Sunburn di BlackInkVelvet (/viewuser.php?uid=954050)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 0 ***
Capitolo 2: *** I ***
Capitolo 3: *** II ***
Capitolo 4: *** III ***
Capitolo 1 *** 0 ***
Il pianto del bambino ancora gli rimbombava nelle orecchie,
stordendolo
più di quanto già non fosse. La mano di
Gine
stringeva la sua, e in un riflesso istintivo, ma senza alcun trasporto,
la strinse delicatamente a sua volta. Sentiva gli occhi della moglie,
sfinita e sudata, puntati sulla sua guancia, la mente annebbiata dal
dolore. I medici si stavano affannando su di un tavolino lì
vicino, attrezzandosi con strani attrezzi metallici, il cui
clangore era tuttavia coperto dagli alti vagiti del neonato.
Bastò una leggera pressione della mano di Gine sulla sua
guancia per farlo
abbassare, piegandosi in avanti per incontrare il volto della moglie.
Lei sorrideva, con gli occhi ludici, mentre gli accarezzava dolcemente
il volto, in attesa di una sua frase, di una parola, di un bacio. Ma
Bardack non riusciva a staccare gli occhi dalle schiene dei medici,
fremendo per l'attesa. I vagiti si affievolirono leggermente, e la
testa canuta del dottore finalmente si girò nella sua
direzione,
stringendo fra le braccia un gomitolo di coperte.
- è un maschio. - Disse stancamente, ma con un
ampio sorriso sul volto. Sorriso che ben presto contagiò il
volto serio del sayan, facendolo rilassare. Il neonato fu posto fra le
braccia di Gine, che si sistemò meglio sul cuscino,
accogliendo delicatamente il nuovo arrivato. Il giovane
padre si sporse, cingendo con un braccio le spalle esili della moglie,
osservando incuriosito il suo primogenito. Aveva una massa di capelli
non indifferente, il volto arrossato e pieno di rughe, il collo
talmente debole da non reggere l'enorme peso della testa. Ne
osservò le mani, talmente piccole da non riuscire nemmeno a
stringere il suo dito indice, chiuse a pugno.
Quello era suo figlio. Suo figlio.
- Sei stata bravissima - sussurrò Bardack
sfiorando la fronte della donna con le labbra. Lei chiuse gli occhi,
reclinando leggermente la testa verso il collo taurino del marito.
Sospirò delicatamente, prima di riportare l'attenzione sul
bambino.
- Ha un sacco di capelli.
- Già. Segno che sarà un guastafeste.
- Allora sarà come il padre - rispose prontamente
Gine, suscitando ilarità nella sala. Bardack
arricciò il
naso, abbassando nuovamente lo sguardo sul figlio. Poi, con delicatezza
e anche un po' di paura, allungò una mano, arrivando a
sfiorare
con un dito il volto del neonato. La sua pelle era straordinariamente
liscia, le guance morbide e cedevoli alla minima pressione. Un esserino
così delicato, nelle mani di un bruto come lui? Non
potè
fare a meno di pensare che schiacciare la testa del ragazzino sarebbe
stato facile come rompere un uovo, e lui non possedeva certo la
delicatezza necessaria per evitare di fargli del male anche solo
sbadigliando nelle sue vicinanze. Iniziò a
sudare freddo al solo pensiero.
- ... ehi, Bardack. Bardack! - la voce profonda del
medico, che sembrava provenire da un angolo remoto della sua mente, lo
riscosse, causando un'occhiata perplessa da parte di Gine, ignara dei
macabri pensieri del compagno.
- Eh? Cosa? - Rispose lui con voce strozzata, togliendo
repentinamente la mano dal volto del neonato. Il medico
sbuffò,
scuotendo la testa.
- Ho detto, come vuoi chiamare tuo figlio? - ripetè
spazientito, mentre un'infermiera attendeva accanto a lui con una pila
di fogli stretta in mano, pronta a segnare tutto. Gine
sobbalzò,
picchiettando la spalla di Bardack.
- Chiamiamolo come tuo padre! - disse con la sua voce sottile,
squillante. Il Sayan storse la bocca.
- Non voglio dare al mio vecchio questa soddisfazione. -
mugolò grattandosi la nuca. Gine aggrottò le
sopracciglia.
- Pensavo fossimo d'accordo! - esclamò con voce
talmente alta da causare il pianto nel neonato. Rabbrividendo, i
neo-genitori tentarono di correre ai ripari, chi cullando
maldestramente il bambino, chi impartendo con voce incerta l'ordine di
fare silenzio. Bardack sospirò, un sopracciglio inarcato.
- Beh, sembra un rompiballe proprio come il mio vecchio. E
sia.
Dottore - disse girandosi verso il medico, drizzando la schiena
e grattandosi la punta del naso con un pollice, nascondendo un
sorrisetto. - lo chiameremo Radish.
Passeggiava senza una meta precisa, allontanato dalle infermiere subito
dopo il breve dialogo con il dottore, per far riposare Gine. Radish era
stato portato via, verso la nursery, in modo che
potessero fare tutti gli esami necessari; fra questi, il più
importante era sicuramente la misurazione del livello combattivo.
Bardack si sentiva
esausto, stordito, prosciugato di qualunque emozione, ancora incapace
di accettare il fatto che ora fosse padre. Sarebbe dovuto
tornare a casa, a farsi una doccia e preparare l'abitazione per un
neonato. Entrambi i genitori erano terribilmente disordinati, chi
eternamente impegnato in missione, chi al lavoro in mensa. Nessuno dei
due, nemmeno durante la gravidanza, aveva soggiornato per
più di
qualche giornata nell'umile appartamento. Grugnì, non
particolarmente eccitato
all'idea di doversi dare alle pulizie di primavera - mancavano
totalmente i soldi per chiamare qualcuno a fare il lavoro al posto suo,
ma sapeva bene che
al momento sua moglie non poteva fare
molto per la casa. Compreso il cucinare. Questo pensiero gli
causò un secondo grugnito, ancora più alto del
precedente, spingendolo ad incamminarsi verso l'uscita per fumarsi una
sigaretta. Il dedalo di
corridoi del reparto di ostetricia erano stranamente silenziosi. La
nursery era sulla strada; tanto valeva dare un'ultima occhiata al
marmocchio prima di andarsene a casa. Era piena notte, e non vi erano
altri padri solitari come lui a popolare l'ospedale. Non che morisse
dalla voglia di incontrare altre persone, sia chiaro. Tutto
ciò
che voleva era soltanto andare a casa, scolarsi una birra e prepararsi
alla prossima missione, e già quelle cose gli sarebbero
state
negate per le prossime settimane. Diede un'occhiata al vetro della sala
dove
erano disposte le culle con i neonati, senza fermarsi. Tentò
di
aguzzare lo sguardo, cercando di individuare l'eccezionale chioma che
contraddistingueva suo figlio, ma di lui nemmeno l'ombra. Il suo piede
trovò improvvisamente un ostacolo, e il saiyan si
fermò,
sorpreso. Abbassò lo sguardo sull'oggetto appena calciato,
interrompendo la sua camminata. Non era un oggetto.
Era una persona.
Se ne stava seduta contro il muro del corridoio, sotto il vetro della
nursery. Aveva le ginocchia piegate contro il petto, e la testa,
ricoperta da una folta e lunga chioma castana, giaceva immobile riversa
sul
petto. L'unico segno di vita erano le mani, che si contrassero
leggermente. Non reagì in alcun modo
all'inavvertito calcio che Bardack le aveva tirato, rimanendo
perfettamente immobile. Il saiyan sbattè le palpebre,
perplesso,
le mani infilate nelle tasche della battle suit, alla ricerca del suo
pacchetto di sigarette. Si osservò attorno, in cerca di
qualcuno, nell'inquietante silenzio dell'ospedale, senza trovare anima
viva. Riportò lo sguardo su quella figura, deducendone
dall'odore degli ormoni che fosse una donna.
- Hey - disse in attesa di una risposta, incerto sul da farsi. Che
diavolo ci
faceva lì, seduta per terra? La donna rimase immobile. Senza
alcun tentennamento, Bardack allungò nuovamente il piede in
avanti, punzecchiando la coscia della sconosciuta. Sentì
distintamente tirare su col naso, mentre la figura si appallottolava
ulteriormente su se stessa.
- Cosa vuoi? - una voce femminile, rotta dal pianto.
Bardack rimase immobile, osservando le mani tremare vistosamente.
- Per colpa tua sono inciampato. Dovresti chiedermi scusa. O
rialzarti, quello sarebbe già tanto. - disse senza
guardarla, concentrato soltanto sul pacchetto finalmente rinvenuto,
estraendo una sigaretta dall'astuccio e
portandola fra i denti.
- Va' al diavolo. - rispose prontamente la donna, girando
la testa nella direzione opposta a quella dove era in piedi il saiyan,
negandogli la vista del volto.
Bardack sbuffò, spazientito. Non era nella sua natura essere
gentile; ma
si era fermato, le aveva parlato, e per tutta risposta veniva mandato
affanculo in quel modo?
Un oggetto, spigoloso ma leggero, colpì la testa della
donna.
Lei alzò lo sguardo, il volto emaciato rigato di lacrime, ma
del
saiyan non ve n'era l'ombra. A terra, un pacchetto di sigarette,
contrassegnate da una striscia blu, che non
le appartenevano. Osservò il corridoio, notando la schiena
muscolosa di un guerriero allontanarsi verso l'uscita.
- Fumatele. Vedrai che starai meglio. - borbottò a
voce abbastanza alta da farsi sentire dalla donna, senza preoccuparsi
di accennare un saluto, sparendo in fretta dietro la porta.
Sei mesi dopo
L'odore di sudore e alcol impregnava le pareti asettiche del locale,
non aiutato da una cappa di fumo che rendeva l'ambiente ancora
più opprimente.
Toma, una sigaretta spezzata fra le labbra, osservava Bardack in
cagnesco. Panbukin e Toteppo erano rilassati sugli schienali delle loro
sedie, interessati allo scontro che si stava consumando di fronte a
loro. Seripa, al contrario, sembrava annoiatissima.
- Doppia coppia! - Esclamò Toma abbassando con
veemenza le carte sul tavolino, mostrando due coppie di carte
identiche. Bardack rimase perfettamente immobile per qualche secondo,
prima di iniziare a ridere con fare malvagio.
- Scala di colore, stronzo! - esclamò spalmando le
cinque carte che teneva in mano sul tavolo, accanto ai numerosi boccali
di birra vuoti. Toma biascicò qualcosa ad alta voce,
protestando
visibilmente alterato, ignorato dall'amico che saltò in
piedi
sulla sedia, accucciandosi solo per poterlo osservare da una posizione
elevata, trionfante. I loro bisticci vennero prontamente
zittiti
da un'inviperita Seripa.
- Insomma! La volete piantare di fare tutto questo baccano?
- Zitta donna! Mi sto prendendo lo stipendo del tuo uomo -
esclamò con voce strozzata Bardack, ancora appollaiato
sulla sedia, allungando le mani su un mucchietto di banconote al centro
del tavolo. Tuttavia, nel momento in cui le sue dita sfiorarono i
soldi, un coltello da carne si piantò a pochi millimetri
dalla
sua mano. Alzò lo sguardo su Seripa, allibito, prima di
notare
un dettaglio che non aveva minimamente calcolato. Se con una mano la
donna impugnava il coltello con il quale gli aveva quasi aperto una
stigmate, con l'altra teneva stretto un ventaglio di carte.
- Gioco anche io, te lo sei dimenticato?
- No... - sussurrò lui, con Toma che gli era
velocemente arrivato alle spalle, appoggiandosi alla schiena dell'amico
nel tentativo
di dargli supporto morale. Lo sguardo trionfante di Seripa si
incattivì notevolmente.
- NO... Seripa... - la Saiyan si ricompose, dando
l'impressione di essersi calmata. Impressione che ben presto
demolì, esattamente come il tavolino nel momento in cui vi
abbattè il pugno.
- Scala reale!
- Urlò con gli occhi in fiamme,
scatenando da una parte le urla trionfanti di Panbukin e Toteppo,
dall'altra una crisi isterica a Bardack e Toma, che avevano appena
visto le loro buste paga volarsene nelle tasche della compagna. -
Fottetevi tutti - continuò lei con un ghigno,
arraffando il mucchio di zeni posto al centro del tavolo e
trascinandolo verso di lei.
- Non è giusto che tu ti prenda anche i miei soldi!
- si
lamentò Toma, passandosi una mano sugli occhi e facendo
qualche
passo indietro, le mani fra i capelli.
- Questo è il gioco, tesoro. Alla prossima mano mi
prendo anche casa tua.
- Tu abiti con me! - gli ricordò lui con uno
sbuffo, spazientito e ancora abbastanza lucido da rispondere alle
assurdità della fidanzata, decisamente troppo alticcia.
Bardack
appoggiò
una mano su una spalla di Toma, dopo essere quasi caduto dalla sedia
per lo slancio, posizionandosi con le gambe ben
piantate a terra accanto all'altissimo saiyan.
- Donna, potrai anche prenderti i nostri soldi, le nostre
case,
anche i nostri figli quando ne avremo. Ma non avrai mai la
nostra-
- Tu non avevi già un figlio? - chiese lei
interrompendolo, alzando un sopracciglio e chiedendosi se l'amico fosse
così brillo da dimenticarsi un dettaglio simile.
- ... Ah cazzo vero. - mugolò Bardack grattandosi il
naso, pensando già alla reazione di Gine nello scoprire di
come
avesse perso il figlio a poker. Un improvviso parlottio
catturò
la loro attenzione. Panbukin sembrava star discutendo animatamente con
Toteppo, alzando progressivamente la voce.
- Ti ho detto di no! - sbraitò il più
basso, abbattendo un pugno sul tavolino. Toteppo ringhiò, un
pezzo di formaggio stretto fra i denti.
- E invece è così! Ovvio che stia
puntando me! Chi
vorrebbe un antipasto come te quando si può avere un pranzo
di
matrimonio come me! - sbeffeggiò lui di rimando,
ingoiando il formaggio.
- Oi oi,
di che diamine state parlando? - chiese Toma,
stranito da quella reazione violenta da parte del silenzioso Toteppo.
Panbukin si girò, imbestialito.
- C'è una pollastra che mi sta spogliando con gli
occhi
da almeno un'ora, e questo bastardo insiste che stia guardando lui! -
gridò puntando il collega con la mano tremante per la
rabbia.
- Esistono donne così disperate? - chiese Seripa
ridendo, bellamente ignorata dai due litiganti.
- Basso come sei non ti ha visto nemmeno sbucare dal tavolino!
-
ringhiò il gigante afferrandolo per la battle suit.
- COME OSIIII - urlò con gli occhi fuori
dalle
orbite, colpendolo con violenza al volto. Toteppo ruggì,
scagliandolo sul tavolino, rovesciandolo. Toma e Bardack corsero a
dividerli, ma sembravano appiccicati con la colla. Schiaffi, pugni,
sputi e calci volarono fra i due, e sempre più persone erano
accorse nel tentativo di fermarli. Questo, almeno, fino al momento in
cui Toteppo, non troppo lucido, colpì per sbaglio una saiyan
in piena faccia,
accorsa a vedere cosa stesse succedendo. Un rivolo di sangue scese dal
naso, rotto.
- Come osi colpire la mia donna! - sbraitò un
guerriero con gli occhi in fiamme, gettandosi addosso a Toteppo,
seguito con un urlo di guerra dalla donna stessa. In pochi
secondi, una scazzottata fra
ubriachi si era trasformata in una rissa violenta, con un tripudio di
tavolini rotti, macchie di sangue sul pavimento e cibo che volava. Le
urla da aquila del proprietario del bar si perdevano nella matassa di
corpi e testosterone che occupava il piccolo locale.
Bardack si era lanciato in difesa di Panbukin, usato come sgabello da
un saiyan ancora più pesante di lui. Calciò via
l'avversario, afferrando l'amico per la collottola.
- Bardack, grazie... - bonfonchiò lui, la bocca
gonfia per un pugno ben assestato.
- Grazie un corno.
- Uh? - chiese lui, inquietato dallo sguardo di fuoco del
collega.
- Torna lì e difendi il tuo onore dannato grassone!
-
sbraitò lui spingendolo con un calcio ben assestato nel
didietro, rispendendolo in mezzo alla mischia.
- Quindi,
Bardack sei tu.
Una voce sconosciuta gli era giunta alle orecchie. Si girò
repentino, pronto a colpire, ma si fermò nell'istante in cui
mise a fuoco il volto del nuovo interlocutore.
Era una donna che finora non aveva mai visto. Il suo abbigliamento
vistoso, composto da un mantello nero drappeggiato su di una spalla e
una preziosa stoffa rossa legata attorno alla vita, faceva
intuire la sua provenienza lontana, così come i numerosi
orecchini che le decoravano le orecchie. Aveva una pelle diafana, e
lunghissimi capelli castani stranamente lisci. I suoi occhi,
leggermente più chiari rispetto ai capelli, erano truccati
con
una lunga linea nera a punta che li rendeva enormi, creando un effetto
spiacevole per un uomo abituato a bellezze meno stravaganti.
- E tu chi saresti? - chiese lui ergendosi in tutta la
sua altezza, con un cumulo di corpi rissosi come sfondo alla scena. La
donna non sembrò scomporsi, come se attorno a
lei non stesse avvenendo una carneficina.
- Devo parlarti. Potresti seguirmi in un luogo meno affollato?
- si limitò a rispondere lei, accennando con la testa
all'uscita. Bardack osservò la porta, girandosi poi dietro
di
lui per vedere come stesse andando la situazione. Seripa stava
strangolando un saiyan gracilino con estrema facilità, e
questo gli bastò.
- Benissimo. - disse fiducioso verso i suoi compagni,
seguendo non troppo convinto la misteriosa sconosciuta. Nel momento in
cui varcarono la soglia, tutti i rumori del bar si attutirono. La
pioggia, che cadeva copiosa, copriva il suono di urla e oggetti rotti
provenienti dal locale.
- Qui va molto meglio. - si limitò a dire lei,
sistemando il grosso colletto del mantello. Bardack
l'osservò in
silenzio, notando soltanto allora una piccola sfera dorata attaccata
sotto il labbro inferiore della donna. Incuriosito da quello strano
gioiello, l'osservò sbattendo le palpebre. Non aveva mai
visto
una cosa simile prima di allora. Lei abbassò lo sguardo,
voltandosi verso di lui. Si avvicinò di qualche passo,
rivelando
stivali riccamente decorati ad ogni movimento del mantello, per poi
appoggiare una mano sul petto, protetto da una battle suit
perfettamente liscia, senza alcuna scanalatura.
- Il mio nome è Endive. E ti stavo cercando da un
bel po'. - Disse
- Da un bel po'? Se non è per darmi dei soldi puoi anche
incamminarti adesso. - rispose seccamente lui, traballando leggermente
a causa della sbornia. Lei cercò qualcosa in una tasca
interna
del mantello, cavando fuori un piccolo astuccio.
- Rimarresti così shoccato se ti dicessi che invece
è
proprio così? - si limitò a rispondere lei
aprendo
l'astuccio e cavandone fuori una sigaretta, per poi offrirne una
all'uomo. Bardack allungò una mano, senza pensarci troppo,
ma
presto un odore familiare stuzzicò il suo naso sensibile.
Prese
la sigaretta, rigirandosela fra le dita. Eccolo lì, poco
sopra
il filtro, il marchio stampato in caratteri argentei.
- Pensavo di essere l'unico a fumarsi le sigarette di Na'Varr
–
disse accettando l'accendino allungato da Endive, bruciando il tabacco
dal sapore acre. Lei allargò un sorrisetto, una densa nube
di
fumo che uscì dalle sue labbra.
- In realtà, no. Sono in debito di un pacchetto. - rispose,
suscitando la perplessità di Bardack. La squadrò
attentamente, gli occhi più vispi ora che i fumi dell'alcol
stavano svanendo. Il suo abbigliamento era decisamente opulento ed
eccentrico per un saiyan – così come i suoi tratti
somatici. Le donne della sua zona avevano tratti più
morbidi, ed
erano decisamente più basse. Endive sembrava torreggiare
sulle
altre, ed era truccata: qualcosa che le normali Saiyan disprezzavano,
ritenendolo uno spreco di tempo e fatica. Pertanto, era più
che sicuro di non aver mai incontrato quella tizia prima d'ora.
- In debito di che? Non mi sembra di averti mai vista. - Endive si
prese il tempo di tirare una seconda boccata di fumo, guardando dritta
davanti a sé il paesaggio fatiscente di quella parte di
città, alla quale sembrava così estranea e fuori
luogo.
- Sei mesi fa, alla nursery della Med Bay. - Bardack sbattè
le
palpebre, sforzandosi di ricordare. Tranne che per lo staff, l'unica
altra persona che aveva visto era…
- … Quella per terra? Eri tu? - chiese stentando a credere
che
una donna elegante come quella potesse passare il tempo sdraiata sul
pavimento di uno sporco ospedale. Lei annuì, lo sguardo
perso
nella pioggia battente.
- Nessuno a parte te si è premurato di vedere come stavo. E
dalle mie parti, i debiti per quanto piccoli vanno sempre ripagati. Per
questo – disse cambiando radicalmente
tono, diventando più squillante. - ho deciso di renderti il
favore. É stata una fatica rintracciare il tuo nome.
- Sei riuscita a rintracciare il mio nome? Ma come diavolo... Non
sapevi nemmeno come ero fatto di viso! – Lei
lo interruppe con un gesto secco, appoggiandosi al muro con fare
rilassato.
- Mai sentito parlare di Ricognitori?
Le sopracciglia di Bardack si contrassero, così come la sua
mandibola.
Ricognitori.
Unità speciali di spionaggio, al servizio diretto del Re.
Invischiati in troppi affari sporchi per i suoi gusti.
- Cosa ci fa un Sorcio da Infiltrazione come te in un posto simile? -
disse lui, improvvisamente non più tanto a suo agio,
utilizzando
il termine con il quale i Ricognitori venivano volgarmente chiamati fra
le truppe. Non era raro che un Ricognitore venisse assegnato ad una
squadra in missioni cruciali o su pianeti di grande importanza, ma era
difficile trovarli a spasso per bettole come quelle che la compagnia di
Bardack frequentava.
Endive non si scompose minimamente nel sentire quell'appellativo tanto
denigrante, decisa nel continuare il suo discorso.
- Te l'ho detto. Stavo cercando te. Ho un affare da proporti. -
Bardack, sebbene titubante, drizzò le orecchie. - Ho questa
missione fra le mani, ma ho bisogno di una squadra su cui fare
affidamento. Una squadra che mi può assicurare alte
performance.
- E avresti scelto la mia per…?
- In primis, per restituirti un favore. - disse
sbrigativamente, ma senza dar cenno di star perdendo la pazienza.
- Secondo, quando
sono andata a chiedere per una squadra mi hanno indirizzata a te. Non
mi resta molto da fare ma fidarmi di quello che mi viene detto, non
trovi?
- E in cosa consiste questa missione? - chiese lui cercando di tastare
il terreno.
- Non puoi saperlo se prima non accetti. è la mia unica
condizione. - Bardack bloccò la mano a mezz'aria, la cenere
si staccò dalla sigaretta. L'osservò confuso,
cercando su quel volto calmo un segno di sarcasmo, o ironia. O anche di
estrema stupidità.
- Eh? Come sarebbe a dire, dovrei accettare un incarico a scatola
chiusa? Non esiste. - Sbraitò lui gettando a terra il
mozzicone,
spegnendolo con un gesto deciso del piede. - Se mi hai preso per scemo,
ti hanno riferito male. Và a cercare qualche altro coglione
da abbindolare. - disse dandole la schiena, pronto a buttarsi
nuovamente nel locale per tirare via i suoi colleghi per i capelli.
- E se ti dicessi che la paga e il livello della missione sono entrambi
così alti da sistemarti a vita… questo lo
prenderesti in
considerazione? - Il Saiyan si immobilizzò, la
mano a pochi centimetri dal pulsante d'apertura della porta.
Dal suo atteggiamento, era evidente
intuire come Endive fosse
abituata a negoziare, sapendo esattamente quali fossero i tasti da
premere. Abbassò la mano, lasciandola cadere lungo il
fianco, voltandosi lentamente verso di lei, in cerca di un bluff.
