Thirteen Direful Secrets (or How To Kill A Poltergeist)

di Tinkerbell92
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** One, two, Hannah's coming for you ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


13DF
PROLOGO




Basta.
Era quello che ripetevi a te stessa ogni volta che ti colpiva, di nuovo, nonostante avesse promesso di cambiare.     
Basta.
I fari delle auto che ti sfrecciano accanto sembrano missili di fuoco, lampi biancastri nel buio della notte. Tieni il piede premuto con forza sull’acceleratore, cercando di mettere quanta più distanza tra voi, questa volta per sempre.     
Josh ha paura, lo senti singhiozzare, rannicchiato sul sedile posteriore. Provi a rassicurarlo, mormorando qualche frase fatta, qualcosa di stupido che esce dalla tua bocca in automatico, senza che tu possa rendertene conto. Un’ennesima bugia, identica a tutte quelle che gli hai raccontato per quasi dieci anni.    
“Va tutto bene, Josh, va tutto bene.”    
Sì, va tutto bene, come andava tutto bene quando ti comparivano nuovi lividi sul corpo, quando ti sei rotta una mano cadendo dalle scale (diamine, davvero pensi che qualcuno ci abbia creduto?), quando reprimevi le grida e le lacrime alla notte, stringendo le lenzuola in un pugno, mentre lui (ormai non sei nemmeno più in grado di pronunciare il suo nome) ti costringeva a primitivi e dolorosi rapporti sessuali.       
Ti andava abbastanza bene quando ancora provavi del desiderio, ma quando non avevi voglia si andava sempre incontro al solito, dannatissimo rituale: prona, schiacciata contro il materasso, l’apparato genitale in fiamme, le mani pesanti che stringevano la tua carne senza alcuna delicatezza.    
La cosa brutta era che negli ultimi tempi il tuo desiderio si era ridotto, se non azzerato.    
Basta.
Quante volte hai provato a dirlo? Quante volte sei uscita da quella porta, con Joshua in braccio, giurando di non ritornare mai più?    
Ora ricordi quel giorno, quel giorno in cui c’eri quasi riuscita. Avevi varcato la soglia della stazione di polizia con il desiderio di porre fine a tutto quanto.    
“Vorrei denunciare mio marito.”    
Quanto ti era costato pronunciare quelle parole, liberarti di quel peso…     
Per un attimo ti eri quasi sentita leggera, come se potessi spiccare il volo da un momento all’altro, avvolta nel tuo cappottino beige. Persino gli ematomi sulla pelle ti erano parsi più chiari.     
Eppure, il peso che ti opprimeva da anni è tornato pochi istanti dopo, quando hai capito che non ti avrebbero aiutata. Avevano bisogno di prove, era la tua parola contro quella del tuo ricco e potente marito, la tua parola contro quella del rampollo di una facoltosa famiglia, un noto ex atleta, leader aziendale, un volto apparso più volte in prima pagina.
Per quanto ne sapevano, potevi esserteli fatta da sola quei lividi. Per quanto ne sapevano, potevi essere soltanto un’ avida manipolatrice in cerca di denaro e attenzioni.    
Avevano scordato con facilità i suoi precedenti penali, lui era lui, tu non eri nessuno.    
Ti avevano fatto male, sì. Ma quel dolore non era nemmeno equiparabile a ciò che ti avevano inflitto le due persone che più di tutti avrebbero dovuto aiutarti e proteggerti.    
Ti coglie una fitta allo stomaco mentre, compiendo una brusca svolta a destra, riecheggiano nella tua mente  parole di tua madre, che ti rimprovera perché non ti impegni abbastanza per tenerti stretta l’unica cosa buona che (per lei) hai fatto nella vita, ossia quella di sposare una celebrità.     
Tua madre, che ti zittiva ogni volta che trovavi il coraggio di parlare, che ti ripeteva che no, non si può parlare di stupro, Karen, perché lui è tuo marito, e poi perché vuoi negargli il tuo corpo, dovresti essere contenta se lui ti desidera, vuol dire che sei ancora attraente!
Tua madre, che ha dato la colpa a te quando hai perso il secondo bambino, che ha dato la colpa a te per ogni cosa, che ha sempre sminuito quando le mostravi i lividi.    
“Può accadere che ci siano delle discussioni nella vita coniugale!”     
Sì, le discussioni possono capitare.     
“Ma le percosse, mamma?” pensi con rabbia, dando voce alla Karen dei tuoi dolorosi ricordi, alla Karen che sta zitta e incassa i colpi. “Le percosse ti sembrano normali? Perché guardi questi segni sul mio corpo senza vederli?”    
Il silenzio di tuo padre non feriva certo meno. A poco servivano quei suoi mezzi tentativi di solidarietà, quelle domandine piazzate là, di tanto in tanto, come: “Sei sicura di star bene, Karey? Sei sicura di essere felice?”    
Che tu gli rispondessi con una bugia o col silenzio, lui reagiva sempre allo stesso modo, mettendosi l’anima in pace perché, a quanto pare, il suo dovere di genitore l’aveva fatto. Non si poteva dire che non si fosse interessato a te per almeno un secondo, no?    
E tuo fratello? Il tuo caro fratellino,  l’impeccabile Matthew, con la sua famiglia perfetta, il suo facoltoso lavoro a Washington, il cocco di mamma che tanto voleva un maschio e, ne sei più che certa, se fosse nato per primo probabilmente tu non saresti mai esistita, probabilmente ai tuoi sarebbe bastato.     
“E che ci vuole? Se ti tratta male mollalo!” ti diceva al telefono, accomodato su uno sdraio davanti alla sua bella piscina e con un cocktail in mano, quando lo chiamavi piangendo, con il corpo dolorante e lo spirito segnato da una crepa in più.   
Sì, mollalo. La faceva facile, ma dopotutto per lui era sempre stato tutto facile.     
Certo, non si può dire fossi completamente sola: i tuoi amici, o meglio, alcuni di loro ti sostenevano, alcuni di loro avevano provato sul serio ad aiutarti.     
Ti sfugge quasi un sorriso quando ripensi a quella volta in cui Marina ti aveva trascinata alla polizia, il giorno successivo alla tua richiesta d’aiuto ignorata, scatenando un putiferio e sbraitando un indignato monologo metà in inglese e metà in italiano.
     Eppure quella volta non ce l’avevi fatta. Quella volta l’avevi presa per un braccio, portandola fuori, mentre lei continuava a lanciare le sue invettive contro l’incompetenza degli… aveva detto sbirri? Sì, l’incompetenza degli sbirri e il marciume della società sessista.    
Sapevi che ti serviva aiuto, spesso lo chiedevi o almeno ci provavi. Eppure non riuscivi mai a portare a termine la tua battaglia. Eppure c’era sempre qualcosa che ti frenava, a partire dallo sguardo di tuo marito e dalle parole che ti rivolgeva ogni giorno, dopo averti baciata sulla fronte.    
“Non puoi andare da nessuna parte, tu non sei niente senza di me, lo sai, Karey?”    
Te l’aveva ripetuto talmente tante volte che alla fine, inconsciamente, avevi finito per credergli.
E poi, cosa ne sarebbe stato di Josh? Saresti davvero riuscita a guardare in faccia il tuo bambino e dirgli: “Tuo padre è un mostro, andiamo via, scappiamo prima che inizi a fare del male anche a te, perché lo farà, lo so, quando sarai un po’ più grande picchierà anche te.”    
Eri ormai intrappolata in una spirale di paura e sofferenza, senza alcun appiglio.    
Quando provavi ad allontanarti c’era sempre qualcosa che ti costringeva a tornare. E lui te lo ritrovavi lì, con un’espressione pacifica: correva ad abbracciarti e ti prometteva che sarebbe cambiato, che non avrebbe più alzato le mani su di te, che si era soltanto arrabbiato perché insomma, Karey, anche tu hai un carattere difficile, ti pare il caso di fare la troia con i tuoi colleghi di lavoro?    
