Thirteen Direful Secrets (or How To Kill A Poltergeist) di Tinkerbell92 (/viewuser.php?uid=236997)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** One, two, Hannah's coming for you ***
Capitolo 1 *** Prologo ***
13DF
PROLOGO
Basta.
Era quello che ripetevi a te stessa ogni volta che ti colpiva, di
nuovo, nonostante avesse promesso di cambiare.
Basta.
I fari delle auto che ti sfrecciano accanto sembrano missili di fuoco,
lampi biancastri nel buio della notte. Tieni il piede premuto con forza
sull’acceleratore, cercando di mettere quanta più
distanza tra voi, questa volta per sempre.
Josh ha paura, lo senti singhiozzare, rannicchiato sul sedile
posteriore. Provi a rassicurarlo, mormorando qualche frase fatta,
qualcosa di stupido che esce dalla tua bocca in automatico, senza che
tu possa rendertene conto. Un’ennesima bugia, identica a
tutte quelle che gli hai raccontato per quasi dieci
anni.
“Va tutto
bene, Josh, va tutto bene.”
Sì, va tutto bene, come andava tutto bene quando ti
comparivano nuovi lividi sul corpo, quando ti sei rotta una mano cadendo dalle scale
(diamine, davvero pensi che qualcuno ci abbia creduto?), quando
reprimevi le grida e le lacrime alla notte, stringendo le lenzuola in
un pugno, mentre lui
(ormai non sei nemmeno più in grado di pronunciare il suo
nome) ti costringeva a primitivi e dolorosi rapporti sessuali.
Ti andava abbastanza bene quando ancora provavi del desiderio, ma
quando non avevi voglia si andava sempre incontro al solito,
dannatissimo rituale: prona, schiacciata contro il materasso,
l’apparato genitale in fiamme, le mani pesanti che
stringevano la tua carne senza alcuna delicatezza.
La cosa brutta era che negli ultimi tempi il tuo desiderio si era
ridotto, se non azzerato.
Basta.
Quante volte hai provato a dirlo? Quante volte sei uscita da quella
porta, con Joshua in braccio, giurando di non ritornare mai
più?
Ora ricordi quel giorno, quel giorno in cui c’eri quasi
riuscita. Avevi varcato la soglia della stazione di polizia con il
desiderio di porre fine a tutto quanto.
“Vorrei
denunciare mio marito.”
Quanto ti era costato pronunciare quelle parole, liberarti di quel
peso…
Per un attimo ti eri quasi sentita leggera, come se potessi spiccare il
volo da un momento all’altro, avvolta nel tuo cappottino
beige. Persino gli ematomi sulla pelle ti erano parsi più
chiari.
Eppure, il peso che ti opprimeva da anni è tornato pochi
istanti dopo, quando hai capito che non ti avrebbero aiutata. Avevano
bisogno di prove, era la tua parola contro quella del tuo ricco e
potente marito, la tua parola contro quella del rampollo di una
facoltosa famiglia, un noto ex atleta, leader aziendale, un volto
apparso più volte in prima pagina.
Per quanto ne sapevano, potevi esserteli fatta da sola quei lividi. Per
quanto ne sapevano, potevi essere soltanto un’ avida
manipolatrice in cerca di denaro e attenzioni.
Avevano scordato con facilità i suoi precedenti penali, lui
era lui, tu non eri nessuno.
Ti avevano fatto male, sì. Ma quel dolore non era nemmeno
equiparabile a ciò che ti avevano inflitto le due persone
che più di tutti avrebbero dovuto aiutarti e
proteggerti.
Ti coglie una fitta allo stomaco mentre, compiendo una brusca svolta a
destra, riecheggiano nella tua mente parole di tua madre, che
ti rimprovera perché non ti impegni abbastanza per tenerti
stretta l’unica cosa buona che (per lei) hai fatto nella
vita, ossia quella di sposare una celebrità.
Tua madre, che ti zittiva ogni volta che trovavi il coraggio di
parlare, che ti ripeteva che no, non si può parlare di
stupro, Karen, perché lui è tuo marito, e poi
perché vuoi negargli il tuo corpo, dovresti essere contenta
se lui ti desidera, vuol dire che sei ancora attraente!
Tua madre, che ha dato la colpa a te quando hai perso il secondo
bambino, che ha dato la colpa a te per ogni cosa, che ha sempre
sminuito quando le mostravi i lividi.
“Può
accadere che ci siano delle discussioni nella vita
coniugale!”
Sì, le discussioni possono capitare.
“Ma le
percosse, mamma?” pensi con rabbia, dando voce
alla Karen dei tuoi dolorosi ricordi, alla Karen che sta zitta e
incassa i colpi. “Le
percosse ti sembrano normali? Perché guardi questi segni sul
mio corpo senza vederli?”
Il silenzio di tuo padre non feriva certo meno. A poco servivano quei
suoi mezzi tentativi di solidarietà, quelle domandine
piazzate là, di tanto in tanto, come: “Sei sicura di star
bene, Karey? Sei sicura di essere
felice?”
Che tu gli rispondessi con una bugia o col silenzio, lui reagiva sempre
allo stesso modo, mettendosi l’anima in pace
perché, a quanto pare, il suo dovere di genitore
l’aveva fatto. Non si poteva dire che non si fosse
interessato a te per almeno un secondo, no?
E tuo fratello? Il tuo caro fratellino,
l’impeccabile Matthew, con la sua famiglia perfetta, il suo
facoltoso lavoro a Washington, il cocco di mamma che tanto voleva un
maschio e, ne sei più che certa, se fosse nato per primo
probabilmente tu non saresti mai esistita, probabilmente ai tuoi
sarebbe bastato.
“E che ci
vuole? Se ti tratta male mollalo!” ti diceva al
telefono, accomodato su uno sdraio davanti alla sua bella piscina e con
un cocktail in mano, quando lo chiamavi piangendo, con il corpo
dolorante e lo spirito segnato da una crepa in più.
Sì, mollalo. La faceva facile, ma dopotutto per lui era
sempre stato tutto facile.
Certo, non si può dire fossi completamente sola: i tuoi
amici, o meglio, alcuni di loro ti sostenevano, alcuni di loro avevano
provato sul serio ad aiutarti.
Ti sfugge quasi un sorriso quando ripensi a quella volta in cui Marina
ti aveva trascinata alla polizia, il giorno successivo alla tua
richiesta d’aiuto ignorata, scatenando un putiferio e
sbraitando un indignato monologo metà in inglese e
metà in italiano.
Eppure quella volta non ce l’avevi fatta. Quella volta
l’avevi presa per un braccio, portandola fuori, mentre lei
continuava a lanciare le sue invettive contro l’incompetenza
degli… aveva detto sbirri?
Sì, l’incompetenza degli sbirri e il marciume
della società sessista.
Sapevi che ti serviva aiuto, spesso lo chiedevi o almeno ci provavi.
Eppure non riuscivi mai a portare a termine la tua battaglia. Eppure
c’era sempre qualcosa che ti frenava, a partire dallo sguardo
di tuo marito e dalle parole che ti rivolgeva ogni giorno, dopo averti
baciata sulla fronte.
“Non puoi
andare da nessuna parte, tu non sei niente senza di me, lo sai,
Karey?”
Te l’aveva ripetuto talmente tante volte che alla fine,
inconsciamente, avevi finito per credergli.
E poi, cosa ne sarebbe stato di Josh? Saresti davvero riuscita a
guardare in faccia il tuo bambino e dirgli: “Tuo padre
è un mostro, andiamo via, scappiamo prima che inizi a fare
del male anche a te, perché lo farà, lo so,
quando sarai un po’ più grande
picchierà anche te.”
Eri ormai intrappolata in una spirale di paura e sofferenza, senza
alcun appiglio.
Quando provavi ad allontanarti c’era sempre qualcosa che ti
costringeva a tornare. E lui te lo ritrovavi lì, con
un’espressione pacifica: correva ad abbracciarti e ti
prometteva che sarebbe cambiato, che non avrebbe più alzato
le mani su di te, che si era soltanto arrabbiato perché
insomma, Karey, anche tu hai un carattere difficile, ti pare il caso di
fare la troia con i tuoi colleghi di lavoro?
