Una grande avventura

di BlackSwan Whites
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 0. Prologo ***
Capitolo 2: *** 1. Nuovi incontri (prima parte) ***
Capitolo 3: *** 2. Nuovi incontri (seconda parte) ***
Capitolo 4: *** 3. Di situazioni imbarazzanti e facce (s)conosciute ***
Capitolo 5: *** 4. Passati che ritornano ***
Capitolo 6: *** 5. Ricordi in tempesta e... tempeste ***
Capitolo 7: *** 6. L'Isola del Vento ***
Capitolo 8: *** 7. Catture e trame... chi è preda e chi è cacciatore? ***
Capitolo 9: *** 8. Fronti molteplici ***
Capitolo 10: *** 9. Questioni d'onore (e di Marina) ***
Capitolo 11: *** 10. Un regolamento di conti ***



Capitolo 1
*** 0. Prologo ***


                      UNA GRANDE AVVENTURA


Su un’isoletta sperduta nel Grande Blu…

Era una giornata splendida. Il sole, alto nel cielo, deliziava la terra con il suo calore, smorzato leggermente da una dolce brezza marina.
Una ragazza sedeva a gambe incrociate sulla spiaggia, godendosi il tepore e lasciando che il vento le scompigliasse i corti capelli castani scuri. Teneva gli occhi chiusi, per raggiungere il massimo della rilassatezza e della contemplazione che quel luogo incantato le ispirava, lasciandosi guidare da tutti gli altri sensi: il tatto, con la sensazione dell’aria sulla pelle; l’olfatto, con cui percepiva un leggero profumo di salsedine; l’udito, che le lasciava ascoltare lo stridere delicato dei gabbiani.
O almeno, quello che era stato fino ad un attimo prima lo stridere delicato dei gabbiani.
Di colpo, infatti, tutti gli uccelli tacquero, salvo uno, che lanciò una sorta di grido d’allarme. La ragazza socchiuse i chiari occhi verdi, infastidita da quel rumore improvviso. Un’ombra scura le passò sopra la testa; alzando lo sguardo, vide che in cielo non era rimasta che un’unica figura a volare, descrivendo pigri cerchi nell’azzurro. Un rapace, un falco per la precisione. Specie decisamente rara, soprattutto in quell’area.
Il volatile fece un altro paio di giri, poi senza preavviso si lanciò in picchiata, puntando dritto in direzione della giovane. Quella, per nulla intimorita, si alzò in piedi, spazzolandosi la sabbia dai corti pantaloncini dalle sfumature gialle e arancioni, si sistemò meglio la canottiera blu dalle sottili righe azzurre, che le si era sollevata scoprendole la schiena e, con naturalezza, distese il braccio destro, su cui portava una lunga polsiera di colore grigio scuro.
Il falco, che fino ad un attimo prima non aveva accennato a modificare traiettoria, spalancò le ali, trasformando la picchiata in una planata, per poi posarsi con delicatezza sul braccio teso della ragazza, che con l’altra mano andò a carezzargli delicatamente le ali, facendo scorrere le dita sul soffice piumaggio; si soffermò un attimo di più sulle inusuali striature blu elettrico che le percorrevano, spiccando tra il marrone uniforme. Continuò, perdendosi in quella sensazione di pace, finché un richiamo alle sue spalle non la ripiombò bruscamente nel mondo reale.
-Ehi, Iris, allora, ti muovi? Oppure ci hai ripensato e preferisci rimanere su quest’isola deserta?-

La mora si voltò; a parlare era stata un’altra ragazza, che in quel momento la stava fissando a braccia conserte da una breve distanza, battendo il piede a terra. Si sarebbe detto che fosse seccata, se non avesse avuto un sorriso beffardo in volto. Con una mano si scostò un ciuffo di capelli castani, sfuggito alla coda di cavallo, che a causa del vento le erano finiti davanti all’occhio sinistro e, subito dopo, si aggiustò gli occhiali dalla sottile montatura ovale sul naso.

-Eccomi, Diana, stavo aspettando che Kahir rientrasse- rispose la giovane di nome Iris, facendo cenno col capo al falco, che per tutta risposta lanciò un grido stridulo. -Ah, bene. Allora possiamo andare.-
Di colpo, dietro le lenti, gli occhi verdi scuri della seconda ragazza si fecero più gravi. Diana si sistemò meglio la camicia arancione a quadri, aprendola maggiormente sulla canotta sottostante. Mosse qualche passo affondando nella sabbia fine, fino a raggiungere Iris. Ora che erano vicine, si vedeva che la mora la superava di circa cinque centimetri.
-Senti, Iris,- cominciò Diana, con tono serio -in questi giorni ho pensato molto alla tua proposta. E non intendo solo a quella di accompagnarti alla prossima isola- aggiunse, vedendo la faccia vagamente perplessa dell’altra.

Le due infatti si erano incontrate per puro caso.

Diana, che viaggiava da sola con una piccola barca, era approdata sull’isola per rifornirsi (per quanto fosse possibile in un luogo totalmente privo di una qualsivoglia forma di civilizzazione) di cibo e acqua dolce e aveva trovato Iris e il suo falco Kahir; questi ultimi avevano dovuto riparare in quell’oasi naturale perché la loro “barca”, una scialuppa di fortuna che la ragazza era riuscita a spillare per pochi soldi a un avido mercante, durante una tempesta aveva riportato numerose falle; era un miracolo che fossero riusciti ad arrivare fin lì, anche perché se fossero colati a picco prima Iris si sarebbe trovata in guai molto seri, avendo perso la capacità di nuotare.
Così, dopo le prime diffidenze, le due avevano cominciato a parlare e ognuna delle due aveva raccontato la propria storia all’altra. Entrambe avevano avuto un passato piuttosto doloroso, e possedendo anche caratteri abbastanza affini erano andate subito d’accordo. Erano rimaste assieme in quel posto per ben due settimane, infine avevano concordato che Diana avrebbe offerto un passaggio ad Iris, almeno fino all’isola successiva.

Ma una sera, mentre discutevano dei loro sogni e progetti, la mora col falco aveva lanciato all’altra un’idea pericolosa ma allettante, che l’aveva portata a riflettere attentamente nei giorni seguenti. Se avesse compiuto quella scelta, non avrebbe certo avuto a pentirsene, ma doveva anche mettere in conto che, una volta fatto quel passo, non sarebbe più potuta tornare indietro.

Con voce tremante per l’emozione, riprese a parlare.
-Da quando ti ho incontrata su quest’isola dimenticata dal mondo, sento che qualcosa è cambiato in me. Eh, beh, vedi…- si interruppe di nuovo -Ecco... io… Cavolo, sono cose importanti, non so in che modo esprimermi!- sbraitò di colpo, come in preda a una crisi di nervi. Kahir, vicino, mandò una sorta di gemito, sbattendo le ali; sebbene fosse un falco, aveva una mentalità e delle reazioni quasi umane; in questo caso, sarebbe corrisposto a una sorta di salto per allontanarsi dalla giovane sul punto di esplodere. L’altra ragazza, non capendo né il nervosismo della prima né i segnali dati dall’animale, si limitò a fissarla inclinando un po’ la testa di lato. L’orecchino di metallo che portava al lobo sinistro scintillò, colpito dal sole.
-Cos’è, mi stai facendo una dichiarazione d’amore?- chiese, con voce stupita.
-Ma no! Cosa vai a pensare!- sbottò Diana, esplodendo definitivamente; per l’agitazione, il ciuffo di capelli le era caduto nuovamente sull’occhio. Se lo scostò con rabbia, poi prese qualche respiro profondo per tranquillizzarsi. -Io parlavo della tua proposta di formare una ciurma pirata!- disse finalmente con voce calma, abbassando la testa.
Iris parve sollevata da quella risposta. All’improvviso fu la sua faccia a diventare una maschera di assoluta serietà.
-E che decisione hai preso?-
L’altra non rispose subito. Si aggiustò gli occhiali, poi lentamente alzò lo sguardo. La sua bocca era piegata in un sorriso sghembo, che indicava una grande determinazione.
-Ho deciso che ti seguirò anche in capo al mondo pur di fare in modo che i nostri sogni si realizzino, capitano-.

 

 

 

Salve, gente, qui è BlackSwan Hawthorne! Sono nuova in questo fandom, almeno per quanto riguarda la pubblicazione di storie personali su One Piece. In genere bazzico nella sezione di Hunger Games, ma giustamente a chi interessa?
Partecipo a parecchie storie interattive e, per una volta, ho radunato le idee e, vedendo che un paio di saghe almeno le ho pensate, ho deciso di provare anch’io a scriverne una.
Premetto: dovrei aggiornare con un capitolo una volta al mese, ma non posso garantirvi nulla. Comunque sia cercherò di portare avanti la storia, anche dovessi metterci ere geologiche a sfornarvi un aggiornamento (cosa????)
Passiamo alla parte seria. Essendo un’interattiva, mi servono i vostri personaggi per darle vita. Prima di lanciarvi a compilare la scheda, però, leggete attentamente le indicazioni che trovate sul foglio illustrativo qui sotto; e qui tre quarti dei lettori rinunceranno all’idea di partecipare, constatando la terribile pignoleria dell’autrice. No, davvero, ci tengo solo a mettere bene in chiaro le cose, non voglio fare del male a nessuno ;)
- Prenderò solo i primi otto personaggi, le cui descrizioni dovranno essermi recapitate attraverso i seguenti passaggi: recensione al capitolo e prenotazione in fondo alla recensione, dopodiché io vi darò entro domani sera l’ok per inviarmi la scheda, invio che dovrà essere fatto via messaggio privato
- I personaggi devono essere plausibili: quindi, niente esseri perfetti (non a caso nella scheda c’è la sezione “debolezze”, e non provate a scrivermi “non ne ha” o vi ritroverete a testa in giù prima di poter dire “interattiva”) e niente frutto del diavolo che dà il potere di tutti gli altri (se ci provate, leggete sopra per sapere come andrà a finire u.u)
- Per i ruoli (questo lo dicono sempre tutti), siate vari. Abbiamo già capitano e vedetta, per cui tutti gli altri sono vacanti: chi prima arriva, meglio alloggia

Ok, altre premesse non ne ho, quindi passiamo alla scheda. I campi con l’asterisco (*) sono facoltativi.

Nome:
Cognome:
Sesso:
Età:
Aspetto fisico (con eventuali segni particolari):
Carattere (dettagliato, più dettagli date meglio potrò provare a rendere giustizia agli OC):
Preferenze (chi/cosa gli/le piace?):
Odi (chi/cosa non sopporta?):
Passato (anche qui, non siate poveri di dettagli):
Sogno:
*Taglia (massimo 50 milioni di berry):
*Frutto del diavolo (inventato):
*Arma (sbizzarritevi):
Punti di forza:
Debolezze:
*Storia d’amore (solo con altri OC):
*Altro (se c’è qualcosa che non avete messo prima, scrivete qui):

Ok, mi sembra di avervi detto tutto. Preferirei avere tutte le descrizioni entro domani sera, perché a partire da sabato potrei avere difficoltà nell’accesso a Internet, quindi se vi sbrigate avrò più tempo per riflettere sul da farsi. Il primo capitolo lo avrete verso fine mese.
Ovvio, se ci sarà un primo capitolo… partendo con tutte queste premesse mi chiedo chi avrà avuto l’ardore di leggere fino in fondo senza chiudere la storia, addormentarsi o andare in coma.
Ultime due richiestine (voi: bastaaaaaaaaaa!!!!!!!):
- Se riuscite, quando prenotate datemi già qualche generalità sul personaggio (sesso, ruolo che vorreste e se ha mangiato frutti del diavolo); questo è perché voglio creare una ciurma abbastanza eterogenea nel caso qualcuno volesse storie d’amore (niente yaoi o yuri), quindi vorrei che ci fossero almeno due o tre OC maschi (se fossero quattro tanto meglio); stesso discorso per i frutti del diavolo, vorrei almeno due che non ne avessero mangiati (altrimenti se la nave affonda siamo finiti :-P). Ah, nessuno vi impone che se il personaggio ha mangiato un frutto del diavolo non possa avere anche un’arma, eh ;)
- Anche se l’ho già scritto lo ripeto, le storie d’amore saranno solo tra OC; questo perché la storia è ambientata in un futuro non meglio definito, in cui Rufy & co hanno realizzato i loro sogni e si sono ritirati, sparendo dalla circolazione. Loro e tutti gli altri personaggi conosciuti finora
- Onde evitare equivoci (esempio esaurimento posti) tenete d'occhio quante persone hanno già recensito prima di voi: valutate se è il caso (massimo un personaggio in più posso anche accettarlo, non voglio scoraggiare nessuno dal partecipare!)

Stavolta ho davvero finito. O voi anime prave intrepide che siete giunti fino in fondo, se volete partecipare, seguite le modalità che ho detto sopra. Presto, ci sono solo otto posti!
Saluti da una rompiballe

Swan

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Capitolo 2
*** 1. Nuovi incontri (prima parte) ***


UNA GRANDE AVVENTURA



Capitolo 1: Nuovi incontri (prima parte)

Erano passati un paio di giorni dalla partenza di Iris e Diana dallo sperduto isolotto su cui si erano incontrate.
Finalmente, dopo una navigazione non eccessivamente lunga ma nemmeno breve (contando le dimensioni della loro imbarcazione), erano riuscite ad avvistare nuovamente la terraferma.
Per la precisione, si trattava di Shike, un’isola abbastanza piccola, ma che grazie alla sua posizione al centro di una fitta rete di vie marine era molto frequentata, soprattutto da mercanti che vi si fermavano per rifocillarsi e rilassarsi prima di riprendere i loro viaggi d’affari.
L’isola Shike era rinomata per la sua atmosfera raccolta e pacifica. Non appena l’avevano scorta in lontananza, le due ragazze si erano sentite pervase da una sensazione di grandissima tranquillità, che era andata crescendo man mano che si avvicinavano alla costa.
Il profilo della terra era scandito da una serie di colline tondeggianti, che davano al paesaggio una dolcezza particolare e un aspetto quasi morbido; sui pendii si potevano scorgere greggi di pecore candide, intente a brucare pigramente l’erba verde che cresceva ovunque rigogliosa. Placidi torrenti cristallini scorrevano verso valle, andando infine a sfociare delicatamente nel mare, che lungo le spiagge aveva una tonalità stupenda di verde/azzurro; sotto la superficie si intravedevano banchi di pesci piluccare ciuffi di alghe multicolori. A parte il grande centro abitato dove si trovava il porto, il resto dei villaggi era costituito da poche case affiancate sulle colline.
Insomma, quell’isola era un luogo ameno, l’ideale per trovare un po’ di pace dalla dura vita di mare.
Ma Iris e Diana non erano lì per rilassarsi, o almeno, non solo per quello.
Una volta attraccato, avrebbero iniziato la ricerca di compagni per la loro ciurma.
Come si è detto, infatti, l’isola era un luogo di passaggio e, sebbene fosse perlopiù meta di commercianti, vi si poteva trovare gente di ogni sorta e impiego, compresi numerosi pirati e (di conseguenza) cacciatori di taglie.
Non avevano da preoccuparsi, però. Entrambe erano ben armate, come aveva fatto notare Diana, sogghignando e poggiando la mano sulla sua fida katana dal fodero finemente decorato a fiori di ibisco rossi; la teneva sempre con sé, legata in vita da una fascia bordeaux, pronta ad essere utilizzata.
Per quanto riguardava Iris, anche lei era ben fornita: la fascia grigio scuro che portava a tracolla e le passava dalla spalla sinistra al fianco destro, infatti, era in realtà una sorta di tasca che conteneva numerosi kunai, contenenti (tra i vari metalli con cui erano stati costruiti) anche agalmatolite; sul suo braccio destro, come sempre quando non era impegnato in qualche volo di ricognizione o di svago, appollaiato sulla polsiera c’era Kahir; pochi avrebbero avuto voglia di mettersi a discutere con una ragazza che girava con un falco pronto a cavarvi gli occhi a suon di becco (anche se in realtà era estremamente pacifico).
E se tutte queste armi non fossero bastate, entrambe le giovani avevano i poteri di un frutto del diavolo.
No, decisamente non sarebbero state avversari da sottovalutare in combattimento, anche se molti, vedendole come femmine (quindi considerandole più deboli per natura) e tenendo conto della loro giovane età (diciassette anni per Diana, diciotto per Iris), avrebbero sicuramente compiuto questo pericoloso errore.

 

Una volta giunte al porto dell’isola, le ragazze attraccarono e scesero a terra.
L’aria profumava delicatamente di salsedine, anche se si poteva percepire una nota di pesce dovuta alla vicinanza del mercato cittadino.
-Wow, quest’isola è semplicemente fantastica!- non poté trattenersi dall’esclamare Iris.
-Scommetto che troveremo molti disposti ad unirsi alla nostra ciurma, qua la gente sembra tutta così amichevole- aggiunse, guardandosi intorno con gli occhi verde acqua che brillavano dall’emozione.
Diana scosse impercettibilmente la testa, sorridendo.
Il suo capitano era una persona che andava in visibilio per decisamente poco.
Sperava solo che la gente non prendesse male le sue intenzioni; dopotutto, diventare pirati significava comunque accettare di essere fuorilegge, per quanto buone potessero essere le proprie intenzioni, quindi inimicarsi la Marina e guadagnarsi l’odio delle molte persone che ragionavano secondo lo schema pirata uguale brigante, ladro e assassino.
Difficile per quelli accettare che potessero esistere anche pirati buoni, come Iris appunto, o come quel ragazzo che pochi anni prima era diventato il nuovo Re dei Pirati, Monkey D. Rufy.
Quando la Marina lo aveva dichiarato nemico della società, da molte isole si erano levate accese proteste: a quanto pare, infatti, tutti quelli che avevano conosciuto lui e la sua ciurma li avevano descritti come persone stupende, che avevano offerto il loro aiuto per combattere le ingiustizie mentre loro e il Governo Mondiale stavano a  girarsi i pollici.
Fatto sta che Rufy e gli altri erano spariti nel nulla, facendo nascere varie dicerie sulla loro sorte: alcuni sostenevano che fossero stati catturati e imprigionati, altri che fossero morti facendo naufragio in mare, altri ancora che avessero deciso segretamente di consegnarsi al Governo.
Diana la pensava diversamente: secondo lei i pirati di Cappello di Paglia erano ancora vivi, semplicemente avevano scelto (dopo essere riusciti a coronare i loro sogni) di ritirarsi su qualche isola sperduta del Grande Blu e vivere in pace.
Quando si erano conosciute lei e Iris avevano discusso anche di questo argomento, e la mora le aveva rivelato che a lei non importava che fine avessero fatto, per lei contava solo il messaggio che Rufy aveva trasmesso: pirati non significa per forza delinquenti.
Era stato allora che le aveva rivelato la sua intenzione di formare una ciurma tutta sua.
Voglio essere come lui, Diana. Non nel senso che ho intenzione di diventare Re dei Pirati, questo no, ma non intendo andare per i mari a saccheggiare villaggi e a distruggere le vite altrui. Diventerò pirata perché ho un sogno, ma per riuscire a realizzarlo non posso e non voglio infrangere i sogni degli altri; solo imbarcandomi potrò girare aiutando chi ne ha bisogno e, viaggiando, un giorno ritroverò Aisha!
Queste le parole che aveva usato Iris e che ora le rimbombavano in testa.

Diana era felice di essersi messa al seguito di una persona che aveva degli ideali; sentiva che entrambe, un giorno, sarebbero riuscite nei loro obiettivi.
La voce del capitano la riscosse dai suoi pensieri.
-Direi di fare un giro al mercato, ho visto che ci sono molte persone lì intorno, magari possiamo trovare qualcuno disposto a entrare nella nostra ciurma. E poi c’è una bancarella che vende dolcetti al cocco! Devo assolutamente assaggiarli!-
La sua espressione pareva quella di un bambino in un parco divertimenti.
Già nel poco tempo in cui erano state assieme, Diana aveva avuto modo di constatare il folle amore che provava per il cocco.
-Buona idea, ma io pensavo di andare prima a mangiare. Sai, le ricerche potrebbero richiedere molto tempo, quindi credo sia meglio mettere prima qualcosa sotto i denti- propose l’occhialuta.
-Ma i dolcetti…- provò a protestare la mora, con espressione supplichevole.
Kahir, che fino a quel momento era stato immobile, emise uno stridio e, con un solo battito d’ali, si sollevò dal suo “trespolo” per andare a posarsi sul fodero della katana di Diana.
-Li prenderemo dopo- ribatté l’altra. -Anche Kahir è d’accordo con me- aggiunse, allungando la mano a carezzare la testa piumata del falco.
-Va bene, allora andiamo!- disse Iris, animata di colpo. -Ho giusto visto una taverna in fondo alla via, per te va bene?-. Diana non fece in tempo a rispondere che quella se n’era già andata.
-Ma è sempre così?- chiese rivolgendosi a Kahir. Era perplessa: fino a un attimo prima sembrava impuntata sulla sua decisione, e adesso aveva già cambiato idea?
Il falco la guardò di sottecchi, poi fece un’alzata di spalle. Iris era sempre stata un tipo strano.

 


L’atmosfera all’interno della taverna era calda e gioviale; ai tavoli di legno sedevano molti gruppi di persone intente a mangiare, bere, parlare e ridere assieme, ma non c’era un caos eccessivo.
Si sedettero e ordinarono; dopo poco tempo, un cameriere sorridente portò loro i piatti e cominciarono a mangiare, godendosi quella sorta di pace.
Persino nei luoghi normalmente più agitati in quell’isola si respirava un clima di calma e tranquillità.
Almeno, solitamente era così, ma per le due neo piratesse le cose stavano per complicarsi leggermente.
 

 

Mentre gustavano i loro cibi, infatti, notarono di colpo un’ombra oscurare il loro tavolo. Alzando lo sguardo, videro che si trattava di un uomo alto e rotondo, quasi calvo e con un ghigno che prometteva molto male.
-Bene bene, pare che oggi sia il mio giorno fortunato- disse l’uomo con un tono ancora meno rassicurante della sua espressione.
Diana continuò a mangiare imperterrita, mentre Iris (Kahir era rimasto fuori dal locale ed era andato a fare un volo in zona per sgranchirsi) fissò per un attimo il tizio e, con voce annoiata, biascicò un mezzo “posso esserle utile?”.
-Oh, certo, potresti essermi molto utile, Synder- disse l’uomo, lanciando uno sguardo malizioso e viscido alla giovane, che fece serrare i denti a Diana e i pugni a lei stessa.
-Ma ancora più utili di te mi potrebbero essere quei 44 milioni di Berry che ci sono sulla tua testa. Se poi ci attacchiamo anche i tuoi 30 milioni, Instar-  aggiunse, spostando gli occhi sull’altra, -potrei essere sistemato praticamente a vita. Dovete aver dato dei bei grattacapi alla Marina, avete delle taglie abbastanza alte per non essere neanche dei pirati- e scoppiò in una risata che aveva un che di più viscido persino dello sguardo che aveva rivolto alle ragazze fino a un secondo prima.
-In realtà, attualmente, siamo anche pirati- disse la mora, mantenendo quel tono distaccato e piegando la bocca in un’espressione di vago scherno.
Il cacciatore di taglie si fece improvvisamente serio. -Ah, bene- sbottò, -quindi adesso siete anche pirati. Molto bene- e il suo volto divenne rabbioso.
-Quindi avete intenzione di cominciare i vostri saccheggi da questo villaggio, dico bene? Volete distruggere la pace di quest’isola? Volete gettare il mondo nel caos?- la sua voce era andata progressivamente crescendo, tanto che adesso le sue urla sovrastavano il chiacchiericcio degli altri clienti, che si zittirono di colpo.
-Beh, rispondi, delinquente!- gridò in faccia a Iris.
La ragazza non rispose subito, si limitò a lanciare uno sguardo gelido all’uomo, tanto che quello rabbrividì. Ancora prima che cominciasse il suo discorso, Diana aveva già intuito quello che avrebbe detto. Quando parlò, le parole che uscirono dalla sua bocca parevano pezzi di ghiaccio.
-Siete tutti uguali- sputò, -non capirete mai che non tutti i pirati sono il male?-
-I pirati sono l’incarnazione del male, stupida ragazza! Gente senza scrupoli, che passa la vita a rovinare i sogni degli altri!-
- Ma talvolta gente con dei principi saldi, che si batte per i propri ideali fino alla morte!- stavolta fu proprio Iris a gridare. -Gente che parte in cerca di avventura, con un proprio sogno da realizzare, pronta a tutto pur di riuscirci!-
Quelle parole rimasero sospese per lunghi istanti nell’aria; pochi tavoli più in là qualcuno, udendole, sollevò la testa.
Era un ragazzo alto e dal fisico scolpito che si intravedeva dalla camicia smanicata a righe rosse e nere che portava aperta; la pettinatura dei suoi capelli corvini ricordava vagamente una fiamma. Qualcosa nel suo aspetto trasmetteva una certa crudeltà, forse il collo massiccio racchiuso da un collare a punte, oppure la lunga cicatrice orizzontale che gli deturpava il volto sopra il naso, o ancora, e forse era proprio questa la caratteristica che incuteva più timore, gli occhi nerissimi dalle caratteristiche striature rosse.
Occhi di solito freddi, ma che all’udire quelle parole si erano animati di una luce particolare. In quella frase, aveva percepito la decisione della ragazza che l’aveva pronunciata. Il cacciatore di taglie che la importunava ricominciò ad attaccarla.
Con una mano, il giovane andò a sfiorare il nero fodero che aveva appeso alla caviglia, in cui teneva il suo pugnale dalla particolare lama rossa. Aveva sempre odiato gli arroganti, gli ricordavano brutte esperienze del suo passato. Appoggiò le braccia sul tavolo, facendo tintinnare gli ornamenti che vi portava: al sinistro un bracciale a punte lungo fino al gomito, al destro un altro monile a catena e un log pose.
Voleva vedere come avrebbe reagito ora la ragazza.
 

 

-Ah, sì, i pirati sono brava gente!- disse il cacciatore di taglie, ridendo nervosamente -Davvero molto divertente! Perché sui manifesti delle taglie non hanno scritto che sei così spiritosa, Iris “Saetta Alata” Synder?-
La giovane fece un respiro profondo, poi lo guardò e disse con una calma innaturale (contando che fino ad un attimo prima era infuriata): -Senti, possiamo discutere dopo? Adesso starei pranzando-
Di fronte a lei, Diana quasi si strozzò con il boccone: possibile che quella ragazza potesse cambiare umore da un secondo all’altro? Cominciò a tossire, tentando di riprendersi.
L’uomo, che parve non sentire le parole di Iris, sogghignando appoggiò una mano sul tavolo, facendo tintinnare i bicchieri.
-A proposito, “Saetta Alata”, che fine ha fatto quell’uccello ammaestrato che dicono ti porti sempre appresso?-
La mora spalancò gli occhi di colpo, voltando lentamente la testa verso il cacciatore. L’orecchino che aveva al lobo sinistro scintillò debolmente. -Scusa, cosa hai detto?- disse, con tono serafico.
-Iris…- gemette Diana, che aveva di nuovo capito come stavano per andare a finire le cose.
-Ma sì, quella specie di pollo con le striature blu…- Scosse la testa. -Certo che hai dei gusti strani, Synder. Una ragazza che come passatempo va ad addomesticare ucc…-
L’uomo non terminò mai la frase, perché venne scaraventato contro la parete opposta del locale da un violentissimo pugno, travolgendo numerosi tavoli con la sua importante mole; il tutto tra le urla degli avventori, ovviamente.
-COME HAI OSATO INSULTARE KAHIR?- gridò Iris. Il suo volto era totalmente trasfigurato: aveva una vena pulsante sulla fronte e sembrava che delle fiamme le uscissero dagli occhi; teneva il pugno serrato, ancora fumante per il cazzottone appena assestato all’uomo.
Quando si toccavano certi tasti, era un attimo farla infuriare. Kahir non era un animale da compagnia, né uno strumento da utilizzare in battaglia. È vero, forse all’inizio lo era stato, Iris l’aveva addestrato personalmente all’età di dieci anni quando le era stato regalato, ma col tempo i due erano diventati più.
I pensieri di uno nella maggior parte dei casi erano anche i pensieri dell’altro, parevano capirsi senza bisogno di comunicare, e anche se Kahir si esprimeva solo attraverso gesti e stridii Iris intendeva le sue espressioni come se sapesse parlare la lingua umana.
Quando combattevano, poi, sembravano una cosa sola: il loro sincronismo era impeccabile, una coordinazione era perfetta.
Erano come fratello e sorella gemelli: due unità distinte, eppure in un certo senso legati in modo indissolubile.
Ma molti non potevano certo capirlo, e per questo rischiavano di fare la fine del cacciatore di taglie, che ora giaceva a terra tentando di riprendersi dal colpo ricevuto.
La giovane si alzò dal suo posto e lentamente si incamminò verso l’uomo, lo afferrò per la maglia, lo sollevò da terra senza il minimo sforzo e lo inchiodò al muro, scuotendolo per sottolineare ogni parola che pronunciava.
-Puoi insultare i pirati, puoi insultare me, ma NON TI PERMETTO DI INSULTARE KAHIR! E ADESSO FUORI DI QUI!- e dopo l’ultima frase lo scaraventò di lato. Quello, pallido come un cencio, si limitò ad annuire nervosamente pigolando un “Sì, sì” tremante e si lanciò verso l’uscita, inciampando un paio di volte.
Iris si sistemò leggermente i vestiti e si voltò nuovamente verso la sala, dove tutti la fissavano esterrefatti.
-Che c’è?- domandò, con espressione sbalordita. Evidentemente non si era accorta di aver sfasciato mezzo locale.
-M-mi scusi signorina, ma l-le s-sarei grato se adesso lasciasse la m-mia taverna- disse debolmente il proprietario, che fino a quel momento era rimasto nascosto dietro il bancone.
La giovane si voltò verso l’uomo, che spaventato si ritirò di nuovo, riemergendo lentamente dopo un attimo. Quando parlò, la sua voce era di nuovo tranquilla.
-Certo, aspetti solo un attimo- e tirò fuori alcune monete, che andò a posare davanti al proprietario. -Ecco, tenga, il cibo era veramente ottimo! Mi dispiace solo di non poterle pagare i danni…- aggiunse, sorridendo.
Poi si rivolse alla sua compagna: -Andiamo, Diana, dimentichi che dobbiamo andare a cercare dei compagni!-
Quella si sbatté una mano sulla fronte, abbassandosi un po’ gli occhiali sul naso.
No, ci avrebbe messo molto ad abituarsi ai repentini cambi d’umore del suo capitano.
 

 

Appena fuori dal locale, le due compagne fecero il punto della situazione: per poter navigare sicure avevano sicuramente bisogno di un cuoco di bordo, un medico e, naturalmente, un navigatore. Questi erano indispensabili, ma se avessero trovato più compagni sarebbe stato molto meglio (per la filosofia di Iris, “più si era meglio era”).
Alla fine risolsero che Diana, più spigliata nella conversazione e meno facile all’ira (anche se era una testa calda per natura, raramente faceva sfuriate come quella appena messa in atto dall’altra), si sarebbe recata al mercato per cercare un cuoco di bordo e un navigatore, mentre Iris sarebbe andata in centro per fare un giro e vedere di trovare un medico.
Poco prima che si separassero, però, la porta della taverna si aprì e una persona venne verso di loro. Era il ragazzo dagli occhi neri e rossi che aveva seguito la lite con il cacciatore di taglie.
-Ehi, aspettate!- disse, richiamando la loro attenzione.
Iris si fermò, permettendogli di raggiungerla. Ora che erano vicini, notò che la sovrastava di circa cinque centimetri, ma doveva avere la sua stessa età.
Lo fissò, per niente intimorita dal suo sguardo freddo. -Sì?-
-Ho sentito le tue parole, prima. Riguardo agli ideali. Sai, anche io ho preso il mare perché un sogno- Si fermò un attimo, cercando le parole, infilandosi le mani nelle tasche dei pantaloni scuri, poi riprese. -Mi piace il tuo modo di pensarla, perché rispecchia il mio. Da quello che ho capito stai cercando dei compagni. Bene, allora ti chiedo di poter entrare a far parte della tua ciurma-
Detto questo, tacque. Non conversava spesso, in genere la gente tendeva ad evitarlo a causa del suo aspetto, che lo faceva sembrare un poco di buono; di conseguenza, non aveva legami con nessuno. Questa era la sua occasione di trovare degli amici, forse non una famiglia come quella che aveva perso da bambino, ma sicuramente poteva creare delle relazioni con persone che vedevano il mondo come lui.
Iris lo guardò negli occhi.
-Come ti chiami?- chiese infine.
-Sono Rey, Rey Black D.- rispose quello.
-Bene, Rey, il mio nome è Iris Synder, e questa- indicò Diana, che nel frattempo li aveva raggiunti- è Diana Instar. Benvenuto nella mia ciurma!- disse la ragazza, sorridendogli e tendendogli la mano.
Lui la prese e diede una energica scossa. -Sarà un onore per me seguirti, capitano!- Poi strinse anche la mano di Diana.
-Io sarei la vedetta di bordo- aggiunse l’occhialuta.
-Bene, tornando a dove eravamo rimasti prima di questa felice interruzione- fece la mora, senza smettere di sorridere, -Rey, direi che tu puoi andare con Diana al mercato per trovare altre reclute, mentre io andrò a cercare qualcuno che accetti di essere il nostro medico di bordo-
L’altra ragazza sbuffò leggermente, sistemandosi il solito ciuffo che puntualmente sfuggiva alla coda, coprendole la visuale.
Anche lei non era una che aveva mai creato molti legami, l’unica persona con cui aveva socializzato finora era proprio Iris, perciò era normale che avrebbe preferito partire per il suo incarico da sola.
Comunque non aveva voglia di fare fin da subito una brutta impressione al loro primo (e unico, per il momento) compagno di viaggio, per cui non ribatté.
-Beh, andiamo?- sbottò, rivolta a Rey. Quello la guardò con uno sguardo da far gelare il sangue nelle vene.
-Prima le signore- disse poi.
Così i due gruppi si separarono, alla ricerca di nuovi compagni di ciurma.

 

 

 

Per le vie del paese…

Non c’era quasi nessuno in giro; a quell’ora, il caldo teneva lontani molti abitanti dalle strade, nonostante ci fosse una brezza leggera a rinfrescare l’aria.

In realtà, le persone barricate in casa in cerca di frescura erano veramente poche: la maggior parte si trovava al mercato per fare compere o semplicemente per curiosare un po’, scambiando due chiacchiere coi commercianti.
Mentre camminava, approfittando del fatto di essere completamente sola, Iris portò il pollice e l’indice della mano destra alla bocca ed emise un lungo fischio.
Dopo pochi istanti, Kahir le passò sopra la testa stridendo, la sua ombra per terra che si ingrandiva man mano che scendeva;  ricominciò a camminare, mentre il falco la seguiva volando.
Era proprio vero, quell’isola metteva tranquillità.
Nonostante la sfuriata con quel cacciatore di taglie alla taverna, adesso si sentiva pervasa da una grande calma.
Stava rilassando la mente, quando uno sparo seguito da un acuto urlo di dolore la riportarono bruscamente alla realtà.

 

 

 

Al mercato cittadino…

Incredibile, a Shike persino il mercato non era un luogo caotico come ci si aspetterebbe.

Certo, c’era un diffuso vociare, ma persino gli schiamazzi dei venditori erano, in qualche modo, pacati.
C’erano numerose bancarelle che vendevano di tutto, dai vestiti alle pentole, ma la maggior parte esponeva varie qualità di frutta, verdura e, soprattutto, pesce.
Diana e Rey si aggiravano tra la folla, non sapendo bene cosa fare: non potevano mica mettersi a gridare ai quattro venti che erano pirati in cerca di compagni, no?
Dopo qualche giro a vuoto, decisero di dividersi ulteriormente, in modo da poter controllare un’area più ampia; avrebbero collaborato meglio così, siccome nessuno dei due pareva entusiasta della presenza dell’altro.
Così Diana si avviò verso il centro della via lungo cui si estendeva la fiera, dove era riunito il grosso della folla, mentre Rey si incamminò nella direzione opposta, dove le bancarelle terminavano e ci si avvicinava al porto.

 

 

 

Diana si avvicinò incuriosita alla bancarella di un’anziana signora che esponeva numerose qualità di pesci.
Fin da bambina aveva amato i piatti a base di pesce, di ogni sorta essi fossero, e questa era una fortuna, dato che vivendo in un mondo costituito prevalentemente da mari quello era sicuramente uno degli alimenti più reperibili.
-Prego, prego, fatevi avanti! È tutto fresco, pescato giusto stamattina!- stava gridando la vecchietta per attirare dei potenziali clienti. -Desideri qualcosa, cara? Se vuoi posso consigliarti- disse, rivolgendosi a Diana con un sorriso.
Persino lei, che di solito era abbastanza arcigna, non poté fare a meno di ricambiare quell’espressione. Avrebbe dovuto passare del tempo su quell’isola, pensò, magari così il suo carattere si sarebbe un po’ ammorbidito.
-No, grazie, sto solo guardando- rispose con gentilezza.
-Scusi, vorrei quel trancio di salmone dorato- disse una voce femminile, che fece voltare entrambe.
Di fronte al banco stava una ragazza poco più alta di Diana (doveva avere un paio d’anni in più), dalle curve ben proporzionate, con indosso un corpetto lilla, un gilet nero e bianco e degli shorts di jeans. Aveva dei capelli biondi come fili d’oro, le cui punte (che si trovavano poco sotto l’altezza delle ginocchia) erano però color arcobaleno. La caratteristica che più colpiva erano però i suoi occhi: azzurro cielo, che andando verso la pupilla presentavano però delle sfumature oro, argento e viola. Una bella ragazza, nel complesso; forse la sua figura era resa leggermente inquietante dalla lunghissima spada che portava legata alla schiena, ma tralasciando quello sembrava l’incarnazione stessa della calma dell’isola.
-Ah, vedo che te ne intendi di pesce- osservò l’anziana commerciante, sempre sorridendo. -Il salmone dorato è abbastanza raro, e ancor più difficile da preparare: devi essere davvero una brava cuoca se sai cucinarlo-
-Sì, l’ho già preparato altre volte- rispose la ragazza, felice per il complimento.
-Tu sei una cuoca?- chiese Diana, tentando di sembrare il più naturale possibile. In realtà, il pensiero di aver già trovato qualcuno la rendeva entusiasta (e ancor più il fatto di esserci riuscita prima del suo neo compagno Rey).
-Sì, più che altro nel tempo libero, ma me la cavo molto bene- disse la giovane, rivolgendosi stavolta alla castana.
-Perfetto!- esclamò quella -Sai, stiamo giusto cercando un cuoco per…- si bloccò un secondo; come già aveva pensato, non poteva dire subito che era una pirata, così decise di improvvisare. -… per lavorare su una nave da crociera- concluse.
L’altra la squadrò per qualche attimo. -Da quando sulle navi da crociera vi lasciano portare le armi?- chiese, indugiando un attimo con lo sguardo sulla katana.
Beccata.
Non tutto era perduto, però. Diana optò per giocare la sua ultima carta, sperando che funzionasse.

-Ah, mi hai scoperto. Copertura saltata- e, detto questo, si infilò una mano sotto il colletto della camicia, in modo da estrarre il ciondolo che portava al collo per mostrarlo. Era un piccolo pendente d’argento che raffigurava il gabbiano simbolo della Marina, che assieme al tridente sosteneva uno zaffiro di forma sferica.
La ragazza si irrigidì di colpo.
-Sei una della Marina?- chiese. La sua voce, che fino a un attimo prima era stata dolce, si era fatta gelida, mentre gli occhi erano ridotti a fessure.
“Fantastico” pensò Diana, che se avesse parlato ad alta voce avrebbe presumibilmente usato il suo tipico tono sarcastico; “vuoi vedere che, tra tutti quelli che ci sono in giro, sono riuscita a beccare proprio una che odia il Governo Mondiale? Questa è la prima e ultima volta che tento questo stratagemma”.
Decise che valeva la pena di dire subito come stavano le cose.
-No, li odio- esalò, quasi sussurrando. Il suo tono era cambiato subito, si era fatto duro.
-Questo ciondolo è solo un ricordo dei miei genitori. È colpa della Marina se adesso loro non sono qui con me; li hanno condannati a morte per tradimento, e invece i traditi erano proprio loro- aggiunse con amarezza, mantenendo un’espressione distaccata, mentre le immagini della loro uccisione tornavano a vivere nella sua mente.
Per qualche motivo, l’altra ragazza capì che la castana non mentiva. Era come se un velo fosse calato davanti ai suoi occhi verdi mentre parlava, offuscandoli col rimpianto e accendendo, in fondo ad essi, una scintilla di odio autentico; certe cose erano impossibili da fingere.
E tra l’altro, non stentava a credere alle sue parole. Anche lei conosceva bene la crudeltà del Governo Mondiale; bastava pensarci, e il simbolo della Marina, quel marchio che le era stato impresso a fuoco sulla schiena quando l’avevano catturata, tornava a bruciare come fosse carne viva.
-Anch’io li odio. Dovrebbero fare del bene, invece sanno solo portare sofferenza- sputò la bionda, con lo sguardo perso nel vuoto. Poi tornò a fissare Diana. -Chi sei veramente?-
La castana risollevò la testa. Emise un lungo sospiro, poi rispose.
-Mi chiamo Diana Instar, e sono un pirata. Io e il mio capitano stiamo cercando membri per la nostra ciurma, e ci servirebbe un cuoco di bordo-
Gli occhi multicolori si piantarono in quelli verdi della vedetta.
-Bene, Diana, io sono Keyra Hanako D. Hono, e accetto di essere la cuoca sulla vostra nave- disse, tendendole la mano.
-Fantastico!- esclamò l’altra, stringendola prontamente.
-Giusto per sapere,- domandò Keyra, -in quanti siamo, per ora, in questa ciurma?-
-Al momento… quattro- rispose Diana. -Tu, io, un ragazzo di nome Rey che si è unito a noi meno di mezz’ora fa e Iris, il nostro capitano. Anzi, a proposito, sarà meglio andare ad avvertirla- aggiunse.
Stavano per incamminarsi verso le vie più interne del paese, quando il grido di un uomo le fece voltare, assieme con molte altre persone.
-Ehi, venite subito a vedere! Correte!-

 

 

 

Vicino al porto…

Man mano che ci si allontanava dalle vie centrali del mercato il flusso di gente cominciava a diminuire, per lasciare spazio alla quiete più assoluta.
Rey passeggiava tranquillamente tra i barili vuoti e le reti da pesca abbandonate, mentre pian piano giungeva nella zona del porto cittadino.
Non c’erano molte imbarcazioni, perlopiù si trattava di pescherecci; due navi in particolare, però, colsero la sua attenzione.
La prima era una barchetta, poco più di un guscio di noce, che era però dotata di un albero centrale con una vela ammainata. Nulla di particolare, insomma, se non fosse stato per il simbolo che era impresso a bassorilievo e dipinto di blu sui due lati della prua della nave; per la precisione, il simbolo della  Marina militare.
“Ma bene” pensò il giovane, “quindi anche qui arriva qualche marine ogni tanto. Però, il Governo è messo male, guarda che razza di imbarcazioni che usa…”
A confronto, l’altra nave che lo aveva colpito sembrava enorme. Era un vascello di medie dimensioni, costruito con un legno particolarmente scuro, su cui spiccavano le bordature, le varie rifiniture degli alberi e la polena arricciata, che invece erano molto chiare. Aveva tre alberi su cui si potevano notare le vele ammainate, di un colore blu chiaro; sul maestro si scorgeva una piccola coffa, la postazione ideale per una vedetta.
Si avvicinò per poter leggere il nome della nave, ma notò che sui lati non c’era scritto nulla. “Strano, in genere un vascello di questo tipo ha sempre un nome”.
Un fruscio alle sue spalle lo fece voltare, ma non vide nessuno. Nonostante ciò, era da un po’ che percepiva una presenza dietro di lui.
-Fatti vedere, e magari non sarò costretto a ucciderti- disse, con un tono di voce raggelante, mentre i suoi occhi di pece scrutavano la via.
Lentamente, dal muro si staccò un’alta figura maschile.
-Chi sei?- domandò allo sconosciuto.
Quello sollevò leggermente la visiera del cappellino nero, girandola dietro la testa e rivelando un volto pallido e scarno, contornato da lisci capelli neri, su cui spiccavano due occhi di un cremisi intenso; sotto al sinistro era tatuato uno scorpione, la cui coda andava a contornare l’occhio stesso. La punta del naso andava leggermente verso l’alto. Il suo abbigliamento non era particolare: indossava una canotta bianca, sotto cui spiccavano i muscoli scolpiti dell’addome, e dei pantaloni neri che gli fasciavano le lunghe gambe. Ai piedi, un paio di vans, nere anche loro.
Quello mosse qualche passo nella sua direzione, mentre il ciondolo a spirale che portava al collo oscillava seguendo il ritmo della camminata, poi si fermò.
-Il mio nome è Naoaki Hanazonu- disse, scoprendo per un attimo i denti perfetti, prima celati dalle labbra sottili.
Rey si chiese come mai non l’avesse notato; ora lo vedeva bene, ma fino a un secondo prima avrebbe giurato che quella fosse una parte del muro.
“Quel tipo è un mago del mimetismo” pensò.

 

 

 
Angolo dell'autrice

Buongiorno a tutti!
Dopo tanto tempo (ma pensavo di metterci di più) eccovi il primo capitolo, dove cominciamo a incontrare alcuni (pochi) di quelli che saranno i membri della ciurma.
Non ho ancora parlato molto di loro, mi sono limitata a descriverli fisicamente e ho cercato magari di far trasparire qualcosa del loro carattere dagli atteggiamenti. Spero solo di averli mantenuti IC... ai creatori dei personaggi, se dovessi aver sbagliato qualcosa, non mancate di segnalarmelo e cercherò di rimediare in seguito!
A proposito, il secondo capitolo l'ho già quasi finito e penso che lo pubblicherò a breve, tra un paio di giorni al massimo, perché odio che le presentazioni dei personaggi avvengano a distanza di molto tempo... in sintesi, non dovrete aspettare un mese per vedere anche gli altri in azione (o almeno, vederli apparire; li vedremo combattere solo sulla prossima isola) :)
I ringraziamenti specifici li farò nel prossimo capitolo, per ora mi limito a ringraziare genericamente tutti quelli che hanno partecipato (i vostri OC sono tutti fantastici! Complimenti davvero) e quelli che hanno anche solo letto.
Un bacio a tutti,

Swan

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Capitolo 3
*** 2. Nuovi incontri (seconda parte) ***


UNA GRANDE AVVENTURA



Capitolo 2: Nuovi incontri (seconda parte)

Isola Shike, mercato cittadino

 

-Ehi, venite subito a vedere! Correte!-
Incuriosite, Diana e Keyra seguirono il flusso di gente che, richiamato dal grido dell’uomo, stava affluendo alla piazza centrale.
Lì, al centro, su una grossa asse di legno troneggiava un’enorme creatura marina, ripiegata su se stessa, ma che distesa sarà stata lunga una decina di metri. Somigliava a un serpente marino di colore giallo cupo, dal muso sporgente, contornato da una specie di criniera di un arancione fiamma che poi si prolungava lungo tutta la schiena dell’animale, fino a terminare in un ciuffo sulla punta della coda. Dalla bocca, poco davanti alle branchie rosse, spuntava una fila di denti appuntiti.
-E quello che diavolo è?- esclamò Diana, sbalordita. Non aveva mai visto nulla del genere. -Certo che i serpenti marini qui sono belli grossi!-
-Quello non è un serpente marino- disse un uomo accanto a lei, -quella è una murena leone!-
-Murena leone? Che roba è?- chiese Keyra, incuriosita.
-È una specie di Re del Mare- spiegò l’uomo. -In genere non se ne vedono in questa zona, l’acqua è troppo fredda per i loro gusti; deve essere arrivata qui seguendo una corrente marina calda-
Man mano, la folla andò diradandosi, così le due ragazze poterono avvicinarsi al gigantesco mostro, per osservarlo da vicino.
-E questa roba somiglierebbe a un leone?- disse Diana rivolta alla compagna, con tono sarcastico. -Queste creature marine sono proprio strane- aggiunse, scuotendo la testa contrariata.
Un improvviso suono, simile al grattare di una penna, le fece voltare entrambe.
In un angolo, appoggiata a un muro, una ragazza stava scribacchiando qualcosa su un taccuino.
Era una giovane di circa venticinque anni, alta e abbastanza snella; era vestita completamente di nero, come neri erano i suoi corti capelli, un ciuffo dei quali le copriva l’occhio destro, mentre il sinistro, azzurro cielo, non staccava lo sguardo concentrato dal foglio nemmeno per un istante, brillando dietro la montatura degli occhiali. Nel complesso di tinte scure, spiccava la pelle di un bianco latteo, sulla quale però si intravedevano spuntare dal labbro superiore due denti serpentini di un paio di centimetri.
Dopo qualche secondo si staccò dal muro e si avvicinò rapidamente al centro della piazza, dove stavano ancora le altre; le affiancò, senza tuttavia alzare gli occhi dal suo taccuino.
Dando una rapida sbirciata, Keyra notò che sulla pagina si andava creando uno splendido disegno della creatura che avevano di fronte, mentre in quella accanto c’erano una serie di informazioni, probabilmente sulla specie del Re del Mare. Fece per avvicinarsi, ma la donna si spostò di scatto.
-Che fai?- chiese, con tono innervosito.
-Niente, davo solo un’occhiata- si schermì l’altra. -Ho visto il tuo bel disegno. Cosa sei, una studiosa di mostri marini?- le domandò con gentilezza.
-Sì, e starei lavorando. Non mi piace fare conversazione- sbottò l’altra, troncando sul nascere il colloquio.
A quel punto si intromise Diana, che fino ad allora era stata zitta.
-Quindi tu conosci bene i Re del Mare?- la interrogò la castana.
L’altra chiuse con uno scatto secco il quaderno. -Mi sembra di avere detto che non voglio fare conversazione- disse poi, sempre con atteggiamento seccato.
-Comunque sì, sono un’esperta di mostri marini, li studio, e se solo potessi nuotare vivrei in mezzo al mare per poterli osservare al meglio, catalogare e riuscire a finire la mia enciclopedia. Contenta? E ora sparisci, se non vuoi fare una brutta fine- e detto questo andò a sfiorare il fodero (nero, neanche a farlo apposta) che aveva allacciato in vita, dal quale spuntava il manico di un grosso coltello da cucina.
Diana sentì la rabbia montare dentro di lei. Anche lei era una di poche parole, ma non ammetteva di essere trattata così. Stava per rispondere a tono, quando qualcosa, un’idea improvvisa, la fermò.
-Aspetta un attimo, hai detto che se potessi vivresti in mezzo al mare?- disse, senza pensarci. Poi capì che, se voleva ottenere l’attenzione della scura, doveva usare meno parole possibile.
-Senti, stiamo formando una ciurma pirata. Ci sarebbe utile avere a bordo qualcuno esperto in materia Re del Mare, e in più- aggiunse, tentando di buttare un’esca, -avresti la possibilità di viaggiare e vedere nuove specie, in modo che tu possa inserirle nel tuo libro. Ci stai?-
L’altra la guardò con il suo occhio di ghiaccio, che conferiva ancora più freddezza al suo sguardo.
-Proposta interessante; ci penserò- rispose poi.
-Bene, noi staremo qui in città fino a stasera, credo, se prendi una decisione vieni a cercarci. Ah, per la cronaca, io sono Diana, la vedetta di bordo, e lei è Keyra, il cuoco. Il nostro capitano si chiama Iris, e poi c’è un ragazzo, Rey- presentò brevemente la ciurma la castana.
-Alex Ryuketsu-  disse la studiosa. -E se mi porterete dal vostro capitano, credo che vi saprò dare una risposta abbastanza in fretta-
-D’accordo, tanto stavamo già andando a cercarla- aggiunse Keyra, ricordandosi che anche lei non aveva ancora conosciuto quella famigerata Iris che da allora in avanti sarebbe stata la sua condottiera.
Le tre ragazze fecero per avviarsi, ma di nuovo una voce sottile le bloccò. -Ehi, aspettate un attimo-
Da dietro il cadavere della murena leone sbucò la figura minuta di una diciannovenne, dai lunghi capelli rossi e dai grandi occhi azzurri.
Si avvicinò timidamente alle altre, poi parlò di nuovo.
-Scusate, ma ho sentito tutta la vostra conversazione- disse, arrossendo leggermente. -Mi sembra di avere capito che siete quasi tutte dei pirati- aggiunse, facendo un piccolo cenno ad Alex.
Diana e Keyra annuirono, invitandola a continuare.
-Quindi siete persone che girano molto per i mari, giusto?- domandò con voce flebile.
-In teoria sì; non penso che Iris decida di cambiare filosofia da un giorno all’altro- fece Diana; all’espressione interrogativa delle altre tre, si ricordò che nessuna di loro aveva ancora idea di chi fosse il capitano, così le sembrò giusto precisare: -Iris non vuole essere una di quei pirati che vanno in giro a depredare villaggi e uccidere le persone, lei è convinta che i pirati debbano avere dei sogni, degli ideali e aiutare chi ne ha bisogno. Un po’ come…-
-Monkey D. Rufy- finì la frase la rossa. Tutte si voltarono a guardarla. Quella continuò.
-Lui è stato un pirata buono, prima di sparire nel nulla. È anche grazie a lui se io sono qui, oggi; anni fa assieme alla sua ciurma ha salvato la mia isola natale dalla distruzione…- si interruppe, arrossendo leggermente. Stava dicendo troppo su di sé a delle perfette sconosciute, e la sua timidezza ebbe la meglio.
-Questa Iris deve essere una persona in gamba, per avere dei propositi così nobili. Sono davvero interessata dall’idea di conoscerla- disse Alex, con tono un poco meno freddo. È vero, lei odiava la gente, ma le piaceva chi era in grado di dimostrarsi determinato e pronto a tutto per realizzare i propri sogni.
-Comunque, io mi chiamo Ellesmere Duchal- fece la rossa, attirando di nuovo l’attenzione su di sé. -E da quello che ho capito voi vi chiamate Diana, Keyra e Alex, giusto? Se non vi do fastidio, vorrei seguirvi anch’io, per poter conoscere il capitano e chiedere direttamente a lei di potermi unire alla vostra ciurma-
-Sarà fatto!- esclamò Keyra, felice.
Attesero qualche istante, prima di ripartire per il centro del paese.
Ellesmere stava per accodarsi alle altre, quando si bloccò di colpo.
-Che c’è? Altre interruzioni?- domandò Diana, compiacendosi leggermente di aver già trovato tre nuove compagne di viaggio.
La rossa scosse la testa. -No, niente, arrivo- disse, incamminandosi.
Per un attimo, le era sembrato di sentire l’eco di uno sparo.

 

Nelle vie del paese…

Un urlo di dolore rimbombò tra le pareti delle case.

Iris, allarmata, si mise a correre nella direzione da cui era provenuto il grido, schiacciandosi contro il muro prima di voltare l’angolo. C’era qualcuno nella strada accanto, riusciva a sentire una voce sommessa, come se stesse singhiozzando.
Lentamente, sporse la testa a guardare nel vicolo.
C’erano quattro persone. Due erano uomini che dovevano avere una trentina d’anni; dall’abbigliamento, si poteva intuire che erano dei cacciatori. Uno dei due aveva il fucile puntato, ancora fumante per il colpo appena partito.
Un po’ più in giù lungo la via, vicino a Iris, c’era invece una ragazza che doveva avere un paio d’anni meno di lei. La sua pelle, bianchissima, era tutta ricoperta di sottili striature nere, che l’osservatrice scambiò inizialmente per tatuaggi. I capelli, che le arrivavano alle spalle, erano candidi, tranne le punte, che erano di colore scuro. Nei suoi occhi azzurro ghiaccio si leggeva una disperazione immensa.
Tra le braccia stringeva il corpo esanime di una undicenne, identica a lei (doveva essere sua sorella); sul petto della piccola, poco sotto l’altezza del cuore, si poteva notare il foro di un proiettile, dal quale usciva un lento, ma costante flusso di sangue.
La bambina era pallidissima, anche tenendo conto della sua carnagione chiara, e teneva gli occhi chiusi.
Iris non riusciva a vedere se stesse ancora respirando o meno.
-Mimi, Mimi, no! Ti prego, Mimi, rispondi!- stava singhiozzando la giovane, scuotendo debolmente il corpicino inerte.
-Complimenti, l’hai presa!- esclamò uno dei due bracconieri, ridendo e dando una pacca sulla spalla al compagno.
-Già, che bel tiro, eh?- rispose quello, ghignando. Poi alzò la voce: -E adesso tocca a te, bestia!- urlò, rivolgendo la testa all’altro capo della strada.
La bianca alzò gli occhi, pieni di lacrime e di terrore. Il cappuccio del mantello di pelliccia bianco che indossava cadde all’indietro, rivelando un paio di candide orecchie da tigre sulla sua testa.
L’uomo prese la mira e fece fuoco, mentre la giovane serrava le palpebre.
Anziché sentire il proiettile nella carne, però, udì un rumore metallico. Lentamente aprì le palpebre, notando un’ombra che si era parata di fronte a lei.
-Ma non vi sembra il caso di vergognarvi? Due uomini armati contro una bambina e una ragazza completamente indifese?- disse la sagoma, che poi era Iris.
La mora stava in piedi davanti all’altra, ancora inginocchiata a terra.
Tra le mani stringeva un kunai, con il quale aveva deviato il colpo partito dal fucile prima che raggiungesse il suo bersaglio.
-Ehi, tu, non ti hanno mai detto di non metterti mai tra il cacciatore e la sua preda? Avanti, levati da lì, ragazzina! Lasciami uccidere quella bestia selvatica!- le urlò contro il bracconiere.
Iris si voltò a guardare la ragazza, pallida e tremante a terra. Quella, dopo un attimo di spavento, si affrettò a rimettersi il cappuccio per coprire le orecchie.
-Credo che tu abbia preso un abbaglio. Qua non ci sono animali. Ma cosa ti è saltato in mente?- gridò Iris, in preda alla collera.
-Ma non l’hai guardata bene? Sembra una tigre bianca! È un mostro, e per questo va eliminata! E se ti ostini a negare, beh, allora farò fuori anche te!- ribatté l’uomo, imbracciando nuovamente la sua arma. Prima che potesse fare qualsiasi cosa, però, qualcosa gli passò davanti, in picchiata, una, due, tre volte, continuamente.
-Vattene, stupido uccellaccio!- si misero a urlare i cacciatori infuriati, mulinando le braccia nel tentativo di scacciare Kahir, che imperterrito continuava a volare avanti e indietro tra di loro, circondandoli e girandogli intorno. Poi, finalmente, si allontanò verso l’alto.
-Ora basta!- sbraitò uno dei due uomini.
-Fossi in te io non mi muoverei- disse Iris, con tono di chi sta dando un consiglio spassionato.
-Taci! Adesso sei tu il mio obiettivo!- e fece per allungare le mani a recuperare la sua doppietta, caduta a terra. Come ci provò, però, si accorse di non essere in grado di spostarsi nemmeno di un centimetro. Tentò nuovamente, ma di nuovo non ottenne risultati.
Ancora una volta. Nulla, si sentiva come se qualcosa lo stesse bloccando.
-Che cosa mi hai fatto, strega?- gridò in direzione della mora.
Quella si limitò ad alzare le spalle. -Io gliel’avevo detto- bofonchiò.
Poi si inginocchiò a fianco della ragazza, tendendole una mano. Quella si ritrasse istintivamente.
-Tranquilla, è tutto a posto, per un po’ sono sistemati. Meglio andarcene da qui-
Quella , dopo un attimo di incertezza, afferrò la mano, issandosi in piedi.
Tra le braccia stringeva ancora il corpo della sorellina.
-Grazie- disse flebilmente, dopo un po’ che camminavano, rivolgendosi a Iris.
-Scusami- rispose l’altra, dopo qualche secondo.
-Perché?- domandò stupita, arrestandosi.
-Se solo fossi arrivata un attimo prima, avrei potuto fermarli- sussurrò, stringendo i denti.
La sedicenne la fissò stupita. Quella ragazza era veramente incredibile, aveva un altruismo estremo.
Non la conosceva nemmeno, eppure non aveva esitato a proteggerla e, anzi, si crucciava di non essere riuscita a salvare in tempo Mimi.
Ma, cosa più importante, non era fuggita di fronte al suo aspetto vagamente simile a quello di un animale.
-Come ti chiami?- le domandò incuriosita.
-Iris, Iris Synder- rispose con tono distaccato.
-Io sono Mirage- si presentò. Poi, di colpo, cadde in ginocchio.
-Cos’hai?- esclamò Iris preoccupata. La manica del cappotto bianco di Mirage si stava tingendo di cremisi.
-De-devo essere stata colpita di striscio- gemette, tremando. -Sai, quei due bracconieri ci stavano inseguendo da un po’. Io e Mimi veniamo da un’isola qua vicino, ma siamo state costrette a fuggire qui quando quei due ci hanno scoperte. Pensavamo che in paese ci avrebbero aiutate, invece…- si morse il labbro -… invece vedendoci tutti si allontanavano spaventati.- Si piegò di nuovo, in preda a una fitta di dolore.
-Vieni, dobbiamo cercare subito un medico- disse Iris, risoluta. Con un fischio chiamò Kahir.
-Kahir, vai ad avvisare Diana. Sai che lei capisce il tuo linguaggio, quindi spiegale tutto-
Il falco stridette come cenno di assenso e si alzò in volo.