Sì, troia. Sorridere ed essere gentile in ufficio significa essere troia. Rispondere al messaggio di un collega che ti invita a una cena di lavoro significa essere troia. Uscire con le amiche e tornare a casa tardi significa essere troia.
  E lui, che si scopava regolarmente le segretarie, allora cos’era? Ah, no, giusto, le troie erano le segretarie che ci stavano, lui non aveva alcuna colpa, lui, sposato e padre, ne usciva sempre pulito e indenne.     
Eppure… eppure senti che questa volta sarà diverso. Non tornerai mai più da lui.     
Non sei ancora del tutto sicura di cosa ti abbia fatto aprire gli occhi in tempo mentre ormai ti stavi spegnendo: forse è stato quando, riordinando il cassetto dell’archivio in salotto, ti sono capitate sotto mano alcune cartelle cliniche, o meglio, quella cartella clinica.    
Hai letto il tuo nome e subito dentro di te si è acceso qualcosa.
Karen Marsh. Karen Marsh…    
L’avevi quasi scordato, eh? Ormai non ti apparteneva più perché ti stavi trasformando in una scatola vuota, in un’ombra, stavi perdendo la tua umanità.     
Karen Marsh.    
Con il cuore in gola sei andata avanti a leggere quella semplice scheda che conteneva in sé quanto c’era di più sbagliato nella tua vita: hai ricordato quanto ti sei sentita sollevata quando quella dottoressa dallo sguardo color ambra ti aveva detto che la tua seconda gravidanza si era interrotta.     
Sollievo. Avevi davvero provato sollievo.    
Può capitare che una madre non desideri il proprio figlio, ci sono mille ragioni per cui una donna scelga di abortire o speri in un aborto spontaneo, nel caso non avesse la possibilità di intervenire chirurgicamente.    
Ma non dovrebbe mai, mai capitare che una madre si senta sollevata nell’aver perso un figlio per evitargli l’inferno che si cela dentro alle lussuose mura domestiche, per evitare che si chiuda anche lui in camera come il fratello, tappandosi le orecchie, piangendo e tremando.
Non deve succedere. Non è giusto.    
Quando poi lui, furibondo e un po’ alticcio, ti ha sbraitato contro per l’ennesima volta per un motivo che nemmeno hai capito (o meglio, ascoltato), agitandoti un coltello sotto il naso e minacciando di ammazzarti, ti sei resa conto di non provare paura ma rabbia.    
Rabbia che ti ha spinta fissarlo dritto negli occhi, rispondere: “Guarda che se mi ammazzi poi non hai più nessuno da pestare, brutto coglione” e allontanarti di qualche passo verso le scale.     
Ti ha lanciato contro il coltello, ti ha mancata, quindi, con un urlo da cavernicolo, ha afferrato un soprammobile d’argento e questa volta ti ha colpita, ottenendo però il risultato di farti arrabbiare ancora di più.    
E allora anche tu ti sei messa urlare, anche tu hai iniziato a tirargli addosso degli oggetti, qualsiasi cosa ti capitasse in mano, fino a quando non l’ha centrato in pieno volto con un portacandele di vetro, che si è distrutto riempiendo di schegge quel faccione quadrato.    
Quella è stata la tua occasione, quello ti ha dato abbastanza tempo da prendere Josh e caricarlo in macchina, fuggendo per sempre da quella casa maledetta.    
- Mamma…    
Ti scuoti dai tuoi pensieri, guardando nello specchietto retrovisore: il tuo bambino continua a piangere disperato, dietro di voi ci sono ancora quei fari che vi inseguono.    
Non vi lascerà andare via tanto facilmente.    
- Mamma… ti prego, voglio scendere… ho paura…    
- Siamo quasi arrivati – menti. – Stai tranquillo…    
Ti rendi conto che stai ancora sanguinando dalla ferita al sopracciglio, ma poco importa, anzi: significa che anche lui sta sanguinando e il pensiero ti fa quasi sorridere.    
Non sai dove stai andando. Ti basta seminarlo.    
E poi accade tutto in fretta, nel giro di una manciata di secondi: l’incrocio al distributore di benzina, il camion che si avvicina pericolosamente da destra, in direzione perpendicolare alla tua.     
Non puoi fermarti. Se ti fermi sei perduta. Se ti fermi lo stronzo ti prenderà, probabilmente ti ucciderà e Josh resterà solo con lui. Non puoi permetterlo. Non vuoi.    
Schiacci al massimo l’acceleratore, gridando, attraversi l’incrocio a una velocità mai osata prima; il camionista suona il clacson, provando a frenare, ma sai che non riuscirà a rallentare la sua corsa in tempo.      
Basta.
Raggiungi la parte opposta della carreggiata, poi il rumore dello schianto alle tue spalle, seguito da uno stridore di freni, un’esplosione e un lampo di luce rossa che illumina a giorno l’ambiente circostante.    
Per un attimo scordi di respirare, troppo scioccata, troppo incredula per quanto è appena accaduto. Trovi a malapena il coraggio di guardare la scena attraverso gli specchietti, mentre il mondo attorno a te si fa silenzioso. Silenzioso e rosso.    
Josh schiaccia il volto contro il finestrino alzato per vedere meglio, gli occhi ancora gonfi e le guance rigate dalle lacrime. Il vetro si appanna col suo respiro affannoso.    
Non sai cosa ti spinga a trovare il coraggio di scendere, reggendoti a malapena sulle gambe tremanti. E guardi, immobile, in silenzio, perché non puoi far altro che guardare.    
Il camion è fermo a pochi metri dal disastro, il conducente è appena sceso e armeggia freneticamente col telefono, anche se ormai c’è ben poco da fare.    
L’auto, la sua auto è ormai ridotta a un ammasso di rottami anneriti, il distributore di benzina va a fuoco, la notte si è tinta di oro e cremisi (come le luci di Natale!) e tu senti il calore di quelle fiamme sul viso.    
Addio. Addio, Bryce. Addio mio aguzzino, mio compagno, miei dodici anni d’inferno.  
Addio, mostro.    
Per un attimo ti sembra quasi di scorgere un volto femminile in mezzo al fumo color cenere, ma probabilmente si tratta solo di un’allucinazione.     
Il tempo attorno a te pare fermarsi: quasi non ti rendi conto di quando arrivano i soccorsi e alcuni dei vostri amici vi raggiungono.    
Solo nel momento in cui Marina ti scuote per le spalle riesci a recuperare un po’ di lucidità e guardarli, uno a uno, i volti serrati in un’espressione incredula quanto la tua.     
Justin resta solo per pochi minuti, poi trascina Nadya in macchina e se ne va, come sempre, ormai ha preso l’abitudine di tenersi lontano dai problemi, quasi ti sorprende il fatto che sia venuto.    
Zach cammina avanti e indietro con fare nervoso, Marcus sta parlando con uno degli agenti, gesticolando in modo frenetico… ci sono pure facce che non vedevi da un sacco di tempo, come quella dell’ex galeotto Montgomery De La Cruz.    
Peggy siede sul sedile posteriore della tua auto, parla con Josh, cerca di distrarlo. Fai cadere un’occhiata sul suo ventre, gonfio per via della gravidanza che sta affrontando ormai da sei mesi, e un po’ ti senti in colpa.      
- Ehi… Karey… Karey, cazzo, parlami!    
Volgi il tuo sguardo lentamente, specchiandoti in quello di Marina, intenso, preoccupato e color nocciola, e provi ad aprire la bocca per parlare, senza risultato.     
Ti stringi a lei, le lacrime cominciano a scorrere di nuovo, le spalle sobbalzano a ritmo di un singhiozzo che ti rendi conto essere una risata isterica.    
Piangi e ridi nello stesso momento, scossa, dilaniata, contesa tra emozioni e pensieri contrastanti.
Ti senti distrutta.    
Ti senti libera.    
Ti senti un’assassina.     
Ti senti… ti senti viva.     
Le fiamme sono ormai spente ma il fumo continua a salire, in alto, verso un velo nero e privo di stelle.     
E il tuo spirito, in questo momento, è fumo.     









