Just one day

di Sugakookie
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1 ***
Capitolo 2: *** 2 ***
Capitolo 3: *** 3 ***
Capitolo 4: *** 4 ***
Capitolo 5: *** 5 ***
Capitolo 6: *** 6 ***
Capitolo 7: *** 7 ***



Capitolo 1
*** 1 ***


Prima di iniziare, vorrei precisare una cosa:
ho già scritto tutti i capitoli di questa storia.
Quindi, se vi dovesse piacere,
potete stare tranquilli che non rimarrà inconclusa!
In più, avendo già scritto tutto,
dovrei riuscire ad aggiornare abbastanza in fretta ;)
Detto questo, vi lascio leggere in pace.
Ci vediamo (spero) nelle note a fine capitolo ^.^








Just one day






1.
 
 
 
 
Era il 26 settembre.
 
Se avessi prestato attenzione alla data di quel giorno, avrei notato molto prima che c’era qualcosa che non andava. Invece, me ne accorsi solo una volta arrivata a scuola, quando mi sedetti al mio posto.
 
Avevo appena appoggiato il quaderno sul banco verde pallido, imbrattato di scritte a matita ormai sbiadite, quando mi cadde l’occhio sul quaderno aperto accanto al mio. La mia vicina di banco, Lia, stava scrivendo la data in cima al foglio. I suoi lunghi capelli scuri scivolarono sulla pagina bianca, coprendo la visuale, ma non appena sollevò la testa dal foglio, distinsi chiaramente la scritta. Il nostro banco era proprio accanto alla finestra, e le lettere nere e sottili, colpite dalla luce del sole mattutino, si stagliavano nitide sulla carta bianca.
 
26 settembre.
 
«Oggi è il 26?» chiesi, aggrottando le sopracciglia, nello sforzo di ricordare.
 
Lia si girò verso di me e annuì, guardandomi con i suoi caldi occhi castani.
 
«Sei sicura?» dissi, non troppo convinta. «Avrei giurato che ieri fosse il 26…».
 
«No, è oggi» confermò Lia. «Sarà il sonno che ti confonde» aggiunse, ridendo.
 
Quello fu il primo segno, ma non gli diedi molto peso. Del resto, mi era già capitato altre volte di sbagliare data, convinta che fosse un altro giorno. E poi, la sera prima, c’era stato un temporale molto forte e avevo faticato ad addormentarmi, quindi forse ero davvero intontita dal sonno.
 
Fu quando il professore di matematica iniziò a spiegare, che iniziai a dubitare seriamente della mia salute mentale. Innanzitutto, non avrei dovuto avere matematica alla prima ora di quel giorno. In più, il professore stava spiegando lo stesso argomento che aveva già spiegato il giorno prima, e stava usando le stesse identiche parole. Era proprio come un déjà-vu, quando ti sembra di riuscire quasi a prevedere ciò che verrà detto. Solo che i déjà-vu durano in genere qualche secondo, non di più.
 
Dopo circa dieci minuti di spiegazione, mi girai per guardarmi attorno, gettando occhiate furtive sui volti dei miei compagni di classe. Quelli al primo banco prendevano appunti lentamente, coprendosi la bocca di tanto in tanto per soffocare uno sbadiglio. Alcuni ascoltavano immobili con il mento appoggiato al palmo della mano, altri stavano al cellulare. Lia stava disegnando tranquillamente sul quaderno, completando una serie di schizzi di un gatto in varie pose. Nessuno sembrava turbato dalla lezione, e la prima ora passò senza che trovassi il coraggio di dire niente.
 
Prima che iniziasse l’ora successiva, decisi di fare un controllo nel modo più ovvio. Con una certa ansia, presi il telefono e fissai la data sullo schermo. Era proprio il 26 settembre. Cercai di non allarmarmi troppo; c’era comunque la possibilità che mi ricordassi male, e che il giorno prima fosse il 25.
 
Se ieri era il 25, oggi è il 26, mi ripetei mentalmente, tutto normale.
 
Proprio in quel momento, il professore d’inglese iniziò a spiegare, ed ebbi la conferma che la situazione non era normale per niente. Non avrei dovuto avere inglese a quell’ora, e in più il professore stava dicendo le stesse identiche cose del giorno prima. Stesse parole, persino stesse pause tra una frase e l’altra. Non riuscivo a crederci. Cercai di ragionare, ma non c’era una spiegazione logica. O stavo avendo il déjà-vu più lungo della storia, o l’intera scuola aveva deciso di farmi un simpatico scherzo.

Oppure… stava davvero succedendo qualcosa di assurdo. Qualcosa che non avrei mai creduto possibile. Forse il tempo era tornato indietro e quel giorno si stava ripetendo, identico a come lo avevo già vissuto.
 
La cosa più strana, in quella situazione assurda, era che nessuno sembrava essere cosciente del fatto che il tempo fosse tornato indietro. Nessuno, a parte me. Quasi come se fossi io il fattore scatenante. Eppure non ero stata io a far riavvolgere il tempo, perlomeno non in modo volontario né consapevole.
 
 
*
 
 
Non volevo passare per pazza, perciò provai ad indagare con cautela, facendo domande molto vaghe.
 
«Non notate niente di strano, oggi?» chiesi più volte, a diversi dei miei compagni.
 
«No…?» risposero alcuni di loro, incerti. «Cosa intendi dire?».
 
«”Strano” in che senso?» chiesero altri, con aria interrogativa. Sembravano tutti genuinamente sorpresi, e abbastanza perplessi dalle mie domande. Non stavano fingendo.
 
 
*
 
 
Durante l’intervallo, mi allontanai dai miei amici e andai fuori in cortile, per riflettere. Scelsi una panchina, lungo il viale costeggiato dagli alberi, e mi sedetti. Tutte le altre panchine erano vuote.
 
C’era uno spiazzo davanti alla scuola, che in teoria era anche un campo da calcetto, con tanto di linee bianche ridipinte da poco. Durante l’intervallo, molti studenti si radunavano lì a gruppetti, a chiacchierare, mentre gli altri rimanevano dentro la scuola, sparsi tra le aule e i corridoi. Quasi nessuno veniva a sedersi su quelle panchine, lungo il viale alberato che portava dal cancello d’ingresso all’edificio scolastico. Soprattutto in quel periodo, quando la strada non asfaltata del viale era spesso costellata di pozzanghere, e gli alberi che lo costeggiavano iniziavano a spargere foglie ovunque.
A me, invece, piaceva molto quel viale in autunno, ricoperto da strati di foglie tra il rosso rame e il giallo acceso, e persino le pozzanghere, con quel tripudio di colori riflessi sulla superficie d’acqua, avevano un certo fascino. In quel periodo tuttavia, le foglie cadute, di un giallo pallido, erano ancora poche. Del resto, era solo il 26 settembre, l’autunno era appena iniziato.
 
Mi rigirai fra le mani la mela che mi ero portata da casa, di un bel verde pallido, e mi godetti la sensazione della buccia liscia sotto i polpastrelli. Poi diedi un morso, e mentre addentavo la mela croccante, un pensiero mi colpì.
Tutti replicavano le stesse azioni, le stesse parole, proprio perché non erano coscienti del fatto che la giornata si stesse ripetendo. Avevo notato che, se ero io ad innescare un cambiamento, allora anche gli altri compivano azioni diverse di conseguenza. Ma se non intervenivo io, si ripeteva tutto in modo identico; era come se tutti stessero seguendo inconsapevolmente un copione già scritto, non avevano scelta. Io, invece, mi ricordavo cosa avevo fatto il giorno prima. Sapevo già cosa sarebbe successo, e potevo scegliere. Potevo decidere di non fare esattamente le stesse cose che avevo già fatto. Anche solo il fatto che fossi uscita dalla scuola, allontanandomi dai miei amici, era un piccolo cambiamento rispetto a ciò che avevo fatto il giorno prima.
Ma quali sarebbero state le conseguenze di questi cambiamenti? Nelle storie di fantascienza non era mai una buona idea tornare indietro nel tempo, né tantomeno cambiare il passato. Avrei potuto causare un danno irreparabile alla storia futura, senza rendermene conto. Mi si strinse lo stomaco solo a pensarci.
E subito dopo, un altro pensiero terribile mi attraversò il cervello, facendomi raggelare sul posto. Domani… sarà di nuovo il 26 settembre?
 
 
*
 
 
Ero lì a mordere la mia mela, nervosamente, rimuginando sui dilemmi dei viaggi nel tempo, quando all’improvviso mi accorsi che era comparso qualcun altro nel viale. Era un ragazzo che non avevo mai visto, chiaramente asiatico. Dimostrava diciotto o diciannove anni, perciò doveva essere all’ultimo anno, come me. Mi gettò una breve occhiata, poi si sedette sulla panchina di fronte alla mia e infilò gli auricolari nelle orecchie.
 
Sembrava fragile. Come se la tristezza lo avesse consumato a lungo, fino a prosciugarlo, lasciandolo con quell’aria vulnerabile e stanca. Come se potesse rompersi da un momento all’altro.
 
Lo avevo visto in piedi per pochi secondi, prima che si sedesse, ma ad occhio avrei detto che fosse poco più alto di me. Aveva le spalle abbastanza larghe, ma per il resto era piccolino, le gambe fasciate dai jeans erano magre, e dalle maniche della felpa nera spuntavano due polsi sottili. Era seduto come se volesse rimpicciolirsi ulteriormente, con le gambe accostate l’una all’altra e le mani infilate tra le cosce.
Osservai il suo volto. Nonostante le occhiaie scure e l’aspetto stanco, aveva dei bei lineamenti. Pelle lattea e liscissima, labbra morbide, di un rosa pallido, capelli neri e folti. E sotto la frangia, gli occhi a mandorla, nerissimi e dal taglio felino, allungato, adombrati da lunghe ciglia scure. In quel momento, pensai che fosse davvero bello. Non nel modo in cui lo si pensa di solito, con tutte le implicazioni romantiche o sessuali. Lo pensai come si pensa che è bella un’opera d’arte. Era quel tipo di bellezza che devi guardare a lungo, per assorbire ogni dettaglio, e per poterla comprendere appieno. E a volte non la comprendi affatto, ma per qualche motivo che non sai spiegare, ti affascina lo stesso. Era così che mi faceva sentire quel ragazzo.
 
Mentre lo osservavo, improvvisamente fui scossa dal suono della campanella in lontananza, ed ebbi un sussulto. Il ragazzo si sfilò le cuffiette dalle orecchie con calma, poi si alzò lentamente. Io, invece, scattai in piedi e lo superai per tornare in classe il prima possibile. Non si poteva mai sapere, un lieve ritardo poteva causare chissà quale altra anomalia temporale, e io ne avevo già abbastanza.
 
 
*
 
 
Il giorno dopo, quando mi svegliai, mi stiracchiai con calma per qualche secondo, dimentica delle mie disavventure temporali. Poi, all’improvviso, mi ricordai. Mentre il battito accelerato cominciava a pulsarmi nelle orecchie, presi il telefono dal comodino. Strizzai gli occhi con una smorfia, colpita dalla luce improvvisa dello schermo, e dopo essermi abituata, misi finalmente a fuoco.
 
26 settembre.
 
Cazzo. Era di nuovo lo stesso giorno. Iniziai a sudare freddo. Non riuscivo proprio a spiegarmelo, ma non andava per niente bene. Se davvero non potevo cambiare il passato… voleva dire che dovevo rivivere quella giornata ancora e ancora, stando attenta a compiere le stesse identiche azioni, senza cambiare niente, finché il tempo non si fosse sbloccato? E se non si fosse mai sbloccato? Scossi la testa, come per cancellare quell’ipotesi. Il solo pensiero di rivivere lo stesso giorno all’infinito, facendo le stesse identiche cose, mi dava la nausea.
 
 
*
 
 
Mentre camminavo per andare a scuola, d’un tratto mi venne un’idea. Forse ero bloccata nel tempo proprio perché dovevo cambiare qualcosa. Il giorno prima, ero stata attenta a non modificare quasi niente nel mio comportamento – se non qualche piccolo dettaglio – convinta che altrimenti avrei causato qualche danno. Ma adesso era di nuovo il 26 settembre, e doveva esserci un motivo. Forse il tempo era bloccato perché c’era qualcosa che andava cambiato, e lo stesso giorno si sarebbe ripetuto ancora e ancora finché non avessi capito che cosa c’era da aggiustare.
Mi sembrava un’ipotesi sensata. Almeno mi dava la speranza che ci fosse un modo per sbloccare il tempo, per farlo scorrere di nuovo normalmente. Tuttavia, pur ammettendo che la mia teoria fosse giusta, il mio compito era comunque arduo. Dovevo capire che cosa c’era di sbagliato e poi aggiustarlo, ma non sapevo proprio da dove iniziare.
 
 
*
 
 
Quella mattina, non ascoltai nemmeno una parola a lezione. La prima frase pronunciata dal professore di matematica mi diede la conferma che la giornata si stava effettivamente ripetendo, e da lì in poi mi rifiutai di ascoltare oltre. Ne avevo abbastanza di quella lezione, l’avevo già sentita due volte. Cercai invece di studiare ancora i miei compagni. Mi guardai intorno, analizzando ogni dettaglio, nella speranza di cogliere qualche indizio, o di notare anche solo un minimo cambiamento. Fu inutile. Era tutto identico al giorno prima.
 
Durante l’intervallo, rimasi in classe a chiacchierare con un paio di amici, ma dopo un po’ decisi di uscire. Per quanto cercassi di cambiare discorso, i miei compagni finivano per raccontarmi sempre le stesse cose, e per quanto gli volessi bene, ero già stufa di stare con loro. E poi, per qualche motivo che non sapevo spiegarmi, volevo controllare se c’era ancora il ragazzo del viale. L’asiatico bello come un’opera d’arte, ma dall’aria triste.
 
Uscii dalla scuola, e mi ritrovai nello spazio antistante l’edificio, che era pieno di gente come al solito. Iniziai ad infilarmi fra i vari gruppetti di studenti, per passare, e dopo un po’ sbucai in fondo al viale alberato. Per qualche secondo, mi fermai a guardare la strada sterrata con le due file di alberi ai lati, carichi di foglie gialle pronte a cadere. Il viale era lungo, e la panchina dove mi ero seduta il giorno prima era più vicina al cancello d’ingresso che all’edificio scolastico. Ne avevo scelta apposta una che fosse circa a metà del viale, in modo che fosse lontana dal caos e dal brusio degli studenti. Nonostante la distanza, riuscii a scorgere una figura seduta proprio su una di quelle panchine, più o meno nel punto in cui mi ero seduta io il giorno prima.
Mi incamminai lungo la strada, evitando di tanto in tanto le pozze quasi asciutte, e arrivata circa a metà del viale, lo vidi. Capelli neri, pelle pallida, occhi felini e labbra rosee, seduto su quella che probabilmente era la stessa panchina del giorno prima. Per un attimo, ebbi un moto di delusione nel vederlo seduto nella stessa posizione, con le mani infilate tra le gambe, e le cuffie nelle orecchie. Voleva dire che anche lui era come tutti gli altri, replicante ignaro delle stesse azioni. Avevo seguito l’impulso di venire lì, convinta che il mio intuito mi stesse suggerendo qualcosa su quel ragazzo, ma dovevo essermi sbagliata.
 
