Più vero di un sogno

di mgrandier
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Polvere ***
Capitolo 2: *** Aromi ***
Capitolo 3: *** Notte ***
Capitolo 4: *** Parole ***
Capitolo 5: *** Sogno ***



Capitolo 1
*** Polvere ***



Polvere
 
Quando, superata l’ultima svolta, scorgo la sagoma scura di Palazzo Jarjayes che si staglia sul cielo rosso del tramonto, arresto la marcia di Alexander e scivolo a terra; con le braccia sollevate sulla sella e le mani strette alle redini, rimango immobile per alcuni istanti, mentre il mio sguardo incerto indugia tra le fronde che in parte ostacolano la mia visuale.  Socchiudo gli occhi, cercando invano di mettere a fuoco l’immagine della residenza che un tempo mi pareva ferma e rassicurante, quasi accogliente, mentre ora è sfumata in un’ombra dai contorni tormentati e malfermi. Insisto, cercando di sopperire con la memoria alle falle della mia vista, e infine cedo: chino il capo e mi porto un polso alla fronte, scendendo poi a strofinare il dorso della mano sul mio occhio destro, sconsolato.
Palazzo Jarjayes, per me, non è più quello di un tempo.
Sto rientrando vestito di una uniforme blu dal tessuto ruvido e dalle cuciture storte e sfilacciate: una taglia di troppo a vestire il mio corpo - questa c’era a disposizione quando mi sono arruolato e questa è quella che mi trovo a portare addosso – che nonostante tutto riesce a tirare sulle spalle e sulla schiena intralciandomi nei movimenti più semplici. E ora, stropicciata e coperta di polvere, questa uniforme racconta di me e del mio presente. Narra di un uomo senza una dimora, che è mal tollerato quando si trova in caserma, tra gli uomini del popolo che lo vedono troppo simile ad un nobile, ed è guardato di traverso quando torna laddove per anni aveva creduto di essere a casa, se non altro, per la vicinanza con ciò che restava della sua stessa famiglia e per l’unico legame autentico che avesse mai sentito con il mondo.
Lei …
Sospiro, scuotendo il capo, ridendo di me stesso per essere ricaduto nel solito, doloroso, pensiero di sempre. Un tarlo che mi consuma l’animo e non mi lascia tregua, soffocando il mio spirito tra senso di colpa e d’abbandono, mentre la consapevolezza di essere stato io stesso artefice della mia disfatta lotta con l’assurda giustificazione per ciò che ho fatto, tentando l’estremo spinto dalla disperazione di un amore impossibile da soffocare.
Mi guardo attorno distrattamente, al contrario di quel che facevo quando in passato, sempre preoccupato per sua incolumità, sulla via del rientro controllavo con circospezione che nessuno ci seguisse nell’ombra; ora sono solo, completamente solo, e comprendo di essermi lasciato alle spalle, con la mia vita precedente, anche quella parte di me che, vigile e costantemente all’erta, viveva nella consapevolezza di essere responsabile della sua sicurezza, godendo del peso della propria responsabilità.
Sono solo, sfinito dalla stanchezza e coperto di polvere; sono in licenza e non ho nessuna ragione di gioire per questo, perché essere un soldato ai suoi ordini, tra turni massacranti ed esercitazioni, è l’unico modo che mi sia rimasto per saperla presente nella mia vita, per sentirmi ancora capace di essere vivo, accontentandomi delle briciole di una esistenza ormai lontana.
Stringo le dita attorno alle redini, mentre sollevo il volto verso il cielo; chiudo gli occhi e inspiro profondamente cercando nell’aria polverosa uno scampolo di pace.
Allora, in un istante, il respiro si blocca e la gola si chiude, mentre gli occhi si spalancano e io arranco quasi fino ad aggrapparmi alla sella di Alexander per non perdere l’equilibrio e finire a terra. Recupero fermezza e muovo alcuni passi guardandomi attorno, scosso e al contempo incredulo per ciò che sono certo di aver percepito, di nuovo.
 
Ti ho sentita. Ho riconosciuto il tuo profumo. Ho sentito il tuo respiro.
 
- Oscar! –
Senza riflettere, raggiungo rapido il ciglio della strada e mi addentro tra i cespugli bassi aprendomi un varco tra gli arbusti che mi graffiano le mani e si impigliano nella stoffa delle mie brache; mi fermo e poi avanzo ancora – Oscar! –
Incespico e torno sui miei passi per raggiungere di nuovo Alexander; immobile resto in ascolto ma ormai l’ho persa e odo soltanto il respiro della natura che mi circonda.
- Oscar! – provo a chiamarla ancora a gran voce, nonostante io stesso mi dia mentalmente dello stupido, e il cuore mi palpiti furioso nel petto – Oscar! – chiamo ancora; tento di nuovo e il tono della mia voce giunge più incerto alle mie stesse orecchie.
- Oscar? – ancora un tentativo, mentre dalla strada non giunge altro che il soffio del vento che solleva uno sbuffo polveroso; poi silenzio.
Al mio fianco, Alexander scuote il capo impaziente di riprendere il cammino; in lontananza, riconosco il frullare d’ali di un uccello disturbato dai miei richiami insensati.
Chiudo gli occhi, chinando il capo e per qualche istante cerco di recuperare l’equilibrio, barcollando nell’incertezza della mia esistenza ormai a pezzi.
Sollevo le braccia, affondo le dita tra i miei capelli e traggo un profondo respiro, lasciando poi che l’aria soffi lentamente tra le labbra.
Non è la prima volta che mi capita … che percepisco la sua presenza attorno a me; accade nei momenti più impensabili, soprattutto quando sono assolutamente certo che lei non sia presente. Accade tutto all’improvviso: la percepisco, come fosse al mio fianco, o giusto ad un passo da me … anche se sono completamente solo. Ed è così assurdo … perché quando lei è davvero presente, la sento distante, quasi assente: i suoi ordini mi giungono austeri e la sua voce fredda come non è mai stata; ma poi, quando siamo lontani, quando lei non c’è, … allora la sento ed è completamente diversa.
In principio ho creduto di essermi confuso, sebbene io fossi certo di non poter confondere il suo profumo con quello di nessuna altra donna; in seguito ho pensato di avere male interpretato ciò che mi circondava realmente; per qualche tempo, mi sono convinto di essere stato semplicemente preda della stanchezza, della tristezza … dello sconforto. Ho incolpato la mia solitudine, la mia incapacità a rinunciare a lei.
Ora, dopo quest’ennesimo accadimento, non posso che ridurmi ad accettare la più logica delle spiegazioni: sto semplicemente diventando pazzo.