 

Al porto… 

Rey stava di fronte al ragazzo che aveva detto di chiamarsi Naoaki.
-Beh, allora, perché mi stavi seguendo?- domandò freddamente, rivolgendo il suo sguardo di pece verso gli occhi cremisi dell’altro.
-Sai, ti ho visto parlare con quella ragazzina al mercato, prima. Ho sentito che siete pirati- si interruppe un attimo, poi riprese -e ho pensato che forse vi potrebbe essere utile un cecchino ed esperto d’armi a bordo-
Effettivamente, Rey si chiese come avssero fatto a sfuggirgli tanti particolari in quel tipo che, in quel momento, erano più che evidenti.
Legate alla vita aveva due pistole (sulla canna riusciva ad intravedere delle lettere, forse le sue iniziali) con i loro rispettivi caricatori, mentre legato alla schiena portava un mitra.
Infine, si poteva notare un rigonfiamento in fondo alla gamba del pantalone destro; probabilmente aveva qualche arma nascosta anche lì.
-Mmh… effettivamente vedo che sei ben attrezzato. Credo che per il capitano non ci siano problemi ad accettarti nella ciurma, ma dovresti chiederlo a lei. Se vuoi ti posso accompagnare- disse, mantenendo sempre una certa freddezza nei toni. -Comunque, il mio nome è Rey-
-Va bene, allora fai strada- disse l’altro, sicuro e pienamente convinto della propria decisione.
Prima, sentendo quei due parlare, aveva ragionato attentamente, valutando le opportunità che aveva.
Sicuramente viaggiare con una ciurma era meglio che navigare per i mari da solo, soprattutto contando che su di lui pendeva già una taglia da 30 milioni di Berry.
D’altra parte aveva sempre odiato i pirati; in genere si trattava di gente senza scrupoli, come quegli spregevoli che anni prima avevano ucciso davanti a lui la sua adorata madre adottiva, per poi costringerlo a diventare uno di loro. Solo a ripensarci sentiva la rabbia montare in lui.
Dai discorsi che aveva potuto udire da Rey e la sua compagna, però, aveva intuito che il loro capitano non apparteneva a quella specie. Era una persona che credeva nei sogni e nel rispetto degli altri, e questo gli piaceva. Per questo, aveva scelto di proporsi come loro cecchino di bordo.
-Allora, ti vuoi muovere?- sbottò Rey, poco più avanti.
Naoaki sorrise debolmente. Sentiva che quello era il suo giorno fortunato.

 

Nella zona del mercato…

Diana, Keyra, Alex ed Ellesmere stavano tornando in direzione delle bancarelle; da lì si sarebbero avviate per le strade più interne alla ricerca di Iris.

Prima, però, rallentarono per ammirare nuovamente la merce esposta dai venditori.
Diana si fermò da un anziano che vendeva della profumatissima e variopinta frutta esotica, la postazione che il suo capitano aveva subito adocchiato per la sua specialità, i dolcetti al cocco.
Ne comprò due sacchettini, uno da consegnare a quel caso perso di coccomane, una volta che l’avesse trovata, e uno per sé. Anche a lei stravedeva per la frutta, ma almeno sapeva contenersi!
Mentre gustava i suoi dolcetti, vide che anche le altre avevano fatto acquisti in cibarie: Ellesmere era occupata con una specie di bignè ricoperto di panna, Keyra stava mordicchiando una pesca, mentre Alex si stava abbondantemente rifornendo a una bancarella dotata di numerose varietà di cioccolato.
-Scusatemi, non ho saputo resistere! Tutto quel cioccolato…- disse a sua discolpa, notando lo sguardo perplesso delle altre.
“Fantastico, non bastava la coccomane, adesso c’è anche una cioccolatomane!” pensò Diana, ficcandosi in bocca un altro dolcetto.
In quel momento, qualcosa catturò la sua attenzione. Un rumore poco più in alto di lei, come un battito d’ali.
Alzò lo sguardo e notò Kahir svolazzarle sopra la testa. -Ehi, Kahir, cosa succede?- domandò, leggermente preoccupata. Di solito il falco non si separava mai da Iris.
Il volatile planò delicatamente, andandosi a posare come quella mattina sul fodero della katana, poi cominciò a stridere leggermente.
Diana possedeva infatti la singolare capacità di capire il linguaggio degli animali. Non sapeva perché, se ne era accorta solo da qualche anno a quella parte. Forse era perché aveva mangiato un frutto della categoria zoo-zoo, ma non si era mai posta troppo il problema.
-D’accordo, vi raggiungiamo subito- disse, quando ebbe concluso di riportare il messaggio.
Il falco si rialzò quindi in volo, per tornare dal capitano.
-Ehi, ragazze!- le richiamò all’attenzione la castana. -Sappiamo dov’è Iris! Qualcuna di voi ha idea di dove stia il medico di questo paese?-
-Sì, io- rispose una voce maschile.
Diana si voltò e vide emergere dalla folla un ragazzo, seguito dal suo compagno di ciurma.
-Rey!- esclamò.
-Diana- la salutò con la sua solita freddezza e un cenno del capo.
-Questo è Naoaki- disse, indicando il giovane che aveva parlato.
-Queste invece sono Keyra, Ellesmere e Alex- rispose Diana. Poi, facendo scorrere un paio di volte lo sguardo dal suo gruppo a quello del moro, un sorriso sghembo le apparve sulla faccia.
-Beh, direi che ti ho battuto!- Rey sgranò gli occhi: possibile che quella ragazza considerasse il reclutamento di nuovi compagni come una gara?
-Sbrighiamoci- concluse poi, con una scrollata di spalle. -Naoaki, facci strada-

 

All’ambulatorio medico…

Iris entrò nell’ambulatorio sorreggendo Mirage, che nonostante la ferita al braccio non accennava a voler lasciare il corpo ormai privo di vita della sorellina.

Erano in una stanza luminosa e spoglia, dai muri bianchi, ricoperta di piastrelle chiare. Al centro, un lettino ricoperto di carta azzurra, mentre di fianco a un armadietto contenente vari medicinali c’era una pianta di un verde brillante, dalle foglie carnose e seghettate.
-Ehi, c’è un medico? Qui c’è una ragazza ferita!- urlò Iris per farsi sentire. Una porta laterale si aprì di scatto.
Ne emerse un ragazzo che doveva avere un anno in più di Iris. Aveva dei corti capelli neri, scintillanti di gel per tenerli sparati verso l’alto. Sovrastava la ragazza di una decina di centimetri, tanto che per guardarlo negli occhi (che avevano una stupenda tonalità verde-azzurra) doveva alzare lo sguardo. Su una guancia presentava una cicatrice a croce, a fianco del naso abbastanza piccolo. Il camice bianco, aperto, mostrava una maglia verde con un piccolo teschio blu al centro, sotto alla quale si poteva intuire un fisico asciutto, e un paio di jeans a metà coscia di colore blu scuro.
Come la vide, il giovane le si avvicinò rapido. La fissò per qualche secondo, poi disse: -Piacere, sono Mark L. Hellsing. Ma lo sai che sei veramente stupenda?-
-Mirage, come va?- chiese Iris preoccupata, rivolgendosi all’altra, che aveva emesso un gemito e si era accasciata a terra, lasciando cadere Mimi.
Mark rimase impietrito per un paio di secondi: non l’aveva minimamente calcolato, anzi, con tutta probabilità non aveva nemmeno sentito il suo complimento.
Appena vide la macchia rossa sul cappotto della bianca, però, il suo istinto di dottore ebbe la meglio su quello di cascamorto.
-Cosa le è successo?- domandò con tono professionale.
-È stata colpita di striscio da un proiettile- rispose prontamente la mora.
Mark annuì, poi aiutò Mirage a sedersi sul lettino. -Togliti il cappotto, così posso disinfettarti la ferita-
La ragazza impallidì, per quanto fosse possibile a causa della sua pelle già chiarissima.
-N-non posso…- sussurrò, portando il braccio sano a stringere meglio il bordo della sua giacca.
A quel punto intervenne Iris che, senza un attimo di esitazione, gliela sfilò dalle spalle. -Preferisci morire dissanguata?- chiese, con tono severo.
La giovane non ebbe la forza di opporsi. Una volta che ebbe appeso il cappotto nell’attaccapanni di fianco all’ingresso, Iris tornò a fissare il centro della stanza, rimanendo vagamente sbalordita. Dall’espressione di Mark, si capiva che anche lui provava la stessa sensazione.
Infatti, ora che non aveva il cappotto, si poteva chiaramente vedere che Mirage, oltre alle orecchie da tigre, aveva una lunga coda a strisce bianche e nere che spuntava dai pantaloncini neri.
-Ma… tu…- balbettò Iris, pensando a come porre la domanda senza offendere. -Ehm… Mirage… di preciso… cosa sei?-
Mark, riavutosi, era corso all’armadietto dei medicamenti e ne stava estraendo del disinfettante, del cotone e un rotolo di bende. -Glielo spiegherai dopo, adesso devo medicarti- disse, cominciando a pulirle la ferita.
-Ma…- provò a intervenire la mora -Niente ma!- esclamò l’altro con tono severo, fulminandola. -Quando l’avrò curata potrai farle tutte le domande che vuoi! E tu- disse, addolcendosi decisamente troppo, mentre si rivolgeva alla ragazza, -cerca di rilassarti, ci penso io-

 

Non appena ebbe annodato delicatamente il bendaggio, Mirage tirò un sospiro di sollievo. L’aver pulito la ferita e il medicamento che vi aveva poi applicato il dottore avevano avuto effetti a dir poco miracolosi.
-Adesso sto decisamente meglio- disse. -Grazie di avermi aiutato, Iris, e soprattutto grazie a te, Mark- aggiunse, distendendosi in un sorriso.
Mark a quel punto si sciolse letteralmente. Si inginocchiò, prendendo una mano della giovane.
-Oh, dolce ragazza, adesso che ti guardo meglio capisco perché il tuo nome è Mirage… La tua bellezza ti fa sembrare un’illusione, come una pozza d’acqua nel deserto per uno che muore di sete… La sete che io ho del tuo amore- concluse, facendole il baciamano.
-Mira, tu non mi dovevi una risposta?- chiese Iris, che pareva essere totalmente sorda alle avances, che fossero dirette a lei o ad altri.
-Ah, sì, giusto- esclamò la bianca, sistemandosi meglio sul lettino. Mark rimase pietrificato per la seconda volta: possibile che proprio a nessuno importasse di lui?
-Vedi, io non sono una normale umana. Sono un’antropomorfa. Per metà sono una tigre bianca, come puoi ben vedere- disse, agitando debolmente la coda e piegando le orecchie.
-Ah, ora capisco perché le strisce; sai, all’inizio credevo fossero dei tatuaggi- fece l’altra, di rimando. -Credo di non aver mai visto nulla del genere, in giro-
L’espressione della tigre si fece triste.
-Lo so, eravamo già in pochi, prima che…- si interruppe, volgendo lo sguardo al corpo di Mimi, che giaceva ancora a terra. -Adesso, credo di essere l’unica ancora in vita-
Tornò a fissare la mora. -Iris, dimmi una cosa, e voglio che tu sia sincera. Tu… mi consideri un mostro?-
L’altra la guardò di rimando, poi esclamò stupita: -Perché dovrei? Tu sei una persona, come me, come Mark, come tutti gli altri in questo paese. Se loro ti evitano solo perché hai un aspetto leggermente diverso, beh, allora non sanno quello che si perdono!  Se solo decidessero di conoscerti, capirebbero che persona fantastica sei- e le regalò un grande sorriso.
Mirage passò a guardare Mark, che annuì convinto. -Sì, anch’io la penso in questo modo-
Gli occhi della giovane si velarono di lacrime. Tutti erano sempre fuggiti davanti a lei, oppure l’avevano ingannata e usata; queste persone, invece, la rispettavano e la consideravano normale. Normale rispetto a cosa, poi? Come le avevano fatto notare, lei era una persona come tutte le altre.
-Grazie- mormorò grata.
Iris si rivolse di scatto al dottore, come se si fosse ricordata di colpo di qualcosa di importante.
-Ehi, Mark, ho visto che come medico sei più che abile. Senti, io sto formando una ciurma pirata: ti andrebbe di farne parte?-
-Beh…- fece il ragazzo, colto alla sprovvista. -Non saprei…-
Iris, che sebbene fosse un po’ distratta e soffrisse altamente di sbalzi d'umore non era stupida, capì subito che carta giocare per convincerlo.
Si sporse un poco verso di lui, appoggiando le mani sulla carta azzurra del lettino, in modo da mostrare leggermente la scollatura.
Il medico, improvvisamente a corto d’aria, infilò due dita nel colletto della maglia verde, tirandolo leggermente e deglutendo a vuoto.
L’altra, intuendo di aver colto nel segno, disse, con voce innocente: -Sai, viaggiando per i mari potrebbe capitare di ammalarmi… E allora chi mi curerebbe?-
Quello non capì più niente. -Se me lo chiedi così, accetterei anche di buttarmi in mare per te!- esclamò, con gli occhi a forma di cuore.
-Perfetto, sei dei nostri!- esclamò piena di gioia, alzando il pugno al cielo in segno di vittoria.
-Bel lavoro, capitano- disse improvvisamente una voce femminile, mentre la porta d’ingresso si spalancava di colpo.


 

Sulla soglia stava Diana, seguita da Rey e da tutti gli altri compagni reclutati dai due.
-Wow, ragazzi, ci siete anche voi?- fece la mora, sempre più entusiasta. -E vedo che, come avevo previsto, avete trovato un bel po’ di gente- aggiunse, lanciando un rapido sguardo sul gruppo all’esterno.
-Io… è meglio che vada- sussurrò Mirage, ancora all’interno dell’ambulatorio, vedendo tutta quella gente. Con un balzo scese dal lettino e si appoggiò il cappotto (che Mark le porgeva gentilmente) sulle spalle. -È giusto che Mimi venga sepolta- soggiunse, prendendo delicatamente tra le braccia il corpo della sorellina e avviandosi lungo la via.
-Quella chi è?- chiese Diana incuriosita. -Una ragazza che aveva bisogno di aiuto. Degli uomini hanno ucciso sua sorella e ferito lei, così ho pensato di darle una mano. È anche per questo che abbiamo scelto di iniziare il nostro viaggio, no?- disse Iris con noncuranza, come fosse la cosa più naturale del mondo.
Il gruppo di “reclute” rimase vagamente colpito da quelle parole. “Allora è vero tutto quello che ci ha detto Diana sul suo conto” pensò Alex, aggiustandosi gli occhiali. Quella ragazza era un po’ troppo solare per i suoi gusti, ma il suo modo di pensare l’aveva catturata. Forse col tempo ci avrebbe fatto l’abitudine.
-Bene, ora, presentazioni- disse Iris, uscendo a sua volta dalla porta, seguita dal dottore, che nel frattempo si era tolto il camice, abbandonandolo sul lettino. -Io sono Iris Synder, capitano della ciurma, e questo è Mark, il nostro medico di bordo- aggiunse, indicando il giovane. -Credo conosciate già Diana e Rey, poiché loro vi hanno accompagnati qui-
Poi, passando davanti a ognuno, aspettò che le dicesse il proprio nome.
-Keyra Hanako D. Hono, cuoca professionista- disse sorridendo la ragazza dagli occhi multicolori.
-Alek Ryuketsu, studiosa di Re del Mare e mostri marini- bofonchiò la scura, ancora leggermente infastidita dall’allegria del capitano.
-Naoaki Hanazonu, cecchino e esperto d’armi da fuoco- le tese la mano serio il ragazzo.
-Ellesmere Duchal… io non so che ruolo potrei avere nella ciurma, ma so cantare abbastanza bene, quindi potrei essere la musicista di bordo- fece timidamente la rossa.
-E Greta Mia, navigatore!- aggiunse qualcuno, che si era appena accodato al gruppo. Tutti si voltarono a fissare il punto da cui proveniva la voce.
Si trovarono a fissare una diciassettenne con un’altezza media, magra ma dalle forme prosperose, accentuate dalla maglia rossa e scollata. I capelli multicolori, di cui due ciuffi erano legati davanti a mo’ di treccine, le arrivavano al fondoschiena, mentre i jeans che portava erano all’altezza del ginocchio. Ai piedi, un paio di scarpe da ginnastica. Una bella ragazza, nel complesso, nonostante la cicatrice che si poteva notare sulla gamba e sul braccio sinistro; inoltre, doveva avere la passione per i tatuaggi: ne aveva uno a forma di gatto sulla mano sinistra, uno a cuore sulla spalla destra e, sulla sinistra, la scritta GRE sottolineata da un cuoricino e sormontata da un teschio.
-Sì, io sarò il vostro navigatore- disse con voce vagamente scorbutica, mentre si infilava una giacca a mezze maniche nera. -Senza qualcuno a guidarvi in questo mare non credo farete molta strada- aggiunse inchiodando tutti con lo sguardo dei suoi occhi azzurro ghiaccio che, sebbene molto penetranti, avevano un che di inespressivo.
-Beh, allora, ci stai?- sbottò rivolta a Iris, tendendole la mano destra (rivelando un nuovo tatuaggio, stavolta raffigurante una stella).
Il capitano rifletté un attimo, poi la strinse con decisione. -E sia, benvenuta a bordo- disse, decisa.
-Bene, quindi in tutto siamo nove- considerò Keyra.
-Eh, già… un bel numero- sospirò il capitano. Poi, senza preavviso, si batté una mano sulla fronte, sgranando gli occhi. -Oh, no, che guaio!- esclamò, in preda al panico.
-Che c’è di già?- sbottò Greta. Non bastava che nella ciurma ci fossero la bellezza di tre individui maschi, adesso c’erano anche dei problemi ancora prima di partire?
-Ehm… Diana…- sussurrò Iris, con un sorrisino tirato -… ci sarebbe un piccolo problema… Tu hai vagamente presente la barca con cui siamo arrivate qui?-
La castana alzò gli occhi al cielo. Certo che ce l’aveva presente, l’aveva rubata lei in persona. -Iris… dimmi che non ti sei dimenticata di cercare una nave che sostituisca quella bagnarola che ho fregato a un gruppetto di Marine idioti-
-Volete dirmi che quel guscio di noce che ho visto al porto è vostro? E sarebbe la nostra nave?- Rey non poté trattenersi dal fare quella considerazione.
-A quanto pare sì, a meno che non ne troviamo un’altra, e in fretta, se non vogliamo rimanere bloccati qui- disse Naoaki, con voce seria. Poi aggiunse: -C’è un carpentiere in questa città. Non lo conosco, ma so dove sta, è qui a due passi; forse lui può aiutarci-
-Allora facci strada!- esclamò la mora, leggermente sollevata.


 

In poco tempo, furono al negozio, una bottega che dava sul porto. L’insegna di legno intagliato era a forma di nave.
All’interno c’era un diciottenne alto e magro, dai capelli corvini e sparati verso l’alto. Sulla faccia spiccava una cicatrice di taglio tra gli occhi, che erano di un colore rosso sangue.
-Kaith Sawamura, carpentiere- si presentò con freddezza. -Posso esservi utile?-
-Sì… o meglio, credo. Siamo una ciurma pirata e avremmo bisogno di una nave- disse Iris.
Quello si guardò intorno, facendo scorrere rapidamente lo sguardo sui presenti. -Non è molto che siete pirati, vero?- domandò.
-Cinque minuti- sbottò Greta, che cominciava già a innervosirsi.
-Lo sospettavo. Siete un po’ troppi per non avere nemmeno una barca su cui viaggiare- sogghignò il giovane.
-Allora, ci puoi aiutare?- chiese Keyra, speranzosa.
Lui annuì leggermente. Poi indicò fuori dalla finestra. -Quel vascello lì fuori potrebbe fare al caso vostro-
Tutti si affacciarono. Rey riconobbe la nave che aveva adocchiato prima passeggiando lungo il molo, quella con le vele blu e priva di nome.
-È di buona fattura, costruito con un legno raro e particolarmente resistente. L’interno è già arredato: ci sono tre camerate, cucina con annessa saletta da pranzo, bagno e, sul ponte esterno, ha una sorta di piccolo cortile… Insomma, un’ottima imbarcazione- concluse il carpentiere.
-C’è solo un leggero problema…- intervenne Iris, che da quando si era ricordata dell'ennesimo dettaglio che le era sfuggito aveva un sorriso tirato. -Non credo che possiamo permettercelo, siamo un po’ al verde …- Si voltò verso i suoi compagni. -Ragazzi, dite che se facciamo una colletta tra noi riusciamo a mettere insieme una cifra decente?-
-Scordatelo, io non ci penso neanche a prestarvi soldi!- esclamò Alex, molto contrariata all’idea di separarsi dal suo denaro.
Il ragazzo annuì di nuovo. Non avevano i soldi per pagare, quindi non avrebbe potuto concludere niente con loro. Eppure... non se la sentiva di mandarli via così. Quel gruppo aveva risvegliato in lui qualcosa.
Nel vederli gli era tornato alla mente quando, tre anni prima, si era unito anche lui a una ciurma pirata, e non ad una qualsiasi, ma alla flotta del grande Barbabianca (che non aveva avuto la fortuna di conoscere di persona, poiché era morto anni prima); poi però aveva perso i suoi compagni, e adesso si trovava lì, a tentare di vendere barche. Nel suo cuore, però, la sete di avventura e, soprattutto, il sogno che l’aveva spinto a partire, non si erano ancora sopiti.
Improvvisamente, un’idea gli balenò in testa.
-Non importa se non avete i soldi- disse con tranquillità. -Vi propongo un affare: io vi lascio la nave gratis, in cambio voi mi accettate come carpentiere di bordo- e incrociò le braccia, attendendo una risposta.
Iris rifletté per pochi istanti, poi esclamò: -Affare fatto! Benvenuto tra noi, Kaith!-
-Ottimo- rispose il giovane, sorridendo. -Seguitemi, vi accompagno alla barca-


 

Visto da vicino, il veliero aveva un aspetto imponente, ma non troppo. Sarebbe stato la casa perfetta per loro, pensarono i membri della nuova ciurma.
Volevano salpare entro sera, per cui si recarono nuovamente al mercato per poter acquistare delle provviste. Greta aveva detto che l’isola più vicina distava una settimana di viaggio, quindi era opportuno rifornirsi adeguatamente.
Solo Iris restò sul molo, contemplando la nave con la quale tutti avrebbero inseguito i loro sogni. Chissà se ce l’avrebbero fatta.
Si cacciò in bocca uno dei dolcetti al cocco che le aveva comprato Diana, perdendosi nel celestiale aroma del frutto che tanto amava. Una voce che la chiamava la riportò alla realtà.
-Iris!- Si voltò, vedendo una figura chiara correre verso di lei. Era Mirage.
-Ehi, Mira! Vedo che ti sei ripresa alla grande!- esclamò la mora, sollevata di vedere l’altra star bene.
La tigre si fermò davanti a lei. La sua espressione era abbastanza seria.
-Senti, Iris… mentre guardavo la tomba di Mimi, ho deciso che me ne voglio andare da questo posto. Sai, anche i miei genitori sono stati uccisi da dei bracconieri come quelli che mi hanno portato via mia sorella. Ormai per me non ha più senso restare qui, non mi è rimasto niente. Io… posso entrare a far parte della tua ciurma?-
La diciottenne la guardò sorridendo. -E me lo chiedi? Certo, benvenuta a bordo!-
-Grazie- rispose l’altra.
-Capitano, noi siamo pronti a partire!- Rey, seguito dagli altri, era spuntato dalla via che portava al mercato; sulle spalle aveva un grosso sacco, pieno presumibilmente di frutta.
-Ottimo! Allora imbarchiamoci e partiamo alla volta della nostra avventura!- esclamò entusiasta.
In breve, furono tutti a bordo e l’ancora fu levata, mentre la nave si allontanava dalla costa, verso l’orizzonte, dove il tramonto infuocava cielo e mare.

 

 

 
Angolo dell'autrice

Rieccomi, più veloce che mai!
Sono riuscita a terminare il capitolo ieri pomeriggio e, siccome so che due dei miei "seguaci" stanno per partire per le vacanze e avrebbero gradito leggere la seconda parte della presentazione degli OC senza dover aspettare di rientrare, ho deciso di postarlo già oggi. Per il terzo dovrete aspettare un po' di più, però... ^-^"
Anche qui, vi chiedo di segnalarmi se per caso ho reso OOC un OC (che gioco di parole...), nel caso tenterò di aggiustare nel seguito!
Ma ora passiamo ai ringraziamenti che avevo promesso. Si ringraziano per la partecipazione (in ordine di apparizione nella storia) ZORO99 con Rey, Keyra Hanako D. Hono con Keyra, karter con Naoaki, Foco_Foco_Girl con Alex, Pineapple__ con Ellesmere, Rainbowrose con Mirage, KuRaMa faN con Mark e infine thedarksora con Kaith.
Ringrazio inoltre chiunque abbia letto la storia, se non vi è piaciuta mi dispiace, ma se l'avete apprezzata mi fate ben felice!
AVVISO AI PARTECIPANTI: Siccome sono una tarda, nella scheda OC avevo messo la categoria "storia d'amore", senza pensare che ovviamente nessuno conosceva ancora i vari personaggi -.-". Se qualcuno di voi fosse interessato a far avere alla sua "creatura" una storia con uno dei compagni (o compagne, per chi ha OC maschi), è pregato di farmelo sapere (via messaggio privato), così che io possa contattare il "partner" per chiedere se è d'accordo. Chissà, magari si andrà a formare anche qualche triangolo... ma non divaghiamo ;)
Ok, non ho nient'altro da aggiungere. Come sempre vi ringrazio tutti e spero che la storia continuerà ad appassionarvi! Un bacio,

Swan

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Capitolo 4
*** 3. Di situazioni imbarazzanti e facce (s)conosciute ***


UNA GRANDE AVVENTURA



Capitolo 3: Di situazioni imbarazzanti e facce (s)conosciute

Il vascello avanzava rapido, tagliando le placide onde che si infrangevano contro la prua a spirale.
Da quando era salpata da Shike la ciurma non aveva ancora incontrato nemmeno una nube piccolissima e il mare era sempre stato calmo, liscio quasi come l’olio.
Una fortuna, aveva spiegato Greta, siccome in quella zona le tempeste erano tutt’altro che rare.
In quei pochi giorni di viaggio insieme i nuovi compagni non erano ancora riusciti a conoscersi bene; per quello ci sarebbero voluti mesi (forse anni, per alcuni tra i più restii a parlare di sé), ma se non altro le barriere di cui ognuno di loro pareva essere circondato avevano cominciato ad allentarsi.
In un certo senso, cominciava a svilupparsi un sentimento di comunione, una percezione della loro unità come gruppo, sebbene alcuni continuassero a mantenere un atteggiamento freddo e distaccato.
Naoaki, per esempio, passava la maggior parte del tempo solo, seduto in disparte; l’unica compagnia che accettava era quella delle sue amate pistole, di cui si prendeva cura in modo quasi maniacale, pulendole e lustrandole perché rimanessero impeccabili.
Anche Rey tendeva a stare sulle sue, ma non si faceva problemi a scambiare due parole con qualche compagno o compagna di tanto in tanto. Ci teneva a mantenere buoni rapporti con tutti, anche perché se ad Iris fosse successo qualcosa la responsabilità della ciurma sarebbe passata a lui; la ragazza, infatti, l’aveva nominato suo vice. Gli aveva affidato quell’importante ruolo davanti a tutti, confidandogli che riponeva in lui una grande fiducia; alla domanda “sulla base di cosa”, però, aveva risposto che non ne aveva la minima idea, sfoderando un sorriso a trentadue denti che aveva fatto scendere un gocciolone giù per la testa del resto dei compagni. Lui, dal canto suo, se ne era sentito profondamente onorato.
Una piacevole sorpresa era stata per tutti scoprire che Kaith, sotto l’iniziale maschera di freddezza con cui si era presentato, era in realtà sempre pronto alla battuta e a scherzare.
Per quanto riguardava Mark, continuava a comportarsi da perfetto cascamorto, ricoprendo di complimenti tutte le ragazze della ciurma; se però Keyra, Ellesmere e Mirage accettavano con un sorriso (e magari arrossendo leggermente, nel caso di Ellesmere, che era per natura estremamente timida) le sue attenzioni, aveva ricevuto parecchie minacce di morte (più o meno velate) da Alex, Greta e Diana. Iris, invece, come già era accaduto quando si erano incontrati la prima volta, pareva non cogliere nemmeno i suoi tentativi di flirtare.
Il ragazzo però non demordeva, nemmeno con le tre che, ogni volta che si avvicinava loro, gli lanciavano sguardi talmente carichi di propositi omicidi che c’era da meravigliarsi che fosse ancora vivo.
Inoltre aveva scoperto un modo alternativo per potersi “svagare” un po’.
Il primo giorno che si trovava sulla nave, infatti, aveva quasi per caso trovato uno spiraglio che, da una comoda posizione sopraelevata, dava direttamente sul bagno delle ragazze, permettendo però a colui che vi guardava di passare inosservato ai compagni che si trovavano sul ponte (compresa la postazione di vedetta); inutile dire che già un paio di volte non aveva resistito alla tentazione di sbirciare quando qualcuna avvisava di “voler andare a farsi una doccia”.
 

Proprio in quel momento, il medico se ne stava appostato nel suo nascondiglio.
Sentendo la porta del bagno aprirsi si sistemò meglio e, una volta che si fu richiusa, lanciò una fugace occhiata all’interno. La “fortunata” del giorno era Keyra.
La ragazza, ignara del fatto di essere spiata (infatti, anche se avesse potuto in qualche modo notare il buco nella parete, gli stava dando le spalle) cominciò a sfilarsi la maglietta.
A Mark imporporarono leggermente le guance, mentre un’espressione beata andava aprendosi sul suo volto.
-Che fai, ti godi lo spettacolino?-
Una voce (indubbiamente femminile) alle sue spalle lo fece sbiancare improvvisamente. Beccato.
Lentamente, il giovane voltò la testa e, se già era stupito che qualcuno fosse riuscito a scoprirlo, cacciò quasi un urlo. Dietro di lui, infatti, c’era proprio Keyra, che lo fissava severa tenendo le braccia incrociate.

-Ma… ma… tu… come…- balbettò l’altro, indicando ora Keyra, ora lo spiraglio.
Tornò un attimo a guardare nel bagno: non era possibile, anche lì c’era la sua compagna.
“Ecco, vuoi vedere che è tutto un incubo creato dalla mia mente perversa per cercare di riportarmi sulla retta via?” pensò il poveretto.
-Come hai fatto?- domandò incredulo alla cuoca.
-I miei poteri non sono utili solo in combattimento- rispose quella, con una leggera alzata di spalle. Mentre diceva ciò, la Keyra del bagno si dissolse in una nuvoletta di fumo. -Sai, non sei l’unico ad essersi accorto di quel buco nella parete, quindi ho deciso di prendere delle adeguate precauzioni prima di farmi una doccia-
Il medico era esterrefatto. -Che razza di frutto del diavolo hai mangiato per riuscire a fare una cosa del genere, scusa?-
-Nessuno, ho questi poteri fin dalla nascita- disse, rabbuiandosi di colpo. Mark intuì che aveva appena toccato un argomento spiacevole.
-Comunque sia- riprese la ragazza, tornando a puntare lo sguardo negli occhi verde-azzurri del compagno -ti farei giurare di non sbirciare più nel bagno delle femmine, ma tanto so che non resisteresti alla tentazione… Quindi mi limito a farti giurare di non sbirciare più me. Prometti?-
Come se il tono con cui aveva pronunciato l’ultima frase (e in particolare la domanda) non fosse bastato da solo a far desistere il medico, Keyra allungò la mano a cercare il manico della spada alta quasi quanto lei che portava legata alla schiena.
Rifattosi esangue in volto, il ragazzo annuì rapidamente. Non ci teneva a finire a fette per mano di una compagna.
-Bene- fece l’altra soddisfatta, ritraendo la mano.
Un urlo di avvertimento di Diana, che come sempre era nella sua postazione sulla coffa, li fece voltare entrambi verso l’alto.
-Ehi, ragazzi, state attenti. C’è… qualcosa che ci segue, in acqua. Qualcosa di grosso-
 

La voce vagamente preoccupata della vedetta aveva richiamato all’attenzione tutti i compagni.
Perfino Naoaki, intento a rigirarsi tra le mani il suo mitra con espressione concentrata, si alzò in piedi al richiamo.
Iris non perse tempo; corse immediatamente a poppa, affacciandosi dal parapetto.
Effettivamente, l’acqua a una trentina di metri dalla nave si faceva più scura, mentre a intervalli regolari qualcosa spuntava fendendo le onde.
A un tratto, la macchia cominciò a rimpicciolirsi. -Qualunque cosa fosse, ora si sta inabissando. Deve aver rinunciato all’idea di inseguirci- commentò Kaith, che aveva affiancato il capitano per osservare la situazione.
In poco tempo, tutti tornarono ai propri compiti. Ma la calma durò poco.
Kahir come suo solito stava volando sopra la nave, seguendola dal cielo. Anche lui era un membro effettivo della ciurma (e riusciva ad andare d’accordo con tutti, per quanto reso possibile dalla sua incapacità di parlare) e condivideva con Diana il ruolo di vedetta, controllando la situazione dall’alto.
Il falco, mentre compiva uno dei suoi volteggi circolari, si bloccò di colpo e mandò uno stridio allarmato.
-Kahir, che succede?- domandò la vedetta, preoccupata dall’improvvisa reazione dell’animale.
Senza preavviso, qualcosa urtò con violenza il fianco della nave, facendo cadere tutti sul ponte. Per fortuna dell’equipaggio, l’erba che vi cresceva attutì l’atterraggio.
-Ma che diavolo…- imprecò Rey, aggrappandosi alla balaustra per aiutarsi a ritrovare l’equilibrio.
-Qualcosa ci ha colpito- osservò Mark, che nel frattempo aveva raggiunto il pontile assieme a Keyra.
Un nuovo colpo fece oscillare pericolosamente il vascello.
-Se continua così finirà per affondarci!- esclamò il cecchino, che aveva impugnato il mitra cominciando a scrutare l’acqua. Se qualcosa li stava attaccando, poteva provare ad abbatterlo prima che quel qualcosa abbattesse loro.
Per tutta risposta, a breve distanza emerse un enorme mostro marino.
-No, non ci posso credere…- mormorò Keyra. Al suo fianco, Alex agguantò il suo taccuino, andando a ripescare la pagina su cui stava lavorando un paio di giorni prima.
La creatura di fronte a loro, infatti, era una murena leone, ma stavolta viva e scalciante.
-Di nuovo quel serpentone!- fece Diana spazientita, alzando gli occhi al cielo.
-Beh, facciamo qualcosa, o “quel serpentone” ci manderà a far compagnia ai pesci!- le urlò Greta, innervosita.
-E cosa dovrei fare? Buttarmi in acqua e prenderla a pugni, magari?- gridò l’occhialuta di rimando, altrettanto spazientita. L’influsso calmante che l’isola Shike aveva avuto sul suo carattere si era esaurito non appena erano arrivati in mare aperto.
-Ci penso io- risolse la questione Naoaki, puntando la sua arma contro la murena. Quella spalancò la bocca, rivelando le fauci appuntite e ruggendo in direzione della nave.
Stava per fare fuoco, quando una esile voce lo bloccò. Era Ellesmere.
-Aspetta, non è necessario ucciderlo. Posso provare a scacciarlo io- si offrì timidamente.
Il cecchino la guardò vagamente perplesso, poi scrollò le spalle. -Fai come ti pare-
La rossa si avvicinò al parapetto della nave, guardando fissa la creatura. Poco prima, quando aveva ruggito, era riuscita per un attimo a sentire la sua voce. Si stava lamentando a causa di una ferita che non le dava pace.
“Ecco perché ci ha attaccati” pensò. Si chiese chi potesse aver fatto una cosa tanto ignobile da rendere così aggressiva una creatura altrimenti pacifica.
Si avvicinò al parapetto, puntando i palmi delle mani verso il mostro marino. Non intendeva fargli del male, voleva soltanto spaventarlo e allontanarlo da loro. Avrebbe potuto provare a parlare con lui, ma era talmente agitato che sarebbe stato inutile.
Prese un respiro profondo e si concentrò.
Dal palmo destro le partì una piccola palla luminosa, che fluttuò rapidamente in direzione della murena. Quando fu davanti a lei, la sfera esplose, mandando riflessi colorati che piovvero lentamente verso il mare.
Il mostro arretrò leggermente. Lei allora ripeté l’operazione; per ora stava funzionando.
I compagni la fissavano incantati, godendosi quella sorta di spettacolo. Era incredibile, sembrava che l’arma utilizzata da Ellesmere fossero… dei fuochi d’artificio.
-Wow, Esmer, è stupendo!- esclamò Mirage, osservando rapita l’ennesimo scoppio multicolore. -Come fai?-
La ragazza sorrise, voltandosi leggermente a guardarla. -Ho mangiato il frutto del diavolo Piro-Piro, che mi permette di creare razzi e fuochi artificiali-
Dopo l’ennesimo colpo, la creatura marina emise un ultimo, potente ruggito e si tuffò in acqua, allontanandosi rapidamente dalla nave, mentre un’esclamazione gioiosa si levava dalla ciurma.
Nel movimento, però, la coda del mostro urtò violentemente l’imbarcazione, facendola oscillare pericolosamente.
La rossa, colta alla sprovvista e ancora molto vicina al parapetto, venne scagliata oltre la protezione e, sotto lo sguardo ora allarmato di tutti, cadde fuori bordo.
 

-Ellesmere!- urlò Iris, osservando impotente la compagna che precipitava in acqua.
Aveva appena detto di aver mangiato un frutto del diavolo, se fosse caduta in mare per lei sarebbe stata la fine.
La rossa, dal canto suo, era molto spaventata. Non tanto per sé stessa, ma per i suoi nuovi amici, che erano preoccupati per lei. Voleva gridargli che andava tutto bene, che anche se fosse stata in acqua non le sarebbe accaduto nulla di male, ma ciò avrebbe comportato il dover rivelare a tutti il suo segreto.
Qualcuno però si mise in azione prima che potesse decidere il da farsi.
Mark, non appena Ellesmere aveva perso l’equilibrio era corso al parapetto. Improvvisamente, dalla schiena del ragazzo fuoriuscirono delle catene, simili a tanti tentacoli. Una di esse si tuffò in picchiata verso il mare, raggiungendo in breve la giovane e avvolgendola delicatamente intorno alla vita, arrestandone così la caduta.
Poi, sempre con dolcezza, la sollevò, posandola sana e salva sul pontile, dove tutti le corsero incontro. -Non provare mai più a fare una cosa del genere!- esclamò Mirage, abbracciandola.
La rossa si distese un poco, poi si voltò verso il compagno che l’aveva salvata. La guardava sorridendo, il petto che si alzava e abbassava rapidamente in cerca d’aria, un po’ per lo sforzo fatto e un po’ per lo spavento.
Voleva ringraziarlo, ma la “folla” attorno a lei glielo impediva.
Sospirò. Avrebbe trovato il modo di parlargli dopo, ne era certa.
 

-Bene, e ora che tutto si è risolto per il meglio riprendiamo la rotta!- fece Iris entusiasta.
Alex, che grazie all’incontro era riuscita a collezionare altri preziosi appunti sulla murena leone, sbuffò leggermente: faticava a prendere sul serio il capitano. Possibile che fino a un attimo prima fosse in uno stato di ansia profondissima e adesso si fosse già ripresa?
Ci pensò Kaith a rovinare le aspettative della diciottenne. -Greta, quanto manca alla prossima isola?- domandò freddamente.
-Credo circa cinque giorni di viaggio- rispose la navigatrice. -Perché?-
Il carpentiere si fece scuro in volto. -La nave ha subito dei danni allo scafo nell’attacco di quel Re del Mare. L’ho capito dal rumore che ha fatto l’ultimo urto. Devo ripararla in qualche modo, o non credo che arriveremo mai al porto- disse.
-Quindi che si fa?- chiese il capitano, inclinando leggermente la testa di lato.
-Beh, a rigor di logica dovremmo trovare un’isola più vicina a cui attraccare per poter aggiustare la nave- commentò Diana, che era scesa dalla sua postazione quando Ellesmere era caduta in acqua per cercare di rendersi utile nel salvataggio (anche se poi non era stato necessario).
-Cosa? No, perché dovremmo modificare la rotta? Cioè, io ho viaggiato su una barca che era conciata molto peggio di questa, eppure me la sono cavata…-
Tutti si voltarono a guardare perplessi Iris. Come mai non voleva dare ascolto ai consigli della vedetta?
-Capitano, Cinna-san ha ragione. Se non ripariamo la nave il prima possibile, i danni potrebbero aggravarsi a tal punto che forse Kaith, per quanto esperto sia, non riuscirebbe più a sistemarli.- Era stata Mirage a parlare.
Iris si rianimò di colpo. -Ok, allora va bene-
Ignorando le espressioni perplesse della ciurma, si voltò verso la navigatrice. -Greta, ci sono isole qua vicino?-
La giovane dai capelli multicolori annuì. -Sì, c’è un’isoletta poco distante da dove ci troviamo ora. Se la vedetta fosse nella sua postazione, probabilmente riuscirebbe a scorgerla all’orizzonte- disse, lanciando un’occhiata storta a Diana.
Quella la fulminò e si arrampicò rapidamente sulla coffa, prendendo il cannocchiale.
-È vero- disse, -l’isola c’è. Dobbiamo virare di cinquanta gradi-
Immediatamente la manovra fu compiuta. Man mano che si avanzava, effettivamente, il profilo della terra emersa cominciava a staccarsi da quello del mare. Non sembrava un’isola grandissima.
Quando furono a distanza tale da inquadrare la rotta a vista, Diana scese dalla sua posizione abituale per chiacchierare un po’ con gli altri.
-Ehi, Mira- fece, rivolta alla compagna. -Sì, cosa c’è?-
-Prima, quando ho contestato le parole di Iris, mi hai chiamato Cinna-san. Cosa significa?-
La tigre arrossì lievemente.
-Scusami, Diana- disse con voce leggera, -è che il tuo odore è molto particolare. Non fraintendermi- aggiunse rapidamente, notando l’espressione confusa dell’altra, -è che io resto comunque per metà un felino, quindi il mio olfatto è molto sviluppato. Di conseguenza, a volte tendo a individuare le persone a seconda del loro odore. Ti ho chiamato Cinna-san perché tu hai un profumo speziato, come di cannella-
-Dici? Bah, io non sento niente- commentò l’occhialuta, portandosi il polso al naso e inspirando per verificare.
-Wow, Mira, quindi tu riusciresti a riconoscere l’odore di ciascuno di noi, volendo?- domandò Keyra, incuriosita. Anche gli altri, sentendo la conversazione, si erano avvicinati per capire meglio.
-Sì, ne sarei capace- rispose l’altra sorridendo.
Così, mentre navigava verso l’isola, la ciurma passò il resto del viaggio a “scoprire” i propri odori caratteristici.
Per esempio, secondo Mirage Iris sapeva di cocco (“forse ne mangio un po’ troppo” aveva considerato il capitano, portandosi una mano dietro la nuca) e Alex di inchiostro, con una nota di fondo di cioccolato.
La giovane aveva arricciato il naso quando era toccato a Rey, dicendo che aveva un odore strano, particolare e molto speziato, che non riusciva a ricondurre a nulla di definito.
Keyra aveva un vago profumo di frutta matura, Greta di carta con un delicato ritorno di fragole, Kaith di legname fresco, Ellesmere di salsedine con una punta di alghe e Mark di medicinali.
Non appena si avvicinò a Naoaki, la tigre venne scossa da un brivido.
-Che c’è?- le domandò il cecchino, con espressione piatta.
-Niente- rispose lei, -è che il tuo odore… mi fa pensare a brutti ricordi. Sai di… polvere da sparo- concluse, trattenendo in parte il fiato per evitare nuove “ferite” al suo olfatto delicato.
-Beh, è normale- disse il cecchino, con un leggero sorriso. -Le armi da fuoco sono la mia vita-
La ragazza annuì leggermente, senza riuscire a scacciare dalla mente l’immagine dei bracconieri che uccidevano sua madre, suo padre, Mimi. La voce di Greta la riportò alla realtà.
-Ragazzi, ci siamo. Tra poco potremo attraccare-
Scacciò definitivamente quei pensieri molesti. Una leggera raffica di vento le portò di nuovo sotto il naso l’odore pungente di Naoaki, quell’aroma che nella sua mente sapeva di morte.
Stavolta, però, colse qualcosa in più, una nota delicata, che prima le era passata inosservata. Un profumo buono, dolciastro e aromatico. Liquirizia.
 

-Ok, io starò qui a riparare la nave. Voi intanto fate un giro e magari rifornite le scorte di cibo, anche se ne abbiamo ancora più che a sufficienza-
Con queste parole Kaith li aveva congedati, prima di cominciare a dedicarsi completamente al vascello.
Il resto della ciurma, seguito in volo da Kahir, si avviò per una strada lastricata di piastrelle squadrate di pietra grezza, che si inoltrava tra i muri di due case vicine, anch’esse grigie e spoglie, dalle persiane di legno serrate.
Man mano che procedevano per le vie, notarono che anche il resto delle abitazioni aveva un aspetto simile.
-Cavolo, questo posto è desolante! Non c’è anima viva!- sbottò Diana ad un certo punto, davanti all’ennesima porta sprangata.
Rey strinse i denti a quell’affermazione della vedetta. Lui infatti riusciva a percepire la presenza di molte persone nella zona oltre ai suoi compagni, grazie all’haki dell’osservazione, che aveva sviluppato in quattro anni di duro allenamento.
-No, le anime vive ci sono, e sono anche tante- lo anticipò Naoaki, anche lui in grado di utilizzare quel potere. -E non hanno intenzioni proprio amichevoli- aggiunse.
-Beh, non è un grande problema. Siamo pronti a dargliele di santa ragione se ci attaccano, non serve che ci metti in guardia. So difendermi anche da sola, non sono mica una bambinetta inerme- osservò Greta acida.
Iris scosse piano la testa. Possibile che la navigatrice ogni volta che si rivolgeva a un suo compagno maschio dovesse irritarsi con lui?
Certo, anche con Diana c’erano dei bei testa a testa, ma quelli erano giustificabili. Perché invece se la prendeva sempre con gli uomini? A volte sembrava quasi provare un odio viscerale contro di loro, celandolo molto male.
Scrollò di nuovo il capo. Gliel’avrebbe chiesto, una volta o l’altra.
Stavano per svoltare in un’altra via, quando una voce dal tono viscido richiamò l’attenzione del gruppo.
-Bene, a quanto pare chi non muore si rivede, eh, Synder?-
“Quella voce…” si trovò a pensare Rey, socchiudendo gli occhi di pece e voltandosi a guardare la persona che stava ritta in piedi all’altro capo della strada. Un uomo, per la precisione, alto e rotondo, la cui testa quasi calva era in parte ricoperta da fascio di bende.
-Oh, no- sospirò Diana, roteando gli occhi, -ancora lui? Credevo che ormai avesse imparato la lezione-
Iris, invece, fissò il cacciatore di taglie con espressione stranita, inclinando leggermente il capo.
-Ci conosciamo?- chiese poi. Diana si sbatté una mano sulla faccia. L’aveva incontrato e malmenato due giorni prima, possibile che avesse già rimosso?
-Non fare finta di niente, Synder, tanto non mi freghi più. Questa volta ho portato i rinforzi- disse l’uomo sogghignando.
Dietro di lui apparve un gran numero di persone, tutte armate fino ai denti. Un altro gruppo sbucò alle spalle della ciurma, chiudendo ogni via di fuga.
-Sai, avevo programmato tutto- fece il cacciatore di taglie. -Non appena mi hai cacciato da quella taverna, ho deciso di tenderti una trappola. Ho richiamato alcuni colleghi miei amici, che si sono offerti di aiutarmi, in cambio di una parte della tua taglia, ovviamente.
Abbiamo iniziato a pedinarti, scoprendo così anche l’identità dei compagni che hai arruolato nella tua ciurma e, quando siete salpati da Shike, vi abbiamo seguiti.
Sapevamo dell’esistenza di quest’isola disabitata, quindi abbiamo scelto di sfruttare questo posto per catturarvi, e devo dire che la nostra idea ha funzionato alla grande!- si interruppe, tra le risate di scherno generali rivolte ai pirati.
-Rimaneva però da pensare: come fare ad attirarvi qui?- riprese. -Lì, è stata la natura a darci una mano.
Vedi, il tratto di mare qui intorno è spesso attraversato da correnti calde o fredde, per questo è facile incontrare specie diverse di Re del Mare. Ci è bastato ferirne uno per farlo imbizzarrire e prepararlo ad attaccare la vostra nave, non appena gli foste passati vicini. Devo dire che è stato divertente…- concluse, con espressione compiaciuta.
Ellesmere strinse i pugni. -Così siete stati voi a fare del male a quella murena leone?- chiese, con voce arrabbiata.
-Perché, qualche problema?- ribatté l’uomo, fissandola con aria di sfida.
-Iris, cosa facciamo?- domandò Rey al capitano. A suo vedere lo scontro era inevitabile, ma preferiva avere il via libera dal capitano prima di attaccare, anche se già fremeva all’idea della battaglia.
-Mmmh…- La ragazza portò la mano al mento, come se stesse riflettendo. Dopo un po’, rispose semplicemente: -Boh, non ne ho idea-
Al che, Greta e Diana sbottarono contemporaneamente, entrambe con una vena pulsante sulla fronte: -E ti sembra una risposta da dare?-
Prima che la mora potesse aggiungere qualcosa, vennero interrotti dal cacciatore di taglie.
-Ah, Synder, vedo che stavolta hai portato con te il tuo animaletto- disse, facendo un cenno al cielo, dove Kahir volava in circolo sopra di loro. -Beh, per poter riscuotere la tua taglia dovrò catturare anche lui, c’è scritto sul manifesto-
Furono quelle parole sul falco, come la volta precedente, a risvegliare Iris.
Voltatasi verso la ciurma, disse: -Cambio di programma, gente. Adesso un’idea ce l’ho-
Si girò nuovamente in direzione dell’uomo, che parlò con fare di sfida: -A proposito, “Saetta Alata”, c’è una cosa che vorrei chiederti prima di catturarti. È vero quello che dicono in giro di te? Che sei capace di prendere un fulmine in mano?-
La ragazza sogghignò. -Lo scoprirai presto- rispose semplicemente. -Ragazzi,  facciamogli vedere di cosa siamo capaci-
Detto questo, infilò una mano nella sua polsiera, estraendone qualcosa, che si rivelò poi essere una prolunga della stessa a forma di guanto senza dita. Una volta indossatolo, sempre con la mano sinistra andò ad aprire la tasca dei kunai, sganciandola dal fianco destro e infilandosi al polso l’anello con cui era francata. Poi distese il braccio, lasciando che i kunai penzolassero dalla loro sistemazione.
Rey la osservò con un mezzo sorriso. Adesso capiva perché le avevano dato il soprannome “Saetta Alata”: i kunai sembravano delle penne, il braccio un’ala spiegata.
Ognuno dei compagni si preparò allo scontro a suo modo. Alex estrasse dal fodero il suo coltello, Ellesmere si preparò a usare i suoi fuochi d’artificio, Mirage tirò fuori gli artigli (nel vero senso della parola) ringhiando leggermente, Mark fece spuntare dalla schiena le sue catene, Naoaki caricò le pistole, Diana sguainò la katana, Greta estrasse dalla cintura una frusta e Keyra afferrò la sua fidata enorme spada, Angel.
Il vicecapitano si abbassò un attimo per poter prendere il pugnale dalla lama rossa che portava legato alla caviglia, ma all’ultimo cambiò idea, scegliendo di usare solo il potere derivatogli dal frutto del diavolo che aveva ingerito.
-Questa volta non hai scampo, Synder! All’attacco!- urlò il cacciatore. Tutti gli uomini che lo seguivano si lanciarono urlando verso la ciurma.
Rey sogghignò, con sguardo sadico. Si sarebbe divertito, se lo sentiva.
 

In breve, lo scontro ebbe inizio.
Tenendo conto della propria nettissima superiorità numerica, i cacciatori di taglie davano per scontato che i pirati non avrebbero retto a lungo sotto il loro assalto, ma avevano fatto male i calcoli.
Ogni membro della ciurma, infatti, si stava dimostrando un avversario temibile, intrattenendo anche più combattimenti simultanei senza tuttavia subire nemmeno un graffio.
Iris aveva preso in mano due kunai, utilizzandoli per parare gli attacchi nemici e rispondere. Non si arrischiava a lanciarli perché i nemici erano troppi, quindi sarebbe potuta rimanere senza colpi in poco tempo.
Tuttavia, con un gesto fulmineo ne scagliò uno, ferendo un uomo che aveva tentato di colpire alle spalle Ellesmere, la quale a poca distanza stava dando del filo da torcere a un gruppo di cacciatori con i suoi fuochi d’artificio.
Greta si stava dando da fare, colpendo con la frusta ogni nemico che le capitava a tiro; quando però un gruppo troppo numeroso la circondò, decise di attivare il suo potere, derivatole da un frutto del diavolo. In breve creò una densa nube, talmente fitta da risultare impenetrabile allo sguardo, con la quale accerchiò tutti quelli che la attaccavano; poi, a un suo comando, il vapore divenne come solido, imprigionandoli e permettendo a Naoaki di sconfiggerli con le sue pistole.
L’unico che, a vista dei compagni, sembrava non prendere lo scontro troppo sul serio era Mark.
O almeno, il ragazzo combatteva, mulinando le catene (le cui punte erano diventate sferiche, come a formare delle mazze) attorno a sé, ma non appena colpiva qualcuno gli si avvicinava un attimo e gli gridava qualcosa, cercando di sovrastare il frastuono della battaglia.
Chi si trovava vicino aveva potuto udire che diceva all’incirca di utilizzare una pomata e applicarla sulle contusioni, laddove fossero stati colpiti.
-Ma che stai facendo?- gli urlò Diana, impegnata in un combattimento che concluse rapidamente con un abile colpo di katana.
-Li curo! Non dimenticare che sono un medico!- fece l’altro di rimando, bloccandosi un attimo alla vista della vedetta.
-Diana, cos’è successo alla tua pelle? Ti hanno colpita? Sembra che tu ti stia sgretolando!-
-Tranquillo, è tutto a posto… hai mai sentito parlare di armadilli?- chiese la ragazza con disinvoltura, senza perdere la concentrazione. Stava infatti utilizzando la forma ibrida concessale dal frutto Dilo-Dilo, che aveva ingerito anni prima e le consentiva di diventare un armadillo: le sue braccia, le gambe, la fronte e parte della testa erano ricoperte da delle placche ossee vagamente squamose, di un colore ocra, che andavano a proteggerle la pelle in una sorta di corazza.
I due vennero superati da Keyra, che stava correndo in aiuto di… sé stessa. Infatti la ragazza, grazie ai suoi speciali poteri, aveva creato alcune copie che utilizzava per coprirsi le spalle e confondere gli avversari.
Poi, per aprirsi un varco e andare in aiuto di Mirage (che nel frattempo stava combattendo con i suoi artigli e dei piccoli pugnali, le orecchie appiattite sulla testa e i denti scoperti come un gatto infuriato) prese un respiro profondo e, senza preavviso, soffiò una gigantesca palla di fuoco, che colpì chi si trovava nel raggio d’azione e lasciò sbalorditi tutti gli altri. Com’era possibile un attacco del genere, se quella giovane (come risultava dal manifesto della taglia) non aveva ingerito frutti del diavolo?
Un forte ringhio riportò l’attenzione sul campo di battaglia.
Al centro della via si stagliava un enorme cane nero, alto più di tre metri; se questa caratteristica non fosse bastata a scoraggiare i cacciatori di taglie dall’attaccarlo, si aggiungeva il fatto che, dopo averlo osservato un attimo, si poteva constatare che quel cane non aveva una, come di consueto, ma ben tre teste, quella centrale dagli occhi neri e le due laterali dagli occhi rosso sangue, ognuna con un collare a punte al collo.
La creatura (che in realtà era Rey, trasformato nella sua forma completa del frutto zoo-zoo mitologico) scoprì le grosse zanne e compì un potente balzo in direzione dei nemici, azzannando tutti quelli che gli capitavano a tiro.
Non distoglieva un attimo lo sguardo e la mente dalla battaglia, era una bestia sanguinaria, che si inebriava nel sentire l’aspro liquido cremisi bagnargli il pelo, le zanne, scorrergli in gola…
Lanciò un latrato soddisfatto, poi riprese l’assalto. Si stava divertendo da morire.
 

