Sunburn

di BlackInkVelvet
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 0 ***
Capitolo 2: *** I ***
Capitolo 3: *** II ***
Capitolo 4: *** III ***



Capitolo 1
*** 0 ***



Il pianto del bambino ancora gli rimbombava nelle orecchie, stordendolo più di quanto già  non fosse. La mano di Gine stringeva la sua, e in un riflesso istintivo, ma senza alcun trasporto, la strinse delicatamente a sua volta. Sentiva gli occhi della moglie, sfinita e sudata, puntati sulla sua guancia, la mente annebbiata dal dolore. I medici si stavano affannando su di un tavolino lì vicino, attrezzandosi con strani attrezzi  metallici, il cui clangore era tuttavia coperto dagli alti vagiti del neonato. Bastò una leggera pressione della mano di Gine sulla sua guancia per farlo abbassare, piegandosi in avanti per incontrare il volto della moglie. Lei sorrideva, con gli occhi ludici, mentre gli accarezzava dolcemente il volto, in attesa di una sua frase, di una parola, di un bacio. Ma Bardack non riusciva a staccare gli occhi dalle schiene dei medici, fremendo per l'attesa. I vagiti si affievolirono leggermente, e la testa canuta del dottore finalmente si girò nella sua direzione, stringendo fra le braccia un gomitolo di coperte.
- è un maschio. - Disse stancamente, ma con un ampio sorriso sul volto. Sorriso che ben presto contagiò il volto serio del sayan, facendolo rilassare. Il neonato fu posto fra le braccia di Gine, che si sistemò meglio sul cuscino, accogliendo delicatamente il nuovo arrivato. Il giovane padre si sporse, cingendo con un braccio le spalle esili della moglie, osservando incuriosito il suo primogenito. Aveva una massa di capelli non indifferente, il volto arrossato e pieno di rughe, il collo talmente debole da non reggere l'enorme peso della testa. Ne osservò le mani, talmente piccole da non riuscire nemmeno a stringere il suo dito indice, chiuse a pugno.
Quello era suo figlio. Suo figlio.
- Sei stata bravissima - sussurrò Bardack sfiorando la fronte della donna con le labbra. Lei chiuse gli occhi, reclinando leggermente la testa verso il collo taurino del marito. Sospirò delicatamente, prima di riportare l'attenzione sul bambino.
- Ha un sacco di capelli.
- Già. Segno che sarà un guastafeste.
- Allora sarà come il padre - rispose prontamente Gine, suscitando ilarità nella sala. Bardack arricciò il naso, abbassando nuovamente lo sguardo sul figlio. Poi, con delicatezza e anche un po' di paura, allungò una mano, arrivando a sfiorare con un dito il volto del neonato. La sua pelle era straordinariamente liscia, le guance morbide e cedevoli alla minima pressione. Un esserino così delicato, nelle mani di un bruto come lui? Non potè fare a meno di pensare che schiacciare la testa del ragazzino sarebbe stato facile come rompere un uovo, e lui non possedeva certo la delicatezza necessaria per evitare di fargli del male anche solo sbadigliando nelle sue vicinanze. Iniziò a sudare freddo al solo pensiero.
- ... ehi, Bardack. Bardack! - la voce profonda del medico, che sembrava provenire da un angolo remoto della sua mente, lo riscosse, causando un'occhiata perplessa da parte di Gine, ignara dei macabri pensieri del compagno.
- Eh? Cosa? - Rispose lui con voce strozzata, togliendo repentinamente la mano dal volto del neonato. Il medico sbuffò, scuotendo la testa.
- Ho detto, come vuoi chiamare tuo figlio? - ripetè spazientito, mentre un'infermiera attendeva accanto a lui con una pila di fogli stretta in mano, pronta a segnare tutto. Gine sobbalzò, picchiettando la spalla di Bardack.
- Chiamiamolo come tuo padre! - disse con la sua voce sottile, squillante. Il Sayan storse la bocca.
- Non voglio dare al mio vecchio questa soddisfazione. - mugolò grattandosi la nuca. Gine aggrottò le sopracciglia.
- Pensavo fossimo d'accordo! - esclamò con voce talmente alta da causare il pianto nel neonato. Rabbrividendo, i neo-genitori tentarono di correre ai ripari, chi cullando maldestramente il bambino, chi impartendo con voce incerta l'ordine di fare silenzio. Bardack sospirò, un sopracciglio inarcato.
- Beh, sembra un rompiballe proprio come il mio vecchio. E sia. Dottore - disse girandosi verso il medico, drizzando la schiena e grattandosi la punta del naso con un pollice, nascondendo un sorrisetto. - lo chiameremo Radish. 

Passeggiava senza una meta precisa, allontanato dalle infermiere subito dopo il breve dialogo con il dottore, per far riposare Gine. Radish era stato portato via, verso la nursery, in modo che potessero fare tutti gli esami necessari; fra questi, il più importante era sicuramente la misurazione del livello combattivo. Bardack si sentiva esausto, stordito, prosciugato di qualunque emozione, ancora incapace di accettare il fatto che ora fosse padre. Sarebbe dovuto tornare a casa, a farsi una doccia e preparare l'abitazione per un neonato. Entrambi i genitori erano terribilmente disordinati, chi eternamente impegnato in missione, chi al lavoro in mensa. Nessuno dei due, nemmeno durante la gravidanza, aveva soggiornato per più di qualche giornata nell'umile appartamento. Grugnì, non particolarmente eccitato all'idea di doversi dare alle pulizie di primavera - mancavano totalmente i soldi per chiamare qualcuno a fare il lavoro al posto suo, ma sapeva bene che al momento sua moglie non poteva fare molto per la casa. Compreso il cucinare. Questo pensiero gli causò un secondo grugnito, ancora più alto del precedente, spingendolo ad incamminarsi verso l'uscita per fumarsi una sigaretta. Il dedalo di corridoi del reparto di ostetricia erano stranamente silenziosi. La nursery era sulla strada; tanto valeva dare un'ultima occhiata al marmocchio prima di andarsene a casa. Era piena notte, e non vi erano altri padri solitari come lui a popolare l'ospedale. Non che morisse dalla voglia di incontrare altre persone, sia chiaro. Tutto ciò che voleva era soltanto andare a casa, scolarsi una birra e prepararsi alla prossima missione, e già quelle cose gli sarebbero state negate per le prossime settimane. Diede un'occhiata al vetro della sala dove erano disposte le culle con i neonati, senza fermarsi. Tentò di aguzzare lo sguardo, cercando di individuare l'eccezionale chioma che contraddistingueva suo figlio, ma di lui nemmeno l'ombra. Il suo piede trovò improvvisamente un ostacolo, e il saiyan si fermò, sorpreso. Abbassò lo sguardo sull'oggetto appena calciato, interrompendo la sua camminata. Non era un oggetto.
Era una persona.
Se ne stava seduta contro il muro del corridoio, sotto il vetro della nursery. Aveva le ginocchia piegate contro il petto, e la testa, ricoperta da una folta e lunga chioma castana, giaceva immobile riversa sul petto. L'unico segno di vita erano le mani, che si contrassero leggermente. Non reagì in alcun modo all'inavvertito calcio che Bardack le aveva tirato, rimanendo perfettamente immobile. Il saiyan sbattè le palpebre, perplesso, le mani infilate nelle tasche della battle suit, alla ricerca del suo pacchetto di sigarette. Si osservò attorno, in cerca di qualcuno, nell'inquietante silenzio dell'ospedale, senza trovare anima viva. Riportò lo sguardo su quella figura, deducendone dall'odore degli ormoni che fosse una donna.
- Hey - disse in attesa di una risposta, incerto sul da farsi. Che diavolo ci faceva lì, seduta per terra? La donna rimase immobile. Senza alcun tentennamento, Bardack allungò nuovamente il piede in avanti, punzecchiando la coscia della sconosciuta. Sentì distintamente tirare su col naso, mentre la figura si appallottolava ulteriormente su se stessa.
- Cosa vuoi? - una voce femminile, rotta dal pianto. Bardack rimase immobile, osservando le mani tremare vistosamente.
- Per colpa tua sono inciampato. Dovresti chiedermi scusa. O rialzarti, quello sarebbe già tanto. - disse senza guardarla, concentrato soltanto sul pacchetto finalmente rinvenuto, estraendo una sigaretta dall'astuccio e portandola fra i denti.
- Va' al diavolo. - rispose prontamente la donna, girando la testa nella direzione opposta a quella dove era in piedi il saiyan, negandogli la vista del volto. Bardack sbuffò, spazientito. Non era nella sua natura essere gentile; ma si era fermato, le aveva parlato, e per tutta risposta veniva mandato affanculo in quel modo?
Un oggetto, spigoloso ma leggero, colpì la testa della donna. Lei alzò lo sguardo, il volto emaciato rigato di lacrime, ma del saiyan non ve n'era l'ombra. A terra, un pacchetto di sigarette, contrassegnate da una striscia blu, che non le appartenevano. Osservò il corridoio, notando la schiena muscolosa di un guerriero allontanarsi verso l'uscita.
- Fumatele. Vedrai che starai meglio. - borbottò a voce abbastanza alta da farsi sentire dalla donna, senza preoccuparsi di accennare un saluto, sparendo in fretta dietro la porta.

Sei mesi dopo

L'odore di sudore e alcol impregnava le pareti asettiche del locale, non aiutato da una cappa di fumo che rendeva l'ambiente ancora più opprimente.
Toma, una sigaretta spezzata fra le labbra, osservava Bardack in cagnesco. Panbukin e Toteppo erano rilassati sugli schienali delle loro sedie, interessati allo scontro che si stava consumando di fronte a loro. Seripa, al contrario, sembrava annoiatissima.
- Doppia coppia! - Esclamò Toma abbassando con veemenza le carte sul tavolino, mostrando due coppie di carte identiche. Bardack rimase perfettamente immobile per qualche secondo, prima di iniziare a ridere con fare malvagio.
- Scala di colore, stronzo! - esclamò spalmando le cinque carte che teneva in mano sul tavolo, accanto ai numerosi boccali di birra vuoti. Toma biascicò qualcosa ad alta voce, protestando visibilmente alterato, ignorato dall'amico che saltò in piedi sulla sedia, accucciandosi solo per poterlo osservare da una posizione elevata, trionfante.  I loro bisticci vennero prontamente zittiti da un'inviperita Seripa.
- Insomma! La volete piantare di fare tutto questo baccano?
- Zitta donna! Mi sto prendendo lo stipendo del tuo uomo - esclamò con voce strozzata Bardack, ancora appollaiato sulla sedia, allungando le mani su un mucchietto di banconote al centro del tavolo. Tuttavia, nel momento in cui le sue dita sfiorarono i soldi, un coltello da carne si piantò a pochi millimetri dalla sua mano. Alzò lo sguardo su Seripa, allibito, prima di notare un dettaglio che non aveva minimamente calcolato. Se con una mano la donna impugnava il coltello con il quale gli aveva quasi aperto una stigmate, con l'altra teneva stretto un ventaglio di carte.
- Gioco anche io, te lo sei dimenticato? 
- No... - sussurrò lui, con Toma che gli era velocemente arrivato alle spalle, appoggiandosi alla schiena dell'amico nel tentativo di dargli supporto morale. Lo sguardo trionfante di Seripa si incattivì notevolmente.
- NO... Seripa... - la Saiyan si ricompose, dando l'impressione di essersi calmata. Impressione che ben presto demolì, esattamente come il tavolino nel momento in cui vi abbattè il pugno.
Scala reale! - Urlò con gli occhi in fiamme, scatenando da una parte le urla trionfanti di Panbukin e Toteppo, dall'altra una crisi isterica a Bardack e Toma, che avevano appena visto le loro buste paga volarsene nelle tasche della compagna. - Fottetevi tutti - continuò lei con un ghigno, arraffando il mucchio di zeni posto al centro del tavolo e trascinandolo verso di lei.
- Non è giusto che tu ti prenda anche i miei soldi! - si lamentò Toma, passandosi una mano sugli occhi e facendo qualche passo indietro, le mani fra i capelli.
- Questo è il gioco, tesoro. Alla prossima mano mi prendo anche casa tua. 
- Tu abiti con me! - gli ricordò lui con uno sbuffo, spazientito e ancora abbastanza lucido da rispondere alle assurdità della fidanzata, decisamente troppo alticcia. Bardack appoggiò  una mano su una spalla di Toma, dopo essere quasi caduto dalla sedia per lo slancio, posizionandosi con le gambe ben piantate a terra accanto all'altissimo saiyan.
- Donna, potrai anche prenderti i nostri soldi, le nostre case, anche i nostri figli quando ne avremo. Ma non avrai mai la nostra-
- Tu non avevi già un figlio? - chiese lei interrompendolo, alzando un sopracciglio e chiedendosi se l'amico fosse così brillo da dimenticarsi un dettaglio simile.
- ... Ah cazzo vero. - mugolò Bardack grattandosi il naso, pensando già alla reazione di Gine nello scoprire di come avesse perso il figlio a poker. Un improvviso parlottio catturò la loro attenzione. Panbukin sembrava star discutendo animatamente con Toteppo, alzando progressivamente la voce.
- Ti ho detto di no! - sbraitò il più basso, abbattendo un pugno sul tavolino. Toteppo ringhiò, un pezzo di formaggio stretto fra i denti.
- E invece è così! Ovvio che stia puntando me! Chi vorrebbe un antipasto come te quando si può avere un pranzo di matrimonio come me! - sbeffeggiò lui di rimando, ingoiando il formaggio.
Oi oi, di che diamine state parlando? - chiese Toma, stranito da quella reazione violenta da parte del silenzioso Toteppo. Panbukin si girò, imbestialito.
- C'è una pollastra che mi sta spogliando con gli occhi da almeno un'ora, e questo bastardo insiste che stia guardando lui! - gridò puntando il collega con la mano tremante per la rabbia.
- Esistono donne così disperate? - chiese Seripa ridendo, bellamente ignorata dai due litiganti.
- Basso come sei non ti ha visto nemmeno sbucare dal tavolino! - ringhiò il gigante afferrandolo per la battle suit.
- COME OSIIII -  urlò con gli occhi fuori dalle orbite, colpendolo con violenza al volto. Toteppo ruggì, scagliandolo sul tavolino, rovesciandolo. Toma e Bardack corsero a dividerli, ma sembravano appiccicati con la colla. Schiaffi, pugni, sputi e calci volarono fra i due, e sempre più persone erano accorse nel tentativo di fermarli. Questo, almeno, fino al momento in cui Toteppo, non troppo lucido, colpì per sbaglio una saiyan in piena faccia, accorsa a vedere cosa stesse succedendo. Un rivolo di sangue scese dal naso, rotto.
- Come osi colpire la mia donna! - sbraitò un guerriero con gli occhi in fiamme, gettandosi addosso a Toteppo, seguito con un urlo di guerra dalla donna stessa. In pochi secondi, una scazzottata fra ubriachi si era trasformata in una rissa violenta, con un tripudio di tavolini rotti, macchie di sangue sul pavimento e cibo che volava. Le urla da aquila del proprietario del bar si perdevano nella matassa di corpi e testosterone che occupava il piccolo locale.
Bardack si era lanciato in difesa di Panbukin, usato come sgabello da un saiyan ancora più pesante di lui. Calciò via l'avversario, afferrando l'amico per la collottola.
- Bardack, grazie... - bonfonchiò lui, la bocca gonfia per un pugno ben assestato.
- Grazie un corno.
- Uh? - chiese lui, inquietato dallo sguardo di fuoco del collega.
- Torna lì e difendi il tuo onore dannato grassone! - sbraitò lui spingendolo con un calcio ben assestato nel didietro, rispendendolo in mezzo alla mischia.
Quindi, Bardack sei tu.

Una voce sconosciuta gli era giunta alle orecchie. Si girò repentino, pronto a colpire, ma si fermò nell'istante in cui mise a fuoco il volto del nuovo interlocutore.
Era una donna che finora non aveva mai visto. Il suo abbigliamento vistoso, composto da un mantello nero drappeggiato su di una spalla e una preziosa stoffa rossa legata attorno alla vita, faceva intuire la sua provenienza lontana, così come i numerosi orecchini che le decoravano le orecchie. Aveva una pelle diafana, e lunghissimi capelli castani stranamente lisci. I suoi occhi, leggermente più chiari rispetto ai capelli, erano truccati con una lunga linea nera a punta che li rendeva enormi, creando un effetto spiacevole per un uomo abituato a bellezze meno stravaganti.
- E tu chi saresti? - chiese lui ergendosi in tutta la sua altezza, con un cumulo di corpi rissosi come sfondo alla scena. La donna non sembrò scomporsi, come se attorno a lei non stesse avvenendo una carneficina.
- Devo parlarti. Potresti seguirmi in un luogo meno affollato? - si limitò a rispondere lei, accennando con la testa all'uscita. Bardack osservò la porta, girandosi poi dietro di lui per vedere come stesse andando la situazione. Seripa stava strangolando un saiyan gracilino con estrema facilità, e questo gli bastò.
- Benissimo. - disse fiducioso verso i suoi compagni, seguendo non troppo convinto la misteriosa sconosciuta. Nel momento in cui varcarono la soglia, tutti i rumori del bar si attutirono. La pioggia, che cadeva copiosa, copriva il suono di urla e oggetti rotti provenienti dal locale.
- Qui va molto meglio. - si limitò a dire lei, sistemando il grosso colletto del mantello. Bardack l'osservò in silenzio, notando soltanto allora una piccola sfera dorata attaccata sotto il labbro inferiore della donna. Incuriosito da quello strano gioiello, l'osservò sbattendo le palpebre. Non aveva mai visto una cosa simile prima di allora. Lei abbassò lo sguardo, voltandosi verso di lui. Si avvicinò di qualche passo, rivelando stivali riccamente decorati ad ogni movimento del mantello, per poi appoggiare una mano sul petto, protetto da una battle suit perfettamente liscia, senza alcuna scanalatura.
- Il mio nome è Endive. E ti stavo cercando da un bel po'. - Disse
- Da un bel po'? Se non è per darmi dei soldi puoi anche incamminarti adesso. - rispose seccamente lui, traballando leggermente a causa della sbornia. Lei cercò qualcosa in una tasca interna del mantello, cavando fuori un piccolo astuccio.
- Rimarresti così shoccato se ti dicessi che invece è proprio così? - si limitò a rispondere lei aprendo l'astuccio e cavandone fuori una sigaretta, per poi offrirne una all'uomo. Bardack allungò una mano, senza pensarci troppo, ma presto un odore familiare stuzzicò il suo naso sensibile. Prese la sigaretta, rigirandosela fra le dita. Eccolo lì, poco sopra il filtro, il marchio stampato in caratteri argentei.
- Pensavo di essere l'unico a fumarsi le sigarette di Na'Varr – disse accettando l'accendino allungato da Endive, bruciando il tabacco dal sapore acre. Lei allargò un sorrisetto, una densa nube di fumo che uscì dalle sue labbra.
- In realtà, no. Sono in debito di un pacchetto. - rispose, suscitando la perplessità di Bardack. La squadrò attentamente, gli occhi più vispi ora che i fumi dell'alcol stavano svanendo. Il suo abbigliamento era decisamente opulento ed eccentrico per un saiyan – così come i suoi tratti somatici. Le donne della sua zona avevano tratti più morbidi, ed erano decisamente più basse. Endive sembrava torreggiare sulle altre, ed era truccata: qualcosa che le normali Saiyan disprezzavano, ritenendolo uno spreco di tempo e fatica. Pertanto, era più che sicuro di non aver mai incontrato quella tizia prima d'ora.
- In debito di che? Non mi sembra di averti mai vista. - Endive si prese il tempo di tirare una seconda boccata di fumo, guardando dritta davanti a sé il paesaggio fatiscente di quella parte di città, alla quale sembrava così estranea e fuori luogo.
- Sei mesi fa, alla nursery della Med Bay. - Bardack sbattè le palpebre, sforzandosi di ricordare. Tranne che per lo staff, l'unica altra persona che aveva visto era…
- … Quella per terra? Eri tu? - chiese stentando a credere che una donna elegante come quella potesse passare il tempo sdraiata sul pavimento di uno sporco ospedale. Lei annuì, lo sguardo perso nella pioggia battente.
- Nessuno a parte te si è premurato di vedere come stavo. E dalle mie parti, i debiti per quanto piccoli vanno sempre ripagati. Per questo – disse cambiando radicalmente tono, diventando più squillante. - ho deciso di renderti il favore. É stata una fatica rintracciare il tuo nome.
- Sei riuscita a rintracciare il mio nome? Ma come diavolo... Non sapevi nemmeno come ero fatto di viso!  – Lei lo interruppe con un gesto secco, appoggiandosi al muro con fare rilassato.
- Mai sentito parlare di Ricognitori?