- Non ho
motivo di mentirti. - disse lei come se gli avesse letto nel
pensiero, - è una cifra esorbitante, che per un padre di
famiglia come te significa tanto. Tuo figlio potrebbe allenarsi a corte
per la fama che avrai dopo questa missione. – Bardack
spalancò gli occhi. Come era possibile che sapesse di
Radish, che era soltanto un nome su di un registro? - Tua
moglie
non dovrebbe più servire a mensa come una schiava. Tutto
ciò che devi fare è accettare, e potranno vivere
tutti
come dei signori.
-
Come cazzo sai di Gine? - sbraitò lui mettendosi sulla
difensiva, corrucciando ancora di più la sua espressione,
abituato a sentire la moglie presa di mira a causa della sua umile
mansione. - Dove hai preso queste informazioni? Vuoi per caso
ricattarmi? - ringhiò mettendosi sulla difensiva,
avvicinandosi alla donna con le mani che prudevano. Lei, d'altro canto,
sembrava atarassica.
-
Il termine Ricognitore forse ti è sfuggito. Se non sapessi
fare il mio lavoro non sarei qui. - scese un momento di
profondo
silenzio, nel quale Bardack non smise di squadrare la Ricognitrice per
un solo secondo. - Nella mia posizione, non trarrei alcun vantaggio nel
ricattare un terza classe come te. Preferisco convincerti con i soldi,
è più nel mio stile.
Non
aveva assolutamente alcuna certezza che le
promesse della donna fossero fondate, e che avesse davvero questa
missione stratosferica da assegnarli. Forse aveva soltanto bisogno di
carne da cannone, da lanciare addosso agli avversari mentre si
trastullava con... con... qualunque
cosa facesse una spia.
-
Ti aspetti che io accetti così su due piedi?
-
Assolutamente no. - Un'ultima, pigra nuvola di fumo
fuoriuscì dalle sue labbra, andando ad infrangersi contro il
volto dell'uomo, il mozzicone già a terra, prontamente
spento dal suo piede. Lei rialzò lo sguardo, incatenandolo
con quel suo sguardo magnetico. Allargò un leggero sorriso,
consapevole del suo fascino, e riprese a parlare, con voce di miele.
-
Ma non ti sei stancato delle solite missioni di
distruzione? Non è degradante, per Saiyan del vostro
livello,
venire usati come martelli da demolizione contro gente che non riesce
nemmeno a difendersi? - Senza che Bardack se ne rendesse conto, quelle
parole avevano catturato la sua attenzione, penetrandogli nel cervello,
instillandosi nei suoi pensieri. La viscida gentilezza che gocciava da
quelle frasi gli avevano bloccato gli arti e i neuroni, costringendolo
ad ascoltare ed assimilare tutto ciò che Endive diceva. -
Pensa, andare su un pianeta Alpha. Scontrarsi con
avversari che rappresentano davvero una sfida. Venire sommersi di zeni,
avere accesso ad equipaggiamento migliore, missioni migliori. I tuoi
uomini accetterebbero
ad occhi chiusi, ma so che tu sei un uomo più cauto di loro.
-
Si tolse un piccolo biglietto dalla tasca, e lo allungò
verso
l'uomo. - Se vuoi accettare, fammelo sapere entro tre giorni.
Contattami a questo numero. - Detto questo, la donna fece un passo
indietro, avanzando verso la pioggia. Come il mago che, schioccando le
dita, fa riemergere lo spettatore da uno stato di ipnosi, anche il
guerriero si svegliò da quella seduzione ben architettata,
sbattendo le palpebre e venendo colpito con veemenza dal suono della
pioggia, della quale si era totalmente dimenticato. Strinse le mani a
pugno.
-
Ehi! Tu..:! - urlò tentando di estorcere altre informazioni
alla donna.
-
Buon proseguimento di serata, Bardack. Conto di risentirti! - detto
questo, dopo un leggero inchino, la donna spiccò il volo,
sparendo ben presto nella fitta pioggia. Bardack rimase immobile, il
biglietto ancora stretto fra le dita. Osservò titubante il
numero di connessione dello scouter della donna.
La
storia più assurda di quella serata non era più
una donna indecisa fra Panbukin e Toteppo alla fine.
Angolo
Autrice:
Benvenuti
in questo… questo… questo qualcosa di indefinito.
Questa
mia storia me la porto dietro da quasi dieci anni, ma non ho mai
avuto lo sbattimento di scriverla. Adesso che ho più tempo
libero ho deciso di tentare, cercando di riuscire a portare a termine
almeno questa.
Allora,
innanzitutto alcune precisazioni:
1
– la società Saiyan.
Basandomi
su ciò che ho trovato su Dragon Ball Wikia, per il
momento la fonte più attendibile ed approfondita allo stesso
tempo, ho visto che mancano dei punti cruciali nella struttura stessa
della società Saiyan. Come diamine fanno a trovare i
pianeti? Ci
capitano sbagliando strada? E perché demolire tutto? Non ci
sono
risorse artificiali di valore su sti dannati pianeti? No? Si fa tabula
rasa e via?
Per
dare un senso a questo nonsense, ho pensato che vi fossero delle
categorie speciali di Saiyan, quelli che ho chiamato Ricognitori, che
si occupano proprio di individuare i pianeti che potrebbero fruttare di
più, un lavoro essenzialmente da spie.
Anche perché ogni pianeta che vediamo On Air è
sempre
un'ammasso roccioso senza un cazzo. Seriamente. Sono quattro sassi
buttati alla cazzo di cane in mezzo alla strada, e la gente pensa
“Oh guarda là, sbanchiamo se vendiamo sto
pianeta?”
COME? COME SI FA?
Penso
comunque che farò un breve documento dove renderò
note le mie modifiche alla gerarchia saiyan – in
realtà
non ce ne sono, ma ho cercato di tappare alcuni buchi che secondo me
non hanno senso di esistere.
Fra
questi, la classificazione dei pianeti.
Un
pianeta Aplha è un pianeta di grandissime dimensioni, ricco
di risorse sia naturali che artificiali che risulterebbero decisive per
l'Impero Saiyan. Ci sono poi i pianeti Beta, più piccoli e
meno ricchi, fino ad arrivare ai pianeti Omega, dei sorta di buchi di
culo inospitali e inutili oltre ogni previsione. Easy enough girls.
2
– Bardack
Ragazzi,
con l'uscita di Dragon Ball Minus cercare di caratterizzare
Bardack è diventato piacevole come farsi una Via Crucis in
ginocchio sui vetri rotti. Purtroppo, mi sono ritrovata di fronte a due
versioni totalmente differenti dello stesso personaggio – e
tutte
e due canon.
Sì,
lo ripeto più forte per le signore in terza fila che sono
svenute.
Sia
il film “
La Nascita del Mito”
che il volume speciale
“Dragon
Ball Minus" sono
canonizzati. Toriyama ha accettato
il film e lo ha reso canon, poi però ha voluto riscrivere
tutto.
Eeeeeee non lo so perché. Ma se ne “La
Nascita del
Mito”
Bardack è un saiyan a tutti gli effetti, che gliene
frega stocazzo della famiglia, ho gente da trucidare, in Minus
è
un maritino amorevole che si sposa con una talmente debole da finire a
fare da cuoca in una mensa. Per carità, mi piace il
personaggio
di Gine, ma non capisco come uno come Bardack, che ripudia un figlio
nato da una giornata perché lo considera una mammoletta
debole,
si ritrovi ad innamorarsi di una saiyan che è incapace di
combattere. Davvero troppo in contrasto con la versione alla quale mi
ero ormai abituata.
Ho
cercato quindi di creare una sorta di compromesso, vacillando fra
queste due visioni che abbiamo dello stesso personaggio. Ho voluto
mantenere la sua parte cazzuta e anche spietata, ma voglio anche che
perlomeno consideri l'esistenza dei suoi figli e della moglie, sebbene
lo faccia nel
modo meno delicato e burbero che conosca.
3
- Le incubatrici o test
tubes
L'idea
di prendere un bambino dal ventre materno e schiaffarlo in una palla di
vetro per i pesci, tenendolo in soggiorno come un soprammobile mi fa
rabbrividire. Quindi, in questa storia le Saiyan partoriranno con
dolore, poichè non c'è nulla di meglio per
affermare la propria cazzutaggine che scodellare un bimbo stringendo
una baionetta fra i denti.
Fatte
queste premesse, vi lascio quindi al primo vero capitolo della storia.
Per
quale motivo la Ricognitrice ha avvicinato Bardack? Ha davvero una
missione da assegnarli, o sotto c'è dell'altro? Bardack
accetterà l'offerta, o se ne rimarrà per i fatti
suoi, povero scannato e con un figlio a carico?
Questo
e altro nel prossimo capitolo!
Ne
approfitto per ringraziare chiunque sia arrivato a leggere fin qui,
spero che la storia sia stata - e
continuerà ad essere - di
vostro gradimento!
Black
Ink Velvet
|
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Capitolo 2 *** I ***
Capitolo 1
Capitolo 1
Un fruscio di coperte fu il primo suono che sentì, e un
fascio di luce penetrò nel buio delle
palpebre serrate. Si rigirò nel letto, fuggendo la luce,
arrotolandosi fra le lenzuola. Piccole mani si appoggiarono alla sua
schiena nuda, e sentì chiaramente un bacio leggero sulla
mandibola.
Lunghi capelli gli solleticarono il volto, e un profumo familiare gli
stuzzicò il naso. Aprì svogliato un occhio,
mettendo a
fuoco il volto delicato della moglie.
- Già sveglia? - disse sbadigliando e girandosi sulla
schiena,
lasciando che lei gli si accoccolasse sul petto. Gine annuì,
sorridendo.
- Radish è stato buono stanotte. Ha lasciato dormire
entrambi.
- Era pure ora - brontolò lui stropicciandosi gli occhi,
sospirando e appoggiandole una mano sull'esile schiena,
risalendo fino alla ribelle massa di capelli corvini. Lei
ridacchiò, chiudendo gli occhi e
assaporando quel leggero abbraccio.
- Fame?
- Puoi dirlo forte - esclamò lui saltando seduto,
stiracchiando
le braccia con un forte scricchiolio. Gine si avvolse in
una vestaglia, sbadigliando a sua volta e alzandosi.
- Allora ci pensi tu a Radish - disse sparendo velocemente in cucina,
allungando un veloce pollice in su in direzione di Bardack. Lui
sbatté le palpebre, prima di realizzare di essere stato
incastrato. Sbuffò, calciando via le coperte e recuperando i
pantaloni, cercando nel disordine della stanza l'aderente canotta che
era solito portare, insieme ai pesanti stivali striati di verde.
Ciabattò, per quanto permesso dalle suole chiodate, fino al
corridoio, fermandosi un
secondo per annusare il delizioso odore di carne fritta provenire dalla
cucina. Istintivamente fece per catapultarvisi, ma la porta della
stanza di suo figlio occhieggiava severa di fronte a lui, ricordandogli
d'un tratto di essere padre. Storse la bocca, tentennando qualche
momento. Si girò in direzione della cucina, ascoltando Gine
canticchiare. Forse, se faceva moooolto piano, poteva arrampicarsi
dalla finestra del bagno, e sgattaiolare al solito bar con Toma e gli
altri... Le sue orecchie sensibili captarono un fruscio
continuo
nella stanza, e deboli vagiti iniziarono a rimbalzare sui muri.
Respirando a pieni polmoni, Bardack si rimboccò -
metaforicamente
- le maniche, avventurandosi nella cameretta come se dovesse affrontare
un potente nemico.
- Trovo
adorabile che tu stia provando a fare il bravo papà - disse
Gine
con un sorriso, appoggiando un enorme vassoio di carne di fronte a
Bardack. - Ma puoi sempre chiedere il mio aiuto quando non sai cosa
fare.
- Mai. - disse
seccamente il guerriero spalancando la bocca e addentando una succosa
bistecca, mente la moglie analizzava l'esclusivo pannolino di Radish
procuratogli dal marito, consistente in una vecchia maglia arrotolata
attorno alle gambe e la vita, fermata con una forchetta
trovata chissà dove. Gine scosse la testa, sconsolata,
mentre
avvicinava un cucchiaio alla boccuccia del figlio, un pezzo di
pancetta
fra i denti. Seguirono attimi di silenzio, interrotti soltanto dal
suono di Bardack che si ingozzava di costarelle e le lamentele di
Radish sulla pappa. Ma, stranamente, l'uomo smise di mangiare poco
dopo, masticando con una lentezza che
non era sua. La donna alzò gli occhi adoranti dal suo
pupetto,
osservando sorpresa il marito. Sembrava... pensieroso. E prima del
caffè era una vista rara.
- ... Bardack? - La voce di Gine arrivò all'improvviso,
cogliendolo di sorpresa e con una striscia di pancetta che penzolava
dalla bocca. Rimase fermo a fissarla, le guance piene, cercando di
raccogliere velocemente i suoi pensieri. Con uno sforzo
mandò
giù il grosso boccone, pancetta compresa, deglutendo e
accompagnando il tutto con un generoso sorso d'acqua.
- Bardack. - riprese lei, insospettita e ancora sorpresa di quel suo
atteggiamento strano. Il guerriero si passò una mano sugli
occhi, sospirando. - C'è qualcosa che devi dirmi? Lo sai che
puoi parlare liberamente.
Bardack aveva accuratamente evitato di parlare con Gine del suo
incontro con Endive, una Ricognitrice dall'aspetto fin troppo
stravagante ed opulento, che gli aveva offerto così su due
piedi
il lavoro della vita. Era ancora in tempo per accettare la missione, ma
vi erano troppi conti che non tornavano. Gli sembrava leggermente losco
quell'affare, e sapeva già cosa ne avrebbe pensato la
moglie. Ma
più la osservava, così piccola e snella, con il
figlio
paffuto fra le braccia, più si convinceva che non voleva
più vederla dietro al bancone della mensa, a lavorare
come... come una
schiava.
Il solo aver pensato a quel termine disgustoso, sussuratogli con voce
vellutata dalla Ricognitrice, lo fece sobbalzare. A cosa diavolo stava
pensando?
- Mi hanno offerto un nuovo lavoro. - buttò lì,
cercando
di non pensare a come avesse paragonato la sua donna ad un infimo
servitore. Gine allargò un sorriso, rilassandosi
notevolmente.
- O beh, ottimo! Abbiamo davvero bisogno di soldi, ma con Radish non
riesco a fare anche gli straordinari. Spero che la paga questa volta
sia migliore! - rispose lei con tranquillità, mentre il
piccolo
giocherellava con una ciocca di capelli della madre. Bardack
annuì, appoggiando entrambi i gomiti al tavolo, usando le
dita
intrecciate per sorreggere il mento.
- La paga sembra ottima. Si tratterà di una missione
abbastanza lunga. Probabilmente.
- Tu e i ragazzi siete i migliori sul campo. Sono sicura che finirai
con mesi di anticipo, come sempre. - disse con convinzione lei,
accarezzando la foltissima chioma della sua progenie, non
accortasi del leggero disagio del compagno. Lui chiuse gli occhi,
inspirando. Forse, dirgli quanto pericolosa quella
missione potesse essere sarebbe stato uno sbaglio. Forse era davvero
meglio tenerle nascosta la verità. Gine era debole, e dalla
sua
debolezza derivava sempre un'eccessiva ansia nei confronti del marito,
che sembrava non conoscere il significato della parola "prudenza". Ora
che doveva anche badare a suo figlio, non poteva davvero permettersi di
star male per lui.
Ma d'altra parte, si era innamorato di quella smilza anni fa. Avevano
anche costruito una famiglia. Aveva la sua fiducia, e doveva essere
messa al corrente.
- Se accettassi, mi manderebbero su un Pianeta Alpha.
Il suono cristallino di un bicchiere che s'infrangeva a terra
risuonò per le pareti della casa. Radish osservava con gli
occhi
dilatati il tappeto di scintillanti vetri per terra, incuriosito da
tutto quel frastuono. La mano di Gine era ancora sollevata, le dita
leggermente flesse ad emulare la forma del bicchiere che fino a pochi
secondi fa stringeva. Osservava Bardack con il volto pallido, il
piccolo stretto al petto; lui, d'altro canto, aveva drizzato la coda,
allarmato dal suono improvviso, le mani appoggiate sul tavolino e gli
occhi fissi in quelli della moglie.
- Un... Un Pianeta Alpha? Come... - balbettò lei, iniziando
a
cullare nervosamente il figlio. L'uomo drizzò appena le
spalle, già sapendo cosa sarebbe successo di lì a
poco.
- Un Pianeta Alpha. Mi ha contattato un Ricognitore, ma non mi ha dato
molti altri dettagli. Ma la paga è alta, Gine. E quei soldi
ci
servono. - disse severamente lui, tentando di far ragionare la fin
troppo emotiva compagna. Lei aggrottò le sopracciglia.
- Mi servono soldi, non un marito morto! - esclamò con voce
tremante, allungandosi in avanti sul tavolino.
- Che diamine stai dicendo? Non sappiamo nemmeno se dovranno esserci
degli scontri! - rispose lui inclinandosi in avanti a sua volta.
- Quei pianeti sono pericolosi! Nemmeno i soldati di Freezer sono in
grado di conquistarli, c'è un motivo se non bisogna andarci!
- La voce di Gine si era incrinata, facendosi
più acuta.
- Ma stai paragonando un Saiyan a quegli incapaci? Gine, se
c'è
un Ricognitore vuol dire che la missione sarà importante! E
lo
sai che significa? - rispose mentre la sua voce si alzava, irritato
dall'obiezione della moglie. - Significa che avremo abbastanza soldi da
stare a posto per un anno! Forse anche per trasferirci da qualche altra
parte!
- Non conterà nulla se ti farai massacrare! -
Strillò
Gine, causando il pianto di Radish che, spaventato, puntò le
manine sul petto materno, cercando di allontanarsi, ma senza riuscirci.
- Massacrare? Preferisci continuare a vivere in questo buco? Lo sto
facendo anche per te! - Rispose Bardack ora visibilmente alterato,
sbattendo le mani sul tavolo e facendo piangere più forte il
figlio.
- Lo stai facendo per te! Lo stai facendo perché non vedi
l'ora di batterti contro un avversario più forte di te!
- La smetti di dire stronzate?! Io voglio soltanto...
- Non voglio più vederti in quello stato! - Gridò
improvvisamente lei, saltando in piedi e facendo un passo indietro,
schiacciando sotto la suola spessa degli stivali i frammenti di vetro,
le lacrime che si affacciavano agli occhi. - L'ultima volta che hai
accettato una missione rischiosa sei quasi morto! Sei stato una
settimana nella vasca di rianimazione! Non ci pensi a tuo figlio? Non
sei abbastanza forte per questo!
- IO NON SONO DEBOLE COME TE! - Urlò Bardack a pieni
polmoni,
saltando in piedi e quasi rovesciando il tavolo, una vena che pulsava vistosa sulla tempia. Gine si bloccò, gli occhi
spalancati e il bambino urlante stretto fra le braccia. Il labbro
inferiore tremò, e calde lacrime le solcarono il volto,
mentre i
singhiozzi le bloccavano il respiro. Il guerriero sbatté le
palpebre, rendendosi conto di quello che aveva appena
detto.
- Gine... - sussurrò facendo un passo in avanti, allungando
un
braccio verso di lei. In tutta risposta, la donna si avviò
verso
il corridoio, il volto bagnato dalle lacrime e sepolto fra i capelli di
Radish, con i vetri che scricchiolavano sotto le sue scarpe.
Sbatté la porta della camera da letto, e Bardack
sentì
chiaramente una chiave girare nella toppa. Si passò una mano sul
volto, stanco, prima di girarsi e seguire la moglie.
- Gine. - Bussò con delicatezza sulla porta della stanza,
sentendo, anche attraverso il legno spesso, i singhiozzi della
moglie. - Gine. Apri per favore. - disse con voce morbida, bussando di
nuovo. I singhiozzi diminuirono d'intensità, ma lei non
sembrava
aver intenzione di rispondere alla chiamata. Bardack
sospirò,
abbandonando la fronte sullo stipite, una mano sulla maniglia e l'altra
appoggiata sulla superficie liscia.
- Non volevo. Io lo so che ti preoccupi per me. Ma se continuo ad
accettare incarichi a rischio zero, i soldi non arriveranno mai. E
Radish continuerà ad essere un guerriero di infimo livello
come
me. Io voglio una vita migliore per lui, e per te. Cerca di capirlo.
Urla strazianti, la
sua armatura era
a pezzi. Sotto le sue mani, il petto ampio non si muoveva
più.
Il sangue - oh Dei, troppo sangue - le imbrattava le mani e il collo.
- Continua a premere! -
Urlò
qualcuno, e lei ubbidì, premendo con forza le mani su quello
squarcio orribile nel tentativo di fermare l'emorragia. Lui non
respirava più. Oh Dei... Se ci
siete...
- La paga sarà alta. Molto. Finora sono riusciti a
conquistare
soltanto tre Alpha, pensa alla gloria e la fama che avremo! Andremo
via di qui. In una di quelle case in quei palazzi altissimi, dove hai
sempre detto di voler andare. Te lo prometto Gine. Apri la porta per
favore.
-
Non respira, non respira! - gridava
con le lacrime che lavavano via il sangue dal volto, continuando a
premere. - Dei, oh Dei vi prego. Aiuto! Aiutatemi! - Si girava attorno,
nel caos generale. Dottori ricoperti di vermiglio e con gli occhi
sbarrati
correvano come impazziti per l'ospedale da campo. Odore di sangue,
sudore, fango, liquidi umani le provocava conati di vomito, troppo
forte e
troppo impregnato di morte. Accanto a lei, su di una branda, stavano
per
amputare una gamba ad un guerriero febbricitante. Urlò
insieme a
lui, come se
avessero affondato la lama nella sua di carne, e reclinò la
testa sul corpo freddo del marito, terrorizzata.
- Non voglio più vederti in quella macelleria. Non te lo
meriti. - Passi cadenzati risuonarono per il corridoio vuoto, fino a
sparire. La porta di casa si aprì e si richiuse con un tonfo
secco. Gine si morse il labbro inferiore, stringendo al petto suo figlio, ormai
addormentato.
- Non penso ce la
farà. -
disse l'infermiere, senza alzare gli occhi dalla
tastiera su cui digitava pigramente. - Le sue ferite sono troppo gravi.
Non è arrivato con abbastanza sangue in corpo per vivere un
giorno di più. Mandare un terza classe su un pianeta Beta, a
che
diamine pensavano?
Osservava, svuotata di
ogni emozione, il corpo di
Bardack, immerso in una vasca di rianimazione. Una nuova cicatrice gli
solcava il bellissimo volto, sofferente e scavato, senza contare l'orrendo taglio sul petto.
- Sei proprio
sfortunata, a partorire fra pochi mesi. Questo bambino te lo
toglieranno senza il padre.
Spalmato su una panchina, Bardack si rigirava fra le mani il
biglietto di cartoncino rigido. Gli occhi neri percorrevano il numero
che vi era scritto sopra, stampato con un font semplice ed elegante.
Prese un
profondo respiro, prima di indossare lo scouter, tenendolo premuto
sull'orecchio mente con la mano libera regolava la vite per farlo
aderire al cranio. Premette sul
pulsante rosso, e l'apparecchio si accese con un sottile bip.
Portò il foglietto di fronte al vetro colorato, attendendo
che
lo scouter rilevasse la chiave seriale. In pochi secondi, la
comunicazione si
stabilì. Un suono fastidioso, come di interferenze,
arrivò attraverso l'auricolare di Bardack.
- Qui Endive. - gracchiò una voce dall'altro capo
della linea, ora pulita. Il Saiyan prese un respiro profondo.
- Bardack. - Seguì un attimo di silenzio, e lui
poté
quasi giurare di vederla sorridere, compiaciuta, dall'altra parte della
linea.
- Iniziavo a pensare che non avresti più accettato.
- Chi ti dice che io voglia accettare? - disse lui tentando di bluffare
per tastare il terreno, cercando di carpirne le intenzioni.
- Cammina.
- Cosa? - disse lui alzando le sopracciglia, sorpreso.
- Ho detto cammina, non startene seduto in disparte. Nessuno deve
intercettare questa chiamata, e ci sono minori probabilità
se
cammini in un luogo affollato.
- Ripeto: COSA? Come fai a sapere dove sono? - protestò lui,
alzandosi comunque in piedi, decisamente sorpreso di quella cosa. - E
poi, non rischi che qualche altro scouter rilevi la
conversazione?
