelle Romanov “Mi mancate tanto.” Anche Tu, Cat, sempre. 
Doni  e lettere giungevano anche dalla zarina madre, dalle sorelle dello zar, dame di compagnia, Anna Vyribova e altri fedeli monarchici, voglio essere equa.
 
E la vita era monotona,dura il tedio infinito abitava i giorni invernali, Alessandra insegnava il tedesco alle sue figlie, portava gli occhiali, leggendo i suoi libri di preghiere, la Bibbia e le orecchie erano sempre buone, la chiamavano la “Nemka Bliad”, la puttana tedesca, un epiteto di imperitura memoria.
A novembre 1917, in via teorica vi sarebbero dovute essere delle elezioni, invece il Governo Provvisorio venne rovesciato, i bolscevichi presero il potere  per una combinazione di circostanze favorevoli. Il 7 di quel mese, appunto, Kerensky aveva lasciato il Palazzo d’Inverno (sede del suo potere, come, ai tempi, per gli zar) e si diresse verso il fronte, cercando di raccogliere truppe fedeli. I ministri rimasti erano protetti da un gruppo di cadetti e un battaglione di donne soldato. Al di là della Neva, l’incrociatore Aurora issò le bandiere rosse e puntò i cannoni contro il Palazzo. I bolscevichi, molto per caso, occuparono le stazioni, le banche, l’ufficio postale, i ponti e la centrale dei telefoni. L’8 novembre i ministri rimasti si arresero, il governo provvisorio cadde, ecco la seconda rivoluzione.
L’evento di cui sopra non produsse cambiamenti de facto nella vita dei Romanov, se non molti mesi dopo.
 
Da una lettera di Olga Romanov alla principessa Fuentes, 18 novembre 1917 “ e l’ombra di Patroclo appare accanto ad Achille, ti suona famigliare? Ho ripreso Iliade, Odissea e compagnia, leggo molto, e, intanto scrivo le scene da imparare, sai che mettiamo su delle commedie, teatro russo e repertorio edoardiano. Marie, Anastasia e Aleksey ne sono entusiasti. (..) Ogni tanto ad Aleksey si gonfia il braccio, la gamba, ma non ha dolori (..) Spesso il brutto tempo  impedisce di fare passeggiate, una grande privazione (..) Ti invio il menu del mio compleanno..Un abbraccio Cat, sempre Tua Olga ps sono viva e tremo..PPS scommetto sull’azzurro
 
Quegli occhi azzurri spenti, abitati dal buio e dalla paura, un mare in burrasca, aveva paura e continuava a sognare, senza rimedio.
Da una lettera di Olga Romanov” Aleksey cresce di statura da un mese all’altro, Cat, gioca con l’arco e le frecce che gli ha costruito Andres, io e Tata siamo  sempre più magre, Anastasia si lamenta di essere diventata un elefante, la vita larga e le gambe grasse, come era Marie, che ora sta diventando una vera e quieta studiosa. Mia madre esce poco, per il maltempo, il cuore le causa dei problemi,ancora, le sue solite palpitazioni,  ormai ha tutti i capelli grigi.. Trova conforto nel leggere la Bibbia e i libri di devozione, papa ci legge spesso, la sera, a voce alta. Sempre Tua Olga Ps scrive il tuo viziato principino, Cat, ogni giorno prego di rivederti, Aleksey alias il tuo piccolo principe”
Un Natale in esilio, una costante umiliazione, i Romanov alla gogna.
Segnalibri fatti con nastri di seta, acquerelli, quaderni rilegati furono i regali.  Guanti e calze, libri..
La mattina di Natale i Romanov, scortati da due file di soldati, giunsero alla chiesa alla fine della strada, una messa speciale, alla fine della liturgia il sacerdote  pregò usando i loro titoli imperiali, stralciarti dalla liturgia ortodossa, in luogo dei nomi di battesimo, un omaggio traslato che gli impedì di recarsi ancora in chiesa. L’incidente ne amareggiò la prigionia, il confino divenne ancora più stretto.
A Natale, la seconda attesa era ben palese, mi feci una foto, Andres che mi circondava le spalle, in braccio Felipe, il mio panciotto che si vedeva di profilo. Avevo sofferto di nausea giusto nei primi tre mesi, non riuscivo a cacciare nulla in bocca, la mattina, dopo pranzo e dopo cena,  vomitavo a gloria, deve essere un maschio, annotava mia mamma, quando si annunciano così presto.. dei campioni nel fare ammattire da subito la loro madre. E avevo un sonno perenne, senza sogni o stelle, da cui mi svegliava Andres, a  suon di baci, la testa tuffata contro il mio sesso, mai avrei creduto possibile che la voglia continuasse a prescindere. Vivevo di acqua  e insalata, prosciutto crudo e pane duro, a volte frutta e vino. E sesso con mio marito..         dicevamo, preferivo Andres nel mio letto che fuori a zonzo in quelli altrui.
“.. cara Olga, un abbraccio, sai che ho visto una rosa? Solitaria, spinosa, si è aperta dopo tanto, poi è spuntata decisa, delicati i petali,  poi allargando poco per volta il suo centro, luminoso. Solitaria, splendida come te”  glielo scrissi tra il suo compleanno e Natale, chissà se lo lesse.
 