Sì, troia. Sorridere ed essere gentile in ufficio significa
essere troia. Rispondere al messaggio di un collega che ti invita a una
cena di lavoro significa essere troia. Uscire con le amiche e tornare a
casa tardi significa essere troia.
E lui, che si scopava regolarmente le segretarie, allora
cos’era? Ah, no, giusto, le troie erano le segretarie che ci
stavano, lui non aveva alcuna colpa, lui, sposato e padre, ne usciva
sempre pulito e indenne.
Eppure… eppure senti che questa volta sarà
diverso. Non tornerai mai più da lui.
Non sei ancora del tutto sicura di cosa ti abbia fatto aprire gli occhi
in tempo mentre ormai ti stavi spegnendo: forse è stato
quando, riordinando il cassetto dell’archivio in salotto, ti
sono capitate sotto mano alcune cartelle cliniche, o meglio, quella
cartella clinica.
Hai letto il tuo nome e subito dentro di te si è acceso
qualcosa.
Karen Marsh. Karen Marsh…
L’avevi quasi scordato, eh? Ormai non ti apparteneva
più perché ti stavi trasformando in una scatola
vuota, in un’ombra, stavi perdendo la tua umanità.
Karen Marsh.
Con il cuore in gola sei andata avanti a leggere quella semplice scheda
che conteneva in sé quanto c’era di più
sbagliato nella tua vita: hai ricordato quanto ti sei sentita sollevata
quando quella dottoressa dallo sguardo color ambra ti aveva detto che
la tua seconda gravidanza si era interrotta.
Sollievo.
Avevi davvero provato sollievo.
Può capitare che una madre non desideri il proprio figlio,
ci sono mille ragioni per cui una donna scelga di abortire o speri in
un aborto spontaneo, nel caso non avesse la possibilità di
intervenire chirurgicamente.
Ma non dovrebbe mai, mai capitare che una madre si senta sollevata
nell’aver perso un figlio per evitargli l’inferno
che si cela dentro alle lussuose mura domestiche, per evitare che si
chiuda anche lui in camera come il fratello, tappandosi le orecchie,
piangendo e tremando.
Non deve succedere. Non è giusto.
Quando poi lui, furibondo e un po’ alticcio, ti ha sbraitato
contro per l’ennesima volta per un motivo che nemmeno hai
capito (o meglio, ascoltato), agitandoti un coltello sotto il naso e
minacciando di ammazzarti, ti sei resa conto di non provare paura ma
rabbia.
Rabbia che ti ha spinta fissarlo dritto negli occhi, rispondere: “Guarda che se mi
ammazzi poi non hai più nessuno da pestare, brutto
coglione” e allontanarti di qualche passo verso
le scale.
Ti ha lanciato contro il coltello, ti ha mancata, quindi, con un urlo
da cavernicolo, ha afferrato un soprammobile d’argento e
questa volta ti ha colpita, ottenendo però il risultato di
farti arrabbiare ancora di più.
E allora anche tu ti sei messa urlare, anche tu hai iniziato a tirargli
addosso degli oggetti, qualsiasi cosa ti capitasse in mano, fino a
quando non l’ha centrato in pieno volto con un portacandele
di vetro, che si è distrutto riempiendo di schegge quel
faccione quadrato.
Quella è stata la tua occasione, quello ti ha dato
abbastanza tempo da prendere Josh e caricarlo in macchina, fuggendo per
sempre da quella casa maledetta.
- Mamma…
Ti scuoti dai tuoi pensieri, guardando nello specchietto retrovisore:
il tuo bambino continua a piangere disperato, dietro di voi ci sono
ancora quei fari che vi inseguono.
Non vi lascerà andare via tanto
facilmente.
- Mamma… ti prego, voglio scendere… ho
paura…
- Siamo quasi arrivati – menti. – Stai
tranquillo…
Ti rendi conto che stai ancora sanguinando dalla ferita al
sopracciglio, ma poco importa, anzi: significa che anche lui sta
sanguinando e il pensiero ti fa quasi sorridere.
Non sai dove stai andando. Ti basta seminarlo.
E poi accade tutto in fretta, nel giro di una manciata di secondi:
l’incrocio al distributore di benzina, il camion che si
avvicina pericolosamente da destra, in direzione perpendicolare alla
tua.
Non puoi fermarti. Se ti fermi sei perduta. Se ti fermi lo stronzo ti
prenderà, probabilmente ti ucciderà e Josh
resterà solo con lui. Non puoi permetterlo. Non
vuoi.
Schiacci al massimo l’acceleratore, gridando, attraversi
l’incrocio a una velocità mai osata prima; il
camionista suona il clacson, provando a frenare, ma sai che non
riuscirà a rallentare la sua corsa in
tempo.
Basta.
Raggiungi la parte opposta della carreggiata, poi il rumore dello
schianto alle tue spalle, seguito da uno stridore di freni,
un’esplosione e un lampo di luce rossa che illumina a giorno
l’ambiente circostante.
Per un attimo scordi di respirare, troppo scioccata, troppo incredula
per quanto è appena accaduto. Trovi a malapena il coraggio
di guardare la scena attraverso gli specchietti, mentre il mondo
attorno a te si fa silenzioso. Silenzioso e rosso.
Josh schiaccia il volto contro il finestrino alzato per vedere meglio,
gli occhi ancora gonfi e le guance rigate dalle lacrime. Il vetro si
appanna col suo respiro affannoso.
Non sai cosa ti spinga a trovare il coraggio di scendere, reggendoti a
malapena sulle gambe tremanti. E guardi, immobile, in silenzio,
perché non puoi far altro che guardare.
Il camion è fermo a pochi metri dal disastro, il conducente
è appena sceso e armeggia freneticamente col telefono, anche
se ormai c’è ben poco da fare.
L’auto, la sua
auto è ormai ridotta a un ammasso di rottami anneriti, il
distributore di benzina va a fuoco, la notte si è tinta di
oro e cremisi (come le luci di Natale!) e tu senti il calore di quelle
fiamme sul viso.
Addio. Addio, Bryce. Addio mio aguzzino, mio compagno, miei dodici anni
d’inferno.
Addio, mostro.
Per un attimo ti sembra quasi di scorgere un volto femminile in mezzo
al fumo color cenere, ma probabilmente si tratta solo di
un’allucinazione.
Il tempo attorno a te pare fermarsi: quasi non ti rendi conto di quando
arrivano i soccorsi e alcuni dei vostri amici vi
raggiungono.
Solo nel momento in cui Marina ti scuote per le spalle riesci a
recuperare un po’ di lucidità e guardarli, uno a
uno, i volti serrati in un’espressione incredula quanto la
tua.
Justin resta solo per pochi minuti, poi trascina Nadya in macchina e se
ne va, come sempre, ormai ha preso l’abitudine di tenersi
lontano dai problemi, quasi ti sorprende il fatto che sia
venuto.
Zach cammina avanti e indietro con fare nervoso, Marcus sta parlando
con uno degli agenti, gesticolando in modo frenetico… ci
sono pure facce che non vedevi da un sacco di tempo, come quella
dell’ex galeotto Montgomery De La Cruz.
Peggy siede sul sedile posteriore della tua auto, parla con Josh, cerca
di distrarlo. Fai cadere un’occhiata sul suo ventre, gonfio
per via della gravidanza che sta affrontando ormai da sei mesi, e un
po’ ti senti in colpa.
- Ehi… Karey… Karey, cazzo,
parlami!
Volgi il tuo sguardo lentamente, specchiandoti in quello di Marina,
intenso, preoccupato e color nocciola, e provi ad aprire la bocca per
parlare, senza risultato.
Ti stringi a lei, le lacrime cominciano a scorrere di nuovo, le spalle
sobbalzano a ritmo di un singhiozzo che ti rendi conto essere una
risata isterica.
Piangi e ridi nello stesso momento, scossa, dilaniata, contesa tra
emozioni e pensieri contrastanti.