Alex sfondò con un calcio la porta di un edificio abbandonato.
Si era allontanata leggermente dagli altri, inseguita da un consistente gruppo di cacciatori di taglie.
Non che volesse evitare lo scontro, beninteso (anzi, il suo coltello era già ben sporco di sangue), ma i nemici erano troppi per batterli tutti in uno scontro diretto. Doveva trovare il modo di attivare il potere del frutto del diavolo al più presto.
Si inoltrò rapidamente nella stanza, giungendo a un’altra porta, che abbatté senza esitare. Sperava che, penetrando nell’edificio, sarebbe riuscita a trovare una stanza abbastanza buia da consentirle di usare il frutto Night-Night. Infatti, per quanto potentissimo, tale frutto aveva l’inconveniente di poter essere sfruttato solo di notte (cosa impossibile, dato che era pieno pomeriggio) o in luoghi privi di luce.
La ragazza imprecò lievemente tra i denti appuntiti; superata la porta, infatti, si trovò nuovamente all’aperto, su una via laterale.
Stava per portarsi sull’altro lato per penetrare nell’ennesimo edificio, quando una voce conosciuta la richiamò.
-Ehi, Alex!-
Era Kaith, che stava correndo nella sua direzione. -Stavo finendo le riparazioni, quando ho sentito il rumore di una battaglia in corso, perciò ho mollato tutto e sono venuto a vedere cosa succedeva!-
-Va bene, va bene, ma adesso aiutami a sfondare quella porta!- disse innervosita la giovane.
Dopo essere entrati, il carpentiere la bloccò un attimo.
-Chi è che vi ha attaccati?- domandò con voce seria.
-Dei cacciatori di taglie, nulla di che- rispose lei con una scrollata di spalle.
L’altro annuì brevemente. -Piuttosto, come mai tu stai correndo in giro per le case? Cerchi qualcosa?-
-Sì. Mi serve un luogo buio, altrimenti non potrò combattere. E adesso smettila di intralciarmi e vedi di renderti utile nello scontro, altrimenti non mi farò problemi ad ammazzarti per poi dire agli altri che ti hanno sconfitto!- ringhiò la mora.
-Aspetta un secondo… hai detto che ti serve un posto buio? Forse posso aiutarti- disse il ragazzo, sogghignando.
In quello stesso istante, un primo uomo entrò dalla porta. Gli altri lo seguirono a ruota, riversandosi a frotte nell’edificio.
-Beh, sbrigati, allora!- esclamò Alex irritata. Quel ragazzino le stava facendo perdere tempo.
Kaith chiuse per un attimo gli occhi cremisi; dai suoi palmi cominciò a fluire una sorta di denso fumo, che cominciò a propagarsi lentamente nell’aria.
Poi, di colpo, spalancò gli occhi; in un attimo, la nebbia invase tutta la stanza, piombandola nell’oscurità più totale. I nemici si guardarono intorno, spaesati: il buio era impenetrabile.
-Così va bene?- sussurrò Kaith all’orecchio della compagna, facendola leggermente rabbrividire. Dal suo tono di voce si sarebbe detto che stesse sogghignando.
-Sì- si limitò a rispondere, scrollando un poco le spalle per scacciare quella fastidiosa sensazione.
Poi fu la sua volta di concentrarsi, alla ricerca di un’idea decente; una volta trovatala, attivò il potere del frutto.
In breve, nel silenzio più totale, si sparse un urlo agghiacciante, che man mano si moltiplicò. Nonostante l’oscurità, si poteva intuire che proveniva dal gruppo di cacciatori di taglie.
Alex lo ascoltò, beandosi di quel suono che tanto amava. -Vieni- disse poi a Kaith, -andiamocene-
Una volta che furono in strada ripresero a correre, per poter raggiungere gli altri.
-Cos’è, controlli l’oscurità?- domandò la ragazza al compagno.
-Più o meno- rispose quello, -diciamo che posso convertire la rabbia che provo in oscurità. E a dire il vero, il fatto di sapere che qualcuno vi stava attaccando è bastato per farmi fare una bella scorta. Tu invece toglimi una curiosità- chiese poi, ansimando leggermente per via della corsa, -che cosa gli hai fatto?-
-Semplice- disse la mora, -li ho intrappolati in un’illusione eterna, un incubo in cui ognuno di loro è in piedi in mezzo a dei serpenti, che lentamente cominciano a divorargli la carne- e detto questo esplose in una fragorosa risata.
Il giovane la fissò perplesso. Accidenti, quello sì che era sadismo.
 

Una volta giunti sul luogo dello scontro principale, si trovarono di fronte a una carneficina.
Per terra c’erano decine di persone svenute (i più fortunati), ferite (un po’ meno fortunati) o senza vita (decisamente meno fortunati).
Solo un ultimo gruppo resisteva, ritirato in fondo alla via prima di lanciarsi all’assalto. Non erano tantissimi, ma sembravano ancora agguerriti. Tra di loro c’era il capo dei cacciatori di taglie.
Rey, ancora sotto forma di cane a tre teste, fece per avvicinarsi a loro per farne scempio, ma Iris lo bloccò con una mano.
-Fermo- disse, con voce stranamente calma. -Voglio prima mostrargli una cosa-
-Chi credi di prendere in giro, Synder? Ti ho visto combattere, sei un’incapace- la schernì l’uomo per cercare di distrarla.
La ragazza si limitò ad afferrare sei kunai, tre in ogni mano, poi li scagliò in direzione dei muri tra cui si trovavano i cacciatori.
Non appena lasciarono le sue mani, i kunai si rivelarono legati tra loro a coppie da uno spesso filo metallico, che si tese andando a chiudere la via agli uomini all’altezza della vita, sia da davanti che da dietro.
Il loro capo scoppiò a ridere.
-Questo è il massimo che sai fare, Synder? Avevo sentito che hai il potere del frutto Rope-Rope, che ti fa generare corde e fili di ogni tipo, ma pensi davvero che basti qualche cavetto d’acciaio teso a fermarci?-
Mirage rifletté un attimo sulle parole di quel ceffo. Corde e fili di ogni tipo. Con la mente ritornò a quando Iris l’aveva salvata dai bracconieri in quella via. “Ecco come ha fatto a imprigionarli” pensò. “Deve aver usato un filo sottilissimo ma resistente, teso e annodato da Kahir quando è piombato addosso a quei due”.
Il capitano rispose alla provocazione con un sorriso sghembo. -Non sottovalutare il metallo, combinato con un fulmine potrebbe essere la tua rovina-
Mentre tutti si chiedevano il senso di quella frase, la giovane sollevò il braccio destro.
Kahir, che fino a quel momento aveva volteggiato in circoli sopra agli scontri in corso, discese lentamente, andando a posarsi in cima alla polsiera, dispiegando le ali.
Dapprima nessuno notò niente, ma dopo qualche secondo si cominciò a intravedere come un bagliore leggero emanarsi dalle ali e dalla testa del falco. Le striature blu elettrico su di esse si stavano infatti schiarendo, illuminandosi ed emanando un leggero crepitio.
Poi, di colpo, sprigionarono una scarica elettrica di colore azzurro chiaro, che avvolse interamente l’animale, lasciando però indenne Iris (la sua polsiera doveva essere fatta di un qualche particolare materiale isolante).
I cacciatori di taglie sbiancarono. -I-il fulmine…- balbettarono alcuni, comprendendo finalmente il significato dell’avvertimento che aveva lanciato prima la ragazza; ormai, però, era troppo tardi per fuggire. I cavi metallici, troppo alti per essere scavalcati e troppo bassi per passarci sotto, chiudevano ogni via di scampo.
La giovane col falco si rivolse un’ultima volta al capo dei nemici: -Credo di aver risposto alla tua domanda di prima. Ora facciamola finita, una volta per tutte!-
Appena ebbe terminato la frase, Kahir si alzò in volo con un unico, potente battito d’ali, raggiungendo un’altezza considerevole; poi si lanciò in picchiata in direzione di uno dei kunai che spuntavano dai muri, stringendolo negli artigli una volta che lo ebbe raggiunto.
In un attimo, la scossa elettrica si propagò lungo tutto il cavo ad esso collegato, trasmettendosi a tutti gli altri dove si incrociavano e folgorando l’intero gruppo di uomini intrappolati al loro interno, che caddero a terra.
-Bene, direi che qui abbiamo finito- disse Iris, spazzolandosi leggermente i vestiti e voltandosi, per trovarsi di fronte le espressioni sbalordite dei compagni di ciurma.
Kahir, esauritasi la carica elettrica, si scrollò un attimo per rassettare le piume e tornò ad appollaiarsi sul braccio della ragazza.
-Que-quel falco…- balbettò Greta, ancora sconvolta.
-Quello non è un falco qualsiasi. Deve essere un falco tuono- disse Alex, con voce cauta.
Il capitano sorrise debolmente. -Vedo che non te ne intendi solo i Re del Mare, Alex. Sì, Kahir è un falco tuono-
La studiosa la guardò di scatto, facendo scintillare la montatura degli occhiali. -Come hai fatto a procurartene uno?- chiese, sempre mantenendo un tono vagamente circospetto. Per qualche motivo, sentiva che la questione si sarebbe complicata. -È una specie rarissima, che si può incontrare solo su un’isola in tutto il Grande Blu-
L’altra abbassò lo sguardo, mentre un’ombra le velò gli occhi chiari. -Non è solo una specie rarissima- esalò, -oramai è estinta. Kahir è l’ultimo esemplare, diciamo così, libero-
Il falco stridette affranto.
-In che senso… libero?- si arrischiò a domandare Keyra.
Il capitano la fissò grave, guardando intanto anche gli altri compagni.
-Perché l’altro falco tuono, Kira, l’ultima femmina esistente, è sparita nel nulla quattro anni fa. E con lei la sua padrona, Aisha. Mia sorella-
Fu come se una coltre ghiacciata fosse calata sul gruppo. L’unica che non sembrava particolarmente sorpresa era Diana; a lei Iris aveva già raccontato tutto, perciò conosceva già la sua storia.
Una lacrima solitaria solcò la guancia della mora.
I suoi compagni furono vagamente turbati dal vederla in quello stato; di solito Iris era solare, anche troppo, mentre ora… Doveva essere un argomento di cui parlare le causava un dolore immenso.
-Sapete, è… è giunto il momento che vi racconti le mie origini- riprese, con voce spezzata.
-Venite, torniamo alla nave-

 

 

 
Angolo dell'autrice

Ciao a tutti!
E' con molto piacere che vi presento il terzo capitolo (il titolo è un po' così, ma prendetelo per quello che è, l'ho inventato al momento e sto uscendo da una giornata di quelle no... molto complice il maltempo, che ha fatto saltare tutti i miei programmi T-T)
Comunque sia, spero vi sia piaciuto. Prima che pensiate sia una pervertita, vi dirò che la scena iniziale (che non so a voi, ma a me scrivendola ha fatto morire dalle risate) non è stata una mia idea, o almeno, non del tutto... diciamo che è per far emergere bene la "natura" di Mark, che però ho fatto "redimere" salvando Ellesmere (sulla quale ho aperto un po' di interrogativi).
Ho lasciato il capitolo un po' in sospeso, vi posso solo dire che nel prossimo (che non ho ancora iniziato a scrivere, quindi andrà presumibilmente verso la seconda settimana di settembre, ma non do' date perché porta male xD) scopriremo (o meglio, scoprirete) qualcosa di più sulla storia di Iris e di un altro personaggio della ciurma (che non anticipo per non rovinare la suspance -in realtà non l'ha ancora scelto- taci, voce dellla mia Coscienza).
Beh, che altro dire... recensite se vi è piaciuto, ma anche se non vi è piaciuto, e in quel caso ditemi cosa vi sembra non vada, così cercherò di modificarlo nel seguito. I combattimenti andavano bene? Questa era un po' a stile "panoramica", in seguito farò battaglie più dettagliate (credo). Ah, ovviamente le storie tra OC (cavolo, ragazze, mi avete trovato la sistemazione per tutti i maschietti! :D) non nasceranno così da un giorno all'altro... ci vuole tempo! ;)
Ok, vi saluto. Un bacione a tutti,

Swan

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Capitolo 5
*** 4. Passati che ritornano ***


UNA GRANDE AVVENTURA



Capitolo 4: Passati che ritornano

 

Nella sala principale del vascello…

Sottocoperta, i membri della ciurma erano riuniti attorno al grande tavolo di legno dove di solito consumavano i pasti.
La tensione nell’aria era così densa che sembrava si potesse toccare.
Non volava una mosca; l’unico suono percepibile era il lieve battito di un martello all’esterno, dove Kaith stava ultimando le riparazioni allo scafo.
Dopo circa un quarto d’ora (che però era sembrato a tutti interminabile) la porta si spalancò e ne emerse il carpentiere, sfregandosi le mani con uno strofinaccio per pulirle.
Iris gli fece cenno di accomodarsi al suo posto; poi, una volta che si fu seduto, prese la parola.
-Bene, ora che ci siamo tutti posso spiegarvi un po’ di cose. Intendo, riguardo chi sono io e, soprattutto, riguardo Kahir. Il perché lui è così importante per me e non solo, dovrebbe esserlo per tutto il mondo-
Gli occhi di tutti si voltarono in un’unica direzione, come attratti da una calamita.
Il falco se ne stava tranquillamente appollaiato su una sorta di trespolo di ottone che, per l’occasione, era stato portato accanto al tavolo (normalmente era appoggiato alla parete).
Teneva la testa bassa e le palpebre leggermente socchiuse. Il suo aspetto era fiero come sempre, ma il suo splendore era in qualche modo offuscato da quell’atteggiamento mesto; anche se non era umano, riusciva a far trasparire i suoi sentimenti, in questo caso dolore, un dolore profondo, in grado quasi di trasmettersi, come una malattia, a chi indugiasse troppo sul suo profilo.
Qualunque cosa fosse accaduta in passato, doveva essere una ferita ancora aperta; prima il capitano aveva accennato a qualcosa, a una certa Kira, ma non era entrata nei particolari. Ora era il momento di chiarirsi.
Iris riprese a parlare.
-Prima di iniziare il mio racconto, devo mostrarvi una cosa. Un dettaglio di cui nessuno a parte voi dovrà mai venire a sapere-
Detto questo si alzò in piedi; dalla sua posizione a capotavola, ogni membro della ciurma poteva vederla chiaramente.
La ragazza distese il braccio destro, come faceva solitamente per richiamare Kahir. Poi, con dita tremanti, cominciò a sfilare lentamente la polsiera.
Effettivamente, pensò Mirage, nessuno di loro aveva mai visto quella parte del loro capitano scoperta. Persino quando si lavava le braccia non toglieva la copertura.
Cosa mai poteva spingerla a tenerlo nascosto? Che segreto celava? Era un bel mistero, ma presto sarebbe stato svelato.
Con un gesto deciso, la giovane spostò anche l’ultimo lembo di tessuto, mostrando il polso. Vi spiccava una macchia nera, larga quanto esso stesso.
 

Tutti si sporsero nella sua direzione per osservare meglio il tatuaggio.
Raffigurava un paio di ali spiegate, le cui punte si ripiegavano lievemente in direzione degli avambracci; le penne erano disegnate in modo sorprendentemente dettagliato, sembrava quasi di vederle pronte a fremere scompigliate dalla brezza.
-Beh, tutto qui? È solo un tatuaggio, io ne ho molti più di te, non mi sembra un delitto…- commentò Greta, osservandosi le mani su cui spiccavano vari disegni.
Iris scosse debolmente la testa, ma Alex la precedette nel rispondere alla navigatrice.
-No, quello non è un tatuaggio qualsiasi. È una specie di marchio… credo. Ho sentito delle voci riguardo ai Custodi di Hiwa, ma non so niente su di loro. Spiegaci, Iris-
Il capitano riprese la parola.
 

-Credo che ormai abbiate tutti capito che provengo da un’isola di nome Hiwa. Si trova nel Mare Meridionale. O meglio, dovrei dire… si trovava- disse, mentre il suo sguardo si velava leggermente.
Keyra strinse i pugni sotto il tavolo. Credeva di capire già come sarebbe andata a finire la storia, e aveva buone ragioni per supporre che ci fosse di mezzo il Governo Mondiale.
-Ora ricordo qualcosa. Se non sbaglio, Hiwa era un’isola famosa per l’avicoltura, giusto?- fece Greta.
La mora annuì brevemente.
-Sì, ricordi bene. I primi abitanti sbarcarono sull’isola circa un secolo fa; una volta attraccati a terra scoprirono una incredibile varietà di specie di uccelli, molte delle quali sconosciute fino ad allora, quindi si insediarono per poterle studiare. Così cominciò una lunga tradizione di allevamento, cura ed addestramento di volatili che è durata fino ai giorni nostri.
Io sono nata diciotto anni fa.
 

Mio padre era un commerciante; spesso era via per lavoro, ricordo che rimaneva a casa solo pochi mesi prima di ripartire per i suoi viaggi.
Mia madre invece allevava are-
-Are?- domandò Mirage incuriosita. -Sono dei grandi pappagalli multicolori- le rispose distrattamente Diana. -A vedersi sono spettacolari- aggiunse sotto lo sguardo incantato della tigre.

-Comunque sia- riprese il suo racconto Iris, -data la professione di mia madre, sono stata a stretto contatto con questi animali praticamente fin dalla nascita, e devo dire che avevo una sorta di talento naturale nell’ammaestrarli. Non avete idea di quanto sia magnifica la vista di un gruppo di are addestrate in volo, sembra di osservare un arcobaleno in movimento continuo, vivo e cangiante.
Mi divertivo a creare nuovi schemi assieme a mia madre, per poi mostrarli orgogliosa a papà quando tornava a casa dai suoi lunghi viaggi.
Cinque anni dopo me mia madre ebbe un’altra figlia, che mio padre decise di chiamare Aisha.
Restò a casa alcuni mesi più del solito per prendersi cura di lei assieme a mia madre, poi dovette ripartire per un viaggio molto lungo; per metà anno non l’avremmo rivisto.
“Mi raccomando, la prossima volta che torno voglio che tu sia diventata una addestratrice provetta” mi disse, al che io gli feci notare che avevo solo cinque anni e mezzo. “E allora?” aveva aggiunto scompigliandomi i capelli, con un grande sorriso sulle labbra. “Nemmeno tua madre è in grado di ammaestrare gli uccelli come te. Scommetto che riusciresti anche ad addomesticare un falco tuono!”-
Greta sorrise debolmente nel sentire come Iris ricordasse chiaramente le parole del padre.

Doveva essere bello avere dei genitori che ti amano; per quanto la riguardava, i suoi l’avevano abbandonata da piccola sull’isola che poi era diventata il suo inferno privato.
Prima di tornare a guardare il capitano, incrociò lo sguardo di Alex, e vide che anche lei aveva un’espressione analoga alla propria. Che anche a lei fosse accaduto qualcosa di simile?
Iris riprese il racconto.
-Dovete sapere, infatti, che i falchi tuono come Kahir sono la specie più caratteristica in assoluto di Hiwa, abbastanza poco comune e, se catturata da adulta, ancora più difficile da addomesticare. Con i cuccioli è un poco più semplice, ma neanche troppo.
Una volta ammansita, però, è fedele fino alla morte e sviluppa con il suo, diciamo così, “padrone” un legame forte, un po’ come quello che avete potuto vedere tra noi due.
Oltre ad essere un simbolo di importanza, i falchi tuono erano utili alla nostra isola per la produzione di energia, per un motivo che ben potete immaginare- aggiunse, facendo cenno al falco sul suo trespolo.

Tutti avevano ancora vivo nella mente l’episodio appena occorso, in cui l’animale si era trasformato in una vera e propria “saetta alata”.
-Comunque sia, dopo questo breve discorso mio padre partì per il viaggio.
Fu l’ultima volta che lo vidi.
Dopo circa un mese, ci giunse la notizia che la nave su cui si trovava era incappata in una tempesta e che era affondata in mare aperto. Al relitto erano ancora attaccate le scialuppe, perciò nessuno dell’equipaggio era riuscito a mettersi in salvo. Il mare non restituì nemmeno le salme.
Così rimanemmo sole, io, mamma e Aisha ancora piccola.
 

Fu un trauma grandissimo; ci vollero mesi perché lo superassi.
Per Aisha fu semplice, era troppo piccola per capire, ma per me…- si interruppe un attimo per prendere fiato, lasciando la frase in sospeso.

Il resto della ciurma ascoltava in silenzio, condividendo il dolore del capitano.
Del resto, quasi tutti loro avevano perso i genitori o comunque coloro a cui avevano voluto bene, chi prima e chi dopo, per cui capivano bene cosa stesse provando nel rievocare quei tristi momenti.
Le uniche eccezioni erano Greta, che era appunto stata abbandonata, e Alex, anche lei lasciata in un orfanotrofio dai suoi parenti naturali, poi adottata da due perfidi coniugi che l’avevano maltrattata in ogni modo, costringendola anche a mangiare il frutto del mare di cui ora aveva i poteri. Ricordava con piacere di come li aveva fatti fuori tutti, genitori naturali e non, appena ne aveva avuto l’occasione.
Iris riprese a parlare.
-Però alla fine riuscii a tornare alla normalità, anzi mi lanciai nell’addestramento con rinnovata forza, sperimentando con nuove specie oltre alle are e ottenendo risultati strabilianti.
Dedicavo tutto il lavoro a mio padre, sperando che, dall’alto del cielo, potesse vedere il volo dei miei uccelli ed essere fiero di me.Così passarono altri quattro anni.
E qui entra in scena Kahir.
 

Era il giorno del mio decimo compleanno, e stavo festeggiando con mia madre ed Aisha, quando ad un tratto sentimmo bussare alla porta.
Corsi ad aprire e mi ritrovai faccia a faccia con Alim, un signore abbastanza anziano che noi bambini conoscevamo tutti come “nonno Alim”.
Era inoltre noto al villaggio perché era un esperto di rapaci e possedeva anche alcuni falchi tuono.
Fu lui a porgermi un piccolo di questa specie, poco più di un pulcino.
“È per te”, mi disse. “Tutti abbiamo notato la tua abilità e pensiamo che tu abbia le qualità per diventare una Custode”.
I Custodi di Hiwa, a cui ha accennato prima Alex, non sono altro che coloro che possiedono un falco tuono.
Quel giorno, infatti, oltre a ricevere in dono il piccolo (a cui poi diedi il nome Kahir) mi venne impresso sul polso il tatuaggio che vi ho mostrato, come prova del mio essere Custode.
Inutile dirvi che l’addestramento andò a buon fine.
Tre anni dopo, anche Aisha (che aveva anche lei dimostrato un grande talento simile al mio) ricevette lo stesso  onore. Il suo però era un falco femmina, che chiamò Kira.
In breve, anche tra lei e Kira nacque un forte legame, come anche tra Kira e Kahir.
La vita era magnifica, i giorni scorrevano in pace, ma tutto stava per precipitare.
 

Passò un altro anno.
Era una giornata soleggiata e tranquilla. Io e Aisha eravamo a spasso assieme ai nostri falchi, quando ad un tratto vedemmo arrivare al porto una grossa nave della Marina.
In breve, al villaggio giunse un gruppo di soldati, capitanati da un viceammiraglio, che chiesero di parlare con Alim.
Non so in che modo, ma il Governo era venuto a sapere dell’esistenza dei falchi tuono, ed era intenzionato a procurarsene molti esemplari per motivi militari; noi di Hiwa avremmo dovuto collaborare al loro addestramento.
Ovviamente Alim rifiutò, così come tutti gli altri abitanti.
Fu allora che i Marine, decisi a prendersi i falchi con la forza, attaccarono in massa l’isola.
E fu un massacro; per quanto provassero a difendersi, i nostri compaesani non erano all’altezza dei soldati, ma combatterono ugualmente.
Mia madre, prima di andare ad aiutarli, accompagnò me e mia sorella al porto e ci fece partire di nascosto su una barchetta, lasciandomi alcune indicazioni su come raggiungere l’isola più vicina.
Kahir e Kira vennero con noi. E fu un bene.
Infatti, come apprendemmo poi, nell’attacco della Marina rimasero uccisi non solo tutti gli abitanti dell’isola, ma anche ogni singolo falco tuono.
Nel silenzio, si udì un gemito proveniente da Mirage.

-Li hanno sterminati tutti…- mormorò. “Proprio come gli antropomorfi” aggiunse nella sua mente.
Capiva bene la situazione, perché era molto simile alla sua.
Il capitano annuì debolmente.
-Sì, non si salvò nessuno. Gli unici scampati alla strage erano i quattro imbarcati su quel guscio di noce.
Naturalmente nessuno al mondo seppe di quel piccolo “incidente”. Il Governo mise tutto a tacere, e Hiwa tornò ad essere il regno incontrastato dei soli uccelli.
 

Dopo due giorni riuscimmo ad attaccare all’isola che mi aveva indicato nostra madre, stremate dalla fame e dalla sete.
Per nostra fortuna, fummo accolte da un oste del paese, che ci rifocillò e ci accolse in casa sua per qualche tempo.
Pensavamo di aver ritrovato la stabilità, ma ci sbagliavamo.
Un mesetto dopo il nostro arrivo, un mattino uscii assieme a Kahir per andare a svolgere alcune commissioni.
Era tutto normale, finché non notai due manifesti appesi a una bacheca. Manifesti di taglie, e le facce raffigurate mi erano familiari. Molto familiari.
Sì, perché erano la mia e quella di Aisha. Su entrambe pendeva una taglia di 44 milioni di Berry, cosa strana per una quattordicenne e una bambina di nove anni.
Guardando più attentamente, vidi una scritta che diceva che il denaro sarebbe stato consegnato a chi ci avesse catturate solo se, assieme a noi, avessero portato anche i falchi che erano con noi.
Allora capii che ciò che contava davvero era Kahir, non io. È su di lui che pende la taglia, non su di me.
La Marina vuole mettere le mani su lui e Kira per sfruttarli e creare un esercito di falchi tuono, come fossero delle macchine.
Non persi tempo e corsi alla locanda, ma era troppo tardi. La trovai messa a soqquadro, l’oste a terra svenuto.
Quando si riprese, mi disse che degli uomini del Governo avevano fatto irruzione e avevano portato via Aisha e Kira.
Avevo perso anche l’ultima persona rimasta della mia famiglia, ora ero sola, ma non mi arresi. Decisi che la Marina non mi avrebbe mai avuta.
Quel signore gentile che mi aveva ospitato mi aiutò a imbarcarmi di nascosto su una nave mercantile, dove rimasi nascosta, scendendo a terra di tanto in tanto per commettere qualche piccolo furto.
Fu nella stiva che trovai i kunai e il frutto del diavolo, così li rubai entrambi e cominciai ad allenarmi a combattere, anche assieme a Kahir.
Sognavo di formare una ciurma pirata, come aveva fatto il mio idolo di sempre, Monkey D. Rufy, e di solcare i mari alla ricerca di mia sorella.
Già, perché io sono convinta che la Marina se la sia lasciata sfuggire. Dopo qualche tempo, infatti, la sua taglia tornò in circolazione. Anche lei mi sta cercando, e io riuscirò a ritrovarla, lo giuro.
E quando l’avrò fatto, Kahir e Kira assieme potranno ridare vita alla specie dei falchi tuono.
E ancora, tutti assieme, vendicheremo la nostra isola-
 

Nella stanza calò il silenzio.
Tutti erano così concentrati sulla storia che nessuno sapeva come fare a recuperare le parole.
-Dunque… anche Hiwa è stata distrutta dalla Marina-
Era stata Keyra a parlare. Iris annuì brevemente.
-In che senso… anche?- domandò Mirage, alzando un sopracciglio.
La cuoca sospirò pesantemente prima di rispondere.
-Vedete… anche io provengo da un’isola che non esiste più. Se non vi dispiace, vorrei parlarvi un po’ di me-
Nessuno ebbe da controbattere, per cui fu il turno della ragazza di raccontarsi ai compagni.
 

-Nacqui diciannove anni fa in una piccola isola nell’East Blue.
Ricordo che il cielo era sempre azzurro e il sole splendeva praticamente tutto l’anno, ma i prati erano comunque verdi e lussureggianti. Insomma, il posto perfetto dove vivere.
Se non fosse stato per i miei poteri.
Infatti, fin dalla nascita ho dimostrato delle abilità… particolari, ecco-
Tutti annuirono, tornando nuovamente con la memoria al combattimento.

Effettivamente, non era da tutti sputare fuoco o triplicarsi.
-Erano poteri strani, ma a parte il poter creare delle copie di me stessa potei constatare che erano legati agli elementi naturali.
In pratica, potevo creare, controllare e plasmare a mio piacimento il fuoco, la terra, il vento, l’aria, l’acqua… fantastico, direte voi.
Ed infatti lo era.
Il mio timore era che gli altri bambini avessero paura di me per quello che ero, invece non ebbi alcun problema a socializzare con tutti i miei coetanei del villaggio.
Anzi, i miei poteri servivano a farci divertire ancora di più.
Ma, a quanto pare, nulla accade senza che il Governo lo scopra.
 

Era un giorno come tanti altri.
Io e i miei amici stavamo giocando assieme poco lontani dalle nostre case, quando udimmo un boato assordante.
Voltatici, vedemmo subito con orrore il fumo che si levava tra gli edifici, probabilmente dalla piazza principale.
Mentre ci chiedevamo cosa fosse successo, iniziando a correre verso il punto da cui era provenuto il frastuono, un’altra esplosione, molto più vicina della prima, ci fece portare le mani alle orecchie.
E ancora, proprio sopra le nostre teste, un edificio andò in pezzi, colpito da una cannonata.
Ricordo che alcuni miei amici furono schiacciati dalle macerie, morendo davanti ai miei occhi.
Occhi che si levarono, pieni di lacrime per colpa del fumo e del dolore, verso l’alto.
Fu allora che le vidi.
In lontananza, c’erano dieci enormi navi da guerra. Sulle vele svettava il simbolo della Marina.
Prima che potessi chiedere aiuto o fare qualsiasi altra cosa, sentii qualcuno afferrarmi da dietro e voltarmi.
Allora non sapevo chi fosse, ricordo solo che mi colpì molto il fatto che portasse un cappello con visiera molto calato sulla fronte, il che mi impedì di vedere i suoi occhi.
Provai a divincolarmi, ma fu inutile, il Marine era grosso almeno cinque volte me.
Lo vidi estrarre un lumacofono dalla giacca e dire poche, semplici, lapidarie parole: -L’ho trovata, procedete pure-
Poi mi trascinò via, su una di quelle navi.
Non valsero a niente tutte le mie proteste, le mie lacrime. Anzi, mi valsero un buon numero di percosse e schiaffi.
E mentre mi portavano chissà dove, fui costretta ad osservare come le altre imbarcazioni bombardavano l’isola senza fermarsi un secondo.
Su una zattera riconobbi alcuni miei compaesani che provavano a fuggire, ma furono fatti saltare in aria anche loro.
Nel tempo in cui noi arrivammo in mare aperto, della mia isola natale non rimaneva più nulla.
Avevo sei anni.
 

Dopo qualche ora, giungemmo al quartier generale della Marina.
Fu allora che scoprii che l’uomo che mi aveva catturata era l’allora ammiraglio Akainu-
Al sentire quel nome, Mark rabbrividì.

Tutti conoscevano bene l’assenza più totale di pietà in quell’uomo, lui in particolare, dato che era stato a strettissimo contatto con la Marina per praticamente tutta la prima metà abbondante della sua vita.
Quando era diventato grandammiraglio, poi…
Notò che anche Diana, seduta di fronte a lui, ebbe un leggero spasmo al sentir nominare Akainu, ma cercò di dissimulare.
Nel fremito, il ciondolo argentato che portava al collo le sfuggì da sotto la camicia, ma lo riagguantò rapidamente e, prima che Mark o qualcun altro avessero il tempo di osservarlo più attentamente (o anche solo di notarlo), lo rinfilò nel colletto.
La bionda riprese a parlare.
-Così scoprii che il Governo Mondiale, venuto a sapere dei miei poteri, mi aveva rapita, riconoscendomi grazie alle sfumature particolari dei miei capelli e dei miei occhi. Una volta ottenutami, avevano intenzione di addestrarmi e utilizzarmi come arma.
Insomma, mi consideravano una loro proprietà, e per ricordarmelo mi impressero a fuoco sulla schiena il loro orrendo simbolo-
Detto questo, si tolse il gilet nero e bianco che aveva sulle spalle e, voltatasi, sollevò un po’ il corpetto in modo che tutti potessero osservare il marchio che deturpava la schiena della giovane.

Era di un colore rosso scuro, come una voglia, ma si notava chiaramente che era stato impresso con un ferro incandescente.
Rey strinse i denti. Sapeva che la Marina era campione in crudeltà e arroganza, ma arrivare a fare una cosa del genere ad una bambina di sei anni… Li odiava tutti, dal primo all’ultimo.
Keyra si rivestì, poi continuò il suo racconto.
-Fu Akainu in persona ad addestrarmi. Ovviamente fu durissima; non vi dico le privazioni e le punizioni a cui ero costretta se non riuscivo in qualcosa o se sbagliavo, per non parlare delle botte…
In un certo senso, però, sono felice.
Perché fu in questo modo che imparai a controllare completamente i miei poteri e sviluppai l’haki, anche se non amo utilizzarla.
In più, imparai a maneggiare un sacco di armi, però la mia preferita rimane sempre la mia spada.
Ma la cosa migliore che mi capitò, l’unica cosa bella in tutto quel tempo, fu una amicizia che porterò sempre nel cuore.
Sebbene gli allenamenti non mi lasciassero quasi un attimo di tregua, conobbi un’anziana che lavorava nelle cucine.
Sì, lo so che sembra strano che una persona non più molto giovane sia al servizio della Marina, ma lei mi raccontò che era nata in quella base e aveva dovuto lavorarvi da sempre.
Fu lei ad insegnarmi a cucinare e a trasmettermi l’amore per i piatti che preparavo; in tutto il buio della mia vita, quegli incontri erano gli unici spiragli di luce.
E passarono gli anni, mentre nel mio cuore covavo l’odio represso per la Marina, per il Governo, per Akainu…
Finché, a sedici anni, decisi di tentare la fuga.
Riuscii a far saltare in aria buona parte della base con le mie tecniche esplosive di fuoco, per crearmi un diversivo, e fuggii a piedi, correndo sull’acqua come avevo imparato a fare durante l’allenamento.
Riuscii a portare con me Angel, la spada che mi vedete ancora oggi utilizzare.
È da allora che giro, cercando un’occasione per distruggere una volta per tutte la Marina-
 

Tra i compagni calò di nuovo il silenzio.
-Beh, guardiamo la cosa positiva- disse dopo un po’ Kaith, cercando di sdrammatizzare un poco la situazione, -almeno gli insegnamenti di quella vecchia ti hanno resa una cuoca fenomenale!-
-Sì, Timber-san ha ragione, i tuoi piatti sono deliziosi!- esclamò Mirage.
Gretta scosse debolmente la testa nel sentire il soprannome che la tigre aveva dato al carpentiere. Solo lei era in grado di percepire il suo odore di legname da costruzione…
Keyra sorrise.
Era bello che i compagni cercassero di tirarla su di morale, non era mai facile rievocare ricordi tanto dolorosi.
-Beh, sicuramente non è stato solo merito suo- disse Naoaki.
Tutti si voltarono nella sua direzione. Non parlava praticamente mai; probabilmente sentire due dei suoi compagni di ciurma “confessarsi” l’aveva un po’ sciolto.
-Voglio dire,- precisò, -per certe cose serve anche una sorta di talento naturale. E molta esperienza-
Stava per aggiungere “come con le pistole”, ma si trattenne.
La cuoca rialzò lo sguardo.
-In effetti l’esperienza ce l’ho. Sapete, per guadagnarmi da vivere, prima di unirmi alla ciurma, accettavo incarichi saltuari in ristoranti, cercando di non farmi notare troppo e cambiando spesso zona.
Del resto, quando c’è chi darebbe 50 milioni di Berry per la tua testa…-
-Aspetta un attimo- esclamò Greta, -vorresti dirmi che tu hai una taglia anche più alta di quella di Iris?-
-Ma hai ascoltato fino ad adesso?- le rinfacciò Alex irritata, con gli occhiali che scintillavano dietro il ciuffo nero. -Ha appena detto di avere dei poteri unici, è sfuggita al controllo del Governo e in più ha anche fatto saltare una base della Marina. E per la cronaca,- aggiunse, -la sua è la taglia più alta di tutta la ciurma.
-E tu come lo sai?- chiese Greta, punta sul vivo dalla reazione della studiosa.
Per tutta risposta, la mora estrasse da una tasca una serie di fogli spiegazzati, per poi aprirli e disporli sul tavolo.
Erano manifesti dei ricercati, tutti appartenenti alla ciurma.
-Li ho presi a quei cacciatori di taglie che mi inseguivano- spiegò con una scrollata di spalle.
Tutti si chinarono verso il centro del tavolo per guardare meglio.
Effettivamente, la taglia di Keyra era la più alta di tutte.
-Però, 45 milioni?- disse Alex a Kaith, alzando un sopracciglio stupita.
Il ragazzo si portò una mano alla nuca, sfregandola leggermente.
-Ehm, forse è per alcuni dei miei trascorsi… sapete, prima di entrare nella vostra ciurma ero già stato pirata su una delle navi di Barbabianca-
-Barbabianca!?- esclamò Diana, sbarrando gli occhi. -Cioè, quel Barbabianca? Quello che morì nella grande guerra di Marineford?-
-Sì, anche dopo la sua morte la sua flotta non si è divisa. Quando io mi sono unito a loro il capitano era Marco “la fenice”, uno di quelli che furono i comandanti delle flotte originali. Sapete, anch’io ho capitanato una flotta, finché non mi hanno catturato e sbattuto a Impel Down… Meno male che sono evaso-
-Pivello- bofonchiò Greta sottovoce. Farsi catturare era da idioti. Più che altro la stupiva la nonchalance con cui Kaith aveva detto di essere stato rinchiuso nella più grande prigione del mondo, e per di più di esserne evaso.
Nella “classifica” delle taglie lei si posizionava quarta, subito dopo Iris, con 43 milioni di Berry.
Seguivano Mark con 37 milioni, Ellesmere con 34 milioni, Diana e Naoaki a parimerito con 30 milioni e, infine, Mirage con 25 milioni.
-Voi due non avete taglia?- domandò Keyra a Rey e Alex. Il ragazzo si limitò a scrollare le spalle, mentre l’altra la guardò con un’aria di vaga superiorità. -Probabilmente quelli della Marina non sanno neanche che esisto… Non sono ancora riusciti ad incastrarmi- disse, passandosi leggermente la lingua sulle zanne da serpente che le spuntavano dal labbro.
-Bene, allora siamo a posto?-
Tutti si voltarono in direzione di Iris. Da quando il suo racconto era terminato non aveva aperto bocca.
Aveva un’espressione rilassata, la tristezza di prima era svanita, anche se Diana notò ancora una vaga ombra nei suoi occhi. Non era uno dei suoi repentini cambi d’umore, stavolta ci avrebbe messo un attimo in più a ritrovare la solarità di sempre.
-Credo di sì- rispose Rey a nome di tutti gli altri. -Non credo che potremo fare rifornimenti su quest’isola, a parte quell’ammasso di idioti è completamente disabitata-
-Ma questo non vuol dire che non possiamo guadagnarci niente- disse Alex, con uno strano luccichio negli occhi.
-Mentre scappavo, sono capitata in un magazzino dove c’erano una serie di casse. Magari contengono delle provviste, o magari i soldi di qualche altra taglia che i cacciatori avevano appena incassato…- aggiunse, con lo sguardo perso nel vuoto. Stava già fantasticando di trovare qualche piccolo tesoro e, ovviamente, di appropriarsene.
-Allora andiamo a recuperarle!- esclamò il capitano con rinnovato vigore.
 

Così scesero di nuovo a terra, mentre Mark ed Ellesmere rimanevano di guardia alla nave, nel caso qualche superstite del gruppo dei cacciatori di taglie decidesse di giocare loro qualche brutto tiro, tipo rubare la nave.
La rossa si avvicinò al medico. Adesso aveva l’occasione di ringraziarlo per averla salvata dal cadere in mare, quindi decise di coglierla.
-Senti, Mark…- cominciò, cercando di vincere la timidezza.
-Sì?- disse lui, voltandosi.
-Io… ecco… volevo ringraziarti. Se non ci fossi stato tu, sarei caduta in mare e…- abbassò lo sguardo, senza terminare la frase. Se avesse detto “sarei morta” non sarebbe stata la verità, ma d’altra parte dire come stavano realmente le cose comportava rivelare tutto di sé stessa, e non si sentiva ancora pronta per quel grande passo.
Quando rialzò gli occhi, incrociò quelli verde-azzurri del medico, che le sorridevano, così come il suo viso.
Ma non era il suo solito sorriso da cascamorto, quello di quando si sprecava in migliaia di moine e complimenti a lei o alle sue compagne.
Era un’espressione sollevata, tranquilla… felice, ecco tutto.
-Beh, quando un compagno è in difficoltà lo si aiuta, no?- rispose, sempre sorridendole. -E poi io sono un medico, è il mio dovere salvare le persone-
Quell’atteggiamento rilassato e naturale, così diverso dal solito, la colpì e le diede coraggio.
La rossa si avvicinò, poi stampò un timido bacio sulla guancia del ragazzo. -Grazie- sussurrò.
“Bene, così mi sono tolta un peso” pensò, mentre sentiva il cuore alleggerirsi.
La reazione del medico fu però quella prevista: arrossì completamente, tanto che pareva che gli uscisse del fumo dalle orecchie.
Poi, con gli occhi persi, si gettò in ginocchio prendendo la mano della compagna.
Ok, era tornato quello di sempre. Con voce sognante, disse: -Oh, Ellesmere, sei davvero la più bella tra le belle, il gioiello più splendente, il sole dei miei giorni, il…- ma non finì di parlare che qualcosa lo colpì violentemente alla nuca, spedendolo a terra.
Mark scattò subito, alla ricerca del pericolo che sentiva imminente. La vita sua e, soprattutto, quella di Ellesmere erano in pericolo.
-Chi sei, vigliacco che colpisci alle spalle? Fatti vedere!- urlò rivolto al nulla.
Ellesmere, per tutta risposta, scoppiò a ridere.
Allo sguardo interrogativo dell’altro, si limitò a indicargli un punto a terra, in cui giaceva saltellante ciò che lo aveva colpito.
-No, Mark, non è un nemico, è… è un pesce!-
Il giovane fece una faccia sbalordita. -E perché mi è saltato in testa?- domandò, scioccato.
-Boh, sarà qualche scherzo di Diana... sai che si diverte da morire a parlare agli animali!- disse la rossa, senza smettere di ridere.
-Che c’entro io?- chiese di colpo la vedetta, sbucando dal parapetto della nave con un grosso barile in spalla. Evidentemente, Alex aveva visto giusto, il deposito c’era.
L’occhialuta lanciò un’occhiata storta al pesce.
 -Pesca innovativa?-disse con una punta di scherno. Ellesmere, nel frattempo, raccolse la creaturina e la ributtò in mare.
In realtà era stata tutta opera sua, ma ovviamente si era guardata bene dal dirlo.
Intanto, Diana continuava a prendere in giro il medico per ciò che era accaduto.
- In genere si deve buttare in mare l’esca perché qualcosa abbocchi, ma a quanto pare tu non ne hai bisogno, Mark, i pesci ti amano alla follia!-
-Ma piantala di sfottere e vieni ad aiutarci con queste casse!- esclamò Greta, appena arrivata a seguito della vedetta, che per risposta la fulminò come usava spesso fare. Quelle due non si sopportavano proprio.
A terra, nel frattempo, tutti gli altri membri della ciurma stavano portando alla nave il bottino, chi spingendo o trascinando casse, chi facendo rotolare barili.
Rey, Kaith e Naoaki, per velocizzare l’imbarco delle provviste, cominciarono un efficiente passamano.
Keyra, dal canto suo, stava penandosi non poco per caricarsi sulle spalle un grosso barile colmo di mele.
-Posso aiutarti?- domandò Mirage, avvicinandosi alla compagna.
-No, grazie, dovrei farcela- le rispose lei con un sorriso, tentando nuovamente di sollevare il contenitore, con scarsi risultati.
-Però, ne avevano di provviste i cacciatori di taglie…- sospirò, accasciandosi a fianco dell’oggetto della sua fatica. -Meno male che ci hai fatto caso, Alex- aggiunse poi rivolta alla mora, che passava in quella con una cassetta di patate in mano.
Per tutta risposta, quella le lanciò uno sguardo da far gelare il sangue. Si era aspettata di trovare soldi, invece quel branco di idioti aveva con sé solo frutta, verdura e alcuni barili di sidro.
Non essendo il tipo da rimanere delusa, aveva preferito arrabbiarsi con il mondo, ma cercando di non darlo troppo a vedere.
Si  aggiustò gli occhiali e proseguì imperterrita, mentre la cuoca si arrendeva per l’ennesima e ultima volta. Aveva vinto il barile, alla fine.
-Effettivamente credo che una mano non guasterebbe- disse rivolta all’amica, sconfortata.
La tigre si avvicinò sorridendo, prese il barile tra le braccia e lo sollevò senza il minimo sforzo.
Keyra la fissò sconcertata.
-Mira, ma come… come hai fatto? Quel coso è pesantissimo!- esclamò.
-Oh, beh…- fece l’altra, arrossendo lievemente. -Sai, credo che la forza sia dovuta alla mia metà animale; alle volte stupisce anche me-
La bionda continuò a guardarla a occhi sbarrati.
La gente vedendo Mirage così esile avrebbe sicuramente pensato a una facile preda, invece sotto quella pelle si nascondeva la forza di un vero felino, letteralmente.
Meno male che era un’amica, altrimenti ne avrebbe quasi avuto paura.
 

-Bene, e anche questa è sistemata!- esclamò Iris con aria soddisfatta, posando a terra l’ultima cassa presa dal magazzino.
Finalmente tutte le provviste di cui si erano appropriati erano state trasportate a bordo.
Non ci era voluto molto, ma un po’ di tempo era comunque passato; il sole stava già cominciando la sua discesa verso il mare, mentre il cielo si tingeva lentamente di rosso e arancio, infuocandosi dei colori del tramonto.
Keyra, appoggiata al parapetto della nave, osservava quello spettacolo naturale che aveva il potere di incantarla ogni volta. -Allora si può ripartire, capitano- disse Rey, interrompendo i suoi pensieri (anche se non si stava rivolgendo a lei).
-Certo, leviamo l’ancora! Direzione…- cominciò Iris, presa dall’entusiasmo, ma interrottasi di colpo. Poi si voltò in direzione di Greta e ripeté, con tono interrogativo: -Direzione?-
-Nord-est- rispose prontamente la navigatrice. -A proposito, che si mangia stasera? Muoio di fame!-
Keyra sussultò. Era talmente immersa nella contemplazione che si era dimenticata di avere una cena da preparare per dieci compagni, sicuramente affamati dopo quella lunga giornata ricca di imprevisti ed emozioni.
-Beh, vai a prenderti una mela, non so se ci hai fatto caso ma ne abbiamo la stiva piena- le rispose Diana con tono ironico, guadagnandosi un’occhiataccia da parte della prima.
Naoaki scosse impercettibilmente la testa: possibile che quelle due fossero sempre lì a litigare o a punzecchiarsi a vicenda?
La frase di Diana diede però una buona idea alla cuoca.
-Ehi, ragazzi, che ne dite se usassi un po’ delle provviste che abbiamo guadagnato oggi per preparare una cena “di gala”? Sapete, per festeggiare la nostra prima vittoria in uno scontro-
-Ottima idea!- esclamò Kaith, particolarmente allegro (in realtà era soddisfatto per il buon lavoro che era riuscito a fare nella riparazione della nave).
-Vengo a darti una mano- disse Ellesmere, avviandosi a seguito della compagna verso la cucina.
Nel giro di un’ora, quando la nave aveva ormai quasi raggiunto il mare aperto, le due ragazze ricomparvero sull’uscio cariche di piatti da portare all’esterno, dove era stato preparato un tavolo per mangiare all’aperto data la bella serata.
C’era di tutto, dalla carne al pesce, e i piatti erano accompagnato da molte verdure preparate nelle più svariate maniere: cotte al vapore, ridotte in purea o salse saporite, saltate in padella…
Insomma, per tutti i compagni era una festa per gli occhi, oltre che di profumi e sapori.
-Keyra, hai veramente superato te stessa!- disse Mirage, addentando una sugosa fetta di arrosto.
-Grazie- rispose la bionda, sorridendo.
È vero, era stata una giornata difficile; aveva dovuto rievocare il suo passato, tornando a fare i conti con la perdita di tutto: la sua casa, i suoi amici…
Ora, però, seduta in mezzo ai compagni della ciurma, dopo tanto tempo si sentiva davvero felice.
Lei e tutti gli altri cominciavano a formare un tutt’uno, una squadra, e la vittoria di oggi, la loro cooperazione nel combattere ne erano un esempio lampante.
Ma c’era qualcosa di più, un legame d’affetto che si andava costruendo tra tutti loro, sì, anche tra chi continuava a litigare come se non ci dovesse essere un domani.
Forse, dopo tutto, avevano trovato una nuova famiglia.
 

 

 
Angolo dell'autrice

Ciao!
Tranquilli, sono ancora viva ^-^
Ed è con molta gioia che vi presento questo nuovo capitolo, in cui come promesso scopriamo qualcosa in più sul passato di Iris (e, poi, anche su Keyra).
Consideratelo il mio regalo per l'inizio della scuola (chi è ancora sui banchi, come la sottoscritta) o per la fine dell'estate (tutti gli altri).
Spero come sempre che vi sia piaciuto e di aver mantenuto bene gli OC; per qualsiasi errore, problema o richiesta, o anche solo per farmi sapere che la storia
 vi piace (o non vi piace), recensite, mi farete felice!
Ringrazio come sempre tutti voi che leggete e recensite, o anche che leggete e basta. Nel prossimo capitolo... non so ancora bene cosa ci sarà. Probabilmente un po' di vita sulla nave, per poi avvicinarci verso la fine alla prossima isola, dove avrà luogo -rullo di tamburi- la prima vera saga!
Un saluto e un bacio a tutti,

Swan

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Capitolo 6
*** 5. Ricordi in tempesta e... tempeste ***


UNA GRANDE AVVENTURA



Capitolo 5: Ricordi in tempesta e... tempeste

Era una notte calma. Il cielo scuro era punteggiato di innumerevoli stelle luminose, mantenuto limpido dalla leggera brezza che spirava, consentendo alla nave di avanzare lentamente sul mare piatto.
Cullata dal placido dondolio delle basse onde, tranquilla come la distesa d’acqua su cui viaggiava, la ciurma dormiva profondamente. Tutti, esauriti dalla lunga giornata, erano stati vinti dal sonno. O meglio, tutti tranne una persona.
Rey camminava per il corridoio con passo leggero, per non destare i compagni. Data la difficoltà ad addormentarsi aveva deciso di fare un giro sul ponte e prendere una boccata d’aria, in rigorosa solitudine. Dopo poco, giunto all’estremità del passaggio, aprì la porta che si trovava al suo termine.
La delicata luce delle stelle, non ancora offuscata dallo splendore della luna crescente, lo investì in pieno, immergendolo nella fresca aria notturna. Si mosse lentamente verso la balaustra, assaporando quell’atmosfera di pace.
Si sentiva… bene, stranamente. Sebbene le rivelazioni fatte da Iris e Keyra all’inizio lo avessero un poco turbato, ora aveva superato la cosa,  complice probabilmente anche la festicciola che avevano organizzato a bordo.
Una leggera folata di vento gli scompigliò i capelli neri, facendo anche tintinnare il bracciale a catenella che aveva al polso contro il parapetto a cui era appoggiato.
Chiuse un attimo gli occhi, godendo dell’aria volto, poi li riaprì, alzando lo sguardo al cielo.
Assieme alla grande macchia punteggiata che era il firmamento notturno, intravide uno scorcio della vela maestra. Il tessuto candido rifletteva la luce lunare, brillando come di luce propria.
Richiuse le palpebre. Strano come le cose appaiano diverse e trasfigurate al buio, le vele sono blu.
Quello che gli si era insinuato nella mente come un pensiero fugace lo portò un attimo dopo ad aggrottare la fronte.
No, c’era qualcosa che non tornava. Le vele erano blu, quindi con l’oscurità avrebbero dovuto sembrare ancora più scure.
Spalancò gli occhi, volgendosi a osservare l’interno della nave. Appariva molto più esteso di come era realmente. E le grandi vele rettangolari (non triangolari, come le loro), spiegate fieramente sui cinque (non tre) alberi erano bianche (non blu).
Fu un attimo. Udì un colpo sordo, come un boato in lontananza.
Subito qualcosa scattò in lui. Si gettò a terra, di lato, mentre una cannonata colpiva violentemente la balaustra, facendola esplodere in una miriade di schegge di legno che gli piovvero addosso.
Oh, no.
Si rialzò lentamente, con un brivido che gli risaliva lungo la schiena e un leggero fischio nelle orecchie dovuto al boato.
All’orizzonte, là dove il mare si fondeva col cielo, la luna piena svettava enorme, come fosse una sfera poggiata su quella enorme distesa d’acqua.
Ma il suo splendore era offuscato dalla sagoma di un’altra nave, molto più grande di quella su cui si trovava lui, che avanzava rapidamente, un filo di fumo che si levava dalla bocca del cannone frontale.
Rey non perse ulteriormente tempo e corse sottocoperta.
Doveva avvertirli, svegliarli, doveva farcela, non poteva permettere che succedesse di nuovo
Ora che aveva ritrovato una famiglia, non poteva perderla subito come… come…
La sua corsa fu interrotta da una figura maschile che giungeva in direzione opposta alla sua. Nella sottile luce, intravide il fisico scolpito e atletico, i corti capelli neri e lo scintillio degli occhi cremisi.
Un tremore diffuso si impossessò nuovamente del suo corpo. Conosceva quella persona, tanto simile a lui in ogni dettaglio.
No, non è possibile. Lui è morto, e i morti non ritornano. Eppure…
 -Padre…- sussurrò. L’uomo parve non accorgersi di lui; dopo essersi guardato intorno estrasse una sciabola dal fodero che portava appeso in vita e proseguì verso il fondo del corridoio.
Giunto alla porta più vicina, Rey la spalancò. Era il dormitorio femminile.
Il colpo della nave avversaria aveva svegliato la maggior parte delle presenti, che si stavano rapidamente vestendo e preparando alla battaglia.
Una seconda cannonata fece oscillare pericolosamente la nave, provocando le urla di buona parte dell’equipaggio. Dalla stanza a fianco, quella riservata alla componente maschile della ciurma, giunsero suoni analoghi.
Prima che Rey potesse fare o dire alcunché, fu distratto da una piccola figura che lo oltrepassò come se nemmeno fosse presente.
Prima ancora di vederlo in faccia, seppe chi era quel bambino.
Dal gruppo si staccò una donna slanciata, dalla lunga chioma bionda; si avvicinò al piccolo, che corse a gettarsi tra le sue braccia, e lo strinse al petto.
-Mamma, cosa sta succedendo?- domandò con voce spaventata, sollevando la testolina coperta di corti capelli neri. I suoi occhi neri come la pece, che già allora presentavano delle caratteristiche sfumature rosse, erano colmi di terrore.
Da sopra si udì un cozzare di lame, seguito da un grido di dolore e un tonfo, poi dei passi affrettati. Sul ponte lo scontro doveva essere iniziato.
La madre lanciò uno sguardo inquieto in giro, poi prese la mano del figlio e gli sussurrò: -Seguimi-
Lo trascinò, praticamente, per tutto il corridoio, senza rispondere alle sue domande, giungendo alla breve scala al termine del passaggio.
Scese rapidamente i gradini e una volta in fondo spalancò la porta che trovò, spingendo il bambino ad entrare e richiudendola alle loro spalle. Rey, che li aveva seguiti silenzioso e inosservato come un’ombra, fece appena in tempo a infilarsi nell’apertura prima che si serrasse.
Erano in una stanza abbastanza piccola e buia, colma di barili e casse impilate.
A quel punto, la donna si inginocchiò per poter guardare il bimbo negli occhi.
-Ascoltami- disse, con voce preoccupata, -resta qui. Non uscire per nessun motivo finché non sarai assolutamente certo che non ci sia più pericolo, capito?-
-Ma…- provò a ribattere il piccolo; la madre rispose stringendogli maggiormente il braccio.
-Capito?- ripeté, fissandolo. Lo sguardo di pece del figlio si riflesse in quello azzurro di lei. A un cenno affermativo con la testa, lo strinse a sé teneramente.
-Mi raccomando, se qualcosa va storto… sii forte- gli sussurrò in un orecchio.
Poi sciolse l’abbraccio e si avvicinò all’uscio. Rivolse ultimo sorriso al buio, dove sapeva che i due piccoli occhi la stavano ancora guardando, poi estrasse leggermente la sua sciabola, gemella di quella del padre di suo figlio, dal fodero e oltrepassò la porta, richiudendola di scatto.
Il bambino rimase solo nella stanza. Dall’esterno, sentì un grido di trionfo e dei passi pesanti e affrettati lungo il corridoio che si avvicinavano. Udì chiaramente il suono di una lama che scivolava fuori dalla sua custodia, e seppe subito che sua madre era pronta a difenderlo. Nessuno si sarebbe mai avvicinato alla dispensa.
Si inginocchiò, provando a sbirciare sotto la porta per capire cosa stava accadendo fuori. Rey lo imitò, ma le scale ostacolavano la vista di entrambi.
Ci fu un clangore metallico: il combattimento era iniziato. Andò avanti per istanti che parvero interminabili, poi un urlo lacerante perforò le orecchie di entrambi. Un urlo indubbiamente femminile.
Un tonfo, e un corpo rotolò giù dalle scale, atterrando davanti alla porta.
E il piccolo si ritrovò a guardare sua madre, la spada ancora tra le dita serrate, lo sguardo già spento, e una macchia di sangue che si allargava sulla maglietta candida all’altezza del petto.