Nota dell'autrice: A volte ritornano... dopo più di un anno di pausa dalla pubblicazione dell'ultima storia, ma ritornano.
So che l'idea è balzana, ma è qualcosa a cui penso da tanto, tanto tempo e sarebbe rimasta là ancora per altrettanto, se non fosse per chi mi ha dato una bella spinta a mettere nero su bianco qualcosa che è davvero difficile da descrivere.
Grazie a chi vorrà darmi fiducia... Grazie a chi lo ha già fatto.
mgrandier

 

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Capitolo 2
*** Aromi ***


Aromi
 
La tranquilla penombra del vestibolo mi accoglie in un abbraccio di aromi che mi portano lontano in un solo respiro: chino il capo per evitare un ciuffo di maggiorana legato dalla nonna un po’ troppo alla propria portata, mentre riconosco ogni essenza presente nel bouquet di erbe aromatiche legate in mazzetti e appese tutto attorno all’ingresso di servizio; nella mia mente torna leggero il ricordo di quando, ragazzino, portavo a termine ogni altro impegno senza darmi tregua, pur di ottenere il permesso di partecipare alla raccolta nel giardino degli aromi di palazzo … 
Sollevo un braccio, tendendo la mano per accarezzare un ciuffo di timo e poi mi porto le dita appena sotto al naso, chiudo gli occhi e inspiro per godere della sua delicata essenza, perdendomi quasi nel suo profumo. Avanzo in un silenzio irreale e raggiungo la cucina grande dove, sul lungo piano da lavoro, scopro una serie di teglie e vassoi; verdure e carne arrostita, l’avanzo di uno sformato e alcuni piatti di pietanze fredde, certamente rimasti dall’ultimo pranzo ufficiale di palazzo. Non posso fare a meno di avvicinarmi per poi chinarmi su quelle delizie, trovando di nuovo i profumi dell’orto e quel tocco speciale e speziato che la sapienza della nonna riesce ad imprimere in ogni portata, quasi fosse una firma.
Sono a stomaco vuoto da ore, ma la stanchezza che intorpidisce le mie membra ha assopito anche la fame; tuttavia non posso che cedere alla lusinga di quelle meraviglie: raccolgo dal tegame un pezzetto di arrosto e lo addento, deliziandomi al suo sapore intenso. Arrosto di selvaggina: uno dei miei preferiti, corposo e pungente, capace di risvegliare in un istante il mio appetito, mentre la mente corre all’ordinaria confusione che saturava la cucina durante la preparazione dei sontuosi pranzi delle feste di palazzo, quando ancora la famiglia risiedeva al completo nella dimora ufficiale dei Jarjayes, e al laborioso via vai nel quale era semplice intrufolarsi, eludere la sorveglianza degli inservienti e accaparrarsi qualche porzione di carne, per poi finire la serata insieme davanti al camino della sua stanza, seduti su un tappeto, a rubarsi dal piatto i bocconi più croccanti e saporiti … Allora eravamo solo due ragazzini e anche lei era a mala pena ammessa al cospetto degli ospiti illustri per un saluto formale, prima di essere lasciata libera di tornare alla spensieratezza, alle corse, ai giochi di spada …
- ANDRE’! –
Sobbalzo al richiamo, catapultato in un istante alla realtà della voce perentoria della nonna. Mi volto e la trovo sulla soglia della cucina, con l’espressione accigliata e rossa in viso, con i pugni puntati sui fianchi e le maniche ravvolte fino a lasciare i gomiti scoperti.
- Togli le mani da quelle pietanze e invece di perdere tempo a rubare dai tegami, vedi di metterti al lavoro, - mi investe lei senza darmi il tempo di deglutire, né di proferire parola - perché mentre il Generale e Madame sono lontani da palazzo, ne approfittiamo per riorganizzare le dispense e controllare le scorte nei magazzini. –
Avanza decisa, punta alle ceste stracolme di mele sistemate a ridosso delle finestre e sbuffa rumorosamente - Stiamo preparando le conserve e se anche dovessi ripartire per la città domani mattina, almeno questa sera mi sarai utile, visto che le ragazze hanno accompagnato Jacques in campagna a ritirare le verdure dagli orti. –
Mi riprendo a fatica dalla ruvida accoglienza della nonna, avanzo verso di lei e cerco di apparire conciliante - Buona sera, nonna! Ti trovo bene: energica come sempre … - abbozzo un sorriso, ma lei è ancora immersa nel suo mondo immutabile.
- Dobbiamo ancora preparare la composta con il raccolto della scorsa settimana e già domani arriveranno le nuove ceste … e poi ci sarà il bucato della biancheria buona, perciò non potrò dedicarmi solo alla cucina! – si lamenta ancora, girandomi attorno indaffarata, afferrando una cesta per poi depositarla sul grande tavolo da lavoro – Grazie al cielo non sono previsti pranzi ufficiali e quel che serve a noi è già tutto pronto … - conclude poi con una vena di sollievo, sollevando le mani al capo e sistemando la cuffietta al meglio.
- Capisco … - mormoro annuendo, mentre allungo la mano verso un vassoio discosto dagli altri, premurosamente coperto da un canovaccio, sperando di potervi trovare un boccone gustoso che sia alla mia portata.
- E togli le mani da quel vassoio! – mi rimprovera immediatamente la nonna – Quella è la cena per la mia bambina!  – precisa poi, sempre muovendosi tra le ceste – Ormai tengo sempre qualcosa di pronto per lei, nel caso rientri a palazzo. –
Non ho alcun commento in risposta alle sue parole, a quei frammenti di una vita che sembra non avere nulla da condividere con la mia, ma mi limito a seguire le traiettorie della nonna, cercando un modo di rendermi utile; allora, paradossalmente, lei reagisce al mio silenzio arrestando per un istante la propria corsa, mentre arriccia il naso e solleva lo sguardo verso di me, forse finalmente consapevole del mio rientro a palazzo.