Gli occhi di Felipe erano diventati zaffiro e indaco, come quelli di Alessio e delle sue sorelle, aveva ereditato quel tratto da loro, la sfumatura delle iridi dello zar, declinata nei suoi discendenti in varie sfumature, me ne accorsi a fine gennaio. Da neonato, erano di uno squisito color ardesia, grigie, con il tempo assunsero quella declinazione. Una ulteriore prova che ero la figlia dello zar, avevo ereditato i colori suntuosi di mia madre, del ramo spagnolo, e nella generazione successiva Felipe palesava la sua ascendenza, dal lato del vero nonno materno. E somigliava a suo padre a partire dalla forma del viso,nei colori dei capelli, nella carnagione, nella forma di spalle e mani, squisito, da me aveva preso molto poco. A gennaio ero sui sei mesi di gravidanza, quel nuovo figlio era stato voluto e cercato, dopo il breve intervallo di alcune settimane, dovuto alle perdite del parto. Anche se allattavo, non prendevamo precauzioni nei rapporti, quindi la seconda attesa fu una sorpresa quasi annunciata, dato che generammo nel giro di pochissimo  Andres era fertile come il toro che una volta lo avevo accusato di essere. E in un certo senso giustificava quella separazione, un  lattante, un altro bimbo in arrivo non avrebbero resistito in Siberia, rifletteva Olga.  
Catherine, la mia sorellina, moglie madre. 

Dal diario di Alessio” 24 gennaio 1918. Nel pomeriggio preso una botta alla mano e guardato Papa, che ha pulito il tetto dalla neve, e come portavano la legna in casa. Che noia.!!
“27 gennaio 1918, Auguri al volo Catherine, come sei diventata grande, hai ben 23 anni, come ne farà  Olga a novembre..Baci, Alexei alias monello PS Felipe somiglia davvero tanto a tuo marito, Tata si è messa a ridere della prima parola del bambino, annotando che per te non deve essere stata una grande soddisfazione” si e no, l’onere di nove mesi e del parto era toccato a me, tranne che Felipe prediligeva suo padre e una mia amata sorella, quindi di cosa dovevo lamentarmi? E tanto, da una parte, ci sformavo, quando mi chiamò “MAMMA”, feci una metaforica tripla, carpiata capriola di gioia.
Dal diario di Alessio “30 gennaio 1918. Dormito male stanotte. Mi fa male la gamba. Colazione con Mama, rimasto a letto tutto il giorno”
2 febbraio 1918, una breve nota di Olga “Auguri, cumulativi, in ritardo. E’ veramente freddo in questi giorni, siamo appena tornati da una passeggiata. Nell’angolo di una finestra abbiamo inciso una “C”. Dio ti benedica, mia cara, stai bene, con amore Tua Olga ps..io propendo per l’azzurro PPS accludiamo la seguente poesia ...Un bucaneve, in inverno, colmo di grazia, bianco.. Una luna perduta, sottile, delicato il centro di bianco oro, i petali si piegano, giocando con la brina.. La perfezione e la delicatezza” Una volta, la zarina Caterina II, in una delle sue passeggiate, aveva trovato un precoce bucaneve, incantata aveva ordinato che una guardia lo vigilasse, era perfetto, fragile e fiero. Capii l’antifona, non cedevano, erano fragili solo in Ai primi di marzo 1918, il comitato dei soldati decise di abbattere la montagna di neve costruita nel retro della casa, uno dei pochi svaghi dei fratelli Romanov.  Per la domenica di Carnevale, la folla passava festeggiando sotto le finestre, i ragazzi si misero a guardare dalle finestre, annoiati fino alle lacrime, quello era uno spunto di svago, uno dei pochi rimasti come segare e ammucchiare legna.

Dal diario di Alessio “ 19 febbraio 1918. Passato tutto il giorno come ieri, nel pomeriggio giocato con Kolia e fatto una daga di legno con il mio pugnale. Giocato ad attaccarci.  ..(..)  11 Marzo 1918 .. Fatto male al piede, non posso mettere gli stivali. Così devo stare a casa tutto il giorno. (..) 24 marzo 1918. Sempre lo stesso, mangiato 16 pancake a pranzo. Una cerimonia religiosa alle 9. Di mattina. Il tempo è freddo e ventoso. Fatto bagno (..) 24 marzo 1918 tutto sempre uguale (..) la neve si scioglie e diventa fango (..) tirato palle di neve e con arco, l’arco che mi ha fatto Andrej F. ”

...l’esercito tedesco avanzava verso Pietrogrado, la capitale venne spostata a Mosca. L’esercito ormai era allo sfascio, i soldati avevano disertato a milioni.. I termini per il trattato di pace, firmato a Brest-Litovsk il 3 marzo 1918 furono umilianti. Ai tedeschi venne ceduto la maggior parte del territorio conquistato da Pietro il Grande in avanti, comprese la Polonia, la Finlandia, gli Stati Baltici, Ucraina e Crimea, buona parte del Caucaso, circa 60 milioni di persone vivevano in quei territori.. Inoltre, la Russia doveva pagare alla Germania sei miliardi di marchi, un quarto immediatamente, in oro, il resto  a rate entro l’ottobre 1918.  L’economia era finita, erano state date via un terzo delle regioni agricole, l’80%  delle miniere di carbone, l’accisa sulle estrazioni petrolifere, un terzo delle industrie tessili e un buon quarto delle ferrovie. Mio zio fece quel triste elenco, la contabilità delle perdite, non era un trattato di pace, quanto un tradimento, molti la pensavano come lui.