Poi, però, notai una cosa importante. Mi ero appena seduta sulla panchina di fronte a lui, quando mi accorsi che c’era qualcosa di diverso. Non era vestito in quel modo il giorno prima. Ricordavo chiaramente che aveva un paio di jeans chiari e una felpa nera col cappuccio. Stavolta era sempre in jeans ma indossava una maglietta bianca, con sopra una camicia a quadri verde scuro.
Forse non voleva dire niente, era solo un dettaglio insignificante. Eppure mi ero sforzata di notare anche questi particolari, e non avevo visto niente di diverso nell’abbigliamento degli altri. Ovviamente, non ricordavo esattamente come fosse vestito ciascuno dei miei compagni, ma avevo fatto caso a quelli che ricordavo. La mia vicina di banco, Lia, indossava gli stessi pantaloni beige del giorno prima, la stessa camicetta bianca, e persino lo stesso braccialetto di pelle marrone al polso. Il professore di matematica aveva la stessa camicia bianca con una giacca grigia sopra, e anche gli altri professori erano vestiti in modo identico al giorno precedente.
L’abbigliamento del ragazzo asiatico era l’unica cosa diversa che avevo notato, e doveva pur significare qualcosa. Stavo per parlargli, quando fui scossa dal suono della campanella. Di nuovo. Con un profondo sospiro, mi alzai dalla panchina e mi diressi controvoglia verso l’edificio scolastico.
 
 
*
 
 
Pensavo di aver perso la mia occasione, e di dover aspettare il giorno successivo per parlargli (ammesso che l’indomani non si fosse degnato di diventare il 27 settembre, in quel caso problema risolto). Invece, dopo la fine delle lezioni lo vidi di nuovo.
 
Per tornare a casa da scuola, passavo sempre per la stessa strada. Uscita dal cancello della scuola, percorrevo il marciapiede andando sempre dritto per un po’. Era un quartiere tranquillo, in cui passavano poche macchine, e c’erano per lo più appartamenti o case singole, con piccoli giardini sul davanti. Poi, a un certo punto, svoltavo a sinistra e proseguivo, superando un paio di edifici dall’intonaco scrostato, pieni di graffiti e scritte incomprensibili. Poi oltrepassavo un campo da basket, delimitato da una rete metallica, e poco dopo c’era un ampio spazio dove la pavimentazione grigia era incavata a formare una pista da skateboard di medie dimensioni.
La pista consisteva in un unico grande buco, una cavità nel cemento, il cui perimetro era ondulato e le pareti erano grigie, lisce e ricurve. Mi faceva pensare ad un cratere formatosi dall’impatto di un meteorite, o alla vasca vuota di una piscina dal design moderno.
 
Fu proprio lì che lo vidi. In lontananza, scorsi una figura seduta sul bordo della pista, con le gambe sospese nel vuoto del cratere. Man mano che mi avvicinavo, riconobbi la camicia verde a quadri, con sotto la t-shirt bianca, e la massa di capelli neri riversi sul viso pallido.
Il giorno precedente avevo fatto la stessa strada, e non c’era nessuno seduto sul bordo della pista. Quello era il secondo cambiamento che notavo, e guarda caso c’entrava sempre quel ragazzo. Dovevo assolutamente scoprire qualcosa di più. Perciò mi avvicinai fino ad arrivare a bordo pista, ad un paio di metri da lui.
Il ragazzo era chino sul cellulare, intento a guardare alcune foto. Mi schiarii la gola, per attirare la sua attenzione, e poi parlai.
 
«Scusa, posso sedermi?» esordii, gentilmente.
 
Il ragazzo alzò lo sguardo dal telefono, girando la testa per guardarmi. Mi fissò per qualche istante, con una parvenza di sorpresa negli occhi neri e allungati, poi fece spallucce.
Mi avvicinai ancora e mi sedetti sul bordo della pista, a circa mezzo metro da lui, lasciando penzolare le gambe nel vuoto. A inizio autunno faceva ancora abbastanza caldo, e attraverso il sottile vestitino a fiori che indossavo, sentii che il cemento grigio era tiepido sotto le mie cosce.
 
«Sono due giorni che ti vedo nel viale» dissi al ragazzo. «Eppure non ti avevo mai visto a scuola prima».
 
Gli occhi neri del ragazzo si posarono su di me, fissandomi intensamente da sotto le ciglia scure. Poi chinò di nuovo la testa sullo schermo del telefono ed iniziò a digitare velocemente sulla tastiera. Lo fissai, perplessa. Ma che stava facendo? Mi stava ignorando?
 
Stavo per parlare di nuovo, quando il ragazzo smise di scrivere e girò il telefono verso di me, indicandomi di guardare lo schermo. Gettai un’occhiata e vidi che aveva aperto la schermata del blocco note, dove aveva scritto qualcosa. Lessi le due frasi, stupita.
 
Sono nuovo, per questo non mi avevi mai visto.
Ho cambiato scuola e farò l’ultimo anno nel tuo liceo.
 
Alzai lo sguardo dallo schermo, e fissai confusa il volto pallido del ragazzo.
 
«Perché hai risposto scrivendo?».
 
Lui chinò la testa e digitò qualcos’altro sul telefono, poi me lo mostrò.
 
Non parlo.
 
Fissai quelle due parole, sempre più perplessa. Che diamine voleva dire, “non parlo? Non poteva essere sordomuto. Non appena gli avevo rivolto la parola si era girato a guardarmi, era chiaro che ci sentiva.
 
«Come sarebbe, non parli?» chiesi, inclinando leggermente la testa di lato. «È per tua scelta?».
 
Non proprio. Però diciamo di sì.
 
Decisi di non insistere. Se non parlava doveva avere le sue buone ragioni.
 
«Come ti chiami?» chiesi invece, cambiando argomento.
 
Yoongi.
 
«E come diamine si pronuncia?» sbottai, dopo aver provato a leggerlo mentalmente un paio di volte. «Sicuro che non puoi parlare neanche per dirmi il tuo nome? Guarda che poi ti chiamerò per sempre nel modo sbagliato».
 
Sul suo volto stanco e segnato dalle occhiaie, mi parve di cogliere l’accenno di un sorriso. Fu solo un attimo, ma per quel breve istante gli angoli delle sue labbra rosa pallido si incurvarono verso l’alto, e il suo volto perse momentaneamente l’espressione triste che gli avevo sempre visto.
 
Prova a pronunciarlo.
 
«Vuoi proprio farmi fare la figura dell’ignorante?» chiesi, ridendo. «Che palle, non lo so… la doppia “o” si legge “u”?» tirai a indovinare.
 
Il ragazzo mi guardò di nuovo con quel sorriso impercettibile, e annuì.
 
«Davvero? Ho indovinato subito!» esultai, trionfante. «E la “g” si legge come “g” di girasole?».
 
Lui mi guardò con espressione seria, e scosse la testa.
 
«Ah» feci delusa. «Allora come “g” di gatto?» chiesi ancora, e poi provai a pronunciare il nome per intero.
 
Lui mi mostrò il pollice alzato, annuendo. Bene, era stato più faticoso del previsto, ma ora sapevo come si chiamava.
 
«Senti, Yoongi, devo chiederti una cosa importante» dissi, seria. «Ah, comunque io mi chiamo Tessa».
 
Yoongi annuì e mi porse la mano pallida, dalle dita lunghe e sottili. Gliela strinsi, e poi aspettai che digitasse sul blocco note del telefono.
 
Cosa devi chiedermi?
 
«Hai notato qualcosa di strano negli ultimi due giorni?».
 
Yoongi continuò a guardarmi negli occhi, mentre si mordicchiava leggermente le labbra rosee, come se stesse riflettendo sulla risposta. All’improvviso, sembrava nervoso.
 
Intendi da quando ci siamo visti nel viale la prima volta?
 
«Sì» annuii. «Da ieri».
 
Yoongi cominciò a scrivere in modo quasi frenetico, poi si fermò e cancellò un paio di volte, per poi ricominciare a scrivere.
 
Ho notato una cosa molto strana, ma... pensavo di
essere l’unico.
Gli altri si comportavano come se fosse tutto normale.
Pensavo di essere diventato pazzo.

 
Sentii il battito accelerare nel petto, e la bocca improvvisamente asciutta. Quella era la conferma che volevo, eppure stentavo a crederci. Con un certo timore, mi azzardai a formulare ciò che nessuno di noi due osava dire.
 
«Che giorno era ieri, per te?» chiesi, con voce leggermente tremante.
 
Il 26 settembre.
 
Annuii lentamente. «Oggi è di nuovo il 26» dissi, piano, come se non volessi ammettere quel fatto assurdo.
 
Yoongi annuì, e i suoi occhi sottili si fecero più grandi, in un’espressione preoccupata. Poi si chinò di nuovo a scrivere.
 
Hai idea di come sia successo?
 
«Non lo so» ammisi, tristemente. «Nessuno di noi due l’ha fatto apposta, a quanto pare. Eppure sembra che siamo gli unici ad essere consapevoli della situazione».
 
Gli spiegai la mia teoria, sul fatto che forse dovevamo cambiare qualcosa per sbloccare il tempo. E gli dissi di come questo contraddiceva la mia prima idea, quella di non cambiare niente per non provocare danni alla linea temporale.
 
Yoongi mi ascoltò attentamente, annuendo di tanto in tanto, e mordicchiandosi un’unghia. Quando ebbi finito di parlare, rifletté per un po’, poi iniziò a scrivere.
 
Credo che la tua seconda teoria abbia senso.
Abbiamo già cambiato alcune cose in questi due giorni, se ci pensi.
Erano piccole cose, ma anche dei dettagli insignificanti bastano a
creare dei casini. Come la questione delle farfalle e degli uragani,
hai presente? Solo che gli effetti si dovrebbero vedere poi in futuro,
e al momento siamo bloccati nel tempo, quindi non possiamo
sapere se ci saranno conseguenze negative. Piuttosto che non
fare niente, forse dovremmo provare a cambiare qualcosa e vedere
se il tempo si sblocca.

 
Lessi attentamente tutto il messaggio, poi annuii.
 
«Okay» concordai, decisa. «Allora ci proviamo».







 
Siete arrivati alla fine del primo capitolo, congratulazioni! ^.^
Se mai c'è stato qualcuno che mi ha seguito fin dall'inizio,
e che aspettava con ansia una mia storia,
vorrei porgere le mie umili scuse *cade in ginocchio*
perchè sì, mi rendo conto che è passata una vita
dall'ultima volta che ho pubblicato qualcosa.
Comunque sono viva, e questo era il primo capitolo della mia nuova fanfic... spero che valga l'attesa!
Se vi piace la storia almeno un pochino, e voleste lasciarmi una recensione sarebbe molto molto bello ;)
anche una recensione piccola piccola va bene, basta poco per rendermi felice ahaha
Detto questo, spero di rivedervi nel prossimo capitolo!
Sugakookie

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Capitolo 2
*** 2 ***


2.
 
 
 
 
Io e Yoongi ci provammo davvero, a capire quale fosse il problema. Ma c’erano troppe possibilità, poteva trattarsi di qualunque cosa.
 
«Secondo te, dobbiamo cambiare qualcosa che riguarda noi?» domandai, riflettendo ad alta voce.
 
Era il 26 settembre per la quarta volta, ed eravamo di nuovo seduti sul bordo grigio della pista da skateboard. L’aria era tiepida, e qualche pigra nuvoletta bianca attraversava lentamente il cielo, mentre un lieve venticello ci accarezzava gentilmente il viso.
 
«Forse il tempo è tornato indietro per darci una seconda possibilità» continuai, mentre osservavo alcune foglie gialle che strisciavano sul bordo opposto della pista, trascinate dalla brezza leggera. «Sai, a molte persone capita di avere dei rimpianti, e di voler cambiare qualcosa del proprio passato. Però non capisco perché proprio noi. Personalmente, non c’è niente che vorrei cambiare della mia vita. Niente di così importante da tornare indietro nel tempo, almeno».
 
Mi girai a guardare Yoongi, che era improvvisamente silenzioso. Beh, tecnicamente era sempre in silenzio. Non parlava. Solo che ora non stava nemmeno scrivendo. Se ne stava lì seduto, la schiena leggermente incurvata e lo sguardo basso, fisso sulle proprie mani intrecciate in grembo. E si stava mordicchiando il labbro, pensieroso.
 
«Tu non vorresti cambiare niente della tua vita?» chiesi in tono incoraggiante, continuando a guardare il suo profilo.
 
Yoongi smise di mordersi le labbra, e vidi la sua schiena irrigidirsi. Girò la testa per guardarmi, e quando vidi la sua espressione, mi pentii di avergli fatto quella domanda. I suoi bei lineamenti sembravano irrigiditi, tesi, come per trattenere qualcosa, e il dolore nei suoi occhi scuri era palese.
 
«Se non vuoi dirmelo non importa» dissi, dolcemente. «Stavo solo cercando di capire come fare per uscire da questa situazione».
 
Non avevo ancora finito la frase che Yoongi aveva già tirato fuori il telefono, e stava scrivendo qualcosa. Dopo un po’, girò lo schermo verso di me per farmi leggere.
 
C’è solo una cosa che vorrei cambiare.
È una cosa davvero importante, ma non è il giorno giusto.
Il 26 settembre è già troppo tardi.
Se nemmeno tu vuoi cambiare qualcosa, allora possiamo
escludere l’ipotesi che riguardi noi. Forse dobbiamo
aiutare qualcun altro. Oppure dobbiamo cambiare
qualcosa nella situazione generale, qualcosa che riguarda
tutti.

 
«Mmh…» feci, pensierosa. «Tipo, non so, cambiare qualcosa che non va nella scuola? Oppure nella società in generale? Mi sembra troppo, però… dubito che avrebbero scelto me per fare una rivoluzione o roba simile» dissi, ridendo.
 
Yoongi mi regalò uno dei suoi sorrisi impercettibili, con cui il suo sguardo si addolciva, e per un attimo fui immensamente felice che il dolore fosse sparito dal suo volto. Poi piegò leggermente la testa di lato, con un’espressione dubbiosa, e fece spallucce, come per dire “Sì, probabilmente hai ragione.
 
«Comunque, possiamo tenerla in considerazione come seconda ipotesi» aggiunsi. «Del resto non abbiamo molte idee».
 
Yoongi annuì, tornando al suo sguardo serio.
 
 
*
 
 
Ci impegnammo al massimo. Essendo in classi diverse, durante le ore di lezione indagavamo separatamente; durante l’intervallo, invece, cercavamo indizi insieme.
Provammo prima con l’ipotesi numero uno, cercando di capire se c’era qualcuno che avesse bisogno del nostro aiuto. Qualcuno a cui fosse successo qualcosa di brutto, qualcosa che noi potessimo cambiare.
 
Tuttavia, Yoongi non riusciva sempre ad indagare attivamente. Gli altri lo evitavano, e spesso sembravano intimoriti da lui, per il fatto che non parlava. Io non capivo cosa ci fosse da aver paura. Era solo un ragazzo stanco, e chiaramente ferito. Non era importante quale fosse il motivo, né ero intimorita dal suo dolore. Ero curiosa, certo, ma non avevo il diritto di pretendere spiegazioni. Se mai avesse voluto, mi avrebbe raccontato la sua storia.
 
Per risparmiargli il trattamento penoso degli altri, decisi che potevamo lavorare insieme per la maggior parte del tempo. Yoongi era un bravo osservatore, dotato di grande intuito e sensibilità, così mentre io parlavo con le persone e facevo domande, lui osservava le loro reazioni.
Eravamo un’ottima squadra, secondo me, ma non scoprimmo granché. La vicenda più tragica che venne fuori fu quella di un ragazzo del quarto anno, a cui era appena morto il nonno. Per il resto, gli unici problemi che sembravano affliggere i nostri compagni di scuola erano i troppi compiti e qualche dramma amoroso.
 