Le sopracciglia di Bardack si contrassero, così come la sua mandibola.
Ricognitori.
Unità speciali di spionaggio, al servizio diretto del Re. Invischiati in troppi affari sporchi per i suoi gusti.
- Cosa ci fa un Sorcio da Infiltrazione come te in un posto simile? - disse lui, improvvisamente non più tanto a suo agio, utilizzando il termine con il quale i Ricognitori venivano volgarmente chiamati fra le truppe. Non era raro che un Ricognitore venisse assegnato ad una squadra in missioni cruciali o su pianeti di grande importanza, ma era difficile trovarli a spasso per bettole come quelle che la compagnia di Bardack frequentava.
Endive non si scompose minimamente nel sentire quell'appellativo tanto denigrante, decisa nel continuare il suo discorso.
- Te l'ho detto. Stavo cercando te. Ho un affare da proporti. - Bardack, sebbene titubante, drizzò le orecchie. - Ho questa missione fra le mani, ma ho bisogno di una squadra su cui fare affidamento. Una squadra che mi può assicurare alte performance.
- E avresti scelto la mia per…?
- In primis, per restituirti un favore. - disse sbrigativamente, ma senza dar cenno di star perdendo la pazienza. -  Secondo, quando sono andata a chiedere per una squadra mi hanno indirizzata a te. Non mi resta molto da fare ma fidarmi di quello che mi viene detto, non trovi?
- E in cosa consiste questa missione? - chiese lui cercando di tastare il terreno.
- Non puoi saperlo se prima non accetti. è la mia unica condizione. - Bardack bloccò la mano a mezz'aria, la cenere si staccò dalla sigaretta. L'osservò confuso, cercando su quel volto calmo un segno di sarcasmo, o ironia. O anche di estrema stupidità.
- Eh? Come sarebbe a dire, dovrei accettare un incarico a scatola chiusa? Non esiste. - Sbraitò lui gettando a terra il mozzicone, spegnendolo con un gesto deciso del piede. - Se mi hai preso per scemo, ti hanno riferito male. Và a cercare qualche altro coglione da abbindolare. - disse dandole la schiena, pronto a buttarsi nuovamente nel locale per tirare via i suoi colleghi per i capelli.
- E se ti dicessi che la paga e il livello della missione sono entrambi così alti da sistemarti a vita… questo lo prenderesti in considerazione? -  Il Saiyan si immobilizzò, la mano a pochi centimetri dal pulsante d'apertura della porta.
Dal suo atteggiamento, era evidente intuire come Endive fosse abituata a negoziare, sapendo esattamente quali fossero i tasti da premere. Abbassò la mano, lasciandola cadere lungo il fianco, voltandosi lentamente verso di lei, in cerca di un bluff.
- Non ho motivo di mentirti. - disse lei come se gli avesse letto nel pensiero, - è una cifra esorbitante, che per un padre di famiglia come te significa tanto. Tuo figlio potrebbe allenarsi a corte per la fama che avrai dopo questa missione. – Bardack spalancò gli occhi. Come era possibile che sapesse di Radish, che era soltanto un nome su di un registro?  - Tua moglie non dovrebbe più servire a mensa come una schiava. Tutto ciò che devi fare è accettare, e potranno vivere tutti come dei signori.
- Come cazzo sai di Gine? - sbraitò lui mettendosi sulla difensiva, corrucciando ancora di più la sua espressione, abituato a sentire la moglie presa di mira a causa della sua umile mansione. - Dove hai preso queste informazioni? Vuoi per caso ricattarmi? - ringhiò mettendosi sulla difensiva, avvicinandosi alla donna con le mani che prudevano. Lei, d'altro canto, sembrava atarassica.
- Il termine Ricognitore forse ti è sfuggito. Se non sapessi fare il mio lavoro non sarei qui. -  scese un momento di profondo silenzio, nel quale Bardack non smise di squadrare la Ricognitrice per un solo secondo. - Nella mia posizione, non trarrei alcun vantaggio nel ricattare un terza classe come te. Preferisco convincerti con i soldi, è più nel mio stile.
Non aveva assolutamente alcuna certezza che le promesse della donna fossero fondate, e che avesse davvero questa missione stratosferica da assegnarli. Forse aveva soltanto bisogno di carne da cannone, da lanciare addosso agli avversari mentre si trastullava con... con... qualunque cosa facesse una spia.
- Ti aspetti che io accetti così su due piedi?
- Assolutamente no. - Un'ultima, pigra nuvola di fumo fuoriuscì dalle sue labbra, andando ad infrangersi contro il volto dell'uomo, il mozzicone già a terra, prontamente spento dal suo piede. Lei rialzò lo sguardo, incatenandolo con quel suo sguardo magnetico. Allargò un leggero sorriso, consapevole del suo fascino, e riprese a parlare, con voce di miele.
- Ma non ti sei stancato delle solite missioni di distruzione? Non è degradante, per Saiyan del vostro livello, venire usati come martelli da demolizione contro gente che non riesce nemmeno a difendersi? - Senza che Bardack se ne rendesse conto, quelle parole avevano catturato la sua attenzione, penetrandogli nel cervello, instillandosi nei suoi pensieri. La viscida gentilezza che gocciava da quelle frasi gli avevano bloccato gli arti e i neuroni, costringendolo ad ascoltare ed assimilare tutto ciò che Endive diceva. - Pensa, andare su un pianeta Alpha. Scontrarsi con avversari che rappresentano davvero una sfida. Venire sommersi di zeni, avere accesso ad equipaggiamento migliore, missioni migliori. I tuoi uomini accetterebbero ad occhi chiusi, ma so che tu sei un uomo più cauto di loro. - Si tolse un piccolo biglietto dalla tasca, e lo allungò verso l'uomo. - Se vuoi accettare, fammelo sapere entro tre giorni. Contattami a questo numero. - Detto questo, la donna fece un passo indietro, avanzando verso la pioggia. Come il mago che, schioccando le dita, fa riemergere lo spettatore da uno stato di ipnosi, anche il guerriero si svegliò da quella seduzione ben architettata, sbattendo le palpebre e venendo colpito con veemenza dal suono della pioggia, della quale si era totalmente dimenticato. Strinse le mani a pugno.
- Ehi! Tu..:! - urlò tentando di estorcere altre informazioni alla donna.
- Buon proseguimento di serata, Bardack. Conto di risentirti! - detto questo, dopo un leggero inchino, la donna spiccò il volo, sparendo ben presto nella fitta pioggia. Bardack rimase immobile, il biglietto ancora stretto fra le dita. Osservò titubante il numero di connessione dello scouter della donna.
La storia più assurda di quella serata non era più una donna indecisa fra Panbukin e Toteppo alla fine.







Angolo Autrice:

Benvenuti in questo… questo… questo qualcosa di indefinito.
Questa mia storia me la porto dietro da quasi dieci anni, ma non ho mai avuto lo sbattimento di scriverla. Adesso che ho più tempo libero ho deciso di tentare, cercando di riuscire a portare a termine almeno questa.
Allora, innanzitutto alcune precisazioni:

1 – la società Saiyan.
Basandomi su ciò che ho trovato su Dragon Ball Wikia, per il momento la fonte più attendibile ed approfondita allo stesso tempo, ho visto che mancano dei punti cruciali nella struttura stessa della società Saiyan. Come diamine fanno a trovare i pianeti? Ci capitano sbagliando strada? E perché demolire tutto? Non ci sono risorse artificiali di valore su sti dannati pianeti? No? Si fa tabula rasa e via?
Per dare un senso a questo nonsense, ho pensato che vi fossero delle categorie speciali di Saiyan, quelli che ho chiamato Ricognitori, che si occupano proprio di individuare i pianeti che potrebbero fruttare di più, un lavoro essenzialmente da spie. Anche perché ogni pianeta che vediamo On Air è sempre un'ammasso roccioso senza un cazzo. Seriamente. Sono quattro sassi buttati alla cazzo di cane in mezzo alla strada, e la gente pensa “Oh guarda là, sbanchiamo se vendiamo sto pianeta?” COME? COME SI FA?
Penso comunque che farò un breve documento dove renderò note le mie modifiche alla gerarchia saiyan – in realtà non ce ne sono, ma ho cercato di tappare alcuni buchi che secondo me non hanno senso di esistere.
Fra questi, la classificazione dei pianeti.
Un pianeta Aplha è un pianeta di grandissime dimensioni, ricco di risorse sia naturali che artificiali che risulterebbero decisive per l'Impero Saiyan. Ci sono poi i pianeti Beta, più piccoli e meno ricchi, fino ad arrivare ai pianeti Omega, dei sorta di buchi di culo inospitali e inutili oltre ogni previsione. Easy enough girls.

2 – Bardack
Ragazzi, con l'uscita di Dragon Ball Minus cercare di caratterizzare Bardack è diventato piacevole come farsi una Via Crucis in ginocchio sui vetri rotti. Purtroppo, mi sono ritrovata di fronte a due versioni totalmente differenti dello stesso personaggio – e tutte e due canon.
Sì, lo ripeto più forte per le signore in terza fila che sono svenute.
Sia il film “ La Nascita del Mito” che il volume speciale “Dragon Ball Minus" sono canonizzati. Toriyama ha accettato il film e lo ha reso canon, poi però ha voluto riscrivere tutto. Eeeeeee non lo so perché. Ma se ne “La Nascita del Mito” Bardack è un saiyan a tutti gli effetti, che gliene frega stocazzo della famiglia, ho gente da trucidare, in Minus è un maritino amorevole che si sposa con una talmente debole da finire a fare da cuoca in una mensa. Per carità, mi piace il personaggio di Gine, ma non capisco come uno come Bardack, che ripudia un figlio nato da una giornata perché lo considera una mammoletta debole, si ritrovi ad innamorarsi di una saiyan che è incapace di combattere. Davvero troppo in contrasto con la versione alla quale mi ero ormai abituata.
Ho cercato quindi di creare una sorta di compromesso, vacillando fra queste due visioni che abbiamo dello stesso personaggio. Ho voluto mantenere la sua parte cazzuta e anche spietata, ma voglio anche che perlomeno consideri l'esistenza dei suoi figli e della moglie, sebbene lo faccia nel modo meno delicato e burbero che conosca.

3 - Le incubatrici o test tubes
L'idea di prendere un bambino dal ventre materno e schiaffarlo in una palla di vetro per i pesci, tenendolo in soggiorno come un soprammobile mi fa rabbrividire. Quindi, in questa storia le Saiyan partoriranno con dolore, poichè non c'è nulla di meglio per affermare la propria cazzutaggine che scodellare un bimbo stringendo una baionetta fra i denti.

Fatte queste premesse, vi lascio quindi al primo vero capitolo della storia.
Per quale motivo la Ricognitrice ha avvicinato Bardack? Ha davvero una missione da assegnarli, o sotto c'è dell'altro? Bardack accetterà l'offerta, o se ne rimarrà per i fatti suoi, povero scannato e con un figlio a carico?
Questo e altro nel prossimo capitolo!
Ne approfitto per ringraziare chiunque sia arrivato a leggere fin qui, spero che la storia sia stata - e continuerà ad essere - di vostro gradimento!

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Capitolo 2
*** I ***


Capitolo 1

Capitolo 1



Un fruscio di coperte fu il primo suono che sentì, e un fascio di luce penetrò nel buio  delle palpebre serrate. Si rigirò nel letto, fuggendo la luce, arrotolandosi fra le lenzuola. Piccole mani si appoggiarono alla sua schiena nuda, e sentì chiaramente un bacio leggero sulla mandibola. Lunghi capelli gli solleticarono il volto, e un profumo familiare gli stuzzicò il naso. Aprì svogliato un occhio, mettendo a fuoco il volto delicato della moglie.
- Già sveglia? - disse sbadigliando e girandosi sulla schiena, lasciando che lei gli si accoccolasse sul petto. Gine annuì, sorridendo.
- Radish è stato buono stanotte. Ha lasciato dormire entrambi.
- Era pure ora - brontolò lui stropicciandosi gli occhi, sospirando e appoggiandole una mano sull'esile schiena, risalendo fino alla ribelle massa di capelli corvini. Lei ridacchiò, chiudendo gli occhi e assaporando quel leggero abbraccio.
- Fame?
- Puoi dirlo forte - esclamò lui saltando seduto, stiracchiando le braccia con un forte scricchiolio. Gine si avvolse in una vestaglia, sbadigliando a sua volta e alzandosi.
- Allora ci pensi tu a Radish - disse sparendo velocemente in cucina, allungando un veloce pollice in su in direzione di Bardack. Lui sbatté le palpebre, prima di realizzare di essere stato incastrato. Sbuffò, calciando via le coperte e recuperando i pantaloni, cercando nel disordine della stanza l'aderente canotta che era solito portare, insieme ai pesanti stivali striati di verde. Ciabattò, per quanto permesso dalle suole chiodate, fino al corridoio, fermandosi un secondo per annusare il delizioso odore di carne fritta provenire dalla cucina. Istintivamente fece per catapultarvisi, ma la porta della stanza di suo figlio occhieggiava severa di fronte a lui, ricordandogli d'un tratto di essere padre. Storse la bocca, tentennando qualche momento. Si girò in direzione della cucina, ascoltando Gine canticchiare. Forse, se faceva moooolto piano, poteva arrampicarsi dalla finestra del bagno, e sgattaiolare al solito bar con Toma e gli altri...  Le sue orecchie sensibili captarono un fruscio continuo nella stanza, e deboli vagiti iniziarono a rimbalzare sui muri. Respirando a pieni polmoni, Bardack si rimboccò - metaforicamente - le maniche, avventurandosi nella cameretta come se dovesse affrontare un potente nemico.

- Trovo adorabile che tu stia provando a fare il bravo papà - disse Gine con un sorriso, appoggiando un enorme vassoio di carne di fronte a Bardack. - Ma puoi sempre chiedere il mio aiuto quando non sai cosa fare.
- Mai. - disse seccamente il guerriero spalancando la bocca e addentando una succosa bistecca, mente la moglie analizzava l'esclusivo pannolino di Radish procuratogli dal marito, consistente in una vecchia maglia arrotolata attorno alle gambe e la vita, fermata con una forchetta trovata chissà dove. Gine scosse la testa, sconsolata, mentre avvicinava un cucchiaio alla boccuccia del figlio, un pezzo di pancetta fra i denti. Seguirono attimi di silenzio, interrotti soltanto dal suono di Bardack che si ingozzava di costarelle e le lamentele di Radish sulla pappa. Ma, stranamente, l'uomo smise di mangiare poco dopo, masticando con una lentezza che non era sua. La donna alzò gli occhi adoranti dal suo pupetto, osservando sorpresa il marito. Sembrava... pensieroso. E prima del caffè era una vista rara.
- ... Bardack? - La voce di Gine arrivò all'improvviso, cogliendolo di sorpresa e con una striscia di pancetta che penzolava dalla bocca. Rimase fermo a fissarla, le guance piene, cercando di raccogliere velocemente i suoi pensieri. Con uno sforzo mandò giù il grosso boccone, pancetta compresa, deglutendo e accompagnando il tutto con un generoso sorso d'acqua.
- Bardack. - riprese lei, insospettita e ancora sorpresa di quel suo atteggiamento strano. Il guerriero si passò una mano sugli occhi, sospirando. - C'è qualcosa che devi dirmi? Lo sai che puoi parlare liberamente.
Bardack aveva accuratamente evitato di parlare con Gine del suo incontro con Endive, una Ricognitrice dall'aspetto fin troppo stravagante ed opulento, che gli aveva offerto così su due piedi il lavoro della vita. Era ancora in tempo per accettare la missione, ma vi erano troppi conti che non tornavano. Gli sembrava leggermente losco quell'affare, e sapeva già cosa ne avrebbe pensato la moglie. Ma più la osservava, così piccola e snella, con il figlio paffuto fra le braccia, più si convinceva che non voleva più vederla dietro al bancone della mensa, a lavorare come... come una schiava.
Il solo aver pensato a quel termine disgustoso, sussuratogli con voce vellutata dalla Ricognitrice, lo fece sobbalzare. A cosa diavolo stava pensando?
- Mi hanno offerto un nuovo lavoro. - buttò lì, cercando di non pensare a come avesse paragonato la sua donna ad un infimo servitore. Gine allargò un sorriso, rilassandosi notevolmente.
- O beh, ottimo! Abbiamo davvero bisogno di soldi, ma con Radish non riesco a fare anche gli straordinari. Spero che la paga questa volta sia migliore! - rispose lei con tranquillità, mentre il piccolo giocherellava con una ciocca di capelli della madre. Bardack annuì, appoggiando entrambi i gomiti al tavolo, usando le dita intrecciate per sorreggere il mento.
- La paga sembra ottima. Si tratterà di una missione abbastanza lunga. Probabilmente.
- Tu e i ragazzi siete i migliori sul campo. Sono sicura che finirai con mesi di anticipo, come sempre. - disse con convinzione lei, accarezzando la foltissima chioma della sua progenie, non accortasi del leggero disagio del compagno. Lui chiuse gli occhi, inspirando. Forse, dirgli quanto pericolosa quella missione potesse essere sarebbe stato uno sbaglio. Forse era davvero meglio tenerle nascosta la verità. Gine era debole, e dalla sua debolezza derivava sempre un'eccessiva ansia nei confronti del marito, che sembrava non conoscere il significato della parola "prudenza". Ora che doveva anche badare a suo figlio, non poteva davvero permettersi di star male per lui.
Ma d'altra parte, si era innamorato di quella smilza anni fa. Avevano anche costruito una famiglia. Aveva la sua fiducia, e doveva essere messa al corrente.
- Se accettassi, mi manderebbero su un Pianeta Alpha.
Il suono cristallino di un bicchiere che s'infrangeva a terra risuonò per le pareti della casa. Radish osservava con gli occhi dilatati il tappeto di scintillanti vetri per terra, incuriosito da tutto quel frastuono. La mano di Gine era ancora sollevata, le dita leggermente flesse ad emulare la forma del bicchiere che fino a pochi secondi fa stringeva. Osservava Bardack con il volto pallido, il piccolo stretto al petto; lui, d'altro canto, aveva drizzato la coda, allarmato dal suono improvviso, le mani appoggiate sul tavolino e gli occhi fissi in quelli della moglie.
- Un... Un Pianeta Alpha? Come... - balbettò lei, iniziando a cullare nervosamente il figlio. L'uomo drizzò appena le spalle, già sapendo cosa sarebbe successo di lì a poco.
- Un Pianeta Alpha. Mi ha contattato un Ricognitore, ma non mi ha dato molti altri dettagli. Ma la paga è alta, Gine. E quei soldi ci servono. - disse severamente lui, tentando di far ragionare la fin troppo emotiva compagna. Lei aggrottò le sopracciglia.
- Mi servono soldi, non un marito morto! - esclamò con voce tremante, allungandosi in avanti sul tavolino.
- Che diamine stai dicendo? Non sappiamo nemmeno se dovranno esserci degli scontri! - rispose lui inclinandosi in avanti a sua volta.
- Quei pianeti sono pericolosi! Nemmeno i soldati di Freezer sono in grado di conquistarli, c'è un motivo se non bisogna andarci! - La voce di Gine si era incrinata, facendosi più acuta.
- Ma stai paragonando un Saiyan a quegli incapaci? Gine, se c'è un Ricognitore vuol dire che la missione sarà importante! E lo sai che significa? - rispose mentre la sua voce si alzava, irritato dall'obiezione della moglie. - Significa che avremo abbastanza soldi da stare a posto per un anno! Forse anche per trasferirci da qualche altra parte!
- Non conterà nulla se ti farai massacrare! - Strillò Gine, causando il pianto di Radish che, spaventato, puntò le manine sul petto materno, cercando di allontanarsi, ma senza riuscirci.
- Massacrare? Preferisci continuare a vivere in questo buco? Lo sto facendo anche per te! - Rispose Bardack ora visibilmente alterato, sbattendo le mani sul tavolo e facendo piangere più forte il figlio.
- Lo stai facendo per te! Lo stai facendo perché non vedi l'ora di batterti contro un avversario più forte di te!
- La smetti di dire stronzate?! Io voglio soltanto...
- Non voglio più vederti in quello stato! - Gridò improvvisamente lei, saltando in piedi e facendo un passo indietro, schiacciando sotto la suola spessa degli stivali i frammenti di vetro, le lacrime che si affacciavano agli occhi. - L'ultima volta che hai accettato una missione rischiosa sei quasi morto! Sei stato una settimana nella vasca di rianimazione! Non ci pensi a tuo figlio? Non sei abbastanza forte per questo!
- IO NON SONO DEBOLE COME TE! - Urlò Bardack a pieni polmoni, saltando in piedi e quasi rovesciando il tavolo, una vena che pulsava vistosa sulla tempia. Gine si bloccò, gli occhi spalancati e il bambino urlante stretto fra le braccia. Il labbro inferiore tremò, e calde lacrime le solcarono il volto, mentre i singhiozzi le bloccavano il respiro. Il guerriero sbatté le palpebre, rendendosi conto di quello che aveva appena detto.
- Gine... - sussurrò facendo un passo in avanti, allungando un braccio verso di lei. In tutta risposta, la donna si avviò verso il corridoio, il volto bagnato dalle lacrime e sepolto fra i capelli di Radish, con i vetri che scricchiolavano sotto le sue scarpe. Sbatté la porta della camera da letto, e Bardack sentì chiaramente una chiave girare nella toppa. Si passò una mano sul volto, stanco, prima di girarsi e seguire la moglie.
- Gine. - Bussò con delicatezza sulla porta della stanza, sentendo, anche attraverso il legno spesso, i singhiozzi della moglie. - Gine. Apri per favore. - disse con voce morbida, bussando di nuovo. I singhiozzi diminuirono d'intensità, ma lei non sembrava aver intenzione di rispondere alla chiamata. Bardack sospirò, abbandonando la fronte sullo stipite, una mano sulla maniglia e l'altra appoggiata sulla superficie liscia.
- Non volevo. Io lo so che ti preoccupi per me. Ma se continuo ad accettare incarichi a rischio zero, i soldi non arriveranno mai. E Radish continuerà ad essere un guerriero di infimo livello come me. Io voglio una vita migliore per lui, e per te. Cerca di capirlo.

Urla strazianti, la  sua armatura era a pezzi. Sotto le sue mani, il petto ampio non si muoveva più. Il sangue - oh Dei, troppo sangue - le imbrattava le mani e il collo.
- Continua a premere! - Urlò qualcuno, e lei ubbidì, premendo con forza le mani su quello squarcio orribile nel tentativo di fermare l'emorragia. Lui non respirava più. Oh Dei... Se ci siete...

- La paga sarà alta. Molto. Finora sono riusciti a conquistare soltanto tre Alpha, pensa alla gloria e la fama che avremo! Andremo via di qui. In una di quelle case in quei palazzi altissimi, dove hai sempre detto di voler andare. Te lo prometto Gine. Apri la porta per favore.

- Non respira, non respira! - gridava con le lacrime che lavavano via il sangue dal volto, continuando a premere. - Dei, oh Dei vi prego. Aiuto! Aiutatemi! - Si girava attorno, nel caos generale. Dottori ricoperti di vermiglio e con gli occhi sbarrati correvano come impazziti per l'ospedale da campo. Odore di sangue, sudore, fango, liquidi umani le provocava conati di vomito, troppo forte e troppo impregnato di morte. Accanto a lei, su di una branda, stavano per amputare una gamba ad un guerriero febbricitante. Urlò insieme a lui, come se avessero affondato la lama nella sua di carne, e reclinò la testa sul corpo freddo del marito, terrorizzata.

- Non voglio più vederti in quella macelleria. Non te lo meriti. - Passi cadenzati risuonarono per il corridoio vuoto, fino a sparire. La porta di casa si aprì e si richiuse con un tonfo secco. Gine si morse il labbro inferiore, stringendo al petto suo figlio, ormai addormentato.

- Non penso ce la farà. - disse l'infermiere, senza alzare gli occhi dalla tastiera su cui digitava pigramente. - Le sue ferite sono troppo gravi. Non è arrivato con abbastanza sangue in corpo per vivere un giorno di più. Mandare un terza classe su un pianeta Beta, a che diamine pensavano? 
Osservava, svuotata di ogni emozione, il corpo di Bardack, immerso in una vasca di rianimazione. Una nuova cicatrice gli solcava il bellissimo volto, sofferente e scavato, senza contare l'orrendo taglio sul petto.
- Sei proprio sfortunata, a partorire fra pochi mesi. Questo bambino te lo toglieranno senza il padre.