La guerra civile era dietro l’angolo. 

A Tolbosk, la notizia sconvolse Nicola e Alessandra, era “umiliante”, una disgrazia senza ritorno per la Russia.  Alix disse che avrebbe preferito morire in Russia piuttosto che essere salvata dai tedeschi.
E aprile portò un problema immane, che si aggiunse all’angoscia della prigionia.  Da quando i soldati avevano distrutto la montagna di neve, Alessio usava lanciarsi per le scale della dimora, usando una sorta di  slittino. Lo aveva sempre fatto, da anni, tranne che a quel giro, era veramente spericolato,  senza cura, come se volesse tentare la sorte. I risultati non si fecero attendere, purtroppo.

Gilliard e Nicola Romanov annotarono nei rispettivi diari che era confinato a letto, per un violento dolore all’inguine. Era stato così bene durante l’inverno, studiando, facendo le sue particine nelle commedie, giocando a palle di neve, segando il legno, divertendosi con l’arco e le frecce e il suo amico Kolia Deverenko “Mamma! Cat.. dove sei? Non no ho paura di morire, ma di quello che potrebbero farci”. La febbre altissima, delirava di un cavallo, che aveva cavalcato, lui, un sogno impossibile, un desiderio irrealizzabile.apparenza, si guardavano a vicenda, eravamo sia il bucaneve che la guardia.
Da una lettera di Olga Romanov a Catherine Fuentes, dell’aprile 1918” ..Grazie per la lettera e i doni, uova, cartoline, la cioccolata per Alessio e… l’appunto, che avresti voluto inviare della marmellata di mirtilli, ma non hai osato, per tema che il vetro si rompesse. E libri, sempre graditissimi (..) Alessio sta un poco meglio, ma il sangue si riassorbe velocemente e ha ancora dolori. Ieri ha sorriso, ha giocato a carte e gli è riuscito a dormire un paio di ore nella giornata. È diventato magrissimo, con gli occhi enormi. Gli fa piacere che gli si legga qualcosa, qualcosa mangia ma non ha appetito, non che sia una grande novità, tranne che è vero, farebbe a meno di mangiare del tutto. Nostra madre sta con lui tutto il giorno, ogni tanto io e Tata o M. Gilliard le diamo il cambio, di notte io o Nagorny. Arrivato un gran numero di nuove truppe, dal governo bolscevico, insieme a un nuovo commissario di Mosca, un uomo chiamato Yakovlev. Speriamo di avere un servizio in casa, per Pasqua. Nevica, ma si scioglie tutto, diventando fangoso… una guardia si è premurata di distruggere sotto i tacchi degli stivali una violetta che Anastasia amava guardare, era spuntata e le piaceva vedere la progressiva geometria delle foglie e i fiori, anche questa distrazione ci viene negata” non mi raccontò che Alessio mi  invocasse, quello strazio senza  fine o ritorno, Cat, per Catherine, di un cavallo.
E Nicola Romanov, sua moglie e Marie, loro figlia, vennero condotti da Tolbosk a Ekaterimburg, negli Urali più profondi, la loro prigionia divenne ancora peggiore, il resto della famiglia li avrebbe raggiunti quando Alessio fosse stato in condizione di muoversi, non si poteva spostare per il recente attacco di emofilia che lo aveva quasi ammazzato.
Il secondo figlio che ebbi da Catherine nacque il 23 aprile 1918, a Livadia, in Crimea.
Aveva i capelli scuri.
Lo chiamammo Leon, Leon dei Fuentes.
Aveva grandi, immensi  occhi verdi.
Leon Jaime Nicholas dei Fuentes nacque a Livadia il 23 aprile 1918, alle quindici di pomeriggio. Leon, come aveva suggerito Aleksey come primo appellativo, Jaime come mio cognato e per ricordare il giorno del suo probabile concepimento, il 25 luglio 1917, peraltro festa di San Giacomo apostolo,  protettore della Spagna, Nicholas come suo nonno materno, omaggio segreto.
Il mio secondo pezzo di immortalità. 
Pesava quattro chili e mezzo, con i capelli scuri e gli occhi verdi di suo padre, era squisito e perfetto. Mi immersi nei gesti semplici e antichi, di allattarlo, stringerlo tra le braccia, un nuovo principe Fuentes era nato,alla conquista del mondo, suo solo limite doveva essere l’orizzonte e l’immaginazione, come per Felipe e Sophie, i suoi fratelli. Andres si teneva sempre in contatto, brevi lettere e regali, cui Sophie rispondeva con una larga e buffa calligrafia infantile “.. quando finisce la guerra, ti vengo a trovare mia piccola principessa” Continuavano i dialoghi al telefono, nonostante e soprattutto i figli che aveva avuto da me, Andres annaspava nella lontananza, lei era un’immagine nelle foto, una voce nell’etere, e tanto la amava. Maledetti noi e Erszi, che la aveva voluta a prescindere da  tutto, rivelando che c’era .. nel 1917, quando aveva 5 anni, o quasi. Sophie era sua, l’ha amata appena ne ha saputo, il suo nome inciso sul braccio, un tatuaggio, un perenne memento.