Tuttavia, io proseguo, sollevando un’altra cesta e portando anch’essa al tavolo – Forse ti farebbe bene un po’ di riposo, nonna … - ma lei scuote il capo e la sua espressione si distende; il piglio deciso con cui mi aveva accolto si scioglie in una sorta di sorriso e il suo tono si fa caldo.
- Nipote caro … finalmente sei tornato a casa! – la nonna si stringe a me in un abbraccio caldo, mentre avverto addosso le sue mani e il sue grembiule ancora umidi, e non posso che ricambiare il suo gesto di affetto, gustando quello che per me è ormai rimasto l’unico momento in cui mi senta accolto e amato davvero, uno spiraglio di luce nel buio della solitudine che mi avvolge ormai da settimane e nella quale non faccio che nutrirmi di ricordi sempre più dolorosi da rivivere.
Non riesco nemmeno a risponderle, nel tentativo di controllare il morso dell’anima che di nuovo mi sta chiudendo la gola, ed è ancora lei a riprendere a parlare, mentre scioglie l’abbraccio e mi scruta preoccupata.
– Povero il mio ragazzo … guardati! – commenta a mezza voce, sfiorando le mie braccia e saggiando la stoffa dell’uniforme – Ma come ti sei conciato? Sei tutto impolverato e questa giacca è sfilacciata! Sei impresentabile! – conclude; poi si avventa sui bottoni della giacca, sfilandoli dalle asole con destrezza, uno dopo l’altro – Dammi qua! Il cambio è già pronto e potrò occuparmi anche di questa: domani sera sarà come nuova! –
Mi divincolo dalla sua presa, arretrando di un passo e trovando finalmente il modo di intervenire – Nonna, stai tranquilla: mi basta mettere qualcosa sotto i denti e riposare almeno un poco … -
- Non se ne parla nemmeno! – mi riprende, tornando immediatamente padrona di sé – Adesso vai nella tua stanza, mentre io preparo anche per te un bel bagno caldo, - poi mi fa voltare e inizia a spingermi in direzione dell’anticamera che porta alle stanze di servizio - e poi, quando sarai presentabile, ti scalderò della carne e potrai riempirti lo stomaco. –
- Ma nonna, mi avevi detto che avevi bisogno di me per … - cerco di intervenire di nuovo, interrompendo il suo fiume in piena, ma lei scuote il capo e non mi lascia proseguire.
- I miei ragazzi sono finalmente a casa dopo tanto tempo e io non perderò l’occasione per rimetterli in sesto entrambi! – esclama soddisfatta e poi prosegue ancora, sempre più entusiasta dei suoi programmi per noi.
Io invece riesco appena a cogliere qualche parola, ma perdo completamente il significato del suo discorso, perché la mia mente si fissa su quell’unico dettaglio: i miei ragazzi sono finalmente a casa …
Così realizzo in un istante che anche lei è veramente rientrata; che è qui, a palazzo. Forse è nella sua stanza, probabilmente ancora immersa nella vasca a godere di un bagno caldo, abbandonata al piacere dell’abbraccio dal sentore delicato e ristoratore dell’acqua profumata … Così avanzo meccanicamente sospinto dalla nonna, un passo dopo l’altro verso la mia stanza, quasi stordito dalle sue parole, ma ormai lontano da ogni pensiero coerente che non sia lei, mentre il cuore riprende a battere furioso, e non mi pare di sentire altro profumo nell’aria che non sia quello dei petali di rosa che profumano il suo bagno …
- Vado, nonna … ce la faccio anche da solo … - mi congedo in qualche modo allungando il passo fin quasi a correre verso la mia stanza, anelando un attimo di solitudine, che solitudine poi non sembra essere davvero, perché una morsa mi prende il ventre e mi chiude di nuovo il respiro.  In tutta fretta, apro l’uscio e lo richiudo alle mie spalle, appoggiando la schiena al battente e riversando il capo all’indietro, cercando di riprendere fiato, mentre i passi della nonna si smorzano, lontani, lungo il corridoio.
Di nuovo, la sento e questa volta non è un semplice udirla o percepirla … è qualcosa di più intenso e vivo; una presenza così prossima da poterne quasi sentire il tocco incerto sulle mie spalle, mentre lento risale lungo il collo e mi smuove i capelli in una carezza calda.
Un brivido mi percorre la schiena, io mi irrigidisco e stringo le mani chiudendole a pungo, cercando di dominare la mia mente e il mio corpo. Eppure quelle carezze non cessano: le sento scendere al mio petto, un sentore leggero che scende sfiorandomi il ventre e poi mi spezza di nuovo il respiro.
Mi allontano dalla porta, tento di governare il mio cuore impazzito e il mio corpo teso, scuoto il capo e mi sfilo la giacca buttandola sul letto; sollevo le braccia e, sempre più impaziente, mi levo anche la camicia; raggiungo la brocca dell’acqua versandone un po’ nel catino per poi affondarvi le mani, cerco ristoro nel risciacquarmi il volto, il collo, i capelli …
Così resto chino sulla toeletta per un tempo indefinito, gocciolante e con il respiro irregolare, le mani strette ai bordi del catino e le braccia tremanti.
Poi, lentamente, mi sembra che tutto svanisca; tutto tranne il profondo turbamento che ancora pervade il mio corpo e la mia mente. Gradualmente, sollevo il capo e apro gli occhi, scrutando nello specchio innanzi a me. Per qualche istante fisso quell’immagine sgomento: vedo un uomo stravolto, quasi non mi riconosco in quell’espressione indecifrabile. Mi faccio più vicino allo specchio e strizzo gli occhi per cercare di ritrovarmi in quell’uomo devastato dai propri demoni … e da qualcosa di più potente di qualunque tentativo di resistervi.
Sono pazzo. Completamente pazzo.