- Thirteen Direful Secrets -










***
Angolo dell’autrice: Salve a tutti!     
Bene, questa storia ammetto esser stata inizialmente pensata come un qualcosa di assolutamente demenziale e trash, ma alla fine ho optato per una trama che conterrà in sé anche elementi drammatici. In ogni caso, gli amanti del trash non si preoccupino, ci sarà anche quello.     
Il prologo della storia è ambientato otto anni prima dell’inizio degli eventi descritti nella trama, e, nel caso qualcuno se lo stesse chiedendo, c’è un motivo se ho scelto di partire proprio da qui, c’è un collegamento ben preciso tra il destino di Bryce e ciò che i ragazzi della Liberty High affronteranno otto anni dopo.     

Vi fornisco intanto ulteriori spiegazioni e avvertimenti:    

- Ho immaginato una situazione del genere in casa Walker: Bryce è riuscito a farla franca per anni, nel frattempo ha maturato un carattere meno viscido e più aggressivo e violento, perché ormai è certo che i soldi lo aiuteranno sempre, quindi non si sente più in dovere di fingersi una persona tranquilla,     non gli basta compiere oscenità e stupri di nascosto, ha pure iniziato a bere e alzare le mani sulla moglie (della serie, sono una merda e voglio impegnarmi a fondo per mantenere il mio status di merda).    
Forse la scena dell’esplosione è un po’ da film, ma, ehi, avevo avvisato ci sarebbe stato un po’ di trash. E poi diciamolo, se l’è meritato.     
- Ho cambiato il destino di un personaggio, ossia Jeff. Perché sì, penso che almeno il 99,9% del fandom sia d’accordo sul fatto che meritasse di meglio. Perciò ho deciso di salvarlo e modificare leggermente la storia del lato di cassetta dedicato a Sheri: dopo l’incidente, Jeff è entrato in coma per mesi e, presa dal panico, Sheri ha fatto intendere che l’intera faccenda fosse avvenuta principalmente per colpa di Hannah, la quale, pur non subendo processi o altro per mancanza di prove, ha subito ulteriori vessazioni a scuola.     
- Chiederei di non insultarmi tramite recensione per come ho scelto di continuare la storia dei personaggi della serie. Oltre a Bryce ne ho uccis* un/un’altr* (non a caso, io non faccio mai niente per caso quando scrivo una storia) e ho scelto determinate coppie secondo le mie preferenze. Non mi farebbe affatto piacere ritrovarmi recensioni con scritto: “Eh ma questo doveva stare con quello, eh ma questa coppia non mi piace, eh ma questo personaggio per me doveva fare così...”    
Perciò vi prego, siate clementi da questo punto di vista XD Io sto solo seguendo le mie idee.
- Sono naturalmente presenti OC coetanei dei personaggi di Tredici (nel Prologo ne abbiamo già conosciute tre: Karen, Marina e, anche se solo nominata, Peggy), alcuni dei quali sono naturalmente stati utili per dar vita alla generazione successiva, protagonista di questa storia. Essendo nata come interattiva, ho incluso nella NG sette personaggi creati apposta da alcune mie amiche autrici. Tali personaggi appariranno nel prossimo capitolo, insieme alla famigerata Next Generation. Probabilmente, nelle note d’autrice vi scriverò un piccolo riepilogo degli OC miei e di quelli delle altre autrici, magari specificando anche chi è figli* di chi. O forse no, hehehe, magari vi farò scoprire alcune parentele nel corso della storia per creare qualche sorpresa.    
- La frase: "Guarda che se mi ammazzi poi non hai più nessuno da pestare, brutto coglione" è un riferimento al cortometraggio: "Amore, ma se mi uccidi, dopo a chi picchi?"
- Sì, il cognome di Karen è ispirato a quello di Beverly Marsh, una dei protagonisti di IT.
- Naturalmente, la maggior fonte di ispirazione per questa storia è stato Harry Potter, con la faccenda degli horcrux.    

Bene, al momento credo sia tutto, grazie mille per aver letto.    
Alla prossima!    

Tinkerbell92

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Capitolo 2
*** One, two, Hannah's coming for you ***


CAPITOLO 1


“One, two, Hannah’s coming for you!”