Ti senti distrutta.
Ti senti libera.
Ti senti un’assassina.
Ti senti… ti senti viva.
Le fiamme sono ormai spente ma il fumo continua a salire, in alto,
verso un velo nero e privo di stelle.
E il tuo spirito, in questo momento, è fumo.
- Thirteen Direful
Secrets -
***
Angolo
dell’autrice: Salve a
tutti!
Bene, questa storia ammetto esser stata inizialmente pensata come un
qualcosa di assolutamente demenziale e trash, ma alla fine ho optato
per una trama che conterrà in sé anche elementi
drammatici. In ogni caso, gli amanti del trash non si preoccupino, ci
sarà anche quello.
Il prologo della storia è ambientato otto anni prima
dell’inizio degli eventi descritti nella trama, e, nel caso
qualcuno se lo stesse chiedendo, c’è un motivo se
ho scelto di partire proprio da qui, c’è un
collegamento ben preciso tra il destino di Bryce e ciò che i
ragazzi della Liberty High affronteranno otto anni dopo.
Vi fornisco intanto ulteriori spiegazioni e avvertimenti:
- Ho immaginato una situazione del genere in casa Walker: Bryce
è riuscito a farla franca per anni, nel frattempo ha
maturato un carattere meno viscido e più aggressivo e
violento, perché ormai è certo che i soldi lo
aiuteranno sempre, quindi non si sente più in dovere di
fingersi una persona tranquilla, non gli
basta compiere oscenità e stupri di nascosto, ha pure
iniziato a bere e alzare le mani sulla moglie (della serie, sono una
merda e voglio impegnarmi a fondo per mantenere il mio status di
merda).
Forse la scena dell’esplosione è un po’
da film, ma, ehi, avevo avvisato ci sarebbe stato un po’ di
trash. E poi diciamolo, se l’è meritato.
- Ho cambiato il destino di un personaggio, ossia Jeff.
Perché sì, penso che almeno il 99,9% del fandom
sia d’accordo sul fatto che meritasse di meglio.
Perciò ho deciso di salvarlo e modificare leggermente la
storia del lato di cassetta dedicato a Sheri: dopo
l’incidente, Jeff è entrato in coma per mesi e,
presa dal panico, Sheri ha fatto intendere che l’intera
faccenda fosse avvenuta principalmente per colpa di Hannah, la quale,
pur non subendo processi o altro per mancanza di prove, ha subito
ulteriori vessazioni a scuola.
- Chiederei di non insultarmi tramite recensione per come ho scelto di
continuare la storia dei personaggi della serie. Oltre a Bryce ne ho
uccis* un/un’altr* (non a caso, io non faccio mai niente per
caso quando scrivo una storia) e ho scelto determinate coppie secondo
le mie preferenze. Non mi farebbe affatto piacere ritrovarmi recensioni
con scritto: “Eh ma questo doveva stare con quello, eh ma
questa coppia non mi piace, eh ma questo personaggio per me doveva fare
così...”
Perciò vi prego, siate clementi da questo punto di vista XD
Io sto solo seguendo le mie idee.
- Sono naturalmente presenti OC coetanei dei personaggi di Tredici (nel
Prologo ne abbiamo già conosciute tre: Karen, Marina e,
anche se solo nominata, Peggy), alcuni dei quali sono naturalmente
stati utili per dar vita alla generazione successiva, protagonista di
questa storia. Essendo nata come interattiva, ho incluso nella NG sette
personaggi creati apposta da alcune mie amiche autrici. Tali personaggi
appariranno nel prossimo capitolo, insieme alla famigerata Next
Generation. Probabilmente, nelle note d’autrice vi
scriverò un piccolo riepilogo degli OC miei e di quelli
delle altre autrici, magari specificando anche chi è figli*
di chi. O forse no, hehehe, magari vi farò scoprire alcune
parentele nel corso della storia per creare qualche
sorpresa.
- La frase: "Guarda che
se mi ammazzi poi non hai più nessuno da pestare, brutto
coglione" è un riferimento al cortometraggio: "Amore,
ma se mi uccidi, dopo a chi picchi?"
- Sì, il cognome di Karen è ispirato a quello di
Beverly Marsh, una dei protagonisti di IT.
- Naturalmente, la maggior fonte di ispirazione per questa storia
è stato Harry Potter, con la faccenda degli
horcrux.
Bene, al momento credo sia tutto, grazie mille per aver
letto.
Alla prossima!
Tinkerbell92
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Capitolo 2 *** One, two, Hannah's coming for you ***
CAPITOLO
1
“One, two, Hannah’s coming for you!”
Lunedì, 13 Ottobre
ATTO 1. Corridoi, Piano
Terra - 9.45 am
William trovava ci fosse qualcosa di insolitamente affascinante nel
concitato viavai dei corridoi scolastici. Stanziava di fronte al
proprio armadietto, osservando in silenzio coloro che gli passavano
accanto, studiando la loro figura e annotando mentalmente quali
dettagli l’avessero colpito di più: un piercing al
sopracciglio, un sorriso un po’ storto, un fiocco tra i
capelli…
Anche quel giorno sarebbe rimasto volentieri lì, per ore e
ore, a cogliere particolari sfumature, se Mike Standall non avesse
richiamato la sua attenzione con un paio di colpetti sulla
spalla.
- Ehi, amico, tra cinque minuti hai la riunione del Comitato
Studentesco. Sarebbe un tantino inappropriato per il presidente
presentarsi in ritardo.
- Oh… sì, scusa, hai ragione – sorrise
il diciannovenne, afferrando un fascicolo con impresso il logo del
liceo sulla copertina. – Okay… spero di avere
tutto…
- Lo spero anch’io per te.
Will sigillò l’armadietto, sistemò al
meglio la tracolla della borsa scolastica e si avviò con il
compagno a passo spedito in direzione dell’aula dedicata alle
riunioni.
- A volte mi chiedo perché abbiano scelto di dare a me
questo incarico – confessò, scompigliandosi
distrattamente i capelli castani. – Voglio dire, lo sanno che
spesso ho la testa tra le nuvole…
- Forse perché a noi studenti serve una persona altruista,
pronta a dare una mano quando ce n’è bisogno e con
una grande capacità di ascolto? –
replicò ironico Mike. – Non farti prendere dalle
paranoie, Padilla. Per la parte tecnico-organizzativa ci siamo io e
Viola, quindi non hai nulla da temere.
- È vero, con voi sono in una botte di ferro…
ehi, ciao, ti serve aiuto?
William si fermò accanto a una ragazza dai capelli scuri
che, imprecando sottovoce, stava litigando con la serratura del proprio
armadietto. Quella si voltò, rivolgendogli
un’occhiata sospettosa, poi mormorò uno stizzito
“no” tra i denti.
Il giovane sorrise, insistendo: - Sei nuova, vero? Spesso questi cosi
si incastrano e bisogna usare un po’ le maniere
forti… ti faccio vedere, se vuoi…
La studentessa serrò le labbra in una smorfia infastidita,
ma alla fine cedette, facendosi da parte.
- Dunque… alzi qui, dai un colpo deciso e… voilà!
L’anta difettosa rispose positivamente al trattamento del
diciannovenne, dando modo alla proprietaria di piazzarcisi
immediatamente davanti, quasi per celare il contenuto del proprio
ripostiglio personale.
- Se avrai bisogno di qualcosa non esitare a chiamarmi, sarò
felice di darti una mano. Ah, sono Will Padilla, Presidente del
Comitato Studentesco, mentre lui è Mike Standall, uno dei
miei collaboratori.
- Va bene – brontolò la studentessa nuova, senza
distogliere l’attenzione dai libri e i quaderni riposti
nell’armadietto.
Mike alzò le sopracciglia con fare perplesso, afferrando poi
l’amico per un braccio e trascinandolo via: - Rischi di fare
tardi per lei e non ti ha nemmeno ringraziato. Che razza di
maleducata!
- Avrà i suoi motivi, Mike, magari è timida,
diffidente, o ha avuto brutte esperienze con i compagni di
scuola… non l’ho aiutata per ricevere
ringraziamenti o riconoscimenti.