 

 

 

***

 

 

 

Rey si svegliò di soprassalto, spalancando gli occhi. Tremava incontrollatamente. Inspirò a fondo, cercando di riprendere il controllo.
Non era la prima volta che gli succedeva di rivivere in sogno la morte dei suoi genitori, anche se era passato molto tempo dall’ultima occasione in cui gli era capitato.
Aveva solo sei anni quando la ciurma pirata in cui era nato era stata sterminata da un’altra banda durante la notte, in un attacco a tradimento e, soprattutto, completamente immotivato (aveva, in seguito, sentito quelle stesse canaglie ridere dicendo che era stato un passatempo molto divertente).
Eppure, nonostante il tempo passato, quegli istanti terribili in cui aveva perso tutto, dopo dodici anni tornavano ancora a tormentarlo, e allora si ritrovava come adesso, rannicchiato nel letto, a cercare di scacciare via quelle immagini dalla mente.
Si passò una mano sulla faccia, scoprendosi la fronte e gli zigomi umidi di sudore freddo.
Fantastico, Rey, adesso ti fai anche prendere dalla paura, come un bambino? Avevi promesso a tua madre che saresti stato forte allora e che lo saresti rimasto sempre, e invece… invece…
E invece era un essere umano, cavolo.
Per quanto l’orgoglio l’avrebbe sempre portato a negare, anche lui provava dei sentimenti.
Di giorno era sempre più freddo di una calotta polare, ma di notte non era in grado di esercitare il pieno controllo sulle sue emozioni, ed era allora che, in alcuni casi (pochissimi, a dire il vero) queste si impossessavano della sua mente, sconvolgendola.
Probabilmente, le rievocazioni dei passati di Iris e Keyra il giorno precedente avevano ridestato anche i suoi ricordi, che avevano deciso quindi di passare nottetempo a fargli una visitina. Del resto si teneva sempre tutto dentro, era normale che a volte dovesse sfogarsi.
Appoggiò la fronte sulle nocche, sempre stando a gambe incrociate sul letto, inspirando profondamente, mentre anche gli ultimi strascichi del sogno si perdevano.
Bravo, Rey, controllo.
Incurvò debolmente le labbra al pensiero di sua madre, di quell’ultimo sorriso che gli aveva rivolto prima di andare incontro alla morte, di come aveva rinunciato alla sua vita per proteggerlo.
Se solo avesse potuto vedere com’era cresciuto e quanto si era rinforzato, sarebbe stata fiera di lui.
Con questo pensiero nella testa alzò lo sguardo sulla stanza. I suoi compagni dormivano profondamente, Naoaki stando su un fianco, Kaith sdraiato in maniera scomposta, Mark supino; ad un certo punto, il medico mugugnò qualcosa e si rigirò, premendo le labbra sul cuscino ed abbracciandolo. Rey lo guardò con disappunto: poteva facilmente immaginare cosa stesse sognando in quel momento.
Certo, erano gente strana, loro come anche le ragazze (Iris sopra tutte), ma sentiva che insieme sarebbero stati bene, avrebbero costituito un gruppo unito e, soprattutto, anche se non avevano vincoli di parentela, sarebbero stati una grande famiglia.
Stava per coricarsi nuovamente, quando un rumore sordo, come un colpo proveniente dall’esterno, lo fece voltare verso la parete.
Silenzio. Attese un attimo, ma non accadde nulla.
Probabilmente era stato solo uno scherzo della sua immaginazione, complice anche l’incubo appena conclusosi. Un attimo dopo, però, si udì una nuova botta, seguita subito da un’altra, più sommessa. Somigliava al rumore di passi pesanti in coperta.
Rey scattò immediatamente in piedi, tutti i muscoli tesi e pronti al combattimento. Provò a utilizzare l’haki per “scandagliare” la nave e il suo cuore mancò un battito. Percepiva una presenza sul ponte. Qualcuno di armato.
“Deve essere uno di quei cacciatori di taglie sopravvissuti che si è imbarcato di nascosto” pensò il ragazzo. “Vigliacco, progettava di ucciderci nel sonno, magari”
Si rassettò un poco, stringendo i lacci del fodero del pugnale che portava legato alla caviglia persino mentre dormiva. Quello stupido infiltrato aveva compiuto l’ultimo errore della sua miserabile vita.
Aprì la porta del dormitorio maschile, uscì in corridoio e se la richiuse alle spalle, facendo attenzione a non svegliare gli altri.
Percorse la nave per la seconda volta in quella notte (anche se la precedente era stata solo un sogno, si ripeté mentalmente) con passo felpato, raggiungendo in poco tempo la soglia chiusa del ponte.
Ok, Rey, senza pietà. Nessuno ne merita, e i codardi meno di tutti.
Socchiuse l’uscio, sbirciando la situazione. C’era una figura sul ponte, scura nella luce fioca delle stelle; la luna era effettivamente crescente, non piena come nel sogno, quindi non illuminava a sufficienza da poter distinguere chiaramente la fisionomia dell’avversario.
Riusciva però a vedere che l’intruso gli dava le spalle. Dilettante, mai abbassare la guardia, anche quando sei solo contro un intero equipaggio addormentato.
Inspirò a fondo, allungando la mano a prendere il coltello. Le sue dita sfiorarono il freddo metallo, per poi stringersi attorno al manico.
Vai. Uccidi.
Con uno scatto deciso spalancò la porta, sfilando la lama dal fodero e slanciandosi in avanti per colpire al cuore quell’idiota che aveva osato sfidare la ciurma.
Già sentiva il sangue caldo sgorgare a fiotti dalla ferita al petto che gli avrebbe inferto, schizzandogli addosso e dandogli quella sensazione di appagamento, indescrivibile a parole, che provava ogni volta che uccideva qualcuno.
Tutti i suoi sogni omicidi svanirono però nel momento in cui la sua arma, anziché affondare nella carne dell’avversario, cozzò contro qualcosa di duro, producendo uno stridore metallico.
Rey rimase spiazzato: come diavolo aveva fatto a parare il colpo? Quel tipo doveva possedere dei riflessi sovrumani per bloccare un attacco proveniente praticamente dal nulla, contando che fino ad un attimo prima era completamente solo sul ponte.
In ogni caso, il disorientamento durò solo un’infinitesima parte di secondo. Il vicecapitano infatti scartò lateralmente, passandosi il coltello nella mano sinistra per colpire al fianco, ma di nuovo l’attacco andò a vuoto.
Ancora più irritato (com’era possibile che un inetto qualsiasi gli stesse tenendo testa in quel modo?) si voltò di scatto, pronto a tentare un terzo affondo, ma si bloccò nel momento in cui si rese conto di chi gli stava davanti.
Il pugnale quasi gli scivolò dalle dita, mentre i suoi occhi neri e cremisi si riflessero in quelli di Keyra, azzurri, ma dalle mille sfaccettature.
La ragazza sostenne il suo sguardo senza battere ciglio, concentrata, mentre lentamente abbassava la sua spada, uscendo dalla situazione di stallo nella lotta. Rey si allarmò del fatto di non essersi accorto che, fino a un istante prima, quella lama era a pochi centimetri dal suo collo.
-Beh, che fai, non continui?- disse la cuoca, accennando con la testa all’arma nella mano del compagno. -Bell’attacco, comunque, complimenti. Se non fossi stata pronta a reagire mi avresti fatto fuori-
Il moro era, se possibile, ancora più scioccato. Cioè, l’aveva quasi ammazzata e lei si complimentava con lui per il suo modo di combattere? Quella notte gli stavano succedendo troppe cose strane una in seguito all’altra, era troppo anche per uno come lui.
Deglutì a vuoto, cercando di ricomporsi e recuperando in breve il suo tipico atteggiamento freddo. -Perché sei qui?- domandò con fare distaccato, come se nulla fosse accaduto, mentre rinfoderava la sua fida lama rossa.
-Mi stavo allenando- rispose l’altra con tono tranquillo. -Cerco sempre di migliorarmi nel combattimento con Angel-
Rey ci mise un momento a capire che si stava riferendo alla spada. Dunque aveva anche un nome. Doveva essere molto importante per lei.
Ne fece una rapida valutazione. Di ottima fattura, inusuale nell’aspetto, di grandi dimensioni (doveva essere lunga ad occhio e croce quasi un metro e settanta, eppure Keyra la reggeva apparentemente senza il minimo sforzo) e bella esteticamente quanto letale. Un vero e proprio angelo della morte.
-Trovo che le si addica- commentò. -Sì, anch’io- replicò la ragazza. Poi fu lei ad esordire con una domanda. -Piuttosto, tu perché sei qui?-
Il moro scrollò le spalle. -Mi sono svegliato, non riuscivo a riprendere sonno, ho sentito dei rumori provenire da fuori, ho pensato ci potesse essere a bordo un clandestino che sperava di farci fuori e ho deciso di uscire e fargli rimpiangere di essere nato-. Chiaro e diretto come un pugno nello stomaco.
Seguirono alcuni istanti in cui il silenzio prevalse su tutto, anche sulla lieve brezza che spirava tra gli alberi della nave.
-Sai, sento di doverti delle scuse-. Il giovane rivolse alla compagna uno sguardo interrogativo, una richiesta implicita di una spiegazione delle parole da lei appena pronunciate. Un sospiro precedette il chiarimento atteso.
-Vedi, io mi alleno quotidianamente, e preferirei farlo senza disturbare il resto della ciurma… per questo mi alzo al mattino prestissimo, quando è buio e le stelle sono ancora in cielo. Mi dispiace di averti svegliato-
-Non preoccuparti- la rassicurò lui, accompagnando la frase con un’altra leggera alzata di spalle. In realtà il suo brusco risveglio non aveva avuto niente a che fare con la ragazza, ma non era nelle sue intenzioni parlarle del sogno; farlo avrebbe comportato infatti la necessità di svelarle molti dettagli riguardo al suo passato, e ancora non se la sentiva. Già non era stato piacevole rivivere la situazione inconsciamente, men che meno gli andava di parlarne di sua spontanea volontà.
Tuttavia, magari, spiegandosi con Keyra si sarebbe sentito meglio… Da quello che era emerso di lei durante tutto il tempo in cui avevano navigato assieme (non moltissimo, a dire il vero, nemmeno due settimane) sembrava una persona molto estroversa e disponibile al dialogo, quindi se le avesse raccontato ciò che gli era successo avrebbe potuto ricevere qualche consiglio di conforto.
Ma consiglio su cosa? E soprattutto, perché? Non ne aveva bisogno. Gli unici con cui aveva condiviso la sua storia finora erano stati i membri della prima (e sola, senza contare quella di Iris) ciurma di pirati con degli ideali che aveva avuto il piacere di conoscere; erano stati loro a tendergli la mano e a riscattare la figura dei banditi dei mari ai suoi occhi, convincendolo otto anni dopo ad accettare la proposta del suo attuale capitano di imbarcarsi.
No, il suo passato era un segreto e tale doveva rimanere, per il momento.
-Ad ogni modo, sappi che ti ammiro-. Ancora una volta la voce di Keyra lo riscosse dai suoi pensieri.
Si voltò a guardarla. Anche lei aveva gli occhi puntati sul suo viso.
-Sì, ti ammiro. Il fatto che sia bastato un rumore proveniente dall’esterno a metterti in allerta significa che tieni alla tua, alla nostra ciurma. E che non esiteresti a rinunciare persino al riposo pur di salvarci da un pericolo imminente-
Si interruppe un attimo, poi riprese a voce leggermente più bassa. -Iris ha riposto bene la sua scelta in te come vice. C’è bisogno di un punto di riferimento forte se qualcosa va storto-
Quella frase lo colpì con la potenza devastatrice di migliaia di cannonate.
Mi raccomando, se qualcosa va storto… sii forte.
Praticamente le stesse parole, in contesti differenti, certo, ma pur sempre analoghe.
In un attimo, il volto di Keyra si trasfigurò in quello di sua madre la notte in cui si sacrificò per salvarlo. Erano così simili, ora che ci pensava: stessi lunghi capelli biondi, stessi occhi azzurri (no, quelli non erano proprio uguali, quelli della cuoca erano molto più profondi e ipnotici, con tutte quelle pagliuzze multicolori).
Sbatté un po’ le palpebre per scacciare l’immagine, abbassando contemporaneamente lo sguardo a terra per evitare di venire trasportato nuovamente nella dispensa del vascello su cui era nato, preda del vortice dei ricordi.
-Perdere tutto una volta basta e avanza; dubito sia un’esperienza che tu voglia ripetere- ribatté secco, senza sapere se si stava rivolgendo alla ragazza o a sé stesso.
Poi, prima che lei avesse il tempo di trattenerlo per domandargli una spiegazione, si avviò rapidamente verso la porta che conduceva sottocoperta, serrandola alle sue spalle.

 

 

 

Il giorno dopo, con il sole ben alto nel cielo, la navigazione procedeva tranquillamente, così come la vita sul vascello.
Le vele blu elettrico si gonfiavano delicatamente sotto la brezza quasi impercettibile, sospingendo dolcemente la ciurma alla volta della prossima isola.
Proprio a causa del vento debole, però, il caldo si faceva sentire, portando tutti ad essere fortemente accaldati e poco motivati a fare qualsiasi cosa.
Diana, per esempio, era scesa dalla normale postazione di vedetta (stavano percorrendo un tratto di mare aperto molto ampio e poco frequentato, aveva spiegato la navigatrice, quindi monitorare la situazione era superfluo) e si era unita a Mark, Kaith, Alex e Greta per giocare a carte. La posta in gioco erano, ovviamente, dei ghiaccioli alla frutta fresca gentilmente offerti da Keyra.
La cuoca, dal canto suo, se ne stava nel suo “regno” a preparare i suddetti ghiaccioli, dei gelati, alcune granite e dei sorbetti, che poi portava periodicamente ai compagni rimasti sul ponte.
-Grazie, Fruit-san, ti adoro!- esclamò Mirage non appena le porse una fetta di melone ghiacciato.
Lei ed Ellesmere erano sdraiate sul ponte, nella “area giardino”, cercando di ripararsi dal sole a picco sotto un ombrellone. La tigre, in particolare, era letteralmente paralizzata dall’afa: se ne stava rannicchiata sull’erba, avvolta nel suo mantello di pelliccia, con la lingua penzoloni.
-Ma Mira, se hai caldo perché insisti a tenerti addosso quella specie di coperta?- intervenne Iris, che passava in quella sorseggiando una granita da una mezza noce di cocco.
-Perché è fatto di un materiale particolare che serve a mantenere fresco all’interno- spiegò l’altra, addentando con avidità il melone.
Il capitano si avvicinò un poco: effettivamente, passando una mano all’interno del mantello, si provava una sensazione di delicata frescura. -Gran bella invenzione, dovrei procurarmene uno anch’io- commentò tra sé e sé, riprendendo in bocca la cannuccia della granita e proseguendo la sua passeggiata.
Anche Keyra, dopo aver lasciato ad Ellesmere una coppetta di gelato alle fragole, continuò ad avanzare, avvicinandosi a Naoaki. Il cecchino era seduto all’ombra e, come sempre, era intento a lucidare una delle sue tante armi.
-Ghiacciolo?- gli domandò con un sorriso. Lui, per tutta risposta, la fulminò con gli occhi cremisi. -Io odio i dolci- sbottò acidamente, per poi tornare a concentrarsi sul suo lavoro. Quando faceva così caldo diventava, se possibile, ancora più intrattabile del solito.
-Se a lui non va lo prendo io- disse una voce alle loro spalle. La cuoca si voltò, trovandosi faccia a faccia con Rey.
Ogni volta che incrociava il suo sguardo, il pensiero le tornava alla notte prima, a come si era irritato per le ultime parole che gli aveva riferito; comunque, il moro non sembrava avercela ancora con lei, e in ogni caso non era sua intenzione riprendere la discussione.
-Ecco, tieni- disse, porgendogli un gelato al lampone, rosso e scuro come il sangue che amava tanto. Lui lo prese in mano, beandosi del contatto dello stecco freddo con la pelle bollente.
La bionda fece per andarsene, ma lui la chiamò fermandola. -Senti, Keyra… mi dispiace per come ti ho trattato ieri. Non è stata colpa tua-
Un’altra persona probabilmente avrebbe accompagnato le scuse con un sorriso, ma lui rimase completamente impassibile, anche se nei suoi occhi scuri si leggeva una profonda volontà di scusarsi.
Del resto ci teneva a mantenersi in buoni rapporti con tutti: di conseguenza, era meglio eliminare ogni possibile fonte di rancore. Tuttavia non era il tipo da perdersi in chiacchiere, anche perché non era abituato a dialogare a lungo con gli altri. Era più uno da botta e risposta, come ottenne in quella situazione.
-Figurati- ribatté infatti la giovane con altrettanto distacco. Ormai la questione era superata, non era necessario richiamarla in causa.
Poi si voltò, tornando verso la cucina.

 

 

 

Il primo ad accorgersi che qualcosa non andava per il verso giusto fu Kahir.
Il falco, che aveva passato il tempo a tuffarsi in acqua per rinfrescarsi e rimediare qualche bocconcino (era infatti anche un eccellente pescatore “al volo”), in quel momento stava planando dietro alla nave, lasciandosi sostenere dalla delicatissima brezza. Da un istante all’altro, però, tutti i presenti sulla nave udirono il suo grido d’allarme.
-Kahir!- scattò subito Iris, correndo a poppa. Il suo compagno pennuto era sparito nel nulla.
Il panico la stava già sopraffacendo, quando lo vide schizzare fuori dall’acqua come un proiettile, scrollandosi le gocce di dosso e atterrandole sulla polsiera, dove continuò a scuotersi arruffando le piume per asciugarsi.
-Ma che ti prende, Kahir?- domandò Diana, il membro della ciurma che aveva un po’ più di confidenza con l’animale. Quello fece schioccare il becco e, con un colpo d’ali, si rialzò in volo. Fece poi per planare, ma anziché avanzare dolcemente come sarebbe stato naturale si ritrovò a cadere verticalmente, atterrando sul ponte.
-Che succede, è finito il vento?- fece Kaith con sarcasmo. Lui, Mark, Alex, Greta e Diana erano ancora nel bel mezzo di una partita a carte per l’ultimo ghiacciolo alla papaya, e il gioco stava vertendo decisamente a suo favore, per cui si sentiva particolarmente di buon umore.
Gli altri tacquero, in ascolto. Effettivamente, della brezza leggera che aveva sospinto la nave fino a quel momento non c’era più traccia.
-Bonaccia… questa non ci voleva- esclamò Diana. -Salgo sulla coffa a vedere se è solo in questo punto o se c’è qualche raffica che possiamo sfruttare-
Il cessare completo del vento aveva portato tutti a sentire il caldo tre volte più intenso rispetto a prima. L’unica che non sembrava preoccuparsene particolarmente era Greta. O meglio, era l’unica per cui il caldo non rappresentava il problema principale. All’affermazione di Diana, infatti, aveva aggrottato la fronte, come in preda a un qualche oscuro presentimento.
-È meglio se stiamo all’erta- disse con tono cupo. -Non mi piace questa situazione, se l’aria smette di muoversi così di colpo non è un buon segno-
-Ma che dici? - sbottò Alex, visibilmente irritata per avere perso l’ennesima partita, schiaffando le carte che aveva in mano sul tavolino. -Guardati bene intorno, non c’è l’ombra di una nuvola in cielo, neanche una dannatissima nuvoletta che ci faccia ombra e ci risparmi da quest’afa insopportabile, e tu fantastichi che stia per arrivare una tempesta?- Si sistemò gli occhiali, rincarando la dose. -Non sarebbe quasi male un po’ di pioggia-
-Per tua informazione, carina, io ho parlato di tempesta, non di temporale. La pioggia probabilmente non la vedremo neanche, e anche se ci fosse sarebbe una cosa minima, l’ultimo dei nostri problemi-. La risposta della navigatrice era stata, se possibile, ancora più secca e scorbutica di quella della studiosa.
-Beh, speriamo che almeno torni un pochino di vento, altrimenti ci toccherà stare qui fermi…- provò a sdrammatizzare Mark per smorzare un po’ i toni della discussione. Peccato che ottenne l’effetto esattamente opposto.
-Complimenti per la brillante intuizione, Capitan Ovvio!- esclamò Greta, alzando gli occhi al cielo. -Se magari avessi passato più tempo a studiare, invece di correre dietro alle ragazze, avresti scoperto il curioso fatto che nel bel mezzo di una tempesta il vento c’è, eccome se c’è! Saremo fortunati se non coleremo a picco!-
-E quanto a voi- aggiunse, rivolgendosi in particolare a Rey, Kaith e Naoaki, sempre con lo stesso tono rabbioso -spero che sarete in grado di gestire l’emergenza, perché sarà una cosa seria-
-Va bene, Greta, non ti sembra di stare un po’ esagerando?- intervenne timidamente Ellesmere in difesa dei compagni. Che motivo aveva di attaccarli così se non era ancora successo nulla?
-No, non sto esagerando per niente!- urlò letteralmente l’altra ragazza, con le trecce che oscillavano furiosamente davanti alla sua faccia. -Questo repentino cessare del vento può significare solo che siamo entrati in un tratto di mare estremamente pericoloso…-
Si interruppe di colpo, come se avesse perso le parole. -Beh, perché ti sei fermata? Continua pure ad attaccarci, se ti diverte tanto- ringhiò Kaith; le persone arroganti l’avevano sempre irritato profondamente.
La navigatrice emise una sorta di sibilo, probabilmente per dirgli di tacere. Il carpentiere continuò imperterrito, con gli occhi rossi guizzanti di rabbia. -Pensi che questa nave non sia in grado di reggere, eh? Che coli a picco al primo alito di vento? Ti ricordo che è sopravvissuta già all’attacco di una murena leone imbizzarrita-
-Kaith, basta- intervenne Iris. Tutti si voltarono a guardarla, perché fino a quel momento non aveva aperto bocca, nonostante la lite che si stava svolgendo sotto i suoi occhi.
-Anche se concordo con voi che Greta dovrebbe abbassare un po’ i toni,- continuò, lanciando un’occhiata di traverso all’altra ragazza, che sbuffò spazientita, -non metto in dubbio che sia un navigatore esperto. Se sente che sta per succedere qualcosa di grosso, io le credo-
Il suo tono di voce era serio e fermo, molto diverso dal solito. Il fatto che fosse un po’ strana alle volte (anzi, molto spesso) non significava che non avesse autorità. Dopotutto era il capitano, era suo compito mantenere l’ordine sulla nave.
L’atmosfera rimaneva comunque tesa come una corda di violino, complice anche la prolungata assenza di movimento dell’aria. Sembrava proprio che il tempo si fosse bloccato, fossilizzando tutti nelle loro posizioni.
Fu Mirage ad interrompere quella situazione di stallo. Le sue orecchie di tigre ebbero un leggero fremito, tendendosi nell’aria. -Cosa c’è, Mira?- chiese Mark, a cui non era sfuggito il movimento. -Avete sentito anche voi?- domandò lei, voltandosi verso gli altri con aria preoccupata.
Tutti si misero in ascolto, ma nessuno riusciva a captare niente. Poi, dopo un attimo, lo percepirono: come un sibilo, prima delicato, come l’aria che esce da un palloncino forato, poi sempre più intenso, fino a trasformarsi in un vero e proprio soffio.
-Guardate il mare!- la voce di Diana richiamò l’attenzione. Tutti si precipitarono alla balaustra di legno chiaro, sporgendosi per osservare la situazione. -Non ci credo…- mormorò Alex, mentre un ciuffo dei suoi neri capelli le cadeva sull’occhio destro.
Attorno alla nave, l’acqua stava evaporando rapidamente, molto, troppo rapidamente, mentre in cielo sopra di loro si andavano condensando nuvole ad una velocità impressionante. In poco tempo, il sole venne completamente oscurato da una coltre spessa e densa di cumulonembi grigio scuro. L’aria rimaneva però ancora immobile, rendendo la situazione surreale ed inquietante.
Si udì un cupo rombo, simile ad un tuono, ma dal suono molto più profondo; pareva quasi una voce proveniente dall’oltretomba. Poi, senza preavviso, una raffica di vento potentissima investì la prua della nave. Le vele triangolari, scurite dalla debolezza della luce solare, si gonfiarono in senso contrario al normale, dando al vascello una spinta innaturale che fece scricchiolare gli alberi e il timone.
Il tutto durò una manciata di secondi; terminata la raffica, però, l’aria cessò nuovamente di muoversi. -Che diavolo è successo?- gridò Naoaki. L’improvviso mutamento del clima e, soprattutto, la scossa dovuta alla folata improvvisa, l’avevano risvegliato dalla sua apatia da caldo.
La domanda del cecchino rimase parzialmente in sospeso, poiché la sua voce fu coperta, mentre terminava di pronunciare la frase, da un nuovo suono simile al precedente, ma più duraturo.
-La domanda, più che cosa è successo, è cosa succederà adesso- considerò Rey, quando il rumore fu terminato. A rispondere ad entrambi fu Greta, il cui volto aveva assunto un’espressione cupa, a metà tra il mortalmente preoccupato e il “io ve l’avevo detto”, mentre una nuova raffica, questa volta laterale, colpiva violentemente il fianco della nave, facendola inclinare pericolosamente.
-Cari compagni, benvenuti ad Hurricane Point- disse con tono lugubre.

 

 

 

Tutti sulla nave potevano dire, alla luce di come era mutata la situazione, di comprendere pienamente il detto “la quiete prima della tempesta”. Se l’aria si era fatta sentire poco per tutta la giornata, e da dieci minuti a quella parte era stata completamente immobile, adesso pareva di essere piombati nel bel mezzo dell’inferno.
Folate improvvise e di potenza devastante colpivano il vascello da ogni lato, duravano circa mezzo minuto e si spegnevano; non appena una di esse cessava, tuttavia, un’altra riprendeva in una direzione diversa, sbattendo i membri della ciurma nuovamente sul ponte dopo essersi appena rialzati.
Sembrava che gli elementi stessero ingaggiando una vera e propria battaglia contro di loro, sferrando un attacco alla fortezza che era la nave, forti del fatto che attaccavano su più fronti.
-Dobbiamo ammainare le vele! Se continua così gli alberi si spezzeranno!- urlò Kaith, cercando di sovrastare il fischio selvaggio del vento. Gli alberi della nave, infatti, oscillavano pericolosamente, scricchiolando a causa dello sforzo cui erano sottoposti dalle vele, che si gonfiavano ora in un senso, ora in un altro.
-Ammainate tutte le vele, presto!- ordinò allora Iris, che in quella stava lanciando una delle sue corde verso Kahir. Il povero falco, infatti, rischiava di essere sbalzato fuori bordo ancora più degli altri compagni, essendo più leggero; la sua capacità di volo, inoltre, era praticamente azzerata, siccome anche se fosse riuscito a sfruttare correttamente una raffica, essa avrebbe potuto mutare spezzandogli le ali e trascinandolo verso la morte. La fune intercettò la zampa del volatile giusto in tempo, consentendogli di rimanere ancorato al braccio del capitano, simile ad un bizzarro aquilone trainato dal vento.
-Aspetta, Iris!- La voce di Greta arrivò fioca per colpa di una nuova raffica. -Non possiamo aspettare! Affonderemo!- le gridò Kaith, ricevendo solo un “no!” come risposta. Il ragazzo, ancora irritato per quanto era successo prima, stava perdendo di nuovo la pazienza. -Sono un carpentiere, e ti dico che ancora pochi minuti e coleremo a picco!-
-E io sono un navigatore, e ti dico che invece coleremo a picco proprio se chiudiamo le vele! Siamo nell’Hurricane Point, un tratto di mare caratterizzato da tempeste di vento come questa, e ti posso assicurare che se rinunciamo alla spinta del vento non riusciremo più a muoverci, la nave perderà stabilità e ci ribalteremo! Io so come fare ad andarcene, ma dovete seguire le mie indicazioni alla lettera-
-E tu pensi che dopo averci trattati coi piedi come hai fatto prima noi dovremmo ascoltarti incondizionatamente?- le rinfacciò il moro con astio. La giovane si bloccò un attimo; lanciò uno sguardo supplichevole ad Iris, in cerca di aiuto, ma l’altra era impegnata a recuperare Kahir, ancora legato e sbatacchiato dal vento. -Vi prego… d’accordo, vi ho trattati malissimo, ma non lo faccio consapevolmente, è più forte di me. Il mio carattere è fatto così, accettatemi per quello che sono.- Sospirò, abbassando gli occhi. -Non abbandonatemi anche voi- aggiunse poi, rivolgendosi a tutta la ciurma, con il pensiero che correva ai suoi genitori e a tutti gli anni di emarginazione e supplizi che aveva dovuto subire a causa della loro fuga.
-Dovete… fidarvi di me.- Il suo tono non era più rabbioso, si percepiva sofferenza in quelle parole. La sofferenza di chi è evitato da tutti e cercato da nessuno. Una sensazione che molti, tra loro, avevano provato per anni sulla loro pelle, e proprio per questo comprendevano pienamente.
Fu Keyra a prendere l’iniziativa. -Io sono con Greta- disse con fermezza. -Anch’io- confermò Mark, affiancandosi alla compagna, non per offrirle delle avances come al solito, ma pienamente consapevole dell’appoggio che le stava offrendo. -Non metto assolutamente in dubbio la tua esperienza- affermò Rey, seguito immediatamente da Naoaki.  -Ci siamo anche noi- arrivarono Ellesmere e Mirage. -Se proprio sei convinta di essere capace di tirarci fuori da qui…- fece Alex scocciata prima di unirsi al gruppo.
Mancavano solo Kaith e Iris. Il primo lanciò uno sguardo interrogativo alla diciottenne. -Allora, capitano? Cosa dobbiamo fare?-. Quella si portò la mano al mento come per riflettere, mentre con l’altra mano stringeva la corda a cui era legato Kahir. Restò così un po’ di tempo, lasciando tutti gli altri sulle spine.
-Iris, per l’amor del cielo, cosa dobbiamo fare?- gridò allora Diana dall’alto della sua postazione. La vedetta non aveva preso parte all’ultima discussione, e l’aveva anche seguita poco, a dire il vero; l’unica cosa su cui era concentrata era il non cadere di sotto o, peggio, fuori bordo, e per evitare che ciò accadesse aveva letteralmente piantato le unghie nella balaustra della coffa.
Iris parve riscuotersi da una sorta di torpore. -Ehm… di preciso, qual era la questione?- domandò innocentemente. Tutti si sbatterono una mano sulla fronte: potevano scegliersi un capitano più idiota di così? Erano a un passo dalla morte, eppure lei era in grado di distrarsi al punto di perdere il filo del ragionamento.
-Iris, Greta sa come farci allontanare dalla tempesta- disse Rey, che da buon vice cercava di sopperire alle mancanze del suo superiore. -E allora portaci fuori di qui, Greta! Che aspetti?- esclamò la ragazza.
-Aspettavamo il tuo ordine!- le urlarono contemporaneamente Alex e Kaith, spazientiti da quell’atteggiamento.
Fu allora la navigatrice a prendere in mano la situazione. Con le trecce multicolori che le sferzavano la faccia, con voce ferma, cominciò a impartire comandi. -L’unico modo che abbiamo per sfuggire alle raffiche di vento è sfruttarle per muoverci. Prima, però, abbiamo bisogno di direzionare le vele. Qualcuno di noi perciò deve arrampicarsi e legare delle funi ai bordi, dopodiché le passeranno a chi rimane sul ponte; tramite le funi potremo girare le vele in modo da poter raccogliere la raffica in pieno e muoverci. Kaith, tu che conosci bene la nave e sai qual è la resistenza dei comandi prenderai il timone- disse al carpentiere, il quale, dopo un attimo di esitazione (pareva ancora un poco restio ad accettare gli ordini della giovane) si avviò a prendere il controllo del vascello.
-Funi!- disse Greta. Fu Iris a provvedere, generando delle spesse corde. Ne consegnò poi le estremità a Keyra, Ellesmere e Mirage, le più agili della ciurma, che si arrampicarono rapidamente ognuna su un albero, facendo attenzione a non essere sbalzate dalle raffiche, e andando a legare le vele. Poi ridiscesero con altrettanta velocità e consegnarono le corde a Rey, Naoaki e Mark, in modo che potessero aiutarle a tirare per direzionare in base alla necessità. Anche Alex e Iris si affiancarono per dare una mano.
-Diana! Tu che hai una posizione privilegiata ci darai la direzione della raffica, in modo che sappiamo da che parte tirare per sfruttarla!- gridò la navigatrice alla vedetta. -Privilegiata un corno!- urlò quella di rimando, essendo ancora artigliata alla coffa. -Tu invece segui le indicazioni che ti dà il log pose- disse Greta a Kaith; lo strumento di navigazione era stato infatti inserito nella barra del timone, in modo da permettere a chi governava la nave di sapere sempre la direzione da mantenere.
-In arrivo da sud-est!- fu il primo segnale. Tutta la ciurma si mosse tirando le funi, permettendo alle vele di ruotare e, finalmente, di gonfiarsi nel senso corretto e non più in balia del caso. La nave ebbe uno scatto improvviso, acquistando velocità e rischiando di far perdere l’equilibrio all’intero equipaggio, ma tutti mantennero la presa, anche perché dovettero prepararsi immediatamente per una nuova folata proveniente da ovest, seguita da una nord-est e così via.
Ognuno riusciva a collaborare perfettamente con il resto del gruppo: come il giorno precedente durante il combattimento, si notava una sorta di spirito di squadra, che portava tutti a coordinarsi in maniera impeccabile, complice anche l’abilità di Greta nel guidarli.
Così facendo riuscirono a scampare all’affondamento. Man mano che si allontanarono dal centro della tempesta, le raffiche si fecero meno potenti e più stabili nella direzione, fino a trasformarsi in un vento costante e naturale, che permetteva di avanzare lisci e veloci sulle onde tagliandole con delicatezza e decisione al tempo stesso.
Greta si mise a fissare quella enorme distesa d’acqua che era il mare. Era contenta che tutta la ciurma le avesse dato fiducia, persino i maschi. Era convinta che non l’avrebbero mai ascoltata, dopo l’attacco verbale che aveva sferrato loro; temeva che non avrebbero preso la situazione sul serio. Invece l’avevano sorpresa, dimostrando una maturità impressionante e seguendo celermente tutte le sue istruzioni, neanche fosse lei il capitano.
Da quel giorno li avrebbe guardati con occhi diversi, probabilmente. Certo, rimanevano sempre dei maschi, ma non erano degli idioti come tutti gli altri. Magari, chissà, sarebbe anche riuscita a diventare loro amica. Sia di Rey, il più misterioso, sia di Naoaki, il più chiuso, sia di Mark, il più svitato. E anche di Kaith.
Fu proprio il carpentiere ad avvicinarsi, inaspettatamente. -Devo ammettere che effettivamente non te la cavi affatto male come navigatore- le disse con distacco, come se non gli importasse. Lei lo guardò di sbieco. -Devo considerarle delle scuse?- domandò poi, con un sorriso storto. L’altro fece spallucce. -Se proprio ci tieni…-
Fece per andarsene. -E comunque anche tu sei più in gamba di quanto credessi- aggiunse la ragazza. Lui si voltò di nuovo, notando la mano che lei gli tendeva. La strinse energicamente, scuotendola un poco.
-Nessun rancore, vero?- gli chiese la navigatrice. Stavolta fu il suo turno di sorridere. -Nessun rancore, ma non provare a farlo di nuovo-

 

 

 

Accadde per caso. Quella sera, mentre si mangiava, Diana (che si era ormai ripresa completamente) aveva ripescato l’argomento dell’avventura di quel pomeriggio per fare un po’ di conversazione.
-Ma ci pensate? Oggi siamo stati mitici!- esclamò mentre addentava un pezzo di pane. -Senti chi parla… te ne sei stata avvinghiata alla coffa come un polipo tutto il tempo- la sminuì Alex con tono di superiorità. -Se non sapessi per certo che ti trasformi in armadillo, avrei giurato che avessi mangiato il frutto zoo-zoo mitologico modello kraken-. -Avrei voluto vedere te, nella mia situazione! Sai, mi sarebbe proprio piaciuto fare un bagnetto in mare, adoro nuotare, soprattutto durante le tempeste!- ribatté ironicamente la vedetta.
Mentre le due continuavano a bisticciare, Mark fece la considerazione fatale. -Effettivamente è stato forte, no? È stato proprio come cavalcare il vento in tempesta, una sorta di cavallo imbizzarrito, che è stato inesorabilmente domato dalle nostre vele blu e dalla nostra abilità- disse, brandendo teatralmente la forchetta mentre parlava.
-Come sei poetico, Mark- si complimentò Ellesmere. Il medico le rivolse un sorriso inebetito. -Se avessi saputo che ti piacevano le odi, ne avrei tessute centinaia in tuo onore ogni giorno, cara Ellesmere…-
-Ci sono!- esclamò ad un tratto Iris, rovesciando la sedia su cui stava e balzando in piedi. Kahir lanciò un acuto impaurito, quasi strozzandosi con un boccone di carne che stava strappando a beccate con parecchio gusto.
-Che c’è, Iris?- domandò Naoaki con tono piatto, senza scomporsi minimamente allo scatto del capitano. Pareva che niente fosse in grado di turbarlo, tranne le situazioni di pericolo (o il malaugurato caso in cui qualcuno avesse osato toccare una delle sue armi).
-Blue Stormrider- disse semplicemente la ragazza, con sguardo raggiante. -Prego?- domandò il cecchino, alzando un po’ il sopracciglio. Pareva che lo scorpione tatuato che gli circondava l’occhio avesse sollevato la coda, preparandosi a colpire.
La mora lo guardò inclinando lievemente la testa di lato, come faceva sempre quando non capiva qualcosa. -Il nome di questa nave- disse poi, come se fosse la cosa più ovvia del mondo. -Ha le vele blu ed è capace di cavalcare le tempeste, più di così cosa potremmo mai chiedere? Perciò si chiamerà Blue Stormrider-
Tutta la ciurma esplose in un boato di approvazione. -Appena attraccheremo provvederò a scriverlo sul fianco  del vascello- affermò Kaith, orgoglioso che avessero finalmente trovato un nome adatto.
Quella notte tutti si addormentarono, entusiasti per le molte cose che erano accadute e si erano però infine risolte per il meglio, mentre lentamente, all’orizzonte, cominciava a profilarsi il contorno di un’isola, dove avrebbero vissuto la loro prossima, grande avventura.

 

 

 
Swan is back, alright!

 
Angolo dell'autrice

Ebbene sì, è il caso di dirlo, a volte ritornano!
Prima di tutto, sento di dovervi delle scuse (sì, come Keyra). Ho un vago ricordo di una promessa simile ad "un capitolo al mese"... bene, non è che me la sia scordata, ma non sono stata in grado di mantenerla (anche se ve l'avevo detto). Motivo? Una cosa che inizia per S e finisce per CUOLA. Come alcuni di voi hanno notato, avevo talmente tanto tempo libero che sono completamente sparita non solo da questa storia, ma proprio da Efp. Tanto che non ho più nemmeno idea di che fanfiction ci siano in questo periodo... e di una di quelle che seguivo devo recuperare una trentina di capitoli ^-^"
In ogni caso, questo è solo uno dei motivi per cui mi scuso. L'altro (che spero con tutto il cuore sia solo nella mia testa e non sussista nella realtà) è il fatto che credo di aver osato un po' troppo in questo capitolo, che ho iniziato a scrivere quando ho finito definitivamente con la scuola, quindi un paio di settimane fa. Osato nel senso che, dopo più di sei mesi di latenza, non solo non mi ricordavo più quasi niente della storia e dei personaggi (perciò un giorno l'ho perso a ripassare per recuperare i "debiti", e non a settembre XD), ma non sapevo neanche come farla continuare (altro giorno buttato che sarebbe pututo servire a scrivere utilizzato in maniera costruttiva). Morale, la mia mente bacata ha partorito questo obbrobrio, che è anche il capitolo più lungo che abbia mai scritto (sono 12 pagine di word) ed è anche quello in cui il rischio di OOC è più alto, nella fattispecie per (rispondano all'appello i personaggi chiamati in causa) Rey e Greta, più un po' Kaith e un pizzico Greta e Naoaki (gli altri non li metto perché non appaiono molto, nonostante io mi sforzi di far partecipare tutti). Quest'ultimo in particolare ho difficoltà a farlo intervenire, è una persona così tranquilla, per come la vedo io dalla descrizione... quindi chiedo a karter (ammesso che si chiami ancora così e non abbia cambiato nick, con tutto il tempo che è passato ^-^") di perdonarmi, giuro che avrà i suoi momenti di gloria tra poco! -aspetta e spera, karter- Coscienza, ma tu non muori mai? -no-
In ogni caso, adesso che sono in vacanza dovrei riuscire a scrivere un po' di più, per fortuna le idee che avevo avuto per le isole dove svolgere le "saghe" me le ero segnate, altrimenti sarei stata un po' nei guai... Non faccio previsioni, anche perchè venerdì parto e tornerò intorno al 20, quindi no computer, ma mi porterò il block notes e nei momenti buchi in cui l'ispirazione si farà sentire comincerò a preparare il capitolo, così quando sarò a casa lo trascriverò.
Mi appello alla vostra comprensione per il ritardo nella pubblicazione, chi c'è già passato e, soprattutto, chi c'è ancora dentro fino al collo -come lei- sa quanto la scuola possa essere devastante per le proprie passioni ed hobby, se vuoi andare bene. Comunque io sono una persona di parola: ho detto che continuerò questa storia, dovessi metterci anni interi (che poi è la verità, il prologo risaliva a questo periodo se non erro...).
Ringrazio tutti voi, lettori irriducibili che continuate a seguirmi -ammesso che ci siate ancora e non siate morti sulla tastiera a sentire tutte queste storie commoventi di autrici in crisi da studio eccessivo- carina come sempre, Coscienza, comunque spero che il capitolo vi sia piaciuto e, mi raccomando... fatemelo sapere! (ma anche se c'è qualcosa che non va, nel caso proverò a rimediare ;) )
Un bacio a tutti,

Swan (rediviva)

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Capitolo 7
*** 6. L'Isola del Vento ***


UNA GRANDE AVVENTURA



Capitolo 6: L'Isola del Vento

 

Il mattino la Blue Stormrider attraccò al porto dell’isola Kaze, quella stessa isola che era apparsa all’orizzonte la sera prima. Già mentre si avvicinavano alla terraferma, i membri della ciurma avevano avuto modo di farsi un’idea delle sue caratteristiche generali grazie alle informazioni di cui era in possesso Greta a riguardo.
-Quest’isola è chiamata anche Isola del Vento- aveva spiegato la navigatrice. -La sua posizione, appena oltre l’Hurricane Point, fa sì che questa terra goda dell’influsso delle tempeste di quel tratto di mare in maniera molto attenuata, ma costante. In pratica- aggiunse, cogliendo gli sguardi perplessi di compagni e compagne, che non avevano afferrato pienamente cosa la ragazza intendesse, -su quest’isola c’è sempre vento. A volte è più intenso, a volte meno, ma l’aria non si ferma mai-
Come a confermare le sue parole, una delicata raffica le scompigliò i capelli multicolori. Man mano che la costa si approssimava, inoltre, l’equipaggio poté osservare meglio coi propri occhi la fisionomia dell’isola. Il profilo appariva vagamente arrotondato: persino le scogliere limitrofe alla riva, anziché conservare il classico aspetto aguzzo e tagliente, sembravano come ammorbidite, e in particolare le rocce erano piene di buchi e piccole cavità, simili a tante ammaccature. Ciò avveniva, precisò Greta, a causa dell’azione erosiva del vento che, carico di salsedine, le lavorava costantemente, levigandole e modellandole con la stessa esperienza e dedizione di un artigiano che si dedica ai suoi manufatti.
-Che tristezza, però, non c’è nemmeno un albero…- esordì Mirage; abituata alle foreste innevate dell’isola su cui era nata e cresciuta, la piattezza di quel panorama la atterriva un poco. -Dubito che piante di grande taglia potrebbero sopravvivere a lungo, qui- disse Rey. -Con tutto questo vento si sradicherebbero dopo poche settimane-
-Rey, hai proprio centrato il punto- si complimentò la navigatrice; era una rarità sentirla aprir bocca non per denigrare, bensì per dire qualcosa di carino nei confronti di un compagno, ma dopo gli avvenimenti del giorno precedente aveva appunto rivalutato ampiamente il valore del vicecapitano e degli altri maschi dell’equipaggio.
-Gli alberi alti qui non avrebbero vita facile; quelli che c’erano sono caduti da tempo sotto la pressione continua dell’aria, e gli isolani evitano di rimpiazzarli con altri perché farebbero la stessa fine. I vegetali qui sono perlopiù erbe ed arbusti, e comunque piante che possano piegarsi con facilità senza spezzarsi-
Cominciavano a intravedersi difatti macchie di vegetazione tipicamente marittima, il cui profumo aromatico era sparso dalla brezza. Le note delicate della salvia si mescolavano con quelle più decise del rosmarino e quelle intense dei mirti. Keyra sorrise: quella era una vera e propria dispensa naturale, c’era tutto l’occorrente per insaporire i suoi piatti in mille modi diversi per molto tempo. Una volta a terra, non appena avesse avuto un attimo libero sarebbe andata a rifornirsi di erbe aromatiche.
-E quelle invece cosa sono?- domandò Ellesmere, indicando delle sagome longilinee che andavano delineandosi sulle colline più lontane. -Pale eoliche, credo- rispose Mark, strizzando un poco gli occhi per vedere meglio. -Beh, sarebbe un peccato se tutto questo vento andasse sprecato- considerò poi, con un sorriso. -Infatti, Mark, qui quasi tutta l’energia è proprio di derivazione eolica- tornò a parlare Greta. -Senza contare, ovviamente, l’utilizzo di mulini a vento e altri generi di turbine-
-Questo posto è una forza unica!- esclamò Iris. Il capitano era corso sulla prua della nave e aveva spalancato le braccia come a volare, affidandosi alla spinta contraria dell’aria per non cadere, mentre Kahir si divertiva in evoluzioni aeree.
L’atmosfera ventosa aveva riportato alla mente di entrambi i lontani tempi felici della loro infanzia, a Hiwa. Anche lì, infatti, i venti spiravano con molta costanza; per Iris, le brezze che li carezzavano ora avevano il sapore nostalgico di giornate di sole, di turbinii di piume multicolori e, soprattutto, della sua famiglia.
La famiglia in senso di legami di sangue, ovviamente. Ora i suoi parenti, se così potevano definirsi, erano un eterogeneo gruppo di ragazzi e ragazze, chi più strambo, chi meno, ma tutti ugualmente simpatici e, soprattutto, in grado di farla sentire a proprio agio tra loro nonostante li conoscesse da nemmeno un mese.
E, ancora più importante, ognuno di loro provava la sua stessa sensazione nei confronti degli altri compagni, un sentimento di comunione e, anche, di affetto, nonostante la scorza sotto cui si nascondevano alcuni.
Il dolce profumo delle ginestre fiorite, che ricoprivano i promontori sovrastanti le scogliere come tante pennellate gialle, investì la Blue Stormrider, deliziando l’equipaggio e accompagnandolo mentre entrava nel porto.

 

Il porto sorgeva un poco discosto dal paese, perciò, per giungervi, una volta attraccata la ciurma dovette imboccare una lunga strada polverosa che saliva verso le colline, lasciando la costa alle proprie spalle ed inoltrandosi nell’entroterra.
Man mano che avanzavano, poterono nuovamente confermare le caratteristiche dell’’isola che avevano già notato in precedenza: assenza di alberi, fatta eccezione per qualche ginepro dal tronco legnoso e numerosi oleandri dai fiori bianchi panna e rosa acceso (che non superavano in ogni caso i due metri e mezzo d’altezza) e la costante brezza, che andava intensificandosi man mano che ascendevano, giungendo alla cima esposta del colle.
Da lì, il panorama era incantevole: mentre il mare blu, variegato da bianche increspature di schiuma, rimaneva dietro di sé, davanti ai propri occhi si apriva una grande vallata verde, circondata da colline sulle quali svettavano le turbine eoliche che avevano visto dalla nave, le cui pale ruotavano con pigra costanza.
Al centro della valle, invece, circondata dai campi coltivati, sorgeva la cittadina verso la quale si stavano dirigendo.
L’ aspetto dall’alto era molto regolare ed ordinato. C’erano file e file di casette squadrate, dal tetto quasi piatto, ognuna distribuita su un singolo piano e dotata di un piccolo giardino recintato, punteggiato di colore dagli stessi oleandri selvatici che crescevano nelle zone incolte. Naoaki apprezzava molto quella disposizione razionale: l’organizzazione precisa delle abitazioni gli ricordava una enorme scacchiera. Chiunque avesse progettato quelle costruzioni doveva essere uno scacchista incallito come lui, oppure uno stratega nato.
Oltre quei quartieri, si poteva distinguere il centro cittadino, nel quale i palazzi si sviluppavano un po’ più in verticale ed avevano un aspetto più antico e decorato.
Proseguendo ancora c’era una struttura più bassa, simile ad un capannone o ad una fabbrica di qualche genere, se non fosse stato per l’assenza di ciminiere. A fianco di tale edificio si estendeva un lago abbastanza ampio e, come tradiva il colore delle acque a metà tra il turchino e lo smeraldo, anche abbastanza profondo.
Proprio nella zona centrale del paese si stava svolgendo una sorta di fiera, come suggeriva la presenza di tendoni bianchi a punta allestiti per le vie. -Ehi, cosa sono tutte quelle macchie in cielo?- domandò Diana, scrutando da dietro le lenti degli occhiali con il suo sguardo allenato di vedetta.
Effettivamente, osservando meglio, in un campo poco distante dalla festa, gremito di gente, si potevano notare, sia a terra che ad altezze diverse in aria, numerose forme colorate; tuttavia, la distanza impediva di definire di cosa effettivamente si trattasse.
-Mah, non saprei… magari potrebbero essere degli ufo, voi che dite?- disse ironicamente Kaith, beccandosi un’occhiataccia da parte della ragazza. -Spiritoso, il capelli a spillo…- sibilò tra i denti.
-Invece di sparare idiozie, avviciniamoci e guardiamo- propose Alex gelidamente, fulminando entrambi con lo sguardo. Sopportava a fatica i battibecchi che si scatenavano ogni due per tre tra Diana e Kaith, o Diana e Greta, o Kaith e Greta, o addirittura tra tutti e tre contemporaneamente.
La irritava profondamente quando le persone usavano l’ironia per prendere di mira gli altri e farli innervosire, ridendo alle loro spalle. La irritava profondamente la gente che si divertiva. Anzi, la irritava profondamente la gente e basta.
Fosse stato per lei, sulla nave avrebbe volentieri dormito sul ponte piuttosto che condividere la camera con le altre, ma la prospettiva di lasciare le sue cose (e, soprattutto, i suoi soldi) incustodite, anche in mezzo a gente conosciuta e di cui si fidava, la infastidiva molto di più della convivenza forzata.
In ogni caso, appena poteva, si ritirava in disparte, riordinando i suoi appunti sui Re del Mare, e allora nessuno la disturbava. Almeno, ognuno rispettava i suoi spazi. Era già una cosa positiva.

 

Procedendo verso il paese, la ciurma ebbe modo di scoprire il motivo di tanto fermento. Mentre percorrevano il tratto finale della strada, che conduceva direttamente nella piazza centrale, un gruppo di bambini urlanti corse loro incontro, trascinando dietro di sé nastri multicolori che svolazzavano per via del vento. -Si direbbe che ci sia qualche genere di festa- osservò Rey, scansando uno dei piccoli ridenti che era quasi andato a sbattere contro di lui nella foga del gioco con i suoi amici.
Iris si avvicinò al gruppetto con un sorriso dolce. -Ciao,- esordì, -siamo dei marinai di passaggio. Potete indicarci un posto in città dove fare rifornimento di provviste prima di partire?-
Il bambino le puntò gli occhi addosso, mentre imitato dai compagni faceva scorrere lo sguardo anche sugli altri membri della ciurma, decidendo se dare confidenza o meno a quegli stranieri. Non lo biasimava certo: l’aspetto di alcuni di loro, come Rey, Kaith e Mark, con le loro cicatrici impresse sul volto, o Alex, con le sue zanne di serpente che sporgevano dal labbro, o ancora Naoaki e Greta e i loro tatuaggi, forse non era dei più rassicuranti.
Da ultimo, il ragazzino si soffermò su Kahir, che se ne stava comodamente posato sulla spalla del capitano; il falco piantò imperterrito gli occhi gialli nei suoi un po’ intimoriti, come se si trattasse di una sfida. Si poteva quasi pensare di leggere sul suo becco un sorriso beffardo, soddisfatto di esercitare quell’influsso.
-Tranquillo, non morde mica- lo rassicurò la mora, guardando storto l’animale. -Smettila di fare lo scontroso, Kahir, mi fai fare la figura della maleducata- lo apostrofò. Lui pigolò un poco risentito, arruffandosi le piume azzurre delle ali con orgoglio, ma comunque distolse lo sguardo.
Al sentire di non essere più sotto l’esame di quelle sfere gialle ed ipnotiche, il piccolo si rilassò. -Allora, puoi aiutarci?- lo incoraggiò Mirage, che nel frattempo si era coperta la testa con il cappuccio del mantello per camuffare le orecchie di tigre.
-Certo!- rispose lui, distendendosi in un sorriso che si trasmise immediatamente anche a tutto il gruppo dei suoi amichetti. -Giù in città c’è un bazar ben fornito dove potrete trovare un po’ di tutto; molto spesso gli equipaggi delle navi che passano di qui si fermano a farci un giro per acquisti vari-
-Oggi poi è un giorno speciale!- aggiunse un altro bambino, più piccolo del primo, facendosi avanti con gli occhi illuminati dalla gioia. -Come mai?- chiese Ellesmere incuriosita. -C’è la festa degli aquiloni- spiegò un altro ancora. -Non si parla di altro da giorni, ormai! È un grande evento che viene organizzato una volta all’anno per festeggiare la fine della stagione degli uragani-
-Stagione degli uragani? In che senso?- si intromise Greta, avida di ottenere informazioni in più rispetto a quelle già in suo possesso su quella terra.
-Vedete,- cominciò a parlare l’ultimo dei bambini, quello che appariva il più grandicello, -su quest’isola il vento c’è sempre, non è una novità per ogni navigatore che la visita. In genere è una brezza simile a quella di oggi, ma c’è un periodo della durata di un mese durante il quale essa si intensifica di molto e, in particolare, si scatenano violente tempeste praticamente ogni giorno. Piogge pesanti e, soprattutto, i tornado-
Al sentir nominare le trombe d’aria, il più piccolo sgranò gli occhi, venendo inspiegabilmente assalito da un tremito incontrollabile. Sembrava sul punto di cadere a terra e sentirsi male. Il compagno che gli era accanto, il primo che aveva parlato ad Iris, gli strinse le spalle in un abbraccio affettuoso per calmarlo. Probabilmente i due erano fratelli, infatti avevano i capelli dello stesso inusuale colore, un rosso particolarmente scuro, quasi tendente al viola-bordeaux.
-Sì, i tornado- riprese l’altro ragazzino, come se nulla fosse accaduto. -In ogni caso, non abbiamo da preoccuparci. La gente di qui ormai ha imparato a convivere con questa minaccia. Ogni casa è costruita su un piano solo in modo da limitare i danni nel caso in cui venisse colpita e, soprattutto, ha una cantina sotterranea dove possiamo rifugiarci in caso di pericolo. Ciò non toglie- aggiunse, facendosi un poco più serio, -che a volte la violenza dei fenomeni è inaudita e causa distruzioni importanti. Gli unici edifici che hanno sempre retto inspiegabilmente a tutte le tempeste che hanno fronteggiato sono quelli del centro, il che è strano, siccome sono anche i più antichi! Eh, una volta sì che sapevano come costruire bene- sospirò.
-Comunque, la stagione degli uragani si è appena conclusa e, terminate le riparazioni ai danni, per festeggiare organizziamo sempre una grande fiera in cui, oltre a commerciare vari prodotti, mettiamo anche in mostra gli aquiloni che noi bambini e ragazzi costruiamo con i materiali che troviamo in giro dopo le tempeste-
-Stupendo!- esclamò Iris. -Allora andiamo subito a farci un giro!- Il suo entusiasmo era paragonabile a quello degli isolani; non ci metteva molto a farsi contagiare, come al solito.
Alex, al contrario, sbuffò sonoramente. Una festa. Dunque i suoi timori si concretizzavano. Già il notare tutte quelle macchie variopinte da lontano le aveva ferito gli occhi (detestava anche i colori che non fossero il nero), ma avere la conferma che sarebbero andati in contro ad una allegra e spensierata celebrazione paesana la rendeva oltremodo nervosa. Avrebbe cercato di mantenere la calma e trattenersi dal fare una strage. Forse.