Spalmato su una panchina, Bardack si rigirava fra le mani il biglietto di cartoncino rigido. Gli occhi neri percorrevano il numero che vi era scritto sopra, stampato con un font semplice ed elegante. Prese un profondo respiro, prima di indossare lo scouter, tenendolo premuto sull'orecchio mente con la mano libera regolava la vite per farlo aderire al cranio. Premette sul pulsante rosso, e l'apparecchio si accese con un sottile bip. Portò il foglietto di fronte al vetro colorato, attendendo che lo scouter rilevasse la chiave seriale. In pochi secondi, la comunicazione si stabilì. Un suono fastidioso, come di interferenze, arrivò attraverso l'auricolare di Bardack.
- Qui Endive. - gracchiò una voce dall'altro capo della linea, ora pulita. Il Saiyan prese un respiro profondo.
- Bardack. - Seguì un attimo di silenzio, e lui poté quasi giurare di vederla sorridere, compiaciuta, dall'altra parte della linea.
- Iniziavo a pensare che non avresti più accettato.
- Chi ti dice che io voglia accettare? - disse lui tentando di bluffare per tastare il terreno, cercando di carpirne le intenzioni.
- Cammina.
- Cosa? - disse lui alzando le sopracciglia, sorpreso.
- Ho detto cammina, non startene seduto in disparte. Nessuno deve intercettare questa chiamata, e ci sono minori probabilità se cammini in un luogo affollato.
- Ripeto: COSA? Come fai a sapere dove sono? - protestò lui, alzandosi comunque in piedi, decisamente sorpreso di quella cosa. - E poi, non rischi che qualche altro scouter rilevi la conversazione? 
- Questa linea è criptata. I normali scouter non possono rilevarla, ma qualcuno potrebbe comunque provare ad hackerarla. Ho i miei mezzi, Capitano Bardack, per sapere cosa stai facendo.
- Mi stai osservando? - chiese sospettoso, incamminandosi.
- La tua faccia non mi manca abbastanza da spiarti. Ma non è difficile capire dai suoni di fondo dove sei e cosa stai facendo.
- Quindi...
- Quanta pazienza ci vuole con te? Lo sapevo che avrei fatto meglio a rivolgermi al Team Cubecu. - disse con voce di velluto, senza dare la minima impressione di essere infastidita dalla curiosità del Saiyan.
- Cubecu, quell'imbecille? Non farmi ridere. Allora dimmi cosa devo fare, visto che muori dalla voglia di farmi accettare questo lavoro. Convincimi. - disse Bardack spingendosi nelle vie del mercato. Quel giorno, l'intera città sembrava essersi riversata in strada. Complice forse il periodo di ritorno dalle missioni, moltissimi Saiyan erano pronti a spendere i soldi appena ottenuti in attrezzature migliori, e in alcol migliore. Odore di sudore e terra bagnata arrivò al suo naso, mentre percorreva le strade infangate, bagnate per non far sollevare un polverone, disseminate di bancarelle. Si avvicinò curioso ad uno stand contenente alcune battle suits, osservandole attentamente, saggiandone le scanalature con i polpastrelli.
- Ti darò un indirizzo tramite delle coordinate.
- Bene.
- Ti farai trovare al suddetto indirizzo insieme al tuo secondo in comando, e lì vedrò se posso realmente impiegarvi.
- Aspetta, cosa? Pensavo stessimo pattuendo l'assoldo ora! E ancora non mi hai dato i dettagli della missione! Che fine ha fatto il nostro compromesso? - esclamò lui a voce contenuta, abbassando indignato la corazza bianca che stringeva fra le mani.
- Onoro sempre i miei impegni. E non posso darti altri dettagli via rilevatore. Ma se non riesco a convincere i miei superiori che voi siete i migliori sul campo, finiremo tutti a fare la fame. Ti sto inviando le coordinate. Ti aspetto fra un'ora, porta anche il fascicolo della squadra.
- Un'ora? No, aspetta, devo sapere a cosa...! - Senza proferire altro, Endive chiuse il collegamento. Bardack rimase di sasso, la battle suit ancora in mano, osservando spaesato dritto davanti a sé. Cosa era appena successo? Una serie di coordinate apparvero sul vetrino dello scouter.
- Ehi, se non la compri rimettila giù! - Sbraitò il venditore dall'aspetto di alligatore, rivolto al Saiyan. Lui si riscosse, digrignando i denti.
- 'Fanculo. - Sbottò lasciando andare l'armatura, correndo verso la folla. Spintonò varie persone, facendo cadere alcuni cestini ricolmi di esotici frutti, e causando l'ira di molti ambulanti. Premeva continuamente sul pulsante del suo scouter, provando a richiamare Endive. Ma ad ogni chiamata, appariva la stessa scritta sul display: "Numero inesistente".
- Cazzo! - Esclamò irritato, cercando un posto libero dove spiccare il volo. Si gettò in un vicolo vicino, dandosi una spinta poderosa con le gambe, sferzando l'aria mentre il suo corpo si sollevava dal suolo ad una velocità sorprendente. Velocemente, premette alcuni pulsanti sul suo rilevatore. Lo scouter di Toma era ora collegato, ma dell'amico ancora non ve ne era traccia.
- .... andiamo andiamo andiamoandiamoandiamo - grugnì con voce gutturale Bardack, i capelli che si muovevano sinuosi nell'aria e le mani strette a pugno. Finalmente, dopo quelli che sembrarono secoli, una voce conosciuta gli rispose, ansimante.
- Ehi, Bardack, ti richiamo ora non è il-
- No Toma fermo! Ascolta, è importante.
- Ehhn... - biascicò lui, mentre si sentiva chiaramente una seconda voce in sottofondo.
- Non mi importa di quello che stavi facendo! Ti voglio qui, ora.
-  ...non accetto queste avances senza che tu mi offra una cena.
- Non fare il coglione! - abbaiò Bardack aumentando ancora la velocità di volo, mentre le unghie affondavano nella carne dei palmi. - potrei aver fatto un macello. Sto venendo, aspettami... - Un suono acuto, che gli fece dolere il timpano provenì dall'auricolare, come se qualcuno avesse strappato lo scouter dalle mani di Toma.
- Anche io stavo per venire, pezzo d'idiota! Che diavolo c'è di così urgente? - La voce di Seripa, acuta ed incazzata, gli rimbalzò per le pareti del cranio.
- Non ho tempo per queste cose! Devo parlare con Toma.
È un'ordine Seripa! - a sentire il suo amico, solitamente calmo, alterarsi in quel modo, la donna restituì il rilevatore al compagno, facendo spallucce, allibita. L'altissimo Saiyan, dopo aver risposto con un'espressione altrettanto sorpresa, riprese il piccolo computer, fissandolo sull'orecchio sinistro.
- Che cazzo hai combinato, Bardack? 
- Ascoltami... - Toma, nella sua piccola stanza, si stava velocemente rivestendo, indossando l'armatura sotto lo sguardo offeso di Seripa, nuda e insoddisfatta sul suo letto. Lo vide sbarrare gli occhi, fermandosi e appoggiando una mano sullo scouter come se faticasse a credere a quello che aveva appena sentito.
- Ecco perché si consulta SEMPRE PRIMA il proprio secondo in comando, dannato ubriacone! - strillò nel microfono aprendo nervosamente la cassettiera, cavandone fuori un fascicolo malamente spillato, per poi precipitarsi fuori dalla porta sotto lo sguardo allibito della donna. Sordo ai suoi richiami, si lasciò l'abitazione alle spalle. Il suo rilevatore segnava l'aura di Bardack a pochi minuti di volo da lui. Una volta in aria, riprese:
- Andarsi ad immischiare con i Ricognitori?! Quelli sono inaffidabili! Come ti è venuto in mente di accettare senza prima consultarmi?
- Poche storie, Toma! Ti invio le coordinate. Ora, lo so che sarà una fregatura, ma dobbiamo trovare un modo di rimediare! Non ho firmato nulla, non credi che-
- Bardack. - l'interruppe improvvisamente l'amico, con voce sottile. - Non penso sia una fregatura. Ma penso che siamo nei guai più di prima.
- Porca puttana.
- No, non hai capito. Ho ricevuto le coordinate. Quella che ci ha dato è la posizione del Palazzo Reale.

Il Palazzo di Re Vegeta si stagliava minaccioso sullo sfondo montano. Il cielo, perennemente rosso, non contribuiva a dare un aspetto meno tenebroso all'edificio, costituito da altissime torri a spuntoni, scavate nella grigia roccia granitica. Innumerevoli colonnati davano respiro alla struttura, aprendosi su corridoi esterni, facendo assomigliare il palazzo come ad un complicato ed elegante alveare.
Bardack e Toma erano fermi, ai piedi della scalinata, a naso in su ad osservare spaesati quella struttura gigantesca.
- Cazzo se fa paura. - disse Toma con il fascicolo stretto sottobraccio. Bardack, una mano tesa sopra gli occhi per proteggerli dal sole, annuì con convinzione.
- Andiamo? - riprese, osservando il più basso sistemare la sua battle suit per stare più comodo. Si passò una mano fra i capelli, inspirando. Davanti a loro, a pochi metri, delle guardie li osservavano, immobili ed impassibili.
- Andiamo. - rispose Bardack incamminandosi con fare deciso. Arrivarono di fronte ai due energumeni, pesantemente armati. Si schiarì la voce, drizzando le spalle e cercando di assumere un atteggiamento il più possibile composto.
- Ehi. Abbiamo un appuntamento. - disse alla più vicina delle guardie, appoggiando le mani sui fianchi.
- Ne dubito. - rispose seccamente il soldato, che lo squadrava dall'alto in basso.
- Pensala un po' come ti pare. Mi ha convocato qui una certa Endive. - disse lui, dando un'occhiata a Toma.
Avevano a che fare con una Ricognitrice, al diretto servizio del Re; l'arma più letale a disposizione di una spia era il lip service, non i pugni. Pertanto, trovavano ancora difficile credere alle belle parole della donna, con le sue promesse di grandi avventure e succulenti bottini. Una delle guardie portò una mano allo scouter, borbottando qualcosa. I due terza classe rimasero fermi, in attesa, osservando la guardia voltarsi verso di loro, sorpresa e in proncinto di dire qualcosa, prima di zittirsi e storcere la bocca.
- Siete liberi di passare. Prendete la scalinata di destra, vi aspetta nell'atrio. - I due si fecero da parte, permettendo a Bardack e Toma di proseguire il loro cammino. Gli stivali pesanti calpestavano con tonfi secchi il granito dell'imponente scalinata, avvicinandosi in assoluto silenzio verso la porta d'entrata. Il condottiero sentiva gli occhi del suo secondo in comando puntati addosso. Non sapeva in cosa si fosse ficcato a causa di una leggerezza, per ripicca dopo un litigio. E per quella sua testa calda, ora era la sua squadra a pagarne le conseguenze. Era Toma il vero cervello del plotone, grazie alla sua innata capacità di analisi; sul campo era vitale tanto quanto il potentissimo capitano, ed era sempre lui a consigliarlo ogni qual volta veniva offerta una nuova missione.
L'ultima volta in cui era stato Bardack a scegliere, sordo ai consigli del suo amico, erano finiti su un Pianeta Beta. Ubriachi di arroganza e presunzione, si erano gettati a capofitto nel combattimento. Avevano vinto, ma ad un prezzo spaventoso. L'altra squadra in coalizione con la loro era stata sterminata; lui stesso ci aveva quasi lasciato le penne, guadagnandosi la cicatrice sulla guancia e fitte al petto ogni volta che il tempo atmosferico cambiava. E sentiva nuovamente il peso di quella responsabilità calargli sui polmoni, mozzandogli il respiro.
La preoccupazione di Gine era dunque comprensibile; ma lei non capiva.
Non avrebbe mai potuto capire, non era un guerriero come lui. Non capiva la dipendenza che l'adrenalina pompata nelle vene dava, non comprendeva come il fuoco che si avesse dentro fosse in grado di bruciare più delle ferite aperte, non comprendeva l'eccitazione di ergersi per ultimo su un campo di battaglia, la bellezza del sangue del nemico ad imbrattare le mani e i vestiti. Per provare quell'ebrezza, la morte era un prezzo che qualunque guerriero avrebbe pagato volentieri.
Arrivati in cima, si trovarono di fronte ad una pesante porta rocciosa, chiusa accuratamente. Non vi erano guardie a presidiarle, come era invece per l'ingresso principale, ad un centinaio di metri da loro, sorvegliato da almeno trenta energumeni. Si osservarono attorno, cercando un pulsante, ma la parete era liscissima, al punto che perfino trovare il contorno del portone era difficile.
- Secondo me ci hanno preso per il culo. - sbottò Bardack sbuffando.
- Dici? - ribattè sarcasticamente l'amico, passandosi una mano fra i corti capelli neri. - Colpa tua, non hai preso il numerino.
- Non mi avevi detto che bisognasse prendere un numero...! Che ti ho portato a fare allora? - si lamentò lui incrociando le braccia. Toma rimase fermo, sbattendo le palpebre.
- Ma sei cretino, il numero? Non siamo in fila in banca.
- ...C'è un motivo se sei tu il cervello del gruppo. - si limitò a sbuffare Bardack, girando lo sguardo altrove.
- Già, ancora mi chiedo come abbia fatto ad essere tu il capitano della squadra. Ad andarsi ad immischiare con un Sorcio...
- Perlomeno noi non dobbiamo leccare gli stivali di Vegeta per portare il pane a casa. Gioisci. - Non finì nemmeno di pronunciare la frase che un suono metallico di meccanismi ruppe il silenzio, e con un fruscio le ante della porta rientrarono nelle pareti.
- Ohibò, è questa la considerazione che ha un povero Ricognitore fra voi terza classe? - In piedi dietro la porta, Endive sorrideva gentile, accogliendo con le braccia conserte i due arrivati. Indossava una vistosa camicia verde smeraldo, ricamata con fili d'oro, e larghi pantaloni di un verde più chiaro stretti sulle caviglie. Una fascia rosso sangue era mollemente legata sui fianchi, con le estremità che quasi sfioravano il terreno. Perfino le scarpe erano strane, nulla a che vedere con i loro pesanti stivali, ma erano delicate juttis* fittamente decorate. E tutto questo senza contare i vistosi gioielli su braccia e orecchie, oltre a quel particolare piercing sotto il labbro. Toma si schiarì la voce, le guance appena imporporate per l'imbarazzo.
- Lei è la signorina Endive?
- In persona.
- Toma, secondo in comando del Team Bardack. 
È un piacere conoscerla. - disse educatamente, tendendo una mano per farsela stringere. Con sua somma sorpresa, la donna scelse piuttosto di congiungere le mani, esibendosi in un piccolo inchino.
- Il piacere è mio, signor Toma. La prego di darmi del tu. - Si voltò verso Bardack, eseguendo perfettamente lo stesso inchino di prima. - è un piacere rivedere anche te. Prego, seguitemi. - Così facendo si voltò, incamminandosi nel corridoio, seguita dai due terza classe. La porta si richiuse dietro di loro, e immediatamente una soffocante penombra cadde su di loro, rischiarata soltanto dalla luce di alcune torce. Era evidente, dalla pietra nuda che costituiva le pareti del corridoio e dall'assenza di elettricità, che fossero in un'ala del castello soggetta a lavori; una scelta inusuale, ma riflettendoci, passare per il cantiere era il modo ideale per nascondere la propria presenza. Ma per quale motivo fosse necessaria tutta questa segretezza, i due Saiyan ancora non lo sapevano.
Toma, a differenza di Bardack, era riuscito a contenere la sorpresa di vedere una donna così tanto truccata, con una spessa linea nera e oro sugli occhi castani. Anche i gioielli e l'abbigliamento erano di quanto più eccentrico vi fosse per sua esperienza. Ora che non era protetta da un pesante mantello, era possibile intuirne il fisico, rendendola ancora più particolare agli occhi dei due saiyan. La musculatura non era molto definita, ma perfettamente visibile e massiccia sotto la pelle; la camicia sbracciata e aderente metteva in risalto il seno e i fianchi generosi, sottolineati da una vita relativamente stretta. Era di certo ben lontana dalle classiche saiyan piccole di statura e snelle, osservò Toma. Gli occhi gli caddero sulla chioma bruna e, ora che si era girata, potè notare con sommo sgomento la coda, decorata con ben quattro anelli su tutta la sua lunghezza.
- Ma dove l'hai trovata una così? - sussurrò a voce bassissima all'amico, con gli occhi sgranati.
- Se ti dicessi al bar ci crederesti? - rimbeccò lui aggrottando le sopracciglia. Toma gli lanciò un'occhiataccia, prima di tornare ad osservare Endive.
- Allora, Endive. Mi dispiace di non averti incontrata quella sera al bar, ma c'ero anche io. - Senza smettere di camminare, l'opulenta saiyan si girò, osservando l'altissimo guerriero.
- Ah già. Eri tu ad aver fatto doppia coppia, giusto?
- Ci stavi osservando mentre giocavamo a poker? Non ti avevo notata - chiese lui ridacchiando, grattandosi la nuca con un gesto sciolto.
- Sì. Piace molto anche a me il gioco d'azzardo, ma non mi sembrava il caso di disturbarvi.
- Ma figurati, allora la prossima volta farai una partita con noi, giusto Bardack? - disse retoricamente all'amico, che ancora osservava costernato la quantità di gioielli che la donna indossava.
- Ah, certo. Ma a me importerebbe di più sapere dove stiamo andando, non siamo mica dei muratori.
- Bardack! - soffiò Toma, inviperito. Non c'era verso che quel testone fosse in grado di appoggiarlo; voleva cercare di estorcere qualche informazione ad Endive manovrando una conversazione, ed ecco che arrivava lui, tutto impettito, a cagare bellamente sui suoi piani. Ma forse, era meglio così. Non poteva battere un Ricognitore nel suo campo, e la spigliatezza di Bardack poteva essere la contromisura migliore.
- Mi sembra dovuto. Non vorrei che vi facciate un'idea sbagliata di me. Capisco come questo inizio possa essere... fraintendibile. - si girò nuovamente in avanti, guidando i due guerrieri lungo un dedalo di scuri corridoi, illuminati da poche torce, che rimbalzavano sulle lucide armature e sugli sfavillanti gioielli. - Gli scouter possono essere facilmente intercettati. Qualunque scimmia con un computer sarebbe in grado di captare una comunicazione, e non esistono contromisure sicure. Pertanto, sarò disponibile a rispondere alle vostre domande, ora che non vi sono ficcanaso ad ascoltarci.
- Allora, dimmi chiaro e tondo cosa stiamo facendo qui. - Endive si fermò, girandosi verso di loro. I capelli seguirono il suo movimento, cadendo morbidi sulle spalle e rivelando i numerosi orecchini su entrambi i lobi. I suoi occhi, grandi ed indagatori, sembravano in grado di scrutare dentro l'anima, e ciò mise a disagio Toma. Deglutì, stringendo la presa sul fascicolo spiegazzato. Non riusciva a scrollarsi di dosso la sensazione di essere una pedina sotto lo sguardo di un giocatore esperto, e la cosa non gli piaceva per niente. Era sicuro che Bardack non provasse la stessa sensazione, troppo arrogante ed affamato di prodezze per fermarsi a pensare. Ed era esattamente il motivo per cui, in qualità di migliore amico, era lì: colpirlo al momento più opportuno alla testa e trascinarlo via da quel delirio che lui stesso aveva causato.
- Durante la chiamata hai detto che avresti visto qui se effettivamente impiegarci. Ma al bar non avevi accennato a nulla di simile. - lei annuì, posando i suoi occhi in quelli scuri del guerriero.
- Le nostre missioni funzionano in modo diverso. Voi guerrieri venite impiegati per la semplice distruzione, eradicando la popolazione per rendere il pianeta colonizzabile; l'unico requisito necessario per l'assegnazione è la forza combattiva. Noi veniamo assegnati a dei pianeti inesplorati, sulla base delle nostre specializzazioni, e ne valutiamo le risorse e la potenza degli abitanti, qualora ce ne siano. Alla fine della missione, assegniamo al pianeta una classificazione, e passiamo le informazioni agli uffici di Dislocamento, che si occupano poi di selezionare i plotoni per conquistarlo. E come mai allora il Ricognitore viene nuovamente inviato insieme al plotone sul pianeta, se il suo compito è già stato portato a termine? - Endive alzò il dito indice, a sottolineare l'importanza di quanto stava per dire.
- Questo accade perchè le risorse del pianeta potrebbero essere vitali per l'avanzamento del nostro Impero, e non c'è modo di ottenerle senza l'impiego della forza. Cosa di cui, ahimè, non disponiamo come voi. Ma servono anche le nostre conoscenze per essere sicuri della riuscita della missione. Non dobbiamo sterminare, ma strappare informazioni ai nostri nemici.
- Perchè, solitamente voi vi fermate a parlare con loro? Siamo un popolo di conquistatori, se vogliamo qualcosa ce la prendiamo. - ribattè Bardack, che ancora non capiva il punto della Ricognitrice. - Ogni persona risparmiata avrà dentro il seme della rivolta. Alla prima occasione si ribelleranno, e causeranno soltanto grattacapi. Eliminarli è la soluzione migliore, non vedo il senso di lasciarli in vita e prendersi le loro informazioni.
- Hai perfettamente ragione - rispose prontamente lei, portando le braccia dietro la schiena. - ecco perchè la maggior parte dei pianeti sono soggetti allo sterminio dei loro abitanti. Basiamo tutto sulla paura, e l'universo trema nel momento in cui le nostre navi bucano l'atmosfera. Ma delle volte alcuni alieni sono più utili da vivi che da morti, e quando si tratta di pianeti Alpha di solito sono di gran lunga più forti di noi. Ed è qui che entriamo in gioco noi Ricognitori. Il requisito necessario per l'assegnazione non è soltanto quello di impiegare una squadra con un alto livello combattivo, ma quello di presentare una strategia vincente per la conquista. 
È esattamente quello che faremo oggi: convinceremo tutti che è il nostro piano quello più geniale, e distruggeremo le teorie dei miei colleghi che si contendono la missione con me. Dobbiamo far credere a questi alieni che non siamo nemici, ma salvatori. Che siamo indispensabili per loro. E se servono delle belle parole, un sorriso affabile o un abile ricatto, siamo pronti a farlo. Capirete che questa non è una missione che dei semplici guerrieri di infimo livello possono portare a termine.
- Ma... quindi, stai dicendo che dovremmo assoggettare delle persone poichè troppo forti per noi? 
È un controsenso, sono pericolosi e andrebbero eliminati!
- La veda così così - rispose Endive, osservando il suo interlocutore, Toma. - uccidere è facile. Solleva da ogni responsabilità. Quando la popolazione è sepolta sotto due metri di terra, non si può fare altro che passare al pianeta successivo. Ma così facendo si perde una civiltà, una cultura. Si perde la scienza e il contributo tecnologico che quel popolo potrebbe dare all'impero. Pensi se fossimo riusciti ad assoggettare gli Tsufuru, anzichè sterminarli. Erano già tecnologicamente avanzati, e se avessero fatto altre scoperte? E se fossero ulteriormente progrediti? La nostra razza non avrebbe rivali, e non avremmo avuto bisogno di Freezer. Non ci saremmo limitati a degli stupidi computer e alle navicelle. E se esistono razze più forti della nostra, non dobbiamo fare altro che conquistarci la loro fiducia, giocarcela in furbizia, e avremo presto alla nostra mercè dei comodi burattini da utilizzare come più ci pare e piace, per poi eventualmente sbarazzarcene quando smetteranno di essere utili. Ecco perchè esistiamo noi Ricognitori. Per elevare la nostra razza, e renderla padrona dell'universo sotto ogni aspetto.
Bardack e Toma osservavano Endive con gli occhi sgranati, quasi increduli. La Saiyan si ergeva nel suo ridicolo completo verde e oro, con quegli occhi talmente grandi da riflettere come uno specchio le fiamme danzanti delle torce, eppure sembrava sovrastarli, imponente e soffocante. Celava ancora molte cose, troppe, e questo suo potere era spaventoso. Ora dava davvero l'impressione di essere una donna in grado di rovesciare un impero con una parola.
- Voi Ricognitori siete davvero gente strana. Sembrate davvero convinti di quello che dite. - Disse Toma a denti stretti, allargando un sorriso. Ora capiva come avesse fatto quella donna a convincere Bardack. Il modo in cui sceglieva le parole, la determinazione con cui parlava, gli occhi intelligenti. Era una leader nata, e aveva iniziato a sedurre anche lui. Ma a Toma serviva ancora un po' di lavoro per cadere ai suoi piedi, a differenza del suo ottuso collega. Endive rispose con un sorriso divertito, prima di girarsi e proseguire il cammino.