 
*
 
 
Dopo circa una settimana di 26 settembre quasi identici l’uno all’altro, iniziai a perdere fiducia. Era l’intervallo, ed io e Yoongi eravamo seduti a metà del famoso viale, stavolta l’uno accanto all’altra sulla stessa panchina.
 
«Non voglio essere negativa…» iniziai, stancamente. «Ma se c’è qualcuno che dobbiamo aiutare, dubito che lo troveremo mai».
 
Il liceo non era molto grande, c’erano poche sezioni, ma si trattava comunque di parecchie classi. Era assurdo pensare che potessimo fare amicizia con ogni singolo studente. Soprattutto fino al punto da far confidare a ciascuno i propri problemi più intimi, tra cui eventuali desideri reconditi di cambiare il passato.
 
Yoongi mi guardò serio, annuendo. Nonostante la solita espressione triste, mi sembrava che nel corso di quella settimana, le sue occhiaie fossero diventate un po’ meno scure. Era come se la nostra “missione” gli avesse ridato un po’ di energia. Avevamo uno scopo, e sembrava qualcosa di importante. Non volevo togliergli quel barlume di speranza, così ripresi il discorso.
 
«Abbiamo sempre la seconda ipotesi» affermai, stringendogli gentilmente il polso, in un gesto d’incoraggiamento. «Potrebbe trattarsi di un cambiamento più generale. Forse dobbiamo salvare il mondo, o qualcosa del genere. Non è quello che tutti sogniamo di fare, da piccoli?».
 
Yoongi storse la bocca in un’espressione dubbiosa, mentre fissava assorto le mie dita ancora intrecciate attorno al suo polso, sotto la manica della sua camicia azzurra.
Nel vedere che la fissava pensai che potesse dargli fastidio, e ritirai discretamente la mano, fingendo che mi servisse per scostarmi i capelli dal viso.
 
Yoongi continuò a fissare il punto in cui prima c’era la mia mano, assorto. Poi, dopo un po’, sollevò il braccio per digitare qualcosa sul telefono.
 
Senti, Tessa, stavo pensando una cosa…
 
Lo guardai, inarcando le sopracciglia. «Dimmi. Cosa c’è?».
 
Non credo che dobbiamo salvare il mondo.
Anzi, in realtà penso che non dobbiamo fare proprio niente.

 
Corrugai leggermente le sopracciglia, sorpresa. «Perché hai cambiato idea, all’improvviso?».
 
Yoongi riprese a scrivere, e vidi che stavolta si trattava di un discorso lungo. Iniziai a leggere attentamente.
 
La gente si danna tanto per trovare sempre un motivo,
una spiegazione per ogni cosa, ma la verità è che la
maggior parte delle cose succede e basta.
Ovvio che gli eventi sono concatenati l’uno all’altro, e
per ogni azione c’è una causa e una conseguenza.
Ma questo non significa che le cose succedano per
uno “scopo superiore”, né che ci sia un destino
prestabilito o uno scopo finale che abbia un senso.

 
Rimasi qualche secondo in silenzio, per digerire quelle parole. E mentre riflettevo, sentii una fitta d’angoscia stringermi lo stomaco.
 
«Stai dicendo che tutto questo non ha senso?» mormorai, piano. «Siamo condannati a rivivere lo stesso giorno e basta, senza saperne mai il motivo…».
 
Yoongi mi strinse brevemente il polso con il suo tocco fresco, imitando il mio gesto di poco prima. Poi scrisse qualcos’altro.
 
Mi dispiace. Non volevo demoralizzarti.
 
Gli sorrisi debolmente, per rassicurarlo. Poi portai le mani in grembo e presi a fissarle in silenzio, assorta. Mentre ripensavo alle sue parole, ebbi un’illuminazione. Non era nel mio spirito abbattermi così facilmente, e la mia indole ottimista era riemersa all’improvviso, suggerendomi un nuovo punto di vista. Come avevo fatto a non pensarci prima? Quella situazione poteva sembrare terribile, ma ora ne vedevo anche l’aspetto positivo.
 
«Yoongi» lo chiamai, girandomi di nuovo a guardarlo. Lui mi guardò a sua volta, con espressione interrogativa.
 
«Stavo pensando… se non abbiamo nessuna missione da portare a termine» dissi, con un sorriso incoraggiante. «Tanto vale che approfittiamo della situazione».
 
Yoongi mi guardò confuso, e inarcò le sopracciglia in un’espressione sorpresa, poi scrisse qualcosa.
 
Che intendi dire?
 
«Beh, è vero che è sempre il 26 settembre, e tutti fanno sempre le stesse cose» iniziai a spiegare. «Noi, però, possiamo fare quello che vogliamo. Siamo liberi, nessuno ci costringe a fare le stesse cose, come tutti gli altri. Pensaci un attimo: domani sarà di nuovo il 26 e nessuno si ricorderà niente di oggi. Possiamo fare di tutto e nessuno si ricorderà niente».
 
Yoongi continuò a fissarmi perplesso, come se non cogliesse il punto. Non sembrava entusiasmato dalla mia idea, né interessato a fare alcunché di diverso dal solito. Dopo qualche secondo di esitazione, scrisse qualcosa.
 
Possiamo fare di tutto… tipo, cosa?
 
In quel momento, suonò la campanella, e gli rivolsi un sorriso ancora più ampio, ostentando un’espressione complice.
 
«Per cominciare, possiamo saltare le ultime due ore, per esempio» proposi, improvvisamente carica di energie. «È da più di una settimana che andiamo a scuola inutilmente per sentire le stesse lezioni. Tanto domani nessuno si ricorderà che le abbiamo saltate, quindi fanculo».
 
Yoongi ricambiò con un sorriso appena accennato, e digitò rapidamente una risposta.
 
In effetti, iniziavo a rompermi un po’ il cazzo.
 
Lessi il messaggio e scoppiai a ridere, piegandomi in avanti, senza riuscire più a smettere.
 
Mentre continuavo a ridere, il sorriso di Yoongi divenne più ampio, e i suoi occhi allungati si strinsero appena, gli zigomi più accentuati del solito. Non era ancora un vero e proprio sorriso, di quelli con i denti in mostra, ma era la cosa più vicina ad un sorriso che avessi mai visto sul suo volto.
 
Quando riuscii finalmente a smettere di ridere, mi fermai a riprendere fiato, con le braccia avvolte attorno allo stomaco indolenzito. Yoongi mi diede una gomitata leggera, indicandomi di leggere ciò che aveva scritto mentre io ero impegnata a ridere.
 
Che cosa vuoi fare?
 
Gli rivolsi un altro sorriso complice. «Ho già un’idea».
 
 
*
 
 
Stavamo camminando fianco a fianco, in silenzio, da circa un quarto d’ora. D’un tratto, Yoongi si fermò nel mezzo del marciapiede e mi tirò gentilmente per un braccio. Era la seconda volta che sentivo il tocco fresco delle sue dita sulla pelle, e iniziavo piacevolmente ad abituarmi a quella sensazione. Mi fermai a mia volta, aspettando spiegazioni. Yoongi digitò velocemente sulla tastiera e mi passò il telefono.
 
Allora, non vuoi dirmi che idea hai avuto?
Dove stiamo andando?

 
Scossi la testa. «È una sorpresa, lo scoprirai quando arriviamo» risposi, con un sorrisetto furbo. «È un’idea bellissima. Ci divertiremo un sacco, vedrai».
 
Mancava poco, e infatti dopo un paio di minuti vidi la nostra destinazione profilarsi davanti a noi.
 
«Ecco, guarda, siamo arrivati» dissi indicando l’edificio, dotato di un piccolo parcheggio sul davanti.
 
Yoongi si guardò intorno spaesato, spostando gli occhi dal parcheggio all’entrata con la porta automatica scorrevole, sormontata dall’insegna colorata del minimarket.
 
Non capisco. Sarebbe questa la grande idea?
Vuoi fare la spesa?

 
«No» replicai, sorridendo. «Voglio rubare un carrello».
 
Yoongi mi fissò perplesso, senza avere alcun tipo di reazione, e per un po’ ci fissammo in silenzio. Vedendo che non aveva intenzione di digitare una risposta, lo afferrai per un braccio.
 
«Dai, vieni» lo incitai, tirandolo piano. Yoongi si lasciò trascinare docilmente verso i carrelli.
 
Iniziai a frugare nello zaino, e dopo aver trovato una moneta adatta, la infilai nell’apposito spazio. Tirai fuori il carrello e iniziai a spingerlo, costeggiando la parete laterale del minimarket, mentre Yoongi camminava accanto a me. Arrivammo sul retro dell’edificio, e poi proseguimmo lungo la strada asfaltata, accompagnati dagli scossoni metallici del carrello sul terreno irregolare.
 
Vidi che Yoongi stava scrivendo, e mi fermai per leggere.
 
E adesso? Cosa vuoi fare?
 
Gli rivolsi un ampio sorriso. «Tra poco lo vedrai».
 
 
*
 
 
Arrivammo nel posto che avevo in mente, ed iniziai a saltellare impercettibilmente sui miei passi per l’eccitazione.
Si trattava di una zona dedicata agli artisti di strada, un ampio spazio vuoto con metri e metri di pareti piene di murales. Si trovava nella zona periferica della città, ed era un posto un po’ appartato rispetto al mondo circostante, ma era comunque immerso nella vivacità e nei rumori del tessuto urbano. Si vedevano le file di macchine e gli intricati raccordi delle strade in lontananza, e da ogni lato provenivano i suoni distanti ma chiaramente udibili dei motori, e lo squillo dei clacson.
Era un punto un po’ più in alto rispetto al resto, perciò c’era una bella vista su tutta la città. Mi piaceva perché era circondato da vita e movimento, ma allo stesso tempo era un posto tranquillo, lontano e distaccato dalla fonte della confusione e del rumore.
E soprattutto, era uno spazio dalla pavimentazione in cemento, sgombra e liscia, perfetta per l’idea che avevo in mente.
 
«Eccoci qui» annunciai, in tono entusiasta.
 
Rivolsi un gran sorriso a Yoongi, e vidi che guardava rapito il paesaggio cittadino, con un’espressione serena che gli addolciva i lineamenti del viso.
 
«Ti piace?» chiesi, con una punta d’orgoglio.
 
Yoongi si girò a guardarmi, e mi rivolse un lieve sorriso.
 
È un bel posto. Mi piace.
 
Ricambiai il sorriso, raggiante.
 
«Ti lascio l’onore di provare per primo».
 
Yoongi continuò a guardarmi con espressione interrogativa, in attesa di istruzioni.
 
«Sali» lo incitai, indicando il carrello. «Così ti spingo».
 
Yoongi esitò per qualche istante, poi con una certa titubanza, entrò lentamente nel carrello. Si sedette, portando le ginocchia al petto, e rimase lì rannicchiato. In quel momento, mi sembrò piccolo come la prima volta che l’avevo visto, seduto sulla panchina del viale.
 
Mi posizionai davanti al carrello, preparandomi a spingere.
 
«Sei pronto?» domandai, in tono allegro.
 
Davanti a me, vidi la testa di Yoongi che annuiva nel carrello, scuotendo lievemente la massa di capelli neri.
 
«Okay, allora vado» esclamai, iniziando a spingere.
 
Il carrello scorreva sul cemento liscio che era una meraviglia, e sentii l’aria fresca scorrermi addosso e attraverso i capelli, nel movimento, soprattutto man mano che prendevo velocità. Alla mia destra, un po’ più in basso rispetto a noi, si dispiegava il paesaggio urbano con le sue strade trafficate. A sinistra, invece, vedevo le diverse forme e i colori dei murales susseguirsi rapidamente l’uno all’altro, sulle pareti.
Dopo essermi guardata intorno brevemente, riportai lo sguardo davanti a me per non perdere il controllo del carrello, e mi concentrai su Yoongi. Era ancora rannicchiato, immobile, e vedevo solo il retro della sua testa, con i capelli neri mossi dal vento, perciò non sapevo che espressione avesse. Per un attimo mi chiesi perché non facesse commenti, delusa dalla mancanza di reazioni, ma poi mi ricordai che non parlava.
Poco dopo, Yoongi si tirò su leggermente dalla sua posizione rannicchiata, e girò la testa verso il panorama della città. Appoggiò le braccia sul bordo del carrello, e rimase così, a guardare i palazzi lontani e le strade scorrergli davanti agli occhi.
Io continuai ad osservare il suo profilo, i capelli neri al vento e lo sguardo concentrato, e mi sentii pervadere da un’inaspettata sensazione di dolcezza. Sembrava un bambino, con il mento adagiato sulle braccia, intento ad ammirare uno spettacolo che catturava tutta la sua attenzione.
Ero riuscita a far comparire una sembianza di serenità sul volto di quel ragazzo solitamente triste, e questo mi riempiva di gioia.
 
Quando vidi che eravamo quasi arrivati in fondo al percorso, iniziai a rallentare, fino a fermarmi accanto all’ultimo murales. Mentre percorrevo gli ultimi metri a velocità minima, Yoongi fece scivolare giù le braccia dal bordo del carrello, lentamente, rimanendo con la testa rivolta verso il panorama. Quando mi fermai del tutto, Yoongi si girò e mi rivolse uno dei suoi sorrisi impercettibili. Io ricambiai con un ampio sorriso di soddisfazione, e gli feci cenno di scendere, mentre reggevo il carrello per evitare che si capovolgesse. Una volta che Yoongi fu uscito, girai il carrello in modo che fosse rivolto dall’altra parte.
 
«Ora torniamo indietro e lo rifacciamo nella direzione opposta» dissi, piena di trepidazione.
 
Yoongi annuì, e aspettò che entrassi nel carrello e mi mettessi comoda. Una volta sistemata, alzai un braccio e gli mostrai il pollice alzato.
 
«Vai, sono pronta».
 
Yoongi iniziò a spingere, e come aveva fatto lui prima, girai la testa per guardare il profilo della città sfilarmi davanti agli occhi. Dopo un po’, mi girai lateralmente anche con il corpo e vidi che c’era abbastanza spazio, così mi sedetti a gambe incrociate, rivolta verso il paesaggio. Per un po’ ammirai in silenzio le macchie colorate delle macchine che si spostavano sulle strade in lontananza, e i gruppi ordinati di edifici alternati da alberi e zone verdi, che mi scorrevano davanti agli occhi. Cercai con lo sguardo i luoghi che conoscevo, ecco il centro commerciale, il parco, lo stadio, e nel frattempo mi scostavo i capelli che il vento continuava a spostarmi davanti alla faccia. Alla fine li raccolsi tutti in una mano per tenerli fermi, e sollevai in alto l’altro braccio con la mano aperta, sentendo l’aria passarmi sul palmo e tra le dita, ed iniziai a urlare entusiasta come si fa sulle montagne russe.
 
«I believe I can fly…» presi a cantare a squarciagola, sovrastando il rumore del vento. Nel frattempo ondeggiavo il braccio, ancora teso verso l’alto, a ritmo di musica, mentre con l’altra mano mi reggevo ancora i capelli.
 
Mi voltai a guardare Yoongi e vidi che mi osservava con un sorrisetto divertito, la fronte in parte scoperta, mentre il vento gli tirava indietro i capelli. Avrei tanto voluto che cantasse insieme a me, ma se non parlava sicuramente non cantava neppure.
 