 

Seguendo il gruppetto di bambini, che nel frattempo avevano ricominciato a rincorrersi sventolando i nastri, la ciurma giunse finalmente in città.
Effettivamente, mano a mano che si approssimavano, poterono constatare che il cielo era ricolmo di aquiloni di ogni forma e colore. C’erano quelli classici a forma di rombo, con lunghe code di tutti i colori dell’iride, ma anche altri che per la loro complessità potevano quasi apparire delle statue fluttuanti nell’aria, per poi finire con un altro tipo, tondeggiante e gonfio, simile a un paracadute e con due o più cavi, che alcuni ragazzi intorno ai vent’anni si divertivano a pilotare in complicate evoluzioni.
-Vedo che vi divertite molto- disse Iris al maggiore dei due fratelli dai capelli rossi, che nel frattempo si era presentato loro come Shia. -Che fanno quelli?- gli domandò poi incuriosita, indicando i giovani.
-Oh, quelli sono aquiloni particolari, come hai notato- le rispose il piccolo, che nonostante l’incertezza iniziale ormai li aveva presi in simpatia, Kahir compreso. -Sono molto più manovrabili rispetto agli aquiloni classici- spiegò con entusiasmo. -Pensa che da un po’ di tempo a questa parte alcuni hanno iniziato a prendere vele di quel tipo particolarmente grandi e farsi trainare con dei carrelli o con delle tavole sul lago; lo considerano una sorta di sport, credo-
-Che forza!- esclamò il capitano con gli occhi che scintillavano. -Capirai che divertimento, farsi trascinare da un aquilone…- la sminuì Diana, scettica come sempre davanti alle idee un po’ strane. Ellesmere, dal canto suo, era affascinata. Doveva essere una sensazione fenomenale, come volare, galleggiare nell’acqua grazie alla spinta dell’aria… Per i possessori di un frutto del diavolo, che non avevano più la prima di queste capacità, poteva essere un’alternativa interessante.
-Saremmo persi se non ci fosse il vento- commentò uno dei bambini. -Già, è vero. Sapete- continuò Shia, che aveva preso gusto a parlare, -oltre a farci divertire, lo usiamo anche per ricavare energia pulita. Ogni giorno nel laboratorio vicino al lago i ricercatori studiano modi per sfruttarne al meglio la potenza e convertirla con il minor spreco possibile. Il mio fratellone, che lavora con loro, sta addirittura cercando un modo di imprigionare la forza di un tornado!-
-Smettila, Shia, Shiro è solo un visionario- lo schernì il più grande del gruppo -e a parte tante belle parole non combinerà mai niente di buono-. L’altro gonfiò le guance risentito. -Sei solo invidioso perché il mio fratellone è una persona intelligente, a differenza del tuo, che si è arruolato in Marina perché a scuola non sapeva combinare niente!-
Mentre i due continuavano a battibeccare (Shia sembrava avere una stima assoluta nei confronti del fratello maggiore, che stando alle sue parole doveva avere circa vent’anni), entrarono in città. Qui decisero di dividersi per fare un giro alle bancarelle della fiera che più interessavano ad ognuno, per poi ritrovarsi al momento di ripartire nello spiazzo degli aquiloni.
Ellesmere, Greta e Mirage si diressero subito verso alcune bancarelle che vendevano alcuni curiosi oggetti, semplici gioielli e statuette fatte con le pietre della spiaggia e del fondo del lago. Mark si avviò verso un banco che esponeva alcune erbe curative e prodotti medicinali naturali, ma invertì la sua direzione di marcia non appena due ragazze giovani e abbastanza ben piazzate lo oltrepassarono; dopo averci parlato un poco (pareva gradissero le sue moine da donnaiolo, da come ridacchiavano), concordarono di andare a bere qualcosa assieme, allontanandosi a braccetto a tre.
Rey, Kaith e Alex si piazzarono davanti ad uno stand che esibiva numerosi tipi di coltelli decorati, e la ragazza iniziò una strenua battaglia di contrattazione col venditore per accaparrarsene uno particolarmente bello, dal manico in legno scuro finemente intagliato e con la lama variegata di nero e bianco. Naoaki li osservava con distacco: non amava le armi da taglio, erano fatte per lo scontro corpo a corpo, in cui lui non era particolarmente ferrato. Se ci fosse stato un espositore di pistole si sarebbe entusiasmato un po’ di più, ma da una fiera di paese non ci si poteva aspettare granché in materia, ovviamente.
Iris e Keyra erano rimaste invece assieme a Shia, che nel frattempo aveva congedato il gruppo di amichetti. Era ancora rosso in viso per via della discussione con l’altro ragazzino riguardo suo fratello e teneva gli occhi bassi, con un’espressione ostinata.
-Vuoi molto bene a Shiro, vero?- gli domandò Iris. Capiva bene come si sentiva: anche lei si infervorava se qualcuno per caso scherniva Aisha, a maggior ragione che sua sorella era più piccola di lei. Il bambino alzò lo sguardo. -Lui è in gamba e sono sicuro che le sue idee avranno successo, una volta che le avrà perfezionate!-
-Non ne ho dubbi- disse Keyra dolcemente. Quel piccolo le faceva una tenerezza immensa, e le ricordava tanto i suoi amici di prima dell’arrivo della Marina. Ciò le fece tornare alla mente un piccolo gioco che aveva creato per divertirsi assieme a loro e pensò che sarebbe potuto piacere anche a lui. -Ehi, vuoi vedere una cosa interessante?- chiese, sempre sorridendo. Lui annuì, guardandola incuriosito.
Keyra stese i palmi, concentrandosi per richiamare i suoi poteri, poi evocò su ciascuno di essi un piccolo turbine, in tutto e per tutto simile a una tromba d’aria in miniatura. Shia la guardò a bocca aperta. -Hai mangiato un frutto del diavolo?- la interrogò stupefatto. -Più o meno…- disse lei con un sorrisino storto.
-Dammi la mano- gli disse poi. Lui tese tremante la manina e lei vi depose uno dei due tornadi, che continuò a ruotare imperterrito. Dopo un attimo di incertezza, lo stupore del bambino si trasformò in euforia. -Sto tenendo in mano un tornado!- esclamò esaltato.
Le ragazze scoppiarono a ridere, osservando lui che si divertiva con quel gioco alternativo. Aveva infatti scoperto che, infilando un dito al centro, la colonna d’aria si spezzava in due, per poi riformarsi non appena lo toglieva.
Dopo un po’, il turbine si esaurì, ma l’entusiasmo di Shia non diminuì affatto, anzi. -Lo sai che questo potrebbe aiutare tantissimo Shiro? Oh, devo assolutamente presentarvi a lui! Andiamo, vi porto a casa mia, così ve lo faccio conoscere!-
Era talmente raggiante che non seppero rifiutare. Inoltre, anche loro erano curiose di vedere questo Shiro tanto nominato e, magari, il laboratorio in cui lavorava, sarebbe stata un’esperienza indubbiamente interessante, perciò si avviarono alle spalle del loro piccolo amico.

 

Diana si aggirava tra le bancarelle, senza prestarvi tuttavia particolare attenzione. C’era qualcosa che la inquietava, un presentimento, un ricordo affiorato ascoltando le discussioni dei ragazzini.
…il mio fratellone è una persona intelligente, a differenza del tuo, che si è arruolato in Marina perché a scuola non sapeva combinare niente!
Effettivamente c’era una somiglianza notevole… Non tanto nei capelli, di un verde molto più cupo, quanto negli occhi, di un particolare blu venato di pagliuzze dorate. Un colore decisamente particolare. Possibile che quel ragazzetto, il maggiore del gruppetto di amici, fosse veramente il fratello di…
No, probabilmente era solo la sua immaginazione che le giocava un brutto tiro. Però…
“Sai, Dia, conosciuto un tipo strano durante un viaggio. Uno che ha più o meno la nostra età, eppure fa già il ricercatore. Mi pare di aver capito che studi i tornado o qualcosa del genere…”
Doveva vederci chiaro. E in fretta. Perché, se i suoi sospetti erano fondati, allora era il caso che si sbrigassero ad andarsene da quell’isola, perché potevano essere in serio pericolo.
Era così assorta nei suoi pensieri che non si accorse di essere sulla traiettoria di camminata di un’altra persona finché non andò a sbatterci contro. -Guarda dove vai, la prossima volta!- gli urlò contro, piuttosto seccata.
Una volta alzato lo sguardo, però, si pentì quasi di essere stata così sgarbata. Di fronte a lei c’era un ragazzo ventenne, dal fisico asciutto ma atletico, i cui occhi azzurro scuro erano in magnifico contrasto con i capelli rosso cupo, che spuntavano da sotto un berretto grigio antracite con visiera. -Scusa, mi ero distratto- rispose lui con voce dolce e pacata, portandosi una mano alla testa e sfoderando un sorriso disarmante.
A Diana mancò un battito. -Ehm… beh, ecco… in realtà anche io non stavo guardando dove andavo…- balbettò confusamente, mentre una voce nella sua testa le gridava qualcosa tipo: “Diana, smettila di fare la cogliona!” (anche il suo subconscio era particolarmente fine nell’esprimersi). E che diamine, lui le era andato addosso e adesso era lei stessa a sentirsi in colpa?
Il motivo di quelle scuse sconnesse con cui se ne era uscita era lampante. Infatti, sebbene la mora non fosse il tipo da interessarsi ai ragazzi (giudicava l’amore la principale causa di ogni debolezza, per la precisione), doveva ammettere che quel tipo era decisamente attraente, e i suoi modi gentili erano altrettanto pericolosamente piacevoli.
Lui le sventolò delicatamente una mano davanti alla faccia, vedendola così imbambolata. -Ehi, tutto a posto?- le domandò, un poco preoccupato di averle seriamente causato dei danni. -Sì, sì- si affrettò a replicare lei, spostando lo sguardo da un’altra parte.
-Meno male- disse lui, regalandole un altro sorriso smagliante che la fece sciogliere letteralmente. Stava cercando qualcosa, qualsiasi cosa da dirgli per poter prolungare un poco quella “chiacchierata”, quando una voce maschile richiamò l’attenzione del giovane.
-Ehi, Shiro, che stai facendo? Non andavamo di fretta? Avevi detto che…- ma la frase rimase in sospeso non appena Diana si voltò a guardare l’interlocutore. E la vedetta, incontrando il viso di chi aveva parlato, rimase interdetta. Oh, no.
Si girò e cominciò ad allontanarsi il più speditamente possibile, sperando che lui non l’avesse notata; aveva avuto l’accortezza di distogliere subito gli occhi nel momento stesso in cui aveva visto quel lampo blu e dorato sul quale stava riflettendo prima del piccolo incidente con Shiro (i capelli parlavano chiaro, era lui il fratello di Shia).
Dovevano andarsene. Subito.
Se la Marina arrivava a mobilitare un membro di un reparto segreto, c’era sotto qualcosa di grosso, e in qualche modo sospettava avesse a che fare con la ricerca che si svolgeva nei laboratori di Kaze. E lei non voleva andarci di mezzo, né intendeva coinvolgere Iris o qualche altro membro della ciurma.
Aveva già intravisto la bancarella a cui si erano fermate prima le altre ragazze, quando un lieve tocco sulla spalla la fece voltare di scatto, solo per venire colpita da un violento pugno in faccia, completamente inaspettato, che la spedì a terra. Nell’impatto con le dure mattonelle, avvertì qualcosa sfuggirle da sotto il colletto della camicia, ma prima di realizzare cosa fosse un nuovo colpo, stavolta al collo, la raggiunse.
Prima di perdere i sensi, sentì qualcuno che le afferrava i polsi, trascinandola in un vicolo laterale, lontano dalla folla che, ignara, continuava a fare acquisti.

 

-Mamma, sono a casa!- esclamò Shia, spalancando la porta di una delle casette squadrate che avevano osservato dalla cima della collina. -Permesso…- esordì Keyra, prima di mettere un piede nell’uscio (Iris invece aveva subito seguito il piccolo nella sua abitazione).
-Ciao, Shia- gli rispose la madre, una donna che doveva avere sui quarantacinque anni, anche se ne dimostrava molti meno per via del fisico scarno e minuto; anche lei, come i figli (il più piccolo era rincasato prima del fratello, quando si erano separati dal resto del gruppo), portava una chioma di capelli rosso bordeaux che le ricadeva morbidamente sulle spalle.
-Loro chi sono?- domandò poi, squadrando le due ragazze che accompagnavano il figlio con fare bonario e leggermente rassegnato. Evidentemente non doveva essere la prima volta che portava gente sconosciuta a casa.
-Sono delle esperte di tornado che passavano per caso sull’isola- disse lui raggiante. -Esperte… non esageriamo, è più una sorta di hobby- fece Iris, strizzando l’occhio al suo “mentore” in segno di complicità. Keyra, invece, arrossì violentemente al sentirsi dare dell’“esperta di tornado” solo per via dei suoi poteri. -Volevo presentarle a Shiro, magari possono aiutarlo nella sua ricerca. A proposito, lui è a casa?-
-No, è uscito per andare al laboratorio una mezz’oretta fa- rispose la donna scuotendo il capo. -Va beh, vorrà dire che lo raggiungeremo lì- replicò lui, scrollando le spalle. Poi aggiunse, rivolto al fratellino: -Shin, tu vieni con noi?-
Il piccolo lo guardò negli occhi, poi scosse vivacemente la testa. -No, quel posto mi fa paura. A volte si sentono rumori strani, e poi se qualche macchina di quelle si rompe e si scatena una tempesta dentro il laboratorio…-
-Sei sempre il solito fifone, lo sai che è tutto tranquillo e sicuro!- lo canzonò il maggiore, tornando ad avviarsi verso l’uscio. -Allora noi andiamo, mamma!- diede di nuovo voce alla genitrice.
-Fai attenzione! E voi due tenetelo d’occhio, si caccia sempre nei guai- aggiunse, strizzando l’occhio a Keyra e Iris. -Non si preoccupi, signora, è in buone mani!- replicò Iris con il sorriso a trentadue denti della tipica persona che predica bene e razzola male, dato che lei per prima conosceva la sua tendenza naturale a creare contrattempi vari.
Appena usciti, richiamò Kahir con un fischio. Il falco, che era rimasto fuori, le si posò sul braccio come al solito. -Avvisa gli altri che andiamo al laboratorio; prova a farti capire, se no cerca Diana e fai portare il messaggio a lei-
Il pennuto annuì, poi con un battito d’ali deciso si rialzò in volo, dirigendosi verso il centro della città alla ricerca della vedetta. Aveva infatti ben poca voglia di sforzarsi per farsi comprendere dalla ciurma, dunque avrebbe gentilmente scaricato il peso del messaggio da consegnare per poi andarsene a fare un giro per conto suo, godendosi le correnti ascensionali.
In poco tempo arrivò alla fiera, cominciando a volare in circolo sopra i tendoni per cercare la ragazza. Tuttavia, dopo aver sorvolato numerose volte tutta l’area senza risultati, cominciò a rassegnarsi a dover scendere per “parlare” direttamente con tutti gli altri (che aveva già individuato).
Mentre continuava la perlustrazione rifletté un poco sulla situazione. Agli occhi del falco parve un strano che Diana non fosse a rapporto; di solito si manteneva disponibile e facilmente rintracciabile proprio per la sua funzione di intermediario. In un primo momento, comunque, non diede troppo peso alla cosa. Forse, si disse, anche lei aveva avuto bisogno di andare a “sgranchirsi le ali”. Avrebbe dovuto proseguire inutilmente la sua ricerca per altri venti minuti prima di realizzare che la sua amica era scomparsa nel nulla.

 

-Ce l’ho fatta!- esclamò Alex trionfante, brandendo il nuovo coltello con orgoglio. Dopo una lunga discussione, infatti, il venditore gliel’aveva ceduto ad un prezzo palesemente disonesto (sbilanciato a favore della studiosa, ovviamente).
-Non mi sorprende, visto che verso la fine hai anche minacciato di morte quel pover’uomo…- commentò Kaith, alzando un sopracciglio leggermente contrariato. -Se lo meritava- lo congelò la mora, mentre lui continuava a scuotere la testa. -200 berry per questa bellezza sarebbe stata una spesa irragionevole, sono stata costretta a contrattare-
I due continuarono a discutere per un bel pezzo, mentre seguiti da Rey, Greta, Ellesmere e Mirage si avviavano verso l’area della fiera adibita alla ristorazione per mettere qualcosa sotto i denti. Quando furono abbastanza vicini, notarono che intorno al bancone allestito per l’occasione c’era un capannello di gente che rideva divertita. Il gruppo si avvicinò per capire cosa stesse succedendo, ma non fu necessario fare grandi sforzi, poiché un ragazzo, visibilmente alticcio (come denotavano le marcate striature rosse sulle sue guance) balzò di colpo sull’asse, quasi rovesciandolo.
Ci misero poco a riconoscere che quel ragazzo era Mark. -Ciao, ragazzi! Venite a bere qualcosa anche voi, dai!- gridò lui non appena li vide, barcollando leggermente e stringendo in mano un boccale di birra mezzo pieno. -Mark, scendi di lì, ti farai del male!- esclamò Ellesmere, preoccupata principalmente che il medico attirasse troppo l’attenzione su di sé. Ci fosse stato qualche Marine nei paraggi avrebbero potuto passare dei guai, dato che erano praticamente tutti dei ricercati. -Appunto, Esmer, lasciamo che si faccia del male, sarà divertente!- ghignò Greta, allettata dall’idea; la sua espressione non fece altro che inquietare maggiormente la rossa.
Gli occhi verdi del moro, annacquati dall’alcool, si posarono sulla ragazza. -Oh, Ellesmere, tesoro, sei così dolce a preoccuparti per me… Vieni, balliamo un po’ assieme- biascicò, tendendole una mano. Poi, alzando la testa per farsi sentire da tutti, urlò: -Anzi, balliamo tutti! FACCIAMO FESTA, GENTE!- e scoppiando a ridere cominciò a muoversi, improvvisando i passi di una danza frenetica al ritmo di una musica che risuonava solo nelle sue orecchie. Dopo pochi movimenti, però, chiuse gli occhi, cadendo dal bancone. Quando lo raccolsero, si accorsero che russava profondamente.
-Oh, idiota di un deficiente- sbottò Alex, che aveva già sollevato un braccio per colpire; se non fosse svenuto per conto suo, ci avrebbe pensato lei a stenderlo. Era proprio quella caciara che voleva evitare, e la felicità procuratale dall’ottimo affare appena concluso col venditore di coltelli si era già cancellata dalla sua mente.
Mentre Rey si caricava il compagno esanime in spalla, Mirage si avvicinò al bancone, dove la folla si stava lentamente sparpagliando, tornando ai propri uffici. -Mi dispiace, il nostro amico non intendeva causare problemi- si scusò con il gestore del bar. Quello alzò le spalle, chiudendo gli occhi con espressione rassegnata. -Tranquilla, ho visto di molto peggio rispetto ad un ragazzo ubriaco negli anni-
-Per curiosità… quante birre si è scolato, prima di ridursi così?- domandò Greta, accennando col capo al medico, che dormiva beatamente. -A dire il vero, credo avesse bevuto solo quel mezzo boccale che gli avete visto in mano- rispose il barista. -COSA?!- La navigatrice era scioccata, così come gli altri membri della ciurma. -Solo quello?- mormorò Ellesmere, sgranando gli occhi. Kaith si intromise nella conversazione con una risatina. -Ecco un soggetto che non regge l’alcool- commentò divertito.
Uno stridio concitato sopra le loro teste richiamò l’attenzione al cielo. -Ehi, è Kahir. Tutto a posto, amico?- gli chiese Mirage, che era sempre molto empatica nei confronti degli animali. Il falco dondolò la testa un po’ di lato. -Così così?- provò ad interpretare Greta. Un pigolio affermativo uscì dalla gola del volatile; poi iniziò a svolazzare in complicati ghirigori in aria.
-Cosa vuoi dirci, Kahir?- gli domandò Rey, che non comprendeva cosa intendesse comunicargli il compagno alato, ma intuiva che qualcosa lo rendeva inquieto. -È successo qualcosa a Iris?- gli chiese. L’altro scosse il capo. -Keyra?- Un altro segno negativo. Poi, come colto da un’illuminazione improvvisa, scese a terra e si mise a tracciare dei segni con la zampa.
Il vicecapitano lo lasciò fare, poi si avvicinò a leggere una volta che ebbe terminato. Nella polvere erano incise tre forme simili a persone stilizzate, delle quali una più piccola, una con una specie di cappello da cuoco in testa e una con qualcosa posato sul braccio. Una freccia partiva dal gruppetto e si dirigeva verso una forma squadrata, vicina a una macchia indistinta e piena di ondine.
Ci vollero un po’ di sforzi e tentativi, ma alla fine riuscì a decifrare il messaggio: il bambino che avevano conosciuto in mattinata, Keyra (la cuoca di bordo) e Iris (il suo “trespolo” preferito) si erano diretti al laboratorio vicino al lago. Una volta capito il primo messaggio, il falco lo cancellò con una zampa e ne tracciò uno nuovo. La sua intelligenza e abilità nel disegno, nonostante fosse un animale, era ammirevole.
Stavolta sulla terra c’era una sola forma di persona, che portava una katana appesa al fianco. -Diana?- domandò il moro. Un cenno affermativo, dopodiché Kahir continuò a scrivere. Una freccia, poi un punto interrogativo. -Diana… dov’è?- Il falco stridette, come a ripetergli la domanda.
-Ragazze, qualcuna di voi ha visto Diana per caso?- chiese il giovane alle compagne. -Ehi, grazie di avermi calcolato!- protestò Kaith. -Taci, tu- sbottò Alex risentita. -Quindi, fammi capire, il nostro capitano e la cuoca se ne sono andate a fare una allegra scampagnata al lago, mentre la vedetta ha deciso di far perdere le sue tracce?- Sbuffò, spostandosi il ciuffo dagli occhiali.
-No, non l’ha deciso- disse una voce alle sue spalle. Tutti i membri della ciurma si voltarono, trovandosi faccia a faccia con Naoaki. Trasalirono non appena realizzarono che il cecchino non era con loro, un attimo prima, né lo era stato durante il tragitto dal banco dei coltelli. Doveva essersi allontanato senza farsi notare, ed era riapparso altrettanto silenziosamente.
Comunque, non era quello il problema principale. Dalla mano chiusa a pugno del giovane pendeva una collana con un piccolo pendente d’argento raffigurante il simbolo della Marina e un piccolo zaffiro di forma sferica. -E quello sarebbe?- chiese Greta con indifferenza. -Se vai in giro a rubare gioielli ai marine non vedo che cosa debba centrare con la nostra persona mancante-
-Non è un gioiello qualsiasi, è il ciondolo di quella che tu hai definito la “nostra persona mancante”- ribatté con freddezza il cecchino. -E per la cronaca, Diana non ha deciso di andarsene. È stata catturata. E se non ci sbrighiamo a raggiungere quel laboratorio, tra non molto Iris e Keyra faranno la stessa fine-

 

 

 
Angolo dell'autrice

Rieccomi, per la vostra gioia! -ma anche no -.-"-
Stavolta sono abbastanza puntuale, dai, fine luglio si era detto e fine luglio è stato. Tra l'altro sono particolarmente soddisfatta di questo capitolo, non solo perché sono stata puntuale con la scrittura, ma anche perché... boh, sinceramente non lo so neanch'io ;)
Si tratta infatti di un misto tra descrizioni di paesaggi ameni dall'aspetto mediterraneo mixato con una città a rischio tornado (le cantine rifugio le ho prese dall'America), chiacchierate sugli aquiloni (lo "sport" menzionato ovviamente è il kitesurf... non ho potuto resistere e non inserirlo, è troppo figo e divertente XD) e citazioni (la frase che Kaith dice scherzosamente riguardo a come il povero Mark regge l'alcool è presa da "Ritorno al futuro- parte III", la scena era troppo simile :D). Mi sembra però di aver inserito anche una bella dose di suspance e misteri... chi è il tizio che Diana pare conoscere (e che peraltro, vi anticipo, originariamente quando ho creato lei non esisteva nemmeno)? Perché l'hanno rapita? Come fa Naoaki a sparire e riapparire come se nulla fosse? -perché ti dimentichi di inserirlo, genio?- No, Coscienza, non me lo sono dimenticata, nel prossimo capitolo sapremo dove è stato -uffa, speravo di averti colto in fallo...- Aspetta e spera, tu sei il mio subconscio, so sempre come fregarti :D Ah, se non si fosse capito, i nomi di Shin, Shia e Shiro non sono stati scelti a caso; essendo fratelli e molto simili tra loro, ho scelto anche nomi che si assomigliassero di proposito. E infine, la cosa più originale di tutte, il nome dell'isola... Kaze infatti, stando al traduttore, dovrebbe significare vento (sì, viva l'originalità, lo so, non vogliatemi male)
Beh, non posso fare altro che ringraziarvi tutti come sempre e darvi appuntamento a settembre con il prossimo capitolo (per fine agosto non penso di riuscire a metterlo perché dovrei essere via *incrocia le dita*). Si cominceranno a chiarire un po' di cose... dopodiché penso inizieranno le mazzate! ;)
Un bacione a tutti,

Swan

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Capitolo 8
*** 7. Catture e trame... chi è preda e chi è cacciatore? ***


UNA GRANDE AVVENTURA



Capitolo 7: Catture e trame... chi è preda e chi è cacciatore?

 

Quando rinvenne, capì immediatamente che qualcosa non andava.
Prima di tutto si trovava in un luogo chiuso, mentre aveva la vaga consapevolezza di essere in una piazza gremita di gente, nel bel mezzo della fiera degli aquiloni, prima che tutto si facesse buio.
Per secondo, quel posto, con una piccola grata metallica in alto, simile ad una feritoia, da cui la luce penetrava leggermente obliqua, e con la porta in ferro massiccio, ricordava fin troppo una cella di prigione.
Per terzo, era seduta su una sedia, con le mani legate dietro la schiena da un paio di spesse manette metalliche, e non percepiva il peso della katana al suo fianco.
Per quarto ed ultimo punto, e forse questa era la parte peggiore, si sentiva dolorante e pulsante, come se avesse un elefante che le calpestava le tempie. Dovevano averle dato una bella botta per stenderla così in un colpo solo, pensò; inoltre, provava una strana sensazione di nausea e torpore, simile a se l’avessero drogata, ma rinunciò a riflettere ulteriormente non appena una fitta acutissima le trapassò il cranio.
Macché drogata, si disse. Ricordava solo una sostanza in grado di provocarle quegli effetti, ancora più intensi a causa del pestaggio subito. Agalmatolite marina. Il veleno per eccellenza. Quella maledetta sostanza, da quando aveva acquisito i poteri del frutto del diavolo, oltre a causarle un malessere diffuso, aveva sempre avuto un effetto stordente su di lei.
La porta della cella si aprì improvvisamente con un cigolio sommesso che le rimbombò nel cervello, facendola rivoltare sulla sedia, per quanto resole possibile dalla limitazione dei movimenti causata dalle manette. Il dolore alla testa era martellante e insopportabile. Inspirò profondamente dal naso, cercando di non pensarci, ma distogliere l’attenzione e concentrarsi su qualsiasi altro concetto era reso impossibile dal contatto dei suoi polsi con il metallo nocivo.
-Ciao, Diana, è tanto che non ci vediamo, vero?- disse una voce di fronte a lei. Aveva percepito che qualcuno era entrato a “farle compagnia”, ma non l’aveva visto, poiché teneva gli occhi chiusi nel tentativo di affievolire il male eliminando le percezioni colte col senso della vista (con scarsi risultati).
In ogni caso, non aveva bisogno di osservare in faccia l’interlocutore per riconoscerlo. La sua voce, dopo quattro anni, era divenuta più profonda, ma manteneva comunque tutte le altre caratteristiche del timbro originale. E anche se non poteva vederlo, era in grado di percepire su di sé un magnetico sguardo blu dalle sfaccettature dorate, simili a schegge d’ambra nello zaffiro.
-Ciao, Caleb- mormorò dopo un po’, decidendo di rispondere e schiudendo le palpebre per poterlo finalmente guardare in faccia. Si era fatto più alto e muscoloso, ma le braccia e le gambe mantenevano una sottigliezza che gli conferiva un non so che di giovanile tendente all’infantile, complice anche la mancanza quasi assoluta di peli e barba. I capelli verdi scuri, che un tempo gli arrivavano quasi alle spalle, ora erano corti e si fermavano appena sopra le orecchie.
Notò che anche lui la stava fissando. -Però, sei cresciuta, Dia- commentò con un sorriso sghembo. -Ti sei fatta proprio una bella ragazza- aggiunse, avvicinandosi lentamente e girandole attorno per ammirarla da ogni angolazione. -Proprio una bella ragazza- ripeté, scandendo bene le parole, che le soffiò in un orecchio, facendola rabbrividire.
-Siamo in vena di complimenti, eh?- Il tono della mora era sarcastico, nonostante la situazione di palese svantaggio in cui si trovava. -È la verità… sai che sono sempre stato segretamente attratto da te- replicò lui, prendendole una ciocca di capelli dalla coda e giocherellandoci, avvolgendosela attorno alle dita.
In condizioni normali Diana si sarebbe voltata e gli avrebbe staccato la mano a morsi. Lo avrebbe fatto comunque, anche se fossero stati ancora amici e lui avesse osato prendersi certe libertà, a maggior ragione adesso; tuttavia, aveva a stento la forza di tenere gli occhi aperti, figurarsi di reagire a quelle provocazioni.
-Smettila di fare il ragazzino scemo in calore e vai al punto, Caleb- sbottò però ad un certo punto. Cominciava a stancarsi. Si sentiva come un topolino indifeso con cui un gatto gioca, allungando le zampe verso di lui per invitarlo a reagire e lasciandoselo sfuggire per poi riagguantarlo subito, oppure punzecchiandolo con gli artigli prima di divorarlo.
Le dita di lui si tesero verso il suo viso; soffocò un gemito nel momento in cui le sfiorò il bozzo duro che si era formato dove l’aveva colpita prima, tramortendola per poterla catturare. Il verde, intuito il punto debole, vi premette maggiormente, strappandole stavolta un ringhio di dolore. Lo guardò con odio represso.
-Non fare quella faccia, Dia, sai di essertelo meritato- la apostrofò, sempre con quel sorrisetto beffardo stampato sulle labbra. Dominare completamente la situazione pareva divertirlo molto. -Non mi hai neanche salutato, hai fatto per allontanarti non appena mi hai visto… Non è un modo molto carino di trattare un amico, non trovi?-
-Noi… non… siamo… amici- scandì la giovane a denti stretti. -No, hai ragione, eravamo amici. Poi i tuoi genitori hanno avuto quell’idea grandiosa, che è costata la promozione a te e la vita a loro- proseguì lui, inginocchiandosi per poterla fissare dritta dietro le lenti degli occhiali. Lei sostenne il suo sguardo senza batter ciglio, tuttavia sentì come un boato dentro sé al sentir rievocare una questione che le pesava sull’anima come un macigno.
-Sai, stimavo molto tua madre e tuo padre. Il grande comandante Instar e sua moglie… il terrore di tutti i pirati del Mare Meridionale. Erano i migliori, e tu la degna discendenza di due stelle come loro. Chissà quale oscuro motivo li ha spinti a tradire la Marina…-
-Loro non hanno tradito niente e nessuno, e tu lo sai benissimo!- urlò Diana, ormai incapace di trattenersi. -Quegli schifosi dei nostri… che dico, dei tuoi superiori li hanno incastrati perché erano invidiosi dell’importanza e del potere che stavano guadagnando, quindi hanno fatto in modo di eliminarli per poter prendere il loro posto!-
La ragazza tremava dall’ira. Quando qualcuno osava toccare il tasto dolente della fine dei suoi genitori erano, come si suol dire, cavoli amari. Scosse debolmente la testa, parzialmente esaurita dallo sfogo. -Non posso credere che ti sia bevuto quella fila di balle che hanno raccontato per giustificare il loro assassinio, Caleb. Eri il mio migliore amico. Eri come un fratello, per me, eppure non appena sono stata in difficoltà mi hai voltato le spalle. Pensavo fossi meglio di loro, invece vedo che ti sei integrato perfettamente-
Aveva le lacrime agli occhi, un po’ per il dolore alla testa, ma soprattutto per il turbamento emotivo. La trasformazione che il ragazzo aveva subito fin dall’epoca dei fatti, e che si manifestava completamente sviluppata adesso, la distruggeva. -Sei solo un bastardo come tutti gli altri-
Un violento pugno allo stomaco la fece piegare in due, mozzandole il fiato. -Ah, sarei io il bastardo?- ringhiò Caleb, con gli occhi che mandavano lampi. Le sollevò la testa per i capelli, costringendola a fissarlo dritto. -Rispondi: chi è che ha tradito gli ideali della Marina, tra noi due, sentiamo? Chi era la miglior recluta della sezione giovanile della Cipher Pol, prima di cominciare a farsi troppe domande sugli ordini che venivano impartiti invece di eseguirli senza fiatare? Chi è che è scappato di prigione, invece di andare incontro alla meritata condanna che gli era stata assegnata?-
Uno spintone la fece cadere sul pavimento, mentre ancora annaspava cercando di far entrare l’aria nei polmoni. Come se non bastasse, il suo aguzzino continuava ad infierire a parole. -Avevi tutto quello che si può volere dalla vita, e l’hai buttato via per cosa? Per darti alla delinquenza, andando a rovinare il delicato equilibrio che il nostro Governo si dà tanta pena per mantenere-
-Certo, una massa di corrotti pronti a sacrificare i loro migliori servitori per coprire i loro inganni… gran bel governo- sussurrò la ragazza, tra i colpi di tosse. La razionalità le avrebbe fatto chiudere la bocca per evitare di peggiorare la sua situazione, ma non poteva trattenersi. -Tante belle parole, e poi la gente muore sotto i loro occhi perché non sono in grado di provvedere alla loro salute-
Fece per rialzarsi, ma il giovane le mise un piede sulla schiena per bloccarla a terra, poi con le posò l’altro piede su una mano, premendo sempre più forte, fino a salirci praticamente sopra, scaricandovi tutto il peso. Si morse le labbra per soffocare il male.
Vedendo che la mora non dimostrava alcuna sofferenza, si spostò. -Ah, già, dimenticavo il nostro addestramento comune… Se non sbaglio avevi una soglia del dolore molto alta- considerò. -Vediamo, cosa devo fare per farti urlare?- le domandò, tornando a quel sorriso beffardo che aveva mantenuto fino a pochi minuti prima. Stavolta fu lei a ridacchiare, una risatina ruvida che serviva a mascherare ciò che sentiva in realtà, cioè ogni centimetro del suo corpo che gridava il suo malessere.
-Perché ci tieni così tanto? Se ti interessa sapere qualcosa, chiedimelo direttamente, così posso evitare di dirtelo e non perdiamo altro tempo. Non ti hanno insegnato che un agente non deve parlare sotto tortura? Credevo fosse una norma basilare…-
Incredibile, nonostante tutto non la finiva di ironizzare, pensò Caleb. Doveva avere tendenze suicide, oppure era masochista e voleva farsi picchiare (o peggio) ad oltranza. Ammirava la sua determinazione, anzi l’aveva sempre vista con un po’ d’invidia, quando erano compagni d’addestramento. Se la conosceva ancora, però, sapeva dove far pressione per portarla a crollare.
-Oh, beh, in qualche modo dobbiamo passare il tempo, mentre aspettiamo che i tuoi amichetti ci raggiungano, no?- Diana trasalì, un movimento che non gli sfuggì. Beccata. -Sì, i tuoi nuovi amici. Le notizie viaggiano veloci, Instar, e un membro della CP9 è costantemente aggiornato. Credi che non sappia che sei entrata a far parte di una ciurma pirata con quella svitata di Iris Synder e un po’ di altra gente? Sarebbe un peccato lasciarsi scappare l’occasione di catturarvi tutti, senza contare che una volta preso il vostro capitano otterremo anche l’arma che ha portato il caso Hiwa a risolversi come si è risolto-
La vedetta non sapeva più cosa rispondere. In bocca sentiva il sapore metallico e caldo del sangue, dato che si era tagliata il labbro a furia di stringerlo coi denti. -E chi ti dice che loro sanno dove mi trovo?- provò a dire, cercando di nascondere la paura che la stava invadendo. Una piccola parte di lei sperava che i suoi compagni potessero darle una mano, ma per il resto temeva ciò che sarebbe successo se l’avessero raggiunta in quel posto, ovunque si trovasse.
Ricordava infatti le grandi capacità strategiche di Caleb, non per niente era stato reclutato così giovane nelle CP. Sicuramente, la sua cattura era parte di un piano più grande, ben articolato e, soprattutto, molto pericoloso per tutti gli altri.
-Di questo non devi preoccuparti, prima o poi ci arriveranno… Ma intanto divertiamoci un po’ assieme, che ne dici?- L’espressione sul suo viso non lasciava presagire nulla di buono. Venne interrotto dal suono di una mano che batteva sulla porta dall’esterno. -Avanti- sbottò, rimettendosi in piedi. Un tipo con un lungo mantello color sabbia, vagamente simile a un camice da laboratorio, si affacciò sull’uscio. Nonostante fosse sui trent’anni, manteneva nei confronti di Caleb (diciassettenne come Diana) un atteggiamento di deferenza.
-Signore, mi hanno detto di comunicarle che Synder e Hono sono al laboratorio e stanno discutendo con il capo- Il ghigno sul volto del verde si allargò maggiormente. -Che velocità… sentito, Dia, tra poco avrai compagnia- disse, rivolto alla ragazza che ancora giaceva sul pavimento.
-Ora che ci penso,- aggiunse, -per passare il tempo potrei anche raccontarti un po’ quello che facciamo qui, tanto ormai sai dove ci troviamo… Ma ritengo che al momento ci siano altre attività più allettanti da svolgere. Il momento delle spiegazioni arriverà più tardi, quando sarete qui tutti assieme. Così faremo il discorso una volta sola, prima di spedirvi in galera come meritate, ovviamente dopo avervi dato una ripassata-
E così dicendo le assestò un violentissimo calcio sulla schiena, proprio in mezzo alle scapole. L’inaspettata forza del colpo, la sofferenza fisica repressa, la frustrazione di sapere che ormai le sue amiche erano lì e non poteva farci nulla e quella sensazione d’impotenza dilagante ebbero la meglio. Un urlo lacerante, animalesco, carico di rabbia ma, soprattutto, di dolore, le uscì dalla gola, senza che potesse trattenersi, e la sua eco rimbombò per le pareti della cella, espandendosi poi nei corridoi esterni e in tutta la struttura.

 

-Eccoci, questo è il laboratorio dove lavora Shiro- disse Shia, raggiante, ad Iris e Keyra. Il piccolo non aveva chiuso un attimo la bocca durante tutto il tragitto, tessendo le lodi del suo fratellone.
-Però, è grande questo posto- considerò Iris, osservando meglio la struttura ora che si trovavano in prossimità di essa. Effettivamente, come avevano già notato dall’alto, somigliava ad un grosso capannone squadrato, articolato su due piani, con finestre costituite da lastre di vetro rettangolari e oblunghe.
-Oh, sì, è immenso!- La voce del bambino era carica di orgoglio. -E pensa che questa è solo la parte degli uffici e degli archivi; i veri laboratori, dove si svolgono le ricerche, sono stati costruiti sottoterra, in modo da contenere i danni se qualche esperimento rischioso va male-
Entrati dalla porta principale si trovarono in una stanza quadrata, dove c’era un gran viavai di persone con lunghi camici da laboratorio; alcuni erano vestiti di bianco, come ci si aspetterebbe da degli scienziati, ma la maggior parte indossava abiti di un inusuale color sabbia.
Un uomo sulla trentina, dai corti capelli castani, si fermò accanto al loro gruppo. -Ciao, Andrea- lo salutò Shia; evidentemente conosceva familiarmente molti dei colleghi di suo fratello. -Oh, ciao Shia! È tanto che non ti si vede in giro!- rispose l’altro calorosamente, scompigliandogli la zazzera bordeaux. Il suo sguardo si posò poi sulle due ragazze che lo accompagnavano.
-E queste due fanciulle chi sarebbero?- domandò, osservandole meglio. In particolare, la spada che Keyra portava legata alla schiena pareva aver attirato la sua attenzione. -Oh, loro sono Iris e Keyra- le presentò il piccolo. -Sono mie amiche, le ho portate a conoscere Shiro… Sai, anche loro se ne intendono di tornado!-
-Ma davvero?- osservò Andrea, stringendo la mano prima di una e poi dell’altra, senza smettere di farle passare sotto il suo occhio indagatore. -Sì, siamo abbastanza esperte in materia di vento- mentì spudoratamente Iris. In realtà, le uniche conoscenze che possedeva a riguardo le derivavano da anni di esperienza nell’avicoltura, e avevano ben poco a che fare con ciò che veniva studiato in quel posto.
-Ottimo- C’era rispetto nel tono di voce dell’uomo. -Chissà che non entriate anche voi a far parte del nostro team di ricerca, in futuro. C’è sempre bisogno di nuove reclute. Su, venite con me, vi accompagno da Shiro- e così dicendo fece loro segno di accodarsi a lui. Le ragazze obbedirono.
-Shia, tu non vieni?- gli chiese Keyra, vedendo che il piccolo rimaneva indietro. -No, io torno a casa… Shiro dice che non posso entrare nei laboratori, è pericoloso per un bambino della mia età- rispose lui, un poco affranto. Si capiva quanto in realtà desiderasse andare con loro. -Quando sarai più grande, Shia- lo ammonì bonariamente lo scienziato. -Allora lavorerai anche tu con noi e ci aiuterai a rendere questo mondo migliore- aggiunse strizzandogli l’occhio, riaccendendo la fiamma nello sguardo del rosso.
-Allora ci vediamo dopo!- li congedò con il sorriso stampato sulle labbra. Lo osservarono allontanarsi saltellando e imboccare la porta, poi si avviarono nella direzione opposta, verso l’interno della struttura. Nonostante le numerose persone presenti, l’ambiente non era caotico, anzi al contrario tutto lo stanzone era permeato da un ordine ben definito.
In breve imboccarono un corridoio poco più stretto, che li condusse a due rampe di scale, una ascendente e una discendente. -Dunque, di sopra si trovano gli uffici dove archiviamo i risultati dei nostri test- spiegò Andrea, descrivendo l’organizzazione dell’edificio, -mentre di sotto hanno sede i laboratori in cui li svolgiamo-
-Gli esperimenti sono davvero così rischiosi?- domandò Keyra, con un filo di apprensione nella voce. -Dipende- le rispose l’uomo. -Ci sono più fenomeni che prendiamo in esame, ed ognuno ha il suo grado di pericolo. Ovviamente, la ricerca sui tornado richiede un maggiore controllo. Se qualcosa ci sfuggisse di mano, potremmo anche radere al suolo l’isola…- Ma subito dopo quell’affermazione, il suo volto si rabbuiò, come se avesse detto qualcosa di cui si vergognava.
 -Le trombe d’aria sprigionano un’energia notevole- continuò poi la spiegazione, come se nulla fosse accaduto; alla ragazza però non era sfuggito il suo istantaneo mutamento di espressione. Diede un colpetto di gomito ad Iris per richiamarne l’attenzione, dato che il capitano pareva perso nei suoi pensieri come al solito.
-Cosa c’è?- bisbigliò la mora, riscuotendosi. -Qualcosa che non torna- sussurrò di rimando. Si notava infatti come una tensione nei movimenti dello scienziato, un malcelato nervosismo, che si era manifestato a partire da quando aveva pronunciato la frase riguardo una possibile distruzione di Kaze.
Nel frattempo, avevano iniziato a scendere lungo la scala che conduceva al piano inferiore. In fondo, una spessa porta di metallo, ricoperta di cartelli di avvertimento, precludeva l’accesso alla stanza successiva. -Mi raccomando, devo chiedervi di non toccare nulla, anche se sono certo che siete ragazze responsabili- le ammonì Andrea, dopodiché abbassò la maniglia, invitandole ad entrare.
La prima sensazione che provarono fu quella di trovarsi nuovamente all’aria aperta. Il posto in cui erano arrivate era incredibilmente ampio, con un alto soffitto, e più sgombro di quanto se l’erano immaginato, fatta eccezione di pochi grandi macchinari, che servivano probabilmente a monitorare i test. Ciò che più colpiva i sensi, però, era il vento leggero che si sprigionava da una direzione non meglio precisata.
-Wow- commentò Iris affascinata. Mentre proseguivano, notarono gruppi di scienziati in camice color sabbia intenti a lavorare. In particolare, alcuni stavano osservando piccoli vortici (simili a quelli creati da Keyra per divertire Shia) generati mediante delle ventole, mentre altri seguivano i parametri dagli schermi delle macchine, segnando i dati su tabelle apposite. Un gruppo, infine, stava ispezionando alcuni oggetti che da lontano apparivano come delle semplici sfere di vetro.
-Shiro, hai visite!- esclamò Andrea, avvicinandosi ad uno di essi, che si voltò a guardare chi mai lo stesse cercando. Non c’erano dubbi, quello era proprio il fratello di Shia e Shin: anche sotto il cappellino grigio scuro spiccavano i fiammeggianti capelli bordeaux, in contrasto con gli occhi chiari.
Ebbe un leggero sussulto alla vista delle due ragazze, ma fu molto abile a mascherarlo, anche se non abbastanza perché Keyra non ci facesse caso; ciò fece scattare un ulteriore campanello d’allarme nella sua mente. “Non ce la raccontano giusta”, pensò tra sé, preparandosi a reagire ad ogni minimo segnale di pericolo.
-Non credo che ci conosciamo- disse Shiro, alzando un poco un sopracciglio. -Sono delle amiche di Shia, ha detto che voleva presentartele perché sono esperte di tornado- spiegò Andrea. -Ma davvero?- ribatté il rosso, sgranando gli occhi sbalordito. -Molto bene, allora possiamo parlare un po’ insieme seriamente- aggiunse poi, portando una mano ad aggiustarsi la visiera del berretto con un gesto automatico. -Venite, vi faccio fare un giretto-
Mentre si avviavano al seguito del giovane, Andrea le congedò, dicendo che doveva andare a prendere alcuni fascicoli al piano superiore ed allontanandosi in uno svolazzo del camice color sabbia. -Come mio fratello vi avrà sicuramente raccontato, qui svolgiamo ricerche per poter trovare nuove applicazioni dei fenomeni atmosferici legati al vento nella produzione di energia. In particolare, stiamo cercando di imbrigliare la potenza del più devastante di questi, il tornado-
Parlava con competenza, nonostante la giovane età (doveva avere circa un paio d’anni più di Iris e solo uno più di Keyra, ad occhio e croce); si capiva che, a differenza loro, era veramente esperto nel campo.
-Ci pensate? Utilizzare tutta la forza di una tromba d’aria… Non sarebbe stupendo?- considerò rivolgendosi direttamente alle interlocutrici. -Durante la stagione delle tempeste potremmo immagazzinare abbastanza energia da essere autosufficienti praticamente per tutto il resto dell’anno!-
Finalmente le due ragazze capivano da dove derivava l’ammirazione di Shia per il fratello maggiore. In quelle parole di speranza sembrava di rivedere il suo medesimo entusiasmo. -Già, sarebbe molto bello- commentò Iris con un sospiro. Anche Hiwa era autosufficiente in termini energetici, grazie alla collaborazione dei falchi tuono; provò una fitta di tristezza al ricordo.
-Oh, ma ci siamo quasi, sapete? Ormai siamo incredibilmente vicini al nostro scopo- disse il giovane scienziato. -Tra non molto potremo mostrare agli abitanti dell’isola i frutti di anni di ricerca… e non solo a loro- continuò, adombrandosi leggermente. Nel frattempo si erano avvicinati al gruppo di persone che stavano esaminando le sfere, che si spostarono un poco non appena gli furono accanto. Il ragazzo ne prese una in mano (era delle dimensioni di una grossa arancia), rigirandosela tra le dita.
-Vedete?- fece poi, mostrandola ad Iris e Keyra. Le due osservarono attentamente: oltre il vetro opaco, si poteva intravedere qualcosa, come un turbinare di polvere o qualcosa di simile. -Ci sono voluti anni per metterlo a punto, ma alla fine siamo giunti ad un risultato soddisfacente. In questa sfera- spiegò, indicandola, -è contenuto un tornado di piccole dimensioni. Il vortice viene inserito qui dentro grazie ad alcuni macchinari che lo rimpiccioliscono, mantenendone tuttavia intatta l’energia potenziale, che noi siamo poi in grado di estrarre nel momento del bisogno-
Le ragazze osservavano rapite quello spettacolo: era dunque possibile rendere le tanto temute tempeste che ogni anno percorrevano l’isola inoffensive e rinchiuderle in quelle innocue palline, per utilizzarle successivamente in maniera costruttiva? La risposta stava davanti ai loro occhi.
-È ammirevole, veramente ammirevole- commentò Iris in un soffio. -L’hai detto, Synder- replicò Andrea, riapparso improvvisamente accanto a loro. -Vuoi anche vedere come funziona?- Il sorriso di traverso sul suo volto, così come quello apparso improvvisamente in viso a tutti gli altri scienziati, non lasciava presagire nulla di buono.
L’eco di un urlo di dolore giunse alle loro orecchie. L’urlo di una voce molto familiare. L’urlo di… -Diana!- esclamò Iris, spalancando gli occhi in preda al panico. Anche Keyra all’udire il grido era scattata, maledicendosi per essersi lasciata incantare da quelle belle parole, distraendosi dai suoi presentimenti infausti.
Prima che potessero fare alcunché, Shiro lanciò a terra la sfera che aveva in mano, la quale si ruppe. In un istante si sprigionò una terribile esplosione di vento, che travolse le ragazze scagliandole in aria e spedendole ad impattare violentemente contro il soffitto, per poi ricadere a terra fortemente stordite. Un deciso colpo in testa ed entrambe persero i sensi.
Il ghigno sul viso di Shiro non accennava a spegnersi. -Portatele assieme all’altra- ordinò compiaciuto, sollevando un poco la visiera del cappello per osservare meglio la sua opera.

 

-Ahio, mi sento come se un branco di bufali mi ballasse la samba nella testa…- farfugliò Mark, tenendosi una mano sulla fronte e massaggiandola vigorosamente. Si era risvegliato, ma portava ancora evidenti segni della sbornia. -Sta’ zitto, beota, e cerca di tenere il passo!- gli sbottò contro Alex, con un ciuffo dei neri capelli che le svolazzava davanti agli occhi.
Tutta la ciurma stava correndo lungo la strada sterrata che conduceva fuori città, per raggiungere il più in fretta possibile il laboratorio dove si stavano dirigendo anche le loro altre compagne. Kahir li seguiva dall’alto, destreggiandosi rapido tra le raffiche di vento e sfruttandole a suo vantaggio per essere più veloce.
-Ehi, Nao, fammi capire bene… come hai fatto ad avere il ciondolo di Diana?- domandò Greta col fiato corto, indicando la catenina che il cecchino aveva loro mostrato poco prima e che teneva ancora serrata nel pugno. Il giovane iniziò a raccontare tutto ciò che era successo, spiegando anche quello che aveva avuto modo di scoprire riguardo cosa stava accadendo a Kaze.
Il gruppo si trovava alla bancarella dei coltelli, intento a seguire le trattative della studiosa di bordo col venditore; lui dopo un po’ si era stancato e aveva deciso di allontanarsi per fare un giro, quando aveva notato un movimento sospetto in un vicolo laterale. Sfruttando la sua abilità nel nascondersi, si era avvicinato e aveva visto due ragazzi intenti ad infilare qualcosa di grosso in un sacco di iuta. Dalle dimensioni, poteva tranquillamente trattarsi di una persona.
-Perché l’hai fatto?- aveva domandato uno dei due, più alto e con i capelli rossi, all’altro, più giovane di qualche anno e con una capigliatura verde scuro. -Ordini dall’alto- aveva replicato quello con un’alzata di spalle. -Mi è stato detto di catturare tutti i ricercati che trovo, se ne ho l’occasione, quando mi trovo in missione. In più, ho un conto in sospeso con questa qui- ed aveva assestato un calcio al sacco, dal quale era provenuto un tonfo sordo.
-E in ogni caso non sono affari tuoi- aveva sbottato poi, sempre rivolto al suo compare. -Potrai anche godere di una qualche posizione tra i tuoi compagni scienziati, ma per noi del Governo sei solo un collaboratore a livello inferiore-
-Governo? C’è in giro un funzionario governativo?- chiese Ellesmere con molta apprensione. -Non un funzionario qualsiasi- rispose Naoaki, fissando il suo sguardo cremisi negli occhi azzurri di lei con grande serietà, -è un membro della CP9-

-Cos’è la CP9?- intervenne allora Mirage, che come altri non aveva mai sentito nominare quell’organizzazione. -Una sorta di intelligence governativa, a quanto ho sentito dire, anche se è più un reparto fantasma, sai, di quelli che esistono e non esistono- rispose Kaith; aveva infatti udito alcune voci a riguardo delle Cipher Pol mentre si trovava rinchiuso ad Impel Down, per quanto inaccurate e confuse.
-Sì, è un organo che si occupa di missioni diplomatiche di priorità assoluta, anche se la diplomazia non è proprio il loro forte. Utilizzano particolari tecniche di combattimento, devastanti, e se gli obiettivi delle trattative non collaborano sono anche autorizzati all’eliminazione fisica- Stavolta era stato Mark a parlare. Tutti si voltarono sorpresi a guardarlo. -E tu come fai a saperlo, scusa?- lo interrogò Greta, incredula. Il medico fece una smorfia infastidita. -Diciamo solo che ho avuto stretti contatti con la Marina, abbastanza stretti da essere a conoscenza di determinati segreti-
-Quindi il Governo sta combinando qualcosa su quest’isola- considerò Rey, che era rimasto in silenzio ad ascoltare fino a quel momento. Naoaki annuì convinto. -Ho reperito alcune rapide informazioni riguardo quel tipo. Si chiama Caleb Ayr, ha diciassette anni, è nell’organizzazione da quando ne aveva tredici, è un grandissimo stratega ed è il loro miglior agente da quando Rob Lucci è stato sconfitto da Cappello di Paglia ad Enies Lobby-
Tutta la ciurma si riscosse al sentir nominare il re dei pirati scomparso. Sapevano del grande incidente che era occorso anni prima nella prigione minore della Marina, ma la notizia era stata evidentemente confusa e alterata, mascherata per coprire la realtà dei fatti.
Il cecchino riprese dunque a raccontare la sua esperienza.
-Caleb, una volta eravamo amici. Non eri così tanto… dedito a servire il Governo- gli aveva detto il ragazzo coi capelli rossi, sistemandosi un po’ il berretto che portava in testa e stringendo le labbra. Il verde gli aveva rivolto uno sguardo traverso.
-Cosa c’è, Shiro, non hai più intenzione di collaborare? Vuoi tirarti indietro? Tu e i tuoi colleghi volete rinunciare a questo punto?- Nel parlare gli si era avvicinato con fare minaccioso, tanto che adesso i loro volti erano a pochi centimetri di distanza.
-Tutto questo non era previsto negli accordi- aveva ribattuto il rosso, sostenendo la sfida; tuttavia, si poteva notare un leggero tremito nella sua figura. Nonostante l’evidente superiorità fisica (era più alto e muscoloso), aveva soggezione dell’altro. Evidentemente quanto si diceva sulla letalità dei membri della CP9 era vero.
-Gli accordi cambiano- aveva replicato il verde con una scrollata di spalle. -E poi non vedo in cosa dovremmo essere venuti meno ai patti. Ci avevate chiesto fondi per la ricerca e noi vi abbiamo accontentato, no?- -Sì, ma vi avevamo chiesto fondi per condurre esperimenti al fine di ricavare energia dai tornado, non per utilizzarli per creare armi!- era esploso a quel punto Shiro.
-Il fratello del ragazzino che ci ha accompagnati…- mormorò Ellesmere, realizzando chi era il giovane dai capelli bordeaux che Naoaki aveva descritto. -Dunque gli scienziati lavorano per il Governo? Li aiutano ad inventare armi che sfruttano la potenza del vento?- Era incredula. Quando Shia quella mattina aveva parlato loro si era fatta un’idea molto diversa dei ricercatori; pensava fossero persone che intendevano rendere migliore la vita sull’isola e, perché no, in tutto il mondo, e invece…

-Dovremmo andare là, ammazzarli tutti e bruciare i risultati dei loro esperimenti. Prima recuperiamo Diana e troviamo Iris e Keyra, poi ci occupiamo di quei vermi; chi collabora di sua volontà col Governo non merita di sopravvivere- Alex, diplomatica come sempre, aveva già elaborato un piano che le avrebbe consentito di divertirsi non poco e di fare qualcosa di utile.
-E chi ti dice che lo stanno appoggiando perché vogliono?- La voce di Naoaki era gelida. La mora alzò gli occhi a guardarlo in faccia e vide che anche il suo sguardo era duro come un macigno. -Il fatto è che non hanno scelta- e detto questo terminò la sua spiegazione. Il discorso tra i due rapitori era infatti proseguito ulteriormente.
-Armi? Quali armi? Quelle inutili sferette? I vostri ventagli formato extralarge? Tu oseresti chiamare quelle specie di trucchetti da prestigiatore armi?- Il tono di Caleb si era fatto volutamente canzonatorio e provocatorio. Poi aveva azzerato la distanza tra loro, afferrandolo per il collo e intensificando la presa, mentre l’altro pareva aver perso le forze per reagire.
-Non state facendo abbastanza, Shiro- gli aveva ringhiato in faccia. La sua espressione era diventata rabbiosa. -Dovete impegnarvi di più, se non volete che quest’isola e tutti i suoi abitanti facciano una brutta fine. Mi sembra di averti già accennato cosa succede a chi non collabora con il Governo. O ci aiuti, e stai dalla nostra parte, o non lo fai, e sei contro di noi. E se sei contro di noi, sai cosa ti spetta-
Il volto del ventenne si era fatto bluastro, mentre una vena aveva cominciato a pulsargli furiosamente su una tempia. -Vogliamo di più. Vogliamo potere vero. Vedete di soddisfarci- e finalmente aveva lasciato la presa alla gola del “collega”, che si era accasciato a terra boccheggiando. Sotto al viso arrossato si poteva notare il segno bianco delle dita dove lo avevano stretto.
-E ora dammi una mano a portare in laboratorio e sbattere in cella questa deficiente- aveva intimato senza scomporsi, afferrando un’estremità del sacco, non prima di avergli assestato un altro calcio. Shiro, ripresosi un poco, aveva obbedito immediatamente, sollevando l’altro capo e caricandoselo in spalla.
-Ho lasciato che si allontanassero, poi mi sono imbucato nel vicolo. A terra c’era questa- concluse, mostrando a tutti la collanina ed invitandoli ad esaminarla uno per uno. -Non capisco, perché quel tipo dovrebbe avercela così tanto con Diana? Va bene, è una ricercata, ma ce ne sono tanti altri e molto più pericolosi…- diede voce ai propri pensieri Mirage. Le sue orecchie di tigre fremettero non appena sentì il profumo di cannella tipico di Diana che emanava dal ciondolo contaminato dall’odore metallico del sangue. Dovevano averla picchiata, prima di catturarla.