Lentamente il corridoio si allargò, e la roccia nuda venne sostituita da più pratiche pareti di metallo lavorato; alle torce si sostituirono delle lampade, e ora il suono dei loro passi rimbombava con maggior forza. Presto arrivarono di fronte ad una porta dopo quella che sembrò essere un'eternità nelle viscere del castello.
- Ora - disse Endive fermandosi di fronte alla porta, rivolgendosi ai due Saiyan. - è semplice. Non parlate a meno che non vi dia io il via libera. 
È vitale per l'assegnazione della missione.
- Quindi, ora vedremo te e un'altra Ricognitrice mentre vi rotolate nel fango per contendervi la missione? - chiese Bardack con un ghigno, facendo gemere esasperato Toma.
- Ti sorprenderebbe sapere che siamo per lo più donne fra i Ricognitori. E ti sorprenderebbe sapere in quante ti avrebbero già strappato il cuore a mani nude a quest'affermazione.
- Peccato, sarebbe stato un bello spettacolo.
- Oh, non preoccuparti. Sarà uno spettacolo ancora più interessante vedere un Ricognitore rovinato a vita.
- Cosa?
- Vedrai. - rispose lei enigmaticamente, premendo il pulsante d'entrata. La porta si aprì con uno sbuffo, lasciando che i tre entrassero nella stanza, immersa in una fittissima penombra. Gli occhi vigili dei Saiyan si abituarono in fretta alla rinnovata oscurità, riuscendo a delineare i contorni di un lungo tavolino. Vi erano poste tre sedie, tutte lungo un lato, e a pochi metri di distanza potevano scorgere un secondo identico tavolo. Il resto della stanza era ancora troppo scuro per poter individuare qualcosa.
- Endive. Ce ne hai messo di tempo. - Una voce sembrò fuoriuscire da quell'oscurità che tanto li disorientava, ma senza darsi pena di rispondere, la Saiyan fece un cenno a Bardack e Toma, invitandoli a seguirla come se nulla fosse successo. Mano a mano che si avvicinavano, notarono tre silhouettes sedute sul lato del tavolo accanto a quello indicatogli dalla donna.
- Vodocaa. Direi che è un piacere rivederti, ma ho il dovere di essere onesta in questa sessione. - I tre presero posto sulle sedie libere, la donna al centro, e ora poterono ben vedere la nuova interlocutrice. Era una Saiyan con occhi e capelli neri, la pelle chiara e i tratti del volto abbastanza dolci. Indossava una classica battle suit, in parte coperta da un mantello bianco. Ai suoi fianchi sedevano due guerrieri mai visti prima, ben vestiti e dall'aspetto fin troppo curato. Vodocaa scoppiò a ridere nel momento in cui vide Bardack e Toma.
- Sei fuori? Hai portato dei terza classe?! - disse cercando di smettere di ridere, molto divertita da quella situazione. Bardack storse la bocca, lasciandosi cadere in modo sgraziato sulla sedia alla destra di Endive. Non gli andava di rispondere ad una provocazione tanto banale, ma non era nemmeno andato lì per farsi insultare gratuitamente.
- Vedo che i tuoi cavalieri sono invece dei seconda classe. Una scelta intelligente.
- Smettila con questa finta gentilezza, mi fai vomitare. Ricordati che l'unico motivo per cui sei qui è che sei una...
- Siamo ad una riunione o ad un incontro fra galli? - disse una voce fredda, imperiosa. Endive e Vodocaa saltarono in piedi, intimando ai loro ospiti di fare altrettanto. Velocemente, si portarono una mano al petto, osservando fisse di fronte a loro. Bastò un'occhiata per spingere i quattro uomini a seguire i loro movimenti. Nessuno fece in tempo a capire cosa stesse succedendo, che il centro della stanza si illuminò. Un dettagliato ologramma di un grosso pianeta, estremamente verde, illuminò quasi completamente la stanza di una luce azzurrina, rivelandone l'effettiva ampiezza. Non era molto grande, ma era spoglia di qualsiasi mobilio, tralasciando i due tavoli e un'enorme sedia lavorata posta su dei gradini, a circa cinque metri da loro. E su quei dieci gradini era in piedi una figura che chiunque avrebbe riconosciuto.
- Re Vegeta? - mimò con le labbra Bardack, sgranando gli occhi, senza riuscire a contenere la sua sorpresa. Osservò spaesato la figura del re, imponente e severa. I capelli neri riflettevano la luce azzurra dell'ologramma come una fiamma blu. Gli occhi severi scrutavano i sei presenti, mentre una mano inguantata si accarezzava la barba, pensieroso. Quindi questo significava essere ai diretti ordini del re? Bardack non avrebbe mai immaginato che il sovrano in persona avrebbe partecipato alla riunione.
- Salute a voi, o grande Re Vegeta, conquistatore dell'Universo, unico, vero e legittimo sovrano dei Saiyan. - dissero in coro Endive e la sua rivale, inchinandosi. Vegeta non rispose, limitandosi a salire sul piccolo trono, sistemandovisi con un teatrale movimento del mantello. Accanto a lui, dal nulla, era apparso un enorme uomo, con una corta zazzera di capelli neri sulla cima della testa. I suoi baffi gli davano un aspetto quasi affabile, ma c'era qualcosa in quel gigante che metteva i brividi.
- Il Consigliere Nappa mi ha detto che siete rimaste voi due a contendervi la missione sul pianeta Kelitt. Avete portato con voi la squadra scelta?
- Sissignore - si affrettò a rispondere Vodocaa, allargando un braccio verso i due guerrieri che portava con sè. - Loro sono la squadra Tichoke. Hanno all'attivo venti missioni, tutte di successo, su pianeti Iota e Zeta. Sono uomini spietati, che seguono pedissequamente gli ordini, e non hanno paura di dare la vita per l'Impero Saiyan. Hanno un livello combattivo di ben tremila, impareggiabili. Oltretutto, hanno ampie conoscenze nel campo della politica, hanno servito a corte sotto il regno di vostro padre mio signore, e come sicuramente ricordate, sono allenati nelle missioni di infiltrazione.  - Vegeta annuì, apparendo assolutamente immune alla mole di belle parole dedicate ai guerrieri della Saiyan.
- Invece cos'hai da proporre tu, Endive? - Senza fretta e senza sembrare in alcun modo in soggezione, la donna portò le mani dietro la schiena, drizzando fieramente la schiena.
- Vi ho portato la squadra Bardack, plotone di terza classe. Ventisette missioni all'attivo, di cui ventidue di successo. Hanno prestato servizio militare in pianeti Ro, Ni, Lambda, Iota, Zeta e Gamma. Non sono molto disciplinati, ma seguono gli ordini ricevuti e sul campo di battaglia sono inarrestabili.
- Inarrestabili? Sono dei terza classe. - il "sussurro" di Vodocaa potè essere sentito da tutti i presenti nella sala, causando un grosso sorriso divertito al consigliere del re. Ma Endive non sembrò farci caso.
- Come mai non ti sei affidata a dei seconda classe, come ha invece saggiamente scelto la tua collega? - chiese Vegeta, appoggiando il mento al palmo della mano, incuriosito da quell'azzardo.
- Perchè un seconda classe non sarebbe mai all'altezza della missione. - rispose lei con una tranquillità che fece spalancare la bocca ai presenti. Era scema o cosa?
- E questi terza classe invece lo sarebbero?
È quello che sostengo, mio signore. - Vegeta si lisciò la barba, soppesando le parole della donna.
- Nappa, ripetimi le informazioni sulla popolazione.
- Sissignore - rispose lui, prendendo dei buffi occhiali rotondi, calzandoli sul naso aquilino, per poi sfogliare un plico di fogli che finora aveva tenuto dietro la schiena.
- Il pianeta Kelitt, Nebulosa del Procione, sistema di Tuchanka. Le sue dimensioni sono il quadruplo del pianeta Vegeta, con all'attivo una popolazione di circa dodici miliardi di persone. Sono umanoidi, tendenzialmente più bassi e snelli di noi Saiyan, con caratteristica principale quella di avere le orecchie un po' più a punta. Sono stati colonizzati e schiavizzati circa cento anni fa dai Mentemaliani, in cerca di un nuovo pianeta dopo che un asteroide aveva distrutto il loro. Hanno portato con loro la tecnologia a cui noi puntiamo. Inoltre, hanno contagiato i nativi con il loro fanatismo religioso, suddividendo la società in caste e costringendo i Kelittiani a lavorare per loro. Cosa non difficile, contando che il livello combattivo di un Mentemaliano si aggira attorno a cinquemila, in contrasto con il livello duemila dei nativi.
- Capisco. Vodocaa, come avresti intenzione di soggiogare i Kelittiani e impossessarti delle loro tecnologie? - Con un sorriso beffardo in volto, tipico di chi sa di avere la vittoria in pugno, la donna si avvicinò all'ologramma al centro della stanza, allungando una mano. L'ologramma rispose al suo contatto, facendo girare il pianeta ad ogni tocco. Puntò un dito su di un punto specifico del pianeta, il suo tocco lasciava un'impronta rossa sulla superficie della proiezione.
- Io e la squadra atterreremo sulle catene montuose a nord della capitale. Sono considerate un posto sacro, in cui gli dei vivono. Da lì, scenderemo fino ad uno dei villaggi limitrofi, e inizieremo facendo terra bruciata. Tutti attacchi mordi e fuggi, puntando ovviamente ai Kelittiani, non sapranno nemmeno cosa li ha attaccati. I Mentemaliani penseranno che siamo emissari degli dei, che stiamo approvando la loro schivizzazione dei Kelittiani, e non sapranno come reagire. Prenderemo in ostaggio civili, se necessario, professandoci come emissari dell'ira divina. Il loro fanatismo religioso li rende facilmente malleabili. Credono che le divinità un giorno scenderanno dal cielo, arrivando dalle montagne, distruggendo tutto. La nostra potenza militare è limitata se paragonata a quella dei Mentemaliani, ma siamo più furbi. Quando vedranno i loro villaggi sparire uno ad uno, ad una velocità sorprendente e senza lasciargli il tempo di organizzare una resistenza, si convinceranno che siamo più forti di loro, che siamo gli avatar della rabbia divina. Quando inizieranno a pensare che siamo inarrestabili, manderemo un ultimatum. Diremo che l'unico modo per espiare le loro colpe è quello di sottomettersi ai Saiyan, mandatari del vero messaggio degli Dei.

Un piano tanto ambizioso quanto intelligente, pensò Bardack. Si girò per osservare Endive, il cui volto tranquillo non tradiva alcuna emozione. Questa Vodocaa è geniale, usando la tattica del terrore, manipolando le persone sfruttando le loro stesse credenze. Che diavolo avrà in mente questa Endive? Sembra passare più tempo ad imbellettarsi che a ragionare. E poi, quella ha portato dei seconda classe. Già per quello perdiamo in partenza.
- Preoccupato, Bardack? - la voce vellutata della donna lo colse di sorpresa, facendolo distrarre da quei pensieri scoraggianti. Un improvviso sorriso si stagliò sul volto della Ricognitrice, che lentamente avvicinò la sua testa a quella del Saiyan, tirando fuori la lingua. Fu allora che lui notò una sfera metallica, identica a quella sul labbro, fissata alla sua lingua tramite un piccolo spillo metallico. - Questo gioiello nella mia cultura significa che ho la lingua di serpe. Il mio veleno è più forte del suo. Tu preparati a spogliarti quando te lo dico io.
- Spo... spogliarmi...? - Biascicò Bardack con gli occhi spalancati, schifato da quell'orecchino che le bucava la lingua e stranito dalle parole di Endive.
Lo sapeva, quella era matta da legare.
- Un buon piano, Vodocaa. Dai rapporti, si direbbe che i Mentemaliani siano ossessionati dall'idea dell'apocalisse. Potrebbe essere un piano molto efficace, o un enorme fallimento. Non vi stanno vie di mezzo. - disse infine Vegeta, annuendo soddisfatto di quella proposta.
- Nossignore. - disse tranquillamente lei, girandosi e tornando al tavolino, rivolgendo uno sguardo di tronfia superiorità all'elegantissima rivale.
- Endive. - Vegeta fece un cenno con la mano alla donna, invitandola a prendere il posto della collega. Senza farselo ripetere due volte, lei si alzò dalla sedia, dirigendosi con passi calcolati al centro della sala. Si avvicinò all'ologramma, facendo ruotare il pianeta. Fermò la mano su di un punto sperduto, apparentemente in mezzo al nulla.
- Non ho intenzione di farmi beffe dei loro dei. Innanzitutto, non credono nella reincarnazione. Le loro divinità hanno aspetti animaleschi, e a meno che Vodocaa non voglia indossare la testa di un alligatore, trovo difficile pensare che cadranno nella trappola.
- Infatti tutto sta nel minare le loro credenze. - ribattè la Saiyan corvina, alzandosi in piedi ma senza abbandonare il suo tavolo.
- Ma che stanno facendo? - chiese sottovoce un confuso Bardack.
- Probabilmente stanno cercando di costruire un dibattito in cui mostrano i punti deboli del piano del rivale, e questo deve potersi difendere. E ora zitto e ascolta. - disse Toma.
- Se gli mostrassimo che la loro religione ha dei fondamenti errati, cadrebbero in una profonda crisi, sarebbero vulnerabili e noi sfrutteremo questa debolezza per manipolarli.
- Hanno già sperimentato i viaggi spaziali, sanno che esistono altre razze. E sono dei fanatici; nulla farebbe cedere le loro convinzioni, men meno un alieno che si finge un loro dio. Le loro montagne sono sacre, ma infestate da animali selvaggi. Solo all'atterraggio, hai un rischio del cinquantadue per cento di perdere almeno un membro del plotone. Tremila non è un livello sufficiente per battere quei mostri, il cui livello si aggira attorno a cinquemila.
È possibile allontanare quegli animali usando stimoli olfattivi che sintetizzeremo in laboratorio.
- Un odore che può allontanare una specie rischia di attirarne un'altra. Per quanto riguarda i villaggi, sei proprio sicura che i tuoi soldati siano più forti di quei contadinotti?
- Come osi, puttana? - sbraitò livida Vodocaa, battendo il pugno sul tavolo. - I miei guerrieri sono seconda classe, non luridi...
- Ordine! - richiamò prontamente Nappa, urlando alla volta della Saiyan. - Siete al cospetto del Re, comportatevi di conseguenza! - Bardack non potè non sorridere divertito. Quella pazza di Endive stava distruggendo il piano a primo impatto geniale di Vodocaa. Forse sotto sotto aveva davvero una strategia. Vide la corvina abbassare lo sguardo, mormorando contrariata alcune scuse.
- Come dicevo poi, la massima espiazione delle loro colpe consiste nel suicidio in nome delle loro divinità. In questo modo possono riscattare il loro onore. Sono inoltre un popolo di schiavisti, non sceglierebbero mai di servire un altro padrone. Preferirebbero far esplodere il pianeta piuttosto che cedercelo. - a quest'ultima considerazione, la rivale non ribattè, osservando a denti stretti il tavolo, le mani serrate a pugno.
- Esponi allora il tuo di piano.
- Due parole: Guerra Civile. - il silenzio piombò nella stanza, rendendo possibile sentire il sordo ronzio del proiettore dell'ologramma. Vegeta aveva abbandonato la sua posizione rilassata, sporgendosi leggermente in avanti, incuriosito.
- Guerra civile? - Il sorriso di Endive emanava sicurezza.
- Come ho già detto prima, sono un popolo di schiavisti, con un sistema di caste. Chi nasce nella casta degli schiavi, ovvero la popolazione indigena insieme ad alcuni discendenti di antichi prigionieri di guerra, è costretto a servire un padrone a vita. Ma a differenza dei loro padroni, sono loro i veri proprietari del pianeta. Partiamo dal loro orgoglio, anzichè cercare di ottenere l'aiuto dei colonizzatori. Convinciamoli che i Saiyan li vogliono al loro fianco, che li aiuteremo a riscattarsi in nome dei loro gloriosi avi, e che in cambio vogliamo soltanto il loro sostegno militare e la tecnologia dei loro padroni. Come detto, i loro livelli combattivi sono impressionanti, il doppio di quello di un normale Saiyan; gli antichi Kelettiani possedevano tecniche di combattimento avanzate, e i loro discendenti le custodiscono gelosamente. Numericamente, sono cinquanta volte più numerosi dei loro aguzzini. Potremmo lasciare che si distruggano a vicenda, per poi intervenire al momento opportuno. Saremo in grado di rovesciare le sorti della guerra con uno schiocco di dita.
- Folle! - esclamò Vodocaa. - Vorresti scatenare una guerra? E come farai a convincere questi schiavi, che non si sono mai ribellati?
- Per quale motivo secondo te non si sono mai ribellati? - chiese tranquillamente Endive, girandosi verso la sua rivale. - Paura della morte? Codardia? No, è molto più semplice: manipolazione. Sono stati convinti fin dalla nascita che la loro vita sarebbe stata quella di uno schiavo. Non gli è mai stato mostrato altro. E se un giorno invece apparissero degli stranieri, ad offrirgli una nuova via? Un nuovo modo di vivere da uomini liberi?
- Non si sono mai ribellati finora. Credi che lo faranno ora perchè glielo dici tu? Sicuramente vi sono stati dei contestatori del potere Mentemaliano, perchè non hanno organizzato una guerra civile di loro spontanea volontà?
- Semplice psicologia sociale, Vodocaa. Finora erano soli. A parte qualche testa calda, sono stati un cauto branco di pecore terrorizzati dal pastore. Ma prova a mettere il pastore contro un ariete. Le pecore vedono il pastore arretrare di fronte alla carica dell'ariete, e si convincono che forse, anche se non possiedono le sue forti corna, possono far arretrare anche loro il pastore. Seguono quindi il nuovo arrivato, forti della sua potenza, e poco importa che questo si butti in un crepaccio; loro seguiranno, obbediranno agli ordini perchè soltanto questo sanno fare. Ma avranno sempre, e dico sempre, l'impressione di avere la totale libertà, troppo stupidi per accorgersi di essere manipolati. - Ancora una volta, scese il silenzio in sala.
- Questo piano mi piace. Ma come farai con dei meri terza classe, fra l'altro nemmeno addestrati nello spionaggio? Non hai bisogno di truppe, ma di Ricognitori. Sarebbe il punto debole del tuo piano. - Endive non perse il suo sorriso, a quanto pare impermeabile alle parole di Vegeta, girandosi leggermente verso il tavolo dove sedevano i due Saiyan.
- Toma. Bardack. Potreste raggiungermi, per piacere?
- Questo non era negli accordi. - disse Toma, non riuscendo più a seguire il piano di Endive. Scatenare una guerra era un'operazione meschina, degna di un Ricognitore. Serviva cervello, non muscoli, soprattutto nelle parti finali della strategia. Perchè quindi affidare una missione così critica a loro? Bardack sembrava altrettanto entusiasta all'idea di doversi alzare, ma non fiatò, precedendo Toma e portandosi al fianco della donna, entrando nella luce proiettata dall'ologramma. I suoi occhi neri si scontrarono con lo sguardo di Vegeta, che lo osservava impassibile. Aggrottò le sopracciglia, stringendo i pugni.
- Consigliere Nappa, il qui presente Signor Toma ha il fascicolo della squadra. Potresti farmi l'immenso piacere di leggerlo? - Nappa osservò Vegeta, attendendo il suo lasciapassare. Con un gesto impaziente, il Re gli indicò il gruppetto davanti a loro, illuminati dalla sinistra luce verdastra dell'ologramma. Il gigante scese le scale, avvicinandosi a Toma che, facendo un passo in avanti, porse il plico. Nappa lo sfogliò velocemente, tornando al fianco del reggente.
- Come potete leggere, nonostante le missioni svolte siano state principalmente su pianeti di basso livello, la squadra Bardack è stata attiva anche su pianeti Iota, Zeta e Gamma. Ma mi sono scordata di citare una delle loro ultime missioni. Bardack. - si girò verso il guerriero, lo sguardo più concentrato. Sembrava davvero una giocatrice di scacchi, pronta a circondare il Re dell'avversario in pochi istanti. - Potresti toglierti la battle suit?
Me l'hai chiesto davvero?!? Bardack spalancò la bocca, seguito da Toma che era all'oscuro della loro precedente conversazione. Era convinto che prima la Saiyan scherzasse con quella storia del denudarsi, ma gli aveva appena chiesto  - anzi, velatamente ordinato, davanti al re per giunta, di togliersi l'armatura.
- Su, veloce. - intimò lei, girando lo sguardo verso Vegeta, che sembrava manifestare una leggera perplessità. Trattenendo a stento uno sbuffo, Bardack afferrò il bordo inferiore della suits, allargandola e iniziando a spingerla verso l'alto. L'armatura si sfilò come un guanto, rivelando il fisico possente del guerriero. Lucida, una grossa cicatrice a livello del petto risplendeva sulla pelle bruciata dal sole.
- Sei mesi fa, la squadra Bardack è stata dislocata sul pianeta Xanadu.
- Xanadu era un Beta. Ricordo che sono stati vari i tentativi di conquista. Ho perso settanta uomini in quella conquista. - disse Vegeta, che sembrava aver capito dove volesse andare a parare la Saiyan.
- E con questo? Ricordo bene il rapporto. Il tuo bel soldatino ci ha quasi rimesso le penne a giudicare dalla cicatrice, e l'altra squadra è finita ammazzata per la sua incompetenza. Se non era al livello degli Xanaduiani, che numericamente erano anche inferiori, cosa ti fa pensare che possa anche solo lontanamente sfiorare un Mentemaliano? - Vodocaa aveva toccato il punto debole del piano di Endive. I soldati da lei scelti non sembravano per nulla all'altezza della missione. Ma lei, forte della sua intelligenza o della sua immensa arroganza, non si scompose. 
- Se ricordi bene, Xanadu era un pianeta nello stesso sistema di Mentemal. I due popoli si conoscono, e sebbene i rapporti fossero tesi, vi era pace. Condividevano perfino le tecniche di combattimento. Immaginate ora questa scena. Navi che bruciano l'atmosfera, cadendo con un boato sulla superficie. Sono alieni, che si professano amici dei Kelettiani. Ovviamente, questo non sarà sufficiente a convincerli. Sarà un piano dei Mentemaliani per trovare i loro ribelli. Ma ad un certo punto appare lui. - e così dicendo, posò una mano sul petto nudo di Bardack, con un movimento improvviso che prese di sorpresa il guerriero.
- E cos'ha questo guerriero, a parte un paio di spalle larghe? - chiese Vodocaa, pregustando la vittoria. Il piano della sua rivale si stava facendo semplicemente folle.
- Ha una cicatrice. Una cicatrice dai bordi troppo definiti per essere il risultato di un blaster o un semplice raggio energetico. La forma è oblunga e sottile. Una ferita che i Kelettiani conoscono bene. I ki-blast dei Mentemaliani, che hanno appreso la tecnica dagli Xanadiani, sono raggi ad alta concentrazione di energia, che non puntano a far esplodere l'avversario, ma a tagliare. La forma è quella di un disco dentellato, capace di dividere in due una sequoia. In questo modo hanno sterminato centinaia dei loro guerrieri. Ma lui, questo alieno con la coda, è sopravvissuto, la cicatrice lo dimostra. Basta un singolo colpo per far fuori un orecchie a punta? Noi gli mostriamo che esistono guerrieri in grado non solo di sopravvivere alla ferita, ma di combattere ad armi pari i loro nemici. - L'espressione sorpresa di Toma si era trasformata in un sorriso a denti stretti, mentre una goccia di sudore gli solcava una tempia.
Endive faceva seriamente paura adesso, con quell' espressione determinata, e la voce che imperiosa e carica di adrenalina rimbalzava sulle pareti della stanza. Era davvero una psicopatica, con quella sua intelligenza spaventosa e la semplicità con cui parlava di manipolazione di massa. Quella donna voleva sconvolgere un pianeta, scatenare un conflitto che avrebbe potuto portare alla distruzione dello stesso. E aveva trovato il modo più efficace di farlo.
- Il Team Bardack sarà il simbolo della loro rivolta. Guerrieri dal livello combattivo di cinquemila, capitanati da un guerriero di livello diecimila! Bardack sarà il loro Salvatore, e loro lo seguiranno... o cadranno con lui.