- No, certo, ma è più forte di me, non tollero la
maleducazione. Se mi fossi azzardato a comportarmi in quel modo, mia
madre mi avrebbe assestato due bei ceffoni e le avrei dato pienamente
ragione. E, oh, a proposito di maleducazione…
- Largooo!
I due amici si scostarono giusto in tempo per evitare di venire
investiti da un trio scalmanato che attraversava i corridoi di corsa,
nonostante fosse vietato: una ragazzina del secondo anno con un berretto
scuro in testa conduceva la fila, tenendo per mano un coetaneo dalla
folta chioma castana, mentre, poco dietro di loro, la copia scapestrata
di Mike Standall, con tanto di capelli tinti di arancione sbiadito,
grandi occhiali da vista e orecchino, sghignazzava in modo
sguaiato.
- Ehi! – protestò il diciassettenne dalla
carnagione scura. – Pete! Ariel! Seb! Non si corre nei
corridoi! E non azzardatevi a fare un’altra delle vostr- era
una bomboletta di vernice spray quella che spuntava dalla tasca dello
zaino di Pete?
Will si lasciò sfuggire un sorriso divertito: - Non
mettetevi nei guai!
- Seh, figurati… a volte mi domando come sia possibile che
quell’idiota sia il mio gemello… -
borbottò Michael, mentre si accingeva insieme
all’amico a salire le scale che li avrebbero condotti al
primo piano, dove si trovava la Sala Riunioni.
Appena fuori dall’aula, una donna bionda sulla
quarantina poggiava con la schiena al muro, leggendo un
fascicolo identico a quello di William.
Era piuttosto bassa, visto che con i tacchi superava appena il metro e
sessantacinque, indossava un tailleur grigio chiaro e una camicia
bianca, la cui stoffa si tendeva un po’ in
prossimità del seno prosperoso, nonostante
l’ausilio di una scollatura ricavata da ben tre bottoni
sfilati.
- Non so mai come chiamarla – sussurrò il
più giovane. – Signora Barry-Giordano? Signora
Atkins? Signora Barry-Giordano-Atkins?
- Magari semplicemente… ciao, Luna!
- Ehi, Will! – lo salutò la psicologa scolastica,
strizzandogli l’occhio. – Sei arrivato giusto in
tempo, i tuoi colleghi sono già dentro.
- Senza di me sarebbe arrivato come minimo dieci minuti in
ritardo – borbottò Mike, spingendo
l’amico oltre la soglia. – Lei
parteciperà alla riunione, signora…
ehm…
- Sì, starò con voi per la prima
mezz’ora, la preside mi ha chiesto di presenziare per
aiutarvi con la nuova iniziativa, visto che si tratta di un tema un
po’ delicato…
- Beh, penso sia una buona idea – disse
Will.
La Sala Riunioni era piuttosto ampia e spaziosa, di forma
quadrangolare: il pavimento era ricoperto da un bel parquet scuro,
costellato da tre file di posti a sedere; di fronte alle sedie,
occupate da una decina di studenti, c’era un palchetto
rialzato di mezzo metro, sul quale era posta una grande cattedra, lunga
abbastanza da permettere a cinque persone di accomodarsi senza problemi
sulle poltroncine adiacenti.
William sedette al solito posto, sulla poltroncina centrale, poggiando
il fascicolo e schiarendosi la voce.
Alla sua sinistra, Viola Shaver-Mikaelson gli rivolse
un’occhiataccia, indicando il proprio orologio.
- Sì, lo so, lo so… bene, signori, direi che
possiamo iniziare!
ATTO
2. Palestra - 10.25 am
Lo smalto blu scuro sull’unghia del pollice stava lentamente
diventando un lontano ricordo.
Via. Gratta. Gratta.
- Jo!
Gratta…
grattalo
tutto…
- Ehi, Jo!
Johanna Carlyle sussultò, rischiando di rovesciare con una
gomitata la bottiglietta di tè che aveva adagiato poco prima
accanto a sé, sedendo sulle gradinate della palestra
scolastica.
Aurora Atkins la fissava sorridendo, con una palla da volley stretta
tra le mani.
Spesso Jo si chiedeva come mai Rory le dedicasse tante attenzioni:
insomma, lei era piuttosto popolare, era bellissima, con quei lunghi
capelli castani che scendevano quasi fino alla vita, i grandi occhioni
azzurri, i lineamenti incantevoli… seppur di bassa statura,
era provvista di forme piacevoli e prosperose. E inoltre aveva due anni
in più.
Cosa poteva spingerla a essere amica della Stramba della
scuola?
- Ti va di fare qualche palleggio?
Johanna esitò, senza smettere di tormentare i residui di
smalto cobalto:
- Ecco, io…
Una voce alle sue spalle la costrinse a voltarsi, sorridendo: Isaak,
suo fratello maggiore, sedeva un paio di gradini più in alto
e si stava allacciando le scarpe da ginnastica.
- Dai, vai a fare qualche tiro, Jo. La compagnia di Rory Atkins
è sicuramente migliore di quella di una bottiglietta di
tè.
La quindicenne si lasciò sfuggire una risatina, quindi si
sfilò la felpa rossa e bianca che avvolgeva la sua figura
minuta, la poggiò accanto al tè e raggiunse
l’amica, che la portò per mano fuori dai confini
del campo di pallavolo, dove stava avendo luogo una
partita.
Si posizionarono in una zona neutrale, accanto alle parallele, e
cominciarono a palleggiare. Di tanto in tanto, Jo gettava un occhio per
controllare che Isaak non si fosse allontanato dalla palestra: ogni
volta, appena lo vedeva, seduto sugli spalti o intento a fare
riscaldamento, le sfuggiva un piccolo sorriso.
Poco distante da lì, nel rettangolo in cui si stava
svolgendo il match, un pallone atterrò con forza sul
pavimento della metà campo di sinistra, scatenando una serie
di reazioni diverse tra i giocatori.
- Heda Foley colpisce ancora! – gridò entusiasta
il ragazzino del primo anno che fungeva da telecronista e segnapunti.
– Le Tigri Celesti si aggiudicano il terzo set e la
vittoria!
Il capitano delle Blue Tigers era una ragazza alta e slanciata del
terzo anno, di nome Giselle Foley, soprannominata
“Heda” per via della forte somiglianza con il
personaggio di Lexa della serie tv The
100.
Con aria soddisfatta, sciolse i lunghi capelli castani che aveva tenuto
raccolti in una coda durante la partita, e rivolse un sorriso ai
compagni di squadra, battendo il cinque con ognuno di
loro.
Dalla parte opposta del campo, l’imponente leader delle Tigri
Bianche, Jonathan Dempsey, si limitò a contrarre il volto in
una smorfia, salvo poi lasciarsi sfuggire una risatina dalla vista
dell’entusiasmo di uno dei propri commilitoni, un giovanotto
altissimo e muscoloso come lui, che in quel momento stava esultando
quanto gli avversari vincenti.
- Non so se ti sia chiaro, ma abbiamo appena perso, Robinson
– scherzò il diciottenne dai lineamenti asiatici,
scompigliandosi la folta chioma scura che gli scendeva oltre le spalle.
– Potrebbe venirmi il sospetto che tu in realtà
sia una spia di Gil e che il tuo scopo sia quello di farci
perdere.
- Ma dai, Johnny, hai visto che schiacciata? Era impossibile da
prendere, non credo di aver mai visto nessuno colpire una palla con
tanta forza e precisione – decantò
l’altro, con occhi sognanti. – Per me è
arte. Arte pura.
- È arte la tecnica di gioco o la giocatrice? –
sussurrò malizioso Johnny, circondando con un braccio le
spalle dell’amico. – Comunque io qualche volta ci
sono riuscito, a respingerla.
- Ma mai in una partita ufficiale. Io propongo una scommessa!
– disse un ragazzo biondo e ben piazzato, dalla parte opposta
della rete. – Il giorno in cui qualcuno respingerà
una schiacciata di Gil, durante una partita ufficiale, Johnny si
taglierà i capelli.