- Questa linea è criptata. I normali scouter non possono
rilevarla, ma qualcuno potrebbe comunque provare
ad hackerarla. Ho i miei mezzi, Capitano Bardack, per sapere cosa stai
facendo.
- Mi stai osservando? - chiese sospettoso, incamminandosi.
- La tua faccia non mi manca abbastanza da
spiarti. Ma non è difficile capire dai suoni di fondo dove
sei e
cosa stai facendo.
- Quindi...
- Quanta pazienza ci vuole con te? Lo sapevo che avrei fatto meglio a
rivolgermi al Team Cubecu. - disse con voce di velluto, senza
dare la minima impressione di essere infastidita dalla
curiosità
del Saiyan.
- Cubecu, quell'imbecille? Non farmi ridere. Allora dimmi cosa devo
fare, visto che muori dalla voglia di farmi accettare questo lavoro.
Convincimi. - disse Bardack
spingendosi nelle vie del mercato. Quel giorno, l'intera
città
sembrava essersi riversata in strada. Complice forse il periodo di
ritorno dalle missioni, moltissimi Saiyan erano pronti a spendere i
soldi appena ottenuti in attrezzature migliori, e in alcol migliore.
Odore di sudore e terra bagnata arrivò al
suo naso, mentre percorreva le strade infangate, bagnate per non far
sollevare un polverone, disseminate di bancarelle. Si
avvicinò
curioso ad uno stand contenente alcune battle suits, osservandole
attentamente, saggiandone le scanalature con i polpastrelli.
- Ti darò un indirizzo tramite delle coordinate.
- Bene.
- Ti farai trovare al suddetto indirizzo insieme al tuo secondo in
comando, e lì vedrò se posso realmente
impiegarvi.
- Aspetta, cosa? Pensavo stessimo pattuendo l'assoldo ora! E
ancora non mi hai dato i dettagli della missione! Che fine ha fatto il
nostro compromesso? - esclamò lui a voce contenuta,
abbassando
indignato la corazza bianca che stringeva fra le mani.
- Onoro sempre i miei impegni. E non posso darti altri dettagli via
rilevatore. Ma se non riesco a convincere i miei superiori che voi
siete i migliori sul campo, finiremo tutti a fare la fame. Ti sto
inviando le coordinate. Ti aspetto fra un'ora, porta anche il fascicolo
della squadra.
- Un'ora? No, aspetta, devo sapere a cosa...! - Senza proferire altro,
Endive chiuse il
collegamento. Bardack rimase di sasso, la battle suit ancora in mano,
osservando spaesato dritto davanti a sé. Cosa era appena
successo? Una serie di coordinate apparvero sul vetrino dello scouter.
- Ehi, se non la compri rimettila giù! - Sbraitò
il
venditore dall'aspetto di alligatore, rivolto al Saiyan. Lui si
riscosse, digrignando i denti.
- 'Fanculo. - Sbottò lasciando andare l'armatura, correndo
verso
la folla. Spintonò varie persone, facendo cadere alcuni
cestini
ricolmi di esotici frutti, e causando l'ira di molti ambulanti. Premeva
continuamente sul pulsante del suo scouter, provando a richiamare
Endive. Ma ad ogni
chiamata, appariva la stessa scritta sul display: "Numero inesistente".
- Cazzo! - Esclamò irritato, cercando un posto libero dove
spiccare il volo. Si gettò in un vicolo vicino, dandosi una
spinta poderosa con le gambe, sferzando l'aria mentre il suo corpo si
sollevava dal suolo ad una velocità sorprendente.
Velocemente,
premette alcuni pulsanti sul suo rilevatore. Lo scouter di Toma era ora
collegato, ma dell'amico ancora non ve ne era traccia.
- .... andiamo andiamo
andiamoandiamoandiamo - grugnì con voce
gutturale Bardack, i capelli che si muovevano sinuosi nell'aria e le
mani strette a pugno. Finalmente, dopo quelli che sembrarono secoli,
una voce conosciuta gli rispose, ansimante.
- Ehi, Bardack, ti richiamo ora non è il-
- No Toma fermo! Ascolta, è importante.
- Ehhn...
- biascicò lui, mentre si sentiva chiaramente una seconda
voce in sottofondo.
- Non mi importa di quello che stavi facendo! Ti voglio qui, ora.
- ...non accetto queste avances senza che tu mi offra una
cena.
- Non fare il coglione! - abbaiò Bardack aumentando ancora
la
velocità di volo, mentre le unghie affondavano nella carne
dei
palmi. - potrei aver fatto un macello. Sto venendo, aspettami... - Un
suono acuto, che gli fece dolere il timpano provenì
dall'auricolare, come se qualcuno avesse strappato lo scouter dalle
mani di Toma.
- Anche io stavo per venire,
pezzo d'idiota! Che diavolo c'è di così urgente?
- La
voce di Seripa, acuta ed incazzata, gli
rimbalzò
per le pareti del cranio.
- Non ho tempo per queste cose! Devo parlare con Toma. È
un'ordine
Seripa! - a sentire il suo amico, solitamente calmo,
alterarsi in quel modo, la donna restituì il rilevatore al
compagno, facendo spallucce, allibita. L'altissimo Saiyan, dopo aver
risposto con un'espressione altrettanto sorpresa, riprese il piccolo
computer, fissandolo sull'orecchio sinistro.
- Che cazzo hai combinato, Bardack?
- Ascoltami... - Toma, nella sua piccola stanza, si stava velocemente
rivestendo, indossando l'armatura sotto lo sguardo offeso di Seripa,
nuda e insoddisfatta sul suo letto. Lo vide sbarrare gli occhi,
fermandosi e appoggiando una mano sullo scouter come se faticasse a
credere a quello che aveva appena sentito.
- Ecco perché si consulta SEMPRE PRIMA il
proprio secondo in
comando, dannato ubriacone! - strillò nel microfono aprendo
nervosamente la
cassettiera, cavandone fuori un fascicolo malamente spillato, per poi
precipitarsi fuori dalla porta sotto lo sguardo allibito della donna.
Sordo ai suoi richiami, si lasciò l'abitazione alle spalle.
Il
suo rilevatore segnava l'aura di Bardack a pochi minuti di volo da lui.
Una volta in aria, riprese:
- Andarsi ad immischiare con i Ricognitori?! Quelli sono inaffidabili!
Come ti è venuto in mente di
accettare senza prima consultarmi?
- Poche storie, Toma! Ti invio le coordinate. Ora, lo so che
sarà una fregatura, ma dobbiamo trovare un modo di
rimediare!
Non ho firmato nulla, non credi che-
- Bardack. - l'interruppe improvvisamente l'amico, con voce sottile. -
Non penso sia una fregatura. Ma penso che siamo nei guai più
di
prima.
- Porca puttana.
- No, non hai capito. Ho ricevuto le coordinate. Quella che ci ha dato
è la posizione del Palazzo Reale.
Il Palazzo di Re Vegeta si stagliava minaccioso sullo sfondo montano.
Il cielo, perennemente rosso, non contribuiva a dare un aspetto meno
tenebroso all'edificio, costituito da altissime torri a spuntoni,
scavate nella grigia roccia granitica. Innumerevoli colonnati davano
respiro alla struttura, aprendosi su corridoi esterni, facendo
assomigliare il palazzo come ad un complicato ed elegante alveare.
Bardack e Toma erano fermi, ai piedi della scalinata, a naso in su ad
osservare spaesati quella struttura gigantesca.
- Cazzo se fa paura. - disse Toma con il fascicolo stretto
sottobraccio. Bardack, una mano tesa sopra gli occhi per proteggerli
dal sole, annuì con convinzione.
- Andiamo? - riprese, osservando il più basso sistemare la
sua battle suit per stare più comodo. Si passò
una mano
fra i capelli, inspirando. Davanti a loro, a pochi metri, delle guardie
li osservavano, immobili ed impassibili.
- Andiamo. - rispose Bardack incamminandosi con fare deciso. Arrivarono
di fronte ai due energumeni, pesantemente armati. Si schiarì
la
voce, drizzando le spalle e cercando di assumere un atteggiamento il
più possibile composto.
- Ehi. Abbiamo un
appuntamento. - disse alla più vicina delle
guardie, appoggiando le mani sui fianchi.
- Ne dubito. - rispose seccamente il soldato, che lo squadrava
dall'alto in basso.
- Pensala un po' come ti pare. Mi ha convocato qui una certa
Endive. - disse
lui, dando un'occhiata a Toma.
Avevano a che fare con una Ricognitrice, al diretto
servizio del Re; l'arma più letale a
disposizione di una spia era il lip
service,
non i pugni. Pertanto, trovavano ancora difficile credere
alle belle parole della donna, con le sue promesse di grandi avventure
e succulenti bottini. Una delle guardie portò una mano
allo scouter, borbottando qualcosa. I due terza classe rimasero fermi,
in attesa, osservando la guardia voltarsi verso di loro, sorpresa e in
proncinto di dire qualcosa, prima di
zittirsi e storcere la bocca.
- Siete liberi di passare. Prendete la scalinata di destra, vi aspetta
nell'atrio. - I due si fecero da parte, permettendo a Bardack e Toma di
proseguire il loro cammino. Gli stivali pesanti calpestavano con tonfi
secchi il granito dell'imponente scalinata, avvicinandosi in assoluto
silenzio verso la porta d'entrata. Il condottiero sentiva gli occhi del
suo secondo in comando puntati addosso. Non sapeva in cosa si fosse
ficcato a causa di una leggerezza, per ripicca dopo un litigio. E per
quella sua testa calda, ora era la sua squadra a pagarne le
conseguenze. Era Toma il vero cervello del plotone, grazie alla sua
innata capacità di analisi; sul campo era vitale tanto
quanto il
potentissimo capitano, ed era sempre lui a consigliarlo ogni qual volta
veniva offerta una nuova missione.
L'ultima volta in cui era stato Bardack a scegliere, sordo ai consigli
del suo amico, erano finiti su un Pianeta Beta. Ubriachi di arroganza e
presunzione, si erano gettati a capofitto nel combattimento. Avevano
vinto, ma ad un prezzo spaventoso. L'altra squadra in coalizione con la
loro era stata sterminata; lui stesso ci aveva quasi lasciato le penne,
guadagnandosi la cicatrice sulla guancia e fitte al petto ogni volta
che il tempo atmosferico cambiava. E sentiva nuovamente il peso
di quella responsabilità calargli sui polmoni, mozzandogli
il
respiro.
La preoccupazione di Gine era dunque comprensibile; ma lei non capiva.
Non avrebbe mai potuto capire,
non era un guerriero come lui. Non capiva la dipendenza che
l'adrenalina pompata nelle vene dava, non comprendeva come il fuoco che
si avesse dentro fosse in grado di bruciare più delle ferite
aperte, non
comprendeva l'eccitazione di ergersi per ultimo su un campo di
battaglia,
la bellezza del sangue del nemico ad imbrattare le mani e i vestiti.
Per provare
quell'ebrezza, la morte era un prezzo che qualunque guerriero avrebbe
pagato
volentieri.
Arrivati in cima, si trovarono di fronte ad una pesante porta rocciosa,
chiusa
accuratamente. Non vi erano guardie a presidiarle, come era invece per
l'ingresso principale, ad un centinaio di metri da loro, sorvegliato da
almeno
trenta energumeni. Si osservarono attorno, cercando un pulsante, ma la
parete era liscissima, al punto che perfino trovare il
contorno del portone era difficile.
- Secondo me ci hanno preso per il culo. - sbottò Bardack
sbuffando.
- Dici? - ribattè sarcasticamente l'amico, passandosi una
mano
fra i corti capelli neri. - Colpa tua, non hai preso il numerino.
- Non mi avevi detto che bisognasse prendere un numero...! Che ti ho
portato a fare allora? - si lamentò lui incrociando le
braccia.
Toma rimase fermo, sbattendo le palpebre.
- Ma sei cretino, il numero? Non siamo in fila in banca.
- ...C'è un motivo se sei tu il cervello del gruppo. - si
limitò a sbuffare Bardack, girando lo sguardo altrove.
- Già, ancora mi chiedo come abbia fatto ad essere tu il
capitano della squadra. Ad andarsi ad immischiare con un Sorcio...
- Perlomeno noi non dobbiamo leccare gli stivali di Vegeta per portare
il pane a casa. Gioisci. - Non finì nemmeno di pronunciare
la
frase che un suono
metallico di meccanismi ruppe il silenzio, e con un fruscio le ante
della porta rientrarono nelle pareti.
- Ohibò, è questa la considerazione che ha un
povero
Ricognitore fra voi terza classe? - In piedi dietro la porta, Endive
sorrideva gentile, accogliendo con le braccia conserte i due arrivati.
Indossava una vistosa camicia verde smeraldo, ricamata con fili d'oro,
e larghi pantaloni di un verde più chiaro stretti sulle
caviglie. Una fascia rosso sangue era mollemente legata sui fianchi,
con le estremità che quasi sfioravano il terreno. Perfino le
scarpe erano strane, nulla a che vedere con i loro pesanti stivali, ma
erano delicate juttis* fittamente decorate. E tutto questo senza
contare i vistosi gioielli su braccia e orecchie, oltre a quel
particolare piercing sotto il labbro. Toma si schiarì la
voce,
le guance appena imporporate per l'imbarazzo.
- Lei è la signorina Endive?
- In persona.
- Toma, secondo in comando del Team Bardack. È un piacere
conoscerla. - disse educatamente, tendendo una mano per farsela
stringere. Con sua somma sorpresa, la donna scelse piuttosto di
congiungere le mani, esibendosi in un piccolo inchino.
- Il piacere è mio, signor Toma. La prego di darmi del tu. -
Si
voltò verso Bardack, eseguendo perfettamente lo stesso
inchino
di prima. - è un piacere rivedere anche te. Prego,
seguitemi. -
Così facendo si voltò, incamminandosi nel
corridoio,
seguita dai due terza classe. La porta si richiuse dietro di loro, e
immediatamente una soffocante penombra cadde su di loro, rischiarata
soltanto dalla luce di alcune torce. Era evidente, dalla pietra nuda
che costituiva le pareti del corridoio e dall'assenza di
elettricità, che fossero in un'ala del
castello soggetta a lavori; una scelta inusuale, ma riflettendoci,
passare per il cantiere era il modo ideale per nascondere la propria
presenza. Ma per quale motivo fosse necessaria tutta questa segretezza,
i due Saiyan ancora non lo sapevano.
Toma, a differenza di Bardack, era
riuscito a contenere la sorpresa di vedere una donna
così tanto truccata, con una spessa linea nera e oro sugli
occhi
castani. Anche i gioielli e l'abbigliamento erano di quanto
più
eccentrico vi fosse per sua esperienza. Ora che non era protetta da un
pesante mantello, era possibile intuirne il fisico, rendendola ancora
più particolare agli occhi dei due saiyan. La musculatura
non
era molto definita, ma perfettamente visibile e massiccia sotto la
pelle; la camicia sbracciata e aderente metteva in risalto il seno e i
fianchi generosi, sottolineati da una vita relativamente stretta. Era
di certo ben lontana dalle classiche saiyan piccole di statura e
snelle, osservò Toma. Gli occhi gli caddero sulla chioma
bruna
e, ora che si era girata, potè notare con
sommo sgomento la coda, decorata con ben
quattro anelli su tutta la sua lunghezza.
- Ma dove l'hai trovata una così? - sussurrò a
voce bassissima all'amico, con gli occhi sgranati.
- Se ti dicessi al bar ci crederesti? - rimbeccò lui
aggrottando
le sopracciglia. Toma gli lanciò un'occhiataccia, prima di
tornare ad osservare Endive.
- Allora, Endive. Mi dispiace di non averti incontrata quella sera al
bar, ma c'ero anche io. - Senza smettere di camminare, l'opulenta
saiyan si girò, osservando l'altissimo guerriero.
- Ah già. Eri tu ad aver fatto doppia coppia, giusto?
- Ci stavi osservando mentre giocavamo a poker? Non ti avevo notata -
chiese lui ridacchiando, grattandosi la nuca con un gesto sciolto.
- Sì. Piace molto anche a me il gioco d'azzardo, ma non mi
sembrava il caso di disturbarvi.
- Ma figurati, allora la prossima volta farai una partita con noi,
giusto Bardack? - disse retoricamente all'amico, che ancora osservava
costernato la quantità di gioielli che la donna indossava.
- Ah, certo. Ma a me importerebbe di più sapere
dove stiamo andando, non siamo mica dei muratori.
- Bardack! - soffiò Toma, inviperito. Non c'era verso che
quel
testone fosse in grado di appoggiarlo; voleva cercare di estorcere
qualche informazione ad Endive manovrando una conversazione, ed ecco
che arrivava lui, tutto impettito, a cagare bellamente sui suoi piani.
Ma forse, era meglio così. Non poteva battere un Ricognitore
nel
suo campo, e la spigliatezza di Bardack poteva essere la contromisura
migliore.
- Mi sembra dovuto. Non vorrei che vi facciate un'idea sbagliata di me.
Capisco come questo inizio possa essere... fraintendibile.
- si girò nuovamente in avanti, guidando i due guerrieri
lungo
un dedalo di scuri corridoi, illuminati da poche torce, che
rimbalzavano sulle lucide armature e sugli sfavillanti gioielli. - Gli
scouter possono essere facilmente intercettati. Qualunque scimmia con
un computer sarebbe in grado di captare una comunicazione, e non
esistono contromisure sicure. Pertanto, sarò disponibile a
rispondere alle vostre domande, ora che non vi sono ficcanaso ad
ascoltarci.
- Allora, dimmi chiaro e tondo cosa stiamo facendo qui. - Endive si
fermò, girandosi verso di loro. I capelli seguirono il suo
movimento, cadendo morbidi sulle spalle e rivelando i numerosi
orecchini su entrambi i lobi. I suoi occhi, grandi ed indagatori,
sembravano in grado di scrutare dentro l'anima, e ciò mise a
disagio Toma. Deglutì, stringendo la presa sul
fascicolo spiegazzato. Non riusciva a scrollarsi di dosso la sensazione
di essere una pedina sotto lo sguardo di un giocatore esperto, e la
cosa non gli piaceva per niente. Era sicuro che Bardack non provasse la
stessa sensazione, troppo arrogante ed affamato di prodezze per
fermarsi a pensare. Ed era esattamente il motivo per cui, in
qualità di migliore amico, era lì: colpirlo al
momento
più opportuno alla testa e trascinarlo via da quel delirio
che
lui stesso aveva causato.
- Durante la chiamata hai detto che avresti visto qui se effettivamente
impiegarci. Ma al bar non avevi accennato a nulla di simile. - lei
annuì, posando i suoi occhi in quelli scuri del guerriero.
- Le nostre missioni funzionano in modo diverso. Voi guerrieri venite
impiegati per la semplice distruzione, eradicando la popolazione per
rendere il pianeta colonizzabile; l'unico requisito necessario per
l'assegnazione è la forza combattiva. Noi veniamo assegnati
a dei pianeti
inesplorati, sulla base delle nostre specializzazioni, e ne valutiamo
le risorse e la potenza degli abitanti,
qualora ce ne siano. Alla fine della missione, assegniamo al pianeta
una classificazione, e passiamo le informazioni agli uffici di
Dislocamento, che si occupano poi di selezionare i plotoni per
conquistarlo. E come mai allora il Ricognitore viene nuovamente inviato
insieme al plotone sul pianeta, se il suo compito è
già stato portato a termine? - Endive alzò il
dito indice, a sottolineare
l'importanza di quanto stava per dire.
- Questo accade perchè le risorse del pianeta potrebbero
essere
vitali per l'avanzamento del nostro Impero, e non c'è modo
di
ottenerle senza l'impiego della forza. Cosa di cui, ahimè,
non
disponiamo come voi. Ma servono anche le nostre conoscenze per essere
sicuri della riuscita della missione. Non dobbiamo sterminare, ma
strappare informazioni
ai nostri nemici.
- Perchè, solitamente voi vi fermate a parlare con loro?
Siamo
un popolo di conquistatori, se vogliamo qualcosa ce la prendiamo. -
ribattè Bardack, che ancora non capiva il punto della
Ricognitrice. - Ogni persona risparmiata avrà dentro il seme
della rivolta. Alla prima occasione si ribelleranno, e causeranno
soltanto grattacapi. Eliminarli è la soluzione migliore, non
vedo il senso di lasciarli in vita e prendersi le loro informazioni.
- Hai perfettamente ragione - rispose prontamente lei, portando le
braccia dietro la schiena. - ecco perchè la maggior parte
dei
pianeti sono soggetti allo sterminio dei loro abitanti. Basiamo tutto
sulla paura, e l'universo trema nel momento in cui le nostre navi
bucano l'atmosfera. Ma delle volte alcuni alieni sono più
utili
da vivi che da morti, e quando si tratta di pianeti Alpha di solito
sono di gran
lunga più forti di noi. Ed è qui che entriamo in
gioco
noi Ricognitori. Il
requisito necessario per l'assegnazione non è soltanto
quello di impiegare una squadra con
un alto livello combattivo, ma quello di presentare una strategia
vincente per la conquista. È
esattamente quello che faremo oggi: convinceremo
tutti che è il nostro piano quello più geniale, e
distruggeremo le
teorie dei miei colleghi che si contendono la missione con me. Dobbiamo
far
credere a questi alieni che non siamo nemici, ma salvatori. Che siamo
indispensabili
per loro. E se servono delle belle parole, un sorriso affabile o un
abile ricatto, siamo pronti a farlo. Capirete che questa non
è
una missione che dei semplici guerrieri di infimo livello possono
portare a termine.
- Ma... quindi, stai dicendo che dovremmo assoggettare delle persone
poichè troppo forti per noi? È un controsenso,
sono pericolosi e andrebbero eliminati!
- La veda così così - rispose Endive, osservando
il suo
interlocutore, Toma. - uccidere è facile. Solleva da ogni
responsabilità. Quando la popolazione è sepolta
sotto due
metri di terra, non si può fare altro che passare al pianeta
successivo. Ma così facendo si perde una civiltà,
una
cultura. Si perde la scienza e il contributo tecnologico che quel
popolo potrebbe dare all'impero. Pensi se fossimo riusciti ad
assoggettare gli Tsufuru, anzichè sterminarli. Erano
già
tecnologicamente avanzati, e se avessero fatto altre scoperte? E se
fossero ulteriormente progrediti? La nostra razza non avrebbe rivali, e
non avremmo avuto bisogno di Freezer. Non ci saremmo limitati a degli
stupidi computer e alle navicelle. E
se esistono razze più forti della nostra, non dobbiamo fare
altro che conquistarci la loro fiducia, giocarcela in furbizia, e
avremo presto alla nostra mercè dei comodi burattini da
utilizzare come più ci pare e piace, per poi eventualmente
sbarazzarcene quando smetteranno di essere utili. Ecco
perchè esistiamo noi Ricognitori. Per elevare la nostra
razza, e renderla padrona dell'universo sotto ogni aspetto.
Bardack e Toma osservavano Endive con gli occhi sgranati, quasi
increduli. La Saiyan si ergeva nel suo ridicolo completo verde e oro,
con quegli occhi talmente grandi da riflettere come uno specchio le
fiamme danzanti delle torce, eppure sembrava sovrastarli, imponente e
soffocante. Celava ancora molte cose, troppe, e questo suo potere era
spaventoso. Ora dava davvero l'impressione di essere una donna in grado
di rovesciare un impero con una parola.
- Voi Ricognitori siete davvero gente strana. Sembrate davvero convinti
di quello che dite. - Disse Toma a denti stretti, allargando un
sorriso. Ora capiva come avesse fatto quella donna a convincere
Bardack. Il modo in cui sceglieva le parole, la determinazione con cui
parlava, gli occhi intelligenti. Era una leader nata, e aveva iniziato
a sedurre anche lui. Ma a Toma serviva ancora un po' di lavoro per
cadere ai suoi piedi, a differenza del suo ottuso collega. Endive
rispose con un sorriso divertito, prima di
girarsi e proseguire il cammino.
Lentamente il corridoio si allargò, e la roccia nuda venne
sostituita da più pratiche pareti di metallo lavorato; alle
torce si sostituirono delle lampade, e ora il suono dei loro
passi rimbombava con maggior forza. Presto arrivarono di fronte ad una
porta dopo quella che sembrò essere un'eternità
nelle
viscere del castello.