-Credo che invece la nostra vedetta abbia proprio qualcosa a che fare con questo Caleb Ayr- disse Rey pensieroso. -E soprattutto che ci abbia tenuto nascosto qualcosa riguardo i suoi rapporti con la Marina militare-
-Ha ragione lui- lo appoggiò Kaith, -altrimenti perché dovrebbe avere con sé un ciondolo del genere? Voglio dire, avete mai visto un pirata che gira portandosi dietro il simbolo della Marina ovunque?- Rey trattenne un brivido non appena pensò al marchio a fuoco sulla schiena di Keyra, quello che la ragazza aveva mostrato loro quando aveva raccontato la sua storia. Anche lei portava il segno della Marina con sé, ma non per scelta. Sperava con tutto il cuore che almeno lei ed Iris stessero bene, altrimenti li avrebbe ammazzati tutti, dal primo all’ultimo. Non poteva fare a meno di sentirsi protettivo nei confronti di compagni e compagne, dopotutto in quanto vicecapitano la responsabilità della ciurma era anche sua.
-Effettivamente, Instar era il nome di un comandante di Marina di una certa influenza nel Mare Meridionale…- commentò Mark, attirando nuovamente l’attenzione su di sé. Aveva molte informazioni riguardo il Governo Mondiale, non c’era ombra di dubbio. -Se non vado errato, lui e sua moglie furono processati e giustiziati quattro anni fa per alto tradimento-
-Ci stai dicendo che Diana potrebbe essere sua figlia? Figlia di un comandante di Marina?- Greta era incredula. -Ci dovrà parecchie spiegazioni appena la recuperiamo, ammesso che decidiamo di farlo-
-Come sarebbe “ammesso che decidiamo di farlo”?- esclamò Kaith. -Aiuteresti una persona così strettamente legata al Governo, se potessi scegliere? Io non credo proprio, con tutto il male che fanno in tutto il mondo- si giustificò la navigatrice, rigirandosi una treccia tra le dita.
-Greta, la vuoi smettere di parlare sempre a sproposito, per far prendere aria alla bocca? Da quando importano le origini di una persona all’interno di una ciurma?- Tutti si voltarono verso Naoaki, increduli. Era la prima volta che partecipava attivamente ad una discussione. -È vero, probabilmente il nostro Governo Mondiale è la causa del male, e allora, cosa dobbiamo fare? Prendercela con chiunque abbia avuto a che fare con esso?-
Si girò a guardare i compagni, soffermandosi su ognuno di loro. -La Marina ci perseguita perché siamo dei fuorilegge, secondo loro. Ma se iniziamo noi a perseguitarli, tradiremmo i nostri ideali, quelli per cui abbiamo scelto di diventare pirati, e allora non saremmo migliori di quelle persone a cui dichiariamo di opporci-
Tutti lo fissavano ammirati. Anche Greta era senza parole: il suo compagno aveva ragione al cento per cento, si era lasciata prendere la mano. Tuttavia, l’orgoglio era troppo per chiedere scusa, così si limitò ad abbassare lo sguardo a terra, bofonchiando un “è vero” tra sé e sé ed arrossendo violentemente.
-Nao, hai già idea di dove possano trovarsi le celle in quell’edificio?- domandò Rey al cecchino. Quello inclinò un poco la testa di lato, riflettendo. -Dunque, osservando la struttura, direi che le possibilità sono due- disse poi. -O le tengono sottoterra…-
-Ehi, genio, abbiamo detto “parte dell’edificio”, cosa vuol dire “sottoterra”?- Era stata una Alex abbastanza spazientita ad intervenire. -Con tutta la gente che lavora alla ricerca, sono certo che il laboratorio si estenda molto oltre la parte che vediamo- la liquidò immediatamente il ragazzo. -Quindi, a meno che abbiano trovato una maniera per rendere i muri trasparenti, dobbiamo presumere che ci sia una sezione interrata-
-E l’altra possibilità?- chiese Kaith. -Considerando la posizione del capannone, direi che potrebbero trovarsi in quell’area- rispose il compagno, indicando un settore laterale al primo piano dell’edificio. -Come mai?- replicò il carpentiere, al quale sfuggiva la motivazione per cui sarebbe stato strategicamente conveniente posizionare le celle in quel luogo.
-La collocazione sopraelevata rende più difficile la fuga- spiegò con naturalezza, come se fosse una cosa da pensare automaticamente. -Inoltre, quel lato dell’edificio dà direttamente sul lago, senza altre possibilità d’uscita, quindi i possessori di un frutto del diavolo si troverebbero doppiamente in difficoltà nel cercare di evadere-
-Avrei anche elaborato un piano d’attacco- proseguì. -Ci divideremo in due blocchi, per dare meno nell’occhio una volta entrati; sicuramente ci staranno aspettando, e stando alle informazioni in nostro possesso, sono armati di “sfere e ventagli extralarge”, per cui occhi aperti. È anche probabile che ci siano dei marine a sorvegliare il lavoro degli scienziati per evitare sgarri o inefficienze nell’elaborazione delle nuove armi che hanno richiesto, per cui prepariamoci a combattere.
Un gruppo andrà al primo piano, l’altro nella parte sotterranea, così potremo verificare dove si trovano effettivamente le prigioni. Chi le trova libererà Diana, mentre se si incontrano Iris e Keyra sarà opportuno metterle al corrente della situazione, ammesso che non siano già state prese anche loro. Una volta compiuta la nostra missione di salvataggio ci ritroveremo all’ingresso, torneremo al porto e ce ne andremo da quest’isola per evitare ulteriori seccature-
-Ottima preparazione, Nao- si complimentò Rey. -Siete tutti d’accordo a procedere in questa maniera?- domandò poi rivolto al resto dei compagni. In mancanza di Iris era lui a detenere l’autorità, ma ci teneva che, prima di tentare il piano, l’opinione favorevole fosse unanime, cosa che venne confermata dai cenni di assenso della ciurma.
-Ragazzi, io però avrei una proposta- avanzò un po’ timidamente Mark. -Dicci pure- lo esortò a continuare Rey. -Stavo pensando… quando saremo al laboratorio, va bene, difendiamoci dagli attacchi dei marine, se ci saranno, ma cerchiamo di non ferire i ricercatori. Voglio dire, loro non c’entrano niente, sono lì per lavorare e, come spiegava prima Naoaki, sono costretti a collaborare col Governo sotto minaccia, per cui non mi sembra giusto fargli del male-
-Detesto ammetterlo, ma io sono dalla parte del dottore- gli diede manforte Greta, anche per cercare di riparare all’errore commesso prima nel giudicare Diana e chi aveva rapporti con il Governo Mondiale. -Va bene, tenteremo di fare il possibile- affermò Rey. In cuor suo, il vicecapitano sperava solo, se si fossero davvero trovati a dare battaglia, di riuscire a controllarsi; quando combatteva non ragionava, uccideva e basta, perciò trattenersi poteva diventare un problema, ma effettivamente (per quanto amasse la vista del sangue) l’idea di massacrare degli innocenti indifesi non gli piaceva. Sarebbe stato come attaccare una nave incontrata sul proprio cammino senza un motivo, solo per divertirsi… Sarebbe stato come seguire le orme dei carnefici dei suoi genitori, e sarebbe morto pur di non compiere una simile empietà.
Con Kahir che li precedeva in volo, proseguirono dunque lungo la strada, mentre alla fine di essa l’edificio che dovevano raggiungere si ingrandiva sempre di più. Naoaki la guardò nuovamente, assaporando la perfezione del piano che aveva elaborato per irrompere nell’edificio: la strategia era sempre stata il suo forte. Sarebbero avanzati su più fronti, per poi riunirsi e riacquistare il massimo della potenza.
D’altra parte, anche Caleb non sarebbe certo rimasto a guardare con le mani in mano. Per quello che aveva avuto modo di vedere, anche lui doveva essere uno stratega molto abile, dunque era opportuno stare in guardia. La scacchiera era pronta, i pezzi erano stati disposti, e la prima mossa spettava a loro: la partita tra lui e Ayr poteva avere inizio.

 

 

 
Angolo dell'autrice

Come si dice, o almeno credo si dica, "le cose belle non sono destinate a durare a lungo" -infatti non si dice- allora da oggi in poi aggiungetelo alla lista dei detti antichi appena inventati
Motivazione? A dire il vero sono due: la prima riferita alla puntualità dei miei aggiornamenti (e diffatti sono in ritardo T-T), la seconda alle vacanze, che purtroppo si avviano alla loro conclusione. Eh già, lunedì prossimo tornerò a sudare sui banchi e i libri, dopo due mesi di assoluto relax, che devo dire mi sono serviti, ma si stanno ripercuotendo negativamente sul mio tempo libero in questi giorni (anche se devo dire che, pur non avendo fatto mezzo compito in tutte le vacanze, ci sto mettendo veramente poco a recuperare)
Cosa significa "ritorno a scuola"? Significa "preparatevi perché torna l'incognita dell'aggiornamento". Come avevo detto l'anno scorso, non so come e quando il tempo di scrivere si presenterà, per cui vi chiedo di portare pazienza e controllare di tanto in tanto se mi sono fatta viva. Dubito di riuscire a tenere il ritmo di un capitolo al mese, ma chi può dirlo... il prossimo potrebbe arrivare tra un mese come tra sei, non vi so davvero anticipare nulla. Come ho già detto, abbiate pazienza. In ogni caso, se dovessero essere passati più di due mesi da questo aggiornamento quando metterò il capitolo seguente, manderò a seguiti, preferiti e ricordati un avviso privato.
Dopo tutta questa fila di balle avvisi passiamo a parlare della storia. Abbiamo una Diana catturata, molestata e pestata da Caleb -Diana: Swan, ti odio- scusami, tresure, ma è necessario -Diana: *alza il dito medio*- tra l'altro Caleb in origine non esisteva nel passato di Diana, quando l'ho creata, ma ho scelto di inserirlo perché fa sempre figo l'amico traditore (almeno secondo me)
Ora vi starete chiedendo: ma che razza di senso ha il titolo del capitolo? Ehm... non ne ho la minima idea, ma mi sembrava suonasse bene ^-^" Se ci pensate, ci sono tre catture (Diana nello scorso capitolo, Iris e Keyra in questo), mentre per quanto riguarda le trame c'è Caleb che trama di catturare tutta la ciurma e sbatterla al fresco, ma contemporaneamente la ciurma che trama di andare al laboratorio e prendere a calci nel fondoschiena il sopracitato... insomma, un gran casino, non si capisce chi dà la caccia a chi (ed ecco perché la seconda parte del titolo)
Dunque, direi che ho finito. Non sto a ribadire i ringraziamenti a tutti i lettori silenziosi o meno perché tanto sono sempre gli stessi -Swan, hai appena usato la figura retorica della preterizione- Coscienza, non ricordarmi che devo tornare a studiare poesia T-T -e il bello è che le piace anche- non dirlo, potresti rovinare la bella impressione che hanno di me -quale bella impressione?- basta, ci rinuncio -.-"
Un bacione a tutti,

Swan

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Capitolo 9
*** 8. Fronti molteplici ***


UNA GRANDE AVVENTURA



Capitolo 8: Fronti molteplici
 
-Iris, è inutile, smettila- disse Keyra rassegnata alla compagna, che si era scagliata per l’ennesima volta contro la porta della cella tentando, con scarsi successi, di sfondarla. Per quanto fosse dotata di una buona forza fisica, sarebbe stato improbabile per la diciottenne riuscire a vincere la resistenza di uno spesso strato di metallo, anzi, di un doppio strato di metallo, forse anche triplo; quasi certamente infatti si trovavano in una cella rinforzata, lo si poteva intuire dal suono smorzato prodotto dai colpi.
-Tirateci fuori di qui, bastardi!- urlò il capitano, ricevendo come risposta solo il rimbombo della sua voce nel corridoio. Un sospiro frustrato le uscì dalle labbra, mentre si accasciava sfinita contro la parete. La stanchezza provocatale dai numerosi attacchi alla porta veniva notevolmente amplificata dalle manette di agalmatolite che si era ritrovata ai polsi al suo risveglio. Tali manette erano state applicate anche a Keyra, anche se su di lei la sostanza non aveva effetti, escluso quello di limitarne i movimenti delle braccia.
Sollevò la testa. Si sentiva come un uccello in gabbia, e soprattutto era arrabbiata con sé stessa per come si era lasciata catturare facilmente. -Non riusciresti a sfruttare i tuoi poteri per uscire? Che ne so, puoi provare a fondere la porta col fuoco…- suggerì alla compagna, rivolgendole uno sguardo supplichevole.
Quella scosse la testa. Purtroppo, il calore delle fiamme che la sua magia le permetteva di generare non si avvicinava neanche lontanamente a quello necessario per liquefare il metallo. Se solo avesse potuto manipolare anche il magma, come l’uomo che l’aveva catturata e costretta a subire soprusi a non finire… Maledisse mentalmente Akainu, mordendosi il labbro.
-Mmmmmh… No!- gridò Iris dopo qualche istante, sbattendo la fronte contro il freddo metallo. -Devo assolutamente uscire! Diana ha bisogno di aiuto!- continuò, riprendendo a dare colpi disperati a quella stupida parete che la separava dalla libertà.
L’urlo dell’amica le era arrivato come un riecheggio lontano, ma potente. Un urlo di dolore autentico e bruciante, capace di divorare tanto chi lo udiva quanto chi l’aveva emesso. In più, la vedetta aveva una sopportazione altissima: se era arrivata a gridare così, significava che era veramente al limite.
-Iris- le sussurrò Keyra, accostandolesi ed appoggiandole una mano sulla spalla. La mora si fermò, tremando vistosamente a causa del misto di frustrazione e spossatezza. Lentamente si voltò a fissarla, con lo sguardo chiaro velato di lacrime.
In quel momento la cuoca si sentì più che mai fiera di avere scelto quella stramba ragazza come capitano. I suoi valori erano autentici e si manifestavano chiaramente ora. Erano lì, rinchiuse in una cella, senza sapere cosa sarebbe stato di loro; eppure, lei non si curava di sé stessa, ma di un’amica in pericolo, e questo le faceva onore. Non solo la Marina, ma anche molta gente si sbagliava: non tutti i pirati erano malvagi e senza scrupoli, e lei ne era la prova vivente.
-Iris- ripeté, -per il momento non possiamo fare nulla-. -No! Mai! Non dobbiamo arrenderci!- esclamò di nuovo l’altra, facendo per rimettersi a prendere a testate la porta. -Aspetta un attimo!- la bloccò a quel punto, prendendole la faccia tra le mani per costringerla a puntare di nuovo gli occhi nei suoi; trasse poi un respiro profondo.
-Io non sto affatto dicendo di arrenderci- cominciò, guardandola con severità. -Arrendersi non ha senso ed è ingiusto, oltre che un atteggiamento da codardi. Sto soltanto considerando che ora come ora non siamo in grado di agire. Non sappiamo come liberarci e, anche ammesso che ci riuscissimo, non sapremmo dove trovare Diana. Dunque, direi di rimanere qui e cercare di elaborare un piano d’azione, prima di buttarci a capofitto in qualcosa per cui potremmo non essere pronte-
La mora si morse il labbro, torturandoselo qualche istante con i denti prima di annuire poco convinta. Non era nelle sue intenzioni rimanere bloccata lì, ma purtroppo Keyra aveva ragione, attualmente non avevano altra possibilità. -Speriamo almeno che gli altri stiano bene…- sussurrò tra sé e sé.
Avevano lasciato il resto della ciurma quando erano andate a casa con Shia, perciò in teoria loro non sapevano del loro essersi recate al laboratorio. Ciò era da una parte un bene, perché impediva che venissero a loro volta coinvolti nella mischia in un eventuale tentativo di salvarle; dall’altra, tuttavia, li poneva in una condizione di rischio anche maggiore, dato che molto probabilmente erano già dei bersagli individuati.
Quando Shiro e gli scienziati le avevano attaccate, le avevano chiamate per nome. Qualcuno sapeva della loro presenza sull’isola: di conseguenza, erano tutti potenzialmente in pericolo.
Strinse i denti. Non restava che da attendere pazientemente un’occasione qualsiasi per liberarsi, in modo da coglierla al volo quando si fosse presentata.
 
 
 
-È il piano più idiota che potessimo scegliere- bofonchiò Alex contrariata, appiattendosi contro la parete per poter avanzare con maggior facilità nell’angusto passaggio. -Taci e non fermarti, altrimenti sarò costretto a passarti sopra- le fece di rimando Kaith.
Effettivamente la situazione non era delle più confortevoli. Al momento, i due stavano strisciando all’interno degli stretti condotti di metallo che, come aveva intuito Naoaki, servivano per l’areazione dei laboratori sotterranei.
Nell’avvicinarsi al grande “capannone centrale”, come avevano ribattezzato il corpo principale dell’edificio, avevano infatti notato che nel terreno erano presenti numerose piastre circolari e metalliche; sollevandone una, avevano rivelato l’accesso ad una sorta di tubatura che scendeva obliquamente ad una profondità indefinibile a causa della distanza. Era stato a quel punto che il cecchino di bordo aveva ideato una strategia per entrare di nascosto.
Nel complesso, la studiosa doveva ammettere che lo schema secondo cui avevano deciso di agire era ben progettato. Lei e Kaith si sarebbero introdotti nella struttura, giungendo direttamente nel suo nucleo, ed avrebbero attaccato (cercando, come stabilito assieme agli altri, di evitare gli scienziati nei limiti del possibile). In questo modo, avrebbero attirato la maggior parte del personale e delle guardie su di sé, liberando la strada al resto del gruppo, che sarebbe così andato ai piani superiori per liberare le compagne prigioniere; una volta fatto ciò, si sarebbero ritrovati tutti nei laboratori, per poi andarsene per sempre da quel dannato luogo.
La scelta era ricaduta su di loro perché, essendo dotati di poteri legati al buio e all’oscurità, erano anche i più adatti a creare diversivi. Tuttavia, nell’opinione della ragazza, per quanto ben organizzati potessero essere, quel piano aveva un che di scontato. Andiamo, entrare dalle tubature? Anche uno stupido ci sarebbe potuto arrivare… Motivo per il quale dovevano prestare molta più attenzione a non farsi scoprire.
Ad un tratto, senza preavviso, un sussulto la portò a sbattere contro il condotto, producendo per fortuna un rumore abbastanza smorzato; riuscì a soffocare in un gemito l’urlo di sorpresa.
Si voltò allarmata, cercando con le dita il fodero del coltello appena acquistato, che le pendeva ora in vita a fianco dell’altra arma che già possedeva. Era pronta a difendersi.
Qualcosa le aveva infatti bloccato la spalla sinistra, strattonandola indietro. -Kaith!- bisbigliò, cercando di richiamare l’attenzione del compagno per verificarne la presenza. Se qualcuno o qualcosa li aveva attaccati da dietro e in maniera così repentina e silenziosa, probabilmente lui era già bello che andato.
-Alex, ma che ti salta in mente? Vedi di non fare rumore!- le rispose l’altro, palesemente irritato. -Qualcosa mi ha afferrato, scemo! Pensavo che magari ti avessero già fatto fuori, anche se probabilmente sarebbe stato un bene, vista la situazione-
Si interruppe un attimo, pensierosa. -Aspetta un attimo… Se ci sei solo tu… Perché mi hai preso il braccio? Vuoi far saltare tutto e farci scoprire?- gli ringhiò contro, senza nemmeno voltarsi a guardarlo.
-Ehi, geniaccia, io non ti ho preso proprio niente. Se ti degnassi di controllare prima di sparare idiozie, magari eviteresti figuracce come questa in futuro- aggiunse lui, altrettanto innervosito.
Con un sonoro sibilo, la mora si girò indietro. Il ragazzo stava a circa un metro e mezzo di distanza da lei, dunque era decisamente fuori dalla sua portata. Ciò che le aveva impedito di avanzare non era altro che un piccolo pannello sconnesso, che al suo passaggio aveva intrappolato un lembo della lunga maglia che indossava. Man mano che era proseguita, il tessuto si era teso come un elastico, per poi bloccarsi una volta arrivato al limite, immobilizzandola.
-Oh, al diavolo!- esclamò, dando uno strattone deciso per liberarsi. Pessima scelta, dato che l’indumento si strappò in due, lasciandole la schiena completamente scoperta. -Ti sembra il momento di fare striptease?- commentò ironicamente Kaith, guadagnandosi l’ennesimo sibilo da parte della compagna.
-Cerca di non indugiare troppo, o ti cavo gli occhi- lo minacciò, riprendendo ad avanzare. Era grata che il buio parziale celasse il rossore che si faceva strada sulle sue guance. -Oh, tranquilla, non è il mio genere di spettacolo preferito- la rassicurò. -Probabilmente Mark avrebbe gradito di più-
Un soffocato “problemi tuoi” lo liquidò definitivamente. In effetti, però, il ragazzo doveva ammettere che Alex non era niente male, almeno per i suoi standard: non era troppo magra (come invece buona parte delle altre della ciurma) e nemmeno eccessivamente formosa, ma la pelle e gli occhi chiarissimi erano in perfetta antitesi con la capigliatura, nera e corta, ed erano valorizzati ancora maggiormente dalla sua predilezione per vestiti dalle tinte scure; in più, le due zanne che le spuntavano dal labbro superiore, simili ai venefici denti di una vipera, che a molti sarebbero sembrate sinistre, esercitavano secondo lui un potere magnetico e attrattivo.
Aggrottò un po’ la fronte, tuttavia, nel notare (nonostante la fioca luce presente nel tunnel) un segno obliquo su quella pelle candida, circa all’altezza dei reni, che le attraversava la schiena da parte a parte. A giudicare da com’era ben marcata, quella cicatrice doveva derivare da una ferita abbastanza profonda.
Per un istante fu tentato di domandargliene la causa, ma decise di evitare di sollevare l’argomento per non irritarla ulteriormente. Ci sarebbe stato tempo in seguito per le spiegazioni, mentre al momento, dopotutto, si disse maliziosamente, un’occhiata in più del dovuto ad altri dettagli, avendone la possibilità, non guastava affatto.
 
 
 
Dopo che ebbe fatto ruotare la chiave nella serratura la porta della cella si aprì con lentezza esasperante, cigolando sugli stipiti.
Shiro la richiuse alle sue spalle, avvicinandosi al centro della stanza. Caleb l’aveva mandato a prelevare la prigioniera per portargliela: a quanto pare, voleva farle altre domande, non avendo ottenuto risposte soddisfacenti dal loro precedente colloquio.
La ragazza era stesa a terra su un fianco, probabilmente stava dormendo. -Andiamo, Instar, svegliati- le disse con fermezza, scuotendola; non ottenendo risposta, le afferrò una spalla per girarla nella sua direzione. Quando però si fu voltata, ciò che vide gli fece gelare il sangue. -Che c’è, sei venuto a infierire anche tu?- gli chiese sarcasticamente Diana, con una smorfia che tentava di essere un sorriso beffardo.
La faccia della ragazza era spaventosa. Oltre ad un vistoso bozzo sulla fronte, l’occhio sinistro era contornato da un alone violaceo, così come gli zigomi; l’occhio destro invece era arrossato, e talmente gonfio che andava quasi a toccare la lente degli occhiali, che le stavano storti. Dal naso le scendeva un rivolo di sangue rappreso, che andava a fermarsi sul labbro, anch’esso rigonfio, dove spiccavano tra l’altro due tagli rossi, uno laterale e l’altro al centro; quest’ultimo doveva esserselo inferta da sola mordendosi, a giudicare dal segno dei denti, oppure… Shiro non osava nemmeno pensare all’altra possibilità. Trattenne un conato di repulsione istantaneo, girandosi di scatto dall’altra parte.
-Cos’è, siamo sensibili alla violenza?- rincarò la dose lei con amarezza. -Invece dovresti guardare bene, così ti rimarrà un promemoria di quello che ti succederà il giorno che Caleb Ayr deciderà che non gli stai più simpatico-
Il ragazzo era troppo sconcertato per rispondere. Tutta quella violenza era semplicemente immotivata; tra l’altro, prendersela così con una ragazza ammanettata ed inerme, anche se era una criminale, risultava abbastanza spregevole. -Ma perché…- cominciò, prendendosi la testa tra le mani per provare a tranquillizzarsi.
-Perché l’ha fatto, dici? Non saprei, forse perché è un sadico bastardo senza un’anima che si diverte a torturare e distruggere le persone psicofisicamente?- ipotizzò la mora, trattenendo un gemito quando si mise seduta per guardarlo meglio. Si sentiva come se le costole le fluttuassero liberamente nel torace, anziché essere tenute insieme.
-Quando l’ho conosciuto non era così!- sbottò lui, cercando di convincersi che ciò che stava vivendo non era tutto un maledetto incubo, ma una amara verità. -Sono anni che ho familiarità con Caleb, all’inizio era una persona completamente diversa. Ci eravamo conosciuti per caso, io stavo viaggiando per cercare qualcuno disposto a finanziare le ricerche mie e dei miei colleghi su come ricavare energia dai tornado e lui, essendo ben inserito nella Marina anche se era solo un ragazzino, si è offerto di portare avanti la mia causa-
-All’inizio la gente ti mostra sempre solo il lato di sé che puoi apprezzare, poi però ti rifila le fregature peggiori- considerò Diana. L’altro continuò imperterrito il suo monologo, come se non l’avesse nemmeno sentita.
-In poco tempo riuscì a convincere i suoi superiori a darmi del denaro per cominciare a condurre esperimenti. Il problema è che c’era un cavillo di fondo, che mi fu spiegato solo una volta tornato a Kaze e discusso con il team di studiosi miei colleghi. I fondi non erano stati stanziati per la ricerca su come ricavare energia dalle tempeste di vento, ma per trovare il modo di sfruttarle per produrre armi-
-E ti pareva…- bofonchiò l’altra. Sapeva bene che, quando la Marina o il Governo incentivavano dei progetti, c’era sempre di mezzo un possibile impiego dei ritrovati in campo militare. -Ovviamente tutti noi abbiamo protestato- spiegò il giovane. -Non era nostra intenzione assecondare le loro richieste, anche se ciò avesse comportato la restituzione dei soldi che avevano stanziato per noi. Non volevamo assolutamente collaborare a creare potenziali strumenti di distruzione di massa-. Si prese tra pollice ed indice l’attaccatura del naso, chiudendo gli occhi. -È già abbastanza difficile pensare che una volta all’anno la nostra isola sia devastata dai tornado per cause naturali, e che ogni volta che ciò accade, per quanto ci prepariamo per poter contenere i danni, dobbiamo sempre lavorare sodo per ricostruire ciò che viene distrutto. Ma sapere che qualcuno potrebbe scatenare a comando quelle tempeste, tenendo sotto scacco intere regioni…- Scosse la testa, cercando di scacciare i pensieri molesti. Aveva iniziato a tremare, prima quasi impercettibilmente, poi in modo sempre più violento. -Spregevole, lo so- commentò Diana, che nel frattempo cercava sia di ascoltare il racconto del ragazzo, sia di riprendersi dal dolore, che forse cominciava a darle qualche attimo di tregua. -Ma ehi, che ci vuoi fare, il Governo è fatto così. Si ragiona secondo il principio del... Aspetta, com’era? “Per mantenere la pace bisogna usare la guerra”?- domandò più a sé stessa, cercando di ricordarsi alcune cose che le raccontava suo padre riguardo i principi morali da seguire. Era una ferita aperta ripensare a quanto quegli insegnamenti, da lui sempre rigidamente rispettati, l’avessero condotto alla morte. -Beh, quello che è- concluse poi, alzando le spalle e provocandosi una stilettata alle scapole. Ma quale tregua, fa ancora un male cane.
Constatando che Shiro non aveva più aperto bocca, ma se ne rimaneva seduto a terra accanto a lei, sempre scosso da tremori, gli domandò: -Ti senti poco bene, per caso?- Non ricevendo risposta stavolta fu lei ad avvicinarglisi, e si accorse solo allora delle lacrime che gli solcavano il viso. -L’isola… le armi… il Governo…- cominciò a balbettare il rosso, ma le sue frasi erano sconnesse e intervallate a singhiozzi. Normalmente la vedetta avrebbe considerato la scena decisamente patetica, ma per qualche motivo sconosciuto non stavolta.
Anzi, no. Non era un motivo sconosciuto: sapeva benissimo perché era incapace di trovare lo stato di quel ragazzo pietoso. Perché anche lui, proprio come lei, era una vittima della Marina e del Governo Mondiale. Come anche i suoi genitori. Come Iris e Keyra. Come tutti i ricercatori di Kaze. E come tantissime altre persone in tutto il mondo che, per paura e bisogno di protezione, si ritrovavano alla completa mercé di un manipolo di persone pronte a tutto pur di sfruttare le loro debolezze per costringerli ad agire contro il loro volere, come tanti servi obbedienti.
Se avesse avuto le mani libere dalle manette, ne avrebbe tesa una e l’avrebbe appoggiata sulla spalla del ragazzo in un gesto di solidarietà, ma purtroppo non aveva questa possibilità, perciò gli diede un colpetto sul braccio con il lato sano (o meglio, con quello meno contuso) della testa.
-Ascolta, Shiro… ti chiami così, giusto?- chiese con cautela. Quello si limitò ad annuire debolmente, sempre in mezzo alle lacrime, il volto nascosto tra le mani. La giovane continuò. -Tu e i tuoi colleghi non avete fatto nulla di male. Siete stati costretti a collaborare, altrimenti la Marina sarebbe arrivata qui e avrebbe raso al suolo tutta l’isola. Non avete nulla di cui farvi colpa, anzi, il vostro comportamento è ammirevole. Avete messo da parte i vostri progetti pur di salvare la vostra gente, e questo vi fa onore-
-E… E tu come… Fai a sapere… Che… Minacciavano di distruggere Kaze?- le chiese il ricercatore, sollevando un poco la faccia per guardarla. I suoi occhi azzurri sembravano uno specchio d’acqua, letteralmente, talmente erano pieni di lacrime. Diana gli sorrise, anche se probabilmente ciò che ottenne fu una mezza smorfia per via del gonfiore deforme del suo viso. -So come lavora la Cipher Pol, perché come Caleb, anch’io ne facevo parte- confessò, riportando alla luce dopo tanto tempo quel macigno che si portava sulla coscienza.
-È anche per questo che ho deciso di diventare un pirata- aggiunse, sotto lo sguardo incredulo di Shiro, che nel frattempo iniziava a calmarsi un poco. Evidentemente, la notizia che anche lei era stata un agente governativo aveva distratto la sua mente dai rimorsi. In più, una delle qualità nascoste di Diana era proprio quella di essere in grado di tranquillizzare le persone semplicemente parlandoci. Era vero, la diplomazia non era in genere il suo forte, e alle volte i suoi metodi potevano risultare molto diretti e decisamente poco ortodossi (non per niente era stata un agente segreto), ma alla fine riuscivano sempre nel loro intento “rilassante”.
-Se chi ci comanda sono un gruppo di corrotti, che ci obbligano all’obbedienza con la forza della minaccia, solo per fare i propri interessi, allora è meglio essere un fuorilegge- concluse il suo discorso, richiudendosi dunque nel silenzio in attesa di una eventuale reazione dell’altro, positiva o negativa.
Quello si alzò un po’ la visiera del berretto, passandosi una mano sulla faccia per asciugare anche le ultime tracce del pianto. La ragazza aveva ragione al cento per cento: aveva agito sotto le intimidazioni di morte e distruzione dei superiori, cioè del Governo, ma agire per chi detiene il potere non sempre significa agire secondo giustizia. La guardò attentamente, imprimendosi nella mente ogni singolo livido, ogni ferita che riusciva a scorgere sul suo corpo. “È questa la giustizia, Shiro?” si domandò all’interno propria mente. “Accanirsi su qualcuno di inerme in maniera tanto efferata per il puro gusto di farlo? Tenere in scacco un’intera comunità solo per arricchirsi e saziare la propria sete di dominio sul mondo? Io non credo proprio”.
Prese un respiro profondo, poi si alzò in piedi, facendo leva con le mani sulle ginocchia per aiutarsi. -Diana- richiamò l’attenzione della giovane, che alzò la testa di scatto. -Adesso ti devo portare da Caleb- disse con tono perentorio, sotto lo sguardo avvilito della vedetta. Dunque il discorso e lo sfogo non erano serviti a nulla, pensò in cuor suo, mentre già si preparava ad un secondo round di pestaggi.
Tuttavia, si dovette ricredere non appena vide l’espressione del ragazzo. Aveva un sorriso sghembo, stranamente dolce, ma, a suo modo, determinato. Indecifrabile ed inquietante, decisamente, ma in un senso vagamente positivo. Lui si inginocchiò nuovamente, per poterla fissare dritta attraverso le lenti degli occhiali. -Ma prima…- aggiunse, facendo scivolare una mano dietro la sua schiena ed attirandosela più vicino, come se volesse abbracciarla. Diana roteò gli occhi al cielo, innervosita da quella “manifestazione d’affetto”. Si preparò a tirargli una testata, incurante del male che avrebbe fatto a sé stessa (se lo meritava, c’era poco da fare), ma si bloccò non appena sentì qualcosa cadere pesantemente a terra dietro di lei. Tornò a guardare il rosso, sgranando gli occhi. Quello mantenne l’espressione divertita. -Che c’è? Non vorrai mica andare a salutare un vecchio amico e presentarti in manette, vero?-
 
 
 
Rey trattenne un ringhio, mentre si nascondeva meglio dietro a una delle prese d’aria del terreno circostanti il laboratorio. Aspettare non rientrava decisamente nelle sue corde: lui era più il tipo da “entriamo, uccidiamo tutti e ce ne andiamo”. Naoaki, però, era stato categorico riguardo al piano da seguire, e il vicecapitano lo trovava così ben studiato che non se l’era sentita di contestare; anche perché, se veramente stavano per avere a che fare con un agente segreto governativo, sferrare un attacco diretto era impensabile. Sarebbe stato come consegnarsi su un piatto d’argento alla Marina, pronti per la galera o, più probabilmente, per il patibolo.
Lanciò uno sguardo distratto agli altri. Si trovavano tutti in posizioni simili alla sua, rintanati dietro quei grossi cilindri metallici che avevano la funzione di rifornire di aria le sale sotterranee per la ricerca. Gli unici che mancavano all’appello erano Alex e Kaith, che sarebbero penetrati direttamente nel piano interrato della struttura, ed Ellesmere. La ragazza, infatti, aveva avuto l’idea aggiuntiva (ed accettata di buon grado dal cecchino come integrazione della sua strategia) di separarsi dal grosso del gruppo e girare attorno all’edificio. Lì, grazie ai suoi fuochi artificiali, avrebbe attirato l’attenzione delle guardie, che per inseguirla avrebbero lasciato scoperta l’entrata principale, permettendo così agli altri di introdursi nel cuore del laboratorio. Sarebbero stati poi gli altri due “infiltrati” a creare ulteriori diversivi, di modo che il resto della ciurma si recasse nelle celle ai piani superiori per liberare Iris, Keyra e Diana mentre la sorveglianza confluiva su di loro. Per concludere in bellezza, il ritrovo era previsto proprio nelle sale sotterranee, dove tutti assieme avrebbero neutralizzato ogni singolo marine che gli si fosse parato davanti.
Un piano eccellente, non c’era che dire. Rey si volse verso il loro stratega di bordo, un paio di prese più avanti rispetto a lui. Era intento a lucidare una delle sue pistole, per ingannare il tempo in attesa di dare inizio all’incursione; del resto, come aveva ripetuto più e più volte, era necessario che si coordinassero in maniera impeccabile per evitare di correre rischi inutili.
Lanciò un’occhiata anche a tutti gli altri membri della ciurma, per assicurarsi che fossero vigili e pronti a scattare al minimo pericolo o, semplicemente, al minimo segnale di cambiamento. Mirage stava appoggiata su un fianco, giocherellando distrattamente con un filo che penzolava dal bordo del suo cappotto. Mark era seduto con la schiena contro la parete di uno dei cilindri metallici, a ginocchia piegate, massaggiandosi vigorosamente le tempie per scacciare anche gli ultimi fumi della sbornia e facendo voto personale di non toccare una singola goccia d’alcool per almeno un mesetto. Greta, invece… Gli occhi neri del ragazzo si spalancarono di scatto, mentre le sue gambe si contraevano in uno spasmo involontario.
Il movimento non sfuggì al cecchino, che gli si rivolse con un’espressione interrogativa sul volto. Cercando di tenere il volume della voce il più basso possibile, anche se erano ben lontani dalla portata d’orecchio delle guardie, gli domandò: -Dov’è Greta?- Il compagno posò a terra l’arma che fino a un attimo prima era stata il centro delle sue attenzioni, issandosi sui palmi delle mani per dare un’occhiata attorno. Constatata l’assenza della navigatrice, chiuse un attimo gli occhi, portandosi una mano alla fronte. Quella nevrotica gli avrebbe causato non pochi problemi, oggi o in futuro, se lo sentiva.
-Eccola lì!- La voce sottile di Mirage li richiamò entrambi. La tigre, che aveva sentito grazie ai suoi sensi felini la loro conversazione, indicava un punto molto vicino al lago. A dire il vero, ciò che si poteva notare era solo l’addensarsi di una strana nebbiolina in quell’area, il che attirò non solo la loro attenzione, ma anche effettivamente quella delle sentinelle all’ingresso, che si diedero di gomito a vicenda prima di avvicinarsi alla zona interessata. Appena si furono approssimati abbastanza, il vapore, come fosse un essere senziente, balzò loro addosso, afferrandoli letteralmente e soffocandoli prima che avessero l’opportunità di gridare per rivelare la loro difficoltà.
-Comunque io sarei qui- commentò acidamente Greta, sbucando da circa cinque prese d’aria più avanti. -Mi sembrava il caso di cominciare a fare qualcosa- si giustificò, quando sentì su di sé gli sguardi infuriati di tutti e quattro i suoi compagni, Mirage compresa. -L’idea del “piano come un meccanismo delicato” proprio non ti entra in testa, eh? Ognuno di noi deve cooperare con gli altri solo quando è il suo momento, come ingranaggi che si incastrano a dovere, altrimenti rischia di saltare tutto!- sibilò Naoaki. Lo scorpione che aveva tatuato sull’occhio contrasse la coda a causa della sua espressione accigliata. -Mi stavo annoiando, aspettare è troppo…- ribatté la giovane, coi capelli multicolori che oscillavano al vento perenne, ma fu interrotta da un forte fischio proveniente dall’altro lato dell’edificio.
Uno scoppio, seguito da un bagliore rosso e verde, segnalò a tutti quello che stava accadendo: evidentemente, Ellesmere aveva iniziato ad attuare la sua “parte del meccanismo”, come l’aveva appena definita l’inventore di quella delicata macchina in persona. Un’altra esplosione, questa volta blu e gialla, ottenne l’effetto che tutti speravano. In un attimo, dalla struttura cominciarono a defluire una decina abbondante di marine, avvolti in uniformi bianche, vagamente simili a dei camici da laboratorio, tutti diretti verso l’origine di quel caos.
Mark ebbe un tuffo al cuore nel pensare ciò che sarebbe potuto succedere alla loro compagna. Certo, lei era forte e abile nell’usare i suoi poteri, ma era così minuta, e i soldati erano così tanti… -Andiamo, ragazzi, tocca a noi!- La voce di Naoaki lo richiamò: adesso toccava a loro mettere in funzione il resto del meccanismo. Una volta constatata la totale assenza di guardie all’ingresso, grazie all’haki dell’osservazione, il moro aveva infatti dato il via libera all’incursione. Si alzarono tutti in piedi, iniziando a correre in direzione della porta.
Il medico di bordo si bloccò un attimo, incerto sul da farsi. Adesso, poteva vedere chiaramente, sull’altra sponda del lago, Ellesmere che si dava da fare, fronteggiando tre marine contemporaneamente. -Mark, muoviti!- lo incalzò Rey, che nel frattempo aveva già un piede all’interno dell’edificio. La sua smania di combattere, unita alla preoccupazione per Iris, Keyra e Diana, lo ponevano naturalmente in prima fila nell’attacco. Il pensiero di quello che potevano aver fatto alle sue amiche, poi, lo mandava letteralmente in bestia. Sentiva già il cerbero che era in lui risvegliarsi, ringhiando cupamente nel profondo delle sue viscere in attesa di ottenere il via libera di sfogarsi.
-Entrate voi, io vado a dare manforte ad Ellesmere, ha bisogno di aiuto- affermò il medico, lisciandosi l’accenno di barba che gli incorniciava il mento. Quella piccola furia pirotecnica, per quanto forte, non era in grado di tenere testa ad una guarnigione così fornita da sola.
Stava per scattare in direzione opposta, quando Greta lo afferrò per un braccio. -No, non arriveresti mai in tempo per aiutarla, ti toccherebbe fare tutto il giro del perimetro per raggiungerla. Ci penso io- Anche se il suo sguardo rimaneva, al solito, glaciale e vuoto, il suo tono di voce lasciava intuire che il suo intento era quello di rassicurare. La navigatrice, sempre col volto sferzato dalle trecce, evocò una piccola nuvola di vapore solidificato e ci saltò sopra, poi la mosse rapidamente in modo da sorvolare l’acqua. Così facendo, avrebbe potuto attraversare la superficie del lago molto rapidamente, raggiungendo la musicista di bordo ed offrendole il suo appoggio nel combattimento.
Il ragazzo sostenne gli occhi dell’altra, poi annuì convinto. -Fai attenzione- aggiunse a mezza voce, senza sapere se si stesse rivolgendo maggiormente a lei o alla ben più lontana Ellesmere. Questa volta fu Mirage ad appoggiargli una mano alla spalla, per quanto la sua altezza di una ventina di centimetri inferiore glielo rendesse difficoltoso. -Stai tranquillo, Mark- lo incoraggiò la tigre, -vedrai che saranno di ritorno in men che non si dica-
Lo spero, pensò lui; poi seguì i suoi compagni all’interno della struttura, non prima di aver lanciato un’ultima occhiata a quella macchietta rossa e bianca che combatteva sull’altra riva del lago.
 
 
 
Sia Iris che Keyra si erano appisolate, stanche di essere imprigionate senza possibilità di fuga. La prima, esaurite le energie nei suoi tentativi di sfondare la porta, se ne stava sdraiata ai piedi del muro con gli occhi chiusi; tuttavia, si poteva notare come il suo sonnecchiare non fosse tranquillo, perché periodicamente la sua faccia si contraeva in spasmi e le mani le si stringevano a pugno, come se stesse lottando contro qualcuno o qualcosa. Sicuramente, l’agalmatolite che le bloccava i polsi era complice di quella sofferenza.
Keyra, da parte sua, era appoggiata con la schiena alla parete, le ginocchia portate al petto. Anche le sue palpebre si stavano facendo pesanti, se non altro per la noia dell’attesa che accadesse qualcosa, qualsiasi cosa. Se prima, quando aveva discusso col capitano, era certa che da un momento all’altro i loro amici sarebbero arrivati a liberarle, ora non ne era più tanto sicura. O meglio, non del fatto che gli altri non si fossero già adoperati per tirarle fuori di lì, quanto del tempo che ciò avrebbe richiesto.
Il suo calo di attenzione la portò quasi a non notare un leggero scricchiolio proveniente da un lato della cella, che imputò ai rumori di assestamento dovuti ai colpi che Iris aveva sferrato prima alla porta. Invece, il suono era dovuto proprio all’apertura di quest’ultima.
Una lama di luce andò a rischiarare l’interno in penombra della stanza, allargandosi lentamente; evidentemente, chiunque stesse entrando si stava muovendo con cautela, del resto si stava avvicinando a due ragazze che, per quanto ammanettate e vagamente provate, non erano da sottovalutare, soprattutto contando la loro ferma volontà di andarsene da quel luogo alla prima occasione.
La guardia riaccostò la porta, senza tuttavia richiuderla a chiave, il che era strano, indubbiamente. Keyra, risvegliandosi un po’ dal torpore in cui era caduta, diede un colpetto a Iris per richiamarne l’attenzione. -Cosa succede?!- scattò come una molla il capitano, mettendosi a sedere e guardandosi a destra e a sinistra freneticamente. Non appena notò la figura che era giunta a far loro compagnia, si lanciò nella sua direzione.
-Va tutto ben…- aveva iniziato a dire il nuovo arrivato, ma il fiato gli si mozzò in gola quando una prepotente testata da parte della mora, che si era alzata in piedi e lo aveva caricato con violenza, lo raggiunse dritto allo stomaco. Successivamente, nel momento in cui lei (per quanto limitata nei movimenti dalle manette) lo afferrò per la gola, sbattendolo contro il muro, il cappellino che portava sulla testa gli cadde, rivelando il volto traumatizzato di Shiro.
-Oh, ma guarda chi si rivede, il nostro beneamato ricercatore- disse la cuoca, avvicinandosi a sua volta al ragazzo e rivolgendogli uno sguardo raggelante. -Cos’è, sei venuto per rincarare la dose?- gli domandò, senza smettere di fissarlo. Era tentata di sferrargli un pugno, tanto Iris lo teneva ancora inchiodato alla parete, senza dargli possibilità di fuga; anzi, la sua presa ferrea gli consentiva a malapena di respirare. -Che hai fatto a Diana, stronzo?- gli ringhiò contro il capitano, avvicinando il volto a quello del ragazzo ed intensificando la stretta. Lui provò a rispondere, ma gli uscirono solo alcuni schiocchi soffocati. Sentiva le forze che lo abbandonavano rapidamente, come quando poche ore prima era stato Caleb a strangolarlo. Evidentemente la gente ce l’aveva col suo collo, quel giorno. Stava per perdere i sensi, quando una voce proveniente dal corridoio li fece voltare tutti.
-Iris, lascialo stare, è con noi- disse Diana, facendo capolino dall’uscio sotto lo sguardo incredulo delle compagne. -E tu, Keyra, non rubarmi le battute- aggiunse rivolta all’altra, ridacchiando leggermente. -Dia!- gridò Iris, lasciando cadere a terra il malcapitato per correre incontro all’amica. -Oh… non hai proprio una bella cera- commentò, dopo averla vista in faccia. Effettivamente, il volto della vedetta era ancora pesantemente tumefatto, ma forse il gonfiore stava iniziando a calare. Anche Keyra, vedendo il suo stato, fu tentata di tirare un calcio al possibile responsabile del pestaggio, che stava ancora boccheggiando sul pavimento e non si era mosso di un centimetro, ma si trattenne. Loro erano persone migliori dei loro aguzzini, e non si sarebbero certo messe ad infierire su un indifeso. E poi, l’occhialuta aveva detto che era un alleato, quindi non aveva senso colpirlo.
-Sono stata peggio- disse, scrollando le spalle, mentre il solito ciuffo ribelle le ricadeva sull’occhio sinistro. Nel contempo, si sentirono un fischio e uno scoppio, come provenienti da molto lontano. Sembrava quasi che qualcuno avesse fatto esplodere un petardo. Un secondo colpo fu seguito da un suono molto più vicino, che sembrava provenire da sotto di loro. Un suono decisamente strano, una specie di sibilo, come il frusciare del vento mescolato con le onde di marea che si infrangevano sulla spiaggia, seguito da urla concitate. Evidentemente, stava accadendo qualcosa nei sotterranei.
-Che… sta succedendo?- domandò Shiro, che nel frattempo si stava riprendendo dallo shock. Pur avendo un minimo di capacità in combattimento era uno scienziato, dannazione, non era fatto per questo genere di cose! Per tutta risposta, il quadrato di luce che penetrava dalla finestrella sopra di loro si oscurò, mentre un grido stridulo attirò la loro attenzione. Qualche secondo, e con un fragore di vetri infranti un ammasso di piume marroni e blu piombò in mezzo a loro.
-Kahir!- esclamò Iris, allungando le mani ad accarezzare il falco, che le strofinò affettuosamente il becco sulle gambe. -Ah, giusto, me ne stavo quasi dimenticando- intervenne Diana, battendosi una mano sulla fronte con finta teatralità. Nel frattempo, Shiro stava armeggiando con un mazzo di chiavi per trovare quelle delle manette. -Queste sono vostre, ragazze!- disse la vedetta, tendendo loro la tasca dei kunai del capitano ed Angel, l’enorme spada della cuoca. -Io mi sono già attrezzata- aggiunse, poggiando una mano sul manico della sua katana. Il falco tuono le si avvicinò, tendendole qualcosa che teneva nella zampa: il suo ciondolo, il simbolo della promessa di vendetta fatta ai genitori prima che morissero e che ancora non era stata mantenuta. Se tutto fosse andato per il meglio, quel giorno avrebbero finalmente ottenuto giustizia, se lo sentiva.
-Del resto, come mi ha detto una volta una persona, “non vorrai mica andare a salutare un vecchio amico e presentarti disarmata, vero?”- parafrasò quello che le aveva detto Shiro prima, stringendo la collana tra le mani prima di riallacciarsela e facendo l’occhiolino al giovane, che da parte sua arrossì lievemente. Iris e Keyra si guardarono in faccia, sbigottite, senza capire come quei due potessero aver instaurato una tale complicità dopo che il ragazzo le aveva gettate tutte in gattabuia. -Tu ci devi un bel po’ di spiegazioni, Dia- fece Iris, socchiudendo gli occhi nel tentativo di imbastire uno sguardo intimidatorio, mentre si affrettavano lungo il corridoio.
 
 
 
-Non uccidermi, ti prego!- urlò terrorizzato il marine, strisciando indietro sui palmi, mentre il demone che lo aveva gettato a terra gli si avvicinava ghignando. Le fauci dell’essere, gialle, affilate e macchiate di sangue rappreso, emanavano un odore pestilenziale di carne in putrefazione, in grado di paralizzare anche un soldato dai nervi d’acciaio, figurarsi un semplice sottoposto. Un suono gutturale iniziò ad uscire dalla gola della creatura, per poi crescere di intensità fino a trasformarsi in una vera e propria risata agghiacciante. Tese un lungo artiglio verso il volto ormai cinereo dell’uomo, passandolo lentamente sulla sua guancia in una mortale carezza. Il buio della stanza lo avvolse definitivamente, mentre quella lama d’osso gli perforava il cranio, portandolo a gridare un’ultima volta.
-Non ti sembra di esagerare un po’ con le torture mentali, Alex?- domandò una voce in mezzo alle ombre, rivolgendosi al punto in cui si trovava il demone. -Macché, il buio accende le mie fantasie, devo trovare un modo di sfogarle!- rispose una seconda voce, stavolta femminile, seguita da una risata in tutto e per tutto simile a quella appena udita dallo sventurato marine, che ora giaceva immobile per via del terrore e del dolore immaginario alla testa.
Kaith emise uno sbuffo esasperato: la sua compagna di ciurma aveva una mente davvero perversa. Si chiedeva come facesse anche solo a concepire delle illusioni così dolorose e terrificanti, e quasi si sentiva in colpa di darle una mano a scatenare appieno il potere del frutto Night-Night. Quasi, però. In fondo, c’era qualcosa di affascinante nelle sue capacità e nella sua immaginazione, per quanto deviata e anticonvenzionale.
Per un attimo, gli venne da chiedersi se, quando ideava nuovi metodi per straziare il subconscio delle sue vittime, non si ispirasse ad incubi che faceva lei stessa, ma scacciò quel pensiero. Nessuno poteva aver vissuto esperienze così traumatizzanti da generare simili mostri nel sonno, si disse, mentre udiva un altro marine che implorava un mostro senza occhi e dalle dieci bocche, non meglio definito, di non cibarsi delle sue carni.
Il combattimento non andava avanti da molto, ma era chiaro che i due pirati, pur essendo in netta inferiorità numerica, potevano contare su due vantaggi: il fattore sorpresa e i loro poteri devastanti. Una volta giunti alla fine del tunnel di aerazione, avevano spalancato la grata che lo chiudeva, sbucando da una parete laterale e atterrando dritti in mezzo a un gruppo di ricercatori in abiti color sabbia. Questi si erano subito allontanati spaventati, mentre un altro gruppo, in camici bianchi, si dirigeva precipitosamente verso di loro. All’altezza del petto, si notava che portavano cucito sui vestiti il simbolo della Marina.
Come già avevano fatto quando si erano trovati a fronteggiare i cacciatori di taglie sull’isola disabitata, avevano poi combinato le loro azioni per far sì che Alex potesse attivare il proprio potere. Kaith aveva disteso le mani avanti a sé, concentrandosi; rapidamente, una specie di denso fumo nero aveva iniziato a sgorgare dai palmi, sibilando proprio come se si trattasse di un gas in espansione. Prima che i soldati potessero fuggire da quella inquietante sostanza potenzialmente venefica, ne erano stati completamente inghiottiti, e ben presto si erano ritrovati immersi nell’oscurità più assoluta. Era stato allora che la studiosa di bordo aveva iniziato a tormentarli con visioni raccapriccianti, riempiendo in breve la sala delle loro urla straziate.
Nel frattempo, i colleghi dei marine avevano circondato l’area di diffusione di quella nebbia scura, preparandosi ad attaccare qualsiasi cosa ne fosse sbucata. I gemiti dei loro compagni intrappolati li spaventavano, ma non si sarebbero arresi senza combattere: del resto, il loro compito era sorvegliare gli scienziati per controllare che svolgessero effettivamente il lavoro per cui venivano pagati, cioè sviluppare armi a base di vento, e che qualunque estraneo non autorizzato ad entrare nei laboratori fosse neutralizzato.
Dopo un po’, il buio iniziò a diradarsi, rivelando una decina di soldati a terra scossi dalle convulsioni, ancora preda degli incubi, e i due pirati in piedi in assetto di combattimento. -Ehi, Kaith, che ti prende? Perché hai smesso di produrre oscurità?- gli chiese la mora, sistemandosi gli occhiali. Non avendo più a disposizione le condizioni per usare il potere del frutto del diavolo, sarebbe stata costretta a combattere effettivamente; non che le dispiacesse (il nuovo coltello che aveva acquistato urgeva un collaudo), ma potendo scegliere ne avrebbe fatto a meno, perché così si sarebbe stancata maggiormente.
Il carpentiere scosse la testa. -Ho esaurito le energie- spiegò, corrugando la fronte. Il frutto che aveva mangiato apparteneva ad una categoria di paramisha piuttosto rara, il Rage-Rage, e consentiva di accumulare una quantità pressoché infinita di rabbia nel proprio corpo, per poi convertirla in un ben preciso elemento, nel suo caso l’oscurità; tuttavia, se le “scorte” di rancore andavano calando, i suoi attacchi diventavano sempre meno potenti e duraturi. In genere non ne faceva largo uso, si limitava a creare dei proiettili di ombra compressa con cui colpire i nemici, ma la tecnica ad area che utilizzava assieme alla sua compagna, per quanto utile, richiedeva molte più forze.
-Vuoi un incentivo ad arrabbiarti?- gli domandò sarcasticamente l’altra, alzando il pugno nella sua direzione. Le guardie, intanto, avevano già estratto delle specie di grossi ventagli, dai bordi affilati e presumibilmente rinforzati con un qualche tipo di metallo, preparandosi ad attaccare gli intrusi. -Non è così semplice la faccenda!- ribatté contrariato, stringendo i denti e fissandola in cagnesco, mentre da dietro la schiena estraeva la falce che di solito teneva nascosta sotto la sua giacca di pelle, pronta ad ogni evenienza. Con quell’arma in pugno, in aggiunta agli occhi sanguigni e alla cicatrice tra gli occhi, sembrava veramente un legionario dell’armata delle tenebre.
-Non credo che ce ne sarà bisogno, comunque!- Un’esclamazione fece voltare tutti verso l’ingresso del laboratorio, dal quale stavano irrompendo in fretta e furia quattro persone. Un fruscio sopra le loro teste portò un paio di soldati ad alzare lo sguardo, per poi venire accecati da una potente scarica elettrica, che li fulminò anche sul posto. Nel frattempo, Keyra, Diana, Shiro e, soprattutto, Iris, si muovevano rapidamente verso il centro della stanza, dove stava avendo luogo il combattimento.
-Bentornata tra noi, capitano!- la accolse Kaith, accompagnato anche da un cenno del capo di Alex, che intanto aveva estratto entrambi i suoi coltelli in attesa di una qualsiasi mossa da parte degli avversari. -Guardate, hanno preso in ostaggio un ricercatore!- avvisò uno di loro, indicando Shiro. Il ragazzo coi capelli rossi, da parte sua, aveva un’espressione che faceva pensare a tutto tranne che a un sequestro di persona. Anche i suoi colleghi, al vederlo così poco spaventato, gli rivolsero parecchi sguardi interrogativi.
-Sequestrato un corno! Lui adesso sta con noi!- replicò Diana, parandosi di fronte al gruppo, proprio tra i due schieramenti. Successivamente, rivolgendosi a tutti gli altri scienziati, aggiunse: -Da oggi non dovrete più sottostare agli ordini di questa gente, che vi ha solo manipolati per costringervi a servire i loro progetti bellici! Sarete liberi di continuare le vostre ricerche con scopi pacifici!-
Il capannello rimasto di uomini in camice da laboratorio si scambiò qualche occhiata perplessa. Tra di loro vi era anche Andrea, che cercò conferma di quanto detto dalla vedetta negli occhi di Shiro; il giovane gli rispose con un sorriso traverso, annuendo convinto. Nel medesimo istante, fecero il proprio ingresso nella sala anche Mirage, Rey e Naoaki. -Bene, pare proprio che siamo arrivati nel momento più opportuno- commentò il cecchino, sistemandosi meglio il cappellino sulla testa. Effettivamente, coi due schieramenti pronti ad affrontarsi, la loro comparsa sembrava proprio calcolata al secondo. -Merito del tuo piano, Naoaki, complimenti- si congratulò il vicecapitano, tirandogli una pacca sulla spalla. -Bravo- aggiunse Mirage, anche se il suo complimento era quasi un sussurro.
-Direi che ci siamo quasi tutti- fece Iris, contando i membri della squadra, -quindi, se questi gentili signori non hanno niente da ribattere, li inviterei a togliere il disturbo e a lasciar lavorare in santa pace i ricercatori, lasciando libera Kaze dalla loro presenza molesta- La mascella di tutti i presenti sfiorò terra non appena ebbe terminato la frase. Perfino Kahir pigolò interdetto. Cioè, stava veramente domandando cortesemente alla Marina di andarsene?
Una delle guardie, preso coraggio, avanzò di un passo, stringendo maggiormente la sua arma. -Non prenderemo mai ordini da un gruppo di pirati!- esclamò. -I risultati del progetto sulle armi a vento sono straordinari, e non abbandoneremo tutto ora solo perché voi fuorilegge ci minacciate, anzi, vi daremo un assaggio di quello che questi celeri servi del Governo hanno saputo creare!- aggiunse, seguito da un ruggito di approvazione dei suoi compagni.
I ricercatori, al sentirsi definire “servi del Governo”, ebbero un istintivo tremito, dovuto a un misto di repulsione per il termine e timore residuo per tutte le minacce che avevano subito nel corso degli anni da parte di quegli uomini se non fossero sottostati ai loro ordini. Paura che, però, andava scemando rapidamente, soprattutto vedendo che il più giovane e talentuoso di loro si era schierato assieme ai pirati.
-Andrea, prendi i dati delle sperimentazioni e porta tutti fuori di qui- ordinò proprio quest’ultimo, che poi era Shiro, calcandosi meglio la visiera del cappello sul capo e scostando un lembo del mantello, rivelando una serie di sfere di vetro simili a quella con cui aveva attaccato Iris e Keyra.
Il collega gli fece un cenno affermativo e, seguito dagli altri, cominciò a correre verso l’uscita. -Che pensi di fare, scusami?- gli domandò Rey, mentre il rosso si scrocchiava le dita. -Vi do una mano a proteggere la mia isola, che domande! La vostra amica Diana mi ha aperto gli occhi su un bel po’ di cose- gli rispose lui, sfoderando un sorriso a trentadue denti colmo di determinazione, almeno nelle sue intenzioni. Il vicecapitano scosse impercettibilmente la testa. -Guarda che potrebbe essere pericoloso…- lo avvisò, ma l’altro non volle sentire ragioni, continuando a tessere le lodi della loro occhialuta vedetta.
Rey diede un’occhiata alla ragazza. La sua pelle era tinta di varie sfumature bluastre in più punti, ma lei non sembrava darci molto peso; anzi, le placche ossee da armadillo della sua forma ibrida le stavano già coprendo le braccia e la fronte, mentre le unghie si allungavano preparandola al combattimento. Tuttavia, non gli sfuggì una passeggera smorfia di dolore che le attraversò il viso. Dovevano averle dato una bella scarica di botte, pensò, sentendo la rabbia montare dentro di sé.
Anche lui iniziò a trasformarsi nella sua forma ibrida: due teste canine dagli occhi neri gli spuntarono dai lati del collo, mentre la sua statura aumentava in maniera imponente; dalle mani gli spuntarono artigli affilati come rasoi, mentre un ringhio si faceva strada nella sua gola. Lo scontro stava per avere inizio, e lui ne era impaziente.
Fu un marine a lanciarsi all’attacco per primo, mulinando il ventaglio gigante che portava con sé e scagliando una lama di vento verso Keyra, che la parò abilmente con Angel. In un attimo, la sottile ed invisibile linea che separava i due schieramenti fu spezzata, mentre la ciurma si lanciava all’arrembaggio, accompagnata da Shiro.
Il ragazzo non se la cavava affatto male in combattimento: aveva infatti estratto a sua volta un ventaglio bordeaux scuro, di un colore molto simile ai suoi capelli, e si stava dando da fare con quello, prevalentemente usandolo come scudo contro i colpi avversari. Quando però notò che un consistente gruppo gli si stava avvicinando, probabilmente per punire il suo manifesto tradimento, decise di sfruttare una delle tante armi che avevano sviluppato al laboratorio nel corso degli anni.
Da sotto il mantello prese un secondo ventaglio e una sfera di vetro, che scagliò a terra con forza. Questa, rompendosi, sprigionò una serie di raffiche di vento talmente violente da colpire i soldati proprio come una pioggia di lame affilate, ferendoli; Shiro, dal canto suo, non subì invece il minimo danno, poiché si era fatto scudo con entrambi i ventagli contemporaneamente. -Notevole- commentò Diana, avvicinandoglisi mentre menava un fendente contro un altro marine, -hai creato una tecnica difensiva efficace quasi quanto la mia “Defence Ball”… Credo che la chiamerò “Scudo della Vongola Bivalve”!- L’altro rise di gusto alla battuta, prima di rimettersi in assetto di combattimento. Non potevano permettersi distrazioni.
Intanto, anche il resto della ciurma si stava dando da fare. -Ehi, Nao- richiamò l’attenzione Keyra, mentre evocava un vortice per scacciare due nemici che l’avevano attaccata (del resto, come si disse, chi di aria ferisce…). Il cecchino, che stava colpendo in maniera estremamente precisa ogni avversario che gli capitava a tiro con le sue fidate pistole, le fece cenno che la stava ascoltando. -Dove sono Greta, Ellesmere e Mark?-
-Dovrebbero arrivare a momenti- rispose, sparando un colpo a un soldato che tentava di colpire Mirage, già occupata in un altro attacco. -Le ragazze hanno creato un diversivo sull’altra sponda del lago per permetterci di entrare inosservati, mentre Alex e Kaith ci sgomberavano la strada qui sotto- aggiunse, indicando i due impegnati a darsi da fare nel combattimento, chi coi coltelli e chi con la falce. -Mark invece era andato di sopra per liberare te, Iris e Diana, dato che supponevamo vi avessero imprigionate, ma quando troverà le celle vuote ci raggiungerà-
-Va bene- concluse la bionda, tornando a concentrarsi sulla lotta. Non sembrava particolarmente ardua, pur essendo pochi potevano vincere facilmente. Tuttavia, essendo così coinvolti, nessuno si era accorto che dallo scenario di battaglia mancava un tassello fondamentale, di nome Caleb Ayr.