Lunedì, 13 Ottobre





ATTO 1. Corridoi, Piano Terra - 9.45 am

William trovava ci fosse qualcosa di insolitamente affascinante nel concitato viavai dei corridoi scolastici. Stanziava di fronte al proprio armadietto, osservando in silenzio coloro che gli passavano accanto, studiando la loro figura e annotando mentalmente quali dettagli l’avessero colpito di più: un piercing al sopracciglio, un sorriso un po’ storto, un fiocco tra i capelli…     
Anche quel giorno sarebbe rimasto volentieri lì, per ore e ore, a cogliere particolari sfumature, se Mike Standall non avesse richiamato la sua attenzione con un paio di colpetti sulla spalla.    
- Ehi, amico, tra cinque minuti hai la riunione del Comitato Studentesco. Sarebbe un tantino inappropriato per il presidente presentarsi in ritardo.
- Oh… sì, scusa, hai ragione – sorrise il diciannovenne, afferrando un fascicolo con impresso il logo del liceo sulla copertina. – Okay… spero di avere tutto…
- Lo spero anch’io per te.    
Will sigillò l’armadietto, sistemò al meglio la tracolla della borsa scolastica e si avviò con il compagno a passo spedito in direzione dell’aula dedicata alle riunioni.
- A volte mi chiedo perché abbiano scelto di dare a me questo incarico – confessò, scompigliandosi distrattamente i capelli castani. – Voglio dire, lo sanno che spesso ho la testa tra le nuvole…    
- Forse perché a noi studenti serve una persona altruista, pronta a dare una mano quando ce n’è bisogno e con una grande capacità di ascolto? – replicò ironico Mike. – Non farti prendere dalle paranoie, Padilla. Per la parte tecnico-organizzativa ci siamo io e Viola, quindi non hai nulla da temere.     
- È vero, con voi sono in una botte di ferro… ehi, ciao, ti serve aiuto?    
William si fermò accanto a una ragazza dai capelli scuri che, imprecando sottovoce, stava litigando con la serratura del proprio armadietto. Quella si voltò, rivolgendogli un’occhiata sospettosa, poi mormorò uno stizzito “no” tra i denti.     
Il giovane sorrise, insistendo: - Sei nuova, vero? Spesso questi cosi si incastrano e bisogna usare un po’ le maniere forti… ti faccio vedere, se vuoi…
La studentessa serrò le labbra in una smorfia infastidita, ma alla fine cedette, facendosi da parte.     
- Dunque… alzi qui, dai un colpo deciso e… voilà!     
L’anta difettosa rispose positivamente al trattamento del diciannovenne, dando modo alla proprietaria di piazzarcisi immediatamente davanti, quasi per celare il contenuto del proprio ripostiglio personale.    
- Se avrai bisogno di qualcosa non esitare a chiamarmi, sarò felice di darti una mano. Ah, sono Will Padilla, Presidente del Comitato Studentesco, mentre lui è Mike Standall, uno dei miei collaboratori.    
- Va bene – brontolò la studentessa nuova, senza distogliere l’attenzione dai libri e i quaderni riposti nell’armadietto.    
Mike alzò le sopracciglia con fare perplesso, afferrando poi l’amico per un braccio e trascinandolo via: - Rischi di fare tardi per lei e non ti ha nemmeno ringraziato. Che razza di maleducata!    
- Avrà i suoi motivi, Mike, magari è timida, diffidente, o ha avuto brutte esperienze con i compagni di scuola… non l’ho aiutata per ricevere ringraziamenti o riconoscimenti.    
- No, certo, ma è più forte di me, non tollero la maleducazione. Se mi fossi azzardato a comportarmi in quel modo, mia madre mi avrebbe assestato due bei ceffoni e le avrei dato pienamente ragione. E, oh, a proposito di maleducazione…
- Largooo!    
I due amici si scostarono giusto in tempo per evitare di venire investiti da un trio scalmanato che attraversava i corridoi di corsa, nonostante fosse vietato: una ragazzina del secondo anno con un berretto scuro in testa conduceva la fila, tenendo per mano un coetaneo dalla folta chioma castana, mentre, poco dietro di loro, la copia scapestrata di Mike Standall, con tanto di capelli tinti di arancione sbiadito, grandi occhiali da vista e orecchino, sghignazzava in modo sguaiato.    
- Ehi! – protestò il diciassettenne dalla carnagione scura. – Pete! Ariel! Seb! Non si corre nei corridoi! E non azzardatevi a fare un’altra delle vostr- era una bomboletta di vernice spray quella che spuntava dalla tasca dello zaino di Pete?
Will si lasciò sfuggire un sorriso divertito: - Non mettetevi nei guai!     
- Seh, figurati… a volte mi domando come sia possibile che quell’idiota sia il mio gemello… - borbottò Michael, mentre si accingeva insieme all’amico a salire le scale che li avrebbero condotti al primo piano, dove si trovava la Sala Riunioni.    
Appena fuori dall’aula, una donna bionda sulla quarantina  poggiava con la schiena al muro, leggendo un fascicolo identico a quello di William.      
Era piuttosto bassa, visto che con i tacchi superava appena il metro e sessantacinque, indossava un tailleur grigio chiaro e una camicia bianca, la cui stoffa si tendeva un po’ in prossimità del seno prosperoso, nonostante l’ausilio di una scollatura ricavata da ben tre bottoni sfilati.     
- Non so mai come chiamarla – sussurrò il più giovane. – Signora Barry-Giordano? Signora Atkins? Signora Barry-Giordano-Atkins?    
- Magari semplicemente… ciao, Luna!     
- Ehi, Will! – lo salutò la psicologa scolastica, strizzandogli l’occhio. – Sei arrivato giusto in tempo, i tuoi colleghi sono già dentro.     
 - Senza di me sarebbe arrivato come minimo dieci minuti in ritardo – borbottò Mike, spingendo l’amico oltre la soglia. – Lei parteciperà alla riunione, signora… ehm…    
- Sì, starò con voi per la prima mezz’ora, la preside mi ha chiesto di presenziare per aiutarvi con la nuova iniziativa, visto che si tratta di un tema un po’ delicato…    
- Beh, penso sia una buona idea – disse Will.    
La Sala Riunioni era piuttosto ampia e spaziosa, di forma quadrangolare: il pavimento era ricoperto da un bel parquet scuro, costellato da tre file di posti a sedere; di fronte alle sedie, occupate da una decina di studenti, c’era un palchetto rialzato di mezzo metro, sul quale era posta una grande cattedra, lunga abbastanza da permettere a cinque persone di accomodarsi senza problemi sulle poltroncine adiacenti.     
William sedette al solito posto, sulla poltroncina centrale, poggiando il fascicolo e schiarendosi la voce.     
Alla sua sinistra, Viola Shaver-Mikaelson gli rivolse un’occhiataccia, indicando il proprio orologio.     
- Sì, lo so, lo so… bene, signori, direi che possiamo iniziare!    



ATTO 2. Palestra - 10.25 am

Lo smalto blu scuro sull’unghia del pollice stava lentamente diventando un lontano ricordo.     
Via. Gratta. Gratta.    
- Jo!     
Gratta… grattalo tutto…    
- Ehi, Jo!     
Johanna Carlyle sussultò, rischiando di rovesciare con una gomitata la bottiglietta di tè che aveva adagiato poco prima accanto a sé, sedendo sulle gradinate della palestra scolastica.     
Aurora Atkins la fissava sorridendo, con una palla da volley stretta tra le mani.
Spesso Jo si chiedeva come mai Rory le dedicasse tante attenzioni: insomma, lei era piuttosto popolare, era bellissima, con quei lunghi capelli castani che scendevano quasi fino alla vita, i grandi occhioni azzurri, i lineamenti incantevoli… seppur di bassa statura, era provvista di forme piacevoli e prosperose. E inoltre aveva due anni in più.
Cosa poteva spingerla a essere amica della Stramba della scuola?    
- Ti va di fare qualche palleggio?    
Johanna esitò, senza smettere di tormentare i residui di smalto cobalto:
- Ecco, io…    
Una voce alle sue spalle la costrinse a voltarsi, sorridendo: Isaak, suo fratello maggiore, sedeva un paio di gradini più in alto e si stava allacciando le scarpe da ginnastica.    
- Dai, vai a fare qualche tiro, Jo. La compagnia di Rory Atkins è sicuramente migliore di quella di una bottiglietta di tè.    
La quindicenne si lasciò sfuggire una risatina, quindi si sfilò la felpa rossa e bianca che avvolgeva la sua figura minuta, la poggiò accanto al tè e raggiunse l’amica, che la portò per mano fuori dai confini del campo di pallavolo, dove stava avendo luogo una partita.    
Si posizionarono in una zona neutrale, accanto alle parallele, e cominciarono a palleggiare. Di tanto in tanto, Jo gettava un occhio per controllare che Isaak non si fosse allontanato dalla palestra: ogni volta, appena lo vedeva, seduto sugli spalti o intento a fare riscaldamento, le sfuggiva un piccolo sorriso.     
Poco distante da lì, nel rettangolo in cui si stava svolgendo il match, un pallone atterrò con forza sul pavimento della metà campo di sinistra, scatenando una serie di reazioni diverse tra i giocatori.     
- Heda Foley colpisce ancora! – gridò entusiasta il ragazzino del primo anno che fungeva da telecronista e segnapunti. – Le Tigri Celesti si aggiudicano il terzo set e la vittoria!    
Il capitano delle Blue Tigers era una ragazza alta e slanciata del terzo anno, di nome Giselle Foley, soprannominata “Heda” per via della forte somiglianza con il personaggio di Lexa della serie tv The 100.    
Con aria soddisfatta, sciolse i lunghi capelli castani che aveva tenuto raccolti in una coda durante la partita, e rivolse un sorriso ai compagni di squadra, battendo il cinque con ognuno di loro.    
Dalla parte opposta del campo, l’imponente leader delle Tigri Bianche, Jonathan Dempsey, si limitò a contrarre il volto in una smorfia, salvo poi lasciarsi sfuggire una risatina dalla vista dell’entusiasmo di uno dei propri commilitoni, un giovanotto altissimo e muscoloso come lui, che in quel momento stava esultando quanto gli avversari vincenti.    
- Non so se ti sia chiaro, ma abbiamo appena perso, Robinson – scherzò il diciottenne dai lineamenti asiatici, scompigliandosi la folta chioma scura che gli scendeva oltre le spalle. – Potrebbe venirmi il sospetto che tu in realtà sia una spia di Gil e che il tuo scopo sia quello di farci perdere.    
- Ma dai, Johnny, hai visto che schiacciata? Era impossibile da prendere, non credo di aver mai visto nessuno colpire una palla con tanta forza e precisione – decantò l’altro, con occhi sognanti. – Per me è arte. Arte pura.    
- È arte la tecnica di gioco o la giocatrice? – sussurrò malizioso Johnny, circondando con un braccio le spalle dell’amico. – Comunque io qualche volta ci sono riuscito, a respingerla.    
- Ma mai in una partita ufficiale. Io propongo una scommessa! – disse un ragazzo biondo e ben piazzato, dalla parte opposta della rete. – Il giorno in cui qualcuno respingerà una schiacciata di Gil, durante una partita ufficiale, Johnny si taglierà i capelli.    
- Ehi, i miei capelli non si toccano, Walker! – protestò Jonathan. – Credo abbastanza nelle mie capacità da permettermi di rifiutare.    
- Qualcuno è un po’ presuntuoso – fece eco un giocatore, o una giocatrice, delle Tigri Celesti, che spiccava tra gli altri per l’aspetto androgino e i capelli corti tinti di rosa. – Quasi quasi ci sto, a scommettere: se qualcuno di voi respingerà una schiacciata di Gil… io inviterò una determinata persona a uscire con me.     
- Questa è pesante, Jay – rise Josh Walker. – Allora mi chiamo in gioco anch’io: se qualcuno di voi respingerà una schiacciata di Gil… io farò cinque giri di campo da baseball con addosso soltanto le mutande di mia nonna.    
- Com’è che la discussione è degenerata fino a questo punto? – rise Giselle Foley. – Comunque, nemmeno io voglio tirarmi indietro: se qualcuno riuscirà a respingere una mia schiacciata, mi berrò un’intera bottiglia di… qualsiasi drink osceno mi prapariate.    
- E allora io ne berrò due – intervenne Thomas Robinson. – E vi dirò di più: se sarò io a respingere il tiro, farò un giro di campo con addosso uno dei bikini di mia sorella.      
- Bene, Johnny, a quanto pare Tom è meno presuntuoso di te – sorrise Gil Foley.
- In realtà, ho sempre cercato un’occasione per sfoggiare un bel bikini davanti a tutta la scuola – replicò ironico il diciannovenne, poggiandosi alla rete con sguardo furbo.
Jay Barkins scambiò un’occhiata complice con Josh: - Beh… fortuna che io non ho bisogno di fare scommesse per queste cose.
Il suono della campana interruppe il momento di svago, portando gli studenti a dividersi, avviandosi verso gli spogliatoi.    
Rory Atkins raggiunse rapidamente il gruppo delle ragazze, trascinandosi dietro Jo, ma si fermò, aggrottando la fronte, non appena gettò un occhio in direzione dei compagni che stavano entrando dalla parte dello spogliatoio maschile.
- Ehi, Jay! Oggi non ti cambi con noi?    
Lo studente, o meglio, la studentessa dai capelli rosa si bloccò, facendo scorrere lo sguardo da un gruppetto all’altro, poi sorrise timidamente: - Sì… è vero…
- Come fai a capire sempre quando è maschio e quando è femmina? – sussurrò Johanna all’orecchio dell’amica. Essendo iscritta al primo anno, faceva ancora fatica a tenere a mente tutti gli ingranaggi che regolavano ciò che accadeva all’interno delle mura scolastiche.    
- Beh…    
Rory si sfilò la maglietta non appena varcò la soglia dello spogliatoio femminile, rivelando i due top sportivi che le permettevano di tenere a bada il seno voluminoso durante le ore di ginnastica. Uno era grigio, l’altro fucsia.    
“Proprio come gli occhi e i capelli di Jayden” pensò la quindicenne.     
- A dire il vero non saprei, mi sembra solo piuttosto evidente. Magari col tempo imparerai a capirlo anche tu.     