SOPHIE..
Alessio sognava la Spagna, se la passava, voleva vedere la rocca dei Fuentes, immaginava Ahumada come una magica melodia, un ristoro, fatti e non parole.  Lui e le sue sorelle
E ricordava la Pasqua del 1917, a Carskoe Selo “Da quando in qua dipingi le uova?” aspirò l’odore delle tempere, scrutando il tavolo invaso dai  tentativi di dipingere, appunto, in vista della Pasqua ortodossa, era costume dare uova dipinte. In genere si usava bollirle,  solo non mi pareva il caso di mettermi a spadellare con i coloranti naturali per  ottenere i colori. Aveva rimuginato bene, quando Kerensky era venuto per la seconda volta gli aveva dato la mano e aveva chiesto serafico se, essendo lui K., ministro della giustizia, trovasse legale che lo zar avesse abdicato pure per lui. La sortita aveva causato un imbarazzato silenzio, dopo l’imperatore gli aveva spiegato che lo aveva fatto per non fargli riscontare i suoi errori “Come se non li stessimo scontando tutti ora, come se non li scontassi ora” aveva ribattuto, amaro, lucido, se ne era andato seguito da Nagorny, maleducato come non mai con i suoi genitori, così infuriato che manco un soldato lo aveva tallonato, aveva uno sguardo autocratico, che inceneriva e bandiva ogni replica. E  lo pensava ancora, a Tolbosk, ad Ekaterimburg, suo padre aveva sbagliato, arrogandosi di un diritto, il suo, di cui non doveva e poteva disporre
La nuova prigione era circondata da un alto muro, le finestre sprangate e verniciate di bianco, tranne una, le guardie e il loro comandante li insultavano in modo costante, entravano nelle stanze in ogni momento,giorno e notte, senza differenze, sempre, di sottofondo barzellette e canzoni oscene, frugando tra gli oggetti, portando via quelli che ritenevano più interessanti e di pregio. 
 Andare in bagno era un incubo, le pareti scrostate erano ornate di disegni pornografici che rappresentavano Alessandra e Rasputin, il monaco siberiano che sancivano essere stato suo amante nelle più sconce posizioni.
La colazione era dopo le preghiere, pane nero e tè, il pranzo una minestra e poco più, i guardiani non si peritavano a togliere il piatto allo zar o prendere con le mani luride dei bocconi.
A casa Ipatiev, Olga e le sue sorelle dovevano provvedere da sole a lavare la propria biancheria e impararono a fare il pane.
A turno, le ragazze facevano compagnia alla madre e al fratello, che era sempre confinato a letto e soffriva per il suo ultimo incidente, non si alzava e non camminava.
 Appena giunto nella nuova prigione si era fatto male ad un ginocchio, cadendo dal letto..come se lo avesse fatto di proposito, annotò lo zar nel suo diario, una nuova crisi che si sommava alla precedente. Quella notte non aveva dormito per il male e nemmeno i suoi, straziati dai suoi lamenti.
Per i testimoni, Olga appariva depressa e smagrita, pallida e sottile, come ebbe a dire una delle guardie, Alexander Strekotin, nelle sue memorie, e trascorreva molto tempo con il fratello, uscendo poche volte nel giardino, circondato da una alta palizzata.
Un’altra guardia annotava che quando camminava fuori, spesso il suo sguardo era tristemente fissato sulla distanza, in un passato che non poteva più tornare. Il marinaio Nagorny, che era rimasto sempre con loro, devoto ad Alessio in ogni battito e respiro, venne allontanato e messo nella locale prigione, ove fu poi fucilato, dopo che aveva protestato per il trattamento inflitto ai prigionieri e la ennesima ruberia, volevano sottrarre a un ragazzino malato una catena d'oro che reggeva  delle sacre immagini.. ( è facile essere smargiassi verso un inerme...e Alessio si era difeso sferrando calci e pugni, tre contro di lui, attaccava per difesa)
“Chi ti ha insegnato?” chiese Anastasia, allibita, ammirata “Lo sapevi fare.. i pugni, i colpi..”gli aveva fatto un occhio nero e.. bravo, Aleksey”
Mi devo difendere, devo fare da solo .. Non è giusto ..
“ E gli stavi rompendo la mascella” “Andrej.. lui era amico mio, lo sai, mi ha insegnato” guardandosi le nocche.
Era ancora amico suo, pensò, forse. Sentendo che le guardie arrestavano Nagarny, che aveva appena avuto il tempo di mormorare un “Arrivederci, Zarevic”gli era venuto voglia di piangere e non lo aveva fatto.
Cat..
“La principessa Fuentes .. vi adora, lo sapete”
“Perché? Sono un invalido, lo sai” un dialogo smozzicato, di quando erano chiusi a chiave dentro la stanza e la cabina del battello e poi in treno, lui murato a letto o in sedia a rotelle. “Cosa ci vede? Le faccio pena” (Alessio .. perché te lo raccontavi? Mi hai fatto ridere e piangere, dato sui nervi in maniera esponenziale, sempre, e ti ho viziato e coccolato oltre misura, pena .. MAI.. )