Angolo dell'autrice: aggiorno ora, in vista della partenza per le vacanze. Mi auguro di riuscire a proseguire anche la prossima settimana... confidando in una connessione decente. Se dovessi ritardare... sapete il perchè.
Intanto, ne approfitto per ringraziare tutte le amiche che hanno intrapreso la lettura di questa storia e che mi hanno lasciato il loro pensiero e le loro idee.
Un abbraccio a tutte! E a presto!
mgrandier

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Capitolo 3
*** Notte ***


Notte
 
Ho consumato la mia cena in solitudine, seduto al mio posto, al tavolo della grande cucina, mentre il mio sguardo restava fisso su quello che, in un tempo ormai lontanissimo, era il suo posto. Ho cercato di nascondere alla nonna il mio turbamento, ma credo di non essere riuscito nel mio intento: mi ha servito il mio piatto e ha tentato in ogni modo di catturare la mia attenzione, ricevendo in risposta poco più che monosillabi; infine persino lei ha ceduto e, con un sospiro, mi ha lasciato solo, annunciandomi di doversi occupare del ritiro della cena di Madamigella Oscar, per poi scomparire oltre il vestibolo senza fare ritorno.
Rimasto solo, non ho più avuto bisogno di fingere e, non appena terminata la cena, ho cercato ristoro nell’aria fresca e nel buio del giardino. Ho passeggiato a lungo, vagando senza meta fino a raggiungere il perimetro del parco, mentre pensieri e ricordi disegnavano volute ardite nel cielo scuro; ho lasciato che il mio corpo trovasse ristoro nel ritmo costante dei miei passi e che la mente fuggisse dalla morsa infame dei miei incubi e, incredibilmente, mi è parso di aver davvero separato mente e corpo, ritrovando la quiete.
Così, quando in lontananza ho potuto vedere che anche le ultime luci della cucina si sono spente e il palazzo non sembrava essere altro che l’ombra assopita di un enorme drago immaginario, sono tornato sui miei passi, lentamente, per raggiungere la mia camera.
Qui, ora, mi sento in pace con me stesso e davvero solo; solo di quella solitudine che rende tranquilli e dona sicurezza, calma profonda.
Alla luce tremolante del doppiere, l’ambiente mi appare piccolo e incredibilmente accogliente; lascio uno sguardo diffidente alla toeletta, mi rinfresco quasi di fretta, e poi mi spoglio, lasciando camicia e brache sulla sponda del letto, prima di abbandonarmi finalmente all’abbraccio del mio giaciglio.
- Niente a che vedere con a branda della camerata … - sussurro tra me, mentre inarco appena la schiena e mi rilasso del tutto, certo di meritarmi, finalmente, una notte di riposo assoluto.
 
E’ la notte a tradire le mie aspettative.
Quando mi sollevo a sedere sul mio letto, quasi strappato al mio sonno, mi ritrovo completamente sudato, con il fiato corto e i sensi all’erta. Non è stato un incubo a sottrarmi al mio riposo; tutt’altro. E’ qualcosa di molto diverso … è il mio strazio, la mia perdizione che ancora una volta diventa concreta sulla mia pelle.
Resto per qualche istante in attesa, con le ginocchia piegate e le braccia tese, le mani aperte appoggiate alle lenzuola; la luce tenue della notte filtra appena dalla finestra della mia stanza riempiendo l’ambiente e la mia mente di ombre inquiete. Aspetto ancora, gli occhi socchiusi e il respiro controllato; fino a quando, d’istinto, non sollevo la mano a mezz’aria. Chiudo gli occhi, li strizzo quasi, e ad avere il sopravvento è il profumo che ora invade l’aria saturando ogni mio senso. Lo riconosco … lo sento: è il suo profumo e questa volta porta in sé una nota del tutto nuova, che mi turba profondamente, fino a pungermi i sensi.
Muovo la mano sospesa ed è come se avvertissi una carezza, un gioco leggero che mi porta ad allargare le dita e a sentirne altre, sottili e leggere, intrecciate alle mie; piego appena il braccio e anche l’altra mano deve sollevarsi e seguire lo stesso gioco di carezze e di dita intrecciate. Mi irrigidisco, tento di opporre resistenza, vacillo e poi sento di dover arretrare, lentamente, fino a tornare a stendermi sulle lenzuola, con le braccia aperte e le mani affondate nel cuscino, ai lati del mio capo.
Respiro lentamente, maledico la mia follia, ma non riesco a contrastarla e allora mi muovo, inarco la schiena e poi mi abbandono a ciò che sento.
L’intreccio si scioglie, le dita tornano libere, e carezze gemelle percorrono le mie braccia giungendo alle mie spalle; potrebbe essere un tocco del tutto innocente e niente più, eppure mi spezza il fiato, perché nella mia stanza l’aria è satura del profumo che mi cattura e mi conduce lontano dalla ragione. Deglutisco, quando il tocco torna a muoversi e questa volta sembra ben sapere come percorrere il mio corpo per vincere ogni resistenza e risvegliare il mio istinto di uomo perduto. Nello stesso istante, un soffio raggiunge il mio viso, mi sembra seta leggera e profumata, un alito caldo che sfiora la mia fronte e scende lungo la guancia fino al collo, per insistere lì dove non potrei mai vedere, ma riesco a percepire ogni sensazione fin quasi al mio limite.
E’ una sorta di assedio al mio corpo, una battaglia impari dove io non ho nessuna possibilità di sopravvivere.
Le carezze scendono e risalgono, percorrono lente il mio corpo come una condanna, disegnando su di me ciò che non riesco a governare; cercano curiose, tornano e mi scoprono ormai senza speranza, giocano con ciò che, dall’essere forza, è divenuta debolezza. Caparbie, sembrano sfidare la mia pelle in quello che ormai è tortura, fino al limite, allo spasimo, quando il mio corpo vibra ormai vinto e un gemito profondo si libera dalla mia gola; quando, sfinito, riapro gli occhi, serro le labbra per soffocare la mia voce, e mi ritrovo solo come sapevo di essere e pur tuttavia, sulla mia pelle, riesco a percepire il fiorire di un sorriso non mio.
Una scia calda, allora, prende a muoversi da dietro al mio orecchio, scende lenta e percorre lo spigolo della mia mandibola giungendo ad un soffio dalle mie labbra, dove pare giocare con un nuovo fuoco. Il mio animo si risveglia di nuovo, vinto dal desiderio di questo nuovo duello. Lo chiamo duello, perché questo sembra essere … e forse solo così posso definirlo. Inumidisco le labbra e mi pare di sentirlo ancora, quell’alito caldo, proprio lì, invitante e suadente … irresistibile. Il mio cuore sembra impazzito e rimbomba nella mia gola; dischiudo le labbra, perché è un sogno, ne sono consapevole, ma almeno questo sogno posso viverlo, qui nella solitudine dalla mia follia, e lasciarmi condurre anche dal mio desiderio. Cerco io stesso quel contatto, anelo, ora, di più e muovo le labbra perché riesco a sentire quello sfiorarsi di desideri nascosti che sulla mia pelle accaldata diventano baci roventi, senza pudore. Nella mia pazzia, riesco persino a sentire la risposta ad ogni mio assalto; lo percepisco, quel tocco profondo che mi accarezza l’anima e mi toglie il respiro, mi strappa la ragione e mi …
- Ahhh! – è la mia voce a spezzare il brusio denso dei gemiti che saturavano, fino ad un istante fa, la mia camera.
Una mano corre d’istinto al labbro dolente e le mie dita saggiano la pelle, tremanti. Avverto una sorta di gonfiore e poi, d’un tratto, qualcosa di liquido e denso che trasuda, lasciando le mie dita appena umide.
Sono troppo sconvolto per reagire e resto per qualche istante immobile sul letto a fissare le ombre nel buio, mentre tutto attorno a me sembra essere ritornata la calma e anche quel profumo intenso e suadente, in un istante è svanito; vorrei essere invisibile, fondermi con una di quelle macchie scure e incerte che popolano il mio mondo dai contorni ambigui; vorrei essere ancora padrone del mio tempo e poter sognare un sogno che sia davvero mio … Invece sono schiavo di qualcosa che non conosco, che ha radici lontane anche dentro di me, ma che ora sento di non essere io a guidare … e che mi sfugge di mano quando credo di averlo quasi afferrato.
Cerco di governare il mio respiro, riacquistando lentamente un poco di lucidità; torno a muovere le dita, sfregandole una sull’altra e passo la punta della lingua ancora sul labbro, percependo chiaramente il sentore dolciastro del sangue.
Allora mi muovo, mettendomi di traverso, seduto sul letto, e cerco a tentoni, sul mio comodino, il doppiere. La flebile luce della notte è appena sufficiente per trovare l’acciarino nel mio cassetto e in qualche modo, sforzandomi di essere il più lucido possibile, riesco, dopo qualche vano tentativo, ad accendere un lume. Mi alzo dal letto, malfermo sulle gambe; come un automa, raggiungo la toeletta e mi sporgo sul catino, avvicinando il più possibile il mio volto allo specchio.
Allora, quasi incredulo, spalanco gli occhi, tornando a toccare con le mie stesse dita quel segno ora evidente nell’angolo del labbro, gonfio e sporco di sangue.
Afferro un asciugamano e tampono alla meglio la ferita; sul lino bianco mi sono subito ben visibili le macchie di sangue. Torno a scrutare, non convinto, quel segno sul mio labbro … lo percorro con la lingua e mi sforzo di raggiungerlo in qualche modo, a costo di smorfie inquietanti, cercando di convincermi che posso essere stato io stesso l’artefice di quel danno. Ci provo inutilmente, più e più volte, e infine scuoto il capo di fronte a quello che, a tutti gli effetti, non può che essere il segno di un morso.
Sospiro, arretrando un poco dalla toeletta, mentre nello specchio l’immagine che conoscevo di me stesso si fa sempre più sfocata e confusa, persa in quella pazzia alla quale ormai non posso che arrendermi.
Sono pazzo: non ho alcuna speranza.