ATTO 3 . Editoria - 11.15 am

Un pc acceso sulla scrivania, il lieve brusio della stampante, ordinate pile di fogli posizionate sui vari banchi.    
Questo era il cuore pulsante del regno di Viola Shaver-Mikaelson, indiscussa regina della scuola.    
Alta, autoritaria, con i capelli biondi legati in una coda e gli occhi grigioverdi sempre vigili; avrebbe avuto la possibilità di diventare Presidentessa del Comitato Studentesco per il secondo anno di fila, ma l’idea di dover trascurare i propri impegni nell’editoria scolastica l’aveva portata ad accontentarsi del ruolo di vice.    
Perché, alla fin fine, quello era il suo mondo.      
- Angie, controlla a che punto siamo con l’articolo sul nuovo corso di Arte – disse rivolta alla sua collaboratrice, Angel Murray, senza alzare gli occhi dai bozzetti che stava correggendo.    
- Dunque – mormorò la sedicenne dalla carnagione scura, digitando qualcosa sul pc. – Manca solo da scrivere un mini paragrafo finale e sistemare la disposizione delle immagini. Dovrebbe essere pronto per il finesettimana.    
- Perfetto. Hai già una scaletta per il tuo prossimo numero della Rubrica Femminista?
- Pronta – replicò Angel, sfilando un foglio dalla pila di documenti più vicina e passandolo al proprio capo. - Controlla se va bene.    
- Mary Shelley – lesse Viola ad alta voce. – Senza dubbio una figura interessante e in linea col periodo di pubblicazione… dunque… sì, può andare. Ce la fai a consegnarlo in due settimane?    
- Sicuro. Ehi, Vì, hai una richiesta di videochiamata da parte di Ethan.    
- Uh, accetta! – esclamò la bionda, perdendo il solito atteggiamento spartano e fiondandosi all’istante davanti allo schermo del pc. Subito, il volto di un ragazzino mulatto sui quattordici anni, con folti ricci castano scuro e naso e guance costellati di lentiggini, sostituì lo sfondo del dekstop pieno di cartelle.
- Ciao ragazze! – salutò, sorridendo. – L’insegnante di Design è appena uscito dall’aula, quindi ho pensato di approfittarne. State lavorando? Vi ho disturbate?    
- Ciao, tesoro mio! Non ti preoccupare, siamo a buon punto. Angie scriverà un articolo su Mary Shelley, scelta azzeccata, considerato che la pubblicazione avverrà nel periodo di Halloween.     
- Ti manderemo come al solito una copia per mail – soggiunse Angie, scompigliandosi la bella massa di ricci color caffè. – Ti stai trovando bene a Parigi, Tanny?    
- Oh, qui è fantastico, l’unico dramma dell’Erasmus è il non potervi vedere, se non attraverso uno schermo. Ma adoro il programma che ci hanno presentato… oh, è tornato il prof, devo chiudere, ci sentiamo più tardi!    
- A più tardi, tesoro – rispose Viola, lasciando trasparire un velo di nostalgia mentre la schermata con il volto del fratellino si oscurava, riducendosi automaticamente a icona.     
Tornò però presto in sé quando qualcuno bussò sulla soglia della porta spalancata.
- Ah, Jay, proprio te volevo! Hai portato le prime statistiche sulle prestazioni sportive di quelli del primo anno?    
- Come avevate chiesto, mia signora – rispose con un sorrisino la ragazza dai capelli rosa, posando un fascicolo sulla scrivania, accanto al portatile. - Le tabelle sono pure colorate, cosa vuoi di più?    
- Ottimo, direi che, di questo passo, l’articolo Giovani Promesse potrà uscire già con il numero di Dicembre. Com’è andata l’amichevole? A Mike si è spezzato il cuore quando ha saputo di non poter partecipare per via della riunione.
- Vittoria delle Blue Tigers per due a uno. E… credo di essermi messa nei guai in modo stupido.    
- Che vuoi dire? – domandò Angie, mentre Viola alzava gli occhi al cielo, scuotendo la testa.    
- Jayden Barkins, cos’hai combinato stavolta?    
La diciassettenne giocherellò distrattamente col piercing applicato sul proprio labbro inferiore, volgendo al pavimento gli occhi grigi contornati dal segno dell’eye-liner.    
- Ecco… dopo la partita Josh ha lanciato una scommessa riguardo le schiacciate imparabili di Gil. Mi sono fatta prendere dalla foga del momento come un’idiota, e…    
- Oh, cielo, cos’hai scommesso, Jay?    
- Beh…     
Jayden Barkins infilò le mani nelle tasche della felpa, assumendo un’espressione colpevole.    
- Ho scommesso che se qualcuno avesse respinto una schiacciata di Gil, durante una partita ufficiale, io avrei invitato una persona a uscire.     
Viola alzò un sopracciglio con fare scettico: - Una persona a caso o una persona specifica?    
- Ecco… ho detto “una determinata persona”. Non ho fatto nomi, ma… ho lasciato sottintendere di avere già qualcuno in mente.    
- Ah, Jay…     
La diciottenne bionda si coprì il volto con il palmo della mano, mentre Angie abbozzò un sorrisetto di compassione: - Considerato che con quella persona fai fatica a parlare, come pensi di invitarla a uscire? Sei riuscita a rivolgerle la parola almeno una volta oggi? 
- Più o meno… - rispose l’atleta, stringendosi nelle spalle. – Magari avrò fortuna, le schiacciate di Gil sono micidiali, e… 
- Tu? Fortuna? – commentò scettica la direttrice del giornalino scolastico.    
Jayden sospirò, abbassando la testa con aria sconfitta: - Hai ragione. Dovrò prepararmi psicologicamente a un’umiliazione colossale.
- Molto probabile – commentò la bionda, voltandosi con un sorrisetto non appena qualcuno bussò, schiarendosi la voce: - Oh, ecco la nostra Anonima! Non pensavo saresti riuscita a passare già oggi.    
La ragazza chiamata in causa avanzò in silenzio fino alla scrivania, porgendo una cartella alla direttrice: - Ho preferito non rischiare, odio gli imprevisti. Già oggi ho avuto una specie di incidente con l’anta dell’armadietto, non voglio ritrovarmi con il materiale bloccato lì dentro. Anche perché non mi va che la gente scopra che sono io Anonima.    
- Che cosa ci hai portato stavolta? – domandò Angie, mentre Viola apriva la cartella e cominciava a esaminarne il contenuto.    
La misteriosa studentessa dai capelli neri si strinse nelle spalle: - Sogni e incubi. Ho cominciato con una breve analisi del dipinto di Füssli.    
- Vedo, vedo – commentò Miss Shaver-Mikaelson, con Jay che sbirciava da sopra la sua spalla. – Devo dire che riesci sempre a donare un intrigante tocco di mistero al nostro giornale. Abbiamo fatto un ottimo acquisto con te.     
- Beh – replicò l’altra. – Qui posso esprimere i miei pensieri senza dover interagire direttamente con altre persone. Odio socializzare.    
- Questo l’avevo notato.     
Le ragazze erano tanto assorte nella conversazione da non accorgersi della strana figura apparsa per un breve istante sulla soglia della porta, per poi dileguarsi lungo il corridoio.    