“Non è compassione, lei non compatisce nessuno, mai da sempre, lo sapete” Vero, lo aveva fatto cavalcare, raccontato storie, gli aveva fatto smontare le armi, avevano litigato fino al delirio, i suoi capricci e  i nervi di Cat, la aveva sentita litigare con Andres fino al delirio, aveva fatto soffrire Olga, nonostante il loro legame inossidabile “Fa sempre di capo suo”  
“Zarevic”una parola potente e proibita “Lei ha passato l’infanzia a prenderle, dal principe Raulov, picchiava lei e sua madre, le voci sono circolate per anni .. “ Gli raccontò delle frustate, di una ragazza di 16 anni.. Taceva, Alessio, la gola serrata “.. e poi è cresciuta, penso che ci sia del vero, ma lei non ha mai mollato che diceva sempre che vi era qualcosa di bello, ovvero voi, le facevate vedere che il mondo poteva essere bello.. Non mollate, per favore”
Alessio .. vengo … aspettami.
Era diventato paziente. Seduto, si massaggiava la gamba. “Alexei .. ti fa male?”
“No”
“Invece sì..”
“Vedete sempre il dolore, ma mica c’è” Non lo voleva dire, voleva stare bene e contro ogni logica ci sperava, in modo remoto, si confermava lui per primo che era un illuso “Pensi che ce la farò?” Una volta a sua sorella Tatiana“Certo” “Bugiarda.. allora mi aspetto di vedere Cat”Una cosa impossibile, se non improbabile,  visto che lei era in Spagna. E peraltro aveva fatto bene. Tatiana tacque, quella era una opzione irrealizzabile.
L’inappetenza continuava, mangiare era una tortura e non era un capriccio, come quando era piccolo .. Ma se non assumeva cibo si indeboliva ancora di più, lo sapeva, ci provava ma quel piatto proprio non riusciva a ingollarlo. Il cuoco propose una altra opzione, più delicata, per il prossimo pasto, pagando il tutto di tasca sua, ma Alexei non volle, non dovevano spendere per lui. Cercava di non mollare ed il compito era arduo.
…..
La Grande Guerra finì nel novembre 1918.
Crollò l’impero austriaco, crollò l’impero tedesco, non ne rimase in piedi uno.. una magra consolazione.
La chiamarono la Grande Guerra che aveva coinvolto tutto il mondo, tutti contro tutti, il mondo di ieri era mutato in modo irreversibile e senza scampo.
Noi eravamo sempre vivi, l’unica consolazione che ci rimaneva, celebravamo quel caso inopinato.
Ed arrivammo in Spagna pochi giorni prima del Natale 1918.
“Grazie Cat” nella radura melagrani, che crescevano e fiorivano sghembi da secoli, percorrendo nella corteccia le sue iniziali,  incise molti anni prima.
I sopravissuti.
Il tempo e l’immensità.
…………….
Rocca di Ahumada, Spagna, agosto 1922
Lui è arrivato,  sempre puntuale e preciso.
“Principessa Fuentes”
“Monsieur Gilliard.”
“Principessa, è una gioia rivedervi.. come state?” mi bacia la mano, perfetto come un granduca dei bei tempi andati.
Gli racconto dei miei figli, cercando di non essere una madre che riluce di orgoglio, come in effetti sono,  che a volte sono a Parigi, ove mia madre Ella dirige la fondazione Raulov, che supporta e aiuta i profughi russi, che mio fratello Sasha ci visita spesso e che .. riprendersi dalle ceneri e dalle macerie che ci siamo lasciati dietro sarà un lungo affare.
“E voi, Monsieur?”si vanno scrivendo libri, articoli e saggi sui Romanov, una nuova moda che contagerà anche Gilliard, un tempo precettore dei principi imperiali, rifletto, meglio questo dei sedicenti zarevic o delle false Anastasia che spuntano spesso, per reclamare una possibile eredità, fama e .. Se sapessero cosa custodisce Ahumada...“Non siete qui solo per una amena chiacchierata, vero?”sospira.
“Devo consegnarvi una cosa da parte della granduchessa Olga” Afferro i bordi del tavolo fino a farmi sbiancare le nocche. “Ero andato con loro in esilio a Tolbosk, in Siberia, nel mese di agosto 1917,… la primavera dopo gli zar e Marie erano partiti per Ekaterimburg, gli altri li avrebbero poi raggiunti. Era il mese di aprile e si riunirono in maggio, in quelle settimane Olga Nicolaevna badava alla casa, Tatiana Nicolaevna allo zarevic, che stava sempre male, allora, per potersi muovere e anche Anastasia Nicolaevna faceva quanto poteva. “ una pausa, lacerante amara.” Preparavano i  bagagli, impacchettavano oggetti, ma Olga Nicolaevna sottraeva tempo al riposo per scrivere su un quaderno, una specie di sfida..."
“Spiegatemi.” Come se LUI, LEI non me ne avessero parlato.
“Facemmo il viaggio in treno e all’arrivo appresi che ero stato congedato, che non li avrei seguiti oltre-“ una pausa ulteriore, i ricordi gli fanno sempre male” Mi diede questo pacchetto per voi, vi chiamò…”
“La mia principessa, lo so. “Annuisce.