Angolo dell'autrice: anche dal luogo di vacanza, sono riuscita ad aggiornare! La connessione non è il massimo, ma il panorama merita (ho anche trovato un buon candidato per il ruolo di André giusto a due passi dalla mia piazzola in campeggio: cosa voglio di più dalle vacanze?)
Per il mio André questa licenza non è certo una vacanza... spero che a voi tutte vada per il meglio!
A presto e... abbiate fiducia!
Bacioni
mgrandier

 

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Capitolo 4
*** Parole ***


Parole
 
- Hai l’aria stanca. –
La sentenza della nonna non mi coglie di sorpresa; vorrei risponderle qualcosa, ma le parole mi muoiono in gola mentre cerco inutilmente di accampare una scusa plausibile al mio pessimo sonno. Lei è indaffarata a preparare le mele per la composta ed evidentemente si aspetta da me una giustificazione convincente; si volta i mi punta addosso il suo sguardo indagatore, ma il mio volto è così segnato dalla notte trascorsa che evidentemente continua a risultare inespressivo e lei torna alla carica.
- Ti si vede sempre più di rado, resti una notte appena e poi torni in città. Dovresti fermarti a casa più a lungo: così potresti riposare davvero. – il tono è ancora bonario, tuttavia conosco la nonna abbastanza bene da prevedere dove andranno a finire le sue lamentele. Porto alle labbra un boccone di pane e resto silenzioso, in attesa che riprenda.
- Non riesco nemmeno a prepararti l’uniforme per darti un cambio da portare con te! – mi rimprovera ancora – Non è bene che tu ti trascuri in questo modo. –
- Non mi trascuro, nonna: faccio tutto quello che mi è possibile, in caserma, per mantenere le mie abitudini in fatto di cura personale. – so che questo non le basterà, ma ci provo ugualmente, mentre consumo la mia colazione sollevando appena lo sguardo sulla nonna.
- Dovresti tornare a casa più spesso. – riprende tornando a darmi le spalle, ignorando del tutto quello che le ho detto – E non attaccare con la storia delle licenze: so bene che a volte resti chiuso in quella topaia puzzolente anche durante le licenze. –
E’ una conversazione a senso unico; inutile ribattere. Tuttavia, mosso da un certo senso di colpa nei confronti della nonna, mi sento di doverle una spiegazione – Lo faccio per i miei compagni: cerco di sostituirli perché possano usufruire di qualche permesso in più … -
- Eh bravo! Tu stai in servizio anche quando sei in licenza e gli altri se la spassano con le fidanzate! – commenta prontamente lei, con piglio crescente – Questo è il punto: dovresti farti una famiglia come tutti gli altri; scegliere una brava ragazza e … -
- Nonna, basta. – la interrompo perentorio, non appena lei sfodera il pezzo forte – Sai che non voglio nemmeno parlarne: io non sono tutti gli altri. Per me è diverso; io non ho scelta perché la mia vita è questa e non ce ne potrebbe essere un’altra per me. –
La nonna si irrigidisce; è ancora di spalle, ma intuisco chiaramente le sue mani immobili, strette al bordo della cesta colma di frutta. Mi sta ascoltando.
- Come posso spiegartelo? – riprendo allora io – E’ come un viaggio tra due città: un uomo può percorrere la via maestra, dritta, larga e comoda; oppure seguire faticosamente le strade secondarie, tortuose e malmesse … ma se la sua meta è quella città, il suo viaggio non lo potrà portare altrove. –
Le sue spalle sussultano, mentre le parlo, ma poi sembrano rilassarsi appena, e lei scuote il capo; in silenzio, torna al suo lavoro.
Per qualche istante in cucina torna la pace; una tregua greve e densa, colma dei nostri pensieri e delle giustificazioni che entrambi vorremmo portare all’altro, ma a cui nessuno dei due osa dare voce. Confidando in questa tregua instabile, mi concentro sul mio piatto, riprendendo a consumare la mia colazione e sono così assorto da non accorgermi nemmeno dei passi nell’atrio.
- Nanny, sei qui? –
La sua voce gentile mi fa sussultare; è poco più di un sussurro, ma riesco a comprendere le sue parole. Io sono seduto al tavolo, in un angolo dell’ampio locale, e certamente non ha notato la mia presenza. Resto immobile; vorrei essere evanescente, niente più di un’ombra scura, un alone sfocato sul muro dipinto a calce.
La nonna abbandona il suo lavoro con le mele e, premurosa, la raggiunge sulla soglia della cucina – Oscar, bambina mia! Hai bisogno? Hai finito la tua colazione? Era di tuo gusto? –
- Sì, certo nonna. Come sempre. – risponde lei cortese – In realtà io cercavo Jean per chiedergli di prepararmi Cesar per una cavalcata … ma non l’ho trovato alle scuderie. –
La nonna scuote il capo, mortificata – Mi dispiace, bambina, ma anche Jean è andato con gli altri a ritirare il raccolto dalle campagne. Sono desolata … - ammette poi sfregandosi le mani nel grembiule, nervosa – Io non sapevo che saresti rientrata e ieri sera ho disposto perché anche il ragazzo … Oh! – e poi si interrompe, mentre il viso le si illumina e si volta nella mia direzione.
- André! Cosa fai ancora lì seduto? – il tono con cui la nonna mi si rivolge non ha nulla a che vedere con quello con il quale, solo un istante fa, stava parlando a lei – Forza! Corri alle scuderie a preparare Cesar! –
Non posso nemmeno rispondere: ho visto chiaramente la sua espressione serena sciogliersi nel preciso istante in cui lei, seguendo le parole della nonna, si è accorta della mia presenza in cucina. Probabilmente, dalla soglia dell’ingresso, mi aveva a mala pena intravisto … ma solo allora, al richiamo della nonna, mi aveva guardato davvero. Mi si spezza il fiato nel vederla tremare fissando lo sguardo sul mio viso, con un’espressione indecifrabile di sgomento e sorpresa; un brivido attraversa il mio corpo e d’istinto chino il capo e porto lo sguardo a terra in segno di rispetto.
- Perfetto. Allora io … io passerò tra poco alla scuderia. – le sento appena mormorare, come a chiudere in tutta fretta la questione, mentre l’eco dei suoi passi svanisce nell’atrio.
 
Mi prendo cura di Cesar con una sorta di piacere, ormai. Per anni è stato compito mio, e l’ho svolto con dedizione, e solo da quando mi sono arruolato ad occuparsi di lui è stato assegnato Jean, il giovane apprendista dello stalliere ufficiale di palazzo. Eppure è una soddisfazione ritrovare Cesar docile e amichevole con me come so che non è mai stato con nessun altro. Anche in caserma, Gilbert si lamenta del carattere particolare dello stallone del Comandante tanto che spesso, in caso di difficoltà, vengo chiamato ad intervenire perché ormai è noto come io sia in grado di tranquillizzarlo; ormai le battute si sprecano su chi sia più ribelle e scontroso, tra lo stallone e il suo cavaliere.
Dopo aver terminato di assicurare i finimenti, mi soffermo con Cesar, accarezzandogli il muso mentre gli offro una mela sottratta alla scorta della cucina. Lo stallone gradisce e addenta vorace il frutto succoso.
- Sei sempre stato goloso, vecchio mio … - commento divertito, porgendo al cavallo un altro pezzo del frutto.
- E tu lo hai sempre viziato. –
La constatazione, alle mie spalle, mi coglie di sorpresa. Il tono è sottile, la voce appena udibile e proviene, credo, dall’ingresso della scuderia, ma io sussulto e mi volto di scatto, incerto su come sia meglio comportarmi.
Sapevo bene che sarebbe arrivata; eppure, in un certo modo, ero riuscito ad illudermi che non l’avrebbe mai fatto, pur di evitare di incontrarmi di nuovo; e invece, adesso, lei è qui.

Angolo dell'autrice: finalmente è comparsa. Qualcuno aveva forse il dubbio che non sarebbe mai arrivata... eppure eccola, Oscar, colta quasi di sorpresa, ormai incastrata in un incontro che, a quanto pare, non si aspettava di fare. E adesso?
Intanto... grazie a tutte per l'affetto che mi dimostrate. A presto!
mgrandier

 