- Ehi, i miei capelli non si toccano, Walker! –
protestò Jonathan. – Credo abbastanza nelle mie
capacità da permettermi di rifiutare.
- Qualcuno è un po’ presuntuoso – fece
eco un giocatore, o una giocatrice, delle Tigri Celesti, che spiccava
tra gli altri per l’aspetto androgino e i capelli corti tinti
di rosa. – Quasi quasi ci sto, a scommettere: se qualcuno di
voi respingerà una schiacciata di Gil… io
inviterò una determinata persona a uscire con me.
- Questa è pesante, Jay – rise Josh Walker.
– Allora mi chiamo in gioco anch’io: se qualcuno di
voi respingerà una schiacciata di Gil… io
farò cinque giri di campo da baseball con addosso soltanto
le mutande di mia nonna.
- Com’è che la discussione è degenerata
fino a questo punto? – rise Giselle Foley. –
Comunque, nemmeno io voglio tirarmi indietro: se qualcuno
riuscirà a respingere una mia schiacciata, mi
berrò un’intera bottiglia di… qualsiasi
drink osceno mi prapariate.
- E allora io ne berrò due – intervenne Thomas
Robinson. – E vi dirò di più: se
sarò io a respingere il tiro, farò un giro di
campo con addosso uno dei bikini di mia sorella.
- Bene, Johnny, a quanto pare Tom è meno presuntuoso di te
– sorrise Gil Foley.
- In realtà, ho sempre cercato un’occasione per
sfoggiare un bel bikini davanti a tutta la scuola –
replicò ironico il diciannovenne, poggiandosi alla rete con
sguardo furbo.
Jay Barkins scambiò un’occhiata complice con Josh:
- Beh… fortuna che io non ho bisogno di fare scommesse per
queste cose.
Il suono della campana interruppe il momento di svago, portando gli
studenti a dividersi, avviandosi verso gli
spogliatoi.
Rory Atkins raggiunse rapidamente il gruppo delle ragazze,
trascinandosi dietro Jo, ma si fermò, aggrottando la fronte,
non appena gettò un occhio in direzione dei compagni che
stavano entrando dalla parte dello spogliatoio maschile.
- Ehi, Jay! Oggi non ti cambi con noi?
Lo studente, o meglio, la studentessa dai capelli rosa si
bloccò, facendo scorrere lo sguardo da un gruppetto
all’altro, poi sorrise timidamente: -
Sì… è vero…
- Come fai a capire sempre quando è maschio e quando
è femmina? – sussurrò Johanna
all’orecchio dell’amica. Essendo iscritta al primo
anno, faceva ancora fatica a tenere a mente tutti gli ingranaggi che
regolavano ciò che accadeva all’interno delle mura
scolastiche.
- Beh…
Rory si sfilò la maglietta non appena varcò la
soglia dello spogliatoio femminile, rivelando i due top sportivi che le
permettevano di tenere a bada il seno voluminoso durante le ore di
ginnastica. Uno era grigio, l’altro
fucsia.
“Proprio come
gli occhi e i capelli di Jayden”
pensò la quindicenne.
- A dire il vero non saprei, mi sembra solo piuttosto evidente. Magari
col tempo imparerai a capirlo anche tu.
ATTO
3 . Editoria - 11.15 am
Un pc acceso sulla scrivania, il lieve brusio della stampante, ordinate
pile di fogli posizionate sui vari banchi.
Questo era il cuore pulsante del regno di Viola Shaver-Mikaelson,
indiscussa regina della scuola.
Alta, autoritaria, con i capelli biondi legati in una coda e gli occhi
grigioverdi sempre vigili; avrebbe avuto la possibilità di
diventare Presidentessa del Comitato Studentesco per il secondo anno di
fila, ma l’idea di dover trascurare i propri impegni
nell’editoria scolastica l’aveva portata ad
accontentarsi del ruolo di vice.
Perché, alla fin fine, quello era il suo mondo.
- Angie, controlla a che punto siamo con l’articolo sul nuovo
corso di Arte – disse rivolta alla sua collaboratrice, Angel
Murray, senza alzare gli occhi dai bozzetti che stava
correggendo.
- Dunque – mormorò la sedicenne dalla carnagione
scura, digitando qualcosa sul pc. – Manca solo da scrivere un
mini paragrafo finale e sistemare la disposizione delle immagini.
Dovrebbe essere pronto per il finesettimana.
- Perfetto. Hai già una scaletta per il tuo prossimo numero
della Rubrica Femminista?
- Pronta – replicò Angel, sfilando un foglio dalla
pila di documenti più vicina e passandolo al proprio capo. -
Controlla se va bene.
- Mary Shelley – lesse Viola ad alta voce. – Senza
dubbio una figura interessante e in linea col periodo di
pubblicazione… dunque… sì,
può andare. Ce la fai a consegnarlo in due
settimane?
- Sicuro. Ehi, Vì, hai una richiesta di videochiamata da
parte di Ethan.
- Uh, accetta! – esclamò la bionda, perdendo il
solito atteggiamento spartano e fiondandosi all’istante
davanti allo schermo del pc. Subito, il volto di un ragazzino mulatto
sui quattordici anni, con folti ricci castano scuro e naso e guance
costellati di lentiggini, sostituì lo sfondo del dekstop
pieno di cartelle.
- Ciao ragazze! – salutò, sorridendo. –
L’insegnante di Design è appena uscito
dall’aula, quindi ho pensato di approfittarne. State
lavorando? Vi ho disturbate?
- Ciao, tesoro mio! Non ti preoccupare, siamo a buon punto. Angie
scriverà un articolo su Mary Shelley, scelta azzeccata,
considerato che la pubblicazione avverrà nel periodo di
Halloween.
- Ti manderemo come al solito una copia per mail – soggiunse
Angie, scompigliandosi la bella massa di ricci color caffè.
– Ti stai trovando bene a Parigi, Tanny?
- Oh, qui è fantastico, l’unico dramma
dell’Erasmus è il non potervi vedere, se non
attraverso uno schermo. Ma adoro il programma che ci hanno
presentato… oh, è tornato il prof, devo chiudere,
ci sentiamo più tardi!
- A più tardi, tesoro – rispose Viola, lasciando
trasparire un velo di nostalgia mentre la schermata con il volto del
fratellino si oscurava, riducendosi automaticamente a icona.
Tornò però presto in sé quando
qualcuno bussò sulla soglia della porta spalancata.
- Ah, Jay, proprio te volevo! Hai portato le prime statistiche sulle
prestazioni sportive di quelli del primo anno?
- Come avevate chiesto, mia signora – rispose con un
sorrisino la ragazza dai capelli rosa, posando un fascicolo sulla
scrivania, accanto al portatile. - Le tabelle sono pure colorate, cosa
vuoi di più?
- Ottimo, direi che, di questo passo, l’articolo Giovani Promesse
potrà uscire già con il numero di Dicembre.
Com’è andata l’amichevole? A Mike si
è spezzato il cuore quando ha saputo di non poter
partecipare per via della riunione.
- Vittoria delle Blue Tigers per due a uno. E… credo di
essermi messa nei guai in modo stupido.
- Che vuoi dire? – domandò Angie, mentre Viola
alzava gli occhi al cielo, scuotendo la testa.
- Jayden Barkins, cos’hai combinato
stavolta?
La diciassettenne giocherellò distrattamente col piercing
applicato sul proprio labbro inferiore, volgendo al pavimento gli occhi
grigi contornati dal segno
dell’eye-liner.
- Ecco… dopo la partita Josh ha lanciato una scommessa
riguardo le schiacciate imparabili di Gil. Mi sono fatta prendere dalla
foga del momento come un’idiota,
e…
- Oh, cielo, cos’hai scommesso, Jay?
- Beh…
Jayden Barkins infilò le mani nelle tasche della felpa,
assumendo un’espressione colpevole.
- Ho scommesso che se qualcuno avesse respinto una schiacciata di Gil,
durante una partita ufficiale, io avrei invitato una persona a uscire.