ATTO 4. Bagno dei maschi, 2° piano -  11.47 am     

- Vecchia megera…    
Peter Standall, chino sulla tazza del water con uno spazzolino in mano, gettò un’occhiata torva in direzione dell’entrata del bagno maschile del secondo piano, individuando in linea d’aria la posizione della paffuta bidella che sedeva comodamente su una seggiola in legno, con una Settimana Enigmistica posata sulle gambe accavallate.    
- È una donnaccia perfida e senza cuore.     
- Concordo – fece eco Sebastian, con un’espressione schifata. – Pulire i cessi con degli spazzolini soltanto per aver imbrattato un muro di vernice spray è una punizione esageratissima. Si può rimediare al danno facilmente, stavolta siamo stati buoni. Come mai nessuno si preoccupa invece di quelli che scrivono “Troia questa, troia quella” sulle porte dei bagni, per di più con pennarelli indelebili?    
- Ragazzi, non l’avete ancora capito? – sbuffò Ariel, gettando un’occhiata scettica ai due migliori amici. – KK non ha voglia di lavorare e quindi ne approfitta per far fare il lavoro sporco a noi, facendolo passare per una punizione.
- Ehi, mocciosi, meno chiacchiere e più olio di gomito!    
Katrina Knoxville sogghignò perfidamente, mentre i tre ragazzini mugugnavano innervositi in risposta al suo richiamo. Si scompigliò i folti capelli castani con la mano sinistra, mentre con la destra portò la penna alla bocca, mordicchiandola.     
- Ehi, Saputella, questa è per te! Nove Verticale: Gruppo 1, blocco s della tavola periodica, quindici lettere.    
- Metalli alcalini – borbottò la sedicenne, reprimendo un conato mentre si apprestava a scrostare il fondo del water. - Non ha nemmeno voglia di pensare mentre fa i cruciverba in orario lavorativo…    
- Ti ho sentita. Evita altre uscite del genere se non vuoi che ti faccia pulire il cesso senza guanti. Uh, questa vi piacerà: approfittarsi di chi presta la propria opera, senza scrupoli riguardo il suo stato di bisogno. Dodici lettere.    
- Sfruttamento – grugnirono i tre studenti.    
- Esatto.    
Kat piegò le labbra tinte di rosso prugna in un sorrisetto sadico, per poi alzarsi e posare il cruciverba sulla sedia: - Okay, piccoli parassiti, vado a farmi un caffè, voi continuate pure a darci dentro.     
- Oh, giusto, si concede un caffè, far nulla è davvero faticoso – brontolò Peter, afferrando una tanica di detersivo.     
- Seb, potresti magari provare ad ammorbidirla facendo lo svenevole con lei – propose l’unica componente femminile del trio, indurendo tono ed espressione facciale. – Visto che ti piacciono le quarantenni con le tette grandi.    
- Credo di essere abbastanza maturo da evitare di cogliere le tue frecciatine acide, Ari – replicò l’altro, serafico. – E poi lo sai, mi piace una sola quarantenne con le tette grandi. E non mi puoi biasimare se, ogni tanto, sento il bisogno di esporre i miei drammi adolescenziali a quella gnocca della psicologa scolastica.     
- Peccato che la psicologa gnocca sia mia zia – ringhiò la ragazzina. – Sposata e madre dei miei cugini.     
- Sapete a chi servirebbe una bella seduta dalla psicologa? – ridacchiò Pete, interrompendo il battibecco tra i due sedicenni.    
Seguì un rapido scambio di occhiate tra il malefico trio, che si concluse in una risatina generale.     
- KK.     
La bidella, fortunatamente, si era già allontanata a sufficienza per evitare di sentire i discorsi dei tre ragazzi. Attraversò il corridoio, arrestandosi di fronte alla macchinetta delle bevande, cominciando ad armeggiare con il portamonete.
- Dunque… vediamo se anche oggi mi farai incazzare, razza di aggeggio infernale… tu e quelli della tua risma siete tutti uguali. Anche se, forse, il distributore delle merendine è il ritratto più assoluto della malvagità… dopo di me, chiaro…     
- Buongiorno, Katrina, anche oggi problemi con la tecnologia?    
La bidella si voltò con una smorfia, riconoscendo all’istante la voce della donna che le aveva appena parlato: - Non ancora, Miss Tacco Cinque. La collana è nuova?    
Miss Elizabeth Collins, insegnante di Letteratura Inglese, sorrise con entusiasmo, mostrando la fila di perle bianche annodate al proprio collo.    
Era una donna bionda, esile e di media altezza, dallo stile raffinato.    
- Oh, questa? In realtà l’ho comprata per il mio compleanno, mesi fa, ma non l’avevo ancora indossata per venire a scuola, e quindi…    
- Ehi, ehi, ti ho solo chiesto se la collana è nuova, non ti ho chiesto il resoconto della tua avventura con quel mucchio di perle – la interruppe Katrina, ticchettando nervosamente col dito indice sullo schermo della macchinetta in azione.    
Miss Collins, ormai avvezza ai modi sgarbati della donna più vecchia, decise di cambiare argomento: - Ultimamente diversi colleghi si sono lamentati per la scomparsa di alcuni oggetti personali. Pare che qualcuno si diverta a rubacchiare o spostare le cose.    
- Ehi, l’unica cosa che ho rubato qui a scuola è stata una gomma da masticare dal pacchetto del preside. L’aveva dimenticato sulla scrivania e ne ho approfittato, tutto qui… e gli ho preso anche una sigaretta, ma dubito se ne sia accorto, e poi gli ho pure fatto un favore, una possibilità in meno per lui di ridursi i polmoni in cenere.     
- No, non intendevo questo – si affrettò a specificare l’insegnante. – Sono propensa a pensare che qualche studente voglia fare scherzi al corpo docenti. Non sarebbe di certo la prima volta.    
- Ah, può darsi, quei fastidiosi insettacci brufolosi ci godono nel rompere le palle agli altri.     
Kat sollevò lo sportellino del distributore, estraendo un bicchierino di plastica colmo di caffè. Mentre beveva il primo sorso, ebbe una specie di flash, al quale seguì una successione di ricordi: durante gli ultimi giorni le era capitato spesso di perdere qualcosa o trovare oggetti di lavoro distanti dal luogo in cui li aveva riposti. E ricordava anche di essersi incazzata di brutto: nessuno doveva osare metter mano al suo personale e compulsivo concetto di ordine.
“Mi sa che dovrò organizzare una rappresaglia ai danni di quelle pesti” pensò. “Trovare il colpevole e farlo pentire di essere nato. Solo io posso spostare le cose qui!”    
Era talmente assorta dalle proprie invettive personali da non rendersi conto che le luci del corridoio avessero iniziato a spegnersi, una alla volta, né che Miss Collins si fosse allontanata, insospettita da uno strano rumore.    
Poi, un urlo femminile la fece sobbalzare, portandola a rovesciarsi buona parte del caffè bollente dentro l’ampia scollatura.    