Una volta arrivati di nuovo al punto di partenza, scesi dal carrello, e non appena misi piede a terra sentii il mio stomaco che brontolava. Controllai il telefono e mi accorsi che era passata l’ora di pranzo.
 
«Cazzo, io ho proprio fame, e tu?».
 
Yoongi si mostrò d’accordo, poggiandosi una mano sullo stomaco e facendo cenno di sì con la testa.
 
«Andiamo a mangiare, allora» lo esortai, felice.
 
 
*
 
 
Stanchi e affamati, entrammo nel primo ristorante che trovammo. Un cameriere vispo e scattante, un ragazzo probabilmente sui venticinque anni, ci accolse prontamente all’ingresso.
 
«Siete in due?» domandò, con un sorriso cordiale.
 
«Sì, siamo in due» risposi, annuendo.
 
Il cameriere gettò una rapida occhiata ai tavoli, quasi tutti occupati. «C’è un tavolo lì» disse, indicando la zona in fondo al locale, vicino al muro. «Oppure c’è la terrazza che è praticamente vuota, se preferite un po’ più di privacy…» aggiunse, con uno sguardo eloquente e un sorrisetto complice.
 
Dal comportamento allusivo del cameriere, mi resi conto che dovevamo sembrare una coppia, e improvvisamente divenni consapevole di come Yoongi mi stava ancora tenendo per mano. Le strisce pedonali erano proprio di fronte al ristorante, e mi aveva preso la mano per attraversare, e poi eravamo entrati direttamente, e ora il mio palmo era ancora stretto nel suo.
Gettai un’occhiata a Yoongi. Il suo sguardo serio era indecifrabile, ma colsi una vaga sensazione di disagio da come la sua mano libera stava giocherellando con l’orlo della camicia azzurra, sopra i pantaloni. Mi venne da ridere, per tutta quella situazione equivoca, ma riuscii a trattenermi. Yoongi mi lanciò un’occhiata incerta, finché non mi resi conto che dovevo rispondere io, perché lui non parlava.
 
«Oh, certo. La terrazza va bene» dissi al cameriere, trattenendo un’altra risata.
 
«Perfetto, seguitemi» rispose lui, sorridendo.
 
La scala che portava alla terrazza, al piano superiore, era troppo stretta per passarci in due, e quella fu la scusa perfetta per sciogliere le nostre mani intrecciate, senza provocare troppo imbarazzo. Yoongi lasciò gentilmente il mio palmo, e mi fece cenno di salire per prima.
Una volta sbucati di sopra, mi guardai intorno, felice di quella scelta. La terrazza era piccola, ma davvero carina. I tavolini rotondi erano fatti con assi di legno dipinte di bianco, e al centro di ogni tavolo c’era un vasetto con una candela all’interno. Le sedie di legno, anch’esse dipinte di bianco, erano tutte provviste di un cuscino legato al sedile, per stare più comodi, e ogni tavolo aveva cuscini di un colore diverso, abbinato al colore del portacandela. In più, la terrazza era decorata con vasi di piante e fiori di vari colori, sistemati agli angoli o sparsi fra i tavolini.
 
«Scegliete pure il posto che preferite» disse il cameriere, congedandosi.
 
Come ci aveva preannunciato, la terrazza era quasi vuota. C’era solo un’altra coppia di ragazzi più o meno della nostra età, perciò avevamo un’ampia scelta.
 
«Scegli tu» dissi a Yoongi. «Quale preferisci?».
 
Yoongi si guardò brevemente intorno, poi indicò un tavolino con i cuscini azzurro pastello, abbinati al portacandela. Era proprio accanto alla ringhiera della terrazza, anch’essa bianca, e da lì c’era una bella vista sul centro.
 
«Ottima scelta» approvai, mentre mi sedevo.
 
Yoongi spostò la sedia in modo che fossimo disposti a novanta gradi, anziché l’uno di fronte all’altra come si fa di consueto. In questo modo, poteva mostrarmi comodamente lo schermo del telefono senza dovermelo passare dall’altra parte del tavolo, ogni volta che voleva dirmi qualcosa. Iniziammo a leggere il menu, e dopo un po’ ruppi il silenzio.
 
«Sai, a volte mi dimentico che non parli» dissi, sorridendo tra me.
 
Alzai lo sguardo dal menu, e vidi che Yoongi mi guardava sorpreso, con le sopracciglia leggermente inarcate e gli occhi sottili più grandi del solito.
 
Strano… di solito la gente non pensa ad altro.
Sono tutti ossessionati dal fatto che non parlo.
Non lo dicono, ovviamente, non hanno il coraggio
di fare domande… ma io vedo che pensano a
quello mentre mi parlano. Capisci cosa intendo?

 
Annuii, pensierosa. «Prima parlavi, vero?».
 
Sì… fino a un mese e mezzo fa, più o meno.
 
Io e Yoongi ci guardammo negli occhi per qualche secondo, entrambi seri. Probabilmente stava aspettando che gli chiedessi cosa fosse successo, e perché non parlasse più.
 
«Hai ragione, sai» dissi invece, con un sorriso. «Parlare con la gente è proprio una scocciatura, a volte».
 
Yoongi esitò, mentre continuava a guardarmi con un’ombra di incertezza negli occhi scuri e allungati. Poi scrisse qualcosa.
 
Mi piace parlare con te.
 
Lessi la frase due volte.
 
Tre.
 
Senza riuscire a impedire che il mio sorriso si allargasse.
 
«Lo so» risposi, in tono fiero. «Anzi, dovremmo parlare di più».
 
Yoongi mi guardò preoccupato, come se avesse paura che volessi farlo parlare letteralmente, con l’uso della voce e tutto il resto. La verità era che durante quella settimana ci eravamo concentrati a indagare sui casini temporali, e non avevamo avuto molte occasioni per parlare d’altro. Sapevamo pochissimo l’uno dell’altra, e me n’ero resa conto solo ora. Così passai tutto il pranzo a fare domande, mentre Yoongi mi rispondeva in parte sorpreso, in parte divertito dalla mia improvvisa curiosità.
 
«Qual è il tuo colore preferito?».
 
Il blu.
 
«Il mio è il verde. Che lavoro vorresti fare?».
 
E andai avanti così. Scoprii che Yoongi non sapeva ancora che lavoro volesse fare, che gli piaceva cucinare, che amava la musica e i film d’azione, che prendeva il caffè senza zucchero, e che non sopportava i luoghi troppo affollati.
Io gli dissi che cucinare mi sembrava una gran perdita di tempo, ma che ero abbastanza brava a farlo, che amavo anch’io la musica, che preferivo il tè al caffè, e che i luoghi troppo affollati erano una gran rottura.
 
Poi ripresi a parlare di come potevamo sfruttare la nostra nuova libertà, e iniziammo a fare piani insieme.
 
Andiamo al mare domani.
 
Lo guardai stupita, e annuii di buon grado, perché era la prima volta che Yoongi proponeva qualcosa di sua spontanea volontà, e questo mi rendeva felice. E poi il mare mi piaceva.
 
«Okay, allora è deciso» conclusi, soddisfatta.

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Capitolo 3
*** 3 ***


3.
 
 
 
 
Il giorno dopo, io e Yoongi uscimmo di casa fingendo di andare a scuola, perché i nostri genitori ovviamente non sapevano che era il 26 settembre da più di una settimana. Dovevamo far finta che fosse tutto normale.
 
Ci incontrammo in un punto poco distante dalla scuola, davanti ad una fila ordinata di case dalle facciate chiare. Quando vidi la figura familiare di Yoongi sul marciapiede, in lontananza, non riuscii a trattenere un sorriso.
Era lì in piedi, rivolto verso la strada, intento a guardare le macchine che passavano. Indossava dei pantaloni neri e una maglietta bianca con una scritta davanti, e sopra aveva una semplice giacca di jeans. Poteva sembrare un ragazzo qualsiasi, uno fra tanti, ma per me era una visione bellissima, e solo a vederlo mi sentii subito meglio. Da quando l’avevo conosciuto, passavo quasi tutto il mio tempo con lui e per me era diventato un punto fermo, qualcosa cui aggrapparmi, perché era l’unica sicurezza che avevo in quell’assurda situazione dal tempo distorto.
 
Yoongi era talmente assorto che non si accorse del mio arrivo. Forse mi aveva visto con la coda dell’occhio, ma doveva aver pensato che fossi un passante qualunque. Continuai a camminare fino a fermarmi accanto a lui, e gli posai una mano sul braccio.
 
«Ehi, Yoongino» lo salutai, allegramente.
 
Yoongi si girò a guardarmi, e mi fece un cenno di saluto con la testa. Poi iniziò a scrivere, con l’accenno di un sorriso divertito sul volto.
 
Yoongino?
E questo da dove ti è uscito?
 
Feci spallucce. «Se non ti piace, non lo dico più».
 
Yoongi fece spallucce a sua volta, come per dire “Come vuoi tu.
 
«Allora prendiamo la tua macchina? Sei sicuro?» chiesi.
 
Yoongi annuì e mi fece cenno di seguirlo, mentre mi faceva strada verso casa sua. Il piano prevedeva di vederci lì vicino alla scuola, aspettando che nel frattempo i suoi uscissero per andare al lavoro, e poi tornare a casa sua per prendere la macchina.
 
Ad un certo punto, dopo circa dieci minuti di camminata, Yoongi indicò una casa in mattoni rossi con un piccolo giardino, che faceva parte di una serie di villette a schiera, e si fermò davanti al cancello per aprire.
Lo seguii lungo il breve vialetto piastrellato che portava alla porta d’ingresso, e aspettai che aprisse anche quella. Yoongi tese il braccio in un gesto di cortesia, invitandomi ad entrare.
 
«Che bella casa» esclamai, guardandomi intorno.
 
Non era molto grande, ma c’era una bella atmosfera. Il parquet era in legno chiaro, e le pareti del salotto erano di un bel color sabbia, mentre i divani disposti ad angolo erano coperti da teli ricamati color crema, ed erano cosparsi di soffici cuscini rossi e arancioni. Sul tavolino di legno scuro, davanti alla tv, c’era una pila sbilenca di libri e riviste, con in cima un paio di occhiali da lettura. Nell’insieme, quell’ambiente raccolto, pieno di colori tenui e tonalità calde, era davvero accogliente.
 
Yoongi mi indicò di seguirlo in cucina. Io avevo portato la mia borsa da mare, già pronta con tutta la roba che mi serviva. Yoongi, invece, sapendo che saremmo passati a casa sua, doveva finire gli ultimi preparativi e radunare le sue cose.
Entrai nella piccola cucina, e lo guardai mentre tirava fuori dal frigo il pranzo, e un thermos di un classico grigio lucido. Lo aiutai ad impacchettare tutto.
 
«Ti serve altro?» gli chiesi. «È tutto pronto?».
 
Vado a prendere il portafogli e sono pronto.
 
 
*
 
 
Per arrivare al mare ci voleva circa un’ora. Yoongi non poteva scrivere mentre guidava, perciò non poté dirmi niente per tutto il viaggio.

Il silenzio non mi pesava. Da quando l’avevo conosciuto non mi era mai importato che non parlasse. Certo, se avesse parlato sarei stata ancora più felice, ma il fatto che non parlasse non mi impediva di comunicare con lui. La cosa sorprendente era che spesso, quando non poteva o non aveva voglia di scrivere, Yoongi riusciva ad esprimersi efficacemente anche senza le parole. Passai metà del viaggio a raccontargli di tutto, stordendolo con le mie chiacchiere allegre, e nonostante lui non potesse commentare, esprimeva le sue reazioni a gesti o semplicemente tramite le espressioni facciali, e funzionava. Per esempio, gli raccontai di quella volta che ero andata in giro per tutto il giorno indossando un sacco della spazzatura sopra i vestiti, perché avevo perso una scommessa. Al che Yoongi, con un sorrisetto divertito, scosse la testa, fingendo disapprovazione. Poi staccò una mano dal volante per darmi una spinta scherzosa sulla spalla, come per dire che non ci credeva e che dovevo smetterla di raccontare stronzate, ed io scoppiai a ridere.
 
Ogni volta che gli raccontavo qualcosa di divertente, Yoongi mi regalava uno dei suoi lievi sorrisi, e ad un certo punto iniziò persino a ridere. Non era proprio una risata, mancava ancora il suono della sua voce, ma ci andava molto vicino. Le sue spalle tremavano proprio come quando si ride, e per la prima volta vidi un vero e proprio sorriso, con tanto di denti e gengive, allargarsi sul suo volto. Un sorriso a bocca schiusa, come per emettere una risata silenziosa.
 
Quando mi stancai di parlare, si era ormai creata quell’atmosfera piacevole, leggera e scherzosa, ed il silenzio che ne seguì era confortevole, come una coperta calda in cui ci si avvolge volentieri.
Per un po’ guardai fuori dal finestrino, vagamente assonnata. Ben presto, però, mi stancai della monotonia del paesaggio, e preferii tenere lo sguardo sul mio compagno di viaggio. Scoprii che mi piaceva molto guardare Yoongi mentre guidava. Teneva le braccia protese verso il volante, con i gomiti leggermente piegati in una posa rilassata, e lo sguardo concentrato sulla strada. Potevo ammirare il suo profilo delicato, il nasino dritto dalla punta tondeggiante, e le labbra rosa pallido che avrei voluto toccare, per controllare se erano morbide come sembravano. Osservai le sue mani, e notai che sul dorso erano attraversate da un intrico di vene leggermente in rilievo, mentre le dita sottili erano avvolte intorno al volante senza troppa forza.
Proprio in quel momento, Yoongi spostò una mano sul cambio per cambiare marcia, poi indicò la radio e si girò per lanciarmi una breve occhiata interrogativa.
 
Annuii. «Sentiamo cosa c’è».
 
Yoongi accese la radio e cambiò un paio di canali, finché non beccammo una stazione che dava vecchie canzoni rock e gli chiesi di lasciarla. Passai il resto del viaggio a cantare con trasporto, cercando di imitare con la voce anche i riff della chitarra e il ritmo della batteria, mentre Yoongi sorrideva tra sé e muoveva la testa a tempo.
 
 
*
 
 
La spiaggia era quasi deserta. Il sole, non più cocente come in piena estate, era nascosto dietro una coltre uniforme e vaporosa. Non si distingueva la forma delle singole nuvole, il cielo era un’unica distesa bianca da cui filtrava una luce fredda e tenue, perciò non ci preoccupammo di cercare un’ombra.
Scegliemmo un punto in mezzo alla spiaggia, abbastanza vicino all’acqua. Dopo aver steso gli asciugamani sulla sabbia, ci sdraiammo l’uno accanto all’altra, lo sguardo rivolto al cielo bianco. Una brezza fresca, lieve, mi accarezzava la pelle, e chiusi gli occhi per godermi quella sensazione. Mi lasciai cullare dallo scroscio gentile delle onde, accompagnate dal respiro appena udibile di Yoongi, accanto a me. Ero talmente rilassata che avrei potuto addormentarmi, ma all’improvviso sentii qualcosa toccarmi il dorso della mano, e tornai vigile. Era stato Yoongi a sfiorarmi? Guardai giù, verso il mio braccio steso lungo il corpo, e vidi la mano di Yoongi accanto alla mia, a pochi centimetri di distanza. Dopo un attimo di esitazione, la sua mano si spostò sopra la mia, e sentii che il suo tocco solitamente fresco stavolta era tiepido. Fece scivolare le dita sotto il mio palmo, stringendomi delicatamente la mano nella sua, mentre il suo pollice rimase sul mio dorso, intento ad accarezzarmi lentamente le nocche. Stavo per chiudere di nuovo gli occhi, beandomi del suo tocco così gentile, quando lo sentii allentare leggermente la presa, fermando quasi del tutto il movimento del pollice.
 