Viola alzò un sopracciglio con fare scettico: - Una persona
a caso o una persona specifica?
- Ecco… ho detto “una determinata
persona”. Non ho fatto nomi, ma… ho lasciato
sottintendere di avere già qualcuno in
mente.
- Ah, Jay…
La diciottenne bionda si coprì il volto con il palmo della
mano, mentre Angie abbozzò un sorrisetto di compassione: -
Considerato che con quella persona fai fatica a parlare, come pensi di
invitarla a uscire? Sei riuscita a rivolgerle la parola almeno una
volta oggi?
- Più o meno… - rispose l’atleta,
stringendosi nelle spalle. – Magari avrò fortuna,
le schiacciate di Gil sono micidiali, e…
- Tu? Fortuna? –
commentò scettica la direttrice del giornalino
scolastico.
Jayden sospirò, abbassando la testa con aria sconfitta: -
Hai ragione. Dovrò prepararmi psicologicamente a
un’umiliazione colossale.
- Molto probabile – commentò la bionda, voltandosi
con un sorrisetto non appena qualcuno bussò, schiarendosi la
voce: - Oh, ecco la nostra Anonima! Non pensavo saresti riuscita a
passare già oggi.
La ragazza chiamata in causa avanzò in silenzio fino alla
scrivania, porgendo una cartella alla direttrice: - Ho preferito non
rischiare, odio gli imprevisti. Già oggi ho avuto una specie
di incidente con l’anta dell’armadietto, non voglio
ritrovarmi con il materiale bloccato lì dentro. Anche
perché non mi va che la gente scopra che sono io
Anonima.
- Che cosa ci hai portato stavolta? – domandò
Angie, mentre Viola apriva la cartella e cominciava a esaminarne il
contenuto.
La misteriosa studentessa dai capelli neri si strinse nelle spalle: -
Sogni e incubi. Ho cominciato con una breve analisi del dipinto di
Füssli.
- Vedo, vedo – commentò Miss Shaver-Mikaelson, con
Jay che sbirciava da sopra la sua spalla. – Devo dire che
riesci sempre a donare un intrigante tocco di mistero al nostro
giornale. Abbiamo fatto un ottimo acquisto con te.
- Beh – replicò l’altra. – Qui
posso esprimere i miei pensieri senza dover interagire direttamente con
altre persone. Odio socializzare.
- Questo l’avevo notato.
Le ragazze erano tanto assorte nella conversazione da non accorgersi
della strana figura apparsa per un breve istante sulla soglia della
porta, per poi dileguarsi lungo il corridoio.
ATTO
4. Bagno dei maschi, 2° piano - 11.47 am
- Vecchia megera…
Peter Standall, chino sulla tazza del water con uno spazzolino in mano,
gettò un’occhiata torva in direzione
dell’entrata del bagno maschile del secondo piano,
individuando in linea d’aria la posizione della paffuta
bidella che sedeva comodamente su una seggiola in legno, con una
Settimana Enigmistica posata sulle gambe
accavallate.
- È una donnaccia perfida e senza cuore.
- Concordo – fece eco Sebastian, con un’espressione
schifata. – Pulire i cessi con degli spazzolini soltanto per
aver imbrattato un muro di vernice spray è una punizione
esageratissima. Si può rimediare al danno facilmente,
stavolta siamo stati buoni. Come mai nessuno si preoccupa invece di
quelli che scrivono “Troia
questa, troia quella” sulle porte dei bagni, per
di più con pennarelli indelebili?
- Ragazzi, non l’avete ancora capito? –
sbuffò Ariel, gettando un’occhiata scettica ai due
migliori amici. – KK non ha voglia di lavorare e quindi ne
approfitta per far fare il lavoro sporco a noi, facendolo passare per
una punizione.
- Ehi, mocciosi, meno chiacchiere e più olio di
gomito!
Katrina Knoxville sogghignò perfidamente, mentre i tre
ragazzini mugugnavano innervositi in risposta al suo richiamo. Si
scompigliò i folti capelli castani con la mano sinistra,
mentre con la destra portò la penna alla bocca,
mordicchiandola.
- Ehi, Saputella, questa è per te! Nove Verticale: Gruppo 1,
blocco s della tavola periodica, quindici lettere.
- Metalli alcalini – borbottò la sedicenne,
reprimendo un conato mentre si apprestava a scrostare il fondo del
water. - Non ha nemmeno voglia di pensare mentre fa i cruciverba in
orario lavorativo…
- Ti ho sentita. Evita altre uscite del genere se non vuoi che ti
faccia pulire il cesso senza guanti. Uh, questa vi piacerà:
approfittarsi di chi presta la propria opera, senza scrupoli riguardo
il suo stato di bisogno. Dodici lettere.
- Sfruttamento – grugnirono i tre
studenti.
- Esatto.
Kat piegò le labbra tinte di rosso prugna in un sorrisetto
sadico, per poi alzarsi e posare il cruciverba sulla sedia: - Okay,
piccoli parassiti, vado a farmi un caffè, voi continuate
pure a darci dentro.
- Oh, giusto, si concede un caffè, far nulla è
davvero faticoso – brontolò Peter, afferrando una
tanica di detersivo.
- Seb, potresti magari provare ad ammorbidirla facendo lo svenevole con
lei – propose l’unica componente femminile del
trio, indurendo tono ed espressione facciale. – Visto che ti
piacciono le quarantenni con le tette grandi.
- Credo di essere abbastanza maturo da evitare di cogliere le tue
frecciatine acide, Ari – replicò
l’altro, serafico. – E poi lo sai, mi piace una
sola quarantenne con le tette grandi. E non mi puoi biasimare se, ogni
tanto, sento il bisogno di esporre i miei drammi adolescenziali a
quella gnocca della psicologa scolastica.
- Peccato che la psicologa gnocca sia mia zia –
ringhiò la ragazzina. – Sposata e madre dei miei
cugini.
- Sapete a chi servirebbe una bella seduta dalla psicologa? –
ridacchiò Pete, interrompendo il battibecco tra i due
sedicenni.
Seguì un rapido scambio di occhiate tra il malefico trio,
che si concluse in una risatina generale.
- KK.
La bidella, fortunatamente, si era già allontanata a
sufficienza per evitare di sentire i discorsi dei tre ragazzi.
Attraversò il corridoio, arrestandosi di fronte alla
macchinetta delle bevande, cominciando ad armeggiare con il portamonete.
- Dunque… vediamo se anche oggi mi farai incazzare, razza di
aggeggio infernale… tu e quelli della tua risma siete tutti
uguali. Anche se, forse, il distributore delle merendine è
il ritratto più assoluto della
malvagità… dopo di me, chiaro…
- Buongiorno, Katrina, anche oggi problemi con la
tecnologia?
La bidella si voltò con una smorfia, riconoscendo
all’istante la voce della donna che le aveva appena parlato:
- Non ancora, Miss Tacco Cinque. La collana è
nuova?
Miss Elizabeth Collins, insegnante di Letteratura Inglese, sorrise con
entusiasmo, mostrando la fila di perle bianche annodate al proprio
collo.
Era una donna bionda, esile e di media altezza, dallo stile
raffinato.
- Oh, questa? In realtà l’ho comprata per il mio
compleanno, mesi fa, ma non l’avevo ancora indossata per
venire a scuola, e quindi…
- Ehi, ehi, ti ho solo chiesto se la collana è nuova, non ti
ho chiesto il resoconto della tua avventura con quel mucchio di perle
– la interruppe Katrina, ticchettando nervosamente col dito
indice sullo schermo della macchinetta in azione.
Miss Collins, ormai avvezza ai modi sgarbati della donna più
vecchia, decise di cambiare argomento: - Ultimamente diversi colleghi
si sono lamentati per la scomparsa di alcuni oggetti personali. Pare
che qualcuno si diverta a rubacchiare o spostare le
cose.
- Ehi, l’unica cosa che ho rubato qui a scuola è
stata una gomma da masticare dal pacchetto del preside.