- Ora - disse Endive fermandosi di fronte alla porta, rivolgendosi ai
due Saiyan. - è semplice. Non parlate a meno che non vi dia
io
il via libera. È
vitale per l'assegnazione della missione.
- Quindi, ora vedremo te e un'altra Ricognitrice mentre vi rotolate nel
fango per contendervi la missione? - chiese Bardack con un ghigno,
facendo gemere esasperato Toma.
- Ti sorprenderebbe sapere che siamo per lo più donne fra i
Ricognitori. E ti sorprenderebbe sapere in quante ti avrebbero
già strappato il cuore a mani nude a quest'affermazione.
- Peccato, sarebbe stato un bello spettacolo.
- Oh, non preoccuparti. Sarà uno spettacolo ancora
più interessante vedere un Ricognitore rovinato a vita.
- Cosa?
- Vedrai. - rispose lei enigmaticamente, premendo il pulsante
d'entrata. La porta si aprì con uno sbuffo, lasciando che i
tre
entrassero nella stanza, immersa in una fittissima penombra. Gli occhi
vigili dei Saiyan si abituarono in fretta alla rinnovata
oscurità, riuscendo a delineare i contorni di un lungo
tavolino.
Vi erano poste tre sedie, tutte lungo un lato, e a pochi metri di
distanza potevano scorgere un secondo identico tavolo. Il resto della
stanza era ancora troppo scuro per poter individuare qualcosa.
- Endive. Ce ne hai messo di tempo. - Una voce sembrò
fuoriuscire da quell'oscurità che tanto li disorientava, ma
senza darsi pena di rispondere, la Saiyan fece un cenno a Bardack e
Toma, invitandoli a seguirla come se nulla fosse successo. Mano a mano
che si avvicinavano, notarono tre silhouettes sedute sul lato del
tavolo accanto a quello indicatogli dalla donna.
- Vodocaa. Direi che è un piacere rivederti, ma ho
il dovere di essere onesta in questa sessione. - I tre presero posto
sulle sedie libere,
la donna al centro, e ora poterono ben vedere la nuova interlocutrice.
Era una Saiyan con occhi e capelli neri, la pelle chiara e i tratti del
volto abbastanza dolci. Indossava una classica battle suit, in parte
coperta da un mantello bianco. Ai suoi fianchi sedevano due guerrieri
mai visti prima, ben vestiti e dall'aspetto fin troppo curato. Vodocaa
scoppiò a ridere nel momento in cui vide Bardack e Toma.
- Sei fuori? Hai portato dei terza classe?! - disse cercando di
smettere di ridere, molto divertita da quella situazione.
Bardack storse la bocca, lasciandosi cadere in modo sgraziato sulla sedia alla destra di
Endive. Non gli andava di rispondere ad una provocazione tanto banale,
ma non era nemmeno andato lì per farsi insultare
gratuitamente.
- Vedo che i tuoi cavalieri
sono invece dei seconda classe. Una scelta intelligente.
- Smettila con questa finta gentilezza, mi fai vomitare. Ricordati che
l'unico motivo per cui sei qui è che sei una...
- Siamo ad una riunione o ad un incontro fra galli? - disse una voce
fredda, imperiosa. Endive e Vodocaa saltarono in piedi, intimando ai
loro ospiti di fare altrettanto. Velocemente, si portarono una mano al
petto, osservando fisse di fronte a loro. Bastò un'occhiata
per
spingere i quattro uomini a seguire i loro movimenti. Nessuno fece in
tempo a capire cosa stesse succedendo, che il centro della stanza si
illuminò. Un dettagliato ologramma di un grosso pianeta,
estremamente verde, illuminò quasi completamente la stanza
di
una luce azzurrina, rivelandone l'effettiva ampiezza. Non era molto
grande, ma era spoglia di qualsiasi mobilio, tralasciando i due tavoli
e
un'enorme sedia lavorata posta su dei gradini, a circa cinque metri da
loro. E su quei dieci gradini era in piedi una figura che chiunque
avrebbe riconosciuto.
- Re Vegeta? - mimò con le labbra Bardack, sgranando gli
occhi,
senza riuscire a contenere la sua sorpresa. Osservò spaesato
la
figura del re, imponente e severa. I capelli neri riflettevano la luce
azzurra dell'ologramma come una fiamma blu. Gli occhi severi scrutavano
i sei presenti, mentre una mano inguantata si accarezzava la barba,
pensieroso. Quindi questo significava essere ai diretti ordini del re?
Bardack non avrebbe mai immaginato che il sovrano in persona avrebbe
partecipato alla riunione.
- Salute a voi, o grande Re Vegeta, conquistatore dell'Universo, unico,
vero e legittimo sovrano dei Saiyan. - dissero in coro Endive e la sua
rivale, inchinandosi. Vegeta non rispose, limitandosi a salire sul
piccolo trono, sistemandovisi con un teatrale movimento del mantello.
Accanto a lui, dal nulla, era apparso un enorme uomo, con una corta
zazzera di capelli neri sulla cima della testa. I suoi baffi gli davano
un aspetto quasi affabile, ma c'era qualcosa in quel gigante che
metteva
i brividi.
- Il Consigliere Nappa mi ha detto che siete rimaste voi due a
contendervi la missione
sul pianeta Kelitt. Avete portato con voi la squadra scelta?
- Sissignore - si affrettò a rispondere Vodocaa, allargando
un
braccio verso i due guerrieri che portava con sè. - Loro
sono la
squadra Tichoke. Hanno all'attivo venti missioni, tutte di successo,
su pianeti Iota e Zeta. Sono uomini spietati, che seguono
pedissequamente gli ordini, e non hanno paura di dare la vita per
l'Impero Saiyan. Hanno un livello combattivo di ben tremila,
impareggiabili. Oltretutto, hanno ampie conoscenze nel campo della
politica, hanno servito a corte sotto il regno di vostro padre mio
signore, e come sicuramente ricordate, sono allenati nelle missioni di
infiltrazione. - Vegeta annuì, apparendo
assolutamente
immune alla mole di belle parole dedicate ai guerrieri della Saiyan.
- Invece cos'hai da proporre tu, Endive? - Senza fretta e senza
sembrare in alcun modo in soggezione, la donna portò
le mani dietro la schiena, drizzando fieramente la schiena.
- Vi ho portato la squadra Bardack, plotone di terza classe. Ventisette
missioni all'attivo, di cui ventidue di successo. Hanno prestato
servizio militare in pianeti Ro, Ni, Lambda, Iota, Zeta e Gamma. Non
sono molto disciplinati, ma seguono gli ordini ricevuti e sul campo di
battaglia sono inarrestabili.
- Inarrestabili? Sono dei terza classe. - il "sussurro" di Vodocaa
potè essere sentito da tutti i presenti nella sala, causando
un
grosso sorriso divertito al consigliere del re. Ma Endive non
sembrò farci caso.
- Come mai non ti sei affidata a dei seconda classe, come ha invece
saggiamente scelto la tua collega? - chiese Vegeta, appoggiando il
mento al palmo della mano, incuriosito da quell'azzardo.
- Perchè un seconda classe non sarebbe mai all'altezza della
missione. - rispose lei con una tranquillità che fece
spalancare la bocca ai presenti. Era scema o cosa?
- E questi terza classe invece lo sarebbero?
- È
quello che sostengo, mio signore. - Vegeta si lisciò la
barba, soppesando le parole della donna.
- Nappa, ripetimi le informazioni sulla popolazione.
- Sissignore - rispose lui, prendendo dei buffi occhiali
rotondi, calzandoli sul naso aquilino, per poi sfogliare un
plico di fogli che finora aveva tenuto dietro la schiena.
- Il pianeta Kelitt, Nebulosa del Procione, sistema di Tuchanka. Le sue
dimensioni sono il quadruplo del pianeta Vegeta, con all'attivo una
popolazione di circa dodici miliardi di persone. Sono umanoidi,
tendenzialmente più bassi e snelli di noi Saiyan, con
caratteristica principale quella di avere le orecchie un po'
più a punta. Sono stati colonizzati e schiavizzati circa
cento anni fa dai Mentemaliani, in cerca di un nuovo pianeta dopo che
un asteroide aveva distrutto il loro. Hanno portato con loro la
tecnologia a cui noi puntiamo. Inoltre, hanno contagiato i nativi con
il loro fanatismo religioso, suddividendo la società in
caste e costringendo i Kelittiani a lavorare per loro. Cosa non
difficile, contando che il livello combattivo di un Mentemaliano si
aggira attorno a cinquemila, in contrasto con il livello duemila dei
nativi.
- Capisco. Vodocaa, come avresti intenzione di soggiogare i Kelittiani
e
impossessarti delle loro tecnologie? - Con un sorriso beffardo in
volto, tipico di chi sa di avere la vittoria in pugno, la donna si
avvicinò all'ologramma al centro della
stanza, allungando una mano. L'ologramma rispose al suo contatto,
facendo girare il pianeta ad ogni tocco. Puntò un dito su di
un punto specifico del pianeta, il suo tocco lasciava un'impronta rossa
sulla superficie della proiezione.
- Io e la squadra atterreremo sulle catene montuose a nord della
capitale. Sono considerate un posto sacro, in cui gli dei vivono. Da
lì, scenderemo fino ad uno dei villaggi limitrofi, e
inizieremo
facendo terra bruciata. Tutti attacchi mordi e fuggi, puntando
ovviamente ai Kelittiani, non sapranno
nemmeno cosa li ha attaccati. I Mentemaliani penseranno che siamo
emissari degli dei,
che stiamo approvando la loro schivizzazione dei Kelittiani, e non
sapranno come reagire. Prenderemo in ostaggio civili, se
necessario, professandoci come emissari dell'ira divina. Il loro
fanatismo religioso li rende facilmente malleabili. Credono che le
divinità un giorno scenderanno dal cielo, arrivando dalle
montagne, distruggendo tutto. La nostra potenza militare è
limitata se paragonata a quella dei Mentemaliani, ma siamo
più
furbi. Quando vedranno i loro villaggi sparire uno ad uno, ad una
velocità sorprendente e senza lasciargli il tempo di
organizzare
una resistenza, si convinceranno che siamo più forti di
loro,
che siamo gli avatar della rabbia divina. Quando inizieranno a pensare che siamo
inarrestabili, manderemo un ultimatum. Diremo che l'unico modo
per espiare le loro colpe è quello di sottomettersi ai
Saiyan,
mandatari del vero messaggio degli Dei.
Un piano tanto ambizioso
quanto intelligente, pensò Bardack. Si
girò per
osservare Endive, il cui volto tranquillo non tradiva alcuna emozione.
Questa Vodocaa
è geniale, usando la tattica del terrore, manipolando le
persone sfruttando le loro stesse credenze. Che
diavolo avrà in mente questa Endive? Sembra passare
più
tempo ad imbellettarsi che a ragionare. E poi, quella ha portato dei
seconda classe. Già per quello perdiamo in partenza.
- Preoccupato, Bardack? - la voce vellutata della donna lo colse di
sorpresa, facendolo distrarre da quei pensieri scoraggianti. Un
improvviso sorriso si stagliò sul volto della Ricognitrice, che
lentamente avvicinò la sua testa a quella del Saiyan,
tirando
fuori la lingua. Fu allora che lui notò una sfera metallica,
identica a quella sul labbro, fissata alla sua lingua tramite un
piccolo spillo metallico. - Questo gioiello nella mia cultura significa che ho la lingua
di serpe. Il mio veleno è più forte del suo. Tu
preparati
a spogliarti quando te lo dico io.
- Spo... spogliarmi...? - Biascicò Bardack con gli occhi
spalancati, schifato da quell'orecchino che le bucava la lingua e
stranito dalle parole di Endive.
Lo sapeva, quella era matta da legare.
- Un buon piano, Vodocaa. Dai rapporti, si direbbe che i Mentemaliani
siano ossessionati dall'idea dell'apocalisse. Potrebbe essere un piano
molto efficace, o un enorme fallimento. Non vi stanno vie di mezzo. -
disse infine Vegeta, annuendo soddisfatto di quella proposta.
- Nossignore. - disse tranquillamente lei, girandosi e tornando al
tavolino, rivolgendo uno sguardo di tronfia superiorità
all'elegantissima rivale.
- Endive. - Vegeta fece un cenno con la mano alla donna, invitandola a
prendere il posto della collega. Senza farselo ripetere due volte, lei
si alzò dalla sedia, dirigendosi con passi calcolati al
centro
della sala. Si avvicinò all'ologramma, facendo ruotare il
pianeta. Fermò la mano su di un punto sperduto,
apparentemente
in mezzo al nulla.
- Non ho intenzione di farmi beffe dei loro dei. Innanzitutto, non
credono nella reincarnazione. Le loro divinità hanno aspetti
animaleschi, e a meno che Vodocaa non voglia indossare la testa di un
alligatore, trovo difficile pensare che cadranno nella trappola.
- Infatti tutto sta nel minare le loro credenze. - ribattè la Saiyan corvina, alzandosi in piedi ma senza abbandonare
il suo tavolo.
- Ma che stanno facendo? - chiese sottovoce un confuso Bardack.
- Probabilmente stanno cercando di costruire un dibattito in cui
mostrano i
punti deboli del piano del rivale, e questo deve potersi difendere. E
ora zitto e ascolta. - disse Toma.
- Se gli mostrassimo che la loro religione ha dei fondamenti errati,
cadrebbero in una profonda crisi, sarebbero vulnerabili e noi
sfrutteremo questa debolezza per manipolarli.
- Hanno già sperimentato i viaggi spaziali, sanno che
esistono altre razze. E sono dei fanatici;
nulla farebbe cedere le loro convinzioni, men meno un alieno che si
finge un loro dio. Le loro montagne sono sacre, ma infestate da animali
selvaggi. Solo all'atterraggio, hai un rischio del cinquantadue per
cento di perdere almeno un membro del plotone. Tremila non è
un
livello sufficiente per battere quei mostri, il cui livello si aggira
attorno a cinquemila.
- È
possibile allontanare quegli animali usando stimoli olfattivi che
sintetizzeremo in laboratorio.
- Un odore che può allontanare una specie rischia di
attirarne
un'altra. Per quanto riguarda i villaggi, sei proprio sicura che i tuoi
soldati
siano più forti di quei contadinotti?
- Come osi, puttana? - sbraitò livida Vodocaa, battendo il
pugno
sul tavolo. - I miei guerrieri sono seconda classe, non luridi...
- Ordine! - richiamò prontamente Nappa, urlando alla volta
della
Saiyan. - Siete al cospetto del Re, comportatevi di conseguenza! -
Bardack non potè non sorridere divertito. Quella pazza
di Endive stava distruggendo il piano a primo impatto geniale di
Vodocaa. Forse sotto sotto aveva davvero una strategia. Vide la corvina
abbassare lo sguardo, mormorando contrariata alcune scuse.
- Come dicevo poi, la massima espiazione delle loro colpe consiste nel
suicidio in nome delle loro divinità. In questo modo possono
riscattare il loro onore. Sono inoltre un popolo di schiavisti, non
sceglierebbero mai di servire un altro padrone. Preferirebbero far
esplodere il pianeta piuttosto che cedercelo. - a quest'ultima
considerazione, la rivale non ribattè, osservando a denti
stretti il tavolo, le mani serrate a pugno.
- Esponi allora il tuo di piano.
- Due parole: Guerra Civile. - il silenzio piombò nella
stanza, rendendo possibile sentire il sordo ronzio del proiettore
dell'ologramma. Vegeta aveva abbandonato la sua posizione rilassata,
sporgendosi leggermente in avanti, incuriosito.
- Guerra civile? - Il sorriso di Endive emanava sicurezza.
- Come ho già detto prima, sono un popolo di schiavisti, con
un
sistema di caste. Chi nasce nella casta degli schiavi, ovvero la
popolazione indigena insieme ad alcuni discendenti di antichi
prigionieri di guerra, è costretto a servire un
padrone a vita. Ma a differenza dei loro padroni, sono loro i veri
proprietari del pianeta. Partiamo dal loro orgoglio, anzichè
cercare di ottenere l'aiuto dei colonizzatori. Convinciamoli che i
Saiyan li
vogliono al loro fianco, che li aiuteremo a riscattarsi in nome dei
loro gloriosi avi, e che in cambio vogliamo soltanto il loro sostegno
militare e la tecnologia dei loro padroni. Come detto, i loro livelli
combattivi sono impressionanti, il doppio di quello di un normale
Saiyan; gli antichi Kelettiani possedevano
tecniche di combattimento avanzate, e i loro discendenti le
custodiscono gelosamente. Numericamente, sono cinquanta volte
più numerosi dei loro aguzzini. Potremmo lasciare che si
distruggano a
vicenda, per poi intervenire al momento opportuno. Saremo in grado di
rovesciare le sorti della guerra con uno schiocco di dita.
- Folle! - esclamò Vodocaa. -
Vorresti scatenare una guerra? E come farai a convincere questi
schiavi, che non si
sono mai ribellati?
- Per quale motivo secondo te non si sono mai ribellati? - chiese
tranquillamente Endive, girandosi verso la sua rivale. - Paura della
morte? Codardia? No, è molto più semplice: manipolazione.
Sono stati convinti fin dalla nascita che la loro vita sarebbe stata
quella di uno schiavo. Non gli è mai stato mostrato altro. E
se
un giorno invece apparissero degli stranieri, ad offrirgli una nuova
via? Un nuovo modo di vivere da uomini liberi?
- Non si sono mai ribellati finora. Credi che lo faranno ora
perchè glielo dici tu? Sicuramente vi sono stati dei
contestatori del potere Mentemaliano,
perchè non hanno organizzato una guerra civile di loro
spontanea volontà?
- Semplice psicologia sociale, Vodocaa. Finora erano soli. A parte
qualche testa calda, sono stati un cauto branco di pecore terrorizzati
dal pastore. Ma prova a mettere il pastore contro un ariete. Le pecore
vedono il pastore arretrare di fronte alla carica dell'ariete, e si
convincono che forse, anche se non possiedono le sue forti corna,
possono far arretrare anche loro il pastore. Seguono quindi il nuovo
arrivato, forti della sua potenza, e poco importa che questo si butti in
un crepaccio; loro seguiranno, obbediranno
agli ordini perchè soltanto questo sanno fare.
Ma avranno sempre, e dico sempre, l'impressione di avere la totale
libertà, troppo stupidi per accorgersi di essere manipolati.
- Ancora una volta, scese il silenzio in sala.
- Questo piano mi piace. Ma come farai con dei meri terza classe, fra
l'altro nemmeno addestrati nello spionaggio? Non hai bisogno di truppe,
ma di Ricognitori. Sarebbe il punto debole del tuo piano. - Endive non
perse il suo sorriso, a quanto pare impermeabile alle parole di Vegeta,
girandosi leggermente verso il tavolo dove sedevano i due Saiyan.
- Toma. Bardack. Potreste raggiungermi, per piacere?
- Questo non era negli accordi. - disse Toma, non riuscendo
più a seguire il piano di Endive. Scatenare una guerra era
un'operazione meschina, degna di un Ricognitore. Serviva cervello, non
muscoli, soprattutto nelle parti finali della strategia.
Perchè quindi affidare una missione così critica
a loro? Bardack sembrava altrettanto entusiasta all'idea di doversi
alzare, ma non fiatò, precedendo Toma e portandosi al fianco
della donna, entrando nella luce proiettata dall'ologramma. I suoi
occhi neri si scontrarono con lo sguardo di Vegeta, che lo osservava
impassibile. Aggrottò le sopracciglia,
stringendo i pugni.
- Consigliere Nappa, il qui presente Signor Toma ha il fascicolo della
squadra. Potresti farmi l'immenso piacere di leggerlo? - Nappa
osservò Vegeta, attendendo il suo lasciapassare. Con un
gesto impaziente, il Re gli indicò il gruppetto davanti a
loro, illuminati dalla sinistra luce verdastra dell'ologramma. Il
gigante scese le scale, avvicinandosi a Toma che,
facendo un passo in avanti, porse il plico. Nappa lo sfogliò
velocemente, tornando al fianco del reggente.
- Come potete leggere, nonostante le missioni svolte siano state
principalmente su pianeti di basso livello, la squadra Bardack
è stata attiva anche su pianeti Iota, Zeta e Gamma. Ma mi
sono scordata di citare una delle loro ultime missioni. Bardack. - si
girò verso il guerriero, lo sguardo più
concentrato. Sembrava davvero una giocatrice di scacchi, pronta a
circondare il Re dell'avversario in pochi istanti. - Potresti toglierti
la battle suit?
Me l'hai chiesto
davvero?!? Bardack spalancò la bocca, seguito
da Toma che era all'oscuro della loro precedente conversazione. Era
convinto che prima la Saiyan scherzasse con quella storia del
denudarsi, ma gli aveva appena chiesto - anzi, velatamente
ordinato, davanti al re per giunta, di togliersi l'armatura.
- Su, veloce. - intimò lei, girando lo sguardo verso Vegeta,
che sembrava manifestare una leggera perplessità.
Trattenendo a stento uno sbuffo, Bardack afferrò il bordo
inferiore della suits, allargandola e iniziando a spingerla verso
l'alto. L'armatura si sfilò come un guanto, rivelando il
fisico possente del guerriero. Lucida, una grossa cicatrice a livello
del petto risplendeva sulla pelle bruciata dal sole.
- Sei mesi fa, la squadra Bardack è stata dislocata sul
pianeta Xanadu.
- Xanadu era un Beta. Ricordo che sono stati vari i tentativi di
conquista. Ho perso settanta uomini in quella conquista. - disse
Vegeta, che sembrava aver capito dove volesse andare a parare
la Saiyan.
- E con questo? Ricordo bene il rapporto. Il tuo bel soldatino ci ha
quasi rimesso le penne a giudicare dalla cicatrice, e l'altra squadra
è finita ammazzata per la sua incompetenza. Se non era al
livello degli Xanaduiani, che numericamente erano anche inferiori, cosa
ti fa pensare che possa anche solo lontanamente sfiorare un
Mentemaliano? - Vodocaa aveva toccato il punto debole del piano di
Endive. I soldati da lei scelti non sembravano per nulla all'altezza
della missione. Ma lei, forte della sua intelligenza o della sua immensa
arroganza, non si scompose.
- Se ricordi bene, Xanadu era un pianeta nello stesso sistema di
Mentemal. I due popoli si conoscono, e sebbene i rapporti fossero tesi,
vi era pace. Condividevano perfino le tecniche di combattimento.
Immaginate ora questa scena. Navi che bruciano l'atmosfera, cadendo con un
boato sulla superficie. Sono alieni, che si professano amici dei
Kelettiani. Ovviamente, questo non sarà sufficiente a
convincerli. Sarà un piano dei Mentemaliani per trovare i
loro ribelli. Ma ad un certo punto appare lui. - e così
dicendo, posò una mano sul petto nudo di Bardack, con un
movimento improvviso che prese di sorpresa il guerriero.
- E cos'ha questo guerriero, a parte un paio di spalle larghe? - chiese
Vodocaa, pregustando la vittoria. Il piano della sua rivale si stava
facendo semplicemente folle.
- Ha una cicatrice. Una cicatrice dai bordi troppo definiti per essere
il risultato di un blaster o un semplice raggio energetico. La forma è
oblunga e sottile. Una ferita che i Kelettiani conoscono bene. I
ki-blast dei Mentemaliani, che hanno appreso la tecnica dagli Xanadiani,
sono raggi ad alta concentrazione di energia, che non puntano a far
esplodere l'avversario, ma a tagliare. La forma è quella di
un disco dentellato, capace di dividere in due una sequoia. In questo
modo hanno sterminato centinaia dei loro guerrieri. Ma lui, questo
alieno con la coda, è sopravvissuto, la cicatrice lo
dimostra. Basta un singolo colpo per far fuori un orecchie a punta? Noi
gli mostriamo che esistono guerrieri in grado non solo di sopravvivere
alla ferita, ma di combattere ad armi pari i loro nemici. -
L'espressione sorpresa di Toma si era trasformata in un sorriso a denti
stretti, mentre una goccia di sudore gli solcava una tempia.
Endive faceva seriamente paura adesso, con quell' espressione
determinata, e la voce che imperiosa e carica di adrenalina rimbalzava
sulle pareti della stanza. Era davvero una psicopatica, con quella sua
intelligenza spaventosa e la semplicità con cui parlava di
manipolazione di massa. Quella donna voleva sconvolgere un pianeta,
scatenare un conflitto che avrebbe potuto portare alla distruzione
dello stesso. E aveva trovato il modo più efficace di farlo.