 

 

Angolo dell’autrice (rediviva che a confronto Di Caprio è un novellino)
 
Ragazzi e ragazze, sono imperdonabile e lo so.
Quando dicevo che non avrei pubblicato con regolarità, immagino che nessuno di voi si aspettasse che sparissi per più di tre anni… Devo confessare che non era mia intenzione, e per questo mi scuso dal più profondo del cuore. Mi scuso perché avevo detto di tenere a questa storia, ma il lungo silenzio potrebbe far pensare che in realtà fosse solo un modo per guadagnarmi la vostra fiducia. Beh, non è così. Io tengo veramente a questa storia, e spero che il mio ritorno ve lo dimostri, ammesso che decidiate di seguirmi ancora. Mi appello però alla vostra comprensione, perché sono stati tre anni veramente difficili per me per vari motivi.
In primis, la scuola. Dicono che il triennio di liceo è impegnativo e non mentono, perché tra compiti e studio non ho più avuto un attimo di respiro; ho pure dovuto abbandonare lo sport che facevo, quindi… Ma immagino che chi c’è ancora dentro sappia cosa ho passato ^-^” E per la cronaca, l’esame di maturità non è così brutto come lo dipingono. Adesso che mi sono unita al dorato mondo degli universitari pendolari, mi sono accorta che durante i trasferimenti, intervallato allo studio, si ha molto tempo per riflettere e ricordarsi di cose che si erano lasciate in sospeso. Try to guess what I’m referring to ;)
In seconda sede, mi sono successe parecchie cose a livello personale, ma sinceramente ve le risparmio. Delusioni da parte di persone che credevo amiche, tracolli emotivi, uno stato di semi apatia da emarginazione… Cose di routine, diciamo, ma ehi, che ci volete fare, è la vita. Diciamo solo che scrivere non rientrava tra i miei primi pensieri.
E per finire, il terzo, cruciale punto: la mancanza di ispirazione. Qui mi sento di dover precisare una cosa, però. A parte essermi un po’ incasinata con la trama della storia (e questo capitolo lo dimostra), ho avuto un vero e proprio blocco dello scrittore, del tipo che sapevo cosa doveva succedere nella vicenda, ma quando provavo a scriverlo non sapevo come farlo succedere, e così la bozza di questo capitolo fino all’inizio dell’incontro tra Diana e Shiro è rimasta a prender polvere per tutto questo tempo. Qualche tempo fa, però, mi è tornata voglia quantomeno di rileggere la storia (ogni tanto mi piace revisionare i miei lavori), e nel contempo ho ricevuto una recensione e un messaggio da parte di Keyra Hanako D Hono (la “madre” di Keyra XD), che mi domandava mie notizie. Devo ringraziare la persona in questione, perché è stata la spinta decisiva di cui avevo bisogno, quindi il capitolo lo dedico a lei.
 
Chiusa la parentesi pateticamente emotiva di spiegazioni, passiamo alla storia… Ok, mi sono incasinata la vita, ma penso che il nome del capitolo, “Fronti molteplici”, parlasse già chiaro. Se non bastavano i tre scenari già aperti (Diana da una parte, Iris e Keyra da un’altra, il resto della ciurma in una terza), se ne sono aperti altri tre (Kaith e Alex, Ellesmere e Greta, e Mark per conto suo… tra l’altro, secondo voi perché non è ancora tornato? Si accettano ipotesi…). Ma tranquilli, ho la situazione perfettamente sotto controllo… Almeno credo ^-^”
Allora… Direi che ho finito. Mi scuso ancora e cercherò di essere più regolare nell’aggiornare, o almeno di non sparire per altri tre anni. Se vorrete ancora seguirmi, vi sarei grata se mi lasciaste un parere, del resto è passato tanto di quel tempo dall’ultima volta che ho messo piede su EFP che saranno cambiate parecchie cose, o magari no. Un saluto a tutti e arrivederci (non dico “a presto” perché porta male),
 
Swan
 
P.S. (giuro che è l’ultima cosa): volevo chiedervi il permesso, eventualmente, di pubblicare questa storia anche su Wattpad. Per chi non lo conoscesse, è una piattaforma online per libri di ogni genere, un po’ più ampia di EFP. Vi domando l’autorizzazione, anziché prendere iniziative personali, perché comunque questa storia l’avete fatta anche voi, in quanto detentori dei diritti per i vostri personaggi. Perciò fatemi sapere! ;)

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Capitolo 10
*** 9. Questioni d'onore (e di Marina) ***


UNA GRANDE AVVENTURA

 
 
Capitolo 9: Questioni d’onore (e di Marina)

Mark sbatté contrariato la porta della cella, sbuffando sonoramente; tuttavia, non appena questa chiudendosi produsse un forte boato metallico, si girò di scatto, sperando che il suo gesto non avesse attirato l’attenzione di qualche guardia.
Una volta congedata Greta, quando lui e il resto della ciurma non impegnata in creare diversivi erano entrati nell’edificio, avevano potuto constatare che l’ampio atrio d’ingresso era completamente desolato. Evidentemente, tutti i marine erano già confluiti verso i punti d’attacco, cioè l’altra sponda del lago (dove si trovava l’ala ovest del capannone) e i sotterranei, da cui si sentivano provenire grida di dolore e panico.
Pertanto, data la scarsità di sorveglianza, era sembrato abbastanza inutile che tutti loro si recassero di sopra, dove Naoaki aveva supposto si trovassero le celle; anzi, sarebbe stato molto più produttivo che la maggior parte andasse direttamente a dar manforte ad Alex e Kaith nei laboratori, dato che i due erano in inferiorità numerica.
Così, alla fine, era stato lui ad offrirsi volontario per andare a liberare Iris, Keyra e Diana: era uno che poteva passare più inosservato rispetto a Rey, e non se la sentiva di mandare avanti Mirage per un compito tanto rischioso. In più, da fuori, aveva notato un’ampia vetrata in fondo al corridoio del piano superiore, dalla quale avrebbe potuto dare un’occhiata anche alla situazione sull’altro lato, dove c’erano Greta ed Ellesmere.
Tuttavia, una volta giunto a destinazione, aveva ricevuto due sorprese: la prima, abbastanza piacevole, era che non c’era effettivamente alcun tipo di vigilanza alle prigioni. La seconda, però, era che non c’era una singola cella che fosse occupata, quindi con tutta probabilità le loro compagne erano già state prelevate e portate altrove, ammesso che non fossero riuscite a liberarsi per conto loro.
Si maledisse mentalmente per quel contrattempo. Se solo l’avesse saputo prima, avrebbe evitato quella inutile deviazione, risparmiando tempo e fatica. In ogni caso, non serviva a nulla piangere sul latte versato. Per quella giornata aveva già commesso abbastanza errori, in primis ubriacarsi alla festa degli aquiloni.
Non aveva mai retto granché l’alcool, pensò grattandosi la testa; anzi, non lo aveva mai retto per niente, e lo sapeva bene. Tuttavia, quando quelle due ragazze l’avevano invitato ad accompagnarsi a loro per una pinta, gli era parso estremamente scortese offrire loro un rifiuto… Al diavolo la sua galanteria, finiva ogni volta per cacciarlo nei guai.
In futuro, doveva smetterla di fare il cascamorto con qualsiasi essere umano di genere femminile. Se solo avesse trovato la donna giusta, magari lei sarebbe riuscita a redimerlo e a portarlo sulla retta via; ma erano tutte sue supposizioni, che difficilmente avrebbero potuto diventare qualcosa di più concreto rispetto a un mero sogno. Del resto, chi mai avrebbe voluto impegnarsi in una relazione stabile con un pirata, per di più con una taglia da 37 milioni di Berry sulla sua testa?
Si avviò lungo il corridoio, per dare uno sguardo a come le sue compagne se la stessero cavando prima di riunirsi al resto della ciurma. Da un po’, infatti, gli sembrava che gli scoppi dei fuochi artificiali della loro musicista di bordo avessero diminuito la loro frequenza, per poi cessare del tutto.
Si affacciò alla finestra, venendo investito dalla piena luce del primo pomeriggio che si rifletteva sulla sottostante superficie del lago. Greta stava transitando sopra le acque mediante una nuvola in tutto e per tutto simile a quella che aveva creato in precedenza, solo che stavolta assieme a lei c’era anche Ellesmere.
Dalla distanza non poteva dirlo con certezza, ma vista la quantità di soldati che giacevano sulla sponda, poteva supporre che entrambe fossero abbastanza provate dal combattimento. Sperava solo che le loro energie non venissero meno una volta tornate assieme agli altri, rendendole bersagli più facili. -Ottimo lavoro, ragazze- disse tra sé e sé, prima di voltarsi per riprendere la sua strada. Ora toccava a lui farsi valere; del resto, era l’unico che quel giorno non aveva ancora combinato nulla.
-Oh, ma guarda guarda cos’abbiamo qui!- Una voce alle sue spalle lo fece girare ancora più solertemente nella direzione in cui si doveva muovere. A metà corridoio stava un ragazzo che doveva avere un paio d’anni meno di lui, con i capelli corti di una insolita tonalità di verde scuro; mentre quello gli si avvicinava, non poté fare a meno di notare l’ancora più insolita colorazione dei suoi occhi, blu inframezzato da pagliuzze dorate. I vestiti informali, una maglia a maniche corte e un paio di calzoncini, lo facevano apparire decisamente fuori contesto in quel luogo. Non che un giovane qualsiasi avesse già di per sé un ruolo sensato nella prigione segreta di un laboratorio.
-Dovremmo conoscerci?- domandò il medico, squadrandolo da capo a piedi e intuendo che l’altro stava facendo lo stesso con lui. -No, non penso- gli rispose, infilandosi le mani in tasca. -Ma non ha importanza, tanto non avremo grandi occasioni di rivederci, dopo che avrò spedito te e i tuoi compagni in qualche cella di Impel Down. Sempre che non mi chiedano di presenziare alla vostra possibile esecuzione, avendovi catturati con le mie stesse mani-
Mark fremette di rabbia al sentire le sue parole. -Allora sei tu il tizio che ha fatto del male a Diana?- ringhiò, stringendo i pugni. -Fatto del male, che parolone… diciamo che le ho solo dato un piccolo assaggio di cosa succede a chi tradisce il Governo, tutto qui. E, tra l’altro, devo dire che mi sono anche divertito parecchio, era tanto che non mi capitava di torturare così qualcuno- aggiunse il verde, ghignando; la sua espressione ebbe l’unico effetto di far infuriare ancora di più il suo interlocutore. -In realtà ero venuto qui a cercare lei e le altre prigioniere, sai, volevo darle una seconda passata, ma a quanto pare ci sei solo tu… Mi sa che mi dovrò accontentare-
A quel punto non ci vide più dalla rabbia. Sentire le parole di quel sadico (non si poteva definire in altro modo una persona che godeva tanto della sofferenza altrui) aveva acceso in lui una scintilla omicida che non provava più da un lontano giorno di quattro anni prima. -Se provi a toccare ancora una volta una qualsiasi delle mie amiche- gli sputò contro, trattenendosi a stento dall’evocare immediatamente una catena e appenderlo al soffitto, -giuro quanto è vero che mi chiamo Mark L. Hellsing che ti ammazzo con le mie mani-
La reazione di Caleb alla minaccia fu completamente inaspettata. Il ragazzo sollevò un sopracciglio, sorpreso, poi scoppiò a ridere. -Hellsing? Cioè, mi vorresti dire che tu sei quel pivello che ha causato tutti quei problemi nella base del viceammiraglio Rashen? Beh, allora oggi è veramente il mio giorno fortunato, potrò vantarmi di aver preso due traditori in un colpo solo!-
Mark non pensava di poter superare il limite di rancore già raggiunto un momento prima, ma evidentemente si sbagliava. I suoi occhi verde chiaro sembravano essersi fatti più scuri, adombrati da una collera incontenibile, cosa che non sfuggì all’agente governativo. -Che c’è? Siamo suscettibili ad alcuni argomenti?- gli chiese con un finto tono innocente, guardandolo con sfida. -Io so tutto di quello che è successo alla sua base, anche se i pezzi grossi l’hanno taciuto alla popolazione civile. Una ciurma fuggita dalle prigioni che ha massacrato un intero plotone di soldati e impalato Rashen proprio il giorno della sua cerimonia d’investitura… Una bella montatura, niente da dire. Del resto, che dovevamo fare, dire a tutti che quella banda di pirati, in realtà, erano una persona sola, e per giunta un marine?-
La mascella del moro era talmente serrata che avrebbe potuto spaccarsi da un momento all’altro. Le parole di scherno che quell’insolente gli stava rivolgendo avevano portato la sua mente altrove.
 
 
 
Il sole splendeva alto sulla base governativa della città di Rida; era una giornata stupenda, l’ideale per lo svolgimento della solenne cerimonia che si sarebbe tenuta da lì a qualche minuto.
Il comandante Rashen, importante ufficiale che negli ultimi anni si era fatto coraggiosamente valere nella lotta alla pirateria, si stava sistemando la divisa nuova, che calzava a pennello sulla sua imponente figura. Ogni cosa doveva essere impeccabile, nel giorno del suo trionfo.
-Avanti- disse, sentendo dei colpetti sommessi alla porta del suo ufficio, mentre si infilava un paio di guanti candidi. Dall’uscio si affrettarono all’interno due giovani reclute marine. Uno dei due era biondo e dagli occhi nocciola, sulla ventina, mentre l’altro, appena quindicenne, aveva i capelli neri lucidi di gel e lo sguardo acquamarina; entrambi avevano un fisico slanciato ed asciutto. -Comandante!- esclamarono all’unisono, effettuando il saluto militare. Rashen ridacchiò tra sé e sé.
-Riposo, soldati- ordinò loro, -anche se immagino che dovrete abituarvi a chiamarmi “viceammiraglio” d’ora in poi. Del resto, era ora che i miei superiori si accorgessero del mio valore e ne dessero un pubblico riconoscimento!- Il ragazzo moro ebbe un fremito a sentire quell’ultima frase, ma fu abile a dissimularlo.
-Signore- prese la parola il suo collega, -abbiamo saputo che qualcuno si è introdotto qui stanotte, e volevamo esporle il nostro rammarico per quanto accaduto. Speriamo che non sia stato trafugato niente di valore, e vogliamo assicurarle che stiamo facendo ogni cosa in nostro potere per trovare il colpevole. Non appena avremo braccato quel vigliacco, gli assegneremo una pena esemplare!-
-Apprezzo il vostro impegno- lo liquidò il capitano, mal celando il nervosismo che lo aveva assalito al sentirsi ricordare di essere stato derubato come un pollo, -ma evidentemente, se siete qui a dirmi questo non state lavorando! Ora filate via, e vedete almeno di non fare tardi alla cerimonia, altrimenti sarete voi a subire una punizione che non scorderete facilmente!- Quel ruggito rabbioso portò il giovane ad annuire spaventato, prima di andarsene assieme all’altro, che non aveva proferito parola.
-Certo che non è di buon umore, per essere il centro dei festeggiamenti di oggi- si arrischiò a commentare, una volta che furono ben lontani. -Del resto, come dargli torto- continuò; -alcuni pettegolezzi dicevano che, assieme all’annuncio della sua nuova carica, gli fosse stato consegnato anche un frutto del diavolo, e che lui avesse intenzione di mangiarlo durante l’investitura. Chiunque sia stato a derubarlo, sicuramente farà buoni affari rivendendolo!- Vedendo che la recluta più giovane perseverava nel suo mutismo, gli appoggiò una mano sulla spalla con fare fraterno.
-Ascolta, Mark, mi dispiace molto per tuo padre, gli volevamo tutti bene. Tantissimi soldati di questa base gli devono la loro stessa vita, era un ottimo medico- gli disse. Il ragazzino scrollò le spalle. -Non avremmo potuto fare nulla, non avevamo i soldi per l’operazione che sarebbe stata necessaria a salvarlo- rispose. Il biondo lo guardò, colmo di rammarico. -Ma forse, se aveste chiesto al comandante, lui avrebbe potuto aiutarvi, prestandovi del denaro… voglio dire, non era nel suo interesse perdere il miglior dottore del suo avamposto, no?- provò a suggerirgli, nel tentativo di risollevarlo un pochino di morale. Mark scosse la testa, ricacciando indietro le lacrime. -Hai ragione, avrei potuto pensarci prima- concluse.
In realtà, ci aveva pensato. Non avrebbe mai lasciato che una stupida malattia gli portasse via suo padre, l’unica famiglia che aveva, senza lottare. Alcuni mesi prima, quando Alfred Hellsing, medico in carica alla base di Rida, aveva iniziato a dare segni di cedimento, lui, da bravo guaritore a sua volta (erano anni infatti che si preparava, studiando pesanti tomi ed affiancando il genitore almeno in infermeria), si era informato, e aveva scoperto che il morbo che l’aveva colpito era abbastanza raro, ma non incurabile. Tuttavia, le loro finanze erano limitate, e l’intervento necessario era decisamente fuori dalla loro portata.
Così Mark era andato direttamente da Rashen. Ricordava bene come l’aveva implorato in ginocchio di concedergli un prestito, che avrebbe ripagato centesimo per centesimo col proprio stipendio (pur essendo solo un quindicenne, infatti, si era già arruolato, del resto, essendo nato e cresciuto in quella base, non aveva molte alternative), anche se era consapevole che ci sarebbero voluti anni e anni. E ricordava ancora meglio il disprezzo con cui il comandante l’aveva osservato, prima di cacciarlo a male parole. -Come speri di ripagarmi, sciocco moccioso? Sei solo un incapace, un buono a nulla; non vali nemmeno un quarto di un marine, e non stento a credere che varresti ancora meno se seguissi le orme di tuo padre come medico!-
Quegli insulti l’avevano ferito nel profondo. Evidentemente, Rashen non contava che la vita di suo padre, che pure ne aveva salvate centinaia nel corso della carriera (compresa la sua stessa) non valesse una supplica e, men che meno, dei soldi. Così, proprio il giorno prima della cerimonia che avrebbe promosso di grado quell’avido miserabile, Alfred Hellsing era morto, consumato nel giro di due mesi da quella malattia che gli aveva inflitto fino all’ultimo atroci sofferenze, e Mark non aveva potuto fare altro se non osservarlo impotente, tenendolo per mano mentre spirava.
 
 
 
La parata militare in onore del neo viceammiraglio era stata grandiosa, così come il pomposo discorso che l’uomo si era preparato in seguito al giuramento. -Difenderò sempre la vita di tutti gli uomini, donne e bambini di questo mondo, perché ognuno ha diritto alla sicurezza e alla felicità!- erano state le sue ultime parole, prima di scendere dal palco accolto dagli applausi generali. Solo una persona, un soldato semplice, se ne stava immobile in mezzo alla folla, disgustato da tanta ipocrisia.
Camminando lentamente, Mark si fece strada fino al centro del capannello di gente che si era radunata intorno a Rashen per congratularsi con lui; nessuno parve accorgersi del suo avanzare, tanto erano coinvolti nei festeggiamenti, così in breve si ritrovò faccia a faccia con l’oggetto della sua ricerca. -Comandante!- lo chiamò, facendolo voltare nella sua direzione. In cambio, ricevette lo stesso sguardo sprezzante che già gli era stato rivolto tempo prima. -Evidentemente sei duro di comprendonio, soldato. Ora devi chiamarmi Viceammiraglio, ammesso che tu possa effettivamente rivolgerti a me!- lo rimproverò. Il ragazzo sostenne i suoi occhi senza batter ciglio. -Signore, volevo informarla che ho trovato il colpevole del furto di ieri sera nel suo ufficio- riferì. -Ottimo! Beh, allora che aspetti, portamelo, così che possa punirlo davanti a tutti!- replicò l’uomo, raggiante alla notizia.
-Non ce ne sarà bisogno. È già qui con noi- Le parole del giovane sottoposto lo lasciarono interdetto. Quel moccioso aveva un’aria di sfida che non gli piaceva per niente. Mark tese la mano destra, col palmo rivolto verso l’alto. Senza preavviso, ne fuoriuscì di scatto una catena dall’estremità affilata come una lama, che si allungò colpendo Rashen dritto al cuore. Si avvicinò all’uomo, ancora esterrefatto mentre la vita lo abbandonava, per potergli sussurrare qualcosa all’orecchio. -E adesso che non ha più un medico pronto a curarla, veda di salvarsi da solo, se ci riesce-
 
 
 
Strinse i pugni con ancora più determinazione, mentre i suoi occhi acquamarina sostituivano all’immagine del suo ex comandante morente quella ben più attuale di Caleb. -Quel farabutto meritava di morire. Non pensava che una vita potesse valere quanto le sue ricchezze, e così ha sperimentato sulla sua pelle cosa significa perdere un bene tanto prezioso. Come farai tu ora!- esclamò. Tutte le sofferenze che aveva causato a Diana dovevano essere punite. Magari non sarebbe arrivato ad ucciderlo, ma sicuramente non avrebbe avuto pietà nei suoi confronti, come lui non ne aveva avuta per la sua amica.
Dalla schiena gli eruppero tre lunghe catene nere, che si mossero verso l’agente; l’avrebbe prima immobilizzato, e poi l’avrebbe neutralizzato a suon di colpi più pesanti. L’avrebbe sicuramente colto di sorpresa, e in più era troppo vicino per schivare un attacco così fulmineo.
Invece, fu proprio Mark a rimanere spiazzato. Proprio quando le catene stavano per toccarlo, Caleb sparì nel nulla, producendo una specie di fischio, mentre quelle metalliche funi si richiudevano attorno all’aria. -Cerchi qualcosa?- Fece giusto in tempo a sentire la voce alle sue spalle, che un violento calcio lo scaraventò a terra. Il verde gli infilò un piede sotto le scapole, girandolo e posandogli poi trionfante il tacco della scarpa sul petto.
Il medico era sbigottito. Allora era vero quello che si diceva sulle tecniche di combattimento Rokushiki, pensò: chi le padroneggiava sviluppava riflessi sovrumani, raggiungendo velocità tali da rendersi invisibile. Afferrò con entrambe le mani la gamba che lo teneva bloccato, in modo da imprigionarla, e fece fuoriuscire una nuova catena, stavolta dalla spalla, con la punta a forma di lama, nel tentativo di ferire l’altro al torace; così, forse, avrebbe potuto sbalzarlo via e liberarsi. Ciò che accadde, però, lo sgomentò ancora maggiormente.
L’arma che aveva creato, infatti, anziché penetrare nella carne, rimbalzò contro di essa producendo un tonfo smorzato, quasi metallico. Ulteriore segno che il potere di quel ragazzino andava ben oltre quello di un agente governativo standard. -Non per vantarmi, ma la mia Tekkai è sempre stata di livello molto alto. O non convieni anche tu che indurire i muscoli a questi livelli sia notevole?- gli rinfacciò. Si stava letteralmente prendendo gioco di lui, perciò decise di tentare il tutto per tutto.
Si avvolse interamente con catene strette attorno a sé stesso, per poi allargarle di colpo; Caleb, colto alla sprovvista, fu sbalzato via, permettendogli così di rimettersi in piedi e correre verso di lui. Cominciò a mulinare i suoi “tentacoli” in ogni direzione, mentre le loro estremità divenivano rigide e pesanti sfere: muscoli induriti o no, un attacco di tale potenza gli doveva per forza far male. Tuttavia, per quanto rapidamente incalzasse, nessuno dei fendenti andava a segno: era come se la sagoma del nemico fosse sempre lì, ma non appena veniva raggiunta veniva anche trapassata tremolando, come fosse un’illusione.
-Allora proprio non la vuoi capire- gli disse l’altro, col respiro leggermente affannato; nonostante la netta preparazione fisica, almeno, anche lui sentiva la fatica. Con un gesto fluido, afferrò ogni catena che mirava a lui tra le mani, bloccandola e tendendola davanti a sé. -Non puoi vincere contro di me- e detto questo, fletté le braccia, spezzandole tutte.
Mark in quel momento si sentì morire. Lanciò un urlo lacerante, mentre il suo corpo veniva scosso da tremiti irrefrenabili. Il dolore era insopportabile, come se tutte le sue ossa si fossero frantumate in un unico istante. Non gli era mai successo che qualcuno riuscisse neanche a scalfire ciò che creava grazie ai poteri del frutto del diavolo che aveva rubato quattro anni prima, quel giorno a Rida; evidentemente, attacchi sferrati con l’haki dell’armatura o tecniche simili potevano invece danneggiarle.
Cadde a terra boccheggiando, mentre Caleb gli si avvicinava trionfante. -Non fai più tanto lo spavaldo adesso, eh?- infierì, calpestando uno dei tronconi di catena recisi. Poi gli sferrò un potente colpo nello stomaco, giusto per assicurarsi che non si rialzasse per un po’. -Sinceramente, pensavo che il massacratore di Rida fosse più forte- commentò, mentre lo sollevava da terra, caricandoselo in spalla. Il medico non si mosse, il male che provava ad ogni parte del corpo era talmente intenso da impedirgli anche solo di formulare un pensiero coerente, figuriamoci reagire a ciò che gli veniva fatto.
-Comunque, andrei volentieri avanti, ma purtroppo ho altro da fare, devo occuparmi dei tuoi compagni. Sappi che ho intenzione di farli fuori tutti, uno dopo l’altro- gli sussurrò sadicamente, mentre si avvicinavano al fondo del corridoio. -Ma guarda il lato positivo: almeno, tu non sarai lì a vederli morire. Ti è toccato l’onore di essere il primo- concluse, prima di scaraventarlo contro la finestra. Quella andò in mille pezzi, sfondata da un Mark completamente inerte, che non poteva fare altro se non lasciare che la gravità avesse la meglio, facendolo precipitare dritto nel lago.
 
 
 
L’oscurità iniziava ad invadergli la periferia del campo visivo. L’impatto con la superficie gelida dell’acqua gli aveva regalato una nuova fitta lancinante a tutto il corpo, prima di iniziare ad affondare inesorabilmente, trascinato verso il basso dal potere devastante del frutto del diavolo che aveva ingerito.
Dentro di sé, però, più che dolore, sentiva paura. La minaccia che Caleb aveva rivolto a tutti i suoi amici era più viva che mai nei suoi pensieri, sempre meno coerenti man mano che l’aria cominciava a scarseggiare nei polmoni; ma purtroppo, lui non poteva far niente per aiutarli, nemmeno avvisarli; non li aveva neanche salutati. Si concesse di pensare un’ultima volta a loro, la sua nuova famiglia, prima di svenire.
Eppure…
-Non avere paura, Mark, sto arrivando a salvarti!- Buffo, gli era quasi parso di sentire una voce pronunciare quelle parole. Un movimento spostò l’acqua, mentre qualcosa gli passava accanto; pur nella fioca luce che filtrava dalla superficie sempre più lontana, colse il bagliore iridescente e squamoso della coda di un grosso pesce.
Sorrise. Allora era vera la leggenda secondo cui un marinaio, prima di annegare, sentiva le sirene chiamarlo. Qualcos’altro, dalla consistenza morbida e filiforme, gli sfiorò una guancia. Un’alga, probabilmente. O forse capelli… -Ci sono qui io- fu l’ultima frase che credette di sentire, prima che l’acqua gli invadesse i polmoni, facendogli perdere definitivamente i sensi.
 
 
 
-Beh, ragazzi, direi che qui abbiamo finito!- esclamò Iris, mentre riponeva i due kunai che aveva usato fino a quel momento nella loro tasca. Effettivamente, dei soldati a guardia del laboratorio, non c’era più traccia. O meglio, nessuno di loro era più in condizioni di nuocere in alcun modo. -Complimenti a tutti, vi siete fatti valere!- si congratulò poi, osservando il gruppo con sguardo fiero e soddisfatto.
In effetti, la ciurma aveva combattuto in maniera esemplare, con una coordinazione perfetta. Ogni volta che qualcuno rischiava di essere colpito, magari a tradimento mentre era già impegnato a dare battaglia, un compagno o una compagna intervenivano sempre prontamente in sua difesa. Del resto, essere parte di una squadra voleva anche dire sapersi proteggersi a vicenda, e loro ci riuscivano alla perfezione: come li aveva definiti prima Naoaki, erano un meccanismo delicato, in cui ogni ingranaggio si incastrava con gli altri per dare vita ad azioni perfette come quella che si era appena conclusa.
-Aaah, sono esausto! Non sono proprio fatto per questo genere di cose!- si lamentò Shiro. Il giovane ricercatore, che aveva tanto insistito per affiancare la banda di pirati nell’attacco per liberare il laboratorio dalla Marina, era sdraiato a terra, col petto che si alzava e si abbassava freneticamente nel disperato tentativo di riprendere fiato. -Te l’avevo detto di farti da parte- commentò Rey, guardandolo storto. Sotto sotto, però, il vicecapitano provava rispetto per quel ragazzo dai capelli rossi. Non si era affatto rivelato un peso, come credeva in un primo momento; aveva anzi dato parecchio filo da torcere alle guardie, attaccando e difendendosi con i suoi ventagli taglienti.
Nel frattempo, anche gli altri si stavano riposando, e intanto coglievano l’occasione per scambiare due parole o, in alcuni casi, per punzecchiarsi come al solito. -Ehi, Alex, scusa la domanda- intervenne Diana, che era tornata completamente in forma umana e si stava rifacendo la coda di cavallo. -Mh?- mugugnò la studiosa, mentre ripuliva la lama di uno dei suoi coltelli prima di riporlo nel fodero. -Che hai fatto alla maglietta?- le chiese, indicandole la schiena scoperta. La mora arrossì violentemente, imbarazzata. Si era completamente dimenticata del piccolo incidente che le era capitato nel tunnel di aerazione, rovinando il suo bell’indumento. -Niente- si affrettò a rispondere, scrollando le spalle a disagio. -Devono avermi colpita mentre lottavamo-
I suoi tentativi di imbastire una scusa credibile furono interrotti da una fragorosa risata, seguita da una serie di colpi di tosse atti a mascherarla. -No, perché sai, te ne stai andando in giro mezza nuda, praticamente…- continuò imperterrita la vedetta, poco convinta dalla risposta. Se uno squarcio del genere fosse stato provocato da un attacco, non le si sarebbe solo rotta la maglietta, ma si sarebbe anche ritrovata affettata in due. -Tu che ridi tanto ne sai qualcosa?- si rivolse quindi a Kaith, che non la smetteva di sghignazzare. Il ragazzo prese una boccata d’aria, indeciso su cosa raccontare. Per caso intercettò uno sguardo rivoltogli dalla sua compagna di incursione: se gli occhi di ghiaccio della giovane donna avessero potuto parlare, avrebbero detto circa: “Pondera bene le tue parole, perché in caso contrario potresti arrivare a rimpiangere alcune parti del tuo corpo particolarmente vitali”.
-A… Assolutamente no!- esclamò, prima di soffocare l’ennesimo attacco di ilarità che lo stava cogliendo. Diana si sistemò gli occhiali, mentre il solito ciuffo le ricadeva sull’occhio sinistro, un po’ meno gonfio di prima. -Bah, voi due non me la raccontate giusta… Ma non voglio sapere che avete combinato- concluse, girandosi e incamminandosi verso il grosso del gruppo. Alex, invece, si avvicinò a Kaith.
-Ti avverto, Sawamura- gli disse, puntando il coltello in direzione del suo petto, -prova a raccontare a qualcuno la verità, facendomi fare la figura dell’idiota, e ti garantisco che scoprirò i tuoi peggiori incubi e li renderò talmente reali che mi implorerai di ucciderti, invece che farteli vivere anche solo un minuto-
Gli occhi color sangue di lui sostennero i suoi senza battere ciglio. -Dovrebbe essere una minaccia?- la provocò, sollevando un sopracciglio. -Sappi che c’è solo una cosa al mondo di cui ho paura, e non verrò certo a dirla a te, ho visto quello che sei capace di fare alla gente. E comunque stai tranquilla, il tuo segreto è al sicuro- le sorrise malevolo, prima di seguire Diana e riunirsi al resto della ciurma.
-Dunque ora che facciamo?- domandò Mirage, grattandosi un orecchio. Il caos della battaglia accendeva la sua forza animale, è vero, ma anche il suo delicato udito di tigre ne risentiva, quindi ora aveva un po’ di mal di testa. -Mark avrebbe dovuto già essere qui, non trovando nessuno nelle celle- considerò Keyra, con fare pensoso. -Lascia perdere, si sarà fermato a bere un bicchierino lungo la strada…- rispose ironicamente Kaith; allo sguardo interrogativo della ragazza, tuttavia, si ricordò che né lei, né Iris, né Diana erano a conoscenza della performance da delirium tremens messa in atto dal loro medico di bordo alla festa del paese, perciò si limitò a liquidare tutto con un “è una storia lunga”. -Vorrà dire che andremo a cercarlo- propose Iris, facendo per dirigersi verso l’ingresso della sala sotterranea.
-Aspetta, Iris!- Era stato Naoaki a parlare. -Che c’è?- chiese il capitano, inclinando un pochino la testa di lato. Non capiva: se qualcuno era rimasto indietro, dovevano andare a prenderlo, no? -Non è tanto l’assenza di Mark che mi preoccupa- spiegò il cecchino, -quanto quella di Greta ed Ellesmere. Avrebbero dovuto già essere qui, contando che Greta può attraversare l’acqua del lago con le sue nuvole e…-
-Figo! Quindi Greta sa volare, proprio come te, Kahir!- Il falco pigolò offeso, lanciando un’occhiataccia alla sua “sorella non piumata”: un po’ perché odiava essere paragonato agli umani, che erano esseri così goffi e poco eleganti; un po’ perché stava ascoltando la spiegazione della situazione, e lei l’aveva interrotta sul più bello. -Scusa, Nao, vai pure avanti- fece la mora, passandosi una mano nei capelli con un sorriso tirato.
-Dicevo- riprese Naoaki, dopo un sospiro rassegnato, -contando la rapidità con cui possono spostarsi, mi sembra strano che non siano già arrivate. Il che mi fa pensare che abbiano incontrato dei contrattempi strada facendo- concluse. -Che genere di contrattempi?- lo interrogò Rey, che aveva subito drizzato le orecchie al sentire che forse i loro guai non erano ancora finiti. -Caleb-
Entrambi si voltarono nella direzione di Shiro, che si era intanto messo a sedere. Un brivido percorse tutti i presenti nella sala, dal primo all’ultimo. Era vero: nella foga del combattimento, nessuno aveva notato l’assenza dell’agente, che a quel punto poteva essere ovunque. -Mi aveva chiesto di portargli le prigioniere, ma io invece le ho liberate e nel contempo abbiamo sentito un gran trambusto dall’esterno…- spiegò il ricercatore. -… ovvero il diversivo di Ellesmere sull’altra sponda del lago- finì la frase per lui Naoaki, annuendo.
-Oh, no…- gemette il rosso, prendendosi la testa tra le mani. Allo sguardo interrogativo ricevuto in risposta, ritenne opportuno spiegarsi. -Hai detto che le vostre compagne si trovavano sull’altra riva, giusto?- Ad un nuovo cenno d’assenso, continuò il suo discorso, sistemandosi la visiera del cappellino in quello che doveva essere un suo tic nervoso. -C’è un passaggio, subito fuori da questa sala, che consente di raggiungere velocemente l’esterno, sia l’ingresso principale, sia l’ala ovest, cioè quella sulla sponda opposta del lago. L’abbiamo creato come via di fuga estrema, nel caso in cui qualche esperimento fosse finito particolarmente male. Se le vostre amiche erano lì, è probabile che non solo buona parte della sorveglianza sia confluita in quel luogo per fermarle, ma che anche Caleb sia andato a dare manforte. Vedete, quando assieme abbiamo catturato Diana, mi ha spiegato che il suo piano prevedeva di usarla come esca per attirarvi tutti qui, in modo che lui potesse prendervi più facilmente-
Naoaki corrugò la fronte, pensoso. Se quell’Ayr era davvero il brillante stratega che si era dimostrato fino a quel momento, allora l’ipotesi fatta da Shiro era molto più che plausibile. Aspettandosi un’incursione diretta nel laboratorio per liberare Diana, il loro attacco su più fronti doveva averlo inizialmente destabilizzato, ma una volta realizzata la loro divisione in sottogruppi, probabilmente aveva scelto di sfruttare a proprio vantaggio la situazione, giocando d’anticipo e buttandosi sui singoli (o, in questo caso, sulla coppia) piuttosto che sullo schieramento completo. Si maledisse mentalmente per non aver pensato a questo risvolto negativo del suo piano.
-Shiro- richiamò il rosso, assicurandosi di avere la sua attenzione, -ci puoi condurre al passaggio? Forse siamo ancora in tempo per andare in soccorso di Greta ed Ellesmere. Caleb è un agente esperto, e se le voci che ho sentito sul conto della CP9 sono fondate non dovrebbe avere difficoltà a fronteggiare anche due di noi contemporaneamente; se però lo raggiungiamo tutti, lo metteremo in difficoltà- Il ricercatore annuì. -Allora non perdiamo altro tempo! Facci strada, uomo del vento!- esclamò Iris, facendo sorridere tutti per il soprannome che gli aveva appioppato.
-Ma Iris, e Mark?- intervenne Diana. -A lui penseremo dopo, tanto se scenderà qua sotto si accorgerà che non ci siamo e tornerà fuori ad aspettarci- la liquidò Alex, gelida. Se qualcuno era in pericolo, dovevano recarsi ad aiutarlo immediatamente, non potevano permettersi di aspettare chi rimaneva indietro. -Concordo con lei, Dia, Mark non è stupido, saprà cosa fare- confermò Iris, prima di avviarsi dietro a Shiro verso l’uscita, seguita ad uno ad uno dal resto del gruppo.
La vedetta si mordicchiò il labbro, contrariata. Non se la sentiva di lasciare neanche un solo compagno, anche perché la faccenda non le piaceva affatto; lei era al corrente di quanto Caleb potesse essere efferato nel perseguire i suoi scopi (e le contusioni di cui era ricoperta ne erano una chiara testimonianza), quindi ogni pezzo di ciurma che perdevano lungo la strada diventava una potenziale vittima in più.
Lanciò un ultimo sguardo al campo di battaglia, poi si diresse anche lei alla porta del laboratorio. Sperava che tutta quella faccenda terminasse presto e, soprattutto, che finisse bene. Mentre varcava la soglia sentì qualcuno toccarle una spalla e, girandosi, si trovò a specchiarsi negli occhi azzurri di Shiro. -Ce la farete, vedrai. Siete dei tipi tosti, tu sopra tutti- la rassicurò bonariamente. Lei lo guardò incerta, poi, preso un respiro profondo, gli espose in breve il suo dubbio circa le azioni dell’agente governativo ancora latitante. -E Shiro- concluse, sempre con lo sguardo del ragazzo fisso sul suo volto, -so che vorrai ammazzarmi, alla fine della giornata, ma avrei bisogno che mi facessi un ultimo favore-
 
 
 
 
Greta aveva il fiato corto, mentre varcava la soglia dell’edificio correndo all’impazzata. Praticamente, era da una mezz’ora buona che non si concedeva un attimo di pausa, e la stanchezza cominciava a farsi sentire. Dopo essere arrivata sulla sponda opposta del lago, infatti, si era affiancata ad Ellesmere per fronteggiare l’esercito che si era parato loro davanti.
La sua compagna, man mano che la battaglia procedeva, constatando che gli aggressori non demordevano, aveva tentato in ogni modo di tenerli il più lontano possibile da sé: aveva sparato alcuni petardi fumogeni nella loro direzione per confonderli ed impedirgli di avvicinarsi troppo, mentre li colpiva a gruppi con attacchi esplosivi, ma così facendo si era trovata completamente accerchiata, con alle spalle lo specchio d’acqua a tagliarle ogni via di fuga. Per fortuna, a quel punto era arrivata lei a cavallo della sua nuvola di vapore, e prese le sue due pistole aveva iniziato ad incalzare a sua volta. Quando il fronte si era ulteriormente ristretto, tuttavia, aveva preferito convertirsi ad attacchi a corto raggio.
In breve, entrambe le ragazze avevano trovato il modo di coordinarsi nella lotta: la rossa teneva a distanza tutti gli avversari che riusciva grazie al suo potere pirotecnico, e se qualcuno riusciva a superare la guardia stava alla navigatrice farlo fuori, afferrandolo ed immobilizzandolo con la frusta per poi finirlo a colpi di spada. Ci era voluto parecchio, ma alla fine erano riuscite a sopraffare tutti i marine.
A quel punto non restava che tornare dal resto della ciurma, sperando che anche loro se la stessero cavando bene con l’attacco al laboratorio. A giudicare dal fatto che nessun altro soldato era giunto contro di loro come rinforzo, probabilmente gli stavano dando filo da torcere a sufficienza.
Per fare più rapidamente, la navigatrice aveva evocato una nuova nuvola solida che permettesse loro di attraversare indenni l’acqua anziché fare il giro da terra; in più, durante un attimo di distrazione, Ellesmere era stata ferita da un fendente nemico a una gamba e, per quanto il taglio non fosse eccessivamente profondo, le causava abbastanza dolore e le rendeva i movimenti più difficoltosi e meno veloci, per quanto lei tentasse di non darlo a vedere.
Così, una volta giunte sulla riva principale, quando aveva ripreso a correre, aveva in poco tempo distanziato l’amica, e ora che stava entrando nel laboratorio si accorgeva di non essere nemmeno più in grado di vederla alle sue spalle. Non diede però troppo peso alla cosa: non c’era alcuna sorveglianza esterna che potesse nuocerle, e se anche qualcuno fosse provenuto dall’interno dell’edificio per attaccarle avrebbe dovuto prima fare i conti con lei.
Dopo aver dato una rapida occhiata in giro nell’atrio, si concesse un minuto per riprendere almeno un minimo di fiato. Del resto, era talmente spossata, al momento, che se anche si fosse trovata nel mezzo della battaglia con il resto della ciurma sarebbe stata di poco aiuto, anzi si sarebbe inutilmente messa in pericolo. Ripulì le canne delle pistole, le ricaricò e lucidò la lama della spada, preparando le armi ad un nuovo giro. L’adrenalina che era scemata durante la pausa le stava già tornando in circolo.
Si stava avviando verso l’imboccatura del corridoio dall’altra parte dello stanzone, l’unica direzione possibile per addentrarsi più a fondo nell’edificio, quando proprio dall’apertura emerse una figura solitaria. Non si trattava né di un ricercatore né di un soldato, ma di un ragazzo dai capelli verdi e dall’aria annoiata, a giudicare dalla camminata lenta e con le mani in tasca. Strinse i denti: assomigliava parecchio, per atteggiamento, a uno di quei tanti bastardi che avevano reso la sua vita un inferno, nell’isola su cui era cresciuta. Motivo in più per non abbassare la guardia.
Anche a lui, comunque, la sua presenza estranea in quel luogo non passò inosservata. -Salve!- le gridò per farsi sentire. -Bella giornata, eh?- domandò, con fare gioviale, mentre continuava ad avvicinarsi sempre con estrema tranquillità. In quel momento, Greta ripensò agli avvertimenti di Naoaki riguardo al misterioso stratega che c’era dietro al rapimento di Diana, e lo identificò con quel tipo. La mano le si strinse ancora di più sull’elsa della spada: se fosse stato necessario difendersi o attaccare, non si sarebbe lasciata cogliere alla sprovvista, anche se doveva ammettere che l’aspetto del suo interlocutore era abbastanza da pivello. Decise così di testare le sue reazioni alle provocazioni.
-Immagino che tu sia quello che si chiama Caliban Aire, giusto?- lo chiamò con aria di sfida, estraendo un paio di centimetri di lama dal fodero. -A dire il vero mi chiamo Caleb Ayr, ma non so chi mi abbia presentato a te, perché non credo di averti mai vista- fece lui, grattandosi la testa con espressione confusa. Decisamente un pivello, pensò la giovane. Non ci avrebbe messo molto a farlo fuori; a quanto pare, il loro cecchino di bordo aveva un po’ sopravvalutato l’avversario che si era trovato di fronte. Non a caso era un uomo, pensò con disprezzo.
-Poco male, possiamo presentarci adesso. Greta Mia, navigatrice professionista- gli rispose, sorridendo di rimando e iniziando a sua volta a procedere in direzione dell’altro, togliendo anche la mano dall’arma. Le era venuta voglia di prenderlo un po’ in giro prima di metterlo ko. Del resto, era talmente idiota che valeva la pena divertirsi a sue spese. -Oh, adesso mi ricordo! È tutto più chiaro, grazie mille!- esclamò allora Caleb, battendosi una mano sulla fronte. Questa volta fu lei a sollevare un sopracciglio. -Ovverosia?- gli chiese, vagamente stranita.
Per tutta risposta, il verde si limitò a coprire la distanza che li separava con un paio di ampie falcate, il che stupì notevolmente la navigatrice, dato che si tra loro si estendeva ancora mezza stanza buona. Primo segnale che, forse, le stava sfuggendo qualche dettaglio importante.
-Sei una dei visitatori che stavamo aspettando al laboratorio per la giornata di oggi! Meno male, sono felice di vedere che non sei in ritardo! Pronta ad iniziare il giro turistico?- la accolse, inclinando le labbra in un sorriso sghembo. Ok, decisamente la situazione cominciava a scapparle di mano. O aveva a che fare seriamente con un imbecille totale, oppure non era lei a prendere per i fondelli lui, ma il contrario. -Perché, aspettavate altre persone?- domandò, cercando di ignorare un brivido d’allarme alla schiena.
-Certo! Una è arrivata abbastanza presto, e infatti l’abbiamo accolta al meglio delle nostre capacità, le ho mostrato tutto quello che ho potuto nel tempo che ci è stato concesso- spiegò, ghignando. -L’altro invece è stato abbastanza una sorpresa, non mi aspettavo di trovarlo a gironzolare per i corridoi senza una guida. Poverino, aveva un’aria così confusa e sperduta… Speriamo che il bagno nel lago gli abbia schiarito un po’ le idee-
Un nuovo tremito, più intenso del precedente, le scosse le spalle. Si mandò a quel paese per aver bellamente ignorato gli avvertimenti di Naoaki circa la pericolosità del nemico, e ancora di più per essere stata così stupida da sottovalutarlo. Si morse il labbro prima di rompere il silenzio in qualche maniera, ma lui l’anticipò. -Direi di finirla col teatrino, che ne dici? Però converrai con me che, se non mi avessero preso nella CP9, avrei avuto una promettente carriera da attore. Ah, per la cronaca, dubito che Mark, si chiamava così, giusto?, sapesse nuotare-
Greta sgranò gli occhi, come se un lampo l’avesse folgorata sul posto. Mark… Il lago… Allora anche il medico, per qualche ragione, doveva essersi separato dal resto del gruppo, e per un malaugurato caso si era imbattuto nell’agente; poi, probabilmente, si era lasciato ingannare (come lei poco prima, del resto) dal suo aspetto da inetto, ed era pertanto stato sopraffatto. Ma lei, ora che aveva visto le cose come stavano, non sarebbe stata così sprovveduta da lasciarsi sconfiggere. -Sì, sono d’accordo con te- esalò a denti stretti. Quella faccenda doveva concludersi, e subito. Estrasse fulminea una pistola dalla custodia, puntandola dritta alla testa del ragazzo. -Basta col teatrino- e fece fuoco.
Il colpo attraversò la fronte del giovane, proseguendo indisturbato la sua corsa a mezz’aria. O meglio, attraversò solamente l’aria, perché quello che era Caleb sparì nel nulla non appena la pallottola l’ebbe toccato, tremolando leggermente e producendo un fischio come di una lama che tagli l’aria a velocità supersonica. La navigatrice si guardò intorno allarmata, alla ricerca di un nemico che sembrava essersi reso invisibile.
-Non sei molto corretta, mi pare- Si voltò e sparò, ma di nuovo andò a vuoto. Eppure era convintissima di aver sentito la voce a pochi centimetri dal suo orecchio destro. -Colpire a tradimento uno che stava solo scambiando due chiacchiere con te…- Per la terza volta ruotò su sé stessa, stavolta sul lato sinistro, ma non c’era verso di capire da che parte si trovasse il suo avversario. Un inaspettato calcio da dietro le fece piegare il ginocchio destro, perdendo l’equilibrio. Nel contempo, una mano la afferrò per i capelli, sollevandole la testa per impedirle di andare a sbattere contro il pavimento.
-Non dovresti giocare con le pistole, potresti fare male a qualcuno- le sussurrò Caleb all’orecchio, causandole un brivido. Stava per girarsi e tirargli un pugno, sfruttando la vicinanza dei loro volti, ma lui fu più rapido, assestandole uno schiaffo che riecheggiò come una frustata nel silenzio dell’atrio. -Dimmi, ti hanno mai sparato? Sai cosa si prova?- le domandò, mantenendo il suo tono provocatorio. -Se la risposta è no, lascia che te lo mostri-
La sensazione che qualcosa le stesse perforando la spalla, unita a un dolore intensissimo, la investì senza alcun segnale di preavviso. Lanciò un grido, un po’ per la sorpresa, ma soprattutto per il bruciore: era veramente come se qualcuno l’avesse colpita con un proiettile. Eppure era convinta che il verde non avesse alcuna arma con sé…
L’agente la voltò nella sua direzione, in modo che potesse guardarlo negli occhi. -Capito, adesso? O vuoi un altro assaggio?- chiese, e senza nemmeno attendere una risposta, sollevò la mano destra, puntandole contro l’indice, e scattò in avanti come se volesse sferrarle un pugno. Il dito le penetrò diretto nella carne, esattamente sul lato opposto al primo attacco; se si fosse vista dall’esterno avrebbe potuto constatare la presenza di un foro quasi continuo che le attraversava tutta la spalla. Questa volta trattenne l’urlo, ma non poté impedirsi di gemere sommessamente, soprattutto mentre l’altro ritraeva il dito, ora tinto di scarlatto.
-Mirabile, non trovi?- la interrogò Caleb, sempre tenendola per i capelli, mentre ammirava il flusso di sangue che sgorgava costantemente dalla ferita che le aveva inferto. -Alla CP9 chiamiamo questa tecnica Shigan, il “dito pistola”. Vuoi che ti spieghi il perché del suo nome, o ci arrivi da sola?- la schernì. -Vai al diavolo!- gli ringhiò contro Greta rabbiosamente. Il modo in cui quel tipo si stava facendo beffe di lei, credendosi superiore solo perché sapeva usare un paio di tecniche particolari, la mandava letteralmente in bestia.
Ignorando il male che provava, con la mano sinistra (dato che, probabilmente a causa del colpo subito, non riusciva a muovere la destra) afferrò la frusta e la fece schioccare verso l’alto, colpendo l’avversario al viso. Quello, stupito, mollò la presa, liberandola. Senza perdere tempo ruotò sul ginocchio puntato a terra e scattò in piedi, avvinghiando la frusta alla caviglia di Caleb, e dando uno strattone deciso lo spedì a terra, avvicinandosi nel contempo per assestargli un calcio che gli impedisse di contrattaccare nell’immediato.
Il giovane, tuttavia, si piegò all’indietro, dimostrando una flessibilità impressionante (la sua schiena formava un cerchio quasi perfetto) e, facendo leva sulle mani, eseguì una ruota, rimettendosi in piedi. La frusta che aveva ancora agganciata alla gamba trascinò con sé la navigatrice, facendole perdere parzialmente l’equilibrio. Poi, afferrata l’arma a due mani, fu lui a tirare bruscamente, sbilanciando del tutto la sua avversaria. Una rapida falcata e un potente colpo allo stomaco fecero il resto.
Greta era a terra, boccheggiando a causa del colpo appena subito. -Ma bene- le sputò contro Caleb, mentre le tirava qualche calcio giusto per assicurarsi che non reagisse per un po’, -allora qualcuno nella vostra ciurma vale il mio tempo, a quanto pare. Non sei male come combattente, devo riconoscerlo- La ragazza non parlava, troppo concentrata a cercare di raccogliere le poche energie che le rimanevano nel disperato tentativo di proteggersi. -Comunque, mi dispiace informarti che è il momento di farla finita. La tua taglia dice “viva o morta”, e la corte ha appena deciso per la tua condanna alla fucilazione-
Chinatosi per raggiungerla, la prese per la gola, sollevandola in alto; lei non poté che lasciarlo fare, tutta la forza che aveva (e che si era già per buona parte consumata nella lotta contro l’esercito di marine a fianco di Ellesmere) era completamente esaurita. Senza esitare un istante, il giovane agente sollevò il dito, puntandolo verso il suo petto, all’altezza del cuore. -Guardami in faccia- le ordinò. Gli occhi azzurri di lei, che cominciavano a velarsi per la carenza di ossigeno mista al dolore per le ferite riportate, si piantarono in quelli blu e dorati di lui; la sferzata che gli aveva inflitto prima gli aveva aperto un taglio sullo zigomo, da cui colava un rivoletto di sangue. Quando il liquido scarlatto gli raggiunse l’angolo della bocca, percependo la sensazione umida, lo leccò via, saggiando la sua stessa carne con un’espressione di disappunto sul viso. -Due fatti, altri nove da fare- esalò, prima di caricare il braccio per colpirla.
Tuttavia, non raggiunse mai il suo bersaglio. Nell’esatto istante in cui il colpo mortale scattava, qualcosa che proveniva dal suo fianco lo colpì con forza inaudita, scagliandolo lontano fino a colpire una parete della stanza in cui si trovavano. Greta cadde in ginocchio, tossendo convulsamente mentre l’aria a lungo negata dallo strangolamento le tornava a circolare nei polmoni, facendoli bruciare. Si voltò nella direzione da cui era stato sferrato l’attacco al suo avversario, ma non vide nessuno.
Poté però udire chiaramente un fischio, simile in tutto e per tutto a quello prodotto da Caleb quando si spostava a velocità supersonica, e colse di sfuggita una figura passarle davanti, talmente rapida da risultare quasi invisibile. Qualcuno si stava dirigendo verso il punto in cui Caleb era stato spedito, ma non riusciva a vedere chi, i suoi movimenti erano troppo lesti. In ogni caso, nella confusione, le parve di notare un solo particolare: una camicia arancione a quadri.
 

 

 

Angolo dell’autrice
 

Incredibile ma vero, ecco qua un altro capitolo in tempi abbastanza ragionevoli. Motivo? Particolare ispirazione e tempo a sufficienza per scrivere. Non abituatevi troppo, però, temo che la cosa non sia destinata a durare. In particolare, credo che la prossima puntata arriverà tra un po’, dato che in questo mese ho tre esami parziali da preparare e quindi i miei momenti liberi si ridurranno drasticamente. Spero solo che “Questioni d’onore (e di Marina)” sia all’altezza.
E a proposito del capitolo… che ne pensate? Personalmente, io non ne sono convinta al cento percento. Ho puntato molto sul passato di Mark (che riprenderò probabilmente tra due capitoli o addirittura nel prossimo per precisare un paio di dettagli). Siate sinceri, non ve l’aspettavate che anche lui fosse un marine, vero? Beh, poco importa, dato che ormai l’abbiamo perso. Facciamo un minuto di silenzio per il nostro medico di bordo affogato miseramente in un lago.

No, stavo scherzando, non sono così crudele da uccidere un personaggio, soprattutto se è utile e mi sta simpatico. Chiunque tra l’altro avesse ipotesi riguardo a chi o cosa abbia visto mentre sprofondava nelle gelide acque (che espressione poetica… oggi la mia vena artistica ha preso il sopravvento ^-^”) può esprimerle liberamente, sono curiosa di conoscere le vostre teorie ;)
Non ho dato molto spazio al grosso della ciurma, e forse è per questo che il capitolo non mi piace moltissimo. Oltre che su Mark, mi sono focalizzata parecchio su Caleb, a costo di sembrare incoerente sul personaggio. Mi spiego meglio: come avete potuto notare, nel combattere con Mark è stato abbastanza diretto, ha cercato di provocarlo per fargli abbassare la guardia (del resto, quando ci si arrabbia si è anche meno lucidi) e difatti l’ha battuto facilmente. Con Greta, invece, fa la figura dell’imbecille, almeno all’inizio… So che questo pare non avere il minimo senso, ma volevo far emergere proprio le sue capacità di “trasformista”. In un caso usa la provocazione diretta, nell’altro invece fa in modo che l’avversario lo sottovaluti, e come tattica funziona abbastanza bene, finché qualcuno non lo interrompe prima che possa far fuori Greta. Oh, e ho anche cercato di rendere il suo innato sadismo. Non so, ditemi voi cosa ne pensate.
Anche per oggi è tutto, ora passiamo la linea al meteo: si prevedono pubblicazioni variabili a termine da definirsi, con possibilità di sporadici combattimenti all’ultimo sangue. Buona Pasqua a tutti e alla prossima!
 
Swan

 

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Capitolo 11
*** 10. Un regolamento di conti ***


UNA GRANDE AVVENTURA
 
 
Capitolo 10: Un regolamento di conti

 
Mark.
La luce solare esterna era particolarmente intensa, lo intuiva perché anche con le palpebre serrate vedeva tutto sfumato d’arancione cupo.

Mark.
Avrebbe mugugnato qualcosa in risposta, ma un enorme peso sul petto, nel petto, glielo impediva. E per di più, si sentiva così stanco… Non voleva svegliarsi. Voleva solo riposare, e non ridestarsi mai più.