L’aveva dimenticato sulla scrivania e ne ho approfittato,
tutto qui… e gli ho preso anche una sigaretta, ma dubito se
ne sia accorto, e poi gli ho pure fatto un favore, una
possibilità in meno per lui di ridursi i polmoni in cenere.
- No, non intendevo questo – si affrettò a
specificare l’insegnante. – Sono propensa a pensare
che qualche studente voglia fare scherzi al corpo docenti. Non sarebbe
di certo la prima volta.
- Ah, può darsi, quei fastidiosi insettacci brufolosi ci
godono nel rompere le palle agli altri.
Kat sollevò lo sportellino del distributore, estraendo un
bicchierino di plastica colmo di caffè. Mentre beveva il
primo sorso, ebbe una specie di flash, al quale seguì una
successione di ricordi: durante gli ultimi giorni le era capitato
spesso di perdere qualcosa o trovare oggetti di lavoro distanti dal
luogo in cui li aveva riposti. E ricordava anche di essersi incazzata
di brutto: nessuno doveva osare metter mano al suo personale e
compulsivo concetto di ordine.
“Mi sa che
dovrò organizzare una rappresaglia ai danni di quelle
pesti” pensò. “Trovare il colpevole
e farlo pentire di essere nato. Solo io posso spostare le cose
qui!”
Era talmente assorta dalle proprie invettive personali da non rendersi
conto che le luci del corridoio avessero iniziato a spegnersi, una alla
volta, né che Miss Collins si fosse allontanata,
insospettita da uno strano rumore.
Poi, un urlo femminile la fece sobbalzare, portandola a rovesciarsi
buona parte del caffè bollente dentro l’ampia
scollatura.
ATTO
5. Corridoi, 1° piano - 12.08 pm
Miss Elizabeth Collins era sempre stata una donna mite e comprensiva,
forse un po’ troppo morbida quando si trattava di interagire
con i propri studenti.
Era solita ripetere spesso quanto il suo nome richiamasse un tremendo What If? del
romanzo Orgoglio e
Pregiudizio, e altrettanto spesso le capitava di affermare
di essere facilmente influenzabile dai film horror che di tanto in
tanto era costretta a vedere con Katrina Knoxville.
Ecco perché quel giorno, non appena udì un rumore
sospetto provenire dal laboratorio di scienze, che, in quel momento,
sapeva essere vuoto, attraversò il corridoio con una certa
titubanza, affacciandosi cautamente alla soglia.
L’aula era effettivamente vuota, eppure c’era
qualcosa di insolito nella disposizione di banchi e strumenti. Perfino
la posa dello scheletro finto che stanziava dietro alla cattedra era
cambiata: teneva un braccio sollevato e la parte anteriore del teschio
rivolta verso di lei; sembrava quasi la stesse salutando.
Leggermente inquietata, Miss Collins fece un passo indietro, nello
stesso istante in cui i neon appesi al soffitto cominciarono a
spegnersi, uno dopo l’altro.
E fu allora che la vide, nella parte buia dell’androne avanti
a sé: una ragazza pallida, con i capelli castani tagliati
sopra le spalle e gli occhi azzurri cerchiati dalle occhiaie, la stava
fissando, immobile, le braccia distese lungo i fianchi.
La professoressa aggrottò la fronte, confusa e irrequieta,
serrò la mano attorno alla tracolla della propria borsa e
domandò con fare esitante: - Hai bisogno
d’aiuto?
Non ricordava di aver mai visto quella ragazza prima di allora. E il
fatto che fosse così ben visibile
nell’oscurità, quasi fosse avvolta da una tenue
luce lattiginosa, non la rendeva affatto
rassicurante.
Prima che la donna potesse aggiungere altro, la strana figura tese le
braccia in avanti, per poi sollevare le mani in modo da avere i palmi
in bella vista, all’altezza del viso di porcellana. Dal
nulla, due lunghi squarci si aprirono sui suoi polsi, la carne
straziata da lame invisibili. Sangue scuro e denso colò
lungo la pelle, formando presto un’ampia pozza sul pavimento,
che si allargava sempre di più.
Fu allora che Elizabeth Collins lanciò un grido di terrore.
Udì a malapena la pesante sequela di imprecazioni lanciate
da Katrina, che era rimasta accanto alla macchinetta delle bevande, poi
i neon esplosero, facendo precipitare l’intero piano in una
cupa oscurità.
Si levò un vociare terrorizzato dalle aule circostanti,
mentre, all’interno del bagno dei maschi, Ariel, Seb e Peter
cercavano di far luce con lo schermo dei telefoni, fiondandosi
all’esterno e venendo ripetutamente colpiti da rotoli di
carta igienica volanti, dallo sturalavandini e dalla Settimana
Enigmistica di KK.
All’interno delle classi, fogli e quaderni schizzavano da
tutte le parti, mentre le finestre venivano oscurate dalle tende che si
serravano da sole.
Gli insegnanti tentarono invano di mantenere l’ordine, ma
furono presto contagiati dal panico generale, come se una forza
misteriosa agisse sulle loro capacità di autocontrollo.
La professoressa Collins si raggomitolò contro il muro,
singhiozzando, mentre gli studenti si riversavano nel corridoio come
una mandria di bisonti impazziti. Sarebbe certamente stata investita se
qualcuno, individuandola non si sa come, non le avesse fatto da scudo,
proteggendola con il proprio corpo alto e
imponente.
Il caos durò esattamente un minuto, poi, le luci si
riaccesero di colpo, rivelando che i neon, a differenza di quanto era
parso poco prima, erano intatti.
- Prof, sta bene?
L’insegnante di letteratura alzò lo sguardo sul
proprio salvatore, riconoscendo in lui uno degli studenti e atleti del
quarto anno: - Robinson… oh, cielo, non fosse stato per
te…
- Si può sapere che cazzo è successo qui?
– tuonò Katrina Knoxville alle spalle della
bionda, osservando furiosa il disastro di fogli e oggetti sparsi sul
pavimento. – Mi sono pure ustionata le tette! Ehi, Tacco
Cinque, si può sapere che ti è preso? Pare tu
abbia visto un fantasma!
Miss Collins gemette, strabuzzando gli occhi: - Era
lì… quella ragazza… era davanti a
me… e poi i suoi polsi…
- Quale ragazza? – domandò Thomas Robinson,
aiutando l’insegnante a rialzarsi. –
Com’era fatta? Aspetti, si sieda qui… ehi,
Carlyle, potresti portare una bottiglietta d’acqua alla prof?
Johanna, a differenza degli altri studenti, era rimasta
all’interno della propria aula, nascondendosi
nell’armadio di metallo che conteneva una vasta riserva di
album da disegno. Minuta com’era, se si fosse unita alla
calca avrebbe rischiato di venir travolta e
calpestata.
In quel momento, sbirciava la scena affacciandosi dalla soglia della
classe e, appena il ragazzo più grande si rivolse a lei,
restò un attimo interdetta, per poi affrettarsi ad annuire,
afferrare la chiavetta che Robinson le stava porgendo e correre al
distributore più vicino.
Mentre digitava il codice di una bottiglietta da mezzo litro di
minerale, fece cadere lo sguardo sul vetro che proteggeva
l’interno del macchinario, abbozzando un sorriso non appena
vide, oltre al proprio riflesso, il volto di Isaak.
- Stai bene, Jo?
La quindicenne annuì, chinandosi per aprire lo sportello e
prendere l’acqua per Miss Collins: - Sì, ora
sì. Ma è stato terrificante. Secondo te cosa
può essere successo?
- Non ne ho idea – replicò il diciottenne.
– Ero al piano di sotto, ho sentito le urla e poi ho visto
gli studenti che scendevano le scale terrorizzati. Mi sono preoccupato
per te.
- Miss Collins dice di aver visto un fantasma –
spiegò la minore, tornando indietro assieme al fratello.
– Il fantasma di una ragazza.
Isaak aggrottò la fronte con aria sorpresa: - Sul
serio?
- Già… poi le luci si sono spente e i fogli hanno
iniziato a volare per l’aula. Non avevo idea di cosa stesse
accadendo… ah, ecco, l’acqua e la chiavetta,
Robinson.