ATTO 5.  Corridoi, 1° piano -  12.08 pm    
     
Miss Elizabeth Collins era sempre stata una donna mite e comprensiva, forse un po’ troppo morbida quando si trattava di interagire con i propri studenti.
Era solita ripetere spesso quanto il suo nome richiamasse un tremendo What If? del romanzo Orgoglio e Pregiudizio, e altrettanto spesso le capitava di affermare di essere facilmente influenzabile dai film horror che di tanto in tanto era costretta a vedere con Katrina Knoxville.    
Ecco perché quel giorno, non appena udì un rumore sospetto provenire dal laboratorio di scienze, che, in quel momento, sapeva essere vuoto, attraversò il corridoio con una certa titubanza, affacciandosi cautamente alla soglia.  
L’aula era effettivamente vuota, eppure c’era qualcosa di insolito nella disposizione di banchi e strumenti. Perfino la posa dello scheletro finto che stanziava dietro alla cattedra era cambiata: teneva un braccio sollevato e la parte anteriore del teschio rivolta verso di lei; sembrava quasi la stesse salutando.
Leggermente inquietata, Miss Collins fece un passo indietro, nello stesso istante in cui i neon appesi al soffitto cominciarono a spegnersi, uno dopo l’altro.
E fu allora che la vide, nella parte buia dell’androne avanti a sé: una ragazza pallida, con i capelli castani tagliati sopra le spalle e gli occhi azzurri cerchiati dalle occhiaie, la stava fissando, immobile, le braccia distese lungo i fianchi.
La professoressa aggrottò la fronte, confusa e irrequieta, serrò la mano attorno alla tracolla della propria borsa e domandò con fare esitante: - Hai bisogno d’aiuto?    
Non ricordava di aver mai visto quella ragazza prima di allora. E il fatto che fosse così ben visibile nell’oscurità, quasi fosse avvolta da una tenue luce lattiginosa, non la rendeva affatto rassicurante.    
Prima che la donna potesse aggiungere altro, la strana figura tese le braccia in avanti, per poi sollevare le mani in modo da avere i palmi in bella vista, all’altezza del viso di porcellana. Dal nulla, due lunghi squarci si aprirono sui suoi polsi, la carne straziata da lame invisibili. Sangue scuro e denso colò lungo la pelle, formando presto un’ampia pozza sul pavimento, che si allargava sempre di più.     
Fu allora che Elizabeth Collins lanciò un grido di terrore.     
Udì a malapena la pesante sequela di imprecazioni lanciate da Katrina, che era rimasta accanto alla macchinetta delle bevande, poi i neon esplosero, facendo precipitare l’intero piano in una cupa oscurità.    
Si levò un vociare terrorizzato dalle aule circostanti, mentre, all’interno del bagno dei maschi, Ariel, Seb e Peter cercavano di far luce con lo schermo dei telefoni, fiondandosi all’esterno e venendo ripetutamente colpiti da rotoli di carta igienica volanti, dallo sturalavandini e dalla Settimana Enigmistica di KK.
All’interno delle classi, fogli e quaderni schizzavano da tutte le parti, mentre le finestre venivano oscurate dalle tende che si serravano da sole.
Gli insegnanti tentarono invano di mantenere l’ordine, ma furono presto contagiati dal panico generale, come se una forza misteriosa agisse sulle loro capacità di autocontrollo.     
La professoressa Collins si raggomitolò contro il muro, singhiozzando, mentre gli studenti si riversavano nel corridoio come una mandria di bisonti impazziti. Sarebbe certamente stata investita se qualcuno, individuandola non si sa come, non le avesse fatto da scudo, proteggendola con il proprio corpo alto e imponente.    
Il caos durò esattamente un minuto, poi, le luci si riaccesero di colpo, rivelando che i neon, a differenza di quanto era parso poco prima, erano  intatti.    
- Prof, sta bene?    
L’insegnante di letteratura alzò lo sguardo sul proprio salvatore, riconoscendo in lui uno degli studenti e atleti del quarto anno: - Robinson… oh, cielo, non fosse stato per te…    
- Si può sapere che cazzo è successo qui? – tuonò Katrina Knoxville alle spalle della bionda, osservando furiosa il disastro di fogli e oggetti sparsi sul pavimento. – Mi sono pure ustionata le tette! Ehi, Tacco Cinque, si può sapere che ti è preso? Pare tu abbia visto un fantasma!    
Miss Collins gemette, strabuzzando gli occhi: - Era lì… quella ragazza… era davanti a me… e poi i suoi polsi…    
- Quale ragazza? – domandò Thomas Robinson, aiutando l’insegnante a rialzarsi. – Com’era fatta? Aspetti, si sieda qui… ehi, Carlyle, potresti portare una bottiglietta d’acqua alla prof?     
Johanna, a differenza degli altri studenti, era rimasta all’interno della propria aula, nascondendosi nell’armadio di metallo che conteneva una vasta riserva di album da disegno. Minuta com’era, se si fosse unita alla calca avrebbe rischiato di venir travolta e calpestata.    
In quel momento, sbirciava la scena affacciandosi dalla soglia della classe e, appena il ragazzo più grande si rivolse a lei, restò un attimo interdetta, per poi affrettarsi ad annuire, afferrare la chiavetta che Robinson le stava porgendo e correre al distributore più vicino.     
Mentre digitava il codice di una bottiglietta da mezzo litro di minerale, fece cadere lo sguardo sul vetro che proteggeva l’interno del macchinario, abbozzando un sorriso non appena vide, oltre al proprio riflesso, il volto di Isaak.
- Stai bene, Jo?    
La quindicenne annuì, chinandosi per aprire lo sportello e prendere l’acqua per Miss Collins: - Sì, ora sì. Ma è stato terrificante. Secondo te cosa può essere successo?    
- Non ne ho idea – replicò il diciottenne. – Ero al piano di sotto, ho sentito le urla e poi ho visto gli studenti che scendevano le scale terrorizzati. Mi sono preoccupato per te.     
- Miss Collins dice di aver visto un fantasma – spiegò la minore, tornando indietro assieme al fratello. – Il fantasma di una ragazza.     
Isaak aggrottò la fronte con aria sorpresa: - Sul serio?    
- Già… poi le luci si sono spente e i fogli hanno iniziato a volare per l’aula. Non avevo idea di cosa stesse accadendo… ah, ecco, l’acqua e la chiavetta, Robinson.
- Grazie.    
Il ragazzo dai capelli scuri stappò la bottiglietta con un singolo movimento della mano, per poi porgerla alla donna bionda che, ancora in stato di shock, bevette qualche sorso, lo sguardo perso nel vuoto.    
Nel mentre, Katrina continuava a sbraitare e inveire, lamentandosi per il disordine e maledicendo fantasmi, spiriti e ogni creatura del paranormale.    
- Roba da pazzi! Un fottuto fantasma nella scuola! Ecco chi rubava e spostava le mie cose! Cazzo, se lo piglio gli ficco la testa nel culo, poi lo appallottolo e lo infilo nell’aspirapolvere! Io… io…    
- Signora…    
Katrina si voltò, fulminando con lo sguardo il ragazzo dai capelli scuri che aveva appena attirato la sua attenzione.    
- Che vuoi?    
Anche Jo e Thomas si voltarono verso il ragazzo che aveva parlato: aveva dei lineamenti piuttosto gradevoli e l’atteggiamento tipico di una persona estremamente timida.    
- Io… ecco, ho sentito che stava parlando di un fantasma e… forse potrei aiutarvi.
- Ah sì? – replicò secca la bidella. – E in che modo?     
- Beh… vedete, mio padre è un cacciatore di fantasmi… se volete posso darvi il suo numero e…    
- Un cacciatore di fantasmi? E perché non l’hai detto subito?    
La formosa quarantatreenne estrasse dalla tasca dei pantaloni il proprio cellulare, facendosi dettare il numero.    
- Come ti chiami, moccioso? – domandò, avviando la chiamata.    
Il giovanotto arrossì fino alle orecchie: - Jim, signora. Jim D’Ettore.    
- Sei probabilmente il primo qui a chiamarmi signora e… oh, ha già risposto, pronto!
Una voce maschile e squillante, che sottintendeva una personalità eccentrica, echeggiò tramite il vivavoce dell’apparecchio telefonico.    
- Chiunque Lei sia, spero vivamente si tratti di un’emergenza! Per rispondere alla Sua chiamata ho fatto un segnaccio con l’eye-liner e adesso sembra che uno scimpanzé mi abbia lanciato una merda in faccia prendendomi solo di striscio!
- Meglio di striscio che in pieno – grugnì Katrina. – Comunque chiamo dalla Liberty High, la scuola di Suo figlio. Abbiamo un problema con un fantasma.
- E perché non l’ha detto subito? – esclamò l’Acchiappafantasmi. – Tempo di vestirmi, prendere l’attrezzatura e sarò subito da voi! Non si preoccupi, signora estremamente sgarbata e antipatica: nessuno spirito è al sicuro, quando Cherry Boombastic entra in azione!    