- Il Team Bardack sarà il simbolo della loro rivolta.
Guerrieri dal livello combattivo di cinquemila, capitanati da un
guerriero di livello diecimila! Bardack sarà il loro
Salvatore, e loro lo seguiranno... o cadranno con lui.
Bardack era rimasto immobile, un fremito d'eccitazione che gli
percorreva il corpo come una scarica elettrica. Non lo entusiasmava
sapere di essere usato come una sorta di condottiero, un simulacro della parola libertà, ma quel piano
assurdo gli piaceva. Gli faceva fremere le mani per l'adrenalina.
Endive gli stava offrendo una guerra. E il richiamo del sangue non
poteva aspettare.
Vegeta era tornato con la schiena adossata allo schienale del trono, ma
anche nella penombra era possibile intravederne i denti, scoperti dal
sorrisetto che aveva in volto.
- Penso ci sia poco da discutere. Vodocaa, il tuo piano è
geniale.
- La ringrazio, mio signor-
- Ma non so che farmene dei tuoi insulsi guerrieri. Tremila? Vuoi farmi
ridere? Morirete tutti appena toccato il pianeta. Vattene di qui. La
missione va ad Endive. - L'esotica Saiyan sorrise, esibendosi in un
elegante inchino, sotto lo sguardo carico di odio della rivale
sconfitta.
- È un onore, mio signore.
- Partite fra due giorni. Non vedo l'ora di sapere che il pianeta
Kelitt è stato assoggettato da soli sei Saiyan. - il ghigno
di Vegeta sparì nel momento in cui si alzò dal
trono. Bardack indossò di nuovo la sua armatura,
osservando l'uomo avvicinarsi, diretto verso di lui. Vegeta
arrivò a pochi passi da Bardack, osservandolo concentrato.
Per un attimo, si scambiarono sguardi carichi di tensione. Poi, con
immensa sorpresa da parte di Nappa, il Re tese la mano, facendosela
stringere senza troppe cerimonie dal terzo livello.
- Diecimila, eh? C'è soltanto un altro Saiyan che abbia
questo livello di forza. Se tu non fossi un terza classe, non esiterei
a farti Comandante Supremo.
- Non so che farmene dei titoli. - rispose sbrigativamente il
più alto, ghignando. - Preferisco i soldi. - Vegeta si
lasciò andare ad una grassa risata, lasciando andare la mano
di Bardack.
- Voi guerrieri di infimo livello siete davvero dei pagliacci. Forse un
giorno ti farò scontrare con questo guerriero.
Sarà divertente vederti perdere.
- Non ci conterei. - rispose Bardack incrociando le braccia al petto.
Il ghigno di Vegeta si allargò. Dietro di loro, Endive
sfoggiava un sorriso soddisfatto.
*juttis: tradizionale calzatura araba, assomigliano alle nostre
ballerine - ma a differenza di queste non sono l'antisesso - e sono
portate sia da uomini che da donne, cambia soltanto la decorazione.
Note Autore:
Raghi ditemi che
qualcuno di voi è fan delle opere di Kota Hirano. Sto
riguardando Drifters per la millionesima volta e voglio qualcuno con
cui urlareee è magnificooooo!
Ops, riprendiamo le
note va.
E ve lo dico subito:
le linee temporali in DB sono delle puttanate. E ci ho dovuto rimettere
mano. Mi sto un po' stancando di dover rimescolare sempre le carte in
tavola che il nostro Toriyama ha disposto, ma siccome sono scema, io
devo avere una lore di ferro prima di scriverci sopra. Uno dei miei
più grandi grattacapi è in tal senso la questione
Tsufuru e colonizzazione.
In Dragon Ball GT -
che io non voglio considerare canon manco per sbaglio, stesso dicasi di
Super - viene svelato che fu Re Vegeta, lo stesso con la barba e la
voce sexy che conosciamo noi, a sterminare gli
Tsufuru, appropriandosi della loro tecnologia e scoprendo i viaggi
spaziali. Ma quindi, i Saiyan si sono espansi sull'intero pianeta in
pochissimi anni? E da un popolo completamente barbaro, praticamente
primitivo sono passati a grandi conquistatori dello spazio nell'arco di
pochi decenni? Trovo leggermente contradditoria questa cosa. Freezer al
momento della morte aveva all'attivo un impero di circa 79 pianeti,
molti dei quali conquistati proprio dai Saiyan. Non è
specificato da quanto tempo i Saiyan lavorassero per lui, ma contando
la loro forza spaventosa, e basandomi sulla facilità con
cui, ne "Le Origini del Mito" Bardack e i suoi conquistano Kanassa, non
mi è difficile credere che avessero
già iniziato la colonizzazione ancor prima dell'arrivo di
Freezer. Ma per iniziare a colonizzare, devono aver avuto il tempo di
fare loro la tecnologia portata dagli Tsufuru.
Ora, per
fare un paragone, in Italia la diffusione delle ferrovie
ha richiesto più di cinquant'anni, contando le
difficoltà
geologiche del territorio e il nostro onnipresente essere
tecnologicamente arretrati. Pensate di dare un sistema ferroviario in
mano a dei primitivi, anzichè a degli ingenieri del
diciannovesimo secolo. Provate a considerare il tempo necessario per
capire come ottenere il materiale, come lavorarlo, come assemblare fra
loro i pezzi, capire la fisica alla base del funzionamento, passando
poi alla realizzazione vera e propria. Assurdo, vero? Ecco, date in
mano a questi stessi primitivi un progetto per un razzo spaziale. Qui
l'assurdità tocca limiti ancora inesplorati. Avrebbero
dovuto reagire alle navicelle spaziali come le scimmie in "2001:
Odissea nello Spazio"!
Non nego che esistano
Saiyan con un alto quoziente intellettivo -
Endive stessa è eccezionalmente intelligente per i canoni
della
razza -, ma passare dall'indossare perizomi di pelliccia ai viaggi
spaziali nell'arco di poche decadi fa seriamente ridere, anche se si
parla di alieni.
A tal proposito, mi
sono ispirata ad una parte della lore di Mass Effect - se non ci avete
giocato giocateci cià.
Esiste una razza
aliena, chiamata Krogan, i cui esemplari sono portati
per il combattimento; fisicamente inarrestabili, resistenti, e molto
aggressivi - vi ricordano mica i nostri scimmioni? - . Vedendo in
questa razza un grande potenziale, un'altra razza aliena, i Salarian,
tecnologicamente molto più avanzati, hanno fatto dono della
tecnologia ai Krogan, allo scopo di usarli come mercenari per
sbarazzarsi dei loro nemici. Tuttavia, il rapido passaggio dallo stato
primitivo a quello dei viaggi spaziali ha creato una profonda crisi
nella società Krogan, che hanno perso la loro
identità
culturale. I numerosi vantaggi e benefici portati dalla tecnologia
hanno reso la vita dei Krogan "troppo facile": abituati a cercare
sempre una sfida,, hanno iniziato a lottare fra di loro, espandendosi e
cercando nuovi avversari per sfogare la loro naturale
aggressività, diventando in pochissimo tempo una minaccia
tale
per l'universo da essere sottoposti ad un piano di sterminio.
Penso che ora
sappiate fare due più due da soli: se i Saiyan,
naturalmente cattivi e aggressivi, fossero stati privati delle sfide
naturali che il pianeta e la loro cultura gli procurava, sarebbero
stati assolutamente ingestibili; non sarebbero certo bastato mandarli a
sterminare qualche pianeta per tenerli a bada. Devono necessariamente
aver avuto il tempo di fare loro quella tecnologia, di adattare la loro
mentalità al nuovo stile di vita, di adattare anche le loro
tecniche di combattimento e la struttura stessa della loro
società.
Pertanto, tendo a
spostare lo sterminio degli Tsufuru di circa
cinquecento/seicento anni, sufficienti per l'evolversi dei Saiyan e
della loro
tecnologia ma, soprattutto, della loro cultura.
Ora, vorrei spendere
un paio di parole sulla mia OC, Endive, che in questo capitolo ha
ricoperto un po' il ruolo da protagonista - non temete, già
dai prossimi Bardack si riprenderà il suo adorato sgabello
da protagonista.
A partire
dall'abbigliamento, fino a passare ai piercing, penso sia ovvia la mia
ispirazione dai paesi medio-orientali, India in particolare. Questo
dettaglio non è stato pensato a caso, ma ora come ora non
posso rivelare altro; è ovvio come la donna provenga da una
cultura decisamente diversa da quella a cui siamo abituati. E da brava
Ricognitrice, deve buona parte del suo prestigio al cervello di cui, in
questo capitolo, ha fatto bellamente sfoggio.
Ebbene!
Abbiamo una psicotica
belligerante e cinque Saiyan pronti a menar le mani. Riusciranno i
nostri eroi nel loro intento? E Bardack diventerà davvero il
capo di una ribellione?
Rimanete sintonizzati!
Ringrazio
namy86 per aver messo
questa storia nelle Preferite,
Enchalott
Fandoms_Are_Life
Sapphir
Dream
Shadow Eyes
Tone per aver messo
fra le Seguite,
E ringrazio nuvamente
Shadow Eyes e Tone,
oltre alla mia cara Nala, per aver recensito! Le vostre opinioni
significano molto per me!
Alla prossima!
Black Ink Velvet
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Capitolo 3 *** II ***
Capitolo 2
Capitolo
2
La
radura, protetta in parte da una bassa parete di nuda roccia, era
costellata da neri frammenti di asteroidi, venati da un materiale
vitreo
arancione. Riflessi bluastri si riflettevano sulla superficie sferica
delle navicelle, distorcendo i contorni delle nuvole che vi si
specchiavano. Panbukin, pigramente, cercava di togliersi una fogliolina
verde incastrata fra i denti usando uno stuzzicadenti, specchiandosi
nell'oblò di una navicella. Dall'interno della capsula era
possibile udire i lamenti disgustati di Seripa, intenta a finire di
aggiustare il macchinario.
- Panbukin! Non potresti usare tipo qualunque altra navicella, brutto
bastardo? Vedere lo stato delle tue gengive mi fa vomitare! -
abbaiò picchiando con il pugno sul portello, trafiggendo il
compagno di squadra con i suoi occhi blu. Dall'altra parte dello stesso
vetro, il corpulento Saiyan rispose roteando gli occhi, allontanandosi
con passo ciondolante, diretto verso la sua postazione. Toteppo stava
finendo di impilare le provviste, coadiuvato da Toma che, cartella alla
mano, revisionava con occhio attento l'inventario.
- Non ci voleva la tempesta di asteroidi. Abbiamo perso uno dei
container, dovremo presto richiedere nuove provviste al centro. - Disse
chiudendo la cartella, girandosi verso Bardack. Era seduto su di un
sasso, a gambe incrociate, una sigaretta ancora spenta stretta fra le
labbra, con
un'espressione infastidita. - Secondo i report che ci ha
dato Endive, dovremmo evitare di mangiare i cibi di questo pianeta,
quindi credo...
- Oh, fanculo! - Disse freddamente Bardack girandosi ed osservando Toma
irato. - Prima le navicelle non funzionano, e ritardiamo di sei ore.
Poi la tempesta di asteroidi, poi Toteppo mi vomita sugli
stivali,
il campo magnetico del pianeta ci ha fottuto gli scouter e mi sta
spaccando la testa, e ora non
troviamo la Ricognitrice. Secondo te al momento mi frega del cibo?
- Ci è rimasto
solo
il cibo. - dichiarò Toteppo con fare
teatrale, mangiucchiando un vegetale dalla forma sottile e dal colore
giallastro.
- Smettila di mangiare le nostre provviste! - ringhiò Toma
strappandogli il bastoncino di mano, suscitando accorate proteste da
parte dell'energumeno. Il capitano si stropicciò gli occhi,
massaggiandosi l'attaccattura del naso e cercando di non pensare
all'emicrania che di lì a poco l'avrebbe stroncato. Seripa,
in
qualità di guru tecnologico della
squadra, stava cercando in ogni modo di sistemare la navicella di Toma,
pesantemente ammaccata dall'impatto con un asteroide. Lavorava
alacremente da
almeno due ore dall'orario di atterraggio, ma non appena erano scesi
avevano subito notato l'assenza della sesta navicella. Endive
li aveva preceduti di un'ora, dicendo di dover arrivare
per prima per assicurarsi che il luogo dell'atterraggio fosse
effettivamente fruibile come base operativa, permettendo quindi lo
sganciamento dei container contenenti le provviste. Probabilmente non
era atterrata nel luogo prestabilito per evitare di attirare attenzioni
indesiderate, ma non c'era modo di saperlo. Tutto sarebbe stato
più facile se i loro scouter non fossero stati messi fuori
uso
da un campo magnetico che ne impediva il funzionamento.
- Insomma Bardack, ma questa Endive com'è? Non ce l'hai
fatta
conoscere.
- Disse Panbukin intavolando una conversazione, stranito dal suono
degli animali di quel pianeta. I cinguettii erano qualcosa di insolito
su Vegeta, e nonostante le innumerevoli missioni, i Saiyan dovevano
ancora abituarsi al suono melodioso degli uccelli.
- Quando la vedrai la conoscerai. Non ho nulla da dirti al riguardo. -
disse sbrigativamente lui senza degnarsi di girarsi per guardare in
faccia il compagno, afferrando la cartella che Toma gli porgeva.
- Eddai, non fare il guastafeste. Dicono che i Ricognitori siano matti
da legare, è vero?
- Ad essere matta è matta. -
Rispose con voce monocorde, ispezionando la lista delle provviste e
dell'equipaggiamento. Improvvisamente, le mani corte e grassocce di
Panbukin gli si
abbatterono sulle spalle, facendogli quasi ingoiare la
sigaretta.
- Beh, ma a noi Saiyan piacciono le donne pazze, vero? - gli
disse con tono canzonatorio
reclinandosi in avanti, appoggiandosi a lui con tutto il suo
considerevole peso. Bardack doveva ancora capire come mai si fosse
guadagnato la fama di Don Giovanni agli occhi di Panbukin. Quando era
più giovane, prima di conoscere Gine, non aveva certo
disegnato
un po' di sano sesso occasionale, ma non aveva mai avuto un numero
di donne fuori dalla norma; anzi, per gli standard Saiyan, erano pure
poche. Probabilmente voleva soltanto stuzzicarlo, e
gli stava anche riuscendo.
- Sposato.
Sono sposato, e mi sono rotto i coglioni a ricordartelo. -
si limitò a sbuffare il comandante, togliendosi di dosso
l'inopportuno collega. - e sai quanto mi interessa di lei! Dobbiamo
lavorarci, mica andarci a letto.
- Dai, perchè escluderlo a priori? O hai paura che questo metro e sessantasei di stallone
possa rubartela?
- Figurati se una di quelle snobbone viene a
maneggiare l'attrezzo di uno che non ricorda quand'è stata
l'ultima volta che si è fatto un bagno. - Seripa,
dall'interno della navicella, non
riuscì a contenere il suo commento sarcastico, coronandolo
con
una risata divertita. Toma scosse la testa.
- Seripa, sei davvero crudele. Lascialo stare.
- Ma come la sopporti? - Biascicò Panbukin rivolto al vice
capitano, osservandolo con sincera curiosità.
- Non chiedere. - rispose lui sospirando.
- Come sarebbe a dire non chiedere? Toma! Ehi! - si affrettò
a
ribeccare lei. Panbukin scoppiò a ridere, mentre la donna,
non
troppo lusingata dal commento dell'amante, uscì dalla
navicella,
diretta verso Toma. Ben presto, la radura venne invasa da urla, risate,
oggetti lanciati senza troppo garbo. Un fracasso infernale. Una vena
aveva iniziato a pulsare pericolosamente sul collo di Bardack, mentre
scopriva i denti in un ringhio niente affatto amichevole.
- Ohi! Smettetela ora, o a casa vi ci mando a calci in culo! -
gridò balzando in mezzo al gruppo, separando Seripa da Toma
e
fulminando tutti i compagni con gli occhi, incrociando le braccia con
fare autoritario. Scese un silenzio tombale; i presenti sapevano troppo
bene che ce ne voleva per far incazzare Bardack, e come, una volta
portato a quel punto, quanto ci volesse poi per farlo calmare.
- Ah, i miei professionisti.
Non è una scena che si vede tutti i
giorni. - Una voce femminile raggiunse i cinque terza classe, che si
voltarono di scatto. Sopra la parete rocciosa alle loro spalle,
controluce, si stagliava una figura ornata di preziose stoffe
drappeggiate. Lunghi capelli castani al vento accarezzavano spalle
dritte, e braccia inguantate di nero erano incrociate su di una lucida
pettiera. I riflessi dorati delle numerose collane illuminavano un
volto dall'aspetto esotico, e
il sorriso divertito che addolciva l'espressione composta faceva da
cornice a occhi pesantemente cerchiati di nero.
Endive, un piede appoggiato su di una roccia vicina, li osservava
apparentemente divertita dalla scena. Con un balzo agile scese la
parete, atterrando con eleganza,
il lungo drappo rosso che portava legato alla vita che ondeggiava ad
ogni suo movimento. Lasciò ricadere le braccia, ornate da
guanti
neri sopra il gomito e quattro lucenti bracciali d'oro, lungo i
fianchi, avvicinandosi col suo passo felpato al gruppo.
- Benvenuti su Kelitt, signori. La temperatura è di
venticinque
gradi, umidità al quaranta per cento, con leggera brezza
rinfrescante. L'ideale per delle amichevoli scampagnate con gli amici.
- disse con quel suo sorriso indecifrabile, incrociando le braccia e
attendendo una risposta. Toma fu il primo a reagire.
- Ah, mi spiace che tu abbia visto questa scena. Purtroppo sono
sorti numerosi problemi già durante il viaggio, siamo tutti
abbastanza nervosi. - Disse facendo
qualche passo in avanti, avvicinandosi ad Endive. Lei congiunse le
mani, inchinandosi, e lui, sotto lo sguardo allibito dei compagni,
rispose eseguendo lo stesso gesto.
- Non importa. Meglio che vi sfoghiate ora piuttosto che durante una
missione. E mi lusinga vedere che hai appreso parte dei miei costumi. -
Rispose lei rialzandosi e sorridendo contenta all'inchino del collega,
posando lo sguardo sui tre membri
della squadra che ancora non conosceva. Toma seguì il suo
sguardo, e si affrettò a presentarglieli.
- Ti presento Seripa, il nostro meccanico, il nostro tank Toteppo e...
beh, Panbukin. Non fa molto altro oltre a combattere ed essere molesto.
- Panbukin non rispose alla provocazione,
apparentemente incantato dalla donna. Sbattè le palpebre,
allargando un sorriso
e pettinandosi i baffi.
- Ehi bambolina, è un piacere conoscerti. - Le sue parole
vennero ben presto troncate da un fulmineo schiaffo da parte di Seripa,
che lo osservava inferocita.
- Abbi un po' di contegno! - soffiò rivolto all'imbarazzante
collega, prima di girarsi ad osservare Endive. Appoggiò le
mani
sui fianchi, squadrandola. - Quindi sei tu Endive? Ti immaginavo
più bassa da come diceva Toma. - si avvicinò con
passi
calcolati, arrivando a meno di un metro da lei. La differenza d'altezza
fra le due donne era più che evidente, facendo apparire la
Ricognitrice ancora più aliena di quanto già
non fosse. - Quello è per caso un piercing? Saranno cento
anni
che nessuno li fa più. Non è scomodo andare tutta
ingioiellata in battaglia?
- è un onore conoscerla, signorina Seripa - rispose lei con
la solita voce vellutata, inchinandosi
nuovamente. - Ho letto i suoi files, e ammetto che è un
piacere incontrare la Squartatrice di Navarra.
- Bardack, la dobbiamo davvero tenere? Ci sentiranno da chilometri con
la sua lingua lunga. - Chiese sarcasticamente la donna
rivolta al capitano, causandogli un ulteriore fitta alla testa.
- Questa missione sta iniziando come un fottuto disastro. I nostri
scouter sono fuori uso, e non possiamo usare le radio nelle navicelle.
Come rimediamo? E dove diavolo eri finita? - chiese lui senza perdere
tempo con i convenevoli,
incrociando le braccia. Endive sollevò un sopracciglio,
palesando una leggera perplessità.
- Il mio punto d'atterraggio è diverso. Dovevo controllare
che
nessuno potesse vedere il vostro arrivo, pertanto sono dovuta atterrare
abbastanza lontano. Comunque, dici che il campo magnetico è
tale
da metterli fuori uso? Mi sta dando fastidio, ma non pensavo
fosse così potente.
- Non ti eri accorta di questo problema? Era il tuo lavoro risolvere
problemi. - Disse Bardack irritato, storcendo la bocca.
- Non sono solita portare gli scouter, e come vedi non ne indosso al
momento. Sono rilevabili, sarebbe stupido
usarli durante le esplorazioni. - rispose lei senza farsi minimamente
toccare dal tono arrogante del compagno. - E non ho esplorato io il
pianeta. Nei files non c'era menzione di un tale problema, e sono
sicura che l'altro Ricognitore si sarebbe accorto di una'anomalia
magnetica talmente forte da causare fastidio fisico.
- Quindi?
- Quindi - disse girandosi verso un punto indefinito, come se qualcosa
avesse catturato la sua attenzione. - a meno che non abbiano mandato un
totale idiota durante la prima ricognizione, sono sicura che ci deve
essere un'altro motivo. Vuol dire che questo campo elettromagnetico non
c'era.
- Allora, cos'altro potrebbe essere? Eh bambolina?
- Tecnologia anti aerea, o torri elettromagnetiche attivate dopo
l'arrivo del primo Ricognitore. Essenzialmente, deve essersi fatto
sgamare, e i Mentemal hanno intuito il nostro arrivo, attivando le loro
difese. Se fosse stato il
campo del pianeta, le navicelle non avrebbero nemmeno potuto
atterrare, e ciò sarebbe riportato nei files. Vuol dire che
siamo stati agganciati dai loro server nel momento in cui
abbiamo toccato la superficie, impedendoci qualunque comunicazione
interspaziale. Non mi stupirebbe
se i Mentemal avessero una tale misura difensiva. Tagliare i contatti
con il mondo esterno sarebbe la prima cosa che farei se dovessi
assoggettare un'intero popolo ed eliminarne gli alleati. - si
girò
verso Seripa, ignorando totalmente Panbukin e il suo sorrisone viscido.
-
Immagino che le tue conoscenze in campo tecnologico siano superiori
alle mie.
- Probabilmente. - rispose lei con il petto gonfio, grattandosi la
punta del naso.
- Allora avrò bisogno del tuo consiglio. - Endive, senza
aspettare altro, si diresse verso una roccia lì vicina,
sedendovisi sopra e tirando fuori da sotto il drappo uno strano
bracciale metallico, decorato da quella che sembrava una lunga linea
vetrosa, che assicurò sul braccio sinistro. Premette alcuni
piccoli bottoni presenti sulla superficie liscia, e il vetro assunse un
colorito verdastro mentre un ologramma prese forma davanti al suo viso.
- Woah, posso averne uno anche io?
- No. Tecnologia a distribuzione esclusiva per i Ricognitori. - rispose
a Toma, mentre l'ologramma prendeva velocemente le sembianze di una
carta topografica in rilievo. - Per quanto strabiliante sia la
tecnologia dei Mentemal, non possono posizionare le torri a
casaccio. E per generare una tale quantità di
onde, devono esserci degli impianti molto grandi.
Endive aveva circoscritto l'area del loro atterraggio, e premendo altri
pulsanti la superficie della cartina si tinse di rosso, giallo e verde.
- Questa è la mappa magnetica, giusto? - chiese Seripa,
togliendosi lo scouter, ormai inutile, ed avvicinandosi curiosa.
- Esattamente. La mia teoria è che sfruttino le anomalie
magnetiche del pianeta per generare delle onde elettriche in grado di
disturbare i nostri dispositivi.
- Mh, può funzionare. - rispose Seripa senza mostrare quanto
l'avesse sorpresa la velocità con cui la donna avesse
formulato
la sua teoria. - ma questo vorrebbe dire che posizionano le loro basi
secondo le zone isomagnetiche; se volessi ampliare un campo magnetico,
sfrutterei i punti di maggiore intensità.