Bardack era rimasto immobile, un fremito d'eccitazione che gli percorreva il corpo come una scarica elettrica. Non lo entusiasmava sapere di essere usato come una sorta di condottiero, un simulacro della parola libertà, ma quel piano assurdo gli piaceva. Gli faceva fremere le mani per l'adrenalina. Endive gli stava offrendo una guerra. E il richiamo del sangue non poteva aspettare.
Vegeta era tornato con la schiena adossata allo schienale del trono, ma anche nella penombra era possibile intravederne i denti, scoperti dal sorrisetto che aveva in volto.
- Penso ci sia poco da discutere. Vodocaa, il tuo piano è geniale.
- La ringrazio, mio signor-
- Ma non so che farmene dei tuoi insulsi guerrieri. Tremila? Vuoi farmi ridere? Morirete tutti appena toccato il pianeta. Vattene di qui. La missione va ad Endive. - L'esotica Saiyan sorrise, esibendosi in un elegante inchino, sotto lo sguardo carico di odio della rivale sconfitta.
È un onore, mio signore.
- Partite fra due giorni. Non vedo l'ora di sapere che il pianeta Kelitt è stato assoggettato da soli sei Saiyan. - il ghigno di Vegeta sparì nel momento in cui si alzò dal trono. Bardack indossò di nuovo la sua armatura, osservando l'uomo avvicinarsi, diretto verso di lui. Vegeta arrivò a pochi passi da Bardack, osservandolo concentrato. Per un attimo, si scambiarono sguardi carichi di tensione. Poi, con immensa sorpresa da parte di Nappa, il Re tese la mano, facendosela stringere senza troppe cerimonie dal terzo livello.
- Diecimila, eh? C'è soltanto un altro Saiyan che abbia questo livello di forza. Se tu non fossi un terza classe, non esiterei a farti Comandante Supremo.
- Non so che farmene dei titoli. - rispose sbrigativamente il più alto, ghignando. - Preferisco i soldi. - Vegeta si lasciò andare ad una grassa risata, lasciando andare la mano di Bardack.
- Voi guerrieri di infimo livello siete davvero dei pagliacci. Forse un giorno ti farò scontrare con questo guerriero. Sarà divertente vederti perdere.
- Non ci conterei. - rispose Bardack incrociando le braccia al petto. Il ghigno di Vegeta si allargò. Dietro di loro, Endive sfoggiava un sorriso soddisfatto.



*juttis: tradizionale calzatura araba, assomigliano alle nostre ballerine - ma a differenza di queste non sono l'antisesso - e sono portate sia da uomini che da donne, cambia soltanto la decorazione.

Note Autore:

Raghi ditemi che qualcuno di voi è fan delle opere di Kota Hirano. Sto riguardando Drifters per la millionesima volta e voglio qualcuno con cui urlareee è magnificooooo!
Ops, riprendiamo le note va.
E ve lo dico subito: le linee temporali in DB sono delle puttanate. E ci ho dovuto rimettere mano. Mi sto un po' stancando di dover rimescolare sempre le carte in tavola che il nostro Toriyama ha disposto, ma siccome sono scema, io devo avere una lore di ferro prima di scriverci sopra. Uno dei miei più grandi grattacapi è in tal senso la questione Tsufuru e colonizzazione.

In Dragon Ball GT - che io non voglio considerare canon manco per sbaglio, stesso dicasi di Super - viene svelato che fu Re Vegeta, lo stesso con la barba e la voce sexy che conosciamo noi, a sterminare gli Tsufuru, appropriandosi della loro tecnologia e scoprendo i viaggi spaziali. Ma quindi, i Saiyan si sono espansi sull'intero pianeta in pochissimi anni? E da un popolo completamente barbaro, praticamente primitivo sono passati a grandi conquistatori dello spazio nell'arco di pochi decenni? Trovo leggermente contradditoria questa cosa. Freezer al momento della morte aveva all'attivo un impero di circa 79 pianeti, molti dei quali conquistati proprio dai Saiyan. Non è specificato da quanto tempo i Saiyan lavorassero per lui, ma contando la loro forza spaventosa, e basandomi sulla facilità con cui, ne "Le Origini del Mito" Bardack e i suoi conquistano Kanassa, non mi è difficile credere che avessero già iniziato la colonizzazione ancor prima dell'arrivo di Freezer. Ma per iniziare a colonizzare, devono aver avuto il tempo di fare loro la tecnologia portata dagli Tsufuru.

 Ora, per fare un paragone, in Italia la diffusione delle ferrovie ha richiesto più di cinquant'anni, contando le difficoltà geologiche del territorio e il nostro onnipresente essere tecnologicamente arretrati. Pensate di dare un sistema ferroviario in mano a dei primitivi, anzichè a degli ingenieri del diciannovesimo secolo. Provate a considerare il tempo necessario per capire come ottenere il materiale, come lavorarlo, come assemblare fra loro i pezzi, capire la fisica alla base del funzionamento, passando poi alla realizzazione vera e propria. Assurdo, vero? Ecco, date in mano a questi stessi primitivi un progetto per un razzo spaziale. Qui l'assurdità tocca limiti ancora inesplorati. Avrebbero dovuto reagire alle navicelle spaziali come le scimmie in "2001: Odissea nello Spazio"!
Non nego che esistano Saiyan con un alto quoziente intellettivo - Endive stessa è eccezionalmente intelligente per i canoni della razza -, ma passare dall'indossare perizomi di pelliccia ai viaggi spaziali nell'arco di poche decadi fa seriamente ridere, anche se si parla di alieni.
A tal proposito, mi sono ispirata ad una parte della lore di Mass Effect - se non ci avete giocato giocateci cià.

Esiste una razza aliena, chiamata Krogan, i cui esemplari sono portati per il combattimento; fisicamente inarrestabili, resistenti, e molto aggressivi - vi ricordano mica i nostri scimmioni? - . Vedendo in questa razza un grande potenziale, un'altra razza aliena, i Salarian, tecnologicamente molto più avanzati, hanno fatto dono della tecnologia ai Krogan, allo scopo di usarli come mercenari per sbarazzarsi dei loro nemici. Tuttavia, il rapido passaggio dallo stato primitivo a quello dei viaggi spaziali ha creato una profonda crisi nella società Krogan, che hanno perso la loro identità culturale. I numerosi vantaggi e benefici portati dalla tecnologia hanno reso la vita dei Krogan "troppo facile": abituati a cercare sempre una sfida,, hanno iniziato a lottare fra di loro, espandendosi e cercando nuovi avversari per sfogare la loro naturale aggressività, diventando in pochissimo tempo una minaccia tale per l'universo da essere sottoposti ad un piano di sterminio.
Penso che ora sappiate fare due più due da soli: se i Saiyan, naturalmente cattivi e aggressivi, fossero stati privati delle sfide naturali che il pianeta e la loro cultura gli procurava, sarebbero stati assolutamente ingestibili; non sarebbero certo bastato mandarli a sterminare qualche pianeta per tenerli a bada. Devono necessariamente aver avuto il tempo di fare loro quella tecnologia, di adattare la loro mentalità al nuovo stile di vita, di adattare anche le loro tecniche di combattimento e la struttura stessa della loro società. 
Pertanto, tendo a spostare lo sterminio degli Tsufuru di circa cinquecento/seicento anni, sufficienti per l'evolversi dei Saiyan e della loro tecnologia ma, soprattutto, della loro cultura.

Ora, vorrei spendere un paio di parole sulla mia OC, Endive, che in questo capitolo ha ricoperto un po' il ruolo da protagonista - non temete, già dai prossimi Bardack si riprenderà il suo adorato sgabello da protagonista.
A partire dall'abbigliamento, fino a passare ai piercing, penso sia ovvia la mia ispirazione dai paesi medio-orientali, India in particolare. Questo dettaglio non è stato pensato a caso, ma ora come ora non posso rivelare altro; è ovvio come la donna provenga da una cultura decisamente diversa da quella a cui siamo abituati. E da brava Ricognitrice, deve buona parte del suo prestigio al cervello di cui, in questo capitolo, ha fatto bellamente sfoggio.
Ebbene!
Abbiamo una psicotica belligerante e cinque Saiyan pronti a menar le mani. Riusciranno i nostri eroi nel loro intento? E Bardack diventerà davvero il capo di una ribellione?
Rimanete sintonizzati!

Ringrazio

namy86 per aver messo questa storia nelle Preferite,

Enchalott
Fandoms_Are_Life
Sapphir Dream 
Shadow Eyes
Tone per aver messo fra le Seguite,

E ringrazio nuvamente
Shadow Eyes e Tone, oltre alla mia cara Nala, per aver recensito! Le vostre opinioni significano molto per me!

Alla prossima!

Black Ink Velvet




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Capitolo 3
*** II ***


Capitolo 2
Capitolo 2


La radura, protetta in parte da una bassa parete di nuda roccia, era costellata da neri frammenti di asteroidi, venati da un materiale vitreo arancione. Riflessi bluastri si riflettevano sulla superficie sferica delle navicelle, distorcendo i contorni delle nuvole che vi si specchiavano. Panbukin, pigramente, cercava di togliersi una fogliolina verde incastrata fra i denti usando uno stuzzicadenti, specchiandosi nell'oblò di una navicella. Dall'interno della capsula era possibile udire i lamenti disgustati di Seripa, intenta a finire di aggiustare il macchinario.
- Panbukin! Non potresti usare tipo qualunque altra navicella, brutto bastardo? Vedere lo stato delle tue gengive mi fa vomitare! - abbaiò picchiando con il pugno sul portello, trafiggendo il compagno di squadra con i suoi occhi blu. Dall'altra parte dello stesso vetro, il corpulento Saiyan rispose roteando gli occhi, allontanandosi con passo ciondolante, diretto verso la sua postazione. Toteppo stava finendo di impilare le provviste, coadiuvato da Toma che, cartella alla mano, revisionava con occhio attento l'inventario.
- Non ci voleva la tempesta di asteroidi. Abbiamo perso uno dei container, dovremo presto richiedere nuove provviste al centro. - Disse chiudendo la cartella, girandosi verso Bardack. Era seduto su di un sasso, a gambe incrociate, una sigaretta ancora spenta stretta fra le labbra, con un'espressione infastidita. - Secondo i report che ci ha dato Endive, dovremmo evitare di mangiare i cibi di questo pianeta, quindi credo...
- Oh, fanculo! - Disse freddamente Bardack girandosi ed osservando Toma irato. - Prima le navicelle non funzionano, e ritardiamo di sei ore. Poi la tempesta di asteroidi, poi Toteppo mi vomita sugli stivali, il campo magnetico del pianeta ci ha fottuto gli scouter e mi sta spaccando la testa, e ora non troviamo la Ricognitrice. Secondo te al momento mi frega del cibo?
- Ci è rimasto solo il cibo. - dichiarò Toteppo con fare teatrale, mangiucchiando un vegetale dalla forma sottile e dal colore giallastro.
- Smettila di mangiare le nostre provviste! - ringhiò Toma strappandogli il bastoncino di mano, suscitando accorate proteste da parte dell'energumeno. Il capitano si stropicciò gli occhi, massaggiandosi l'attaccattura del naso e cercando di non pensare all'emicrania che di lì a poco l'avrebbe stroncato. Seripa, in qualità di guru tecnologico della squadra, stava cercando in ogni modo di sistemare la navicella di Toma, pesantemente ammaccata dall'impatto con un asteroide. Lavorava alacremente da almeno due ore dall'orario di atterraggio, ma non appena erano scesi avevano subito notato l'assenza della sesta navicella. Endive li aveva preceduti di un'ora, dicendo di dover arrivare per prima per assicurarsi che il luogo dell'atterraggio fosse effettivamente fruibile come base operativa, permettendo quindi lo sganciamento dei container contenenti le provviste. Probabilmente non era atterrata nel luogo prestabilito per evitare di attirare attenzioni indesiderate, ma non c'era modo di saperlo. Tutto sarebbe stato più facile se i loro scouter non fossero stati messi fuori uso da un campo magnetico che ne impediva il funzionamento.
- Insomma Bardack, ma questa Endive com'è? Non ce l'hai fatta conoscere. - Disse Panbukin intavolando una conversazione, stranito dal suono degli animali di quel pianeta. I cinguettii erano qualcosa di insolito su Vegeta, e nonostante le innumerevoli missioni, i Saiyan dovevano ancora abituarsi al suono melodioso degli uccelli.
- Quando la vedrai la conoscerai. Non ho nulla da dirti al riguardo. - disse sbrigativamente lui senza degnarsi di girarsi per guardare in faccia il compagno, afferrando la cartella che Toma gli porgeva.
- Eddai, non fare il guastafeste. Dicono che i Ricognitori siano matti da legare, è vero?
- Ad essere matta è matta. - Rispose con voce monocorde, ispezionando la lista delle provviste e dell'equipaggiamento. Improvvisamente, le mani corte e grassocce di Panbukin gli si abbatterono sulle spalle, facendogli quasi ingoiare la sigaretta.
- Beh, ma a noi Saiyan piacciono le donne pazze, vero?  - gli disse con tono canzonatorio reclinandosi in avanti, appoggiandosi a lui con tutto il suo considerevole peso. Bardack doveva ancora capire come mai si fosse guadagnato la fama di Don Giovanni agli occhi di Panbukin. Quando era più giovane, prima di conoscere Gine, non aveva certo disegnato un po' di sano sesso occasionale, ma non aveva mai avuto un numero di donne fuori dalla norma; anzi, per gli standard Saiyan, erano pure poche. Probabilmente voleva soltanto stuzzicarlo, e gli stava anche riuscendo.
- Sposato. Sono sposato, e mi sono rotto i coglioni a ricordartelo. - si limitò a sbuffare il comandante, togliendosi di dosso l'inopportuno collega. - e sai quanto mi interessa di lei! Dobbiamo lavorarci, mica andarci a letto.
- Dai, perchè escluderlo a priori? O hai paura che questo metro e sessantasei di stallone possa rubartela?
- Figurati se una di quelle snobbone viene a maneggiare l'attrezzo di uno che non ricorda quand'è stata l'ultima volta che si è fatto un bagno. - Seripa, dall'interno della navicella, non riuscì a contenere il suo commento sarcastico, coronandolo con una risata divertita. Toma scosse la testa.
- Seripa, sei davvero crudele. Lascialo stare.
- Ma come la sopporti? - Biascicò Panbukin rivolto al vice capitano, osservandolo con sincera curiosità.
- Non chiedere. - rispose lui sospirando.
- Come sarebbe a dire non chiedere? Toma! Ehi! - si affrettò a ribeccare lei. Panbukin scoppiò a ridere, mentre la donna, non troppo lusingata dal commento dell'amante, uscì dalla navicella, diretta verso Toma. Ben presto, la radura venne invasa da urla, risate, oggetti lanciati senza troppo garbo. Un fracasso infernale. Una vena aveva iniziato a pulsare pericolosamente sul collo di Bardack, mentre scopriva i denti in un ringhio niente affatto amichevole.
- Ohi! Smettetela ora, o a casa vi ci mando a calci in culo! - gridò balzando in mezzo al gruppo, separando Seripa da Toma e fulminando tutti i compagni con gli occhi, incrociando le braccia con fare autoritario. Scese un silenzio tombale; i presenti sapevano troppo bene che ce ne voleva per far incazzare Bardack, e come, una volta portato a quel punto, quanto ci volesse poi per farlo calmare.

- Ah, i miei professionisti. Non è una scena che si vede tutti i giorni. - Una voce femminile raggiunse i cinque terza classe, che si voltarono di scatto. Sopra la parete rocciosa alle loro spalle, controluce, si stagliava una figura ornata di preziose stoffe drappeggiate. Lunghi capelli castani al vento accarezzavano spalle dritte, e braccia inguantate di nero erano incrociate su di una lucida pettiera. I riflessi dorati delle numerose collane illuminavano un volto dall'aspetto esotico, e il sorriso divertito che addolciva l'espressione composta faceva da cornice a occhi pesantemente cerchiati di nero.
Endive, un piede appoggiato su di una roccia vicina, li osservava apparentemente divertita dalla scena. Con un balzo agile scese la parete, atterrando con eleganza, il lungo drappo rosso che portava legato alla vita che ondeggiava ad ogni suo movimento. Lasciò ricadere le braccia, ornate da guanti neri sopra il gomito e quattro lucenti bracciali d'oro, lungo i fianchi, avvicinandosi col suo passo felpato al gruppo.
- Benvenuti su Kelitt, signori. La temperatura è di venticinque gradi, umidità al quaranta per cento, con leggera brezza rinfrescante. L'ideale per delle amichevoli scampagnate con gli amici. - disse con quel suo sorriso indecifrabile, incrociando le braccia e attendendo una risposta. Toma fu il primo a reagire.
- Ah, mi spiace che tu abbia visto questa scena. Purtroppo sono sorti numerosi problemi già durante il viaggio, siamo tutti abbastanza nervosi. - Disse facendo qualche passo in avanti, avvicinandosi ad Endive. Lei congiunse le mani, inchinandosi, e lui, sotto lo sguardo allibito dei compagni, rispose eseguendo lo stesso gesto.
- Non importa. Meglio che vi sfoghiate ora piuttosto che durante una missione. E mi lusinga vedere che hai appreso parte dei miei costumi. - Rispose lei rialzandosi e sorridendo contenta all'inchino del collega, posando lo sguardo sui tre membri della squadra che ancora non conosceva. Toma seguì il suo sguardo, e si affrettò a presentarglieli.
- Ti presento Seripa, il nostro meccanico, il nostro tank Toteppo e... beh, Panbukin. Non fa molto altro oltre a combattere ed essere molesto. -  Panbukin non rispose alla provocazione, apparentemente incantato dalla donna. Sbattè le palpebre, allargando un sorriso e pettinandosi i baffi.
- Ehi bambolina, è un piacere conoscerti. - Le sue parole vennero ben presto troncate da un fulmineo schiaffo da parte di Seripa, che lo osservava inferocita.
- Abbi un po' di contegno! - soffiò rivolto all'imbarazzante collega, prima di girarsi ad osservare Endive. Appoggiò le mani sui fianchi, squadrandola. - Quindi sei tu Endive? Ti immaginavo più bassa da come diceva Toma. - si avvicinò con passi calcolati, arrivando a meno di un metro da lei. La differenza d'altezza fra le due donne era più che evidente, facendo apparire la Ricognitrice ancora più aliena di quanto già non fosse. - Quello è per caso un piercing? Saranno cento anni che nessuno li fa più. Non è scomodo andare tutta ingioiellata in battaglia?
- è un onore conoscerla, signorina Seripa - rispose lei con la solita voce vellutata, inchinandosi nuovamente. - Ho letto i suoi files, e ammetto che è un piacere incontrare la Squartatrice di Navarra.
- Bardack, la dobbiamo davvero tenere? Ci sentiranno da chilometri con la sua lingua lunga. - Chiese sarcasticamente la donna rivolta al capitano, causandogli un ulteriore fitta alla testa.
- Questa missione sta iniziando come un fottuto disastro. I nostri scouter sono fuori uso, e non possiamo usare le radio nelle navicelle. Come rimediamo? E dove diavolo eri finita? - chiese lui senza perdere tempo con i convenevoli, incrociando le braccia. Endive sollevò un sopracciglio, palesando una leggera perplessità.
- Il mio punto d'atterraggio è diverso. Dovevo controllare che nessuno potesse vedere il vostro arrivo, pertanto sono dovuta atterrare abbastanza lontano. Comunque, dici che il campo magnetico è tale da metterli fuori uso? Mi sta dando fastidio, ma non pensavo fosse così potente.
- Non ti eri accorta di questo problema? Era il tuo lavoro risolvere problemi. - Disse Bardack irritato, storcendo la bocca.
- Non sono solita portare gli scouter, e come vedi non ne indosso al momento. Sono rilevabili, sarebbe stupido usarli durante le esplorazioni. - rispose lei senza farsi minimamente toccare dal tono arrogante del compagno. - E non ho esplorato io il pianeta. Nei files non c'era menzione di un tale problema, e sono sicura che l'altro Ricognitore si sarebbe accorto di una'anomalia magnetica talmente forte da causare fastidio fisico.
- Quindi?
- Quindi - disse girandosi verso un punto indefinito, come se qualcosa avesse catturato la sua attenzione. - a meno che non abbiano mandato un totale idiota durante la prima ricognizione, sono sicura che ci deve essere un'altro motivo. Vuol dire che questo campo elettromagnetico non c'era.
- Allora, cos'altro potrebbe essere? Eh bambolina?
- Tecnologia anti aerea, o torri elettromagnetiche attivate dopo l'arrivo del primo Ricognitore. Essenzialmente, deve essersi fatto sgamare, e i Mentemal hanno intuito il nostro arrivo, attivando le loro difese. Se fosse stato il campo del pianeta, le navicelle non avrebbero nemmeno potuto atterrare, e ciò sarebbe riportato nei files. Vuol dire che siamo stati agganciati dai loro server nel momento in cui abbiamo toccato la superficie, impedendoci qualunque comunicazione interspaziale. Non mi stupirebbe se i Mentemal avessero una tale misura difensiva. Tagliare i contatti con il mondo esterno sarebbe la prima cosa che farei se dovessi assoggettare un'intero popolo ed eliminarne gli alleati. - si girò verso Seripa, ignorando totalmente Panbukin e il suo sorrisone viscido. - Immagino che le tue conoscenze in campo tecnologico siano superiori alle mie.
- Probabilmente. - rispose lei con il petto gonfio, grattandosi la punta del naso.
- Allora avrò bisogno del tuo consiglio. - Endive, senza aspettare altro, si diresse verso una roccia lì vicina, sedendovisi sopra e tirando fuori da sotto il drappo uno strano bracciale metallico, decorato da quella che sembrava una lunga linea vetrosa, che assicurò sul braccio sinistro. Premette alcuni piccoli bottoni presenti sulla superficie liscia, e il vetro assunse un colorito verdastro mentre un ologramma prese forma davanti al suo viso.
- Woah, posso averne uno anche io?
- No. Tecnologia a distribuzione esclusiva per i Ricognitori. - rispose a Toma, mentre l'ologramma prendeva velocemente le sembianze di una carta topografica in rilievo. - Per quanto strabiliante sia la tecnologia dei Mentemal, non possono posizionare le torri a casaccio. E per generare una tale quantità di onde, devono esserci degli impianti molto grandi.
Endive aveva circoscritto l'area del loro atterraggio, e premendo altri pulsanti la superficie della cartina si tinse di rosso, giallo e verde.
- Questa è la mappa magnetica, giusto? - chiese Seripa, togliendosi lo scouter, ormai inutile, ed avvicinandosi curiosa.
- Esattamente. La mia teoria è che sfruttino le anomalie magnetiche del pianeta per generare delle onde elettriche in grado di disturbare i nostri dispositivi.
- Mh, può funzionare. - rispose Seripa senza mostrare quanto l'avesse sorpresa la velocità con cui la donna avesse formulato la sua teoria. - ma questo vorrebbe dire che posizionano le loro basi secondo le zone isomagnetiche; se volessi ampliare un campo magnetico, sfrutterei i punti di maggiore intensità.
- Esattamente quello che stavo pensando.
- Donne, basta cincischiare, spiegatevi. - intervenne Bardack senza troppi convenevoli, accendendo finalmente la sigaretta che finora aveva torturato.