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Capitolo 5
*** Sogno ***


Sogno
 
- Oscar, io … - con lo sguardo a terra, resto un istante in attesa e poi afferro le redini di Cesar e avanzo appena, conducendolo con me – Cesar è pronto: desideri che lo accompagni fuori? –
Lei non mi risponde e io mi fermo dopo qualche passo soltanto, evitando di avvicinarmi troppo al punto in cui è rimasta in attesa.
E’ da tempo che non mi trovo solo con lei, lontano dal resto del mondo, come in questo momento, e non sono certo di essere pronto ad affrontare un confronto diretto; non dopo quello che, negli ultimi tempi, mi sta accadendo. Certamente, non dopo quello che mi è accaduto questa notte.
- Perdonami, Oscar. Forse preferisci che io … - riprendo, con voce incerta, cercando di controllarmi almeno un poco - … forse, ecco … -
Non oso alzare lo sguardo e vengo spiazzato quando scorgo il suo avanzare, lento, nella mia direzione; un passo dopo l’altro, silenziosa, lei si fa più vicina fino a fermarsi di fronte a me. Sollevo appena il capo, intuisco le sue mani abbandonate lungo i fianchi e il moto un poco nervoso delle sue dita; chiudo gli occhi, d’istinto, quando intuisco che muove appena un braccio, sollevandolo.
- Cosa … cosa ti è accaduto? – la sua domanda è un soffio, mentre il tocco incerto delle sue dita giunge al mio labbro segnato e io sussulto, deglutendo a vuoto al pensiero di ciò che non posso rivelare, e al contempo sono sorpreso per la richiesta inattesa.
Senza nemmeno riflettere, porto la mia mano al labbro, confuso, e inavvertitamente tocco la sua, che, come scottata, si ritrae all’istante.
- Questo? – chiedo di rimando, incapace di dare una spiegazione coerente – Beh, io … non so nemmeno io come sia accaduto, in realtà … - farfuglio.
- Non è un taglio netto … da lama, intendo. – osserva lei e, senza rifletterci, io sollevo lo sguardo, scoprendola con l’espressione concentrata e gli occhi puntati sul mio labbro segnato.
- No … - confermo imbarazzato, scuotendo appena il capo - … non è un incidente di rasatura, in effetti. Però non so … deve essere accaduto questa notte, credo. –
- Questa notte? – mi incalza lei, incomprensibilmente sempre più interessata al mio incidente – Ti sei forse agitato … Hai avuto magari un incubo … nel cuore della notte? -
Sono in difficoltà: la sua vicinanza dopo tanto tempo, il ricordo di questa notte e di ciò che mi sta accadendo di recente, la sua inspiegabile curiosità … A mala pena metto insieme una risposta, inspirando a fondo per cercare di tranquillizzarmi.
– Nel cuore della notte … beh, sì. Non so che importanza possa avere, in realtà … ma io non lo definirei nemmeno un incubo. – ammetto, azzardando una sorta di sorriso, approfittando di questo momento di inattesa confidenza per allentare la tensione; chino appena il capo su un lato, quasi a giustificarmi – Forse ero nel dormiveglia … ma era molto più vero di un sogno e molto più forte della realtà … uno strano sogno, davvero, ma che non posso certo definire incubo. -
Non so per quale ragione io mi sia spinto a tanto, ammettendo davanti a lei qualcosa che nemmeno io riesco ancora a spiegarmi; eppure il fatto di parlarne, di parlarne a lei, in qualche modo mi fa sentire diverso … forse addirittura più capace di affrontare quello con cui ancora non sono riuscito a confrontarmi. O piuttosto, mi sto aggrappando inconsapevolmente a questo dettaglio che sembra interessarla così tanto, pur di aprire uno spiraglio nella cortina che da mesi, ormai, ci separa.
- Forse ero semplicemente troppo stanco persino per un sonno decente! – ipotizzo infine, cercando di tornare su un terreno meno pericoloso.
Tuttavia lei non sembra aver nemmeno udito le mie ultime parole; i suoi occhi sono sgranati, il blu liquido e profondo, mentre le sue labbra si muovono appena ripetendo in un sussurro – Più vero di un sogno, più forte della realtà … -
Mi blocco al vederla così sconvolta, le labbra dischiuse, lo sguardo perso sulle mie labbra che scivola lento fino ai miei occhi, indugia, come a cercarvi una risposta, e poi torna a scendere lento, mentre una mano torna a saggiare la mia ferita. Sono completamente spiazzato, incapace di muovermi, ipnotizzato da lei e dal suo tocco. Non comprendo cosa le stia accadendo, ma è come rapita dal mio volto e al contempo persa in pensieri segreti, quasi lei avesse compreso qualcosa che va oltre la mia capacità di capirla. Il suo volto è pallido, ma le sue guance si tingono di una sorta di imbarazzo che non avevo mai visto sul suo volto di porcellana.
- Ti è già capitato altre volte? – mi chiede d’un tratto, come se sapesse esattamente di cosa stiamo parlando.
- Altre volte? – ripeto meccanicamente, cercando di prendere tempo, mentre organizzo un modo di spiegarmi, e scaccio istintivamente l’idea di mentirle, quasi potessi tradire la sua fiducia e questo momento di confidenza – A dire il vero … devo ammettere che non è la prima volta che ho di questi … momenti che non so definire; tuttavia non è mai stato niente di così segnante! –
Cerco di sdrammatizzare, per alleggerire la questione, ma al contrario lei sembra colpita dalle mie parole e in un attimo torna all’attacco, ancora più determinata.
– Quando? – mi chiede seria.
- Quando cosa? – domando a mi volta, spiazzato.
- Quando ti è accaduto, per esempio? – incalza lei, evidentemente ormai presa dalla necessità di saperne di più.
Di nuovo non riesco a spiegarmi tanta curiosità ma pur di conquistarmi qualche attimo ancora da condividere con lei, qui dove l’ombra del passato sembra non riuscire ad arrivare, le racconterei di qualunque cosa lei mi chieda. Rifletto rapidamente su come io possa spiegare cosa mi sia accaduto e poi faccio un tentativo.