«Guarda che non mi dà fastidio» lo rassicurai, continuando a guardare il cielo bianco.
 
Dopo un attimo di esitazione, Yoongi riprese ad accarezzarmi il dorso della mano.
 
 
*
 
 
Aprii gli occhi, e per un attimo non capii dove fossi. Mi ero addormentata per davvero. Mi sollevai leggermente sui gomiti e guardai Yoongi, ancora steso al mio fianco.
Sonnecchiava tranquillo, le palpebre abbassate, con le ciglia scure in risalto sulle guance candide, e le labbra appena un po’ schiuse. Aveva una mano posata sul petto, mentre l’altra era ancora appoggiata sulla mia, senza più stringerla. Sfilai piano la mia mano da sotto le sue dita, e iniziai a frugare nella borsa per cercare il telefono. Mentre rovistavo tra le mie cose, lo sentii agitarsi e mi girai. Si stava alzando a sedere, stropicciandosi gli occhi.
 
«Scusa» dissi piano. «Ti ho svegliato?».
 
Yoongi si girò a guardarmi disorientato, come se si fosse dimenticato della mia presenza, e scosse la testa. Poi si portò una mano sullo stomaco, corrugando leggermente le sopracciglia.
 
«Hai fame?» gli chiesi, con un piccolo sorriso. «È quasi ora di pranzo».
 
Yoongi annuì, ed iniziò a tirare fuori il cibo. Avevo lasciato che cucinasse anche per me, ma solo perché mi aveva detto che gli piaceva cucinare. E non appena assaggiai, ebbi la conferma che era anche bravo. Biascicai dei complimenti incomprensibili a bocca piena, tipo Mmhf, daffero buono, mentre Yoongi sorrideva per la seconda volta a bocca schiusa, scoprendo i piccoli denti bianchi in un’altra risata senza suono.
 
Dopo aver mangiato, Yoongi tirò fuori il thermos e me lo porse, con un sorriso più timido. Svitai il tappo grigio lucido, e scoprii con sorpresa che mi aveva preparato anche il tè. Doveva averlo portato solo per me, perché gli avevo detto che preferivo il tè al caffè.
 
«Grazie» mormorai, stupita, mentre Yoongi continuava a sorridere timidamente.
 
 
*
 
 
«Yoongi!» lo chiamai all’improvviso, dandogli un colpetto sulla schiena.
 
Stavamo passeggiando vicino alla riva, con l’acqua fredda che ci lambiva i piedi. Yoongi era poco più avanti di me, alla mia sinistra, e si girò a guardarmi.
 
«Ho avuto un’altra idea» dissi, con un gran sorriso.
 
Posso entusiasmarmi o devo avere paura?
 
Gli diedi una botta leggera sulla spalla. «Quando mai hai avuto paura?» esclamai, fingendomi offesa. «L’idea del carrello ti era piaciuta».
 
Okay, mi fido.
Stavolta mi dici di che si tratta?
O è sempre una sorpresa?

 
«Te lo dico» risposi, senza esitazione. «Ho bisogno del tuo aiuto».
 
 
*
 
 
Dopo che gli ebbi spiegato la mia idea, Yoongi rimase lì a fissarmi, lo sguardo serio e imperscrutabile. Sembrava che non sbattesse neanche le palpebre, iniziava ad inquietarmi.
 
«Che c’è?» sbottai alla fine. «Non è una bella idea?».
 
Certe volte mi lasci senza parole.
 
Avevo a malapena finito di leggere, che Yoongi si riprese il telefono per aggiungere qualcosa.
 
La battuta non era intenzionale.
 
Mi misi a ridere. «Peccato. Era una battuta bellissima».
 
 
*
 
 
Durante il viaggio di ritorno, in macchina, spiegai il mio piano nei dettagli, mentre Yoongi annuiva con espressione seria, lo sguardo fisso sulla strada. Vedendo che si era convinto, un ampio sorriso si fece strada sul mio volto, e non riuscii a trattenermi dal battere le mani in un breve applauso di eccitazione. A questo mio gesto, vidi un piccolo sorriso formarsi lentamente sul volto di Yoongi, e quando socchiuse le labbra mi dimenticai per l’ennesima volta che non parlava, perché sembrava proprio che volesse dirmi qualcosa, e che stesse per pronunciare delle parole ad alta voce.
 
Ma non lo fece, ovviamente.
 
Il resto del viaggio trascorse tranquillo, con la radio che trasmetteva canzoni lente e vagamente malinconiche in sottofondo.
 
 
*
 
 
Era ancora pomeriggio, quando arrivammo davanti a casa mia.
 
«Allora, ci vediamo stasera» lo salutai, e mi sporsi sul sedile dell’auto per abbracciarlo.
 
Fu un gesto spontaneo. Senza pensarci troppo, gli passai le braccia intorno al collo, mentre i miei capelli gli sfioravano la guancia. Dopo un attimo di esitazione, Yoongi ricambiò il gesto passandomi un braccio intorno al corpo, e sentii il suo palmo posarsi vicino al mio fianco.
 
Mi allontanai, e Yoongi mi rivolse un piccolo sorriso, lo sguardo carico di dolcezza. Poi scesi dall’auto, e lui mi fece ciao ciao con la mano, sempre sorridendo. In quel momento, mentre lo guardavo, mi sembrò che qualcosa nel mio cuore stesse tremando.








 
Ehi gente, spero che questo capitolo non sia risultato troppo noioso...
so che non è successo granché, ma se siete amanti del fluff immagino che abbiate apprezzato (o almeno lo spero ahaha).
Insomma, era un capitolo discretamente fluffoso, dovete ammetterlo.
Ora la smetto di blaterare cose insensate, e vi ricordo come al solito che le recensioni sono molto gradite.
Fatemi sapere cosa ne pensate!
Alla prossima,
Sugakookie
 

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Capitolo 4
*** 4 ***


4.
 
 
 
 
Quella sera, dopo cena, ci incontrammo di nuovo per mettere in atto la mia idea. Erano trascorse poche ore da quando ci eravamo salutati, nel pomeriggio, ma sembravano molte di più.
 
Il posto dove volevo andare era quasi fuori dalla città, nella zona industriale, perciò Yoongi passò a prendermi con la macchina.
 
«Ehi» lo salutai, salendo ancora una volta sull’auto. «Tutto a posto per stasera?».
 
Ho detto ai miei che andavo a dormire da un amico.
 
Annuii. «Perfetto. Anch’io ho detto la stessa cosa ai miei».
 
Dopo circa un quarto d’ora di macchina, arrivammo a destinazione.
 
Il luogo prescelto era un negozio di articoli per la casa. L’edificio era un unico, grande parallelepipedo rettangolare ed era circondato da un’ampia porzione di terreno non asfaltato, che lo distanziava dagli edifici circostanti. In quella zona, c’erano solo stabilimenti industriali, magazzini ed altri negozi di arredamento e oggettistica.
A quell’ora i negozi erano tutti chiusi, e non c’erano case o abitazioni nelle immediate vicinanze, perciò non c’era nessuno che potesse sentirci. Potevamo fare quel che ci pareva e mettere su la musica e procedere con la nostra piccola festa privata.
 
Quando arrivammo sulla parte di terreno non asfaltato, Yoongi rallentò per non sollevare troppa polvere, poi fermò la macchina davanti al negozio. Scendemmo dall’auto e ci dividemmo la roba da portare: Yoongi prese le coperte, i cuscini e tutto il necessario per la notte, mentre io mi feci carico degli snack, delle carte da gioco e della piccola cassa Bluetooth che avevo portato.
 
«Yoongi, questo è un sogno che si avvera» affermai in tono solenne, mentre saltellavo verso la serie di gazebo e dondoli da giardino esposti fuori dal negozio, lungo la facciata davanti.
 
Sei seria?
 
Lo fulminai con lo sguardo, ostentando indignazione.
 
«Scherzi?» feci, oltraggiata. «Ho sempre sognato di avere un tappeto elastico!».
 
Io preferirei un dondolo da giardino.
 
«Ah! Vedi?» ribattei, soddisfatta. «C’è anche il dondolo. Anche per te è un sogno che si avvera».
 
Yoongi scosse la testa, con un sorriso divertito. Una volta arrivati davanti ai vari articoli di arredamento, posammo la roba e decidemmo sul da farsi.
 
«Allora» esordii, mettendomi le mani sui fianchi. «Io voglio provare tutto».
 
Yoongi annuì, sorridendo.
 
Va bene. Da cosa iniziamo?
 
«Possiamo iniziare dal gazebo» proposi, riflettendo ad alta voce. «Ci mettiamo lì, giochiamo un po’ a carte, mangiamo le nostre schifezze eccetera».
 
Poi andiamo sul dondolo?
 
Annuii. «Certo, poi andiamo anche sul dondolo. E per ultimo possiamo lasciare il tappeto elastico».
 
E poi dove dormiamo?
 
Mi guardai intorno, e vidi che in fondo alla fila di dondoli e gazebo c’era anche un’ampia tenda da campeggio.
 
«Ehi, quella non l’avevo mica vista!» esclamai, indicandola. «Possiamo dormire lì».
 
E così facemmo. I vari articoli di arredo erano tutti assicurati a terra con delle catene, per impedire che venissero rubati, ma questo non ci impediva di usarli a nostro piacimento. Del resto, non volevo mica portarmi via un gazebo né un dondolo (il tappeto elastico mi sarebbe piaciuto, ma meglio evitare). Volevo solo “affittarli” gratuitamente per una notte.
 
Dapprima ci piazzammo sotto al gazebo. Spargemmo sul tavolo i sacchetti di patatine, vi allineammo accanto alcune bottiglie di birra, e poi ci sedemmo sulle sedie di vimini.
 
La serata trascorse tranquilla, Yoongi sembrava sereno e rilassato. Passammo lì sotto non so quanto tempo, a sgranocchiare schifezze e a sorseggiare birra al limone, mentre giocavamo a Uno. Ogni volta che buttava giù un +4, Yoongi assumeva un’espressione furbetta con tanto di ghigno malefico, e per fare scena, posava la carta in cima alle altre con un gesto volutamente lento ed ostentato, tanto da sembrare la scena di un film al rallentatore.
 
«Dai, che stronzo!» urlavo ogni volta, ma lo dicevo ridendo, perché le facce da sadico di Yoongi erano assolutamente esilaranti.
 
Quando invece ero io a lanciare un +4, Yoongi corrugava le sopracciglia, fingendosi arrabbiato, oppure sporgeva in fuori il labbro inferiore mettendo su il broncio.
 
Più tardi ci spostammo sul dondolo, e l’umore cambiò. Dopo aver giocato, riso e scherzato per tutto quel tempo, eravamo improvvisamente più seri, forse anche un po’ stanchi.
Eravamo seduti vicini, le nostre braccia e le gambe si toccavano, e avevamo la schiena sprofondata nel cuscino morbido del dondolo. Con i piedi spingevamo pigramente a terra, dondolando lentamente avanti e indietro, accompagnati dal debole cigolio del dondolo.
 
«Yoongino» mormorai, quasi a bassa voce, mentre fissavo la falce luminosa della luna. «Com’è la tua voce?».
 
Yoongi ci pensò su, poi buttò giù qualche parola.
 
Mah, non sono bravo a descrivere…
Ho una voce molto bassa, direi.
Non riuscivo mai a fare gli acuti,
quando cantavo.
 
Sorrisi. «Nemmeno io ci riesco» ammisi, con una risata leggera. «Sei ancora triste?».
 
Un po’ sì.
Però credo di stare un po’ meglio,
da quando ti ho conosciuto.
 
Feci un sorriso malinconico. «Non pretendo di poterti aiutare, sai… quando si è stati feriti, spesso non basta tutto l’amore del mondo per guarire».
 
Gli presi la mano, ed intrecciai le mie dita fra le sue.
 
«Però…» continuai, dolcemente. «Se posso farti stare meglio almeno un pochino, mi basta».
 
La mano di Yoongi strinse leggermente la presa sulla mia.
 
Tess… posso farti una domanda?
 
«Certo».
 
Ecco, all’inizio pensavo che fosse la tua personalità
e basta. Ci sono persone che si buttano giù facilmente,
e altre come te, che sono sempre positive.

È proprio questo che mi piace di te.
Sei sempre piena di idee, e ti entusiasmi per tutto,
anche per le cose più piccole. Però avrai anche tu
dei momenti brutti, giusto?

 
Mi girai e lanciai una breve occhiata al suo profilo pallido, illuminato dalla luna.
 
«Sì, certo, anch’io sono triste a volte» risposi, aspettando che continuasse.
 
E cos’è che ti fa andare avanti? Voglio dire…
ti è mai capitato di essere così triste, o così
demotivata, da non avere più nessuna
ragione per cui continuare? In quei momenti,
c’è qualcosa che ti fa dire “Ecco, per questo
vale la pena vivere”?

 
Lo guardai preoccupata. «E questo da dove ti esce?» dissi, piano. «Mi stai facendo preoccupare, Yoongi».
 
Non c’è niente di cui devi preoccuparti.
Ora rispondi alla mia domanda, per favore.
 
«Va bene» feci un respiro profondo, e scelsi le parole con cura. «È vero, a volte sembra che non ci sia nessun motivo abbastanza importante per andare avanti. Ma a dirti la verità, non ho trovato chissà quale risposta filosofica. Forse ti farà ridere, ma ciò per cui “vale la pena”, per me può essere una cosa del tutto ordinaria e insignificante. Per esempio, penso che se morissi non potrei più ascoltare le mie canzoni preferite. Non potrei più parlare con i miei amici, o ridere con loro fino alle lacrime per le cazzate più assurde. Non potrei più mangiare un gelato, o vedere un’alba o un tramonto, o sprofondare i piedi nella sabbia».
 
Feci una pausa, e gettai un’occhiata a Yoongi. Fissava la luna, lo sguardo serio e indecifrabile.
 
«Tutto questo mi fa andare avanti» proseguii. «E potrei continuare l’elenco con tante altre cose. Se ti guardi intorno, se ci pensi bene… è pieno di cose per cui vale la pena vivere».
 
Una lacrima scese sulla guancia candida di Yoongi, lasciando una scia trasparente che pareva brillare sotto la luce della luna.
 
Non mi sbagliavo…
sei una di quelle persone che amano la vita.

È davvero una bella cosa, sai.
Vorrei che fossero tutti come te, Tess.

 
«Tu non sei così?» chiesi, passandogli dolcemente il pollice sulla guancia, per asciugare la scia umida della lacrima.
 
Non lo so. Ero normale, prima.
 
«Prima, quando?» insistei, con il battito che mi accelerava nel petto.
 
Quando ancora parlavo.
Forse non sarò stato pieno di entusiasmo come
te, ma non mi faceva neanche schifo la vita.

Solo che poi è successo.
 
Mi morsi il labbro, esitante. «Cosa è successo?» chiesi, con un filo di voce.
 
Yoongi scosse la testa, come se volesse negare qualunque cosa fosse accaduta.
 
Mi sfuggì un lieve sospiro. «Non devi dirmelo per forza» mormorai.
 
Lui esitò, poi scrisse solo due parole.
 
Grazie, Tess.
 