- È semplice, Comandante. Generare autonomamente un campo magnetico di questa potenza sarebbe un'impresa impossibile anche per un Mentemal. Sarebbe più intelligente, e meno dispendioso, utilizzare un'energia già presente. In pratica, amplificano un campo magnetico pre-esistente, e tramite dei recettori possono manipolarne l'intensità come meglio preferiscono. E per avere una maggiore percentuale di successo, sfruttano le aree del pianeta con un campo magnetico più forte. Questo riduce le possibili zone ad appena dodici. La mia unica domanda è da dove prendano l'energia elettrica necessaria per alimentare una tale struttura, ammesso che ce ne sia una sola.
- Che domande. Dalla centrale elettrica, come tutti. - Toteppo, che fino ad allora se ne era rimasto in perfetto silenzio, aveva parlato con la sua caratteristica naturalezza, sbadigliando senza troppo interesse. I cinque Saiyan lo osservarono perplessi, trasalendo poi quando sentirono Endive battere le mani.
- Ma certo! La centrale elettrica, mi sembra ovvio!
- Tu sei sicura che il campo magnetico non ti abbia causato grossi fastidi, vero? - Il commento sarcastico di Bardack non sfiorò minimamente la donna, che prese a digitare velocemente sul suo bracciale. Una grossa montagna, contrassegnata di rosso, prese il posto della mappa, e un vistoso punto dello stesso colore pulsava sul suo fianco. - Costruire una centrale elettrica in un posto come questo, con un forte magnetismo e sulle pendici ripide di una montagna, non è molto sicuro. Eppure qui, nel punto più pericoloso in assoluto per posizionare una centrale nucleare, è stata eretto un'enorme impianto. E pensateci, se doveste diffondere un segnale, non porreste l'antenna in un punto il più alto possibile, per essere sicuri che si diffonda ovunque?
- Quindi - disse Seripa, allargando gli occhi e mettendo insieme i pezzi del puzzle - stai dicendo che i Mentemal sfruttano la centrale per alimentare l'antenna amplificatrice? Che modo subdolo di nascondere una tale tecnologia.
Uno sbuffo di fumo investì il volto di Endive nel momento in cui Bardack si abbassò verso di lei, osservando concentrato l'ologramma a pochi centimetri dal suo viso. Un sorriso si allargò sul volto, mentre aspirava nuovamente il fumo acre della sigaretta.
- Questo segnale magnetico mi sta demolendo il cervello. Non vedo l'ora di rendere il favore ai Mentemal, spaccando le loro teste.

Il monte Phaxey era la cima più alta di Kelitt. Con i suoi dodicimila metri d'altezza, era perfettamente visibile da centinaia di chilometri. Spoglio da qualsivoglia forma di vegetazione, se non si contavano gli i cespugli di rovi selvatici che la costellavano, appariva come un minaccioso gigante dormiente stagliato contro un cielo che verteva al crepuscolo. Non c'era una nuvola, e i raggi dorati del piccolo sole che alimentava la vita su quel pianeta allungavano pigre ombre sulla parete rocciosa.
Due figure umanoidi erano in piedi di fronte ad un alto recinto. Indossavano blaster ai bracci sinistri, il cui candone metteva in risalto le lucide squame blu che gli ricoprivano gli arti. Volti anfibi, con enormi occhi neri, pelle turchina e quelle che sembravano branchie sul collo scrutavano il sole calante con estrema soddisfazione, mentre le piccole pinne dorsali che avevano a protezione del canale timpanico si muovevano leggermente, seguendo la brezza. Di lì a poco, sarebbe avvenuto il cambio di guardia. Sarebbero finalmente potuti ritirarsi in mensa, a mangiare un boccone, prima di concedersi il lusso di un sonno ristoratore. Il Mentemal più alto sospirò, girandosi a guardare alla sua destra. Appena in tempo per osservare un enorme uomo apparirgli davanti, dal nulla. Spalancò la bocca, mentre istintivamente corse a togliere la sicura al blaster, ma non fu sufficientemente veloce; vide il gigante alzare il braccio, la mano chiusa a pugno calare ad una velocità spropositata verso di lui; poi, nero. Mentre il cranio si frantumava e il palato si spaccava, tentò di gridare fra i denti rotti il nome del suo collega, inconsapevole del fatto che giacesse pochi passi più in là con il collo spezzato. Si afflosciò in un urlo muto, bagnato dal suo stesso sangue, mentre la morte pietosa lo sollevò immediatamente dal dolore atroce che provava.
Toteppo si pulì distrattamente una mano sui pantaloni, osservando con i suoi occhi vuoti Toma, intento a trascinare il cadavere dietro un mucchio roccioso
- E questi sarebbero i tanto temuti Mentemaliani? Fanno ridere. - Proruppe Panbukin calciando il cadavere dell'alieno, facendolo malamente atterrare qualche metro più in là.
- Non mettono di certo la loro avanguardia a proteggere una centrale elettrica, specie se pensano che i loro unici nemici possano essere magri e deboli indigeni. Allo stesso tempo, non vogliono attirare l'attenzione. - L'occhio esperto di Bardack non ci aveva messo molto ad analizzare la scena, capendo che alla fine questi anfibi non fossero più di tanto stupidi, quanto mancanti di lungimiranza. - Troveremo senza dubbio resistenza dentro. Sbrigati ad occultare quel cadavere e meno chiacchiere.
- Signorsì - sbuffò il diretto interessato trascinando il cadavere nel posto utilizzato da Toma, coprendo con dei grossi sassi i due corpi ancora caldi, per evitare di allertare immediatamente il nemico. Il Comandante si avvicinò alla recinzione, arrivando al fianco di Endive, che aveva già iniziato a smanettare sul suo computer da braccio.
- Seripa dovebbe essere riuscita già a stabilire una connessione criptata. Almeno, così aveva detto quando avevamo trovato quel bug nella rete.

- C'è un bug nella rete. - Endive lasciò immediatamente la sua postazione, raggiungendo Seripa e Toma, seduti dalla parte opposta del tavolino, intenti ad osservare lo schermo del computer su cui stavano lavorando. Numeri binari e codici si susseguivano sul montor, mentre la donna digitava febbrilmente sulla tastiera.
- Che genere di bug? - chiese Endive, osservando lo schermo.
- Non ho ancora finito di decrittare il codice, ma ho più o meno capito il linguaggio usato. - rispose lei prendendo a digitare su un secondo computer, posto accanto al suo, iniziando a scaricare alcuni files. - La loro rete è costruita in modo complesso, ma questa complessità non ne garantisce una gran sicurezza.
È
un sistema ancora poco raffinato, e posso collegarmi con il computer usando cinque chiavi di decriptazione. Penso che sia possibile hackerare senza farsi scoprire nell'immediato, come avevi chiesto. Allora, Ricognitrice, ora mi spieghi per quale motivo non radiamo al suolo la fottuta centrale e basta?

- Corrente elettrica nelle mura di cinta. Intelligente. Ma inutile quando l'avversario sa volare, giusto? - Bardack vide Endive annuire, mentre allargava un sorriso sinceramente divertito. Un rumore di stasi provenne dal computer, la voce di Seripa frammentata.
- Sono entrata nel sistema. Ma avrete soltanto dodici minuti da quando riuscirò ad hackerare il sito prima che i firewall segnalino la mia presenza. Vedete di non farmi pentire di essere rimasta indietro.
- Dodici minuti bastano e avanzano - dichiarò fiducioso il comandante, mentre Panbukin posava a terra lo zaino che trasportava, estraendone cinque scouter nuovi di zecca. I presenti assicurarono i nuovi dispositivi sul loro viso, attivandoli dopo il via libera del loro hacker di fiducia.
- Belli questi nuovi walkie talkie. Spero siano impermeabili - Utilizzare strumenti precisi come i Rilevatori per il solo scopo della comunicazione era, ad avviso di tutta la squadra, stupido, ma Endive non aveva voluto cedere. Parlava di "segretezza", di "infiltrazione"; aveva poco senso se lo scopo era quello di distruggere la centrale, o no? Fatto sta che aveva messo mano al set di scouter d'emergenza, disattivandone tutte le funzioni fuorchè il radio contatto.
- Ora, seguite il piano.

- Toteppo e Panbukin si occuperanno del grosso della sicurezza. Attaccherete l'area manutenzione, fate un bello spettacolo, attirate l'attenzione. Toma, tu ti occuperai di bloccare eventuali comunicazioni esterne. Basterà porre questo dispositivo alla base dell'antenna, e Seripa penserà a bloccare i segnali in uscita dalla sua postazione alla base, oltre a guidarci verso i punti d'interesse. Bardack, tu dovrai dirigerti alla Sala di Controllo. Elimina il problema alla radice.

Con un balzo agile, Bardack superò l'alta recinzione, atterrando all'interno del cortile. Dei potenti fari erano già stati accesi, scacciando parte delle ombre che la notte ormai prossima gettava sul terreno spoglio. Gli stivali si ricoprirono di una leggera patina di polvere, e una piccola nube si sollevò quando lui ruotò il busto, torcendo la gamba, osservandosi attentamente attorno, le mani strette a pugno. Sullo scouter, una freccia lampeggiante gli indicava la direzione da prendere. Un boato tremendo scosse la struttura, e Bardack vide chiaramente una grossa nuvola di fumo alzarsi da una bassa ciminiera. Un lampo di luce, e il suono alto di sirene invase la base. Gli occhi allenati del guerriero videro chiaramente una figura ergersi al di sopra di ciò che rimaneva della ciminiera. Occhi potenti come i suoi non faticarono a tracciare i contorni della sfuggente silhouette, che sembrava danzare nella densa nube grigia che l'avvolgeva. E rimase ad osservare quella figura, mentre un altro boato, stavolta alla sua destra, faceva saltare in aria un capanno. Una mano premuta sul suo scouter, ed Endive, in piedi sulla cima della ciminiera, non sembrava più così lontana ed irraggiungibile; la sua figura sontuosa sovrastava tutti, marionettista devota nel gioco della guerra. La vide aprire le labbra carnose, e ancora prima che il segnale radio raggiungesse il suo scouter, sapeva già cosa stesse per dire.
- ORA!
Senza farselo ripetere due volte, il Saiyan abbassò lo sguardo, contraendo i muscoli delle gambe, appoggiando una mano di fronte a sè per sostenere lo slancio. Sorrise, accecato dai fari che gli vennero puntati contro, prima di iniziare una corsa folle, carico di adrenalina, verso quelle luci maledette. Attorno a lui, i fischi tipici dei blaster gli rimbombavano nel cranio, le urla dei soldati gli scuotevano le ossa. Il bagliore del faro non gli dava tanto fastidio, quanto più il fatto che quei soldati non riuscissero a centrarlo nemmeno con il puntamento automatico dei blaster. Che delusione, pensò compiendo un balzo di parecchi metri verso l'alto, le ginocchia piegate sotto le gambe e i capelli che si sollevarono come una fiamma nera nel vento, l'aria sferzante sulla pelle scoperta delle braccia, il riflesso scintillante delle luci in quegli occhi neri come la pece. Ora che era fuori dal fascio luminoso, potè vedere chiaramente i suoi nemici. Anfibi con la bocca spalancata, increduli, piantanti dove erano. Quelli non erano soldati, erano idioti a cui avevano dato un fucile in mano. Bardack tese un braccio indietro, le dita contratte, mentre una scintilla blu ne illuminava il palmo. In poco tempo, una sfera di luce gli avvolse la mano, attimi prima di essere lanciata verso i cinque soldati a terra. Un fragore e un lampo, e di loro non era rimasto nulla.
Atterrò poco oltre il cratere scavato dalla sua onda energetica, riprendendo la sua corsa. Un segnale audio provenne dal suo scouter, mentre un mirino circolare gli mostrava l'esatta posizione e la distanza del suo bersaglio. Con la coda dell'occhio vide Toma sfondare un muro alla sua destra, entrando in un edificio, seguito da un raggio di luce e una potente esplosione. Alla sua sinistra, potè vedere chiaramente la figura di Toteppo inseguire un gruppo di Mentemal, mentre Panbukin finiva di abbattere un grosso capannone a suon di raggi energetici. Ma ancora non poteva crogiolarsi nella dolce arte della demolizione; doveva dirigersi nella sala di comando, prendere tutte le informazioni necessarie, e poi distruggere. La sua meta era esattamente dietro l'edificio che si trovava di fronte a lui. Lo scouter non aveva più la funzione di rilevazione, ma bastò un movimento sfuggente dietro un vetro, poco più di un'ombra, per fargli capire che stavano preparando un'imboscata. Incrociò le braccia davanti al volto per proteggersi, e con uno slancio si gettò contro i vetri dell'ampia finestra.
L'immagine che si trovarono di fronte i Mentemaliani appostati dietro barricate improvvisate fu sconvolgente. Centinaia di schegge di vetro sembravano come sospese attorno al misterioso assalitore, il cui volto era oscurato dai muscoli contratti delle braccia. Prima che i loro raggi energetici si schiantassero sulla misteriosa figura, questi si rifletterono per poche frazioni di secondo sulla nube di vetri che era ancora sollevata in aria, avvolgendo l'uomo in un'aura dorata che sottolineava con ombre marcate il terrificante sorriso che aveva dipinto in faccia. Il tempo sembrò riprendere a scorrere nel momento in cui la deflagrazione scosse l'edificio, immergendo l'enorme stanza in una nube di fumo. Con i loro grossi occhi, i soldati osservarono attentamente attraverso la cortina creatasi, in attesa di vedere il loro nemico a terra, agonizzante. Finora, nessuno era mai sopravvisuto ad un'esplosione simile. Finora.
Bardack sgusciò fuori dalla nube, gettandosi a testa bassa contro il primo gruppo di soldati. Caricò un gancio destro, e lo abbattè sul primo nemico che gli apparve davanti. Sentì, anche se solo per una frazione di secondo, le ossa del viso del Mentemal frantumarsi sotto le sue nocche. Questi volò via, atterrando addosso ai suoi commilitoni, e il Saiyan fu veloce a spezzare il collo al secondo nemico che si trovava a portata. In breve tempo fu un turbinio di calci, pugni, sangue bluastro che si riversava sulla sua battle suit, occhi che schizzavano via dal cranio, toraci che si sfondavano, il suono secco dei colpi sulla pelle scoperta. Bardack afferrò la gamba squamosa di un anfibio, e con una torsione del busto lo atterrò violentemente al suolo, facendogli emettere un orrendo grido strozzato mentre la schiena si spezzava; sfruttando la rotazione così acquisita, saltò in alto con una capriola, alzando un gomito e piantandolo nel collo del nemico di turno.
In poco tempo, la stanza fu ripulita, e al Saiyan non venne dato nemmeno il tempo di gongolare felice della sua forza. Si girò, sentendo chiaramente delle voci provenire dal corridoio dietro di lui. Non aveva mai sentito parlare un Mentemaliano prima, e non si era perso granchè. Voci gracchianti che parlavano nella sua stessa lingua, beh quello era una sorpresa. Utilizzavano il linguaggio galattico a quanto pareva. Puntò una mano verso la porta, il palmo aperto, e fece partire un ki-blast calcolato. La porta esplose, e sentì urla di dolore. Si gettò verso il corridoio, sfruttando una scrivania, prima usata come barricata, come un trampolino di lancio, sovrastando il gruppo di Mentemaliani devastati dalle schegge metalliche della porta. Uno di loro urlava, a terra, lo stomaco che si srotolava sulle sue gambe, altri erano stati più fortunati, altri ancora erano stati massacrati dall'esplosione. Senza battere ciglio, Bardack fece esplodere un secondo raggio energetico, mettendo fine alle sofferenze dei feriti. Mentre correva nel corridoio, avvertì un odore familiare. Sudore, fango, liquami. Odore da campo militare. Che diamine, quella era o non era una centrale elettrica? Più si avvicinava alla fine del corridoio, più l'odore diventava forte. Da una parte, la consapevolezza che la missione avesse la priorità su qualunque altra cosa lo frenava dal voler indagare; ma d'altro canto, quell'odore era davvero troppo strano. Forse si trattava semplicemente di una fossa chimica, vattelapesca dove diamine cagavano i Mentemal, non poteva certo compromettere la missione per quello. Ma qualcosa gli diceva di provare ad aprire una delle numerose porte sul corridoio. Era il luogo perfetto per un'imboscata, forse controllare gli avrebbe salvato le penne. Senza fermarsi, puntò una porta a poche decine di metri da lui. Curvò all'ultimo, sfondando la porta con un calcio, mettendosi immediatamente in posizione di difesa. Spalancò gli occhi nel momento esatto in cui l'ambiente venne rischiarato dal ki-blast che stava formando sulla mano.

- E tu, Endive? Che farai?
- Io? Salvo la giornata, che domande.

Endive premeva senza sosta sui pulsanti del computer portato da Toma, aiutando Seripa ad entrare nel sistema.
- Insomma, ci vuole ancora tanto? - sbuffò Toma abbattendo con un preciso calcio l'ennesimo Mentemal che provava ad assalire la torre elettromagnetica. Arrivare fin lì era stato uno scherzo. Gli avversari erano quasi al loro livello, ma la strategia di Endive gli aveva permesso di coglierli sempre di sorpresa, costringendoli a frammentare i loro uomini, garantendogli un enorme vantaggio. La Ricognitrice parlava di "massimo risultato con il minimo sforzo", e il Saiyan non poteva dire di non apprezzare questa tattica.
- Un po' di pazienza - rispose lei mentre ascoltava, pazientemente, tutte le imprecazioni provenienti dal suo Scouter. Infine, con un grido vittorioso, la donna assordì definitivamente la bruna attraverso l'auricolare del rilevatore.
- Fatto! Sono nel sistema, e sono riuscita a mettere offline più di un firewall. Ora avete una mezz'ora abbondante prima che venga lanciato l'allarme.
- Ce li faremo bastare. Passo e chiudo. - La donna spinse un pulsante sul rilevatore, chiudendo la chiamata. Si stiracchiò leggermente, girandosi verso Toma. Aprì la bocca, pronta a rivelargli il prossimo passo, quando un'avviso di chiamata apparve sul suo visore. Rispose velocemente, il suo sesto senso improvvisamente in allarme, e fu in parte sollevata di sentire la voce di Bardack. Che avesse già completato la sua missione?
- Ricognitrice, abbiamo un problema.
- Sei alla Sala di Controllo?
- Ancora no.
- Allora cosa....
- Ci sono degli schiavi qui. Gente dentro delle gabbie. Hanno le orecchie a punta. Le condizioni sono... non so bene come descriverle. Mai visto una cosa simile. - Toma osservò allibito Endive, incapace di credere a quello che stava sentendo. Endive aveva sgranato gli occhi, le sopracciglia si contrassero improvvisamente. Espirò a denti stretti, e fu quasi possibile vedere lo sforzo che il suo cervello stava avendo per trovare una soluzione. Kelittiani tenuti peggio degli animali in una centrale nucleare, a che diavolo servivano? Perchè erano lì? Questo complicava enormemente le cose. Ora, era il momento di pensare meno ai perchè e più a come uscire da quella situazione. Portò una mano sul rilevatore, facendo qualche passo in avanti, facendo vagare lo sguardo fra i palazzi, in cerca della posizione di Bardack. Le esplosioni causate da Toteppo e Panbukin si stavano avvicinando, arrivando ai limiti della zona a loro assegnata.
- Toteppo, Panbukin, fermatevi! Ora! E dovete andare ad estrarre delle persone, cambio di programma! - gridò nel suo scouter, nel tentativo di farsi sentire da sopra i suoni di battaglia che provenivano dall'area assegnata dei due.
- Eh? Vuoi dire, tipo una missione di salvataggio? Non dovevamo ammazzarli tutti? - la voce grave di Panbukin trasudava l'irritazione provocata dal nuovo ordine, ma la Ricognitrice non aveva il tempo di mettersi a fare troppe moine per convincerlo.
- Sbrigatevi! Non c'è tempo per queste... - Un'esplosione improvvisa, troppo vicina per i suoi gusti, la portò automaticamente ad alzare un braccio per proteggersi dall'onda d'urto che la colpì. Cosa diamine stava accadendo?
- Il computer rivela dei livelli cinquemila in avvicinamento! - la voce di Seripa sovrastò le grida provenienti dalla palazzina appena crollata. Endive serrò la mandibola, osservando molte, troppe silhouette ergersi dalla nube di polvere che si era alzata.

Davanti a lui, un numero indefinito di gabbie erano ammassate lungo i lati della stanza soffocante. L'odore di sterco era pressocchè insopportabile, tanto che un conato automatico gli serrò la gola, facendolo piegare in due, mentre un secondo conato gli stritolava impietoso i muscoli dell'addome. Tossicchiò, sputando da una parte, osservando attentamente le persone stipate in quelle gabbie. Erano magri, ridotti a scheletri, con le ossa sporgenti e la pelle macchiata da orrendi tumori. Occhi grandi e verdi, ma stanchi, osservavano svuotati di ogni emozione lo straniero che si ergeva sulla soglia della porta, le lunghe orecchie che giacevano inermi ai lati del volto. Capelli talmente sporchi da non riconoscerne il colore coprivano i loro volti emaciati, i corpi pressochè nudi coperti di stracci lerci.
Aveva sentito Endive parlare di estrazione. Cosa voleva salvare? Erano ormai ad un passo dalla morte; la carne gli marciva addosso, le ossa erano visibilmente deformate dai lunghi periodi passati in quelle gabbie. Sarebbe stato un atto di pietà mettere fine alle loro sofferenze con un'onda energetica. Ma, prima ancora di poter fare una mossa, vide un movimento in una delle gabbie in fondo, come se qualcuno si fosse improvvisamente mosso. Con i sensi in allerta, Bardack si guardò attorno, cercando un interruttore. Le sue dita trovarono la superficie liscia di un bottone sul muro, a poca distanza dalla porta, premendolo immediatamente. Dopo qualche secondo, una tremolante luce neon causò lamenti strazianti, provenienti da quelle creature martoriate, i cui occhi non erano più abituati alla luce. Il Saiyan osservò disgustato come in alcune gabbie, i vivi dovessero condividere lo spazio angusto con cadaveri in avanzato stato di decomposizione.  Si incamminò verso il fondo della lunga ma stretta stanza, sussultando quando vide una moltitudine di mani scivolare dalle grate, allungandosi debolmente verso di lui, come per raggiungerlo. Si tenne a debita distanza, contento del fatto che avessero braccia troppo corte, avvertendo numerose dita flettersi nel tentativo di afferrarlo, toccargli i capelli e l'armatura, stringendo solamente aria. L'unico suono erano quei lamenti appena accennati, come se anche urlare fosse faticoso. Continuò, come attratto da una forza misteriosa e irresistibile che gli annebbiava la mente, impedendogli di pensare, fino ad arrivare ad una gabbia solitaria, posta stranamente distante da tutte le altre. Da sola, circondata da cadaveri, sedeva una giovane donna. Anche sotto i tratti imbruttiti dalla fame e dalla cancrena, si poteva intuire come un tempo fosse stata una bellissima ragazza; bellezza che era sfiorita in modo orribile e doloroso, a giudicare dal suo sguardo. Bardack si fermò una volta arrivato di fronte a lei. Sedeva sul pavimento, insozzata dei suoi stessi liquami, con le gambe incrociate e la schiena curva a causa delle dimensioni ridicole della gabbia. Il Saiyan si sedette sui talloni, osservandola dritto negli occhi. A differenza di tutte le altre persone, i suoi occhi erano totalmente ciechi, bianchi e lattiginosi, ma le sue orecchie a punta sembrarono in grado di compensare, dal momento che allungò una mano, cercando l'uomo come se fosse consapevole della sua presenza. Incapace di resistere all'impulso, come sotto l'effetto di un incantesimo, Bardack afferrò delicatamente quella mano lurida. Lei schiuse le labbra spaccate e sanguinanti.
- Ekitheí ma - soffiò debolmente.
Bardack fece per rispondere, per dire che non capiva la loro lingua, ma un improvviso boato gli fece rizzare i capelli in testa. La vista virò al bianco, poi al nero, mentre sentiva il suo corpo venire schiacciato da centinaia di tonnellate, sbalzato via chissà dove.
Poi, fu silenzio.