- Esattamente quello che stavo pensando.
- Donne, basta cincischiare, spiegatevi.
- intervenne Bardack senza troppi convenevoli,
accendendo finalmente la sigaretta che finora aveva torturato.
-
È
semplice, Comandante. Generare autonomamente un campo
magnetico di questa potenza sarebbe un'impresa impossibile anche per un
Mentemal. Sarebbe
più intelligente, e meno dispendioso, utilizzare un'energia
già presente. In pratica, amplificano un campo magnetico
pre-esistente, e
tramite dei recettori possono manipolarne l'intensità come
meglio preferiscono. E per avere una maggiore percentuale di successo,
sfruttano le aree del pianeta con un campo magnetico più
forte.
Questo riduce le possibili zone ad appena dodici. La mia unica
domanda è da dove prendano l'energia elettrica necessaria
per
alimentare una tale struttura, ammesso che ce ne sia una sola.
- Che domande. Dalla centrale elettrica, come tutti. - Toteppo, che
fino ad allora se ne era
rimasto in perfetto silenzio, aveva parlato con la sua caratteristica
naturalezza, sbadigliando senza troppo interesse. I cinque Saiyan
lo osservarono perplessi, trasalendo poi quando sentirono Endive
battere le mani.
- Ma certo! La centrale elettrica, mi sembra ovvio!
- Tu sei sicura che il campo magnetico non ti abbia causato grossi
fastidi, vero? - Il commento sarcastico di Bardack non
sfiorò
minimamente la donna, che prese a digitare velocemente sul suo
bracciale. Una grossa montagna, contrassegnata di rosso, prese il posto
della mappa, e un vistoso punto dello stesso colore pulsava sul suo
fianco. - Costruire una centrale elettrica in un posto come questo, con
un
forte magnetismo e sulle pendici ripide di una montagna, non
è
molto sicuro. Eppure qui, nel punto più pericoloso in
assoluto
per posizionare una
centrale nucleare, è stata eretto un'enorme impianto. E
pensateci, se doveste diffondere un segnale, non porreste l'antenna in
un punto il più alto possibile, per essere sicuri che si
diffonda ovunque?
- Quindi - disse Seripa, allargando gli occhi e mettendo insieme i
pezzi del puzzle - stai dicendo che i Mentemal sfruttano la centrale
per alimentare l'antenna amplificatrice? Che modo subdolo di nascondere
una tale tecnologia.
Uno sbuffo di fumo investì il volto di Endive nel momento in
cui
Bardack si abbassò verso di lei, osservando concentrato
l'ologramma a pochi centimetri dal suo viso. Un sorriso si
allargò sul volto, mentre aspirava nuovamente il fumo acre
della
sigaretta.
- Questo segnale magnetico mi sta demolendo il cervello. Non vedo l'ora
di rendere il favore ai Mentemal, spaccando le loro teste.
Il monte Phaxey era la cima più alta di Kelitt. Con i suoi
dodicimila metri d'altezza, era perfettamente visibile da centinaia di
chilometri. Spoglio da qualsivoglia forma di vegetazione, se non si
contavano gli i cespugli di rovi selvatici che la costellavano,
appariva come un
minaccioso gigante dormiente stagliato contro un cielo che verteva al
crepuscolo. Non c'era una nuvola, e i raggi dorati del piccolo sole che
alimentava la vita su quel pianeta allungavano pigre ombre sulla parete
rocciosa.
Due figure umanoidi erano in piedi di fronte ad un alto recinto.
Indossavano blaster ai bracci sinistri, il cui candone metteva in
risalto le lucide squame blu che gli ricoprivano gli arti. Volti
anfibi, con enormi occhi neri, pelle turchina e quelle che sembravano
branchie sul
collo scrutavano il sole calante con estrema soddisfazione, mentre le
piccole pinne dorsali che avevano a protezione del canale timpanico si
muovevano leggermente, seguendo la brezza. Di lì a poco,
sarebbe
avvenuto il cambio di guardia. Sarebbero finalmente potuti ritirarsi in
mensa, a mangiare un boccone, prima di concedersi il lusso di un sonno
ristoratore. Il Mentemal più alto sospirò,
girandosi a
guardare
alla sua destra. Appena in tempo per osservare un enorme uomo
apparirgli davanti, dal nulla. Spalancò la bocca, mentre
istintivamente corse a togliere la sicura al blaster, ma non fu
sufficientemente veloce; vide il gigante alzare il braccio, la mano
chiusa a pugno calare ad una velocità spropositata verso di
lui;
poi, nero. Mentre il cranio si frantumava e il palato si spaccava,
tentò di gridare fra i denti rotti il nome del suo collega,
inconsapevole del fatto che giacesse pochi passi più in
là con il collo spezzato. Si afflosciò in un urlo
muto,
bagnato dal suo stesso sangue, mentre la morte pietosa lo
sollevò immediatamente dal dolore atroce che provava.
Toteppo si pulì distrattamente una mano sui pantaloni,
osservando con i suoi occhi vuoti Toma, intento a trascinare il
cadavere dietro un mucchio roccioso
- E questi sarebbero i tanto temuti Mentemaliani? Fanno ridere. -
Proruppe Panbukin calciando il cadavere dell'alieno, facendolo
malamente atterrare qualche metro più in là.
- Non mettono di certo la loro avanguardia a proteggere una centrale
elettrica, specie se pensano che i loro unici nemici possano essere
magri e deboli indigeni. Allo stesso tempo, non vogliono attirare
l'attenzione. - L'occhio esperto di Bardack non ci aveva
messo molto ad analizzare la scena, capendo che alla fine questi anfibi
non fossero più di tanto stupidi, quanto mancanti di
lungimiranza. -
Troveremo senza dubbio resistenza dentro. Sbrigati ad occultare quel
cadavere e meno
chiacchiere.
- Signorsì - sbuffò il diretto interessato
trascinando il
cadavere nel posto utilizzato da Toma, coprendo con dei grossi sassi i
due
corpi ancora caldi, per evitare di allertare immediatamente il nemico.
Il Comandante si avvicinò alla
recinzione, arrivando al
fianco di Endive, che aveva già iniziato a smanettare sul
suo
computer da braccio.
- Seripa dovebbe essere riuscita già a stabilire una
connessione
criptata. Almeno, così aveva detto quando avevamo trovato
quel
bug nella rete.
- C'è un bug
nella rete. -
Endive
lasciò immediatamente la sua postazione, raggiungendo Seripa
e
Toma, seduti dalla parte opposta del tavolino, intenti ad
osservare lo schermo del computer su cui stavano lavorando. Numeri
binari e codici si susseguivano
sul montor, mentre la donna digitava febbrilmente sulla tastiera.
- Che genere di bug? -
chiese Endive, osservando lo schermo.
- Non ho
ancora finito di decrittare
il codice, ma ho più o meno capito il linguaggio usato. -
rispose lei prendendo a digitare su un secondo computer, posto accanto
al suo, iniziando a
scaricare alcuni files. - La loro rete è costruita in modo
complesso, ma questa complessità non ne garantisce una gran
sicurezza. È
un sistema ancora poco
raffinato, e posso
collegarmi con il computer usando cinque chiavi di decriptazione. Penso
che sia
possibile hackerare senza farsi scoprire nell'immediato, come avevi
chiesto. Allora, Ricognitrice, ora mi spieghi per quale motivo non
radiamo al suolo la fottuta centrale e basta?
- Corrente elettrica nelle mura di cinta. Intelligente. Ma inutile
quando
l'avversario sa volare, giusto? - Bardack vide Endive annuire, mentre
allargava un sorriso sinceramente divertito. Un rumore di stasi
provenne dal computer, la voce di Seripa frammentata.
- Sono entrata nel sistema. Ma avrete soltanto dodici minuti da quando
riuscirò ad hackerare il sito prima che i
firewall segnalino la mia presenza. Vedete di non farmi pentire di
essere rimasta indietro.
- Dodici minuti bastano e avanzano - dichiarò fiducioso il
comandante, mentre Panbukin posava a terra lo zaino che trasportava,
estraendone cinque scouter nuovi di zecca. I presenti assicurarono i
nuovi dispositivi sul loro viso, attivandoli dopo il via libera del
loro hacker di fiducia.
- Belli questi nuovi walkie talkie. Spero siano impermeabili -
Utilizzare strumenti precisi come i Rilevatori per il solo scopo della
comunicazione era, ad avviso di tutta la squadra, stupido, ma Endive
non aveva voluto cedere. Parlava
di "segretezza", di "infiltrazione"; aveva poco senso se lo scopo era
quello di distruggere la centrale, o no? Fatto sta che aveva messo mano
al set di scouter d'emergenza, disattivandone tutte le funzioni
fuorchè il radio contatto.
- Ora, seguite il piano.
- Toteppo e Panbukin si
occuperanno del grosso della sicurezza.
Attaccherete l'area manutenzione, fate un bello spettacolo, attirate
l'attenzione. Toma, tu ti
occuperai di bloccare eventuali comunicazioni esterne.
Basterà
porre questo dispositivo alla base dell'antenna, e Seripa
penserà a bloccare i segnali in uscita dalla sua postazione
alla base, oltre a guidarci verso i punti d'interesse. Bardack, tu
dovrai
dirigerti alla Sala di Controllo. Elimina il problema alla radice.
Con un balzo agile, Bardack superò l'alta recinzione,
atterrando
all'interno del cortile. Dei potenti fari erano già stati
accesi,
scacciando
parte delle ombre che la notte ormai prossima gettava sul terreno
spoglio. Gli stivali si ricoprirono di una leggera patina di polvere, e
una piccola nube si sollevò quando lui ruotò il
busto,
torcendo la gamba, osservandosi attentamente attorno, le mani strette a
pugno. Sullo scouter, una freccia lampeggiante gli indicava la
direzione da prendere. Un boato tremendo scosse la struttura, e Bardack
vide chiaramente una grossa nuvola di fumo alzarsi da una bassa
ciminiera. Un lampo di luce, e il suono alto di sirene invase la base.
Gli occhi allenati del guerriero videro chiaramente una figura ergersi
al di sopra di ciò che rimaneva della ciminiera. Occhi
potenti
come i suoi non faticarono a tracciare i contorni della sfuggente
silhouette, che sembrava danzare nella densa nube grigia che
l'avvolgeva. E rimase ad osservare quella figura, mentre un altro
boato, stavolta alla sua destra, faceva saltare in aria un capanno. Una
mano premuta sul suo scouter, ed Endive, in piedi sulla cima della
ciminiera, non sembrava più così lontana ed
irraggiungibile; la sua figura sontuosa sovrastava tutti, marionettista
devota nel gioco della guerra. La vide aprire le labbra carnose, e
ancora prima che il segnale radio raggiungesse il suo scouter, sapeva
già cosa stesse per dire.
- ORA!
Senza farselo ripetere due volte, il Saiyan abbassò lo
sguardo,
contraendo i muscoli delle gambe, appoggiando una mano di fronte a
sè per sostenere lo slancio. Sorrise, accecato dai fari che
gli
vennero puntati contro, prima di iniziare una corsa folle, carico di
adrenalina, verso quelle luci maledette. Attorno a lui, i fischi tipici
dei blaster gli rimbombavano nel cranio, le urla dei soldati gli
scuotevano le ossa. Il bagliore
del faro non gli dava tanto fastidio, quanto più
il fatto che quei soldati non riuscissero a centrarlo nemmeno con il
puntamento automatico dei blaster. Che
delusione, pensò
compiendo un balzo di parecchi metri verso l'alto, le ginocchia piegate
sotto le gambe e i capelli che si sollevarono come una fiamma nera nel
vento, l'aria sferzante sulla pelle scoperta delle braccia, il riflesso
scintillante delle luci in quegli occhi neri come la
pece. Ora che era fuori dal fascio luminoso, potè vedere
chiaramente i suoi nemici. Anfibi con la bocca spalancata, increduli,
piantanti dove erano. Quelli non erano soldati, erano idioti a cui
avevano dato un fucile in mano. Bardack tese un braccio indietro, le
dita contratte, mentre una scintilla blu ne illuminava il palmo. In
poco tempo, una sfera di luce gli avvolse la mano, attimi prima di
essere lanciata verso i cinque soldati a terra. Un fragore e un lampo,
e di loro non era rimasto nulla.
Atterrò poco oltre il cratere scavato dalla sua onda
energetica, riprendendo la sua corsa. Un segnale audio provenne dal suo
scouter, mentre un mirino circolare gli mostrava l'esatta posizione e
la distanza del suo bersaglio. Con la coda dell'occhio vide Toma
sfondare un muro alla sua destra, entrando in un edificio, seguito da
un raggio di luce e una potente esplosione. Alla sua sinistra,
potè vedere chiaramente la figura di Toteppo inseguire un
gruppo di Mentemal, mentre Panbukin finiva di abbattere un grosso
capannone a suon di raggi energetici. Ma ancora non poteva crogiolarsi
nella dolce arte della demolizione; doveva dirigersi nella sala di
comando, prendere tutte le informazioni necessarie, e poi distruggere. La
sua meta era esattamente dietro l'edificio che si trovava di
fronte a lui. Lo scouter non aveva più la funzione di
rilevazione, ma bastò un movimento sfuggente dietro un
vetro, poco più di un'ombra, per fargli capire che stavano
preparando un'imboscata. Incrociò le braccia
davanti al volto per proteggersi, e con uno slancio si gettò
contro i vetri dell'ampia finestra.
L'immagine che si trovarono di fronte i Mentemaliani appostati dietro
barricate improvvisate fu sconvolgente. Centinaia di schegge di vetro
sembravano come sospese attorno al misterioso assalitore, il cui volto
era oscurato dai muscoli contratti delle braccia. Prima che i loro
raggi energetici si schiantassero sulla misteriosa figura, questi si
rifletterono per poche frazioni di secondo sulla nube di vetri che era
ancora sollevata in aria, avvolgendo l'uomo in un'aura dorata che
sottolineava con ombre marcate il terrificante sorriso che aveva
dipinto in faccia. Il tempo sembrò riprendere a scorrere nel
momento in cui la deflagrazione scosse l'edificio, immergendo l'enorme
stanza in una nube di fumo. Con i loro grossi occhi, i soldati
osservarono attentamente attraverso la cortina creatasi, in attesa di
vedere il loro nemico a terra, agonizzante. Finora, nessuno era mai
sopravvisuto ad un'esplosione simile. Finora.
Bardack sgusciò fuori dalla nube, gettandosi a testa bassa
contro il primo gruppo di soldati. Caricò un gancio destro,
e lo abbattè sul primo nemico che gli apparve davanti.
Sentì, anche se solo per una frazione di secondo, le ossa
del viso del Mentemal frantumarsi sotto le sue nocche. Questi
volò via, atterrando addosso ai suoi commilitoni, e il
Saiyan fu veloce a spezzare il collo al secondo nemico che si trovava a
portata. In breve tempo fu un turbinio di calci, pugni, sangue bluastro
che si riversava sulla sua battle suit, occhi che schizzavano via dal
cranio, toraci che si sfondavano, il suono secco dei colpi sulla pelle
scoperta. Bardack afferrò la gamba
squamosa di un anfibio, e con una torsione del busto lo
atterrò violentemente al suolo, facendogli emettere un
orrendo grido strozzato mentre la schiena si spezzava; sfruttando la
rotazione così acquisita, saltò in alto con una
capriola, alzando un gomito e piantandolo nel collo del nemico di
turno.
In poco tempo,
la stanza fu ripulita, e al Saiyan non venne dato nemmeno il tempo di
gongolare felice della sua forza. Si girò, sentendo
chiaramente delle voci provenire dal corridoio dietro di lui. Non aveva
mai sentito parlare un Mentemaliano prima, e non si era perso
granchè. Voci gracchianti che parlavano nella sua stessa
lingua, beh quello era una sorpresa. Utilizzavano il linguaggio
galattico a quanto pareva. Puntò una mano verso la porta, il
palmo aperto, e
fece partire un ki-blast calcolato. La porta esplose, e
sentì urla di dolore. Si gettò verso il
corridoio, sfruttando una scrivania, prima usata come barricata, come
un trampolino di lancio, sovrastando il gruppo di Mentemaliani
devastati dalle schegge metalliche della porta. Uno di loro urlava, a
terra, lo stomaco che si srotolava sulle sue gambe, altri erano stati
più fortunati, altri ancora erano stati massacrati
dall'esplosione. Senza battere ciglio, Bardack fece esplodere un
secondo raggio energetico, mettendo fine alle sofferenze dei feriti.
Mentre correva nel corridoio, avvertì un odore familiare.
Sudore, fango, liquami. Odore da campo militare. Che diamine, quella
era o non era una centrale elettrica? Più si avvicinava alla
fine del corridoio, più l'odore diventava forte. Da una
parte, la consapevolezza che la missione avesse la priorità
su qualunque altra cosa lo frenava dal voler indagare; ma d'altro
canto, quell'odore era davvero troppo strano. Forse si trattava
semplicemente di una fossa chimica, vattelapesca dove diamine cagavano
i Mentemal, non poteva certo compromettere la missione per quello. Ma
qualcosa gli diceva di provare ad aprire una delle numerose porte sul
corridoio. Era il luogo perfetto per un'imboscata, forse controllare
gli avrebbe salvato le penne. Senza fermarsi, puntò una
porta a poche decine di metri da lui. Curvò all'ultimo,
sfondando la porta con un calcio, mettendosi immediatamente in
posizione di difesa. Spalancò gli occhi nel momento esatto
in cui l'ambiente venne rischiarato dal ki-blast che stava formando
sulla mano.
- E tu, Endive? Che
farai?
- Io? Salvo la giornata,
che domande.
Endive premeva senza sosta sui pulsanti del computer portato da Toma,
aiutando Seripa ad entrare nel sistema.
- Insomma, ci vuole ancora tanto? - sbuffò Toma abbattendo
con un preciso calcio l'ennesimo Mentemal che provava ad assalire la
torre elettromagnetica. Arrivare fin lì era stato uno
scherzo. Gli avversari erano quasi al loro livello, ma la strategia di
Endive
gli aveva permesso di coglierli sempre di sorpresa, costringendoli a
frammentare i loro uomini, garantendogli un
enorme vantaggio. La Ricognitrice parlava di "massimo risultato con il
minimo sforzo", e il Saiyan non poteva dire di non apprezzare questa
tattica.
- Un po' di pazienza - rispose lei mentre ascoltava, pazientemente,
tutte le imprecazioni provenienti dal suo Scouter. Infine, con un grido
vittorioso, la donna assordì definitivamente la bruna
attraverso l'auricolare del rilevatore.
- Fatto! Sono nel sistema, e sono riuscita a mettere offline
più di un firewall. Ora avete una mezz'ora abbondante prima
che venga
lanciato l'allarme.
- Ce li faremo bastare. Passo e chiudo. - La donna spinse un pulsante
sul rilevatore, chiudendo la chiamata. Si stiracchiò
leggermente, girandosi verso Toma. Aprì la bocca, pronta a
rivelargli il prossimo passo, quando un'avviso di chiamata apparve sul
suo visore. Rispose velocemente, il suo sesto senso improvvisamente in
allarme, e fu in parte sollevata di sentire la voce di Bardack. Che
avesse già completato la sua missione?
- Ricognitrice, abbiamo un problema.
- Sei alla Sala di Controllo?
- Ancora no.
- Allora cosa....
- Ci sono degli schiavi qui. Gente dentro delle gabbie. Hanno le
orecchie a punta. Le condizioni sono... non so bene come descriverle.
Mai visto una cosa simile. - Toma osservò allibito Endive,
incapace
di credere a quello che stava sentendo. Endive aveva sgranato gli
occhi, le sopracciglia si contrassero improvvisamente.
Espirò a denti stretti, e fu quasi possibile vedere lo
sforzo che il suo cervello stava avendo per trovare una soluzione.
Kelittiani tenuti peggio degli animali in una centrale nucleare, a che
diavolo servivano? Perchè erano lì? Questo
complicava enormemente le cose. Ora, era il momento di pensare meno ai
perchè e più a come uscire da quella situazione.
Portò una mano sul rilevatore, facendo qualche
passo in avanti, facendo vagare lo sguardo fra i palazzi, in cerca
della posizione di Bardack. Le esplosioni
causate da Toteppo e Panbukin si stavano avvicinando, arrivando ai
limiti della zona a loro assegnata.
- Toteppo, Panbukin, fermatevi! Ora! E dovete andare ad estrarre delle
persone, cambio di programma! - gridò nel suo scouter, nel
tentativo di farsi sentire da sopra i suoni di battaglia che
provenivano dall'area assegnata dei due.
- Eh? Vuoi dire, tipo una missione di salvataggio? Non dovevamo
ammazzarli tutti? - la voce grave di Panbukin trasudava l'irritazione
provocata dal nuovo ordine, ma la Ricognitrice non aveva il tempo
di mettersi a fare troppe moine per convincerlo.
- Sbrigatevi! Non c'è tempo per queste... - Un'esplosione
improvvisa, troppo vicina per i suoi gusti, la portò
automaticamente ad alzare un braccio per proteggersi dall'onda d'urto
che la colpì. Cosa diamine
stava accadendo?
- Il computer rivela dei livelli cinquemila in avvicinamento! - la voce
di Seripa sovrastò le grida provenienti dalla palazzina
appena crollata. Endive serrò la mandibola, osservando
molte, troppe
silhouette ergersi dalla nube di polvere che si era
alzata.
Davanti a lui, un numero indefinito di gabbie erano ammassate lungo i
lati della stanza soffocante. L'odore di sterco era
pressocchè insopportabile, tanto che un conato automatico
gli
serrò la gola, facendolo piegare in due, mentre un secondo
conato gli stritolava impietoso i muscoli dell'addome.
Tossicchiò, sputando da una parte, osservando
attentamente le persone stipate in quelle gabbie. Erano magri, ridotti
a scheletri, con le ossa sporgenti e la pelle macchiata da orrendi
tumori. Occhi grandi e verdi, ma stanchi, osservavano svuotati di ogni
emozione lo straniero che si ergeva sulla soglia della porta, le lunghe
orecchie che giacevano inermi ai lati del volto. Capelli
talmente sporchi da non riconoscerne il colore coprivano i loro volti
emaciati, i corpi pressochè nudi coperti di stracci lerci.
Aveva sentito Endive parlare di estrazione. Cosa voleva salvare? Erano
ormai ad un passo dalla morte; la carne gli marciva addosso, le
ossa erano visibilmente deformate dai lunghi periodi passati in quelle
gabbie. Sarebbe
stato un atto di pietà mettere fine alle loro sofferenze con
un'onda energetica. Ma, prima ancora di poter fare una mossa, vide un
movimento in una delle gabbie in fondo, come se qualcuno si fosse
improvvisamente mosso. Con i sensi in allerta, Bardack si
guardò
attorno, cercando un interruttore. Le sue dita trovarono la superficie
liscia di un bottone sul muro, a poca distanza dalla porta, premendolo
immediatamente. Dopo qualche secondo, una tremolante luce neon
causò lamenti strazianti, provenienti da quelle creature
martoriate, i cui occhi non erano più abituati alla luce. Il
Saiyan osservò disgustato come
in alcune gabbie, i vivi dovessero condividere lo spazio angusto con
cadaveri in avanzato stato di decomposizione. Si
incamminò verso il fondo della lunga ma stretta stanza,
sussultando quando vide una moltitudine di mani scivolare dalle grate,
allungandosi debolmente verso di lui, come per raggiungerlo. Si tenne a
debita distanza,
contento del fatto che avessero braccia troppo corte, avvertendo
numerose dita flettersi nel tentativo di afferrarlo,
toccargli i capelli e l'armatura, stringendo solamente aria. L'unico
suono erano quei lamenti
appena accennati, come se anche urlare fosse faticoso.
Continuò, come attratto da una forza misteriosa e
irresistibile che gli annebbiava la mente, impedendogli di pensare,
fino ad arrivare ad una gabbia solitaria, posta stranamente distante da
tutte le altre. Da
sola, circondata da cadaveri, sedeva una giovane donna. Anche sotto i
tratti imbruttiti dalla fame e dalla cancrena, si poteva intuire come
un tempo fosse stata una bellissima ragazza; bellezza che era sfiorita
in modo orribile e doloroso, a giudicare dal suo sguardo. Bardack si
fermò una volta arrivato di fronte a lei. Sedeva sul
pavimento, insozzata dei suoi stessi liquami, con le gambe incrociate e
la schiena curva a causa delle dimensioni ridicole della gabbia. Il
Saiyan si sedette sui talloni, osservandola dritto negli occhi. A
differenza di tutte le altre persone, i suoi occhi erano totalmente
ciechi, bianchi e lattiginosi, ma le sue orecchie a punta sembrarono in
grado di compensare, dal momento che allungò
una mano, cercando l'uomo come se fosse consapevole della sua presenza.