Rimasi un attimo in silenzio, un po’ sorpresa. «Non devi ringraziarmi» replicai.
 
Gettai un’occhiata alle nostre mani ancora intrecciate, poi alzai lo sguardo e vidi che mi stava osservando. Ci guardammo negli occhi per un secondo, poi Yoongi alzò la mano libera e la posò sulla mia guancia, sfiorandola appena con la punta delle dita. Un attimo dopo, le sue labbra erano sulle mie, tiepide e gentili.
Per qualche istante rimasi immobile, rapita dalla morbidezza delle sue labbra, e da come si muovevano piano sulle mie, lasciandomi una lieve sensazione di umido. Poi ricambiai il bacio, e la mano di Yoongi si spostò sulla mia nuca, mentre le sue dita s’intrecciavano fra i miei capelli. Quando si staccò, dopo qualche secondo, poggiai la testa sulla sua spalla, e tornai a guardare il cielo stellato.
 
Eravamo di nuovo sereni, rilassati, ma la calma non durò a lungo. Poco dopo il nostro bacio, improvvisamente, iniziò a tirare un vento fortissimo. La corrente fredda s’infilò subito sotto i miei vestiti, e il fischio ululante del vento coprì il silenzio pacifico che prima regnava.
 
«Che diamine succede?» quasi urlai, per sovrastare il rumore.
 
Yoongi scosse la testa, i capelli neri agitati dal vento. Istintivamente, ci abbracciammo per scaldarci, e per bloccare la violenza delle sferzate d’aria che ci colpivano. Restammo così per un tempo che parve infinito, poi il vento cessò di colpo, così com’era iniziato.
 
«Accidenti» esclamai. «Sembrava l’apocalisse».
 
Yoongi indicò il cielo, e vidi che era in parte coperto da grossi nuvoloni grigi. Non sembravano promettere niente di buono, perciò decidemmo che a breve ce ne saremmo andati. Ma non prima di provare il mio amato tappeto elastico.
Riportammo tutto in macchina, i sacchetti di patatine, le coperte e i cuscini, così che fosse tutto pronto per partire in caso iniziasse a diluviare. Tenni con me solo la cassa Bluetooth, che collegai subito al cellulare.
 
Io e Yoongi ci arrampicammo sul tappeto elastico, poi misi su una playlist abbastanza allegra ed energica, che faceva al caso nostro. Non appena la musica partì, iniziai a saltare ed afferrai entrambe le mani di Yoongi, trascinandolo con me. Improvvisai alcune mosse di danza a ritmo di salti, e Yoongi mi assecondò, facendomi fare qualche giravolta, mentre continuavamo a rimbalzare insieme sul tappeto tenendoci per le mani.
Ad ogni salto, non potevo fare a meno di ridere felice, e dopo una giravolta seguita da un balzo particolarmente potente, rimbalzai con forza verso Yoongi. Per evitare di sbattergli addosso, staccai le mani dalle sue, e le posai sulle sue spalle per fermarmi. Ritrovandomi così vicina a lui, istintivamente allacciai le mani dietro il suo collo, e lui posò le mani sui miei fianchi. Continuammo a saltellare così, stavolta con meno energia, guardandoci negli occhi. Poco dopo, l’ultima canzone della playlist finì, ed io mi sporsi verso Yoongi per baciarlo di nuovo. Premetti le labbra sulle sue con decisione, e poco dopo mi staccai con un leggero schiocco. Yoongi mi sorrise.
 
Proprio in quel momento sentii una goccia sul viso.
 
«Mi sa che sta piovendo» dissi, guardando il cielo. «Andiamo via».
 
Presi la cassa, e ci avviammo subito verso la macchina. Mentre mi allacciavo la cintura e Yoongi avviava il motore, sentii una strana sensazione crescermi in petto. Era come un ricordo che cercava di affiorare, come se ci fosse qualcosa di importante che però mi sfuggiva. Il mio intuito mi diceva che non poteva piovere in quel momento, ma non riuscivo a ricordarmi il perché. C’era qualcosa di sbagliato, ma cosa?








 
Lo so, sembrava che Yoongi stesse per rivelare la famosa cosa triste che gli è successa...
ma poi nope ha cambiato idea.
Giuro che non vi tengo sulle spine per crudeltà,
è che ogni cosa verrà svelata al momento giusto.
Nel frattempo, se avete qualche teoria su cosa sia successo a Yoongi,
sarei molto curiosa di sentirla! O meglio, leggerla ahaha.
Come sempre, potete esprimere i vostri pensieri/commenti/teorie nelle recensioni ^.^
Ah, comunque non ho idea se i gazebo e tutte quelle cose le tengano davvero incatenate al suolo.
Ho solo immaginato ciò che mi sembrava plausibile e sensato,
perciò se ho scritto qualche stupidaggine perdonatemi ahaha.
Grazie davvero a chi segue/recensisce la storia,
a presto! <3
Sugakookie

 
 

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Capitolo 5
*** 5 ***


5.
 
 
 
 
Yoongi parcheggiò lungo il marciapiede, ed io riconobbi subito la serie di villette a schiera in mattoni rossi. Eravamo nella sua via, casa sua era poco più avanti.
 
Non appena spense il motore feci per scendere dalla macchina, ma vidi che Yoongi si era bloccato, una mano ancora sul volante e l’altra sulle chiavi. Era in penombra, eppure avrei giurato che ci fosse un lieve rossore sulle sue guance.
 
«Che c’è?» chiesi, sorpresa.
 
Lui iniziò a digitare nervosamente sul telefono, cancellando e riscrivendo più volte.
 
Non vuoi che ti riaccompagni a casa?
 
«Ehm…» iniziai, esitante. «Ma siamo appena arrivati a casa tua».
 
Lo so… mi sono sbagliato.
 
Scoppiai a ridere. «Davvero?» lo punzecchiai, inarcando le sopracciglia. «Non è che l’hai fatto apposta?».
 
Lo vidi arrossire di nuovo nella penombra dell’abitacolo.
 
Ma no. Ti riporto a casa, basta che me lo dici.
 
Mi morsi il labbro, esitando per qualche secondo. «Senti, è tutto il giorno che mi scarrozzi in giro, e ormai siamo qui».
 
Ci metto cinque minuti ad arrivare a casa tua, Tess.
Non è un problema.
 
«Yoongi. Avremmo comunque dormito insieme. Nella tenda del negozio» gli feci notare, in tono eloquente. «Non capisco perché all’improvviso ti imbarazzi tanto».
 
Grazie per averlo sottolineato.
Ora mi sento molto meno in imbarazzo.
 
«Okay, scusami» dissi, ridendo, e gli diedi una botta leggera sulla spalla. Lui continuava ad evitare il mio sguardo.
 
«Cos’è, sei gay in realtà?» scherzai, con un sorrisetto. «Avresti dovuto dirlo subito».
 
No, simpaticona.
 
«Allora sei asessuale?».
 
No… ed è proprio questo il problema.
 
Scoppiai di nuovo a ridere. «Senti, io posso dormire in un’altra stanza. Sul divano, sul pavimento… dove ti pare».
 
Non ti faccio dormire sul pavimento, scema.
Comunque, vabbè, hai ragione…
hai già tutta la tua roba per la notte, quindi se
proprio insisti ti faccio restare.

 
«Che onore, grazie» dissi, sorridente, e gli stampai un bacio sulla guancia. Poi aprii lo sportello e scesi dall’auto.
 
 
*
 
 
Una volta saliti al piano di sopra, entrai per la prima volta nella stanza di Yoongi. Non era particolarmente grande, ma nemmeno troppo piccola. Le pareti erano bianche, con alcuni poster di gruppi musicali appesi qua e là, mentre l’armadio in legno chiaro era decorato con qualche foto di lui insieme ai suoi amici. La scrivania con il computer era proprio sotto la finestra, ed era abbinata ad una di quelle sedie girevoli in pelle nera che sembravano incredibilmente comode. Il letto da una piazza e mezza era a lato della scrivania, ed era accostato al muro. La trapunta era di un bel blu scuro con sopra rappresentate alcune costellazioni, e i due enormi cuscini blu abbinati sembravano davvero soffici.
 
«Questa stanza è così… da te» dissi, a bassa voce, perché la camera dei suoi genitori era proprio in fondo al corridoio.
 
Lo prenderò come un complimento.
 
Yoongi posò la borsa con la mia roba sulla sedia davanti alla scrivania, poi rimanemmo lì a guardarci in silenzio.
 
«Quindi dove dormo?» sbottai dopo un po’, in un sussurro concitato.
 
Puoi dormire sul mio letto, ovvio.
 
«E tu dove dormi?» lo incalzai.
 
Boh, andrò sul divano in salotto.
 
Alzai un sopracciglio. «E domani chi glielo spiega ai tuoi perché dormivi lì?» ribattei, sarcastica.
 
Potrei mettere la sveglia molto presto
e alzarmi prima di loro.

Così non mi trovano in salotto.
 
Esitai, poco convinta. «Non mi va di farti dormire sul divano. E nemmeno di farti alzare presto. Probabilmente adesso è già tardi, dormiresti troppo poco» gli feci notare. «Non hai un sacco a pelo o roba simile? Così mi metto qui per terra vicino al letto».
 
Ho detto che tu stai sul letto.
 
«Okay, allora tu ti metti per terra vicino al letto» replicai, imperterrita.
 
Non so nemmeno se abbiamo dei sacchi a pelo…
se ci mettiamo a cercare adesso, faremo troppo
rumore, poi i miei si svegliano.

 
«Che palle» sbuffai, sottovoce. «Allora dormiamo sul letto e basta».
 
Yoongi mi fissò in silenzio, come aspettando una mia magica soluzione alternativa.
 
«Hai un’idea migliore?» lo incalzai, incrociando le braccia.
 
Yoongi sospirò profondamente, e fece spallucce.
 
Temo di no.
 
«Bene» conclusi, soddisfatta, ed iniziai a prendere la mia roba dalla borsa.
 
Usammo il bagno a turno per lavarci la faccia e i denti, il più silenziosamente possibile. Io andai per seconda, e quando tornai in camera, trovai Yoongi seduto sulla sponda del letto, in pigiama. Aveva acceso l’abat-jour sul comodino, e la stanza era rischiarata dalla luce tenue che filtrava attraverso il paralume scuro. Yoongi fece pat-pat con la mano sul letto, invitandomi a sedermi. Mi avvicinai e mi accomodai sulla sponda, accanto a lui.
 
«Bello, il tuo pigiama» mormorai, toccando il tessuto liscio della manica.
 
Yoongi abbassò lo sguardo sul proprio pigiama. Era un modello classico, di quelli che si chiudono con i bottoni davanti, e la stoffa di un indefinibile grigio-viola aveva l’aspetto liscio e lucido della seta. Dopo essersi dato un’occhiata, Yoongi alzò di nuovo lo sguardo e fece spallucce.
 
«Da che lato dormi di solito?» m’informai.
 
Mah, un po’ dove capita.
Mi muovo parecchio.

 
«Allora, posso stare vicino al muro?».
 
Yoongi annuì, poi si alzò e sollevò l’orlo della trapunta blu, facendomi cenno di entrare per prima. M’infilai sotto la trapunta, sistemandomi nel lato interno, attaccato alla parete. Quando, subito dopo, si aggiunse anche Yoongi, mi resi conto di quanto poco spazio ci fosse. Una piazza e mezza era abbastanza per stare comodi, ma eravamo costretti a stare molto vicini. Ora capivo perché Yoongi sembrava così a disagio prima.
 
Eravamo entrambi sdraiati sul fianco, rivolti l’uno verso l’altra, le teste sprofondate nei grandi cuscini blu. Il rumore lieve dei nostri respiri era coperto dal ticchettare della pioggia contro il vetro della finestra. Da quando eravamo corsi via dal negozio, non aveva mai smesso di piovere, e all’improvviso fui di nuovo invasa da quella strana sensazione.
 
«Yoongi» sussurrai, sovrappensiero. «Non sembra strano anche a te che stia piovendo?».
 
Yoongi si girò dall’altra parte rotolando sul fianco, per prendere il telefono dal comodino, poi tornò a girarsi verso di me, la guancia di nuovo sprofondata nel cuscino blu.
 
“Strano” in che senso?
 
«Non lo so» ammisi, confusa. «C’è qualcosa di sbagliato…».
 
Mentre pronunciavo quelle parole, d’un tratto mi ricordai.
 
«Pioveva» dissi, stupita dalle mie stesse parole.
 
Yoongi corrugò le sopracciglia, confuso, e sistemò meglio la mano sotto il cuscino, aspettando una spiegazione.
 
«Il 26 settembre pioveva» sussurrai, agitata. «Il 26 settembre originario, intendo. Quello prima di tutti gli altri. Quella sera c’è stato un temporale, te lo ricordi?».
 
Yoongi ci pensò un attimo, poi annuì, strofinando la guancia contro il cuscino soffice.
 
«Me lo ricordo, perché il giorno dopo ho chiesto a Lia che giorno fosse» continuai a spiegare. «Ero convinta che fosse il 27, ma lei mi ha detto che era il 26 e che forse mi ero confusa perché avevo sonno. E io ho pensato che avesse ragione, perché la sera prima c’era stato un temporale terribile e non ero riuscita ad addormentarmi, perciò avevo sonno davvero».
 
Gli occhi di Yoongi si allargarono per la sorpresa, mentre veniva colpito dalla stessa rivelazione che avevo avuto io.
 
Ma da allora non ha più piovuto, giusto?
 
«Esatto!» confermai, in tono concitato. «Quella sera c’è stato un temporale terribile, ma tutte le sere di tutti i 26 settembre successivi non ha mai piovuto. Fino ad oggi».
 
Non potevo crederci. Per giorni avevo cercato qualcosa di diverso in quei 26 settembre tutti identici, ma non mi ero mai accorta di questo dettaglio. Il temporale c’era stato la sera tardi, quando di solito già dormivo, perciò non ne avevo notato l’assenza le sere successive.
 
Yoongi si morse il labbro, sembrava improvvisamente preoccupato.
 
Dici che è un segno?
C’è stato un temporale prima che il tempo
si bloccasse, e ora c’è n’è un altro…

 
«Yoongi» sussurrai, eccitata. «Forse domani sarà il 27. Non so come né perché, ma potrebbe essere la volta buona! Che ore sono?» aggiunsi, colpita da un altro pensiero improvviso.
 
Yoongi guardò lo schermo del telefono, poi lo girò verso di me.
 
23:35.
 
«Tra venticinque minuti, in teoria, la data dovrebbe cambiare…» dissi, piano.
 
Yoongi sembrava dubbioso, e non scrisse niente in risposta.
 
«Che c’è?» chiesi, ansiosa. «Non sei convinto?».
 
È che… se la data cambiasse,
non so se vorrei saperlo.

 
«Perché?» feci, sorpresa. «Non saresti felice? Non vorrai mica restare bloccato nel tempo per sempre…».
 
No, ma… finora è stato bello, no?
Anche se era sempre lo stesso giorno,
abbiamo fatto tante cose diverse, e ci
siamo divertiti…

E se quando il tempo tornasse normale,
non ci ricordassimo più niente?

 
Rimasi in silenzio, spaventata. Era inconcepibile che io mi dimenticassi di Yoongi, ma… non sapevo cosa potesse succedere, in effetti. Una volta che fosse diventato il 27 settembre, tutti quei giorni che avevamo passato insieme sarebbero stati annullati? Come se non fossero mai esistiti? Ce ne saremmo ricordati? Non avevo idea di come funzionassero le alterazioni temporali.
 