Angolo autrice:
Raghi, prometto che lo ricontrollo meglio il capitolo, ma se continuo a rimandare la pubblicazione finisce che facciamo in tempo a vedere una seconda deriva dei continenti.
Ora!
Non sono morta, solo dispersa per un po'. Ne son successe in queste tre settimane. Alcune brutte, altre belle, altre limortaccitua mi hanno portato via una marea di tempo- mi sono aperta un dito con un bicchiere rotto, ho un montaggio di un corto fra le mani, ho scoperto il canale di Filthy Frank.
Ma da-daaan, sono tornata.
Vi dico subito che tentare di analizzare uno stile di combattimento, o move set di un personaggio come il Gilf Definitivo TM, utilizzando soltanto due filmmini è atrocemente difficile. Mi piacerebbe che ogni guerriero abbia, a seconda del fisico e l'inclinazione naturale, uno stile preciso di combattimento; a fisici e caratteri diversi segue un diverso stile di combattimento. Pertanto, perdonatemi, ma vorrei aprire una parentesi sullo stile di combattimento di Bardack.

La mia conclusione, aiutata anche dalle schede PG di Xenoverse, è che Bardack sia uno che quando picchia, picchia durissimo, prediligendo mosse che lo portino vicino all'avversario per afferrarlo e usarlo come sturacessi. Diciamo che il suo stile potrebbe essere un buon mix fra Judo, Krav Maga e Kudo. Mi spiego.
Innanzitutto, vi lascio dei link Youtube per farvi vedere come i diversi stili funzionino nella vita reale, poichè voglio che possiate immaginarvi il combattimento. Apriteli sempre in nuove schede, o perderete questa pagina!

Kudo LINK
Il Kudo, conosciuto anche come Daido Juku, è un'arte marziale giapponese ibrida che combina fra loro le tecniche più efficaci di pugilato, Muay Thai, Jujitsu e altre arti meno diffuse. Si caratterizza per combinare fra loro tecniche come pugni alla testa, gomitate, testate, proiezioni, leve alle articolazioni e combattimento a terra, mantenendo anche una certa acrobaticità che tuttavia non va a discapito della sua reale efficacia. Non si concentra tanto sull'esecuzione tecnica, quanto sulla potenza con la quale si colpisce l'avversario. Penso si rifaccia allo stile potente e poco tecnico di Bardack.

Krav Maga LINK
Mi scuso in anticipo per l'allegra musica che parte a tutto buco. Comunque:
Trattasi di una tecnica di combattimento di origine Israeliana, nasce principalmente come tecnica di difesa personale. Ciò che mi ha spinta a pensare che questo stile possa essere idoneo per Bardack è il modo in cui trasforma la difesa in attacco, sfruttando la stessa forza dell'avversario. Ne "Le Origini del Mito", quando combatte contro i sicari, viene immobilizzato da uno di questi. Lo vediamo quindi sfruttare la situazione per ruotare e usare il nemico come uno scudo, sfruttando il momento di sorpresa per contrattaccare. Inoltre, utilizza spessissimo delle strette da soffocamento, che sono alla base del Krav Maga.

Judo LINK
Il Judo lo conoscete tutti, suvvia. No? Allora Mama Black ve lo spiega.
Non è altro che lo stile di combattimento proiezionistico per eccellenza, alias, concentra tutto sull'atterrare l'avversario attraverso delle prese, sottomettendolo. Il Gilf preso in esame viene spesso visto utilizzare delle prese per demolire il suo avversario, pertanto io ci vedo bene delle influenze dal Judo, sebbene sottomissione nel suo caso significhi uccidere male.

In lavorazione ho anche il move set di Endive, ma potrebbe volermici un po'.
Gli stili degli altri membri della squadra ancora non li so, non so se li saprò mai, è un bordello e mi ci vorrebbero ore per definirli. Probabilmente saranno molto meno complessi rispetto a quelli di Bardack.

E sì, se ve lo state chiedendo, non ci capisco un cazzo di fisica a meno che non si rifaccia all'illuminotecnica, ma dubito che ai Saiyan serva sapere la differenza fra un faro Fresnell e un proiettore LED. Mi sono basata a logica su ciò che trovavo, e sono sicura che se facessi leggere questo capitolo alla mia amica di ingenieria le esploderebbe la testa. Letteralmente, alla Kenshiro.
Il capitolo è corto e so che avrei potuto scriverlo meglio, ma volevo aggiornare. Quindi vi beccate quello che la mia mente annebbiata dal caldo ha concepito.
Che dire?
Questa missione è davvero iniziata come un fottuto disastro. Come rimedieranno i nostri eroi?
Scopritelo nella prossima puntata di Casa Vianello!

Black





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Capitolo 4
*** III ***


Capitolo 3

Capitolo 3



Camminavano in formazione, armature pesanti a coprirgli il petto e i fianchi che scintillavano come carapaci di scarabei sotto i fari potenti. Le loro labbra gonfie, simili a quelli dei pesci, erano lasciate socchiuse facendo intravedere denti aguzzi, ma non un suono ne usciva. Osservavano insistentemente il paesaggio attorno a loro, alla ricerca dei nemici. I segni di devastazione erano evidenti, ma non riuscivano a trovarne i perpetratori.

- È arrivata la cavalleria. - disse freddamente Endive, stringendo i pugni. Toma, al suo fianco, non riusciva a smettere di guardare i quindici alieni in piedi a poche decine di metri da loro. Se non fosse stata per la fulminea intuizione della Ricognitrice, che aveva dato l'ordine di nascondersi dopo aver intravisto un movimento sospetto, sarebbero stati presi di sorpresa. I Mentemal non avevano una buona vista, ma captavano molto bene i movimenti. Pertanto, rimanersene immobili, nascosti, era la cosa migliore da fare fino a quando non avessero sviluppato un piano di contrattacco.
- Bardack è sotto l'edificio crollato. - Seripa, a voce contenuta, comunicò la notizia al resto del team, osservando rabbiosa ed impotente il segnale dello Scouter del capitano, fermo e indebolito dallo spesso strato di macerie. Toma contrasse le sopracciglia in un'espressione di preoccupazione, inumidendosi le labbra nervoso,  girando lentamente lo sguardo verso la Ricognitrice.
- Dobbiamo andare a recuperarlo. - la donna non si mosse, continuando ad osservare i nemici concentrata.
- Seripa, ho bisogno che tu ci dica il livello combattivo del plotone appena arrivato.
- Subito. - La sentì digitare furiosamente sulla tastiera, attimi di silenzio nei quali sentiva il cuore andare al ritmo di digitazione della Saiyan. Era essenziale mantenere la mente lucida, e l'ansia che sentiva salire insieme al sangue alla testa le permise di osservare con maggiore attenzione la situazione. Era stata in situazioni peggiori nella sua breve carriera da Ricognitrice, e ne era sempre uscita vittoriosa. Continuò a ripeterselo mentre studiava l'area attorno a loro, osservando il gruppo di guerrieri muoversi compatto nella direzione del recente crollo.
Ignorò il secondo richiamo di Toma, che si stava innervosendo per il prolungato silenzio da parte dell'amico. Lo sentì chiamarlo al microfono, e diventare irrequieto ogni qual volta non riceveva risposta. Lei, d'altro canto, non sembrava per nulla toccata dalla faccenda; ci voleva ben altro per mettere fuori combattimento uno come Bardack, ed era fiduciosa dei suoi calcoli.
- Livello: settemila e duecento a testa. - Chiuse le palpebre, trattenendo un pesante sospiro. Quando riaprì gli occhi, si girò verso il compagno.
- Sono troppo fuori dalla nostra portata. - soffiò Toma, una gocciolina di sudore che si fece strada lungo la sua fronte. Perfino Toteppo e Panbukin si erano fermati nel sentire quelle parole.
- Cosa facciamo ora? - chiese quest'ultimo gracchiando nel microfono. - Soltanto Bardack è forte abbastanza da...
- Combattiamo. - le parole, dette con tono freddo dalla Ricognitrice zittirono tutti i presenti. - Non possiamo perdere questa base. Attaccateli.
- Sei impazzita? - disse retoricamente Toma, osservando inquietato quel plotone di Mentemal che, silenziosi, ancora non davano segno di voler iniziare ad esplorare il sito. Endive lo guardò seria, le sopracciglia sottili aggrottate sopra gli occhi.
- Non contestare. Se non li attacchiamo ora, rischiamo di compromettere la missione.
- Non seguiamo i tuoi ordini. Il nostro capitano è sotto le macerie e non da segni di vita.
- Per questo preciso motivo il comando ora passa a te. Se non ordini di attaccare perderemo la base. - il tono della Ricognitrice si era fatto vagamente minaccioso, ma il vice non ne voleva sapere nulla.
- Non siamo la tua carne da macello, e non farò morire la squadra per la missione. Toteppo, Panbukin, copritemi mentre recupero Bardack, ci ritiriamo! - Senza dire altro, Toma si lanciò verso le macerie, uscendo dal suo nascondiglio. Immediatamente, un urlo agghiacciante gli fece accapponare la pelle. I Mentemal partirono all'attacco, ed erano estremamente veloci. Toma si spinse al limite, volando a tutta velocità verso le macerie. Non avrebbe avuto troppi problemi a trovarlo, gli serviva soltanto di trovare la sua precisa localizzazione.
- Seripa, mandami la posizione esatta di Bardack, ci ritiriamo!
- Subito, To... Capitano! - Capitano. Quella parola fu sufficiente a formare un groppo in gola all'uomo. Il suo migliore amico era forte, più forte di qualunque altro Saiyan, non poteva essere - Endive non poteva avere ragione. Non... non...
Il turbinio dei suoi pensieri venne interrotto bruscamente quando, con la coda dell'occhio, vide un fascio di luce diretto verso di lui. Imprecò a denti stretti, rotolando sul fianco destro, alzandosi in volo per allontanarsi dai fari. Vide chiaramente un disco di luce schiantarsi contro un muro, tranciandolo di netto.
- Manovre evasive! Manovre evasive! - Gridò mentre altri dieci di quei dischi si schiantarono attorno a lui. Si coprì istintivamente la testa con le braccia, avvertendo un bruciore intenso sull'avambraccio sinistro. Quelle dannate lame volanti avevano appena lasciato un grosso taglio sulla sua pelle, ed era stato appena sfiorato. Come diamine aveva fatto Bardack a sopravvivere ad uno di quei cosi lanciato in pieno petto? Si girò sulla schiena, lasciandosi cadere a peso morto verso l'edificio crollato, le braccia stese verso i nemici, e iniziò a lanciare raffiche di ki-blast. I soldati evitavano con scioltezza i suoi colpi, con movimenti bruschi e scattosi, quasi robotici. Toma fece leva sugli addominali, compiendo una capriola, atterrando pesantemente al suolo. Il suo Scouter segnalava con acuti suoni la posizione di Bardack, e senza attendere oltre si mise a scavare affannosamente, sollevando massi. Alzò per pochi istanti lo sguardo, osservando Toteppo e Panbukin scagliare continui raggi energetici, facendo esplodere i dischi energetici a mezz'aria. In poco tempo, la luce dei fari rese la cortina di fumo impenetrabile, densa alla vista. La gola di Toma si era riempita di polvere, e la tosse lo scuoteva, ma questo non lo fermò, continuando a scavare a mani nude. Sentì un urlo provenire dal suo auricolare.
- Toteppo e Panbukin sono a terra! Ripeto, sono a terra! - Toma osservò impietrito i corpi dei suoi due amici cadere, trascinandosi con loro alcuni stralci di fumo avvolti come corde attorno alle loro gambe. Sentì chiaramente il cuore fermarsi nel momento in cui sentì il tonfo di quando finirono a terra, e fu soltanto quando questi imprecarono ad alta voce, tentando di rialzarsi che il vice tirò un sospiro di sollievo. Sollievo che durò poco.
La sua visuale venne interamente occupata da una corazza dal colore cangiante, all'altezza del suo viso. Deglutì silenzioso, alzando gli occhi e piantandoli in quelli enormi del Mentemal. Non ne voleva sapere di morire trascinandosi su delle macerie come un verme; non ne voleva sapere di morire in modo così indegno, ad appena sette ore dall'inizio della missione. Gridò, caricandosi con quell'urlo di guerra, e si avventò contro il nemico. Il suo pugno non lo sfiorò nemmeno, in compenso ricevette una poderosa ginocchiata sull'addome, che lo fece piegare in due. Morse la polvere, che gli impastò la bocca e si mischiò al sapore acido di un rigurgito, mentre il torace veniva scosso da una tosse persistente che gli grattava la gola. Avvertì chiaramente la presenza del nemico, che si era leggermente chinato verso di lui. Rotolò sul fianco, il polso destro stretto nella mano sinistra, e scagliò un potente ki-blast. Il Mentemal emise un verso agghiacciante, portandosi una mano all'occhio, sangue bluastro che gli schizzò sul viso; lo vide arretrare di qualche passo, mentre i compagni lo osservarono parlando ad alta voce in un dialetto sconosciuto. Qualcosa di duro lo colpì al viso, spaccandogli il naso, ma ciò non fu sufficiente a fermare la risata sprezzante che proruppe dal profondo del suo petto, premuto presto sotto il pesante stivale del Mentemal ferito.
- Almeno sono riuscito a ciecare uno di voi stronzi - disse mentre un sorriso strafottente si faceva largo sul volto impolverato, mentre osservava in alto. Il cielo era ormai nero, e i potenti fari illuminavano le silhouette dei suoi futuri assassini. Non era affatto un bel modo di andarsene, con Seripa che strillava nel microfono, ma oh, al diavolo. Vide il ferito alzare un braccio, mentre un ki-blast ne illuminava le dita palmate. Strinse i pugni, il cuore che palpitava impazzito nel petto, batté le palpebre.
Quando le riaprì, vide soltanto rosso.
Rosso...?

Il drappo danzava, stretto alla sua vita, seguendone i movimenti sinuosi. Strinse fra pollice, medio e anulare il gomito teso del Mentemal ferito, premendo con forza sulla giuntura. Non appena il suo braccio cedette, il raggio energetico gli morì in mano, spegnendosi, e ne approfittò per costringerlo a piegare il braccio dietro la testa, senza lasciare la presa sul gomito. Senza attendere oltre, con la mano libera chiusa a pugno, lo colpì dritto sull'ascella, centrando tutta la forza sulla nocca del dito medio che sporgeva, centrando in pieno un nodo nervoso. Il nemico urlò orribilmente, accasciandosi a terra contorto dal dolore. Bastò una spinta con il piede sinistro per eseguire una torsione a mezz'aria, la gamba destra piegata sotto il corpo, atterrando con il ginocchio così piegato sul volto del nemico. Il suono del cranio che si spaccava inesorabilmente sotto il ginocchio della guerriera, che aveva eseguito tutto nell'arco di una manciata di secondi, fu il fattore scatenante di una reazione disorganizzata e impacciata. Innumerevoli dischi si schiantarono contro l'aggressore, i cui numerosi gioielli scintillarono nel momento in cui si girò, profondi occhi castani che indagarono in assoluta tranquillità la scena che si stava svolgendo, prima di sparire dietro la nube alzata dalle esplosioni. Quando il fumo si diradò, della donna non c'era traccia, così come del guerriero Saiyan che poco prima giaceva al centro del gruppo. Rimasero immobili, confusi; iniziarono a guardarsi intorno, scandagliando ogni centimetro del terreno accarezzato dai fasci di luce. Dove diavolo era finita? Un improvviso fruscio li fece saltare sul posto, e si girarono osservando un secondo guerriero accasciarsi lentamente a terra, la testa che penzolava su spalle e petto, il collo inesorabilmente andato. 
- Dove sei? - urlò un guerriero Mentemal, rivolto alla scimmia che aveva appena fatto fuori due dei suoi compagni in tutta scioltezza. Non poté finire la frase, poiché un preciso ki-blast gli trapassò il cranio, uccidendolo sul colpo. Agli anfibi bastò seguire la direzione del raggio per trovare la donna in aria, le braccia incrociate, intenta ad osservarli in modo indecifrabile attraverso il vetro verde di uno scouter, la lunga coda pelosa che si muoveva tracciando numerose onde, parlando fra se e se a voce bassa. Li stava prendendo in giro. I guerrieri sopravvissuti lanciarono i loro gracchianti urli di guerra, alzandosi in volo, i dischi energetici già pronti per essere lanciati. Uno di loro, tuttavia, non riuscì a spiccare il volo. Abbassò lo sguardo, osservando prima accigliato, poi sorpreso, la mano sbucciata che sbucava dalle macerie e che l'aveva afferrato per la caviglia. Emise una debole esclamazione di sorpresa mentre veniva trascinato sotto i massi, avvertendo le ossa rompersi al contatto con le macerie, un braccio possente gli si strinse attorno alla gola, soffocandolo. Nel mentre, Endive rimase immobile, senza curarsi troppo degli undici nemici che le si stavano scagliando contro. Lentamente, il suo corpo venne come avvolto da una strana patina iridescente, prima di sparire come inghiottita dall'oscurità della notte. I Mentemal si bloccarono, gli occhi strabuzzati.
Un tentennamento che gli costò caro. I fari sotto di loro esplosero con un suono secco, facendo volare tutto attorno i frammenti dei vetri. I loro occhi ci misero tanto, troppo ad abituarsi all'improvvisa scarsità di luce, facendoli fermare per lunghi secondi a mezz'aria, rendendoli bersagli fin troppo facili. Due di loro avvertirono un calore bruciante sulla schiena, dapprima un leggero fastidio, seguito in breve tempo da un dolore atroce. Il raggio che li colpì fu talmente potente da quasi carbonizzarli, donandogli una morte impietosa e orribile. Alle loro urla si sovrapposero le grida di sorpresa dei soldati nel momento in cui un fulmine verde e rosso piombò su li loro con violenza.
Bardack era ricoperto di polvere e sangue, ma combatteva come una belva. Aveva dei lividi su braccia e spalle, e una grossa macchia di sangue gli decorava il lato destro del volto, eppure tutto ciò non sembrava averlo minimamente scosso. Afferrò un anfibio, e con la mancina gli prese la mascella, arpionando le dita contro il pavimento della sua bocca, ignorando i denti aguzzi che pungolavano la sua pelle callosa; con la mano destra, invece, premette sul palato, usando i pollici per meglio far presa sul volto dell'alieno, e tirò con decisione in direzione opposta. La gola e la testa del Mentemal si lacerarono mentre questo emetteva un suono gorgogliante, mentre i polmoni e la trachea venivano esposti. Il comandante lasciò cadere il corpo agonizzante, gettandosi sul nemico più vicino. Ogni colpo era una vendetta per ciò che avevano inflitto a quegli idioti dei suoi compagni; l'unico che aveva il diritto di pestarli in quel modo era lui e lui soltanto. Ma questa furia cieca lo rese disattento, troppo fiducioso nella sua forza, prono a commettere errori. Si sentì afferrare per le spalliere dell'armatura, e trascinato con forza verso sinistra. Quando alzò lo sguardo per incontrare il suo nemico, incontrò una matassa di capelli castani, e una pettiera lucida sormontata da troppe collane per essere considerata comoda. Vide con la coda dell'occhio il suo nemico venir tranciato in due dal disco di un suo compagno, indirizzato a lui, e immediatamente l'istinto di sopravvivenza ebbe la meglio sulla necessità di trucidare senza pietà quei maiali. La Ricognitrice non perse tempo, afferrando Bardack per l'avambraccio, appoggiandogli entrambi i piedi contro il torace: stava chiedendo di essere lanciata, e lui l'accontentò, ruotando su se stesso in un gesto automatico, e facendo leva sui muscoli addominali tirò indietro il braccio, spedendola poi a tutta velocità verso tre Mentemal. I restanti sei se li sarebbe presi lui. Endive combatteva con tecniche che finora non aveva mai visto; aveva agganciato un soldato con le caviglie incrociate all'altezza della gola, e aveva iniziato a ruotare, trascinando il nemico inerme con sé. Nel momento in cui piegò le ginocchia, ruotando velocemente su se stessa e aprendo le caviglie, lanciandolo lontano, si poté sentire chiaramente lo schiocco dell'osso del collo che si spezzava. Non era potente, ma era veloce, e non esitava a colpire i punti deboli dei nemici. Si ritrovò a pensare a quanto potesse essere subdola, con quel suo sguardo impassibile anche in un momento simile, mentre con un gesto sciolto spezzava la carotide del secondo guerriero.