Incapace di resistere all'impulso, come sotto l'effetto di un
incantesimo, Bardack afferrò delicatamente quella mano
lurida. Lei schiuse le labbra spaccate e sanguinanti.
- Ekitheí ma -
soffiò debolmente.
Bardack fece per rispondere, per dire che non capiva la loro lingua, ma
un improvviso boato gli fece rizzare i capelli in testa. La vista
virò al bianco, poi al nero, mentre sentiva il suo corpo
venire schiacciato da centinaia di tonnellate, sbalzato via
chissà dove.
Poi, fu silenzio.
Angolo autrice:
Raghi, prometto che
lo ricontrollo meglio il capitolo, ma se continuo a rimandare la
pubblicazione finisce che facciamo in tempo a vedere una seconda deriva
dei continenti.
Ora!
Non sono morta, solo
dispersa per un po'. Ne son successe in queste tre settimane. Alcune
brutte, altre belle, altre limortaccitua
mi hanno portato via una
marea di tempo- mi sono aperta un dito con un bicchiere rotto, ho un
montaggio di un corto fra le mani, ho scoperto il canale di
Filthy Frank.
Ma da-daaan, sono
tornata.
Vi dico subito che
tentare di analizzare uno stile di combattimento, o move set di un
personaggio come il Gilf
Definitivo TM, utilizzando soltanto due filmmini
è
atrocemente difficile. Mi piacerebbe che ogni guerriero abbia, a
seconda del fisico e l'inclinazione naturale, uno stile preciso di
combattimento; a fisici e caratteri diversi segue un diverso stile di
combattimento. Pertanto, perdonatemi, ma vorrei aprire una parentesi
sullo stile di combattimento di Bardack.
La mia conclusione, aiutata anche dalle schede PG di Xenoverse,
è che Bardack sia uno che quando picchia, picchia durissimo,
prediligendo mosse che lo portino vicino all'avversario per afferrarlo
e usarlo come sturacessi. Diciamo che il suo stile potrebbe essere un
buon mix fra Judo, Krav Maga e Kudo. Mi spiego.
Innanzitutto, vi lascio dei link Youtube per farvi vedere come i
diversi stili funzionino nella vita reale, poichè voglio che
possiate immaginarvi il combattimento. Apriteli sempre in nuove schede, o perderete questa pagina!
Kudo LINK
Il Kudo, conosciuto anche come Daido Juku, è un'arte
marziale giapponese ibrida che combina fra loro le tecniche
più efficaci di pugilato, Muay Thai, Jujitsu e altre arti
meno diffuse. Si caratterizza per combinare fra loro tecniche come
pugni alla testa, gomitate, testate, proiezioni, leve alle
articolazioni e combattimento a terra, mantenendo anche una certa
acrobaticità che tuttavia non va a discapito della sua reale
efficacia. Non si concentra tanto sull'esecuzione tecnica, quanto sulla
potenza con la quale si colpisce l'avversario. Penso si rifaccia allo
stile potente e poco tecnico di Bardack.
Krav Maga LINK
Mi scuso in anticipo per l'allegra musica che parte a tutto buco.
Comunque:
Trattasi di una tecnica di combattimento di origine Israeliana, nasce
principalmente come tecnica di difesa personale. Ciò che mi
ha spinta a pensare che questo stile possa essere idoneo per Bardack
è il modo in cui trasforma la difesa in attacco, sfruttando
la stessa forza dell'avversario. Ne "Le Origini del Mito", quando
combatte contro i sicari, viene immobilizzato da uno di questi. Lo
vediamo quindi sfruttare la situazione per ruotare e usare il nemico
come uno scudo, sfruttando il momento di sorpresa per contrattaccare.
Inoltre, utilizza spessissimo delle strette da soffocamento, che sono
alla base del Krav Maga.
Judo LINK
Il Judo lo conoscete tutti, suvvia. No? Allora Mama Black ve lo spiega.
Non è altro che lo stile di combattimento proiezionistico
per eccellenza, alias, concentra tutto sull'atterrare l'avversario
attraverso delle prese, sottomettendolo. Il Gilf preso in esame viene
spesso visto utilizzare delle prese per demolire il suo avversario,
pertanto io ci vedo bene delle influenze dal Judo, sebbene sottomissione nel
suo caso significhi uccidere
male.
In lavorazione ho anche il move set di Endive, ma potrebbe volermici un
po'.
Gli
stili degli
altri membri della squadra ancora non li so, non so se li
saprò mai, è un bordello e mi ci vorrebbero ore
per definirli. Probabilmente saranno molto meno complessi rispetto a
quelli di Bardack.
E
sì, se ve lo state chiedendo, non ci capisco un cazzo di
fisica a meno che non si rifaccia all'illuminotecnica, ma dubito che ai
Saiyan serva sapere la differenza fra un faro Fresnell e un proiettore
LED. Mi sono basata a logica su ciò che trovavo, e sono
sicura che se facessi leggere questo capitolo alla mia amica di
ingenieria le esploderebbe la testa. Letteralmente, alla Kenshiro.
Il capitolo è corto e so che avrei potuto scriverlo meglio,
ma volevo aggiornare. Quindi vi beccate quello che la mia mente
annebbiata dal caldo ha concepito.
Che dire?
Questa missione è davvero iniziata come un fottuto disastro.
Come rimedieranno i nostri eroi?
Scopritelo nella prossima puntata di Casa Vianello!
Black
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Capitolo 4 *** III ***
Capitolo 3
Capitolo 3
Camminavano
in formazione, armature pesanti a coprirgli il petto e i fianchi che
scintillavano
come carapaci di scarabei sotto i fari potenti. Le
loro labbra gonfie, simili a quelli dei pesci, erano lasciate socchiuse
facendo intravedere denti aguzzi, ma non un suono ne usciva.
Osservavano insistentemente il paesaggio attorno a loro, alla ricerca
dei nemici. I segni di devastazione erano evidenti, ma non riuscivano a
trovarne i perpetratori.
- È arrivata la cavalleria. - disse freddamente Endive,
stringendo i pugni.
Toma, al suo fianco, non riusciva a smettere di guardare i quindici
alieni in piedi a poche decine di metri da loro. Se non fosse stata per
la fulminea intuizione della Ricognitrice, che aveva dato l'ordine di
nascondersi dopo aver intravisto un movimento sospetto, sarebbero stati
presi di sorpresa. I Mentemal non avevano una buona vista, ma captavano
molto bene i movimenti. Pertanto, rimanersene immobili, nascosti, era
la cosa migliore da fare fino a quando non avessero sviluppato un piano
di contrattacco.
- Bardack è sotto l'edificio crollato. - Seripa, a voce
contenuta, comunicò la notizia al resto del team, osservando
rabbiosa ed impotente il segnale dello Scouter del capitano, fermo e
indebolito dallo spesso strato di macerie. Toma contrasse le
sopracciglia in un'espressione di
preoccupazione, inumidendosi le labbra nervoso, girando
lentamente lo sguardo verso la Ricognitrice.
- Dobbiamo andare a recuperarlo. - la donna non si mosse, continuando
ad osservare i nemici concentrata.
- Seripa, ho bisogno che tu ci dica il livello combattivo del plotone
appena arrivato.
- Subito. - La sentì digitare furiosamente sulla tastiera,
attimi di silenzio nei quali sentiva il cuore andare al ritmo di
digitazione della Saiyan. Era essenziale mantenere la mente lucida, e
l'ansia che sentiva salire insieme al sangue alla testa le permise di
osservare con maggiore attenzione la situazione. Era stata in
situazioni peggiori nella sua breve carriera da Ricognitrice, e ne era
sempre uscita vittoriosa. Continuò a ripeterselo mentre
studiava
l'area attorno a loro, osservando il gruppo di guerrieri muoversi
compatto nella direzione del recente crollo. Ignorò
il secondo richiamo di Toma, che si stava innervosendo per il
prolungato silenzio da parte dell'amico. Lo sentì chiamarlo
al
microfono, e diventare irrequieto ogni qual volta non riceveva
risposta. Lei, d'altro canto, non sembrava per nulla toccata dalla
faccenda; ci voleva ben altro per mettere fuori combattimento uno come
Bardack, ed era fiduciosa dei suoi calcoli.
-
Livello: settemila e duecento a testa. - Chiuse le palpebre,
trattenendo un pesante sospiro. Quando riaprì gli occhi, si
girò verso il compagno.
- Sono troppo fuori dalla nostra portata. - soffiò Toma, una
gocciolina
di sudore che si fece strada lungo la sua fronte. Perfino Toteppo e
Panbukin si erano fermati nel sentire quelle parole.
- Cosa facciamo ora? - chiese quest'ultimo gracchiando nel microfono. -
Soltanto Bardack è forte abbastanza da...
- Combattiamo. - le parole, dette con tono freddo dalla Ricognitrice
zittirono tutti i presenti. - Non possiamo perdere questa base.
Attaccateli.
- Sei impazzita? - disse retoricamente Toma, osservando inquietato quel
plotone di Mentemal che, silenziosi, ancora non davano segno di voler
iniziare ad esplorare il sito. Endive lo guardò seria, le
sopracciglia sottili
aggrottate sopra gli occhi.
- Non contestare. Se non li attacchiamo ora, rischiamo di compromettere
la missione.
- Non seguiamo i tuoi ordini. Il nostro capitano è sotto le
macerie e non da segni di vita.
- Per questo preciso motivo il comando ora passa a te. Se non ordini di
attaccare perderemo la base. - il tono della Ricognitrice si era fatto
vagamente minaccioso, ma il vice non ne voleva sapere nulla.
- Non siamo la tua carne da macello, e non farò morire la
squadra
per la missione. Toteppo, Panbukin, copritemi mentre recupero Bardack,
ci ritiriamo! - Senza dire altro, Toma si lanciò verso le
macerie, uscendo dal suo nascondiglio. Immediatamente, un urlo
agghiacciante gli fece accapponare la
pelle. I Mentemal partirono all'attacco, ed erano estremamente veloci.
Toma si spinse al limite, volando a tutta velocità verso le
macerie. Non avrebbe avuto troppi problemi a trovarlo,
gli serviva soltanto di trovare la sua precisa localizzazione.
- Seripa, mandami la posizione esatta di Bardack, ci ritiriamo!
- Subito, To... Capitano! - Capitano.
Quella parola fu sufficiente a
formare un groppo in gola all'uomo. Il suo migliore amico era forte,
più forte di qualunque altro Saiyan, non poteva essere - Endive non poteva avere
ragione. Non... non...
Il
turbinio dei suoi pensieri venne interrotto bruscamente quando, con la
coda
dell'occhio, vide un fascio di luce diretto verso di lui.
Imprecò a denti stretti, rotolando sul fianco
destro, alzandosi in volo per allontanarsi dai fari. Vide chiaramente
un disco di luce schiantarsi contro un muro, tranciandolo di netto.
- Manovre evasive! Manovre evasive! - Gridò mentre altri
dieci
di quei dischi si schiantarono attorno a lui. Si coprì
istintivamente la testa con le braccia, avvertendo un bruciore intenso
sull'avambraccio sinistro. Quelle dannate lame volanti avevano appena
lasciato un grosso taglio sulla sua pelle, ed era stato appena
sfiorato. Come diamine aveva fatto Bardack a sopravvivere ad uno di
quei cosi lanciato in pieno petto? Si girò sulla schiena,
lasciandosi cadere a peso morto verso l'edificio crollato, le braccia
stese verso i nemici, e iniziò a lanciare raffiche di
ki-blast.
I soldati evitavano con scioltezza i suoi colpi, con movimenti bruschi
e scattosi, quasi robotici. Toma fece leva sugli addominali, compiendo
una capriola, atterrando pesantemente al suolo. Il suo Scouter
segnalava con acuti suoni la posizione di Bardack, e senza attendere
oltre si mise a scavare affannosamente, sollevando massi.
Alzò
per pochi istanti lo sguardo, osservando Toteppo e Panbukin scagliare
continui raggi energetici, facendo esplodere i dischi energetici a
mezz'aria. In poco tempo, la luce dei fari rese la cortina di fumo
impenetrabile, densa alla vista. La gola di Toma si era riempita di
polvere, e la tosse lo scuoteva, ma questo non lo fermò,
continuando a scavare a mani nude. Sentì un urlo provenire
dal
suo auricolare.
- Toteppo e Panbukin sono a terra! Ripeto, sono a terra! - Toma
osservò impietrito i corpi dei suoi due amici cadere,
trascinandosi con loro alcuni stralci di fumo avvolti come corde
attorno alle loro gambe. Sentì chiaramente il cuore fermarsi
nel
momento in cui sentì il tonfo di quando finirono a terra, e
fu soltanto quando questi imprecarono ad alta voce, tentando di
rialzarsi che il vice
tirò un sospiro di sollievo. Sollievo che durò
poco.
La sua visuale venne interamente occupata da una corazza dal colore
cangiante, all'altezza del suo viso. Deglutì silenzioso,
alzando
gli occhi e piantandoli in quelli enormi del Mentemal. Non ne voleva
sapere di morire trascinandosi su delle macerie come un verme; non ne
voleva sapere di morire in modo così indegno, ad appena
sette
ore dall'inizio della missione. Gridò, caricandosi con
quell'urlo di guerra, e si avventò contro il nemico. Il suo
pugno non
lo sfiorò nemmeno, in compenso ricevette una poderosa
ginocchiata sull'addome, che lo fece piegare in due. Morse la polvere,
che gli impastò la bocca e si mischiò al sapore
acido di
un rigurgito, mentre il torace veniva scosso da una tosse persistente
che gli grattava la gola. Avvertì chiaramente la presenza
del
nemico, che si era leggermente chinato verso di lui. Rotolò
sul
fianco, il polso destro stretto nella mano sinistra, e
scagliò
un potente ki-blast. Il Mentemal emise un verso agghiacciante,
portandosi una mano all'occhio, sangue bluastro che gli
schizzò
sul viso; lo vide arretrare di qualche passo, mentre i compagni lo
osservarono parlando ad alta voce in un dialetto sconosciuto. Qualcosa
di duro lo colpì al viso, spaccandogli il naso, ma
ciò
non fu sufficiente a fermare la risata sprezzante che proruppe dal
profondo del suo petto, premuto presto sotto il pesante stivale del
Mentemal ferito.
- Almeno sono riuscito a ciecare uno di voi stronzi - disse mentre un
sorriso strafottente si faceva largo sul volto impolverato, mentre
osservava in alto. Il cielo era ormai nero, e i potenti fari
illuminavano le silhouette dei suoi futuri assassini. Non era affatto
un bel modo di andarsene, con Seripa che strillava nel microfono, ma
oh, al diavolo. Vide il ferito alzare un braccio, mentre un ki-blast ne
illuminava le dita palmate. Strinse i pugni, il cuore che palpitava
impazzito nel petto, batté le palpebre.
Quando le riaprì, vide soltanto rosso.
Rosso...?
Il drappo danzava, stretto alla sua vita, seguendone i movimenti
sinuosi. Strinse fra pollice, medio e anulare il gomito teso del
Mentemal ferito, premendo con forza sulla giuntura. Non appena il suo
braccio cedette, il raggio energetico gli morì in mano,
spegnendosi, e ne approfittò per costringerlo a piegare il
braccio dietro la testa, senza lasciare la presa sul gomito. Senza
attendere oltre, con la mano libera chiusa a pugno, lo colpì
dritto sull'ascella, centrando tutta la forza sulla nocca del dito
medio che sporgeva, centrando in pieno un nodo nervoso. Il nemico
urlò orribilmente, accasciandosi a terra contorto dal
dolore.
Bastò una spinta con il piede sinistro per eseguire una
torsione
a mezz'aria, la gamba destra piegata sotto il corpo, atterrando con il
ginocchio così piegato sul volto del nemico. Il suono del
cranio
che si spaccava inesorabilmente sotto il ginocchio della guerriera, che
aveva eseguito tutto nell'arco di una manciata di secondi, fu il
fattore
scatenante di una reazione disorganizzata e impacciata. Innumerevoli
dischi si schiantarono contro l'aggressore, i cui numerosi gioielli
scintillarono nel momento in cui si girò, profondi occhi
castani
che indagarono in assoluta tranquillità la scena che si
stava
svolgendo, prima di sparire dietro la nube alzata dalle esplosioni.
Quando il fumo si diradò, della donna non c'era traccia,
così come del guerriero Saiyan che poco prima giaceva al
centro
del gruppo. Rimasero immobili, confusi; iniziarono a guardarsi intorno,
scandagliando ogni centimetro del terreno accarezzato dai fasci di
luce. Dove diavolo era finita? Un improvviso fruscio li fece saltare
sul posto, e si girarono osservando un secondo guerriero accasciarsi
lentamente a terra, la testa che penzolava su spalle e petto, il collo
inesorabilmente andato.
- Dove sei? - urlò un guerriero Mentemal, rivolto alla
scimmia
che aveva appena fatto fuori due dei suoi compagni in tutta scioltezza.
Non poté finire la frase, poiché un preciso
ki-blast gli
trapassò il cranio, uccidendolo sul colpo. Agli anfibi
bastò seguire la direzione del raggio per trovare la donna
in
aria, le braccia incrociate, intenta ad osservarli in modo
indecifrabile attraverso il vetro verde di uno scouter, la lunga coda
pelosa che si muoveva tracciando numerose
onde, parlando fra se e se a voce bassa. Li stava prendendo in giro. I
guerrieri sopravvissuti lanciarono i loro gracchianti urli di guerra,
alzandosi in volo, i dischi energetici già pronti per essere
lanciati. Uno di loro, tuttavia, non riuscì a spiccare il
volo.
Abbassò lo sguardo, osservando prima accigliato, poi
sorpreso,
la mano sbucciata che sbucava dalle macerie e che l'aveva afferrato per
la caviglia. Emise una debole esclamazione di sorpresa mentre veniva
trascinato sotto i massi, avvertendo le ossa rompersi al contatto con
le macerie, un braccio possente gli si strinse
attorno alla gola, soffocandolo. Nel mentre, Endive rimase immobile,
senza curarsi troppo degli undici nemici che le si stavano scagliando
contro. Lentamente, il suo corpo venne come avvolto da una strana
patina iridescente, prima di sparire come inghiottita
dall'oscurità della notte. I Mentemal si bloccarono, gli
occhi
strabuzzati.
Un tentennamento che gli costò caro. I fari sotto
di loro esplosero con un suono secco, facendo volare tutto attorno i
frammenti dei vetri. I loro occhi ci misero tanto, troppo ad abituarsi
all'improvvisa scarsità di luce, facendoli fermare per
lunghi
secondi a mezz'aria, rendendoli bersagli fin troppo facili. Due di loro
avvertirono un calore bruciante sulla schiena, dapprima un leggero
fastidio, seguito in breve tempo da un dolore atroce. Il raggio che li
colpì fu talmente potente da quasi carbonizzarli, donandogli
una
morte impietosa e orribile. Alle loro urla si sovrapposero le grida di
sorpresa dei soldati nel momento in cui un fulmine verde e rosso
piombò su li loro con violenza.
Bardack era ricoperto di polvere e sangue, ma combatteva come una
belva. Aveva dei lividi su braccia e spalle, e una grossa macchia di
sangue gli decorava il lato destro del volto, eppure tutto
ciò
non sembrava averlo minimamente scosso. Afferrò un anfibio,
e
con la mancina gli prese la mascella, arpionando le dita contro il
pavimento della sua bocca, ignorando i denti aguzzi che pungolavano la
sua pelle callosa; con la mano destra, invece, premette sul palato,
usando i pollici per meglio far presa sul volto dell'alieno, e
tirò con decisione in direzione opposta. La gola e la testa
del
Mentemal si lacerarono mentre questo emetteva un suono gorgogliante,
mentre
i polmoni e la trachea venivano esposti. Il comandante
lasciò
cadere il corpo agonizzante, gettandosi sul nemico più
vicino.
Ogni colpo era una vendetta per ciò che avevano inflitto a
quegli idioti dei suoi compagni; l'unico che aveva il diritto di
pestarli in quel modo era lui e lui soltanto. Ma questa furia cieca lo
rese
disattento, troppo fiducioso nella sua forza, prono a commettere
errori. Si sentì afferrare per le spalliere dell'armatura, e
trascinato con forza verso sinistra. Quando alzò lo sguardo
per
incontrare il suo nemico, incontrò una matassa di capelli
castani, e una pettiera lucida sormontata da troppe collane per essere
considerata comoda. Vide con la coda dell'occhio il suo nemico venir
tranciato in
due dal disco di un suo compagno, indirizzato a lui, e immediatamente
l'istinto di
sopravvivenza ebbe la meglio sulla necessità di trucidare
senza
pietà quei maiali. La Ricognitrice non perse tempo,
afferrando
Bardack per l'avambraccio, appoggiandogli entrambi i piedi contro il
torace: stava chiedendo di essere lanciata, e lui
l'accontentò,
ruotando su se stesso in un gesto automatico, e facendo leva sui
muscoli addominali tirò indietro il braccio, spedendola poi
a tutta
velocità verso tre Mentemal. I restanti sei se li sarebbe
presi
lui. Endive combatteva con tecniche che finora non aveva mai visto;
aveva agganciato un soldato con le caviglie incrociate all'altezza
della gola, e aveva iniziato a ruotare, trascinando il nemico inerme
con sé. Nel momento in cui piegò le ginocchia,
ruotando
velocemente su se stessa e aprendo le caviglie, lanciandolo lontano, si
poté sentire chiaramente lo schiocco dell'osso del collo che
si
spezzava. Non era potente, ma era veloce, e non esitava a colpire i
punti deboli dei nemici. Si ritrovò a pensare a quanto
potesse
essere subdola, con quel suo sguardo impassibile anche in un momento
simile, mentre con un gesto sciolto spezzava la carotide del secondo
guerriero.
La luce dell'alba rischiarava già da una mezz'ora la base. I
raggi filtravano attraverso le finestre rotte, gettavano ombre sulle
macerie, e facevano scintillare la torre di controllo come un prezioso
gioiello in mezzo a così tanta distruzione.
Seripa stava finendo di disinfettare il naso di Toma, deviato e rotto,
riprendendolo ogni qual volta un lamento sfuggiva alle labbra del
ragazzo. Toteppo e Panbukin ronfavano beatamente sulle brande prima
appartenute ai Mentemal, ricoperti di ferite e bende. Bardack era
seduto sulla finestra ormai andata, le gambe a penzoloni nel vuoto,
mentre osservava la figura silenziosa di Endive che girava in cerchio
da almeno mezz'ora. L'aveva vista andare alla torre di controllo,
tornare indietro, accendersi una sigaretta, buttarla, tornare alla
torre, e infine piantarsi lì, una seconda sigaretta fra le
labbra, mentre osservava il sole nascente. La Ricognitrice poteva
nascondere bene il suo stato d'animo dietro un volto di pietra e
movenze sinuose, ma l'odore di ormoni che aveva sentito immediatamente
dopo la battaglia - un odore che non sapeva di adrenalina, troppo acre
e bruciato - gli aveva fatto intuire come la donna fosse altamente
incazzata. E a giudicare da quanto forte quell'odore fosse, al punto da
riuscire a superare i fumi del sangue e del fango, dedusse che non
fosse mai stata
così alterata in vita sua. Eppure, a guardarla in quel
momento,
con il bel viso pulito da ogni sporcizia e una sigaretta mezza
consumata fra le labbra, non avrebbe mai immaginato uno stato d'animo
tanto in subbuglio.
- Ehi, notizie da Vegeta? - Gridò mettendo le mani a coppa
attorno alla bocca, lasciandole poi cadere sulle ginocchia. La
Ricognitrice rimase immobile, ma poté giurare di vederla
chiudere gli occhi e contare fino a dieci. Si girò,
osservando
Bardack e la grossa garza tinta di rosso che aveva incollata alla
fronte. Se avesse potuto sparare laser dagli occhi, a quest'ora il
Saiyan sarebbe bello che stecchito. Si diresse verso una delle
navicelle che aveva portato lì alla fine della battaglia,
prendendo un piccolo zaino e caricandoselo su una spalla, dirigendosi
poi verso l'edificio attualmente utilizzato come infermeria. Comparve
poco dopo alla porta, la mascella serrata in un'espressione severa,
mentre con il suo passo altezzoso si faceva largo fra i muri crollati e
le brande ribaltate. Arrivò di fronte ad un tavolino, e vi
posò lo zaino, aprendolo.