- Grazie.
Il ragazzo dai capelli scuri stappò la bottiglietta con un
singolo movimento della mano, per poi porgerla alla donna bionda che,
ancora in stato di shock, bevette qualche sorso, lo sguardo perso nel
vuoto.
Nel mentre, Katrina continuava a sbraitare e inveire, lamentandosi per
il disordine e maledicendo fantasmi, spiriti e ogni creatura del
paranormale.
- Roba da pazzi! Un fottuto fantasma nella scuola! Ecco chi rubava e
spostava le mie cose! Cazzo, se lo piglio gli ficco la testa nel culo,
poi lo appallottolo e lo infilo nell’aspirapolvere!
Io… io…
- Signora…
Katrina si voltò, fulminando con lo sguardo il ragazzo dai
capelli scuri che aveva appena attirato la sua
attenzione.
- Che vuoi?
Anche Jo e Thomas si voltarono verso il ragazzo che aveva parlato:
aveva dei lineamenti piuttosto gradevoli e l’atteggiamento
tipico di una persona estremamente timida.
- Io… ecco, ho sentito che stava parlando di un fantasma
e… forse potrei aiutarvi.
- Ah sì? – replicò secca la bidella.
– E in che modo?
- Beh… vedete, mio padre è un cacciatore di
fantasmi… se volete posso darvi il suo numero
e…
- Un cacciatore di fantasmi? E perché non l’hai
detto subito?
La formosa quarantatreenne estrasse dalla tasca dei pantaloni il
proprio cellulare, facendosi dettare il numero.
- Come ti chiami, moccioso? – domandò, avviando la
chiamata.
Il giovanotto arrossì fino alle orecchie: - Jim, signora.
Jim D’Ettore.
- Sei probabilmente il primo qui a chiamarmi signora e… oh,
ha già risposto, pronto!
Una voce maschile e squillante, che sottintendeva una
personalità eccentrica, echeggiò tramite il
vivavoce dell’apparecchio telefonico.
- Chiunque Lei sia, spero vivamente si tratti di
un’emergenza! Per rispondere alla Sua chiamata ho fatto un
segnaccio con l’eye-liner e adesso sembra che uno
scimpanzé mi abbia lanciato una merda in faccia prendendomi
solo di striscio!
- Meglio di striscio che in pieno – grugnì
Katrina. – Comunque chiamo dalla Liberty High, la scuola di
Suo figlio. Abbiamo un problema con un fantasma.
- E perché non l’ha detto subito? –
esclamò l’Acchiappafantasmi. – Tempo di
vestirmi, prendere l’attrezzatura e sarò subito da
voi! Non si preoccupi, signora estremamente sgarbata e antipatica:
nessuno spirito è al sicuro, quando Cherry Boombastic entra
in azione!
- Thirteen Direful
Secrets -
***
Angolo
dell’autrice: Ecco qua il primo capitolo della
storia!
Qui ci troviamo finalmente nel pieno degli eventi, ambientati otto anni
dopo il prologo. Chi ha letto IT, saprà a cosa mi riferisco
quando dico che non è una coincidenza se praticamente tutti
i personaggi della serie sono tornati in città e
hanno iscritto i loro figli alla Liberty High. Non preoccupatevi
comunque che ogni cosa verrà spiegata opportunamente.
Eeee abbiamo avuto la prima apparizione di Hannah. Che sia veramente il
suo fantasma, ancora inquieto dopo venticinque anni? Cosa vuole? Cosa
c'è sotto a tutta questa storia?
Direi intanto di fare uno schema della situazione:
- I personaggi appartenenti
ad altre autrici sono: Jo Carlyle,
Katrina
Knoxville, “Anonima”,
Tommy
Robinson, Jim
D’Ettore e Cherry
Boombastic.
Tutti gli altri sono stati inventati da me.
- Sono figli
di almeno un personaggio della serie: Will, Mike e Pete, Giselle, Johnny, Josh
(che abbiamo conosciuto da bambino nel prologo), Jay, Rory, Ariel, Sebastian, Angie, Viola e Ethan. Naturalmente,
Will, Viola e Ethan sono figli adottivi.
Alcuni sono facilmente collegabili per via dei cognomi, ma sappiate
anche che c’è chi ha preso il cognome dalla madre
oppure entrambi i cognomi dei genitori, quindi alcune parentele
“ignote” verranno rivelate durante il corso della
storia.
Come si sarà capito, Jayden è genderfluid,
biologicamente maschio, con preferenza di identificazione nel genere
femminile (anche per questo ha una pv donna). La lingua italiana
purtroppo non possiede il genere neutro, quindi mi arrangerò
come possibile durante i capitoli in cui non si è sicuri di
come si senta quel giorno, nel caso Rory Atkins non sia nei paraggi.
E a proposito di Rory, se qualcuno avesse uno spaesamento riguardo il
cognome Atkins, ricordo che ho spiegato la situazione nelle note del
prologo per ogni evenienza.
- A proposito del doppio cognome, spiego brevemente anche una parentela
particolare all’interno della scuola: come si è
capito, Ariel e Rory sono cugine.
Bene.
Tra gli OC “del passato” ho una famiglia
italo-americana, i Barry-Giordano, composta da padre americano, madre
italiana e quattro figlie. Le due più giovani sono Marina
(apparsa nel prologo) e Luna, la psicologa scolastica.
Accenno a questa cosa perché tornerà utile
all’interno della storia (so che al momento pare tutto
confusionario, ma fidatevi di me, ogni cosa a suo tempo).
- Anche se sono passati 25 anni dagli eventi della serie, non mi
immagino un mondo futuristico iper-tecnologico, certo, ci saranno
tecnologie migliori, ma non volevo buttarmi troppo sul fantascientifico
(auto volanti, cellulari strani, sistemi informatici avanzatissimi),
primo perchè non sono esperta nel settore, secondo
perchè preferisco concentrarmi sulle dinamiche tra i
personaggi e i risvolti paranormali della storia. Vedremo
però tecnologia avanzata nell'equipaggiamento di Cherry
Boombastic e in qualche altra occasione.
La mentalità della gente è un pochino migliorata,
ma comunque alcuni problemi all'interno della società sono
rimasti.
- L'articolo "Sogni e Incubi" di Anonima è ispirato alla tesina di maturità fatta da una amica parecchi anni or sono.
- Già che ci sono, vi scrivo età e pv dei
personaggi, per chi volesse (siete comunque liberi di immaginarli come
volete, alla fine i pv sono solo linee guida):
- Jo Carlyle (15): King Princess
- Jim D’Ettore (16): Joseph Gordon-Lewitt
- Anonima (18): Crystal Reed
- Tommy Robinson (19): Adam Driver
- Katrina Knoxville (43): Kat Dennings
(Cherry si vedrà nel prossimo capitolo e di conseguenza
nelle prossime note)
- Will Padilla (19): Nick Robinson
- Mike e Pete Standall (17): Keiynan Lonsdale
- Ariel (16): Willa Holland
- Seb (16): Federico Cesari
- Gil Foley (17): Alycia Debnam-Carey
- Rory Atkins (17): India Eisley
- Johnny Dempsey (18): Booboo Stewart
- Josh Walker (18): Cody Christian
- Jay Barkins (17): Valorie Curry
- Viola Shaver-Mikaelson (18): Lili Reinhart
- Angie Murray (16): Kiersey Clemons
- Prof Collins (35): Beth Berhs
- Ringrazio "rhys89" e "Freeshane" che hanno inserito la storia tra Seguite e ringrazio sempre Freeshane per aver recensito lo scorso capitolo.
Bene, per il momento è tutto, spero che i chiarimenti al
momento bastino.
Vi anticipo che nel prossimo capitolo appariranno anche alcune nostre
vecchie conoscenze, ossia gli ex studenti della Liberty High.
Avviso anche che non penso sarò veloce ad aggiornare
perché questo mese andrò un po’ in giro
e non avrò sempre pc e Wi-fi a portata di mano.
Alla prossima!
Tinkerbell92
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