Prendo il pacchetto, cerco di sorridere “Li aprirò con calma..”
“Capisco, principessa”
“Avrei  piacere se vi fermaste qualche giorno, e…” LUI non si farà vedere, lo ha detto chiaramente, sa che per me è importante, pure .. Non voglio forzarlo ”Mio marito Andres tornerà  stasera, mio tramite il principe Fuentes insiste e..” lo convinco, alla fine è così che deve essere.
Sia Leon che Felipe somigliano ad Andres, alti e snelli, con i capelli scuri,la fronte ampia e il naso sottile. Leon ha le iridi color erba di suo padre, mentre gli occhi di Felipe sono di una particolare sfumatura di azzurro, indaco e zaffiro, che Gilliard ha visto in un altro bambino, nelle sue sorelle,  una vita fa.
Non fa domande.
I miei figli lo salutano con garbo, in francese, lo parlano come lo spagnolo e l’inglese, poliglotti come me e Andres, ora come ora non desidero che imparino il russo o il tedesco.
Siamo tutti sopravvissuti, alla guerra, al lutto ed ai massacri, cerchiamo di vivere in pace, giorno dopo giorno.
Sophie è venuta a trovarci, quest’estate, come l’anno scorso e quello ancora precedente, fermandosi per alcune settimane.. Abbiamo trovato un modus vivendi, alla meglio, raffazzonato, che la include. Quei suoi grandi occhi verdi sono quelli di suo padre, di una leggenda.
“Mamma, Xavier dov’è?” Felipe mi strattona per la mano, in una pausa, mentre i raggi del sole al tramonto tingono di bronzo e miele le pietre della rocca, il vento stormisce tra l’edera e le rose. Sono vestita di azzurro scuro, quasi indaco, perle e ametiste i miei gioielli, con piccoli pettini di avorio e zaffiri nei capelli,  snella e serena, una perfetta principessa.  Che si dedica ai suoi figli e non li affida a una governante, se non facessi a modo mio su qualcosa che per altri è scontato, ovvero avere una governante, non sarei affatto io.
“Al capanno di caccia.. Lo sai” starà lì fino a quando Gilliard non andrà via, me lo ha enunciato per tempo, LEI, invece, si è sposata l’anno scorso con uno dei tanti cugini di mio cognato, un matrimonio d’amore che le ha ridato il sorriso, si è forgiata una nuova vita, come Lui. E alla fine, Xavier ha preferito rimanere ad Ahumada, è la sua casa dichiara, saggio  che in fondo il suo nome significa casa nuova. Via via va a trovare Sasha a Parigi, è stato a Londra e Cambridge per un ciclo di lezioni, ha in mente di frequentare l’università. Attivo, curioso, adora stare all’aria aperta, il compagno ideale per le monellerie dei ragazzi. E sta sempre attento, sempre, si gode la vita.
“Lo so.. c’è andato con Castore” anni fa avevo un cavallo con quel nome, era leggiadro e superbo, anche lui lo amava, rievoco con una fitta un bambino vestito da soldato che in groppa a quel destriero si sentiva il re del mondo, la sua gioia senza pari nel fare  qualcosa che l’emofilia gli aveva sempre proibito, cavalcare, anche se più del passo e del piccolo trotto, non siamo mai andati, su un terreno liscio e senza rilievi.
“Dovete vedere come è alto, Monsieur Gilliard” lo informa Leon “Anche più di mio padre” Gilliard abbozza un sorriso, Andres è poco meno di un metro e novanta, LUI pare ancora più alto, per la figura sottile, elegante, ed in effetti lo ha superato.
“Ed è bravissimo, sa pescare e cacciare, imita tutti gli uccelli con la voce, solo a cavallo va sempre pianino..” gonfia il petto orgoglioso come se fosse un suo merito “Xavier è un portento” glissa di aggiungere come di tutte le fanciulle dei dintorni cadano in deliquio per lui, giovane ma non casto, forse, e tanto non è di mia competenza.
“Mio marito  lo ha adottato qualche anno fa, dandogli il suo cognome, insieme alla  sorella” spiego sottovoce, il suo nome, il nostro nome, Fuentes,  l’ha protetto, li ha protetti, Ahumada è diventata la loro casa, specie per LUI, è risorto dalla cenere e dalle tragedie, è diventato parte di Ahumada e della sua gente con naturalezza ed allegria, Ahumada e la sua gente lo hanno accolto, come me ai primi tempi, per sempre.
Molto spesso chiama Andres “Papà”, per età potrebbe essere davvero suo figlio e lui suo padre.
Quando eravamo in mezzo al nulla e all'oblio, avevo tirato fuori la storia del Talmud, che se  chiamavi una persona con  un altro nome ne potevi cambiare il destino. Ero disperata, come LEI, e Andres era uscito fuori con l’appellativo del suo primo figlio, Xavier, nato prematuro e morto troppo presto, Xavier come suo padre, un nome amato, Xavier .. Xavier Fuentes, e tanto lo amavamo a prescindere.
A LUI era piaciuto, da allora in avanti diceva che dovevamo chiamarlo solo in quel modo.
Gilliard non indaga oltre, non è di sua spettanza.