- Ieri, per esempio: sulla via del ritorno a casa. – accenno.
Lei assottiglia lo sguardo, interessata e io mi sento invitato a proseguire – Lungo la strada, al tramonto. Io … come posso dirlo … mi sembrava di sognare, ma ero sveglio, padrone di me, e sono certo di aver percepito di non essere solo. –
Ho evitato un dettaglio importante … ma lei coglie ogni mia parola e sembra farla propria; non pare nemmeno sorpresa quando io preciso – E non avevo nemmeno bevuto. – e anzi, lei accenna un sorriso.
- André … - mi chiama, e il mio nome, sulle sue labbra, pronunciato con questo tono caldo, mi provoca un brivido lungo la schiena - … ieri … dopo il tuo rientro, ti è accaduto anche un’altra volta? –
Alla sua domanda resto davvero senza parole. E’ davvero come se lei sapesse, sapesse tutto, anche meglio di me. Chiudo gli occhi, annuisco in risposta e poi lo ammetto, raccontando quello che è stato – E’ vero. Dopo il mio rientro mi accaduto ancora qualcosa di simile e io ero così imbarazzato che ho dovuto fuggire dalla nonna e ritirarmi nella mia camera, per non sembrare completamente folle … -
La vedo inumidirsi le labbra, scuotere appena il capo e poi mormorare ancora – Non un semplice sogno … ma più vero di un sogno … -; si blocca per un istante, serra le labbra e poi riprende, con la voce tremante – André io ti chiedo perdono, perché non credevo di farti del male e invece … -
Mi ritraggo di scatto, incredulo – Tu, farmi male? – le chiedo scuotendo il capo – E come mai potresti essere tu responsabile di questo? Oscar sono io che … -
Non mi lascia proseguire. Sul suo viso, ora, leggo un’espressione nuova, che non ricordo di averle mai visto prima, e le sue mani tornano a sollevarsi, cercando le mie e sfiorandole appena, in un gioco che riconosco immediatamente e che diviene intreccio di dita identico a quello già vissuto.
Il mio cuore accelera, il mio respiro si spezza; deglutisco a forza e la mia mente corre all’ultima mia follia, a quel tocco che mi ha sconvolto fino all’estremo, rubandomi la notte.
Lei mi sorride appena e abbassa lo sguardo evitando il mio, concentrandosi sul mio corpo; scioglie le sue dita dalla presa delle mie e poi muove le mani, lenta, in carezze gemelle che risalgono fino alla base del mio collo e poi ancora scendono, percorrendo il mio petto fino a fermarsi ad un soffio da dove, questa notte, mi hanno fatto perdere la ragione. Lei trattiene il fiato e, di lì, torna a fissare il suo sguardo nel mio, incapace di andare oltre.
- Vedi, è strano da spiegare, eppure … Tutto torna: il pomeriggio e poi ancora dopo il tuo rientro … e pure questa notte. Non so davvero come accada, ma ho capito che mentre io mi perdevo a immaginare, lasciavo correre i miei pensieri e … e … allora tu … - non osa proseguire, serra le labbra, e tra esse le parole che dovrebbero aprirmi tutto il suo segreto.
Un brivido caldo risale lungo la mia schiena: ripenso alla sua presenza, ai baci, alle carezze dolci che si sono fatte audaci, al tocco caldo che non era solo curioso, ma mosso da qualcosa di molto, molto più forte, a cui ora non oso nemmeno dare un nome, mentre un timido dubbio si insinua tra i miei pensieri.
- Oscar … - la chiamo e poi le chiedo quasi incredulo - … vuoi dire che io, proprio io, ero veramente in quei tuoi pensieri? –
Mi guarda e non riesce a darmi risposta; si morde le labbra nervosa, le inumidisce e poi torna a serrarle, incurvandole in un sorriso che le colora lo sguardo di un riflesso di timidezza; forse vorrebbe parlarmi … tentare di aprirmi il suo animo, ma ancora non riesce a farlo.
Eppure, io ormai riesco davvero a vederla, ad andare oltre il velo di distacco e freddezza che per tanto tempo avevo avvertito nei miei confronti. Riconosco la donna che sapevo esistere sotto l’uniforme, l’educazione militare e il rigore; scorgo la riservatezza, il pudore e il timore di qualcosa per il quale lei non credeva di essere pronta; e vado oltre … immaginando ciò che ho anelato per anni, che mia ha tormentato per giorni, che mi potrà dare vita d’ora in poi.
Il mio cuore esplode, il mio amore tracima, rompe l’argine della mia coscienza e spezza ogni timore; non attendo oltre, perché non posso comprendere, ma riesco a intuire, e così porto le mani al suo viso, i palmi sulle sue guance; colgo le sue labbra con le mie e supero ogni timore e ogni distanza.
Quello che trovo, è il mio paradiso e, insieme la mia perdizione: labbra morbide, calde e accoglienti, nelle quali riesco persino a riconoscere quelle della notte; il mio, il nostro, è un bacio che nasce timido, ma diviene presto energico, urlo di un sentimento che vuole a tutti i costi trovare la propria strada.
A mala pena intuisco i passi di Cesar che, lento, si avvia verso il cortile, togliendo il disturbo.
Allento la presa per un istante, scorgo appena il suo sguardo di fuoco e poi mi ritrovo stretto tra le sue braccia, con il suo corpo legato al mio e le labbra di nuovo a cercarmi, in un duello impaziente.
Non posso comprendere come sia accaduto; forse, un giorno, riusciremo a parlarne e lei mi saprà spiegare, ma ora, in questo preciso istante, non c’è bisogno di parole.
Non è poi così importante sciogliere ogni dubbio; piuttosto, ringrazio quella scintilla che ho chiamato pazzia, che mi rubato lucidità e speranza, che mi ha gettato nel baratro della follia più totale e che mia ha portato, ora, a vivere un sogno che non ho mai nemmeno osato sognare.