«Metti via il telefono» dissi, in tono deciso. «Non guardiamo la data fino a domattina. Se vuoi parlare, scrivi su un foglio».
 
Yoongi posò il telefono sul comodino. Poi tirò fuori dal cassetto un foglio e una penna.
 
Sei sicura?
E quindi ora che facciamo, dormiamo e basta?

 
«Sì, esatto» confermai.
 
Non so se riuscirò a dormire ora…
Però hai ragione, dovremmo almeno provarci.
 
«Lo so, anch’io sono agitata ora» dissi, con un sospiro. «Ma non c’è molto altro che possiamo fare, a parte cercare di dormire».
 
Yoongi si girò per posare la penna e il foglio sul comodino, poi spense l’abat-jour, lasciandoci avvolti in una penombra incerta. La stanza era appena rischiarata da una sottile striscia di luce, che filtrava dalla finestra con la serranda quasi completamente abbassata. Yoongi adagiò di nuovo la guancia sul cuscino blu, con la mano infilata sotto. Eravamo ancora nella stessa posizione, come due immagini speculari l’una di fronte all’altra. Ci guardammo negli occhi, incerti sul da farsi, mentre il ticchettio della pioggia diventava uno scroscio rumoroso, e ad esso si aggiungeva il boato minaccioso dei tuoni.
 
Dopo un po’ sollevai una mano e la posai sulla guancia di Yoongi, accarezzando la pelle lattea. C’era una nota di disperazione nei suoi dolci occhi neri, e d’un tratto mi sembrò perso e triste come quando l’avevo conosciuto. Non riuscivo a sopportarlo, perciò mi sporsi verso di lui per cancellare quell’ombra di dolore. Lo baciai con delicatezza, ma le sue labbra, solitamente gentili, erano mosse dalla stessa disperazione che avevo visto nei suoi occhi. La sua bocca premette con forza sulla mia, e la sua mano si infilò tra i miei capelli, tirandomi ancora più vicino a sé.
In quel momento, un tuono particolarmente potente sembrò scuotere la stanza, ed io mi strinsi a Yoongi, passando il braccio attorno al suo corpo. Lui continuò a baciarmi con foga, e la sua mano ancora stretta tra i miei capelli si spostò sulla mia schiena, avvolgendomi a sua volta in un abbraccio.
 
Dopo un po’, mi staccai dalle sue labbra e mi scostai leggermente per osservarlo. Nella penombra, i suoi occhi allungati parevano inchiostro, racchiuso in due mezzelune affilate. Improvvisamente, un fulmine illuminò la stanza, e per poco meno di un secondo potei distinguere chiaramente il viso di Yoongi. Sotto la luce fredda e violenta, i suoi lineamenti sembravano più affilati e la pelle pareva persino più bianca, mentre l’inchiostro nero degli occhi parve brillare per un attimo.
Non appena ripiombammo nella penombra, Yoongi spostò la mano ancora più in basso sulla mia schiena, fino ad infilarla sotto l’orlo del mio pigiama. Il suo palmo era tiepido, e mentre mi accarezzava la pelle nuda, portai una mano sui suoi capelli, passando le dita tra le ciocche morbide. Ben presto, un altro tuono assordante risuonò nella stanza, seguito poi da altri.
 
L’alternarsi di tuoni e fulmini sembrava scandire i nostri gesti, mentre ci sfilavamo di dosso gli indumenti. La penombra fu riempita dal suono frusciante della stoffa che scorreva via dai nostri corpi. A tratti, brevi visioni di pelle nuda e bianca, illuminata dai lampi, si imprimevano nei miei occhi. Cercai di toccare ogni centimetro di quella pelle pallida e perfetta, e Yoongi fece altrettanto con me. Le nostre mani scorrevano senza sosta sul corpo dell’uno e dell’altra, in una scia di carezze che mi fece venire la pelle d’oca.
Tra una carezza e l’altra, la mano di Yoongi s’insinuò tra le mie gambe, e subito un’ondata intensa di calore mi pervase. Le sue dita presero a muoversi tra le mie cosce, per un tempo che mi parve infinito e allo stesso tempo troppo breve, poi Yoongi si sollevò per spostarsi sopra di me. Si posizionò con le braccia ai lati della mia testa, e il suo corpo premette piacevolmente contro il mio, con il suo peso.
 
Non riuscivo a smettere di guardarlo mentre si muoveva sopra di me, il suo viso etereo a tratti illuminato dai lampi. Lievi ansiti sfuggivano dalle sue labbra socchiuse, rosee e perfette, e il suo respiro affannoso era attutito dallo scroscio incessante della pioggia, di tanto in tanto coperto dal boato dei tuoni.
Dopo un tempo indefinibile, Yoongi lasciò che il suo corpo si abbandonasse sul mio, finalmente rilassato, e mentre il suo respiro si regolarizzava, il fragore della pioggia si ridusse pian piano ad un rado ticchettio contro i vetri.
 
Le alterazioni temporali erano ormai lontane dai miei pensieri. Non esisteva più nient’altro, a parte ciò che mi circondava. Il mondo si era ridotto al buio di quella stanza, e al calore del corpo di Yoongi premuto contro il mio.  Avvolta dal lieve profumo muschiato del suo corpo, pian piano mi addormentai.








 
Ebbene, abbiamo scoperto cosa c'era di sbagliato nella pioggia.
Spero che non fosse troppo prevedibile!
Riguardo all'ultima parte, ammetto che un po' mi imbarazza scrivere certe scene...
*fischietta, fingendo che l'abbia scritta qualcun altro*
Non voglio risultare volgare, per questo tendo a renderle sempre piuttosto poetiche
(forse anche un po' troppo ahaha).
In ogni caso, spero che il capitolo vi sia piaciuto!
Come sempre, sentitevi liberi di dirmi cosa ne pensate ^.^
A presto,
Sugakookie

 

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Capitolo 6
*** 6 ***


6.
 
 
 
 
Mentre aprivo gli occhi, fui colpita dal sentore di un profumo maschile, fresco e deciso. Sapeva di muschio bianco, ma non era forte come quando si annusa direttamente il bagnoschiuma; era un profumo ben riconoscibile, ma leggermente attenuato, come lo si sente una volta che è stato assorbito dalla pelle di qualcuno.
 
Ero stesa a pancia in su, lo sguardo rivolto al soffitto bianco, ma non appena girai la testa di lato, vidi l’armadio in legno chiaro, e mi resi conto che quella non era la mia stanza. Spostai lo sguardo poco più in basso, e mi ritrovai davanti una testa carica di capelli neri, sprofondata nel cuscino accanto al mio. Si vedeva solo il volto pallido, fino al mento, mentre il resto del corpo era nascosto sotto la trapunta blu punteggiata di stelle. Sembrava rannicchiato in posizione fetale, e formava una notevole protuberanza sotto la coperta.
 
Sorrisi, intenerita, e con un dito sfiorai la guancia liscia di Yoongi. Poi inspirai a fondo, inalando l’aroma fresco del suo bagnoschiuma al muschio bianco. Mentre le mie dita gli sfioravano i capelli neri, mi bloccai. D’un tratto, mi era tornato in mente tutto quanto. Il temporale, le nostre ipotesi, la data che sarebbe dovuta cambiare. Fortunatamente, non era successo ciò che temeva Yoongi. Non mi ero affatto dimenticata di lui, né di quel che avevamo fatto nei giorni scorsi. A meno che… forse mi ricordavo tutto perché era di nuovo il 26 settembre. Del resto, non avevo ancora controllato se la data fosse cambiata.
 
Guardai oltre la testa di Yoongi, e adocchiai il telefono sul comodino, mentre il battito mi accelerava nel petto. Avrei voluto sporgermi per prenderlo, ma non volevo rischiare di svegliare Yoongi. Esitai per diversi secondi, incerta, quando all’improvviso fui raggelata da un inaspettato toc toc alla porta. D’istinto, mi raggomitolai sotto la trapunta blu, attaccandomi al corpo rannicchiato accanto al mio. Dopo un secondo toc toc, Yoongi sbatté le palpebre diverse volte, faticando ad aprire gli occhi.
 
«Yoongi» chiamò una voce femminile. «Se non ti alzi, farai tardi».
 
Yoongi emise un sospiro profondo. Poi, con movimenti lenti e privi di energia, si girò pian piano verso il comodino e batté due colpi sulla superficie lignea del mobile.
 
Ci fu un attimo di silenzio. «Non ti senti bene, tesoro?» fece la voce di sua madre, preoccupata. «Vuoi restare a casa?».
 
In risposta, Yoongi batté un solo colpo.
 
«Va bene» concesse la donna, con un lieve sospiro. «Però lo sai che non mi piace lasciarti a casa da solo. Mandami dei messaggi ogni tanto, e tienimi aggiornata».
 
Yoongi batté un altro colpo, poi si accasciò di nuovo nel letto, girandosi a guardarmi. Io ero sollevata su un gomito, mi ero tirata su non appena sua madre se n’era andata. Mentre dal piano di sotto proveniva il tintinnio di piatti e stoviglie, Yoongi mi tirò giù verso di sé, e mi baciò dolcemente. Dopo qualche secondo, si staccò con un lieve schiocco, poi mi strinse a sé. Io mi lasciai abbracciare, abbandonandomi sul suo petto, mentre lui mi stringeva come se non volesse più lasciarmi andare. Dopo un po’, sentii il motore della macchina che veniva avviato, e capii che i suoi se ne stavano andando. Yoongi allentò la presa, ed io sollevai la testa dal suo petto, per guardarlo in faccia.
 
«Un colpo era per dire “sì”, e due per dire “no”» dissi, convinta. «Ho indovinato?».
 
Yoongi annuì, e le sue labbra si distesero in un sorriso, mentre io agitavo un pugno in segno di vittoria con un “Sì!” trionfante. Poi, d’un tratto, tornai seria.
 
«Non hai visto la data, vero?» chiesi, esitante. «Ho un po’ paura… però devo saperlo. Dai, fammi vedere».
 
Yoongi prese il telefono dal comodino e fissò lo schermo per qualche secondo, senza lasciar trapelare alcuna emozione, poi me lo mostrò.
 
27 settembre.
 
Spalancai gli occhi. «Ommioddio, ce l’abbiamo fatta!» esclamai, entusiasta, abbracciandolo di nuovo. «Non so come, ma ce l’abbiamo fatta» aggiunsi, ridendo.
 
Yoongi scrisse rapidamente qualcosa.
 
Sai cosa significa, questo?
 
Gli gettai un’occhiata interrogativa, mentre lui mi guardava tranquillo. «No, cosa?» chiesi, confusa.
 
Che dovremmo andare a scuola, Tess.
 
«Cazzo!» esclamai, tirandomi su a sedere di scatto. «E chi ci pensava? Sono giorni che non ci andiamo».
 
Yoongi ridacchiò silenziosamente, mentre digitava sul telefono.
 
Beh, io non ci vado.
Ho già detto a mia madre che restavo a casa.

 
«Io no, però!» ribattei, con enfasi. «Devo andarci, se salto la scuola e i miei lo scoprono…».
 
Yoongi riprese a scrivere, con un sorriso malizioso sul volto.
 
Mi sa che è già troppo tardi.
 
Smisi di leggere, e controllai l’ora nella parte superiore dello schermo. Erano le 7:55. In effetti era già tardi, non avrei mai fatto in tempo. Con un sospiro, lessi il resto del messaggio.
 
Mi sa che è già troppo tardi.
E comunque scommetto che preferisci restare nel
mio letto piuttosto che andare a scuola, mi sbaglio?

 
Sbuffai, scuotendo la testa. «Non vale se mi tenti così» mi lamentai, incrociando le braccia.
 
Ti faccio i pancake per colazione.
 
«Insisti pure? Va bene, mi arrendo!» dichiarai, in tono oltraggiato, e tornai a sdraiarmi sotto la trapunta. «Dannato tentatore» lo accusai, cercando di reprimere un sorriso.
 
Yoongi sorrise soddisfatto, e mi stampò un bacio sulla guancia. Poi si alzò dal letto e mi fece cenno di restare là, mentre lui scendeva in cucina a preparare la colazione.
 
 
*
 
 
Il giorno successivo saremmo dovuti tornare a scuola per davvero. Quello era il nostro ultimo giorno di libertà, e dovevamo sfruttarlo al meglio. Eravamo seduti al tavolo della cucina, dopo aver fatto colazione, intenti a decidere sul da farsi.
 
Allora, hai qualche idea brillante?
Vuoi rapinare una banca? Entrare in un negozio,
e infiltrarti nel reparto riservato al personale?
Magari rubare un tappeto elastico?

 
Scossi la testa, contrariata. «Senti, te lo ripeto» sbuffai, incrociando le braccia. «L’idea del carrello ti era piaciuta, e anche quella del negozio di arredamento, quindi smettila di prendermi in giro».
 
Va bene, sono serio. Cosa vuoi fare?
 
Ci pensai su, rigirandomi una ciocca di capelli tra le dita. «Facciamo qualcosa di normale, per una volta» proposi alla fine, con un sorriso.
 
È perché non hai più idee, ammettilo.
 
«Dai! Che fai, mi prendi ancora in giro?» mi lamentai, tirandogli uno scappellotto. «Voglio davvero fare qualcosa di normale. Andiamo in sala giochi, che ne dici?».
 
Yoongi divenne improvvisamente serio, e rimase immobile sulla sedia. Per un breve istante, mi parve di vedere un’ombra attraversare i suoi occhi scuri, ma non riuscivo a immaginarne il motivo.
 
«Che c’è?» chiesi, facendo finta di niente. «Non ti piace la sala giochi? Possiamo fare qualcos’altro».
 
No, va bene. Facciamo quello che vuoi tu.
 
Lo guardai, piegando la testa di lato. «Sei sicuro? Mi hai ospitato e hai anche preparato la colazione, come minimo in cambio ti faccio scegliere. Se c’è qualcosa che vuoi fare, dimmelo».
 
Ho detto che va bene. Andiamo in sala giochi.
 
Lo scrutai ancora, intensamente, ma la sua espressione era impenetrabile.
 
«Va bene» dissi piano. «Come vuoi tu».
 
 
*
 
 
La sala giochi era praticamente vuota. Di solito c’erano ragazzini delle medie e altri ragazzi della nostra età, ma a quell’ora erano tutti a scuola, a differenza di noi due disgraziati.
 
«Guarda che bello, Yoongi!» esultai, tirandolo per la manica. «È praticamente tutto per noi! A cosa vuoi giocare?».
 
Yoongi continuava ad essere serio, e stavolta nemmeno il mio entusiasmo riuscì a strappargli un sorriso. Allentai la presa sulla sua manica, e lo guardai preoccupata.
 
«Tutto bene?» chiesi, dolcemente. «È da prima che sei serio».
 
Yoongi scosse la testa, poi si guardò brevemente intorno e mi indicò il tavolo da air hockey.
 
Annuii. «Va bene, giochiamo».
 
Man mano che giocavamo, Yoongi ricominciò a dispensare lievi sorrisi. Sembrava divertirsi, e tra noi s’instaurò la solita intesa. Io gridavo, esultando quando facevo punto e lanciandogli insulti quando lo faceva lui. Yoongi, invece, mi rivolgeva sorrisini malefici ad ogni punto che faceva, e poi agitava il pugno in segno di trionfo, mentre quando perdeva sporgeva il labbro inferiore mettendo su il broncio.
Alla fine vinse lui. Io caddi teatralmente in ginocchio, infilandomi le mani tra i capelli in un gesto drammatico. Poi mi rialzai di scatto, e puntai l’indice contro di lui.
 