La luce dell'alba rischiarava già da una mezz'ora la base. I raggi filtravano attraverso le finestre rotte, gettavano ombre sulle macerie, e facevano scintillare la torre di controllo come un prezioso gioiello in mezzo a così tanta distruzione.
Seripa stava finendo di disinfettare il naso di Toma, deviato e rotto, riprendendolo ogni qual volta un lamento sfuggiva alle labbra del ragazzo. Toteppo e Panbukin ronfavano beatamente sulle brande prima appartenute ai Mentemal, ricoperti di ferite e bende. Bardack era seduto sulla finestra ormai andata, le gambe a penzoloni nel vuoto, mentre osservava la figura silenziosa di Endive che girava in cerchio da almeno mezz'ora. L'aveva vista andare alla torre di controllo, tornare indietro, accendersi una sigaretta, buttarla, tornare alla torre, e infine piantarsi lì, una seconda sigaretta fra le labbra, mentre osservava il sole nascente. La Ricognitrice poteva nascondere bene il suo stato d'animo dietro un volto di pietra e movenze sinuose, ma l'odore di ormoni che aveva sentito immediatamente dopo la battaglia - un odore che non sapeva di adrenalina, troppo acre e bruciato - gli aveva fatto intuire come la donna fosse altamente incazzata. E a giudicare da quanto forte quell'odore fosse, al punto da riuscire a superare i fumi del sangue e del fango, dedusse che non fosse mai stata così alterata in vita sua. Eppure, a guardarla in quel momento, con il bel viso pulito da ogni sporcizia e una sigaretta mezza consumata fra le labbra, non avrebbe mai immaginato uno stato d'animo tanto in subbuglio.
- Ehi, notizie da Vegeta? - Gridò mettendo le mani a coppa attorno alla bocca, lasciandole poi cadere sulle ginocchia. La Ricognitrice rimase immobile, ma poté giurare di vederla chiudere gli occhi e contare fino a dieci. Si girò, osservando Bardack e la grossa garza tinta di rosso che aveva incollata alla fronte. Se avesse potuto sparare laser dagli occhi, a quest'ora il Saiyan sarebbe bello che stecchito. Si diresse verso una delle navicelle che aveva portato lì alla fine della battaglia, prendendo un piccolo zaino e caricandoselo su una spalla, dirigendosi poi verso l'edificio attualmente utilizzato come infermeria. Comparve poco dopo alla porta, la mascella serrata in un'espressione severa, mentre con il suo passo altezzoso si faceva largo fra i muri crollati e le brande ribaltate. Arrivò di fronte ad un tavolino, e vi posò lo zaino, aprendolo.
- Arriveranno presto i rifornimenti di cibo, e ho richiesto anche una nave medica per le vasche di rigenerazione. - Disse utilizzando il suo solito tono di voce melodioso, senza far trasparire in minima parte la rabbia che Bardack le aveva visto manifestare poco prima. - Possiamo utilizzare questa centrale come base. Seripa è riuscita a caricare l'override del sistema, e abbiamo il pieno controllo della torre. Le comunicazioni interspaziali sono state ripristinate correttamente, e forse riusciremo anche a connetterci ai sistemi centrali dei Mentemal. - Il silenzio calò nella stanza, sostituito dal suono delle boccette di medicinali che lei stava meticolosamente sistemando in file da tre. Bardack si era girato, appoggiando la schiena all'infisso della finestra, una gamba che ancora dondolava nel vuoto, l'altra piegata e usata come appoggio per il braccio bendato, osservando le spalle dritte della donna.
- Hai già fatto rapporto?
Endive osservò attentamente l'etichetta su di un porta pillole, senza smettere di sistemare i farmaci.
- Ovviamente. - disse posando il contenitore, chiudendo lo zaino e girandosi verso il Saiyan, appoggiandosi con il sedere al basso tavolino, le mani arpionate al bordo.
- E cosa hai riferito? Non è anche mio compito approvare i rapporti prima di inviarli?
- Ho soltanto mandato files riguardanti la mia giurisdizione come Ricognitrice. Non appena avrò rimesso in funzione il computer della sala di comando potrò connetterti direttamente a Vegeta, così che si possa inviare...
- Hai mandato un report sulle prestazioni della mia squadra. - Il tono del capitano si era improvvisamente fatto più grave, facendo girare di scatto sia Toma che Seripa. Perfino Toteppo, avvertendo l'improvvisa elettricità nell'aria, aveva aperto un occhio, osservando il suo capitano. Endive non allargò un sorriso come era solita fare, rimanendo con le labbra chiuse e il volto di pietra, ma incrociò le braccia al petto.
- Era mio dovere farlo. I report possono essere utili per le future valutazioni e le missioni...
- Cos'hai detto sulla mia squadra? - La donna rimase ferma, senza farsi infastidire dal fatto che fosse stata interrotta sgarbatamente per ben due volte di fila. L'uomo si alzò in piedi, dirigendosi verso di lei. Arrivò a meno di un metro, osservandola dai dieci centimetri d'altezza che li differenziavano.
- Ho detto che grazie alle vostre abilità, è stato possibile ottenere il controllo di un punto di immensa importanza strategica, ma che la collaborazione sta incontrando degli ostacoli. Cosa più che normale agli inizi di una missione.
- Hai scritto davvero soltanto questo?
- Puoi consultare il file inviato, o richiederne una copia al centro di comando. Hai il diritto di farlo. - Bardack serrò la mascella.
Quei dannati Sorci avevano un potere immenso. Conosceva persone la cui carriera era stata stroncata da una brutta valutazione da parte di questi Ricognitori, e aveva visto con i suoi stessi occhi la derisione e la nera povertà che si abbattevano su di loro. Nessuno voleva  assumere una squadra che non sapesse fare il suo lavoro, e in troppi finivano a dover lasciare il pianeta con la famiglia, trasferendosi altrove e cercando fortuna come mercenario, inevitabilmente rovinati per il resto della vita. Bardack sapeva perfettamente che erano stati commessi degli sbagli, ma doveva proteggere la sua squadra.
- Mi fido. Ma la missione da te tanto ben pianificata è stata affrettata, e il piano era traballante. Non puoi dare tutta la colpa ai miei uomini.
- Se i tuoi uomini avessero eseguito gli ordini, a quest'ora la missione sarebbe stata un successo di gran lunga maggiore. Ma l'importante è che la missione si sia conclusa.
- Sai bene che una tua parola sarebbe in grado di rovinarli. Di rovinarci. Non voglio che accada.
- Se lo desiderate così ardentemente, la prossima volta vi consiglio di eseguire gli ordini invece di agire di testa vostra. - Lo sguardo di Endive si era assottigliato, facendo salire il nervoso a Bardack.
- Toma ha fatto ciò che doveva: ha messo la vita dei suoi uomini prima della missione. Io ero fuori combattimento, e lui ha preso il comando. Non mi risulta che dobbiamo rispettare i tuoi ordini.
- Sono una Ricognitrice, do per scontato che ascoltiate ciò che dico. I tuoi uomini hanno abbandonato le loro postazioni, rischiando di compromettere la missione. Devono aver fiducia in me, o questo disastro si ripeterà. - ribattè prontamente la donna, abbandonando la sua posa rilassata e puntando un indice accusatore verso il volto del capitano, il volto ancora disteso ma tinto da uno sguardo severo. Questo lo fece imbestialire ancora di più.
- Non basta qualche piroetta per aria per ottenerla! Lavoriamo insieme da cinque anni, e si fidano ciecamente del mio giudizio, dei miei ordini. 
- Se non fosse stato per il mio intervento...
- Non hai capito, donna. Tu per noi non sei nessuno.

Non si aspettava di certo il pugno che, preciso e travolgente, lo colpì sullo zigomo sinistro, facendolo volare verso il muro, sfondandolo. Si coprì il volto con le braccia, il sole che filtrava dritto negli occhi. Un'ombra improvvisa oscurò il sole, e lui sentì chiaramente un improvviso tepore sul petto. Abbassò le braccia, osservando Endive salirgli sopra, ancora in volo, stringendo le cosce ai lati della sua gabbia toracica, le gambe ripiegate e una mano già sul suo collo, frammenti di muro che gli sfioravano il corpo. In qualunque altra occasione, avrebbe sputato una battutaccia su quanto quella situazione fosse eccitante in ogni senso, ma era abbastanza imbestialito da passare sopra le buone maniere. Tirò indietro il braccio per caricare un gancio destro, quando la sua schiena colpì il terreno. Il peso di Endive per un attimo gli mozzò il fiato, ma non bastò a fermarlo. Afferrò per un braccio la donna, portandola sotto di sé dopo essersi girato con un colpo di reni. Tentò di colpirla al volto, ma lei fu veloce a piegare il collo, evitando il colpo. Bardack avvertì un improvviso formicolio sul braccio destro, e istintivamente si allontanò con un salto. La Ricognitrice si rialzò, osservandolo di sottecchi, pronta a rispondere ad un suo eventuale attacco. Il Capitano fece per caricare, quando una scarica di dolore al braccio destro fece vertere la sua vista al bianco. Rimase fermo, osservando le vene stranamente gonfie su tutta la lunghezza dell'arto.
- La mia tecnica di combattimento ruota attorno all'utilizzo di colpi sui nodi nervosi.
È un modo efficace per averla vinta su un avversario ostico.
- Ma tu chi cazzo sei? Se sei così forte, in missione perché non ci vai da sola? - brontolò lui massaggiandosi il braccio. La donna sospirò, portandosi una ciocca di capelli dietro l'orecchio.
- Ti deluderebbe sapere che non sono affatto tua pari. Il mio livello di forza è di solo ottomila e settecento. In uno scontro prolungato, tu avresti la meglio senza alcun dubbio. - Endive si avvicinò, ignorando lo sguardo sospettoso del capitano.
- Ehi, stai lontana da Bardack! - Toma, affacciato alla finestra, era in procinto di saltare giù in soccorso dell'amico. Bardack osservò lo sguardo tranquillo della Ricognitrice, soffermandosi a lungo in quegli occhi, cercando di capirne le intenzioni.
- Va tutto bene Toma. Torna a giocare al dottore. - Gridò sbrigativamente di rimando, senza mai perdere di vista la donna. Lei era ormai vicinissima, a poche decine di centimetri da lui. Con delicatezza avvolse le mani attorno al suo braccio, attirandolo verso di sé. Lui si ribellò, certo che ne avrebbe approfittato per spazzargli definitivamente il braccio, ma dopo qualche attimo di tentennamento, fiutando l'aria in cerca di un pericolo che non avvertiva, decise di lasciarla fare. Anche perché non sentiva più l'arto.
- Devo chiederti una cosa. - sussurrò lei a voce bassa, mentre con i pollici percorreva l'avambraccio, premendo ripetutamente su alcuni punti. L'uomo sentì immediatamente il dolore alleviarsi, ma il formicolio continuava a persistere. - I tuoi uomini non ne hanno voluto sapere di ascoltare le mie indicazioni. Ma tu... - Premette sull'attaccatura del braccio, e immediatamente le vene si sgonfiarono, mentre il sangue riprendeva a scorrere nelle dita intorpidite. Lei allontanò i capelli che le erano scivolati sul volto con uno scatto della testa, rialzando lo sguardo verso il comandante. - Quando ti ho ordinato di rimanere fermo sotto le macerie, attendendo il mio via libera per attaccare, mi hai ubbidito. Non hai fatto domande, né hai protestato. Dici che ci vuole ben altro per guadagnarsi la fiducia dei tuoi uomini, perché allora ti sei fidato di me?
Bardack rimase in silenzio, mentre la donna premeva sull'ultimo punto. Finalmente, il braccio era nuovamente funzionante. Anzi, non sentiva nemmeno più il dolore sordo dei lividi e dei graffi. Osservò la mano aprirsi e chiudersi, e si batté contento la mano sinistra sul bicipite muscoloso.
- Istinto.
- Istinto?
- Ho sentito tutto quello che accadeva nello scouter. Ho sentito Toma disobbedirti, e il resto della squadra seguirlo. Ammetto che sono stato fottutamente fiero del fatto che se ne fosse infischiato dei ruoli per salvare i suoi compagni. Ma ha commesso un errore, e ne ha pagato le conseguenze. Tu eri l'unica ad avere una visione distaccata della situazione, a non essere emotivamente coinvolta. Eri del parere che bisognasse combattere, e ho dovuto fidarmi di ciò che dicevi. Questa è la spiegazione logica, visto che tanto ti piace. - Endive rimase ferma, le braccia stese lungo i fianchi, mentre osservava l'uomo; era quasi possibile vedere il suo cervello lavorare alacremente ad una risposta, come gli ingranaggi di un misterioso ed intricato marchingegno.
- Ti ho attaccato pensando che, in quanto Saiyan, mi avresti rispettata per la mia forza.
- Ad essere forte sei forte. Ma non siamo dei fottuti animali, serve anche altro. Non basta staccarmi un braccio per dire "ehi, sono meglio di voi ascoltatemi". - Gli occhi castani scivolarono via dalla presa dei gemelli d'onice, denudando per la prima volta un tentennamento nella risposta della donna. Quella situazione sembrava metterla in difficoltà.
- Senza ombra di dubbio, voi non siete così. Non vi importa dei canoni della nostra razza. Per questo, sto pensando di cambiare la mia condotta. - Rimase in silenzio, prima di riportare lo sguardo sul Saiyan. La sua espressione era ancora inintelligibile, il linguaggio del suo corpo continuava a seguire una rigida etichetta che ne impediva la lettura, eppure Endive sembrava davvero volersi esporre. O forse, era soltanto molto brava a farglielo credere.
- Quando sono apparsa sulla parete rocciosa non è stato soltanto in virtù del mio amore per la teatralità. Psicologicamente, farmi vedere in posizione sopraelevata porta il soggetto ad essere in soggezione al mio cospetto. Ho continuamente ricordato la superiorità del mio status e del mio intelletto per portarvi a vedermi come una figura di riferimento, e per...
- Frena. - disse lui portando le mani avanti, bloccando il monologo della Ricognitrice. - Primo: non ho capito un emerito cazzo di quello che hai appena detto. Usa parole più semplici, che non devi fare colpo su nessuno. Secondo: non ho capito cosa stai cercando di dirmi. E non dico le parole, ma perché mi stai rivelando le tue tattiche. Non sono, tipo, segreti da Sorcio?  - Dopo qualche attimo di teso silenzio, vide per la prima volta Endive fare un gesto umano, confutando la sua teoria secondo la quale lei fosse in realtà una cyborg: la vide torturarsi brevemente le mani. Si stava davvero sforzando di comunicargli qualcosa allora.
- Tu sei il capitano della squadra, pertanto ritengo opportuno chiedere il tuo parere.
È la prima volta che i miei collaboratori non obbediscono ad un mio ordine, e questo mi fa pensare che sia doveroso cambiare il mio atteggiamento per il bene della missione. Comportarmi in modo più... spontaneo, meno formale.
- Certo che a te frega soltanto di portare a casa il lavoro, eh? - borbottò lui piegando la testa di lato, incrociando le braccia. - Vabbè. Vedila così. A parte Toma, siamo tutti scemi in culo. Se non me l'avessi detto, non avrei mai capito che stavi cercando di manipolarci. Ma sono sicuro che quel figlio di puttana se n'è accorto, e che a breve me lo comunicherà. Come puoi immaginare, dopo che lo dirà, gli altri tre preferirebbero tirarsi una martellata sui genitali piuttosto che fidarsi di una come te. Se vuoi davvero lavorare con noi, lascia subito stare la psicologia. Rilassati, dì qualche stronzata, scopati qualcuno se serve, ma non provare a fregarci. Quello non ci piace per niente. - Il tono burbero con cui aveva parlato sarebbe stato in grado di far scoppiare a piangere anche Freezer, o almeno così gli veniva sempre detto, eppure la donna non sembrò minimamente turbata da tutto quello. Endive soppesò le sue parole, annuendo debolmente con la testa, processando la quantità di informazioni appena ricevute.
- Capisco. Ti ringrazio per il tuo tempo, cercherò di seguire i tuoi consigli. - Si inchinò leggermente, portando le mani giunte di fronte al petto, per poi avviarsi verso la sala di comando, le mani infilate nelle tasche ampie dei pantaloni.
- Ehi. - chiamò il capitano, facendola fermare. -
È Toma il consulente della squadra, e sono sicuro che sai perfettamente che queste cose vanno affrontate con lui. Perché hai voluto parlarne con me?
Endive alzò lentamente lo sguardo, continuando a dare le spalle al comandante, osservando la torre troneggiare sopra di loro, ammaccata da numerosi colpi. Il sole era ormai sorto, e i raggi caldi accarezzavano le lamine contorte, creando inquietanti disegni di ombre.
- Istinto.

Toma osservò la matassa di corpi in fondo al capannone. Vi era cibo e acqua in abbondanza accanto a loro, ma per quanto malnutriti e assetati, nessuno di loro sembrò voler nemmeno sfiorare tutto quel ben di Dio.
- Stanno così da varie ore. - Disse Seripa sgraziatamente seduta su di un mucchio di macerie, indicando con il mento il gruppo di alieni sopravvissuti. Si erano lavati e avevano accettato le vesti pulite un tempo appartenenti ai Mentemaliani, ma non ne avevano voluto sapere di fare altro. Si erano accucciati in un angolo, le lunghe orecchie che sbucavano fuori dalla capigliatura bionda e i grandi occhi verdi puntati al suolo.
- E come se non bastasse, il traduttore non riconosce la loro lingua. - gracchiò Panbukin mentre si rovistava con un indice nell'orecchio, seduto a gambe larghe accanto a Seripa.
- Pan, o ti metti un paio di pantaloni o chiudi le gambe. Ho già di mio lo stomaco rigirato senza che ti ci metta anche tu.
- Se guardi è perché ti piace. - ribattè prontamente lui spolverando il gonnellino che indossava, suscitando un sospiro sconsolato nel suo compagno. Toma distolse lo sguardo dal raccapricciante amico, osservando la Ricognitrice in piedi al suo fianco, le braccia incrociate come al suo solito.
- Allora?
- Nulla. I Mentemal non avevano alcun file sulla lingua dei Kelittiani. E non so quanto tempo mi ci vorrà per imparare la loro lingua partendo dalle poche frasi che conosco. Hai notizie di Bardack e Toteppo?
- L'ultimo report è di trenta secondi fa. Non ci sono altri sopravvissuti sotto le macerie. Questi sono tutti i Kelitt rimasti. - La donna scandagliò attentamente i corpi emaciati. Molti dei sopravvissuti, impossibile definirne il sesso, avevano evidenti tumori e cancrene su tutto il corpo. Endive si era offerta di curarli cercando di farsi capire con i gesti, ma si erano ritirati, timorosi, rifiutando perfino il contatto visivo. Le ossa erano deformate a seguito della lunga permanenza nelle gabbie, e a causa delle pessime condizioni igieniche, molti di loro avevano piaghe da decubito talmente infette da richiedere l'asportazione della carne. Che diavolo avevano passato quelle persone...?
- Borò na kanokati giasa? - Chiese Endive rivolta agli orecchie a punta, sfruttando quelle pochissime parole che conosceva grazie ai suoi studi, chiedendogli se potesse fare qualcosa per loro in un ultimo tentativo di instaurare un dialogo. Le risposero con il silenzio. La Ricognitrice sospirò e fece per andarsene, quando una di loro, dagli occhi ciechi, parlò.
- Erchon ai. - Endive socchiuse la bocca, girandosi verso di lei. L'osservò confusa.
- Cosa ha detto? - chiese Toma.
- Ha detto "stanno arrivando", se non sbaglio. Ma chi sta arrivando...? - Un improvviso segnale acustico provenne dal suo scouter. Premette sul pulsante, osservando il vetrino. Sbarrò gli occhi. Almeno cinquecento forme di vita rilevate, dirette verso di loro dal fianco della montagna. Trattenne a stento un'imprecazione, girandosi e correndo verso l'entrata della centrale. Sapeva che il loro attacco non doveva essere passato inosservato, ma era possibile che i rinforzi fossero già arrivati? Spiccò il volo, cercando con gli occhi Bardack.

Era in piedi, sulla cima della torre, e osservava tranquillamente la massa di persone che si avvicinava. Il suo rilevatore segnava livelli sopra i tremila, alcuni cinquemila, addirittura un paio di settemila. Un vento leggero gli scompigliava i capelli ribelli, accarezzando le ferite ancora aperte, lo scouter sembrava impazzito. Stanco di quei continui bip, lo staccò dall'orecchio, spegnendolo. Con una leggera spinta delle gambe balzò giù, atterrando di fronte al portone. Premette le mani sulle ante, aprendolo con un gesto sciolto. Fece qualche passo in avanti, venendo investito dai raggi del sole freddo di quel pianeta. I suoi occhi neri si scontrarono con quelli verdi di un giovane, più basso di lui ma con una buona muscolatura, fermo a una cinquantina di metri da lui. Bardack osservò per qualche secondo la massa di uomini e donne dietro al ragazzo, quasi tutti identici, per poi riportare lo sguardo su quello che, a suo parere, doveva essere il capo. Un sorriso eccitato si allargò sul suo volto.
- Benvenuti.







Angolo autrice:
Prima di ogni cosa, QUI ho caricato qualche disegno di Endive che ho fatto invece di studiare per gli esami. Sono cambiate poche cose nel suo design ma non ho lo sbatti di ridisegnare tutto. Rimane una gnoccona.

Secondo, ragà, una domanda.
I Saiyan e tutti gli altri alieni nell'universo sconfinato parlano giapponese? Che lingua parlano? Per arrivare sulla Terra, in Giappone, e parlare un giapponese più che fluente, devono per forza saperlo parlare, no? I Namecciani allora ce li hanno gli onigiri? Ve lo dico, questa questione linguistica mi ha causato un'emicrania, e non scherzo. Il mio ragionamento deduttivo.exe ha smesso di funzionare e mi sono dovuta riavviare un paio di volte.

 
Personalmente, la questione può essere risolta in due modi: primo modo, esiste una lingua universale. Una sorta di inglese spaziale che quasi tutti parlano, più varie lingue minori. Non ho potuto fare a meno di pensare a questo quando ho visto la Saga di Namecc, dal momento che i Namecciani parlano una lingua comune, comprensibile sia a Freezer e i suoi scagnozzi, sia la loro lingua natia che nessuno sembra conoscere. Oppure, i Saiyan e gli alieni in generale devono essere equipaggiati con una sorta di traduttore che gli permette di capire in tempo reale cosa stia dicendo l'interlocutore, permettendogli di rispondere nella stessa lingua in automatico. Se avete giocato a Mass Effect probabilmente il concetto sarà più chiaro, io sono una sega con le spiegazioni. Si tratta essenzialmente di un chip che viene impiantato sotto pelle, e permette di capire e parlare un numero potenzialmente infinito di lingue. Tuttavia, il chip ha una sua capacità limitata, ovvero il numero di lingue a disposizione è limitato a quelle conosciute dal programmatore nel momento dell'inserimento. Quando si entra in contatto con una popolazione la cui lingua non è stata ancora tradotta, bisogna imparare da se la lingua poiché il chip non offre traduzioni. Questa seconda alternativa mi sembra la più ovvia e la più sensata, ed è quindi quella che ho adottato.

Altre e due parole sui ruoli nelle squadre.
Se prendete una qualunque squadra militare, vedrete che ogni soldato ricopre ruoli precisi. Basta vedersi un qualunque film per capirlo. C'è il capitano, l'addetto alle comunicazioni, il medico, il pilota, il mitragliere... Mi sembra logico applicare la stessa formazione anche alle squadre Saiyan.
Bardack è il capitano, la figura di riferimento, il condottiero in battaglia.
Toma è il secondo in comando, si occupa della burocrazia e dei rapporti all'interno della squadra - diciamo una sorta di consulente delle risorse umane.
Seripa è il meccanico, in una realtà così tecnologica come quella dei Saiyan serve un esperto in materia.
Toteppo è la retroguardia; con un fisico come il suo, mi viene naturale considerarlo molto resistente. Pertanto, esattamente come lo ha sfruttato Toma, ha il compito di coprire le spalle ai suoi alleati.
Panbukin è come il ragazzo nel lavoro di gruppo al liceo che non fa un cazzo ma si prende comunque il merito. Non gli ho dato alcuna abilità tranne la cafonaggine, ma in battaglia come Toteppo copre le spalle agli amici.
Endive in questo caso compensa perfettamente la mancanza di una figura strategica in grado di occuparsi non solo dell'organizzazione generale, ma anche dell'andamento del combattimento. Avere un comandante che rimane defilato anzichè stare sul campo è oggettivamente un enorme vantaggio strategico; per questo si è alterata quando è dovuta entrare in azione, perché esula da ogni logica. Dovete pensare ad Endive come ad una calcolatrice vagante per dirla semplice.

Detto questo, ho finalmente cacciato fuori la seconda parte del capitolo. Molti dei quesiti sollevati in questo capitolo verranno risolti nel prossimo, non vi preoccupate, so che ho lasciato molte cose in sospeso ma ho dovuto.

Siccome sono una con delle pessime maniere, mi sono dimenticata nello scorso capitolo di ringraziare tutti coloro che stanno ancora leggendo questa mia storia. In particolare, ringrazio

Enchalott
Fandoms_Are_Life
M0nica
Sapphir Dream
Shadow Eyes
Tone
Per aver messo nelle seguite,

linx91
namy86
Per aver messo nelle Preferite

E i miei adorati recensori
Felinala
Enchalott
Tone
Shadow Eyes

Ne approfitto per ringraziare tutti coloro che hanno recensito la mia Bruises (QUI il link), spero che anche la mia raccolta Valzer 500 ( QUI il link) vi sia di altrettanto gradimento!
Al prossimo capitolo giovani!

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