- Arriveranno presto i rifornimenti di cibo, e ho richiesto anche una
nave medica per le vasche di rigenerazione. - Disse utilizzando il suo
solito tono di voce melodioso, senza far trasparire in minima parte la
rabbia che Bardack le aveva visto manifestare poco prima. - Possiamo
utilizzare questa centrale
come base. Seripa è riuscita a caricare l'override del
sistema,
e abbiamo il pieno controllo della torre. Le comunicazioni
interspaziali sono state ripristinate correttamente, e forse riusciremo
anche a connetterci ai sistemi centrali dei Mentemal. - Il silenzio
calò nella stanza, sostituito dal suono delle boccette di
medicinali che lei stava meticolosamente sistemando in file da tre.
Bardack si era girato, appoggiando la schiena all'infisso della
finestra, una gamba che ancora dondolava nel vuoto, l'altra piegata e
usata come appoggio per il braccio bendato, osservando le spalle dritte
della donna.
- Hai già fatto rapporto?
Endive osservò attentamente l'etichetta su di un porta
pillole, senza smettere di sistemare i farmaci.
- Ovviamente. - disse posando il contenitore, chiudendo lo zaino e
girandosi verso il Saiyan, appoggiandosi con il sedere al basso
tavolino, le mani arpionate al bordo.
- E cosa hai riferito? Non è anche mio compito approvare i
rapporti prima di inviarli?
- Ho soltanto mandato files riguardanti la mia giurisdizione
come Ricognitrice.
Non appena avrò rimesso in funzione il computer della sala
di
comando potrò connetterti direttamente a Vegeta,
così che
si possa inviare...
- Hai mandato un report sulle prestazioni della mia squadra. - Il tono
del capitano si era improvvisamente fatto più grave, facendo
girare di scatto sia Toma che Seripa. Perfino Toteppo, avvertendo
l'improvvisa elettricità nell'aria, aveva aperto un occhio,
osservando il suo capitano. Endive non allargò un sorriso
come era solita fare,
rimanendo con le labbra chiuse e il volto di pietra, ma
incrociò
le braccia al petto.
- Era mio dovere farlo. I report possono essere utili per le future
valutazioni e le missioni...
- Cos'hai detto sulla mia squadra? - La donna rimase ferma, senza farsi
infastidire dal fatto che fosse stata interrotta sgarbatamente per ben
due volte di fila. L'uomo si alzò in piedi, dirigendosi
verso di lei. Arrivò a meno di un metro, osservandola dai
dieci centimetri d'altezza che li differenziavano.
- Ho detto che grazie alle vostre abilità, è
stato possibile ottenere il controllo di un punto di immensa importanza
strategica, ma che la collaborazione sta incontrando degli ostacoli.
Cosa più che normale agli inizi di una missione.
- Hai scritto davvero soltanto questo?
- Puoi consultare il file inviato, o richiederne una copia al centro di
comando. Hai il diritto di farlo. - Bardack serrò la
mascella.
Quei dannati Sorci avevano un potere immenso. Conosceva persone la cui
carriera era stata stroncata da una brutta valutazione da parte di
questi Ricognitori, e aveva visto con i suoi stessi occhi la derisione
e la nera povertà che si abbattevano su di loro. Nessuno voleva
assumere una squadra che non sapesse fare il suo lavoro, e in
troppi finivano a dover lasciare il pianeta con la famiglia,
trasferendosi altrove e cercando fortuna come mercenario,
inevitabilmente rovinati per il resto della vita. Bardack
sapeva perfettamente che erano stati commessi degli sbagli, ma doveva
proteggere la sua squadra.
- Mi fido. Ma la missione da te tanto ben pianificata è
stata affrettata, e il piano era traballante. Non puoi dare tutta la
colpa ai miei uomini.
- Se i tuoi uomini avessero eseguito gli ordini, a quest'ora la
missione sarebbe stata un successo di gran lunga maggiore. Ma
l'importante è che la missione si sia conclusa.
- Sai bene che una tua parola sarebbe in grado di rovinarli. Di
rovinarci. Non voglio che accada.
- Se lo desiderate così ardentemente, la prossima volta vi consiglio di eseguire gli ordini invece di agire di testa
vostra. - Lo sguardo di Endive si era assottigliato, facendo salire il
nervoso a Bardack.
- Toma ha fatto ciò che doveva: ha messo la vita dei suoi
uomini prima della missione. Io ero fuori combattimento, e lui ha preso il comando.
Non mi risulta che dobbiamo rispettare i tuoi ordini.
- Sono una Ricognitrice, do per scontato che ascoltiate
ciò che dico. I tuoi uomini hanno abbandonato le loro
postazioni, rischiando di compromettere la missione. Devono aver fiducia in
me, o questo disastro si ripeterà. - ribattè prontamente la donna, abbandonando la sua posa
rilassata e puntando un indice accusatore verso il volto del capitano, il volto ancora disteso ma tinto da uno sguardo severo.
Questo lo fece imbestialire ancora di più.
- Non basta qualche piroetta per aria per ottenerla! Lavoriamo
insieme da cinque anni, e si fidano ciecamente del mio giudizio, dei miei ordini.
- Se non fosse stato per il mio intervento...
- Non hai capito, donna. Tu per noi non
sei nessuno.
Non si aspettava di certo il pugno che, preciso e travolgente, lo
colpì sullo zigomo sinistro, facendolo volare verso il muro,
sfondandolo. Si coprì il volto con le braccia, il sole che
filtrava dritto negli occhi. Un'ombra improvvisa oscurò il
sole, e lui sentì chiaramente un improvviso tepore sul
petto. Abbassò le braccia, osservando Endive salirgli sopra,
ancora in volo, stringendo le cosce ai lati della sua gabbia toracica,
le gambe ripiegate e una mano già sul suo collo, frammenti di muro che gli sfioravano il corpo. In
qualunque altra occasione, avrebbe sputato una battutaccia su quanto quella
situazione fosse eccitante in ogni senso, ma era abbastanza
imbestialito da passare sopra le buone maniere. Tirò
indietro il braccio per caricare un gancio destro, quando la sua
schiena colpì il terreno. Il peso di Endive per un attimo
gli mozzò il fiato, ma non bastò a fermarlo.
Afferrò per un braccio la donna, portandola sotto di
sé dopo essersi girato con un colpo di reni.
Tentò di colpirla al volto, ma lei fu veloce a piegare il
collo, evitando il colpo. Bardack avvertì un improvviso
formicolio sul braccio destro, e istintivamente si allontanò
con un salto. La Ricognitrice si rialzò,
osservandolo di sottecchi, pronta a rispondere ad un suo eventuale
attacco. Il Capitano fece per caricare, quando una scarica di dolore al
braccio destro fece vertere la sua vista al bianco. Rimase fermo,
osservando le vene stranamente gonfie su tutta la lunghezza dell'arto.
- La mia tecnica di combattimento ruota attorno all'utilizzo di colpi
sui nodi nervosi. È un modo efficace per averla vinta su un avversario ostico.
- Ma tu chi cazzo sei? Se sei così forte, in missione perché non ci vai da sola? - brontolò lui
massaggiandosi il braccio. La donna sospirò, portandosi una
ciocca di capelli dietro l'orecchio.
- Ti deluderebbe sapere che non sono affatto tua pari. Il mio livello
di forza è di solo ottomila e settecento. In uno scontro
prolungato, tu avresti la meglio senza alcun dubbio. - Endive si
avvicinò, ignorando lo sguardo sospettoso del capitano.
- Ehi, stai lontana da Bardack! - Toma, affacciato alla finestra, era
in procinto di saltare giù in soccorso dell'amico. Bardack
osservò lo sguardo tranquillo della Ricognitrice,
soffermandosi a lungo in quegli occhi, cercando di capirne le
intenzioni.
- Va tutto bene Toma. Torna a giocare al dottore. - Gridò
sbrigativamente di rimando, senza mai perdere di vista la donna. Lei
era ormai vicinissima, a poche decine di centimetri da lui. Con
delicatezza avvolse le mani attorno al suo braccio, attirandolo verso
di sé. Lui si ribellò, certo che ne avrebbe approfittato
per spazzargli definitivamente il braccio, ma dopo qualche
attimo di tentennamento, fiutando l'aria in cerca di un pericolo che
non avvertiva, decise di lasciarla fare. Anche perché non
sentiva più l'arto.
- Devo chiederti una cosa. - sussurrò lei a voce bassa,
mentre con i pollici percorreva l'avambraccio, premendo ripetutamente
su alcuni punti. L'uomo sentì immediatamente il dolore
alleviarsi, ma il formicolio continuava a persistere. - I tuoi uomini
non ne hanno voluto sapere di ascoltare le mie indicazioni. Ma tu... -
Premette sull'attaccatura del braccio, e immediatamente le vene si
sgonfiarono, mentre il sangue riprendeva a scorrere nelle dita
intorpidite. Lei allontanò i capelli che le erano scivolati
sul volto con uno scatto della testa, rialzando lo sguardo verso il
comandante. - Quando ti ho ordinato di rimanere fermo sotto le macerie,
attendendo il mio via libera per attaccare, mi hai ubbidito. Non hai
fatto domande, né hai protestato. Dici che ci vuole ben
altro per guadagnarsi la fiducia dei tuoi uomini, perché
allora ti sei fidato di me?
Bardack rimase in silenzio, mentre la donna premeva sull'ultimo punto.
Finalmente, il braccio era nuovamente funzionante. Anzi, non sentiva
nemmeno più il dolore sordo dei lividi e dei graffi.
Osservò la mano aprirsi e chiudersi, e si batté
contento la mano sinistra sul bicipite muscoloso.
- Istinto.
- Istinto?
- Ho sentito tutto quello che accadeva nello scouter. Ho sentito Toma
disobbedirti, e il resto della squadra seguirlo. Ammetto che sono stato
fottutamente fiero del fatto che se ne fosse infischiato dei ruoli per
salvare i suoi compagni. Ma ha commesso un errore, e ne ha pagato le
conseguenze. Tu eri l'unica ad avere una visione distaccata della
situazione, a non essere emotivamente coinvolta. Eri del parere che
bisognasse combattere, e ho dovuto fidarmi di ciò che
dicevi. Questa è la spiegazione logica, visto che tanto ti
piace. - Endive rimase ferma, le braccia stese lungo i fianchi, mentre
osservava l'uomo; era quasi possibile vedere il suo cervello lavorare
alacremente ad una risposta, come gli ingranaggi di un misterioso ed intricato marchingegno.
- Ti ho attaccato pensando che, in quanto Saiyan, mi avresti rispettata per la mia forza.
- Ad essere forte sei forte. Ma non siamo dei fottuti animali, serve
anche altro. Non basta staccarmi un braccio per dire "ehi, sono meglio
di voi ascoltatemi". - Gli occhi castani scivolarono via dalla presa
dei gemelli d'onice, denudando per la prima volta un tentennamento
nella risposta della donna. Quella situazione sembrava metterla in
difficoltà.
- Senza ombra di dubbio, voi non siete così. Non vi importa dei
canoni della nostra razza. Per questo, sto pensando di cambiare la mia
condotta. - Rimase in silenzio, prima di riportare lo sguardo sul
Saiyan. La sua espressione era ancora inintelligibile, il linguaggio
del suo corpo continuava a seguire una rigida etichetta che ne impediva
la lettura, eppure Endive sembrava davvero volersi esporre. O forse,
era soltanto molto brava a farglielo credere.
- Quando sono apparsa sulla parete rocciosa non è stato soltanto
in virtù del mio amore per la teatralità.
Psicologicamente, farmi vedere in posizione sopraelevata porta il
soggetto ad essere in soggezione al mio cospetto. Ho continuamente
ricordato la superiorità del mio status e del mio intelletto per
portarvi a vedermi come una figura di riferimento, e per...
- Frena. - disse lui portando le mani avanti, bloccando il monologo
della Ricognitrice. - Primo: non ho capito un emerito cazzo di quello
che hai appena detto. Usa parole più semplici, che non devi fare
colpo su nessuno. Secondo: non ho capito cosa stai cercando di dirmi. E
non dico le parole, ma perché mi stai rivelando le tue tattiche.
Non sono, tipo, segreti da Sorcio? - Dopo qualche attimo di teso
silenzio, vide per la prima volta Endive fare un gesto umano,
confutando la sua teoria secondo la quale lei fosse in realtà
una cyborg: la vide torturarsi brevemente le mani. Si stava davvero
sforzando di comunicargli qualcosa allora.
- Tu sei il capitano della squadra, pertanto ritengo opportuno chiedere il tuo parere. È
la prima volta che i miei collaboratori non obbediscono ad un mio
ordine, e questo mi fa pensare che sia doveroso cambiare il mio
atteggiamento per il bene della missione. Comportarmi in modo
più... spontaneo, meno formale.
-
Certo che a te frega soltanto di portare a casa il lavoro, eh? -
borbottò lui piegando la testa di lato, incrociando le braccia.
- Vabbè. Vedila così. A parte Toma, siamo tutti scemi in
culo. Se non me l'avessi detto, non avrei mai capito che stavi cercando
di manipolarci. Ma sono sicuro che quel figlio di puttana se n'è
accorto, e che a breve me lo comunicherà. Come puoi immaginare,
dopo che lo dirà, gli altri tre preferirebbero tirarsi una
martellata sui genitali piuttosto che fidarsi di una come te. Se vuoi
davvero lavorare con noi, lascia subito stare la psicologia. Rilassati,
dì qualche stronzata, scopati qualcuno se serve, ma non provare
a fregarci. Quello non ci piace per niente. - Il tono burbero con cui
aveva parlato sarebbe stato in grado di far scoppiare a piangere anche
Freezer, o almeno così gli veniva sempre detto, eppure la donna
non sembrò minimamente turbata da tutto quello. Endive
soppesò le sue parole, annuendo debolmente con la testa,
processando la quantità di informazioni appena ricevute.
- Capisco. Ti ringrazio per il tuo tempo, cercherò di seguire i
tuoi consigli. - Si inchinò leggermente, portando le mani giunte
di fronte al petto, per poi avviarsi verso la sala di comando, le mani
infilate nelle tasche ampie dei pantaloni.
- Ehi. - chiamò il capitano, facendola fermare. - È Toma il consulente della squadra, e sono sicuro che sai perfettamente che queste cose vanno affrontate con lui. Perché hai voluto parlarne con me?
Endive alzò lentamente lo sguardo, continuando a dare le spalle al comandante, osservando la torre troneggiare
sopra di loro, ammaccata da numerosi colpi. Il sole era ormai sorto, e
i raggi caldi accarezzavano le lamine contorte, creando inquietanti
disegni di ombre.
- Istinto.
Toma osservò la matassa di corpi in fondo al capannone.
Vi era cibo e acqua in abbondanza accanto a loro, ma per quanto
malnutriti e assetati, nessuno di loro sembrò voler nemmeno
sfiorare tutto quel ben di Dio.
- Stanno così da varie ore. - Disse Seripa sgraziatamente
seduta su di un mucchio di macerie, indicando con il mento il gruppo di
alieni sopravvissuti. Si erano lavati e avevano accettato le vesti
pulite un tempo appartenenti ai Mentemaliani, ma non ne avevano voluto
sapere di fare altro. Si erano accucciati in un angolo, le lunghe
orecchie che sbucavano fuori dalla capigliatura bionda e i grandi occhi
verdi puntati al suolo.
- E come se non bastasse, il traduttore non riconosce la loro lingua. -
gracchiò Panbukin mentre si rovistava con un indice
nell'orecchio, seduto a gambe larghe accanto a Seripa.
- Pan, o ti metti un paio di pantaloni o chiudi le gambe. Ho
già di mio lo stomaco rigirato senza che ti ci metta anche
tu.
- Se guardi è perché ti piace. -
ribattè prontamente lui spolverando il gonnellino che
indossava, suscitando un sospiro sconsolato nel suo compagno. Toma
distolse lo sguardo dal raccapricciante amico, osservando la
Ricognitrice in piedi al suo fianco, le braccia incrociate come al suo
solito.
- Allora?
- Nulla. I Mentemal non avevano alcun file sulla lingua dei Kelittiani.
E non so quanto tempo mi ci vorrà per imparare la loro
lingua partendo dalle poche frasi che conosco. Hai notizie di Bardack e Toteppo?
- L'ultimo report è di trenta secondi fa. Non ci sono altri sopravvissuti sotto le macerie. Questi sono tutti i
Kelitt rimasti. - La donna scandagliò attentamente i corpi
emaciati. Molti dei sopravvissuti, impossibile definirne il sesso,
avevano evidenti tumori e cancrene su tutto il corpo. Endive si era
offerta di curarli cercando di farsi capire con i gesti, ma si erano ritirati, timorosi, rifiutando perfino
il contatto visivo. Le ossa erano deformate a seguito della lunga
permanenza nelle gabbie, e a causa delle pessime condizioni igieniche,
molti di loro avevano piaghe da decubito talmente infette da richiedere
l'asportazione della carne. Che diavolo avevano passato quelle
persone...?
- Borò na kanokati giasa? - Chiese Endive rivolta agli
orecchie a punta, sfruttando quelle pochissime parole che conosceva
grazie ai suoi studi, chiedendogli se potesse fare qualcosa per loro in un ultimo tentativo di instaurare un dialogo.
Le risposero con il silenzio. La Ricognitrice sospirò e fece
per andarsene, quando una di loro, dagli occhi ciechi, parlò.
- Erchon ai. - Endive socchiuse la bocca, girandosi verso di lei.
L'osservò confusa.
- Cosa ha detto? - chiese Toma.
- Ha detto "stanno arrivando", se non sbaglio. Ma chi sta arrivando...?
- Un improvviso segnale acustico provenne dal suo scouter. Premette sul
pulsante, osservando il vetrino. Sbarrò gli occhi. Almeno
cinquecento forme di vita rilevate, dirette verso di loro dal fianco della montagna. Trattenne a
stento un'imprecazione, girandosi e correndo verso l'entrata della
centrale. Sapeva che il loro attacco non doveva essere passato
inosservato, ma era possibile che i rinforzi fossero già
arrivati? Spiccò il volo, cercando con gli occhi Bardack.
Era in piedi, sulla cima della torre, e osservava tranquillamente la
massa di
persone che si avvicinava. Il suo rilevatore segnava livelli sopra i
tremila, alcuni cinquemila, addirittura un paio di settemila. Un vento
leggero gli scompigliava i capelli ribelli, accarezzando le ferite
ancora aperte, lo scouter sembrava impazzito. Stanco di quei continui
bip, lo staccò dall'orecchio, spegnendolo. Con una leggera
spinta
delle gambe balzò giù, atterrando di fronte al
portone. Premette le mani sulle ante, aprendolo con un gesto sciolto.
Fece qualche passo in avanti, venendo investito dai raggi del sole
freddo di quel pianeta. I suoi occhi neri si scontrarono con quelli
verdi di un giovane, più basso di lui ma con una buona
muscolatura, fermo a una cinquantina di metri da lui. Bardack
osservò per qualche secondo la massa di
uomini e donne dietro al ragazzo, quasi tutti identici, per poi
riportare lo sguardo su quello che, a suo parere, doveva essere il
capo. Un sorriso eccitato si allargò sul suo volto.
- Benvenuti.
Angolo autrice:
Prima di ogni cosa, QUI
ho caricato qualche disegno di Endive che ho fatto invece di studiare
per gli esami. Sono cambiate poche cose nel suo design ma non ho lo
sbatti di ridisegnare tutto. Rimane una gnoccona.
Secondo, ragà, una domanda.
I Saiyan e tutti gli altri alieni nell'universo sconfinato parlano
giapponese? Che lingua parlano? Per arrivare sulla Terra, in Giappone,
e parlare un giapponese più che fluente, devono per forza
saperlo parlare, no? I Namecciani allora ce li hanno gli onigiri? Ve lo
dico,
questa questione linguistica mi ha causato un'emicrania, e non scherzo.
Il mio ragionamento
deduttivo.exe ha smesso di funzionare e mi sono
dovuta riavviare un paio di volte.
Personalmente, la questione può essere risolta in due modi:
primo modo, esiste una lingua
universale. Una sorta di inglese spaziale che quasi tutti parlano,
più varie lingue minori. Non ho potuto fare a meno di
pensare a
questo quando ho visto la Saga di Namecc, dal momento che i Namecciani
parlano una lingua comune, comprensibile sia a Freezer e i suoi
scagnozzi, sia la loro lingua natia che nessuno sembra conoscere.
Oppure, i Saiyan e gli alieni in generale devono essere equipaggiati
con una sorta di traduttore che gli permette di capire in tempo reale
cosa stia dicendo l'interlocutore, permettendogli di rispondere nella
stessa lingua in automatico. Se avete giocato a Mass Effect
probabilmente il concetto sarà più chiaro, io
sono una
sega con le spiegazioni. Si tratta essenzialmente di un chip che viene
impiantato sotto pelle, e permette di capire e parlare un numero
potenzialmente infinito di lingue. Tuttavia, il chip ha una sua
capacità limitata, ovvero il numero di lingue a disposizione
è limitato a quelle conosciute dal programmatore nel momento
dell'inserimento. Quando si entra in contatto con
una popolazione la cui lingua non è stata ancora tradotta,
bisogna imparare da se la lingua
poiché il chip non offre traduzioni. Questa seconda
alternativa
mi sembra la più ovvia e la più sensata, ed
è
quindi quella che ho adottato.
Altre e due parole sui ruoli nelle squadre.
Se prendete una qualunque squadra militare, vedrete che ogni soldato
ricopre ruoli precisi. Basta vedersi un qualunque film per capirlo.
C'è il capitano, l'addetto alle comunicazioni, il medico, il
pilota, il mitragliere... Mi sembra logico applicare la stessa
formazione anche alle squadre Saiyan.
Bardack è il capitano, la figura di riferimento, il condottiero in battaglia.
Toma è il secondo in comando, si occupa della burocrazia e dei
rapporti all'interno della squadra - diciamo una sorta di consulente
delle risorse umane.
Seripa è il meccanico, in una realtà così tecnologica come quella dei Saiyan serve un esperto in materia.
Toteppo è la retroguardia; con un fisico come il suo, mi viene
naturale considerarlo molto resistente. Pertanto, esattamente come lo
ha sfruttato Toma, ha il compito di coprire le spalle ai suoi alleati.
Panbukin è come il ragazzo nel lavoro di gruppo al liceo che non
fa un cazzo ma si prende comunque il merito. Non gli ho dato alcuna
abilità tranne la cafonaggine, ma in battaglia come Toteppo
copre le spalle agli amici.
Endive in questo caso compensa perfettamente la mancanza di una figura
strategica in grado di occuparsi non solo dell'organizzazione generale,
ma anche dell'andamento del combattimento. Avere un comandante che
rimane defilato anzichè stare sul campo è oggettivamente
un enorme vantaggio strategico; per questo si è alterata quando
è dovuta entrare in azione, perché esula da ogni logica.
Dovete pensare ad Endive come ad una calcolatrice vagante per dirla
semplice.
Detto questo, ho finalmente cacciato fuori la seconda parte del
capitolo. Molti dei quesiti sollevati in questo capitolo verranno
risolti nel prossimo, non vi preoccupate, so che ho lasciato molte cose
in sospeso ma ho dovuto.
Siccome sono una con delle pessime maniere, mi sono dimenticata nello
scorso capitolo di ringraziare tutti coloro che stanno ancora leggendo
questa mia storia. In particolare, ringrazio
Enchalott
Fandoms_Are_Life
M0nica
Sapphir Dream
Shadow Eyes
Tone
Per aver messo nelle seguite,
linx91
namy86
Per aver messo nelle Preferite
E i miei adorati recensori
Felinala
Enchalott
Tone
Shadow Eyes
Ne approfitto per ringraziare tutti coloro che hanno recensito la mia
Bruises (QUI
il link), spero che anche la mia raccolta Valzer 500 ( QUI
il link) vi sia di altrettanto gradimento!
Al prossimo capitolo giovani!
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