Mark, ti prego, respira.
Per quanto suonasse dolce e preoccupata, quella voce lo infastidiva. Respirare gli sarebbe risultato faticoso, a causa di quel macigno che gli premeva sull’addome, e lui non aveva la minima intenzione di affaticarsi, contando tutto quello che aveva dovuto passare. Il combattimento, il ricordo della morte di suo padre…

Mark, apri gli occhi, guardami!
Quella nota di allarme per lui, che cresceva di tono pur rimanendo un suono ovattato e distante, si accompagnò alla comparsa nel suo campo visivo (se così si poteva definire) di un’ombra. Non poteva distinguerla chiaramente, avendo gli occhi chiusi, ma sembrava una figura femminile, a giudicare dai capelli lunghi.
Per un attimo, gli baluginò in mente una serie di immagini confuse, dal limbo tra la coscienza e l’incoscienza in cui si trovava.
Una coda da pesce multicolore, simile ad un arcobaleno iridescente sotto la luce del sole e i riflessi dell’acqua.
Due braccia che lo afferravano con delicatezza, eppure in grado di trascinarlo con forza verso l’alto.
Una lunga e fluente chioma, ondeggiante al ritmo della corrente generata dal movimento della pinna che lo stava portando verso la superficie, o forse verso il fondo, non avrebbe saputo dirlo con certezza.
E infine, apparentemente fuori contesto, una fotografia, un po’ sbiadita sulla carta, eppure impressa nella sua mente in modo indelebile. Vi erano raffigurati un uomo sulla quarantina, dai lisci capelli neri e dallo sguardo carico di tenerezza, rivolto alla donna che teneva stretta tra le braccia. La capigliatura castana, che le incorniciava il volto dai magnifici occhi acquamarina e dal sorriso dolce come un cucchiaio di miele, ricadeva folta fino ai fianchi, resi pieni e tondeggianti dalla nuova vita che si preparava a dare alla luce.
In cuor suo, Mark aveva sempre desiderato conoscere sua madre. Annabelle, così si chiamava. Annabelle, un raggio di sole giunto a rischiarare la vita buia di un Alfred Hellsing, medico militare, nel momento in cui aveva tentato in ogni modo di salvare il di lei fratello, rimasto gravemente ferito durante una missione, facendo l’impossibile per curarlo. Annabelle, che era rimasta al suo fianco sempre, a supportarlo sia nei successi che nelle difficoltà, con una forza d’animo sorprendente; una forza d’animo che non le aveva impedito però, al termine di una gravidanza complicata fin dai primi mesi, di spirare tra le braccia dell’uomo che amava, ma non prima di aver permesso a loro figlio di nascere.
Glielo raccontava spesso suo padre, quando era bambino, scompigliandogli la zazzera corvina e guardandolo fisso in quegli occhi tanto simili a quelli della donna da cui li aveva ereditati. Anche se lei non era lì a dargli una mano, si sarebbe preso cura di lui, sempre e a qualsiasi costo. Non poteva permettere che al frutto del loro amore, per cui lei aveva dato la sua stessa vita, capitasse qualcosa di male.

Ti prego… Non abbandonarmi…
Fu proprio quell’ultimo ricordo a dargli la spinta che gli necessitava. Non poteva lasciarsi andare così. Morendo forse avrebbe potuto riabbracciare i suoi genitori, che certo gli mancavano, ma avrebbe anche reso vani tutti i sacrifici che avevano fatto per lui: quelli di suo padre, che aveva rinunciato a tante posizioni lavorative migliori pur di restare al suo fianco ad accudirlo e crescerlo, ma in primis quello di sua madre, che aveva perso la vita perché lui potesse avere la sua. No, non si sarebbe arreso mai: doveva farcela per loro.


 
***

 
 
Spalancò gli occhi, annaspando in un disperato tentativo di recuperare aria. Era sdraiato supino, probabilmente sulla riva del lago dove Caleb l’aveva scaraventato al termine del loro scontro. Sarebbe scattato a sedere, ma non aveva la forza necessaria: si sentiva completamente spossato, come se avesse camminato per giorni interi senza mai fermarsi. Tuttavia, percepiva il bisogno impellente di liberarsi di tutta l’acqua che aveva ingerito, così si voltò su un fianco e cominciò a tossire, espellendo un po’ alla volta quel liquido che lo aveva quasi ucciso. I polmoni gli bruciavano da morire, ma in qualche modo, man mano che procedeva con quella tortura autoinflitta, cominciava anche a sentirsi meglio.
Quando ebbe finito, provò effettivamente a mettersi seduto. La sua vista era offuscata da centinaia di pallini neri sfarfallanti, la testa gli girava e i suoni gli giungevano ovattati, tanto che per un attimo credette di svenire nuovamente. Mentre cadeva di lato, però, qualcuno lo abbracciò, impedendogli di andare a sbattere sul terreno.
-Mark! Stai bene!- La voce di Ellesmere che lo chiamava gli ridiede in un attimo tutto il vigore di cui aveva bisogno. Sapere che la sua amica era riuscita a sopraffare il nemico nella battaglia che si era appena conclusa (o meglio, si era conclusa già da un po’… Per quanto tempo era rimasto privo di sensi? Minuti? Ore?) lo rinfrancava più di qualsiasi tonico ricostituente.
-Cielo, ragazzo, ci hai fatto prendere un colpo! Ormai temevamo il peggio, per fortuna la tua amica qui ha insistito nel cercare di rianimarti, noi stavamo perdendo le speranze!- A parlare, stavolta, era stato un uomo, avvolto da un lungo camice color sabbia, che lo scrutava con aria profondamente sollevata. Solo allora Mark si accorse di essere circondato da un nutrito gruppo di persone, tutte in abiti simili a colui che gli si era rivolto. Dovevano essere gli scienziati del laboratorio, c’erano pochi dubbi al riguardo.
-Cosa…- provò a domandare, ma venne preso da un nuovo conato, che lo costrinse a piegarsi in due. -Non affaticarti, sei ancora molto debole- gli disse la rossa, poggiandogli una mano sulla spalla. A sentire quelle raccomandazioni, un sorriso involontario si fece strada sulle sue labbra, così, incurante del bruciore alla gola, le rispose: -Non rubarmi il mestiere, sono io il medico di bordo!-
-Stupido!- lo rimproverò lei, tirandogli un delicato pugno su una spalla. Il giovane tentò di imbastire un’espressione offesa, massaggiandosi dove era stato colpito, ma non riuscì nel suo intento; anzi, il risultato doveva essere così comico che la sua compagna, dopo averlo visto, scoppiò a ridere, contagiando ben presto anche lui e qualche altro dei presenti.
-Smettetela di ridere, non c’è niente di divertente!- intervenne uno dei ricercatori, dai corti capelli castani. -Vi ricordo che questo ragazzo è quasi annegato! Sarebbe morto, se non fosse stato per…- ma si bloccò di colpo, senza terminare la frase. Mark gli rivolse uno sguardo interrogativo. -Ma come, non siete stati voi a tirarmi fuori dall’acqua?- chiese, osservando i vestiti umidi di alcuni di loro. Le immagini confuse di mentre affondava erano ancora ben vivide nella sua mente, ma dubitava che fossero reali. Sicuramente la carenza di ossigeno aveva deformato le sue percezioni, inducendolo a credere di aver visto cose inesistenti.
Il tipo si morse il labbro, come se fosse indeciso sulle parole da usare. -A dire il vero, noi ti abbiamo solo portato sulla spiaggia, ma quando ti abbiamo trovato, eri già qui vicino, nell’acqua bassa- spiegò. -Magari la corrente ti ha trascinato a riva…- -No, non è possibile! Io ho mangiato un frutto del diavolo, la corrente avrebbe dovuto portarmi a fondo, non farmi galleggiare!- esclamò il medico, facendo spaventare l’uomo per il modo in cui si era improvvisamente infervorato. -Non avete visto proprio niente?- -Non so che dirti, ragazzo- replicò quello.
-Ellesmere, tu ne sai qualcosa?- provò allora a domandare. La ragazza non aveva infatti proferito parola da quando aveva ripreso i sensi. La guardò in quegli occhi azzurrissimi, e per un momento gli sembrò di cogliere un’esitazione, come un’ombra di un qualcosa di non detto. Le sue labbra si schiusero un poco, a dire qualcosa, ma anziché parlare si limitò a fare un cenno di diniego con la testa. -Lei era assieme a noi, quello che ha visto è esattamente quello che ti abbiamo riferito- concluse l’uomo che gli aveva parlato prima, troncando definitivamente la questione. Si alzò in piedi e si allontanò un poco, assieme ad alcuni colleghi.
Quando non fu certo che non fosse più a portata d’orecchio, Mark si rivolse all’amica. -Non so se quel tizio mi stia raccontando la verità o una frottola, ma io so bene cosa ho visto. Cosa penso di aver visto- le disse, provocandole un singulto. -E… e che cosa hai visto?- gli domandò. C’era qualcosa che non andava in lei; sembrava turbata, addirittura spaventata da quello che avrebbe potuto udire. Il giovane prese un respiro profondo prima di confessarsi. -So che crederai che io sia pazzo, ma a salvarmi è stata una sirena-
La ragazza sgranò gli occhi. -Dici sul serio?- domandò, vagamente incredula. In risposta, lui annuì. -E dimmi… che aspetto aveva?- Si grattò il mento, cercando di riportare alla mente i pochi frammenti di immagini che era riuscito a collezionare prima di cadere nell’oblio. -Non ricordo molto bene… So solo che aveva i capelli molto lunghi, una coda coloratissima, quasi come un arcobaleno danzante, e una voce talmente dolce che avrebbe fatto sciogliere il cuore del più duro fra gli uomini. E ha chiamato il mio nome. Per questo non credo che fosse reale: voglio dire, come faceva una creatura del genere a sapere come mi chiamo?- Si fermò un secondo a riflettere, senza smettere di guardare Ellesmere. La rossa deglutì a vuoto, pur sostenendo il suo sguardo. -In effetti, però, mi ha ricordato una persona che conosco…-
Un nuovo tremito improvviso colse la giovane, che però fu abile a dissimularlo. Non sapeva cosa dire. Fin dall’inizio della conversazione Mark si era inoltrato in un territorio pericoloso, e ogni parola li avvicinava sempre di più a quello che sarebbe stato il punto di non ritorno. Se avessero continuato così, non avrebbe potuto evitare di dirgli la verità, e cioè che sì, dannazione, era stata lei a salvarlo dal lago, era lei che aveva visto. Era una sirena.
Per questo poteva sentire la voce dei pesci e comunicare con loro. Per questo poteva nuotare nonostante avesse mangiato un frutto del diavolo, e il giorno in cui era quasi caduta dalla nave aveva rischiato di renderlo palese a tutti. Ancora non si fidava a confidare questo segreto al resto della ciurma; per quanto avesse avuto a più riprese prova della loro bontà d’animo e lealtà, infatti, temeva cosa sarebbe accaduto se avesse rivelato loro la sua vera natura: una natura che, per quanto utile (come si era appena dimostrata), in passato non le aveva causato che sofferenze. Già il fatto che i ricercatori l’avessero vista la metteva in pericolo, ma parlando loro era riuscita a convincerli a non dire niente a riguardo. Dopotutto, non sembravano cattive persone, e infatti avevano accettato di buon grado di mantenere il segreto.
-E… chi?- chiese al medico, serrando le palpebre. Era pronta ad affrontare le conseguenze di ciò che avrebbe detto, ma non aveva il coraggio di guardarlo negli occhi mentre glielo esponeva. In ogni caso, la risposta che ricevette le fece tirare un enorme sospiro di sollievo. -Mia madre-
-Tua… madre?- -Sì- confermò Mark, ancora perso nei meandri dei propri ricordi. -In realtà non l’ho mai conosciuta, è morta subito dopo che io sono nato- spiegò, -ma mio padre teneva sempre una fotografia di loro due assieme e me la mostrava, di tanto in tanto. Credo che lo shock causatomi dall’annegamento mi abbia portato a sovrapporre la sua immagine a quella del mio salvatore, anche se non so perché. Ah, i misteri della mente umana…- concluse, con un sospiro.
-Già, il modo in cui ragioniamo a volte è davvero bizzarro- gli fece eco Ellesmere, che si era realmente tolta un peso dalla coscienza a quella rivelazione, anche se non si trattava di altro che di un rimandare l’inevitabilità. Prima o poi avrebbe dovuto affrontare la delicata tematica di ciò che era, e non solo con Mark, ma davanti a tutti i suoi amici. “Ma non oggi” pensò, proprio mentre una voce alle sue spalle richiamava la sua attenzione.



 
-Ehi, laggiù!- -Shiro!- gridò uno dei ricercatori del gruppo, vedendo avvicinarsi il collega. Il ragazzo dai capelli bordeaux stava al fianco di Iris, alla testa del resto della ciurma. -Ciao, tizio di prima!- rispose giovialmente il capitano, facendo un cenno con la mano sotto gli occhi perplessi di tutti. Come modo di salutare una persona, era decisamente strano. -Si chiama Andrea- le bisbigliò Keyra, che a differenza di lei non aveva dimenticato il nome dell’uomo; la risposta della mora fu, se possibile, ancora più spiazzante. -Eddai, Keyra, non puoi mica pretendere che mi ricordi come si chiamano tutte le persone che incontro…- si giustificò, grattandosi la testa. Comunque fu Andrea stesso a fare un gesto con la mano come a dire che non era una questione importante, aggiungendo un “non c’è problema, davvero” per risultare più convincente.
-Ellesmere! Per fortuna stai bene!- Mirage si precipitò in direzione dell’amica, correndo ad abbracciarla. -Temevamo che ti fosse successo qualcosa di male, siccome non ci hai raggiunti- le spiegò, mentre la ragazza rispondeva alla stretta affettuosa della tigre. -Tranquilli, a parte un taglio alla gamba è tutto ok, almeno per quanto mi riguarda- la rassicurò, indicando Mark, che stava ancora disteso al suo fianco mentre riprendeva le forze.
-E tu che diavolo ci fai qui? Non dovevi essere alle prigioni?- gli sbottò contro Alex, amichevole come sempre e, soprattutto, incurante del fatto che il suo aspetto non fosse dei migliori (cosa che attribuiva sicuramente ancora alla sbornia di prima). Ellesmere guardò il compagno: in effetti, anche lei non aveva idea del perché fosse piombato fuori dalla finestra dell’edificio così all’improvviso. Era stata tentata di chiederglielo, ma poi il buonsenso aveva avuto la meglio: secondo la versione dei fatti che gli avevano presentato, lei e i ricercatori l’avevano trovato svenuto nell’acqua bassa, dunque non poteva aver assistito direttamente all’incidente; pertanto, aveva preferito tacere al fine di non destare sospetti. -E c’ero, infatti- ribatté il medico, trattenendo un colpo di tosse, -fino a quando non è arrivato quel bastardo di Ayr-
-Ayr? Vuoi dire che Caleb si trovava nella zona delle celle?- gli domandò Kaith, inclinando la testa di lato. -Ehi, rosso- si rivolse quindi a Shiro, -non avevi detto che lo psicopatico doveva essere passato di qua?- -Pensavo fosse così, mi sembrava la decisione più logica che potesse prendere- si difese quello, sistemando meglio il cappello sulla testa. L’unico a trovare subito il punto della situazione fu, come al solito, Naoaki.
-Evidentemente, nel sentire la battaglia in riva al lago, deve aver intuito che si trattava solo di un diversivo per sviare la sua attenzione dalle prigioni, attuato per fare in modo che noi potessimo raggiungere Iris, Keyra e Diana e liberarle- espose agli altri. Rey lo fissava a braccia incrociate: i processi mentali del cecchino gli risultavano completamente oscuri, ma erano senz’ombra di dubbio congegnati a regola d’arte. Se avesse dovuto scegliere, non si sarebbe mai messo di propria volontà contro un uomo così intelligente e calcolatore, sarebbe stato un massacro.
-Così si è recato proprio in quel posto, per tendere un agguato a chiunque si fosse avvicinato usando le ragazze come esca…- -… ma una volta lì non ci ha trovate, perché noi nel frattempo eravamo già state liberate da Shiro- finì per lui la frase Keyra, che come tutti stava finalmente iniziando a capire come erano andate le cose. Era come risolvere un puzzle, i cui pezzi stavano ora magicamente tornando al loro posto per formare il quadro completo. -Però si è imbattuto in Mark- concluse Ellesmere. -Sì, d’accordo, tutto molto interessante, ma nessuno ha ancora risposto alla mia domanda: come tu sei finito qui, su questa dannata sponda di questo dannato lago accanto a questo dannato laboratorio di questa dannata isola- La maggior parte dei presenti sospirò rassegnata: evidentemente, quella ragazza dai tratti vampireschi perdeva facilmente la pazienza, come dimostrava (oltre al suo tono seccato) il fatto che sbattesse continuamente un piede a terra.
Mark iniziò dunque a raccontare cosa era successo al piano superiore, mentre tutti gli altri erano impegnati altrove nei combattimenti. -Quello stronzo mi ha provocato, io ho reagito d’impulso attaccandolo senza riflettere e lui mi ha sconfitto abbastanza facilmente, dopodiché mi ha buttato fuori dalla finestra, nel lago. Sono quasi annegato, ma…- si fermò prima di raccontare a tutti della sirena, sicuro che non l’avrebbero preso sul serio, -… qualcuno mi ha salvato, portandomi a riva; è lì che mi hanno trovato i ricercatori ed Ellesmere- -E bravo stupido, tu ti sei lasciato distrarre a parole dal primo venuto!- lo stuzzicò Kaith, anche se dal canto suo, probabilmente, al posto del medico sarebbe stato ugualmente circuito dall’abilità dell’agente governativo. -Vorrei vedere come ti comporteresti tu, se parlassero di tuo padre come lui ha parlato del mio!- gli rispose quello a tono, infervorandosi di nuovo al pensiero del disprezzo con cui Caleb gli si era rivolto. -Dubito fortemente, dato che non l’ho mai conosciuto, mio padre!-
-Piantatela tutti e due!- sbottò Rey, fulminandoli con lo sguardo nero e cremisi. In qualità di vice, era compito suo evitare litigi inutili, dato che Iris, al momento, sembrava completamente persa nei suoi pensieri. -Il punto della questione non è di chi sia la colpa di quello che è successo, il punto è: dove si trova adesso Caleb?- -Ma prima di Caleb, dov’è Greta?- saltò fuori all’improvviso il capitano, riscuotendosi dalla trance in cui sembrava caduta. Aveva prestato poca attenzione a tutti i discorsi fatti fino a quel momento, poiché c’era qualcosa che non le tornava, e finalmente aveva trovato cos’era, o meglio, chi era.
-Esmer- le si rivolse allora Mirage, che era ancora vicino a lei da quando la ciurma si era riunita, -tu e Greta non eravate assieme, prima?- Si portò una mano alla bocca, in preda allo spavento. -Le è successo qualcosa mentre combattevate?- La rossa scosse la testa. -No, non abbiamo avuto nessun problema con i soldati, ma quando abbiamo iniziato a correre per raggiungere l’ingresso dell’edificio lei mi ha distanziato a causa della mia ferita alla gamba- spiegò, indicandosi il polpaccio ferito. Vi spiccava un taglio rosso, non troppo profondo, ma abbastanza ben marcato; il liquido scarlatto, inoltre, si era allargato a formare una macchia sui pantaloni bianchi della ragazza. -Quando lei ormai era a destinazione io ero ancora a metà strada; poi ho visto arrivare i ricercatori e il loro salvataggio di Mark, e ho pensato di raggiungerli- -Vi siete divise, perciò- constatò Naoaki, portandosi una mano alle tempie. Male, molto male. Pessima scelta.
-Dunque, vediamo se ho capito bene- intervenne Iris, che in breve tempo era riuscita a riafferrare tutto quello che si era persa negli ultimi minuti, o almeno così sperava. -Ricostruiamo tutti gli spostamenti di Caleb: non è andato a dare manforte all’esercito sul lago, ma è rimasto al piano superiore, vicino alle celle. Qui ha incontrato Mark, gliele ha date di santa ragione e lo ha quasi ammazzato. E poi… dov’è andato?- -Beh, sicuramente non ha usato il passaggio che abbiamo preso noi, altrimenti lo avremmo incontrato- considerò Rey, dispiaciuto all’idea che quel maledetto non gli si fosse parato davanti. Si sarebbe divertito un mondo a farlo a pezzi, dopo tutto il male che aveva causato nel giro di sola mezza giornata. Non gli importava granché della pericolosità che doveva avere: chi toccava i suoi amici con intenzioni ostili poteva considerarsi morto.
-Questo ci porta a due possibili conclusioni, anche se una è molto improbabile- fece il punto della situazione Naoaki. La piega che avevano preso gli eventi non gli piaceva per niente: al momento, uno di loro (anzi, una) era in pericolo decisamente critico. -La prima è che Ayr, una volta messo fuori gioco Mark, sia sceso ai laboratori per controllare la situazione lì sotto, ma come ho accennato, è poco plausibile; come ci ha fatto giustamente notare Rey, infatti, non l’abbiamo incontrato lungo la via che ci ha mostrato Shiro. Pertanto, rimane solo una alternativa- -Ossia?- gli domandò Mirage, con voce tremolante. Dopo ciò che aveva sentito sul loro nemico, iniziava ad essere seriamente spaventata da ciò che sarebbe potuto accadere. Il cecchino la guardò, e un’ombra scura gli passò attraverso gli occhi. -È tornato all’ingresso principale, dove stava andando Greta-
-Perciò ci siamo persi un altro pezzo per strada?- chiese Alex, roteando gli occhi al cielo. In realtà, anche lei era preoccupata per la loro compagna, ma nella sua mente si ripeteva che non avrebbero potuto fare nulla per evitare ciò che le era accaduto. Sarebbe stato impossibile prevedere con esattezza tutti i fatti che si erano susseguiti fino a quel momento, e pertanto non sarebbero stati in grado di agire per prevenire quella fatalità. Tuttavia, potevano agire adesso, e cercare di arginare i danni, per quanto possibile. -Beh, poco male, ora ce la andiamo a riprendere!- li incitò Iris; la determinazione nella sua voce venne sottolineata da un grido battagliero di Kahir, che se n’era stato tutto il tempo appollaiato sulla sua spalla. -Non possiamo lasciarla nelle mani di quel Caio Ario o come diavolo si chiama!-
-Concordo- fece Keyra, appoggiando decisa la mano sull’elsa di Angel; avendo combattuto fino a quel momento si sentiva abbastanza stanca, ma il sapere che la loro navigatrice stava rischiando grosso aveva cancellato in un attimo tutto l’affaticamento residuo. -Nessuno sarà lasciato a difendersi da solo!-
-Ehm, in realtà la vostra amica non è da sola…- Tutti si girarono a guardare Shiro. Il ragazzo aveva un’espressione nervosa, come se stesse nascondendogli qualcosa. -Che intendi dire?- lo squadrò minaccioso Kaith. -Beh, ecco… C’è la possibilità che prima, quando mi avete chiesto di scortarvi al passaggio nascosto, qualcuno avesse una teoria alternativa riguardo gli spostamenti di Caleb- tergiversò lo scienziato, tormentandosi le dita. -E c’è sempre la possibilità che quel qualcuno intendesse verificare di persona le proprie congetture, anziché rischiare di mettere in pericolo ulteriore altri membri della ciurma… E che quindi quel qualcuno mi abbia chiesto di coprirgli la fuga mentre si allontanava dal resto del gruppo…- -Oh, per la miseria, vai al punto!- gli urlò contro Alex, estraendo uno dei suoi coltelli dal fodero e puntandoglielo alla gola. -O devo scavarti le parole fuori dalle corde vocali con questo?-
Shiro deglutì rumorosamente. Quella donna era semplicemente terrificante. In preda alla paura più assoluta, tutto quello che riuscì ad esalare fu un nome, seguito da poco altro. -Diana. Diana è rimasta al laboratorio-


 
 
Greta era ancora frastornata per tutti i colpi ricevuti da Caleb un attimo prima, eppure la sua mente era abbastanza lucida da produrre ininterrottamente ipotesi su chi potesse essere il misterioso salvatore che si era appena precipitato in suo soccorso. La velocità con cui si era spostato era incredibile, esattamente come quella del suo nemico, perciò escluse tutti i suoi compagni di avventure: per quanto estremamente in gamba e dotati, nessuno possedeva quelle capacità. E poi, se si fosse trattato di qualcuno della ciurma, non sarebbe stato solo. Per quanto ne sapeva, si trovavano tutti assieme nei sotterranei dell’edificio, quindi se uno era arrivato lì, gli altri l’avrebbero seguito a breve. Eppure aveva colto quel particolare di sfuggita: una camicia a quadri, proprio come quella che portava sempre…
-Instar!- L’agente governativo si rimise faticosamente in piedi. L’attacco dell’assalitore lo aveva spedito a impattare contro la parete con una violenza inaudita, ma era stata soprattutto la sorpresa a fargli provare dolore. Come ebbe pronunciato quel nome, una figura solitaria gli apparve di fronte, a distanza di sicurezza, producendo quel suono caratteristico di una lama che taglia l’aria.
-Ciao Caleb, ne è passato di tempo, eh?- gli rispose Diana (perché effettivamente era di lei che si trattava), facendo il verso alla maniera in cui lui le si era presentato giusto qualche ora prima. -Più di quanto sperassi. Pensa, ero venuto a trovarti nei tuoi alloggi, ma ho appreso con disappunto che non eri in casa… Avresti dovuto avvisarmi prima di uscire, mi sarei risparmiato un viaggio a vuoto!- commentò l’altro, con espressione di finto rammarico. -Oh, non sai quanto mi dispiace!- fece la vedetta, alzando gli occhi al cielo. -Vorrà dire che la prossima volta ti lascerò un bigliettino di avviso. Stavo pensando a qualcosa del tipo “se mi cerchi, sono andata in un posto che si chiama vai a farti fottere. Mi trovi lì. Con affetto, Diana”- -Ho sempre amato la tua finezza di espressione, tesoro- -Oh, se vuoi posso andare avanti! Il mio repertorio di insulti si è allargato notevolmente, da quando ho rivisto la tua faccia-
Greta assisteva a quello scambio di battute con un misto di velato divertimento e con una buona dose di stupore. A quanto pare, doveva essere una caratteristica base di tutti gli agenti segreti governativi di un certo livello un senso dell’umorismo deviato condito con una predilezione per la teatralità. Sembrava seriamente di trovarsi di fronte a un palco dove quei due si punzecchiavano a vicenda, cercando di vincere l’ultima parola, prima di mettere in scena una battaglia spettacolare. E dopo tutto, non era molto lontano dalle loro reali intenzioni.
-Dimmi, carissima- la provocò, -come ti senti ad aver salvato la tua amichetta qui vicino, sapendo che nel frattempo hai lasciato morire un’altra persona?- L’occhialuta lanciò uno sguardo interrogativo in direzione della compagna, in cerca del senso di quell’ambigua frase. Ovviamente, non era al corrente di ciò che era accaduto al piano di sopra, nel corridoio delle celle. -Ha ucciso Mark- le rispose quindi lei, con la gola che bruciava; un po’ perché fino a qualche minuto prima la stavano strangolando, ma un po’ anche per il dispiacere di aver perso un membro in maniera così improvvisa e inaspettata.
Uno spasmo attraversò il volto di Diana, che serrò i pugni senza tuttavia proferire parola. -Oh, così era tuo amico?- Il tono di Caleb continuava a mantenersi sarcasticamente triste. Voleva giocare coi suoi sentimenti, prima di farla a pezzi in combattimento. Scosse la testa, rivolgendole un sorrisetto mesto. -Che peccato, sembrava proprio un tipo simpatico. Sai, è veramente una vergogna come tutte le persone a cui tieni finiscano per morire. Non è che per caso sei tu a portare sfortuna, Dia?- Lei continuò a perseverare nel suo mutismo, anche se dietro le lenti degli occhiali si potevano chiaramente vedere i lampi infuocati che mandava il suo sguardo. “Per favore, Diana, non cadere anche tu nella sua trappola” pensò Greta, ricordando cos’era successo a lei quando si era lasciata distrarre dai discorsi del verde.
-Certo che dev’essere stata dura, perdere tutti e due i genitori in un colpo solo…- continuò imperterrito. Provocatore fino in fondo. -I grandi coniugi Instar, la più grande calamità per tutti i criminali del Mare Meridionale, per non parlare della loro primogenita ed unica figlia, una delle reclute più giovani e brillanti delle CP. Una famiglia di celebrità, non c’è che dire. Poi però è cambiato qualcosa. Un piccolo, insignificante dettaglio. Credo si trattasse di Adarin, dico bene?-
Stavolta, inaspettatamente, si rivolse a Greta. -Ne hai sentito parlare anche tu, vero?- La ragazza scosse la testa: il nome non le diceva assolutamente niente. L’altro schioccò la lingua con disappunto. -Adarin era un villaggio su un’isola abbastanza rinomata per il commercio di preziosi e beni di ogni genere, che però con il tempo era caduto nelle mani di un gruppo di trafficanti d’armi senza scrupoli. Ora, non che a noi del governo importasse granché, sia chiaro; del resto, era soltanto un manipolo di gente che faceva il proprio lavoro. Sta di fatto che un giorno arrivò una ciurma di pirati, e incitò il popolo a ribellarsi a quegli aguzzini. Un po’ come facevano quegli invasati di Cappello di Paglia anni fa in giro per il mondo… Ed ebbero successo. Ma ahimè, si trattava pur sempre di pirati, e che cosa tocca ai pirati? Beh, lo sai, dato che stava per succedere anche a te- e detto questo indicò la sua spalla, dove la ferita che le aveva inferto non accennava a smettere di sanguinare.
-L’arresto della ciurma fu affidato agli Instar, che si recarono ad Adarin per eseguire la cattura. E sai cosa accadde? Che gli abitanti del villaggio fecero resistenza, insistendo che non era giusto che i loro salvatori fossero catturati e mandati alla forca. Non ci fu resistenza armata, soltanto un dialogo pacifico. E fu lì che gli Instar commisero il loro errore più grande. Li ascoltarono e lasciarono andare quei furfanti-eroi.
Disobbedirono agli ordini pur di proteggere dei fuorilegge, soltanto perché questi avevano aiutato uno sparuto insieme di bifolchi a risolvere un paio di problemi. E il bello è che provarono anche a far valere la loro opinione, una volta rientrati dalla missione. Ultimamente, avevano iniziato a farsi un po’ troppi scrupoli morali sulle loro azioni, anziché eseguire i comandi senza fiatare, e guarda caso, anche la loro figlioletta si comportava esattamente alla stessa maniera. Già, gli Instar stavano diventando ingestibili; un cancro che andava eradicato il prima possibile. Beh, come è andata a finire la storia te lo risparmio, tanto ci puoi benissimo arrivare da sola. L’alto tradimento è un reato capitale, almeno se uno non scappa di prigione prima dell’esecuzione-
La navigatrice aveva ascoltato tutto il racconto senza quasi respirare. Dunque era anche questo il motivo per cui Diana non aveva mai accennato al suo passato di lavoro per il governo: la morte dei suoi genitori doveva essere una ferita ancora aperta. Se aveva ben compreso le parole di Caleb, all’epoca anche su di lei incombeva la condanna, ma in qualche modo era fuggita, non potendo però liberare la sua famiglia, che era dunque perita miseramente. Lanciò uno sguardo di sfuggita all’amica, ma non vide cambiamenti in lei. Se ne stava sempre lì in piedi, la testa leggermente inclinata verso il basso e gli occhi persi, come fosse ipnotizzata. -Tu non hai niente da dire a riguardo, Dia?- le domandò Caleb, per verificare se le sue istigazioni avevano colto nel segno.
Lei parve riscuotersi da quel torpore arcano. L’espressione del suo volto era indecifrabile. -Oh, ci sono tante cose che avrei da dire, in effetti, ma andremmo troppo per le lunghe, e non voglio tediarvi- commentò amaramente. Poi, senza motivo apparente, scoppiò a ridere. Una risatina istericamente nervosa, quasi da folle. -No, sai, è buffo- commentò, rivolgendosi al suo ex collega, -perché hai ragione. Ogni persona a cui tengo alla fine muore, per causa mia. Allora, stavo pensando… Che sarebbe molto meglio se la facessi finita, no?- Greta la guardò senza capire, così come Caleb; a quanto pare, anche lui non trovava il punto del discorso. -Prego?-
-Se io morissi, non metterei più in pericolo nessuno. E allora, Cal- gli disse, utilizzando dopo anni quel diminutivo del suo nome, -perché non mi ammazzi? Catturami e uccidimi, così la smettiamo di perdere tempo!- -Diana, ti è dato di volta il cervello?- le urlò contro la sua compagna. Era impazzita, non c’era dubbio. -Pensi che anche se ti facessi arrestare lui ci lascerebbe in pace? Allora lasciatelo dire, sei proprio una scema!-
-Grazie della stima che riponi sempre nei miei confronti, Greta, lo apprezzo molto- la schernì lei, senza smettere di sorridere. -Sul serio, ho avuto un’idea. Tu mi vuoi morta, giusto, Cal? E io forse farei meglio a morire. Allora abbiamo la soluzione davanti agli occhi!- fece, allargando le braccia. -Mi dispiace, ma non ti seguo- commentò il verde, scuotendo la testa. -Un duello!- esclamò allora la mora, come se fosse la cosa più ovvia del mondo. -Uno scontro diretto alla pari, senza armi, solo tecnica; non userò nemmeno i poteri del frutto del diavolo, in modo da essere il più imparziali possibili. All’ultimo sangue. Chi vince, sopravvive; chi perde, muore. Ci stai?-
Questa volta fu l’agente a mettersi a ridere. -Sei seria?- -Io non scherzo mai, quando si tratta della sicurezza dei miei amici- ribatté lei senza sbattere ciglio. -Allora, abbiamo un accordo?- domandò quindi, tendendogli la mano. Lui la osservò, riflettendo sulla proposta, poi la strinse con decisione. -Va bene, accetto- confermò, sotto gli occhi esterrefatti di Greta. Decisamente, non ci stava capendo più nulla. -Sarà come tornare ai tempi dell’addestramento, quando lottavamo uno contro l’altro per allenarci. Solo… più letale- -Letale mi piace- fu la considerazione di Diana.
In poco tempo, si posizionarono uno di fronte all’altra al centro della stanza, cinque passi di distanza a separarli. -Sai, a volte me lo sono chiesto, se un giorno avremmo combattuto di nuovo, e chi l’avrebbe spuntata. Oggi ne avremo la prova, e devo ammettere che il verdetto sarà decisamente più interessante, contando cosa c’è in palio- le disse, prima di inchinarsi in segno di rispetto per l’avversario. -Oh, non lo metto in dubbio- fece con un sorrisetto determinato, rispondendo al saluto. -E adesso, se non ti dispiace, iniziamo, non ho voglia di perdere tempo in convenevoli-
 


 
Il primo ad attaccare fu proprio Caleb. Con la velocità supersonica che lo contraddistingueva, si scagliò in avanti, sferrando un pugno all’altezza del volto di Diana, che lo parò facilmente; il contatto tra le loro braccia produsse un suono metallico, come se a cozzare non fossero state carne ed ossa ma blocchi di solido acciaio. Un tentativo di colpo al fianco sinistro ebbe lo stesso effetto, venendo prontamente deviato verso terra. -Sai, fai ancora a botte come una ragazzina- lo provocò la giovane, prima di passare alla controffensiva.
Appoggiando le mani sul petto dell’avversario lo spinse indietro, o meglio, spinse indietro sé stessa, per poter arretrare più rapidamente. Spiccò un balzo, e fece una cosa che Greta non aveva mai visto e che non riteneva nemmeno possibile: tirò un calcio all’aria, come se stesse pestando con forza un piede a terra, e anziché cadere, si elevò ancora più in alto, esattamente come se avesse salito un gradino; il rumore che derivò da quell’azione fu come il rimbombo di un colpo di pistola. La vedetta ripeté il gesto alcune volte, sollevandosi sempre di più nella sala, tanto che in breve arrivò a sfiorare il soffitto.
-Vieni giù, uccellino, il gatto ha voglia di giocare!- la chiamò l’agente, con un sorriso beffardo stampato in faccia, mimando le battute che si scambiavano all’epoca del loro addestramento. -Perché dovrei, è così bello sgranchirsi le ali!- rispose la ragazza, sogghignando a sua volta. Conosceva bene i punti deboli di Caleb, dopo anni passati assieme tanto in palestra quanto in missione, e la tecnica del Geppou era uno di questi. Da parte sua, invece, aveva sempre prediletto quell’abilità, detta anche Moon Step: consentiva di spostarsi molto rapidamente e, ai livelli a cui era arrivata a padroneggiarla, non c’era praticamente nessun luogo che non potesse raggiungere semplicemente “camminando a mezz’aria”. -Dopo tutto questo tempo non sei cambiata di una virgola: sempre a scappare e ad evitare lo scontro diretto, eh? Paura di farti male?- -Niente affatto, cerco solo una prospettiva migliore delle cose. Dovresti sapere che odio il contatto fisico- lo apostrofò. -Anzi, devo ancora fartela pagare per quelle… come posso definirle… attenzioni indesiderate che mi hai rivolto prima, nella cella-
-Oh, beh, se non scendi tu, allora vorrà dire che ti strapperò le penne e ti farò schiantare al suolo!- commentò l’altro, dopodiché saltò a sua volta in direzione della mora, eseguendo la sua stessa mossa. Tuttavia, si poteva notare come fosse molto meno fluido nei movimenti, e soprattutto più lento. A terra poteva diventare quasi invisibile nello spostarsi, ma una volta che si staccava era notevolmente più impacciato, caratteristica che la pirata non esitò a sfruttare a proprio vantaggio. Infatti, dopo essere rimasta sospesa per un po’, fletté il busto in avanti e si lanciò letteralmente in picchiata sull’avversario, assestandogli un calcio che egli non fu in grado di evitare, talmente era concentrato nel non perdere l’equilibrio, e che per questo lo fece rovinare a terra.
Non appena eseguito ciò, Diana girò su sé stessa per ritornarsene nella sua posizione sopraelevata prima che l’altro potesse reagire. Da lì, poi, iniziò un nuovo attacco, non meno spettacolare del precedente. Caricò la gamba destra all’indietro, come se si preparasse a dare un calcio ad un pallone, e la girò in avanti, scagliando un colpo talmente rapido che volò come una lama azzurrognola prima di schiantarsi sul suo oppositore; o, per essere precisi, vicino ad esso, dato che si era già ripreso quel tanto che bastava per rotolare lateralmente e schivarlo. Senza scoraggiarsi, la giovane partì a menare fendenti analoghi con un ritmo sempre più incalzante, nella speranza di centrarlo.
Greta la osservava affascinata, incapace di distogliere lo sguardo. Aveva sempre visto l’amica utilizzare la sua katana e, al limite, le unghie da armadillo nel corpo a corpo, ma non avrebbe mai immaginato che fosse così dotata anche nelle arti marziali. Evidentemente, di solito preferiva non sfoggiare le tecniche Rokushiki, forse anche per non rivelare il suo legame con la Marina e il governo (a quanto pareva, erano una prerogativa solo di agenti e ufficiali di alto livello). In poco tempo, il pavimento di piastrelle risultò completamente fratturato da quella pioggia di tagli di aria compressa, ridotto a una massa di detriti, che si erano tra l’altro sollevati in una consistente nuvola di polvere riducendo la visibilità in tutto l’atrio.
Fu proprio a causa di quel polverone che Diana, fermatasi un attimo per permettere alla foschia di diradarsi e mirare meglio, non vide arrivare un colpo simile a quelli usati da lei finora, che la beccò in pieno. Pertanto toccò a lei, stavolta, cadere, sbattendo la schiena. Caleb le fu subito addosso, provando a ferirla alla spalla con uno Shigan, la tecnica che aveva usato contro Greta, ma lei lo evitò prontamente; l’impatto col terreno le aveva tolto il fiato, ma non le aveva fatto perdere la lucidità necessaria a difendersi.
Provò a spostarsi e a rimettersi in piedi, ma il verde fu più rapido. La distrasse con un pugno in faccia, che riuscì a parare, ma nel contempo le schiacciò il piede su una gamba, bloccandola a terra e facendola urlare di dolore. -Non crederai mica che ti lasci volare via di nuovo, vero?- le urlò, infierendo ulteriormente sulla sua caviglia; non intendeva suonare pessimista, ma se avesse continuato così probabilmente gliel’avrebbe distorta o, peggio, fratturata. Doveva agire in fretta per liberarsi.
Puntandosi su un gomito ruotò su sé stessa, usando la gamba libera per falciare l’avversario, che fu costretto a spostarsi per non cadere. Senza perdere tempo, sfruttò l’occasione favorevole per colpirlo alle costole, proseguendo in uno scambio di percosse reciproche che andò avanti per parecchio. Del resto, entrambi avevano già combattuto, nel corso della giornata, e cominciavano ad essere affaticati; in più, Diana non si era ancora del tutto ristabilita dal pestaggio in prigione, anche se ormai il grosso degli effetti era passato.
Ad un certo punto, però, in un attimo di fatale distrazione, Caleb riuscì ad afferrarla per il polso, strattonandola per sbilanciarla; un rapido colpo in pieno petto la raggiunse nell’istante immediatamente successivo, risuonandole nella cassa toracica come un tonfo sordo. Il riverbero le rimbombò anche nelle orecchie, frastornandola quel tanto che bastava per far sì che l’altro, caricato il “dito pistola”, le perforasse l’addome circa all’altezza dello stomaco. Greta soffocò un urlo: dopo innumerevoli tentativi, l’aveva centrata. Non contento, fletté nuovamente il braccio e infierì ancora, e ancora, sotto gli occhi atterriti della navigatrice. Quando ebbe finito, sulla camicia della mora spiccavano ben cinque fori cremisi, che iniziarono a grondare sangue a ritmo allarmante.
Diana rimase in piedi qualche secondo, con lo sguardo vacuo e perso nel nulla, il respiro mozzato a cercare di realizzare cosa fosse realmente successo. L’adrenalina che aveva in circolo attenuava il dolore, certo, ma non per questo le negava la consapevolezza di essere stata appena ferita gravemente, il che significava essere pericolosamente vicina ad una fine dello scontro tutt’altro che vittoriosa.
In un niente, venne invasa dalla paura, uno sgomento cieco e profondo. L’idea del duello era stata più che altro un metodo per prendere tempo, nella speranza che Greta se ne andasse e si ricongiungesse con il resto della ciurma, mentre lei distraeva Caleb; se gli altri lo avessero sfidato tutti assieme, le possibilità di sconfitta dell’agente sarebbero aumentate esponenzialmente. Per quanto la riguardava in prima persona, invece, i casi erano due: se avesse trionfato, avrebbe risparmiato ai suoi compagni la fatica di un’altra battaglia; se avesse perso… In quel frangente, almeno avrebbe fatto guadagnare loro un’occasione migliore, anche se per lei sarebbe significata la fine. E sarebbe andata bene così, davvero; in fondo, non ne poteva più nemmeno lei di lottare.
Ma Greta non aveva colto l’opportunità, era rimasta al suo fianco ad osservarla mentre attuava il suo piano, ed essendo ancora fisicamente provata, sarebbe stata il prossimo facile bersaglio del suo opponente; e dopo di lei, anche gli altri, perché la vedetta era fermamente convinta che sarebbe riuscito ad elaborare una strategia che gli permettesse di dividerli ed eliminarli, uno per uno. E lei non poteva permetterlo.
-Penso che siamo al termine, Instar- le rinfacciò Caleb. -Guardati, sei allo stremo. Ancora pochi istanti, e non riuscirai neanche più a reggerti sulle tue gambe. Un vero peccato… Eri brava come agente. Come pirata, invece, hai avuto una carriera abbastanza breve. Ma del resto, sappiamo entrambi chi è sempre stato il migliore tra noi- Diana non replicò. La sua vista cominciava ad offuscarsi, e doveva fare appello alle ultime facoltà che le erano rimaste per evitare di perdere conoscenza e mandare tutto a monte; perché era riuscita, nella disperazione totale in cui versava, a farsi venire in mente un modo per tentare il tutto per tutto e mettere fuori gioco definitivamente l’avversario. Ma doveva essere rapida, e cogliere l’attimo esattamente quando si fosse presentato, perché sarebbe stata questione di millesimi di secondo. Si trattava solo di attendere la posizione esatta, e poi…
-Mi piacerebbe tenerti in vita quel tanto che basti per farti assistere alla rovina di tutti i tuoi amichetti, ma purtroppo sei stata tu a fissare le regole di questo duello, e hai detto che era all’ultimo san…- -Basterebbe, Cal. Quel tanto che basterebbe. Impara a parlare, anziché pensare sempre e solo a menare le mani- Nemmeno lei era sicura che la frase fosse sintatticamente corretta così, ma poco importava; non poteva resistere a provocarlo, contando che probabilmente si trattava dell’ultima volta in assoluto in cui le era concesso scherzare. La battuta finale.
Lui la squadrò con aria di superiorità, incassando senza battere ciglio (quantomeno all’apparenza esterna). -Impertinente fino in fondo, eh?- -Fino all’ultimo respiro- replicò, sostenendo il suo sguardo con sfida (per quello che riusciva a fare). -Oh, beh, allora non durerà ancora per molto- commentò, preparando il colpo fatale. Uno Shigan in piena fronte, un’esecuzione in grande stile. Ora o mai più. -Addio, Instar. Non credo sentirò la tua mancanza-
Fu istantaneo. Nel momento stesso in cui il braccio di Caleb scattava in avanti, Diana si lasciò cadere quasi in ginocchio, piegando la schiena all’indietro con una flessibilità incredibile per schivarlo. Un passo laterale a sinistra, sempre in quella posizione innaturale, e si affiancò all’altro, talmente veloce da non consentirgli nemmeno di accorgersi di cosa stesse accadendo. Compì una mezza giravolta usando la gamba come perno, flettendo nel contempo il gomito destro in un’angolazione particolare, e vibrò un colpo deciso dritto alla base della spina dorsale. Trattenne un ghigno di soddisfazione nel sentire uno scatto secco tra le ossa del bacino del suo opponente, che cadde lungo disteso a terra.
Quello non ci mise molto a riprendersi, scoppiando a ridere fragorosamente. -Interessante, senza dubbio molto interessante. Cosa pensi di aver ottenuto, sentiamo? Non mi hai neanche fatto male- -Oh, ma infatti non intendevo farti male. Volevo solo farti capire una cosa, Ayr- Nonostante il tono di voce della ragazza fosse abbastanza spento, segno che tra poco sarebbe collassata, si poteva chiaramente percepire la nota ironica che lo intrideva. -E quale sarebbe, di grazia?- domandò, rimettendosi in piedi. Non fu necessaria una risposta.
Infatti, semplicemente, Caleb non fu in grado di alzarsi. Per la precisione, si sentiva come se il suo corpo non esistesse più; dalle scapole in giù, non percepiva assolutamente niente. Credendo si trattasse solo di una conseguenza immediata di quel colpo di gomito si mosse nuovamente, ma ancora non riscontrò alcun risultato. Diana gli si avvicinò, sedendosi sui talloni per guardarlo negli occhi, quegli occhi blu e ambrati che aveva imparato ad odiare con tutto il suo cuore. -Che per quanto tu possa essere forte sul piano fisico, se su quello morale sei una merda, prima o poi avrai quello che ti meriti- gli rinfacciò, serafica. L’altro eruppe in una risata nervosa; tentava di apparire spavaldo, ma i suoi occhi spalancati tradivano che la sua condizione anomala iniziava ad allarmarlo. -Sentiamo, dove l’hai letta, questa, in un biscotto della fortuna? Cosa dovrebbe significare?- le chiese, cercando di far leva sulle braccia per tirarsi su, sempre senza ottenere nulla. -Vuol dire che se sei un combattente esperto, e picchiare chi non riesce a difendersi è l’unica cosa che sai fare, passare dalla parte degli indifesi ti darà una lezione di umiltà. Oh, e se fossi in te non mi sforzerei più di tanto- lo rassicurò lei, intuendo i suoi pensieri. -Con la lesione spinale controllata che ti ho provocato, dubito che riuscirai più a muovere qualcosa al di sotto delle spalle-
Fu quell’ultima frase a far crollare definitivamente l’agente. Rimase bloccato, la bocca semiaperta in uno stupore orripilato, ma soprattutto, con un’espressione impareggiabile sul volto: il più assoluto, profondo e inavvicinabile panico. -Come… cosa intendi? No, non è possibile, non esistono tecniche in grado di fare cose simili- farfugliò sconnessamente. Ormai non ragionava più, la sua mente era in blackout completo. -A quanto pare invece sì! Bel colpo, Dia!-
Esattamente in quell’istante, dalla porta dell’edificio fece il suo ingresso Iris, seguita da Kahir, da tutto il resto della ciurma compreso Mark (per il sollievo e la gioia delle due ragazze che lo credevano morto) e da Shiro. -Era ora, ce ne avete messo di tempo!- gli urlò contro Greta con asprezza, anche se in realtà, dentro di sé, scoppiava di gioia sia per aver constatato che stavano tutti bene, sia per la vittoria appena riportata da Diana. -Tu faresti meglio a tacere, dato che se non fosse per Diana adesso potresti già essere stata bella che ammazzata!- le rispose Alex, fissandola in cagnesco. -Dai, non litigate!- provò a calmare le acque il capitano, anche se con scarso successo. -Iris ha ragione- fece Keyra con un sorriso; anche lei era felice che si fosse risolto tutto senza perdite per il loro fronte, nonostante il grave rischio che avevano corso. -Stiamo tutti bene, è questo quello che conta!-
Come se non stesse aspettando che quella frase, si udì un tonfo sordo di un corpo che si accasciava al suolo. La vedetta era a terra supina, gli occhi chiusi, e le cinque ferite infertele da Caleb poco prima erano in bella mostra in tutto il loro orrore. -Diana! No!- esclamò Shiro, precipitandosi per primo nella sua direzione. Gli altri lo seguirono con un po’ meno celerità, seppur tempestivamente: anche da una certa distanza, si poteva intuire che le condizioni della ragazza non fossero delle migliori.
Il rosso fu prontamente raggiunto da Mark, che non perse tempo prima di verificare il suo stato. Le sentì il polso, annuì, spostando la mano sul collo, e passò poi ad esaminare con attenzione i fori sull’addome. -È viva e sicuramente esausta, ma è discretamente grave- pronunciò dunque il suo verdetto. -E allora che aspettiamo, portiamola in città! Non vorrai mica che tiri le cuoia qui e ora, no?- gridò il giovane scienziato, afferrandolo per un braccio. Tutti lo guardarono vagamente stupiti: aveva conosciuto la loro compagna appena quel mattino, ma sembrava già tenere molto a lei. Comunque, il medico gli poggiò a sua volta una mano sulla spalla, per tranquillizzarlo. -Certo che no, altrimenti chi mi accetterebbe mai come dottore?- domandò, sorridendogli di sbieco.


 
 
La ciurma trascorse circa una settimana su Kaze. I ricercatori, riaccompagnato il gruppo in città, avevano spiegato per filo e per segno a tutti quello che era accaduto, ovvero come quei pirati li avessero difesi e liberati dalla condizione di lavoro sotto minaccia che gli era stata imposta per anni. Inutile dire che l’accoglienza era stata da eroi, e la popolazione aveva insistito per offrire loro ospitalità per rifocillarsi prima di ripartire.
Caleb e i Marine superstiti erano stati posti sotto stretta sorveglianza, anche se il primo non avrebbe più rappresentato un problema. La paralisi inflittagli da Diana (una mossa di sua invenzione che aveva ribattezzato il “tocco dell’angelo”, perché nonostante gli effetti a lungo termine sul momento non causava alcun dolore) non lo aveva neutralizzato solo fisicamente, ma lo aveva anche devastato psicologicamente. Si era sempre reputato invincibile, superiore a tutte le parti e per questo giustificato in ogni sua azione e scelta, ma ora non contava più nulla; era diventato solo un inerte pupazzo nelle mani dei suoi custodi, che comunque non lo perdevano di vista un solo istante.
Riguardo, Diana, invece, si riprese abbastanza in fretta, nonostante le lesioni causatele dallo scontro l’avessero messa in serio pericolo; tuttavia, come non aveva mancato di far notare ai medici che si erano occupati di lei (Mark compreso) al suo risveglio, aveva la pelle dura, e ci voleva ben altro per farla fuori.
Il fatto curioso, ebbe modo di riflettere mentre era in convalescenza, era che a Kaze si era verificata esattamente la stessa situazione di Adarin, seppur con un epilogo molto diverso. Ancora una volta, un gruppo di fuorilegge si erano schierati a favore di gente oppressa da persone incapaci di guardare oltre i propri affari economici e intenti bellicosi. E ancora una volta, il concetto di giustizia veniva messo in dubbio. Chi era il vero bandito, il pirata ricercato dalla Marina ma in grado di dimostrare un estremo valore morale, o il governo, che dichiarava di impegnarsi a mantenere la pace e poi sfruttava senza curarsi del male che provocava alle persone? A domande come quelle non si poteva rispondere univocamente; in questo caso, ovviamente, la soluzione era abbastanza ovvia.
La sera prima della partenza, i cittadini vollero tenere una festa in onore dei loro salvatori, in un ulteriore segno di gratitudine nei loro confronti. Per tutta la notte ci fu da mangiare e da bere a volontà, e vennero organizzati spettacoli con lanterne e aquiloni luminosi, che rischiararono a giorno il cielo sotto gli occhi stupiti di tutti.
Fu triste lasciar ripartire la ciurma, ma da parte degli abitanti c’era anche la consapevolezza che quella era l’unica alternativa possibile. Quando salparono, al porto a salutarli si era radunata praticamente tutta la città.



 
-Dici che se la caveranno?- Diana alzò interrogativamente un sopracciglio in direzione di Keyra. -In che senso?- le chiese Mirage, inclinando la testa di lato. La bionda si mordicchiò il labbro, esprimendo ad alta voce i suoi dubbi riguardo la questione che le era saltata alla mente un attimo prima. -Dopo quello che è successo, dubito che il governo stanzierà ancora fondi per i ricercatori di Kaze. Dite che riusciranno lo stesso a proseguire coi loro esperimenti?- -Sicuramente- rispose la vedetta, pulendosi gli occhiali nella camicia. -Shiro mi ha detto che in parallelo con la produzione di armi sono riusciti anche ad ottenere dei risultati in campo energetico. Avete presente quelle sfere con il tornado all’interno? Bene, stanno sviluppando una macchina che permette di sfruttare il processo inverso a quello di inglobamento per ricavare energia pulita- -Sono sicura che sarà un successo assoluto!- commentò la tigre, con gli occhi che brillavano di entusiasmo. Quegli scienziati erano veramente in gamba, e ora che non dovevano più sottostare alle imposizioni militari non c’erano limiti a ciò che avrebbero potuto realizzare.
-A proposito di Shiro…- si intromise Kaith, che passava in quella dietro di loro. -Diana, non credi di averci tenuto nascosto qualcosa?- La sua espressione ammiccante non prometteva nulla di buono. La diretta interessata lo fissò socchiudendo gli occhi minacciosamente, sperando di aver capito male dove volesse andare a parare. -Spiegati meglio- lo incoraggiò. -Non ha tutti i torti, però- considerò la cuoca. -In effetti voi due avete legato in fretta…-
Ed era vero. Durante il periodo in cui Diana era stata in cura, non era passato minuto senza che il ricercatore non girasse in cerca di informazioni circa il suo stato di salute, e anche dopo che si era ripresa, aveva speso parecchio tempo assieme a lei. Per tutta risposta la ragazza arrossì vistosamente, sentendosi nel contempo un’idiota. Aprì la bocca per ribattere, ma purtroppo per lei il carpentiere di bordo la anticipò. -Aspetta, so già cosa stai per dire: “no, state tranquilli, siamo solo amici”, ho ragione?-
-Precisamente- fece lei, mentre il suo colore non accennava a spegnersi. -Anche se credo che lui si sia preso una bella cotta, nonostante tutti i miei tentativi di scoraggiarlo- si affrettò a precisare. -Sì, certo, scoraggiarlo, come no… Ma se vi stavate mangiando vivi con lo sguardo! Valle a raccontare a qualcun altro queste stupidaggini, Dia, non puoi mentirmi e lo sai!- la schernì nuovamente lui. -Eddai, Kaith, da tutto il tempo che ci conosciamo dovresti averlo capito che i ragazzi non sono il mio interesse primario!- sbottò allora la mora, scostando il ciuffo che le era ricaduto sull’occhio come sempre quando si infervorava. A quanto pare, però, aveva scelto male le parole e la frase era risultata ambigua (almeno per uno con la prontezza di spirito del compagno), come si accorse nell’istante immediatamente successivo. -Oh, giusto. Dimenticavo che i ragazzi non sono il tuo genere- commentò, mentre un ghigno si faceva strada sul suo volto. -È evidente che preferisci le ragazze-
A quel punto non ce la fece più. -Scemo! Lo sai anche tu che non è vero!- gli gridò, cercando di tirargli un pugno e iniziando a rincorrerlo per fargli rimangiare quelle insinuazioni a suon di cazzotti. E così, mentre i due litigavano bonariamente e tutti gli altri se la ridevano alle loro spalle, la Blue Stormrider veleggiava placida verso l’orizzonte, conducendo la ciurma verso la loro prossima, grande avventura.




Angolo dell'autrice


his is the end... My only friend, the end...

Eh sì, cari miei, tutte le cose belle finiscono, e a maggior ragione quelle brutte! (No, dai, spero che la storia non rientri in queste XD)
Mi spiego meglio: la saga è finita, e dato che già per scrivere questo capitolo ci ho messo un po', in parte per motivi personali (principalmente esami, ferie e, ehm... ancora esami, my bad ^-^") e in parte per mancanza di ispirazione, ho deciso di sospendere la storia a tempo indeterminato. Questo non significa che abbia intenzione di lasciarla incompiuta; vuol dire soltanto che mi prendo una pausa riflessiva. "Ma come, Swan, avevi detto che saresti ritornata..." E infatti sono tornata, ma piuttosto che scrivere capitoli a caso e male, preferisco ritirarmi per un po' in attesa che l'ispirazione ritorni. Spero la cosa non vi deluda troppo, ma io mi considero quel genere di persona che le cose o le fa bene, o non le fa e basta, e la scrittura non fa eccezione. In ogni caso, sappiate che mi dispiace, ma vi prometto solo questo: tornerò. Non so quando, ma tornerò, e quando lo farò, vi avvertirò, e spero anche che tutti vi ritroverò (scusate, non ho resistito al richiamo della rima).
Nel capitolo ho cercato di chiarire un pochino alcune situazioni "oscure", come quella della sirena (alzi la mano chi si aspettava che fosse Ellesmere... non troppi, mi raccomando :D) e quella dell'"incidente" che ha coinvolto i genitori di Diana. In ogni caso, Caleb ha avuto quello che si meritava; non mi sembrava il caso di ucciderlo, un po' perche sarebbe stato OOC per Diana farlo fuori, un po' perché il mio sadismo ha avuto la meglio, e quindi via alla paralisi!
Concludo dunque augurando a tutti una buona estate e una buona continuazione; quando tornerò, spero sarete ancora lì a leggere, e che l'attesa non vi faccia passare la voglia (anche se ne avreste tutto il diritto, e non avrete il mio biasimo, nel caso). Un abbraccio a tutti,

Swan

 

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