La serata scorre tranquilla, Andres torna e ceniamo tutti insieme, poi offre al caro svizzero una serata a base di chiacchiere virili e sherry, poi mi raggiunge e, secondo nostro uso consolidato, facciamo l’amore, appassionati e famelici, il mio letto è sempre ben caldo.
L’alchimia è rimasta, potente, lui è il mio porto sicuro, sempre. Quando mi chiese di sposarlo, mi promise che mi avrebbe amato per sempre, così è, così è stato e sarà.
La nostra storia, lutti e passioni, alti e bassi, riprenderci e mollarci,  con epici abbandoni e ritorni, albe struggenti, sesso in ogni dove, come non definirlo amore? E la tranquillità è solo apparente.
ndres e Gilliard si arrestarono, per non disturbare un’animata conversazione tra la principessa Fuentes e un giovane, che dava loro le spalle e gesticolava, non litigavano, questo no, tranne che lo scambio di opinioni era vivace. Gli stava facendo visitare il castello alla luce del giorno, erano dalle parti delle scuderie quando li avevano scorti.
La principessa era sempre bella,  alta e sottile, con i magnifici occhi scuri e i capelli castani, le curve un poco più morbide, aveva avuto due figli, i fianchi si erano arrotondati, come il petto, rispetto alla sua luminosa adolescenza. Quando Olga Nicolaevana aveva 16 anni, a Livadia, vi era stato un ballo, era vestita di rosa come la sua diletta amica, snelle e affascinati, avevano dominato la scena. Un soffio, un palpito, chi immaginava che i calici di champagne celebrati in loro onore sarebbero stati gli ultimi, prima della guerra. Anni dopo, Catherine si era sposata con Fuentes, Andres Fuentes dalle mille sorprese ed, ancora, erano innamorati, sempre, rifletteva lo svizzero, bastava osservare il modo in cui lo spagnolo scrutava la moglie e ..  poi il ragazzo si girò, dopo avere dato un bacio sula guancia della principessa Fuentes,  e il fiato  si fermò in gola.
È un miraggio.
È una sola illusione.
Una morgana.
Aveva ragione a sostenere che la principessa Fuentes se lo sarebbe portato via.
Anche no.
Era un solo, povero illuso, lui Gilliard e intanto scrutava il ragazzo.
Era alto, elegante e sottile, vestito con paio di pantaloni marroni, una scura giacca sulle ampie spalle,  e stivali da cavallerizzo, il viso ambrato dal sole, che creava riflessi color rame sulla barba e i capelli castani.
Aveva gli occhi azzurri, una sfumatura zaffiro ed indaco.
Aveva buffe, tenere orecchie.
Li videro, il ragazzo e la principessa, come Gilliard e Andres. 
Un momento immobile, poi andò loro incontro, non era mai stato nel suo stile essere un vigliacco.