«Guarda che ti ho lasciato vincere» lo informai, cercando di non ridere. «Solo perché mi hai preparato i pancake».
 
Yoongi si avvicinò, sorridendo maliziosamente, e scostò la mia mano con l’indice ancora puntato, poi scrisse velocemente qualcosa e mi mostrò lo schermo.
 
Solo per i pancake? O anche per qualcos’altro? ;)
 
Incrociai le braccia, e girai la testa dall’altra parte, evitando il suo sguardo. «Non so proprio di cosa parli, Yoongi».
 
In risposta, lui mi afferrò per il mento e mi costrinse a girarmi di nuovo verso di lui. Prima che potessi protestare, mi stampò un bacio rumoroso sulle labbra, e appena feci per picchiarlo, corse via sfrecciando fra i tavoli da biliardo. Lo inseguii, e arrivati all’altezza delle macchine da flipper, riuscii a placcarlo afferrandolo per la vita. Yoongi cercò di divincolarsi, ma io appoggiai la guancia sulla sua schiena, stringendolo più forte. Poi iniziai a tastargli il torso, per punzecchiarlo.
 
«Ehi, sono le tue costole quelle?» dissi, ridendo, mentre lui iniziava a contorcersi per il solletico.
 
Alla fine ebbi pietà e lo lasciai andare. Yoongi si sbilanciò in avanti, piegandosi in due, ma riuscì a ritrovare subito l’equilibrio e a girarsi verso di me, lanciandomi un’occhiataccia.
 
«Vuoi giocare a qualcos’altro?» gli chiesi, ostentando un sorriso innocente.
 
Dopo un attimo di esitazione, Yoongi scosse lentamente la testa. Poi digitò qualcosa sul telefono e me lo passò, con espressione seria.
 
Tess, voglio dirti una cosa.








 
Non ho molto da dire su questo capitolo,
ma ci tenevo a ringraziare ancora una volta chi continua a seguire la storia,
e chi mi ha lasciato una recensione finora!
Il vostro sostegno è davvero importante <3
Alla prossima,
Sugakookie

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Capitolo 7
*** 7 ***


Scusate se ci ho messo più del solito ad aggiornare,
ma purtroppo è ricominciata l'università (piango T.T)

perciò non ho avuto molto tempo per pubblicare.
Spero che il capitolo vi piaccia <3








7.
 
 
 
 
Arrivammo davanti alla pista da skateboard, incavata nel cemento grigio, e ci sedemmo sul bordo, come facevamo sempre.
 
Quello era il posto in cui gli avevo parlato per la prima volta, e Yoongi aveva voluto tornare lì per dirmi qualunque cosa volesse dirmi. Lo guardai mentre si strofinava nervosamente le mani sui jeans, lo sguardo perso in lontananza. Dopo un po’, prese il telefono e incominciò a scrivere.
 
Sai perché ero qui, quando mi hai parlato la prima volta?
 
Scossi la testa. «Non ne ho idea» ammisi, semplicemente.
 
Yoongi riprese a scrivere, con calma. Si fermava ad ogni frase, come per scegliere attentamente le parole.
 
Avevo un amico. Si chiamava Seojun.
Andavamo a scuola insieme, ed era uno dei miei migliori amici.
 
Lessi il messaggio ed annuii, in silenzio, incitandolo ad andare avanti.
 
Venivo spesso qui con lui, perché gli piaceva fare skateboard.
Io non sono capace, perciò mi limitavo a guardarlo.
A volte, Seojun partecipava anche a delle gare, e mi chiedeva
di fargli delle foto o dei video.

 
Le labbra di Yoongi s’incurvarono leggermente in un sorriso malinconico, prima che riprendesse a scrivere.
 
Sono tornato qui tante volte, incluso il giorno in cui mi hai parlato,
perché mi faceva ripensare ai momenti in cui Seojun sembrava felice.
E questo mi faceva sentire meglio.

 
Aspettai in silenzio, ma Yoongi non accennava ad andare avanti. «Cosa è successo?» dissi piano.
 
La mano di Yoongi tremò in modo quasi impercettibile, mentre scriveva.
 
Si è suicidato.
 
Rimasi in silenzio. Con il telefono in mano, continuai a fissare lo schermo, leggendo e rileggendo più volte quelle parole.
 
«È per questo che non parli più?» chiesi, con un filo di voce.
 
Yoongi annuì, e mi fece cenno di ridargli il telefono. Glielo restituii, e lui riprese a scrivere, stavolta con più foga, e continuò fino a riempire più di metà dello schermo.
 
Non ho mai detto a nessuno le cose che ti sto dicendo ora.
Non ho mai detto a nessuno come mi sentivo o che cosa pensavo,
da quando è morto. Sono tutti convinti che io sia diventato muto
per lo shock, e in parte è vero. Ma non è stato solo quello.

È vero, ero così traumatizzato che anche se avessi voluto, non
sarei riuscito a parlare. Le parole non mi uscivano, non avevo la
forza o la volontà per farle uscire. Era come negli incubi, quando
cerchi di urlare, ma per quanto ti sforzi la voce non esce.

Però, c’era anche una parte di me che, anche se fossi stato in
grado di parlare, non voleva farlo. Una parte di me ha deciso
volontariamente che non avrei più parlato. Che senso aveva farlo?
Io e Seojun parlavamo di continuo, ma non è servito a niente.
Non è servito a farmi capire che voleva uccidersi.
Che senso ha parlare, se la gente non ti dice cosa pensa
veramente? Lui non me l’ha mai detto

 
Arrivata in fondo, vidi che Yoongi non aveva messo il punto a fine frase, come se si fosse interrotto all’improvviso. Alzai lo sguardo su di lui, e vidi che teneva lo sguardo basso, e i suoi occhi erano lucidi. Mi prese gentilmente il telefono dalle mani, senza alzare lo sguardo, e riprese a scrivere con calma.
 
L’ultima volta che sono uscito con Seojun, siamo andati in sala giochi.
 
Spalancai gli occhi, e per qualche secondo smisi di leggere. Ripensai alla sua reazione di prima, quando gli avevo proposto di andare in sala giochi, e provai una fitta di rimorso. Deglutii, cercando di ignorare quella sensazione, e continuai a leggere.
 
L’ultima volta che sono uscito con Seojun, siamo andati in sala giochi.
Forse, inconsciamente, una parte di me aveva intuito che qualcosa non
andava, quel giorno. Ma non era qualcosa di ovvio, non era
evidente, capisci? Non sembrava triste o giù di morale. E forse non
lo era. Ripensandoci a posteriori, credo che fosse arrivato a quel punto
in cui semplicemente non gli importava più di niente.
Tutti siamo tristi a volte, ma non credo che basti essere tristi per arrivare
a volersi uccidere. Non posso sapere cosa gli passasse per la testa, ma
se è arrivato a fare una cosa del genere, vuol dire che non c’era più
niente per lui. Nessun motivo, nessuna ragione abbastanza importante
da farlo rimanere in vita. Solo una grande sofferenza.

 
Ancora una volta, rimasi in silenzio, fissando il telefono. Avrei voluto dire qualcosa, ma cosa si può dire in questi casi? L’aveva detto anche lui, parlare a volte era inutile, e un semplice “mi dispiace” non sarebbe servito a farlo sentire meglio. Così mi limitai ad abbracciarlo, mentre le lacrime iniziavano a scendere sulle sue guance candide.
Yoongi mi strinse forte, e abbandonò il capo sulla mia spalla, continuando a piangere. Rimanemmo così a lungo, mentre il suo corpo stretto tra le mie braccia veniva scosso da singhiozzi silenziosi.
 
Quando si calmò, si tirò su lentamente, ed io gli passai subito un fazzoletto. Yoongi si asciugò la faccia e gli occhi arrossati, girandosi dall’altra parte.
 
«Non puoi fartene una colpa… lo sai, vero?» mormorai, dolcemente.
 
Yoongi annuì, tirando su col naso, poi riprese il telefono per scrivere.
 
Sai, con il tempo mi sono abituato al fatto che non parlavo più.
Mi ero convinto che parlare fosse una cosa assolutamente inutile.
Forse hai dato per scontato che io parlassi per iscritto anche
con gli altri, come ho sempre fatto con te. In realtà non lo facevo
più di tanto, soprattutto all’inizio, quando avevo appena smesso
di parlare. Scrivevo al massimo una frase per volta, e solo quando
era proprio necessario, ad esempio se mi facevano delle domande.
Anzi, a volte non rispondevo nemmeno a quelle.
Poi però ho conosciuto te, e ho cambiato idea.

 
Lo guardai, stupita. «Hai cambiato idea? Però, ancora non parli» constatai, piegando la testa di lato.
 
No, infatti. Come ti ho detto, ho iniziato a cambiare idea.
Tu sei sempre così diretta, dici tutto quello che ti passa per la mente,
incluse le tue idee assurde, tipo quella del carrello. Sì, finalmente
lo ammetto, mi è piaciuta l’idea del carrello.
Ad ogni modo, non hai paura di essere giudicata, e non ti vergogni
a mostrare i tuoi sentimenti. Ogni volta che c’era un minimo segnale
di affetto tra di noi, ero sempre io quello che si imbarazzava, mentre
tu eri sempre tranquilla, e facevi sembrare tutto così naturale, così facile.
Non te l’ho mai detto, ma adoro ascoltarti, e ogni volta che mi raccontavi
una delle tue storie, mi facevi tornare la voglia di parlare.
Volevo raccontarti anch’io tante cose, ma anche se stavo cambiando idea,
non riuscivo ancora a dire niente ad alta voce.

 
«Perché no?» chiesi dolcemente, accarezzandogli un braccio, mentre lui continuava a scrivere.
 
C’era ancora qualcosa che mi bloccava. Pensavo che forse mi stavo
sbagliando. Pensavo che forse stavi con me solo perché eravamo
bloccati al 26 settembre, e non avevi altra scelta. Siamo stati entrambi
costretti ad allontanarci da tutti gli altri, dai nostri amici, perché
non facevano altro che ripetere sempre lo stesso copione. Se provavi
a cambiare argomento, funzionava per un po’, ma poi finivano tutti per
raccontarti le stesse cose che avevi già sentito. Così non avevamo molta
scelta, se non stare l’uno con l’altra. Eravamo le uniche due persone
consapevoli della situazione, e ho pensato che stessi con me solo per quello.

 
Guardai Yoongi, a bocca aperta. «Sei serio?» esclamai, incredula. «L’hai appena detto tu stesso, che sono sempre diretta e sincera. Ogni singolo sorriso che ti ho rivolto, ogni parola che ti ho detto era sincera. Se ho passato tutto questo tempo con te, è perché mi piace stare con te. Punto».
 
Yoongi mi guardò negli occhi per qualche secondo, esitante. Aveva ancora gli occhi un po’ arrossati, ma c’era anche il vago accenno di un sorriso sul suo volto. Socchiuse le labbra un paio di volte, per poi richiuderle, ed io trattenni il fiato. Alla fine ci riuscì. Aprì la bocca, e per la prima volta disse qualcosa.
 
«Tess…» pronunciò il mio nome con voce flebile, appena udibile. La sua voce era bassa, come me l’aveva descritta, e aveva il suono rauco, graffiante, di chi non parla da tanto tempo.
 
Nel sentire quell’unica parola, sentii le lacrime salirmi agli occhi, e gli gettai d’impulso le braccia al collo, stringendolo forte.
 
«Non ci posso credere, hai parlato» mormorai, emozionata, contro la sua spalla, mentre le lacrime mi bagnavano le guance.
 
Yoongi ricambiò l’abbraccio, e lo sentii schiarirsi a fatica la gola. Evidentemente, aveva difficoltà a parlare dopo essere stato in silenzio così a lungo, ma si stava sforzando.
 
«Non avevo finito…» disse, stavolta in un tono più alto e facilmente udibile, anche se la sua voce era ancora roca e affaticata. «Anche a me piace stare con te».
 
«Questo lo sapevo già» mugugnai, ridendo, contro la sua spalla. «Ma non sai quanto sono felice che tu me l’abbia detto».
 
 
*
 
 
Eravamo ancora seduti lì, sul bordo grigio della pista, con le gambe che penzolavano nel vuoto. Non avevo idea di quanto tempo fosse passato. Forse mezz’ora, forse più di un’ora, non aveva importanza. Yoongi parlava, e contava solo quello. Non volevo che si affaticasse troppo, perché le sue corde vocali erano chiaramente fuori esercizio, ma lui voleva parlare. Così gli avevo lasciato dire tutto quello che voleva.
 
Dopo che si era sfogato, eravamo di nuovo in silenzio. Ci tenevamo per mano, le dita saldamente intrecciate, e la mia testa era poggiata sulla sua spalla.
 
«Yoongi» dissi, rompendo di nuovo il silenzio. «Alla fine, non abbiamo scoperto perché continuava ad essere il 26 settembre… secondo te, cosa voleva dire?».
 
Ci fu un attimo di silenzio. «Non lo so, forse non voleva dire niente» rispose Yoongi. «Però, mi piace pensare che il tempo si sia fermato apposta per noi».
 
Rimasi in silenzio, riflettendo sulle sue parole. «Sai, credo che tu abbia ragione» dissi, mentre un sorriso si faceva strada sul mio volto. «Forse non saremmo mai finiti insieme, se il tempo non si fosse bloccato. So che è un’idea un po’ sdolcinata, ma sembra davvero che tutto questo sia accaduto apposta per far sì che noi due ci innamorassimo».
 
Per una frazione di secondo, sentii la spalla di Yoongi irrigidirsi sotto la mia guancia.
 
«Stai dicendo che sei innamorata di me?» chiese, dopo un po’.
 
«Certo» risposi. «Non l’avevi ancora capito?» lo presi in giro, ridendo.
 
«Certo che l’avevo capito» ribatté Yoongi, stizzito. «Ma non sai quanto sono felice che tu me l’abbia detto» aggiunse in tono serio, ripetendo le mie parole di prima.
 
Poi posò le dita sotto il mio mento, costringendomi ad alzare la testa dalla sua spalla, e mi baciò come se fosse la prima volta.








 
Come avrete intuito, siamo arrivati alla fine della storia (*sigh*)
Sinceramente, sono un po' triste che sia finita...
è la fanfic più lunga che io abbia mai pubblicato finora, e dopo tutto questo tempo,
mi ero affezionata alla storia e ai vostri commenti <3
Ok, ora la smetto con i saluti strappalacrime xD
Come sempre, vi invito a dirmi cosa ne pensate! Come vi è sembrato questo finale??


Piccolo off topic: mi piacerebbe sapere il vostro parere anche su un'altra cosa...
mi è venuta un'idea per un'altra fanfic che avrebbe come protagonisti tutti i membri dei Bts.
Si tratterebbe però di una storia abbastanza diversa da quelle che ho scritto finora...
in altre parole, non sarebbe una storia d'amore, bensì una sorta di thriller psicologico.
Insomma, una storia abbastanza dark, incentrata su un mistero da scoprire.
Non avendo mai scritto niente del genere, non ho idea se io sia davvero in grado di scriverla,
né se possa interessare a qualcuno...
quindi niente, se vi va, fatemi sapere se una storia simile potrebbe interessarvi!

Vi ringrazio un'ultima volta per tutto il supporto che mi avete dimostrato in questa fanfic! <3
Un bacio,
Sugakookie



 
 
 

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