- Thirteen Direful Secrets -








***
Angolo dell’autrice: Ecco qua il primo capitolo della storia!
Qui ci troviamo finalmente nel pieno degli eventi, ambientati otto anni dopo il prologo. Chi ha letto IT, saprà a cosa mi riferisco quando dico che non è una coincidenza se praticamente tutti i personaggi della serie sono tornati in città e hanno iscritto i loro figli alla Liberty High. Non preoccupatevi comunque che ogni cosa verrà spiegata opportunamente.
Eeee abbiamo avuto la prima apparizione di Hannah. Che sia veramente il suo fantasma, ancora inquieto dopo venticinque anni? Cosa vuole? Cosa c'è sotto a tutta questa storia?

Direi intanto di fare uno schema della situazione:

- I personaggi appartenenti ad altre autrici sono: Jo Carlyle, Katrina Knoxville, “Anonima”, Tommy Robinson, Jim D’Ettore e Cherry Boombastic.
Tutti gli altri sono stati inventati da me.

- Sono figli di almeno un personaggio della serie: Will, Mike e Pete, Giselle, Johnny, Josh (che abbiamo conosciuto da bambino nel prologo), Jay, Rory, Ariel, Sebastian, Angie, Viola e Ethan. Naturalmente, Will, Viola e Ethan sono figli adottivi.
Alcuni sono facilmente collegabili per via dei cognomi, ma sappiate anche che c’è chi ha preso il cognome dalla madre oppure entrambi i cognomi dei genitori, quindi alcune parentele “ignote” verranno rivelate durante il corso della storia.
Come si sarà capito, Jayden è genderfluid, biologicamente maschio, con preferenza di identificazione nel genere femminile (anche per questo ha una pv donna). La lingua italiana purtroppo non possiede il genere neutro, quindi mi arrangerò come possibile durante i capitoli in cui non si è sicuri di come si senta quel giorno, nel caso Rory Atkins non sia nei paraggi.
E a proposito di Rory, se qualcuno avesse uno spaesamento riguardo il cognome Atkins, ricordo che ho spiegato la situazione nelle note del prologo per ogni evenienza.
 
- A proposito del doppio cognome, spiego brevemente anche una parentela particolare all’interno della scuola: come si è capito, Ariel e Rory sono cugine.
Bene.
Tra gli OC “del passato” ho una famiglia italo-americana, i Barry-Giordano, composta da padre americano, madre italiana e quattro figlie. Le due più giovani sono Marina (apparsa nel prologo) e Luna, la psicologa scolastica.
Accenno a questa cosa perché tornerà utile all’interno della storia (so che al momento pare tutto confusionario, ma fidatevi di me, ogni cosa a suo tempo).

- Anche se sono passati 25 anni dagli eventi della serie, non mi immagino un mondo futuristico iper-tecnologico, certo, ci saranno tecnologie migliori, ma non volevo buttarmi troppo sul fantascientifico (auto volanti, cellulari strani, sistemi informatici avanzatissimi), primo perchè non sono esperta nel settore, secondo perchè preferisco concentrarmi sulle dinamiche tra i personaggi e i risvolti paranormali della storia. Vedremo però tecnologia avanzata nell'equipaggiamento di Cherry Boombastic e in qualche altra occasione.
La mentalità della gente è un pochino migliorata, ma comunque alcuni problemi all'interno della società sono rimasti. 

- L'articolo "Sogni e Incubi" di Anonima è ispirato alla tesina di maturità fatta da una amica parecchi anni or sono.

- Già che ci sono, vi scrivo età e pv dei personaggi, per chi volesse (siete comunque liberi di immaginarli come volete, alla fine i pv sono solo linee guida):

- Jo Carlyle (15): King Princess
- Jim D’Ettore (16): Joseph Gordon-Lewitt
- Anonima (18): Crystal Reed
- Tommy Robinson (19): Adam Driver
- Katrina Knoxville (43): Kat Dennings
(Cherry si vedrà nel prossimo capitolo e di conseguenza nelle prossime note)

- Will Padilla (19): Nick Robinson
- Mike e Pete Standall (17): Keiynan Lonsdale
- Ariel (16): Willa Holland
- Seb (16): Federico Cesari
- Gil Foley (17): Alycia Debnam-Carey
- Rory Atkins (17): India Eisley
- Johnny Dempsey (18): Booboo Stewart
- Josh Walker (18): Cody Christian
- Jay Barkins (17): Valorie Curry
- Viola Shaver-Mikaelson (18): Lili Reinhart
- Angie Murray (16): Kiersey Clemons
- Prof Collins (35): Beth Berhs

- Ringrazio "rhys89" e "Freeshane" che hanno inserito la storia tra Seguite e ringrazio sempre Freeshane per aver recensito lo scorso capitolo.

Bene, per il momento è tutto, spero che i chiarimenti al momento bastino.
Vi anticipo che nel prossimo capitolo appariranno anche alcune nostre vecchie conoscenze, ossia gli ex studenti della Liberty High.
Avviso anche che non penso sarò veloce ad aggiornare perché questo mese andrò un po’ in giro e non avrò sempre pc e Wi-fi a portata di mano.

Alla prossima!

Tinkerbell92

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