Angolo dell'autrice: chiudo qui... e lascio a voi l'onere di sognare, tanto le prove generali sono state già fatte!
So che la storia è singolare, per quel riflesso di inspiegabile che si porta dentro; tuttavia, ho riflettuto su una cosa... Definiremmo sovrannaturale la storia originale? Io credo che nessuno l'abbia mai fatto; tuttavia, sia anime che manga riportano un episodio singolare, in cui André sente il richiamo di Oscar nonostante sia impossibile che l'abbia udito. Questo dettaglio del loro legame mi ha sempre incuriosito e dato da pensare ... perchè va oltre ogni logica.
Ho riflettuto a lungo su quanto quel "sentirsi" avrebbe potuto diventare importante ... Poi un giorno, rivedendo un vecchio video dei Placebo (che se siete curiose potete vedere qui 
https://www.youtube.com/watch?v=HClZwFNNMKs  ) mi sono detta... "Accidenti, questi sono loro, così come li ho immaginati io!" e il resto delle idee è venuto da sé. Ci sono voluti mesi per trovare il tempo di scrivere la storia, che poi si è pure evoluta in corso d'opera, e alla fine è diventata quello che avete letto e che mi auguro vi abbia fatto emozionare almeno un pochino.
Io ringrazio chi ha avuto pazienza per leggere... e soprattutto ringrazio chi mi ha aiutata e sostenuta in fase di scrittura (vi assicuro che quando parto per la tangente, sono davvero pressante e folle): amica mia, Più vero di un sogno, è dedicata a te.
Un bacio a tutte
Maddy



 

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