“Papà, scusami se ieri non mi sono presentato al vostro ospite, ero .. occupato. “Fece un sorriso, ampio, radioso e stese una mano “Yo soy Xavier Fuentes” Io sono Xavier Fuentes. Un principe del passato, un principe del futuro.
“Pierre Gilliard, lieto di conoscervi” conversarono dieci minuti, affabili, ameni, tranne che poi Gilliard non avrebbe saputo quantificare o qualificare gli argomenti.
“E’ un bel ragazzo, vero?”osservò Andres, quando furono soli. “Diciotto anni,  una vita piena di speranze e promesse..”
“Sì.. la stessa età dello zarevic, Aleksey Nicolaevic”le parole trovarono una faticosa via d’uscita.
“Sì..”
“Aleksey Nicolevic è  sempre stato legatissimo alla principessa vostra moglie, come le sue sorelle, l’adorazione reciproca e senza rimedio”Quella era una constatazione, Andres non replicò, omettendo che ne aveva parlato al presente, come se non fosse stato sepolto in una fossa senza nome in Siberia o i suoi resti dispersi. Aveva capito
“E mia moglie lo stesso” Ogni anno, il giorno dell’anniversario dell’eccidio, andava al torrente Moguer e disperdeva delle candide rose nella corrente, insieme a LORO, poi liberavano un aquilone. Catherine aveva fatto costruire una cappella votiva in onore dei Romanov, nonostante tutto, gli aveva detto in privato, se Dio esisteva avrebbe certo accolto Olga e i suoi, anche se le preghiere e le messe erano celebrate secondo il rito cattolico, Dio non doveva conoscere quelle differenze, no?.
“Quando erano a Tolbosk in Siberia, e stava male per un attacco di emofilia, il peggiore da anni, espresse il desiderio che.. se la passavano voleva stare con lei, con voi, con tutta la sua famiglia, che amava Ahumada, anche se non la aveva mai vista.. Non aveva paura della morte, ma di quello che potevano fargli e fare ai suoi in prigionia”
“Non abbiamo fatto abbastanza..”
“Principe Fuentes, l’Inghilterra non li ha accolti, il re Giorgio V ritirò la sua proposta di asilo e la ripropose quando fu troppo tardi, vennero organizzati piani di rapimento e riscatto quando erano stati spostati da Carskoe Selo in Siberia.. Figuratevi, la compagnia di San Ioann di Tolbosk, capeggiata dal genero di Rasputin, che solo per quello aveva la fiducia della zarina!! Che quando li spostarono da Tolbosk a Ekaterimburg era agli arresti, il prode campione..!! Hanno fucilato il granduca Michele, il fratello dello zar, messo ancora vivi in un pozzo la granduchessa Ella,la sorella della zarina,  e altri granduchi, tirando una granata, sono morti di fame e per le ferite..Altri li hanno fucilati” una pausa “Voi avete fatto l’impossibile e più ancora, come la principessa vostra moglie e lo sapete, no..” Un breve attimo “Mi ha fatto piacere conoscere i vostri figli, sia di sangue che adottivi..e tanto non fate differenze tra loro.. vero?”
“Avete indovinato,l'altra mia figlia peccato che non sia qui, si è sposata l’anno scorso, era il ritratto stesso della felicità. Spero che possano vivere felici, liberi e in pace, con Catherine abbiamo questa speranza. Non siamo certo dei santi, ma .. cerchiamo di fare meglio che possiamo”
“Principe Fuentes, voi siete un uomo d’onore.. credo che ripartirò oggi..”Non ci fu verso o modo di convincerlo a rimanere.
“Non dirà nulla”
“Non c’è nulla da dire, Catherine” un sorriso, obliquo, remoto.
“I quaderni..”
“I quaderni che ti ha portato sono tuoi, un regalo di Olga per te, lo sai.. lei ti voleva bene, lo sai” una pausa dolorosa.
 “Quando successe, volli convincermi che era un incubo, e che il cavaliere era venuto a prendermi e sarei stato bene..” Una pausa “E quel ragazzino non c’è più, Catherine, in un dato senso è disperso in Siberia, come lei, una morte metaforica..” Una pausa “Cerco di godermi la vita, di stare bene, sempre attento.. Come ti dissi una volta, per quello di cui soffro non c’è cura, ma ogni giorno in più è una vittoria..  Sto attento, insomma, abbastanza..“sardonico per stemperare la commozione.
“Cerco di non incombere troppo..”
“Lo so, sono stato a Londra, Parigi, cavalco, non  sono monitorato 24 ore al giorno..  alla fine vedi la persona che sono, pregi e difetti compresi, non la malattia, i pochi che passano l’infanzia  se la cavano e potrebbe … potrebbe succedere di tutto, anche un urto, potrei morire anche domani. E mi mancano, sempre, ogni giorno.. perché loro sì e io no? Cat, perché?”  ha ragione, come al solito e per me è uno strazio, gli passo un braccio sulle spalle, un conforto vano, solo per dirgli che non è solo, che ci sono sempre e che per me è lo stesso, uno scempio e tanto vado avanti, sempre. E’ rimasto il solo a chiamarmi Cat   “E anche per riprendermi.. tra il viaggio e tutto .. E abbiamo discusso tanto, la volta che ero scappato ti ho fatto morire di spavento. Ed eri arrabbiata e ti ho fatto piangere, tu non piangi mai.”distolgo il viso, per dargli modo di ricomporsi, è stata dura per tutti, oltre che per lui, non voglio ricordarlo, a parole, non oggi, è un giorno speciale. Si calma, come me, e per scherzo mi tira un colpetto sul naso, fingo di sbuffare e guardo l’orologio da polso, tra poco sarà il momento.
“Oggi è il 12 agosto e sono circa le tredici e un quarto, sei nato a quest’ora”
“Non c’è verso di farti dimenticare nulla, eh, Catherine” dolce e spiazzante.
“No..” mi tiro in piedi, aiutata da lui, poi lo stringo, ricambiata.
Una volta, quando era un bambino, ero io a superarlo di statura ed appoggiare il mento sui suoi capelli, ora è il contrario, una gioia infinita, un conforto.

Ossa di fumo, capelli di seta, la sua voglia di vivere è infinita come il rosso oro dei Nibelunghi, sempre.
fighter prince, un principe combattente, sopravissuto al massacro e all’esilio, che si è reinventato. Rievoco un bimbo paffuto che mi sorrideva e tendeva le braccia, piangendo,  quando andavo via,  che ho amato, stretto e cullato, il fanciullo che tenevo in grembo tra una crisi e l’altra, che mi ha fatto ridere e piangere, arrabbiare  e messo in imbarazzo. 
“Grazie, Catherine” 
“Prego, e io ringrazio Te”
Allora  pronuncio il suo nome, dico“Buon compleanno, Aleksey”  
Ne abbiamo ancora una e mille da vivere.
…..

Cat, raccontami la nostra storia, ora ci credo.
Senza fine o principio..
Tell me a story.. 
Il resto la vivremo, giorno per giorno.
White Roses, for you and me, all my love for who remember us, we are immortal.
 

BELOVED IMMORTAL.
…… to be continued…

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